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Definizione di derivata parziale, gradiente e matrice Jacobiana per funzioni da Rn → R


𝑓
Sia A ⊆ Rn aperto (ipotesi necessaria per potersi muovere in un intorno del punto) e sia A → R e xo
∈ A:
0
𝑓(𝑥𝑜 +ℎ𝑒𝑗 )−𝑓(𝑥𝑜 ) 0
f è parzialmente derivabile in xo se: ∃𝓁 = lim 𝑐𝑜𝑛 𝑒𝑗 = ( ) .
ℎ→0 ℎ 1 → 𝑗 − 𝑒𝑠𝑖𝑚𝑎 𝑟𝑖𝑔𝑎
0
𝜕𝑓(𝑥𝑜 )
𝓁 si dice derivata parziale di f rispetto a xj in xo e si scrive 𝜕𝑥 oppure ∂xj f(xo).
𝑗
𝑓
Sia xo ∈ A ⊆ Rn aperto, A → R ed f parzialmente derivabile in xo rispetto a tutte le variabili.
Il gradiente di f in xo è il vettore riga ∇f(xo) = ( ∂x1f(xo), …, ∂xnf(xo) ) ∈ (Rn)t.
𝛻𝑐𝑜𝑚𝑝𝑜𝑛𝑒𝑛𝑡𝑒 1
𝑓 𝛻𝑐𝑜𝑚𝑝𝑜𝑛𝑒𝑛𝑡𝑒 2
Sia xo ∈ A ⊆ Rn aperto, A → R. La matrice jacobiana J di f è Jf(x) ∈ Mnxn = [ ]

𝛻𝑐𝑜𝑚𝑝𝑜𝑛𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑛
dove ogni riga è il gradiente di una componente di f (cioè un vettore riga di n elementi) e ogni
colonna è una derivata parziale di f (cioè un vettore colonna di n elementi)
Le componenti di f sono funzioni fj : Rn →R j = 1…n; ognuna funzione di x = (x1…xn).
Si scrive f = (f1…fn).
𝜕𝑥𝑗 𝑓1 (𝑥)
𝜕𝑓(𝑥) 𝜕𝑥𝑗 𝑓2 (𝑥)
Le derivate parziali di f sono: 𝜕𝑥 = Le derivate parziali definiscono la variazione
𝑗 ⋮
(𝜕𝑥𝑗 𝑓𝑛 (𝑥))
istantanea di quota di f(x) e sono particolari derivate direzionali per cui il gradiente dà la direzione
e il verso della massima pendenza di f(x).
Derivate parziali di somme e prodotti
Siano f,g ∈ C1 (Rn, R): ∂xj(f+g)(x) = ∂xjf(x) + ∂xjg(x) e ∇(f+g)=∇f + ∇g ∈ Rn.
Sia k ∈ R: ∂xj kf(x) = k ∂xjf(x)
∂xj(f g)(x)= ∂xj(f)(x)g(x) + ∂xjg(x)f(x) e ∇(f g)=g∇f + f ∇g
Teorema sulle derivate parziali e sulla matrice Jacobiana
𝑓 ∂xj
Una funzione A → R, con A ⊆ Rn aperto, è di classe C1 (A, R) se ∃ ∂x1f(x), …, ∂xnf(x) ∀x ∈ A e se A → R
è continua per j=1…n.
Teorema differenziabilità di funzioni in C1
𝑓
Una funzione A → R con A ⊆ Rn aperto, è di classe C1 (A, Rn) se le sue componenti f1…fn ∈ C1 (A,R).
Definizione di differenziabilità e formula di Taylor al 1° ordine
Sia A ⊆ Rn aperto e f ∈ C1(A,R): f è differenziabile in xo ∈ A se
ℎ𝑜
f(xo+ho, …, xn+hn)=f(xo, …, xn) + <∇f(xo, …, xn); ( ⋮ ) ) > + o(‖ℎ‖ = √ℎ12 + ⋯ + ℎ𝑛2 ) dove
ℎ𝑛
𝑜 (ℎ)
lim = 0 ∀xo ∈ A
ℎ→0 ‖ℎ‖
ℎ𝑜
f(xo+ho, …, xn+hn)=f(xo, …, xn) + Jf(xo, …, xn) ( ⋮ )+ o(‖ℎ‖ = √ℎ12 + ⋯ + ℎ𝑛2 )
ℎ𝑛
Derivate di funzioni composte
Siano A ⊆ Rn, f ∈ C1 (A,Rm) e B ⊆ Rm, g ∈ C1 (B,Rp) con f(A) ⊆ B e sia a ∈ A:
1. J(g o f)(a) = Jg(f(a)) Jf(a)
𝜕(𝑔 𝑜 𝑓)𝑖 (𝑎) 𝜕𝑔𝑖 (𝑎) 𝜕𝑓𝑘 (𝑎)
2. = ∑𝑚
𝑘=1 𝜕𝑥 𝐹(𝑎) 𝜕𝑥
𝜕𝑥
𝑙 𝑘 𝑙
2

Derivate parziali seconde


𝑓
Sia A → R, con A ⊆ Rn aperto: f è derivabile parzialmente due volte in a ∈ A se le funzioni ∂x1f(x), …,
∂xnf(x): A → R sono parzialmente derivabili in a. La derivata parziale seconda di f in a rispetto a x i e
𝜕2 𝑓(𝑎)
xl si inidca con 𝜕𝑥 𝜕𝑥 oppure ∂xixl f(a). Lemma di Schwarz per derivate parziali seconde
𝑖 𝑙
Sia f ∈ C2 (A,R) con A ⊆ Rn aperto: ∂xixi f(a) = ∂xixj f(a) ∀a ∈ A ∀i,j = 1…n. → la matrice quadrata
Hessiana delle derivate parziali seconde è una matrice simmetrica.
𝑓 ∂xixj
Si dice che A → R, con A ⊆ Rn aperto è di classe C2 (A,R) se ∀i,j = 1…n ∃ ∂xixj f(x) ∀x ∈ A e A → Rè
continua in A.
Formula di Taylor al 2° ordine in più variabili
Sia f ∈ C2 (A,R) con A ⊆ Rn aperto e a ∈ A:
1
f(a+h) = f(a) + <∇f(a),h> + 2 <Hessf(a)h, h> + o(‖ℎ‖2 ) per h → 0 in Rn.
1
f(a+h) = f(a) + ∑𝑛𝑗=1 ∂𝑗 f(a)ℎ𝑗 + 2 ∑𝑛𝑖=1 ∑𝑛𝑗=1 ∂𝑖𝑗 f(a)ℎ𝑖 ℎ𝑗 + 𝑜(ℎ12 + ⋯ + ℎ𝑛2 ).
1
Applicazione: f(x)=f(a) + <∇f(a), x-a > + 2 <Hessf(a)(x-a), x-a > + o(‖𝑥 − 𝑎‖2 ). Per x →a in Rn.
Campo vettoriale esatto e chiuso
𝐹
Sia E ⊆ Rn. Un campo vettoriale su E è una funzione E → Rn.
Sia E aperto, F ∈ C1 (E,Rn) un campo vettoriale su E: F esatto ⇔ ∃φ ∈ C1 (E,R) per cui F(x) = ∇φ(x)
∀x ∈ E. Si dice che φ è un potenziale di F. Dire che un campo è esatto equivale a dire che è
conservativo o irrotazionale.
Sia E ⊆ Rn aperto, F ∈ C1 (E,Rn) un campo vettoriale su E: F chiuso ⇔ ∂xiFj(x) = ∂xjFi(x) (derivate
parziali incrociate uguali) ∀i,j = 1…n e ∀x ∈ E.
Teorema. Sia F ∈ C1 (A,Rn) con A aperto: F esatto ⟹ F chiuso.
Quindi condizione necessaria affinché F sia esatto è che sia chiuso ma non è sufficiente (non vale il
viceversa).
Esempio che mostra come la condizione non sia sufficiente.
F(x,y) = (-y, x) = (u, v)
∂yu = -1 ≠ ∂xv = 1 → sono diversi quindi F non è chiuso ⟹ non è sicuramente esatto. ∄φ(x,y)|
∇φ(x) = (-y, x).
Se fosse chiuso potrebbe essere anche esatto per il teorema precedente, ma la chiusura non è
sufficiente; è solo un primo controllo.
Relazione tra esattezza e integrale di lavoro su una curva
Un campo vettoriale F su E è esatto ⇔ F(x) = ∇φ(x) (teorema precedente)
𝛾 𝐹
Sia [α, β]→ A ⊆ Rn aperto con γ ∈ C1 ([α, β], A) e A → Rn: il lavoro del campo F sulla curva γ è
∫γ F(z)dz ≝ ∫𝛾 ⟨F(γ(t)), γ′(t)⟩dt con F(γ(t)) γ′ (t): componente efficace.
Esempio
𝑦 𝑥
F(x,y) = (− 𝑥 2+𝑦 2 ; ) = (u,v) è chiuso ma non è esatto. Dimostriamolo:
𝑥 2 +𝑦 2
𝐹
dom(f)= R2 \ (0,0) → R2
𝑥 2 − 𝑦2 𝑦2− 𝑥2
∂yu = − (𝑥 2 +𝑦 2)2 = ∂xv = (𝑥 2 +𝑦 2)2 ⟹ F è chiuso su dom(f). Se fosse anche esatto, per il teorema si
avrebbe ∫γ F(z)dz ???? ∀γ chiusa.
Consideriamo, per esempio, γ(t) = (cost ; sint) con 0 ≤ t ≤ 2π.
2𝜋 2𝜋 2𝜋
∫γ F(z)dz = ∫0 F(γ(t)) γ′(t)dt ∫0 F(cost, sint) (−sint, cost)dt =∫0 (−sint, cost)(−sint, cost)dt =
2𝜋 2𝜋
∫0 sin2 t + cos 2 t dt = ∫0 1dt = 2π ≠ 0 ⟹ F non è esatto su R2 \ (0,0).
3

Teorema sull’esattezza. Dire che il campo F è esatto vuol dire che ∀γ curva chiusa ∫γ F(z)dz = 0 e se
γ,σ ∈ C1 ([α, β], A) con γ(a) = σ(a) e con γ(b) = σ(b) ⟹∫γ F(z)dz = ∫σ F(z)dz.
Dimostrazione.
F è esatto ⇔ F = ∇φ con φ ∈ C1 (A,R) potenziale di F. Se γ è chiusa ∫γ F(z)dz = ∫γ ∇ φ(z)dz
Corollario: lavoro come differenza di potenziale. Se F: A → Rn con A ⊆ Rn aperto e connesso per
archi è esatto e φ è un potenziale di F:
𝛾
se [a,b] → A ∀P,Q| γ(a)=P e γ(b)=Q ⟹ ∫γ F(z)dz = φ(Q)- φ(P) = Uf – Ui.
Teorema di Poincaré
Sia E ⊆ Rn un insieme semplicemente connesso (cioè un insieme in cui ogni curva chiusa è
deformabile ad un punto) (stellato: un dominio è stelalto se è stellato in almeno un suo punto,
ovvero i segmenti che uniscono quel punto sono tutti contenuti nel dominio): se F ∈ C1 (A, Rn) è un
campo chiuso ⟹ è esatto in E, quindi ammette potenziale.
Dimostrazione
Definiamo φ: E → R il potenziale del campo chiuso F e la curva Lx con x ∈ E.
1
φ(x) = ∫Lx F(z)dz ≝ ∫0 ⟨ F(Lx(t)), L′ x(t) ⟩dt.
Parametrizzando la curva Lx in t: Lx(t)= a + t(x-a) e quindi L’x(t) = x-a con t ∈ [0,1].
1 1
Si ottiene∫0 ⟨ F(a + t(x − a)), x − a ⟩dt = ∫0 [ ∑nj=1 Fj (a + t(x − a))(xj − aj ) ]dt.
Essendo φ(x) il potenziale di F, deve valere ∂x𝓁 φ(x) ≝ F𝓁(x).
1 1
∂x𝓁 φ(x) = ∂x𝓁∫0 [∑nj=1 Fj (a + t(x − a))(xj − aj )]dt = ∫0 ∂x𝓁 [ ∑nj=1 Fj (a + t(x − a))(xj − aj ) ]dt.
Essendo la derivata di un prodotto, ottengo
1 1
∫0 ∑nj=1 ∂x𝓁 [Fj (a + t(x − a))](xj − aj )dt + ∫0 ∑nj=1 Fj (a + t(x − a)) ∂x𝓁 [xj − aj ]dt.
Essendo le derivate parziali tutte nulle eccetto quelle per j=l, rimane
1 1
∫0 ∑nj=1 ∂x𝓁 Fj (a + t(x − a))t(xj − aj ) + F𝓁 (a + t(x − a))dt =∫0 ∑nj=1 ∂xj F𝓁 (a + t(x − a))t(xj − aj ) +
F𝓁 (a + t(x − a))dt
Dall’ipotesi di campo chiuso ∂x𝓁 Fj ≝ ∂xj F𝓁. Quindi si ha
1 1
∫0 ⟨ ∇F𝓁 (a + t(x − a)), x − a ⟩t + F𝓁 (a + t(x − a))dt =∫0 ⟨ ∇F𝓁 (Lx(t)), L′ (x) ⟩t + F𝓁 (Lx(t))dt =
1
∫0 dt F𝓁 (Lx(t))t + F𝓁 (Lx(t))dt.
Riconoscendo nell’integranda lo sviluppo della derivata di un prodotto, posso scrivere
1
∫0 dt [ F𝓁 (Lx(t))t ] dt.
1
Per il teorema fondamentale del calcolo integrale si ricava [F𝓁 (Lx(t))t] = F𝓁 (x) = ∂x𝓁 φ(x) cioè
0
∇φ(x) = F(x).
Dunque, si è dimostrato che φ(x) è realmente un potenziale del campo chiuso per ipotesi F(x). Ciò
vuol dire che se F è chiuso ⟹ è esatto.
Definizione di integrale multiplo (doppio/triplo)
Sia E ⊆ R2. E è una regione semplice se E = {(x,y): 𝛼(x) ≤ y ≤ 𝛽(x) con 𝛼, 𝛽 : [a, b] → R continue tali
che ∀x ∈ [a, b] 𝛼(x)≤ 𝛽(x)} (Lo stesso vale per x e y scambiate)
E è una regione regolare se E ≝ E1 ⋃… En con En regioni semplici che si intersecano nei bordi.
Sia E ⊆ R2 una regione regolare ed f continua E → R. L’integrale di f su E è ∬𝐸 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦
Fissato n ∈ N.
Sia Rn = {(i/2n, j/2n) con i ,j ∈ Z } → R reticolo
Sia Sn(f)=Σf(i/2n, j/2n)(1/2n)2 con (i/2n, j/2n) ∈ Rn ⋂ E.
Il lim Sn(f) = 𝐼 ∈ R lo chiamo ∬𝐸 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦
𝑛→ ∞
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Teoremi di riduzione degli integrali multipli (doppio/tripli)


Sia f: E → R continua con E = {(x,y) ∈ R2: 𝛼(x) ≤ y ≤ 𝛽(x) e x ∈ [a, b] } semplice.
𝑏 β(x) 𝑏 β(x)
∬𝐸 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 = ∫𝑎 ∫α(x) 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑦 𝑑𝑥 = ∫𝑎 𝐴(𝑥)𝑑𝑥 𝑐𝑜𝑛 𝐴(𝑥) = ∫α(x) 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑦
Teorema. Se E è regolare, allora ∬𝐸 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 = ∬𝐸1 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 + ⋯ + ∬𝐸𝑛 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦
Cambiamento delle variabili negli integrali doppi/tripli
Siano E ⊆ R2 regolare con f : E→R continua e sia E’ regolare con g : E’ → R2 biunivoca con g(E’) = E.
Allora
∬ 𝑓(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥𝑑𝑦 = ∬ 𝑓(𝑔(𝑢, 𝑣))det (𝐽𝑔(𝑢,𝑣) ) dudv
𝐸 𝐸′
Esempio
f(x,y) = xy
g(r,t) = (rcost, rsint) con r ∈ [0,1] e t ∈ [0, 2π].
𝑐𝑜𝑠𝑡 −𝑟𝑠𝑖𝑛𝑡
Det J[ ] = rcos2t + rsin2t = r
𝑠𝑖𝑛𝑡 𝑟𝑐𝑜𝑠𝑡
∬𝐸 𝑥𝑦 𝑑𝑥𝑑𝑦 = ∬𝐸′ 𝑟𝑐𝑜𝑠𝑡 𝑟𝑠𝑖𝑛𝑡 𝑟𝑑𝑟𝑑𝑡 = ∬𝐸′ 𝑟 3 𝑐𝑜𝑠𝑡 𝑠𝑖𝑛𝑡 𝑑𝑟𝑑𝑡
Funzioni olomorfe: definizione
𝑓
Sia A ⊆ C con A → 𝐶 aperto e a ∈ A.
𝑓(𝑧)−𝑓(𝑎) 𝑓(𝑎+ℎ)−𝑓(𝑎)
La derivata in senso complesso di f in a è f ’(a) = lim 𝑧−𝑎 = lim = 𝓁 ∈ C.
𝑧→𝑎 ℎ ℎ→0
𝑖𝑛 𝐶
Una funzione si dice olomorfa ⇔ ∀z ∈ A ∃f ’(z) ∈ C, cioè se è derivabile con continuità in C
Funzioni olomorfe: equazioni di Cauchy - Riemann
𝑓 𝑢+𝑖𝑣
Teorema fondamentale delle funzioni olomorfe. Sia A ⊆ C con A → 𝐶 aperto, A → 𝑅 allora (1) ⇔
(2) ⇔ (3)
(1) F è olomorfa
𝜕𝑥 𝑈 = 𝜕𝑦 𝑉
(2) Valgono le equazioni di Cauchy-Riemann {
𝜕𝑌 𝑈 = − 𝜕𝑋 𝑉
(3) La 1-forma f(z)dz è chiusa, cioè
f(z)dz = (u+iv)d(u+iv) = [u(z) + iv(z)][dx+idy] = [u(z)dx – v(z)dy]+i[u(z)dy + v(z)dx]
cioè che le forme reali 𝛼 e 𝛽 sono chiuse
Dimostrazione (1) ⟹ (2)
Sia f derivabile in z ⟹
𝑓(𝑍+ℎ)−𝑓(𝑍) 𝑢(𝑧+ℎ)−𝑢(𝑧)+𝑖𝑣(𝑧+ℎ)−𝑖𝑣(𝑧) 𝑢(𝑥+ℎ+𝑖𝑦)−𝑢(𝑥+𝑖𝑦)
∃lim = 𝑓′(𝑧) = lim = lim +
ℎ→0 ℎ ℎ→0 ℎ ℎ ℎ→0
𝑖𝑛 𝑅 𝑖𝑛 𝑅 𝑖𝑛 𝑅
𝑣(𝑥+ℎ+𝑖𝑦)−𝑣(𝑥+𝑖𝑦)
𝑖 lim = ∂x u(x+iy) + i∂x v(x+iy) = ∂x u(z) + i∂x v(z).
ℎ→0 ℎ
𝑖𝑛 𝑅
Oppure con incremento k sulla retta immaginaria
𝑓(𝑍+𝑘𝑖)−𝑓(𝑍) 𝑢(𝑥+𝑖(𝑦+𝑘))−𝑢(𝑥+𝑖𝑦) 𝑣(𝑥+𝑖(𝑦+𝑘))−𝑣(𝑥+𝑖𝑦)
lim = lim + 𝑖 lim = - i ∂y u(z) + ∂y v(z).
𝑘→0 𝑖𝑘 𝑘→0 𝑖𝑘 𝑘→0 𝑖𝑘
𝑖𝑛 𝑅 𝑖𝑛 𝑅 𝑖𝑛 𝑅
Essendo il limite unico per definizione ⟹ ∂x u(z) + i∂x v(z) = - i ∂y u(z) + ∂y v(z), equazioni di
Cauhcy – Riemann
Funzioni olomorfe: caratterizzazione in termini di forme differenziali chiuse e teorema integrale di
Cauchy
La condizione di chiusura di 𝛼 e 𝛽 del punto (3) è ricavabile dalle equazioni di Cauchy-Riemann:
𝜕𝑥 𝑈(𝑧) = 𝜕𝑦 𝑉(𝑧) ⇔ 𝛽 = u(z)dy + v(z)dxè chiusa
{
𝜕𝑌 𝑈(𝑧) = − 𝜕𝑋 𝑉(𝑧) ⇔ 𝛼 = u(z)dx − v(z)dy è chiusa
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Teorema integrale di Cauchy.


Sia A aperto ⊆ C con f: A → C olomorfa. Data una curva chiusa 𝛾 in A si ha ∫γ F(z)dz = 0
Dimostrazione
Per il teorema precedente si ha f olomorfa ⇔ f(z)dz è chiusa. Inoltre, f(z)dz chiusa e A stellato ⟹
f(z)dz è esatta per il teorema di Poincaré.
Ma f(z)dz è esatta ⇔ ∫γ f(z)dz = 0 quindi 𝛾 è chiusa ⟹ ∫γ f(z)dz = 0.
Da questo si può dire che se σ e τ sono due curve in A che congiungono P, Q ∈ A, e σ è deformabile a
τ in A ⟹ ∫σ f(z)dz = ∫τ f(z)dz perché σ – τ è anch’essa una curva chiusa in A.
Funzioni olomorfe: formula integrale di Cauchy
Sia A aperto ⊆ C con f: A → C olomorfa, zo ∈ A e 𝛾 una curva in A intorno a zo in senso antiorario ⟹
1 𝑓(𝑧)
f(zo)= 2𝜋𝑖 ∫γ 𝑧−𝑧 𝑑𝑧
𝑜
1 1
Lemma: 2𝜋𝑖 ∫γ 𝑧−𝑧 𝑑𝑧 = 1
𝑜
Dimostrazione
𝑓(𝑧)−𝑓(𝑧𝑜 )
𝑠𝑒 𝑧 ≠ 𝑧𝑜
Sia g(z)={ 𝑧−𝑧𝑜 olomorfa in A.
𝑓 ′ (𝑧𝑜 )
𝑠𝑒 𝑧 = 𝑧𝑜
𝑓(𝑧)−𝑓(𝑧 )
Essendo olomorfa si ha ∫γ g(z)dz = ∫γ 𝑧−𝑧 𝑜 𝑑𝑧 = 0 per il teorema integrale di Cauchy.
𝑜
f(z) f(𝑧 )
Separando il secondo integrale si ottiene ∫γ 𝑧−𝑧 dz − ∫γ 𝑧−𝑧𝑜 dz = 0 cioè
𝑜 𝑜
f(z) f(z)
∫γ 𝑧−𝑧 dz − 2𝜋𝑖 𝑓(𝑧𝑜 ) = 0 dal lemma precedente. Quindi ∫γ 𝑧−𝑧 dz = 2𝜋𝑖 𝑓(𝑧𝑜 )
𝑜 𝑜

Funzioni olomorfe: teorema sulla loro sviluppabilità in serie



Siano {an} numeri complessi. Definiamo f(z) = ∑∞ 𝑛
𝑖=0 𝑎𝑛 𝑧 come la serie di potenze con centro 0 e
0
coefficienti an.
Teorema: siano f olomorfa, zo ∈ A, e 𝛾 una curva chiusa in A senso antiorario deformabile a zo. Se
B(zo,R) = { z ∈ C : |z-zo| ≤ R } è interno a 𝛾 si ha:
(i) f(z) = ∑∞ 𝑛
𝑛=0 𝑎𝑛 (𝑧 − 𝑧𝑜 ) ∀z ∈ B(zo,R) cioè è sviluppabile in serie di potenze
𝒇(𝒏) (𝒛𝒐 )
(ii) 𝒂𝒏 = 𝒏!
1 𝑓(𝑧)
(iii) 𝒂𝒏 = 2𝜋𝑖 ∫γ (𝑧−𝑧 𝑛+1 𝑑𝑧
𝑜)

Dimostrazione (i) ⟹ (ii)


f ′(z) = ∑∞ 𝑛=1 𝑎𝑛 𝑛(𝑧 − 𝑧𝑜 )
𝑛−1

f ′′(z) = ∑∞ 𝑛=2 𝑎𝑛 𝑛(𝑛 − 1)(𝑧 − 𝑧𝑜 )


𝑛−2
Se f(z) = ∑∞ 𝑛
𝑛=0 𝑎𝑛 (𝑧 − 𝑧𝑜 ) ⟹ .

{ 𝑓 (𝑘) (z) = ∑∞𝑛=𝑘 𝑎𝑛 𝑛(𝑛 − 1) … (𝑛 − 𝑘 + 1)(𝑧 − 𝑧𝑜 )
𝑛−𝑘

per z = zo : f(𝑧𝑜 ) = 𝑎𝑜 + 0 + ⋯ + 0 = 𝑎𝑜
𝑓 ′ (𝑧𝑜 ) = 1𝑎1 + 0 + ⋯ + 0 = 𝑎1
e le sue derivate 𝑓 ′′ (𝑧𝑜 ) = 2(2 − 1)𝑎2 + 0 + ⋯ + 0 = 2𝑎2

(𝑘)
{𝑓 (𝑧𝑜 ) = 𝑎𝑘 k(k − 1) … (k − k + 1) + 0 + ⋯ + 0 = 𝑎𝑘 k!
Funzioni olomorfe: la funzione ez e la sua olomorfia
Sia f(z) = ez = ex+iy = ex eiy = ex (cosy + isiny) = excosy + iexsiny = u(x+iy) + v(x+iy)
Verifico le equazioni di Cauchy-Riemann:
6

𝜕𝑥 𝑈(𝑧) = 𝜕𝑦 𝑉(𝑧):
∂x(excosy)= excosy
∂y(exsiny) = excosy
⟹ ez rispetta le equazioni di Cauchy-Riemann quindi è olomorfa in C
𝜕𝑌 𝑈(𝑧) = − 𝜕𝑋 𝑉(𝑧):
∂y(excosy) = -exsiny
-∂x(exsiny)= -exsiny
Funzioni olomorfe: definizione di funzione meromorfa su un aperto di C e di residuo in un punto
ℎ(𝑧)
Sia A ⊆ C aperto, definiamo la funzione m(z)=𝑝(𝑧) con h(z) olomorfa in A e p(z) un polinomio. Tale
funzione si dice meromorfa in A. Se f,g sono meromorfe allora f+g e f g sono meromorfe in A.
Lemma. Se m(z) è meromorfa allora lo sviluppo in serie di Laurent in un intorno di zo è
𝑎 𝑎−(𝑛−1 ) 𝑎
m(z)=(𝑧−𝑧−𝑛)𝑛 + (𝑧−𝑧 𝑛−1
−1
+…+𝑧−𝑧 + 𝜑(𝑧) olomorfa.
𝑜 𝑜) 𝑜
[I termini prima di 𝜑(𝑧) si dicono parte singolare ].
Se an ≠ 0 si dice che m(z) ha un polo di ordine n in zo. a-1 si definisce residuo di m in zo e si indica
con Res(m,zo).
Corollario. m(z) ha un polo di ordine n in zo se h(zo)≠0 e p(z) ha uno zero di ordine n in zo, ovvero
p(z)=(z-zo)n q(z) dove q(z) è un polinomio tale che q(zo) ≠ 0
Funzioni olomorfe: Teorema dei Residui
Sia A ⊆ C aperto, m(z) meromorfa in C e 𝛾 una curva chiusa in A orientata in senso antiorario
1
deformabile in zo in A. Allora vale 2𝜋𝑖 ∫γ 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 = ∑ 𝑅𝑒𝑠(𝑚, 𝑧𝑜 ) dove zo sono tutti i poli all’interno
di 𝛾.
𝑑𝑛−1 1
Res(m, zo) = lim [𝑚(𝑧)(𝑧 − 𝑧𝑜 )𝑛 ] (𝑛−1)!. Per n=1 si ha Res(m, zo) = lim 𝑚(𝑧)(𝑧 − 𝑧𝑜 )
𝑧→𝑧𝑜 𝑑𝑧 𝑛−1 𝑧→𝑧𝑜
1 1,
𝑑𝑧 𝑘=1
Lemma. 2𝜋𝑖 ∫Γ (𝑧−𝑎)𝑘 = { per k ∊ Z e Γ(t) = a + r𝑒 𝑖𝑡 0 ≤ t ≤ 2π
0, 𝑘 ≤ 0 𝑉 𝑘 ≥ 2
Dimostrazione teorema
Se m(z) è olomorfa per |z-zo| < R ⟹ Res(m, zo) = 0. Bisogna considerare zo tale che p(zo)=0 perché
a-n = a-1 = 0.
Se il grado di p = m esistono al più zm per cui p(zm)=0.
Siano ω1 e ω2 circonferenze di centro z1 e z2 contenute in 𝛾 tali da non intersecarsi, orientate in
senso orario.
Facciamo il taglio 𝓁1 tra ω1 e 𝛾 e il taglio 𝓁2 tra ω2 e 𝛾 tali che la curva 𝛾’ - 𝓁1 + ω1 + 𝓁1 + 𝛾’’- 𝓁2 + ω2 + 𝓁2,
dove 𝛾 = 𝛾’+𝛾’’, è deformabile a un punto in A\{z1, z2}.
Per il teorema integrale di Cauchy:
1 1
0 = 2𝜋𝑖 ∫γ 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 = 2𝜋𝑖 [ ∫γ′ 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 + ∫γ′′ 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 + ∫𝜔 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 + ∫𝜔 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 =
1 2
1 1 1
= 2𝜋𝑖 ∫γ 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 − [ 2𝜋𝑖 ∫−𝜔 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 + 2𝜋𝑖 ∫−𝜔 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 ] = 0 → il lavoro complessivo su 𝛾 è uguale a
1 2
quello ω1 + ω2 .
Considero z1:
𝑎 𝑎−(𝑛−1 ) 𝑎
m(z) = (𝑧−𝑧−𝑛)𝑛 + (𝑧−𝑧 𝑛−1
−1
+…+𝑧−𝑧 + 𝜑(𝑧).
1 1) 1
1 𝑎−𝑛 𝑑𝑧 𝑎−1 𝑑𝑧 1
= 2𝜋𝑖 ∫−𝜔 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 = ∫ +⋯+ ∫ + 2𝜋𝑖 ∫−𝜔 𝜑(𝑧)𝑑𝑧. L’ultimo termine è nullo
1 2𝜋𝑖 −𝜔1 (𝑧−𝑧1 )𝑛 2𝜋𝑖 −𝜔1 𝑧−𝑧1 1
perché φ(z) è olomorfa e per il teorema integrale di Cauchy ∫γ 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 = 0 se 𝛾 chiusa e f olomorfa.
Per il lemma precedente si ha a-n 0 + a-(n-1) 0 + …+ a11+0 = a1 = Res(m(z), z1). Dunque
1
∫ 𝑚(𝑧)𝑑𝑧 = 𝑅𝑒𝑠(𝑚, 𝑧1 ) + 𝑅𝑒𝑠(𝑚, 𝑧2 )
2𝜋𝑖 γ
7

Serie di Fourier: definizione di coefficiente di Fourier e di serie dei coefficienti


𝑓 𝑇
Sia f : [0,T[ → C, f ∊ L2 [0,T[ = {[0,T[→ 𝐶 tale che √∫0 |𝑓(𝑡)|2 𝑑𝑡 = ‖𝑓‖𝐿2 <∞ }, e sia n ∊ Z allora il
2𝜋𝑖𝑛𝑡
𝑇
coefficiente di Fourier n-esimo di f è 𝑓̂(𝑛) = ∫0 𝑓(𝑡)𝑒 − 𝑇𝑑𝑡 = (𝑓, 𝑒𝑛 )𝐿2 .
𝑇 𝑇
(𝑓, 𝑒𝑛 )𝐿2 è il prodotto interno in L2 ed è definito come ∫0 𝑓(𝑡)𝑒𝑛 (𝑡)∗ 𝑑𝑡 = ∫0 𝑓(𝑡)𝑒−𝑛 (𝑡)𝑑𝑡.
𝑓̂(𝑛) rappresenta l’ampiezza della sinusoide di frequenza n che serve per ricostruire f(t). La
successione dei coefficienti di Fourier di f al variare di n si indica {𝑓̂(𝑛)}n.
2𝜋𝑖𝑛𝑡
1 1
La serie di Fourier associata ad f è ∑𝑛 𝑓̂(𝑛) 𝑒𝑛 (𝑡) = ∑𝑛 𝑓̂(𝑛) 𝑒 𝑇 in senso L2; cioè si può
𝑇 𝑇
ricostruire la funzione dalla sua serie di coefficienti.
2𝜋𝑖𝑛𝑡
2𝜋𝑛𝑡 2𝜋𝑛𝑡
en(t) = 𝑒 𝑇 = cos( ) + 𝑖𝑠𝑖𝑛 ( ) → fasore
𝑇 𝑇
Serie di Fourier: teorema di analisi spettrale e formula di Parseval
2𝜋𝑖𝑛𝑡
1
In senso L2 significa che fissato N ∊ N, si definisce SN (f, t) = ∑𝑁 ̂
𝑛=−𝑁 𝑓 (𝑛) 𝑒 𝑇 .
𝑇
𝑇
lim ∫ |𝑓(𝑡) − 𝑆𝑁 (𝑓, 𝑡)|2 𝑑𝑡 = lim ‖𝑓 − 𝑆𝑁 (𝑓)‖𝐿2 = 0. Vuol dire che la differenza tra il segnale e la
𝑁→∞ 0 𝑁→∞
serie dei suoi coefficienti è quasi nulla, quindi la serie di Fourier è una buona approssimazione del
segnale originale.
Verifichiamo il caso f(x) = ∑𝑁 𝑛=−𝑁 𝑎𝑛 𝑒𝑛 (𝑡):
preso m ∊ Z,
2𝜋𝑖𝑛𝑡 −2𝜋𝑖𝑚𝑡
𝑇 𝑇 𝑁 𝑇 2𝜋𝑖(𝑛−𝑚)𝑡
𝑓̂(𝑚) = ∫0 ∑𝑁 𝑁
𝑛=−𝑁 𝑎𝑛 𝑒𝑛 (𝑡)𝑒−𝑚 (𝑡)𝑑𝑡 = ∫0 ∑𝑛=−𝑁 𝑎𝑛 𝑒 𝑇 𝑒 𝑇 𝑑𝑡 = ∑𝑛=−𝑁 𝑎𝑛 ∫0 𝑒 𝑇 𝑑𝑡 =
𝑇𝑎 𝑠𝑒 |𝑚| ≤ 𝑁
{ 𝑚
0 𝑠𝑒 |𝑚| > 𝑁
Fissato M>0 ∊ N:
2𝜋𝑖𝑚𝑡 2𝜋𝑖𝑛𝑡 2𝜋𝑖𝑛𝑡
1 1 min (𝑀,𝑁) min (𝑀,𝑁)
SM (f, t) = ∑𝑀 ̂
𝑛=−𝑀 𝑓 (𝑚) 𝑒 𝑇 = ∑ 𝑇𝑎𝑚 𝑒 𝑇 =∑ 𝑎𝑚 𝑒 𝑇 .
𝑇 𝑇 𝑛=−min (𝑀,𝑁) 𝑛=−min (𝑀,𝑁))
2𝜋𝑖𝑚𝑡 2𝜋𝑖𝑛𝑡
𝑇 𝑇
lim ∫0 |𝑆𝑀 (𝑓, 𝑡) − 𝑓(𝑡)|2 𝑑𝑡 = lim ∫0 | ∑𝑁
𝑚=−𝑁 𝑎𝑚 𝑒 𝑇 − ∑𝑁
𝑛=−𝑁 𝑎𝑛 𝑒 𝑇 |2 𝑑𝑡 = 0.
𝑀→∞ 𝑀→∞
2𝜋𝑖𝑚𝑡
1 𝑁
⟹ lim 𝑇 ∑𝑚=−𝑁 𝑓̂(𝑛)𝑒 𝑇 = 𝑓(𝑡).
𝑀→∞
Teorema di Parseval
2𝜋𝑖𝑛𝑡
1 𝑇 1
Sia f ∊ L2 [0,T[, f(t) = = 𝑇 ∑𝑛 𝑓̂(𝑛) 𝑒 𝑇 con t ∊ [0,T] ⟹ ‖𝑓‖𝐿2 = ∫0 |𝑓(𝑡)|2 𝑑𝑡 = 𝑇 ∑𝑛 |𝑓̂(𝑛) |2 .
Dimostrazione
2𝜋𝑖𝑚𝑡 2𝜋𝑖𝑛𝑡
𝑇 𝑇 𝑇
∫0 |𝑓(𝑡)|2 𝑑𝑡 = ∫0 ∑𝑀
𝑚=−𝑀 𝑎𝑚 𝑒 𝑇 (∑𝑀
𝑛=−𝑀 𝑎𝑛 𝑒 𝑇 )∗ 𝑑𝑡 = ∫0 ∑𝑀 𝑀 ∗
𝑚=−𝑀 ∑𝑛=−𝑀 𝑎𝑚 𝑎𝑛 𝑒𝑚 (𝑡)𝑒−𝑛 (𝑡) 𝑑𝑡 =
𝑇 𝑚=𝑛
∑𝑀 𝑀 ∗
𝑚=−𝑀 ∑𝑛=−𝑀 𝑎𝑚 𝑎𝑛 ∫0 𝑒𝑚 (𝑡)𝑒−𝑛 (𝑡)𝑑𝑡 ⇒ 𝑇 ∑𝑀 ∗ 𝑀 2
𝑚=−𝑀 𝑎𝑚 𝑎𝑚 = 𝑇 ∑𝑚=−𝑀 |𝑎𝑛 | =
1 1
𝑇 ∑𝑀 2
𝑚=−𝑀 |𝑎𝑛 𝑇| = ∑𝑀 ̂ 2
𝑚=−𝑀 |𝑓 (𝑛) | .
𝑇2 𝑇
Serie di Fourier: definizione di convoluzione e coefficienti di Fourier della convoluzione
φ,ψ f T
Siano R → C, T-periodiche con φ, ψ ∊ L1[0,T[ = {[0,T[→ C tale che ∫0 |f(t)|dt = ‖f‖L1 <∞ }. Si
φ∗ψ T
definisce la convoluzione di φ e ψ R→ C T-periodica (φ ∗ ψ)(t) = ∫0 φ(x − t)ψ(t)dt con x ∊[0,T[.
NOTA: non è detto che x-t ∊[0,T[ ma si considerano funzioni estese periodicamente su tutto R.
Teorema. (φ̂ ̂ (n)
̂ (n)ψ
∗ ψ)(n) = φ
Dimostrazione
2πinx 2πinx
T T T
(φ ∗̂ψ)(n) =∫ (φ ∗ ψ)(x)e− T dx = ∫ [∫ φ(x − t)ψ(t)dt ] e− T dx =
0 0 0
T T 2πinx

= ∫0 ψ(t) [∫0 φ(x − t)e T dx ] dt.
2πinx 2πin[(x−t) 2πint
Essendo x = (x-t)+t, si ricava e− T = e− T e− T . Quindi l’integrale risulta
8

2πint 2πin(x−t)
T − T
∫0 ψ(t)e T [∫0 φ(x − t)e− T dx ] dt. Ponendo y = x-t e dy = dx
2πint 2πiny 2πint
T − T−t T
∫0 ψ(t)e T [∫−t φ(y)e− T dy ] dt = ∫0 ψ(t)e− T ̂ (n)dt = φ
φ ̂ (n)
̂ (n)ψ
NOTA: gli estremi non erano 0 e T ma è uguale per periodicità.
Corollario
- φ*ψ = ψ*φ perché il prodotto è commutativo e per il teorema di analisi spettrale due funzioni che
si ricostruiscono con la stessa serie di Fourier sono la stessa funzione.
- (φ*ψ)*h = φ*(ψ*h) : prodotto associativo
- (φ+ψ)*h = φ*h + ψ*h
- (φ*ψ)’(x) = φ’(x)*ψ(x)
Serie di Fourier: relazione tra coefficienti e derivate per funzioni periodiche
̂ (𝑛) = 2𝜋𝑖𝑛 𝑓̂(n)
Se esiste f ’ ∊ L2[0,T[ allora 𝑓′ 𝑇
̂ (0) = ∫𝑇 𝑓 ′ (𝑡)1 = 0 per la definizione di coefficiente di Fourier
Si ha anche 𝑓′ 0
Dimostrazione
𝑇 −2𝜋𝑖𝑛𝑥 𝐼.𝑃. −2𝜋𝑖𝑛𝑥
𝑇 𝑇 −2𝜋𝑖𝑛𝑥 −2𝜋𝑖𝑛𝑥
𝑓̂′ (𝑛) = ∫0 𝑓 ′ (𝑥)𝑒 𝑇 𝑑𝑥 ⇒ [𝑓(𝑥)𝑒 𝑇 ] − ∫0 𝑓(𝑥) 𝑇 𝑒 𝑇 𝑑𝑥 =
0
−2𝜋𝑖𝑛𝑥
2𝜋𝑖𝑛 𝑇 2𝜋𝑖𝑛
= 𝑓(𝑇)𝑒 −2𝜋𝑖𝑛
− 𝑓(0)1 + 𝑇 ∫0 𝑓(𝑥)𝑒 𝑇 𝑑𝑥 = 𝑓(𝑡)1 − 𝑓(0) + 𝑇 𝑓̂(n).
Siccome f(T)= f(0) per periodicità, si ottiene 𝑓′ ̂ (𝑛) = 2𝜋𝑖𝑛 𝑓̂(n) .
𝑇
𝑇 𝑇
In particolare, 𝑓̂′ (0) = ∫0 𝑓 ′ (𝑥)𝑒 0 𝑑𝑥 = [𝑓(𝑥)] = 𝑓(𝑇) − 𝑓(0) = 0.
0
Serie di Fourier: distribuzioni periodiche e le loro derivate
𝑓 (𝑘)
Sia T>0, R→ 𝐶 ∊ 𝐶𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑖𝑐ℎ𝑒 [0,T[ se f è T-periodica e derivabile con continuità k volte in R.
(𝑘)
Una distribuzione periodica di ordine k ≥ 0 è una mappa U : 𝐶𝑝𝑒𝑟. [0,T[ → C tale che
1. U(f+g) = U(f) + U(g)
2. U(af) = a U(f) , a ∊ 𝐶
3. |U(f)| ≤ C {max |f(x)| + max |f ’(x)| +…+ max |f(k)(x)|} per x ∊ [0,T[.
NOTA. Questi massimi esistono per il teorema di Weierstrass che è possibile applicare per
periodicità nell’intervallo [0,T[.
Se U è una distribuzione periodica di ordine k ≥ 0, allora U’ è la distribuzione periodica di ordine
k+1 definita come U ’(f) = - U(f).
T
Motivazione. Consideriamo il caso modello Uφ’ (f) = ∫0 f(x)φ′(x)dx
IP T T
⇒ [f(x)φ(x)] − ∫0 f ′ (x)φ(x)dx = 0 − Uφ (f ′ ) = −Uφ (f ′ ) .
0
Serie di Fourier: coefficienti di distribuzioni periodiche
̂ (𝑛) = 𝑈(𝑒−𝑛 ).
Sia U la distribuzione di ordine k ≥ 0, allora l’n-esimo coefficiente di Fourier di U è 𝑈
2πinx
1
̂ (n)e
La serie di Fourier associata è U = T ∑n U T

T −2πinx
̂ φ (n) = φ
Motivazione. è definito così perché si vuole U ̂ (n), infatti Uφ (e−n )=∫0 φ(x)e T ̂ (n).
dx =φ
̂ (n) = 0 ⟹ U = 0 ∀n ∊ Z
Teorema. Se U
̂ (n) = 2πin U
Teorema. U′ ̂ (n).
T
Dimostrazione
−2πinx
̂ (n) = U ′ (e−n ) = −U(e′ −n ) = −U (− 2πin e T ) = 2πin U(e−n ) = 2πin U
U′ ̂ (n).
T T T
Serie di Fourier: delta di Dirac e i suoi coefficienti
Fissato a ∊ [0,T[ , la distribuzione δa è definita come δa(f) = f(a) ∀f ∊ Cper[0,T[ cioè l’insieme delle
funzioni T-periodiche continue in R.
9

La delta di Dirac è una distribuzione periodica in quanto rispetta le proprietà delle distribuzioni:
1. δa(f+g) = (f+g)(a) = f(a)+g(a)= δa(f)+ δa(g)
2. δa(k f) = k f(a) = k δa(f)
3. | δa(f) |=|f(a)| ≤ max|f(x)|
La δ di Dirac non è una funzione ma una cosiddetta funzione generalizzata che per definizione vale
sempre 0 tranne in un punto a in cui corrisponde un segmento di area 1.
1
Considerando una funzione φε(x) periodica che vale 2ε per x ∊ [-ε, ε] tale che l’area valga 1, si può
vedere δ0 come il limite di φε : vale sempre 0 tranne in x = 0 dove vale ∞ con peso 1.
T
In questo senso si può dire che δa (f) = ∫0 f(x)δa(x)dx.
2πina
L’n-esimo coefficiente di Fourier di δa è δ̂a(n) = δa(e−n ) = e−n (a) = e− T ∀n ∊ Z applicando la
̂ (n) = U(e−n ).
definizione di coefficiente di una distribuzione, cioè U
+) −
In un punto di salto, si ha f ’(a) = [𝑓(𝑎 − 𝑓(𝑎 )]𝛿𝑎 .
Serie di Fourier: convoluzione di distribuzioni periodiche
La convoluzione di due distribuzioni periodiche Uφ e Uψ è Uφ * Uψ ≝ Uφ*ψ
T
dove (φ*ψ)(x) = ∫0 φ(x − t)ψ(t)dt.
T T T T T
Uφ*ψ = ∫0 f(x)(φ ∗ ψ)(x)dx = ∫0 f(x)[∫0 φ(x − t)ψ(t)dt] dx = ∫0 ψ(t)[∫0 φ(x − t)f(x)dx] dt.
Ponendo x – t = z da cui dx = dx, si ottiene
T T−t T T
∫0 ψ(t)[∫−t φ(z)f(t + z)dz] dt = ∫0 ψ(t)[∫0 φ(z)τ−t f(z)dz] dt
dove τ−t f(z) è una traslazione di -t verso destra (+t verso sinistra) che per definizione vale quindi
τa f(x) = f(x − a).
T
Proseguendo i calcoli, ∫0 ψ(t)Uφ (τ−t f)dt = Uψ ( Uφ (τ−t f)) cioè Uψ (t → Uφ (τ−t f)). Si può dire allora
che U * V è la distribuzione periodica la cui azione su f è (U * V)(f) = V(t → U(τ−t f).

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