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Quanto alle botteghe intese come locali adibiti alla vendita, oggi quest’uso
suona démodé quanto i bauli da viaggio e il fonografo – oppure, al contrario,
scientemente pretenzioso e modaiolo: se compro un panino in una bottega del
gusto invece che in un alimentari qualunque, posso star sicuro che non me la
caverò con meno di sei euro. Ormai da tempo, la parola più usata per un locale
di vendita è negozio, passato dall’indicare l’attività (il nec otium) al designarne
anche le sedi. Ma in campo commerciale, si capisce, impera la necessità di
evocare, suscitare, rivestire le nude parole di connotazioni ammalianti: così, un
negozio di abbigliamento raffinato si chiamerà boutique, prendendo in prestito
una parola francese chiaramente sorella di bottega e che a casa sua non gode
affatto di maggiore nobiltà – ma il francese, si sa, è garanzia di ricercatezza.
Comunque, anche se per vie diverse il risultato è lo stesso: il panino, in una
boutique del gusto, costerà più o meno lo stesso che in una bottega del gusto.
In altri casi, invece, funziona meglio l’inglese: nella grande distribuzione – che
ogni giorno, com’è noto, guadagna terreno sulle piccole realtà indipendenti –
non ci sono botteghe o boutique che tengano: un punto vendita è
immancabilmente uno store. La lezione che traiamo da questa girandola di
termini è chiara: il commercio oggi è una faccenda troppo sofisticata e
complessa perché ai suoi luoghi ci si possa riferire con un solo nome.