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1.

I MEDIA

I media sono sicuramente qualcosa che fa parte della nostra vita quotidiana. “Sono delle nostre
estensioni, delle protesi“ (cit. McLuhan). Il fatto che siano dati per scontato rende banale il loro
studio, ma non correttamente: questi infatti hanno una grande importanza culturale e politica (es.
filmati propagandistici dell'ISIS assomigliano ad un film hollywoodiano). I media fanno ormai parte
della nostra cultura e ci caratterizzano.
Ci sono quattro dimensioni fondamentali che caratterizzano i media:
1. Dimensione istituzionale: chi produce il prodotto
2. Dimensione testuale: come è fatto il prodotto
3. Dimensione del consumo: a chi è destinato il prodotto
4. Dimensione tecnologica: come è fruito il prodotto da un punto di vista tecnologico (es.
Televisione, digitalizzazione, segnale digitale, diversi dall’analogico).

Dimensione istituzionale
Perché ci sia una produzione mediale ci vuole qualcuno che produce, un soggetto. In questo caso
chi produce (il soggetto) non è più solo uno specialista, ma può essere una persona comune. Ci sono
quindi Hollywood ed il cinema indipendente. La dimensione istituzionale dei media è chi è il
soggetto che produce e con quali finalità.
In Europa la macchina produttiva del cinema è legata a sistemi di finanziamento pubblico: esiste
infatti il MIBACT che produce e finanzia film di interesse culturale nazionale.
Wish I was here
Film prodotto ed interpretato da Zach Braff. Modalità di produzione innovativa: crowdfounding
(finanziamento collettivo).
Crowdfounding: micro-finanziamento dal basso che mobilita le persone ad utilizzare il proprio
denaro per finanziare progetti, ecc.
C'è un video in cui Zac Braff chiede alle persone di mobilitarsi attraverso i social network per
finanziare il suo film. Chi diventano “i cattivi” in questo caso? Hollywood e le case di produzione,
quindi il sistema industriale che produce beni materiali (film) in una prospettiva di profitto.
Hollywood sin dalla fine dell' 800 è stato il più grande dal punto di vista dei boom economici, ma
non dal punto di vista della quantità di film prodotti: viene infatti superato da Bollywood
(produzione indiana).
Cinema di Hollywood ≠ Indipendent movie (film d'autore, es. Zach Braff)
Indipendent movie: c'è un progetto che non è in mano ad un regista e dove non si impone la star
per fare audience.
Il crowdfounding ha funzionato soprattutto attraverso la diffusione dei "nuovi media", ovvero i
media nati dalla digitalizzazione (social media, social network). Zach Braff attraverso i propri
profili facebook e twitter recupera circa 3 milioni di dollari (che poi non saranno sufficienti per fare
il film ma riuscirà a trovarne altri 3 tramite sponsor e case di produzione).
Fine ‘800: i fratelli Lumiere fanno il primo film: arriva la televisione e dura fino ai giorni nostri, ma
cambia completamente. Questo film dal punto di vista di come è stato prodotto è assolutamente
tradizionale, ma dal punto di vista di chi lo ha prodotto è innovativo. Questo è un aspetto della
convergenza: uso incrociato dei media.

Dimensione testuale
Oltre alla dimensione istituzionale dei media ne esiste anche una testuale, ovvero come è costruito il
prodotto dal punto di vista visivo, narrativo e di genere.
I media sono prodotti con delle caratteristiche di genere e di formato, e la somiglianza tra format
avviene spesso.
Tu si que vales
Dal cinema si passa ad un altro tipo di media, la televisione.
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Genere: talent show (simile a Italia's got talent).
Format: testo non finito / progetto che ha un mercato dove assume un particolare valore economico.
Una grande multinazionale ha deciso di interrompere la produzione di Italia's got talent su canale 5
e di spostarla su Sky, così canale 5 ha deciso di acquistare da Endemol un altro format che gli
assomiglia molto. Questo è importante anche dal punto di vista legale, infatti si aprirà molto
probabilmente un processo contro Canale 5 per plagio.
Dimensione del consumo
Oltre alla dimensione produttiva ed istituzionale i media hanno sempre la dimensione dell'audience
(il pubblico), che è molto cambiato durante il corso della storia dei media. Il pubblico della
televisione è da sempre considerato il pubblico più passivo (couch potato). Adesso diventa invece
interattivo: non c'è più il programma senza pubblico, il quale ha delle caratteristiche socio-
emografiche ben precise.
Rising star
Televisione. Genere: talent show.
La lingua della pubblicità del prodotto televisivo originale è l'ebraico. Ha avuto molto successo
soprattutto in patria ma anche da altre parti, infatti è stato venduto in molto paesi; è stato acquistato
anche in Italia anche se non sappiamo se andrà mai in onda. Ha molto a che fare con l'audience.
Espressione del fenomeno della convergenza. Il voto viene attribuito tramite i social network e
internet (qualcosa di simile al televoto ma più coinvolgente).
L'elemento nuovo è la visualizzazione dell'audience direttamente nel programma, cosa che le
permette di essere molto più presente nel programma stesso.

Dimensione tecnologica
Come la tecnologia entra e cambia la storia dei media. Il soggetto (Netflix) è nuovo e attraverso
l’abbonamento si può fruire di un prodotto ma non tramite i sistemi televisivi normali. Il
protagonista della serie non è un personaggio buono. Perché posso permettermi di produrre un
personaggio cattivo? Perché non ho più un pubblico indistinto come quello della televisione. È
importantissimo il linguaggio.
House of cards
Televisione. Genere: serie televisiva prodotta da Netflix.
Netflix: sistema con abbonamento online attraverso il quale hai una quantità esclusiva di film
perché prodotti proprio da Netflix.
Non è più dunque soltanto il broadcaster (la televisione) che produce televisione ma una cosa
diversa.

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2. IL SISTEMA DEI MEDIA

Definizione di media: “sono l'acqua nella quale nuota il pesce”, dove il pesce non è consapevole
dell'acqua in cui nuota (cit. McLuhan). I media sono strumenti di socializzazione (es. televisione,
radio, giornali, internet e social media, cinema, telefono, telegrafo, microfono, computer). La
pubblicità è la benzina che fa funzionare il medium.
Un medium è un insieme di tecnologie per la comunicazione (tecnologia), organizzate in un
apparato (istituzione) e finalizzate alla circolazione di testi (testo) destinati ad un pubblico
(pubblico).
Ithiel De Sola Pool introduce il concetto di sistema dei media, capisce come si va strutturando il
sistema dei media. Introduce, inoltre, il concetto di convergenza dei media.
Dalla seconda metà dell'800 fino ad oggi il sistema dei media è andato via via strutturandosi. Siamo
negli anni ‘80 con De Sola Pool. Lui afferma che esistono 4 grandi settori che strutturano il sistema
dei media:
1. Editoria
2. Vettori
3. Broadcasting
4. Hardware

Editoria
L'editore è un mediatore tra l'autore e il mercato. Seleziona, produce e mette sul mercato dei
prodotti. Il prodotto editoriale è una merce particolare, diversa dalle merci normali. Le merci
mediatiche hanno caratteristiche diverse: hanno un contenuto simbolico (sono mezzi di persuasione)
e mancano della scarsità, ovvero il prodotto mediale non si esaurisce, così le industrie mediali
introducono artificialmente forme di scarsità, per cui bisogna spendere dei soldi ad esempio per
vedere un determinato film, oppure mettendo il copyright.
Quindi un editore vende sul mercato un testo, un prodotto che contiene un'informazione e che deve
essere acquistata da un consumatore.

Vettori
Un vettore trasmette, cioè consente la comunicazione da punto a punto. Non vendono qualcosa.
Sono indifferenti al contenuto, ma vendono la possibilità di emettere messaggi a distanza. L'utente
paga in proporzione alla quantità di contenuto e alla distanza percorsa.

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La posta accorcia e riduce gli spazi. Quando si forma un sistema statale che deve essere
amministrato nasce la posta (già dall'Impero Romano). Negli anni ‘30 e ‘40 dell’'800 si ha la
rivoluzione del telegrafo., il primo vettore moderno che consente di comunicare istantaneamente.
Anche la stampa quotidiana ha aiutato. La telefonia e le reti informatiche sono un altro esempio di
vettori

Broadcasting
Negli anni ‘20 del ‘900: nascono i broadcaster. Dal verbo to broadcast, trasmettere < broad, largo,
ampio, e to cast, spargere, seminare, quindi: spargere ampiamente. Anche la radio e la televisione
sono broadcaster.
Radio e televisione da un lato sono editori ma costituiscono anche una rete che consente la
distribuzione di questi prodotti, non più punto a punto ma distribuiscono a pioggia (simili ad un
contadino che semina largamente).
Si diventa broadcaster quando non si manda più un messaggio punto a punto (da A a B) ma da A a
B, C, D (nemmeno Marconi ci aveva pensato quando inventò il telegrafo).
Quando la televisione nasce negli anni ‘50 non pensa a dei programmi; ogni medium tende a
cambiare i suoi prodotti.
Lo sforzo di quegli anni è stato più quello di costruire una rete diversa, cioè pensare a dei
programmi, perché l'Italia, dopo la fine della guerra, doveva riformarsi, era in difficoltà.
La televisione ebbe una grandissima importanza nella storia: prima della televisione l'Italia era
dialettofona; solo dopo, la televisione ha unificato di più l'Italia. Ha avuto una funzione culturale
importantissima.
Negli Stati Uniti la pubblicità paga le aziende. In Europa invece la televisione parte con l'idea di
fare un servizio pubblico. Il broadcaster è un player istituzionale che produce, ma consente anche la
distribuzione (è vettore ed editore).

Hardware
Apparecchi che consentono di fruire i messaggi mediali (es. Televisore, diverso dalla televisione,
che è il medium). Il televisore è un hardware. Ma se ci limitassimo ad una definizione tecnologica
non si capirebbe molto degli hardware.

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3. IL SISTEMA DEI MEDIA E LE SUE 4 DIMENSIONI

Il sistema dei media risulta compartimentato, soprattutto perché anche le forme di regolamentazione
di questi mercati sono diverse. Il sistema dei media moderno comincia a strutturarsi quando
nell'area dell'editoria, nella seconda metà dell’'800, nascono le prime forme di stampa quotidiana
moderna (i quotidiani e le imprese mediali sono diversi dalla gazzetta della seconda metà dell'’600),
mentre nell'area dei vettori nasce il telegrafo, che ha delle conseguenze rilevantissime sulle
modalità con cui si comunica e sullo stesso sistema dei media.
La nascita della stampa quotidiana causa diffusione veloce di notizie e quindi l’invenzione del
telegrafo.
L'hardware, il telegrafo senza fili di Marconi, alla base del broadcasting (prima era con i fili)
sostituisce il telegrafo tradizionale e viene usato per comunicare per tanti anni. A partire dagli anni
‘20 del ‘900 qualcuno pensa di utilizzarlo in maniera diversa: l’idea era di poter distribuire
circolarmente contenuti sonori: radio.
Le prime sperimentazioni sulla televisione si hanno negli anni ‘30. I paesi sotto la dittatura
(Germania Hitleriana, ma anche l'Italia) capiscono la grandissima portata dei media e sperimentano
molto sulla televisione. Poi arriveranno anche Stati Uniti e Inghilterra.
Uno strumento tecnologico però non definisce un medium. Lo stesso sistema definisce due cose
diverse, ad esempio il telegrafo definisce la telegrafia ed il broadcasting. Fenomeno della
convergenza dei media, ovvero l’uso incrociato dei media. Soprattutto con la digitalizzazione negli
anni ‘90 i media hanno cominciato sempre di più a convergere (es. Iphone).
Definizione di medium
Per definire un medium non basta partire dalla dimensione tecnologica. Un medium è composto da
4 dimensioni: dimensione istituzionale, dimensione tecnologica, il testo e il pubblico.

Dimensione tecnologica
Sta alla base. Un medium corrisponde ad una o più tecnologie coordinate fra loro per uno scopo. Il
medium è senz'altro una tecnologia per la comunicazione.

Dimensione istituzionale
Sono necessarie istituzioni mediali per far funzionare un medium (es. imprese con finalità
economico-commerciali.
Imprese mediali: presiedono all'organizzazione e al funzionamento del medium stesso (es. HPO,
rete mediale / Endemol.
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Format: prodotto televisivo già andato in onda almeno una volta in televisione (non è un’idea). È
qualcosa di prodotto e la capacità di produrlo.
HPO: broadcaster (insieme di canali televisivi) con uno specifico modello di business che è
l'abbonamento.
ENDEMOL: società editoriale che produce contenuti televisivi soprattutto grazie alla sua
dimensione multinazionale, con tante filiali anche in Italia.
BBC: impresa mediale ancora diversa. È un broadcaster (British Broadcaster Corporation) che
nasce negli anni ‘20 con la radio e poi passa alla televisione. E' una società di servizio pubblico che
si occupa di emissioni molto diverse. La missione del servizio pubblico è educare, informare,
divertire.
RAI: è il corrispettivo italiano della BBC.
APPLE: impresa mediale che produce hardware e software anche se col passare del tempo si sta
trasformando in altro (ha provato anche con la "Apple tv").
ABC: network televisivo americano, nasce anche lui come radio e poi diventa televisione.
La televisione a pagamento è diversa da un network. Hanno infatti un modello di business diverso:
il network si finanzia attraverso la raccolta pubblicitaria.
Negli USA, a differenza dell'Europa, non c'è una tradizione di servizio pubblico, ma le televisioni e
i media nascono per fare profitto (es. MBS, CBS, FOX).

Dimensione testuale
Le imprese mediali producono degli artefatti che sono testi, prodotti, merci culturali. Prodotti che
costituiscono l'offerta mediale possono essere i siti, i videogiochi, internet, etc. Ognuno di questi è
caratterizzato da linguaggi diversi: ciascun medium ha il suo linguaggio specifico (es. audiovisivo
(cinema e televisione), giornalistico etc.)

Dimensione del pubblico / del consumo


I testi prodotti hanno sempre un destinatario. Siccome i media operano su dei mercati, la definizione
di un pubblico è rilevante. Il pubblico effettivo è quello che effettivamente consuma il prodotto
mediale. Il pubblico è sempre o immaginato dalle imprese mediali o diventa oggetto di ricerca. I
media partono sempre da un pubblico di riferimento o immaginato. Ad esempio, Un'altra vita, serie
televisiva su RAI1 mira al tradizionale pubblico di RAI1, cioè molto femminile e appartenente alla
fascia anziano/adulta. La televisione inoltre può fare delle ricerche molto costose riguardo ai diversi
tipi di pubblico. Es. MTV pensa ad un pubblico giovane. Nasce negli anni ‘80 mettendo in onda un
video (Kill the Radio Stars) e arriva in Italia solo alla fine degli anni ‘90. Il pubblico giovane però
invecchia, quindi MTV non cerca di mantenere comunque sempre lo stesso pubblico anche se
invecchia, ma mira sempre ad un pubblico giovane che cambia in continuazione.
Es. Real time mira ad un pubblico giovane femminile giovane, Dmax ad un pubblico maschile
giovane.
In realtà sia Real time sia Dmax appartengono a Discovery Media, che ha costruito due canali
speculari che mirano uno ad un pubblico maschile, l'altro ad un pubblico femminile.
Mano a mano che il sistema dei media si fa più complesso esso mira sempre ad un pubblico più
definito.
Un medium è un insieme di tecnologie per la comunicazione organizzate in un apparato/impresa
finalizzata alla circolazione di testi destinati ad un pubblico.
Le 4 dimensioni, dunque sono interconnesse tra di loro. Questa comunque è una definizione ampia
perché all'interno possono rientrare una varietà di modelli di comunicazione.
Ciascuna di queste dimensioni solleva dei problemi che hanno a che fare con la stessa ma anche con
le altre. Nella storia sono stati studiati molti problemi. In questo campo multidisciplinare operano
diverse discipline, ciascuna con i propri strumenti e che tende a mettere al centro dell'attenzione un
aspetto in particolare.

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Esistono aree di studi che si concentrano su come i media entrino nella vita quotidiana. Un'area è
più letteraria (semiotica dei media, dei film, della televisione si occupano dei sistemi di significato).
Un'altra ancora è più politico-economica (dimensione istituzionale), infine un'altra è di tipo tecnico-
ingegneristico (dimensione tecnologica). Se non ci si concentra su un'area in particolare, ma si
applica un approccio storico, si possono vedere la storia e le caratteristiche dei media in maniera più
globale, si coglie cioè la connessione fra le diverse dimensioni dei media e le relazioni che
intercorrono tra esse.

DIMENSIONE TECNOLOGICA

La dimensione tecnologica è caratterizzata da innovazione tecnologica e rimediazione.


Innovazione / inerzia
Per inerzia si intende una resistenza all'innovazione. L’innovazione è un processo che consente le
trasformazioni delle tecnologie per la comunicazione. Esistono molti esempi di innovazione
tecnologica che riesce ad avere un impatto sull'intero sistema, ad esempio la digitalizzazione, cioè
la trasformazione del sistema televisivo. Questa ha avuto un impatto sulla produzione, sulla
fruizione, ma soprattutto sulla distribuzione dei prodotti, che è l'impatto più rilevante.
L'introduzione di una tecnologia diversa ha influenzato tutto il sistema.
Importanti sono anche le istituzioni pubbliche. Ad esempio, con una legge del 2004 si è deciso che
nel 2012 tutta Italia dovesse arrivare a vedere la televisione attraverso il digitale terrestre. Il digitale
terrestre ha avuto come conseguenza un ampliamento dell'offerta: ci sono più canali gratuiti a
disposizione (televisione generalista). Allo stesso tempo la possibilità di ampliare l'offerta offre
nuove opportunità: significativo è il caso di Real Time, canale che prima era a pagamento, poi con
il digitale terrestre ha deciso di diventare pubblico finanziandosi attraverso la pubblicità. Diventa
pubblico lavorando sui prodotti in modo che il canale venisse fruito da un target di riferimento.
Il termine innovazione fa riferimento al processo di sostituzione delle vecchie tecnologie per
l'adozione di nuove. Un esempio è la musica registrata: si ascolta musica registrata dalla fine
dell'’800, ma ovviamente le tecnologie sono cambiate, hanno subito un'innovazione, fino ad arrivare
alla musica smaterializzata di oggi.
L'innovazione non è una questione solo tecnologica ma chiama in causa, oltre che la tecnologia, la
società nella quale questa si diffonde.
Dal punto di vista dell'innovazione il problema è perché una certa tecnologia si diffonde e ha
successo mentre un'altra no.
Es. Il digitale terrestre è la migliore tecnologia? No, ne esistono di migliori e più avanzate attraverso
le quali ad esempio non si avrebbero limiti al numero di canali. Ma le istituzioni optano per il
digitale per le valutazioni circa il costo e la complessità.

Innovazione tecnologica
Tema dibattuto soprattutto da due autori McLuhan e Williams.
Tema che per quanto concerne i media tende a mettersi in relazione con l'evoluzione sociale e
culturale, pertanto c'è tutta una parte di teorici capitanata da McLuhan, che pensa che la
trasformazione tecnologica porti ad una trasformazione sociale e culturale. La posizione di
McLuhan viene però criticata da Williams in particolare, che la definisce determinismo tecnologico,
cioè come se l'innovazione tecnologica fosse la causa del cambiamento sociale.
Il discorso sull'innovazione tecnologica è stato affrontato via via da tanti punti di vista.
Ci sono state teorie che hanno riflettuto sulle modalità e le ragioni per cui una tecnologia si diffonde
ed un'altra invece no (teorie sul diffusionismo: come le tecnologie vanno a diffondersi). Ad esempio
il caso dell'sms: sistema che nasce all'inizio degli anni ‘90 in modo del tutto accidentale. Non si
pensava potesse avere successo, invece divenne via via sempre più rilevante per via dell'enorme
utilizzo dell'sms da parte degli adolescenti.
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Le teorie sul diffusionismo mettono in evidenza come nella diffusione di tecnologie non tutti i
gruppi sociali sono uguali. In particolare, hanno maggiore importanza alcuni soggetti: gli "early
adopters" o "opinion leaders". Questi adottano una tecnologia, la rendono popolare e
conseguentemente il resto della popolazione adotta la stessa tecnologia (vedi caso Apple). Per
questo le tecnologie in realtà contengono significati che vanno molto oltre la tecnologia in sé: teoria
del Social Shaping of Technology, la quale sostiene che la tecnologia prende forma attraverso l'uso
sociale che se ne fa.
Lo studioso Castels, ad esempio, evidenzia come nello sviluppo di internet furono importanti alcuni
gruppi ristretti: techno élite, in particolare la comunità degli hacker, le comunità virtuali, quelle
accademiche, che hanno iniziato a cavalcare la new economy verso la fine degli anni ‘90 e l'inizio
del 2000.
Quindi l'innovazione tecnologica ha a che fare con le tecnologie, con le istituzioni ma anche e
soprattutto con i gruppi sociali.

Rimediazione
È interessante avere ben presente il concetto di rimediazione perché definisce la dinamica storica
nel sistema dei media: la dinamica dell'uscita in commercio del nuovo medium e i suoi impatti.
La teoria che gli studiosi Bolter e Grusin sviluppano a proposito della rimediazione parte dalla
frase di McLuhan "ogni medium rimedia quelli preesistenti", dove il verbo "rimedia" è inteso sia
nel suo significato attivo di "rimediare" sia in quello passivo di "venir rimediato".
Un esempio di rimediazione è quello che riguarda internet e la televisione: si diceva che internet
avrebbe sostituito la televisione invece non è stato così. Internet, infatti, si è sviluppato subendo il
fenomeno della rimediazione: i nuovi media digitali (internet) hanno preso alcuni contenuti e alcune
caratteristiche dei vecchi media (la televisione) e viceversa i vecchi media sono stati rimediati dai
nuovi.
(estratto dall'incipit del film "Strange days", 1995)
1995: anni durante i quali si stanno formando nuovi media.
Durante l'incipit e le prime battute tra i personaggi del film c'è un aspetto formale, di linguaggio,
che ci ricorda un altro medium: il videogioco, in cui un aspetto importante è l'inquadratura in prima
persona. Solitamente i film non sono mai girati in prima persona, ma attraverso un enunciatore
impersonale (narratore esterno) che parla a sua volta ad un enunciatario impersonale. Pertanto,
generalmente si ha uno sguardo oggettivo. Quindi l'inquadratura, lo sguardo di "Strange days"
risulta molto innovativo,
nonostante in realtà non fosse del tutto nuovo perché già altri film, pochi, erano stati girati con
un'inquadratura in prima persona. Anche la Hollywood classica sviluppa lo sguardo insoggettivo:
gli spettatori guardano le scene del film come se le stessero guardando dagli occhi di un
personaggio (es. La finestra sul cortile di Hitchcock).
Perciò negli anni ‘90 con "Strange days" il cinema adotta una delle forme nascenti di sguardo che è
quello del videogioco. E lo stesso tema del film è anche quello della realtà virtuale. Pertanto in
questo modo il cinema rimedia uno sguardo innovativo.
Rimediazione è quando un medium nuovo si appropria e rimodella i contenuti e la forma di media
precedenti e porta forme nuove che vengono rese proprie dai vecchi media.
Un esempio è la televisione. Durante gli anni ‘30 si facevano ancora esperimenti per quanto
riguardava questo nuovo media appena nato. Negli anni ‘50 invece diventa un medium che
trasmette regolarmente, ma per trasmettere deve cercare contenuti, e perciò va a pescare contenuti
di altri media (ad esempio il teatro, che la televisione trasformerà in fiction).
Un altro esempio è quello dello sport. Quando la televisione se ne appropria, l'evento sportivo
cambia completamente della visione dal vivo, assumendo una forma più spettacolare.
Anche la diffusione della rete porta alla trasformazione di altri media. Bolter e Grusin sostengono
che nel campo dell'informazione questo sia molto evidente e lo chiamano "CNN effect", ovvero
l’effetto che le reti di notizie 24 ore su 24 hanno sul clima politico ed economico.
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In questo caso l'emittente broadcast assomiglia molto di più ad un sito web. La "computer grafic"
diventa importantissima. Ed anche all'interno dei grandi broadcaster ci sono intere aree che
lavorano sulla costruzione visiva dell'immagine. La dimensione grafico-visiva diventa sempre più
rilevante nella comunicazione.
La rimediazione, pertanto, spiega il fenomeno per cui i differenti media non vengono sostituiti ma
vengano rimediati fra di loro.

DIMESIONE ISTITUZIONALE

La dimensione istituzionale è così articolata:


• Apparato
o Organizzazione produttiva
o Gatekeeping
• Stato
o Regolamentazione
o Censura
o Propaganda
• Mercato
o Competizione
o concentrazione
Ovviamente per ogni apparato mediale si può fare un discorso a sé.

Apparato
In generale per far funzionare un media si ha bisogno di un apparato (es. troupe cinematografica).
Si ha a che fare con imprese mediali che coordinano al proprio interno ogni attività. Ciascuna
impresa mediale ovviamente avrà sezioni differenti, ad esempio in un giornale cartaceo ci sono i
giornalisti e le redazioni ciascuna con un suo caporedattore che si riuniscono con il direttore e con il
vicedirettore, colui che nei fatti fa andare avanti la macchina.
Invece in un giornale televisivo c’è dietro ad esempio tutta la struttura produttiva: operatore,
montatore ecc. Ormai la figura del montatore non esiste più per la presenza del digitale che ha reso
possibile ai giornalisti televisivi di montare autonomamente i filmati (innovazione tecnologica).
Tutto ciò va sotto il termine di organizzazione produttiva.
Quando si parla di organizzazioni produttive emerge il tema rilevante del gatekeeping: idea che i
media (in particolare quelli del campo dell'informazione) siano dei mediatori che trasformano
alcuni degli infiniti fatti che avvengono nel mondo in notizie in un processo di riduzione della realtà
al contenuto mediale (sono come i guardiani alla porta che decidono cosa entra e cosa no). È un
processo di selezione.
Molti studi sono stati fatti sui criteri di notiziabilità, cioè cosa fa si che miliardi di fatti solo 15/20
diventano notizie.
Ad esempio, molto importante è il pubblico: infatti, in base al pubblico al quale ci si rivolge,
esistono dei criteri per definire quanto un fatto può diventare notizia e quanta importanza si può
dare a quel fatto/notizia. Un altro criterio è la prossimità, cioè se la notizia ci riguarda da vicino o
riguarda località lontane da noi. Un altro ancora è quello della presenza di immagini: un evento
catastrofico diventa notizia se ci sono le immagini (dimensione spettacolare). Quindi possiamo
estendere a tutto il sistema mediale il fatto che i media siano gatekeeper.
Alcuni hanno pensato che l'avvento di internet togliesse la funzione di gatekeeping ai media,
tuttavia questa è un’ideologia: non è vero perché se non ho un audience qualsiasi contenuto che io
pubblico di certo non diventa un contenuto mediale.
Spesso accade inoltre che contenuti mediali non realizzati da professionisti, ma filmati da amatoriali
vengano utilizzati dai media mainstream (es. questo è avvenuto per l'alluvione di Genova).

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Quindi quando si parla di apparato da una parte si studia come cambia l'organizzazione produttiva
dei media, che spesso viene trasformata dell'innovazione tecnologica, e come i media, specialmente
quelli legati all'informazione, fanno da mediatori.

Stato
Non possiamo inoltre prescindere dal rapporto che i media hanno con lo stato: tema rilevantissimo
soprattutto nella storia (si veda il periodo fascista). Possiamo riassumere questo rapporto in
regolamentazione, censura e propaganda.
Regolamentazione
Si intende l'insieme delle norme legislative che riguardano l'operato dei media, i quali sono sempre
soggetti alla legge. Ad esempio, sono soggetti al copyright, oppure al diritto alla parola e alla libertà
di stampa. Diritto che negli stati occidentali viene sancito addirittura nella costituzione. Questo
diritto è limitato perché non può ledere la libertà dell'altro. Oltre a questo, inoltre, vi sono forme di
regolamentazione specifiche che sono andate via via a regolamentare i vari media in ogni stato.
Quindi ci sono una regolamentazione generale e una regolamentazione specifica (ad esempio in
Italia la televisione nasce con una legge che ne sancisce il monopolio pubblico).
Censura
Controllo spesso preventivo sui media, che assume in certi momenti storici anche una funzione
politica importante. Per esempio, durante il fascismo si applicò una forte censura sui media,
broadcaster, editoria, cinema e radio (per questi ultimi due si fece una politica di
nazionalizzazione).
Propaganda
Attività più indiretta della censura che mira a sostenere specifiche idee influenzando l'opinione
pubblica
attraverso i media. Attività che diventa importantissima ad esempio durante le guerre.

Mercato
Rapporto tra media e mercato. Esistono imprese pubbliche che gestiscono i media o comunque
interventi pubblici sulle organizzazioni mediali (es. il cinema è finanziato pubblicamente perché si
pensa che abbia una forte importanza a livello culturale).
I media hanno a che fare con il mercato perché stanno sul mercato. Sono imprese commerciali
votate al profitto e questo rapporto è caratterizzato da competizione e concentrazione.
Competizione
Il mercato dei media tende a sviluppare una forte competizione. I profitti delle imprese mediali
derivano da diverse sorgenti, che si possono distinguere attraverso i modelli di business. Spesso
alcuni media prevedono il pagamento diretto del bene, anche se non è sempre così. Invece il
business di una rete commerciale pubblica è anche "vendere l'audience" alla pubblicità. Siccome i
mercati mediali prevedono il contendersi dei consumatori, l'offerta mediale è fortemente in
competizione per attrarre il pubblico.
La prima forma di competizione riguarda imprese che operano sullo stesso mercato e che hanno
modelli di business analoghi. L'altro mercato oltre a quello della raccolta pubblicitaria è quello a
pagamento: in Italia sono in competizione Sky e Mediaset Premium.
Imprese dunque che competono sugli stessi mercati o su mercati analoghi e competizione fra media
anche differenti.
Una risorsa fondamentale e importantissima è il tempo. Il tempo del consumo dei media pur
essendo molto consistente però è limitato, allora la competizione avviene anche tra differenti media
che si contendono questo tempo. Es. uno dei Leitmotiv è che "la tv è in crisi perché gli viene
sottratto il tempo dai nuovi media". Un discorso analogo si faceva per cinema e televisione, si
diceva cioè che il cinema sarebbe fallito perché gli veniva sottratto il tempo dalla televisione.
In realtà questo è un problema più complesso, perché adesso i broadcaster stanno cercando di
coinvolgere anche i nuovi media (tablet, computer, smartphone) nel fenomeno della social tv:
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televisione che viene condivisa con i social media. La rilevanza di questo tema è cosi forte che
Nielsen, una società internazionale che si occupa dei consumi televisivi, ha lanciato uno strumento
nuovo: "Twitter tv ratings", che monitora i contenuti della televisione. È sempre più evidente che
almeno per certi aspetti in realtà i social media hanno riportato più in auge la televisione
(fenomeno della convergenza).
Second screen: consumo di un medium attraverso due schermi: una televisione associata ad un
"second screen" (che può essere tablet, pc, smartphone). Nasce la social tv.
Concentrazione
Non tutti possono entrare nel mercato dei media, perché richiede investimenti molto consistenti.
Anche le imprese mediali legate alla rete hanno un valore economico molto alto. Questo favorisce il
processo della concentrazione. Gli stati infatti hanno spesso adottato nella storia dei media misure
antitrust, cioè contrarie alla concentrazione, perché si pensa che questa possa creare più danno dal
punto di vista dell'opinione pubblica (infatti è problematico informarsi da una sola fonte, si veda
anche l'esempio del cinema hollywoodiano).
Concentrazione: impese mediali controllate da un numero limitato di soggetti, monopoli o oligopoli,
controllo nelle mani di poche persone.
Alcuni mercati tendono abbastanza naturalmente alla concentrazione (es. pay tv, anche se in Italia ci
sono due soggetti che gestiscono la pay tv).
Ad esempio, nella storia del cinema americano, "l'età dell'oro" è stata fatta in particolare da 5
soggetti (le majors) che per molti anni hanno mantenuto un oligopolio sul cinema (Fox, MGM,
Paramount, RKO Pictures, Warner Bros).

DIMENSIONE TESTUALE

Si ha a che fare con linguaggi, contenuti, prodotti, testi. La dimensione testuale fa riferimento molto
alla critica letteraria, alla semiotica. I temi che emergono sulla dimensione testuale sono 6: i primi 3
hanno a che fare con la dimensione più estetica, gli ultimi 3 invece con la dimensione più culturale.

Linguaggio
Ciascun medium utilizza un proprio linguaggio mediale: esistono il linguaggio dell'informazione,
quello cinematografico, televisivo, radiofonico, ecc.
Naturalmente la competenza che si ha sul linguaggio dipende dalla competenza che uno ha sul
codice di quel linguaggio. Esistono linguaggi differenti. I linguaggi mediali tendono a coinvolgere
tra loro codici diversi (ad esempio per il giornalismo ho sia il testo sia il linguaggio visivo, la
fotografia).
Il linguaggio mediale, rispetto alla comunicazione faccia a faccia tende a ridurre gli elementi del
linguaggio. Quando comunichiamo di persona utilizziamo moltissimo gli indizi simbolici e
semiotici. I media li riducono ovviamente (es. nelle conversazioni telefoniche si sente solo il
linguaggio orale della persona ma non la si vede, quindi la componente simbolica-semiotica viene
eliminata).
I linguaggi inoltre sono storici e cambiano nel corso del tempo. Es. il linguaggio classico del cinema
americano, quello a cui siamo abituati, prevede lo sguardo oggettivo e limita molto lo sguardo in
soggettiva. Vieta invece l'interpellazione, cioè vuol dire che il sistema classico costruisce la
finzione di un'autonomia del mondo rappresentato mettendo gli spettatori nella condizione di coloro
che guardano dal buco della serratura. Invece se un attore guarda in camera, rompe la quarta parete
che il cinema classico prevede, pertanto, questa rottura della quarta parete è assolutamente vietata.
Tuttavia, questo linguaggio ha ovviamente subito delle trasformazioni.
Parole chiave: linguaggi mediali; storicità

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Generi
Concetto essenziale, che può avere significati diversi o sovrapposti. Es. esistono i generi delle
notizie dei giornali (che di solito si aprono con le "hard news"), oppure i generi cinematografici
(ciascuna delle majors si specializza su alcuni generi in particolare, che possono essere gli horror, i
noir, la commedia, ecc.) o ancora i generi televisivi (talent show, reality show, fiction, ecc.).
Edgar Morin, uno studioso francese, in un testo degli anni 60, "L'industria culturale" afferma che i
generi sono la base di un processo fondamentale che è insieme di standardizzazione e
differenziazione.

Standardizzazione
Se si realizza un film di genere musical bisogna adattarsi ad una serie di regole di quel genere (es.
insieme a parti di recitazione si devono introdurre parti di canto e ballo) ed in questo modo lo
spettatore quando va a vedere uno spettacolo o un film accetta il patto con il genere che va a vedere.

Differenziazione
I generi danno delle regole di fondo, ma al contempo se si produce un genere in particolare bisogna
sempre trovare degli elementi di novità che lo differenziano.
Es. il film "Paranormal activity" rientra nel genere horror ma diventa un caso perché trova una
modalità di racconto diversa.
Si sta dentro a delle regole ma allo stesso tempo ci si sforza di cambiarle e di trasformarle, in modo
da rinnovare il genere stesso. I generi inoltre tendono a richiamare un certo tipo di pubblico.
I generi sono così fondamentali perché fanno sostanzialmente due cose: sono utili sia all'industria,
alla dimensione istituzionale, perché gli rende più semplici le cose, cioè se c'è un genere di successo
si insiste su quel genere. Anche i generi hanno un andamento storico. Inoltre sono importanti anche
perché sono uno straordinario orientamento al consumo: sono delle bussole per il consumo. Le
categorie di genere sono rilevanti sia a monte sia a valle.

Intertestualità
I semiologi in particolare fanno notare che ciascun testo prodotto nelle nostre culture tende ad
essere
intertestuale (es. Ulisse di Joyce rimanda ai poemi omerici). È questo uno degli strumenti di fondo
dei media e lo è in tante forme (es. la parodia è comprensibile e mira al riso dello spettatore solo e
soltanto se è noto il modello di riferimento). Anche il remake (produzione di un film sulla base di
un altro film) è fortemente intertestuale. Oppure ancora i paratesti: testi secondari che circondano il
testo centrale (esistono infatti ipotesto e ipertesto o paratesto). Es. un film che ha un profilo
facebook, twitter e cosi via.
Tutto ciò arriva alle conseguenze del "transmedia storytelling": raccontare una storia attraverso tanti
media differenti.
Oppure ancora il remix è intertestuale: strumento attraverso cui la comunicazione musicale produce
le proprie hit di successo (si veda il rap).
https://www.youtube.com/watch?v=0d1zpt6k5OI (trailer del telefilm Gotham)
Gotham è un serie televisiva che andava in onda su Italia 1 poi si è spostata sulle reti pay. Stessa
strategia per "X Factor": creare appeal per un prodotto e poi spostarlo sulla rete pay.
Gotham parla della nascita di Batman, un personaggio che ha una storia di 60 anni. È il racconto del
prequel di Batman, cioè del mondo narrativo di Batman raccontato nella sua vita precedente.
L’intertestualità sta nel fatto che la serie revitalizza il mondo di Batman dopo la trilogia dei film e
apre al ritorno di Batman al cinema. È una sorta di ipertesto che fa riferimento necessariamente ad
un ipotesto, ad un testo di base, in quanto si hanno già in mente molti personaggi.
Nei media l'intertestualità è molto spinta.

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In questo caso questa intertestualità si trasforma in una sorta di transmedia storytelling: un racconto
che si estende narrativamente attraverso media differenti. Batman è intertestuale e transmediale. La
DC Comics, che ha fatto nascere il fumetto, detiene ancora i diritti di proprietà sul personaggio.
Altro concetto che viene messo in discussione è quello di immaginario. I personaggi rappresentati
non sono reali, ma appartengono al nostro immaginario condiviso e questa è una sorta di "forma di
realtà".
Gli ultimi tre concetti (immaginario, rappresentazione e ideologia) hanno a che fare col rapporto tra
contenuto mediale e cultura nella quale viviamo. L'immaginario fa parte della nostra cultura.

Rappresentazione
I media rappresentano. La rappresentazione è un processo connaturato alla comunicazione e quindi
anche alla comunicazione mediale. Significa rappresentare dei segni, degli artefatti, degli aspetti
materiali per costruire un’immagine della realtà e un insieme, un senso, un significato.
Naturalmente i media rappresentano vari aspetti della realtà.
La rappresentazione della donna, ad esempio, è un tema ricorrente. I media contribuiscono a
diffondere una certa immagine della donna ma non solo. Essi diffondono una certa immagine anche
dell'amore, delle varie classi sociali, delle nazioni.
Bisogna notare che i media in realtà non impongono, ma amplificano una rappresentazione della
realtà socialmente condivisa. Questo spiega perché anche la rappresentazione mediatica è storica,
cioè cambia nel corso della storia o dell'evoluzione dei media. Cambia il medium stesso ma anche
la società e la cultura.
Si apre in questo caso anche il concetto di stereotipo. I media rappresentano in modo semplificato,
per questo tendono a rappresentare in modo stereotipato. Nel mondo dei media gli oggetti o le
categorie fortemente stereotipate sono la donna oppure l'immagine dello straniero, del migrante.
Alessandro dal Lago, sociologo scrive il libro Non persone che tratta come i media hanno
raccontato la figura dello straniero come "non persona".

Immaginario
È l'altro lato della medaglia della rappresentazione.
I media non si limitano a rappresentare la realtà, ma costruiscono realtà, ovvero costruiscono
immaginari. Danno un senso alla realtà nella quale viviamo, ma contribuiscono anche a produrre
personaggi, creando un immaginario condiviso. Apparentemente quando si parla di immaginario
sembra essere piuttosto fuori dalla realtà. In realtà Morin, sociologo, che nel 1962 scrive un libro,
L'esprit du temp, analizza l'immaginario prodotto dai media e fa notare una cosa diversa. Secondo
lui fanno parte dell'immaginario prodotto dai media i personaggi. Proprio perché l'immaginario ha a
che fare con la vita sociale, esso ha a che fare con i divi, ma anche con i grandi divi che gli stessi
media raccontano (si veda la famiglia reale di Inghilterra). Tutto ciò diventa importante per i media.
Anche l'immaginario è storico e il media più rilevante per l'immaginario condiviso è sicuramente la
televisione.
L'immaginario non è semplicemente frutto della fantasia, ma ha una dimensione sociale e culturale
perché, secondo Morin, traduce desideri e bisogni.
Si hanno inoltre due processi: quello di proiezione e di identificazione: nei personaggi
dell'immaginario ci si proietta, quindi, i personaggi dell'immaginario diventano modelli di
riferimento verso i quali ci si proietta, e ci si identifica.
L'immaginario spesso è popolato da cattivi, personaggi devianti, perché? Ci sono due pensieri
riguardo a ciò: c'è chi mette in guardia affermando che c'è il rischio dell'imitazione o c'è chi dice
che in realtà ogni società mette in scena il male, che è lo strumento attraverso cui ci si purifica
simbolicamente dai mali della società, in una sorta di catarsi. Le culture costruiscono un
immaginario e lo fanno in maniera diversa, però la funzione è la stessa.
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Ideologia
Variante del tema della rappresentazione vista da un punto specifico. Il termine viene ripreso dal
marxismo.
Il punto di partenza è l'idea di fondo che la società sia attraversata da divisioni e disuguaglianze di
potere, di classe. Ma le disuguaglianze riguardano anche ad esempio il rapporto tra uomo e donna o
la dimensione dell'etnicità. L'ideologia è un modo di rappresentare la realtà che lavora per
l'interesse dominante. Rispetto, ad esempio, al colore della pelle nella società occidentale il bianco è
normale il nero diverso. Essa è frutto della struttura della società e in questo caso i media fanno una
giustificazione di quella differenza. L'ideologia non è mai frutto di una storia, ma si presenta come
qualcosa di naturale, ci inganna, cerca di farci passare come naturale qualcosa che si è determinato
nella storia. Barthes, padre della semiotica dei media, nel suo libro Miti d'oggi spiega in maniera
chiara cosa si intende per ideologia. I media sono apparati ideologici che costruiscono ideologie che
si presentano come universali. Lo scopo di Barthes è quello di analizzare i miti contemporanei.
Analizza la copertina di Paris match, settimanale molto noto utile per spiegare molto bene cosa è
l’ideologia.
Questa immagine presenta due livelli di significazione: un senso letterale (un soldato di colore
francese che guarda la bandiera), e un significato ulteriore: siccome siamo negli anni in cui si sta
concludendo il colonialismo e i francesi stanno lasciando l'Algeria, la Francia è un grande paese e
quindi anche il soldato di colore fa un saluto al simbolo dell'unione francese. Quindi c'è un
significato di prima comprensione e poi ce ne è uno ulteriore, che è ideologico e che tende a
giustificare il colonialismo francese. La pubblicità fa molto uso di questi strumenti.

DIMESIONE DEL CONSUMO

Quattro ambiti:
• Effetti/influenza
• Usi
• Ricezione e consumo
• Misurazione, marketing, ricerca
Gli studi sui media si sono evoluti dagli studi sugli effetti/influenza, a quelli sulla ricezione e
consumo.

Effetti / influenza
Dal punto di vista dell'evoluzione della storia dei media i primi approcci sono stati allarmisti: si
analizzavano quali erano gli effetti che i media avevano sulle persone.
Teoria dell'ago ipodermico: i media sono una sorta di iniezione che si infila nella vita delle persone.
Si inizia a riflettere su questo tema tra la prima e la Seconda Guerra Mondiale. Sono al potere dei
regimi totalitari, quindi si sviluppa un panico morale e un allarmismo sull'utilizzo dei media per
influenzare le persone. Il fascismo comincia ad utilizzare due media nuovi: cinema e radio. Valore
propagandistico e ideologico di media. Per questo si pensa siano estremamente potenti. L'esempio
lo dava la Germania. I mezzi di comunicazione hanno avuto un ruolo importantissimo nel nazismo.
Negli Stati Uniti Orson Welles nel 1938 fa una trasmissione su un libro che annuncia i marziani
sulla terra. Mette in onda questo radiodramma utilizzando i codici delle news. Questa trasmissione
genera panico negli USA: la gente pensa che davvero siano arrivati i marziani. Questo apre un
dibattito e da allora in avanti si inizia a studiare con metodo scientifico l'effetto dei media.
Negli anni ‘40 si sviluppano una serie di ricerche scientifiche sul rapporto tra i media e il pubblico.
Lazarsveld, sociologo, in questi anni si accorge che l'influenza dei media non è diretta. Uno dei temi
ricorrenti è quella della violenza (si veda Arancia meccanica di Kubrick).
Cosa succede se sottopongo a immagini di violenza una persona? Questa non viene indotta alla
violenza. Ma gli effetti non sono tanto fisici quanto cognitivi. Siamo bombardati da contenuti
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violenti. Quello che Lazarsveld e i suoi allievi pensano è che le persone sviluppano l'idea che la
società sia violenta: funzione ideologica. Se si pensa che la realtà sia violenta dal punto di vista
politico, ci si orienterà verso chi mi dice "legge e ordine". Effetto più indiretto. Per questo si passa
dal concetto di effetto/influenza ad idea di usi.

Usi
Iniziano studi sui media sul pubblico e l'uso che esso fa dei media. Per esempio si studia il modo in
cui dei romanzi banali e sentimentali hanno un successo tra le casalinghe americane degli anni ‘70.
Romanzi spazzatura giocano un ruolo importante, quasi di liberazione.
Negli anni successivi si arriva al concetto di ricezione/consumo.

Ricezione / Consumo
Rapporto ancora più complesso tra media e pubblico. Nella ricezione e nel consumo vanno
sottolineati alcuni aspetti importanti.
Uno di questi è l'interpretazione: lo spettatore si trova avanti ad un prodotto mediale e lo interpreta,
lo colloca nel proprio orizzonte di conoscenza e competenze.
Una delle ricerche più interessanti degli anni ‘90: the export of meaning.
Questi autori mettono in evidenza in particolare un contenuto mediale, una prime soap opera,
Dallas. Visto che questo prodotto circola in tutto il mondo loro vanno a vedere come si sviluppa la
lettura di quel prodotto in Paesi e nazioni diverse. Si mette in evidenza come in alcune culture gli
stessi prodotti mediali siano interpretati in modo diverso. Pubblici abituali ritenevano che Dallas
fosse una finzione. Pubblici meno abituali pensavano che quella era la realtà della società
statunitense.
Quando consumiamo contenuti mediali li interpretiamo, ma anche li utilizziamo. Il significato di un
telegiornale oggi, che è un consumo che resiste nonostante siamo bombardati di informazioni ogni
minuto, ha a che fare col suo uso: è ad esempio l'unico momento in cui si sta tutti insieme a casa,
inoltre il telegiornale determina l'agenda delle notizie importanti, quindi tra i milioni di notizie che
circolano ne sceglie una decina, le più importanti: la sua funzione ha a che fare ormai più con la
sfera del rituale.
Misurazione / Marketing / Ricerca
Quando si analizzano i media nel rapporto col pubblico queste domande vengono poste dalla stessa
azienda mediale, in chiave di "misurazione marketing e ricerca": i media devono conoscere il più
possibile quello che guarda il proprio pubblico. Per questo essi stessi sono stati i promotori di tutto
un campo di ricerca, spesso anche molto dispendioso, che consente di quantificare il pubblico.
L'industria mediale, dunque, sviluppa tutta una serie di ricerche anche funzionali al marketing, che
servono a capire se il brand di una rete funziona e quali sono i significati che gli spettatori
attribuiscono a quel brand di rete. Ricerca, quindi, non solo qualitativa ma anche quantitativa.

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Le forme della comunicazione

Finora abbiamo parlato di media come sistema facendo riferimento soprattutto alla comunicazione
di massa o sociale, che nasce nella seconda metà dell'Ottocento e si sviluppa per tutto il Novecento.
Si sviluppa l'industria cultura e dei media. Questa comunicazione sociale è una forma, ma ce ne
sono altre. Le forme della comunicazione possono essere sintetizzate in comunicazione
interpersonale, mediata e sociale / di massa.

Comunicazione interpersonale
Caratterizza l'uomo fin dalle origini, è comunicazione parlata e orale, faccia a faccia. Ha alcuni
aspetti in comune con le altre forme di comunicazione, ma anche delle differenze.
• una comunicazione punto a punto, da persona a persona.
• tipicamente dialogica, poiché si ha a che fare con un flusso di comunicazione a due direzioni, cioè
vuol dire che chi parla si attende un feedback da chi ascolta e chi ascolta può diventare chi parla
(quindi chi riceve comunicazione può trasformarsi in chi produce comunicazione).
È la più ricca di indizi simbolici: si struttura attraverso una molteplicità di codici, ad esempio codici
verbali (non necessariamente legati alla lingua in senso stretto ma anche legati ai tratti sovra-
segmentali, come il tono della comunicazione) e non verbali.
Quindi è ricchissima di codici e indizi simbolici. La comunicazione mediata invece via via li riduce.
La struttura spazio-temporale è quella della compresenza, cioè la condivisione dello stesso sistema
spazio-temporale fa si che nella conversazione si possano utilizzare ad esempio i deittici
(questo/quello).
Questo è il punto di partenza rispetto al quale la comunicazione mediata cambia e si trasforma.
Comunicazione mediata
Si inizia a utilizzare un supporto concreto per rendere la comunicazione più stabile, fissata nel
tempo e nello spazio, quando si introduce una qualunque forma di mediazione tra chi parla e
ascolta. Nasce con la scrittura. È antica e diventa una forma di comunicazione che oltrepassa il
limite del tempo e dello spazio (es. nascita del sistema postale, già sotto l'Impero Romano).
Rispetto alla comunicazione interpersonale ha in comune che si rivolge ad altri particolari, quindi, è
una comunicazione punto a punto (quando si fa una telefonata si sa a chi si sta parlando, ci si
rivolge ad uno in particolare).
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È dialogica: si prevede che l’interlocutore si possa trasformare in colui che parla. Però questo
dialogo può avvenire in un contesto di:
• Sincronia, es. la telefonata o una chat
• Asincronia, es. la lettera o l'e-mail
Anche sugli indizi simbolici ci sono delle differenze: c’è una contrazione degli indizi simbolici, non
ci sono tutti quegli indizi simbolici legati alla fisicità e può ridursi anche ad un unico indizio
simbolico (ad esempio al telefono si ha solo la voce). Per questo è diversa dalla comunicazione
faccia a faccia. Si ha anche una separazione anche dei contesti spazio - temporali. La
comunicazione mediata è potente perché si estende oltre i contesti dell'immediatezza e della
compresenza, oltre i limiti dello spazio e del tempo.

Comunicazione di massa / sociale


Legata allo sviluppo della società nella seconda metà dell'Ottocento.
Ha caratteristiche simili alla comunicazione mediata, ma anche sue proprie. Mancano alcuni
elementi rilevanti rispetto alle due precedenti.
1. Direzione della comunicazione: si rivolge ad un insieme indefinito di destinatari potenziali
che chiamiamo pubblico, audience. Questo insieme di riceventi è potenzialmente indefinito.
Es. nel passaggio dal radiotelegrafo alla radiofonia lo stesso strumento tecnico viene
utilizzato come modalità di comunicazione mediata punto a punto, e successivamente nei
primi anni ‘20 comincia a diventare mezzo di comunicazione di massa, verso un pubblico
potenziale indefinito.
2. Comunicazione ad una direzione: squilibrio sulla comunicazione perché chi produce
comunicazione non è sullo stesso piano di chi la riceve. É possibile immaginare dei
feedback, possibilità che si ha di interagire, ad esempio con i social network, il televoto, la
lettera di protesta ad un giornale o ad una redazione televisiva.
3. Indizi simbolici: riduzione degli indizi simbolici, i quali definiscono però il linguaggio
tipico ad esempio del cinema, della radio o della televisione, ecc.
4. Struttura spazio-temporale: separazione dei contesti di produzione e ricezione della
comunicazione, la quale diventa lo scambio di contenuti simbolici/testi in luoghi e tempi
differenti. Separa in maniera netta la produzione (insieme di professionisti organizzati in un'
istituzione mediale che produce contenuti destinati a persone non fisicamente presenti,
pubblico) e la ricezione.
Queste tre forme di comunicazione nella realtà sono spesso sovrapposte. Es. talkshow dove alcune
persone conversano con un ascoltatore che telefona da casa. Talk show è una forma di
conversazione formalizzata in un genere televisivo: comunicazione di massa, che utilizza forme di
comunicazione mediata (la telefonata).
Il contesto mediale contemporaneo e l'avvento del digitale hanno un po' modificato queste
caratteristiche di fondo. Es. il computer è un "meta-medium" dove passano tante forme di
comunicazione.
I nuovi media hanno poi reso incerti alcuni confini tra comunicazione mediata e di massa. Es. se si
scrive uno stato su Facebook, ci si rivolge ad un pubblico o a una persona/particolari?: confini rigidi
un po' più sfumati.
Spesso l'evoluzione delle forme della comunicazione mediale è fortemente connessa alla nascita e
evoluzione della modernità. Ad esempio, a metà del 1400 Gutenberg inventa la stampa a caratteri
mobili.
Da questo periodo in poi si succedono una serie di invenzioni di strumenti che consentono la
comunicazione e che hanno conseguenze importanti sul piano sociale e culturale. Queste
rappresentano premesse importanti per la nascita della comunicazione di massa (che avverrà nella
seconda metà dell'’800).

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5. L'INVENZIONE DELLA STAMPA

Come molto spesso accade nella storia dei media, la stampa è la storia di molte invenzioni.
Ha a che fare con l'utilizzo della carta, che viene utilizzata come supporto per stampare fin dai
tempi antichi, già dai cinesi, già dall'anno zero. Infatti, sono già in uso in Cina e prima di Gutenberg
strumenti che utilizzano il legno per stampare e in Corea forme che utilizzano metalli vari per
stampare. La figura di Gutenberg però è importantissima nella cultura occidentale.
Sarà lui che nel 1453 renderà possibile la prima stampa della Bibbia. La stampa inizierà poi a
diffondersi nelle tipografie europee e in diverse città dell'Europa. Questo provocherà conseguenze
importanti nella cultura occidentale: si passa dal manoscritto alla stampa del libro.
I libri di storia assegnano una serie di conseguenze molto importanti all' invenzione di Gutenberg: si
parla di rivoluzione tipografica, che permette la diffusione delle lingue nazionali; processo che si
lega alla nascita degli Stati nazionali in Europa.
Vi è inoltre una stretta connessione tra la diffusione della stampa a caratteri mobili e la riforma
protestante: la possibilità di stampare la Bibbia consente ad un numero molto più alto di persone di
avvicinarsi al testo sacro e leggerlo.
Ovviamente la nascita di questa stampa si lega ad una serie di scoperte scientifiche che si
diffondono rapidamente.
La sua nascita provoca una generale diffusione della conoscenza attraverso il libro (si pubblicano
racconti di viaggi e di esplorazioni, soprattutto nel Nuovo Mondo), insieme alla diffusione delle
carte geografiche e di navigazione, contribuisce alla crescita e alla diffusione delle università e alla
nascita dei primi "giornali" del ‘600 grazie alla possibilità di stampare non solo libri, ma fogli
(gazzette) sui quali si riportano per la prima volta notizie che riguardano alcune città dell'Europa: si
tratta di proto-giornali su cui l'informazione si fissa e può oltrepassare spazio e tempo.
Questo concetto di rivoluzione tipografica è stato accusato di determinismo tecnologico:
l’introduzione della stampa a caratteri mobili ha conseguenze molto rilevanti, ma essa si sposa con
una serie di processi storici che stavano già avvenendo e che sarebbero avvenuti anche senza la sua
invenzione. Avvengono dunque cambiamenti che non sono determinati da questa invenzione: la
stampa non produce la riforma protestante ma ne accompagna la diffusione. Le lingue nazionali si
stavano già sviluppando, ma certamente la possibilità di stampare libri ne aumenta la diffusione e ne
impone infine la supremazia.
Questa invenzione costituisce certamente una condizione che è soltanto tecnologica per la nascita
delle “notizie”, delle gazzette e infine dei “giornali”. Perché si possa parlare della stampa di massa
come noi oggi la conosciamo si devono realizzare una serie di altre condizioni che avverranno poi
nella seconda metà dell'’800.

6. INVENZIONE DEL TELEGRAFO

Lo stesso discorso che facciamo per la stampa si può fare per l'invenzione del telegrafo nel 1900.
Prima di esso la forma di comunicazione era legata al tempo di trasporto: bisognava percorrere una
distanza per consegnare un messaggio (attraverso messaggeri che viaggiavano da un luogo ad un
altro). Il telegrafo trasforma questa situazione, cioè azzera il tempo e avvicina lo spazio.
Quella del telegrafo è un'invenzione legata ad una serie di studi (in particolare di Franklin)
sull'elettricità nel XVII e nel XVIII secolo.
É il primo mezzo che consente una comunicazione punto a punto in maniera istantanea lungo grandi
distanze.
Lo stesso termine "telegrafo" etimologicamente significa "scrittura a distanza".
Gli esperimenti fatti sull'elettricità portano a sperimentare già verso la fine del 1700, ma viene ancor
più sperimentato negli USA tra il 1830 e il 1840. Anch'esso è la storia di molte invenzione, ma si
ricollega spesso al nome di Samuel Morse, che per primo costruisce questo apparecchio. Si tratta di
un apparecchio elettrico costituito da un apparecchio per inviare, un unico cavo e un apparecchio in
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grado di stampare su carta la traduzione degli impulsi elettrici (codice Morse). L'elemento che si
invia e si riceve attraverso il telegrafo è il codice, fatto di punti e di linee. È dunque uno strumento
che consente la comunicazione lungo grandi distanze con un codice fatto di punti e linee. SOS: . . .
_ _ _ . . . La Nokia ha utilizzato una parte del codice morse per l’invio di un SMS
L' invenzione del telegrafo va di pari passo con la costruzione del treno: si accorciano le distanze.
Lungo le reti ferroviarie si costruisce la rete telegrafica. La prima è molto piccola: unisce Baltimora
e Washington DC. Fino alla fine dell'’800 per usare il telegrafo si dovevano tirare dei fili.
Quali sono le conseguenze?
Dagli anni ‘30 e ‘40 fino ai ‘60 il telegrafo si diffonde velocemente negli USA e in Europa. Nel
1866 viene steso un cavo telegrafico lungo tutto l'Oceano Atlantico che permetti di comunicare tra
USA e Inghilterra. Per fare tutto ciò si spende un sacco di soldi. Pochi anni più avanti Marconi, un
giovane italiano ventenne, proverà che tutti quei soldi sono stati spesi inutilmente perché si può
comunicare con le onde elettromagnetiche.
Ad ogni modo il telegrafo insieme al treno favoriranno la civilizzazione progressiva di territori.
Viene utilizzato per usi civili e burocratici ma uno dei momenti in cui viene utilizzato con più
efficacia è la guerra (in particolare viene utilizzato durante la Guerra Civile americana).
Ovviamente vi sono conseguenze rilevanti anche sul piano dell'economia e del commercio, perché
il telegrafo permette di organizzare in maniera efficace la distribuzione delle merci e dei beni in
modo da creare un sistema di prezzi sempre più uniforme.
Una delle conseguenze ha a che fare con la nascita della stampa quotidiana e con la nascita delle
“notizie”: alla possibilità di connettere in maniera istantanea spazi lontani è collegata la possibilità
di far arrivare nella redazione di un giornale la notizia di un determinato fatto e far nascere in questo
modo la notizia di carattere immediato e sintetico, che deve dare gli elementi essenziali che
spiegano un certo fatto. La notizia diventa “fattuale”, caratterizzata dalla sua brevità e dalle 5 W.
Nascono le “agenzie di stampa”, le Associated Press. Tutto ciò è dunque strettamente collegato all'
invenzione del telegrafo che permette la nascita delle agenzie di stampa e dei giornali.

7. INVENZIONE DEL TELEFONO

Qualche anno più tardi, sempre nella seconda metà del’’800, si inventa il telefono: non è una grande
novità in realtà perché è una variante del telegrafo. Tuttavia, è diverso dal telegrafo in un fatto
fondamentale: gli impulsi elettrici vengono tradotti in suoni e in voce, non si utilizza più il codice.
Tutti possono usarlo per parlare istantaneamente con qualcuno a distanza. Inoltre, non necessita di
competenze specifiche. Si diffonde molto di più tra le persone comuni. In primo luogo, viene usato
per scopi commerciali, ma successivamente viene anche utilizzato per usi personali, e riesce a
penetrare nelle case.
La sua invenzione è stata caratterizzata da una diatriba sul reale inventore. Solo recentemente si è
riconosciuta la paternità del telefono a Meucci, che nel 1871 costruisce il telettrofono, antenato del
telefono, ma non ne registra la paternità. Infatti, nel 1876 l'americano Bell fa qualcosa di simile e
registra invece il brevetto. Tuttavia, di recente la paternità è stata affidata all'italiano Meucci.

8. LA FOTOGRAFIA

Nel corso del diciannovesimo secolo si ha una serie di invenzioni anche nella chimica. Ne derivano
l'invenzione della fotografia e, successivamente, la nascita del giornale moderno. La prima
macchina fotografica è la camera oscura (XVI secolo), che è la base della riproduzione fotografica
(“camera”). Una scatola chiusa con un foro che lascia entrare la luce proietta una immagine
capovolta di ciò che è messo davanti al foro. Nel XIX secolo Joseph Niepce e Louis Daguerre
(“dagherrotipi”) fanno esperimenti che riguardano l'alterazione di una superficie che consente di
produrre un'immagine con il cloruro d'argento. Molti nomi sono legati a questa invenzione, in
particolare quello di George Eastman che introduce un’invenzione fondamentale, la "Kodak Box
19
Camera" che rende possibile la diffusione molto più ampia della macchina fotografica perché ne
facilita l'uso.
Molte furono le conseguenze della “riproduzione fotografica”.
Inizia ad essere utilizzata come lo strumento più realistico per rappresentare la realtà. Fino ad allora
si utilizzava la pittura. È proprio ora che avviene la “liberazione dal realismo” della pittura,
causando l’emancipazione della pittura dal realismo.
Questa forza del realismo della fotografia consente una rappresentazione realistica anche delle
guerra: si riportano le immagini della devastazione civile della guerra. A New York si allestì una
mostra sui morti in campo durante la Guerra Civile.
È questa la premessa essenziale per lo sviluppo del fotogiornalismo che andrà a costituire il giornale
moderno, con i primi magazines illustrati (Life negli USA).
L'immagine viene rappresentata non più statica ma in movimento.
Tutto ciò porterà nel 1895 alla prima presentazione dell'immagine in movimento del cinematografo
da parte dei fratelli Lumiere prima ad Alione poi a Parigi, che è una diretta conseguenza della
fotografia.

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9. LA LOGICA DEL CICLO

Le invenzioni, dunque segnano e accompagnano la storia della modernità e accompagnano, non


determinano, una serie di fenomeni e cambiamenti culturali rilevanti.
Nella seconda metà del 1800 e lungo il corso del 1900 si sviluppa la comunicazione di massa.
Un autore italiano, Ortoleva, nel libro Mediastoria, parla di una logica ciclica che caratterizza
l’evoluzione dei media e della comunicazione di massa. Dalla seconda metà dell’'800 fino ad oggi
si succedono periodi diversi:
• Periodi esplosivi: introduzione di una serie di invenzioni tecniche che rivoluzionano il modo
con cui si comunica.
• Periodi riflessivi: una certa innovazione inizia a diffondersi e ad essere utilizzata sempre di
più.
La storia dei media non procede in modo lineare. Abbiamo una serie di periodi esplosivi:
1. Primo periodo esplosivo
Il punto di partenza è la metà dell'’800 in particolare tra 1830 e 1840. In questo decennio non
nasce solo il telegrafo, ma si introduce una serie di invenzioni innovative. Sono anni nei quali si
iniziano a costruire le reti telegrafiche, ma si introduce anche il francobollo, la macchina
fotografica, la tipografia viene modernizzata (vengono applicati gli strumenti nati dalla
rivoluzione industriale, come le macchine a vapore ecc.).
2. Secondo periodi esplosivo
È compreso negli anni fra il 1875 e il 1895. Viene costruita la stereotipia, una macchina che
consente una riproduzione a caldo, vengono introdotte la linotype, macchine per la piegatura dei
giornali, la macchina da scrivere, la macchina fotografica Kodak (che rende la fotografia più
accessibile a tutti e non solo ai professionisti), il fonografo, il grammofono (che riproduce la
musica in assenza di qualcuno che suona), il cinetoscopio e il cinematografo (due invenzioni
prodotte negli USA e in Francia), il telefono, la telescrittura e la radiotelegrafia di Marconi (si
utilizza il telegrafo senza fili).
3. Terzo periodo esplosivo
È compreso negli anni fra il 1920 e il 1935. In questo periodo ci sono le invenzioni della
fotocopiatrice, della stampa a rotocalco, della telefotografia, della radio-diffusione
(broadcasting), dell'iconoscopio di Zworykin (televisione), del magnetofono e del sonoro
sincronizzato nel cinema verso la fine degli anni ‘20 (cioè la possibilità di far parlare gli attori
nei film).
Nella seconda metà del 1800 avvengono una serie di cambiamenti rilevanti che hanno a che fare
anche con i modi con cui le persone si divertono o con l'ampliamento del tempo libero. Si creano
forme di divertimento per un numero maggiore di persone. Inoltre, nasce la stampa quotidiana come
medium, con tutte quattro le dimensioni (istituzionale, tecnologica, fruitiva e testuale) che
caratterizzano ciascun medium (diverso dalla stampa a caratteri mobili che è uno strumento
tecnico). Nasce anche il cinematografo. Si diffondono nuove forme di divertimento che
caratterizzano questi anni e coinvolgono un numero sempre più alto di persone: il teatro di varietà,
lo sport da stadio (che si trasforma in uno spettacolo), vi è la diffusione di generi narrativi nuovi che
col tempo attraverseranno media differenti (ad esempio il giallo e il western), la stampa popolare
che diventa "yellow journalism", cioè caratterizzata da fatti prevalentemente di cronaca e collabora
con agenzie che si occupano di pubblicità. Più il pubblico diventa vasto più la pubblicità diventa
importante perché introduce nel sistema mediatico risorse economiche consistenti.

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10. LA STAMPA COME MEZZO DI COMUNICAZIONE DI MASSA

Citizen Kane, (quarto potere), film di Orson Welles del 1941


Siamo nel 1880 e racconta una vicenda ispirata ad una storia vera, il personaggio è il prototipo del
magnante dei media che vuole il potere politico (il quarto potere è quello della stampa, aggiunto ai
poteri giudiziario, giuridico, e legislativo).
Nel 1880 un ricco signore americano, William Arnold Hearst, acquista vari giornali a livello
nazionale. La vicenda di Kane è la vicenda di Hearst. Il giornale impostato da Kane è un quotidiano.
Kane vuole costruire uno strumento che sta dalla parte della gente.
Questa parte del film presenta degli elementi di novità che caratterizzano il passaggio della stampa
da "medium popolare" alla "stampa di massa". Innanzitutto, i contenuti sono più ampi per una
maggiore tiratura (circulation). Da un’impresa artigianale ad un’impresa moderna, capitalistica, che
mira ad essere parte di un’industria. In questo periodo nasce la pubblicità. Ampliare la diffusione è
importante perché più persone comprano, meno il giornale costa. Il quotidiano raggiunge un
pubblico più alto, fattore importante anche grazie alla pubblicità. Quello che caratterizza i giornali è
il lavorare da un lato sull'abbassamento del prezzo del quotidiano (penny press: giornali al costo di
un penny) e dall'altro aumentare la tiratura per attirare gli investitori pubblicitari. Più persone
comprano il giornale, più scende il costo di copertina. Questo fenomeno si chiama “penny press” :
le risorse che contribuiscono alla creazione del giornale derivano principalmente dalla pubblicità.
Le persone pagano il giornale un solo penny. Tutti possono comprare il giornale, pubblico popolare,
a patto che il livello di educazione cresca. È quello che sta succedendo in questo periodo.
I magnati dei media hanno un'idea molto chiara. Kane, il protagonista del film, pensa al giornale
non come la polverosa redazione fatta da tradizioni e aspetti solo formali e aulici (scena in cui,
quando arriva Kane, tutta la redazione si alza in piedi per salutarlo), ma come un’impresa
caratterizzata dai principi del capitalismo moderno, tesa al profitto.
Si ragiona nei termini di un'editoria pura, pensata come impresa in sé. In Italia, almeno all'inizio,
manca l'idea che i giornali costituiscano di per sé un'impresa economica, ma viene pensata come
fatta di proprietari che fanno altro nella loro vita e poi utilizzano poi la stampa solo per fini di
carattere egemonico. Il contesto anglosassone invece ragiona da subito in senso di editoria pura, con

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grandi magnati dei media che cominciano ad acquistare giornali cittadini lavorando anche
sull'economia di scala.
Cominciano dunque a crearsi delle condizioni di carattere istituzionale, tecnologico e legati al
pubblico, che fanno si che nasca questo nuovo medium che è la stampa moderna. L’obiettivo era
creare il pubblico nuovo e che, per esserci, deve presentare la condizione di saper leggere.
Nel ‘900 nasce una serie di mezzi di comunicazione che fanno passare dalla galassia Gutenberg alla
galassia Marconi. Nel ‘900 i media più popolari non passano nemmeno più attraverso la mediazione
della scrittura, ma saranno cinema, tv, grammofono, ecc.
Riguardo alla stampa, ci sono una serie di condizioni che permettono di far nascere questo mezzo di
comunicazione.
Quali sono le condizioni tecnologiche?
• Telegrafo negli anni ’40, poi radiotelegrafo a fine secolo
• Nuove tecniche di fabbricazione della carta
• Nascita serie di tecnologie che consentono di costruire la pagina in un certo modo (linotype
e rotativa)
• Invenzione macchina da scrivere
Piano istituzionale?
• La stampa è oggetto di cambiamenti di carattere legislativo, quali l’abolizione dell’imposte
sulle inserzioni (1853), imposta sulla stampa (1855) e sulla carta (1861) in Gran Bretagna.
• Nascita di imprese moderne guidate dai press barons (Northcliffe in Gran Bretagna, Hearst
e Pulitzer negli Stati Uniti): coloro che capiscono che i giornali possono essere strumento di
costruzione di potere, poiché sono influenti e muovono l’opinione pubblica.
• Altre imprese “collaterali”: agenzie di stampa (Havas Parigi, Reuter Londra, Wolff Berlino,
Associated Press Stati Uniti).
• Diffusione di massa (alta tiratura) e pubblicità.
• Guerre: Crimea (1854 – 56), Cuba (1897), I Guerra Mondiale.
• Concentrazione e concorrenza
Dimensione testuale?
• Nuovo giornalismo popolare con l’immediatezza della notizia.
• Popolarizzazione dei contenuti con il penny press. Nascita della cronaca, giornalismo
nuovo, non legato ai grandi fatti della politica, ma al racconto dei fatti che interessano
l’umano (jazz journalism, yellow journalism e giornalismo fotografico).
• La corrispondenza di guerra come “genere”.
Dimensione del consumo?
Si ha un pubblico di massa:
• Nascita di lettori conseguente all’industrializzazione, all’immigrazione, all’urbanizzazione.
• Crescita livelli di istruzione (Education Act, 1870 in Gran Bretagna).
• Ampliamento occasioni di lettura (illuminazione).
• Preservazione delle distinzioni sociali. Si ha un doppio binario (in UK):
o Popolare (tabloid: indica un formato piccolo ed è costituito da giornali popolari).
o Borghese (broadsheet, quality papers: giornali di formato grande, mirano a
raccogliere un pubblico di élite, borghese, che fa l’opinione pubblica).
Appartengono a questa categoria The New York Times negli Stati Uniti e The Times
in Gran Bretagna. In Italia invece il tabloid non esisteva, si diffonde il broadsheet.
Nuovo pubblico
La stampa fa parte della Galassia Gutenberg.
Si diffondono anche media non verbali:
• Fonografo, grammofono: non bisogna stare davanti ad un’orchestra per sentire la musica
• Cinematografo: cinema “muto”, immagine in movimento.
• Fumetto: immagine e parola.
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• Sport di massa
Nuovo pubblico urbano semiletterato (o analfabeta) cui era destinata una comunicazione sempre più
“visiva”.
Nuovi generi per il nuovo pubblico
Forme testuali nuove, che “rimediano” forme tradizionali e popolari (rimediazione):
• Film (spettacoli popolari, pantomima, melodramma)
• Canzone (recupero di musica popolare tradizionale, in Italia quella napoletana)
• Tabloid (tradizioni narrative popolare: “sesso e sangue”, storia della cronaca)

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11. STORIA DEL CINEMA

La data di nascita convenzionale del cinema è il 1895.


Secondo mezzo di comunicazione di massa, come la stampa, dagli anni Novanta dell’’800.
Il cinema è caratterizzato da:
• Progressiva definizione di una industria (concetto di “industria culturale”)
• Capacità del cinema (a differenza della stampa) di attraversare confini culturali e nazionali,
generando cultura di massa globale (centrata sul cinema hollywoodiano, in particolare dagli
anni Venti del ‘900). Si sviluppano la teoria dell’imperialismo culturale e tema
dell’americanizzazione della cultura popolare.
Invenzione con molti padri, invenzione molto lunga. I precursori del cinema sono molto antichi e
arriva alla fine dell’’800 la possibilità di una riproduzione meccanica della realtà. La riproduzione
meccanica ha bisogno della realtà. La fotografia ed il cinema hanno bisogno della realtà, sono delle
impronte della realtà. Oggi non abbiamo bisogno della realtà, siamo infatti di fronte alla
manipolazione.
Dagli anni ’90 quando Georges Lucas mette in circolazione Star Wars (girato negli anni ’70) con
dei personaggi digitalizzati, superiamo la necessità della realtà. Il cinema non è più l’impronta della
realtà.
Indice: un indizio (mozzicone di sigaretta); per avere della realtà riprodotta, abbiamo necessità della
realtà.
Il cinema ha liberato l’arte del realismo ma poi l’immagine si è svincolata dall’avere un rapporto
con la realtà.
Ci sono diverse definizioni di cinema, a seconda degli ambiti che consideriamo:
• È un medium
• È un’industria
• È un linguaggio
• Deve creare un pubblico
È un insieme di tecnologie che si legano molto alla nascita della fotografia.
Il 28 dicembre 1895 si ha la prima proiezione pubblica del cinematografo dei fratelli Lumière. Il
cinematografo passa attraverso una serie di tappe che porta lo stesso a dotarsi di un linguaggio. Il
linguaggio che si dà è il linguaggio classico del cinema, ovvero il linguaggio che hanno la maggior
parte dei film che anche ora vediamo. Il linguaggio è visivo e narrativo. Nel giro di circa 15-20 anni
del ‘900 il cinema diventa anche un’industria. Diventa industria a livello nazionale e poi globale (il
cinema americano domina il mercato americano e il mercato del mondo). Il cinema americano
domina globalmente: in quasi tutti i paesi europei la quota di mercato del cinema americano è del
70-80% (nella fattura).
“The story of film”, documentario. Nell’incipit si dibatte sulla duplice natura del cinematografo:
• Diventa un linguaggio, quindi un’arte con dei creatori, degli artisti. Produzione di carattere
artistico con delle regole.
• Industria che produce fatturato e quindi profitto soprattutto attraverso la forma
dell’intrattenimento.
1895: periodo di grandi cambiamenti e trasformazioni. Alla fine del secolo, nel ’95, nasce il cinema.
Dal cinematografo all’industria del cinema
La logica della storia dei media non è di continuità, ma di alti e bassi. Potremmo ricostruire la storia
dei media andando a ricostruirla per periodi di innovazione. All’inizio della storia culturale ci sono
due grandi media: la stampa ed il cinema. Si crea per la prima volta quella che è stata definita
l’”industria culturale” che si basa non su beni fisici, ma sulla vendita di contenuti immateriali.
Perciò si contrappone anche all’industria dei beni fisici.

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La stampa sviluppa un sistema di passaggio da piccoli giornali di carattere politico a beni degli
imprenditori, che pensano all’impresa editoriale capace di generare profitto, pochi sono i giornali
internazionali.
Il cinema vuole diventare un mezzo che passa i confini nazionali e culturali, generando una cultura
di massa globale.
Industria americana del cinema vista come forma di imperialismo che non ha più bisogno di avere
dei soldati, ma che conquista il mondo attraverso sogni.
Il cinema diventa il medium più popolare del ‘900. A partire dal cinema si struttura meglio il
concetto di industria culturale. Il cinema è il medium che inizierà a creare un mercato di carattere
globale. I film circolano molto presto, Italia e Francia sono due paesi molto forti nell’ambito
cinematografico, tuttavia, per alcune cause le industrie in questi paesi vengono messe in ginocchio.
Gli Stati Uniti invece sono molto potenti e lo fanno dagli anni ’20 fino ad oggi.
La prima recensione fu di un giornale francese, “Poste” sulla prima proiezione pubblica dei fratelli
Lumière, il 30 dicembre 1895.
“Quando questi apparecchi saranno disponibili al pubblico, quando chiunque potrà fotografare i
propri cari non più in forma immobile, ma in movimento […] allora la morte cesserà di essere
assoluta” è l’impressione che fa il cinema, che potere che ha, il cinematografo è addirittura lo
strumento che sconfigge la morte.
Su questa linea si evidenzia un’altra frattura forte, è un cambiamento importante.
Ricciotto Canudo, importante teorico del cinema, nel 1927 dice che il cinema celebra l’uomo nel
“suo trionfo sull’effimero e la morte”.
André Bazin, 1945: il cinema risponde a “un bisogno fondamentale della psicologia umana: la
difesa contro il tempo”. Bazin introduce il concetto del “complesso della mummia”, Tale complesso
nasce da un’esigenza psicologica della razza umana di difendersi contro l’ineluttabilità del tempo,
contrastando la morte attraverso l’apparenza. Infatti, riproducendo il reale si aveva la percezione di
salvare l’essere strappandolo al tempo.
Sergej Ejzenstein, regista e creatore russo, grandissimo innovatore che introduce tante innovazioni
riguardo il montaggio cinematografico, dice che “il cinema esprime attraverso un dispositivo
tecnico il desiderio di immortalità dell’uomo” (1946).
Noel Burch dà un’idea del cinema che supera la morte con una visione dell’uomo borghese, che ha
fiducia nella scienza, che ha fiducia nella tecnica pertanto in questo modo sconfigge la morte.
Conosce la morte propria dell’ideologia tecnico-scientifica del positivismo. (1990)
Anche da un punto di vista culturale la nascita del cinema rappresenta una trasformazione
fondamentale. Tuttavia, il cinema non nasce nel 1895. È solo una data simbolica che indica un
cambiamento. È una data importante, ma ci si arriva attraverso una serie di tappe.
Prima del cinematografo ci furono molte invenzioni, molte esperienze, diverse invenzioni a partire
dal ‘600 legate alla riproduzione delle immagini e lo si fa su due binari:
• Volontà di conoscenze: dimensione scientifica. Volontà di ricostruire il movimento. Avendo
la finalità del sapere. Uso scientifico-didattico.
• Volontà di intrattenere. Raccontare storie, meravigliare (macchina delle meraviglie),
impressionare, suscitare curiosità e divertimento. Uso ludico.
Questi due filoni portano alla nascita del cinema. Soprattutto sul secondo filone ci sono una serie di
invenzioni:
1. La lanterna magica, ovvero una scatola con una candela al suo interno e la possibilità di
questa scatola chiusa di riprodurre immagini messe davanti ad un buco e riprodotte sulla
parete. Idea di creare delle immagini con la luce è legata alla magia. Proiezione su uno
schermo: visione collettiva.
2. Il mondo nuovo. Una grande lanterna magica. Scatola rispetto alla quale ci si mette a
guardare come da un buco della serratura: visione individuale.
Queste invenzioni vengono soprattutto pensate con le due finalità sopracitate.

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Nel XIX secolo si ha l'avvento della fotografia: diventa possibile riprodurre il movimento dell'uomo
e degli animali.
Nel 1891 compare il cinetoscopio ad opera di Edison. Edison (New Jersey) è una figura capitale
nella storia dei media, rappresenta un idealtipo. È un innovatore che è anche un grande
imprenditore. C’è sempre il doppio filone (industria e scienza). Questo suo doppio lato consente a
lui di poter tradurre in termini di impresa delle invenzioni ludiche, è alla base di alcune invenzioni
fondamentali: il fonografo (strumento che consente di riprodurre il suono registrato). Comincia poi
a pensare di riprodurre l’immagine in movimento negli anni ’80 dell’’800, nel 1889. Edison crea il
cinetoscopio a partire dalla struttura del fonografo. Anche la struttura con cui viene fatto funzionare
è molto simile. La grande differenza tra il cinetoscopio di Edison e il cinematografo dei fratelli
Lumière sta nell’aspetto del pubblico. Quello di Edison non funziona perché non innesca il
consumo collettivo, l’emozione in comune del pubblico. Non riguarda gli aspetti tecnologici,
piccolo cambiamento che però comporta i due destini.
Si assisterà poi alla comparsa poi del cinematografo dei fratelli Lumiere, due fratelli fabbricanti di
pellicola fotografica. Questo strumento si impone più degli altri apparati perché consente una
fruizione collettiva, cosa che si presta meglio ad uno sfruttamento di tipo economico e rende questo
apparecchio molto più leggero del cinetoscopio. Consente inoltre di fare riprese e non usa solo le
immagini. Il primo utilizzo si ha nel 1895 durante una conferenza scientifica. I fratelli Lumiere
mostrarono un filmato che rappresentava l'uscita degli operai dalle industrie Lumiere. La data
simbolo della nascita del cinema è il 28 dicembre di quell'anno, quando i fratelli Lumiere
presentano una serie di filmati di 25 minuti in tutto. Le persone erano andate a vederli per puro
svago e per la prima volta si paga un biglietto. Si dice che il cinema nasca nel momento in cui gli
spettatori pagano un biglietto.
Questi filmati hanno un enorme successo per la possibilità sia di scoprire se stessi, il movimento
dell'uomo, sia di scoprire dei mondi nuovi.
Inizialmente i Lumiere non ne avevano percepito il potenziale economico. Per loro era solo un
esperimento che gli avrebbe permesso di finanziarne altri, però c'era già chi pensava al potenziale
economico di tutto ciò.
C’è infatti il primo caso del "Product placement": inserimento di un marchio o di un prodotto reale
in un filmato. Il produttore di questi saponi finanziò il filmato, ma allo stesso tempo impose la
presenza del proprio marchio e in cambio avrebbe assicurò di diffondere il filmato dove lui stesso
aveva un business.
Negli anni successivi:
1. Da un lato nasce un linguaggio proprio che diventerà narrativo. Cinema per raccontare delle
storie. Adesso si va al cinema e si sente una serie di convenzioni di linguaggio. Utilizza
strumenti specifici che consentono di costruire un senso per raccontare una storia. Ci sono una
serie di innovatori che portano alla nascita di questo linguaggio.
2. Nasce un’industria.
Fine anni ’10 – inizio anni ’20 si hanno entrambe le cose. Nei primi anni non c’è né il linguaggio né
l’industria. All’inizio il cinematografo Lumière ha il compito di girare pellicole in posti lontani e
poi di mostrarle con la funzione di documentazione. I Lumière sono considerati padri del
documentario, documentare la realtà.
In vari paesi ci sono innovazioni di carattere linguistico: il linguaggio classico del cinema. Quadro
fisso in cui si muovono le figure, durata: pochi minuti: cinema alla fine dell’’800.
Primo esempio: film di 1 minuto, “Grandma’s Reading Glass” 1900 (UK)
Dal punto di vista di innovazione del linguaggio, la macchina si muove. Ci sono per la prima volta
diversi piani: il primo piano di un gatto. Non siamo abituati alla camera che si muove
James Williamson, “the big swallow” (1901)
Il soggetto che si mangia l’operatore e la macchina da presa. Creazione dello “zoom”.
Catturare l’attenzione, far ridere.

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Questo cinema va sotto l’etichetta “cinema delle attrazioni”, 1895-1908. Riprendono lo stupore che
il pubblico che ha visto la locomotiva che si muove prova. Dimensione di stupore perché in questi
primi anni il cinema si inserisce all’interno di una serie di occasioni di svago popolare che prevede
il cinematografo come uno degli ingredienti: all’interno di fiere ambulanti, di caffè. Sono spettacoli
cinematografici rivolti al popolo, il quale ha per la prima volta davanti a sé uno strumento che lo
stupisce dietro il pagamento di qualche soldo che consente a questi artisti di portare questo nuovo
spettacolo.
Il cinema è un’attrazione, un prodotto che ancora non ha una dimensione industriale. Gli operatori
che acquistano le macchine cinematografiche mostrano le pellicole in contesti provvisori, non
dentro sale. D’altra parte, gli spettacoli cinematografici sono molto brevi, quindi ci sono molte
pellicole.
Le immagini in movimento erano un prodotto ancora artigianale e non industriale e chi aveva un
proprio cinematografo aveva il proprio serbatoio di pellicole che poi commercializzava.
Tuttavia, il cinematografo comincia a svilupparsi e si iniziano a sviluppare pellicole con un tessuto
narrativo più articolato.
Fu Georges Meliès, un illusionista francese, a cominciare ad inventare storie per il cinematografo. Il
film inizia ad avere una sua componente narrativa e questo fa si che ne aumenti la popolarità.
Comincia a godere di più autonomia ed inizia ad avere un suo luogo specifico. Inoltre, Melies inizia
a pensare a delle forme di narrazione che si sganciano da quella dimensione di realismo che
caratterizzava il cinematografo Lumiere. Melies è ricordato per i primi trucchi cinematografici,
poiché si rende conto che la macchina cinematografica può creare dei trucchi che rendono il
racconto cinematografico ancora più efficace. Le Voyage dans la Lune racconta del lancio di un
razzo sulla Luna.
Nascono tra il 1905 e il 1906 i nickelodeon, luoghi dove vengono rappresentati i filmati: si crea un
biglietto e nasce la figura dell’esercente (il proprietario della sala che noleggia il film, non ha il suo
archivio). Inoltre nascono agli inizi del 900 altre due figure cardine del business cinematografico:
• Produttore: possiede il cinematografo con cui realizza i film e li cede al distributore.
• Distributore: mediatore tra produttore ed esercente.
Nickelodeon costa molto poco (un nickel) per 30/60 minuti di divertimento. Con la nascita delle
sale, le pellicole vengono distribuite a dei distributori di pellicole. Questo è il punto di partenza per
lo sviluppo di un sistema cinematografico come strumento di intrattenimento per una popolazione
molto diversificata (l’America dei primi anni del ‘900). Il cinema offre a questa popolazione, che è
anche semplice ed analfabeta, un divertimento a poco prezzo. Inoltre, è uno strumento di
divertimento universale. Ci sono anche ragioni di carattere economico del cinema hollywoodiano,
ma soprattutto universale, in quanto crea un proprio pubblico. In America in particolare il pubblico
è diversificato, quindi il cinema crea delle storie universali. Ciò caratterizzerà per sempre il cinema
universale: appeal universale (primo pilastro). Secondo pilastro: definizione di rete (Nickelodeon,
sale). Passaggio ulteriore: il cinema cerca di farsi bello. Sulle sale si sorregge l’industria. Ma questo
avviene soprattutto a partire dal 1920. Dai Nickelodeon si passa ai Movie Palace, ovvero le grande
sale sontuose molto ricche e belle che attraggono al cinema i ceti borghesi che inizialmente erano
stati refrattari dal farsi attrarre dal cinema.
All'inizio del ‘900 i protagonisti di questo business cinematografico, quindi i veri leader, erano i
paesi europei, in particolare Francia e Italia. La Pathé, ad esempio, era un'importante casa di
produzione francese in grado di produrre e mettere sul mercato 12 nuovi filmati/titoli a settimana.
Nel frattempo, negli Stati Uniti Edison non è in grado di coprire tutto il mercato e la domanda
statunitense, per cui i produttori europei trovano facile accesso agli Stati Uniti. Siccome i produttori
europei erano piccoli tentano per espandersi la strada dell’internazionalizzazione.
Il film diventa un modo per vedere mondi diversi. I filmati europei diventano molto interessanti per
lo spettatore statunitense che scopriva nuovi mondi diversi da quello degli USA. Però tutto ciò non
era ben accetto per gli statunitensi, perché in questo modo gli europei si arricchivano attraverso il
mercato americano.
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Mentre si sta definendo il sistema delle sale in America, negli anni ’10 del 1900 ci sono due
cinematografie più importanti: quella francese e quella italiana. In Francia ed in Italia i ritmi sono
molto sostenuti (in FR: 12 film a settimana). Inoltre, i film sono molto più lunghi. C’è una forte
richiesta e i produttori francesi ed italiani riescono a soddisfare la richiesta.
Negli anni ’10 il mercato americano è invaso da film che vengono dall’Europa (FR e ITA). I film
europei sono da un punto di vista contenutistico diverso.
La principale industria francese, Pathé, nei primi anni del ‘900 controlla il 30% del mercato
americano. Pathé fa l’operazione più importante che verrà fatta anche dal mercato cinematografico
americano qualche anno più tardi: un’operazione di integrazione verticale. Integrarla vuol dire
controllarla. Un’azienda che si integra vuol dire che controlla tutte le fasi della filiera. Controlla la
produzione, la distribuzione e le sale. Questo è il fondamento più importante del cinema
hollywoodiano. Importante ed efficiente dal punto di vista economico.
Importanza cinema in Italia (primo grande momento di successo internazionale del cinema italiano;
il secondo momento è negli anni del dopoguerra con Visconti, De Sica). Il cinema italiano degli
anni ’20 produce film di ampio respiro, piuttosto lunghi che rilanciano in maniera molto forte la
dimensione della spettacolarità (altro ingrediente ripreso poi dal cinema americano). I film italiani
sono grandi colossal: scene grandiose, uniscono la dimensione del racconto con la dimensione
spettacolare. Un film molto importante è Cabiriam, 1914, di Giovanni Pastrone. È film più
spettacolare di questi anni, rappresenta un modello che gli americani andranno a copiare nei
colossal prodotti poi da Hollywood. Nel 1908 tutti coloro che in America lavoravano nell' industria
del cinema si allearono per contrastare gli europei, creando un cartello, il Motion Picture Patents a
cui parteciparono le società americane più importanti del settore (ad esempio la Kodak, principale
produttore di pellicole).
A questo cartello aderiscono le più importanti società dell’epoca (sono 16, tra cui la Kodak e la
Pathé).
Obiettivi del cartello:
• trovare accordi per rendere meno litigioso il settore
• controllare pienamente il mercato americano
• creare delle barriere
Viene consentita in via del tutto esclusiva l'entrata nel cartello anche ad alcuni soggetti stranieri, tra
cui la Pathé sostanzialmente per due motivi:
1. Era un soggetto molto forte.
2. In questo modo, anche se si consentiva alla Pathè di avere comunque degli affari in America
e di trarne profitto, comunque si poneva un limite alla sua crescita, poiché anch'essa veniva
sottoposta a delle regolamentazioni.
Cartello: le società importanti si mettono d’accordo per non creare dissidi, tuttavia le difficoltà
arrivano per i produttori indipendenti.
Questo cartello pose fine alle litigiosità interne e contenne la presenza degli stranieri al mercato
americano ponendo subito delle barriere all' entrata.
Il cartello imponeva diverse regole, tra cui:
• Il numero di film che poteva immesso sul mercato
• L'uso di particolari brevetti
• Il pagamento di soldi per la produzione di un film
Diviene tutto regolarizzato, tutto cresce ma in maniera equilibrata per tutti ed inoltre escludeva gli
stranieri (chi non faceva parte del cartello, infatti, non aveva tutta una serie di privilegi, ad esempio
non poteva accedere alle pellicole Kodak).
Nasce dunque un oligopolio, una struttura di mercato che sopravvive ancora oggi (oggi sono 6 le
case di produzioni che detengono l'oligopolio dell'industria cinematografica: Warner Bros, Disney,
20th Century fox, ecc.).
Nel 1915 il cartello viene abolito. Ragioni:

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• Cause legali: la corte distrettuale di Philadelphia dichiara l’illegittimità del cartello perché
va contro lo Sherman Act (la legge sull'antitrust) dichiarando che il cartello restringeva la
concorrenza.
• Insoddisfazioni e liti interne. (ragione interna). Esempio: la Kodak era l’unica che
produceva pellicole all’interno del cartello, pertanto, era stupido aderire poiché avrebbe
potuto vendere anche all’esterno del cartello. Inoltre, chi era potenzialmente più forte voleva
ancora più potere (Kodak, Pathè).
I benefici comunque furono tanti:
1. Gli spettatori americani si abituarono progressivamente a vedere film americani, perdendo
l'abitudine di guardare film stranieri e divenendo quasi intolleranti a cinematografie diverse.
Ancora oggi i film americani raccolgono il 95% dei ricavi delle produzioni
cinematografiche, cioè il 95% di film visti nelle sale cinematografiche è americano.
2. Iniziano i processi di standardizzazione. Il cartello riuscì a creare una macchina organizzata
grazie alla quale il film arrivava ovunque. Si crea una struttura capillare. Perciò si inizia a
scegliere un film in base alla sua qualità (scelgo il migliore tra i film che mi propongono).
3. Fine della disorganizzazione: per la prima volta negli Stati Uniti si impone una voce unica,
un’unione.
Qualche anno più tardi, con finalità diverse, viene creata un’altra associazione, ovvero MPPA
(Motion Picture Patents of America), e viene presieduta da William Hace.
Da questo momento l’industria USA definisce degli standard di contenuto ovvero delle norme di
forte auto-censura valide fino agli anni ’50 e oltre. Sono delle norme di tipo ideologico: non si
mostrano e raccontano esplicitamente storie con vicende sessuali. Ciò avviene poiché il cinema
vuole cercare di fare quel passaggio che lo porta ad una legittimazione americano che lo consente di
diventare strumento di divertimento delle famiglie americane.
Il codice Hace definisce le norme di contenuto alle quali il cinema americano si deve adeguare.
Nel cartello dell’MPPC erano i produttori della pellicola, i brevetti i più importanti e non i
produttori. Negli anni ’10 per ragioni di clima e bel tempo che caratterizzavano la California, ma
anche per sfuggire dalle regole e dalle norme definite dall’MPPC, alcuni produttori (imprenditori),
spesso figli di immigrati, spostandosi sulla West Cost creano un nuovo cinema hollywoodiano
(degli anni ’20).
In questi anni i produttori più forti sono ancora in Europa però gli Stati Uniti stanno cercando di
autofinanziare il proprio mercato.
Esplode la Prima guerra mondiale. C'è la necessità di beni primari non di filmati o cinema. Questo
fa si che sia difficile alimentare l'industria costosa del cinema. Tutta l’economia europea inoltre
subisce conseguenze tragiche. L’economia americana invece è florida. Per questo motivo il cinema
si ferma, ma solo in Europa che di fatto è il vero teatro della guerra. Non si ferma invece negli USA
che entrano in guerra molto tardi.
Per creare la pellicola non impressionata è necessaria la nitrocellulosa, materiale importante anche
per la costruzione delle armi. Anche per questo motivo il commercio internazionale di film in
Europa si interrompe: il commercio di pellicole, e quindi il fornire la nitrocellulosa a paesi con cui
si è in guerra o con paesi non belligeranti ma che potrebbero venderle a paesi nemici diventa
sinonimo di "finanziare le armi dei nemici".
Nel 1915 comincia la produzione industriale del cinema. Questo anno segna la nascita di
Hollywood come industria. David Griffith è uno dei più innovativi registi che sperimentano e
trovano soluzioni efficaci nella realizzazione del film come racconto, pur preservando la
dimensione spettacolare che il cinema americano riprende dal cinema italiano. 1915, nascita di una
nazione, Griffith: film narrativo che dura 2h40. Grande colossal, racconta la storia americana, in
particolare la guerra di secessione dal punto di vista dei sudisti, fortemente razzista. Il film ha
certamente un’importanza capitale nella definizione di un linguaggio cinematografico, con
soluzione narrativo-visive mai viste fino ad ora.

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In questo momento l’industria più potente al mondo, l’industria indiana Bollywood, ha dei problemi
legati proprio al tempo: in India d’estate ci sono i monsoni, pertanto, non è possibile girare, tuttavia
non è possibile neanche fermare la produzione dato che vengono girati più di 1000 film l’anno.
Tra 1916 ed il 1918 le compagnie statunitensi aprono nuovi uffici conquistando tutti i mercati un
tempo nelle mani degli europei.
Quando gli USA entrano in guerra diminuisce la produzione di film ma si continua comunque ad
andare al cinema, a differenza di quanto avveniva in Europa dove i cinema stessi potevano divenire
luoghi pericolosi di attentati.
All'indomani della guerra in Europa fiorisce una grande richiesta di film.
Ma l'Europa non è in grado di rifornire il proprio pubblico a differenza invece degli Stati Uniti.
È a questo punto che la leadership del mercato cinematografico si sposta dall'Europa agli Stati
Uniti. L'industria cinematografica statunitense si fa sempre più ricca.
Nel momento in cui si commercializzano i film statunitensi sui mercati stranieri, gli USA adottano
pratiche sleali e proibite:
• Block booking: vendita di film a pacchetti. Si lega la cessione di un titolo forte (ad esempio il
film di Harry Potter) all'acquisto di altri titoli di scarsa qualità o che non interessano agli
esercenti. Pratica ancora oggi usata.
• Blind booking: vendita del film alla cieca (io ti do un film e tu lo vuoi perché io sono uno dei
principali produttori cinematografici al mondo, ma tu non sai niente del film che io ti vendo).
In Europa si prende coscienza di questo cambio di leadership. La guerra è stata sicuramente un
elemento disgregante, poiché viene meno qualsiasi forma di collaborazione. Matura la
consapevolezza di questo antagonista che è l'industria americana.
In Europa, tuttavia, inizia ad emergere una nuova concezione di film visto come "arte visiva" e si
comincia a riconoscere gli aspetti sociali del cinema. Quest'ultimo infatti mette a tema i tratti di una
società, la sua identità, le sue ambizioni e frustrazioni.
Invece negli Stati Uniti il cinema è sempre più legato al commercio. Questo venne supportato
inoltre dalla Corte Costituzionale americana che nel 1915 non definì il cinema come "mezzo di
comunicazione di massa" ma come semplice industria.
Il film, dunque, in Europa diventa sempre più legato e radicato alla cultura di un Paese. Per questo i
film diventano meno esportabili: uno spettatore straniero può non comprenderli o non essere
interessato. Questo chiude all'Europa la strada dello sfruttamento commerciale dei propri film
all'estero.
Negli USA la struttura del cinema diventa verticale.
Chi distribuisce film è anche produttore e proprietario di sale, in una visione sempre più strategica. I
soggetti diventano sempre più forti. Il vantaggio di questa struttura consiste nel fatto che chi fa un
film di sicuro ha lo sbocco sul mercato, perché almeno una sala cinematografica lo proietterà. Il
film ha un accesso diretto al mercato.
Il cinema ridefinisce sia un linguaggio che un’industria. Dai primi anni del ‘900 si definisce una
struttura di distribuzione e di esercizio e si vanno a definire le figure canoniche della filiera del
cinema.
Tre fasi della filiera del cinema (filiera: in che modo è organizzato il media. Catena del valore,
ricostruisce il valore di una storia):
1. Produzione
2. Distribuzione
3. Esercizio (teatri, sale)
Poiché ci sia il valore, c’è la necessità che il valore si generi attraverso questi tre passaggi.
All'inizio negli USA la sede dell’industria cinematografica era a New York. Poi negli anni ‘10 del
1900 viene spostata lontano dai centri culturali, a Los Angeles, in California. Perché in California
c'è il sole ed è più facile fare le riprese, le giornate sono più lunghe, la vita costa meno (il che
comporta anche una diminuzione dei costi per la produzione di un film), e importante era anche il

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fatto che non c'erano unioni sindacali che tutelassero un salario minimo per gli operai. Tutti questi
aspetti ricordano il mondo dell’industria.
Altro elemento importante fu l'avvento del parlato. In Europa lo aspettavano con ansia perché
immaginavano che avrebbe imposto delle barriere. Un film americano non sarebbe mai stato
proiettato in Italia perché in lingua inglese. Per questo motivo gli Stati Uniti lo temevano. Inoltre,
non si sapeva se gli attori sapessero parlare in un film e non si sapeva il tipo di impatto che
avrebbero avuto.
L'Europa produce film molto radicati alla tradizione. Inoltre, con il parlato si ha la diffusione dei
vari dialetti: il film diventa ancora meno esportabile. Gli USA, nel frattempo, devono investire
ancora di più per doppiare i film, ma questo in realtà li rende ancora più aggressivi perché vogliono
recuperare tutti gli investimenti fatti. L'avvento del parlato rafforza la struttura americana che si era
creata.
L' Europa come reazione impone restrizioni ai film stranieri (es. per ogni film americano proiettato
in Italia, gli americani avrebbero dovuto sostenere la produzione europea).
Tutto ciò nel breve termine riesce a contenere il successo dei film americani, ma alla lunga rafforza
lo
stesso mercato americano perché si crea un filtro che permette solo ai film americani più belli di
entrare nel mercato europeo: si rafforza l’idea che i film americani siano i migliori e di qualità.
Negli anni ’20 si comincia a definire un oligopolio di un nuovo tipo, uno Studio System, dove il
potere è detenuto da una serie di imprese e società che hanno nella produzione cinematografia il
loro core system. Questo oligopolio è un cartello molto più efficace rispetto a quello dell’MPPC.
Forma di organizzazione di tipo fordista, produzione in serie di numero elevato di film con precise
regole. Si realizzano film in serie con costi diversi, destinati a pubblici diversi. Ciascun studio
produce film con regole diversificate rispetto al tipo di pubblico, i costi, delle proprie specificità
ecc. Dunque, ci sono dei tratti stilistici caratterizzanti.
• Studio System: serie di imprese nuove fuori dal cartello creato dall’MPPC, voglio mettersi
in contrapposizione con esso. Basano infatti la loro produzione ad Hollywood, non era certo
il centro economico e culturale degli USA, e vanno a definire in maniera più precisa
l’oligopolio: numero limitato di imprese che controlla il mercato della produzione
cinematografica, prima negli USA poi nel mondo.
• Oligopolio. 8 imprese:
o Big Five: Paramount, 20thCentury Fox, Warner Bros., MGM, RKO; Queste
presentano una struttura di piena integrazione verticale (fondamento del grande
successo e capacità del cinema di Hollywood di controllare un mercato interno molto
grande e in una sorta di circolo virtuoso). Possono sostenere economicamente questi
film molto costosi attraverso marketing che rendono forti, visibili, conosciuti i miei
divi.
o Little three: Universal, Columbia e United Artists (società fondata da Charlie
Chaplin). Si chiamano little three perché spesso controllano la produzione, ma non la
distribuzione.
• Integrazione verticale. Le Big Five controllano la produzione, la distribuzione e l’esercizio
di film. Cominciano una serie di pratiche più o meno scorrette, molto simili a quelle
dell’MPPC, queste pratiche rinforzano l’oligopolio e tengono fuori i concorrenti.
o Meccanismi di block-booking: ciascun film, sia valido o meno ovvero più riusciti o
meno, trova sbocco nelle sale, in quanto quest’ultime sono controllate dai produttori
dello stesso film. Dunque, comunque viene prodotto il film, bello o brutto, si
generano dei ricavi. Quest’ultimi verranno poi utilizzati per film che genereranno
guadagni molto alti. Costo medio per ciascun film (in America).
o Adesso molti film investono molto nel divismo e in altri aspetti al fine di ottenere
ricavi enormi. La dimensione conta: più si investe, più si guadagna.

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o Il modello americano viene posto in questo periodo e fondamentalmente rimane
ancora così.
• Sistema dei generi. Specializzazione e standardizzazione del genere al fine di produrlo in
serie. Alcuni studios si specializzano in determinati generi per avere il maggior successo.
Es. la Universal si lega ai film horror.
• Star System. Sistema di divi che iniziano a vivere non solo nelle pellicole dei film, ma anche
al di fuori. Il sistema dei media inizia ad alimentare un immaginario che parte dal cinema
ma poi arriva alla realtà, per esempio attraverso una serie di riviste (Motion Picture Story
Magazine), magazine illustrati che indagano e raccontano la vita dei divi. (es. Mary
Pickford, si racconta della sua vita).
• Studio Look. Stile visivo imposto dai diversi studios. Caratteristiche formali di uno studio.
Diversi studios producono un musical (ad es.) ma ciascuno lo fa con i propri metodi.
• Predominio globale. Il cinema americano fra le due Guerre Mondiali ha il predominio. Il
cinema italiano non si era dotato di una struttura industriale quindi le varie case
cinematografiche italiane vengono spazzate via dalla guerra. Tuttavia, negli anni ’30,
Mussolini decide che il cinema rappresenta l’arma più potente. Pertanto, crea istituzioni ex
novo al fine di dare carattere propagandistico al cinema. Nascono una serie di istituzioni
come la scuola di cinema, Cinecittà, formazione di professionisti. Grandi investimenti,
universalità delle storie e appeal su audience diversificata
Il cinema americano controlla non solo il mercato interno ma anche quello internazionale:
americanizzazione dell’industria culturale. Gli USA portano un’american way of life attraverso il
soft power del prodotto audiovisivo (prima il cinema, poi la TV).
Nel 1929 scoppia la crisi. Non è un momento facile ma il cinema americano riesce a uscirne alla
grande. Il presidente Roosevelt adotta un piano che consente all'industria di autoregolamentarsi per
una rinascita dell’economia nazionale. Quindi lo Stato si pone garante della sicurezza del
consumatore ma lascia pieno spazio alle industrie per organizzarsi e autoregolamentarsi per
riavviare l'economia nazionale. Questo consente all'industria di sopravvivere. Si forma questa
alleanza strategica tra l'industria del cinema e il governo. Non fu un'alleanza partitica.
L' industria del cinema risponde sposando la politica del New Deal di Roosevelt: i film cominciano
ad avere tutti il classico "happy ending".
Inoltre, il cinema comincia a regolamentarsi a livello di contenuti. Il governo si taglia fuori e nel
frattempo l'industria del cinema crea autonomamente dei propri codici e si autocensura.
Nasce una rinnovata attenzione da parte dei governi verso il cinema, che diviene importante per i
politici perché ritenuto in grado di veicolare immagini e messaggi ad un pubblico di massa.
Rilevante è ad esempio un passo dell’enciclica del 1936 di papa Pio XII, uno dei documenti più
lucidi sulla situazione di quegli anni. Il papa sottolinea che il cinema è accessibile a tutti, che
interviene nella nostra intimità, sul nostro subconscio. Esso può fare del bene ma anche del male.
Per questo incentiva l'azione di tante associazioni cattoliche. Inoltre, in questi anni la televisione
non c'è ancora quindi l'attenzione è tutta puntata sul cinema e sui suoi effetti sulla società.
Successivamente scoppia la Seconda guerra mondiale.
Questa ripropone gli scenari creatisi con la Prima guerra mondiale. L' Europa è di nuovo teatro di
guerra, a differenza degli Stati Uniti, dove l'industria continua a lavorare.
Ancora una volta all'indomani della guerra ci si trova davanti ad una grande richiesta di film ed
ancora una volta l'Europa non è in grado di soddisfare il suo pubblico. Ma ci sono gli USA alla
porta: il pubblico, inoltre, ormai si è abituato al modello americano e richiede proprio film
americani.
Anche oggi la leadership degli Stati Uniti è universalmente riconosciuta.
Si formano discrepanze però nei rapporti tra cinema e governo, infatti lo stesso Roosevelt, che gli
anni prima aveva aiutato l'industria del cinema, nel suo secondo mandato dichiara guerra ai
monopoli e agli oligopoli. Le 6 majors finiscono sotto processo. Con la guerra questo processo
viene congelato poiché ci sono altre priorità.
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Tuttavia, ci si rende ancora più conto che il film è diventato un modo per aprire il mercato a più
prodotti e un mezzo per diffondere e veicolare lo stile di vita e i valori della società americana (ad
esempio l'idea di abbondanza, di libertà, di ricchezza). Si forma ancora sodalizio tra cinema e
istituzioni. Il cinema sposa a pieno la missione che le industrie governative chiedono.
Gli Stati Uniti con il Piano Marshall mandano aiuti economici all' Europa. Questi aiuti economici
vengono vincolati alla proiezione dei film americani nelle sale europee: "Se volete i nostri soldi
dovete prendere i nostri film". Film che veicolano i valori della società americana ed inoltre fanno
pubblicità ai prodotti americani che poi gli spettatori ritroveranno nei supermercati.
In realtà pochi film rientrano nel Piano Marshall, però i produttori americani sostengono a pieno
l'idea di utilizzare i film per promuovere i valori e lo stile di vita americano.
Modello classico
Sequenze film Ave Cesare, degli anni ’50, che racconta il momento di splendore massimo ma anche
progressiva decadenza. Messa in evidenza dei fattori che hanno reso il cinema hollywoodiano tale.
Raccontati con una certa ironia, ci sono i pilastri della macchina del cinema americano.
Il film è molto divertente e ironico, tuttavia vengono dette molte cose sul modello classico
hollywoodiano
1. Il sistema dei generi. Il fatto che ci si specializzi in un genere preciso (es. film storico,
musical acquatico, western, sofisticated comedy). I generi vengono riprodotti all’interno di
uno studio cinematografico. Diversi attori, diversi registi.
2. Il modello della fabbrica è il modello fordista. Lo studio cinematografico è una fabbrica.
Fordismo: fabbrica nata negli USA che produce automobili con il sistema di catena di
montaggio, allo stesso modo viene prodotto il film.
3. Il cinema hollywoodiano preserva la dimensione di meraviglia che aveva fatto nascere il
film. All’interno del film ci sono dei movimenti molto arditi: tutto ciò che scatena stupore.
4. Il divismo. Gestione dei divi: il pubblico si deve identificare con le attrici e gli attori, benché
la loro vita privata sia incasinata. Questo non deve trasparire. Ancora oggi è un grande
pilastro hollywoodiano. La figura dell'attrice Florence Lawrence è protagonista di uno
scandalo: un film con questa attrice doveva essere prodotto. Il produttore diffonde la notizia
che l'attrice è morta. Tutti diventano consapevoli del fatto che stava per uscire il film con
quell'attrice. Successivamente la notizia verrà smentita. Nel frattempo, il produttore ha fatto
pubblicità al suo film.
5. Il produttore (direttore degli studi). Cerca di far funzionare le cose, trovare delle soluzioni,
sistemare le cose. Questo rispecchia il modello di cinema americano, dove tutto è sottoposto
al produttore. Il produttore tiene le fila di tutta la produzione, macchina che tiene le fila di
tutti. L’industria del cinema ha una struttura gerarchizzata: prima il produttore, poi il regista.
6. Fattore economico. Chi sta dietro.

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12. LA RADIO E IL SUO SVILUPPO

Non è possibile dare alla radio una sola definizione. Possiamo considerarla sotto diversi punti di
vista:

Dimensione tecnologica
Possiamo prenderla in considerazione come tecnologia, cioè come l'apparecchio fisico che mi
consente di captare una serie di segnali di emittenti radiofoniche e che permette così di ascoltarla.
L'oggetto fisico comincia la sua storia con aggeggi di dimensioni considerevoli per arrivare poi alle
radioline portatili. É innanzitutto un device tecnologico. Funziona attraverso una specifica modalità
di trasmissione, cioè attraverso le onde radio che sono particolari bande di frequenza dello spettro
magnetico che il segnale codificherà e trasformerà in suoni e parole. È una modalità di trasmissione.

Dimensione istituzionale
La radio come istituzione è un sistema produttivo, un medium che diventa industria e mercato. Si
possono scegliere tra le emittenti quali radio si vogliono sentire. É un modo di comunicare. É un
tipo di linguaggio che passa esclusivamente dal canale sonoro.

Dimensione testuale
La radio vista come insieme di emittenti caratterizzate ciascuna da una propria identità e un insieme
di programmi che adottano un linguaggio specifico che tiene conto della natura del mezzo (es. non
si può stare un minuto in silenzio in radio perché non rientra nel suo linguaggio). La radio doveva
costruire una drammaturgia a partire solo dal sonoro.

Dimensione del consumo / del pubblico


Per quanto riguarda la dimensione del pubblico si può dire che la radio indica una comunità di
ascoltatori, un gruppo di fruitori che si sintonizzano sulla stessa emittente e sono fedeli ascoltatori
di un certo tipo di programmi.

Tutto ciò arricchisce la definizione di radio.


Si parla di radio anche per indicare una serie di discorsi sociali (nella radio sono presenti analisi,
riflessioni, interviste) che almeno nei primi anni della sua diffusione erano sentiti come qualcosa di
veritiero, che davvero rappresentava la società ("l'ho sentito alla radio e quindi è vero").
Gli ascoltatori inoltre erano uniti dalla ritualità di stare ad ascoltare questo medium.
Quindi il termine "radio" rivela una molteplicità di significati.
L'evolversi della radio e la sua storia gioca su tutte queste dimensioni. Segue un certo numero di
passaggi e svolte anche improvvise, inaspettate e impreviste attivando le dimensioni tecnologica
(fondamentale in un primo momento della sua storia, adesso invece la tecnologia della radio è quasi
svanita, poiché la si ascolta sullo smartphone), istituzionale (fondamentale in alcuni passaggi della
storia come le dittature e i totalitarismi, durante i quali era usata per controllo e propaganda) ,
testuale (importante come portatrice di innovazione linguistica) e del pubblico.
Queste sono le dimensioni attraverso cui si articola la sua storia, che si può sintetizzare in 4 grandi
fasi/ svolte storiche che si susseguono in quest'ordine ma presentano anche momenti di sfasamento,
sovrapposizione, confusione:
1. Radiotelegrafia
2. Medium domestico (centrale nella casa)
3. Medium individuale e personale
4. Medium convergente (approdo della sua storia, all' interno di un processo più vasto di
convergenza che coinvolge tutto il sistema dei media)

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La radio anticipa la televisione, che è intesa come una radio con immagini. Le prime trasmissioni,
infatti, nascono dai network radiofonici. Entrambe si inseriscono all’interno di un sistema composto
da:
• Relazione tra il pubblico e l’emittente, poiché non esisterebbe se non ci fosse il pubblico.
• Organizzazione dei palinsesti
• Reazioni della critica (e quindi dai discorsi)
• Rapporto tra ciò che si trasmette (il testo), quando lo si trasmette (i palinsesti), in quale
ambiente (il contesto) e attraverso quale mezzo lo si fa (il dispositivo).
Il linguaggio radiotelevisivo racchiude le forme culturali attraverso cui i due media elettronici, che
sono la radio e la televisione, comunicano e trasmettono a un pubblico, più o meno vasto, contenuti
e messaggi.
La radio è un electronic medium (audion, transistor, microchip). Valvola elettronica, utilizza
l’energia elettrica (il cinema utilizza la pellicola, la televisione un tubo catodico). Linguaggio
audiovisivo: cinema e televisione utilizzano le immagini in movimento. Ha una funzione sociale,
poiché consumata in pubblico. Possiamo assistere nel momento in cui avviene il fatto (diretta).
Conversazionale, poiché è in diretta relazione con i consumatori. Non c’è la finzione, quanto meno
è verosimile. Dimensione interattiva.
La radio nasce come comunicazione punto a punto, la televisione come comunicazione di massa.
L’utilità era di mettere in comunicazione due persone che ascoltano e mandano. Nel momento in cui
diventa un medium, diventa comunicazione di massa unidirezionale: un emittente a più riceventi.

La nascita: la radiotelegrafia
L’invenzione della radio fa parte di un lungo processo e trova in Marconi una ingegnerizzazione. Il
telegrafo senza fili, non radio. Marconi emancipa il telegrafo dal filo.
Nel 1873, James Clerk Maxwell scopre le onde elettromagnetiche. Nel 1877, Heinrich Hertz
produce onde elettromagnetiche artificiali. Nel 1895, Guglielmo Marconi ingegnerizza le onde di
Hertz.
La data di nascita è il 1895. L' inventore è l'italiano Guglielmo Marconi. È lui che sviluppa la radio.
È importante però sottolineare che quello che inventa Marconi è solo uno strumento tecnologico,
molto diverso da ciò che noi oggi intendiamo come radio.
La radio del 1895 è quello che venne chiamato e chiamiamo telegrafo senza fili.
Marconi sviluppa le tecnologie necessarie per realizzare la possibilità di trasmettere un messaggio
punto a punto sfruttando le onde radio (via etere) senza bisogno di fili o cavi. Però stiamo parlando
di un mezzo di comunicazione bidirezionale, fra due punti (A comunica a B e B può rispondere ad
A con un altro messaggio senza bisogno di tirare dei cavi).
Resta il fatto che si tratta di un mezzo di comunicazione non di massa ma interpersonale, consente
cioè di trasmettere messaggi tra due punti con una modalità di feedback, di risposta. É un telegrafo
senza fili non la radio odierna. Inoltre, ancora non è in grado di trasmettere voce ma utilizza il
codice Morse, un sistema di linee e punti utilizzato e decifrato da persone che conoscono questo
alfabeto. Questo è il modo attraverso cui si comunicano i messaggi.
Marconi inventa uno strumento tecnico e utilizza le onde radio per trasmettere i messaggi, ma
comunque parliamo di un mezzo bidirezionale e di una trasmissione in codice morse. Il progetto di
Marconi venne rifiutato sia dalla Marina italiana sia dal Ministero delle poste. Marconi si rivolge al
governo britannico, che accette il suo progetto per aumentare gli scambi comunicativi, e quindi
commerciali, con gli Stati Uniti. Da quel momento in poi, il telegrafo senza fili inizia ad essere
installato su tutte le navi: i telegrafisti cambiano nome in marconisti.
La prima manifestazione visibile di utilità della radio si ebbe al momento dell’affondamento del
Titani, nel 1912. David Sarnoff, un marconista americano intercettò l’SOS da parte della nave.
Sarnoff, da semplice funzionario della filiale americana della Marconi Company, fondata da
Marconi proprio in Gran Bretagna, divenne il primo presidente della Radio Corporation of America.

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La radio è il primo strumento di comunicazione che non richiede alcun tipo di supporto materiale,
utilizza una rete naturale (le onde elettromagnetiche) e necessita di un apparecchio trasmittente e di
uno ricevente.
Nel 1901 viene stabilito per la prima volta un collegamento radio transatlantico mettendo in
comunicazione la Cornovaglia con Terranova (in Canada). Ancora c'è il morse, ma questa
possibilità di trasmettere messaggi da una parte all' altra dell'oceano senza bisogno di cavi è un
cambiamento importante.
Nel 1906 Lee De Forest introduce nella radio la valvola termoionica, il triodo, detto anche audion,
che permette di trasmettere la voce. L’audion permette di trasmettere la voce umana registrata in
modo simultaneo invece del codice Morse. L’audion viene posto all’interno del telegrafo senza fili.
La radio non è ancora di massa. Con Lee De Forest continuiamo a parlare ancora di radiotelegrafia.
Nel 1906 si ebbe la prima trasmissione radiofonica, durante la quale Lee De Forest trasmise una
canzoncina.
Il combinato di tutto ciò fa si che la radio venga istantaneamente adottata per la comunicazione su
grandi distanze o in tutti quei casi in cui è difficile stabilire reti fisse di comunicazione con i cavi.
L'utilizzo di questo primo tipo di radio diventa comunissimo nei settori commerciali e militari.
Soprattutto nel caso della marina diventa uno strumento fondamentale. Fu una tecnologia utilissima,
inoltre, in contesto di guerra.
Durante la Prima Guerra Mondiale si producono industrialmente i triodi per facilitare le operazioni
di guerra tra i vari reparti (punto a punto). La radio nasce per necessità belliche. I radioamatori sono
persone che studiano la radio e installano radio ricevente e radio emittente. Dopo la guerra si
iniziano a produrre solo macchine riceventi perché costano meno. Possono essere acquistati da
persone comuni. Nasce la radio. Molti imprenditori investono sulle stazioni radio (modo per fare
soldi). Introdurre gente ad acquistare prodotti, veicolare pubblicità. Nasce per esigenze di tipo
commerciale come comunicazione di massa piramidale. Basso costo con cui si trasmettono i
contenuti (attraverso etere).
Questi utilizzi eccezionali della radio però ne testimoniano l'importanza. Si tratta di una
comunicazione punto a punto. Lo strumento di comunicazione fra persone e non ancora strumento
di comunicazione di massa. In realtà una "versione", un lato della radio ancora oggi è utilizzato in
questo modo (i radioamatori, il sistema di comunicazione dei camionisti, i walkie talkie). Non è una
fase chiusa.

Il broadcasting
Bisogna aspettare i primi anni 20 del 1900 per arrivare allo sviluppo del modello di radio odierno.
Non si ha una data precisa di sviluppo, ma il modello cambia nel tempo e più imprese capiscono
che la radio ha molte altre potenzialità e che può diventare qualcos'altro. Anche con l'editoria
succede: nell'editoria si sviluppa un pubblico di massa che ha necessità di informazione e di una
partecipazione più attiva alla vita sociale e politica.
David Sarnoff, un impiegato della RCA, ha individuato la possibilità dello sviluppo della radio
come una scatola musicale radiofonica (Radio Music Box). Tuttavia, questo è solo un aneddoto.
Comunque in questi anni si capisce che la radio può fare anche dell’altro: può diventare uno
strumento di comunicazione contemporanea da uno a molti e può risolvere le necessità di un
pubblico di massa e di un mercato che si sta sviluppando. Inoltre, gli investitori pubblicitari ne
vengono sempre di più attratti. Tutto ciò diventa un grimaldello per il passaggio al broadcasting (dal
verbo inglese "to broadcast" che richiama il gesto del contadino che semina gettando le sementi il
più lontano da se, semina larga).
Il broadcasting ha una struttura piramidale di contenuto generalista, in cui si investono grandi
quantità di denaro per poco contenuto per raggiungere tante persone. Il suo opposto è il
narrowcasting, dove si investono piccole quantità di denaro per produrre tanto contenuto destinato a
poche persone.

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É un sistema di diffusione di contenuti/testi/ prodotti culturali da uno a molti. A differenza della
precedente dimensione bidimensionale, quella del broadcasting diventa una dimensione
monodirezionale, ovvero da emittente a ricevente, dove i riceventi non hanno canali di ritorno e si
limitano ad ascoltare. Questo consente di innestare una forma di trasmissione di contenuti
simultanea e indifferenziata.
Introduce la possibilità della diretta: trasmettere dei contenuti che possano essere fruiti
contemporaneamente e nel momento stesso in cui avvengono (contemporaneità tra emissione e
ricezione).
Inoltre, il terreno non può rifiutarsi di ricevere questi semi, ovvero si può spegnere la radio ma non
si può escludere nessuno. Si ha una trasmissione indifferenziata, nella quale tutti possono sentire
questa trasmissione e ricevere questo messaggio contemporaneamente agli altri.
Questa è una modalità di comunicazione di massa radicalmente diversa da quella che l'ha preceduta.
Lo scarto sta nel fatto di rivolgersi non ad un pubblico selezionato ma ad uno molto più ampio:
ognuno riceve il messaggio contemporaneamente al resto del pubblico ed è disperso in vari punti
diversi. Il pubblico non si trova in uno stesso luogo ma è separato ed è riunito solo dal fatto di
ascoltare gli stessi messaggi nello stesso momento. Si viene a creare una comunità immaginata
(come disse Benedict Anderson) in cui si aggiunge la dimensione della contemporaneità (cosa che
non avviene ad esempio coi giornali).

I modelli del broadcasting


Il modello di broadcasting si sviluppa seguendo due diverse strategie: il modello americano
commerciale e il modello europeo del servizio pubblico.
Il modello americano
Cerca subito di sfruttare le potenzialità economiche della Radio Music Box. In questo modello le
radio sono private e c'è fin da subito concorrenza fra network e reti locali con precisi interessi
commerciali. Fin dall'origine il pubblico può scegliere tra diverse stazioni radio (all'inizio poche)
sintonizzandosi su quella che gli piace di più. Vi è da subito una competizione e una concorrenza
commerciale: ogni radio cerca di convincere il maggior numero di ascoltatori a sintonizzarsi.
Il modello europeo
All’inizio è completamente diverso. La radio è pubblica, un bene collettivo che viene preso in
carica dalle istituzioni. Idea di servizio pubblico. La sua missione non è soltanto commerciale, ma
anche e soprattutto pedagogica: si cerca di dare agli ascoltatori gli strumenti essenziali per
un’elevazione culturale e per renderli cittadini consapevoli. La radio in senso europeo parte da un
regime di monopolio giustificato dal fatto che le frequenze sono scarse. Non c'è la possibilità di
dare accesso a tutte le frequenze; quindi, lo stato avoca a se le frequenze e decide di trasmettere solo
il suo canale (all' inizio uno, poi di più).
Questi due sono modelli molto distanti tra loro che si contamineranno negli anni successivi.
Il sistema radiofonico e poi televisivo in Italia e in Europa diventerà un sistema misto che manterrà
una parte di servizio pubblico e una parte invece commerciale. La televisione poi nascerà dalle
stesse industrie e strutture della radio.

Cosa vuol dire servizio pubblico?


Vuol dire tante cose. Vuol dire che l'organismo, il mezzo in questione viene gestito da organismi
pubblici (stato, governo o istituzioni stabilite da stato e governo). Ma vuol dire anche servizio
universale che punta a raggiungere l’intera comunità nazionale. Tutti i cittadini di una nazione
devono poter sentire la radio perché il servizio pubblico ha un forte legame con la società e con la
politica della comunità nazionale, e fornisce gli stessi contenuti alla maggior parte delle persone che
ne fanno parte.
Ci sono quindi due lati da prendere in considerazione:
• Da un lato l'elevazione culturale
• Dall'altro il valore strategico nel contesto dei regimi totalitari.
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McLuhan analizza bene quello che è stata la radio nei regimi totalitari. Secondo lui è stata utilissima
per la costruzione di un consenso viscerale (lui chiama la radio tamburo tribale), per trasmettere le
proprie ideologie alla nazione spesso con uno strumento che fa insieme sia intrattenimento sia
propaganda.
Negli Stati Uniti, la radio viene subito legata ad attività commerciali, svolta da colossi o da piccoli e
medi privati. Inizialmente (negli anni ‘20 e ‘30 del 1900) le trasmissioni sono finanziate dai
produttori degli apparecchi radiofonici (non dalla pubblicità) e gli introiti sono costituiti dalla
vendita dell'hardware, dell'apparecchio radiofonico. Si trasmettevano programmi radiofonici per
invogliare i cittadini ad acquistare gli apparecchi prodotti in modo serializzato e messi sul mercato
dalla fine della Prima guerra mondiale. Il principale obiettivo, quindi, è far acquistare apparecchi
radiofonici. Una volta che il mercato è saturo (i costi si abbassano), la prima e unica fonte di entrata
per le radio sono le pubblicità che, così come con la stampa, fiutano le potenzialità commerciali del
mezzo. Dopo si arriverà ad un sistema di network finanziati dalla pubblicità. Inizialmente il segnale
radio viaggiava sulla banda AM (banda di modulazione di ampiezza). Le reti locali iniziano a
interconnettersi fra loro e a costituire un network nazionale, che è rimasto anche oggi. La prima
radio che nasce è la NBC, seguita dalla CBS. Oggi questi sono network televisivi ma sono nati
come network radiofonici. Ecco, quindi, un apparecchio che nasce in funzione del mercato ed è
quindi subito libero da qualsiasi connotazione governativa, istituzionale o politica.
Nel 1897, Marconi fonda la Wireless Telegraph and Signal Company in seguito al riconoscimento
inglese del brevetto per la trasmissione senza fili. La ditta aprì la prima fabbrica a Chelmsford nel
1898 e inizia la ricerca e la produzione di vari dispositivi di trasmissione, poi utilizzati per la radio,
la televisione, i radar, ecc. Nel 1900 fu rinominata Marconi’s Wireless Telegraph Company e The
Marconi Company nel 1963. Dalla filiale americana della Marconi, nasce la Radio Corporation of
America (RCA) nel 1919, produttrice di apparecchi radiofonici e delle prime trasmissioni negli Stati
Uniti (produce sia apparecchi che contenuti). Nel 1927, il Radio Act permette a chiunque fosse in
possesso di una regolare licenza di ottenere una frequenza per trasmettere un programma
radiofonico. Lo Stato lasciava totalmente in mano ai privati la possibilità di trasmettere ciò che
volevano, senza interferire sui contenuti, ma lasciando per sé la possibilità di gestire la concessione
delle licenze e delle frequenze sotto un’autorità federale, la Federal Communications Commission.
Il sistema radiofonico americano si organizza subito in due grandi network: NBC e CBS, che
diventeranno poi anche network televisivi. Nel 1926 nasce la NBC, National Broadcasting
Company e nel 1927 la CBS, Columbia Broadcasting System.
Si installano ripetitori, che ripetono le frequenze di segnale secondo degli accordi con emittenti
locali, che possono produrre nelle fasce orarie i loro programmi di natura locale.
Il modello europeo di broadcasting si costituisce seguendo forme del tutto opposte: è fondato suk
monopolio statale, finanziato da un canone di abbonamento, che esclude il diritto di trasmissione da
parte dei privati, così come (per il momento) l’ingresso della pubblicità. I regimi totalitari europei
applicano questo modello per fini propagandistici, mentre le democrazie si stabiliscono su un
modello di “servizio pubblico” più di stampo pedagogico o culturale. Nel 1922 iniziano a Londra le
trasmissioni sperimentali della British Broadcasting Company. Nel 1927, John Reith (direttore
generale) ottiene il monopolio per le trasmissioni televisive: nasce ufficialmente il primo modello di
servizio pubblico, su cui si baseranno i principali paesi europei, fondato sulla triade informare,
educare, intrattenere.

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Modello americano Modello europeo
Iniziativa privata Monopolio

Mercato Servizio pubblico

Pubblicità Politica

Intrattenimento Pedagogia

Il caso italiano (1924 – 1927)


Nel 1923 il re affida allo Stato l’esclusiva sulle radioaudizioni circolari da esercitare tramite società
concessionaria. Nel 1924 la Marconi Company crea l’URI (Unione Radiofonica Italiana), che
diventa concessionaria unica dello Stato. Il 6 ottobre del 1924 iniziano le trasmissioni dell’URI
(Unione Radiofonica Italiana). Nel 1927 l’URI si trasforma in EIAR (Ente Italiano Audizioni
Radiofoniche), amplia i suoi impianti di trasmissioni, e nel 1929 produce il primo radiogiornale.
Nel 1944 l’EIAR cambia nome in RAI (Radio Audizioni Italiane).

Ma alla radio italiana cosa succede durante il fascismo?


C'è moltissima programmazione leggera. Si ha un impulso allo sviluppo di un’industria musicale
nazionale e si mandano in onda spettacoli comici, canzoni, musica colta e popolare: ovviamente
tutti spettacoli innocui dove non c'era dissenso (il dissenso non era ammissibile).
Per questo motivo la radio si diffonde in maniera capillare sia nelle case sia nei luoghi pubblici. La
programmazione leggera è stato lo zuccherino attraverso cui è passata un'informazione totalmente
controllata dal regime. Inoltre, era uno strumento di propaganda diretta attraverso cui passavano i
discorsi del Duce e le grandi cerimonie e avvenimenti del fascismo, i quali venivano ascoltati da
tutta la comunità nazionale. Fu enorme l'importanza della radio nello sviluppo e nel mantenimento
di un regime come quello fascista.

Medium domestico
È in questi anni che la radio diventa un medium domestico, sia negli stati democratici che in quelli
totalitari. Viene ancora fruita negli spazi pubblici, ma entra anche nelle case e costituisce il focolare
domestico.
La radio comincia ad occupare stabilmente questo posto centrale. Attraverso la radio passano gli
eventi di importanza nazionale. Nasce un pubblico separato fisicamente, ma unito dal fatto stesso di
ascoltare assieme lo stesso programma. Diventa un grande collante sociale che diventa anche
collante politico sia in senso democratico sia totalitario.
A partire dal 27 settembre 1938, la BBC inizia a trasmettere dei programmi radiofonici indirizzati
alle popolazioni europee continentali, note in Italia con il nome di Radio Londra. Le trasmissioni in
italiano di Radio Londra duravano quattro ore giornaliere: si aprivano con la quinta Sinfonia di
Beethoven e venivano trasmesse sulle frequenze di Radio Bari. Il ruolo in guerra di Radio Londra
diventa cruciale, sia per rassicurare i cittadini italiani circa l’imminente liberazione, sia nello
spedire messaggi speciali in codice, redatti dagli Alti comandi alleati e destinati alle unità della
Resistenza italiana. La BBC ha continuato a trasmettere in italiano L’ora di Londra ogni sera fino al
31 dicembre 1981.
Nell’ottobre 1938, il ventitreenne attore americano Orson Welles interpreta alla CBS un romanzo di
fantascienza di H. G. Welles, “War of the Worlds”. La messa in onda dello sceneggiato radiofonico,
che simula un notiziario speciale, scatena il panico tra molti spettatori che credono in una reale
invasione aliena in New Jersey. Ne risulta un’enorme pubblicità per il regista, che porta la casa di
produzione RKO ad offrirgli un contratto per la realizzazione di tre film da regista.
40
Dopo la Seconda guerra mondiale crollano i regimi.
Nel 1944 nella parte di Italia liberata dagli americani nasce la RAI (Radio Audizioni Italiane)
perché diventa necessaria una cesura dall'EIAR. Nasce una nuova radio controllata non più dal
governo ma dai partiti con l'idea che in una democrazia parlamentare bisogna che siano
rappresentate tutte le forze politiche. La radio in realtà prosegue sulle linee tracciate dal fascismo,
ma potenzia la parte di educazione culturale elitaria, con l'idea di elevare il pubblico e dargli degli
strumenti, quindi educarlo. Nel 1954 però nasce la televisione, di cui si occuperà la stessa RAI, e
che avrà un impatto piuttosto forte anche se non immediato. Già a fine anni ‘50 la radio sarà
rimpiazzata dalla televisione.

Medium individuale
La radio è quindi costretta dall'avvento della televisione (fenomeno che avviene
contemporaneamente nel mondo tra fine anni ‘40 e inizio ‘50) a ridefinire il suo ruolo.
Dopo una sua fase centrale si deve ridefinire nel senso di un mezzo individuale e personale.
Soprattutto negli anni ‘60 e ‘70 avvengono varie mutazioni su tutti i livelli:
• Livello tecnologico: passaggio dalla banda AM a quella FM e il transistor. Si rimpicciolisce
notevolmente la radio fino a renderla delle dimensioni di un pacchetto di sigarette,
diventando più individuale. Nasce inoltre l'autoradio (innesto della radio in uno dei più
importanti luoghi di fruizione della stessa, l'auto). Tutte queste trasformazioni hanno un
effetto sulla radio: diventa mobile, si moltiplica e diventa più facile da usare.
• Livello testuale/del pubblico: cambiano anche le cose sul piano culturale. Si inizia a
diffondere una popular music (pop) rivolta soprattutto a teenager e giovani che possono
ascoltare la propria musica senza la condivisione domestica. Nasce la figura dell'adolescente
come categoria commerciale, il teenager, area di mezzo fra infanzia ed età adulta che non
esisteva prima del boom economico.
• Livello istituzionale: la radio continua ad essere monopolista ma vengono fatti attacchi al
monopolio. Nascono radio pirata che situano la loro emittente al di fuori dei confini
nazionali e che coprono però ampie parti del territorio nazionale, che viene cosi minacciato
dalle presenze di altre radio (il caso di Radio Montecarlo: si trovava a Montecarlo, ma
trasmetteva in Italia e il governo italiano non poteva bloccarla). Queste radio pirata
cominciano ad adottare in Europa il modello commerciale americano. Per la prima volta i
giovani possono ascoltare un altro tipo di programmazione accanto a quella delle radio
nazionali.
La radio di fronte alla TV diventa simbolo della contestazione giovanile e il principale veicolo del
genere del rock’n roll. Viene introdotta la figura del disc jokey e nascono le prime radio musicali
con l’utilizzo di jingle e tormentoni.
Nel 1953, viene introdotta la Modulazione di Frequenza (FM). È una banda più costante, ma meno
ampia, in cui la modulazione è proporzionale, si ha una minore sensibilità ai disturbi e una
maggiore qualità di trasmissione.
Nel 1955arriva il transistor. Sono dei dispositivi elettronici inventati negli anni Trenta che possono
funzionare da amplificatori di segnali elettrici, oppure come interruttori elettronici comandati. Negli
anni Cinquanta iniziano ad essere sostituiti ai triodi (audion) più maneggevoli e meno costosi:
permettono di svincolare per la prima volta gli apparecchi radiofonici da fili elettrici, dunque di
portarli fuori casa. L’amplificazione lasciava a desiderare, così come la qualità del suono e
l’affidabilità complessiva: ma consumano di meno e, soprattutto, permettono di miniaturizzare gli
apparecchi. Con il termine, spesso, si indicano quelle piccole radio portatili a pile, prima
applicazione di questi dispositivi a raggiungere il mercato di massa negli anni Cinquanta.
Negli anni Sessanta nascono le “pirate radios”, come la Radio Luxembourg, Radio Caroline 1,
Radio Caroline 2, I Love Radio Rock. Nel 1966 nasce Radio Montecarlo.
Nel 1975, la RAI attua una riforma alla radio. Si ha un passaggio di controllo del servizio pubblico
dal Governo al Parlamento (nascita della “lottizzazione”). Si conferma il monopolio dello Stato
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sulle trasmissioni radiotelevisive. Si attua una stretta regolamentazione delle trasmissioni via cavo.
Si creano appositi spazi destinati a sindacati, confessioni religiose, movimenti politici, enti e
associazioni politiche e culturali, gruppi etnici e linguistici e altri gruppi di rilevanza sociale che ne
facessero formalmente richiesta (atto definito come “accesso”). Si costruisce una terza rete
televisiva, l’attuale RAI 3, maggiormente dedicata alla cultura e al decentramento regionale. Nel
1976 il monopolio viene definito incostituzionale e si ammette l’emittenza privata in ambito locale.
Avvengono dunque una serie di modifiche che portano la radio a spostarsi di lato.
Negli anni ‘70 nasce il fenomeno della deregulation e radio libere.
Si protesta dicendo che il monopolio dello stato non è legittimo. Si sviluppano altri studi
radiofonici, le radio libere, di impostazione politica, vogliono combattere il monopolio anche dal
punto di vista dell'informazione. Ci sono radio libere di molti partiti politici, ma anche di area
cattolica, i quali si distaccano dall'ufficialità della radio del governo. Queste radio sono dunque
legate a movimenti politici, studenteschi ecc. con l'obiettivo di fare contro-informazione (vi diciamo
le informazioni che la RAI non vi racconta).
Ma le radio libere non sono solo questo. Ci sono giovani che le dirigono e che stanno apprendendo
il mestiere. Essi hanno delle modalità di conduzioni più fresche e fanno scelte musicali diverse
(scegliendo anche musica proveniente dall'estero).
Negli anni ‘80 in Italia alcune di queste radio libere abbandonano la loro veste ideologica e da radio
artigianali diventano industriali e commerciali fino a costituire dei network nazionali anche in Italia.
Nascono nelle varie città diverse radio che sono tuttora network commerciali. Nasce il grande
sistema della radio cosi come la conosciamo adesso nell'ampio complesso italiano. Nascono quindi
dalle radio private e politiche.

La radio di format
Con i network commerciali arriva anche la radio di format (presente negli USA già dagli anni ‘50).
La radio monopolista è sempre stata fatta da programmi, secondo il modello classico. Negli anni
‘80 approda in Italia il modello che tuttora c'è, quello del format.
Il format è una formula commerciale di programmazione che stabilisce contenuti e stile
dell'emittente radiofonico con l'obiettivo di trovare e rivolgersi ad un target preciso, coinvolgendo
cosi gli investitori pubblicitari che puntano a quel target specifico. Il formato radiofonico è
completamente diverso dal format televisivo: quello radiofonico innerva tutte le 24 ore
dell'emittente 7 giorni su 7, quindi non è legato ad un singolo programma.
Nasce negli anni ‘50 il primo format, Top Forty, negli USA, cioè una radio che trasmette solo le
prime 40 canzoni nella classifica della settimana. Si sviluppa un’idea di radio sempre più personale
anche da questo punto di vista, che taglia il suo pubblico rispetto ai suoi interessi.
Poi nascerà la CHR (Conteporary Hit Radio) dove ci sono vari generi musicali e talk radio (radio24,
radio di parola, solo notiziari/talk show/approfondimenti ecc.).
Il format si basa su un’unità di misura più piccola, il clock, modalità di organizzazione minuto per
minuto dell'ora di programmazione. L'alternanza di canzoni, intervalli pubblicitari, news, la
pianificazione dei promo e dei jingle viene definita minuto per minuto in una struttura modulare che
si basa su elementi fissi. Il clock gestisce nel dettaglio la struttura del format e la rende attiva.
Altri concetti della radio di format è la playlist: selezione delle canzoni che possono andare in radio.
Ogni radio sceglie la sua playlist. Ciascuna delle canzoni trasmesse ha delle rotation, ovvero una
frequenza di diffusione (alcune canzoni sono a "heavy rotation", canzoni cioè che vengono mandate
a tutte le ore).
Il risultato di tutto questo è la stationality: l'identitá di una stazione radiofonica. Si riconosce una
stazione radiofonica senza nemmeno vederla a seconda di tutto questo insieme di elementi (hanno
cioè uno specifico sound, un jingle, distinguibili in maniera chiara da quello degli altri).
Quindi a partire dagli anni ‘80 anche la radio italiana adotta il modello di format americano.

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Anni Ottanta, il rilancio della RAI
Nel 1982 la RAI tenta il rilancio e partono Raistereouno, Raistereodue e Raistereonotte, una scelta
che si rivela vincente determinando la tenuta del servizio pubblico. I tre nuovi canali sono trasmessi
in FM e in stereo, sono più giovani e musicali rispetto ai tradizionali Radio1 e Radio2, che invece
continuavano a trasmettere in modulazione di ampiezza (AM), con programmi di stampo più
convenzionale e destinati a fasce di età più alte.
Nel 1988 nasce Audiradio che riunisce oltre la RAI, la SIPRA, l’UPA, l’ASSAP organizzazioni del
settore. La società effettua indagini periodiche a livello nazionale e locale per la rilevazione
dell’ascolto radiofonico. Nel 1988 e nel 1994 viene rinnovata la convenzione tra stato e Rai,
confermando la concessione in esclusiva del servizio pubblico di diffusione radiofonica e televisiva
sull’intero territorio nazionale. Nel 2011 il servizio, considerato obsoleto, è stato sostituito da
RadioMonitor (GfK), cui nel 2015 si è affiancato RadioSat (per le rilevazioni online).

Medium convergente
A partire dagli anni Novanta la tecnologia di diffusione e di ricezione si sposta dall’analogico al
digitale. Nel 1995 nasce il DAB (Digital Audio Broadcasting), sistema digitale che prevede
l’impiego di trasmettitori terrestri e satellitari, ricevuti da semplici antenne non direzionali.
Consente, anche in auto, la ricezione di programmi radio con la stessa qualità di un CD,
trasmettendo non solo segnali audio, ma anche testi, foto, dati e filmati. Nello stesso periodo, si
sperimenta la diffusione delle trasmissioni radiofoniche tramite la rete internet: nascono la web-
radio. Nel 2017, la Norvegia è il primo paese al mondo in cui si è spenta la rete in modulazione di
frequenza. In Italia, ad eccezione dell’Alto Adige, non si è prevista la disattivazione totale delle
trasmissioni analogiche in modulazione di frequenza (anche se da 2020 i ricevitori radiofonici
dovranno essere dotati di almeno un’interfaccia digitale, via internet o Dab).
La radio si è trovata a ridefinire il suo ruolo ma non ha perso importanza, a differenza di quello che
si credeva.
Quando il panorama diventa digitale avviene che la radio si sposta ancora una volta di lato: i nuovi
media non cancellano i media precedenti (esiste solo una mortalità infantile dei media).
Succede che con estrema lentezza la radio sta affrontando un passaggio, una trasformazione verso il
digitale (DAB).
Passaggio che però non è ancora definito totalmente, ma c'è questa progressiva tendenza verso una
digitalizzazione della radio che permetterà di aumentare a dismisura il numero di emittenti.
Tutto ciò è ancora in sperimentazione (anche perché la radio è un medium meno importante e ha
meno soldi, quindi ha sviluppi più lenti).
Questo è parte della confusione: la radio diventa sempre meno tecnologia e sempre più contenuto.
Si può ascoltarla dalla televisione, ma anche sul web. Si sposta sul web col webcasting: possibilità
di trasmettere il proprio segnale ascoltandolo sulla banda del computer. In questo modo si ha la
possibilità di ascoltare anche radio di altri paesi più facilmente. Ci sono poi radio che si possono
ascoltare totalmente sul web. La radio si sgancia da una dimensione territoriale.
Passaggio da un flusso ordinato di un emittente alla playlist.
Sono questi i nuovi modi attraverso cui la radio si fa presente nel 2014, ed anche oggi la radio si
basa sulle sue 4 dimensioni che fin dall'inizio l'hanno caratterizzata.

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Teoria della “coda lunga” di Chris Anderson, 2004. La coda lunga è, secondo Anderson, una
strategia di vendita al dettaglio, basata su analisi statistiche, per cui si predilige vendere un gran
numero di oggetti unici in quantità relativamente piccole di ogni oggetto venduto, rispetto a
vendere un numero esiguo di elementi popolari in grandi quantità.
Anderson sostiene in poche parole che i prodotti a bassa richiesta o che hanno un basso volume di
vendita possono collettivamente costituire una quota di mercato superiore rispetto a rivali molto
venduti, che sono relativamente pochi, se il negozio o canale di distribuzione è abbastanza grande.
Anderson cita ricerche precedenti di Erik Brynjolfsson , Yu (Jeffrey) Hu e Michael D. Smith, che
hanno mostrato che la parte più significativa delle vendite di Amazon.com proviene da libri quasi
sconosciuti, che non sono disponibili nelle librerie, e non dai bestseller.
La Long Tail è un mercato potenziale e, come illustrano gli esempi, la distribuzione e le opportunità
del canale di vendita creato da Internet spesso permettono alle aziende di sfruttare questo mercato
con successo

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13. STORIA DEI MEDIA IN ITALIA

Estratto finale e iniziale del film " Uccellacci e uccellini" diretto da Pier Paolo Pasolini. Animali
parlanti, il corvo che parla per tutto il film.
Il corvo parlante ha parenti nella storia dell'industria culturale italiana, poiché ricorda molto il grillo
parlante di Pinocchio che viene schiacciato dal martello (esattamente come la fine che fa il corvo).
La funzione del grillo parlante è la voce della coscienza che ci dice cosa è bene fare. L'industria
italiana dei media si diffonde in Italia attraverso strategie specifiche che riguardano la storia
culturale dell'Italia.
Importante è la differenza dell'industria culturale italiana e di come si diffonde rispetto ad altri
Paesi. Soprattutto nella prima parte di storia vige la logica pedagogizzante, rappresentata
metaforicamente dal grillo parlante e dal corvo. Il corvo e il grillo sono imparentati: sono animali
parlanti con funzioni simili. Anche il corvo è una sorta di voce della coscienza, e rappresentano
questa attitudine a collegarsi alla dimensione didascalica e pedagogizzante. Attraverso ciò i media
riescono a diffondersi. Ovviamente corvo e grillo sono diversi. Il corvo cosa ricorda? Continua a
parlare e a dire cosa bisogna fare, ed è certamente fastidioso per chi lo ascolta. Potrebbe
rappresentare nel caso di Pasolini un discorso pedagogizzante con un riflessione ideologica, corvo
marxista, punto di vista dell'ideologia marxista che nel corso del film si confronta con tutto quello
che nell'Italia degli anni ‘60 sta accadendo. Nel 1958 l'Italia entra nel boom economico molto in
ritardo. Prima quello dell'Italia è un mondo essenzialmente agricolo, un mondo tradizionale basato
sulla cultura contadina e sulle grandi ideologie, quella cattolica, comunista e marxista.
I media stanno spazzando via tutto questo, insieme alla modernizzazione e alla trasformazione di un
paese in cui le ideologie non servono più. Quella del grillo è una logica pedagogizzante classica
mentre quella del corvo è diversa, in quanto ci dà una strada, certamente pedagogizzante, ma che
non è più universale: la fa a partire da un'ideologia specifica. Il corvo ricorda molto il gracchiare
della radio durante il fascismo, strumento di diffusione ideologica fondamentale: il fascismo capisce
che la radio è uno straordinario strumento di diffusione di un'ideologia che vuole essere quasi
totalitaria. Queste logiche si confrontano via via con altre logiche, che son quelle di puro
intrattenimento. Quindi da un lato attraverso l'industria culturale si possono educare le masse (come
una scuola parallela; veicolo valori ideologici), dall'altro c'è una linea non nazionale (viene da fuori)
che dice che l'industria culturale è puro intrattenimento, linea che già esiste negli anni ‘20 e ‘30 del
cinema hollywoodiano, del fumetto, prodotti che non hanno un'origine nazionale ma arrivano dagli
USA (sempre presenti in Europa: l'Europa è sempre preoccupata del predominio di prodotti
culturali statunitensi).
Questa linea pedagogica, che caratterizza molto la prima metà del secolo, oggi è molto minoritaria
ma non è sparita: la dimensione pedagogizzante è ancora presente anche se in modo molto minore
(vedi le fiction che raccontano pagine di storia dell’Italia).

Il caso italiano
Problema della specificità: la storia dell’industria culturale in Italia è molto differente da quella
degli altri Paesi europei. Quali sono le sue peculiarità?
Specificità della storia nazionale
Dal 1861 (anno dell'unificazione) la storia dell'Italia è diventata diversa da tutti gli altri Paesi, in
particolare la storia politica, ed è con lei che ci si confronta. Nel ventennio fascista (dal 1922 al
1943) la presenza del regime fascista è caratteristica propria della storia del paese. Sono anni
fondamentali (secondo momento fondamentale) dello sviluppo dell'industria culturale. La domanda
importante è: che ruolo ha avuto il fascismo? Quali sono i rapporti tra il fascismo e i media
dell’epoca?
Specificitá della periodizzazione
È importante dal punto di vista storico la periodizzazione: momenti di cambiamento/continuità/
trasformazione di un certo fenomeno. Quando possiamo dire che c'è un’industria culturale in Italia?
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Si potrebbe risolvere la questione semplicemente dicendo che la storia culturale che ha a che fare
con i media è dipendente dalla storia politica: le svolte sono quelle della macrostoria (età giolittiana
ecc.…), della storia con la S maiuscola. Invece la storia dell'industria culturale e la storia politica
non hanno lo stesso andamento ma possono andare a velocità diverse. La storia dei media procede
per balzi, è una storia ciclica con periodi esplosivi e riflessivi. In parte la storia del Paese è
importante ma intervengono anche altri fattori, come la dimensione tecnologica, che non vanno di
pari passo con la storia politica. Vedi quello che è accaduto con l'avvento della digitalizzazione.
Es. Negli anni dopo la Seconda guerra mondiale il cinema italiano ha una fiammata di importanza
legata a un movimento fortemente cinematografico (ma non solo) che è quello del neorealismo, che
ha tutta una serie di caratteristiche. Il neorealismo è il frutto dell'Italia dopo la liberazione dal
nazifascismo. In realtà gli storici del cinema hanno trovato continuità tra il cinema fascista e il
cinema del neorealismo: gli attori neorealisti sono attivi prima della nascita del neorealismo. Il
primo film neorealista è del 1942, ovvero prima della caduta del fascismo. Il neorealismo, inoltre,
si forma da una novità fondamentale che Mussolini stesso attua:
1. La fondazione di Cinecittà
2. La fondazione della principale scuola di cinema in Italia
Quindi la storia culturale e quella politica non vanno di pari passo: l'industria culturale italiana ha
una storia a sé che va confrontata con la storia politica ma bisogna anche considerarla in sé, nel suo
complesso.
Ovviamente per la periodizzazione che facciamo bisogna avere delle prove. Es. Negli anni ‘80
dell'’800 ci sono i sintomi (fenomeni visibili) che giustificano la scelta di una certa data come data
di nascita dell'industria culturale.
Non c'è dunque un'identificazione ma un confronto tra la storia dell'industria culturale e la storia
politica. I media si confrontano con la politica ma anche con la cultura in senso lato, in senso
antropologico (modo di vivere di una società): si prendono in considerazione i rapporti che
l'industria culturale ha con le culture d'élite e con la cultura popolare.

Rapporto dell'industria culturale italiana con le culture d'élite


Che rapporto hanno i nascenti media in Italia con le culture d’élite, cioè con gli intellettuali? Come
gli intellettuali di formazione tradizionale prendono l’avvento dei media? Gli intellettuali si
confronteranno spesso con l'industria culturale e nella maggior parte dei casi avranno
l'atteggiamento del corvo: atteggiamento di rifiuto e di distacco dall' industria culturale (specificità
dell'Italia). In altri paesi gli intellettuali giocano un ruolo di maggiore presenza. In Italia questo
manca. Negli altri paesi si afferma la tradizione del romanzo. In Italia no. Antonio Gramsci,
fondatore del partito comunista italiano, un intellettuale, da vita e pone il concetto di
nazionalpopolare: una delle difficoltà italiane è quella di costruire una cultura nazionale (prodotta
nella nazione) e popolare (con la capacità di andare oltre a tutte le élite), forse perché molto viene
da fuori ed inoltre gli intellettuali italiani hanno atteggiamento di distacco, rinunciando ad un ruolo.
Tema centrale e fondamentale.
Rapporto dell'industria culturale italiana con le culture popolari (pre-mediali)
Quale rapporto c'è tra industria culturale e le culture pre-mediali (folklore, fiere itineranti, teatro
popolare)? Intercorrono forti rapporti. Si potrebbe ricostruire una storia. Es. il cinema nei primi anni
rientra nello spettacolo di varietà, ed esistono le proiezioni di filmati pre-cinematografici all'interno
delle fiere che girano per i paesi, ha a che fare col baraccone, con la cultura popolare. Cinema ha
una grande diffusione nei ceti popolari sin dalla sua nascita.
Rapporto dell'industria culturale italiana con le culture nazionali
Le culture nazionali sono grandi culture che accomunano tante persone, che spesso si esprimono in
forme politiche (cattolica, fascista ecc.). Quali rapporti intercorrono tra le culture nazionali e i
media?

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Rapporto dell'industria culturale italiana con le culture straniere
Tema rilevante quando si parla di prodotti culturali provenienti dall' estero e con una grande
capacità di circolare all' estero (si tratta della cultura americana e della sua capacità di essere
universale).

La specificità dell’Italia
Se dovessimo trovare un elemento che caratterizza la storia dell'Italia, rendendola diversa dalle
altre, non potremmo non evidenziare la sua tardiva unificazione. Interessante è notare che
l'unificazione politica è un punto di partenza: da qui inizia il vero processo di unificazione sociale e
culturale dell'Italia. Proprio per questo ritardo, l'unificazione politica si sovrappone pienamente allo
sviluppo dell'industria culturale. In altri paesi l'unificazione precede la nascita dell'industria
culturale; in Italia questa avviene anche attraverso e parallelamente alla nascita dell'industria
culturale, crescono nello stesso periodo.
L'unificazione avviene negli ultimi decenni dell'’800 ma in realtà nei decenni che seguirono
l'unificazione politica in Italia non tanto crebbero gli elementi di unificazione, bensì le
disuguaglianze, che diventarono fortissime, fra nord e sud ad esempio. Anche l'industrializzazione
avviene in questo periodo in Italia e in particolare in tutta la parte nord del paese, mentre il sud
rimane fortemente agricolo = è qui che si apre la questione del rapporto fra nord e sud. Il rapporto
con l'industria è importante ma ancora di più lo è anche questione della lingua. L'Italia dopo
l'unificazione non parla italiano. Riguardo a questo avrà importanza la televisione nella diffusione
dell'italiano "standard". Ancora negli anni ‘50 la lingua principale è il dialetto. Esistono dunque
disuguaglianze forti. Nelle città si parla l'italiano, ma nelle campagne dialetto.
Questione poi dell'alfabetizzazione. Lo stato fa uno sforzo di diffusione dell’alfabetizzazione che
richiede molti decenni. Ancora una volta la televisione ha ruolo fondamentale. Da questo punto di
vista la capacità di leggere e scrivere e la scolarizzazione hanno particolare importanza nella
diffusione dei media alfabetizzanti (la stampa/l'impresa libraria, vedi il caso Mondadori).
Quindi quando ci si propone di periodicizzare, Forcacs afferma che la valutazione di carattere
temporale non basta ma ci vuole anche una valutazione di carattere spaziale (campagna vs città/nord
vs sud). Forte differenza che complica le cose. Questo discorso si lega al tema del rapporto tra
cultura nazionale e cultura importata.
L'Italia per il ritardo sull'alfabetizzazione e la scolarizzazione, vede diffondersi in maniera molto
più limitata i media alfabetici. In Italia i giornali si diffondono tra chi sa leggere e diventano di un
tipo specifico, i broad sheet, giornali come il New York Times e non il Penny Press o il Daily Mail.
Non c'era la possibilità di far nascere giornali popolari (tabloid), poiché non esiste un pubblico per
questa stampa. I giornali moderni si sviluppano dagli anni ‘60/’70 dell'’800, poi il Corriere della
Sera diventerà il maggiore giornale italiano Le origini di questa mancanza risalgono a quel periodo.
Poi si sviluppa la televisione che è gratuita ed è un prodotto culturale che si prende quella parte di
pubblico che la stampa italiana non poteva coprire. Oggi i giornali hanno avuto dei cambiamenti
con un avvicinamento all'elemento popolare e sono giornali a metà tra nazionali/autorevoli e
popolari.
Quindi vi è questa mancanza di pubblico per la stampa popolare, ma il pubblico borghese esiste e i
giornali lo orientano. L'Italia compensa questa mancanza con la diffusione fortissima di tutti i media
non alfabetici, quali cinema, fumetto, la canzone, che si lega dagli anni ‘20 alla diffusione del
medium centrale dagli anni ‘30 e ‘50 che è la radio. La cosa interessante in realtà è che su questi
prodotti culturali l'impatto del prodotto culturale importato è molto forte. Vi è una forte volontà di
intrattenimento pubblico, si diffondono aspetti della cultura popolare americana. Forgacs cita
l'ipotesi della dipendenza culturale, altro lato della medaglia dell'imperialismo culturale: un certo
paese dipende culturalmente dall'importazione di prodotti dall'estero. La risposta è complessa per
due motivi:

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1. Il grado di chiusura/apertura ai prodotti esteri in Italia varia nel corso del tempo. Alla fine
degli anni ‘30 Mussolini si chiude nell'autarchia, mentre dagli anni ‘20 il mercato era stato
molto aperto. Quindi dipende anche da scelte politiche.
2. Quanto il prodotto culturale importato è importato così com'è (cosa che di norma non
succede) o viene localizzato. Ad esempio, la storia di Mickey Mouse è importata
dall'America, ma viene italianizzata: in Italia è la storia di Topolino. La scuola italiana del
fumetto prende Mickey Mouse e ne fa un prodotto culturale italiano.
3. La questione che in questo caso non si può non affrontare è anche quella della lingua. I
prodotti culturali li si consumano in italiano. Mentre in altri paesi i film stranieri hanno i
sottotitoli. In Italia, Francia ecc. è fortissima la tradizione del doppiaggio.
Il fumetto richiede una capacità di lettura che nella sua italianizzazione crescerà. Il fumetto italiano
sostituisce il baloon tipico americano con la didascalia in rima: riporta la dimensione letteraria che
negli Usa è una competenza soprattutto visiva. Questa trasposizione del fumetto in Italia richiama
quella necessità che nell'industria culturale italiana si deve comunque passare attraverso un intento
pedagogizzante.

L’avvento dell’industria culturale in Italia


Quando nasce? Uno storico propone una datazione e lo spiega mostrando fenomeni che indicano
che qualcosa sta cambiando. Quando avviene in Italia? Le risposte sono diverse.
1. Forgacs dice che l'elemento più rilevante in Italia nella seconda metà del 1800 è la nascita
della stampa quotidiana. Processo che caratterizza soprattutto gli anni ‘60/’80 del 1800 e che
porta alla guerra delle tirature. Questo è già un segno di un cambiamento importante, perché
il giornale, da semplice foglio diffuso nel caffè delle élite borghesi inizia a porsi il problema
della circulation (tiratura) per introitare risorse economiche nuove che vengono dalla
nascente pubblicità. Fenomeno che in quegli anni avviene in Italia, all'inizio con "Il Secolo"
e successivamente con la nascita del "Corriere della Sera": guerra tra le due testate con
l’emergere del Corriere, che è un giornale che si lega in particolare alla figura di Albertini, il
direttore, che lo porta a diventare il primo giornale italiano per importanza. Si fa dunque
risalire l'avvento dell'industria culturale all'avvento della guerra delle tirature nel 1866 e al
periodo subito successivo.
2. Colombo guarda all'editoria libraria che secondo lui segna l'avvento dell'industria culturale.
Negli anni ‘80 del 1800 alcuni libri hanno un successo incredibile, ovvero una diffusione
molto forte. Es. "Le avventure di pinocchio" di Collodi esce nel 1881 e viene pubblicato a
puntate (feuilletton, romanzo a puntate, prima forma seriale, antenato delle prime serie
televisive americane. Utilizza strumenti nuovi: si fa arrivare il lettore ad un certo punto e si
sospende la narrazione rendendo il lettore curioso). Es. "Sandokan", "La tigre della
Malesia", libri di Emilio Salgari, libri di avventure esotiche. Es. "Cuore" di Edmondo de
Amicis. Questi sono una serie di libri che hanno in comune il target: prodotti che si
rivolgono a un pubblico generalmente di infanzia, di ragazzi. Altri sintomi: si inizia a porre
il problema tipico dell'editoria, ovvero la questione del copyright, dei libri d'autore. Anche
Manzoni vi è incappato tanto che nel 1882 viene creata la SIAE che dovrebbe remunerare i
diritti d'autore. Nascita poi di una serie di editori molto spesso legati a città, in una pluralità
di poli diversi. Es. la Francia ha un centro di produzione che è Parigi, fortemente
centralizzata. L'Italia è un po' più variegata dal punto di vista della produzione culturale:
Torino/Milano/Roma/Napoli. Gli editori sviluppano imprese editoriali moderne, in linea con
le dinamiche delle industrie culturali, che si pongono il problema di vendere libri a pubblici
specifici. Popolarità del feuilletton e dei prodotti seriali e la nascita della paraletteratura, di
puro consumo, destinato ad un pubblico femminile. Targettizzazione: editoria pensata
specificatamente per pubblici particolari.

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Quello dell’infanzia fu primo pubblico di riferimento per l'avvento dell'alfabetizzazione: nasce
l'editoria scolastica insieme all'editoria di svago (Salgari/Collodi/De Amicis). Il pubblico
dell'infanzia diventa pubblico di riferimento per questi anni.

Il mercato
Peculiarità dell'Italia nei rapporti col mercato.
In Italia l'industrializzazione è tardiva e si lega alla nascita del capitale finanziario. Le banche hanno
un ruolo primario nel far sviluppare l'industria in Italia, soprattutto al nord (a fine 1800 nasce la
FIAT, fondamentale nell'industria italiana, soprattutto al nord). Nasce una forte commistione tra
capitale finanziario e industria, e a differenza di altri paesi, in Italia succede una cosa diversa. Il
mercato è fatto dai ceti educati, l'opinione pubblica è importante anche politicamente. Questi grandi
gruppi industriali investono nella stampa, decidono di acquistare, investire e fondare giornali con
una funzione molto politica.
Gramsci sviluppa il concetto di egemonia: capacità attraverso strumenti non coercitivi (i media ad
esempio) di creare consenso.
I giornali, che vengono letti dalla parte moderna del paese, sono fondamentali per creare consenso.
Ragion per cui in questi anni il capitale economico e finanziario investe sui giornali. L'Italia ha una
tradizione in cui manca un'editoria pura, dove un imprenditore (come Northcliffe) pensa che la
stampa sia un'impresa che sta a sé, e attraverso cui fare profitto.
L'editoria italiana è impura perché gli editori fanno altri mestieri, sono grandi personaggi che per
influenzare l'opinione pubblica utilizzano i quotidiani. La storia del "Corriere della Sera" da un lato
mostra il legame con la grande industria lombarda, ma dall'altro lato fino agli anni ‘20 mostra che i
grandi giornali borghesi hanno l'idea di fondo di essere indipendenti dalla politica soprattutto, e di
cercare di diffondere valori e interessi della grande borghesia italiana focalizzata sulla
modernizzazione. Quando salirà al potere un regime politico diverso da quello dell'Italia liberale,
cioè il regime fascista, questa indipendenza dei giornali morirà. La politica culturale del fascismo
sui grandi giornali borghesi non sarà di nazionalizzazione ma di fascistizzazione, tanto è vero che
Albertini, geloso di un giornale su modello del New York Times, svincolato da una visione
ideologica stretta, viene allontanato (firmerà il manifesto degli intellettuali antifascisti in Italia).
Editoria impura: grandi giornali mirano all'autorevolezza pensando ad un pubblico colto per poter
veicolare delle idee all'opinione pubblica.

Il potere politico del fascismo


Il rapporto dell'industria dei media con la politica è un tema centrale.
Quando abbiamo un rapporto organico con una politica culturale chiara? Durante il fascismo.
La fine del 1800 e i primi anni del 1900 segnano l'inizio. Ci sono diversi sintomi, ad esempio i
cambiamenti nell'editoria libraria che portano alla nascita dei giornali moderni.
Si diffondono prodotti spesso importati (il cinema, ad esempio, anche se in realtà fino alla prima
guerra mondiale quello italiano è ancora molto forte; oppure il fumetto). Per la prima volta nel
fascismo ci si pone il problema di questo rapporto.
Il fascismo adotta una chiara politica che riguarda l'industria dei media, che si articola in 3
modalità. Il fascismo non adotta un'unica logica/strategia nel rapportarsi all'industria culturale, ma
tre logiche differenti che riguardano i diversi media, sia quelli già presenti si quelli che stanno
nascendo.
Protezionismo
In particolare, nell'editoria libraria (trasformazione già iniziata nel 1800). Un ulteriore elemento di
modernizzazione è rappresentato dalla nascita della Mondadori, che diventa la principale impresa
libraria e adotta una politica molto moderna in vari ambiti, ad esempio nella diversificazione del
proprio catalogo in relazione a pubblici differenti, nel superamento del problema della distribuzione
tramite la distribuzione per posta e in una progressiva scolarizzazione.

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Forgacs, nel suo libro, nota come i rapporti di Mondadori con il fascismo sono molto complessi.
Mondadori, infatti, durante questo periodo prolifera e vede nello stato fascista di volta in volta un
cliente, un alleato oppure un ostacolo da superare. Il problema sorgeva quando l'editore decideva di
pubblicare un libro che andava contro all'ideale fascista. In realtà però questo era molto raro perché
le editorie avevano loro stesse una sorta di autocensura. Il fascismo cerca di sostenere questa
nascente industria dell'editoria attraverso due modalità:
1. La spinta verso la scolarizzazione: diventano necessari i libri di testo e nel frattempo il
numero di persone alfabetizzate cresce; quindi, si pubblicano libri di narrativa anche per
l'infanzia.
2. La diffusione delle biblioteche pubbliche: fenomeno importante perché in questo modo le
biblioteche acquistano i libri, sostenendo indirettamente questa nascente industria libraria.
Questo per quanto riguarda questo medium specifico, che è l'editoria.

Fascistizzazione
Per quanto riguarda la stampa quotidiana il fenomeno è diverso.
Questa suscita un interesse maggiore da parte del fascismo perché sviluppatasi non come stampa
popolare ma borghese è importantissima nell'orientamento dell'opinione pubblica. Il fascismo opera
nel senso dell'allineamento ideologico: fascistizzazione.
Nella stampa quotidiana ci sono diversi casi. I grandi giornali borghesi nati a fine 1800 (Il Corriere
della Sera, Il Secolo, La Stampa) hanno pressioni che portano all'isolamento di direttori non graditi
(caso di Albertini) e all'inserimento di direttori graditissimi al regime.
Fino al 1925 in realtà Mussolini mantiene la forma dello Stato parlamentare. Quando si passa al
regime attua invece l'abolizione delle istituzioni dello stato italiano precedente con l'intento di
assumere un più forte controllo. Quindi con la fascistizzazione dal 1925/1926 tutti i grandi giornali
quotidiani sono allineati col regime. È da notare però che non tutti i giornali erano allineabili (ad
esempio i giornali cittadini, legati soprattutto al movimento socialista, come l'Avanti, e per un
brevissimo periodo anche L'Unità, il giornale di Gramsci); in questo caso questi giornali vengono
chiusi o diventano clandestini. Quindi nei confronti dei giornali c’è una politica di allineamento
ideologico, ma non di nazionalizzazione: sono ancora imprese private dove vi sono tutti i grandi
gruppi industriali nati in Italia in quegli anni. Rimane pur editoria impura, ma sempre privata. Nel
caso della stampa quotidiana c'è una più forte influenza perché i dirigenti devono essere in linea col
regime.
Un atteggiamento diverso si ha nei confronti del cinema e della radio.
Nazionalizzazione
Questo fenomeno riguarda in particolare la radio, che inizia le trasmissioni regolari nel 1924. Nel
1924 comincia le sue trasmissioni dopo l'unificazione di tutte quelle società che vendevano
apparecchi radiofonici (modello economico legato alla vendita degli apparecchi). Ma come dice
Williams, nasce come "tecnologia senza contenuti".
Il broadcasting nasce dall'unione di queste imprese (che andranno poi a dar vita all'URI). All'inizio
il problema principale è vendere gli apparecchi, ma subito dopo si presenta la necessità di contenuti.
Gli apparecchi costavano tantissimo. Solo in un secondo momento il regime fascista sponsorizzerà
moltissimo la diffusione degli apparecchi rendendoli più accessibili economicamente (facendo
costare un apparecchio radiofonico dalle 600 mila lire alle 1000 mila lire). Prima però era solo per
persone appassionate. La radio tuttavia non ha una diffusione ampia all'inizio: il fascismo, ed in
particolare Mussolini non si interessa, perché ritiene che sia molto più efficace la televisione come
mezzo di comunicazione di massa.
Tutto ciò fino al 1927 (cioè quando anche Hitler, che capirà molto prima di Mussolini l'importanza
della radio per comunicare alle masse, comincerà ad utilizzarla) quando anche Mussolini si
interesserà a questo medium. Infatti il 1927 è l'anno in cui il nome della società a cui il governo
demanda l'attività radiofonica (sotto il regime fascista nasce il monopolio), cioè l’URI, diventa
EIAR.
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Dal 1927 in avanti viene esercitato un più forte controllo del regime fascista. Inizia ad esserci un
interesse. In quel momento l'URI e l'EIAR erano controllati da una società che all'inizio degli anni
‘30, nel 1933 precisamente, viene acquistata da un'altra società creata dal regime fascista chiamata
IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), una società pubblica, creata da Mussolini perché nel
1929 (anno della grande crisi economica) in tutti i paesi lo stato interviene per cercare di risanare
l'economia e anche in Italia interviene fortemente lo Stato fascista per favorire gli investimenti
pubblici. L'IRI si compra la Società Idroelettrica Piemonte.
Dal 1933 l'EIAR diviene totalmente controllata dallo Stato. Progressivo interessamento dovuto alla
maggiore diffusione della radio. In questo modo infatti non c'è bisogno che le persone si muovano
nelle piazze perché la voce del Duce arriva ovunque. Diffusione della propaganda del regime:
creazione di un'egemonia. Quindi nella radio si applica la politica della nazionalizzazione. Dopo la
guerra diventerà un servizio pubblico e tuttora la RAI è di proprietà pubblica.
Il caso del cinema
Il cinema ha un destino simile: vi è un forte intervento del regime anche se non con una
nazionalizzazione. Si ha lo scoppio del cinema negli anni ‘10 del 1900: i grandi colossal nascono in
questi anni. Il cinema italiano in questi anni è il più importante del mondo, ma a differenza degli
USA, il cinema italiano non si dota di una struttura industriale ma rimane molto frammentato e non
si dà un'organizzazione industriale verticale come quella degli Stati Uniti (produttore-distributore-
esercente). Perciò poiché rimase artigianale la guerra distrusse la macchina del cinema italiano
aprendo la strada ad una forte importazione dagli Stati Uniti. Mussolini allora capisce che il cinema
è l'arma più forte soprattutto in Italia perché era l'unico medium che effettivamente arrivava a tutti e
perciò sostiene lo sviluppo di un cinema nazionale attraverso il Centro Nazionale di
Cinematografia, una scuola di cinema a Roma, fondata nel 1937, da cui poi nacque Cinecittà.
Per quanto riguarda il cinema e la radio è importante ricordare che nel periodo del fascismo sono
strumenti di diffusione di ideologia e di propaganda ma non solo. Entrambi diventano importanti
strumenti di evasione. In radio tutta la parte dei generi legati all'informazione sono molto sottoposti
alla censura fascista, ma non c'è solo quello. Comunque, la radio diventa uno strumento di evasione
e divertimento e in qualche modo le due cose devono andare insieme secondo lo stesso Mussolini.
Un medium è veramente popolare se conquista il suo pubblico non solo con discorsi di regime ma
anche con programmi di intrattenimento.

Le strategie dell’industria culturale


Esistono 4 strategie con cui l'industria culturale si sviluppa in Italia. Le prime due sono molto forti
fra il 1881 e la fine della Seconda guerra mondiale e sono legate alla dimensione pedagogizzante (il
grillo parlante e il corvo). Già nella prima parte del secolo rilevanti per la diffusione dei media. Le
ultime due invece sono strategie di puro intrattenimento, dominanti dal secondo dopoguerra. Su
queste c'è un'influenza molto più forte, seppure mediata, del prodotto straniero.
Il grillo
Cos'è la strategia del grillo? È la strategia pedagogizzante classica, in cui i responsabili
(intellettuali) della produzione mediale utilizzano i media per diffondere valori e cultura universali.
Questa strategia tende da un lato a puntare l'attenzione su un atteggiamento moralistico e dall'altro i
media vengono legittimati proprio se hanno questa finalità; cioè essi sono legittimati solo se
insegnano qualcosa. Ci sono diverse forme di incarnazione di questa strategia, ad esempio nella
letteratura per l'infanzia, finalizzata a dare insegnamenti di valori universali; ma anche il caso del
fumetto e delle vicende dei baloon con il signor Bonaventura e il Corriere dei Piccoli: dimensione
edificante del fumetto in rima (le storie finiscono bene ecc.). La strategia del grillo rappresenta una
asimmetria del rapporto comunicativo.
Il corvo
Strategia simile a quella del grillo, ma che si occupa di valori non più universali. Si tratta di valori
ideologici, quindi è una strategia propagandistica. Es. il fascismo vuole attraverso i media
diffondere la propria visione del mondo, la propria ideologia. E questo può avvenire attraverso la
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gestione diretta della radiofonia e del cinema. Il riconoscimento del pubblico è molto importante. Il
grillo di questo non se ne cura. Il corvo invece vuole diffondere dei valori e vuole conquistare
pubblici; e come lo fa? Mischiando elementi ideologici con la dimensione del divertimento. Il
pubblico inoltre è l'elemento di riferimento principale per le due strategie successive, che sono
legate all'intrattenimento. La strategia del corvo rappresenta una asimmetria comunicativa.
Il topo
Come arriva in Italia Mickey Mouse?
Il topo è una strategia di artigianato industriale. Un piccolo editore vede al cinema Mickey Mouse
(prodotto americano) e decide di creare un giornaletto ispirato a questa figura e di chiamarlo
"Topolino" (per questo poi ci saranno poi anche accuse di plagio ecc.). È un prodotto artigianale. Si
comincia a capire che al pubblico (dimensione importantissima) interessa. È importante sottolineare
che l'editore trasforma quel fumetto americano in un prodotto italiano. Italianizzazione.
L'artigianato del topo si ispira a stranieri ma li italianizza e comincia a preoccuparsi della
dimensione del pubblico. La strategia del topo è in continuità con le tradizioni dell’intrattenimento
popolare nazionale (melodramma nel cinema o nei libri di Salgari). Sviluppa una capacità di
integrare cultura “straniera” nella cultura nazionale (nascita della Scuola “disneyana” italiana). Il
pubblico è segno del successo e della qualità del prodotto.
Il gatto
Strategia industriale. Pieno dispiegamento delle logiche industriali dell’intrattenimento. Di questo
ne parla nel suo libro Colombo. Lui fa riferimento al telegatto: diffusione della televisione
commerciale. Il pubblico diventa fondamentale e non più semplicemente intuito in maniera
artigianale, come nella logica del topo. In questa strategia il prodotto culturale deve essere testato: si
diffondono le strategie di marketing del prodotto, ovvero la ricerca su quel che vuole vedere
pubblico (targettizzazione). Il prodotto straniero può essere importato senza essere eccessivamente
adattato. Logica che viene introdotta pienamente dalla televisione commerciale dagli anni ’80 del
Novecento.

L’industria culturale nell’età repubblicana


Si ha un processo di “modernizzazione” dell’Italia: da paese prevalentemente agricolo a paese
industrializzato (“boom” anni ’50/’60, migrazione interna). Si divide in tre fasi:
• Ricostruzione repubblicana: dal fascismo alla democrazia, fra continuità e discontinuità (da
EIAR a RAI).
• Boom economico e trasformazioni sociali. La progressiva centralità della televisione (dal
1954).
• Crisi e contestazione: conflitto sociale (il ’68), la strategia della tensione, il terrorismo. La
riforma della RAI.
Tecnologie e vita quotidiana. La modernizzazione è una costante innovazione che si infiltra nei
consumi e nella vita quotidiana (auto, moto, frigoriferi, lavatrici). Progressiva pervasività dei media
(radio, radio a transistor, TV in b/n, giradischi, telefono, ecc.). dimensione sociale/familiare:
vacanze di massa, “colonizzazione dello spazio domestico”, consumo e consumismo, carosello, la
nascita dei “giovani”). L’industria culturale segue, guida, racconta la modernizzazione:
• BUR e la divulgazione (1949)
• Il Giorno di Mattei (ENI, 1995)
• Generi popolari al cinema: (dopo il neorealismo) la commedia all’italiana e lo spaghetti
western
• La televisione di servizio pubblico in regime di monopolio (RAI)

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14. LA TELEVISIONE

Introduzione alla storia della televisione


Che differenza c’è tra fare storia della letteratura e fare storia della televisione?
La storia della letteratura è più una storia testuale mentre quella della televisione si concentra più
sull’aspetto sociale.
Differenze fra la letteratura e la televisione:
1. Nella dimensione testuale c'è qualcosa di diverso. Per la televisione si parla di testi
audiovisivi, ideati e prodotti da un apparato: non c'è lo scrittore, che dà solo scrive il grande
capolavoro della letteratura, ma abbiamo un’opera, dei testi televisivi sono frutto di
un'industria, di un insieme di persone che collaborano a creare questi testi complessi.
2. Nel medium televisivo, quali sono e come sono i testi di riferimento? I testi di riferimento
sono i programmi, ma questi non sono l’unico testo che caratterizza il mezzo televisivo;
infatti, secondo la lezione di Raymond Williams, la caratteristica di fondo della televisione è
il fatto che la sua testualità è una testualità di flusso, cioè caratterizzata da un palinsesto,
ovvero dall’inserimento di testi, di programmi, all’interno di una varietà di altri testi e di
altri programmi, ma non soltanto di programmi: sono importantissimi anche i paratesti, cioè
dei testi diversi che stanno attorno al testo principale e che lo caratterizzano. Il termine
“paratesti” è un termine abbastanza generico. Se dovessimo pensare a quali sono i paratesti
che caratterizzano un prodotto televisivo, a che cosa penseremmo? Ad esempio, prendendo
un prodotto televisivo come “X Factor”, quali sono i suoi paratesti? Sono tutti gli altri testi
che fanno riferimento a quel testo principale, che gli stanno attorno, ad esempio testi più
piccoli e ancillari come i promo. E non soltanto abbiamo paratesti all’interno del mezzo
televisivo, ma anche fuori: se noi andiamo a guardare delle riviste, dei giornali, dei
settimanali televisivi che parlano di quel prodotto, di quel testo, questi possono essere
considerati dei paratesti. Dunque, se si guarda alla testualità televisiva, essa è caratterizzata
dalla successione di testi di diversa natura, ad esempio i programmi, i break pubblicitari, i
promo, che sono una specifica famiglia di comunicazione pubblicitaria: i promo si
differenziano dalla pubblicità perché pubblicizzano la televisione stessa, i programmi stessi
o le reti, la dimensione istituzionale delle reti.
Quando si fa storia della letteratura si ha di fronte un corpus di testi, che si possono leggere e
analizzare. La questione complessa del fare storia della televisione è data dal fatto che non tutti i
testi sono disponibili. Di cosa si ha bisogno per fare storia della televisione? Qual è il requisito
essenziale per fare storia della televisione partendo dai testi? Si ha bisogno dei testi originali che si
trovano negli archivi. Bisogna lavorare sugli archivi. La questione si fa complicata perché non tutto
quello che la televisione ha prodotto è stato conservato e archiviato, per diversi motivi:
• Gli archivi della televisione sono nati abbastanza recentemente. In Italia, le teche RAI sono
nate negli anni ’90 del 1900 ed in relazione al processo di digitalizzazione dei media: cioè
sono nate in maniera collegata al fatto che il testo televisivo poteva essere digitalizzato ed in
questo modo anche conservato. Quindi la preoccupazione della conservazione del prodotto
televisivo è piuttosto recente. Perché la televisione è stata archiviata soltanto di recente?
Perché la televisione è stata, e molto spesso è tutt’ora, considerata un medium di serie B, un
medium banale ed inutile. Non è il cinema con i suoi grandi capolavori: la televisione è fatta
di testi minimi, quotidiani, di poca rilevanza estetica, per cui perché si dovrebbero
conservare? In realtà poi, recentemente, si è capito che la storia del 1900, almeno per tutta la
sua seconda parte, non è narrabile se non facendo riferimento anche ai media e soprattutto al
medium rilevante in questo periodo, cioè al medium che è stato ed è tutt’ora il medium
centrale, cioè la televisione. Viene dunque riscoperta l’importanza della televisione e
dell’archiviazione.
• I testi della televisione non sono tutti disponibili. Esiste quindi un problema insormontabile
dal punto di vista tecnico, perché, quando la televisione nasce, dopo la guerra, a fine anni
53
’60 sostanzialmente, non esiste un sistema di registrazione del segnale video; quindi, la
televisione o va in diretta (e se va in diretta di fatto non è conservata in alcun modo) oppure,
fino agli anni ’60, viene realizzata con altre modalità (es. attraverso l’utilizzo della pellicola
cinematografica, del film) ed in questo caso viene conservata.
Dunque, c’è una grande differenza fra i generi, perché se si parla della storia di quella che oggi
chiamiamo “fiction” e che negli anni ’60 chiamavano lo “sceneggiato”, il “teleromanzo”, allora i
testi di quel genere sono molto più presenti. Invece se si pensa all’informazione, con il telegiornale
che andava in diretta, gran parte di quel materiale è andato perduto, e soprattutto sono andate
perdute le parti dei telegiornali in studio, mentre sono stati conservati i servizi. Quindi c’è una
grande differenza. Naturalmente la parte più persa è quella degli anni ’50, poi negli anni ’60
cominciano ad esserci più materiali conservati, e così via.
Quindi il problema di fare storia della televisione si confronta con la questione dell’archiviazione e
della disponibilità degli archivi, perché in Italia, a differenza ad esempio della Gran Bretagna o
della Francia, non esiste un archivio nazionale del materiale audiovisivo. Mentre in Francia esiste
un’istituzione molto importante che si chiama INA (Institut National de l’Audiovisuel) che
raccoglie tutta la produzione televisiva data dal broadcast per legge (quindi si riconosce la rilevanza
della memoria della televisione), così similmente il “National film and television archive” in Gran
Bretagna, nulla di tutto questo esiste in Italia. Quindi se si deve fare ricerca storica sulla televisione
in Italia, ci si può soltanto rivolgere alle varie teche RAI. Ormai non ci sono più soltanto le teche
RAI, anche se le teche RAI coprono tutta quella parte caratterizzata dal monopolio pubblico, quindi
fino alla fine degli anni ’70, ma poi la televisione cambia, nascono le televisioni commerciali. Se tra
50 o 100 anni si dovesse rifare la storia del sistema televisivo non basterebbe la RAI, ma si
dovrebbe andare agli archivi di Mediaset e agli archivi di SKY. Tra l’altro, con il fatto che la
televisione contemporanea è una “televisione dell’abbondanza”, la questione diventa ancora più
complicata perché rispetto a tutta questa abbondanza di programmi, canali, prodotti, che cosa si
archivia? Cosa servirà ad uno storico fra 100 anni? Le cose migliori? Quindi si adotta una lente
estetica? Oppure per capire gli anni 2000 servono di più i telegiornali, o il “Grande Fratello” o
l’“Isola dei famosi”?
Questi son tutti problemi che gli storici della televisione si pongono, e cercano di risolvere.
Dunque, da dove partire per raccontare le “storie” della televisione? Non si può che partire da un
testo, un elemento concreto, e partire da qui tutto quello che sta intorno, che idea della televisione
emerge e che idea dello spettatore emerge in questo testo, per cercare di ricostruire la storia
culturale, il contesto, della televisione a partire dalla concretezza di un testo. È estremamente
interessante fare questo tipo di lavoro storico perché un testo, ad esempio, ha sempre contenuto
un’immagine dello spettatore a cui si rivolge.
Che immagine emerge della televisione come medium, dello spettatore, della RAI?
Visione del primo testo pubblicitario realizzato dalla televisione italiana nel 1954, anno della
partenza delle trasmissioni regolari della RAI, dove cioè un broadcaster trasmette regolarmente (il 3
gennaio del 1954). Prima c’è tutto un periodo sperimentale che precede questa data: negli anni ’30
il regime fascista prova a sperimentare le trasmissioni, ma non si tratta solo di sperimentazioni. In
questo testo si pubblicizza la televisione stessa: si invitano i cittadini, spettatori della televisione, ad
acquistare il televisore. Protagonista è una tipica famiglia italiana insieme alla sua cameriera
Armida. Cosa dice Armida della televisione italiana?

Il pubblico
A che tipo di pubblico guarda questa campagna? A che tipo di pubblico guarda la televisione? Si
rivolge ad un tipo di pubblico medio/alto borghese, un pubblico educato, mediamente colto. Il
marito legge un giornale, hanno una cameriera: di certo non si tratta di un pubblico popolare.
Quindi nel 1954 si sta guardando a questo tipo di pubblico. Per quale ragione si guarda in primo
luogo a questo tipo di pubblico? In primo luogo, per ragioni economiche: l’apparecchio televisivo
(così come era stato l’apparecchio radiofonico degli anni ‘20 con l’intento di Mussolini di agevolare
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l’acquisto di apparecchi radiofonici) è un apparecchio costoso. Infatti, almeno fino alla fine degli
anni ’50, che tipo di consumo si fa della televisione? Avviene un consumo collettivo (nella
pubblicità arrivano le figlie del vicino che aiutano la cameriera perché c’era la televisione). È questo
un altro aspetto che caratterizza la televisione di questi anni: l’apparecchio televisivo è costoso, e
perciò si va a guardare la televisione nelle case di chi ha un televisore, oppure ancora più spesso si
guarda la televisione nei cinema, nelle latterie, nei bar, soprattutto quando la televisione inizia a
mandare in onda programmi di una popolarità sconfinata, ad esempio i giochi televisivi, es. “Lascia
o raddoppia”, che in realtà non è il primo gioco televisivo. L’altro gioco televisivo che va in onda
prima ma per un periodo molto breve è “Duecento al secondo”. Sono questi i programmi che hanno
una grossa popolarità e che vanno in onda non solo tra un pubblico borghese ma soprattutto anche
tra pubblico popolare.

Il medium televisivo
Che tipo di immagine viene fuori della televisione come medium? Come è presentata la televisione?
La televisione è assolutamente utile. Viene presentata un’immagine molto ottimista e
tranquillizzante del mezzo televisivo. Questo spiega il fatto che in realtà in quegli anni non
mancavano visioni molto più problematiche e pessimiste nei confronti del mezzo televisivo: vi era
l’ansia nei confronti di un mezzo che ha un potere talmente grande che entra nelle case e nelle
famiglie; è uno strumento di consumo mediale che entra nella parte più sacra e intima. Invece
questo testo ci sta dicendo che non c’è niente di preoccupante in tutto ciò. È presente un’immagine
molto positiva della televisione e che è molto in continuità con strumenti di intrattenimento che già
esistono: i due personaggi, che nella pubblicità sono in rappresentanza della televisione italiana
sono Mario Riva e Alberto Rabagliati. I due sono entrambi divi della radio. In realtà sia uno che
l’altro hanno avuto una presenza lunga, dagli anni ’30 e ’40, nel varietà, nella rivista; diventano
entrambi personaggi molto famosi e sono molto noti al grande pubblico e contribuiscono a dare
questa idea di tranquillità, di garanzia: lo stesso intrattenimento a cui si è abituati lo si porta su un
nuovo mezzo che è appunto la televisione.
La storia della letteratura si differenzia dalla storia della televisione perché nella storia della
televisione gli approcci, i punti di vista, sono molteplici, perché un medium è qualcosa di
complesso, che ha diverse funzioni.
Le dimensioni di un medium sono quattro:
1. Dimensione testuale
2. Dimensione istituzionale
3. Dimensione del consumo
4. Dimensione tecnologica
Dunque a partire dal testo possiamo anche analizzare le altre dimensione (es. prima si diceva della
questione della conservazione, che ovviamente ha a che fare con la storia tecnologica del mezzo).
Allora quando si parla di storia della televisione si dovrebbe, in realtà, parlare piuttosto di storie
della televisione, e di come queste storie della televisione si intrecciano tra di loro. Un medium,
infatti, è queste quattro dimensioni, dunque le storie che si possono raccontare sono diverse, e
l’aspetto più importante è avere uno sguardo sistemico, che cerchi di capire come un aspetto
influenza l’altro. In che modo, ad esempio, la tecnologia a disposizione consente di sviluppare
generi e linguaggi differenti?
Se si guarda alla storia di un genere come i magazine di inchiesta, o in generale il genere
dell’inchiesta, questo genere è fortemente influenzato dalla tecnologia. Negli anni ’50, le inchieste
vengono realizzate con la macchina produttiva del cinema. Quindi se si va a fare un’inchiesta (es.
interviste ai soldati), si ha bisogno delle macchine da presa, dei microfoni, del direttore della
fotografia: si ha una troupe molto pesante. Invece qual è la caratteristica dell’inchiesta di oggi,
quella erede dell’inchiesta tradizionale (es. si parla di programmi come “Report” oppure anche di
forme ibridate, ad esempio quando le “Iene” fanno servizi propriamente di inchiesta)? Le

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telecamere nascoste, quindi il fatto di poter ridurre un intero apparato cinematografico ad una
minuscola microcamera, che può essere addirittura nascosta.
Quindi i linguaggi, le tecnologie, le storie istituzionali si influenzano reciprocamente. Lo sguardo
deve essere sempre sistemico.
Quando si guarda all’approccio storico alla televisione bisogna tenere in considerazione queste
diverse dimensioni del mezzo televisivo: dimensione istituzionale, sociale, tecnologica, dei testi e
delle forme simboliche. Questo vuol dire che la storia della televisione si incrocia con altre storie:
con la storia politica, economica ed istituzionale. Ad esempio, c’è stata una grossa polemica sul
fatto che il governo voleva proporre, attraverso un decreto, una riforma della RAI, cioè una riforma
del servizio pubblico: tutto questo riguarda la storia politica e istituzionale del mezzo. E questa
storia è una storia lunga che nasce dal fatto che in Italia, a differenza degli altri paesi, ad esempio, il
potere politico decide di costruire un servizio pubblico, che per diversi decenni opera in regime di
monopolio (la RAI, dunque, è l’unica azienda abilitata alle trasmissioni radiofoniche e televisive
fino agli anni ’70). Queste scelte politiche hanno a che fare con la storia istituzionale, ma
chiaramente impattano anche con tutte le altre forme e dimensioni della televisione.
Si ha una storia culturale, che ha a che fare con le forme simboliche, con quella che Raymond
Williams chiamava la dimensione “simbolica” e “culturale”, quindi con i prodotti, con la continuità
e la discontinuità tra la televisione e altri mezzi: l’esempio di Rabagliati e Mario Riva nel gioco
televisivo. Anche se quella del gioco televisivo è una storia particolare: è questo un genere che ha
origini radiofoniche non tanto nazionali, poiché il gioco a premi, il quiz nasce negli USA, quindi è
una di quelle forme che vengono importate, ma con una rielaborazione e un riadattamento molto
articolati e complessi. La maggior parte dei giochi a premi trasmessi in questi primi anni, sono
infatti dei riadattamenti di giochi a premi presi dalla televisione americana.
Quindi quando si parla di storia della televisione si parla di storie che si incrociano con la storia
culturale di un paese, con la storia politica, con la storia sociale. Quindi la storia della televisione va
ad articolarsi in tre grandi aree (che poi possono diventare quattro):
• Storia tecnologica: storia delle tecnologie
• Storia istituzionale: storia degli apparati
• Storia testuale: storia delle forme simboliche e dei prodotti, dei testi
• Storia sociale: storia delle forme di fruizione, del pubblico, delle modalità con cui un
medium (la televisione in questo caso) si consuma.

Storia tecnologica
Nel 1925 nasce la televisione da John Logie Baird come un modo di trasmettere le immagini
diverso da quello del cinema. La prima immagine trasmessa è quella di un postino in tempo reale
(televisione deriva dalla radio) ed è in verticale.
Nel 1927 Philo Farnsworth utilizza il tubo catodico (1897) che permette di proiettare le immagini
sul fondo del tubo. Nasce la televisione elettronica. Ci sono disturbi delle immagini. Quelle della
televisione sono immagini in movimento sonorizzate. Nel 1937 viene inventato il cinema sonoro.
L’impatto della televisione si capisce nel 1936 con le Olimpiadi di Berlino. La televisione diventa
un medium di massa per diffondere la potenza tedesca. Le telecamere trasmettono le immagini in
diretta, ma i tedeschi non avevano la televisione; quindi, nei cinema si installano degli apparecchi
televisivi. È uno spettacolo popolare che esalta la potenza nazista. La televisione viene fruita in
pubblico e sociale, non nella dimensione privata.

Contesto
Nel 1926 nasce la BBC, nel 1936 hanno inizio le trasmissioni televisive in Gran Bretagna. Si tratta
di trasmissioni sperimentali (non provate). Si manda in onda una volta a settimana. La televisione
nasce sul modello del servizio pubblico (regime di monopolio). Il modello è pedagogico, si rivolge
ad un pubblico specifico (bambini, donne, anziani). Bisogna per prima cosa spiegare la
strumentalizzazione, come si rappresenta la realtà (nel cinema non si svela mai perché è una
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finzione). La televisione è derivativa, cioè riprende il teatro. Nel 1926 nasce la National
Broadcasting Company (NBC). Nel 1927 viene emanato il Radio Act: il governo americano
controlla (e vende) le frequenze, ma lascia ai privati la libertà di trasmissione (regime di
concorrenza). Sempre nel 1926 nasce la Columbia Broadcasting System (CBS). Nel 1939 hanno
inizio le trasmissioni televisive negli Stati Uniti. Nel 1943 nasce la America Broadcasting Company
(ABC). Il sistema radiotelevisivo americano si basa sul sistema delle Big Three (NBC, CBS, ABC)
che durerà fino agli anni ’80. Il principio è quello di intrattenere.

Europa Stati Uniti


Monopolio Iniziativa privata
Servizio pubblico Mercato
Politica Pubblicità
Educazione Intrattenimento

Si sviluppa una serie di genere televisivi dalla radio: il quiz show, il cinema noir. In televisione ci
sono marche che promuovono i loro prodotti (in Gran Bretagna non esiste la pubblicità). Le
pubblicità sviluppano un discorso di tipo narrativo: si deve intrattenere. Si sviluppano spot
pubblicitari di animazione personalizzati che possono diventare iconici per il brand facendo leva sui
bambini. Nascono i jingle: ripetere il nome del prodotto con canzoni che rimangono in testa. Gli
spot targhettizzano l’audience: cerotti per le casalinghe e per i bambini, stesso prodotto con due
modalità. Gli spot finiscono con le immagini del prodotto e con il nome del brand. Si dimostrano
più efficaci della radio. La BBC chiude al mercato perché la televisione deve essere uno strumento
pedagogico.
Si sviluppano negli Stati Uniti i generi del game show e del quiz (prove di abilità vs cultura
generale), fiction (importazione dei radio-drammi), pubblicità. In Europa si fanno adattamenti
teatrali, sceneggiati (trasposizione di opere letterarie) di cultura nazionale, approfondimenti politici
e culturali (documentari), programmi per determinate categorie sociali (uso e consumo degli
spettatori), varietà (programma contenitore, balletti, canzoni, scenette).

Europa Stati Uniti


Adattamenti teatrali e letterari Quiz show
Approfondimento politico e culturale Game show
Programmi per categorie sociali Fiction
Varietà Pubblicità

Modello italiano
Nel 1924 nasce l’Unione Radiofonica Italiana (URI). Nel 1927 l’URI diventa Ente Italiano
Audizioni Radiofoniche (EIAR). Si tratta di un modello monopolistico sotto il controllo diretto del
regime fascista con una spiccata funzione di propaganda. Nel 1939 ci si ferma perché non si hanno
più fondi per fare sperimentazioni, si usa solo la radio.
Nel 1944 l’EIAR diventa Radio Audizioni Italiane (RAI). Nel 1946 si riprendono gli apparati e li si
gestiscono (DC) con lo spirito della BBC.
Tra il 1951 e il 1953 si hanno le prime sperimentazioni televisive. Nel 1954 nasce la
Radiotelevisione Italiana.

Storia istituzionale
Dunque, la storia istituzionale della televisione è la storia del passaggio dalla scarsità
all’abbondanza, dalla presenza di un unico attore monopolista, alla presenza di diversi attori. In
realtà il mercato televisivo, come molto mercati mediali, è accusato di essere oligopolista, cioè
caratterizzato da pochi attori: di fatto anche in Italia non c’è una vera e propria apertura del mercato,
ma ci sono pochi player, pochi attori.
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Storia sociale
Se si passa alla storia sociale cosa si osserva? Guardando la storia delle modalità con cui si consuma
la televisione si nota il passaggio da una televisione che negli anni ’50 (e anche negli anni
successivi) è una televisione che si considera una sorta di focolare domestico, che si consuma in
famiglia, in casa, ad una radicale personalizzazione del consumo televisivo, che è supportato dalla
pay-tv, dalla televisione sul cellulare. È questo un tipo di consumo televisivo che non ha avuto una
grande diffusione, soprattutto in occidente. Però se ci si sposta su una cultura un po’ diversa, cioè
verso l’Asia Orientale (Corea, Giappone), si vede che all’interno di questo contesto culturale
diverso, la visione della televisione è più forte, più importante, più rilevante. Oggi, se si guarda al
consumo televisivo in Italia, in Europa, nel nostro contesto culturale, si può dire che c’è una sorta di
convivenza: esiste ancora una forma di consumo condiviso, su modello del focolare domestico, ad
esempio nel caso del telegiornale, che è un tipo di costumo molto rituale, o ancora ci sono momenti
in cui il consumo è condiviso magari con i film o le serie in prima serata (es. da studi sul consumo
di “Braccialetti Rossi”, si è visto che esso ha attraversato un po’ tutte le generazioni: da genitori a
figli, da nipoti a nonni ecc.). Ma è vero anche che ci sono programmi per cui si è meno di disposti
ad una condivisione familiare.
Quindi la storia del consumo di televisione nasce con la forte caratterizzazione del consumo
condiviso e va invece verso l’abbondanza, che non è soltanto l’abbondanza delle istituzioni
televisive, ma l’abbondanza degli strumenti. La televisione contemporanea è convergente perché le
modalità di accesso al contenuto sono molteplici: il consumo di televisione passa anche attraverso il
laptop o l’i-pad: moltiplicazione degli strumenti e dei device con cui si consuma televisione.

Storia testuale
Anche questo caso ci sono elementi di continuità e di discontinuità. Nella storia istituzionale, la
RAI è un elemento di continuità. Nella storia dei prodotti televisivi, della dimensione più culturale e
simbolica, ci sono elementi di continuità che sono in gran parte legati ad un concetto rilevante che è
il concetto di genere: la continuità attraverso i generi. Il gioco a premi è senz’altro uno di quei
generi che caratterizza il mezzo televisivo dalle proprie origini ad oggi. Che cosa cambia?
Cambiano tante caratteristiche testuali: rimangono in vita una serie di caratteristiche che sono le
caratteristiche del gioco come genere (cioè è una sfida tra una persona o un insieme di persone
contro il caso, oppure una sfida legata alle proprie capacità per la conquista di una posta, di un
premio: questo è essenzialmente il gioco), però poi le modalità visive attraverso cui il gioco è
realizzato sono molteplici e cambiano e sono molto influenzate da cosa?
Es. immagine del film “Totò lascia o raddoppia?”, dove Totò diventa protagonista del programma
di Mike Bongiorno vs immagine di “Chi vuol essere milionario?”. Cosa cambia? La grafica,
concetto di rimediazione: il gioco a premi fa ampio ricorso alla grafica computerizzata. Il
“Milionario” è un genere che per format è molto centrato sulla presenza visiva della grafica del
computer.
Quindi la storia della televisione si sviluppa attraverso una serie di generi. Alcuni generi peraltro
vengono ripresi e rimediati da altri mezzi precedenti (discorso che faceva anche Raymond
Williams).
Es. il telegiornale ha dei modelli. Quando nasce (nel 1953/1954, con le trasmissioni regolari) i
modelli con cui il telegiornale televisivo viene costruito sono i modelli di:
• Radiogiornale: informazione alla radio
• Cinegiornale: informazioni attraverso filmati che precedono i film al cinema, tipico
strumento degli anni del fascismo con i telegiornali dell’istituto Luce
• Giornali: tanto è vero che il telegiornale delle origini si struttura proprio come i giornali,
cioè per pagine.
Solo quando avviene la trasformazione del sistema televisivo da un sistema monopolista a sistema
concorrenziale, il telegiornale diventa caratterizzato da notizie molto più leggere, dall’ “infotainent”

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(es. un modello di telegiornale come “Studio Aperto” non è concepibile nella televisione degli anni
’60 e ’70; è concepibile nella televisione degli anni ’90).
Gli attori in campo sono:
• Il sistema televisivo italiano
• Il sistema televisivo europeo
• Il sistema televisivo americano, che costituisce riferimento altro a cui ci si ispira in parte e
da cui in parte si prendono le distanze.
Il sistema del broadcasting in Europa e negli USA è completamente diverso. I due sistemi molto
differenti in tutta la prima fase di vita della televisione; infatti la televisione negli Stati Uniti (come
era tradizione già dai tempi della radio) nasce come televisione commerciale, che fonda il proprio
modello economico sulla raccolta pubblicitaria, secondo un sistema dove l’acquisto e la pubblicità
di merci sostiene il sistema dei media e in particolare quello della televisione.
Il sistema europeo si basa, invece, sull’idea di servizio pubblico, secondo cui non basta
semplicemente un’opera di regolamentazione da parte dello Stato.
Negli USA esiste la “Federal communication commission” che regola il sistema dei media, ma fa
solo questo. In Europa, invece, si pensa che lo Stato abbia un ruolo importante da svolgere
nell’industria dei media, attraverso una propria concessionaria, ovvero una concessionaria di
servizio pubblico (nome col quale era stata chiamata la RAI) che opera in regime di monopolio,
cioè non esistono altre imprese televisive private commerciali: non si permette a nessun altro al di
fuori della RAI di trasmettere ed operare nel broadcasting radiofonico e televisivo.
Bourdon parla di una americanizzazione sottile e invisibile nel rapporto tra Italia, Europa ed
America, ed è questo un tema ricorrente anche nello studio di Forgacs riguardante la “dipendenza
culturale” e l’“industria culturale” (gli europei si aprono a prodotti di consumo di origine
americana).
Negli anni ’50, ’60 e ’70 del 1900, la televisione, in Europa, è uno strumento fortemente nazionale:
la maggior parte dei suoi contenuti sono prodotti nazionali costruiti all’interno della RAI ed anche
alcuni generi sono tipicamente nazionali, ad esempio il genere dell’informazione, quello del tele-
romanzo, del tele-teatro (che poi si evolveranno nella fiction). Questi sono tutti generi nazionali
basati sul modello teatrale, con attori e messe in scena di opere teatrali e di romanzi non solo italiani
ma anche europei.
Bourdon, quando parta di “americanizzazione” fa riferimento si riferisce al settore
dell’intrattenimento, un settore meno importante in questo periodo.
Si parla dunque di quello che Colombo definiva la “logica del grillo”: la televisione deve far passare
messaggi educativi alti ma al contempo deve diventare popolare. Come si può diventare popolari?
Attraverso il gioco televisivo, che ben presto diventa il genere più popolare della televisione del
momento. Solo che non esistevano modelli di riferimento nazionale che riguardassero il gioco
televisivo.
Infatti il “game show”, il “quiz show” ha origine radiofonica. Negli Stati Uniti, però, iniziano le
trasmissioni già nel 1948, quindi, in realtà, esiste un modello di intrattenimento che è quello
americano. In questi anni il capo della programmazione della televisione italiana, Sergio Pugliese,
cosi come tanti altri suoi colleghi francesi e tedeschi, era uno tra i pochi che conosceva la
televisione americana (prima infatti non esisteva, come oggi, la possibilità di guardare programmi
di altre nazioni) e pertanto lui, insieme ai colleghi europei, prendono i modelli americani e li
utilizzano per introdurre in Europa questo nuovo genere, cioè quello del gioco a premi.
Gli autori televisivi europei prendono dunque dei modelli dalla televisione americana, ma non si
limitano semplicemente a riprodurre i modelli: attuano infatti anche un’operazione di
localizzazione, e anzi, nel caso di Sergio Pugliese, di “italianizzazione”. La dimensione nazionale
diventa infatti rilevantissima anche per la diffusione della lingua nazionale.

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Come vengono adattati questi prodotti?
In questo periodo ci si ispira liberamente ai modelli americani e molto raramente vengono pagati
dei diritti da parte degli autori europei agli autori americani, nonostante i modelli vengano copiati e
riadattati un po’ in tutta Europa. Il caso divertente è che gli autori “Lascia o raddoppia?”, un gioco
televisivo che era stato riadattato da un gioco televisivo francese, che a sua volta era nato grazie il
suo modello americano, avevano dovuto pagare i diritti non agli autori americani, bensì agli autori
francesi.
Ad ogni modo con l’“italianizzazione” vengono introdotte delle novità nella struttura del gioco a
premi, che si possono osservare già in “Lascia o raddoppia?”, ad esempio la figura valletta. Il
gioco a premi diventa quasi uno spettacolo teatrale.
La televisione europea monopolistica del servizio pubblico si ispira a ideali che vanno a costituire
una triplice missione, che a suo tempo era già stata assegnata prima alla radio, e successivamente
alla televisione britannica dal primo direttore generale della BBC, Lord John Reith, il quale
sosteneva che il servizio pubblico doveva:
Educare: i generi essenziali che andranno a caratterizzare la televisione di servizio pubblico, che
mireranno all’educazione alta delle masse attraverso modi diretti (es. le tele-scuole) o indiretti.
Informare: già dal 1953 (cioè da prima dell’inizio delle trasmissioni regolari) la televisione italiana
si dota di un telegiornale. In realtà all’inizio il telegiornale non ha una grande importanza, poiché gli
facevano concorrenza i giornali e la radio, che rimanevano il mezzo principale con cui le masse si
informavano. Solo col passare del tempo anche il telegiornale comincia a diventare un rilevante
mezzo di informazione, fondendosi anche con altri generi televisivi e non solo.
Divertire: come si può divertire? Secondo la missione educativa europea, si può divertire solo se si
tiene presente che nel divertire bisogna che ci sia una giustificazione morale o culturale. Bisogna
divertire ma contemporaneamente anche insegnare qualcosa.
È questo l’aspetto della televisione europea che colpisce subito: si può intrattenere solo se
l’intrattenimento è culturalmente orientato. È per questo motivo che “Duecento al secondo”, un
gioco televisivo che sembra intrattenimento puro, che prevede giochi di tipo fisico, che sembra
umiliare i concorrenti (cfr. il dibattito contemporaneo sul genere del “reality show”, erano dibattiti
già presenti nel 1955), diventa oggetto di critiche molto pesanti, perciò la RAI, dopo solo un’estate,
decide di chiuderlo.
La stagione successiva, sempre ispirandosi ad un prodotto americano, la RAI si inventa “Lascia o
Raddoppia?”, un gioco televisivo che dà molta popolarità a Mike Bongiorno, il suo produttore, e
che sarà molto più apprezzato grazie alle aspettative culturali presenti all’interno del gioco: si
intrattiene insegnando qualcosa. I concorrenti, infatti, devono conoscere bene una materia specifica,
poiché le domande che gli si rivolgono a riguardo sono molto difficili. Si nota quindi un aspetto
molto più culturale del programma: si mostra la cultura e si dà un insegnamento morale, cioè si dice
che “essere colti e studiare paga, anche in termini monetari, perché si vincono i soldi del gioco”.
Oltre a “Lascia o Raddoppia?”, a fine anni ’50 e inizio anni ’60 nasce un nuovo programma che
istituzionalizza la forma all'italiana del gioco televisivo: è “Campanile sera”, condotto da Mike
Bongiorno ed Enzo Tortora. “Campanile sera” è uno dei pochi prodotti televisivi che viene creato
in Italia su modello italiano: infatti, in collegamento con lo studio ci sono due paesini del nord e del
sud dell’Italia, che si confrontano tra loro. In questo modo un Italia dialettofona, che parla dialetti
diversi, si conosce tramite la televisione. Questo nuovo gioco televisivo diventa il primo modello di
gioco italiano che viene esportato all’estero ed in particolare dai francesi, che creano un programma
simile. “Campanile sera”, infatti, piace molto a De Gaulle, che ritiene che la televisione popolare
possa diventare uno strumento per la costruzione dell’anima europea. Perciò, in accordo col
ministro tedesco, viene creato un gioco televisivo chiamato “Jeux sans Frontiers” (Giochi senza
Frontiere), che diventa un modello di gioco destinato a creare un pubblico popolare a livello
europeo. Esperimento, questo, che in realtà si dimostrerà fallimentare.
Oggi tuttavia c’è ancora un intento di questo genere con un programma che tutt’ora continua ad
avere successo, che è “Eurovision Song Contest” (un contest musicale che si tiene ogni anno nel
60
luogo di cui il vincitore precedente era rappresentante). Questo programma è a sua volta un altro
esperimento, attuato con la stessa modalità e finalità del secolo scorso e che è arrivato fino a noi.

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15. LA STORIA ISTITUZIONALE DELLA TELEVISIONE

Per quanto riguarda la televisione esistono varie storie: storia istituzionale, tecnologica, culturale, e
fare storia della televisione significa analizzare come queste varie storie si intrecciano tra di loro.
La prima questione che si affronta quando si cerca di dare un quadro complessivo di un fenomeno è
cercare di definire una periodizzazione, cioè definire delle categorie generali che indichino specifici
periodi e diano conto dei passaggi e delle caratteristiche di questi specifici periodi.
Questo è il tentativo di una periodizzazione sulla storia del medium televisivo pensata da uno
studioso inglese che si chiama John Ellis, il quale, soprattutto facendo riferimento alla storia della
televisione europea, ne individua tre fasi, nel libro “Seeing Things: Television in the Age of
Uncertainty”, uscito nel 2000:
• Età della scarsità (Scarsity)
• Età della disponibilità (Availability)
• Età dell'abbondanza (Plenty)
La storia del medium televisivo non è lunghissima: la televisione ha circa 60 anni. Anche se tutta la
sperimentazione avviene già negli anni ’30, i servizi regolari di broadcasting televisivo nelle
maggior parte dei paesi (Germania, Gran Bretagna ecc.) partono dopo la fine della Seconda guerra
mondiale, negli anni '40 in Gran Bretagna e Stati Uniti e negli anni '50 per quanto riguarda gli altri
paesi. Per esempio, in Italia le trasmissioni regolari iniziano il 3 gennaio del 1954. Dunque, questi
60 anni possono essere suddivisi in questo modo:
• Anni ’40 – ’60: Età della scarsità. Per Ellis l’età della scarsità corrisponde alla televisione
delle origini che si colloca fra fine anni '40 e inizio anni '50 e la fine degli anni '60.
• Anni ’80 – Anni ’90: Età della disponibilità. È il periodo segnato dal fatto che buona parte
dei sistemi televisivi europei alla fine degli anni '70 (anche se con alcune eccezioni) passano
da una situazione di monopolio pubblico (es. RAI) all'avvento della televisione privata e
commerciale. É quel processo che è noto con il termine (che forse non è corretto sempre) di
deregolamentazione, che consiste nella fine dei monopoli pubblici sul broadcasting e inizio
di una maggiore liberalizzazione, con la nascita della televisione commerciale privata.
Questo periodo si protrae fino a quando? Man mano che si va più avanti e si arriva alla
contemporaneità è più difficile stabilire dei confini. Successivamente il fenomeno della
convergenza e una serie di fenomeni che avvengono alla fine degli anni '90 e inizio anni
2000 segnano una trasformazione e un passaggio della televisione ad una nuova età, quella
che Ellis definisce "plenty", cioè l'età dell'abbondanza.
• Anni 2000 - /: Età dell'abbondanza. Naturalmente poi si potrebbero prendere quelle che gli
storici chiamano "date catastrofe", cioè date che segnano dei passaggi e dei cambiamenti.
Queste variano di paese in paese: l'Italia ha una storia diversa dalla storia della Gran
Bretagna e dalla storia francese per quanto riguarda il sistema televisivo; quindi,
naturalmente la data che segna il passaggio all’età dell'abbondanza in Italia potrebbe essere
identificata con il 2003; però ovviamente sono date indicative che ci danno l'idea di un
cambiamento che è progressivo (non cambia tutto da un giorno all'altro ma c'è una
trasformazione graduale).

Età della scarsità

L’età della scarsità (anni ’40-’60) è caratterizzata da:


• Lento passaggio da televisione in pubblico alla “domesticizzazione” del consumo
• Dalla “fornitura universale” alla “scelta del consumatore”, anche se la possibilità dei
programmi è limitata.
• TV come strumento di modernizzazione

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In Italia questa età ha inizio il 3 gennaio del 1954 (anche se la messa in onda del telegiornale si
aveva già dal 1953) e si conclude tra il 1975 e il 1980. Durante questa fase si hanno cambiamenti
importanti che portano alla nascita di un sistema concorrenziale.
Cosa significa “scarsità”? Perché la prima età della televisione è definita “Age of scarsity” (età della
scarsità)? Per “scarsità” si intende in primo luogo “scarsità delle frequenze”. Infatti, lo spettro del
cosiddetto etere dove corre il segnale del broadcasting non è illimitato, ma è definito, cioè ha una
certa ampiezza. Inoltre, questo spettro elettromagnetico è un bene pubblico, quindi è lo Stato che in
ogni paese è chiamato a ripartire queste frequenze poiché su queste frequenze corrono sia il segnale
radiofonico, sia quello televisivo, sia i segnali dei cellulari e delle telecomunicazioni, quindi questi
segnali vanno regolarizzati. Questa prima età è caratterizzata dall'idea che lo spettro delle frequenze
sia scarso è quindi lo stato deve intervenire per regolarizzarlo. Inoltre, il tema della trasmissione del
segnale televisivo è frequentemente all'ordine del giorno. In questi giorni, in particolare, è un tema
dell'agenda politica quotidiana, perché c'è stata un’offerta pubblica di acquisto della rete trasmissiva
della RAI (cioè di Rai Way) da parte di Mediaset. Per legge lo stato non può scendere sotto il 51%
del controllo di Rai Way; quindi, è un tema dibattuto e non si sa che fine farà questa vicenda.
Questo per dire che il tema della trasmissione del sistema televisivo è un tema sempre rilevante.
La questione della scarsità, secondo Bourdon, in realtà è un po’ sopravvalutata: si tende a
sottolineare l’età della scarsità proprio per giustificare un intervento forte dello Stato. Comunque sia
questo tema della scarsità giustifica l’azione legislativa dello Stato e dei parlamenti o del governo in
termini di regolamentazione: bisogna regolamentare questo spettro delle frequenze, che sono scarse.
Questo tema caratterizza il broadcasting sin da quando nasce, cioè sin dagli anni ‘20.
Ma come si ottiene questa regolamentazione? Già qui si individuano i due modelli differenti: qui ci
si interroga per sottolineare la specificità del sistema televisivo europeo, a confronto del sistema
televisivo commerciale americano.

Modello americano
Negli USA lo stato tende ad essere il meno presente possibile nelle telecomunicazioni rispetto
all’Europa. Lo stato mette in piedi una specifica commissione, la Federal Communication
Commission (FCC), che dà una serie di norme alle frequenze e basta, si limita a questo, cioè
regolamenta, dà una regolamentazione. Questo tipo di autorità in Europa esistono un po’
dappertutto.

Modello europeo
Nel modello europeo non c’è soltanto questa prima azione di regolamentazione, quindi di
assegnazione da parte della televisione americana a diversi attori privati commerciali, quindi a
grandi network e grandi broadcaster nazionali (ABS, SPF ecc.). In Europa il sistema è diverso
perché è vero che bisogna regolamentare e assegnare lo spettro delle frequenze, ma in realtà la
questione si risolve molto semplicemente perché lo stato decide di operare direttamente nel settore
in continuità con quanto aveva già fatto con la radio. Per quanto riguarda la storia italiana la radio
era diventata sostanzialmente pubblica; quindi, controllata dal governo fascista poiché nel 1933 si
trasforma in EIAR e quindi c’era questa tradizione; in Gran Bretagna c’era questa tradizione già
dagli ‘20 del Public Service Broadcasting. In ogni caso lo stato interviene direttamente attraverso
una concessionaria di servizio pubblico, cioè un ente (più tardi sarà una società) che ottiene la
concessione di occuparsi del broadcasting, della trasmissione radiotelevisiva, e questa viene data
nella maggior parte dei paesi europei in un regime di monopolio. Questo per quale ragione? Perché
la differenza culturale di fondo sta nel fatto che è vero che tutti i paesi (Stati Uniti e Paesi Europei)
avevano partecipato alla Seconda guerra mondiale ma l’Europa aveva avuto la guerra in casa, cioè
aveva avuto quella tradizione di utilizzo propagandistico dei mezzi di comunicazione, che erano
parte integrante dei vari regimi autoritari e totalitari. Quindi ci sono una radio nazista e fascista, ci
sono dei tentativi di televisione da parte del fascismo e del nazismo che avevano dato agli europei
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una sensibilità molto più accentuata sul potere del mezzo televisivo. Quindi c’era l’idea che la
televisione e la radio fossero strumenti fondamentali per la crescita delle società democratiche nate
dopo la seconda guerra mondiale e che quindi fosse necessario sottrarla sia ai condizionamenti del
mercato (non è possibile che un mezzo cosi importante sia lasciato semplicemente in mano al
mercato) ma anche ai condizionamenti della politica: la televisione doveva essere sottratta da tutto
ciò e svolgere compiti alti di servizio pubblico (Public Service Broadcasting).
Il concetto di scarsità fa riferimento non soltanto alle frequenze e alla necessità di regolamentarle
attraverso una concessionaria di servizio pubblico, ma fa riferimento anche ad altri aspetti della
televisione di questo periodo:
• Scarsità dei canali: nel 1954, quando la televisione italiana nasce, c’è un solo canale che si
chiama "Programma nazionale". Non c’è il telecomando: c’è un televisore in bianco e nero
che non ha neanche un tastino e c’è semplicemente un unico canale. Nel corso degli anni ‘60,
nella maggior parte dei paesi europei, si passa da uno a due canali. In Italia il 1961 segna la
nascita del cosiddetto "Secondo programma", e così accade in buona parte dei Paesi Europei.
Quindi abbiamo pochi canali e una programmazione limitata.
• Programmazione per sequenze, per programmi discreti (cioè che sono delimitati). Fino agli
anni ‘70 la programmazione non è in Europa una programmazione di flusso. I programmi
hanno un inizio e una fine e fra una fascia di programmazione e l’altra ci sono delle
interruzioni, cioè non si trasmette nulla (o meglio la televisione trasmette un’immagine fissa
in monoscopio). Perché? Perché il servizio pubblico ha la volontà di spingere i consumatori di
televisione ad un buon uso del mezzo. Si cerca di evitare una colonizzazione del tempo
sociale da parte della televisione. Entra qui in gioco il tema del rapporto tra tempo sociale e
tempo televisivo, un tema molto importante. Quindi per esempio tutta la mattina è periodo di
non programmazione, poi al pomeriggio c’è la tv dei ragazzi e poi c’è la prima serata. Quindi
la programmazione della televisione europea è costruita per blocchi di programmi e non è una
programmazione di flusso. La programmazione di flusso è quella che Raymond Williams
vede negli Stati Uniti, dove vede una televisione diversa in cui i diversi pezzi del flusso si
concatenano fra loro (programmi, break pubblicitari, promo ecc.), dunque una
programmazione continuativa per tutto l’arco della giornata.
Questo che cosa significa? Quali sono le conseguenze? Qual è la caratteristica di fondo dell’età
della scarsità?
La caratteristica principale di questa televisione è quella di essere una televisione di massa, perché
in questo periodo la televisione, soprattutto grazie ad una serie di generi (es. il gioco a premi, il
varietà), è una televisione molto popolare. Dunque, una televisione popolare in cui esiste un solo
canale non può che essere una televisione di massa. Questo ha delle conseguenze importantissime
soprattutto nel nostro paese nel senso dell’unificazione e della modernizzazione del paese.
• Unificazione. Unificazione linguistica del nostro paese, che è fondamentale, dal momento
l'Italia degli anni ’50 parla il dialetto. Il ruolo della televisione è importante perché insegna
sostanzialmente una sorta di italiano medio che è appunto l’italiano più popolare, l’“italiano
di Mike Bongiorno”.
• Modernizzazione. La televisione contribuisce alla diffusione di un certo tipo di consumi, in
particolare attraverso la diffusione di alcuni generi, a cui gli italiani non erano ancora abituati.
La diffusione di massa della televisione, dalla fine degli anni ’50 all’inizio degli anni ’60,
corrisponde esattamente al periodo che in Italia ancora si ricorda come il periodo del boom
economico, in cui il paese il paese passa da un’economia prevalentemente agricola e rurale ad
una economia prevalentemente industriale caratterizzata dall’urbanizzazione, quindi da
fenomeni come la migrazione forte da sud a nord e da una cultura che diventa sempre più
urbanizzata.
Dunque, il modello europeo è il modello del servizio pubblico, della televisione pubblica, e si
contrappone in maniera chiara, in questo periodo, al modello americano commerciale, in primo
luogo in relazione ad una tradizione di controllo pubblico, che non significa che sia sempre una
64
tradizione di controllo democratico: l’Italia ad esempio vede il controllo della radio da parte dello
stato, durante il periodo fascista, quindi si viene da questa tradizione (la tradizione inglese o
francese è differente invece). In ogni caso c’è una forte tradizione nei paesi europei di controllo da
parte dello stato di questi mezzi di comunicazione (radio e televisione). In più in questa età della
scarsità la televisione europea è caratterizzata da un controllo complessivo e globale che si traduce
nel monopolio pubblico, perché la televisione e il broadcasting in generale viene considerato un
bene pubblico, allo stesso modo dell’acqua, perché è una risorsa strategica e necessaria per la
trasformazione, la crescita e la modernizzazione del paese.
Tutti questi aspetti vanno a delineare quello che è il modello del servizio pubblico all’europea che si
contrappone al modello commerciale USA.
Ma quali aspetti caratterizzano questi modelli di servizio pubblico all’europea? Adesso si
ricostruiscono astrattamente, come una sorta di idealtipo. Facendo un lavoro di carattere storico (e
Bourdon sottolinea proprio questo aspetto), si può dire che queste caratteristiche sono una sorta di
idealtipo che si va definendo non in quegli anni lì, ma un po’ più tardi. All’epoca non c’era un’idea
chiara di cosa fosse il servizio pubblico, e paradossalmente, la cosa che frequentemente sottolinea
Bourdon è che una chiara definizione del servizio pubblico viene data soltanto quando il servizio
pubblico entra in crisi; quindi, quando si passa dall’età della scarsità all’età della disponibilità,
ovvero quando si rompono i monopoli, iniziano a trasmettere le televisioni commerciali e il servizio
pubblico si trova in una situazione di disorientamento e crisi. È in questo momento che si inizia a
ragionare su cosa è stato il servizio pubblico e su cosa può essere. Però, vista la cosa un po’ più
astrattamente, possiamo dire che ci sono una serie di elementi che caratterizzano i servizi pubblici
europei e sono elementi abbastanza comuni (anche se con lievi differenze), che possono definire un
nocciolo duro di quello che il servizio pubblico è stato ed è. Queste caratteristiche sono:
• To educate, to inform, to entertain. Triplice missione, data dal primo direttore generale della
BBC, Lord Reith, secondo cui il broadcasting (prima questo discorso viene applicato alla
radio e poi alla televisione) deve in primo luogo educare, in secondo luogo informare ed in
terzo luogo divertire (in quest’ordine!). È qui importante ricordare il discorso delle varie
logiche: centrale è la logica del grillo, ma in parte anche del corvo per la necessità di essere
popolari.
• Necessità di essere un servizio universale. Si vuole coprire l’intero territorio nazionale.
Questo non è affatto un tema banale, perché se si guarda alla storia degli altri media (che
dipendevano dall’iniziativa privata, e non dall’iniziativa dello stato), ad esempio, se si pensa
alla stampa in Italia, che si sviluppa legata sostanzialmente al proprio territorio e alle proprie
città (es. “Il corriere della sera” certo è un giornale nazionale, ma è anche molto un giornale
milanese, e del nord; e gli stessi nomi dei quotidiani ricordano i paesi a cui sono legati), si
nota quindi che non è scontato che il servizio broadcasting si debba sviluppare in un’ottica
nazionale; anzi in quegli anni ci sono personalità contrarie al servizio pubblico e sostenitori
di servizi privati e commerciali a livello locale. Però in Italia, come nella maggior parte dei
paesi europei, si ritiene che la televisione abbia un’importante funzione a livello nazionale e
quindi il grande sforzo che viene fatto in quegli anni è lo sforzo trasmissivo, della
trasmissione, lo sforzo di unificare quella rete di ripetitori ed antenne (che oggi costituiscono
Ray Way) che devono coprire l’intero territorio nazionale: è fondamentale che la televisione
arrivi ovunque, anche nei paesi più piccoli. Lo stesso Bourdon dice che questa televisione
degli inizi degli anni ’50 è una “televisione fatta da ingegneri”: il grande sforzo è proprio
quello di arrivare a coprire l’intero territorio della nazione. Tra l’Italia è un paese diverso e
molto specifico rispetto a Francia e Gran Bretagna. Ad esempio, in Francia c’è una mappa
dei telegrafi ottici, con un centro molto chiaro ed evidente: c’è un centro e c’è una periferia.
L’Italia è fatta in maniera diversa: anche dal punto di vista dello sviluppo del servizio
televisivo nazionale vede una sorta di contesa nei primi anni fra la città che ha partorito la
televisione (Torino, Roma, ma in particolare Milano, dove vengono trasmesse la maggior
parte delle trasmissioni televisive di questi anni).
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• Scoperta equilibrata dei suoi generi. I generi che caratterizzano il servizio pubblico in questi
anni sono: la traduzione letterale della triplice missione, per cui educo (con una serie di
programmi e generi che rientrano nella funzione educativa della televisione), informo, e
intrattengo. Quindi l’offerta complessiva deve essere una sorte di equilibrio bilanciato di
questi diversi generi.
• Equilibrio dell’informazione. Anche questo è una sorta di idealtipo, un’aspirazione, che in
certi paesi avrà modo di manifestarsi concretamente, mentre in altro rimarrà una chimera.
L’informazione del servizio pubblico deve essere un’informazione autonoma e svincolata da
condizionamenti e che guarda al cittadino senza essere condizionata da interessi
commerciali e politici. Questa è ovviamente la sfida più difficile per il servizio pubblico. In
Gran Bretagna la BBC è nota per l’informazione, perché lì si sono trovati degli strumenti
molto pragmatici ma efficaci per garantire l’autonomia del servizio pubblico rispetto alle
pressioni commerciali e politiche. Bourdon sottolinea come questo sia una sorta di elemento
differenziale, che differenzia in maniera molto chiara la parte nord e la parte sud
dell’Europa. Nel nord Europa, infatti, (Gran Bretagna, Germania, Paesi Scandinavi) si
sviluppano servizi pubblici che riescono a trovare questa autonomia, anche se in maniera
diversa. Nei paesi del sud Europa, invece, (principalmente la Spagna, l’Italia e la Francia)
costantemente il servizio pubblico è condizionato certo in qualche modo da interessi di
carattere commerciale ed economico, ma è messo nelle mani dei partiti politici. È molto
evidente in Francia, dove fino a fine anni ’60 esiste addirittura un “Ministero
dell’informazione”, figlio del “Ministero dell’informazione” nato durante la guerra, che ha il
controllo del sistema trasmissivo. In Spagna fino alla metà degli anni ’70 (cioè fino a che è
in vita il governo franchista), ma anche dopo, con l’apertura alla democrazia, i primi governi
del partito socialista iniziano ad intendere il servizio pubblico come qualcosa che possono
controllare direttamente. L’Italia rappresenta, infine, il punto culmine; si parla infatti di
lottizzazione, che raggiunge il suo apice straordinario negli anni ’80 quando i principali
partiti presenti in parlamento, figli, almeno fino all’esplosione di tangentopoli, della
costituzione repubblicana (che sono Democrazia Cristiana, il Partito Socialista e il Partito
Comunista), si spartiscono in quegli anni le 3 reti e testate del servizio pubblico
(applicazione scientifica della lottizzazione). E tutto questo, ancora una volta, è un nodo da
sciogliere ancora oggi: nel 2016, infatti, scade il rinnovo della convenzione ventennale della
RAI con lo Stato. Nel 2015, inoltre, scade la governance, ovvero scade il consiglio di
amministrazione della RAI, che deve essere rinnovato nell’estate del 2015. Quante volte nel
corso degli anni si è sentito parlare di ipotesi di riforma destinate a staccare la RAI dal
controllo dei partiti politici? Questa cosa è di nuovo all’ordine del giorno del governo
attuale. Finora la storia ci dice che questo non è mai accaduto.
Dunque, in linea teorica il servizio pubblico si propone di rappresentare in maniera autonoma tutte
le parti, quindi di essere del tutto super partes e autonomo rispetto ai condizionamenti politici, ma
questo elemento in particolare è tradotto in maniera molto diversa nei diversi paesi che hanno
sviluppato questa storia del servizio pubblico.
Importante è una considerazione che Bourdon fa all’inizio del suo libro: “Quale elemento, quale
contributo l’Europa ha dato alla storia mondiale della televisione?”. Il contributo più importante che
l’Europa ha saputo dare alla storia della televisione è certamente il servizio pubblico. Per questo
quando si parla di storia della televisione europea si deve necessariamente passare attraverso il
concetto di servizio pubblico.
Questa ripartizione in tre grandi età, proposta da John Ellis, che è simile a quella proposta da
Bourdon (anche se in realtà nel libro di Bourdon si propone una periodizzazione un po’ diversa e un
po’ più articolata), corrisponde abbastanza a quella proposta, molto famosa e nota a livello
internazionale, da Umberto Eco in Italia all’inizio degli anni ’80, che è la distinzione tra:
• Televisione delle origini
• Paleo-televisione
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• Neo-televisione
Negli anni ’80 Umberto Eco scrive un articolo per l’“Espresso”. Siamo nell’’83/’84, nota che
qualcosa sta cambiando (iniziano le trasmissioni delle reti commerciali) e pensa che sia finita l’età
della “paleo televisione” e che inizia l’età della “neotelevisione”.
Bourdon critica un po’ questa dicotomia e differenza radicale tra una “paleo televisione” e una
“neotelevisione”, però è importante notarlo perché corrisponde alla distinzione tra “età della
scarsità” ed “età della disponibilità”. È importante ricordare che John Ellis sta scrivendo agli inizi
degli anni 2000 e sta distinguendo tra “scarsità, disponibilità ed abbondanza”; Umberto Eco molto
prima, negli anni ’80, distingue il passaggio da una “paleo televisione” ad una “neotelevisione” e
molto più recentemente, dovendo lavorare sulle caratteristiche della televisione contemporanea, è
nato anche il termine “multi televisione”, termine che dà l’idea del passaggio dalla neotelevisione a
quella che potremmo chiamare “la televisione dell’età dell’abbondanza” o “multi televisione”. È
importante, quindi, ricordare queste distinzioni.

Età della disponibilità

L’età della disponibilità (anni ’70-’90) è caratterizzata da:


• Passaggio da una “società dei consumi” a una “società consumistica” con l’inizio della
caduta dei monopoli.
• Deregulation e innovazione tecnologica (colore, telecomando)
• Televisione di “flusso” (24 ore)
• Una serie di cambiamenti e trasformazioni radicali, che riguardano tutto il contesto nel quale
la televisione si inserisce e in particolare una serie di cambiamenti che tra gli anni ’70 e gli
anni ’80 sono cambiamenti culturali, sociali, tecnologici piuttosto importanti.
L’età della disponibilità vede poi cambiamenti molto importanti come:
• Il palinsesto. La nascita del palinsesto consente il passaggio da una programmazione
discreta, per sequenze, ad una programmazione di flusso (come era negli USA fin dalle
origini del suo sistema televisivo).
• I generi. Tutti i generi (informazione, fiction ecc.) sono influenzati dalla deregolamentazione
e dalla maggiore importanza della pubblicità.

Trasformazioni sociali
In primo luogo l’Europa in generale, ma questo è molto evidente anche in Italia, vede una serie di
trasformazioni sociali rilevanti, che si riassumono con uno slogan: è il passaggio da una “società di
consumo” ad una “società consumistica”, cioè da una società che è uscita dal boom economico alla
fine degli anni ’50 e ha conquistato una serie di consumi primari (nelle case, infatti, è entrato il
frigorifero, si inizia ad usare il sapone ecc.), ad una società in cui i consumi diventano non più
soltanto un’espressione di bisogni primari, ma diventano espressioni di una serie di scelte che hanno
a che fare più con valori simbolici, con la dimensione identitaria, con lo sviluppo di un sistema di
marche (gli anni ’80 sono il grande momento del boom del “made in Italy” ad esempio). Questo
passaggio avviene dunque con gli anni ’80. Sono gli anni della grande crescita economica, della
finanza, della Milano da bene. Se gli anni ’70 erano stati gli anni dominati dalla paura del
terrorismo, in particolare del terrorismo rosso, adesso si ha un cambiamento sostanziale: gli anni ’80
sono gli anni della nascita di quello che si potrebbe chiamare “individualismo di massa”, dove si ha
la centralità del singolo individuo. Cambiamenti, dunque, che hanno a che fare con questo
passaggio dal “consumo” al “consumismo”.

Trasformazioni tecnologiche
Riguardano più direttamente il sistema dei media. Sono cambiamenti che in realtà hanno degli
effetti molto più forti ed evidenti negli Stati Uniti. Il sistema televisivo americano cambia in
maniera radicale tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Per quale ragione? Perché
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rispetto a quella scarsità, che potrebbe caratterizzare negli USA i network, nasce e si diffonde una
piattaforma di trasmissione nuova, che non passa più attraverso la diffusione del segnale televisivo
via etere (cioè attraverso le frequenze terrestri), ma nasce il cavo. La diffusione via cavo è il sistema
attraverso cui un’impresa porta un cavo vero e proprio nelle case, attraverso cui passano tutti i
segnali, compresi quelli televisivi. In questi anni nasce HPO, un servizio di televisione via cavo
destinato a programmare e trasmettere il cinema; quindi, è una sorta di televisione, in parte a
pagamento, “on demand”, che porta a casa qualcosa che i network non portano. Oppure nel corso
degli anni ’80 e ’90 si diffonde anche il satellite. In Europa questi cambiamenti avvengono ma sono
molto più limitati, o quantomeno sono molto differenziati di paese in paese. La cosa che sottolinea
Bourdon è che fra gli anni ’70 e gli anni ’80, in Europa, si può dire che ci sia una sorta di
“infatuazione” nei confronti del cambiamento tecnologico. Si dice: “arriva il cambiamento
tecnologico, arriva il satellite, cambierà tutto”. Questa visione riflette una visione di determinismo
tecnologico, che secondo Bourdon nasconde, buttando un po’ fumo negli occhi, una serie di
interessi che forzano la mano, che magari fanno proprio presa sui discorsi riguardanti il
cambiamento tecnologico, per introdurre dei cambiamenti molto più sostanziali, che sono legati allo
scardinamento dei monopoli pubblici, all’avvento della televisione commerciale, ad una serie
quindi di interessi politici ed economici forti, che fanno lobbing e che scardinano quel sistema che
era stato stabile per alcuni decenni, e lo fanno in maniera diversa. Ci sono paesi nei quali questo è
un processo un po’ più ordinato (per questo il termine “deregolamentazione” non è del tutto
corretto, perché in alcuni paesi si decide di “deregolamentare” o “ri–regolamentare” il sistema con
delle leggi). Il caso dell’Italia è, nuovamente, un caso esemplare in tutta Europa, poiché qui
“deregolamentazione” significa proprio “assenza di regolamentazione”. Cioè il cambiamento che
avviene tra la metà degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90, è un cambiamento definito dai giornali
dell’epoca “il far west dell’etere”, cioè non c’è legge e vige una sorta di legge del “far west”,
secondo cui chi è più forte, più furbo e più intelligente ha la meglio (come ad esempio Silvio
Berlusconi, che capisce cosa c’è in ballo, e riesce a far fuori in pochi anni, alcuni abili personaggi
che avevano tentato la nuova via della televisione commerciale). Verso la metà degli anni ’80 il
sistema televisivo italiano è un sistema senza regolamentazione quindi lo Stato non mantiene più un
forte controllo e non esiste più un monopolio ma un duopolio: già nell’’84 si ha la televisione di
servizio pubblico (RAI) e il polo Fininvest, con tre reti speculari.
Tutti questi sono quindi cambiamenti tecnologici che sì, hanno una portata e una rilevanza, ma in
Europa non sempre significativa. In Germania (per via di una serie di politiche fatte dal parlamento)
ad esempio, o in alcuni paesi piccoli come il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo (Benelux) o anche in
Svizzera, la diffusione del cavo è molto forte già a partire dagli anni ’80, perché la televisione via
cavo consente di portare nelle case dei cittadini non soltanto la televisione dello Stato , ma anche
quei canali che rappresentano le varie minoranze presenti nei diversi paesi (ad esempio in Svizzera
si ha una televisione via cavo che nella Svizzera italiana includerà sicuramente i canali italiani, nella
Svizzera francese i canali francesi, e nella Svizzera tedesca i canali tedeschi o austriaci). Quindi
succede che già presto si diffonde una forma di multi–canalità un po’ più consistente e più forte
della semplice contrapposizione tra canali terrestri privati o pubblici.

Trasformazioni politiche
Si parla dunque di “deregolamentazione”, che significa passaggio dal monopolio pubblico alla
liberalizzazione, ma con modalità diverse di paese in paese. E soprattutto, dappertutto, la fine dei
monopoli del servizio pubblico.
Cosa succede allora dal punto di vista televisivo in questa fase? Perché si chiama fase della
disponibilità?
Perché rispetto alla scarsità del periodo precedente, la disponibilità di offerte, di canali, di prodotti
televisivi si amplia anche se non ancora in maniera straordinaria che caratterizzerà l’età successiva,
cosiddetta dell’“abbondanza”, però senz’altro da uno a due canali. Ogni paese arriva ad avere 5,6,7
canali nazionali. Nascono canali commerciali; in alcuni paesi nascono reti locali (l’Italia ad esempio
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è il paese nel quale si diffonde una serie di radio libere e di televisioni locali). Poi ovviamente ci
sono dei luoghi in Europa nei quali in questi anni nascono reti regionali, molto importanti per la
riscoperta dell’identità regionale o addirittura nazionale di alcuni luoghi. In Spagna, ad esempio,
fino a Franco vi era stato un governo molto centralista; poi la Spagna riscopre una propria
autonomia ed una delle televisioni più importanti che iniziano a nascere lì negli anni ’80, e che poi
diventerà una delle reti televisive più importanti in Spagna, è la televisione catalana; oppure in Gran
Bretagna si forma la televisione del Wales, del Galles. Si riscoprono i valori nazionali.
In Italia questo si traduce nel fatto che oltre alle reti locali, da parte del servizio pubblico, si apre
tutta una serie di sedi regionali e nasce l’informazione regionale, ripartita per le diverse regioni
italiane, oltre alla nascita ovviamente delle televisioni cittadine e locali.
Vi è poi un ampliamento dei tempi dell’offerta. Cosa portano la deregolamentazione e la televisione
commerciale? Portano il fatto che queste nuove reti commerciali iniziano a pensare che si debba
sfruttare tutto l’arco della giornata, perché questo consente di raggiungere pubblici diversificati (la
mattina e il pomeriggio in casa ci sono persone diverse da quelle che ci sono la sera o nel pre-
serata). Per cui, in questo caso, la televisione commerciale italiana (Canale 5, Italia 1 e Rete 4, il
gruppo creato da Berlusconi e Fininvest) si scopre molto capace di aprire nuove fasce di palinsesto
e di andare sempre di più a coprire, in maniera continuativa, l’intera fascia della giornata.
Naturalmente il modello di riferimento è quello della televisione americana.
Se quindi si dovesse dire in che senso il processo di deregolamentazione è anche un processo di
“americanizzazione”, si potrebbe rispondere che non lo è tanto nei contenuti: la televisione di
Berlusconi di questi anni certamente inizia a trasmettere una serie di prodotti importati come le
serie televisive di origine americana e tutta l’animazione di origine giapponese, però comunque
rimane una televisione molto nazionale. Quindi l’elemento più forte dell’americanizzazione è nella
forma, nella struttura del palinsesto, nell’avvicinamento molto rapido ad una televisione di flusso
che fino ad allora l’Italia non aveva conosciuto. L’intelligenza della televisione commerciale di
questi anni è quella di applicare gli insegnamenti di programmazione e contro programmazione che
si sono sviluppati negli USA. Questa è una delle grandi ricette di successo della televisione
commerciale di questi anni.
Naturalmente questo porta alla crisi dei servizi pubblici, che erano stati pensati per operare in
termini di monopolio. Si trovano quindi molto spesso impreparati di fronte ad un sistema televisivo
che diventa concorrenziale. Quindi si apre tutta una serie di questioni: cosa deve fare il servizio
pubblico? Questione che è ancora oggi all’ordine del giorno. Deve inseguire il modello della
televisione commerciale o deve fare qualcosa di diverso? Deve raccogliere pubblicità o no? Deve
guardare alla quantificazione del pubblico e alla massificazione dell’ascolto o no? Questi dilemmi
non vengono risolti e segnano una sorta di situazione di crisi permanente del servizio pubblico. Non
a caso la modificazione ideale del servizio pubblico avviene in questi anni, perché è qui che ci si
pone il problema di dire cos’è il servizio pubblico. Fino ad allora era scontato. Dagli anni ’80 in
avanti ci si comincia a chiedere cos’è il servizio pubblico, cosa deve essere e cosa sarà in futuro. Ha
uno spazio, un senso, un ruolo?
Questi anni, dunque, sono caratterizzati dall’inizio della concorrenza del sistema televisivo in tutti i
paesi, concorrenza che di solito è fra pochi poli. Il livello di regolamentazione del sistema
televisivo, infatti, è molto diverso. Questo passaggio alla televisione commerciale avviene in modi
molto differenti a seconda dei paesi: in Gran Bretagna, ad esempio, è un processo molto
regolamentato, e qui addirittura (per questo la Gran Bretagna è un’eccezione) alla BBC, che è la
rete di servizio pubblico in senso pieno, si affianca una rete che pure viene definita di servizio
pubblico, e che attua una serie di mandati del servizio pubblico nella forma della televisione
commerciale, ed è ITV, che nasce già negli anni ’50. Poi via via, all’inizio degli anni ’80, in Gran
Bretagna, il sistema di regolamentazione decide che è necessario introdurre una nuova televisione di
servizio pubblico, distinta dalla BBC, e dotata della possibilità di raccogliere pubblicità, ma con una
serie di mandati molto specifici (es. rappresentare le minoranze), che è “Channel 4”. Qui c’è una
chiara forte guida politica di quello che deve essere il servizio pubblico, e lo stesso concetto di
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“servizio pubblico” è molto diverso, perché in Italia e nella maggior parte dei paesi latini c’è una
sostanziale consunzione e sovrapposizione tra il principio del servizio pubblico e l’ente che deve
incarnare quel principio, per cui il principio del servizio pubblico è applicato dalla televisione di
stato, cioè dalla RAI, cosi come in Francia ecc.
In Gran Bretagna si considera servizio pubblico, pur con obblighi diversi, tutta la televisione che
raggiunge i cittadini senza necessità di una sottoscrizione ad un abbonamento. Quindi, in qualche
modo, certamente la televisione di stato, la BBC, che non raccoglie pubblicità ma che è finanziata
da un canone molto ricco, è il servizio pubblico in senso pieno, ma anche le televisioni commerciali
svolgono in qualche modo delle funzioni di servizio pubblico. Gli obblighi delle televisioni sono via
via definiti da specifici mandati (quelli di MTV, di Channel 4 e più tardi di Channel 5). Certamente
è ovvio che la BBC, ITV, Channel 4 e 5 hanno caratteristiche molto diverse, ma vengono tutte
incluse nell’idea di “servizio pubblico”.
Quali sono gli effetti di questo cambiamento? Il passaggio alla deregolamentazione provoca una
serie di cambiamenti rilevanti nel sistema. Necessità di alimentare i nuovi canali che sono nati con
produzione. È ovvio che se esiste un unico canale la produzione televisiva è limitata, mentre se ci
sono cinque, sei, sette canali nazionali, la produzione diventa più rilevante, soprattutto se questi
canali non acquistano soltanto prodotti dall’estero ma investono in produzione e producono essi
stessi dei programmi. Naturalmente l’aumento della produzione porta con sé anche un aumento di
costi della produzione, perciò in questa fase i sistemi diventano meno artigianali e più industriali.
Nasce un mercato dei format a livello internazionale. Quasi tutti i paesi europei vedono la nascita di
nuovi canali commerciali, per cui c’è un forte bisogno di approvvigionamento di prodotti, e perciò
in questi anni chi produce contenuto inizia a pensare di creare un sistema che consente di vendere
non quel contenuto o quel prodotto ma l’idea di quel contenuto perché possa essere riprodotto da
qualche altra parte, e quindi nasce un “mercato internazionale di format”. Tema molto rilevante a
livello del rapporto tra produzione nazionale e circolazione internazionale di contenuti. Quindi gli
anni tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80 sono anni nei quali si crea un mercato
soprattutto attorno ad un genere specifico, importante per la televisione commerciale di questo
periodo, che è il gioco a premi. In questi anni alcuni giochi a premi diventano dei format che
vengono adattati in vari paesi. Nella televisione europea di servizio pubblico certo il gioco a premi
era importante, però lo utilizzava come grande appuntamento settimanale, come grande show (vedi
“Duecento al secondo”, “Lascia o raddoppia”). Adesso il gioco a premi diventa una risorsa da
inserire nel palinsesto quotidiano; diventa dunque un tipico genere messo in onda nella fascia
quotidiana ogni giorno, come avviene oggi, e quindi una serie di prodotti televisivi americani, come
“The will of fortune” viene adattato e diventa “La ruota della fortuna” in Italia, così come in tanti
altri paesi europei.
Nascono sistemi di quantificazione dell’ascolto del pubblico, o sistemi audiometrici. Se il sistema
televisivo è diventato concorrenziale (cioè ci sono diversi poli, quello del servizio pubblico e quello
delle televisioni commerciali, che concorrono tra di loro) c’è una necessità assoluta che non c’era
prima (con il monopolio non c’era) di quantificare il pubblico, perché l’attenzione degli spettatori è
quella moneta che vado a vendere agli investitori pubblicitari. Se si dovesse riassumere il modello
di business della televisione commerciale, si potrebbe dire che la televisione commerciale vende
l’attenzione degli spettatori. Per fare questo allora è necessario che questi spettatori siano
quantificati in maniera scientifica corretta e condivisa: tutti gli attori del sistema devono
condividere il modo in cui il pubblico viene quantificato, altrimenti non è equo. Ci vuole un unico
sistema accettato da tutti. Questo modello è quello che viene definito “Joint industry Committee” e
che è il modello che dà vita in Italia ad una società, che nasce nel 1984 e che inizia a diffondere i
primi dati nel 1986, che si chiama Auditel, una società costituita dagli attori del sistema televisivo.
Cioè i due principali attori televisivi di allora, la RAI e Fininvest, sono i principali azionisti di
Auditel. Questo sistema del “Joint industry Committee” in un certo senso è naturale per certi aspetti,
perché questa rilevazione statistica dei dati di consumo è un’operazione molto costosa, a cui sono
interessati gli stessi attori del mercato. D’altra parte però ogni volta che si critica l’Auditel si dice:
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“ma il modello di governance non sta in piedi perché chi controlla è controllato”, cioè sono gli
stessi attori che danno vita al sistema di controllo, di certificazione dell’ascolto. Dibattito questo che
ha caratterizzato la storia dell’Auditel e che lo caratterizza tutt’ora soprattutto quando nuovi attori
entrano e tendono ad essere un po’ critici.
Nascono nuovi generi. Questo periodo è caratterizzato dalla forte spettacolarizzazione: c’è una sorta
di rivoluzione copernicana, di rovesciamento. Se nella paleo televisione, nella televisione dei
monopoli di servizio pubblico, il centro, il polo del sistema è il polo pedagogico, qui si rovescia:
l’intrattenere diventa il centro. Non è un caso che nella definizione di neotelevisione Eco sottolinea
proprio questo, cioè che la televisione commerciale tenda a porre l’attenzione ad un solo aspetto
cioè quello della costruzione e mantenimento di un contatto con lo spettatore. Per dirla in termini
semiotici, come Eco si esprime, “nella paleo televisione la centralità è data all’enunciato; nella
neotelevisione è data all’enunciazione”. Avviene quindi una serie di cambiamenti che riguardano
vari generi e quello più rilevante è la cosiddetta “tabloidizzazione dell’informazione”. La
televisione dell’informazione pubblica era infatti molto tradizionale e quasi ingessata. La
televisione commerciale introduce un modo nuovo di fare informazione che si ispira all’idea dei
tabloid. Per cui il telegiornale commerciale, in Italia a partire dagli anni ’90 (cfr. il TG5 di Enrico
Mentana di quegli anni) rovescia completamente l’agenda tipica di un telegiornale della RAI,
strutturato secondo pagine, e introduce fortemente dosi di cronaca, tipici del modello del tabloid;
poi addirittura si arriverà al modello “Studio Aperto”, molto incentrato sul gossip. Quindi si ha
un’informazione molto più diversificata con telegiornali molto più leggeri, che puntano sulle “soft
news” rispetto alle “hard news”. E si ha una forte nascita di generi nuovi: in questi anni si
continuano a creare etichette nuove di generi, per cui c’è l’“infoteinent”, che non è altro che un
prodotto televisivo che mescola in maniera evidente informazione e intrattenimento (informazione
che si fa al contempo intrattenimento). Sono generi consolidati e tipici della televisione
contemporanea, ma nascono in quegli anni lì. In Europa nascono negli anni ’80. Negli Stati Uniti
erano generi più frequentemente utilizzati fin dalla televisione delle origini.
Cambiano le abitudini di consumo. Cambia la storia delle modalità con cui si fruiscono i media.
Questo perché, ad esempio, in questi anni il televisore unico che c’è in casa si moltiplica: entrano
nelle case il secondo e il terzo televisore; i consumi si fanno più individuali. Questa trasformazione
è legata al fatto che, ad esempio, la televisione commerciale inizia a introdurre una certa
diversificazione per cui la televisione non è più fruita in maniera comune, non è più il focolare
domestico che si consuma assieme, ma si rivolge a dei target sempre di più (ragazzi, bambini,
donne ecc.).

Età dell’abbondanza

L’età dell’abbondanza (anni 2000- ) è caratterizzata da:


• Fase di “evoluzione diseguale” L’industria corre verso una nascente età dell’abbondanza,
mentre la maggior parte degli spettatori sta ancora facendo i conti con l’età della
disponibilità.
• Televisione telematica: più canali a basso costo.
• “Personalizzazione” del consumo
• Età della “convergenza” mediale: tutti i media parlano il linguaggio digitale. Es.
smartphone.
Quando si affronta il passaggio dall’età della disponibilità all’età dell’abbondanza, quindi si
approda alla televisione convergente e alla digitalizzazione, si devono tenere in considerazione tutti
i poli e le loro intersezioni. Il cambiamento che caratterizza la televisione contemporanea è sì un
cambiamento di carattere tecnologico (la forza più rilevante è certamente la digitalizzazione), ma in
realtà questo processo va ad investire tutti i poli. Quello che si dovrà fare sarà capire le relazioni:
come il cambiamento tecnologico influenza le modalità di pensare, produrre, consumare la

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televisione, costruire i testi e i prodotti e viceversa, come certe modalità di consumo fanno si che
nasca una certa modalità di consumo e di diffusione da un punto di vista tecnologico.
Per caratterizzare la televisione dell’età della scarsità si può ricordare che la televisione di questo
periodo è una televisione pedagogica, umanistica, in parte senza pubblicità e che ha dei rapporti più
specifici con la politica.
Visione di un frammento di quello che è stata la televisione pedagogica, dal programma “Non è mai
troppo tardi”, http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Non-mai-troppo-tardi-alberto-manzi-rai-
ff0b2352-4beb-4cd7-be0f-a37c18b6444d.html

Una televisione politica: il potere e i partiti


Cfr. “Television as a project”, Scaglioni
A livello politico si deve distinguere quello che accade nel modello commerciale americano, e
quello che succede invece col modello di servizio pubblico europeo.
Infatti, un’altra differenza importante tra i due modelli, commerciale e di servizio pubblico, è che il
modello statunitense è stabile: ci sono cambiamenti nel tempo ma il quadro istituzionale rimane
invariato, ed è un quadro che vede una continuità della televisione con la radio. Che tipo di modello
è quello americano? È un modello in cui avviene una competizione commerciale per la conquista
del sistema, degli ascolti e dell’attenzione del pubblico; quindi, degli investimenti commerciali e
pubblicitari (si capisce l’importanza dell’attenzione del pubblico alla pubblicità) tra i 3 grandi
network nazionali, che ancora oggi dominano il panorama statunitense, seppure in maniera meno
forte, che sono ABC, CBS, MBC. Questi 3 network commerciali riuniscono sotto di loro delle
stazioni locali, dei ripetitori, collocati nelle diverse aree degli Stati Uniti, che hanno orari diversi tra
east coast e west coast, dotati di una certa autonomia, che trasmettono in parte la programmazione
network, ma in parte anche quella locale. Questo è il modello americano, in cui è presente un
organo stabile di regolamentazione che è la FCC, Federal Communication Commission, che vigila
sul public interest (cioè sull’“interesse pubblico”), che è un concetto meno impegnativo del
concetto europeo del “Public Service Broadcasting”.
Questo significa che quella statunitense è una regolamentazione che non definisce gli attori del
mercato, ma fissa le regole del gioco (ad esempio decide l’assegnazione delle frequenze, ecc.) in
continuità con la radio, che ha il compito di sviluppare anche il broadcasting televisivo. Questo
modello rimane stabile per più di 60 anni di storia della televisione americana, con qualche
trasformazione che però ha a che fare col gioco degli attori in campo, ma non col quadro generale
del sistema. Trasformazioni più importanti si hanno verso gli anni ’70, ’80 e seguenti, anni che
vedono crescere l’importanza di protagonisti nuovi nel sistema televisivo americano, ovvero player
che iniziano a sfruttare in termini commerciali le novità che emergono dal cambiamento
tecnologico.
Questi nuovi player iniziano a proporre offerte diverse sulla base di ciò che la tecnologia mette a
disposizione: negli anni ’70 e ’80 infatti, nasce il cavo, successivamente il satellite. Nasce il primo
canale via cavo che fa arrivare nelle case degli americani un segnale tv nuovo e che fa sviluppare
una televisione diversa da quella del modello commerciale dei network, perché questa nuova
televisione via cavo si basa sul pagamento di un abbonamento (cfr. HPO). Fino ad approdare a
Netflix, che consente, tramite un abbonamento economico di 7$ o 8$ al mese, di avere a
disposizione on demand attraverso il web, una quantità ampia di serie televisive e film. Questo
nuovo tipo di televisione, di cui Netflix è modello, ha avuto un grande slancio in questi anni, perché
ha iniziato ad entrare nella area dei network producendo essa stessa dei prodotti (ad esempio
“House of cards”).
Questo pone dei problemi di definizione: cos’è Netflix? Non è un broadcaster ma gioca la partita
del broadcaster, ed è un servizio che ha avuto una larghissima diffusione in tutto il mondo. Questo
per dire che il quadro generale americano rimane stabile: ci sono cambiamenti, che hanno a che fare
con i diversi attori presenti sul campo, ma il sistema, dal punto di vista istituzionale, è stabile.

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La situazione è diversa, invece, in Europa, dove il sistema televisivo è fortemente collegato ai
cambiamenti che avvengono a livello politico, e quindi è estremamente condizionato dal sistema
politico, ed in particolare dal sistema dei partiti politici. Una televisione di servizio pubblico ha
sempre un nesso forte con la politica, tanto è vero che i sistemi televisivi europei vengono
costantemente riformati. Ci sono cioè continue riforme del servizio pubblico (oggi, ad esempio,
all’ordine del giorno c’è la riforma del sistema televisivo italiano). C’è come una continua
insoddisfazione nei confronti di questo sistema televisivo e ci sono sempre una serie di conflitti
attorno al sistema televisivo, che caratterizzano i partiti (che ebbero un ruolo fondamentale per la
storia della televisione italiana) e che mettono in contrasto parlamento e governo; tra parlamento e
governo c’è infatti una forte differenza:
Parlamento rappresenta tutte le forze politiche
Governo rappresenta solo la maggioranza politica
Anche la storia della televisione risente di questa dicotomia. Ancora oggi in Italia, per evitare
problemi di lottizzazione (cioè per evitare che il potere sugli organi di broadcasting venga spartito
tra i diversi partiti), all’ordine del giorno c’è l’idea che il controllo della RAI (il servizio pubblico
italiano) debba passare di nuovo al governo (la storia si ripete).

Il concetto di servizio pubblico


La nozione di servizio pubblico, che caratterizza questa storia instabile delle televisioni europee,
viene spesso presentata come una nozione chiara. McCain, negli anni ’80, dà una definizione di
servizio pubblico. La posizione di Bourdon, però, è un po’ diversa da quella di McCain, perché alla
luce di una ricerca storica sul servizio pubblico, mette in evidenza come questo concetto di “public
service broadcasting” non sia chiaro e preciso fin dalle origini ma è un idealtipo che viene
ricostruito a posteriori, quando lo stesso modello di servizio pubblico entra in crisi.
Un’idea chiara di cos’è il servizio pubblico risale agli anni ’70 e ’80 del 1900. Negli anni precedenti
non è che non si pensasse che il servizio pubblico fosse importante, ma era dato per scontato e non
ci si poneva il problema di dargli una definizione.
Questo idealtipo viene ricostruito sulla base di una serie di modelli:
• Modello in positivo, ovvero il modello britannico, preso come punto di riferimento da tutti i
servizi pubblici europei.
• Modello in negativo, ovvero la negazione del servizio pubblico, che vede come
rappresentante il modello americano: sulla base di questo modello nasce negli anni ’80 la
neotelevisione commerciale.
Se si osservano gli elementi che fanno parte della definizione del servizio pubblico televisivo,
alcuni di questi elementi sono forti e presenti fin dagli anni ’40 e ’50 o addirittura da prima
(insomma fin dalle origini).
Altri elementi, invece, prendono forme diverse nei diversi paesi europei; oppure altri elementi
fondamentali che caratterizzano il servizio pubblico delle origini non vengono nemmeno ricordati
dai teorici.

Universalità geografica
Il primo elemento è l’universalità geografica, ed è uno degli elementi più importanti.
Il servizio pubblico mira a costruire un servizio di broadcasting nazionale, che raggiunga tutto il
territorio di un paese. Negli anni ’50 nei discorsi, nei temi di dibattito e negli sforzi complessivi che
il servizio pubblico fa nei vari paesi europei, uno dei temi fondamentali è questo. C’è l’idea di
costruire un servizio che possa coprire l’intero territorio nazionale (e in tutto ciò gli ingeneri hanno
un ruolo molto importante).

Ethics of comprehensiveness
C’è l’idea che la televisione debba essere generalista, che debba rifiutare la specializzazione e che
debba costruire la propria offerta su una molteplicità di generi, che devono essere figli di quello che
73
è il modello, l’idealtipo, ovvero il modello britannico. Lord Reith dagli anni ’20 individua nella
triplice missione (to educate, to inform, to entertain), la missione più importante del servizio
pubblico. Ritroviamo questa idea di molteplicità di generi un po’ in tutti i casi nazionali.

Mandati dettagliati per l’applicazione della missione di Lord Reith


Il servizio pubblico ha dei mandati di legge. Vi è dunque un supporto legislativo e una missione
scritta, perché possano essere applicate decisamente la sua finalità. È questo un elemento che
differenzia molto i servizi pubblici europei, e in particolare caratterizza fin da principio il caso
britannico, dove ogni elemento del sistema viene discusso in parlamento e vengono poi creati dei
rapporti. La chiarezza dei mandati della televisione di servizio pubblico è molto importante. In
quasi tutti gli altri paesi europei questa chiarezza che c’è in Gran Bretagna non c’è affatto: non c’è
una chiara definizione di legge di cosa debba fare il servizio pubblico, ma ci sono idee vaghe.

Fini non commerciali (questione della pubblicità)


La televisione di servizio pubblico viene finanziata col canone. In quasi tutti i casi il canone viene
introdotto già per la radio e la televisione lo eredita; ma il tema dell’introduzione di ulteriori risorse,
come quelle che fornisce la pubblicità, è un tema molto dibattuto negli anni ’50 e differenzia molto i
diversi paesi europei. Ciascuno, infatti, trova soluzioni diverse: è questo un tratto che non accomuna
i diversi servizi pubblici europei. C’è una totale assenza della pubblicità nella televisione di servizio
pubblico (cfr. BBC in Gran Bretagna, anche se poi trova uno strumento originale di inclusione della
pubblicità) oppure, pur in misura più ridotta, la pubblicità entra nel servizio pubblico, e questo
accade in particolare in Spagna e in Italia (in Italia con la particolarissima modalità del
“Carosello”).

Ruolo politico rilevante e pluralismo di opinioni


Il servizio pubblico ha un ruolo politico rilevante: deve coprire l’attualità dei dibattiti politici e deve
dare voce alle differenti forze politiche e opinioni rappresentate nel paese. Questo è uno dei punti
più dibattuti e complessi, per cui le soluzioni che sono state trovate sono molto diverse: c’è uno
specchio molto ampio di possibili differenze. Ad esempio, in Gran Bretagna il concetto della
televisione di servizio pubblico è molto forte: ci deve essere un’autonomia e una rappresentazione
delle diverse anime politiche e culturali; a differenza, invece, di casi in cui c’è una tendenza forte,
da parte dei partiti politici che sono al governo, di esercitare un controllo forte ed egemonico sulla
televisione, al fine di avere una centralità nel dibattito politico. Il discorso del pluralismo diventa un
tema importante.
È questo un punto su cui le soluzioni che si trovano in Europa sono molto diverse. Bourdon
semplifica il quadro, dicendo che nel nord Europa (Gran Bretagna e Paesi Scandinavi) questa idea
di autonomia politica e commerciale è molto forte, mentre molto più dibattuta e criticata è questa
forma di controllo dai parte dei partiti politici nel sevizio pubblico, nel sud dell’Europa (Spagna,
Italia e Francia).

Ruolo nazionale (dimenticato dai teorici)


Il ruolo nazionale del servizio pubblico viene spesso dimenticato dai teorici che, dagli anni ’80 in
avanti, hanno lavorato sul concetto di servizio pubblico. Il servizio pubblico, infatti, svolge un ruolo
di costruzione di una comunità immaginata nazionale (si è visto infatti, come, nel caso emblematico
del gioco a premi americano, questo venga fortemente localizzato). La televisione, inoltre, svolge
un ruolo essenziale nell’unificazione linguistica e culturale del paese (soprattutto in Italia).

Canone e monopolio come dati di fatto, “eredità” delle vicende storiche relative alla radio
In Italia l’introduzione di un canone si fa risalire al governo fascista (negli anni ’20 del 1900, ma
poi più precisamente nel ’27 e nel ’33), ma in quasi tutti i paesi è presente un monopolio pubblico

74
ed è presente un canone, che rappresenta una delle risorse necessarie per la vita di un servizio
pubblico.
Quindi si può vedere che alcuni elementi sono presenti dappertutto, altri sono diversificati, e altri
ancora, come la dimensione nazionale, sono stato poco ricordati.

L’idealtipo britannico
In molti casi, dunque, il modello di rifermento del servizio pubblico è quello britannico. È questo il
modello a cui costantemente, nella storia del broadcasting europeo, ci si riferisce come un modello
di ispirazione. Più o meno negli stessi anni in cui nasce il “public broadcasting service” in Gran
Bretagna, anche in Italia e in altri paesi europei avviene la formazione di un organo nazionale di
servizio pubblico. Nel 1922 in Gran Bretagna viene fondata la “British Broadcasting Company”
(che poi passa ad essere una “Corporation”, cioè una commissione pubblica) da parte dei produttori
di apparecchi radiofonici, che pensavano che il business del broadcasting radio consistesse proprio
nell’acquisto degli apparecchi radiofonici: il contenuto è un accessorio, e viene pensato dopo. Si
pensa che le trasmissioni consentiranno al venditore di fare profitto tramite la vendita degli
apparecchi.
Negli anni ’20 del 1900 la storia della televisione inglese è caratterizzata da rapporti, ovvero
documenti pubblici, sottoposti al parlamento. In particolare, nel 1923 in Inghilterra viene emanato il
“Rapporto Sykes” in cui si afferma che la radio diffusione debba essere di “public utility” (ovvero di
interesse pubblico). Sarà questa la base per la fondazione di un monopolio e per l’istituzione di un
canone, riscosso da un potere pubblico (ad esempio dal “Ministero delle poste”) e in parte versato
anche dalla stessa BBC.
In tutto ciò, Lord Reith diventa una figura importantissima, poiché è lui che dà forma concreta alla
missione della BBC e del servizio pubblico, che quella di educare, informare, intrattenere. È questa
una missione in cui i concetti di educazione e informazione sono fondamentali, mentre il concetto
dell’intrattenere, del divertimento, è secondario, certo fondamentale, ma accessorio.
Il ruolo linguistico, poi, diventa molto importante, e non manca in paesi come la Gran Bretagna.
Reith, infatti, era molto preoccupato del fatto che gli speaker radio parlassero un inglese perfetto.
Da quel momento e ancora oggi si parla di “BBC accent”, che risulta tutt’ora la più corretta
pronuncia dell’inglese. La missione della BBC in questi anni è quella di divulgare, di trasmettere
attraverso il potere della radio la parte migliore della cultura nazionale. C’è un’idea tradizionale di
cultura, diversa da quella che sviluppa Raymond Williams (che ha un’idea larga e antropologica di
cultura). La cultura qui è rappresentata dal teatro, dalla letteratura, dalle opere d’arte, e la radio ha,
appunto, questa missione divulgativa: deve fare arrivare a tutti la cultura.
Nel 1927, alla luce del rapporto Sykes, la BBC viene trasformata in una “public corporation”,
termine che sta ad indicare la messa in sicurezza del servizio pubblico britannico, per sottrarlo alle
pressioni commerciali e in generale al mercato.
Questo è il modello a cui dagli anni ’40 e ’50 del 1900 si ispirano tutti gli altri sistemi televisivi in
cui abbiamo al centro un’istituzione di servizio pubblico senza scopo di lucro, che beneficia di un
monopolio; lo stesso Reith parla della “forza bruta del monopolio” si utilizza il monopolio per
scopi alti (come lo sviluppo della nazione), finalizzati alla formazione della nazione.
Il modello inglese rimane stabile per tanto tempo anche se col passare degli anni viene aggiustato.

I sei momenti della storia del servizio pubblico


Nella ricostruzione della storia dei servizi pubblici europei, c’è questa dicotomia tra “paleo” e “neo”
televisione, ma in realtà si individuano momenti diversi nei vari servizi pubblici, ciascuno
caratterizzato da dibattiti specifici. Bourdon, negli anni ’60, individua in particolare sei momenti
all’interno della storia del servizio pubblico, da collocare all’interno delle tre età della storia della
televisione:

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Anni ’40 e ’50: Età dell’oro
Sono gli anni della fondazione. Siamo tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 del 1900. In
tutti i paesi dell’Europa occidentale (in Inghilterra c’erano servizi televisivi che andavano in onda
anche prima della guerra, ma poi vennero interrotti con l’avvento della guerra) si vede la nascita di
un servizio di broadcasting televisivo regolare, che nasce spesso sull’eredità di quello che era stato
il servizio radiofonico.
Anni ’50: La (diversa) introduzione della pubblicità
Sono gli anni in cui (soprattutto nella seconda metà degli anni ’50) il tema di fondo, che ha delle
conseguenze importanti sullo sviluppo del servizio pubblico, è la pubblicità. Ci si pone
l’interrogativo di come utilizzare la pubblicità, se sfruttarla come un finanziamento aggiuntivo
rispetto al canone oppure no, poiché le finalità educative non si conciliano con questa scelta. Lo
spettro dei paesi europei è molto differenziato, ma tutti i paesi europei sono accomunati dal porsi
questo dibattito.
Anni ’60: Il “secondo canale” pubblico
Il tema centrale del dibattito in questi anni, soprattutto nei primi anni ’60, è l’introduzione di un
secondo canale. La “brutal force of monopoly” è letterale fino agli anni ’60, infatti esiste un solo
programma (programma e canale erano sinonimi) e quindi necessariamente la televisione funziona
come strumento di unificazione per la costruzione di una comunità immaginata. Quando si forma un
secondo canale ci si pone il problema di come programmarlo, se deve essere più vicino alle
esigenze di intrattenimento o deve proseguire con la funzione culturale ed educativa. Rispetto a
questo problema si attuano soluzioni diverse nei diversi paesi europei.
Anni ’70: Il servizio pubblico “assediato”
È questo un momento meno televisivo e più politico, in cui il servizio pubblico vede ammassarsi su
di sé una serie di critiche molto forti da tutte le parti politiche: la televisione diventa un vero e
proprio capro espiatorio. Tutti criticano il servizio pubblico, che viene letteralmente messo “sotto
assedio”. Negli anni ’70, infatti, contemporaneamente cominciano le politiche di
deregolamentazione e ha luogo la nascita della televisione commerciale che, in realtà caratterizzerà
più specificatamente gli anni ‘80.
Anni ’80: L’inizio della concorrenza pubblico-privato o la “deregolamentazione”
Negli anni ’80, dunque, comincia il fenomeno della “deregolamentazione”. Il sistema televisivo
europeo subisce un cambiamento radicale (il modello di broadcasting europeo ha un storia molto
instabile). Vi è infatti un cambiamento importante del sistema: da un modello di monopolio si passa
ad un sistema di concorrenza tra televisione pubblica e privata.
Fine anni ’80, anni ’90 e anni 2000: Nuove tecnologie e loro (progressivo) impatto
In questi anni si assiste all’approdo delle nuove tecnologie, che hanno un impatto non immediato
ma progressivo (che dura almeno 2 decenni) sul sistema televisivo. Nel guardare all’introduzione di
queste nuove tecnologie si devono evitare i rischi del determinismo tecnologico: certamente le
nuove tecnologie sono portatrici di grandi trasformazioni, ma non sono le tecnologie in sé che
determinano il cambiamento del sistema; altri attori e regolatori fanno si che queste tecnologie
vengano portate avanti in un modo piuttosto che in altro nei diversi paesi europei.

L’età dell’oro
Germania
Il caso della Germania gode di una certa specificità; infatti, la Germania dell’ovest presenta una
struttura federale, che nasce dalla suddivisione in zone di influenza del territorio, avvenuta dopo la
Seconda Guerra Mondiale da parte degli Alleati. Sulla base di questo, infatti, nascono enti
regionalizzati di servizio pubblico, formati in base alla legge del 1949 che stabilisce una cosa
fondamentale per il servizio pubblico ed in generale per la televisione tedesca, cioè che la
suddivisione dei poteri sul sistema televisivo deve avvenire tra i Länder e lo stato centrale (o, in
particolare, il Ministero delle Poste), che è chiamato a costruire una rete di diffusione e
trasmissione. Nascono così entità regionali di servizio pubblico, che negli anni ‘50 vengono riunite
76
e contribuiscono tutte, ciascuna con il proprio compito, a creare un unico canale nazionale, i cui
contenuti vengono però realizzati dai diversi enti legati ai diversi Länder tedeschi. È questa una vera
e propria televisione federale, che viene creata nel 1950, quando nasce l’ARD. Successivamente nel
1953–‘54 cominceranno le trasmissioni dell’ARD.

Francia
In Francia c’è una situazione molto diversa. Prima della Seconda Guerra Mondiale vi è una pluralità
di enti radiofoniche, e nel 1933 viene introdotto il canone. Tuttavia nel 1939 il governo francese
crea un Ministero dell’Informazione con l’obiettivo di porre sotto controllo il settore strategico della
radiofonia. Il Ministero, infatti, nel 1939 revoca tutte le licenze e pone sotto il proprio controllo il
broadcasting radiofonico.
In Francia nasce dunque un controllo pubblico centralizzato forte sul broadcasting, che permane per
molto tempo (fino addirittura agli anni ’70).
C’è, dunque, una fortissima impronta dello stato centrale. Il broadcasting, infatti, è dipendente dal
Ministero dell’Informazione, il che significa che c’è un forte controllo del governo. Nel 1949 il
broadcasting radiofonico RDF si trasforma in RTF (Radiodiffusion Tèlévision Française) che dà
inizio alle trasmissioni nazionali francesi con un unico canale pubblico e controllato dal governo
francese.
Ci sono dunque due strutture molto diverse: da una parte la Germania federale, con enti di servizio
pubblico, che arricchiscono l’offerta di un unico canale, l’ARD, ma poco centralizzato, dall’altra la
Francia, con un unico canale sotto il potere pubblico e del governo.
L’età dell’oro viene così chiamata perché in questo periodo di fondazione del servizio pubblico la
televisione viene fatta da una comunità di professionisti (ingegneri, registi, produttori/autori,
giornalisti), che vengono chiamati a realizzare le prime opere di tele–teatro, e successivamente i
teledrammi, i teleromanzi (su modello de “I promessi sposi” di Bolchi). Ciascuna di queste
professioni può essere ricondotta ad una funzione diversa:
• Ingegneri provvedono alla diffusione della rete nella nazione.
• Registi hanno un ruolo fondamentale per la nascita della fiction (o teleromanzo).
• Produttori e autori hanno esperienza nel teatro di varietà; vengono richiesti per la parte di
intrattenimento televisivo.
• Giornalisti. In questo periodo l’informazione, nonostante lo sforzo e la rilevanza della
missione informativa nella missione complessiva del servizio pubblico, non rappresenta
ancora un aspetto rilevante della televisione. L’informazione, negli anni ’50, passa ancora
attraverso i giornali e le radio. La televisione si conquista via via nel corso degli anni il
proprio spazio nel campo dell’informazione. Il tema dell’informazione è un molto dibattuto
soprattutto dove c’è un controllo diretto del potere politico, perché si ritiene che sia un tema
molto delicato. Non è pensabile che in Spagna, dove c’è la dittatura franchista, in Francia e
in Italia, ci sia l’idea del controllo sull’informazione (e questo era anche un modo per
renderla meno rilevante). Nei primi anni il telegiornale non è propriamente un organo
informativo di primo piano. Per questo motivo i giornalisti non fanno i giornalisti televisivi,
perché i veri giornalisti sono quelli della carta stampata o al massimo della radio (anche
perché c’è una forte censura in questo periodo e questa anima del servizio pubblico è quella,
ancora per questi anni, meno rilevante).
Ad ogni modo tutte queste figure professionali erano professionisti animati dagli ideali educativi e
culturali del servizio pubblico. Essi, infatti, sono guidati da leader carismatici, che forgiano il
servizio pubblico televisivo in questi anni. Un esempio è Lord Reith, che ha tempo di vedere la
nascita della televisione, ma abbandona poco dopo la BBC. Hugh Greene diventerà, dopo di lui, il
direttore generale della BBC. In Italia Ettore Bernabei entra come direttore generale della RAI negli
anni ’60 e per 15 anni regge le sorti del servizio pubblico italiano, fino alla riforma del 1975.
Lord Reith parlava della “forza bruta del monopolio”, ed è letteralmente così all’inizio: il
monopolio pubblico si esprime attraverso un unico programma e il servizio pubblico ha risorse
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consistenti. Il mezzo televisivo diventa sempre più popolare e gode di un’alta reputazione. Si crea,
in questi anni, la fama mondiale della BBC come servizio di informazione più autorevole del
mondo; è questo un periodo che nostalgicamente viene ricordato come “l’età dell’oro”, quella cioè
più florida, del servizio pubblico.

L’ascesa della pubblicità

Siamo negli anni ’50 (in particolare nella seconda metà degli anni ’50) e il problema che tutti i
servizi pubblici si pongono è quello di introdurre o meno la pubblicità e quindi di far godere il
servizio pubblico delle risorse che arrivano da imprese che commercializzano beni. Il tema
dell’introduzione della pubblicità dà vita ad un grande dibattito in quasi tutti i paesi, dibattito che, se
presentato ad un americano sarebbe risultato impensabile, perché negli USA c’era già da allora una
forte convinzione che la televisione commerciale fosse uno strumento del capitalismo e della
democrazia. In Europa è molto chiara la contraddizione, anche perché il vissuto storico è diverso:
gli europei avevano vissuto sulla loro pelle l’utilizzo propagandistico della radio da parte delle
dittature; perciò, era maturata una forte sensibilità a proposito del potere che la radio e la televisione
potevano avere.
Viene percepita la contraddizione tra il servizio pubblico e gli interessi commerciali, per diversi
motivi:
• L’audience, il pubblico, è particolarmente vulnerabile, in particolare le persone ignoranti e i
bambini; perciò, uno strumento tanto persuasivo come la pubblicità e un mezzo potente
come la televisione fanno paura.
• Le merci vanno a svilire la funzione alta e culturale della televisione, attraverso la
promozione di prodotti, di merci e di generi considerati meno importanti o più popolari. Si
ha dunque questa sensazione, confermata poi dalla popolarità di alcuni generi piuttosto che
di altri: tutti, infatti, correvano a casa non a guardare il maestro Manzi ma a guardare Mike
Bongiorno e quindi il varietà, il gioco a premi, che erano programmi più popolari e la
sensazione era che la pubblicità avrebbe premiato questi generi, perché avrebbe indotto i
dirigenti a seguire di più i gusti del pubblico.
• In molti casi c’è la percezione, soprattutto di una parte dei dirigenti del servizio pubblico,
che la pubblicità sia uno strumento per sottrarsi alla dipendenza della politica e quindi per
non dipendere solo dal canone dei partiti politici. Questo spinge molti dirigenti a essere
favorevoli all’introduzione della pubblicità nella televisione pubblica.
Il problema della pubblicità viene affrontato in modi diversi nei diversi paesi europei:

Gran Bretagna
In Gran Bretagna i cambiamenti del sistema sono quasi sempre frutto di decisioni condivise e di un
voto da parte del parlamento. Ogni 6 anni, infatti, viene rivista la Royal Chart (che riguarda la
missione attraverso cui la BBC riceve la concessione di servizio pubblico). La Royal Chart dovrà
esser rivista nel 2016 e si discute su quali devono essere le missioni della BBC.
Nel 1954 avviene un voto clamoroso nella Camera dei Comuni: si decide di risolvere il problema
della pubblicità non introducendo la pubblicità, ma attraverso l’introduzione secondo canale privato
e commerciale ma con obblighi di servizio pubblico, che è ITV. Questo secondo canale è
interamente finanziato dalla pubblicità, pur avendo una serie di mandati e obblighi di servizio
pubblico. Oggi si tende a definire “di servizio pubblico” tutti quei canali che trasmettono a tutti ed
in chiaro, sebbene il servizio pubblico in senso stretto è quello della BBC, poi anche ITV e
successivamente anche Channel 4 e Channel 5, che sono broadcaster privati e commerciali ma con
obblighi di servizio pubblico (questa è infatti la caratteristica di fondo del modello inglese).
Europa continentale (Italia, Francia, Germania, Spagna)
Anche qui viene introdotta la pubblicità, ma con limiti differenti: essa viene racchiusa dentro delle
“gabbie dorate”. La pubblicità, infatti, non può assolutamente essere introdotta nella televisione né
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sotto forma di sponsorizzazione americana, perché questo implicherebbe un peggioramento della
qualità dei programmi, né nella forma del break pubblicitario (degli anni ’50 e ’60), ma solo nella
forma di un programma pubblicitario collocato in una fascia oraria precisa, ma importante, del
palinsesto (nel caso del “Carosello” italiano, alle ore 20.50). In Italia la pubblicità assume una
forma molto singolare, quella, appunto, del “Carosello”, dove ci sono regole stringenti sulla
modalità produttiva di ciascun carosello: bisogna che ci sia un pezzo di intrattenimento della durata
di 2 minuti nel quale non c’è nessun contenuto pubblicitario, e poi alla fine gli ultimi 30 secondi di
codino nel quale compare il prodotto pubblicizzato.

Il secondo canale pubblico

Siamo negli anni ’60. Tra il 1961 ed il 1966, in quasi tutti i paesi europei, viene creato un secondo
canale, ma anche in questo caso si ha una formazione diversa a seconda dei diversi paesi. Nel 1961
in Italia la RAI crea il Secondo Programma (un secondo canale all’interno della stessa istituzione)
mentre la Germania crea un canale differente con un modello organizzativo diverso: ZDF, infatti,
non ha nulla a che fare con il primo canale ARD, ma è un canale nazionale centralizzato. In Francia
il secondo canale, RTF Television 2, nasce nel 1964. In Gran Bretagna dopo la nascita di ITV, la
BBC ottiene il permesso di sviluppare un secondo canale pubblico, BBC2, una concessione frutto di
quello che era accaduto con la nascita di un canale commerciale. ITV, infatti, trasmette molto più
della BBC e la popolarità della BBC sembra ridursi considerevolmente nel giro di pochi anni.
Pertanto, il parlamento consente di creare un secondo canale per combattere il canale commerciale.
Infine, in Spagna nel 1966 nasce TVE2. Collegato a tutto ciò è il tema della concorrenza di solito
associato agli anni ’70/’80 con la deregolamentazione, in realtà è importante anche adesso: viene
meno l’idea di un unico canale pubblico e nasce un secondo canale che pone una serie di problemi
legati alla possibilità di crisi del servizio pubblico. Se il primo canale propone un’offerta culturale
di peso in prima serata e il secondo, invece, manda in onda un gioco a premi, è sicuro che verrà
guardato molto di più il gioco a premi. Nasce quindi il problema della programmazione. Non si è
ancora arrivati ad un palinsesto di flusso, ma già si pone il problema di come diversamente
articolare l’offerta del primo e del secondo canale. In Italia e in Francia un secondo canale fa parte
della stessa istituzione del primo, ma in Gran Bretagna e in Germania i rispettivi secondi canali
appartengono a due istituzioni diverse.
Come si esce da questo problema? Le possibilità sono varie, nascono le strategie di
programmazione:
• Complementarità totale con specializzazione. Va bene tenere conto della missione educativa,
ma bisogna anche essere popolari; perciò, un canale svolge il ruolo di servizio pubblico e
l’altro ha più il compito di raccogliere il pubblico.
• Complementarità totale senza specializzazione. I due canali devono alternare una
programmazione culturale ad una programmazione più popolare, ma senza che una rete si
specializzi nell’essere tutta culturale o tutta (anche oggi in RAI questi temi sono molto
dibattuti).
• Complementarità minima. Non bisogna tanto porsi il problema della contrapposizione tra
prodotti solo culturali o solo popolari, ma bisogna che ci sia un’offerta diversificata senza
però etichettare il prodotto come prodotti culturali o prodotti popolari.
• Concorrenza garbata: concorrenza tra i due canali ma con un certo grado di attenzione.
• Concorrenza diretta: ognuno fa come vuole, a discapito dell’altro.
Questi modelli sono stati tutti utilizzati tranne l’ultimo. I canali adottano un mix di queste strategie
ma la concorrenza diretta non è mai stata utilizzata: a seconda dei periodi storici prevale l’una o
l’altra strategia.

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La televisione sotto assedio

È questo un momento più politico: la televisione viene criticata e contestata da ogni parte. Nel Nord
Europa (tradizione tipica di Germania e Gran Bretagna) i conservatori attaccano alla televisione
perché spesso la televisione di servizio pubblico viene considerata troppo progressista, troppo di
sinistra. Addirittura, negli anni ’70, siccome c’era il terrorismo, la televisione venne considerata
troppo morbida e sovversiva. In Germania vengono posti dei divieti professionali, ovvero a tutto
quel personale professionale (registi, autori, giornalisti ecc.) legato ai partiti di sinistra, viene vietato
di lavorare nel servizio pubblico. La televisione di servizio pubblico viene accusata dal governo
centrale di essere tropo di sinistra.
Al sud Europa avviene il contrario: la televisione è interamente controllata dal governo, quindi
direttamente dal partito di potere (in particolare, in Italia, dalla DC, Democrazia Cristiana). Si ha
qui una battaglia contro il servizio pubblico per un allargamento degli strumenti di governance della
televisione pubblica, che consenta a voci diverse di entrare nel servizio pubblico.
Gli intellettuali, inoltre, in particolare in Italia, hanno preso le distanze dalla televisione provocando
l’assenza di una cultura nazionalpopolare: essi prendono una posizione snobistica e critica contro il
medium televisivo suscitando un abbassamento del livello culturale.
Infine, ci sono gli interessi commerciali che premono: la pubblicità è importante ma gli inserzionisti
pubblicitari hanno pochi spazi, pertanto chiedono più spazi pubblicitari. “Carosello”, nato nel 1957
verrà messo in pensione nel 1977.
Ma qual è reazione del sistema politico rispetto a queste trasformazioni? Vengono riaffermati i
diritti del monopolio e in molti casi vengono bloccate le innovazioni tecnologiche (cavo e satellite).
La sensazione è che sia essenziale un controllo forte sul sistema radio–televisione, quindi tutta una
serie di innovazioni statunitensi (nascita di HPO negli anni ’70) vengono bloccate in Italia. In
cambio avvengono una serie di riforme importanti. In Francia nel 1974, quella che era diventata
ORTF, un’unica entità di servizio pubblico, viene smembrata, facendo nascere tante unità differenti
(TF1, Antenne 2 e France Régions3). C’è una forte tendenza in questi anni ad una regionalizzazione:
in Spagna, Francia e Italia uno dei frutti della riforma del 1975 è la creazione della terza rete con
mandato regionale. Questa stagione delle riforme in Italia si concretizza nella legge di riforma della
RAI del 1975: avviene un cambiamento di sistema, perché nel 1974 la Corte Costituzionale ha
stabilito che il monopolio è legittimo sul piano nazionale ma non sul piano locale; nascono dunque
radio e televisioni private locali e nasce un terzo canale pubblico regionale. Inoltre sulla spinta delle
critiche al servizio pubblico, in questi anni si decide di spostare il controllo sulla televisione, dal
controllo centralizzato del governo esecutivo della DC al parlamento. I criteri di nomina dei vertici
della RAI vengono spostati sul parlamento coinvolgendo tutti i partiti. Si trasforma questa legge di
riforma in uno strumento di lottizzazione. Si inizia a considerare la televisione di servizio pubblico
come preda dei diversi partiti politici.

La deregolamentazione

Siamo negli anni ’80, anni nei quali avviene questo processo di deregolamentazione anche sotto i
colpi di una serie di decisioni (ad esempio quella della Corte Costituzionale in Italia). Quello di
“deregolamentazione”, però, è un concetto un po’ improprio perché non avviene in realtà una vera e
propria deregolamentazione; spesso si tratta di una riduzione della regolamentazione o di una nuova
forma di regolamentazione. Il caso italiano è significativo perché dal 1975 in poi c’è una vera e
propria “assenza di regolamentazione”; quindi la deregolamentazione in Italia si ha a partire dalla
sentenza della Corte Costituzionale, che consente a reti locali e private queste di creare reti
nazionali. Da questo “far west” dell’etere nascerà il principale monumento della televisione italiana,
Fininvest.

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16. CASE STUDY: ITALIA

Storia culturale della televisione italiana


Umberto Eco nel 1983, in “TV, la trasparenza perduta”, divide la storia della televisione italiana dal
punto di vita culturale:
• Televisione delle origini (1954-1960). Ha carattere sperimentale di tipo tecnico e formale,
fruizione pubblica e collettiva (es. bar, parrocchie). Non bisogna decidere il canale, poiché
esisteva solo il “Canale Nazionale”, l’attuale RAI 1. Era una televisione conformista,
orientata da una forte censura cattolica.
• Paleo-televisione (1961-1975). Ettore Bernabei diventa direttore. La televisione diventa
pedagogica, prima (tv delle origini) era di centro-destra, ora è di centro-sinistra. La
televisione si apre dal punto di vista dei contenuti. Tende all’alfabetizzazione. Tullio de
Mauro individua nel 1961 un processo di unificazione dell’Italia, perché si inizia a leggere e
a scrivere. Si afferma una lingua informale che inizia ad essere la lingua che parlano tutti. È
un modello “ibrido”, ambito istituzionale con contaminazione americana (programmi di
intrattenimento). Viene introdotto il “Secondo Canale” (RAI 2), dove si proiettano
programmi più generalisti.
• Neotelevisione (1976-1990). Finisce il monopolio. Nascono televisioni private e
commerciali. I programmi iniziano ad essere ibridati con intrattenimento per concorrenza.
Dal 1977 viene introdotta RAI 3. Si parla di dittatura dall’intrattenimento.
Tappe per una storia della televisione italiana:
• 1954, televisione delle origini. Game show
• 1961, televisione pedagogica. Talk show, approfondimento, varietà
• 1975, televisione commerciale. Entertainment
• 1990, televisione a pagamento. Fiction, reality tv
• 2006, televisione digitale. Factual, talent
La storia istituzionale della televisione in Italia è caratterizzata da un processo, un passaggio
dall’età della scarsità all’età dell’abbondanza (è questa la definizione dello studioso John Ellis), cioè
da una situazione che vede negli anni ’50, anni ’60 e anni ’70 un'unica istituzione che può
trasmettere il segnale televisivo, che è appunto la RAI (che prima era EIAR), e che diventa anche
broadcaster televisivo dal 1954 (fino ad allora si è occupata della trasmissione della radio), quindi
dal monopolio pubblico, ad una situazione che vede la proliferazione di una serie di istituzioni
mediali differenti, che peraltro hanno caratteristiche molto diverse. I più grandi attori dal punto di
vista del fatturato del sistema televisivo contemporaneo italiano sono molto diversi tra loro per varie
ragioni:
1. RAI: è il servizio pubblico, erede della tradizione del servizio pubblico, che si finanzia in
gran parte con il canone ed in parte con la pubblicità. È un’azienda nazionale ed è
considerata addirittura la più importante industria culturale del paese. Per questa ragione,
quando si parla di trasformare la RAI, il dibattito si accende.
2. Mediaset: è diversa dalla RAI. Nata alla fine degli anni ’70 come Fininvest e poi divenuta
Mediaset a inizio anni ’80, è un broadcaster commerciale, cioè che si finanzia con la
pubblicità. È esso stesso parte del sistema culturale del Paese, perché è un’azienda
nazionale, italiana, nata qui.
3. Sky: è ulteriormente diversa. Il finanziamento e il sistema di business di SKY sono
essenzialmente diversi, perché è una “pay-tv”, quindi si finanzia non attraverso canone o
pubblicità, ma attraverso le sottoscrizioni dei suoi consumatori (solo in minima parte dalla
pubblicità, in realtà). Ed è anche diversa perché è sicuramente un’azienda nazionale (SKY
Italia), ma è parte di un grande gruppo multinazionale che si chiama “News Corporation”
che appartiene al più grande magnate dei media attualmente in vita, che è l’australiano
Rupert Murdoch, che possiede un numero sconfinato di imprese mediali in giro per il
mondo: è proprietario della pay-tv inglese, di “Sky Deutschland”, della “Twenty Century
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Fox”, della “Fox” (il canale televisivo negli USA), piuttosto che di una serie di giornali,
come il “New York Post” e via discorrendo.
Quindi si ha a che fare con tre grandi istituzioni diverse e modelli completamente diversi.

Le caratteristiche della televisione delle origini (o paleo televisione)


Nel 1954 iniziano le trasmissioni televisive sul Programma nazionale RAI. Programmazione: inizio
alle ore 11 e fine alle ore 22. I jingle introducevano i programmi. I film, gli sceneggiati e i
telegiornali sono molto scarni e vengono selezionati. Si tratta di una sperimentazione per vedere il
tipo di pubblico anche con servizio opinioni. Vengono utilizzati focus group con questionari,
interviste telefoniche ad abbonati, perché il canone traccia le persone con la televisione che
crescono, porta a porta di chi fruisce ma non ha la tv perché pubblica.
Filiberto Guala amministratore delegato e Giovanni Battista Vicentini direttore. La RAI è sotto
censura: Guala ha l’idea di compiere un’operazione di moralizzazione della società attraverso la tv.
Sede centrale spostata da Torino e Roma.
Concorso dei “corsari” (1954). Vengono assunti giovani intellettuali, tra cui Furio Colombo,
Umberto Eco, Gianni Vattimo, Piero Angela ecc.
Entra in vigore un codice di auto-disciplina, che dice ciò che può essere mandato in onda.
Nel 1956 Guala viene estromesso in seguito alla “congiura dei mutandoni”. Le ballerine non
potevano far vedere le gambe (calze nere). Un dirigente ordina ad una ballerina di vestire color
carne che non si distingue in tv. Viene incolpato Guala, che si fa frate. La Democrazia Cristiana
capisce che Guala sta ponendo un freno. Inizia un approccio più riformista. Pare che Guala si
opponesse all’introduzione della pubblicità: dal 1957 al 1977 viene mandato in onda Carosello, che
è un modo per permettere la pubblicità, ma viene concentrata in uno spazio di 10 minuti dopo il
telegiornale e prima della prima serata. Si crea un linguaggio alternativo.

Una televisione umanistica


Cfr. il ruolo degli intellettuali, ad esempio M. Soldati.
La televisione italiana può inoltre essere definita umanistica. Nel senso che è una televisione molto
spesso proprio fatta da intellettuali e umanisti, da personalità importanti del mondo della cultura
nazionale. In realtà poi il mondo degli intellettuali soprattutto in Italia, negli anni ’50 e ’60, si divide
molto sul giudizio che si dà della televisione. Umberto Eco, ad esempio, scrive un libro negli anni
’60 che si intitola “Apocalittici e integrati” nel quale descrive la frattura nel mondo degli
intellettuali tra coloro (la maggior parte in realtà) che vedono in maniera estremamente negativa,
apocalittica, tutta la televisione e l’industria culturale (in quegli anni, agli inizi degli anni ’60, viene
tradotto in italiano proprio il libro di Adorno e Horkeimer, “Dialettica dell’illuminismo”, quindi
entra in Italia il capitolo sull’industria culturale) e chi no invece. Questo pesa moltissimo
sull’atteggiamento di distacco, a volte distacco snobistico, degli intellettuali nei confronti
dell’industria popolare. Gramsci stesso diceva che l’Italia non aveva una cultura nazionalpopolare,
proprio perché gli intellettuali vivevano in un modo completamente distaccato dal popolo, a
differenza degli altri paesi, in cui tutta la tradizione del romanzo popolare vede impegnati gli
intellettuali, che producono opere popolari.
Quindi questa divisione è molto forte in Italia.
Però ci sono anche i cosiddetti integrati, ovvero una serie di intellettuali che fin da principio
collaborano con quella che sta diventando il centro dell’industria culturale nazionale, ovvero la
televisione. Gli anni ’60 e ’70 sono anni fortemente ideologizzati, in cui le ideologie politiche sono
molto forti: c’è una contrapposizione netta tra i partiti legarti all’occidente, agli Stati Uniti (in Italia
ad esempio c’è la DC, la Democrazia Cristiana) e dall’altro lato tutta l’area dei partiti di sinistra, il
partito comunista e socialista, che hanno un atteggiamento molto vicino a quello dei francofortesi
nei confronti della televisione di massa. La cultura cattolica è forse quella più integrata, che vede fin
dal principio in maniera positiva la televisione e l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa e la
possibilità di farne un buon uso; questo fin da una serie di encicliche scritte dal Papa, Pio XI, che
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vede nella possibilità di utilizzare la televisione, una strada positiva, di utilizzo in senso educativo e
pedagogico del mezzo.
Ciò detto, c’è un’area di intellettuali che effettivamente collabora e diventa parte importante di
questo progetto del servizio pubblico italiano. Non è un caso che il termine “palinsesto” (la griglia
oraria di programmazione) viene denominata con un termine tecnico preso della filologia, per dire
del livello culturale alto della televisione pubblica italiana (oggi invece è molto basso il livello dei
dirigenti televisione). Fra gli intellettuali che collaborano al progetto della televisione pubblica di
quegli anni ce ne sono tanti ma si ricordano in particolare Mario Soldati, scrittore, intellettuale e
registra cinematografico, che collabora con Cesare Zavattini (uno dei principali sceneggiatori del
movimento neorealista italiano), il quale realizza alcune inchieste per la televisione italiana. La
prima inchiesta è del 1957 e si intitola “Viaggio lungo la valle del Po’, alla ricerca di cibi genuini”
e la seconda inchiesta è del 1961 e si intitola “Chi legge? Viaggio lungo il Tirreno”.
Sono due viaggi–inchiesta. La prima inchiesta, quella del 1957, è molto moderna, che parla di cibo
e di alimentazione, nella quale Soldati va in giro ad esplorare la cultura culinaria della valle del Po.
Il secondo viaggio, invece, realizzato con Cesare Zavattini, è un viaggio che parte dal sud e risale
verso il nord del Paese, nel quale Soldati, con quelli che diventano i potenti mezzi della RAI (infatti
in quegli anni, girare un’inchiesta voleva dire portarsi dietro una vera e propria troupe
cinematografica, quindi con il fonico, il tecnico del suono, il direttore della fotografia, e così via),
va a intervistare gli italiani sul tema della lettura.
Ovviamente, andare in giro a chiedere cosa leggono gli italiani nel 1961 attraverso un’inchiesta
(fatto che è quasi un controsenso, perché sono pochi in Italia quelli che leggono) rimane uno dei
punti più alti della televisione di quegli anni, perché fornisce un ritratto antropologico dell’Italia di
quegli anni, e rimane un’inchiesta ancora molto moderna. Achille Campanile, che è un critico
televisivo molto spiritoso e divertente, prende in giro Soldati, dicendo che la sua inchiesta dimostra
che in Italia c’è una sola persona che legge in realtà, ed è lo stesso Mario Soldati.
Queste inchieste dunque sono documenti storici importanti che danno una chiave di lettura
sull’Italia di quegli anni, impostate sull’idea di una televisione pedagogica.
Visione di una parte dell’inchiesta del 1961, “Chi legge? Viaggio lungo il tirreno”, intitolata “Gli
scogli delle sirene”, ambientato in Calabria,
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-5ac73e97-daa0-4cd1-acf7-
582e84546d64.html, e di un altro estratto ambientato a Napoli,
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-e9e2036b-4424-4e2f-9736-
78fbfff04fbc.html
Per quale ragione queste inchieste di Mario Soldati rimangono così moderne?
Il pretesto della lettura è molto interessante. Il modello di inchiesta di questi anni è molto diverso in
realtà e quella di Soldati è una sorta di eccezione, proprio perché ha dietro una personalità così
particolare, un intellettuale così interessante come Mario Soldati. L’inchiesta di questi anni deve
molto alla tradizione del documentario e tende a essere molto oggettiva. Quella di Soldati è il
contrario, perché Soldati utilizza gli strumenti di televisione (che sono poi gli stessi strumenti del
cinema; infatti nelle scene di raccordo si indugia molto nel mostrare i mezzi; si vedono inquadrati la
macchina da presa, il fonico, il tecnico dell’audio), ma anche la stessa persona, con la corporalità di
Soldati si provocano reazioni nelle persone. Questo tipo di approccio dà luogo ad un’inchiesta
molto soggettiva, giocata molto sull’intervento del presentatore, che genera il risultato che fa sì che
queste inchieste siano molto moderne e che mostrino, a 50 e 60 anni di distanza, un volto dell’Italia
e fa sì che esse rientrino nella necessità di un’azione educativa.
Dunque, la televisione italiana delle origini è sì una televisione di servizio pubblico, ma sui generis,
diversa dalle altre tradizioni europee.

Una televisione senza pubblicità


Questo punto è fondamentale perché ha a che fare con i mezzi di sostentamento del sistema
televisivo e in particolare col tema della pubblicità. L’approdo della pubblicità nei diversi servizi
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pubblici europei è un passaggio importantissimo, molto diffuso e dibattuto. Alcuni servizi pubblici,
come quello inglese, rifiuta la possibilità di includere la pubblicità e in particolare c’è una forte
opposizione in tutti i paesi europei contro la forma più tipica di pubblicità nel sistema televisivo
americano che era la sponsorizzazione, con la presenza di un prodotto specifico che pubblicizza un
programma. L’idea che un prodotto, una merce, possa influenzare la produzione culturale della
televisione è inaccettabile in Europa. In generale c’è un atteggiamento di forte scetticismo e
opposizione nei confronti della possibilità che la pubblicità possa entrare nella televisione. Si
percepisce il potere della televisione. La pubblicità ha caratterizzato anche altri ambiti dell’industria
culturale, ovviamente la stampa, ma si capisce la differenza molto evidente tra i mezzi di
comunicazione tradizionali e la televisione. Si capisce subito che la televisione ha un potere molto
più alto, entra direttamente nelle case delle persone; quindi, genera anche una certa ansia sugli
effetti che la televisione può avere e la pubblicità nella maggior parte dei casi nei paesi europei
viene considerata un male, che rischia di condizionare eccessivamente la dimensione della missione
alta e culturale della televisione.
Questo è il punto di partenza, ma poi i diversi servizi pubblici europei si muovono in modo
differente rispetto a questo tema. L’Italia riesce ad essere sempre piuttosto originale, perché si
inventa una forma peculiare e unica rispetto al panorama europeo e mondiale, un’alternativa che poi
ha delle conseguenze anche nel frenare un certo tipo di sviluppo più moderno della pubblicità, ma
senz’altro dal punto di vista culturale, è il caso di il “Carosello”, che rappresenta la gabbia dorata
all’interno della quale viene rinchiusa la pubblicità nella televisione delle origini, è un tema e un
oggetto di studio particolarmente interessante.
In Italia, come in tutti i paesi europei in cui si accetta di introdurre la pubblicità nella televisione, la
pubblicità non entra né sotto forma di sponsorizzazione e nemmeno sotto forma di break
pubblicitario che si inserisce all’interno del flusso (almeno fino a fine anni ’70) ma viene rinchiusa
all’interno di una sorta di gabbia, diventando una sorta di programma a parte e di fatto “Carosello”
diventa un programma, la pubblicità in un certo senso diventa un genere. Paradossalmente la
pubblicità che svolge un ruolo importante in tema di modernizzazione del paese, diventa uno dei
generi più popolari e amati proprio nella forma che ha con “Carosello” (Carosello, infatti, ha una
popolarità clamorosa tra i bambini).
Ovviamente, molte televisioni di servizio pubblico introducono la pubblicità limitandola: in Italia,
ad esempio, fino agli anni ’70 è racchiusa dentro degli spazi, come il “Carosello”, messo in onda
dopo la fine del telegiornale della sera, che andava in onda alle 20.30; quindi negli ultimi 10 minuti,
prima delle 21.00, andava in onda questa rubrica, “Carosello”, dentro cui erano compresi circa 3 o 4
campagne pubblicitarie, realizzate però in maniera molto particolare, molto atipica rispetto a come
siamo abituati a pensare la pubblicità oggi, ma anche rispetto a come si stava sviluppando in quel
tempo la pubblicità in altri paesi come la Gran Bretagna.
L’atteggiamento italiano è quello, che caratterizza molto spesso la cultura italiana, di mediazione: si
capisce che la pubblicità ha una sua importanza, anche culturale, nel diffondere un certo tipo di
consumi e ha naturalmente una sua importanza di primo piano, perché consente l’acquisizione di
risorse economiche che sarebbero altrimenti catalizzate dal servizio pubblico e quindi consente di
avere delle risorse economiche aggiuntive rispetto al canone e di conseguenza di tenere il canone a
livelli piuttosto bassi (il canone della televisione di servizio pubblico in Italia rimane abbastanza
contenuto). La ragione economica, ad esempio, è molto importante in Spagna, dove la difficoltà nel
riscuotere il canone per il servizio pubblico porta, sin dai tempi della dittatura franchista, a
introdurre la pubblicità nelle reti televisive pubbliche, controllate dal governo franchista, quindi già
negli anni ’60, perché si capisce che quello è l’unico modo per avere risorse sufficienti per
alimentare un servizio di radio–televisione.
Pubblicità:
• 1954-1957. Assenza totale di spot pubblicitari in tv.
• 1957-1962. Americanizzazione del quotidiano, consumo “passivo”, inizio di Carosello.
• 1962-1968. Via italiana alla modernità, “educazione” al consumo, consumo “partecipato”.
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Carosello
Carosello viene introdotto nel 1957 e dura un ventennio, fino al 1977 quando viene definitivamente
abolito; via via nel corso degli anni vengono introdotte altre rubriche pubblicitarie collocate in altri
spazi della giornata, ma che sono programmi distinti e separati che hanno altri nomi anche molto
evocativi, proprio perché la pubblicità diventa molto popolare fra i bambini (es. “Gong”, “Tic
Tac”). Alla fine degli anni ’70 quando inizia questa separazione tra programmi e pubblicità e ci si
avvia verso una programmazione di flusso delle reti commerciali, queste “gabbie dorate
pubblicitarie” vengono abolite definitivamente e si va verso una programmazione di flusso che
integra ai programmi anche i break commerciali, naturalmente sotto la grande spinta della
televisione commerciale.
La SIPRA (concessionaria pubblicitaria della RAI) applica delle norme, delle regole chiare ed
esplicite su come Carosello deve essere costruito. Il fatto che la pubblicità possa essere inserita nella
programmazione televisiva non fa felici gli inserzionisti pubblicitari perché questa modalità
produttiva richiede uno sforzo economico notevole e soprattutto perché negli anni ‘50-‘70 lo spazio
pubblicitario era limitato a 10 minuti al giorno; quindi, le possibilità sono limitate e costi molto alti.
Visione del “Carosello”, la nascita di “Calimero”, https://www.youtube.com/watch?v=BlM--m-
AELY
Una parte importante della pubblicità televisiva di “Carosello” è rappresentata dall’animazione.
“Carosello” sostiene in maniera molto forte una scuola di animazione, molto importante in Italia,
che forse è quella che risente maggiormente della fine di “Carosello”. Alla fine degli anni ’70
questa scuola di animazione “muore” con carosello. Comunque, “Carosello” ha un ruolo molto
importante nel far nascere e fiorire una scuola di animazione nazionale.
La struttura di questi piccoli film del “Carosello” è sempre uguale; sulla base di norme molto
precise questi film sono divisi in due:
1. Pezzo. È la prima parte del “Carosello”, dura 105 secondi, ed è una parte di racconto, un
frammento di intrattenimento, un pezzo di animazione destinato ai bambini. Non si può mai
nominare il prodotto pubblicizzato.
2. Codino. Nella parte finale c’è un codino che dura 30 secondi. Solo qui nel codino si può
nominare il prodotto.
Carosello viene trasmesso dalle 20:50 alle 21:00 sul Programma nazionale. Vengono trasmessi
7.261 episodi. Rappresenta un nuovo modello pubblicitario “pedagogico”. Pone un argine
all’americanizzazione del quotidiano e crea un consumo consapevole.
Questo, dunque, è quello che caratterizza la pubblicità italiana per oltre 20 anni. Questo è il punto di
equilibrio e di mediazione. Nel 1977 finisce il monopolio, i privati offrono spazio a pubblicità.
Game show
Il game show è un gioco a premi che nasce negli anni ’30 come genere radiofonico negli Stati Uniti.
Concetto di quiz radiofonico viene esteso alla dimensione televisiva, dove viene aggiunta la
dimensione visiva delle immagini; dunque, ha molta più possibilità di sviluppo (dimensione sonora
e dimensione visiva). Negli anni ’40 e ’50 viene sperimentato come genere televisivo, diventando il
genere più amato dagli spettatori. Il quiz show è un sottogenere del game show che mette alla prova
la preparazione culturale dei concorrenti. I concorrenti devono rispondere a delle domande su un
argomento specifico o generale, ma che fanno tutti riferimento ad un genere culturale specifico. I
premi sono sia prodotti di consumo (auto, elettrodomestici) che denaro. Il quiz è uno strumento di
apprendimento figlio sia di una logica pedagogica, che di una logica d’intrattenimento. Gli addetti
RAI, in questo modo, fanno un approfondimento culturale, invitando qualche esperto in materia, ma
anche intrattenimento in quanto è un quiz.
Questo è un paradosso, poiché nella televisione italiana dei primi anni salta all’occhio un problema:
infatti, siamo sempre nell’ambito di servizio pubblico; tuttavia, siamo di fronte all’invasione del
genere americano, ovvero il quiz show. Nel sistema di servizio pubblico, di monopolio, di
istruzione, c’è anche la possibilità di elevarsi socialmente: dopo aver studiato, si può vincere dei
soldi o una macchina, perciò il vincitore si eleva socialmente. Questa è apparentemente una sorta di
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contraddizione in quanto il quiz mette insieme sia l’approccio pedagogico-educativo britannico sia
l’intrattenimento americano.
La contraddizione è anche politica in quanto da un lato, la televisione è gestita dalla democrazia
cristiana che banna una serie di regole del capitalismo e gli strumenti modernizzanti della società
(l’approccio adottato dalla DC si chiama “cristianesimo sociale”); dall’altro, la televisione è
utilizzata per ammodernare la società.
Duecento al secondo
Questo programma del 1955 è ideato da due grandi autori televisivi, precedentemente autori di
riviste, Garinei e Giovannini e si intitola “Duecento al secondo”. Andò in onda per un periodo
molto breve, durante l’estate ma poi viene chiuso per una serie di ragioni che dicono delle cose
rilevanti su come ci percepisca la televisione in questi anni ed è un predecessore di “Lascia o
raddoppia?”.
Il programma è condotto dal principale conduttore di programmi televisivi in quel periodo, che non
è ancora Mike Bongiorno, ma è appunto Mario Riva, personaggio importantissimo per gli esordi
della televisione e molto popolare.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-8d1d50a1-73e6-4ca4-af25-
c3c84dc667ee.html
Rispetto alla modalità con cui può essere realizzato oggi è molto differente:
Il gioco dell’avvenimento esterno ad esempio è molto interessante. Il gioco sta andando in onda in
tutta la nazione, però fa riferimento a Milano, al teatro Manzoni di Milano: crea un elemento di
interazione con il pubblico nella città dove sta andando in onda il programma, non in uno studio
televisivo ma in un teatro. Quindi l’interazione col pubblico è molto forte: il gioco del destino
piuttosto che il fatto che i concorrenti vengono estratti al momento fra le persone che fanno parte
del pubblico. Poi c’è una battuta molto divertente e ironica di Garinei e Giovannini all’inizio sul
rapporto con l’originale, con “Dollar a second”, cioè col programma in onda dall’anno prima, dal
1953, nella televisione americana. E questo apre un discorso molto interessante sul rapporto tra
Italia e USA e sul tema dell’americanizzazione.
Spezzone di “Dollar a second”, il programma americano che era stato riadattato in Italia col titolo
di “Duecento al secondo” https://www.youtube.com/watch?v=yd8jBfKkwqM (primi 10 minuti).
“Duecento al secondo” è un programma che va in onda solo per un’estate perché non rispetta il
modello del servizio pubblico. Nell’estratto di “Dollar a second” ci sono diversi aspetti da
sottolineare, che dicono qualcosa in più sul differente modo di vedere la televisione da parte di
Europa e Stati Uniti:
Un elemento particolarmente importante in questo estratto di “Dollar a second” è che prima
dell’inizio del programma c’è la sponsorizzazione di un vino, cosa che invece non avviene in
“Duecento al secondo”. La pubblicità dà l’avvio al programma ed è parte del programma. La
sponsorizzazione, che è il modo attraverso il quale la televisione americana si finanzia, è un’idea
del tutto inaccettabile e lontana dalla realizzazione europea di un programma televisivo.
Lo specifico della sponsorizzazione, rispetto al break pubblicitario, è che il promo fa proprio parte
del programma.
Ad ogni modo, all’inizio, l’idea che interessi economici potessero confezionare un prodotto
televisivo faceva orrore in Europa.
Un altro importante aspetto è che “Dollar a second” aveva la durata di 30 minuti, mentre
l’adattamento italiano del programma, “Duecento al secondo”, durava ben un’ora. Il palinsesto
della televisione americana, dunque, è diverso rispetto a quello della televisione europea. I formati
sono due e sono differenti: o da mezz’ora o da un’ora.
Di solito si considerano formati “lordi”, perché almeno sui network la televisione americana
comprende anche la pubblicità. Una serie televisiva sui network dura mediamente 45 minuti. Se,
invece, si guarda una serie come “Game of thrones” il formato sarà diverso, perché è una serie
“cable”, via cavo, e quindi non ha pubblicità.

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Il formato di un gioco a premi, di un game, come “Dollar a second” che andava in onda su uno dei
canali televisivi americani, il canale DuMont, durava mediamente 30 minuti. “Duecento al
secondo” invece aveva la durata di un’ora. Si osserva dunque un ampliamento e un allungamento
della durata del programma. I ritmi della trasmissione sono diversi: “Dollar a second” ha un ritmo
di conduzione molto rapido, a differenza della conduzione di Mario Riva in “Duecento al secondo”,
molto più tranquilla. In “Dollar a second”, inoltre, si osserva che il meccanismo di gioco crea dei
corto circuiti comici (la concorrente deve rispondere alla domanda successiva dando la risposta
della domanda precedente) che spesso si ritrova nei giochi televisivi odierni (cfr. “Avanti un altro”
su Mediaset: il concorrente deve dare la risposta sbagliata).
Gli autori televisivi di “Duecento al secondo”, Garinei e Giovannini diventano i primi autori
televisivi: sono loro che si inventano la macchina televisiva e sono loro che spiegano le regole del
gioco.
Lascia o raddoppia? (1955-1959)
Versione italiana del game show The $64.000 Questions, programma americano della CBS. È il
quiz più importante della storia della televisione italiana, anche se è una contaminazione americana
nel modello europeo;
Ruolo predominante del conduttore (anchorman): Mike Bongiorno. L’anchorman è un presentatore
che deve far ancorare i telespettatori allo schermo, deve creare fidelizzazione, deve avere volto
umano e accompagnare gli spettatori all’interno di quello che stanno vedendo. Lo show si identifica
con il suo presentatore. Mike Bongiorno rispecchia tutte queste caratteristiche, infatti è un italo-
americano che non conosce molto bene la lingua italiana; pertanto, fa molti errori ed utilizza
espressioni strane.
È il primo programma che fa uso della valletta (Edy Campagnoli è la prima valletta). Le donne
hanno in questo momento un ruolo solamente ancillare: portare la busta, annunciare i programmi,
farsi vedere ecc.
Gli ascoltatori medi a settimana sono 10 milioni (non solo coloro che possiedono la tv, ma tutti). Si
comincia a costruire il primo palinsesto della televisione italiana. Va in onda sabato sera dal 1955 al
1956 e il giovedì sera dal 1956 al 1959. Si passa dal sabato al giovedì sera perché gli ascolti erano
tantissimi e i cinema erano vuoti; dunque, gli esercenti chiedono un cambiamento di giorno. Il
palinsesto è indice di consapevolezza che tale giorno c’è tale programma, così si fidelizza lo
spettatore. Attraverso questa diversificazione di generi, il pubblico si appassiona.
Visione filmato [una puntata]
Sembra che si stiano scambiando battute: linguaggio televisivo informale, per coinvolgere il
pubblico. Suspense, inquadratura orologio, silenzio del pubblico, ecc. sono tutti elementi che non ci
sono in radio. Inquadratura pubblico: non solo si sente che ride ed applaude, ma si vede proprio, ciò
palesa l’aderenza alla realtà. Il pubblico è parte della scena perché in questo modo lo spettatore a
casa può immedesimarsi in esso. (ciò non succede al cinema). Bongiorno introduce il concorrente
utilizzando una serie di riferimenti alla casa e alla condizione del giocatore (la moglie, il gatto, il
fatto che è un maestro, dove e come vive, ecc.) in questo modo il giocatore viene presentato come
una persona comune che però si ritrova in TV e sta vincendo pertanto può diventare famoso (si
parla di lui sui giornali, si parla di cosa farà, ecc.). Anche i cinegiornali fanno dei veri e propri
servizi su questo programma, in questo modo diventa un fenomeno di massa.
[citazione Barbarossi] L’Italia, il giovedì sera, si ferma completamente per assistere ad uno
spettacolo televisivo, davanti a Lascia o Raddoppia. Ha un impatto sociale grandissimo, persino i
cinema installano apparecchi televisivi e le sale si riempiono per assistere allo show. La televisione
unifica tutti gli italiani attorno all’elemento televisivo. Lascia o Raddoppia è il primo successo
trans-mediale: le riviste fanno approfondimenti sul programma e su Bongiorno, ci sono film sul
programma, ecc.
Da sinistra (comunisti) si sostiene che il programma possa trasmettere ideali della “American Way
of Life” ovvero il modo di vivere capitalista che si richiama ad ideali liberali evidentemente contrari
all’ideologia comunista. Alcuni giornali dicono che il programma è pericoloso perché attraverso
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questi show le persone vengono rinchiuse in gabbie come gli animali allo zoo. Tuttavia, benché ci
siano molti intellettuali contrari a questo programma, sempre più gente di ogni tipo (comunisti,
filocattolici, ecc.) guarda lo show. Da un lato, secondo i filoamericani Mike era bravissimo,
dall’altro lato c’erano i filo-russi che lo disprezzavano.
Fenomenologia di Mike Bongiorno
Umberto Eco nel 1961 scrive una raccolta di saggi dentro il libro “Diario minimo”, all’interno del
quale c’è un testo passato alla storia come primo testo di critica televisiva, ovvero “La
fenomenologia di Mike Bongiorno”, dove Eco analizza il successo di Bongiorno concentrandosi sul
suo personaggio.
Secondo Eco, Mike ha successo perché la gente si identifica in lui nel personaggio che dà vita
(“personaggio che lui dà vita davanti alle telecamere”): ponendosi in una dimensione di inferiorità,
tutti si ritrovano in lui. Dunque, Mike ha successo perché è mediocre, così come sono mediocri gli
italiani. Non bisogna sforzarsi per capire cosa dice.
L’impatto sugli intellettuali è molto forte: Eco sta in questo modo dicendo che si può studiare la TV
dal punto di vista degli intellettuali.
Successivamente Mike, nella sua autobiografia, scriverà il capitolo “La mia fenomenologia”, dove
afferma che aveva trovato nelle parole di Eco il segreto del suo successo.
Campanile sera (1959-1962)
Lascia o raddoppia finisce in quanto diventa troppo ripetitivo, Bongiorno passa a condurre il
programma Campanile Sera, che deriva sempre da un programma radiofonico, Il Gonfalone. Fascia
oraria: giovedì h.21.00 / collocazione: programma nazionale.
È il primo esempio nella TV italiana di game show collettivo. Il meccanismo del gioco è che due
città italiane, una del nord e l’altra del sud (logiche del campanile), si sfidano a vicenda e chi vince
rimane per un’altra puntata. Nel frattempo, due rappresentanti per ogni paese sono nello studio
televisivo; parallelamente ci sono dei collegamenti nelle piazze di entrambi i paesi. Vengono
introdotte le esterne in diretta. È la prima volta che due piazze sono collegate contemporaneamente.
Vengono introdotte tradizioni locali in chiave turistica. In questo modo si fa pubblicità
indirettamente alla cittadina che gareggia presentandola dal punto di vista turistico. Infatti, prima
del gioco viene introdotto il paese con un servizio di 10 minuti sui principali siti turistici. È un
approccio legato alla dimensione turistica, paesi sconosciuti si possono conoscere, attraverso la
televisione si può fare pubblicità, si può conoscere e fare divulgazione. Inoltre si possono
coinvolgere intere comunità, le quali si sentono rappresentate. Il modo di parlare molto semplice,
retoriche lineari, molte pause.
Il format viene venduto in Francia.
Il musichiere (1957 – 1960)
Fascia oraria sabato h.21.00 / collocazione: programma nazionale.
Game puro ispirato al format americano Name That Tune (NBC). È un quiz musicale, dove i due
sfidanti devono indovinare la canzone dal motivetto presentato. I motivi musicali sono suonati e
cantati dal vivo da un’orchestra presente in studio e spesso da cantanti famosi che vanno ospiti al
Musichiere. È considerata la risposta “romana” a Lascia o Raddoppia (questo era prodotto negli
studi milanesi).
La conduzione è affidata all’attore romano Mario Riva, il quale introduce un’atmosfera familiare,
parla in dialetto creando famigliarità con gli spettatori. Ospitate: vengono invitati ospiti illustri di
cinema, teatro, di sport, ecc. Le case musicali stesse vogliono usare questo programma per
sponsorizzare le nuove canzoni.
La musica, in questo modo, definisce molto la programmazione e i palinsesti. La tv “ruba” alla
radio la musica: la tv ha la capacità di mostrare i cantanti nel momento stesso in cui si esibiscono;
invece, in radio si possono solo ascoltare. Si potevano certamente vedere nei concerti, sulle riviste,
tuttavia, mai mentre si è in due posti diversi: lo spettatore a casa o al bar, il divo in televisione
mentre si esibisce (divismo).

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Programma trans-mediale: nella pubblicazione di una rivista, “il Musichiere” vengono allegati
dischi. Anche per questo programma viene creato un film (domenica è sempre domenica);
Differenze Riva – Bongiorno
A differenza di Bongiorno, Riva ha un atteggiamento più paternalistico (rispiega le regole, ecc.) nei
confronti dei concorrenti. C’è la dimensione dell’artista che interviene. Es. quando Alberto Sordi
partecipa non è nei panni di un personaggio che interpreta, ma viene presentato per quello che è.
C’è un dialogo con la realtà; dunque, Sordi si mostra per quello che è. Dimensione molto più ludica.
Attraverso l’elemento della musica, la modernità e l’elemento sociale entra a far parte nel
linguaggio e del racconto televisivo. [visione filmato di Celentano che canta]
Critiche
Un lettore di una rivista scrive una lettera arrabbiato con Il Musichiere nel 1958. Questo lettore
comunista è indignato perché secondo lui non bisognava far gareggiare donna contro uomo.
Dunque, nella televisione delle origini:
• Ci sono principalmente programmi di intrattenimento che però voglio anche insegnare
qualcosa nell’ambito presentato;
• In questi anni si instaura la televisione italiana.

L’era Bernabei (1961-1974)


Nel 1961 si iniziano ad istituzionalizzare una serie di movimenti.
Nel 1961 il giornalista Ettore Bernabei diventa direttore generale della Rai fino al 1974. Bernabei
diventa l’uomo più importante nella televisione italiana commerciale.
Rispetto a Guala, Bernabei è di centro-sinistra, è un democristiano progressista che propone dunque
una gestione molto più aperta dal punto di vista politico. Se la televisione dei primi anni si era
mossa nell’ibridazione (modello britannico + modello americano), ora si pone sempre di più verso
l’elemento britannico, quindi con una forte impronta di servizio pubblico. L’era Bernabei è
particolarmente caratterizzata dai programmi di stampo pedagogico indirizzati verso l’elevazione
culturale delle classi basse. Vi è l’idea di proporre una televisione di qualità:
• Rai 2 “Secondo Canale”. Il programma viene aggiunto da Bernabei, al fine di concentrare i
programmi di approfondimento culturale.
• In questi anni si punta molto sul genere del varietà. Il varietà diventa più popolare del quiz
perché all’interno dello stesso programma ci sono più generi (sono anche molto lunghi).
Televisione generalista ideata per tutti. L’intrattenimento dunque rimane.
• Si inizia a produrre di più internamente, ovvero si producono programmi nuovi senza
acquistare format dall’America.

Nasce la registrazione video magnetica (RVM)


Tra il 1960 e 1961 si ha molto più materiale a disposizione in quanto la Rai comincia a registrare le
sequenze video che manda in onda su nastro magnetico;
• I programmi iniziano a essere replicati a orari diversi;
• Cominciano le prime pratiche di archiviazione audiovisiva;
• I servizi telegiornalistici iniziano a essere girati in esterne (non ci sono più le pellicole che
costano);
• Si sviluppa il genere dell’inchiesta televisiva (sulla società italiana, sulla sua arretratezza,
ecc.), così nasce la televisione utile al sociale.

La tv pedagogica
Cfr. “Non è mai troppo tardi”; “I promessi sposi”
È una televisione in linea con una tradizione che caratterizza l’industria culturale italiana fin dalle
sue origini (l’industria culturale in Italia nasce con la letteratura per l’infanzia, con Pinocchio, con
tutta una serie di sforzi di sfruttare i media in senso pedagogico–educativo e didascalico). La
televisione italiana opera in maniera molto chiara e diretta in questa direzione sia attraverso generi
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che sono appunto diretti, che si propongono di costituire una scuola alternativa alla scuola, perché
siamo negli ’50 e la popolazione italiana è per la maggior parte dialettofona e analfabeta; quindi, si
intuisce la possibilità di modernizzare il paese attraverso questo mezzo che diventa rapidamente
popolare.
Non è mai troppo tardi è una trasmissione, che era diventata molto nota, e che rientra entro il genere
più ampio della telescuola; è una sorta di scuola a distanza; molto famoso e molto noto era il
maestro Manzi che tiene corsi di educazione elementari per il pubblico analfabeta che consentiva a
un certo numero di persone di raggiungere la licenza elementare. Quello della telescuola un
progetto articolato: non esiste solo “Non è mai troppo tardi” ma ci sono una serie di programmi
correlati a questo progetto educativo, proprio per ribadire questo forte intento pedagogico della
televisione italiana delle origini.
Fra i vari programmi direttamente educativi c’è un programma ideato da Jole Giannini, che era
un’insegnante di inglese ed è un corso televisivo di inglese; il programma si chiama Passaporto.
Visione dell’incipit del programma “Passaporto”, un corso televisivo di inglese (visione della 63a
puntata su Rai 50).
Questo è un modo molto diretto di costruire una forma di educazione a distanza, di utilizzare la
televisione come strumento pedagogico. Questa telescuola, probabilmente anche per l’importanza
che le si attribuiva, è stata anche mitizzata. In realtà il modo in cui la televisione italiana riesce di
più nell’intento pedagogico è un modo un po’ più indiretto, che passa attraverso quei generi più
popolari, ad esempio il quiz, un tipo di gioco basato non tanto sulle capacità fisiche (come nel caso
di “Duecento al secondo”) quanto sulle competenze (come nel caso di “Lascia o raddoppia?” che
prende il posto di “Duecento al secondo” l’anno successivo, nel ’57). Fino al 1961 trasmette solo
attraverso un unico programma, il Programma Nazionale, e siccome la televisione diventa fin da
subito piuttosto popolare o si guarda questo o non si guarda altro; quindi necessariamente questo
tipo di generi e di prodotti diventano popolari. Un’altra modalità anch’essa piuttosto popolare, oltre
al gioco a premi, con cui la televisione italiana cerca di portare agli italiani le cosiddette letture
obbligatorie, cioè quei libri che tutti quanti nella nostra cultura e educazione dovremmo aver letto,
quindi soprattutto i grandi romanzi, è l’adattamento letterario dei grandi romanzi della letteratura.
La tradizione del romanzo non è propriamente una tradizione forte in Italia; quindi, si attinge per la
maggior parte alla grande tradizione europea del romanzo, ma anche in parte alla tradizione italiana;
e naturalmente quale grande romanzo migliore potrebbe essere adattato per la televisione se non il
romanzo italiano per eccellenza “I promessi sposi”? Infatti, il punto di arrivo nella fine degli anni
’60 di questa tradizione del cosiddetto romanzo sceneggiato (o teleromanzo) è appunto
l’adattamento televisivo in diverse puntate dei “I promessi sposi” fatto da Sandro Bolchi con la
consulenza di Bachelli (un importante poeta e letterato italiano), rispetto a cui la Rai negli anni ’60
fa uno sforzo produttivo molto grande.
Visione dell’incipit della prima puntata de “I promessi sposi” di Sandro Bolchi, del 1967.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-a88aa2e0-4760-4981-9897-
61037bddc6df.html
Caratteristiche formali e testuali: analisi e comprensione delle intenzioni delle caratteristiche a
partire dal testo che la paleo televisione italiana rappresenta:
1. Voice over che racconta la storia, citando il testo originale. L’intento è quello di far conoscere
il testo di Manzoni. C’è infatti un’assoluta fedeltà al testo e la volontà di riprodurre in maniera
diretta, con pochi adattamenti, le pagine di Manzoni; questo proprio perché il teleromanzo
vuole offrire la possibilità di leggere grandi romanzi (le cosiddette “letture obbligatorie”)
anche a persone che non sono in grado di leggere, cercando quindi di rimanere il più vicini
possibili al testo originario, tramite l’utilizzo di questo narratore, questa voce, che
accompagna tutto il racconto.
2. Dal punto di vista dello stile, della messa in scena, assomiglia ad una rappresentazione
teatrale. È questa l’altra caratteristica di fondo del romanzo sceneggiato: una chiara, forte,
evidente matrice teatrale. In quasi tutti i Paesi, in Italia, così come negli altri paesi europei e in
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realtà anche in parte negli Stati Uniti, quella che noi oggi chiamiamo fiction trova il suo
modello nel teatro. Il termine fiction allora non veniva usato; vengono usate diverse
espressioni prima, ad esempio in Italia era il romanzo sceneggiato, il termine fiction viene
introdotto negli anni ’90. Raymond Williams diceva anche che la televisione nasce come un
medium senza contenuto e i modelli di riferimento sono quelli di altri mezzi espressivi.
Il teatro non si prestava molto per le riprese degli sceneggiati, anche per le caratteristiche della
televisione delle origini, come il fatto di dover andar in onda in diretta e di non avere la possibilità
di registrare. All’inizio, però, vi era solo la possibilità di rappresentare, nei primi anni addirittura
con delle dirette, dai teatri o dagli studi. In questo senso “I promessi sposi” rappresentano un po’ un
punto di passaggio ma anche di arrivo, cioè il punto più alto, lo sforzo più importante che la
televisione italiana fa. Il modello de “I promessi sposi” ha sì una impostazione molto teatrale, che si
vede molto bene anche attraverso gli attori (chiaramente i dialoghi sono estremamente teatrali), ma
è tutto girato in pellicola, quindi segna un compromesso, una via di mezzo tra l’impostazione
teatrale e l’avvicinamento a modelli cinematografici. Non a caso, fino ai “Promessi Sposi” tutto il
tele-teatro era in diretta dalle sale teatrali (teatro che però, dal punto di vista televisivo, implicava
delle complicazioni: la presenza di un pubblico ad esempio); poi dalle sale teatrali ci si sposta
spesso negli studi televisivi; quindi, molti romanzi sceneggiati italiani sono spesso realizzati
all’interno degli studi della RAI. Con “I promessi sposi” si inizia ad equilibrare la parte di studio ma
anche la parte di esterna, ovvero il girato in esterno (come l’incontro con i bravi o la camminata di
don Abbondio).
Tutto questo determina un’uscita dagli studi televisivi. Questo segna il punto di avvicinamento
progressivo del romanzo sceneggiato ad un modello più cinematografico, modello che caratterizzerà
molto gli anni ’70, ma anche gli anni ’80, quando la RAI farà sforzi importanti per costruire i grandi
colossal, spesso anche in co-produzioni (ad esempio negli anni ‘80 c’è un “Marco Polo” seriale,
ovvero una serie di puntate che raccontano la vicenda di Marco Polo).
Quindi attraverso il romanzo sceneggiato la televisione di servizio pubblico, ancor più della
telescuola, riesce spesso a raggiungere gli obbiettivi culturali, educativi e pedagogici.

Sul genere della BBC, la tv pedagogica è basata su programmi specifici per categorie sociali
(operai, contadini, ecc.). I programmi sono sostenuti dal Ministero della pubblica istruzione. È un
processo di alfabetizzazione attraverso la TV. Si sviluppa la televisione scolastica (sul modello della
BBC). All’interno della programmazione, viene ricavato uno spazio quotidiano in cui si fa una
specie di Telescuola al fine di insegnare a leggere e scrivere. L’idea era che la televisione faccia
servizio pubblico e dunque formi gli spettatori culturalmente secondo le ideologie della Democrazia
Cristiana. Progetto Telescuola (1958-1966), Non è mai troppo tardi (1960-1968) e La TV dei
ragazzi (1957-1974).

Non è mai troppo tardi (1960-1968)


Dal ’60 al ’68 ha frequenza giornaliera, dal lunedì al venerdì (è una cosa molto strana perché la
televisione italiana di questi anni è settimanale): l’idea è quella di un corso scolastico. Infatti, lo
spettatore, in quanto paga le tasse, ha diritto a questo servizio pubblico. Viene mandato in onda
prima nel Programma nazionale, poi nel Secondo programma.
Viene condotto dal maestro di scuola Alberto Manzi ed è un vero e proprio corso di
alfabetizzazione per adulti. Vengono sviluppate tecniche di insegnamento multimediali sotto forma
di “tutorial”: Manzi si rivolge agli spettatori utilizzando le lavagne. Alla fine del ciclo di
insegnamento chiama in studio alcuni allievi che hanno imparato a distanza grazie a questo
programma.
Il problema è che Manzi è un maestro di italiano molto romanizzato: ha una serie di cadenze che
influenzano il modo di scrivere e leggere. Grazie a questo programma, si crea una sorta di lingua
nazionale tarata dal punto di vista romano.

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Nel primo anno (1960) circa 35.000 analfabeti ottengono la licenza elementare (alla fine del corso
la Rai dà la possibilità di sostenere un esame). Il programma viene interrotto nel 1968 per aumento
della frequenza nella scuola dell’obbligo.

L’approfondimento
Influenza del cinegiornalismo (La Settimana Incom) e del cinema documentario. Vengono ideati
documentari etnografici (di inchiesta) e documentari di montaggio (storici, si prendono i filmati
d’archivio della Rai e si realizzano documentari). Nascono i sottogeneri dell’inchiesta televisiva e
del rotocalco televisivo. Sono collocati sul Secondo programma in seconda serata, dove c’è sempre
un approfondimento (es. sul fascismo, sulla Seconda guerra mondiale, sul nazismo, ecc.). Il taglio e
i contenuti provengono dal settimanale illustrato di approfondimento e vengono trasferiti al piccolo
schermo. Il ritmo serrato e particolare cura formale della realizzazione delle immagini.
RT – Rotocalco Televisivo (1962) e TV7 (1963), condotti da Enzo Biagi, Furio Colombo e Sergio
Zavoli.

Il varietà
È anche molto noto come “spettacolo leggero” (d’intrattenimento). Viene unita la tradizione
teatrale della “rivista” (prosa + musica + danza + scenette umoristica) al genere radiofonico del
varietà (musica + intrattenimento). Il modello è quello americano dei grandi show degli anni ’50
(es. Ed Sullivan Show). Commistione di musica leggera, coreografie, sketch comici (cabaret).
Centralità dello spazio scenografico, del conduttore, degli ospiti. Il Musichiere aveva introdotto
questa modalità, il Varietà se ne fa carico e diventa un luogo dove si canta, si chiacchera, si
presentano personaggi, ecc. La tv diventa spazio di circolazione alternativo della musica leggera e
nasce un fandom intermediale.
Un, due, tre (1954-1959)
È il primo programma televisivo di varietà. Contiene sketch, parodie, balletti e inchieste
documentarie. È condotto da Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi. Dissacrazione, satira e
travestimento. Nel 1959 il programma viene interrotto in quanto i presentatori fanno uno sketch sul
presidente della repubblica Giovanni Gronchi e a lui non piace dunque li licenzia.
Canzonissima (1958-75)
È il varietà più longevo e più produttivo della storia della televisione italiana. Contiene sketch,
balletti e gare di canzoni. Nasce da programma radiofonico (Le canzoni della fortuna). Vede le
partecipazioni per la prima volta di un pubblico da casa con il voto tramite cartolina: la cartolina
viene fatta recapitare a casa ai singoli abbonati, i quali votano il cantante più gradito, viene poi
spedita in Rai e la settimana dopo vengono conteggiati i voti. I conduttori sono Delia Scala, Paolo
Panelli, Nino Manfredi. Nel 1962 Dario Fo e Franca Rame abbandonano la conduzione in seguito
all’intervento della censura sui loro testi. Si alternano diversi conduttori: Mina, Johnny Dorelli,
Raimondo Vianello. Dal 1970 Raffaella Carrà, Corrado, Pippo Baudo.
Studio Uno (1961-1966)
Viene trasmesso sul Programma nazionale in prima serata il sabato sera. È il primo vero varietà che
viene ideato da Bernabei. Prima conduttrice: Nina (conduce la prima edizione) e poi Walter Chiari e
Lelio Luttazzi. Cantanti, attori, ballerini internazionali vengono assoldati come attori e conduttori. È
il primo caso di televisione trans-nazionale: si ritrovano ospiti stranieri. Nasce per la prima volta la
centralità della regia televisiva sotto la direzione di Antonello Falqui. Fortissima cura delle
coreografie da parte di Don Lurio (è un coreografo americano). Rispetto agli altri varietà, non ci
sono scenografie sfarzose, ma semplici ed essenziali.
[visione video]
Da un punto di vista registico c’è una grandissima evoluzione in pochissimi anni, il linguaggio
televisivo si avvicina sempre di più al cinema:
• Abbattimento della quarta parete: la televisione aveva abituato lo spettatore ad inquadrature
fisse; invece, ora si vedono lo zoom in e lo zoom out; inoltre, si vede addirittura il punto di
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vista di Mina: la telecamera le gira intorno e si vede il pubblico esattamente come lo vede la
conduttrice.
• Inquadrature dal basso verso l’alto;
• Linguaggio complesso del cinema.
• Si sperimentano più cose sul piano della tecnica, non solo dei contenuti.
• La televisione non ha più paura di mostrare gli apparati, le telecamere, lo studio, ne fa
invece una virtù di questo elemento di rappresentazione del reale mostrando l’elemento
scenografico.
• Non bisogna far credere allo spettatore se è vero o finto (non è il cinema): è il reale.
• Cambia totalmente il linguaggio da questo punto di vista.

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17. GEOGRAFIE DEI MEDIA

La dimensione geografica è difficilmente separabile e distinguibile dalla storia. Quando si fa


riferimento ad aspetti della storia dei media e della televisione ci si deve confrontare con ciò che
succede in un determinato paese che ha determinate tradizioni. Bisogna configurare le cose su un
singolo ambiente. Questo perché non c’è storia senza geografia (politica, sociale e culturale) e
viceversa la geografia di diversi territori porta le cose ad essere cosi come sono ora. In più quando
si parla di media si affiancano due livelli geografici:
• Geografia reale, fotografia dell’esistente.
• Geografia simbolica, piano simbolico, culturale e sociale attraverso cui lo spazio viene
ridefinito o reinventato dai media.
Da un certo punto di vista, i mezzi di comunicazione e soprattutto i mezzi di comunicazione di
massa riportano quella che è una geografia reale, cioè i contenuti mediali sono collocati in un
setting che tiene conto di una geografia reale (ad esempio i giornali forniscono gli aggiornamenti
riguardo una certa zona, che si trova in una geografia reale). Quindi, da un certo punto di vista, i
media amplificano una situazione geografica reale e si collocano in uno spazio geografico reale.
Dall’altra parte, però, i media partecipano alla costruzione di una geografia simbolica sia attraverso
interpretazioni di geografie reali, sia grazie a interpretazioni sganciate dalla realtà delle cose. I
media contribuiscono a costruire un’altra geografia e a dare un’idea simbolica diversa dal reale, che
contribuisce a modificare la geografia (non tutti noi siamo stati a New York, ma ne abbiamo
comunque un’idea chiara, che è passata attraverso la rappresentazione di New York che ci hanno
dato migliaia di forme mediali con cui ci siamo interfacciati, come i film, i giornali, i libri). Si
arriva addirittura poi alla costruzione di una geografia simbolica che fa da stimolo e spinta alla
geografia reale, come ad esempio nel city marketing, tutto volto a dare un’idea della realtà, ma
mediata dalle forme di comunicazione. E così alcuni enti istituzionali possono finanziare la
produzione di un film a patto che nel film siano presenti e ben visibili le bellezze del territorio
(come è accaduto, ad esempio, per le città dell’Umbria, che si sono contese la produzione di “Don
Matteo”).
È però importante notare che già parlare di “geografia” dei media al singolare è riduttivo.
Parlando di geografia dei media si affrontano anche altre polarità, ad esempio quella che oppone un
centro ed una periferia. É estremamente importante definire la presenza di uno o più centri e la
presenza di periferie meno inquadrate dal sistema dei media, nella geografia reale sia in quella
simbolica. É importante perché questo dà le chiavi di decodifica di alcuni elementi importanti, che
differenziano le varie nazioni. Alcune nazioni presentano un’idea, che passa attraverso i media, di
accentramento (per cui una città è il centro e tutto il resto è periferico). Altri optano invece per
soluzioni decentrate, presentando una molteplicità di centri, e la riduzione del cono d’ombra
inghiotte le periferie. Il punto in cui ci si decide di collocare, tra decentramento e accentramento, è
una relazione di potere, ed è uno dei modi attraverso cui la politica può controllare non solo i
media, ma anche il punto di vista che i media stessi veicolano sulla realtà e sulla costruzione di un
immaginario (di nuovo spunta qui l’opposizione tra geografia reale e geografia simbolica).
Un’altra opposizione è quella che mette da una parte un’idea di proprio e un’idea di straniero:
• Proprio. I media ritagliano uno spazio che consideriamo nostro e in base a questo spazio
viene definito l’altro, lo straniero. Anche qui ci sono dinamiche diverse e contraddittorie che
distinguono le nazioni. In alcuni casi si assiste infatti a dinamiche di esclusione, per
proteggere il “noi”, altre volte a dinamiche di inclusione, cioè si ha curiosità e accettazione
verso il prossimo, verso lo straniero e il diverso da noi. Ad esempio, la Francia ha barriere
protezionistiche di difesa della lingua francese molto elevate (a differenza di altri paesi
europei), per cui, ascoltando una radio francese, si trova molta più musica francese rispetto a
quanta musica italiana troviamo in una radio italiana.
• Straniero, l’altro, il diverso da noi.

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Da una parte c’è, dunque, una difesa dell’altro, un rivolgimento del proprio mercato all’esterno
anche con idee espansionistiche per andare fuori dai confini nazionali (gli Stati Uniti sono uno dei
paesi più aperti rispetto alla loro cultura). Si tratta di una polarità all’interno della quale si sceglie
dove collocarsi.
Si parla di “geografie dei media”, al plurale, anche perché il parlare di geografie dei media vuol dire
tante cose:

Geografie della produzione


Ci interessa capire dove hanno sede gli studi televisive, le redazioni dei giornali ecc., cioè tutti
quegli spazi dove vengono ideati i contenuti mediali. La geografia della produzione aiuta a capire
quali sono i centri della produzione mediale, che sono geograficamente reali o simbolici. Sono
entità che non esistevano prima e che ad un certo punto iniziano ad esistere. Ad esempio,
Hollywood, che è la base della produzione cinematografica e televisiva; oppure un posto
dell’immaginario italiano, come Cinecittà o Cologno Monzese, dove a volte si rispecchia una
centralità, anche politica, o che viene creata dai media stessi. Ad esempio, prima della Silicon
Valley nella “San Francisco Bay Area” non c’era niente. Vi è un radicamento nella storia nazionale
e nel tessuto culturale.

Geografia della distribuzione


Se la geografia della produzione è puntiforme, la geografia della distribuzione è reticolare, cioè è
fatta di circuiti e di reti. In quali aree viene distribuito un certo contenuto mediale? Quali sono i
posti dove si può guardare, ad esempio “Real Time”? Dove arriva il “Corriere della sera” in
edicola? E così via. La geografia della distribuzione si occupa di tutta una serie di questioni legate
alla diffusione dei contenuti mediali, contenuti che a volte vanno oltre i confini nazionali a volte no
(si passa, ad esempio, dalla “tele – street” di quartiere alla CNN). Quindi la geografia della
distribuzione si occupa dei circuiti della circolazione mediale, ad esempio festival, mercati come
Venezia, Berlino, Cannes, ecc.

Geografia dei testi e degli immaginari


È una geografica dei contenuti. È quella che ha a che fare con l’aspetto simbolico e con la creazione
di una geografia mentale presente nei fruitori dei media, che descrive la realtà e la reinterpreta
aggiungendoci uno strato di senso. Ad esempio “Gotham City” non è New York, ma più o meno lo
è, nel nostro immaginario: alcuni degli aspetti delle due città si sovrappongono. Quando si guarda
una sitcom americana ci sono scorci di paesaggio bellissimi, ma magari sono stati ripresi in uno
studio a Los Angeles; oppure ci si fa l’idea di un bar che non esiste nella realtà ed è costruito solo
per una determinata sitcom. Sono i luoghi della “rappresentazione” mediale. Vi è una recente
crescita del local drama.

Geografia del consumo


Questo è un livello di analisi ulteriore e fondamentale. Dove si collocano i fruitori di determinati
contenuti mediali? La geografia del consumo ricostruisce sia le scelte del singolo sia quelle del
gruppo di individui (per la televisione si parla di “household”, cioè “nucleo familiare”) oppure le
scelte dell’audience, che deve coincidere con i cittadini della nazione (secondo il modello europeo)
o con un determinato target (secondo il modello commerciale). Quindi gli indici di ascolto si
prendono tenendo conto anche della dinamica geografica.
Quindi ci sono tanti livelli di geografie, che offrono informazioni utili per capire come funzionano i
media. Si opera poi su 3 diversi livelli di indagine:
• Globale: la televisione può essere globale (es. “Discovery network”)
• Locale: la televisione può essere locale (es. “Tele – Lombardia”, che esiste solo in
Lombardia)
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• Nazionale: la televisione italiana si rivolge ai confini nazionali e ai cittadini italiani pagano
il canone.
Questi 3 livelli di indagine vengono sempre messi in relazione tra loro e possono essere
interlacciati. Su di essi si lavora e ciascun contenuto mediale si colloca a seconda di questi 3 livelli.
Si occupa della trasformazione delle modalità di fruizione. Si ha un passaggio dall’household al
mobile. Si sviluppano pratiche, quali on demand, second screen, ecc.

Il livello globale
A livello globale i mezzi di comunicazione visti come universali. Ci sono due grandi teorie in
proposito:
• Il “villaggio globale” di McLuhan. È questa una teoria secondo cui i media elettrici
connettono tra loro parti distanti del mondo, per cui si attiva una modalità di relazione tipica
dei villaggi tribali, ma applicata al mondo contemporaneo; perciò, il mondo è visto come un
villaggio, ma su scala globale.
• Il cosmopolitismo di massa. Studiosi con un approccio più culturale e meno tecnologico
come Edgar Morin e Umberto Eco, dicono che ci sono sempre state culture nazionali, ma la
cultura di massa è una sola, viaggia nel mondo e supera i confini (es. George Clooney è
conosciuto in tutto il mondo perché fa parte delle “star di massa”). Il mondo è sempre più
interconnesso e questo è avvenuto grazie ai media (che hanno permesso di mettere più in
connessione tra loro le varie parti del mondo) ma anche certi a contenuti, capaci di passare
di nazione in nazione. Il cosmopolitismo ha natura più simbolica.
L’americanizzazione. Si tratta dell’invasione americana, che si ritrova nell’idea di “imperialismo
culturale”. Noi, in Italia, ci troviamo in una periferia dell’impero dei media e la cultura dominante
americana ci sovrasta e ci influenza in modo piuttosto pesante. “L’America è la versione originale
della modernità. Noi ne siamo la versione doppiata o sottotitolata” (J. Baudrillard). È questa
un’americanizzazione che tutti ci riguarda e che per alcuni teorici è qualcosa di negativo. Si ha una
visione di America come “impero irresistibile”, che ha conquistato il mondo con un certo tipo di
prodotti, attraverso le frontiere ed in tutto il mondo occidentale. Bisogna però fare attenzione a
questa lettura riduttiva, che presenta un’ambivalenza: certamente c’è una resistenza da parte delle
periferie rispetto all’invasore (soprattutto da parte di francesi e inglesi) ma c’è anche un fascino e un
affetto verso una cultura che è americana, ma è democratica e ci coinvolge, ci stimola. Quindi si
può temere che questa invasine tappi le ali, ma non si può negare che questi contenuti piacciono.
C’è anche un elemento di appropriazione affettiva, “Karaoke americanism”, per cui si cerca di
imitare il modello americano nella propria nazione, in modo incerto e storpiato, come chi canta al
karaoke, ma si tratta comunque di fare propria questa cultura americana.

Il livello locale
È l’estremo opposto della globalizzazione. C’è qui una visione minima, locale, legata a quartieri, a
città, a province e a regioni. In parallelo all’esplosione della globalizzazione c’è stato anche il
recupero di tradizioni e folklori e di legami identitari, che erano stati dimenticati per un certo
periodo, e a volte c’è stata anche un’invenzione di una tradizione che non esisteva; cioè ci si inventa
un passato comune. L’ibrido tra locale e globale è la glocalizzazione: si salta la mediazione dello
step intermedio, cioè si salta direttamente dal locale al globale (si può cercare su internet la
tradizione locale degli Indios dell’Amazzonia antica). È questa una teoria discutibile perché
l’elemento nazionale nella geografia dei media è ancora l’elemento prevalente. Perché è vero che ci
sono una globalizzazione e una localizzazione, ma la nazione fa ancora da filtro.

Il livello nazionale
La nazione è importantissima. Non è chiaramente un concetto naturale, ma è un elemento culturale.
Non risale a una stirpe o ad un’etnia, ma è un costrutto culturale storicamente situato, per cui per
varie ragioni dovute alla storia, ci si ritrova in una determinata situazione nazionale (ad esempio,
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l’Italia fino al 1861 non esisteva). I media, come dice Anderson, individuano una comunità
immaginata. Anderson si riferiva ai lettori dei giornali, ma si può estendere il discorso anche alla
televisione; ad esempio, ancora oggi, il telegiornale alle 20.00 si guarda tutti insieme.
Inoltre, come dice Billig, i media danno vita ad un “nazionalismo banale”, cioè non contribuiscono
alla nascita di idee “ridondanti” di nazione, ma ci fanno sentire parte di una comunità attraverso
piccole inezie, che si inseriscono nella nostra vita quotidiana (per cui da noi un certo tipo di gesto
vuol dire una certa cosa, mentre in altri paesi ne vuole dire un’altra, ecc.). È questo un nazionalismo
per cui non ci si deve armare per fare parte della nazione italiana, ma si è italiani in base a come si
fa colazione al mattino e a come si va a letto la sera.
La nazione è costruita, ma a sua volta costruisce i media. Il sistema dei media si sviluppa in un
clima nazionale e si adegua alla geografia nazionale per lingua, abitudini, ecc., e la ridisegna
(certamente “Real Time” fa parte di “Discovery Network”, ma quello che noi vediamo in Italia è
“Real Time Italia”, un canale concepito a Milano, da italiani, per essere diffuso sul territorio
italiano). La dimensione nazionale è talmente importante che quando si parla di “distribuzione
internazionale” si ha comunque a che fare con due sistemi nazionali che dialogano tra loro: ogni
sistema mediale funziona in base alla propria tradizione interna. Dunque, certi contenuti, pensati per
il mercato interno, finiscono dentro altri sistemi nazionali che li ridefiniscono secondo le proprie
regole, sulla base di un sistema nazionale differente. Ragioniamo sulla geografia dei media perché è
un disordine da cui non ci si può esimere nemmeno quando si analizzano solo il nostro mercato
nazionale, ma anche e soprattutto quello internazionale.

Media e nazioni
La nazione è l’unità base di riferimento nella storia e nello sviluppo dei mezzi di comunicazione.
Nel XVII secolo nasce lo stato-nazione e dell’industrializzazione. Lo stato-nazionale si consolida
anche grazie ai mezzi di comunicazione, con la nascita delle prime “industrie” mediali (stampa,
editoria). Concetti che si legano con quello di democrazia (opinione pubblica) e del totalitarismo
(propaganda).
La nazione è “un’invenzione dell’età moderna” (Gellner), creata per tenere insieme popolazioni con
punti di riferimento comuni. Non esiste coincidenza tra Stato e Nazione: contingenza del concetto
di nazione. Dimensione passiva (condivisione di un sistema culturale) vs. dimensione attiva
(appartenenza). “Tradizione inventata”: costruzione “artificiale” del passato.
La nazione come “comunità immaginata”. Secondo Anderson la nazione è “limitata” e “sovrana”,
cioè ha dei confini ed è sovrana su quel territorio. Il print-capitalism crea un pubblico di massa che
comincia ad immaginarsi come una nuova comunità: la nazione.
La nazione come “banalità”. Secondo Billig è data per scontata. La forza della nazione sta nella sua
ordinarietà e quotidianità. L’identità nazionale è esperienza pratica e concreta, supportata dal
sistema dei media che agisce da “collante”.
Globalizzazione
Ci sono molteplici definizioni: inevitabilità vs. pianificazione. C’è chi dice che sia un processo
inevitabile, con tecnologie che permettono di entrare in contatto tra di loro (digitalizzazione). Altri
dicono che sia pianificata per ragioni politiche o economiche per esportare i prodotti.
È un processo di interconnessione di aree diverse del mondo in un sistema di interazione e
interdipendenza. La globalizzazione e i media:
Teoria critica:
• La globalizzazione per i media comprende un processo di omologazione culturale
• Imposizione pervasiva di significati, valori, immaginari (es. Disney)
• Forza distruttrice delle particolarità e dell’identità nazionale
Teoria culturale:
• Appropriazione culturale
• Resistenza culturale, modellamento, riproduzione simbolica locale
• Forza creatrice e proliferatrice di nuove identità culturali
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18. SISTEMI DEI MEDIA INTERNAZIONALI

Diverse definizioni, una costante: la cornice nazionale. Secondo McQuail l’insieme delle attività e
delle organizzazioni mediali, aventi regole formali o informali di funzionamento all’interno di
quadri giuridici e politici imposti dalla società. Il sistema dei media non può prescindere dai
contesti nazionali e sociali in cui opera.
Entrano in gioco diversi fattori:
• Istituzionale. La legislazione produce un sistema mediale diverso da paese a paese. Il ruolo
dello stato è interventista.
• Economico. Il pubblico nazionale dei consumatori. La filiera distributiva è legata a caratteri
nazionali.
• Culturale. I prodotti di cultura di massa (intrattenimento) sono fortemente nazionali. Es. ciò
che è intrattenimento per gli italiano, non lo è per gli inglesi. Es. Checco sbanca in Italia, ma
non in Francia.
Europa dei media
C’è una tensione costante tra tentativi di integrazione politica ed economica: la pay tv cerca di
uniformare la cultura di massa (es. Sky, Netflix). L’Europa ha avuto differenti modelli di società:
modello liberale (Gran Bretagna, in parte in Francia), “stato sociale” (Paesi scandinavi con un forte
intervento dello stato) e autoritarismo (es. Spagna giovane, paesi dell’Europa dell’est).

I sistemi centralisti: i paesi anglosassoni

GLI USA

Gli Stati Uniti sono una confederazione di 50 stati, uniti tra loro con una forma di governo univoca,
rappresentata dal presidente degli Stati Uniti, ma anche con tutta una serie di autonomie e gradi
intermedi di governo, rispetto cui i cittadini sono molto gelosi.
È il paese simbolo per eccellenza del liberalismo economico (orientamento commerciale e idea di
“stato minimo”). Il sistema è policentrico per via della vastità ed eterogeneità del territorio, fusi
orari, confederazione di stati.
Nell’organizzazione dei media è presente una frammentazione di sguardo, una molteplicità che non
si trova altrove e che in parte è un limite (i media devono decidere come comportarsi per
raggiungere il pubblico), ma anche un punto di forza; infatti, una delle ragioni della pervasività dei
prodotti americani sul resto del mondo è il fatto che questi prodotti si confrontano con una realtà
statunitense piuttosto prismatica.

Ci sono più livelli:


• Locale
• Statale
• Nazionale
• Globale
Sono questi quattro diversi livelli e punti di vista della geografia politica e mediale, all’interno dei
quali ogni medium e ogni sistema dei media deve trovare un equilibrio peculiare. Questo porta ad
una proliferazione nelle industrie mediali. Ad esempio, esistono necessità informative: è
economicamente efficace e culturalmente valido il fatto che ci sia un grado di informazione locale
(che riguarda le contee), di informazione statale (che riguarda gli organi e le autonomie dei singoli
stati), di informazione nazionale (che tiene insieme una confederazione di stati ed una comunità di
cittadini che non può essere uguale dall’Alaska alle Hawaii). Il sistema dei media deve tenere conto
di queste differenze interne.
È presente, dunque, una frammentazione sia puramente geografica (negli Stati Uniti, infatti, c’è la
compresenza di almeno tre fusi orari diversi, e questo non può non impattare sulle scelte di
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programmazione dei broadcaster radiofonici e televisivi) sia politica (con diversi livelli e necessità
informative e culturali).
Un’altra caratteristica generale del sistema mediale americano è data dalla concentrazione,
determinata da ragioni commerciali. Gli Stati Uniti, per ragioni storiche, culturali e politiche, fin
dall’inizio della loro storia e fin dalla conquista dell’indipendenza dall’Inghilterra, sono anche il
paese della libera associazione e del libero mercato. Questo ha fatto sì che il sistema dei media
abbia dovuto tenere conto di questo approccio e perciò è stato fin da subito legato ad una
dimensione liberista e di libero mercato e libera espressione, che ha anche portato, come
conseguenza, un approccio fortemente commerciale. Radio e televisione, in America, nascono
senza intervento dello Stato, che funge solo da regolatore. Non esiste un monopolio, ma fin da
subito nasce la concorrenza e il diretto legame con gli investitori pubblicitari, e queste
caratteristiche valgono per l’interezza del sistema mediale statunitense. Nel sistema dei media
statunitense gli stati singoli oppure insieme alla nazione intervengono come regolatori a livello
statale e federale: non c’è mai un servizio pubblico o un controllo editoriale, commerciale, politico
sui media. Questo ha condotto il sistema dei media ad organizzarsi in un altro modo, portando
conseguenze positive, come la concorrenza che dovrebbe portare ad emergere i modelli, i contenuti
e i media migliori, ma lega i media alla pubblicità e sempre più porta il mercato statunitense ad
essere oggetto di concentrazione (presenza di multinazionali che riducono la concorrenza e la
molteplicità, creando varie testate e vari media e possedendoli). Ci sono, ad esempio, varie testate
che operano contemporaneamente nel settore televisivo, radiofonico, mediale, e anche online. Le
grandi “corporation” come “Walt Disney Company” oppure la “Warner Bros”, sono grandi gruppi
editoriali che possiedono più televisioni, più radio, più canali. Avviene una riduzione della
complessità e una tendenza all’oligopolio.
Il sistema mediale americano è complesso e compreso da un ideale prismatico di complicazione
(bisogna rivolgersi a diversi livelli, a una popolazione ampia), ma il fatto che è spinto su una
dinamica commerciale porta ad una riduzione di questa complessità. È questa una prima grande
contraddizione che caratterizza il sistema mediale statunitense e al tempo stesso una delle forze, in
realtà, dei media americani.

La geografia immaginaria
Nei media americani, seguendo la loro geografia immaginaria, si trovano ancora altre
contraddizioni o meglio una serie di interpretazioni della geografia mediale statunitense, che sono
compresenti anche se talvolta opposte. Il sistema geografico (geografia fisica e geografia politica,
culturale e sociale) è un sistema articolato e complesso, policentrico, stratificato e caotico.
Per ridurre questa complessità si interpretano i media statunitensi secondo almeno tre diverse chiavi
interpretative e sistemi di opposizione: rete acefala, centri e periferie di produzione, unità attraverso
la diversità.

La rete acefala
Da un lato il sistema mediale degli Stati Uniti si racconta e si descrive come una rete acefala
(l’immagine di una rete a maglie più strette, ma senza testa), cioè senza che vi sia un nodo
principale. È l’immagine che sta dietro al mito della frontiera: vi è la continua e perenne conquista
di qualcos’altro, un continuo allargamento dei territori, confini e aree di influenza della nazione. È
un momento storico in cui c’è un’espansione politica degli Stati Uniti verso ovest (cfr. il genere
“western”) ma anche la conquista di nuove frontiere dove non c’è un ulteriore ovest, sia in termini
di globalizzazione, cioè vi è un aumento dell’influenza degli Stati Uniti nel mondo, sia in termini di
conquista dello spazio. Negli anni ’90 il governo Clinton parla dell’autostrada dell’informazione
come nuova frontiera da conquistare (si tratta di internet, del web ecc.). Questa idea è quindi una
tensione costante verso un aumento del potere, ma senza una principale direttrice: si parla infatti di
rete acefala: è questo un discorso che forse è connaturato dalla presenza fin dall’inizio della
democrazia in America, per cui ogni cittadino conta come qualsiasi altro cittadino. Si aiuta dunque
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questa conquista della frontiera (si tagliano le distanze) ma si mantiene anche la democrazia (perché
si mettono in comunicazione varie aree diverse fra loro e vari stati diversi). Questa è un’altra
direttrice. Il telegrafo viene diffuso in USA in parallelo con le ferrovie e consente di comunicare
con gli avamposti per la conquista del west; lo stesso ruolo hanno il web, internet, la televisione,
che, attraverso vari network nazionali, riescono a proporre gli stessi contenuti all’interezza della
realtà statunitense. A lungo c’è stata soprattutto un’influenza interna (quando c’erano territori da
conquistare). Quando le terre da conquistare finiscono, la propulsione della conquista porta ad
andare oltreoceano; quindi, la grande influenza esterna inizia con il 1900.

Centri e periferie di produzione


Un secondo aspetto di questa geografia immaginaria sono i centri produttivi e le periferie, si
oppongono in maniera contraddittoria alla rete acefala, ma sono molto reali se si considera cosa
succede davvero negli Stati Uniti. È questa un’America che dal punto di vista mediale si divide
radicalmente in due parti: da un lato la East Coast e la West Coast e dall’altro il centro, la Middle
America. Sui due lati si trovano le grandi capitali urbane dei media: New York, Boston, Los
Angeles, San Francisco, Chicago, queste sono le grandi capitali, traino propulsore della produzione
mediale statunitense. Qui sono concentrate le case editrici, le emittenti radiofoniche, i giornali di
opinione più importanti. Le grandi metropoli e capitali urbane dei media danno un certo tipo di idea
degli Stati Uniti, che è anche un’idea più liberale (in termini politici diremmo meno conservatrice),
più cosmopolita e aperta a contaminazioni e influenze. Questa però è la punta dell’iceberg, perché si
continua ad avere una Middle America rurale, conservatrice, legata ad una dimensione nazionale
poco aperta e che costituisce una importante categoria di pubblico e un serbatoio di immaginari, che
vengono poi fagocitati dalle capitali che stanno nelle due coste. Probabilmente questa è una
banalizzazione, ma è evidente che gli USA hanno queste differenze importanti che distaccano
Hollywood da Salt Lake City e di questa differenza i media devono tener conto.

Unità attraverso la diversità


Da un lato gli USA hanno una omogeneità molto forte, legata ad un’idea di nazione estremamente
diffusa (il legame con la patria e la cittadinanza americana sono parte integrante dei media
americani fin dall’indipendenza dell’America) ma sono consapevoli di essere un popolo emigrato,
di seconda generazione. I nativi americani sono pochi e non hanno avuto grande “successo”;
bisogna dunque ricercare radici comuni da un lato e dall’altro sfruttare la varietà che caratterizza
questo “melting pot”, poiché anche questo è diventato un punto di forza ed un elemento costituivo
dell’identità nazionale, che si riverbera all’interno della struttura dei media e dei suoi contenuti e
che fornisce un’ulteriore chiave interpretativa.
Quindi si delineano queste tre chiavi differenti di lettura, per quanto riguarda gli Stati Uniti:
• Vi è una rete acefala: tutti valgono allo stesso modo.
• Vi è l’opposizione fra un centro mediale (le due coste, West Coast e East Coast) vs periferie,
la Middle America, che non ha controllo sui media ma possiede l’audience privilegiata di
quegli stessi media.
• Vi è un’identità forte nazionale vs apertura verso l’immigrazione, che ha molti pochi
precedenti e pari in altri sistemi nazionali.

La stampa
La dimensione geografica e la presenza di molti livelli locali, nazionali, statali è un discrimine
molto forte. I quotidiani necessariamente sono prevalentemente locali e legati ad una o più città, ad
alcune contee o ad uno stato. Spesso la concentrazione fa sì che una stessa impresa mediale
possieda più di un una testata in diverse aree del paese e che i giornali abbiano delle sezioni comuni
realizzate da una redazione centrale e il resto (la cronaca, la politica locale) sono invece sezioni
originali, confezionate dalle singole testate.

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La stampa, dunque, agisce su una parte del territorio (stampa “locale”), a cui fornisce informazioni
utili per la vita quotidiana, la vita politica ecc. E questo vale soprattutto per i principali giornali
statunitensi, i cosiddetti “quality newspapers” che hanno un radicamento locale importante (cfr. il
New York Times, Washington Post, Chicago Tribune, ecc.): essi sono radicati all’interno di alcune
aree metropolitane e a queste aree si rivolgono. Certamente il “New York Times” si può comprare
anche a Milano, ma si troveranno notizie importanti magari sul sindaco di New York, e si
troveranno i cartelloni dei teatri di Broadway e dei cinema di Manhattan. Poi ovviamente c’è anche
la “New York review of books” che decide i successi editoriali. Quindi, c’è una complessità di
fondo, che vede come pubblico prevalente, il pubblico locale.
C’è stato un solo tentativo di quotidiano nazionale, che è nato negli anni ’80 e che adesso è in crisi,
ed è “USA today”, un tabloid che punta su generi trasversali alle varie tradizioni locali (come il
gossip, lo sport) e che è riuscito a imporsi su tutto il territorio; ma questa è, per così dire,
un’eccezione che conferma la regola.
Un’altra importante caratteristica riguarda il fatto che nei quotidiani statunitensi c’è una separazione
molto netta tra sezioni diverse, una separazione rigorosa tra fatti e opinioni. C’è, infatti, una
tradizione di opinioni e commenti (OPED): si tratta di pagine diverse, con colori diversi e anche
fisicamente separate dal resto.
Una cosa sono i fatti (cioè tutte le cose che stanno nella pagina stampata) e un’altra cosa sono le
opinioni (che vanno anche oltre il locale). Una tipica pratica statunitense è poi quella
dell’endorsement (appoggio, sostegno, approvazione), per cui i giornali decidono il loro preferito
tra i candidati di una campagna elettorale.
Ad essere nazionali non sono i quotidiani ma i periodici, ovvero i settimanali, mensili e stampa
periodica: tematica e diffusa all’esterno in molteplici varianti nazionali. C’è un’industria dei
magazine che continua ad avere alcune delle testate più importanti a livello mondiale e non solo
nazionale (Time, Rolling stone, Vanity Fair, Wired, The New Yorker, ecc.). Spesso queste testate
sono diverse dal loro equivalente italiano (in America “Rolling stone” è un quindicinale e alcune
sue pagine sono occupate da pagine di politica. “Vanity Fair” è un mensile e non si occupa di
gossip ma di giornalismo culturale fin troppo snob ed elitario, dove gli articoli durano 25 pagine e
sono affidati a grandi firme della letteratura). La stampa di interesse è certamente più portata ad
esser nazionale.
Si sviluppa il giornalismo online su base locale e regionale (The San Josè Mercury News) su
modelli di business e sottoscrizione diversificati. La tradizione del giornalismo watch-dog (“cane da
guardia del potere”) è molto forte.

La televisione
Quello televisivo è un sistema che presenta una struttura originale.
C’è un problema grosso: il territorio americano è molto ampio e arriva a coprire tre fusi orari
differenti (il fuso standard della East Coast, il fuso centrale e il fuso “Pacific”, quello, cioè, della
West Coast). Quindi non possono esistere reti, come esistono in Italia, che trasmettono
contemporaneamente, in tutto il paese, gli stessi programmi. Per questo negli Stati Uniti c’è un
sistema a doppia mandata. Ci sono dei canali nazionali che sono i network classici, ovvero ABC,
CBS, MBC, Fox (+ The CW) che sono commerciali e si finanziano con la televisione e sono su
base nazionale.
Non sono reti come in Italia: sono fornitori di alcune ore di contenuti, cioè forniscono una
programmazione di 6 ore la sera, più qualche ora sparsa nella giornata, ad un nugolo di reti affiliate
che sono le vere reti televisive americane.
In ogni singola città ci sono delle singole reti locali che si affiliano ad un network e scelgono in
alcune ore di trasmettere la programmazione di quel network (per questo la CBS si trova su diversi
canali in diverse località). Oltre alle reti affiliate ci sono quelle indipendenti e locali che fanno
trasmissioni ad hoc che ricorrono a contenuti che prendono nelle syndication, che sono programmi

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originali o repliche delle vecchie stagioni dei programmi dei network (reruns). Queste reti coprono
l’intero territorio.
Esiste un servizio pubblico (PBS) che è autonomo dallo stato e che si finanzia con donazioni
volontarie degli spettatori, maratone per raccolte fondi, ecc. Rappresenta un’alternativa rispetto ai
network classici. La distribuzione opera attraverso cavo e satelliti. La televisione via cavo è ad alta
penetrazione, disponibile solo attraverso subscription (diversificazione dei “pacchetti”). Accanto
alle reti locali si è sviluppato un nugolo di altre reti cable che si dividono in:
• Basic cable. Si paga un abbonamento al provider del servizio via cavo ed in questo modo si
possono vedere gratuitamente alcune reti (come ad esempio “ABC family”). Si ha un’offerta
variegata e numerosa con oltre 300 canali, tra i quali AMC, FX, CNN, MSNBC, ecc.
• Premium cable. Si paga un ulteriore sovrappiù. Se, ad esempio, si vuole vedere HPO, si
deve pagare il provider e in più pagare un abbonamento ulteriore. Si ha un’offerta più
ristretta e di qualità. Tra i canali ci sono Showtime, HBO, Starz, ecc.
Ci sono dunque grandi gruppi editoriali con fusioni e che occupano a vari livelli. ABC è del gruppo
Disney, è un network. “ABC family”, invece, fa parte di ABC ed è una “basic cable”, e così via.

I servizi audiovisivi online


I servizi audiovisivi online sono legati ai broadcaster e ai network. Tra di essi ci sono Hulu
(Fox+NBC), HBO Now, HBO Go, HBO on demand. Ci sono delle OTT (Over the top) specifiche,
quali Netflix, Amazon Prime, ecc. e piattaforme tematiche in streaming. Altri servizi online sono
delle estensioni di piattaforme digitali, come social network, motori di ricerca, devices, ecc.
Le televisioni over the top sono televisioni in cui si ha la possibilità di fruire sul grande schermo di
casa, ruolo di solito interpretato dal televisore, di contenuti audiovideo dalla rete internet senza
banda dedicata e qualità garantita (smart tv).

Il web e i nuovi media


Gli Stati Uniti sono stati un terreno trainante per quanto riguarda la diffusione, la nascita e
l’implementazione di internet (che all’inizio si chiamava “Arpanet” e faceva parte del sistema
militare). Ma le “Information Highways” sono un aspetto cruciale culturalmente e politicamente per
gli Stati Uniti, che hanno seguito l’evoluzione di tutto quel mondo, tanto che tutto questo mondo è
radicato negli Statu Uniti, ed in particolare nella Silicon Valley. Dove prima stavano solo IBM e
Microsoft, adesso sono nate altre imprese che son diventate corporations enormi come Apple,
Google, Facebook, Amazon, e questo mantiene gli USA al centro dello scenario mediale
contemporaneo.
Gli Stati Uniti, dunque, rimangono al centro di fenomeni che hanno conseguenze globali sia dal
punto di vista culturale (cfr. lo scandalo NSA, che infrangeva la privacy di molti cittadini) sia dal
punto di vista commerciale ed economico: l’imperialismo culturale e l’americanizzazione passano
non solo attraverso il cinema di Hollywood, i programmi americani, i romanzi americani, ma anche
attraverso una colonizzazione di questo nuovo spazio, che è il mondo digitale e internet.
Quello degli Stati Uniti è dunque un sistema contradditorio, ma anche per questo è in grado di
raggiungere tutti, poiché fornisce uno stimolo alla creatività e alla molteplicità di interessi.

IL REGNO UNITO

Il sistema dei media del regno unito va affrontato insieme al sistema dei media francese perché,
nonostante la differenza di lingua, sono caratterizzati da un forte centralismo, cioè sono attenti a
gestire in maniera uniforme e univoca il sistema mediale in generale e gli immaginari da esso
prodotti, distribuiti, condivisi, creati e presentati al pubblico di spettatori e di fruitori.
Questo sistema è fortemente centralizzato; ci sono correttivi e spinte che vanno in un’altra
direzione, ma il fulcro della produzione mediale della nazione è Londra, che è non solo capitale dei
media britannici, ma globali. Sasha Sassin dice che Londra insieme a New York e Tokio è una delle
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città globali. È qui che si concentra tutta la produzione mediale del paese (giornali, radio,
televisioni, centri legati alla produzione mediale e digitale).
Fa da contrappeso rispetto al centralismo il fatto che la Gran Bretagna è la somma di 4 distinte
identità nazionali:
• Inghilterra
• Galles
• Scozia
• Irlanda del Nord
Questo non inverte il rapporto tra centro e periferie: Londra rimane comunque la capitale di tutto,
ma il sistema dei media deve tenere conto anche si queste altre identità nazionali, non altrettanto
forti, ma che hanno una loro stampa e dei loro canali televisivi dedicati, cioè rivolti ad una specifica
identità nazionale.
Il caos riguardante il referendum di indipendenza della Scozia, referendum che ha dato esito
negativo, per cui la Scozia è ancora parte della Gran Bretagna, dimostra la tensione politica ma
anche culturale che passa anche attraverso i media, che a loro volta raccontano tutto questo (ad
esempio, lo stesso Sean Connery era rappresentate della parte di Scozia che voleva separarsi).
Un altro aspetto generale molto importante è il legame che la Gran Bretagna ha con gli Stati Uniti.
Da un lato c’è un rapporto di distanziamento forzato e opposizione vera e propria, per cui il tema
dell’imperialismo e dell’americanizzazione è un tema molto sentito in paesi che parlano la stessa
lingua. Dall’altro ci sono legami privilegiati tra i due paesi, che passano anche tramite la
condivisione della stessa lingua
C’è dunque questa situazione, sospesa tra, da una parte, una potenza, come la Gran Bretagna,
capace di trainare il settore dei media degli USA e dall’altra una dependance dei prodotti mediali
americani che confluiscono direttamente in Gran Bretagna.
Da un lato, il mercato britannico è forte per quanto riguarda la produzione di immaginari e porta la
loro produzione al di fuori dei confini nazionali (ad esempio il personaggio di 007 e l’industria
cinematografica di 007 ha basi solide in Gran Bretagna); dall’altra parte però c’è il rischio che
questa continuità diventi un elemento di debolezza, per cui diventa difficile distinguere che cosa è
britannico e che cosa è americano.
In Gran Bretagna lo sviluppo della stampa è precoce: già alla fine del XVII secolo nascono le
gazettes, con forte impronta commerciale. In Gran Bretagna, inoltre si hanno elevati livelli di
professionalizzazione: autonomia, indipendenza, ecc.

La stampa
L’editoria quotidiana e periodica
Un elemento di centralismo forte è la presenza di una agenzia di stampa internazionale britannica
Reuters, che è una delle più importanti agenzie, che fornisce notizie a giornali e radiogiornali:
presenta notizie con un’attenzione particolare alla Gran Bretagna, perché è un’agenzia britannica.
Il corrispettivo italiano, l’Ansa, si rivolge invece in particolare al territorio italiano e per acquisire
altre notizie si rivolge ad altre agenzie di stampa, tra cui Reuters.

Quality papers vs tabloid


Da un lato la stampa britannica ha una forte tradizione di giornali di qualità ed opinione, che si
rivolgono ad un pubblico colto ed esistono diverse testate che si collocano su vari lati dello spettro
politico britannico:
• Il “Times” di Londra (conservatore)
• Il “Daily Telegraph”
• Il “The Guardian” (progressista e laburista)
• Il “The Indipendent” (un giornale indipendente, anche se di sinistra)
• Il “Financial times” (per le élites finanziarie)

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Sono queste testate di grande rilevanza, che fanno un giornalismo serio, un giornalismo da “scuola
di giornalismo”, che hanno ampio respiro e una grande importanza nel paese.
Per quanto riguarda i tabloid, ovvero l’editoria di massa, esistono:
• Il “Daily sun”
• Il “Daily mail”
È questa la stampa popolare, che con i suoi scandali (ad esempio lo scandalo del “News of the
world” di Rupert Murdoch, che si inseriva illegalmente nelle segreterie telefoniche di politici di
spicco), con i suoi titoli, urlati in copertina, con le fotografie a colori, con i temi di gossip, di
spettacolo e sportivi, costano poco e rendono molto.
A tutto questo si aggiunge il “Fee press”, che rappresenta il lato estremo del tabloid. È una testata
settimanale importante quanto il “The economist”, che ha sede a Londra e ha base solida nel
mercato britannico.
Un ulteriore aspetto importante è il discorso della concentrazione editoriale: alcune società (come
“Newscorp” di Murdoch) possiedono diverse testate, sia per quanto riguarda i tabloid sia per quanto
riguarda i “quality newspaper”, e questo non può che portare ad un allineamento politico e ad una
riduzione della diversità culturale. Murdoch, ad esempio, possiede sia il “Daily mail”, sia il “Daily
sun”, e assume quindi un potere politico culturale ed economico alto (Murdoch, inoltre, possiede
anche interessi televisivi importanti).
Un altro elemento rilevante è il fatto che ci sia un approccio generalmente conservatore più nei
tabloid che nei “quality newspapers”. Le opinioni politiche della stampa popolare sono
tendenzialmente conservatrici. Concentrazione e conservatorismo peraltro non sono così staccati
(vogliono lasciare le cose come stanno).
Inoltre, vi è un tessuto di stampa a diffusione regionale, come il Liverpool Echo, Manchester
Evening News, ecc.

La televisione
La Gran Bretagna possiede il fondamento del servizio pubblico per eccellenza, la BBC (British
Broadcasting Corporation). Essa ha contribuito storicamente ai pilastri cardini del public service
broadcasting, con Lord Reith e i suoi 3 mandati: educare, informare, intrattenere.
Il canone è estremamente elevato (è due o tre volte il costo del canone in Italia). Questo è un
discrimen ed è un aspetto molto importante: i cittadini britannici sono invitati a contribuire al
servizio pubblico in maniera elevata, ottenendo in cambio una qualità elevata e un servizio
indipendente dal potere politico (molto di più di altri paesi europei) e privo di pubblicità: il canale
pubblico britannico che non trasmette mai pubblicità.
In quanto modello di servizio pubblico non è però una televisione culturale, che adotta un idea
retriva di cultura e di servizio per i cittadini di una nazione, ma, grazie al canone e senza i lacci del
potere politico e della pubblicità, riesce a proporre un’offerta variegata che prevede reti generaliste,
e le “all news” rivolte sia al pubblico interno sia al resto del pubblico. Ma anche nei diversi canali la
produzione della BBC è ulteriormente variegata: ci sono alcuni contenuti di punta, ad esempio il
format originale da cui in Italia è stato tratto “Ballando con le stelle” (in Gran Bretagna “Dancing
with the stars”), ma non solo questo, ci sono molti altri programmi di punta.
In questo servizio pubblico non ci sono solo programmi culturali ma l’offerta è articolata, il servizio
è senza pubblicità e il canone è più alto. L’identità dei canali è ben definita, esempio la BBC1 è
tradizionalista, la BBC2 di qualità, la BBC3 si rivolge ad un pubblico giovane, ecc.
Per quanto riguarda l’informazione, poi, la BBC ha obblighi rispetto alla creazione di news
specifiche sul paese ma anche di informazioni regionali: presenta canali in tutto o in parte dedicati a
quelle nazionalità britanniche di cui abbiamo parlato prima. Pertanto, esiste una BBC dell’Irlanda
del nord, del Galles e della Scozia, che presenta in parte gli stessi contenuti della BBC inglese, ma
presenta anche programmi legati ai diversi territori e alla diversa cultura. Inoltre, la BBC offre
canali di respiro internazionale, come BBC world news, BBC entertainment, BBC Arabic, ecc. la
“guida del sistema” è un elemento di stabilità e innovazione dell’industria creativa. Degli
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accorgimenti normativi dagli anni ’90, hanno stabilito che la BBC debba concedere il 25% delle
quote a case di produzione in esterno. Nascono così decine di case di produzione che competono tra
loro.
Fin dagli anni ’50 esiste un canale commerciale nella televisione inglese, alimentato dalla
pubblicità, che è ITV, inizialmente nato come rete di emittenti regionali e che manda in onda
programmi più spregiudicati. Successivamente, nel corso del tempo, altri network di carattere
“misto” si sono aggiunti. Uno di questi è Channel 4, un canale di servizio pubblico, completamente
separato dalla BBC, ma finanziato solo attraverso la pubblicità e che ha l’obbligo di
sperimentazione dei canali; cioè non ha l’obiettivo di fare ascolti, ma di cercare altre forme di
intrattenimento sperimentali. Un altro canale commerciale, sulla scia di ITV, è Channel 5.
Tutto questo mondo è stato recentemente cambiato dal passaggio al digitale, un passaggio che è
avvenuto prima rispetto tutto il resto d’Europa e che perciò ha funzionato da modello. Dunque, a
completare il quadro, all’interno del sistema televisivo inglese esiste anche la televisione a
pagamento.
All’inizio vi erano due principali offerte di televisione a pagamento, che erano BSB e Sky, che ad
un certo punto si fondono in BSkyB, entrambe controllate da Murdoch. Quindi BSkyB, che sta
diventando parte europea insieme a “Sky Deutschland”, è una televisione monopolista, che prevede,
cioè, un unico provider di televisione a pagamento attraverso la forma satellitare. Si sviluppa inoltre
un multichannel digitale, che è la piatatforma Freeview, che ha circa 100 canali free-to-air.
Un altro aspetto importante è il rapporto con gli Stati Uniti. È questo un nodo estremamente
sensibile, un momento particolarmente complesso, per varie ragioni:
• Si ha paura dell’americanizzazione. C’è una volontà di autonomia e di non essere fagocitati
dall’influenza statunitense: si vuole preservare la specificità e l’autonomia britanniche.
• La Gran Bretagna guadagna molto dalla presenza di questo mercato comune con gli Stati
Uniti. Vi sono opportunità commerciali notevoli, infatti sono produzioni entrambe in lingua
inglese, in quella comune in cui tutti siamo obbligati a parlare, e numericamente si tratta di
un mercato molto ampio; i produttori radiofonici e televisivi britannici sanno già di potersi
rivolgere a tutti quelli che parlano quella lingua nel mercato internazionale, e quindi anche
agli USA. In questo modo molte più persone che acquistano, vedono, e quindi entrano molti
più soldi; questo è molto importante nell’editoria libraria, dove molto spesso ci sono case
editrici che hanno una sede a Londra e una in una città statunitense.
Nel sistema televisivo le connessioni sono forti. Murdoch è anche quello che possiede Fox sulla
televisione statunitense: quindi le serie prodotte da Fox negli Stati Uniti approdano su BSkyB in
Inghilterra, così come i contenuti britannici possono entrare negli Stati Uniti, ad esempio
“Downtown Abbey”, una serie televisiva inglese, prodotta da ITV, ha trovato sbocco e successo
anche nel mercato statunitense.
E questa è una tendenza ancora più forte nel mercato musicale. Per quanto riguarda l’ambiente
musicale, c’è una tradizione storicamente molto forte di conquista del mercato statunitense da parte
degli artisti e della discografia britannica. Si parla addirittura di “british invasion” con i Beatles e i
Rolling Stones, gli Oasis, fino agli One direction. Questo per dire quanto poi i mercati sono
intimamente connessi e reciprocamente scalabili. La Gran Bretagna, poi, non sbocca solo sugli Stati
Uniti, ma vale anche il contrario.
La Gran Bretagna è anche il paese leader nell’esportazione dei format televisivi nel mondo
(programmi di intrattenimento, tra cui X Factor e Got Talent) e nell’esportazione di serie tv in
Europa.

FRANCIA

Per quanto riguarda le tendenze generali bisogna considerare il fatto che la Francia è un paese molto
centralizzato ancora più della Gran Bretagna. Londra è capitale del mondo, principale centro
culturale britannico. Parigi è l’unica città dell’intera nazione francese: essa, infatti, è la capitale non
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solo politica ma anche economica, culturale e mediale francese; tutto il resto è provincia e periferia
anche e soprattutto per quanto riguarda la produzione dei media e degli immaginari mediali. Quasi
tutti i contenuti vengono prodotti a Parigi, le imprese mediali si trovano a Parigi e gli ambienti che
si ritrovano nei film si trovano tutti a Parigi o al massimo nella provincia parigina.
Le altre città francesi sono del tutto escluse da questa polarità metropoli–provincia. Questo sistema
centralista è dovuto anche alle eredità storiche (ancien règime), al ruolo geopolitico (passato
coloniale) e al sistema politico-istituzionale (repubblica presidenziale).
Quella della Francia è un altro tipo di centralizzazione a partire dal governo De Gaulle (nel secondo
dopo guerra).
C’è qui una politica interventista nei confronti dei media. Vi è dunque un controllo politico e del
governo (e quindi della repubblica presidenziale francese). Qui vengono decise le forme che assume
il sistema dei media in maniera molto forte. Quando la Francia passa da una televisione di servizio
pubblico ad una televisione commerciale è il presidente francese a decidere che sarebbe nato un
canale commerciale e che l’avrebbe fatto Berlusconi (con l’avventura di La Cenque, finita molto in
fretta).
Vi è dunque un’idea molto forte di nazionalismo culturale, che funge come una sorta di
revanscismo, di sciovinismo, il tutto in un’ottica protezionistica rispetto alla lingua e alla cultura
francese (cfr. i francesi usano il termine “ordinateur” per dire “computer”). Questo controllo della
contaminazione rispetto ad altre culture è portato fortemente avanti anche dai media, che
favoriscono la diffusione di contenuti francesi in lingua francese e di lavori di autori francesi,
insieme all’utilizzo di maestranze francesi e al totale inserimento in una cultura francese. Il ruolo
interventista dello Stato quindi si occupa della tutela e della difesa dell’interesse nazionale, del
protezionismo e del dirigismo.
In Francia, come in Inghilterra, la stampa si è sviluppata precocemente, con la Rivoluzione
Industriale. Ha una tradizione politica e letteraria importante, con autori come Balzac e Maupassant,
che ritarda lo sviluppo della stampa commerciale (ritardo della classe media). Il giornalismo
francese influenza tutta l’area mediterraneo, a causa delle conquiste napoleoniche.

La stampa
Anche in Francia, una nazione importante nello scacchiere politico, culturale e globale, esiste
“France press”, un’agenzia francese marcatamente nazionale di portata globale; è questa un’altra
delle cinque fonti di approvvigionamento globale di informazioni a cui si rivolgono tutti i giornali e
i telegiornali del mondo.
Esiste in Francia una stampa quotidiana nazionale che ha base a Parigi, ma che copre l’intero
territorio nazionale e costituisce per certi versi il corrispettivo dei quality papers britannici. Le
testate più importanti sono:
• “Le monde” (conservatore)
• “Le figaro” (conservatore)
• “France soir” (conservatore)
• “Liberation” (progressista)
• “François”
Questi sono giornali “d’area”, ovvero una combinazione della tradizione politica con una maggiore
apertura alle logiche commerciale. Prevalgono il commento e l’opinione rispetto all’osservazione.
Esiste anche una stampa quotidiana locale e popolare, come i quotidiani sportivi (L’Equipe, France
Football), cosi come quotidiani economici o di opinione legati ai vari partiti politici e alle fazioni
del mondo culturale, sociale, sindacale, e così via. I quotidiani di informazione locale occupano
circa il 70% del mercato complessivo (Ouest-France, Nice Matin, Voix du Nord, Le Dauphinè,
ecc.). Le Parisien è passato da tabloid sensazionalistico a quotidiano regionale.
L’altra polarità non sono i tabloid, ma la stampa regionale e sono i quotidiani regionali che escono
tutti i giorni, che coprono non tutta la nazione ma solo alcune sue regioni. La cosa curiosa è che i
dati di vendita questi giornali sono superiori a quelli della stampa nazionale. Queste testate, infatti,
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sono estremamente diffuse, ciascuna nella propria regione di influenza: abbiamo le testate della
Normandia, della Bretagna, della Provenza, della Costa Azzurra e così via. Queste testate non sono
considerate di qualità inferiore (non sono al livello dei tabloid), ma non possono nemmeno
partecipare ad un livello di discussione nazionale.
Altro tassello importante nella scacchiera francese sono i settimanali, una grande costante del
mondo mediterraneo. Vi è un’importanza strategica soprattutto per alcuni tipi di stampa, ad esempio
quella femminile (Elle, Marie Claire), ma soprattutto quella televisiva che possiede 7 o 8 testate e
un mercato piuttosto ampio.
Vengono dati elevati sussidi alla stampa.

La televisione
Esiste in Francia un servizio pubblico, non particolarmente forte, che in seguito ad una serie di
decisioni politiche, è stato penalizzato con il passare del tempo, cioè si è deciso di privatizzare il
canale nazionale. Si è deciso, quindi, di togliere la pubblicità nelle ore più importanti della giornata,
senza incrementare il canone di “France 1” e “France 2”. Più regionale è “France 5” che si alterna
con “Arté”, un canale interamente culturale di produzione franco–tedesca, dove Germania e Francia
trasmettono gli stessi programmi nelle due corrispettive lingue (tedesco e francese) quasi in
contemporanea.
La televisione ha una tradizione “governativa” di gestione della tv pubblica. Si ha una minore
offerta, ma una maggiore varietà. Il ruolo centrale lo occupa la tv a pagamento.
Il canale di servizio pubblico è France Televisions, che offre un’offerta generalista con un’identità
di canali ben definita (France 2 tradizionalista, France 3 regionale, France 4 per bambini, France 5
cultura e documentari). Questo canale trasmette oltre la Francia continentale (1° France trasmette
nei territori d’oltremare, France Ô diffonde conoscenza e cultura dei territori d’oltremare). France
Televisions vede partecipazioni in network di servizio pubblico transnazionale (Arte, Euronews,
ecc.). ed si prodiga per un incentivo alla produzione (es. France 2 Cinema per lo sviluppo del
cinema nazionale).
La televisione privata, in Francia, ha un canale che predomina sugli altri, che è TF1, all’inizio un
canale di servizio pubblico, privatizzato nel 1991. È il leader negli ascolti con il 40/45% degli
ascolti, poiché offre un’offerta pay tematica (La Chaine Info, Histoire, SerieClub, ecc.).
Il secondo canale commerciale predominante è M6, che è una tv giovanile e “americaneggiante”
(serie tv, intrattenimento, inchieste, ecc.). comprende anche canali generalisti (free) e tematici (pay).
Con l’arrivo del digitale terrestre il panorama televisivo si è moltiplicato: nasce, infatti, un operatore
a pagamento, che è “Canal plus”, capostipite della televisione a pagamento in Europa, che si
oppone a Murdoch e che in Italia ha provato a lanciare “Tele+”. Questo canale è stato lanciato già
nel 1984, ma ha avuto difficoltà nel fronteggiare l’offerta generalista commerciale. Il cinema e lo
sport sono pilastri della programmazione. Offre un pacchetto di sei canali pay “inscindibili” e dei
canali free variegati (D8, D17, ecc.).
I canali OTT e le telcos sono SFR e Orange.
L’offerta è minore rispetto agli altri paesi: ci sono molti meno canali importanti, e questo fa si che
ci sia una maggiore varietà: ognuna delle reti, infatti, è specializzata su particolari approcci e toni,
ed ha una quota di mercato piuttosto stabile.
“Canal plus” per alcune ore del giorno va in onda in chiaro; ad esempio “Le petite jurnal” è un
programma che può essere visto anche dai non abbonati.
Forte è il protezionismo, questa tensione a dar forza al proprio sistema mediale, che trova un
riscontro in un supporto alla produzione in lingua francese con finanziamenti statali, sussidi, quote
di programmazione e sinergie pubblico/privato per la produzione (es. format). Nel cinema (in sala e
in tv) c’è, per legge, una percentuale minima di contenuto in francese da trasmettere. I tassi francesi
sono tra i minori di penetrazione del cinema americano. Così vale per i canali televisivi e per le
radio, in cui ci deve essere un 40% minimo di musica francese. Ogni radio deve trasmettere cantanti
francesi come sostegno forte alla canzone francese. C’è, al di là di questi casi, anche globali, un
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livello di mezzo di pop music francese molto forte, sostenuta indirettamente o direttamente dallo
stato, attraverso questa forma delle quote di programmazione: c’è dunque molta musica pop in
francese, che testimonia la presenza di un panorama molto vivo molto di più del panorama italiano.
Tutto questo dà un forte sostegno alla produzione, difende una cultura nazionale e dà stimolo alla
produzione culturale.

I sistemi decentralisti
Quelli della Germania e della Spagna sono mercati mediali e sistemi nazionali con caratteristiche
generali che si ritrovano poi nel concreto nell’editoria e nel settore televisivo. Questi due sistemi
mediali si collocano, nelle intenzioni e spesso nelle realizzazioni, all’opposto del centralismo: ci
sono infatti elementi piuttosto ampi di decentramento. Questo non vuol dire che non ci sono centri
in queste nazioni, ma è importante vedere come ce ne siano più di uno, molteplici. L’opposizione
tra gli snodi della rete e i territori periferici si conserva anche in questi paesi. La differenza è che
non è che c’è un centro e il resto è periferia, ma ci sono una molteplicità di centri.

GERMANIA

Le considerazioni generali fanno capire come il sistema dei media tedesco sia da un lato il risultato
di un processo storico, politico, culturale e sociale e dall’altro sia uno dei fattori di rafforzamento
della stessa tradizione e dinamica storica. Nel caso della Germania si ha a che fare con una sola
lingua che copre l’intero territorio nazionale e va anche oltre (copre infatti anche l’Austria e la
Svizzera tedesca, che sono mercati ancillari e piuttosto rilevanti, che estendono per certi versi il
sistema anche mediale e culturale tedesco).
Si ha a che fare con una lingua unica ma anche con delle divisioni storiche. C’è una
frammentazione storica piuttosto ampia con due grandi radici:
• La Germania, come l’Italia, diventa nazione ed entità politica autonoma indipendente e
unificata in un momento tardo rispetto ad altri paesi. L’unificazione politica e la creazione di
uno stato–nazione tedesco avvengono negli stessi anni in cui avviene in Italia, cioè nella
seconda metà del 1800, un periodo alle soglie della nascita di una cultura di massa. A
differenza di altri paesi, come la Gran Bretagna e la Francia, quando nascono i media lo
stato–nazione è ancora decisamene fresco e poco radicato. Ci sono ancora differenze,
distanze e suddivisioni interne forti e che rimarranno tali.
• È più facile per uno stato, unito e centralista da molto più tempo, affrontare anche la sfida
dei media ed articolare questo sistema dal punto di vista del controllo e dell’accentramento
di potere. Questo non avviene per la Germania, che subisce una suddivisione, uno
scollamento, tra l’identità statale e quella nazionale, anche dopo il disastro della Seconda
guerra mondiale. Infatti, dopo il nazismo e dopo la sconfitta bruciante nella Seconda guerra
mondiale, la Germania viene divisa e diventa uno stato, una nazione, fatta a pezzi dalle
potenze vincitrici per impedire la costituzione di nuovo di una forza ugualmente pericolosa e
per impedire il riformarsi di regimi che le potenze democratiche avevano sconfitto e non
volevano.
La Germania, dunque, fu prima divisa in 4 aree di influenza: un’area di influenza britannica, una di
influenza statunitense, una di influenza francese e una di influenza sovietica. Le 4 nazioni più forti,
vincitrici del secondo conflitto mondiale, si prendono ciascuna il controllo, la responsabilità e
l’influenza su una sezione di quello che era lo stato tedesco. Dopodiché lo stato viene diviso
ulteriormente in due stati, ma le autorità statali sono diverse: ci sono 3 aree di influenza occidentale,
che diventano la Repubblica Federale Tedesca. L’area, invece, di influenza sovietica diventa la
Repubblica Democratica Tedesca.
Sarà solo nel novembre del 1989 che la Germania troverà ancora una volta una forma statale
unitaria con la caduta del muro di Berlino e lo smottamento del blocco sovietico, che perde
influenza sull’intero est Europa e sull’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Quindi, per
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forza di cose, per la storia politica tedesca non stupisce il fatto che alla luce di questa suddivisione
in partenza e di questa frammentazione ulteriore, anche per il sistema dei media la Germania sia
uno stato decisamente decentralizzato.
La Germania, poi, è uno stato realmente e concretamente federale anche dal punto di vista della
produzione degli immaginari mediali. Anche dopo la riunificazione del paese, quando tutto il
sistema occidentale si è espanso e si è esteso anche alla parte orientale (la Germania est), questo
sistema si basa strettamente su autorità e regolamentazioni locali, che sono quelle dei Länder,
ovvero regioni ma dotate di un’autonomia notevole. Le leggi sui media, l’organizzazione dei canali
televisivi, la stampa, passano attraverso regolamentazioni, decisioni, obiettivi e influenze che non
sono in livello federale ma a livello di singoli raggruppamenti fra Länder. Per questo c’è una
molteplicità di centri nel sistema tedesco, che si occupano attivamente della produzione mediale e
che sono rappresentati all’interno degli stessi media tedeschi.
Sicuramente Berlino ma anche Amburgo, Monaco, Colonia, sono tutte città che presentano una
produzione mediale fiorente dal punto di vista radiofonico, televisivo, musicale, discografico e dei
media digitali. Sono città che si collocano reciprocamente alla pari: non c’è una coincidenza
perfetta tra capitali politiche economiche e capitali dei media; anzi, nella geografia dei media,
Monaco conta più di Berlino. Si ha a che fare con tanti nodi tra loro alla pari, con un vero e proprio
network, dove questi luoghi produttivi di immaginario presentano notevoli livelli di autonomia,
perché la regolamentazione dei media può essere più o meno favorevole all’interno dei vari Länder
(cioè all’interno delle istituzioni regionali che decidono).
Questa attitudine policentrica fa anche capire come, per certi versi, tra i vari sistemi mediali
europei, la Germania sia anche quello più aperto a un’idea multiculturale. Ci sono, infatti, in
Germania comunità molto forti di immigrazione, a volte tradizionali, altre volte più recenti, ma
comunque decisamente ampie (ad esempio le comunità turche e curde in Germania sono numerose).
Il sistema televisivo tedesco tiene conto di queste presenze anche dedicando media, contenuti e
programmi specifici ad alcune minoranze rappresentative e importanti.
Anche in Germania la stampa di massa si è sviluppata precocemente: circolazione diffusa nelle città
e presso associazioni socioculturali. I primi periodici comparvero nel XVI-XVII secolo a Lipsia.

La stampa
L’editoria quotidiana e periodica
Il policentrismo (ovvero l’organizzazione federalista) della Germania porta al prevalere di una
stampa locale quotidiana, che i concentra su determinate aree del territorio e che a queste aree porta
sia informazioni legate alla politica dei Länder e alla cronaca più vicina, sia servizi (in condizioni
spesso di monopolio). Questo prevalere della stampa locale porta ad un campo ristretto dei
quotidiani nazionali. A volte queste entità regionali sono limitate per dimensioni e poco popolose;
quindi, in alcune di queste regioni c’è solo un quotidiano, che non ha concorrenza altrove. A
funzionare da arena più ampia e da area del pubblico dibattito politico a livello pienamente
nazionale e federale sono poche testate, che a volte hanno origine da contesti locali ma hanno
respiro nazionale e che altre volte nascono solidamente nazionali.
Sono presenti agenzie di stampa, tra cui Deutsche Presse-Agentur con sede ad Amburgo. A metà
dell’’800 nacque la Wolff. Il sistema della stampa è articolato e stratificato sin dall’’800, quando si
diffonde una stampa di partito, ora quasi del tutto scomparsa, la stampa di massa
(Boulevardzeitungen), la stampa regionale e locale.

Quality papers vs tabloid


Anche in Germania sussiste la divisione tra quality papers e tabloid.
Per quanto riguarda i tabloid, Bild-Zeitung è un tabloid nazionale capace di fare rumore attraverso
copertine scandalose ma spesso capaci anche di fare dibattito pubblico (cfr. l’immagine di Angela
Merkel con i soldati nazisti). Vi è un’attenzione politica più elevata ed approfondita, che incide nel
dibattito pubblico.
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Per quanto riguarda i quality papers, il Frankfurter Allgemeine Zeitung, il Die Welt, il Suddeutsche
Zeitung Frankrfurt ecc., che sono i grandi giornali importanti e di qualità. Sono quotidiani
nazionali, che però hanno un campo ristretto. I quotidiani sopracitati sono di orientamento
prevalentemente liberale-conservatore.
Ci sono quotidiani anche in lingua turca che raccontano le notizie interne e la cronaca tedesca, ma le
divulga ad una minoranza ampia e attiva che parla un’altra lingua, diversa dal tedesco, cioè il turco,
e in questa lingua le si rivolge.
Il panorama editoriale ha una serie di settimanali e mensili di qualità: si tratta, cioè, di una stampa
periodica dove buona parte della stampa segue interessi, affinità, passioni (cfr. la stampa femminile,
la stampa per gli automobilisti, la stampa sportiva ecc.) ma esiste anche una testata di opinione (es.
“Der Spiegel”, “Die Zeit”, con orientamento prevalentemente socialdemocratico).
Un altro aspetto importante è poi la presenza, nel panorama dell’editoria tedesca, di grandi gruppi
editoriali che hanno base tedesca ma che nel corso del tempo (in particolare a partire dagli anni ’80
in avanti) si sono spesso espansi anche fuori dalla Germania (ad esempio in Austria e nella Svizzera
tedesca), oppure che sono diventati vere e proprie multinazionali europee (in competizione con i
gruppi anglo–americani), a volte con mosse azzardate, altre volte con successi radicati.
In sostanza la Germania è riuscita dove non sono riuscite la Francia o l’Italia, a creare
multinazionali nel settore editoriale, con gruppi attivi anche all'estero (es. Springer, Bertelsmann,
Grunehr & Jahr, ecc.). Gruner & Jahr è attivo anche in Italia e assieme a Mondadori pubblica
“Focus”, il mensile più letto in Italia.
È sviluppato il giornalismo investigativo d’inchiesta (online), con il Correct!V.

La televisione
La regionalizzazione del sistema televisivo è frutto dell’intervento degli alleati che negli anni ’50
hanno in gestione il controllo della tv pubblica tedesca. Attualmente il canone è molto elevato, la
pubblicità è soggetta a restrizioni (nel servizio pubblico)
Anche in Germania il sistema televisivo si suddivide in tre gradi aree:
• Il servizio pubblico con ARD e ZDF
• La televisione commerciale, con almeno due grandi gruppi privati: RTL e ProSieben
• La televisione a pagamento, con Sky Deutschland
In una prima fase storica c’era solo il servizio pubblico; poi a poco a poco si sono aperte altre
possibilità per la nascita di una televisione commerciale e di una pay tv. Il servizio pubblico è una
testimonianza chiara di cosa voglia dire policentrismo. ARD è il primo servizio pubblico. È un
canale a copertura nazionale, das Erste e si articola su base regionale (nove canali). Comprende un
canale internazionale (Deutsche Welle) e canali digitali tematici. L’altro canale di servizio pubblico
è ZDF, nato nel 1963, che è il primo network televisivo europeo, con sede a Magonza. ZDF è una tv
a copertura nazionale gestita in accordo tra i Länder. L’offerta è strutturata intorno a quattro canali
principali (ZDF, ZDF Kultur, ZDF Info, ZDF Neo). Compartecipa con ARD in altri canali pubblici
tematici (Kika, Phoenix) e transnazionali (Arte).
Nelle varie aree ci sono facility produttive e la produzione originale dei vari Länder non si limita
alla sola informazione: non c’è solo il telegiornale regionale, ma anche uno o due reti complete che
presentano anche un intrattenimento pensato su base locale e una fiction pensata su base locale (es.
spesso i polizieschi vengono dalla Germania).
Accanto al servizio pubblico ci sono le reti commerciali private, come RTL, che è il primo gruppo
editoriale d’intrattenimento in Europa, con sede a Colonia. Ha 57 canali televisivi e 31 stazioni
radiofoniche in Europa e sud-est asiatico. È nata come tv via cavo, dal 1988 trasmette sulle
frequenze analogiche, poi digitali. Ha un’offerta variegata: canali free (RTL, RTL II, Vox, N-TV,
ecc.) e canali a pagamento (RTL Living, RTL Crime, RTL Passion).
Ci sono poi altre due reti gemelle, “ProSieben” e “Sat1”, con sede a Monaco. È un gruppo
multimediale con interessi diversificati nell’ambito della filiera (produzione, distribuzione,
comunicazione, ecc.). Comprende diversi canali free e via cavo (ProSieben, Sat1, Kabel Eins, ecc.).
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La televisione commerciale è piuttosto ricca. C’è stato anche un approdo di Silvio Berlusconi di un
canale che si chiama “5” (Fünf). La televisione commerciale si espande perché anche per via di un
punto, non trascurabile, che rende la televisione tedesca un unicum in Europa, cioè la diffusione
televisiva via cavo: le varie regioni hanno incentivato i cittadini a dotarsi del cavo, che porta a casa
un numero più ampio di canali, cosa che ha reso possibile il moltiplicarsi delle reti private, prima
col cavo poi anche con il satellite. Perciò la televisione tedesca è stata particolarmente avanzata per
un periodo; con il passaggio al digitale, invece, la Germania è paradossalmente rimasta un po’
indietro, perché il passaggio al cavo digitale è più difficile rispetto al passaggio da etere a etere
digitale.
Ultimo tassello è la pay tv: la Germania è uno dei lati del triangolo di Sky in Europa (controllata da
Rupert Murdoch). Oltre a BSkyB in Gran Bretagna e Sky Italia, anche “Sky Deutschland” è
estremamente rilevante.

SPAGNA

Anche qui ci sono policentrismo e decentralizzazione, anche se Madrid è il fulcro principale della
produzione mediale. Paradossalmente però, rispetto alla Germania, la Spagna approda alla
molteplicità di centri in un secondo momento e con premesse diverse. La Spagna è una delle grandi
nazioni europee che si danno forma statuale già durante il 1600 con l’assolutismo monarchico.
Continua ad essere centralista fino ai primi decenni del 1900, cioè fino agli anni ’30, con la dittatura
franchista fascista (quella di Francisco Franco), che si che si guarda bene dal non partecipare alla
Seconda Guerra Mondiale, dittatura che rimane al potere fino agli anni ’70, quando stranamente
Franco passerà il potere e a Juan Carlos, il legittimo re di Spagna. Sarà lui a riportare il paese alla
democrazia.
A questo punto nasce la necessità di decentralizzare, di dividere e di moltiplicare gli spazi; la
possibilità di espressione nasce in Spagna non da una divisione prima, ma da una reazione viscerale
che il paese adotta per dare voce ad autonomie che sotto il franchismo e per decenni prima erano
state soggiogate e messe in minoranza. Si sviluppano così le autonomie regionali, chiamate
comunidades, cioè entità che parlano anche una lingua diversa dallo spagnolo nazionale.
Tutte queste sono comunità che negli anni ’70 conquistano una loro indipendenza e che in questa
indipendenza cercano di organizzare i loro media, la loro stampa e la loro televisione, e a dare
impulso al loro cinema, e così via. Questo fa si che il controllo legislativo del sistema mediale
spagnolo sia decentrato: è la Catalogna a decidere riguardo sistema dei media e non lo stato
centrale.
Negli anni ’70 viene liberalizzata la stampa (le prime tv private risalgono al 1988), le radio private
insediano il monopolio del servizio statale e la televisione, unico vero baluardo della dittatura,
diventa strumento di socializzazione nelle aree rurali.
Altra conseguenza sono i sussidi che lo Stato centrale ha dato per molto tempo per le identità delle
minoranze e per il mantenimento di una varietà linguistica, culturale, sociale e politica e i media
hanno usufruito per molto tempo di questi sussidi. Era, questa delle minoranze, una situazione
assistita dallo stato che voleva far sbocciare le diverse culture locali anche per contenere le pretese
autonomistiche.
Altra tendenza macro nel mercato spagnolo è un progressivo processo di privatizzazione e
liberalizzazione. All’inizio, la ripresa democratica ha visto un forte intervento dello stato ma
dall’altra parte, soprattutto dagli anni ’90, si è sviluppata una forte dinamica di
commercializzazione, con la svendita di assetti strategici e un’entrata nel mercato piuttosto ampia.
Tutti questi sono processi che avvengono più o meno nello stesso tempo anche in altre parti di
Europa, ma in Spagna questo avviene in un lasso di tempo più breve, quindi porta a conseguenze
più radicali, meno lente e pensate.

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La stampa
La situazione della Spagna è molto vicina a quella dei paesi mediterranei e del sud Europa. Agenzia
di stampa: EFE (quarta al mondo, posizioni conservatrici).
La stampa nazionale vede in alcune testate la sua base, relativamente poco diffusa, ma che fa
opinione ed investe le varie élite culturali e politiche del paese, come “El Pais” (socialista), “El
Mundo” (centrodestra) e “ABC” (cattolico e monarchico).
Sono diffusi anche i quotidiani sportivi, come Marca, AS, El Mundo deportivo (catalano).
Sono presenti anche numerosi quotidiani locali che traggono linfa da altri quotidiani e sono scritti in
altre lingue, come “La Vanguardia”, un quotidiano famoso in Catalogna perché è scritto anche in
catalano e El Correo nei Paesi Baschi.

La stampa periodica è molto vicina al modello mediterraneo, con una mescolanza di informazione e
sensazionalismo. Uno dei titoli più forti è “Interviú”, un giornale di gossip patinato (non distante da
“Chi” o “Oggi”).
Ci sono settimanali televisivi piuttosto rigogliosi e ci sono stampe femminili e popolare che va sotto
il nome di “stampa del cuore” (in spagnolo “prensa del corazon”) e che prevede testate che spesso
sono proprietà di pochi gruppi editoriali, cioè di quei gruppi che producono più di una testata e che
quindi riducono la diversità culturale e la concorrenza.

La televisione
In Spagna il processo di liberalizzazione della televisione è iniziato tardi. La televisione spagnola
non richiede il pagamento di un canone e non ha la pubblicità, poiché viene finanziata con fondi
statali e imposte su altri servizi di telecomunicazione. La tv pubblica è luogo di scontro e confronto
politico. Il sistema televisivo spagnolo è così strutturato:
• Servizio pubblico, che costituisce un duopolio con i network privati
• Due principali network privati, Atresmedia e Mediaset España
• Tv a pagamento collegata a servizi telefonici, esempio Movistar, Vodafone tv, ecc.
Il servizio pubblico forte, che è TVE, occupa i primi due canali, ovvero TVE1, generalista, e LA 2,
cultura e intrattenimento. Canali tematici: Canal 24 horas sull’informazione, Teledeporte per lo
sport, Clan TVE per bambini e teenagers, ecc. L’articolazione è regionale con centri di produzione
territoriali indipendenti (TVE Canarias, TVE Catalunya).
Mediaset España, tv commerciale, è di proprietà di Grupo Pris e Mediaset. Ha due principali canali
generalisti (Telecinco, Cuatro) e una forte presenza di canali tematici (Boing, Factioria de Ficcion,
ecc.). Vi è uno scambio di contenuti e professionalità. “Telecinco”e “Cuatro” raccolgono la
distinzione italiana di rete giovane femminile (Canale 5) e rete giovane maschile (Italia 1).
L’altra rete commerciale è Atremedia, che vede una partecipazione italiana, in particolare quella del
gruppo De Agostini, un gruppo che in Italia ha solo qualche canale satellitare ma è importante
editorialmente. Antena 3 è il primo canale privato nato in Spagna. Offre diversi canali generalisti e
tematici (La Sexta, Atreseries, Nova, ecc.).
Infine la televisione a pagamento ha “Canal +” come canale e anche qui il gruppo Pris vende una
parte a Mediaset con “Digial +”.

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19. LA MEDIAZIONE NAZIONALE

Attraverso lo schema dei processi produttivi vediamo come funzionano i vari processi di cosiddetta
“mediazione nazionale”, a livello generale e a livello concreto, sulla serialità televisiva americana
ed in particolar modo sulla sitcom americana. Si tratta di un percorso di esportazione da un paese
produttore a tanti paesi, a tanti altri contesti nazionali di destinazione che ricevono questi contenuti,
che li guardano, che li ascoltano, che li vedono e che li apprezzano. Sicuramente questa
direzionalità è estremamente importante, è inutile negarne il peso e l’influenza.
La cosa interessante però da fare è provare anche a ribaltare il nostro sguardo, mettendoci dall’altro
punto di vista, lontano da quello del “paese che conquista gli altri paesi” con le sue produzioni
culturali e i suoi contenuti come risultato della sua industria mediale, bensì dal punto di vista del
paese che importa i contenuti che arrivano da fuori delle sue frontiere e se ne appropria, li adatta, li
rimpacchetta.
Da una parte si parla quindi di distribuzione nazionale, di circolazione attraverso le frontiere degli
stessi contenuti degli stessi temi degli stessi volti; dall’altra parte però non ci si può dimenticare
della presenza di elementi di appropriazione locale, elementi che definiscono i tratti della
mediazione nazionale.
Diciamo “mediazione nazionale” per due motivi:
1. Da un lato per mettere al centro della riflessione la componente dello stato–nazione, quindi
di un ambiente omogeneo caratterizzato da una comune lingua, cultura, storia e tradizione,
da un comune sistema dei media (Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia).
2. Dall’altro lato perché, infatti, sarebbe molto ingenuo pensare che noi in Italia quando
guardiamo una serie televisiva americana stiamo guardando la stessa cosa che i nostri
colleghi americani stanno vedendo sulla loro televisione. Non è così e non è vero per tutta
una serie di ragioni composite, spesso giustificate prima di tutto per un'esigenza che è anche
traduttiva e di adattamento.
Rispetto a questo tema della produzione nazionale, i contenuti e i prodotti mediali, i testi, i
programmi, che sono creati, pensati, realizzati e ideati in un altro sistema mediale nazionale e
preparati con in mente un altro pubblico, e quindi i programmi stranieri che circolano
internazionalmente, devono anche necessariamente essere modificati prima di incontrare altri
pubblici: bisogna, infatti, che vengano effettuate delle variazioni, degli aggiustamenti diretti e
invasivi, che modificano profondamente la tenuta del testo originale, ma anche delle modifiche e
delle variazioni più indirette ma importanti nel definire un percorso nazionale originale.
I contenuti stranieri che approdano in altri paesi sono contenuti diversi, variati, riaggiustati e
rimpacchettati, innanzitutto perché è necessario rendere il contenuto straniero comprensibile al
pubblico del paese di destinazione. Questa necessità di comprensibilità è quella di capirsi: non è
solo, banalmente, la necessità di tradurre i contenuti nella stessa lingua del pubblico, ma anche, più
in generale, è la necessità di dare al pubblico nazionale gli strumenti per capire quel determinato
testo e programma. Vi è dunque un lavoro di aggiustamento e rielaborazione culturale più ampio
che viene applicato anche nel passaggio tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, anche se hanno la
stessa lingua. Altro motivo è per le abitudini del consumo. Il pubblico dei media si articola su base
prevalentemente nazionale. Quella nazionale è la comunità immaginata del servizio pubblico vs
quella della televisione commerciale e dei giornali. Perciò la dimensione nazionale ha a che fare
anche sul consumo del prodotto mediale; ad esempio, il telegiornale della sera in Italia va in onda
alle 20.00 di sera, in Spagna, invece, va in onda alle 21.00 ed in Gran Bretagna alle 18.00: sono
queste delle modalità di consumo mediale differenziate nei vari paesi e il fatto di far circolare
prodotto stranieri deve tenere conto di queste abitudini specifiche, tipiche del consumo mediale ma
anche proprie degli addetti ai lavori.
Il sistema dei media si articola prevalentemente su base nazionale. Quindi i professionisti che
elaborano i media operano a livello nazionale e sviluppano modalità di azione specifiche rispetto a
un determinato paese. Si può definire questo insieme di forme, in Italia, come “problemi di
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italianizzazione”. C’è un ribaltamento totale: vi è un’americanizzazione di contenuti, da parte degli
Stati Uniti, che raggiungono varie nazioni del mondo.
Con il termine “italianizzazione” il focus è sui processi di adattamento e di mediazione che vanno a
modificare un prodotto mediale pensato per una lingua e una cultura diversa. Questi problemi vanno
così a confluire in una serie di elementi di produzione, adattamento e rimpacchettamento, che
portano al pubblico italiano un prodotto diverso dall’originale, a volte più e a volte meno. Ci sono
dunque un paese di origine (generalmente gli Stati Uniti) e dei processi e problemi di mediazione
(cioè di riappropriazione nazionale del contenuto straniero). A seguito dei processi di mediazione,
poi, si ottiene quello che è l’edizione italiana di destinazione.
Ci sono due direzioni:
• Problemi di mediazione nazionale riguardano le questioni che sottostanno
all’italianizzazione: come si interviene su determinati contenuti e, precisamente, sulla
serialità televisiva?
• Processi della destinazione nazionale si vanno a vedere le fasi, i mestieri ecc.
Quella della mediazione è una dimensione problematica: si tratta di questioni legate all’adattamento
e alla dimensione nazionale.
Se si considerano le sitcom e i contenuti stranieri che arrivano in Italia ci si accorge che in questi
testi ci sono dei momenti di scarto, di variazione, tra il testo di partenza e il testo di arrivo (testo che
sarà visto dal pubblico italiano), a volte più a volte meno evidenti; salti che vanno a modificare tutta
una serie di elementi più o meno importanti.
Questo perché, cercando di portare un contenuto straniero a un pubblico nazionale, è fondamentale
per le reti televisive ridurre la distanza e fare in modo che il contenuto straniero sia, certo, sempre
straniero, ma non del tutto al punto di scoraggiare lo spettatore dal vedere il prodotto. Bisogna
ridurre la distanza tra due lingue differenti. I media italiani trasmettono in massima parte contenuti
in lingua italiana: si tratta di una dubbing country, cioè di un paese in cui c’è il doppiaggio e dove la
competenza sulla lingua inglese è veramente bassa. Quindi un primo modo per avvicinare il
contenuto straniero al pubblico italiano è quello di tradurlo nella lingua nazionale, ma la distanza va
ridotta anche tra pubblici differenti. Il pubblico americano ha certe caratteristiche. Il pubblico
italiano, per quanto facente parte di una macro-cultura occidentale, ha altre caratteristiche. Le
diverse caratteristiche a cui appartengono questi due mondi sono distinte: ci sono elementi di
sovrapposizione e di comunanza, ma sono presenti anche aspetti diversi che non è detto che siano
conosciuti; c’è la necessità di colmare la distanza tra due culture perché ci sono elementi diversi fra
le varie nazioni. Dunque, prendendo un contenuto straniero, almeno parte di questa dimensione
deve esser colmata per andare in contro alle necessità del pubblico italiano.
Rispetto a queste variazioni ci sono due strade possibili, tra loro distinte, ma spesso compresenti
all’interno di uno stesso contenuto mediale: addomesticamento e straniamento.
Domestication (addomesticamento). Il contenuto del paese di destinazione, italianizzato, cerca di
avvicinarsi il più possibile allo spettatore di destinazione (nel nostro caso al pubblico italiano) e
cerca di codificare il più possibile la decodifica del contenuto straniero. Un caso limite ma molto
efficace per capire la domestication è “La tata”, una sitcom di ispirazione americana, che noi siamo
abituati a vedere sotto forma della tata Francesca Cacacia, che arriva da Frosinone e parla con un
accento del sud e che interagisce con la zia Assunta. “The nanny”, la sitcom americana da cui “La
tata” prende spunto, non prevede in nessun modo un personaggio italoamericano. La protagonista,
nella sitcom americana, è ebraica, arriva dal Queens e si inserisce nella cultura dell’ebraismo
newyorkese, con i suoi vari lati comici e le sue varie ritualità. Eppure in Italia si è pensato che il
pubblico italiano non avrebbe capito i riferimenti alla cultura ebraica e che sarebbe stato efficace
inserire riferimenti legati alla cultura della Ciociaria. La trama cambia in maniera radicale cosi
come le battute. Si arriva a dei nonsense come il matrimonio di Francesca che viene celebrato in rito
ebraico e lei continua a parlare in ciociaro. Anche i rapporti di parentela cambiano: le due zie di
Francesca sono una sua madre (zia Assunta) e una sua nonna; infatti, non si pensava sarebbero
andate a genio al pubblico italiano una madre e nonna cosi libertine. Questo per dire fino a che
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punto può arrivare la domestication: si ha una distanza totale dalla fedeltà all’originale che
prevedrebbe una traduzione. Infatti, parliamo di adattamento, e per di più “addomesticante”. Questa
attitudine è sparsa in maniera notevole all’interno di tutti i contenuti audiovisivi che vediamo
tradotti in italiano.
La direzione opposta, altrettanto diffusa e molto spesso intricata è quest’altra: Foreignization
(straniamento). L’adattamento italiano resta il più possibile aderente e vicino al prodotto originale.
Certamente, si ha maggiore fedeltà all’originale, ma si ha anche la necessità da parte dello
spettatore di far lui quel miglio in più per avvicinarsi alla serie, al prodotto, che vuole vedere. C’è il
confronto con una cultura diversa dalla propria: lo spettatore può non capire quello che vede. Una
traduzione fedele da un lato può anche risultare incomprensibile allo spettatore, che davanti alla
televisione è pigro e con poca voglia di decodificare quello che trova avanti a sé.
Più si trova una media tra addomesticamento e straniamento, più l’italianizzazione funziona.
L’esempio di “The nanny” certamente non va bene a livello di traduzione, ma la traduzione è anche
il motivo per cui noi la conosciamo; se questa sitcom fosse stata trattata in maniera più straniante,
probabilmente non ce la ricorderemmo nemmeno. È vero anche che il caso di “The nanny” è stato
assolutamente esagerato; infatti, in tempi recenti sarebbe stato inaccettabile. Però, oggi, un
meccanismo che è insieme di addomesticamento e di straniamento è presente in tutti programmi che
vediamo.
Questi due obiettivi di largo raggio si esplicano attraverso più piccole strategie, che si esercitano
tramite una scena, una parola, un dialogo. Ci sono strumenti che si collocano in maniera netta verso
la foreignization, ad esempio, la parola “pancake” non si traduce, perché è una parola piuttosto
nota; perciò, si rimane molto aderente al testo originale.
Oppure si operano anche strategie che vanno verso la domestication e che sono progressivamente
addomesticanti. A volte si trova qualcosa di analogo ed equivalente nella lingua di destinazione, ma
che non coincide con la traduzione esatta di un particolare termine. Oppure si può scegliere un
riferimento che sia affine ma non precisamente identico. Ad esempio, “pancake” si può tradurre
come “ciambella”, poiché sono entrambe cose che posso mangiare a colazione, anche se non è una
traduzione precisa e le due cose non sono nemmeno la stessa cosa.
Un’altra soluzione addomesticante è l’iperonimia: in assenza di una traduzione precisa o di
riferimenti analoghi o equivalenti, si può prendere un nome più generico, che comprende quello
specifico, o si possono utilizzare altri termini specifici. Si può sostituire il termine con un
corrispettivo italiano originale, ad esempio al posto di “pancake” in italiano si mette “croissant”,
oppure cappuccino; questi due termini non sono in nessun modo affini, ma rappresentano comunque
dei corrispettivi italiani; oppure ancora, nel prodotto originale si ha il termine “high school” che in
italiano si traduce con “liceo”. È questo un corrispettivo relativo, perché i sistemi scolastici sono
differenti.
Un altro caso ancora è l’azzeramento del riferimento culturale straniero, cioè si elimina l’elemento
problematico e magari si sostituisce una parola con un’altra cosa, come ad esempio un avverbio, per
allungare il dialogo.
Si hanno quindi a disposizione strumenti ed elementi diversi. Si hanno due grandi obiettivi e una
tavolozza di strumenti e strategie piuttosto ampia, da cui si può attingere ogni volta per trovare
quello che serve. Spesso ci si può accorgere di elementi stranianti e addomesticanti e della presenza
di tutte queste strategie e modalità traduttive, che poi si adattano rispetto ad una serie di ambiti. Non
tutto quello che c’è nelle serie televisive è facile da avvicinare al pubblico: ci sono elementi più
semplici ma anche elementi più complessi.
Un primo insieme delle possibili modifiche per quanto riguarda l’adattamento sono:

Variazioni linguistiche o sociolinguistiche


Sono gli scarti legati al passaggio da una lingua all’altra: ci sono, infatti, sistemi fonetici,
grammaticali e semantici differenti tra la lingua di partenza e la lingua di destinazione. Sono,
queste, questioni legate al passaggio da una lingua all’altra. Questo si vede, ad esempio, nei
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meccanismi traduttivi: come si traducono le “question tag”, meccanismi che nella lingua italiana
sono ridottissimi? Come si riproducono il passaggio dallo “you”, universale in inglese, al “tu”,
“voi”, “lei” dell’italiano? Ci sono sigle che funzionano in modo diverso a seconda delle diverse
lingue. Oppure per quanto riguarda i nomi dei personaggi: nelle sitcom, a volte, i personaggi hanno
nomi e soprannomi parlanti, che significano qualcosa, quindi se si lasciano nella lingua originale c’è
il rischio, per gli spettatori italiani, di perdere questo tratto particolare; oppure quando ci sono
giochi di parole basati su fraintendimenti e omofonie (cioè si tratta di due parole che sono simili e
generano equivoci), come le rime e le assonanze , i modi di dire, i proverbi, ecc. sono tutte cose
molto specifiche, che spesso hanno bisogno di un rifacimento. Lo stesso vale per le canzoni
diegetiche, che vanno spesso riscritte in italiano. Importante anche è la questione delle diverse
lingue e dei loro diversi accenti: se in una sitcom ho un personaggio che parla italiano, come si
riproduce la differenza rispetto al parlare degli altri personaggi, che parlano anche loro italiano? I
gerghi e le idiosincrasie del parlato sono elementi che il personaggio può avere e che vanno
ripensati. Oppure c’è differenza tra le varie età linguistiche, ad esempio nel turpiloquio: come va
tradotto il “fuck” inglese, che viene usato molto di più rispetto all’italiano? E anche i socioletti, gli
idioletti, come vanno tradotti? Sicuramente far funzionare tutta questa macchina è molto complicato
Oppure ancora, ci può essere la necessità di tradurre le regole grammaticali da un paese all'altro.
Visione di uno spezzone di “Friends”. Equivoco tra “whom” e “who”, tra “il quale” e “la quale”.
Inoltre bisogna fare in modo che gli spettatori ridano nello stesso momento in cui ci sono le risate di
sottofondo nella sitcom originale, perciò bisogna cambiare qualcosa.
Visione di uno spezzone di “How I met your mother” . Il personaggio dice che la frase “non
rimandare il divertimento” è composta da tre parole. Nella sitcom originale americana funziona,
perché in inglese sono tre parole: “Don’'t pospone joy”; invece in italiano non si può eliminare
l’articolo.
Gli stessi problemi si pongono per le canzoni diegetiche, cioè quelle create all’interno della sitcom
stessa. Queste sono canzoni che è fondamentale tradurre nella lingua dello spettatore, il quale,
altrimenti, non si appassionerebbe allo stesso modo alla serie.
Visione di uno spezzone di “How I met your mother”. La canzone di Phoebe qui trova tutta una
reinterpretazione italiana. Nell’originale la canzone è “Smelly cat”, che nella ricostruzione italiana
diventa “Gatto rognoso”. Nel rifacimento italiano tutte le parole rimano tra loro, infatti, quasi tutti i
termini della canzone vengono modificati.
Questo è un tipo di distanziamento dall’originale che funziona.
Un altro esempio è quello dei “Simpson” in cui si sono fatte delle scelte piuttosto curiose riguardo
agli accenti dei personaggi, per cui il giardiniere Willy, un personaggio evidentemente scozzese,
parla in dialetto sardo; oppure Carl, un personaggio afroamericano, parla in dialetto veneto. Queste
sono caratterizzazioni dei personaggi molto particolari, per cui, data la natura comica della sitcom e
dato che il cartone animato, come genere, concede più libertà rispetto ad un film reale, si decide di
attribuire ai personaggi dei dialetti italiani. C’è qui un tradimento dell’originale ma allo stesso
tempo un avvicinamento alle necessità del pubblico.

Variazioni socioculturali
Nel passaggio da una cultura all’altra, certamente cambia la lingua, ma anche il mondo culturale di
riferimento. Ci sono convenzioni sociali specifiche di una determinata cultura che non è cosi facile
tradurre altrove. Ci sono cose tipiche del contesto di partenza che il contesto di destinazione inizia a
comprendere proprio attraverso le sitcom, ad esempio feste tipiche dei paesi anglosassoni, come il
Ringraziamento o Halloween. Questi sono elementi che non trovano una corrispondenza diretta
nella cultura del pubblico italiano. Lo stesso vale per i marchi, le tecnologie o brand di consumo;
oppure ancora per i numeri di telefono (ad esempio, in America le ultime cifre di un numero di
telefono sono costituite da lettere per facilitarne la memorizzazione); oppure per le marche dei cibi
(es. “Starbucks”) o per i sistemi di misure sono diversi. Stesso discorso vale per le istituzioni (ad

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esempio il sistema sanitario oppure il sistema scolastico, che ha valutazioni in lettere, mentre noi, in
Italia, le abbiamo in cifre). Questi sono tutti elementi che non fanno parte della nostra cultura.
Visione di uno spezzone di “How I met your mother”. Si insiste sul discorso dei cibi: “You order
pancakes, you eat waffles” vs “Come dire un caffè invece del cappuccio”. Non avendo un referente
esattamente corrispondente in italiano rispetto a “pancake” e “waffle”, si può decidere di cambiare
totalmente i cibi di riferimento, oppure, addirittura, uso delle bevande al posto di cibi; e per di più si
usa “cappuccio”, che è, a sua volta, una varietà regionale di caffè. Così facendo ci si avvicina al
pubblico italiano.

Variazioni mediali
Tra lingue e culture diverse non cambiano solo la vita quotidiana, oppure il contesto sociale,
politico ed istituzionale, ma cambiano anche gli universi mediali di riferimento. È vero che siamo in
una “popular culture” condivisa, ma è vero anche che esistono delle differenze forti tra aree
geografiche diverse (anche se comunque ci sono delle condivisioni). Quando, in una sitcom, si ha
come guest star delle persone famose, si hanno dei problemi perché bisogna farle parlare in italiano.
Se per i normali attori di quella sitcom è facile, perché si cerca una voce nuove, per la guest star è
diverso perché, se ad esempio è un cantante, bisogna inventarmi una voce diversa da quella delle
sue canzoni. Se un personaggio inglese sta imitando Robert De Niro, non sta imitando Ferruccio
Amendola (che è il doppiatore di De Niro in Italia), mentre se un personaggio italiano sta imitando
Robert De Niro, in realtà non sta imitando De Niro, ma Ferruccio Amendola. E la stessa cosa vale
per i riferimenti ai testi delle canzoni. Se si traduce il testo di una canzone in italiano, si perde il
collegamento con la canzone iniziale, ma se si fa parlare un personaggio in inglese, per un pubblico
italiano non va ugualmente bene. Lo stesso vale per i riferimenti ai film, per cui bisogna recuperare
il titolo originale dei film. E stesso vale per la pubblicità, perché, magari, certe pubblicità sono
famose negli Stati Uniti ma in Italia non lo sono.
Visione di uno spezzone dei “Simpson”. Homer entra nel negozio di Apu e nella versione inglese gli
dice “Ti ho già visto da qualche parte, mi sembra che tu sia Frank Flinstons”. Nella versione
italiana, invece, Homer dice “Ti ho già visto da qualche parte, mi sembra che tu sia Marco
Columbro”. A dire il vero i “Flinstons” erano conosciuti perché all’inizio venivano trasmessi dopo
“Paperissima”, ma ancora più conosciuta dei “Flinstons” era appunto “Paperissima”, che all’epoca
veniva condotta, da Marco Columbro, che in quegli anni era un personaggio di punta della
televisione italiana, perciò si cambiano i riferimenti.
Viisione di uno spezzone di “Will & Grace”. Riguarda il trattamento delle canzoni. Grace è ad un
funerale e canta
“Miss Robinson”, una canzone di Simon & Garfunkel: ci sono tre diversi modi in cui si cerca di
effettuare un riferimento della stessa canzoni e in cui si prova a trasferire questa scena e la sua
comicità in italiano:
• Grace canta “Miss Robinson” di Simon & Garfunkel in inglese. Anche se si perdono il
riferimento e il legame diretto con la canzone, sicuramente si capisce il riferimento.
• Il passaggio successivo viene tradotto in italiano ma è un altro riferimento ad un’altra
canzone di Simon & Garfunkel. Si preferisce, in questo passaggio, far passare allo spettatore
italiano il significato della canzone.
• Grace canta un ibrido, cioè, sulle note di una canzone che tutti conoscono, che è “Miss
Robinson” di Simon & Garfunkel, canta delle parole in italiano.
Visione di uno spezzone di “How I met your mother”. In questo caso c’è la citazione di una serie,
“Mad man”, ma nella versione in italiano di questa serie non vi è nemmeno l’ombra: c’è uno scarto
di adattamento notevole. Nella sitcom originale, infatti, si fa riferimento a “Mad man”, una serie
che, però, nel momento in cui la puntata di “How I met your mother” arriva in Italia, non è ancora
arrivata in Italia, e che quindi non si può dare per scontata nel contesto italiano. Pertanto, si decide
di ricostruire lo scherzo, presente nella sitcom originale, e di rifare l’intera battuta, spostando il
riferimento da una serie televisiva non conosciuta in Italia, ad un film che, in Italia, aveva avuto
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molto successo. Certo la battuta diventa un pochino più fiacca nella ricostruzione, ma riavvicina al
pubblico italiano una battuta o un dialogo troppo lontani.

Variazioni distributive
Le serie televisive hanno anche una certa serialità, cioè hanno tanti episodi e tante stagioni, quindi,
a differenza dell’adattamento di un film o della traduzione del romanzo, l’operazione di
adattamento dura vari anni. Ad esempio i
“Simpson” cominciano ad essere riadattati nel 1989. Oggi, i professionisti lavorano ancora
sull’adattamento dei
“Simpson”. C’è dietro una modalità produttiva ampia. Per questo da un lato c’è la presenza di
tormentoni tradotti sempre nello stesso modo, ma dall’altro ci sono cambi; ad esempio, quando i
doppiatori di Homer Simpson o di Dr. House cambiano o muoiono bisogna cercarne altri. Un altro
aspetto tipicamente seriale sono gli ancoraggi rispetto ai tempi di messi in onda: ogni sitcom ha una
puntata di halloween, una puntata di Natale, una puntata di Pasqua, e così via. Negli Stati Uniti
queste puntate vanno in onda nel momento giusto, quando arrivano queste feste; in Italia, invece, gli
episodi natalizi, ad esempio, possono tranquillamente andare in onda a metà agosto. In questo caso
si parla, appunto, di variazioni distributive.
Ci sono quindi tutta una serie di questioni, che riguardano la mediazione nazionale, e che fanno sì
che il risultato sia diverso dall’originale.
Schematizzando:
• Variazioni linguistiche e sociolinguistiche:
o Lingua (caratteri, sigle, scioglilingua, ecc.)
o Nomi dei personaggi (nomi propri, soprannomi, ecc.)
o Giochi di parole (rime e assonanze, modi di dire, proverbi, ecc.)
o Musica diegetica (ovvero, contenuta nella narrazione)
o Dialetti, accenti (inflessioni, espressioni gergali-popolari, modi di parlare, ecc.)
o Varietà linguistiche (turpiloquio, subculture, etnie, ecc.)
• Variazioni socioculturali:
o Vita quotidiana (convenzioni sociali, oggetti d’uso quotidiano, luoghi, cerimonie,
eventi sportivi, ecc.)
o Tecnologie (numeri di telefono, ecc.)
o Cibo (nome dei marchi, ricette, piatti tipici, ecc.)
o Misure
o Istituzioni (luoghi del potere politico e amministrativo, sistema scolastico e sanitario,
giustizia, ecc.)
• Variazioni mediali:
o Personaggi (voci) famosi (imitazioni, guest star, ecc.)
o Editoria (libri, riviste, quotidiani, ecc.)
o Canzoni (titoli, brani, frammenti, ecc.)
o Film (titoli, citazioni, ecc.)
o Televisione (programmi, canali, personaggi, frammenti, ecc.)
o Altri media (pubblicità, new media, social media, ecc.)
• Variazioni distributive:
o Titoli (delle serie, degli episodi, ecc.)
o Interventi grafici (sottotitoli, modifiche grafiche, ecc.)
o Serialità (cambi di voci e doppiatori, ecc.)
o Temporalità della messa in onda (dirette, live, “finestre”, riferimenti temporali, ecc.)

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20. I PROCESSI PRODUTTIVI E DISTRIBUTIVI

La filiera
Per quanto riguarda la filiera di produzione e di distribuzione si comincia dai mercati televisivi:
questo è il momento in cui le reti televisive nazionali si ritrovano in meeting internazionali con le
controparti di altre nazioni e iniziano a vedere cosa succede negli altri paesi e quali contenuti
potrebbero essere per loro interessanti, così da stipulare un contratto di licenza (cioè così da avere la
possibilità di trasmettere ogni episodio della serie secondo certe condizioni). Quando una rete
compra una serie americana si acquistano i diritti di messa in onda delle serie per un tempo e un
numero di volte definiti nel contratto. Quando la serie viene comprata si realizza la versione
doppiata di ogni singolo episodio della stagione. Nel frattempo, la stagione viene attribuita ad una
rete e anche la decodifica cambia a seconda della rete di attribuzione: ad esempio, la stessa serie
può andare in onda su due canali diversi ma in una o nell’altra si evidenzieranno più o meno certi
aspetti. Si passerà poi al palinsesto. Ad esempio, i “Simpson” in America vanno in onda alle 20.00
della domenica sera, per cui prevedono un pubblico giovane, o giovane–adulto; poi hanno
cominciato ad andare in onda alle 14.00, mentre in Italia alle 14.30 su Italia 1, per cui si capisce che
la serie viene pensata più per bambini e per adolescenti. Queste, dunque, sono le fasi di filiera che
orientano le percezioni della sitcom del pubblico italiano.

La traduzione
Poi ci sono i processi italiani: il primo processo, con il quale si comincia, è quello della traduzione.
Si traduce in maniera fedele lo script trasformandolo in una versione italiana, e questo è un
processo che avviene in maniera autonoma e indipendente. Per la traduzione si parte dalla copia
video dell’episodio originale, dalla trascrizione in inglese dei dialoghi e dalla colonna sonora
internazionale in inglese (i sottofondi rimarranno uguali anche nella versione italiana; bisognerà
rifare i dialoghi ma tutto il resto dei suoni rimarranno uguali). La traduzione è un primo canovaccio,
il primo momento di partenza per l’elaborazione di ogni singolo episodio, che spesso verrà poi
sottoposto a revisione. Già in questa prima fase non tutti gli episodi sono tradotti da uno stesso
traduttore, per questo possono verificarsi incongruenze tra un episodio e l’altro.

L’adattamento
Una seconda fase è quella dell’adattamento dei dialoghi tradotti, ma non solo, questi devono anche
essere pronti per essere recitati e questo è compito del direttore dei dialoghi o dell’adattatore, che
spesso non conosce l’inglese, ma questo non gli è necessario, perché la traduzione è già fatta. Lui
cerca di verificare la sincronia delle battute rispetto al video. Si ha una necessità di sincronia a
livello:
• Labiale. Ci vuole sincronia almeno per le vocali, cioè ci vuole un accordo tra le labbra sullo
schermo e la voce del doppiatore italiano. Questo aspetto è ancora più importante rispetto al
fare una traduzione fedele. La sincronia è necessaria (infatti, se vediamo un lipsink svariato
ci chiediamo se il televisore ha qualche problema).
• Espressiva. I tempi e la durata delle frasi, le pause ed i respiri, il ritmo delle frasi devono
coincidere, cioè devono essere gli stessi (in questo caso dovrò martirizzare la traduzione per
farcela stare).
L’adattamento deve poi restituire la stessa complessità del prodotto originale (per questo, ad
esempio, vengono riformulati i giochi di parole, e così via).
La cosa fondamentale è mantenere la stessa densità e complessità del prodotto di origine, evitando
di appiattire tutto (spesso, infatti, le “soap operas” sono noiose per un problema di adattamento
italiano, adattamento che magari non riesce a rendere la stessa complessità del prodotto originale).

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Il doppiaggio
Nella fase di doppiaggio, vengono incise le voci che poi verranno applicate al testo. L’adattamento
prepara i dialoghi italiani; poi in sala di doppiaggio figure professionali si preoccuperanno di
incidere e registrare queste voci che andranno a sostituire le voci originali. Prima di arrivare in sala
si doppiaggio ci sono alcune fasi preparatorie:
• La scelta delle voci. Bisogna avere voci italiane. Spesso ci sono associazioni dirette (nel
caso delle grandi star ad esempio), per cui un doppiatore doppia tutte quelle volte in cui è
presente quella determinata star. La scelta delle voci è un elemento strategico e spesso
incide sul successo della serie.
• La segnatura. Il copione dell’episodi viene diviso non in scene ma in anelli (come nel caso
del doppiaggio cinematografico, in cui la pellicola veniva tagliata a pezzetti e composta ad
anello). Questa suddivisione serve a isolare quei momenti in cui c’è un personaggio in
scena: il doppiatore lavora su tutti gli anelli del personaggio; quindi, non ha un’idea chiara
di quello che succede nell’episodio e magari nello stesso momento doppia 4 anelli di un
episodio, 6 anelli di un altro episodio e 3 anelli di un altro episodio ancora.
• La pianificazione dei turni di lavoro. Il lavoro di doppiaggio è schematico e modulare: un
turno di doppiaggio dura circa 3 ore e nel corso della giornata ci possono essere 2 o 3 turni
di doppiaggio. Il doppiaggio si fa nella colonna singola, cioè vengono registrate solo le
battute di un personaggio alla volta a cui risponde la voce originale. Nella maggior parte dei
casi si registra, facendo un doppiaggio alla volta. Ci sono però casi in cui ci sono turni di
gruppo e anche questi funzionano in maniera schematica. Altri turni di doppiaggio in gruppo
sono gruppi di brusio (ad esempio quando si doppiano le folle).

Per quanto riguarda gli spazi del doppiaggio abbiamo due grandi aree:
• La sala di doppiaggio, dove stanno il doppiatore e di fianco l’assistente di doppiaggio.
• La sala di regia è un altro spazio, unito alla sala di doppiaggio da un vetro, dove stanno il
fonico ed il direttore di doppiaggio.

Nel doppiaggio vi sono varie figure professionali.


• I doppiatori si definiscono dei “mezzi attori”.
• L’assistente di doppiaggio verifica da un punto di vista tecnico che i tempi di doppiaggio
vengano rispettati: si regolano tecnicamente le tempistiche. L’assistente di doppiaggio sta in
sala di regia: fa una verifica editoriale della qualità delle voci e fa un confronto con
l’originale (ad esempio i contenuti, che devono essere quelli del testo originale, ecc.).
• Il fonico di doppiaggio si occupa di registrare le singole voci e fa minimi interventi sulle
tracce, magari anticipando il default.
Rispetto al doppiaggio ci sono due diversi problemi:
• Problemi di consistenza riguardano i tempi lunghi del doppiaggio e le possibili
incongruenze.
• L’autocensura.

La postproduzione
Un’altra fase è quella della postproduzione, dove i vari materiali vengono composti in un prodotto
finito: sul versante audio, tutte le voci incise dai doppiatori vengono sincronizzate tra loro e poi
messe sul prodotto originale in modo da creare un tappeto di suoni uniforme. Sul versante video
vengono effettuati interventi su cartelli, schermate, grafici particolari che possono anche essere
rifatti.

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Conclusioni
Ci sono processi e impatti molto complessi. Questi processi non sono neutri: comprendono
avvicinamenti, censure e auto–censure. La dimensione nazionale conta parecchio anche quando
parliamo di soluzioni internazionali.
Quello che noi vediamo, cioè l’edizione italiana della serie, è un prodotto molto diverso rispetto a
quello che vedono colleghi americani, tedeschi, inglesi e così via sulle loro televisioni.

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21. FLUSSI GLOBALI E PERMANENZE NAZIONALI

Il quadro istituzionale è il contenitore in cui bisogna collocare i problemi, i fenomeni, i temi che
riguardano la storia della televisione nei suoi 60 anni di vita; ad esempio, il problema che riguarda
la questione dell’articolazione in generi, e quindi la storia dei grandi macro generi, (che sono
fiction, informazione, intrattenimento e reality). Il quadro complessivo della storia della televisione
vede l’articolazione di questa storia in 3 grandi fasi:

Età della scarsità


Questa età vede in Europa la presenza dei monopoli del servizio pubblico. Dal punto di vista
dell’economia dei media questa fase si caratterizza anche per il fatto che la fonte principale di
finanziamento televisivo è il canone, sebbene non sia il solo; in Italia, ad esempio, in questa età, in
misura ridotta (delimitata al “Carosello”) esiste anche la raccolta pubblicitaria. Quindi l’età della
cosiddetta paleo televisione è quella in cui c’è una centralità del servizio pubblico, del monopolio,
del canone, e, in Italia, la presenza unica della RAI.

Età della disponibilità


Questa è l’età della deregolamentazione del sistema, cioè della creazione di un sistema
concorrenziale pubblico e privato. La fonte principale di finanziamento, in questa fase, è la
pubblicità. Il canone continua ad essere raccolto ma a partire dagli anni ‘80 e ‘90 c’è una fortissima
crescita delle risorse pubblicitarie disponibili, risorse che, appunto, caratterizzano fortemente questo
periodo.
Nell’età della disponibilità nasce quindi questo duopolio (o duopolio imperfetto), che vede da una
parte la televisione di servizio pubblico (che prevede il canone e in parte anche la pubblicità) e
dall’altra la televisione commerciale (in Italia già a metà degli anni ‘80 c’è la presenza del gruppo
Fininvest, che poi diventa Mediaset).

Età dell’abbondanza
Questa età è caratterizzata da fenomeni quali la digitalizzazione dei sistemi di produzione,
distribuzione e fruizione della televisione, e la convergenza. Nell’età dell’abbondanza nasce e si
sviluppa una terza fonte di finanziamento che è la sottoscrizione diretta dello spettatore, cioè la pay-
tv, un sistema ancora più complesso. Si esce quindi dal duopolio e in Italia, in particolare, a partire
dal 2003 si consolida questa situazione, grazie alla presenza del gruppo “News corporation” di
Rupert Murdoch.

Questo è lo sfondo di partenza. Ora analizziamo i temi trasversali che caratterizzano lo sviluppo del
sistema televisivo.
Un aspetto importante ha a che fare con lo spazio, con la geografia e la circolazione internazionale
di contenuti. In particolare, ci interessa il rapporto tra il sistema televisivo e la dimensione nazionale
e sovra-nazionale.
Per introdurre questo tema: visione di un talent show, “The voice Israel”.
https://www.youtube.com/watch?v=3CKL1CkWwLc
Perché c’è “The voice” in Israele?
“The voice” si trova anche in Italia, Francia, Svizzera, Turchia, Spagna (è stato prodotto in più di 30
paesi).
Cosa dice questo fenomeno? Sicuramente dice che la televisione in tutto il mondo si assomiglia.
Perché questo? Perché si vende un format, quindi si vende una stessa “idea” (che in realtà non è
semplicemente un’idea), ma allo stesso tempo ci si adatta anche alla cultura locale.
Visione del promo di “The voice of Holland”
Il filmato vuole raccontare come funziona il programma, il format “The voice”, in maniera
essenziale. Questo filmato, però, è destinato agli addetti ai lavori, ai mercati internazionali, infatti è
122
un promo. In televisione quando si parla di “promo” si parla del promo di un prodotto destinato agli
spettatori.
Invece, questo promo è destinato ai professionisti, e spiega nel dettaglio le caratteristiche di questo
nuovo programma, destinato ad essere venduto sui mercati internazionali.
Perché si può vendere un prodotto come questo e venderlo come un prodotto originale o di
successo, e impedire ai produttori di altri talent show di dire “questo è il nostro stesso programma”?
A questa domanda risponderemo più avanti.
In questo modo, però, si introducono diversi concetti, come il concetto di “programma”, “format”,
“genere”.
Paradossalmente la televisione è stata indicata come:
• Un agente di globalizzazione. Coopera per la progressiva fusione e mescolamento delle
culture, in alcuni casi si parla addirittura di “appiattimento della dimensione culturale”
(fenomeno per cui lo stesso programma si vede ovunque). Avviene quindi una progressiva
globalizzazione delle culture. Un esempio è l’americanizzazione.
• Uno specchio delle diverse culture nazionali, (o anche) un agente di unificazione. Al
contempo la televisione è stata ed è tutt’ora una sorta di specchio che riflette le culture
nazionali e in certi casi è stata uno strumento di unificazione. Il caso dell’Italia è del tutto
evidente: la televisione, soprattutto in alcuni anni (ad esempio nell’età della paleo
televisione) ha funzionato come strumento di unificazione linguistica e cultuale. Diventa un
agente di unificazione che in particolare ha caratterizzato soprattutto i servizi pubblici
europei.
Perché questo doppio punto di vista?
Perché questo fenomeno può essere visto da punti di vista differenti e può essere approcciato da
teorie diverse. Se si guarda al sistema televisivo esistono tre approcci diversi: micro, meso e micro.
Dal punto di vista macro, cioè della cosiddetta “economia politica dei media”, che mette in
evidenza l’aspetto politico-economico, si nota che:
• Idea di imperialismo culturale (Schiller, 1969)
• Esportazione del modello televisivo americano (commerciale)
• Broadcasting (e cinema) come strumento di diffusione di valori consumistici e di american
way of life
• Nascita dei mercati televisivi
• Presenza di player che operano su tanti mercati. “News corporation” di Rupert Murdoch è
l’esempio di una multinazionale dei media che opera in tantissimi paesi ed è il principale
gruppo di pay-tv in Europa ( “BSkyb”, “Sky Deutschland” e “Sky Italia”).
Vi è l’idea del tutto evidente che ci sia una progressiva interconnessione (idea di una televisione che
porti al superamento dei confini nazionali), e questa idea è collegata alla teoria più forte,
riguardante il sistema dei media, che è quella dell’imperialismo culturale: idea che la televisione
vada a vantaggio di un modello, quello americano, che oltre a dei prodotti, esporta anche un
“American way of life”, che porta alla diffusione di valori consumistici e via dicendo.
L’approccio meso è rappresentato dalla mediazione delle industrie culturali nazionali e tiene conto
dell’aspetto culturale. I valori della cultura americana vengono mediati e localizzati (italianizzati). Il
modello è quello dei format che hanno successo in un paese e che ne vengono esportati i progetti
facendo produzione localizzata.
L’approccio micro si focalizza sulla centralità della ricezione (Cultural Studies, Audience Studies) e
sul consumo dei contenuti. L’imperialismo culturale dura poco se si guarda la dimensione micro,
perché il pubblico è sempre radicato in tradizioni locali. Ci si può confrontare con “The export of
meaning: cross-cultural reading of Dallas” (Liebes, Katz, 1993), un libro che riguarda lo studio
sulla serie televisiva Dallas. Dallas è stato un prodotto di grande successo mondiale. Il modo in cui
i diversi pubblici leggono Dallas è diverso (per gli ebrei è finto, per gli arabi è cultura americana).
Si evidenzia qui come anche un prodotto cosi globale come Dallas venga letto e interpretato

123
secondo un punto di vista e un’educazione propria di una cultura nazionale. Questa dicotomia di
sguardi si deve alla differenza delle teorie che hanno guardato a questo tema.

Si può dunque dire che la televisione rappresenta un terreno di mediazione ed articolazione, in cui
da un lato si incrociano dei flussi globali, ma vi è anche, contemporaneamente, la permanenza di
sistemi e mercati televisivi nazionali. Perciò la televisione è vista come un punto di incrocio tra il
nazionale e il sovranazionale. Da un alto, dunque, si potrebbe tracciare la storia della progressiva
internazionalizzazione del mercato dei contenuti televisivi. Havens parla di una “Storia della
televisione globale”, “History of global television” (Havens, 2006): è questo un libro che analizza le
modalità con cui il mercato televisivo si globalizza. Ma si può anche fare una storia delle televisioni
nazionali: il broadcaster è un attore nazionale che si sviluppa come nazionale e pensa ad un
pubblico nazionale. Inoltre, uno degli aspetti fondamentali della televisione è la lingua: è questa una
delle barriere forti, che spesso richiede processi di adattamento e traduzione.
In questo incrocio tra flussi globali e mercati nazionali, svolgono un ruolo rilevante i professionisti,
considerati mediatori tra la dimensione internazionale e nazionale: si tratta dei professionisti della
televisione (cioè soprattutto chi si occupa di negoziazione, acquisto e vendita di contenuti
televisivi). I professionisti della televisione ragionano in una dimensione che è insieme nazionale e
internazionale (e su questo rapporto si concentra Havens).
Quindi si lascia da parte sia le teorie macro che riguardano solo i mercati sia le teorie micro che
parlano solo di consumo, per guardare a quelle teorie di medio raggio ipotizzate da Merton e
analizzare la necessità di sviluppare una ricerca specifica su questo terreno di intersezione che
connette le due dimensioni, nazionale e sovranazionale.

Imperialismo culturale
Herbert Schiller in Mass Communication and American Empire (1969), spiega come la
globalizzazione della comunicazione sia guidata dagli interessi commerciali delle grandi imprese
americane. Si ha un progressiva americanizzazione della cultura e una subordinazione delle culture
tradizionali. Nel XX secolo vede un crescente predominio Usa, per:
• Forza economica
• Know-how nel campo della comunicazione (tecnologie): ruolo guida nella ricerca e nel
controllo dei sistemi di comunicazione elettronica.
• In particolare, il modello broadcasting Usa (commerciale) viene esportato, soprattutto nei
paesi emergenti. Si sviluppa una dipendenza tecnologica dagli Usa per le tecnologie e una
dipendenza (domanda) di contenuti per i prodotti Usa.

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22. GLOBAL TELEVISION: STORIA

Si può parlare di una storia della televisione globale? Si! La globalizzazione e la circolazione
internazionale del contenuto televisivo ha una sua storia, che coincide con la storia del mezzo
televisivo.
Gli anni più recenti, e soprattutto il periodo successivo alla deregolamentazione (nell’età della
disponibilità), segnano un grande incremento e un grande sviluppo della dimensione globale e
sovranazionale della televisione, ma questo non vuol dire che nel periodo della paleo televisione
non ci fossero già scambi e flussi globali, tanto è vero che si potrebbe ricostruire la storia della
televisione globale parlando di due ondate in mezzo alle quali c’è un periodo di maggiore calma per
quanto riguarda la tendenza a sviluppare un televisione globale:

La prima ondata (1957 – 1972)


Coincide con l’esordio della televisione come medium. Dagli anni ‘50 agli anni ‘70 del 1900, il
ruolo principale è svolto dall’industria televisiva e mediale americana. Gli Stati Uniti hanno un
mercato molto grande e investono risorse in contenuti che hanno valori produttivi molto alti, quindi
sono desiderati molto dai mercati nazionali. Questi anni, dunque, sono anni nei quali la televisione
americana comincia ad esportare dei contenuti. E questi sono contenuti cosiddetti “ready made”. Se
si parla della televisione americana, ad esempio, si guarda in particolare al prodotto di fiction, e
ancor di più alla fiction seriale, che riesce, così come il cinema hollywoodiano, ad uscire dai confini
nazionali statunitensi e riesce ad arrivare ad altri paesi.
Un tema molto ripreso da Bourdon è quello che riguarda la televisione europea, che tende a essere
piuttosto chiusa nei confronti dell’importazione in questi anni, perché il servizio pubblico ha una
missione alta, che è quella di educare, informare e divertire; quindi, il prodotto televisivo americano
di puro intrattenimento entra con difficoltà nei servizi pubblici europei. Sono rari i casi di prodotti
televisivi americano che entrano nel palinsesto della televisione italiana in questi anni. Ci sono dei
casi, ma non sono moltissimi. Questo tipo di flusso, che va dagli Stati Uniti al resto del mondo, è
uno solo dei flussi globali, sovranazionali, che caratterizzano questi anni, perché in realtà ci sono
già prime forme di scambi fra paesi, anche, magari, per via di lingue simili; ad esempio, il Messico
esporta prodotto televisivo in molti paesi dell’America latina; oppure ancora vi è la capacità
dell’industria televisiva e audiovisiva giapponese di esportare animazione, in particolare prima
verso altri paesi dell’Asia, ma poi anche verso altri paesi del mondo: in Italia l’animazione
giapponese arriva già prima della deregolamentazione, cioè già negli anni ‘70. Poi la televisione
commerciale porta la necessità di riempire di contenuto il mezzo televisivo, perciò l’acquisto di una
quantità enorme di contenuto (Italia 1 negli anni ‘80 acquista moltissima animazione giapponese).
Poi ci sono scambi che riguardano le organizzazioni dei servizi pubblici sia in oriente, con
“Intervision”, sia in occidente, come ad esempio “Eurovision”, che riunisce i diversi servizi pubblici
di Francia, Germania e Gran Bretagna e che cerca di sviluppare politiche di interscambio tra i
diversi servizi pubblici. Di solito questi tentavi sono piuttosto fallimentari e questo testimonia la
barriera linguistica e le differenze culturali, entrambe molto forti. Ci sono dei casi di televisione
europea, in particolare per quanto riguarda l’Europa occidentale, ma sono molto rari ( “Eurovision
Song Contest” o “Jeux Sans Frontieres”, che nasce dal gioco italiano “Campanile sera”).

La contrazione (1973 – 1985)


Negli anni ‘70 avviene una contrazione di flussi internazionali, soprattutto legati alla minore
attitudine della televisione americana di esportare prodotto. Per la televisione americana questi sono
anni caratterizzati da forti cambiamenti legati soprattutto a cambiamenti di carattere legislativo, ma
anche tecnologico (nasce la televisione via cavo, che fa concorrenza alla televisione dei network).
Vi è una maggiore tendenza americana a guardare al proprio mercato interno piuttosto che ad
esportare.

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Seconda ondata (1985 - …)
Dopo questo periodo di contrazione, inizia la seconda ondata che dagli anni ‘80 arriva fino ad oggi
ed in cui l’intensità della interconnessione tra sistemi televisivi nazionali si fa sempre più intensa.
La globalizzazione di contenuti diventa molto più intensa rispetto al passato per diverse ragioni:
• La deregolamentazione e la nascita delle televisioni commerciali
• Le televisioni commerciali spingono al flusso il servizio pubblico televisivo europeo, per cui
nasce la logica che la televisione debba occupare tutte le ore della giornata.
Questo implica che si ha bisogno di più prodotti. L’acquisto di un prodotto finito ovviamente costa
meno della produzione (se bisogna decidere se acquistare una serie americana o se produrre una
serie, sicuramente si spenderà di meno acquistando).
Perciò questi nuovi canali che nascono hanno bisogno di contenuti; dunque, si rivolgono ad una
industria televisiva più forte (America e Giappone). Poi inizia a diventare rilevante non solo la
nascita di nuovi canali commerciali, ma anche la crescita di piattaforme distributive diverse. In altri
paesi come la Germani, il Benelux, la Svizzera, il cavo si diffonde molto. In Svizzera, ad esempio,
conviene diffondere il cavo, rispetto all’etere. Questo consente un ampliamento dei canali a
disposizione e quindi ancora una volta crea una domanda di contenuto molto forte. Questo porta ad
una forte crescita degli scambi che spesso avvengono attraverso accordi di “acquisto a pacchetto”
(output deals). Ad esempio, un broadcaster europeo si accorda con una major americana
acquistando a pacchetto tutta la sua offerta. Questi anni, quindi, hanno una forte moltiplicazione di
flussi, contenuti e forme.
Global television: le forme
Delle forme della “global television”, si ricordano le 4 principali, con cui, al di là della semplice
circolazione di contenuti finiti, si vedono altre forme di collaborazione internazionale:

Co–produzione
Alcuni partner internazionali decidono di produrre un contenuto televisivo e di condividere insieme
gli aspetti sia creativi sia finanziari. Normalmente nella storia della televisione globale vengono co–
prodotti soprattutto film per la televisione o miniserie. Ancora negli anni del servizio pubblico ci
sono co–produzioni tra i servizi pubblici europei: uno dei casi molto noti è “Il conte di Monte
Cristo”.
Quali sono i vantaggi? Rispetto ad una produzione legata ad un solo mercato nazionale, si hanno
maggiori risorse, un budget più alto e si può essere sicuri che includendo non solo maggiore
creatività ma anche attori di diversi paesi, si può creare un appeal maggiore che può coprire diversi
paesi.

Co–financing
Ha le stesse caratteristiche della co–produzione, ma vengono solo condivisi gli aspetti economici: si
porta avanti un progetto di produzione di un prodotto televisivo e cercano finanziamenti all’estero.
Ad esempio, “Sky Italia” dal 2008 in avanti ha sviluppato una produzione nazionale di fiction,
creando prodotti come “Romanzo criminale”. Ma la televisione a pagamento ha svantaggi e
vantaggi: ha un bacino di pubblico pur ristretto ma allo stesso tempo esigenze di qualità più alte.
Questo bacino di pubblico paga direttamente per vedere quei contenuti. Paradossalmente sembra
una contraddizione: si ha una base di pubblico piccola, ma bisogna spendere molto di più per un
prodotto di qualità più elevata. Allora la soluzione è il co–financing con cui si creano prodotti
destinati ad un pubblico nazionale ma al contempo capaci di parlare ad una platea internazionale. La
fiction italiana, tuttavia, è difficilmente riuscita a superare i confini nazionali (ci sono solo casi rari
come “Il commissario Montalbano”). Invece la produzione di fiction premium ha puntato su questo,
investendo molto (“Romanzo criminale” è girato per 30/40 paesi). Un altro caso esemplare è
“Gomorra”, una serie costata 15/16 milioni di euro e prodotta a partire da un accordo di co–
finanziamento con il principale distributore di prodotti televisivi tedeschi e con accordi con altri
broadcaster europei. Questo è dunque un tema particolarmente rilevante.
126
L’Europa ha questo svantaggio di fondo: è frammentata in tanti paesi con lingue diverse e gusti e
culture differenti, a differenza degli Stati Uniti. Perciò, i prodotti più esportati ad esempio in Italia
sono i prodotti spagnoli, come la fiction “Il segreto”, anche perché siamo in crisi economica ed è un
prodotto che costa poco e, nonostante ciò, è molto di successo.
Il co–financing, dunque, è una variante della co–produzione e il vantaggio che se ne trae sta nella
prevendita dei diritti di trasmissione (per cui il prodotto circolerà sicuramente e si hanno meno
rischi di fallimento).

Il format
Questo è il caso più interessante da studiare, perché il format è un incrocio tra la dimensione globale
e la dimensione nazionale: da un lato si ha un contenuto di origine internazionale, legato ad un
paese diverso dal proprio, ma che poi bisogna riempire e adattare con contenuto nazionale. É
interessante anche perché nel caso della co–produzione e del co–financing si parlava soprattutto di
fiction. Invece il format si è adattato in primo luogo al gioco televisivo, e via via sono stati
formatizzati molti altri generi, come il reality, il talent show e successivamente anche la fiction.

Repourposing
Si tratta del riadattamento di prodotti “ready made”, prodotti che non vengono mandati in onda così
come sono ma vengono spezzati e utilizzati per essere mandati in onda con altre finalità e in altri
contesti.

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23. IL FORMAT

Qual è l’elemento di originalità di un format? Perché un format è originale e può essere utilizzato su
vari terreni economici?
Visione del promo 2012 di “America’s got talent” e di un frammento di “X factor”.
Si hanno 4 prodotti diversi ma simili:
• “America’s got talent”
• “X factor”
• “The voice”
• “Rising stars”
Il genere è comune ed è quello del talent show, ma i format e i programmi diversi. Cosa ciascuno di
questi programmi aggiunge in termini di originalità, tanto che il creatore di “America’s got talent”
non può lamentarsi con i creatori di “X factor”? Dal punto di vista della spettacolarità e degli
interessi degli spettatori quali sono gli elementi di novità?
In “Got talent” ci sono tre giudici che giudicano e questa giuria deve essere super partes. Il fatto di
mettere i giurati in squadre differenti crea la novità. Nel caso di “X factor” l’elemento di originalità
rispetto ad “Got talent” è il conflitto tra i giurati. Sono questi cambiamenti sottili e non a caso c’è
stata una battaglia legale tra i creatori di “X factor” e quelli di “Got talent”.
Nel caso di “The voice” l’elemento di originalità consiste nelle “blind audiences”, insieme ad un
elemento visivo diverso, cioè le sedie che si girano. Questo porta a capire che un format non è
semplicemente un’idea. L’idea, infatti, in tutti questi programmi è la stessa. In un format non è
diversa l’idea, ma è diverso il modo in cui l’idea viene realizzata (cioè, banalmente, quello che si
vede). Non a caso il promo di “The voice of Holland” era destinato agli addetti ai lavori. La cosa
importante è quello che si vede e nel caso di “The voice” l’originalità di quello che si vede sta nella
procedura di selezione dei concorrenti con i giurati girati di spalle, che definisce una situazione
spettacolare molto diversa. Il dispositivo che caratterizza questo format dà allo spettatore una sorta
di superiorità rispetto al giurato, perché noi spettatori vediamo quello che i giurati non vedono.
Nel caso di “Rising stars”, invece, c’è lo sfruttamento della convergenza e della digitalizzazione,
per cui vi è un allargamento della giuria ad un quarto giudice, visibile attraverso la rete. Questo
rende il prodotto diverso e originale rispetto ai precedenti.
Quindi questi prodotti di successo aggiungono un elemento di novità e originalità a questo genere.
Ma cos’è un format? Non è né un genere, né un programma. In qualche modo è un programma,
perché affinché un contenuto possa dirsi format deve essere stato un programma, deve cioè essere
andato in onda almeno in un paese. Si apre qui la distinzione tra format e paper format: se si ha il
progetto di un prodotto televisivo ma questo non è mai andato in onda si presenta un paper format,
cioè un prodotto su carta. Per come si sta sviluppando l’industria televisiva contemporanea i paper
format valgono ben poco, mentre i format valgono tanto, perché un format è un prodotto testato, che
non solo ha un’idea originale, ma porta con sé una garanzia di successo. Il format, quindi, non è un
programma (perché è qualcosa di più) ma sicuramente necessita del fatto che un programma ci sia
stato.
Il format non è un genere. Il genere è una macrocategoria dentro cui stanno diversi tipi di
programmi e di format. Il format originale vende il fatto che è un prodotto di successo,
documentabile con determinati dati presi da un paese, e che sia anche tutelabile. Quella della
tutelabilità è una questione molto complessa: ci sono casi molto controversi di format che, una volta
andati in onda in altri paesi, poi arrivano in Italia ed in Italia nascono processi legali (cfr. il caso di
“Dancing with the stars”, che in Italia diventa “Ballando con le stelle” vs “Baila”. I due format
erano andati in onda contemporaneamente in tanti altri paesi senza nessun problema. In Italia,
invece, la RAI decide di fare causa a Mediaset).
Cosa caratterizza un format? Il format è qualcosa che ha a che vedere con un progetto. Il format
resta sempre anche un progetto perché ogni volta che si acquista un format lo si può realizzare in
maniera differente, cioè si hanno certi margini di adattamento di quel format.
128
Il format poi si può vederlo come 3 cose differenti:

Un prodotto commerciale
Il format è un oggetto commerciale che si può acquistare e vendere in alcuni luoghi specifici, che
sono i mercati televisivi internazionali. A Cannes si riuniscono, ad esempio, i rappresentanti dei
broadcaster, che si parlano, negoziano, assistono a delle presentazioni di prodotti e decidono cosa
acquistare e se acquistare dei format.
Dal punto di vista del prodotto commerciale il format non è semplicemente un’idea e nemmeno il
semplice schema di un programma sulla carta (quello è il paper format, che è sempre meno
importante per l’industria televisiva).
Il format oggi sempre di più viene concepito come uno scambio di abilità e saperi: è come
l’acquisizione di uno schema per la realizzazione del programma ma contiene anche il “know how”,
cioè l’assistenza per la realizzazione di quel determinato programma. Naturalmente ci sono format
in cui questo tipo di assistenza si protrae per più tempo. É chiaro che quando si realizza “Chi vuol
essere milionario?” si ha bisogno dell’assistenza di chi ha creato “Who wants to be a milioner?”,
ma dopo questa prima assistenza il programma va da solo. Ci sono invece casi in cui l’assistenza
diventa fondamentale. Ad esempio, questo è accaduto per un format svedese di un gioco, in cui la
vincita del montepremi era legata ad un gioco fatto con la macchina della verità. In quel caso, il
broadcaster avrà un bisogno fondamentale di assistenza perché se non sa usare bene quella
macchina, il rischio è che il programma vada male e che le perdite siano ingenti. Oppure un caso
recente è quello degli autori dell’“Isola dei famosi”. Mediaset, infatti, non pensava che questa
edizione sarebbe andata così bene, perciò verso la terzultima puntata ha iniziato a pensare di
allungare il prodotto di una o due puntate. La cosa però non è stata possibile perché la location
messicana era già stata prenotata per la settimana successiva dalla stessa edizione messicana dell’
“Isola dei famosi”. Quindi è importante questo rapporto con l’assistenza.
Quindi il format è una ricetta testata, che ha una auspicabile garanzia di successo. Il fatto di essere
già andato in onda, fa sapere da chi è stata visto. Ovviamente però bisogna considerare che ci sono
dei limiti perché comunque facciamo parte di culture diverse. I giovani portoghesi, francesi,
tedeschi, spagnoli, inglesi sono diversi dai giovani italiani; perciò, bisogna adattare il prodotto e
renderlo il più possibile italiano. Queste differenze culturali sono molto importanti e spesso hanno
fatto prendere sbandate colossali. Ad esempio, un programma portoghese, che si chiamava “The
circus”, fu portato in Italia e fu un insuccesso clamoroso (ed era una produzione molto costosa).

Un oggetto giuridico
Il format è un prodotto che va tutelato anche a livello giuridico (vedi il caso di “Dancing with the
stars” vs “Baila”).

Un prodotto flessibile
Si può adattare, pur con dei limiti, sulla base delle esigenze locali.

Il format come prodotto commerciale


Dire che un format è un’idea è molto riduttivo. Mano a mano che l’industria televisiva si fa più
complessa, l’idea in sé e anche l’idea su carta hanno valore limitato, perché il format è la
strutturazione di un’idea concretizzata in una messa in onda almeno in un paese, messa in onda che
può portare risultati dal punto di vista di quanto è stato visto un certo format e da chi è stato visto.
Il format è uno strumento di produzione per i broadcaster particolarmente utile perché da un lato
richiede un adattamento nazionale, cioè deve essere prodotto con quel contenuto, con quel sapore e
gusto tipico di una cultura nazionale (per cui il prodotto non è lontano, ma si avvicina ai gusti e
cultura dello spettatore) e dall’altro lato ha avuto un test, cioè sappiamo per certo che è stato un
format di successo da qualche altra parte; quindi, probabilmente può funzionare anche nel mio
paese.
129
Ma bisogna stabilire cosa significa acquistare un format. Quando acquisto un format, acquisto un
format package, cioè un insieme di contenuti che spiegano:
• Il concept del prodotto che si acquista, cioè l’idea di fondo e il suo sviluppo. Ad esempio, se
si tratta di un gioco, spiegano le regole essenziali del gioco. (cfr. Il promo di “The voice of
Holland”, fatto in co–branding con Vodafone, che consentiva di fare audizioni online).
• La storia e le ragioni dell’ideazione del programma.
• Elementi legati alla scenografia del programma, che rappresenta un elemento comunicativo
fondamentale in televisione per quanto riguarda i prodotti fatti in studio, o in parte studio e
in parte in location esterne, o solo in location esterne (la location, infatti, viene utilizzata da
tutti coloro che producono il programma).
• Informazioni sul conduttore e sullo stile di conduzione. Bisogna avere un’idea riguardo a
questo. Sono soprattutto le reti e i broadcaster che hanno i conduttori; quindi, sono loro che
assegnano un conduttore piuttosto che un altro. A volte le ragioni sono dettate dalla scelta
del miglior conduttore, altre volte perché c’è già un contratto per un conduttore (cfr. Alessia
Marcuzzi che sostituisce Simona Ventura nella conduzione dell’“Isola dei famosi”).
• Numero del pubblico o degli ospiti e il loro ruolo.
• Pezzatura del programma, cioè come va in onda il programma (se va in onda una volta a alla
settimana, se ci sono strisce quotidiane ecc.).
• Lo slot di programmazione. È questo un tema interessante, perché i palinsesti dei diversi
paesi sono differenti. Può anche darsi che si acquisti un prodotto che in Gran Bretagna va in
onda in seconda serata a e che si vuole adattare e mandare in onda nel preserale italiano. Ad
esempio, un genere come il game va in onda nella fascia preserale italiana, mentre in Gran
Bretagna va in onda alle 22.00. Questo implica cambiamenti sostanziali nella durata del
programma stesso.
Poi, quando si acquista un format, si acquista anche una serie di video dimostrativi che riportano
una puntata del programma, o altri video che spiegano come funziona il programma sia nel paese
dove il programma è nato, sia negli adattamenti differenti di quel programma.
Poi si acquista la storia televisiva del programma (cioè le messe in onda e i dati di ascolto) insieme
ad altri elementi accessori, come le musiche e filmati (ad esempio in “Who wants to be a millioner”
gli elementi visivi e i jingle sonori sono esattamente gli stessi in tutti i riadattamenti dello stesso
format). Se un broadcaster dovesse investire nella produzione di ciascun elemento del programma
avrebbe bisogno ancora di più soldi, invece il format ti dà un pacchetto completo.
Poi si acquistano i grafici, software e le ricerche statistiche sul programma insieme alla Production
Bible (la Bibbia di Produzione). Essa rappresenta la “cassetta degli attrezzi” con cui si realizza il
prodotto e il programma. La Production Bible andrebbe seguita alla lettera, perché è
sostanzialmente la scatola delle istruzioni (anche se ci sono margini di cambiamento e di
adattamento).
Cosa contiene questa Bibbia di Produzione? Soprattutto perché il gioco è stato il primo genere
formalizzato, spesso si hanno il regolamento, le note di conduzione e le modalità di come si
conduzione (ad esempio quanto tempo deve passare tra la risposta del concorrente e la conferma o
smentita della risposta data dal conduttore, ecc.).
Contiene, poi, la struttura di staff e casting, insieme alle indicazioni di location, che spesso sono
molto restringenti. Ci sono poi le note di regia, le scalette, i copioni, i piani di produzione (che
contengono i costi, il budget e le indicazioni specifiche per realizzare il programma), insieme alle
indicazioni su come costruire tutto quello che sta attorno al programma (ad esempio il sito web, uno
degli aspetti più convergente o digitale di un programma; oggi le possibilità sul versante del digitale
sono molteplici, perché ci sono i social media, ecc.).
A questo si aggiunge anche la aspetto della consulenza, cioè acquisto anche il “know how” , il
“come fare le cose”. Si tratta della consulenza che la società di produzione e distribuzione del
format concede a chi acquista il format.

130
Questo spesso fa sì che (soprattutto nelle prime edizioni dei programmi) ci siano dei produttori,
degli autori, che hanno lavorato nell’edizione originale, che diventano consulenti per la
realizzazione di un’edizione specifica.
Ad esempio, questo tipo di consulenza è stata necessaria quando “X factor” è stato portato da RAI 2
a Sky; le edizioni sono piuttosto diverse: l’edizione Sky è più spettacolare ed essenziale, invece
l’edizione RAI era più nazionalpopolare. In questo caso i consulenti inglesi avevano fatto parte del
team creativo della prima edizione Sky e avevano dato un importante contributo al programma,
costruendolo con un tono più internazionale.
Dove si acquistano e dove si vendono i format? I format si acquistano e si vendono in luoghi
specifici, dove confluiscono questi professionisti e questi mediatori, che si occupando
dell’acquisizione di format, diritti, ecc.
Per questi professionisti è importantissimo conoscere bene le lingue, perché è vero che l’inglese è la
lingua comune dentro la quale ci muoviamo, ed è la lingua comune per tutti i professionisti della
televisione, ma se si vuole capire come funziona un prodotto (soprattutto per quanto riguarda la
fiction e l’intrattenimento) che viene realizzato altrove, si ha un vantaggio notevole, se si conosce la
lingua di quel prodotto.
In questi mercati chi si incontra? In questi mercati si incontrano 3 tipi di attori:
• Broadcaster, cioè le reti televisive responsabili della trasmissione, della definizione di
un’offerta (quindi di un palinsesto) e anche della produzione. I broadcaster devono decidere
strategicamente cosa produrre e mandare in onda. Spesso collaborano con le case di
produzione, realizzando prodotti televisivi. Cosa fanno i rappresentanti dei broadcaster in
questi mercati? Comprano e vendono. Es. a Cannes, allo stand della BBC si vedono quali
novità di format, realizzati nell’anno precedente, offre il broadcaster inglese. E gli executer
della BBC a loro volta vanno in giro a vedere cosa hanno realizzato altri braodcaster e altre
case di produzione.
• Case di produzione. Sono quelle multinazionali che hanno filiali nazionali in molti paesi.
Sono grandi imprese internazionali. Il vantaggio di queste grandi case di produzioni è dato
dal fatto che queste hanno il grosso vantaggio di una possibilità di scambio molto più facili
al loro interno. Per questo il mercato si sta sempre più orientando verso la creazione di
grandi case di produzione multinazionali.
• Sussidiarie nazionali delle case di produzione di ciascun paese.
Per quanto riguarda i generi di intrattenimento, di solito si hanno co–produzioni tra i broadcaster e
le case di produzione; in questo caso il contenuto va più in capo alle case di produzione, mentre gli
aspetti tecnici vanno più in capo ai broadcaster.
Una controprova della fallacia dell’imperialismo culturale sta nel fatto che il mercato della
circolazione dei format è un mercato multipolare: esistono, cioè, tanti poli produttivi sia in Europa,
sia negli Stati Uniti, e ci sono paesi che sono forti esportatori di format. Certamente li Stati Uniti
sono un paese che esporta parecchio e importa anche molto, ma anche la Gran Bretagna è in grado
di esportare un numero molto elevato di format cosi come l’Olanda, che importa molto ma è anche
in grado di esportare; invece in Italia importiamo molti format ed è molto poco in grado di
esportarli. Si possono fare poi considerazioni su quali generi maggiormente adattiamo.

Il format come oggetto giuridico


Lo dimostra il fatto che sono sorte attorno all’adattamento dei format diverse controversie legali
legate proprio al problema dell’adattamento e dell’eventuale plagio. Una delle controversie legali
più note è quella che ha opposto i due creatori di due format di talent: Simon Fuller, creatore di
“American idle” e Simon Cowell, creatore di “X factor”. Questa controversia è stata risolta
abbastanza pacificamente, ma ha fatto sì che l’arrivo di “X factor” venisse ritardato di molto negli
Stati Uniti. Oppure, tornando in Italia, c’è il caso di “Ballando con le stelle” vs “Baila”, due
prodotti entrambi basati su format, il primo della BBC (“Dancing with the stars”), il secondo basato
su un format messicano.
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Entrambi i format avevano avuto adattamenti nazionali ma in Italia la RAI decide di ricorrere al
giudice, perché ravvisava una vicinanza eccessiva tra i due programmi. Quando si cita in giudizio, a
stabilire la ragione è un giudice, che solitamente non sa molto di format quindi si avvale di
consulenti di parte.
Questa è una tematica molto complessa. Però la questione della tutelabilità del format è molto
rilevante (perché sono in gioco molti soldi) e tende ad oscillar tra due poli: da un lato, l’idea in sé
non è mai tutelabile, perché altrimenti si arriverebbe molto rapidamente ad una sorta di monopolio
delle idee. Ad esempio, se, negli anni ‘50, chi ha avuto per primo l’idea di utilizzare in un
programma televisivo la telecamera nascosta (per la candid camera) avesse deciso di tutelare la sua
idea, ci sarebbe stato quel programma e basta; invece, questa idea può essere variamente utilizzata e
calata in programmi diversi. Quello che si tutela non è l’idea in sé, ma la concreta realizzazione di
quell’idea che deve avere elementi di originalità. Ad esempio, c’è un programma, chiamato “Bad
robots”, basato sulla candid camera.
I generi si possono definire a partire da idee; per cui il talent è una competizione di canto e/o ballo,
e da questo punto di vista i talent sono tutti uguali. Poi però le puntate di “The voice” che si girano,
sono la concreta realizzazione del programma, che in quanto tale è tutelabile.

Il format come testo televisivo


Un format è particolarmente utile nell’industria televisiva contemporanea perché è flessibile: da un
lato si ha una certa garanzia di successo e dall’altro lato permette una flessibilità tale da adattare
quel format alle esigenze e alla cultura del paese.
Se il broadcaster deve lavorare per una rete, si occupa o di acquisto di diritti (buy) oppure può
produrre un format (make), cioè produce ex novo un programma. La produzione è molto più
impegnativa e costosa. Il format sta a metà tra il buy e il make. Se si acquista un format,
sicuramente bisogna produrlo, però si hanno delle garanzie che il programma abbia già funzionato
in altri paesi. Per questo è cosi importante nell’industria televisiva contemporanea.
Quando si acquista un format, bisogna poi adattarlo e i margini di adattamento hanno a che fare
anche con le caratteristiche non solo linguistiche, ma anche culturali di un paese. Ad esempio “La
prova del cuoco” andava in onda anche in Gran Bretagna. Trasportato in Germania, il programma
cambia, perché in Germania alla fine della competizione il giudice deve assaggiare i piatti, perché
evidentemente il fatto di non assaggiarli era un’idea impensabile in Germania. Oppure spesso si
passa da un format che dura un’ora, ad un format adattato per una prima serata, che dura tre ore.
Oppure ancora, si adatta il “Grande fratello” in una cultura islamica, si dovrà rispettare la loro
cultura per quanto riguarda il rapporto tra uomini e donne.
I generi formatizzati sono tanti e dei versi. In primo luogo, i giochi, ma anche il comedy, la soap
opera e anche prodotti di fiction.
Un caso: “Million pound drop” vs “The money drop”. Questo è un programma inglese che andava
in onda in seconda serata. Nel momento in cui viene comprato per essere messo nel preserale di
Canale 5, viene riadattato e allungato.

132
24. FORMAT E GENERI

Il primo genere ad essere formatizzato e caratterizzato da una forte circolazione internazionale è il


game, che è anche il genere più universale. Fin dagli anni ’50 presenta meccanismi che possono
essere riprodotti semplicemente, infatti lo capiscono tutti: è la narrazione di uno o più eroi che
attraverso delle sfide arrivano ad un premio. Poi anche il reality show venne formatizzato, in
particolare dal 1999, data di nascita di un format, un programma, molto importante nella storia della
televisione, che inaugurò un nuovo modo di costruire il reality, che è “Big Brother”.
Cosa non è formatizzabile? Cosa non può essere caratterizzato come format e quindi non può essere
esportabile? Ovviamente tutto quello che è legato ai contenuti nazionali. È difficile creare qualcosa
di nazionale che possa essere riprodotto (le principali caratteristiche del format sono esportabilità e
riproducibilità). Quindi se il programma è fatto da un conduttore particolarmente noto o popolare in
Italia, questo non è esportabile: ad esempio, non si può esportare Fiorello, perché tutto quello che fa
è strettamente legato alla sua personalità.
La cosa interessante, quando si parla di format, è che tanti generi e prodotti sono stati formatizzati,
ma non soltanto i prodotti unscripted , bensì anche gli scripted (infatti anche la fiction è stata
formattizata). Questo vuol dire che un broadcaster può acquistare un prodotto di fiction già ready
made (anche se poi si pone la questione di adattamento e doppiaggio). Però in certi casi, alcune
tipologie di fiction con caratteristiche particolari sono state formatizzate: si riprende la formula
della fiction e la si ricrea in un contesto nazionale. In questo caso si tratta di produzione (non di
acquisto), anche se è una produzione basata su un format.
Questa analisi della circolazione internazionale dà un’idea delle vicinanze culturali dei vari paesi.
Ad esempio è molto evidente la vicinanza culturale tra Spagna e Italia, per cui i format spagnoli
hanno generalmente molto successo in Italia: esempi possono essere serie televisive come “Un
medico in famiglia” (in Spagna “Medico de familia”), “I cesaroni” (“Los serranos”), “Raccontami”
(“Cuentame”).
Così come un prodotto molto innovativo, che cambia le routine, perché introduce un modello nuovo
poco conosciuto in Italia, è la soap opera (un prodotto di serialità molto lunga), che dà la struttura
dell’indefinitezza, e che continua ad essere prodotta finché ha un pubblico che la segue; per questo
dal punto di vista narrativo si creano intrecci incredibili (cfr. “Un posto al sole”, tratto dal format
australiano “Neighbours”). Poi sono possibili cambiamenti di genere, per cui un prodotto messicano
come “Betty la fea” diventa e viene riadattato sotto forma di prodotto americano, con il nome di
“Ugly Betty”.
Un prodotto che negli ultimi anni ha avuto molto successo è uno scripted format israeliano
chiamato “Be tipul”, prodotto che è stato riadattato moltissimo, in particolare in America con il
titolo di “In treatment”, ma è anche arrivato in Italia su Sky; è un prodotto molto originale e
formatizzabile, proprio perché è un prodotto di formato (per “formato” si intende la durata, la
pezzatura del prodotto, cioè quanto spazio occupa un prodotto in palinsesto). “In treatment” dura 30
minuti e ha la caratteristica particolare di rispettare le 3 unità aristoteliche di tempo, luogo e azione:
il quadro generale è molto povero, perché la serie si basa su una seduta di psicanalisi dove si ha un
paziente e un medico che interagiscono. La mezzora simula i 45 minuti di una seduta psicoanalitica
e la serie è basata sul dialogo che racconta le azioni che succedono fuori e che accadono ai
protagonisti. Quindi si hanno una unità di azione (perché la seduta di psicoanalisi comincia e si
conclude in una puntata) di tempo e di luogo. Nella serie ci sono 4 personaggi ricorrenti, ognuno
che compare in un preciso giorno della settimana. L’ultimo giorno della settimana in cui va in onda
la serie, è lo stesso psicanalista si confronta con un altro psicanalista, come è previsto nel reale
lavoro di uno psicanalista.
Visione del promo della versione originale israeliana di questo scripted format “Be tipul”, del
promo della versione serba “No terapjl”, dell’incipit di “In treatment” (primo episodio: Laura,
Monday, 9.00 a.m) e dell’adattamento italiano, anch’esso intitolato “In treatment” (in questa
versione la protagonista Laura diventa Sara).
133
Perché un broadcaster decide di acquistare un format e di produrre una serie come questa, piuttosto
che acquistare l’originale? Un primo motivo è l’immedesimazione del pubblico. Infatti nelle diverse
serie cambiano gli attori e qualche volta anche le storie dei diversi personaggi per permettere una
maggiore immedesimazione del pubblico attraverso la sensibilità di una certa cultura nazionale.
Il creatore della versione originale israeliana di “In treatment” ha rilevato che l’edizione italiana è
stata l’edizione più bella e curata (anche perché è stata la più costosa).
Un tema molto rilevante è il fatto che nascono delle necessità di cambiamento quando ci sono
differenze culturali o riferimenti poco comprensibili in una certa cultura; ad esempio, uno dei
personaggi dell’edizione israeliana è un soldato israeliano tornato dalla guerra contro l’Egitto, da
cui è rimasto traumatizzato, ma questo non è riproducibile nella cultura occidentale; perciò, richiede
un lavoro di adattamento da parte degli sceneggiatori. Per questo motivo in America, invece del
soldato israeliano, c’è un soldato tornato dalla guerra in Iraq; in Italia il soldato si trasforma in un
carabiniere che ha preso parte ad una serie di azioni contro la mafia e che ha subito dei traumi
piuttosto consistenti per il suo lavoro.
Un’altra cosa importante è il fatto che oltre al tema della progressiva formatizzazione di generi
differenti, anche quando si adatta un format vengono introdotte trasformazioni e adattamenti che
hanno anche a che fare con i diversi tipi di palinsesti.
Visione dell’incipit della prima puntata dell’edizione britannica di “Million pound drop”, format
che poi è stato adattato da Endemol per Canale 5 e che in Italia è diventato “The money drop”.
Quali differenze ci sono nell’edizione britannica rispetto all’edizione italiana? Per prima cosa
l’edizione britannica è live, cioè va in onda in diretta. La conduttrice è una donna, ed è la stessa
persona che aveva condotto l’edizione del “Grande fratello” in UK. Ha una conduzione più
aggressiva e più impostata rispetto alla modalità più familiare di Gerry Scotti in Italia. Nei paesi
anglosassoni sin dagli anni ’50 si è più focalizzati sulla questione del gioco. Questo gioco poi ha
creato molto l’idea del gioco d’azzardo, e questa è stata una delle grandi questioni che hanno
colpito questo programma. Nell’edizione britannica, poi, c’è una maggiore spettacolarità, legata al
fatto che va anche in onda alle 22.00 su Channel 4. Anche per noi il gioco a premi, che nasce come
prodotto molto popolare, all’inizio va in onda in prima serata, e ha retto in prima serata fino agli
anni ’80.
Con il passare degli anni, però, il gioco a premi è diventato un prodotto feriale, che va a coprire la
fascia preserale del palinsesto: diventa quindi un appuntamento quotidiano meno importante e che
presenta una messa in scena meno sontuosa.
Nell’edizione italiana ci sono stati poi aggiustamenti anche di palinsesto e di formato, perché i
palinsesti dei paesi anglosassoni (in particolare di Gran Bretagna e Stati Uniti) hanno durate molto
strette e precise che possono variare da 30 minuti a un’ora, invece i palinsesti dell’Europa
mediterranea sono più modulari, ovvero non sono legati alla mezz’ora o all’ora, tanto è vero che il
preserale italiano spesso dura un’ora e 10/15 minuti, proprio perché deve funzionare da traino nel
passaggio dal pomeriggio alla prima serata.
Ovviamente se si cambia il formato ci possono essere cambiamenti più importanti o cambiamenti
meno importanti. Ad esempio, un gioco tedesco della durata di 30 minuti, in Italia viene trasmesso
nella prima serata con la durata di 3 ore. Possono dunque cambiare le caratteristiche del prodotto,
anche se nel caso di “The money drop” non cambiano più di tanto.
Tuttavia, questo gioco, sia nella versione inglese, sia in quella italiana, ha dei difetti e il principale è
che non necessariamente crea un climax sul finale, perché i concorrenti potrebbero perdere a 15
minuti dalla conclusione del programma; quindi, non si arriva mai alla suspense. Questo è un limite
rispetto al concorrente, ad esempio, dell’“Eredità”.
Chi sono gli autori dell’adattamento di questo gioco? In primo luogo, Endemol, una casa di
produzione internazionale che ha prodotto “Million pound drop” in Gran Bretagna e ne detiene i
diritti per Channel 4 (una delle reti generaliste di servizio pubblico); Endemol fa parte però di una
multinazionale, perciò Endemol Italia decide di produrre anche lei questo format e di tenerlo in
pronto per proporlo ad un broadcaster (che è Canale 5 in questo caso).
134
Perché fa questo? Perché Endemol generalmente produce il gioco del preserale Mediaset. Inoltre, in
quel periodo andava ancora in onda, sin dall’inizio degli anni 2000, “Chi vuol essere milionario?”,
che era il gioco che caratterizzava il preserale italiano (e che era l’adattamento di “Who wants to be
a millioner?”). Succede che dopo tutto quel tempo il gioco era invecchiato e si era usurato; allora il
broadcaster di Endemol chiede al produttore di questo gioco di trovare un’alternativa, mentre “Chi
vuol essere milionario” viene lasciato ed eventualmente ripreso dopo un po’ di tempo.
Si ha dunque una chiara idea di come è strutturato il palinsesto: si produce con chiare indicazioni su
quale sarà la fascia di palinsesto e su che tipo di prodotto si deve raccogliere.
Allora cosa ha fatto Endemol? Endemol ha chiesto di fare una ricerca qualitativa su dei pilot, pilot
testing, per verificare pregi e difetti dei prodotti disponibili, dei prodotti che Endemol aveva in casa
e che riteneva potessero andare bene per quella fascia oraria nel palinsesto italiano. Questa ricerca
qualitativa però ha un limite: se non è stato mandato in onda un “Pilot 0” in Italia (cioè una prima
puntata) bisogna fare ricerche su focus groups.
All’epoca c’erano diverse alternative per quanto riguardava i diversi giochi possibili, ma si era
notato che questo gioco era molto forte e originale; infatti, l’elemento di originalità forte di questo
gioco era la presenza dei soldi in banconote, e quindi proprio il vedere i soldi. Questo elemento era
molto originale ma anche problematico, perché nel focus group (cioè nelle interviste) si evidenziava
una differenza forte all’interno del pubblico: gli spettatori tradizionali, infatti, associavano l’idea dei
soldi all’idea del gioco di azzardo e questo in Italia rappresentava un elemento un po’ problematico.
Ad ogni modo sulla base di questo elemento di consapevolezza, si decide di produrre ugualmente
questo programma, solo che il gioco viene sfruttato tantissimo sin da subito e nel giro di poche
stagioni arriva all’usura.
In conclusione, bisogna fare molta attenzione alla differenza che c’è tra genere e format, ai rapporti
tra i broadcaster e le case di produzione, a come funziona la circolazione di contenuti ecc.

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25. IL PALINSESTO

Visione del promo della NBC in occasione del Super Bowl del 2012, “NBC’s Brotherhood of man”.
https://www.youtube.com/watch?v=BJuAvwtmXuw e di un trailer della serie televisiva “Fringe”,
“Fringe Friday – Death quotes”. https://www.youtube.com/watch?v=SrwXij6HthY
Che tipologia di prodotto audiovisivo sono?
Sono entrambi dei promo. Il promo è un audiovisivo breve che consente soprattutto la
comunicazione on air sui propri canali e consente di dare messaggi ai propri spettatori (ad esempio
annunciare che andrà in onda un programma nuovo). I promo poi possono essere declinati a
seconda delle diverse reti: il promo dell’ “Isola dei famosi” sarà diverso a seconda che vada in onda
su Canale 5, Italia 1 e Rete 4, perché ci sono grandi differenze di età nel pubblico di questi tre
diversi canali, perciò vanno costruiti promo differenti che veicolino una comunicazione differente
(e questo lo si può fare senza necessariamente rigirare lo stesso promo in tre modi diversi, ma basta
cambiare qualcosa con gli strumenti tecnologici che si hanno a disposizione).
Cfr. la versione horror di “Mary Poppins”, “Scary Mary”
https://www.youtube.com/watch?v=2T5_0AGdFic. È incredibile come si possa utilizzare il
montaggio e il voice over per prendere un prodotto per bambini e farne una versione horror (ci si
basa sulle immagini dello stesso film creando qualcosa di assolutamente diverso).
La cosa fondamentale è pensare sempre a che tipo di pubblico è indirizzato il promo.
Di un film in un minuto si possono raccontare 1000 cose diverse, dando un’impressione diversa.
Che differenze ci sono tra i due promo? Il primo promo faceva i propri auguri, promuovendo una
serie di prodotti televisivi presenti sul proprio canale, per un evento particolare che è appunto il
Super Bowl. Si tratta quindi di un promo che parla non tanto di prodotti ma di “noi stessi” in quanto
rete; cioè l’NBC sta parlando di sé sessa e sta proponendo allo spettatore di guardare insieme alla
famiglia della NBC il Super Bowl. Questo perché il Super Bowl è in assoluto la trasmissione più
vista dell’anno, infatti i diritti per trasmettere il Super Bowl costano tantissimo, e le imprese che
vogliono pubblicizzare i propri prodotti investono tantissimo per solo 30 secondi o al massimo un
minuto di spot pubblicitari, spot che costituiscono il meglio della produzione pubblicitaria
dell’anno. Questo è dunque un promo istituzionale che fa riferimento alla NBC in quanto rete e
broadcaster, la quale, all’interno della messa in onda più importante dell’anno, si prende 2 minuti
per parlare di sé, rinunciando quindi ad una parte consistente di incassi che gli verrebbero dalla
vendita di quegli spazio pubblicitari, per parlare di sé. Questo dice che, nonostante si dica che ci sia
questa televisione abbondante, dove ognuno guarda quello che vuole, qui si evidenzia l’importanza
di costruire un’offerta di rete, un palinsesto, che è qualcosa che va oltre il fatto di poter mettere in
fila dei prodotti. L’identità e il brand di una rete, comunica quello che la rete vuole essere di fronte
al proprio pubblico di spettatori. Le identità delle reti sono molto importanti, perché si è abituati ad
orientarci grazie alle reti e alla loro offerta, grazie al palinsesto.
Si evidenzia dunque la rilevanza del palinsesto, che è il principale strumento attraverso cui un
broadcaster parla di sé stesso.
Che tipo di immagine viene dalla NBC? Il promo è molto ben fatto e ricco, con tanti personaggi
famosi della rete. Perché la scelta del musical? Perché è un genere abbastanza famoso ma
soprattutto perché in quel periodo si stava lanciando una nuova serie intitolata “Smash”, una serie
musical, basata su un’altra serie di successo, che era anch’essa un prodotto di finzione musicale,
cioè Glee. Si sceglie dunque il genere musical e lo si adatta al promo.
Il promo poi parte da una serie comedy denominata “Thirty Rock”, una serie metatelevisiva che fa
esplicito riferimento alla NBC (il riferimento più esplicito viene subito dal titolo perché il nome
“Thirty Rock” si riferisce al Rockefeller plaza 30, la sede della NBC). Quindi è la stessa NBC che
parla di sé.
Questo, quindi, è un promo istituzionale che in maniera divertente e utilizzando il genere del
musical (su quale si puntava in quel periodo) passa in rassegna molti degli show della NBC e

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contribuisce a creare un’idea di famiglia della NBC (anche i promo italiani, in occasione delle feste,
giocano un po’ su questa caratteristica).
Il secondo è il promo di un programma, di un prodotto specifico, legato ad una comunicazione di
palinsesto; segnala, infatti, uno spostamento di giorno e orario della serie televisiva “Fringe”
all’interno del palinsesto.
Anche in questo promo si evidenzia l’importanza dell’offerta di una rete e del palinsesto. Il promo
della FOX si focalizza su una modifica di palinsesto e per fare questo dice che spostare “Fringe” il
venerdì sera significa rianimare il venerdì sera. Si dice quindi che il venerdì sera è una serata morta
ma con “Fringe” la si rianima.
Tutto questo per introdurre il tema dell’importanza del palinsesto, un tema su cui ancora oggi un
broadcaster costruisce la propria offerta.
Qual è la principale preoccupazione di un’impresa televisiva? Sicuramente è quella di costruire un
offerta e un palinsesto.
Un broadcaster in realtà ha compiti diversificati e tende a sommare tre funzioni:
• Funzione editoriale. Un broadcaster produce contenuti o li fa produrre. Negli ultimi anni è
molto frequente il fatto che un broadcaster si rivolga a dei produttori indipendenti (cfr.
rapporto tra Endemol e Mediaset).
• Costruttore dell’offerta. Il broadcaster diventa un mediatore tra l’autore di un prodotto e il
suo pubblico; utilizza cioè gli strumenti che ha a disposizione come costruire l’offerta
• Funzione trasmissiva. L’area della trasmissione ha a che fare con gli aspetti più tecnici della
messa in onda (in questi anni, ad esempio, c’è stata la polemica su Rai–way, per quanto
riguarda la richiesta di acquisto da parte di Mediaset). La trasmissione può avvenire oggi
attraverso tecnologie e piattaforme distributive diverse.
Di queste tre funzioni quella che caratterizza il broadcaster in particolare è quella della costruzione
di un palinsesto, tema interessantissimo perché il palinsesto rappresenta, sostanzialmente, il tempo
della televisione, che è un medium fatto di tempo. Il consumo di televisione è un consumo di tempo,
per questo è molto importante il tempo televisivo, ed è interessante notare come questo tempo si
interfacci al tempo sociale, quello della vita delle persone. Gli apocalittici (coloro che sono
preoccupati nei confronti dei possibili effetti della televisione, e che sono contrari all’eccessiva
colonizzazione del tempo di vita delle persone, per cui il palinsesto non deve riempire l’intero arco
della giornata) dicono che il tempo televisivo inevitabilmente va ad influenzare il tempo sociale, e
questo in parte è vero. Ci sono esempi di questo tipo, ad esempio, negli anni ’60/’70 del 1900 la
frase ricorrente utilizzata dai genitori con i bambini era “a letto dopo Carosello”. I genitori, dunque,
utilizzavano e spesso utilizzano tutt’ora la televisione come una sorta orologio condiviso da
un’intera nazione, che usa questo modo di dire. La televisione, quindi, viene vista come una sorta di
meridiana elettronica. Oppure oggi è ancora evidente il caso dei telegiornali della sera, che
costituiscono ancora oggi un rito condiviso (mentre si cena si guarda insieme il telegiornale: è la
condivisione di un momento).
Questo è un lato della medaglia. D’altra parte, è anche vero anche il contrario, cioè che i tempi
sociali influenzano il palinsesto stesso. La televisione diventa ancora un terreno di incrocio e di
negoziazione. Questo è visibile, ancora una volta nell’orario delle news e dei telegiornali: è vero
che i telegiornali generano abitudini, ma è vero anche che si adattano all’orario in cui una certa
comunità tende a collocare i pranzi e le cene, e tende ad adattarsi a orari che sono diversi tra nord e
sud Europa. Oppure ancora, sempre nella storia della televisione italiana ed europea, c’è il caso
della “tv dei ragazzi”, che veniva e viene tutt’ora organizzata secondo tempi specifici: si collocano
certi programmi dopo che i bambini sono tornati a scuola, creando così uno spazio destinato ad un
pubblico più giovane, a delle persone che vanno a scuola. Senza considerare poi tutte le idee che i
braodcaster stessi si fanno a proposito del proprio pubblico, in parte intuito in parte
“monitorizzato”, sulla base delle quali collocano i programmi nel palinsesto.

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Il “flow”
Un concetto teorico proposto da Raymond Williams è il concetto di flow (flusso), secondo cui
l’offerta televisiva non è un programma composto da unità singole, ma è un “flusso pianificato”.
Negli anni ’70 Raymond Williams teorizza che la televisione americana è una televisione di flusso,
cioè quello che si vede in televisione non è una semplice successione dei programmi, ma è un flusso
continuo in cui si hanno programmi, ma anche promo e break pubblicitari tutti mescolati insieme.
Questa è la caratteristica di fondo del modo in cui la televisione, soprattutto quella generalista
tradizionale, comunica al suo spettatore.
Il concetto di fondo che Raymond Williams sottolinea è quello di flusso pianificato: c’è un flusso,
ma non si tratta di un accozzaglia di programmi e pubblicità messi insieme, ma è un flusso
pianificato al millesimo dai broadcaster con l’idea di costruire una comunicazione efficace. Dunque
da un lato si ha il palinsesto nella prospettiva dello spettatore, che bada soprattutto alla successione
dei programmi. Il palinsesto nel modo di vederlo degli spettatori è quella successione di programmi
che viene riportata, ad esempio, anche sui giornali. Questa però è la visione del palinsesto che ha lo
spettatore, il consumer, ma esiste anche un punto di vista diverso di chi costruisce palinsesti, ed è il
palinsesto tecnico/di emissione che è molto più complesso e dettagliato del normale palinsesto,
perché indica chiaramente non solo i programmi, ma anche come questi programmi possano esser
interpolati da break pubblicitari e promo.
Una della questioni rilevanti per chi si occupa di palinsesto è la partenza dei programmi. Il regista
ha sottomano sempre i concorrenti e deciderà, ad esempio, in certi casi, di andare in pubblicità (che
in termini tecnici si dice “andare in nero”) nei momenti più conveniente per il programma.

Il punto di vita dello spettatore e del professionista


Per quanto riguarda il palinsesto esistono due diversi punti di vista, quello degli spettatori e quello
dei professionisti.
L’esperienza dello spettatore
Dove si può leggere il palinsesto in quanto spettatori? Di solito nelle pubblicazioni sui giornali, sui
quotidiani e sui settimanali televisivi che riportano i palinsesti delle reti e le programmazioni della
giornata. In realtà oggi il palinsesto si può leggere anche in altro modo.
Ricostruire la televisione degli anni ’50 è difficile e lo si fa attraverso i palinsesti. Oggi questi
palinsesti sono stati digitalizzati, quindi su internet si possono trovare i palinsesti delle reti di
servizio pubblico.
Quali altre modalità di possibile incontro tra il palinsesto e gli spettatori ci sono?
Ad esempio, oggi si possono incontrare i palinsesti attraverso i siti delle reti televisive sul web: ogni
rete presenta la sua offerta e dà informazioni agli spettatori sui propri prodotti, e via discorrendo.
Oggi il broadcasting è una media company che deve operare su diversi ambiti, compreso quello dei
nuovi media. I siti web delle varie reti televisive contengono l’organizzazione del palinsesto. Poi,
un’altra possibilità di consultare informazioni aggiuntive è la guida elettronica (EPG), attraverso cui
si possono avere informazioni su cosa sta andando in onda al momento e su cosa andrà in onda più
tardi. La televisione più evoluta, infine, sviluppa tutta quanta una serie di strumenti ulteriori. Ad
esempio, l’applicazione sviluppata da Sky Italia, che consente di controllare il palinsesto di un
canale, ma anche costruire il proprio palinsesto personale, attraverso la possibilità di attivare il
registratore digitale, integrato al decoder Sky, riuscendo in questo modo a registrare un programma
anche fuori casa.
Questa è l’esperienza dello spettatore, a cui interessa sapere la sequenza dei programmi, cioè cosa
va in onda ad una certa ora.
L'esperienza del broadcaster
Il punto di vista professionale relativo al palinsesto è diverso rispetto a quello dello spettatore,
perché le informazioni note a coloro che si occupano di costruire il palinsesto sono molto più
dettagliate e complesse, e si avvicinano molto di più all’idea di “flusso pianificato” minuto per
minuto.
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Il palinsesto per gli addetti ai lavori, ad esempio, inserisce anche i dati sui risultati in termini di
ascolto, di audience, cosa che è utile sia per avere un’idea della performance dei prodotti andati in
onda sia per pianificare l’offerta futura.
Poi si ha anche la scaletta di emissione, che è un documento più articolato e composito e che
contiene minuto per minuto tutto quello che il flusso televisivo contiene (quindi, oltre ai programmi,
mostra anche le indicazioni dei break pubblicitari e dei promo, cioè mostra tutto quello che
costituisce il flusso).
Non c’è dunque un solo palinsesto, ma tanti palinsesti, a seconda di ciò di cui ci occupiamo.
Un’altra questione importante è la riflessione sulla parola “palinsesto” che risulta molto adatta,
perché coglie molto il senso di cosa è un palinsesto. Palinsesto, infatti, letteralmente significa
“scritto e riscritto”, “raschiato di nuovo”. Questo termine esiste solo in italiano ed è stato preso dalla
filologia. È un termine che trasmette un’idea di incompiutezza, di qualcosa che si ridefinisce nel
corso del tempo.
Ad ogni modo il palinsesto si prepara con largo anticipo e viene cambiato e specificato mano a
mano che ci si avvicina al momento della vera e propria emissione. Si può parlare di palinsesto
annuale, mensile e settimanale.

Palinsesto annuale
Viene preparato prima dell’inizio della stagione e dà un’idea generale di quello che la rete offrirà
nel corso della stagione e nel corso dell’anno. Solitamente, spesso viene anche pubblicizzato (nel
caso in cui ci sia un programma nuovo o una nuova edizione). Questi palinsesti vengono condivisi
con così tanto anticipo non solo per annunciare l’offerta delle reti, ma anche perché c’è un pubblico
particolare, il pubblico degli addetti ai lavori, che ha bisogno di sapere che cosa la rete offrirà.
Queste informazioni, infatti, sono importantissime per chi vende pubblicità: colore che vendono
spazi pubblicitari e coloro che li acquistano devono sapere che cosa la rete gli offrirà, e questo è
fondamentale per la televisione commerciale, ma anche per tutta quella televisione che raccoglie
pubblicità (quindi è importante anche per la televisione di servizio pubblico e per la televisione a
pagamento).
Palinsesto mensile
Questo palinsesto viene chiuso con un certo anticipo, a circa tre mesi di distanza dalla messa in
onda.
Palinsesto settimanale
Viene chiuso una quindicina di giorni prima dell’inizio delle trasmissioni, anche se in realtà resta
comunque aperto (infatti, in casi eccezionali può essere cambiato all’ultimo momento). Questo è il
palinsesto più definito di tutti e mostra cosa la rete offre per una determinata settimana.
Perché viene chiuso una quindicina di giorni prima dell’inizio delle trasmissioni? Perché dovrà
essere mandato alla stampa e più precisamente ai settimanali, in particolare ai settimanali televisivi,
che sono molto popolari tra gli spettatori. Ad ogni modo questo palinsesto resta aperto e viene
cambiato in occasione di casi eccezionali (ad esempio se succede qualcosa di catastrofico, un
evento importante). Oppure, un altro aspetto sempre abbastanza imprevedibile è legato al fatto di
quando, tenendo conto dei concorrenti, si capisce in qualche modo di aver fatto un errore di
programmazione. Ad esempio, quando si è messo in palinsesto un prodotto di pregio, costato molto
a livello di produzione, che va in onda la prima settimana ma viene subito massacrato dai
concorrenti. In questo caso si può decidere di cambiare il palinsesto; oppure quando i concorrenti
stessi hanno cambiato il palinsesto all’ultimo minuto, e quindi anche noi siamo costretti a
cambiarlo. Sono questi casi molto rari, perché le reti devono dare sicurezza ai propri destinatari.
Dunque, quando si parla di “flusso”, si parla di questo insieme pianificato di parti, caratteristica
specifica della comunicazione del broadcasting e del medium televisivo, che è un medium
temporale, diverso dall’editoria e dal cinema proprio perché si basa sulla costruzione di una
temporalità rigida. Questo tempo, infatti, non è modificabile dallo spettatore (anche se, in realtà,

139
oggi esiste la televisione on demand e la possibilità di registrazione, due opzioni che consentono di
rendere più flessibile questo flusso rigido e pianificato).
Questo flusso pianificato comprende i programmi, che sono la parte fondamentale, ma anche i
blocchi pubblicitari (che rappresentano la parte più importante per i broadcaster, perché è la parte su
cui si basa il modello di business della televisione gratuita) insieme a tutto quello che riguarda i
promo e la comunicazione di canale.
I promo sono uno strumento per la comunicazione di canale, ma ci sono anche altri strumenti per
definire l’immagine e il brand di una rete (cosa che è importantissima per trasmettere agli spettatori
la “promessa” della rete).
Si capisce quindi la specificità della testualità televisiva. I testi televisivi sono i programmi, ma
questi programmi, inseriti nel meccanismo, non valgono di per sé, valgono bensì solo se considerati
in un contesto più ampio che è il palinsesto stesso. L’insieme del palinsesto assume un significato
comunicativo più ampio di un testo specifico.
Ciascun prodotto si inserisce in una sequenza di prodotti. C’è una logica che riguarda come questo
flusso viene costruito e pianificato e c’è una continua dialettica tra le parti e il tutto, dove il tutto
non è un semplice insieme parti, ma comunica di più, comunica l’offerta complessiva della rete.

La denominazione “palinsesto”
Il palinsesto è chiamato così solo in italiano ed è una parola che significa letteralmente “raschiato di
nuovo”. È un termine preso dalla filologia e deriva dal fatto che i primi dirigenti della televisione
italiana erano tutti uomini molto colti. Sono persone di cultura, e perciò l’organizzazione temporale
del flusso televisivo lo chiamano “palinsesto”, termine che richiama ai loro studi classici. In
francese il palinsesto è chiamato semplicemente “grille” (griglia), in inglese “schedule”. In italiano,
invece, c’è l’idea di una correzione continua. Questa idea è presente già dagli anni ’50, quando il
canale è uno solo, diventando ancora più importante oggi, dove canali sono 180.
Ma cos’è il palinsesto? Non è una sola cosa, ma è almeno 3 cose diverse fra loro correlate. Il
palinsesto è:
• Forma. Il palinsesto è banalmente la tabella oraria in cui si collocano i prodotti che
caratterizzano l’offerta della rete. Si tratta di una griglia vuota che deve essere riempita di
contenuto.
• Contenuto. Nel palinsesto ci sono i programmi, ma anche i promo e i break pubblicitari, che
devono essere inseriti.
• Logica. La logica è un criterio generale che guida la composizione del palinsesto e dipende
da tanti elementi: ad esempio dipende dalle caratteristiche di fondo del broadcaster stesso, se
è una rete commerciale, una televisione di servizio pubblico o una televisione a pagamento;
oppure se si tratta di una rete generalista o di una rete tematica. Le logiche di fondo guidano
nel riempimento, danno una linea e delineano il riempimento di questa griglia.

La forma
La forma sembra qualcosa cosa banale, ma in realtà fa riferimento alle caratteristiche specifiche del
tempo televisivo e dunque in primo luogo bisogna distinguere due tipologie di giornate che
caratterizzano la televisione:
• Giornate feriali
• Giornate festive. Anche se il sabato non è del tutto diverso dalla programmazione dei giorni
feriali, ma introduce dei cambiamenti in modo da fare da anello di congiunzione tra i veri e
propri giorni feriali e il festivo che è la domenica.
Le fasce orarie, poi, sono diverse in Italia rispetto a quelle degli altri paesi e tendono spesso a
sforare l’ora.

140
La stagionalità è un altro elemento importante soprattutto per il tema della raccolta pubblicitaria.
C’è, in questo caso, la distinzione tra due grandi momenti stagionali che vengono chiamati “periodi
di garanzia”:
• Settembre – dicembre. È il periodo più importante di tutti: tutti gli investimenti si
concentrano sulla garanzia di autunno perché sono i mesi in cui il consumo televisivo è più
alto (le persone passano più tempo in casa e il consumo di televisione è maggiore).
• Gennaio – maggio. Periodo di programmazione più tranquilla.
I periodi di festa (Natale, Pasqua) e il periodo estivo vengono considerati bassa stagione (vengono
mandate in onda repliche o prodotti acquistati, meno costosi delle produzioni).
Questa dinamica del tempo televisivo stagionale fa riferimento all’andamento dei consumi, ma si
può dire che è anche come un “cane che si morde la coda”: infatti, se i grandi broadcaster tendono a
concentrare la produzione su questi due grandi periodi di garanzia, e gli altri periodi vengono
considerati di bassa stagione, significa che in questi periodi di bassa stagione non c’è nessuno che
guarda la televisione non solo perché si va in vacanza, ma anche perché non c’è nulla in televisione.
Nel passaggio dalla televisione di monopolio alla televisione dell’età dell’abbondanza (si passa da 6
/7 canali a 200 canali) succede un fatto importante: i canali nuovi, infatti, ragionano in maniera
diversa rispetto ai grandi broadcaster e tengono un palinsesto forte anche durante la bassa stagione,
diventando più aggressivi nei confronti dei broadcaster generalisti. Tutto questo per farsi apprezzare
da un pubblico che sta consumando televisione e che però è legato per abitudine alle reti generaliste
(questa è una dinamica molto forte per le reti generaliste).

Il contenuto
Il contenuto è la parte forte del sistema televisivo: un broadcaster ha di fronte una duplice via per
creare la propria offerta, che si traduce in una domanda secca che i broadcaster si pongono. La
questione è: make or buy? Se si acquistano prodotti finiti, fatti altrove, quali generi si acquistano? I
grandi film, oppure le serie televisive? Il grande bacino di acquisto generalmente sono gli Stati
Uniti , dove le reti generaliste in prima serata sicuramente programmano grandi blockbuster
americani, ma anche, ad esempio, le commedie italiane. Ovviamente poi ci sono obblighi di
acquisto di prodotto nazionale per le reti televisive, in particolare europee. Tutte le reti televisive
europee (tranne le reti britanniche) hanno l’obbligo di acquisto e di programmazione di prodotti
televisivi europeo ed, in particolare, nazionali. La televisione, oggi, è dunque il principale supporto
affinché possa sussistere un’industria nazionale dell’audiovisivo, proprio perché i paesi europei
sono in grande difficoltà dovuta alle differenziazioni a livello nazionale (l’Europa è divisa in tanti
piccoli stati, ciascuno con la sua cultura nazionale; non si parla di un paese grande come gli Stati
Uniti). Tuttavia la produzione televisiva nazionale, in Europa, è molto limitata.
Se si decide di produrre: cosa si produce? Certamente tutta l’informazione della rete: vengono
prodotti i telegiornali, le inchieste e i prodotti informativi, insieme a tutta quell’area di infotainent
(area di informazione leggera), che presenta contenuti leggeri che contengono però una parte di
informazione giornalistica (e quindi richiedono dei giornalisti). Poi viene prodotto l’intrattenimento
e anche la fiction (quando questa non viene acquistata). Di solito, nel caso della fiction, c’è la co–
produzione con case di produzione indipendenti e spesso, soprattutto nel capo di intrattenimento e
del reality, questa co–produzione si basa su un format che consente da un lato di avere un prodotto
di riferimento originale e di adattarlo producendo un programma che ha lagaranzia di essere un
programma di successo (dal momento che ha avuto successo in altri paesi).
Come si muove un broadcaster per acquistare o per produrre?
Dipende da:
• Il budget
• Il profilo storico della rete
• La linea editoriale, cioè il target di riferimento. Certamente le produzioni sono legate alla
linea editoriale (la RAI ha una produzione diversa da Italia 1 o MTV), oppure anche alla

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tipologia di generi (ci sono anche reti che si basano su un solo genere, che puntano a gusti e
forme di consumo molto specifiche.)
• La library, cioè quanti prodotti si sono acquistati, quali film si hanno. Un broadcaster sa
quali prodotti ha acquistato già e può utilizzarli per mandarli in onda quando servono.
• Gli obiettivi di ascolto che un broadcaster si pone. Se un broadcaster vuole fare il 20% o il
30 % di ascolto deve avere una rete grande, e possedere un budget alto.

La logica
Le tre grandi logiche che caratterizzano il sistema televisivo e che nel corso della storia hanno preso
mano a mano il sopravvento sono:
• La logica di servizio pubblico. Si tratta di educare, informare e divertire, e da questo si fa
dipendere l’offerta. La logica del servizio pubblico ha portato ad una continua variazione
della costruzione del palinsesto. Il sistema di business è quello del canone. Questo modello
permane nel tempo, ma vi si affianca poi un modello diverso e minoritario o in parte
inesistente almeno all’inizio (ad esempio la televisione inglese di servizio pubblico rinuncia
alla pubblicità , anche se poi crea una canale diverso da quello classico, di servizio pubblico,
per introdurre in qualche modo la pubblicità, cioè ITV), che è il modello commerciale.
• La logica commerciale. Si punta a massimizzare l’ascolto, cioè a raggiungere il massimo
ascolto sui target che si colpiscono, in relazione alle fasce orarie e alla platea complessiva di
una determinata fascia oraria. La pubblicità diventa la fonte primaria di sostentamento del
sistema televisivo. La pubblicità viene sempre di più introdotta nel panorama televisivo sia
per la presenza di nuovi attori sia perché anche il servizio pubblico comincia a raccogliere
pubblicità.
• La logica di offerta pay. In questo caso gli ascolti non sono molto imploranti. L’aspetto
essenziale è il gradimento degli abbonati. Per questo la televisione a pagamento italiana
(Sky Italia) ha dato vita ad una serie di prodotti originali e molto costosi che se si fossero
basati sugli ascolti non sarebbero andati avanti. La logica è che ai clienti e ai prospects (cioè
ai possibili clienti futuri) si offre qualcosa che nessun’altro ha. Si ha la distribuzione del
segnale ad accesso condizionato, cioè via cavo e/o via satellite, cioè si distribuiscono i canali
non più a pioggia, ma con metodi di criptaggio e decriptaggio, e si paga un abbonamento per
consumare. La pay tv muove i suoi primi passi negli anni ’90, ma diventa centrale solo negli
anni 2000. Tra i tre grandi broadcaster che caratterizzano il sistema televisivo italiano, il
numero uno per fatturato è “Sky Italia”, cui segue “Mediaset”, cui segue la “Rai”. Questo ha
chiaramente conseguenze in termini di logica e di costruzione del palinsesto.
All’inizio, con un unico canale c’è un certo tipo di palinsesto, ma poi si deve ragionare sull’offerta
su due canali.
Un aspetto importante riguarda il fatto che, quando avviene il fenomeno della deregolamentazione
(cioè si passa da un monopolio pubblico ad una televisione mista, che vede la compresenza di
servizio pubblico e televisioni commerciali private), la logica di fondo del palinsesto cambia
completamente. Si parla di rivoluzione copernicana. Nella televisione di servizio pubblico il
palinsesto era secondario, perché la produzione era dettata dal rispetto della missione generale del
servizio pubblico, ovvero si pensa prima alla produzione e poi alla costruzione del palinsesto. Nella
logica commerciale, invece, questo rapporto si inverte perché, come dicono gli americani, il
palinsesto “is the king”, diventa il punto di partenza: parto dal palinsesto per decidere cosa andare a
produrre. Questo è molto importante per il marketing delle reti televisive ed è il principio che
governa la produzione televisiva.

La comunicazione della rete


I contenuti della comunicazione di rete sono:
• Promo
• Teaser, che serve per lanciare un prodotto e creare curiosità negli spettatori.
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• Ident, che è un promo esteso che serve semplicemente a presentare la rete. Gli ident non
sono stati usati frequentemente ma in certi casi sono stati molto importanti.
• Bumper. Si tratta di un brevissimo frammento che viene mandato in onda tra la pubblicità e i
programmi televisivi, e chiude o apre il break pubblicitario, dando l’idea di cosa la rete
vuole comunicare agli spettatori.
Visione di diversi bumper della NBC (1996) (es.
https://www.youtube.com/watch?v=S4nSA3hBoFk ), dei Classic MTV ident (1981) (es.
https://www.youtube.com/watch?v=2zkKvJ67omU ), di diversi bumper della Mediaset (1980-1984)
(https://www.youtube.com/watch?v=SO342u-aomw ) e del trailer della nuova serie prodotta da
FOX “Wayward Pines” (https://www.youtube.com/watch?v=RsQ9Fl0VCkk). Questa è una serie
che si inserisce dentro una tradizione di racconto che risale a “Twilight zone. Ai confini della realtà”
ed è stata una produzione grossa, con autori importanti.

Fasi della storia della televisione


La logica definisce proprio una certa forma di contenuto.
La prima fase della storia della televisione, che va dal 1954 al 1960, è caratterizzata da quello che
Lord Reith chiama “the brutal force of monopoly” (la forza brutale del monopolio), dove esiste un
unico canale, e ciò vuol dire “condizionare il tempo sociale”. La televisione di servizio pubblico
cerca di guidare gli spettatori ad un buon uso del medium, cerca di mimare la vita sociale (ad
esempio, c’è la fascia di programmazione del “ritorno a casa”; o c’è la “televisione dei ragazzi”, per
quando i ragazzi tornano a casa da scuola).
Gli anni ’60 in Italia, cosi come in Europa, si caratterizzano per la nascita del secondo programma
(in particolare in Italia questo accade nel 1961) e per l’insorgenza delle prime questioni che hanno a
che fare con la creazione di un palinsesto concorrenziale: cioè pur all’interno del servizio pubblico
ci si domanda come gestire il rapporto tra queste due offerte, quella del primo e quella del secondo
programma. Si tratta cioè di complementarietà e concorrenza, ma sempre all’interno della logica
dominante che è quella del servizio pubblico.
Dal 1975 (anno della riforma della Rai) inizia una concorrenza televisiva più forte, perché alle reti
di servizio pubblico viene concessa una maggiore autonomia: i programmi, che sono due, a fine
anni ’70 diventano tre; inoltre dalla fine degli anni ’70 nasce la vera e propria concorrenza con le
nuove reti private e locali che si affiancano al servizio pubblico e che nel corso degli anni ’80 e ’90
diventano reti nazionali.
All’inizio degli anni ’80 viene vietata la trasmissione nazionale per le reti private. Allora Berlusconi
ha l’idea di comprare delle reti locali, programmando su queste reti gli stessi programmi presenti
nelle sue reti private agli stessi orari e queste reti locali, in questo modo, non fanno più pubblicità
per il mercato locale, ma per Barilla, che ha bisogno di un pubblico nazionale. Questo segna la
grande rivoluzione: la televisione privata viene pensata come un network che può funzionare solo in
termini di televisione nazionale.
Anche la televisione locale esiste, ma si costruisce in maniera diversa e si rivolge ad un mercato
diverso anche per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria.
Con la deregolamentazione e la nascita dei network diversi personaggi cercano di creare imprese
televisive commerciali e nazionali, ma fanno diversi errori. Chi capisce meglio come funziona il
sistema televisivo è Berlusconi, che in questi anni acquista la serie televisiva “Dallas” dalla RAI, la
quale aveva mandato in onda questa serie televisiva come una sorta di film a puntate, senza capire
invece la necessita di individuare un appuntamento fisso seriale. Berlusconi capisce invece la
necessità della serialità per questo prodotto, e cosi facendo riesce a dare a “Dallas” un successo
clamoroso, tanto che tutti aspettavano il momento della “prime-time soap” (cioè di un prodotto in
prima serata, con la struttura della soap opera). Poi ancora Berlusconi ha capito che il calcio in Italia
avrebbe avuto un successo clamoroso, perciò comincia a produrre “Mundialito”, che insieme a
“Dallas”, fu uno dei prodotti di maggior successo.

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La televisione berlusconiana già nel 1984 diventa speculare alla RAI, perché presenta già tre reti
che possono targetizzare in modo diverso (“Canale 5” per le famiglie, “Rete 4” per un pubblico
adulto/anziano e femminile, e “Italia 1” per un pubblico giovanile). La targetizzazione, invece, in
quegli anni era ancora sconosciuta alla RAI, ed era una novità.
Dal punto di vista dei contenuti, la televisione privata commerciale italiana non è cosi diversa dalla
RAI degli anni ’70: si producono per il sabato sera degli spettacoli di varietà, all’inizio si acquistano
prodotti che costano meno, e quindi tutta la serialità americana (che prima era arrivata ma in
maniera scarsa), si acquista l’animazione giapponese per i ragazzi (vs televisione dei ragazzi della
RAI). Inoltre la Fininvest si inventa prodotti molto popolari e di successo come “Drive in”, un
programma che in parte riprende i programmi satirici e comici realizzati dalla RAI, dandogli però
un ritmo nuovo.
Con “Drive in” siamo in un posto dove ci sono tante macchine, al cinema, e ci sono degli sketch
molto brevi (di solito sono 2 o 3 sketch) che vengono trasmessi all’interno del periodo di messa in
onda della pubblicità, cosa che si adattava moltissimo alla “new television”.
Se i contenuti, in parte sono nuovi e in parte risultati di adattamenti, in realtà non sono tanto
innovativi, le novità più consistenti arrivano dal concepire in maniera nuova e diversa il palinsesto.
Quando si parla di americanizzazione non si parla di americanizzazione del contenuto (ad esempio,
la comicità è comunque molto nostrana) ma dei americanizzazione palinsesti. Questa
americanizzazione della struttura, proviene dall’americanizzazione del palinsesto, e tutto questo
comporta dei cambiamenti di logica: la logica del palinsesto della televisione commerciale mette al
centro il palinsesto stesso. Se prima la produzione era la prima cosa (cioè prima si produceva e poi
si decideva poi dove mandare in onda il prodotto) oggi il palinsesto diventa il re (the king),
l’elemento centrale e il principale strumento di marketing dell’industria televisiva.
Il palinsesto è una sorta di mix eterogeneo, un flusso pianificato (cfr. Raymond Williams), che
riguarda tre macro elementi: i programmi, i generi e la pubblicità.

I programmi
Sono la parte più importante del palinsesto e si differenziano per alcuni elementi di fondo, non solo
per quanto riguarda il genere, ma in primo luogo per il fatto che si tratta di una produzione, che
viene fatta in un certo spazio (ci si chiede dunque dove viene realizzato il programma, se all’aperto,
in studio, ecc.) e in un certo tempo (cioè ci si chiede come viene realizzato il programma, se in
diretta, con la registrazione, in differita, ecc.). Oggi molti programmi che sembrano delle dirette
spesso invece sono delle differite o delle registrate. Ad esempio, “Striscia la notizia” è spesso in
differita; oppure “Otto e mezzo” normalmente è registrata qualche ora prima della sua messa in
onda. Capire se si tratta di un programma registrato o in differita non è sempre facile, ma
sicuramente se si vede un certo tipo di montaggio si capisce che la puntata non è una diretta o se si
tratta di un prodotto di acquisto.

I generi
Ci sono grandi macrogeneri all’interno del sistema televisivo e nel palinsesto si alternano questi
generi. La loro presenza dipende dalle caratteristiche del palinsesto: ad esempio se si tratta di un
palinsesto generalista (fatto dalla composizione di generi differenti) o di un palinsesto tematico
(cioè dedicato ad un tema specifico; ad esempio esiste “Bike Channel”, un canale dedicato agli
amanti delle biciclette). Poi ci sono le vie di mezzo. Le reti del digitale terrestre nate negli anni
2000 sono minigeneraliste, ad esempio “Real time”, “D–Max”, “Rai 4”, non possono essere definite
“reti generaliste”, perché non hanno tutta quella varietà di generi che caratterizza le reti generaliste,
ma si caratterizzano per un numero limitato di generi; perciò ancora di più puntano ad una chiara
targetizzazione: “Real time” punta a raccogliere un pubblico femminile con età compresa tra i 15 e i
34 anni. “D–Max” fa la stessa cosa, ma sviluppata su una chiave più maschile. Queste sono dunque
reti targetizzate, con un palinsesto che si sviluppa su una serie di generi molto affini (come il factual
entertainment).
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La pubblicità
In primo luogo il si tratta del break pubblicitario di 30 secondi, collocato insieme a diversi altri spot
pubblicitari. La durata classica dello spot pubblicitario è appunto 30 secondi, ma ci possono essere
formati e durate differenti. Ogni variazione rappresenta un elemento di differenza e segna qualcosa
che si fa notare, un evento (ad esempio quegli spot pubblicitari che durano un minuto e mezzo, o
due minuti). C’è tutta una serie di forme possibili. La cosa su cui oggi si punta molto è il “branded
entertainment”, o “branded content”; da un lato questa forma è stata in parte regolamentata, nel
senso che si possono introdurre prodotti commerciali nei programmi televisivi; dall’altro lato,
l’introduzione del “branded entertainment” marca la crisi della pubblicità tradizionale, per cui c’è
sempre lo zapping dello spettatore durante la pausa pubblicitaria; allora a questo punto la pubblicità
non viene collocata più tra i programmi ma costituisce i programmi stessi. Questa forma di
pubblicità nasce soprattutto al cinema, come forma di “placement”.
C’è stato un caso di “placement” bruttissimo in una seria prodotta da Sky chiamata “1992”, in cui
c’erano due minuti di discussione tra Giovanni Rana e i vertici di Publitalia, dove il dubbio era se
nella pubblicità dei prodotti di Giovanni Rana, avrebbe dovuto esserci anche lui stesso in persona.
Ci sono poi “placement” più raffinati, ad esempio quando si ha un reality sui DJ e lo si fa in
collaborazione con delle radio. Queste sono forme di “branded content” più complesse, in cui
un’impresa va a finanziare la produzione di un prodotto audiovisivo, realizzato in collaborazione
con una casa di produzione o una rete.
Questo è un campo piuttosto complesso e articolato che segna alcuni avvenimenti importanti, come
la crisi dell’efficacia della pubblicità, ma anche l’abbattimento di una serie di confini tradizionali,
che caratterizzano l’industria mediale contemporanea, tra media e non media: in molti casi le
industrie non mediali si rivolgono a dei broadcaster per produrre contenuti audiovisivi, ma anche
industrie non mediali diventano loro stesse dei produttori di contenuti (ad esempio c’è il caso di
un’industria multinazionale di giocattoli , la “Lego”, che produce miniserie e film, come il recente
“Lego. The movie”). Naturalmente oggi i broadcaster hanno interesse soprattutto a cercare di
convincere le imprese a investire in queste forme perché cosi facendo riescono ad abbattere i costi
di produzioni (e questo vale soprattutto per le reti più piccole come quelle del digitale terreste)
offrendo un prodotto più efficace (ad esempio l’impresa “Chicco”, che insieme a “Real time”
produce “Ostetriche”).

Gli equilibri di palinsesto


Quando si costruisce un palinsesto la scelta essenziale che deve esser fatta da una rete è la
dicotomia tra make or buy, cioè tra acquisto o produzione. Se si dovesse fare un analisi del
palinsesto, si dovrebbero prendere in considerazione tutti questi elementi a partire dal fatto che i
prodotti televisivi iscritti in un palinsesto si dividono in:
• Diritti, per i prodotti acquistati altrove (es “Grey’s anatomy”)
• Produzioni, prodotti preparati appositamente per la rete (“Amici”)
• Eventi. Ad esempio quando parla il presidente della repubblica: la televisione si fa canale di
trasmissione di un evento organizzato o da altri o dagli stessi broadcaster.
I palinsesti dipendono dagli obiettivi e dagli obblighi differenti che i diversi tipi di broadcaster si
pongono. Il servizio pubblico ha obiettivi che, pur essendo stati ridefiniti con il tempo, contengono
l’idea di dar voce alle diverse istanze culturali, politiche e sociali del paese. La televisione
commerciale, invece, punta a massimizzare gli ascolti e i profitti. La televisione tematica punta a
conservare il gradimento di chi sottoscrive l’abbonamento.
Le scelte di palinsesto dipendono anche dalla grandezza della rete: le reti più grandi, le cosiddette
reti ammiraglie, generaliste, si rivolgono ad un pubblico ampio e hanno un budget che è
conseguenza della loro grandezza; poi ci sono anche dei canali più piccoli e mirati (che puntano a
massimizzare l’ascolto su uno specifico pubblico a cui mirano).

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Un altro elemento importante è la presenza maggiore o minore di repliche e prodotti inediti. I canali
del digitale terrestre sono caratterizzati dal fatto di poter presentare insieme oltre a prodotti nuovi
anche una grande quantità di repliche oppure di canali costruiti con l’obiettivo di dare allo
spettatore la possibilità di vedere dei prodotti. Si tratta di “catch up”, che ha a che fare con il tema
della “televisione dell’abbondanza”, per cui si creano canali cosiddetti “slave” che ritrasmettono
dopo una o due ore gli stessi programmi; oppure trasmettono “il meglio di” (come fa “Mediaset
Extra”).
Altro strumento fondamentale per l’analisi di un palinsesto è l’attenzione alla costruzione verticale
o orizzontale del palinsesto:
• Struttura verticale: struttura del palinsesto durante ogni giornata
• Struttura orizzontale: non è una strutturazione secondo ciascun giorno della settimana, ma
prende in considerazione tutto l’arco della settimana.
Ad esempio, parlando delle classiche reti generaliste, queste si strutturano in orizzontale sotto forma
di striscia nel daytime. Ad esempio, il lunedì pomeriggio c’è “Beautiful” in palinsesto, seguito da
“Uomini e donne”, ma questa struttura non c’è solo il lunedì, bensì dal lunedì al venerdì (striscia
orizzontale). Il prime time, invece, storicamente cambia questa dinamica, perché introduce
l’elemento dell’appuntamento. Quindi c’è una forte organizzazione orizzontale, ed in particolare a
striscia orizzontale, per il daytime, mentre un’organizzazione più verticale ad appuntamento per il
prime time, per cui ogni giorno della settimana ci sarà un appuntamento differente.

Le strategie di programmazione del palinsesto


Con il passaggio da una televisione di servizio pubblico, ad una televisione commerciale viene
americanizzato il palinsesto piuttosto che il contenuto. Come avviene questo? Vengono introdotte
delle strategie di costruzione e di strutturazione del palinsesto (in questo caso la Fininvest di quegli
anni regina e importa al meglio queste strategie):
• Striscia. È la principale strategia di costruzione del palinsesto orizzontale. Si programma
allo stesso giorno, nello stesso orario, ogni giorno della settimana (anche se la domenica,
insieme anche al sabato di solito fanno un po’ gioco a sé) la stessa trasmissione. A questo
punto è chiara la ragione per cui Antonio Ricci, negli anni ’80, chiama il suo programma
“Striscia la notizia”, che è infatti un programma che va in onda alle 20.00 di sera, tutti i
giorni della settimana, in striscia.
• Traino. È la principale strategia di costruzione del palinsesto verticale (vs la striscia). I
programmi in onda vengono collocati in modo tale da essere in una posizione che consente
di portare, di trainare, tutto il pubblico, che nel corso della giornata si aggiunge al pubblico
che già sta guardando la televisione, al programma successivo: si traina lo spettatore verso il
programma successivo. Il principale palinsesto della televisione commerciale, che è quello
di “Canale 5” è tutto basato sul traino: prima ci sono programmi che guardano
prevalentemente ad un pubblico solo femminile, poi andando avanti con la giornata il
pubblico si amplia e il palinsesto viene sempre più differenziato: nella fascia del preserale si
collocano programmi che puntano ad un pubblico più aperto, poi il telegiornale, poi un
programma di varietà come “Striscia la notizia”, ed infine il programma di prima serata. In
tutto questo tempo, la curva della platea complessiva aumenta dal preserale alla prima
serata, ed in questo modo si trascina il pubblico da un programma all’altro.
Ci sono poi altre strategie che contribuiscono a definire questo traino. Ad esempio: se si deve
mandare in onda un prodotto meno noto, lo si colloca in mezzo a due prodotti forti, che prendono
tanto pubblico, in modo che questo giovi al nuovo programma.
Intere strutture aziendali lavorano sulla costruzione del palinsesto.
Ci sono poi altre due strategie di programmazione fondamentali:
• La contro–programmazione (counter progamming). Indica una tipologia di programmazione
che mira certo ad essere competitiva, ma competitiva su un pubblico e un genere diverso da
quello proposto dai concorrenti. Ad esempio, se il mercoledì sera “Canale 5” trasmette una
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partita di Champions, RAI fa una contro–programmazione, puntando su un genere o su un
pubblico diverso, perché sa già che perderà un certo tipo di target, allora cerca di
raccoglierne altro, e ad esempio, trasmette un programma sentimentale, adatto ad un
pubblico femminile.
• L’anti–programmazione (anti progamming). È una strategia in cui ci si scontra (competitive
programming): si cerca di andare in battaglia sullo stesso pubblico e sullo stesso genere; ad
esempio c’è una fiction o un programma di intrattenimento su una rete? Si mette, come anti–
programmazione una fiction o un programma di intrattenimento. Questa è una strategia
molto rischiosa se si lancia magari un programma nuovo e più debole contro un programma
fortissimo.
La scelta tra queste due strategie dipende da tante cose: innanzitutto da quello che si ha a
disposizione a livello di prodotti, ma anche dal fatto che si pensa di vincere la partita anche con
un’anti-programmazione.
Visione di un programma degli anni ’90 che andava in onda sulla BBC, “Changin rooms”, origine
del genere “factual”, promo di “Lost” proposto dalla Gran Bretagna, ed in particolare da “Channel
4” https://www.youtube.com/watch?v=4hBI7ijfXE8 vs promo statunitense
https://www.youtube.com/watch?v=Rz1yHmUW05Y
È quasi come se si avesse a che fare con generi differenti: in Gran Bretagna la dimensione
drammatica è molto forte, a differenza degli Stati Uniti dove il centro su cui si punta è l’azione.
Queste sono due interpretazioni diverse dello stesso prodotto, per evidenziare la capacità dei promo
di dare una lettura, una indicazione di genere differente.

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26. IL GENERE TELEVISIVO

Cos’è un genere? Certamente il genere è qualcosa che provoca un effetto sullo spettatore (ad
esempio, la commedia fa ridere; l’horror fa paura). Ma il genere è anche una macrocategoria, una
forma di classificazione in cui si trovano dei testi differenti.
Questo vale per ciascun mezzo di comunicazione o anche per la letteratura. Ciascun medium
definisce dei confini di genere e questo è un punto di partenza abbastanza chiaro. In realtà, rispetto
a questo punto di partenza generale, si può dire che il genere è qualcosa di più, è un concetto molto
più complesso e difficile da afferrare.
Quando si vede il modo in cui i prodotti televisivi vengono definiti secondo genere, ci si rende
conto di trovare una molteplicità di etichette di genere che colgono alcuni aspetti e caratteristiche di
un certo tipo di prodotto rispetto ad altre, e queste caratteristiche sembrano molto mutevoli e
cangianti nel corso del tempo.
Ad esempio, un prodotto come “Changing rooms”, capostipite di un genere che poi verrà sviluppato
negli anni 2000, si può definire secondo il genere del factual o del reality tv, anche se oggi, in
realtà, lo definiremmo diversamente, poiché, a partire da “Big brother” la fisionomia della reality è
cambiata; per cui il reality ha qualcosa di analogo al “Grande fratello”, anche se l’etichetta di
“reality” negli anni ’80 era utilizzata per prodotti con caratteristiche diverse. Oppure, si può dire che
appartenga al genere del “make over” (si tratta cioè di prodotti televisivi che si basano sull’idea del
cambiamento, ad esempio, dell’abbigliamento, ecc.).
All’interno di “Changing rooms” in realtà si trovano tanti generi precedenti che vengono mescolati
in maniera nuova.
In realtà “Changing rooms” è un gioco con dei concorrenti che partecipano e che alla fine si vedono
trasformata la propria casa; ma presenta anche una dimensione di reality.
La caratteristica della reality tv è quella di vedere in televisione non dei personaggi famosi, ma
personaggi comuni, e questo trova un suo antecedente, in qualche modo, nel documentario. Perciò,
un prodotto di factual entertainment non è un caso che nasca in Gran Bretagna, uno stato che ha una
tradizione molto forte per quanto riguarda il documentario, che viene anche finalizzato a mostrare
piccoli aspetti della vita quotidiana. Di qui ha origine tutta una serie di programmi nuovi. Ad
esempio, anche il talk show aveva dei magazine al proprio interno dedicati ai consigli sul
giardinaggio, piuttosto che sulla casa (si apre quindi tutta la dimensione del tutorial). Insomma, ci
sono radici piuttosto complesse.
Cosi come la definizione di “Lost” è difficile. Certamente appartiene al genere del drama, termine
con cui, nella televisione americana, si definisce una parte di prodotti di fiction costruiti su un
intreccio drammatico e che hanno caratteristiche di formato molto precise: ad esempio hanno la
durata di un’ora, a differenza della sitcom che ha un formato e un’origine differente, perché affonda
molto di più le sue radici nel teatro, tanto che ancora oggi viene registrata dal vivo, con un pubblico
presente, che applaude.
Certamente “Lost” è un drama, ma nello specifico, in termini di genere, come si definisce questo
drama?
Le etichette che sono nate sono molte:
• Disaster programme, tradizione cinematografica di racconti su un disastro (nel caso di
“Lost” si tratta di un disastro aereo, a seguito del quale si ha l’approdo, da parte dei
personaggi, su un’isola sconosciuta).
• Science fiction, si tratta di fantascienza (nel caso di “Lost”, ad esempio, sull’isola compare
un orso polare).
• Crime thriller, qualcosa di legato anche al genere crime.
• Soap opera, è presente infatti l’idea, tipica della soap, della continuità: c’è un climax alla
fine della puntata, che serve per aprire episodio successivo, e che, sostanzialmente, chiede
allo spettatore di seguire anche la puntata successiva.
• Religious fantasy, la chiusura di “Lost” , infatti, è molto metafisica, quasi religiosa.
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“Lost” è una serie che di volta in volta ha giocato su queste etichette di genere: la serie orienta lo
spettatore su un’etichetta piuttosto che un’altra. Infatti è anche ovvio che un testo complesso abbia
questa ulteriore complessità all’interno.

Il paradosso del genere


C’è qui una sorta di paradosso complessivo: la nozione di genere per il sistema mediale e televisivo
è centrale ed è un aspetto importantissimo perché ha funzioni diverse:
• Principio di organizzazione. La prima funzione riguarda quello che sta a monte della
produzione mediale, cioè il principio di organizzazione. Il palinsesto è l’offerta di una rete,
su cui una delle domande fondamentali che ci si pone è quali e quanti generi ci sono. Sia il
palinsesto sia la produzione partono da osservazioni e considerazioni sul tema del genere.
Ad esempio, quando si avvia una produzione per il preserale di “Rete 4” e di “Canale 5” o
di “Rai 1”, la si avvia per fare un game show, cioè si ha un’idea precisa del genere.
• Definizione e organizzazione dell’offerta. L’attenzione non va solo alla produzione ma
anche al palinsesto.
• Criterio di orientamento per il consumo. Questo sembra dato per scontato, ma è
importantissimo il fatto che il consumo si orienti su categorie di genere. Lo spettatore non si
orienta sul fatto di andare a vedere il film con un certo attore o si un certo regista, ma decide
se guardare una commedia, piuttosto che un film horror. Il genere è lo strumento attraverso
il quale il consumo si orienta.
Questi usi diversi del genere definiscono delle mappe di genere che non necessariamente sono le
stesse. Ovvio che c’è chi ha mappe di genere più raffinate e complesse rispetto alle “mappe di
genere” dello spettatore, ma anche lo spettatore avrà una mappa di genere anche se differente.
Questo per capire come il genere non sia solo una convenzione che riguarda i testi, ma molto di più,
perché riguarda una totalità che mette insieme e fa circolare sia i testi, sia il consumo.
L’altro lato del paradosso è che queste categorie sembrano sfuggire di mano. Ad esempio, la
categoria del reality tv, nata come genere televisivo negli anni ’90 ha avuto successive evoluzioni,
tanto che quello che negli anni ’90 si definiva reality oggi non si definisce più cosi. Ad esempio, il
programma “Stranamore” (dal format anglosassone “All you need is love”), che negli anni ’90
veniva definito reality, oggi dopo il “Grande fratello” non lo è più.
Quella dei generi è una mappa che si trasforma dal punto di vista temporale e storico ma anche dal
punto di vista geografico. I diversi sistemi televisivi saranno strutturati secondo mappe di genere
diverse (la cultura complessiva è diversa; il palinsesto e la forma del tempo televisivo sono diversi;
le caratteristiche dei generi sono diverse).
Inoltre i generi possono essere definiti non più solo come categorie relative ai testi, ma anche come
categorie d’uso. Chi usa queste categorie? I professionisti che si occupano di produzione e
distribuzione. E questo uso dei generi non è coincidente: ci saranno usi diversi a seconda di chi deve
costruire un palinsesto, di chi consuma i generi, ecc.
Sicuramente quando si parla di generi si parla di una tassonomia, cioè di un modo di ordinare e
organizzare materiali in classi ben definite. I generi sono classi ancora molto generali, e sono classi
di prodotti culturali che hanno a che fare anche con la loro distribuzione: ad esempio, una categoria
di genere influenza l’organizzazione spaziale di un palinsesto (come quando in un negozio di DVD
o di dischi si hanno diverse categorie di genere che orientano il consumatore nello spazio). Quindi
quella del genere è una categoria che trova concretizzazione nell’organizzazione di uno spazio, sia
reale, sia virtuale (es. su “Spotify” ci si orienta attraverso le varie categorie dei generi musicali;
“Netflix”, ecc.).
Le categorie di genere vanno anche a definire l’offerta di un canale che, in certi casi, si riferisce
specificamente ad un genere. Questo accade soprattutto quando il palinsesto di un canale è
strutturato non come un palinsesto generalista ma come un palinsesto tematico; allora, in questo
caso, un genere definisce l’offerta di un canale. Ad esempio ci sono i canali “comedy central”, che
presenteranno prodotti scripted, unscripted, di cabaret o show televisivi, in ogni caso, ci si aspetta
149
qualcosa che faccia ridere; oppure ci sono le reti “all news”, e reti come queste devono informare e
fare da “finestra sul mondo”.

Il genere: una storia antica


Cosa cambia, rispetto ai generi, quando arrivano i media e nasce l’industria culturale? I generi non
nascono con l’industria culturale ma la precedono, tanto è vero che il concetto di genere (dal latino
“genus”: classe, categoria, tipo) è utilizzato fin dall’antichità. Il primo trattato teorico sui generi è la
“Poetica” di Aristotele, che ragiona sulla distinzione tra la commedia e la tragedia (offrendo in
particolare le caratteristiche della tragedia); da qui in avanti, poi, i generi verranno utilizzati nella
distinzioni che farà la letteratura.
Una definizione di genere, molto aristotelica, che viene data anche nella “Poetica” è il fatto che il
genere faccia riferimento non a caratteristiche specifiche della tragedia, ma all’effetto che la
tragedia aveva sullo spettatore e sul cittadino della polis: secondo Aristotele, infatti, la funzione
della tragedia è la catarsi, climax sentimentale che porta alla purificazione. Cioè la tragedia
rappresenta una storia e delle vicende anche molto efferate (cfr. “Antigone”; “Edipo Re”) e la
rappresentazione del male diventa funzionale al fatto che i cittadini, vendendo il male rappresentato,
si purifichino da queste passioni negative. Questa è una dicotomia molto presente anche oggi. Cfr. il
dibattito sulla rappresentazione della violenza e del male in televisione, per cui ci sono due partiti
differenti: c’è chi dice che la rappresentazione del male abbia funzione di catarsi e c’è chi dice che
la rappresentazione del male generi effetti di mimesi. La definizione aristotelica , ad ogni modo, è
molto moderna perché è relazionale, cioè ha a che fare col prodotto culturale in rapporto allo
spettatore.

Interpretazioni moderne: Frye e Derrida


Questi due autori, Frye e Derrida, scrivono ancora prima della industria culturale (per cui i generi
riguardano ancora il mondo della letteratura). Questi due autori mettono in piedi una dicotomia: c’è
chi vede i generi come caratteristiche oggettive e universali che stanno all’interno dei testi stessi e
c’è chi dice che i generi derivino quasi solo dalla lettura che si dà dei generi stessi.
Frye ritiene, infatti, che i generi siano degli archetipi universali, per cui tutti i testi letterari seguono
convenzioni generiche. Ad esempio, se c’è un racconto crime, questo parlerà di un cadavere e di chi
ci investiga sopra.
Ci sono quindi delle regole generali, che riguardano le convenzioni su cui i testi sono costruiti e
queste convenzioni sono universali. Questa visione punta molto l’attenzione sulla dimensione del
testo ma destoricizza il testo, come se i generi ci fossero da sempre, e fossero sempre uguali in tutte
le culture.
Sul versante opposto Derrida ritiene che non ci siano caratteristiche essenziali, fisse e stabili nei
generi, ma che essi siano formazioni soggettive che dipendono dal mondo in cui vengono letti e
interpretati i diversi testi e i generi stessi. I testi, secondo Derrida, sono estremamente polisemici,
cioè contengono letture differenti al proprio interno, ed è il lettore che limita questa polisemia,
dandogli una direzione (es. i promo, per cui si prendono pezzi del testo di partenza, e a partire da
questi si possono dare interpretazioni di genere molto diverse). I generi per Derrida sono categorie
definite dall’interpretazione dei lettori, che vanno a delimitare l’infinita polisemia dei testi.
Cosa succede con la nascita dell’industria culturale? La cultura perde la distanza dell’oggetto
culturale, che diventa prodotto culturale e merce culturale, cioè assume un valore economico, e può
essere acquistato e venduto. Emerge una produzione, un mercato di massa e nascono i mezzi di
comunicazione di massa. In questo contesto i generi assumono un’importanza ancora maggiore
perché, se prima dell’avvento dell’industria culturale la riflessione sui generi poteva coinvolgere lo
scrittore e il critico letterario (quindi una cerchia ristretta di persone) con la nascita dell’industria
culturale, i generi diventano categorie d’uso che coinvolgono tutti coloro fanno uso dei prodotti
culturali (produttori, distributori e consumatori). Si sviluppa quindi la centralità del concetto di
genere, dopo avvento dell’industria culturale.
150
In particolare Edgar Morin nel suo saggio “L’esprit du temps” afferma che i generi hanno una
duplice funzione:
• Standardizzare e rendere familiare la produzione. Il cinema hollywoodiano da un lato
costruisce delle categorie di genere (l’horror, il melodramma, il noir, il western, il musical,
grazie all’avvento del sonoro sincronizzato), che standardizzano: diverse major
cinematografiche, ragionando in termini di economia di scala, si focalizzano su alcuni
generi, con il risultato di avere una produzione quasi in serie, su modello della fabbrica di
Ford (ad esempio, “Dracula” ha un successo straordinario e dà inizio a tutta una serie di film
su un filone di non morti, che hanno molto successo al cinema). L’industria mediale ragiona
in termini di successo (oggi, poi, il vampiresco è tornato di moda, sotto forma di una
dimensione più sentimentale e romantica, cfr. “Twilight”).
• Differenziare la produzione. Ciascun film e ciascun programma sta dentro un genere
standardizzato, ma deve anche apportare delle differenze. I talent show sono tutti uguali dal
punto di vista del genere (raccontano di un gioco con tanti protagonisti, che vengono messi
alla prova ed eliminati, fino ad arrivare al miglior talento) ma ciascun prodotto va a
differenziare un elemento (ad esempio la sedia girevole di “The voice”, o giuria che litiga in
“X factor”, o la possibilità di visualizzare il pubblico che vota tramite i social in “Raising
Stars”).

L’uso dei generi


Chi fa uso dei generi?
• La produzione
• La distribuzione e l’offerta
• La critica (rewiwing)
• Lo spettatore (watching)
I prodotti vengono distribuiti e consumati secondo categorie di genere.
I generi non sono solo norme e convezioni. Sono in parte anche questo, ma sono anche norme
condivise da tutti i soggetti che definiscono il sistema culturale; quindi anche noi, in quanto
spettatori, orientiamo la produzione. E anche le grandi majors e i grandi broadcaster si orientano
sulla produzione (se un prodotto ha successo va avanti con quel prodotto). Ad esempio, “The
walking dead” nasce da un fumetto di nicchia e arriva a diventare la serie cable più seguita (tanto
che la quinta stagione è partita con 17 milioni di spettatori). Questo ha fatto si che in questi anni i
giornali americani stabilissero che “la mitologia zombista sta diventando più importante dei
vampiri”. Per questo, il canale americano CW (un canale per giovani), sta trasmettendo in questi
anni una serie chiamata “Zombies”, che sta avendo molto successo anche per l’introduzione di due
novità importanti: il protagonista è uno zombie (gli zombie non sono più i cattivi della situazione)
ed è una protagonista femminile.

I generi: Rick Altman


I “television studies” sono studi molto più recenti ad esempio dei “film studies” o di tutti quegli
studi che hanno messo al centro altri media. Quindi tutta la riflessione sui “film studies” è stata resa
propria e modificata anche dai “television studies”, proprio perché buona parte della riflessione è
già stata elaborata a partire dal film e dall’industria cinematografica. Perciò è opportuno, a questo
punto, citare Rick Altman, uno studioso che pubblica un libro “Film/Genre” in cui elabora una
teoria dei generi cinematografici.
Secondo Altman il genere è tre cose:
• Una mappa, un progetto per l’industria, cioè una mappa per tutti i professionisti, i quali,
appunto, condividono mappe simili. Questo ha a che fare con le culture produttive: ad
esempio si possono intervistare i produttori per capire come si struttura questa mappa.
Questo è un tipo di lavoro incentrato sui “production studies”.

151
• Un insieme di convenzioni testuali. Il genere non è solo convezione testuale ma questa
dimensione è importante: ci si focalizza su quello che trovo nel testo, ad esempio, in un
musical vi è la convenzione che gli attori debbano cantare e ballare. Queste convenzioni
specifiche sono elementi di definizione dei generi, che non bastano, ma che sono condizione
necessaria. Se si guardano i media, l’impatto sulla cultura è stato più rilevante, quindi il
discorso sui generi e andato al di fuori del testo, considerando anche il contesto. Questo è il
lavoro più tradizionale che si può fare. Non si ha più a che fare con la produzione: se si
vuole ragionare sulle caratteristiche delle convenzioni testuali, bisogna ragionare sulle
caratteristiche del testo e sulle convenzioni specifiche che si trovano all’interno dei prodotti
stessi.
• Un patto tra lo spettatore e il testo. È questa una dimensione tipica del consumo, per cui i
generi diventano un patto (e la dimensione del patto, per quanto riguarda la televisione, è
molto frequente) stipulato tra lo spettatore e il testo: i generi definiscono degli orizzonti di
aspettative. Jost parlerà di “promessa”: ogni prodotto che sta in un genere promette
qualcosa, ad esempio, se si guarda una commedia ci si aspetta di ridere, cosi come
guardando un film horror, ci si aspetta di venire spaventati.
Questo è in sintesi il cuore delle osservazioni di Altman, che hanno tutte la finalità di spingere
sull’idea che i generi non siano semplicemente interpretabili a partire dai testi, ma anche dai
contesti culturali nei quali i testi stessi circolano. Questo è rilevante su alcuni generi in particolare,
che diventano poi oggetto di discussione condivisa.

I generi: Jane Feuer


Anche Feuer non si discosta molto da Altman, anche se il discorso è impostato in maniera diversa:
non è un discorso impostato sul concetto di genere, ma si analizza l’approccio al genere, che può
essere:
• Approccio estetico. Mira a rilevare le occorrenze tipiche di un certo genere, ad esempio, si
ha un testo che appartiene a un genere, dunque si analizza in che modo questo testo
ottempera al fatto di appartenere a quel genere. Questo approccio è tipico di una certa
riflessione letteraria precedente alla riflessione culturale, anche se tutt’ora è importante, e
diventa spesso un approccio normativo; questo testo ottempera bene, o non ottempera per
nulla al genere: da ciò si trae un giudizio di valore sull’opera. Quanto un’opera rientra in un
genere o trasgredisce le regole? É qualcosa di innovativo perché cambia le regole del gioco?
Questo approccio è valido in letteratura, ma anche per i media, soprattutto quando si
studiano dalla prospettiva classica e soprattutto quando questi autori hanno avuto a che fare
con i generi o con un genere in particolare. Ad esempio, un certo autore è importante perché
sta dentro una serie di convenzioni di genere (cfr. E. Morin e il concetto di
standardizzazione) necessarie (perché il cinema è un industria), ma al contempo è capace di
spostare e cambiare le regole del gioco. Es. Hitchcock e il suo cinema della “suspense”, che
ogni volta trova dimensioni originali di realizzazione, che fanno emerge lo stile, l’autorialitá
e la personalità dell’autore. Questo è dunque l’approccio più classico, approccio rispetto al
quale i “media studies” si trovano più eredi degli “humanity studies”.
• Approccio rituale. Questo approccio è sposato complessivamente da Altman, che è più
interessato al fatto che i generi siano simbolo di scambio all’interno della dimensione del
consumo: il successo di un genere sottolinea i valori che emergono in questo scambio, i
valori popolari che vi sono all’interno di una certa società, di una certa cultura. Dunque
l’analisi dei generi parte dal testo, ma successivamente vede il contesto e cerca di capire i
valori che emergono. Perché, ad esempio, un genere trans mediale (che attraversa, cioè, il
cinema, ma anche il fumetto e la televisione) come il western, è popolare, ma poi si perde, e
a volte ritorna? Perché ha a che fare con valori della cultura americana (“mito della
frontiera”) che vengono rinegoziati di volta in volta (es. Adesso ci sono nuove frontiere,
nuovi pericoli e rischi, e attraverso i generi si racconta tutto questo).
152
• Approccio ideologico. È questo un altro approccio aperto al circuito produzione–testo–
consumo. È simile all’approccio rituale, ma legge la circolazione dei testi in chiave
ideologica: non sono i valori di una società in generale, quanto i valori dominanti di questa
società che emergono (cfr. i francofortesi). Questo è un approccio ideologico che mostra
come i valori diventino ideologia, valori che attraverso i generi diventino l’ideologia
dominante. Ad esempio, in un genere come il crime i valori in gioco sono ordine, legge,
rispetto della legge, lotta contro il crimine, contro il male. Questi valori cambiano nel corso
del tempo.

I generi: François Jost


Jost lavora sui generi come generi televisivi, per cui si sposta dai “film studies” ai “television
studies”, ponendo l’attenzione sul rapporto tra testo e consumo: definisce i generi come delle
promesse. I generi si impegnano a mantenere promesse allo spettatore. Analizzando le
caratteristiche e l’evoluzione dei generi televisivi, Jost dice che i generi sono diversi, ci sono
sottocategorie, ma rispetto al patto con lo spettatore so possono raccogliere i generi in tre
macroaree: la televisione, infatti, è un ambiente molto complesso, più del cinema: al cinema si
racconta una storia, e fondamentalmente, c’è la costruzione di un mondo fittizio. La televisione da
questo punto di vista è più complessa perché definisce tre grandi aree di genere, tre promesse, o per
dirla secondo il linguaggio semiotico, tre modi di enunciazione (Jost, infatti, proviene da una forte
formazioni semiotica):
• Promessa autentificante. Significa che la televisione diventa una finestra sul mondo. La
televisione serve per guardare al mondo e mi mette a contatto con la realtà. La promessa che
fa la televisione in questo ruolo è proprio quella di raccontare le cose in maniera veritiera:
mette in contatto con la realtà in maniera affidabile. Qui dentro sta tutto quell’insieme di
generi che hanno a che fare con l’informazione, una categoria vasta dentro cui si trovano
altri generi specifici (il telegiornale, l’inchiesta, gli approfondimenti) che vengono tutti
realizzati con modalità differenti, ma con la necessita di dare allo spettatore una visione più
o meno affidabile della realtà e del mondo.
• Promessa finzionale. Rispetto a quella autentificante è propria del cinema e dei film, cioè dà
la promessa di costruire un mondo. Cfr. prodotti seriali sono narrazioni che definiscono e
costruiscono un mondo e un universo attraversato certamente dai suoi protagonisti, ma
anche da noi. In “Lost”, ad esempio, è evidente che il narratore televisivo racconta un
mondo finzionale. La metafora cambia: la televisione non è più una finestra sul mondo ma
uno storyteller, qualcuno che racconta una storia. Ora si stanno definendo le cose in maniera
generale. É ovvio che la funzione narrativa non è propria solo di questa promessa. Anche il
telegiornale è una narrazione: è il racconto allo spettatore di quello che è accaduto nel
mondo; oppure ancora, anche in un game c’è una premessa narrativa (c’è un eroe che cerca
di arrivare ad un premio finale); ma la dimensione narrativa è chiaramente molto forte e
centrale nei generi che hanno a che fare con una promessa finzionale.
• Promessa ludica. Qui si trova tutto il genere dell’intrattenimento. Jost fa riferimento in
particolare al gioco, uno dei generi tipici dell’intrattenimento. Tutto l’intrattenimento e il
varietà appartiene a questa promessa, che in qualche modo parla della realtà. Non costruisce
un mondo alternativo. La televisione costruisce regole e meccanismi dentro cui la realtà
viene fatta passare. Questa è la tipica modalità con cui funziona un format: ci sono regole
precise dentro cui si fa passare la realtà e si vede cosa ne viene fuori. Dunque tutto quello
che è il gioco, il varietà e l’intrattenimento in generale, può essere ascritto in questa
promessa.
Quando scrive queste cose, cioè all’inizio degli anni 2000, Jost tiene conto di una cosa interessante,
cioè di un genere televisivo in particolare: il reality tv. Questo genere televisivo che non ha una
diretta matrice, ma ha più matrici che precedono la televisione e che diventa tipicamente è un
genere nuovo, nato degli anni 90/2000.
153
“Loft story”
“Loft story” è l’adattamento francese del format di “Big brother”, che sembra mescolare le carte: si
legge un cambiamento che caratterizza un po’ tutta la televisione americana. Se la televisione delle
origini ha la caratteristica di fondo di avere generi decisamente delimitati e definiti, la televisione
contemporanea, che nasce negli anni della deregolamentazione, che caratterizzano ancora oggi la
televisione, è tutta un’ibridazione. Le categorie di genere hanno fatto fatica a stare in piedi, perché
sono state tutte combinate fra loro.
L’osservazione di Jost nasce dall’analisi di “Big brother”: c’è da un lato una matrice che riporta al
documentario (c’è l’osservazione fredda e oggettiva sulla realtà) e questo riporta all’aspetto
autenticante, per cui c’è l’idea di una finestra sul mondo. Idea che si ritrova applicata nel format
attraverso l’uso delle telecamere che riprendono una realtà 24h su 24h. Ma poi c’è anche la
dimensione del racconto: i personaggi sono come i personaggi di un racconto. Questa idea della
costruzione di un racconto si trova soprattutto in un elemento del format e del programma, cioè nei
frammenti, nelle parti di programma basate sul montaggio. Il meccanismo è che si ha un materiale
ampio raccolto nella giornata, che poi gli autori devono scegliere e selezionare (su 24h bisogna
scegliere 10 minuti, sulla base delle storie che si vogliono raccontare, per cui si può puntare
sull’amore, oppure su un litigio). Da questo emergono dei miniracconti, che hanno un’esplicita
funzione narrativa. Infine è anche presente la dimensione del gioco: questo è l’aspetto più
tradizionalmente televisivo, legato alla dimensione, appunto, del gioco e dello spettacolo, che si
ritrova nella prima serata, il prime time, che viene strutturato proprio come un prodotto di varietà e
di intrattenimento.
Tutto questo per dire che l’analisi di un genere come la “reality television” a partire dal “Big
brother” mette in crisi, proprio perché la caratteristica tipica della televisione contemporanea è
l’ibridazione dei generi, cioè non ci sono più dei generi definiti. I programmi nuovi nascono perché
si ibridano a programmi già creati e ciascuna etichetta coglie un aspetto di una realtà complessa.
• Televisione delle origini: confini netti e separati fra i generi.
• Televisione contemporanea: sempre più ibridata.
Questo anche per dire che è importante avere uno sguardo olistico: una caratteristica istituzionale ha
un riflesso su come è costruita, dal punto di vista testuale, la televisione stessa.

I generi: Mittel
L’approccio di Mittel è un approccio che lui stesso definisce “culturale” o “culturalista” rispetto ai
generi. Non basta, dunque, un approccio testualista, perché i generi selezionano elementi del testo
che sono differenti: ad esempio il setting (cioè il luogo in cui viene raccontata la storia) è
fondamentale in generi come il western, ma in altri invece no. É ovvio che a seconda che ci sia un
ospedale o una stazione di polizia, questo definisce un genere (crime, drama, ecc.) ma non importa
che l’ospedale o la stazione di polizia siano a Chicago o a New York. Inoltre alcuni generi hanno
come cuore portante della produzione aspetti che hanno a che far con le location, i setting, ma altri
no (il giallo, ad esempio, ha a che fare con lo sviluppo narrativo).
Dunque i repertori testuali non sono sufficienti; bisogna inserire i testi nel più ampio circuito della
circolazione culturale. Se si guarda dal punto di vista del testo nel contesto, si capisce anche perché
i generi cambiano e si trasformano e perché certe etichette, che prima magari indicavano un certo
genere rispetto a certi programmi, poi non possono essere più essere utilizzate per definire gli stessi
programmi. Un approccio non strettamente testualista consente di capire anche questi meccanismi.
Dunque l’importante, quando si affrontano i generi televisivi, è certamente guardare alle
convenzioni testuali, ma anche ai discorsi, cioè ai modi con cui queste caratteristiche testuali e
questi diversi generi vengono “discorsivizzati” da chi ne fa uso (le categorie di genere sono
categorie di uso), cioè dalla produzione e dal consumo.
Quindi Mittel definisce i generi come dei “discourses clusters”, cioè delle categorie discorsive.

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Attraverso l’evoluzione del genere crime si vede come alcuni valori che lo caratterizzano negli anni
’50, cambiano negli anni 2000 e possono generare proprio fioriture discorsive attorno questo tema.
Ad esempio: quante a volte sui giornali si riflette sul fatto che i prodotti di prime time crime
possano generare effetti di imitazione o, al contrario, generare effetti di purificazione.

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27. TELEVISIONE E CONVERGENZA

Le web series
Visione della prima puntata di “Going postal” (cfr. “Heroes”), “A nifty trick”
https://www.youtube.com/watch?v=n4e_hzXmijk
Cos’è “Going postal”? Questo è un prodotto che ancora di più riporta ad “Heroes”, una serie di
qualche anno fa che ha un’origine che si basa sui fumetti, sul fantasy, con dei personaggi che hanno
super poteri. Questo prodotto però non è una vera e propria serie televisiva. Il formato di una serie
televisiva non è questo, perché la durata media di un episodio di “Heroes” è di 47 o 48 minuti (e va
a coprire un’ora di palinsesto lordo nei palinsesti generalisti americana). Questo prodotto dura 3
minuti ed è una piccola serie di 3 episodi, collegata però ad “Heroes”. É stata distribuita sul web,
infatti episodi di questo genere vengono definiti webisodes. Questo esempio non è l’ultimo né il
primo. I vari network oltre alle serie normali hanno prodotto nel corso del tempo vari altri
webisodes o anche mobisodes (cioè brevissime serie disponibili sui cellulari).
“Going postal” è un titolo che fa riferimento al protagonista di questa miniserie. Ma in realtà
l’espressione “going postal” in inglese vuol dire “arrabbiarsi”, “andare su tutte le furie”, ed è
un’espressione un po’ gergale; quindi c’è questo doppio senso già nel titolo, che indica appunto sia
il protagonista, sia la sua caratteristica principale, cioè il fatto che quando si arrabbia emette questo
urlo assordante. In questo webisode, distribuito tra la fine della prima e l’inizio della seconda
stagione di “Heroes” il protagonista è un postino, ma non è il postino il protagonista di “Heroes”.
Questo postino però viene successivamente introdotto come personaggio all’interno di “Heroes”.

Analisi testuale del prodotto tv


Questa evoluzione dice che la narrazione, il racconto, non è più chiuso dentro dei confini testuali
precisi, ma vi fuoriesce. Noi come spettatori possiamo seguire il racconto televisivo della serie che
va in onda ogni settimana (secondo la normale programmazione settimanale dei network), quindi
puntata per puntata e stagione dopo stagione, ma se siamo particolarmente appassionati possiamo
anche vedere altri episodi come “Going postal” e abbiamo una narrazione più ampia. Henry Jenkins
chiama tutto questo con il nome di “transmedia storytelling”: il racconto televisivo non è più
definito dai confini del testo televisivo a tende ad essere transmediale, cioè a svilupparsi anche
attraverso diversi media. C’è quindi questa espansione del racconto.
Ci sono poi casi molto complessi di transmedia storytelling. Se si vede la “complex television” che
ha caratterizzato la seconda età dell’oro (il periodo che va dalla fine degli anni ‘90 all’inizio degli
anni 2000) e si esamina uno dei suoi prodotti più di successo, ad esempio “Lost”, si vede che in
questo caso “Lost” è un racconto ad enigma, e mano a mano lo spettatore raccogli pezzi del puzzle,
capisce cosa ha portato i naufraghi di cui viene raccontata la storia, su quest’isola misteriosa.
Uno spettatore prettamente televisivo vede il prodotto televisivo ma trova comunque dei pezzi di
racconto mancanti: è questo il caso in cui vengono introdotti dei personaggi provenienti dai
wepisodes di “Lost”; ad esempio uno dei personaggi di un webisode di “Lost” lo si ritrova in alcune
stagioni successive, durante un attacco ai naufraghi da parte dei nemici.
Per questo, se lo spettatore ha visto solo la serie televisiva, quando vede questo personaggio, non lo
riconosce. Se nlo spettatore invece ha visto anche quello che sta attorno alla serie televisiva in sé, il
piacere nel vedere la serie è più ampio. Questa è la ricaduta testuale nel modo in cui si costruiscono
i racconti, ricaduta che è segno di un cambiamento più grande, un cambiamento di sistema, che ha
anche a che fare con i modi di consumo e con le tecnologie disponibili. Sicuramente prima
dell’avvento e della possibilità per gli spettatori di avere la rete, il tablet e il cellulare, questo tipo di
transmedia storytelling non sarebbe stato possibile. Questo tipo di lavoro sulle serie è stato
introdotto da una serie crime dell’inizio degli anni 2000, intitolata “24”, che racconta di come
l’agente segreto Jack Bower debba difendere l’incolumità del presidente degli Stati Uniti
d’America. Questa serie ha la particolarità di essere un racconto di 24 episodi, ciascuno dei quali
racconta un’ora della vita del protagonista. Inoltre all’interno della serie vengono usate tecniche
156
particolari, tra cui quella dello “split screen” (cioè lo schermo diviso in più parti) per raccontare
cosa succede in un particolare momento in due, tre o quattro luoghi diversi. La Fox, che produceva
e distribuiva la serie, successivamente ha dato il via ad un racconto ancillare a “24”, che è fatto di
una serie di mobisodes, destinati al web e in particolare alla telefonia cellulare. La serie si chiama
“Conspiracy” e dura in tutto esattamente 24 minuti, per cui ciascun episodio dura un minuto
(riprende il formato della serie originale).
Qual è il senso, la ragione, per cui vengono prodotte queste serie ancillari, al di là del fatto che
questi prodotti sono testimonianza un sistema televisivo che si sta trasformando, e sta diventando
sempre più un sistema in cui la televisione non è più solo televisione, ma si inserisce in un sistema
più complesso e convergente (infatti ha a che fare con la rete, con il web e con i social media) per
cui i media tendono sempre più a incrociarsi e a sovrapporsi?
Sicuramente uno degli scopi principali è lo scopo promozionale (cioè per promuovere le puntate
successive della serie). Quindi è presente questa dimensione promozionale per cui si possono
costruire questi prodotti ancillari quando si vuole lanciare un prodotto nuovo (ad esempio posso
utilizzarli come dei teaser di un prodotto nuovo che viene lanciato) o si vuole promuovere la
continuità nella visione dello stesso prodotto. Si evidenzia quindi la rilevanza di una promozione
globale, come nel caso di una serie, come “Wayward Pines”, che esce in 50 paesi diversi, il cui
sistema di produzione e distribuzione deve coordinare l’uscita e anche la promozione della serie in
tutti questi paesi. Altro motivo importante è anche quello di fidelizzare lo spettatore, immaginando
che uno spettatore di serie televisive come queste e lo spettatore che non è più il “couch potato”
totalmente, ma diventa partner attivo di comunicazione e si muove su più piattaforme e media, è
uno spettatore fan, che cerca le tracce di questo racconto non solo in televisione ma anche in giro e
soprattutto sul web. Altro aspetto da considerare è il fatto che, come nel caso di “Going postal” e
“24” è il brand, il marchio del prodotto (es. “Going postal” è riconducibile a “Heroes”). Nascono
veri e propri marchi tanto che oggi, per parlare di prodotto televisivo, si parla di television
franchising: esiste un marchio forte e riconoscibile, con tutta una serie di elementi di coordinazione
dal punto di vista dello stile. “Going postal”, certamente dura pochi minuti ma è girata come gli
episodi originali. Esattamente come il caso di “The walking dead”, che ha generato diversi
webisodes.
Quindi questi prodotti ancillari contribuiscono a costruire dei brand di prodotto forti, che sono
estremamente importanti in un contesto di televisione dell’abbondanza, in cui è vero che le reti sono
delle ancore e delle bussole che orientano il consumo, ma ormai anche i prodotti stessi lo sono in
maniera molto chiara e forte, soprattutto in contesti in cui il prodotto è fruito sia nel corso del
palinsesto ma anche fuori dal palinsesto vero e proprio (e cioè in tutte quelle modalità, legali o
illegali, di visione in “time shifted”).
Questo per dire come il sistema televisivo è entrato nel corso della fine degli anni ’90 e l’inizio
degli anni 2000, in un periodo di grande trasformazione, in un periodo esplosivo, in cui i media
sono soprattutto soggetti a questa trasformazione legata alla convergenza, di cui la transmedialità è
uno degli aspetti più rilevanti: i rapporti di connessione transmediali possono essere molto variegati
e frequenti, ad esempio, si pensi alla possibilità che i prodotti televisivi ricorrano al supporto dei
social media. Oppure ancora Jenkins, in un suo testo “Spreadable media”, sottolinea come una serie
particolarmente raffinata come “Mad men”, abbia visto sorgere sul web una quantità di profili di
personaggi della serie che però non erano ufficiali; pertanto il network ha chiesto a Twitter di
chiudere quei profili, che nel frattempo stavano diventando molto popolari. Questa questione è
molto importante perché mette in evidenza il fatto che i media possono provocare degli effetti che
in parte sfuggono in parte sono controllabili. I media dunque sono sempre più “spreadable”, cioè
sfuggono.

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28. IL RAPPORTO TRA TV E CONVERGENZA

Cosa vuol dire affrontare questo tema del rapporto tra tv e convergenza? Significa osservare quei
cambiamenti che hanno a che fare con il piano dell’offerta e del consumo.
Sul piano dell’offerta questa terza fase è caratterizzata da una trasformazione soprattutto legata alla
digitalizzazione, che va ad impattare su tutti gli aspetti della filiera produttiva e distributiva. Va
infatti ad impattare su produzione, distribuzione e ricezione.

Produzione
Il digitale può trasformare il testo televisivo e cambiare anche la modalità stesse con cui il testo è
realizzato. Cambiano le professionalità e le routine produttive; ad esempio, fino all’inizio di anni
2000 il telegiornale veniva tipicamente realizzato con il contributo di tre professionalità, cioè un
giornalista, un operatore (nel caso si girassero servizi su un luogo in cui era avvenuto un fatto) e un
montatore. La digitalizzazione ha resto più semplice il montaggio e questo ha fatto si che Mediaset
e via via gli altri broadcaster abbiano introdotto il montaggio digitale, cioè hanno eliminato la
categoria professionale dei montatori e degli editor. Nell’ottica del “ridurre i costi” questo ha un
senso, perché se si parla di informazione e di informazione televisiva, si può ben dire che il
telegiornale ha come priorità non tanto il fatto che un servizio sia ben montato ma la velocità e la
rapidità dell’informazione e della messa in onda.

Distribuzione
Avviene un cambiamento fondamentale nel modo in cui la televisione viene distribuita. Si passa
passati da un unica forma di distribuzione (il segnale televisivo via etere che utilizzava lo spettro
delle frequenze terrestri e analogiche) al digitale, che ha consentito il passaggio del segnale
televisivo attraverso diverse piattaforme tecnologiche, tutte digitalizzate. Il digitale consente, infatti,
di ridurre lo spazio occupato dal canale. Questa ha avuto una conseguenza immediata, il “dividendo
digitale”: la televisione gratuita ha visto quindi nascere una serie di canali e di reti nuove (cioè le
reti native digitali o reti del digitale terrestre). Oggi tutta la televisione generalista viene trasmessa
in digitale terrestre. Accanto a questo si sono sviluppate altre piattaforme distributive (come il
satellite e il cavo).
Tutto questo ha avuto impatto sul modo in cui i broadcaster pensano la propria identità: i modelli
istituzionali di broadcaster sono cambiati. Fin dagli anni ’90 un broadcaster generalista
commerciale, come Mediaset, ha un modello economico molto semplice, cioè la sua missione è da
una parte quella di costruire un palinsesto e un’offerta attraverso prodotti di acquisto e/o di
produzione e di raccogliere le risorse pubblicitarie dall’altra parte; di fatto questo è ancora cosi,
pero Mediaset oggi è impegnata anche in una varietà di altri campi: esiste cioè tutta l’area del
digitale (si ha quindi un’evoluzione più recente ed importante dei broadcaster). Se si manda in onda
un programma, non si può non pensare che ognuno di questi programmi debba avere, seppure
minima, una dimensione digitale (quantomeno un sito che possa far rivedere le puntate precedenti,
ecc.), fino ad arrivare a livelli di complessità molto alta, come il trans media storytelling.

Ricezione
Tutto questo da subito l’idea del fatto che il partner comunicativo non è più un “couch potato” ma è
uno spettatore sempre più attivo e interattivo. Poi non sempre è cosi: l’intrattenimento ancora oggi
prevede forme di divertimento passivo, ma certamente prevede anche forme di maggiore attività
dello spettatore.
Cambiamenti, questi, che aprono una varietà di questioni e domande.

Le dimensioni della convergenza


Quando si parla di convergenza si parte da una definizione semplice, data già negli anni ’80 da
Ithiel De Sola Pool, che ci parla dell’indifferenza del contenuto mediale rispetto alle piattaforme
158
nelle quale viaggia: un contenuto mediale può attraversare diversi media e piattaforme, ma al
contempo consente la fruizione di tanti media (ad esempio il computer o il telefonino, che funziona
da macchina fotografica, da telefono, da social media, da motore di ricerca ecc.). Questa è una
definizione di base che dà un idea di ciò che ha caratterizzato questo ultimo periodo di
cambiamento e di sviluppo del sistema mediale e televisivo.
Questo però in realtà fa comprendere solo in parte quello che è accaduto in questi ultimi decenni. Si
può parlare di un paradigma della convergenza che tende di più a fondare l’attenzione sul processo
di reciproca influenza nel cambiamento dei diversi piani in cui un mezzo di comunicazione è
articolato.
Si può parlare di una dimensione tecnologica, istituzionale, testuale/stilista e socioculturale della
convergenza. Quando si affrontano queste tematiche, il punto di grande attenzione è la dimensione
di sistema e di reciproca influenza tra queste diverse dimensioni .

La convergenza tecnologica
Nella dimensione tecnologica, l’aspetto più curioso è rilevare che il concetto di convergenza dal
punto di vista tecnologico si declina più come una divergenza. Quando si parla di convergenza non
si intende una confluenza in un unico device ma una proliferazione, una molteplicità di percorso, in
cui media vengono consumati (divergenza) implica una moltiplicazione dei devices.
Importante è anche il fatto che per molti anni la televisione come medium (che è qualcosa di più
complesso del televisore) ha in realtà coinciso con il televisore come device. Oggi, invece, c’è stato
un divorzio, per cui il televisore è solo uno degli strumenti attraverso cui la televisione viene fruita;
e ce ne sono molto altri. C’è l’idea di una “connected television”, per cui si può fruire della
televisione anche sul personal computer, ad esempio (cfr. “Netflix”, che consente la fruizione di
film in rete dietro pagamento di una sottoscrizione). Tutto ciò dà evidenza a questo processo.
L’ambiente multitelevisivo è un ambiente multipiattaforma dal punto di vista tecnologico e questo
evidenzia il fatto che vi siano percorsi di consumo attraverso piattaforme che si diversificano e che
cambiano. Ad esempio, la nostra dieta televisiva e mediale dipende dalle piattaforme che abbiamo a
disposizione, a seconda cioè che siamo abbonati ad una tv a pagamento o a “Netflix” si diversifica il
consumo.
Cos’è una piattaforma tecnologica di distribuzione (in particolare del segnale e dell’offerta
televisiva)? Si tratta certo di un modello tecnologico di distribuzione (la dimensione tecnologica è
ovvia) ma al contempo ciascuna piattaforma tecnologica è qualcosa di più di una serie di tecnologie,
perché a seconda delle sue caratteristiche veicola una certa offerta. La scelta tra queste piattaforme
non è neutra, ma rientra in motivazioni strategiche da parte del broadcaster ma anche dello stato (in
quanto regolatore).
Quali sono questi piattaforme? In Italia in particolare abbiamo la vecchia tv analogica. Dal punto di
vista della distribuzione del segnale è stata ormai superata da quattro nuove piattaforme che
caratterizzano il sistema televisivo contemporaneo, cioè:
• DDT, piattaforma del digitale terrestre.
• Satellite. Attraverso una parabola di ricezione, consente la ricezione satellitare (questo tipo
di distribuzione avviene solo negli anni ’80 e ’90).
• IPTv. È una piattaforma che utilizza la rete (il protocollo IP) per portare a casa, attraverso
una sottoscrizione, la possibilità di consumare un’offerta televisiva. Questo tipo di
piattaforma non ha avuto un grosso sviluppo in Italia, diversamente invece dalla Francia o
da altri stati, grazie alle politiche adottate dagli stati stessi o alle iniziative proposte dai
diversi operatori televisivi. Recentemente il principale broadcaster a pagamento in Italia,
cioè “Sky Italia” ha stretto accordi con “Telecom Italia”, un provider di rete, per consentire
l’abbonamento non solo attraverso il satellite, ma anche attraverso l’IPTv, che viene fornita
su banda larga da Telecom.
• Mobile television

159
In molti paesi (non in Italia, ma in paesi come la Germania, la Svizzera, il Belgio e l’Olanda) si è
sviluppato il cavo pre–digitale, cioè si è sviluppa un’offerta abbondante, attraverso il cavo, prima
ancora dell’avvento del digitale.
Queste piattaforme non sono semplicemente piattaforme tecnologiche ma ciascuna ha
caratteristiche specifiche che derivano dalla tecnologia, e hanno delle conseguenze per quanto
riguarda il loro uso.
Ad esempio, nel passaggio in tutta Europa, dal sistema televisivo analogico a quello digitale, i paesi
europei hanno scelto appunto la piattaforma del digitale terrestre. Perché questo? Perché, pur
avendo limitazioni molto forti per quanto riguarda il numero di canali, rispetto ad altri sistemi di
trasmissione del segnale, presenta anche vantaggi importanti
Un vantaggio per il digitale terrestre è costituito dal fatto che il segnale dei canali trasmesso
analogicamente, esattamente quello stesso segnale, viene trasmesso in modalità digitale. In questo
modo la banda occupata si riduce, provocando un ampliamento dell’offerta (compressione digitale).
Dove c’era l’unico programma Rai (che era Rai 1), ora si possono avere 4, 5, 6 canali in più. Per
questo da 6,7,8 canali generalisti siamo passati ad un numero molto più ampio (per cui si hanno
“Rai5”, “Rai4”, “Mediaset Extra”, “La5”, “Italia2”, “Real time”, “D-max”, e così via). Canali
che vanno poi a formare un’offerta complessiva semigeneralista, un’offerta aumentata, frutto,
appunto, di questo cambiamento.
C’è, tuttavia, un limite, cioè il limite della tecnologia, per cui non si può andare oltre ad un certo
numero di canali, e questo tipo di conversione digitale è influenzato dal fatto che si utilizza o una
definizione standard (che consente un numero di canali più ampio) o un’alta definizione, HD (che
limita ulteriormente il numero di canali).
Ma considerato questa grossa limitazione, per quale motivo è comunque stato scelto il digitale
terrestre?
Perché dovendo immaginare un passaggio che coinvolgeva tutta la popolazione europea, gli stati
(che sono i regolatori) hanno puntato sul digitale terrestre, poiché consentiva questo passaggio in
una maniera più semplice e meno costosa. Infatti per attuare il passaggio, è stato chiesto
semplicemente di attaccare un piccolo decoder da 40 o 50 euro.
Ci sono invece piattaforme che hanno vantaggi legati all’offerta: ad esempio l’IPTv, dal momento
che fa passare il segnale attraverso un cavo, consente un’offerta televisiva potenzialmente illimitata
(con la possibilità di 200, 300, 500 canali). Questa scelta, però, non viene fatta perché questo
avrebbe richiesto dei costi di sottoscrizione all’operatore molto più elevati. Quindi le scelte
politiche, che hanno a che fare con la regolamentazione del sistema, insieme alle azioni degli
operatori, vanno a investire le caratteristiche di fondo delle tecnologie.
È importante anche il fatto che il periodo della multi televisione sia caratterizzato dalla molteplicità
dell’offerta e dal punto di vista tecnologico si inquadra nel passaggio da un televisione mono–
piattaforma ad una televisione multi–piattaforma, che presenta vantaggi e svantaggi.

La convergenza istituzionale
Anche dal punto di vista istituzionale i sistemi televisivi cambiano moltissimo.
Bisogna considerare i diversi contesti. Il sistema televisivo italiano avrà dinamiche differenti da
quello francese, inglese e americano, anche se ci sono alcuni elementi in comune: ad esempio, in
diversi paesi europei, un attore come “Netflix” entrerà nel sistema televisivo; il suo modello di
business è il pagamento di una sottoscrizione, ma ha una forma trasmissiva diversa: riesce a
guadagnarsi notorietà con la produzione di una varietà di serie il cui modello di consumo è diverso
da quello tradizionale, perché mette online sul sito tutti gli episodi di una serie. Ci sono elementi in
comune, ma anche differenze che hanno a che fare coi sistemi.
Se si guarda il punto di vista più macro e internazionale, dal punto di vista istituzionale è accaduto
in questi anni che la convergenza si può leggere come conglomerazione, cioè come nascita di
conglomerati multimediali che hanno integrato al loro interno una varietà di media diversi. Un
esempio è “Newscorporation” di Murdoch, gruppo dentro al quale ci sono la “20 Century Fox”, le
160
tv a pagamento in Europa (“BSkyB”, “Sky Deutschland”, “Sky Italia”), diversi giornali americani
(come il “Wall Street Journal”). Ma non c’è solo “Newscorporation”; un altro esempio può essere
anche la “Disney”.
Nello scenario complessivo europeo si ritrova quello che resta del servizio pubblico (un servizio
televisivo tipicamente nazionale), insieme ad una o più imprese commerciali sempre nazionali
(come Mediaset in Italia) e spesso anche la presenza in misura diversa di grandi gruppi
multinazionali (ad esempio, in Italia “Sky Italia”, che in termini di fatturato è il broadcaster più
importante; ma anche i gruppi “Discovery” e così via). Naturalmente queste diverse componenti si
differenziano in termini di dimensioni e di fatturato e dalla presenza di multinazionali americane.
In Francia non è cosi ad esempio. La televisione è in capo a “Canal Plus” che è un impresa francese
presente peraltro anche in Spagna.
Uno degli aspetti più generali di quello che avviene nella fase dell’abbondanza televisiva attuale, è
la dialettica tra forme di intermediazione e disintermediazione, molto rilevanti per quanto riguarda
come gli attori e i player agiscono sul mercato.
Nella filiera televisiva ci sono:
• Produttori che producono contenuto
• Broadcaster sono aggregatori e packager, cioè creano un offerta
• Reti di distribuzione
• Devices
• Spettatori
L’elemento di cambiamento e trasformazione del sistema è dato in questi anni anche dalla presenza
di un altro mezzo che ha un’influenza rilevante su questi processi, che è internet, la rete libera. Ci
sono vari punti di vista: qualche anno fa agli inizi degli anni 2000, c’era grande enfasi su un
processo di disintermediazione, legato al fatto che lo spettatore attraverso la rete potesse mettersi in
contatto con i creatori di contenuto e trasformarsi egli stesso in creatore di contenuto, creando lo
USG (User Genereted Contet). Tanto è vero che negli Stati Uniti nasce una rete televisiva, chiamata
“Cartel tv”, critica dell’informazione della rete network, che si fa carico di contenuti creati al basso.
È una televisione capovolta. É arrivata anche in Italia ma sia in Italia che negli USA è stata
fallimentare.
Perché questo contenuto può sopravvivere solo sulla rete? Perché, a meno che non ci siano casi
eccezionali come “YouReporter”, il resto non funziona. Infatti questa idea di televisione dal basso è
un po’ sparita dal dibattito.
Pero è accaduto il fatto che qualcuno aggreghi contenuto e bypassi la filiera legata al contatto, per
mettersi a contatto direttamente con lo spettatore; “Netflix” è questo: con una sottoscrizione
abbastanza economica consente di avere on demand tutta una serie di prodotti televisivi.
Questa televisione funziona in termini di un’offerta “over the top”, che si rivolge direttamente allo
spettatore. In un contesto come quello citato, chi maggiormente può temere l’approdo di un attore
nuovo come “Netflix”? Non tanto i network generalisti, che prevedono un consumo molto largo e
offrono piazza comune condivisa, bensì gli operatori pay. Un altro dei nemici degli operatori pay,
sempre per la disintermediazione, è la pirateria, cioè la possibilità di condividere prodotti televisivi
attraverso la rete, gratuitamente. Questa è una delle ragioni per cui i broadcaster pay si orientano
sempre di più a essere molto rapidi. I tempi di distribuzione, a fronte di questa minaccia, si sono
fatti sempre più ristretti. Cfr. il caso di “Lost”: in questo caso i produttori e i distributori di “Lost”
hanno deciso di trasmettere la puntata finale della serie in contemporanea con gli USA (cioè, in
Italia, alle 6 del mattino) e poi di ritrasmetterla la sera.
Ciascuna piattaforma si caratterizza per la presenza di operatorie differenti. Nel digitale satellitare è
presente un operatore pay, “Sky Italia”, che trasmette attraverso questo sistema.
Cosa è avvenuto nel rapporto tra tecnologie e operatori? A partire dal 2006 e 2007 è avvenuto
l’azzeramento della televisione analogica e la crescita del digitale terrestre; il digitale sulla pay tv ha
avuto una crescita piatta, anzi quasi una decrescita. Poca crescita ha avuto l’IPTv: in Italia, ad
esempio, è cresciuta molto meno del previsto questo tipo di banda larga.
161
La convergenza testuale
Cosa è accaduto dal punto di vista dei prodotti? I prodotti televisivi sono diventati sempre di più dei
brand a tal punto che hanno generato processi di fidelizzazione al brand stesso.
Una delle caratteristiche di fondo della serialità televisiva americana è il fatto che il testo televisivo
non è più chiuso nei confini tradizionali, ma si circonda di una varietà di prodotti ancillari, alcuni
dei quali, come i webisodes, procedono le forme di narrazione ed espandono il racconto televisivo.
Lo stesso si può dire di “Lost”. Se si volesse fare una classificazione dei prodotti che circondano il
testo televisivo si potrebbe distinguere fra una varietà di prodotti ancillari che trasformano il testo
televisivo in un testo espanso ed esteso. Ad esempio c’è la possibilità di derivare dal prodotto
televisivo prodotti come i videogiochi o i reality games, ecc.
L’aspetto più interessante riguardo ai vari tipi di contenuto ancillare è che questo può essere diviso
in:
• Estensioni narrative (mobisodes, webisodes) sono prodotti estesi che proseguono il racconto
fuori dal testo televisivo e definiscono quell’idea di transmedia storytelling evidenziata da
Jenkins. La narrazione non è più delimitata all’episodio in onda ma si estende ad una varietà
di altri prodotti.
• Estensioni diegetiche (editoria libraria e periodica, siti web, ecc.). Questo è molto vero per la
serialità, in particolare americana e contemporanea, che più che narrare delle storie, ha
costruito dei mondi. Rappresenta la possibilità di collocare all’interno di questi mondi degli
oggetti che diventano oggetti reali e commercializzati. Si tratta sia di normale
merchandising, ma ci possono essere anche casi più creativi. Ad esempio, qualche anno fa la
serie “Twin Peaks” basava il suo racconto sul diario della protagonista uccisa, diario che poi
è diventato un oggetto commercializzato e venduto. Oppure ancora la serie televisiva “True
blood” ha commercializzato una bibita rossa, simile al sangue, dal nome “True blood”,
appunto.
Esistono quindi possibilità di sviluppo non solo di contenuto ma anche di oggetti
commercializzabili.

La filiera televisiva
La produzione, definizione di un prodotto, dipende dal fatto che un broadcaster acquista o un
format, che poi produce o lo doppia, o un prodotto finito, che poi inserisce dentro un’offerta, che
può essere l’offerta di rete (quella cioè specifica di “Canale 5”, “Italia 1”) oppure l’offerta di
bouquet (ad esempio l’offerta della televisione a pagamento, che deve tenere conto dell’insieme
complessivo delle reti. Se l’obiettivo è quello di soddisfare il cliente, bisogna dare allo spettatore
tutto quello che si aspetta, anche un programma sarà seguito da pochissime persone). E infine la
piattaforma e la distribuzione, che viene moltiplicata per tutte le forme di piattaforme che abbiamo
visto.
All’interno di questa filiera accadono processi di estensione, in cui il contenuto correlato al prodotto
televisivo creato sia nel contesto produttivo mainstream (cioè dalle reti e dalle case di produzione;
ad esempio, “Going postal” come prodotto esteso di “Heroes”), ma anche tutto quello che sono i
prodotti creati dagli stessi spettatori. Questo apre un altro scenario, per cui gli stessi spettatori
possono utilizzare prodotti mediali e remixarli, costruire fan fiction e così via. Nasce così un
universo dei fan mediali che creano prodotti ancillari, che dunque non vengono realizzati dall’alto
ma dagli spettatori.
Un secondo termine chiave è accesso, che definisce percorsi molteplici attraverso questa filiera
(moltiplicazione dei flussi di acceso). Infine il brand; c’è la necessita forte di tutta questa ricchezza
da parte delle istituzioni mediali per ridare ordine attraverso uno strumento che è quello del
branding: si crea un brand delle reti e le reti stesse vengono costruite su questo brand, perciò si
punta molto sui brand di prodotto.
“X Factor”. Si possono leggere i prodotti che ruotano attorno ad “X Factor” attraverso categorie di
genere articolate. C’è da un lato la dimensione del reality e dall’altro la dimensione di talent. Inoltre
162
c’è la possibilità di avere e di acquistare inediti delle diverse stagioni di “X Factor” attraverso
Itunes.
“Grande Fratello”. Anche questo programma ha una molteplicità di prodotti che gli si trovano
attorno.
“Mad men”. Serie televisiva molto estesa nel contesto originario, con la produzione di una quantità
di estensioni, tra cui eventi live a New York. Espansione che va a stringersi nel momento in cui
questo prodotto viene importato in Italia. Spesso non vengono importate le estensioni nel passaggio
di un prodotto da un paese all’altro.

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29. TELEVISIONE IN PROSPETTIVA TRANSNAZIONALE

Modello americano vs modello europeo


Il modello americano è fondato sulla pubblicità e sul vendere ed è in continuità delle basi
istituzionali, ovvero sulle leggi per la radio e per la televisione. Dalla radio nascono i tre principali
network televisivi. Il modello commerciale si basa sulla competizione per gli ascolti e gli
investimenti tra i network nazionali che riuniscono le stazioni locali dotate di relativa autonomia e
gli spazi in palinsesto. La FCC, un ente federale, vigila sul public interest attraverso delle
regolamentazioni. I network sono legati all’evoluzione della tecnologia: negli anni ’70 la tecnologia
consente di affiancare il modello del cable, attraverso cavi a casa. Si ha un cambiamento del
modello economico, in quanto si distingue chi paga l’abbonamento e chi no. In questo modello non
si ha bisogno della pubblicità, ovvero diventa una pay tv, dove lo spettatore paga e finanzia.
Nascono piattaforme over the top (Netflix) che non si basano su piattaforme fisiche, ma utilizzando
internet riducono una serie di costi e arrivano dappertutto. Negli Stati Uniti è presente una
continuità del quadro istituzionale, con modifiche in base al cambiamento tecnologico.
Il modello europeo è caratterizzato da una forte discontinuità di sistema, trasformazioni anche sul
piano delle regole, in un legame diretto con le trasformazioni politiche. Il sistema è continuamente
“riformato” (conflitti fra partiti, fra Parlamento e Governo, ecc.). Il momento di svolta è dato dal
passaggio dalla paleo alla neo televisione. Il servizio pubblico è una forma specifica europea. In
Europa la televisione si sviluppa a livello nazionale. Si sviluppa l’idea di prodotti che possano
essere fautori di una cultura comune, come Giochi senza frontiere (1965) ed Eurovision Song
Contest (1956, che esiste ancora oggi). De Gaulle ed Adenauer promuovono il grande gioco
europeo che possa essere il germe di un prodotto televisivo europeo. Il tentativo di creare un
contenuto che possa costruire l’Unione Europea rimane l’isola dispersa in una programmazione
nazionale. Il servizio pubblico è legato alla storia del paese.

Ideal-tipo del servizio pubblico


Negli anni ’40 e ’50 non avviene lo sforzo di definizione esplicita, ma questa esigenza di
definizione nasce quando il fenomeno entra in crisi. Dagli anni ’80 entra in crisi permanente e si
apre il dibattito che porta a porre il problema dell’esistenza del servizio pubblico. Si iniziano a
definire le caratteristiche essenziali. Si fa un’operazione che guarda al passato, creando un ideal-
tipo, ovvero un modello ideale, che il servizio pubblico rappresenta. Si tratta di un’operazione
astratta perché ciascun paese declina in maniera differente le caratteristiche.
McQuail presenta il servizio pubblico come una nozione chiara ed omogenea.
• Caratteristica di universalità geografica: il servizio pubblico si sviluppa come un servizio
nazionale. Lo sforzo è quello di creare una rete di diffusione a livello nazionale.
• Etica della completezza (ethics of comprehensiveness): operando secondo un sistema di
monopolio, il servizio pubblico deve rifiutare le specializzazioni (diverso dall’abbondanza).
Viene coniato il termine “generalismo”. I primi nove canali del digitale terrestre devono
contenere un numero ampio di generi.
• Esistenza di una serie di leggi dettagliate destinate a descrivere come deve funzionare il
servizio pubblico e cosa deve fare. Questi vengono stilati solo in alcuni paesi (in particolare
la Gran Bretagna fin dagli anni ’20 stila la Royal Charter, firmato dalla regina e che
contiene le finalità del servizio pubblico).
• Fini non commerciali, ma culturali. Questo principio viene applicato in modi diversi. In
Gran Bretagna vige il divieto assoluto di finanziare, la BBC è finanziata attraverso il canone
e si sgancia dal mercato, diventando autonoma. Lo svantaggio è il canone elevato. La
raccolta pubblicitaria è diversa. In Italia il Carosello dal 1957 al 1977 è la risposta mediata,
il servizio pubblico vuole mantenere intatta la sua funzione culturale, negli anni in cui la
pubblicità è fonte di modernizzazione (boom economico). Solo le grandi aziende possono
permetterselo.
164
• Ruolo politico: deve offrire informazioni. Copre quindi l’attualità e i dibattiti politici,
offrendo parola a tutti i partiti. Dal punto di vista ideale, il servizio pubblico deve
imparziale, ma di fatto non lo è. Bourdon distingue i paesi del nord Europa da quelli del
centro-sud. Nel nord Europa l’idea di un servizio pubblico autonomo e non condizionabile è
molto forte (la BBC è molto autorevole). Nell’Europa mediterranea, la televisione pubblica
diventa una conquista dei partiti politici. La storia della televisione italiana dalla riforma del
1975 alla riforma della Rai è direttamente controllata dal governo della DC, che nomina
prima Guala, poi Bernabei. Poi cambia il metodo: chi nomina gli organi di governo della Rai
è il Parlamento, quindi tutti i partiti (fase della lottizzazione).
• Ruolo di “agente nazionale”, costruttore dell’identità nazionale. È un ruolo dimenticato dai
teorici.
• Canone e monopolio. Fino agli anni ’70, la televisione li eredita dalla radio. Quando in Italia
nasce l’URI, la radio nasce come monopolio (non come servizio pubblico) dal fascismo.

Modello britannico
Il modello britannico è il modello di servizio pubblico. Nel 1922 nasce la British Broadcasting
Company dalla fusione di aziende che producevano apparecchi radiofonico. Vengono stilati dei
documenti che fanno il punto della situazione. Il rapporto Sykes (1923) definisce la radiodiffusione
come public utility, di interesse pubblico, non privato. Nasce il monopolio ed è l’unico. Il canone
viene versato come finanziamento della radio e viene raccolto dal Ministero delle poste (per metà è
versato dalla BBC). Negli anni ’20 si decide di affidare la direzione generale della BBC a Sir John
Reith. Egli stabilisce che chi parla alla BBC deve avere un BBC accent, ovvero deve parlare in
maniera corretta, seguendo un modello della lingua. Inoltre la BBC deve informare, educare,
divertire. Si sviluppa quindi un approccio pedagogico-paternalistico. Il servizio pubblico deve
essere traghettatore della cultura, mediatore di cultura, che è la parte migliore che una nazione può
produrre. Deve traghettare la cultura alta alla massa. Williams la critica perché è troppo pedagogica-
paternalista e restringe il campo della cultura, che è l’insieme di dei modi di vivere di un popolo.
Nel 1927 la BBC diventa una public corporation (British Broadcasting Corporation), staccandosi
dalla pubblicità.

Sei momenti nella storia del servizio pubblico


Bourdon divide la televisione europea in sei momenti:
• Età dell’oro dalla fondazione agli anni ‘40/’50
• Introduzione della pubblicità negli anni ‘50
• Introduzione del secondo canale negli anni ‘60
• Servizio pubblico assediato negli anni ‘70
• Inizio della concorrenza pubblico-privato o deregolamentazione negli anni ‘80
• Nuove tecnologie e il loro progressivo impatto dagli anni ’80 agli anni 2000

Età dell’oro
Nasce la televisione.
Nella Germania Federale nascono enti radiofonici di servizio pubblico. Secondo l’articolo 5 (Legge
Fondamentale del 1949) la sovranità sulla televisione è dei Länder, il servizio pubblico si sviluppa
come ente regionale e vengono riuniti a livello nazione nel ARD, che riunisce le sei istituzioni
regionali. Nel 1953 l’ARD inizia a trasmettere regolarmente.
In Francia nel 1939, il ministero dell’informazione revoca le licenze ed esercita un politica di
controllo e centralizzazione (RTF). Prima c’erano diverse emittenti radiofoniche fino al 1933
quando viene introdotto il canone.
È presente una forte spinta ideale, la radio e la televisione hanno un ruolo importante per la
ricostruzione delle democrazie in Europa per promuovere una serie di valori comuni. Si cerca di
ideare una rete comune.
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Il servizio pubblico diventa una comunità di professionisti (ingegneri, registi, produttori, autori,
giornalisti) animati dai medesimi ideali (culturali ed educativi in primis). John Reith definisce
questa età come “forza bruta del monopolio”: ampie risorse, grande popolarità del mezzo,
eccellente reputazione, ecc.: è un periodo ricordato come un’età dell’oro.

Ascesa della pubblicità


Negli anni ’50 si accende il dibattito se introdurre o no la pubblicità. È un dibattito impensabile per
gli USA, dove la televisione commerciale è uno strumento del capitalismo e della democrazia. In
Europa viene percepita una contraddizione tra il servizio pubblico e gli interessi commerciali
(pubblico vulnerabile, possibile svilimento della missione culturale, promozione di generi “vili”,
quali il gioco, il varietà, le serie, ecc.). Dai dirigenti del broadcasting c’è il desiderio di non
dipendere solo dal canone (ovvero dalla politica).
Nel 1954 in Gran Bretagna, il Parlamento vota per la creazione di un secondo canale di “servizio
pubblico” ma commerciale ITV. Vi è una progressiva introduzione sui canali pubblici in Germania,
Francia, Spagna e Italia della pubblicità (es. Carosello).

Il secondo canale pubblico


Tra il 1961 e il 1966 viene creato un secondo programma in tutti i paesi europei: nel 1961 in
Germania il ZDF (diversa istituzione e centralizzato) e in Italia il Secondo Programma. Nel 1964 in
Francia l’RTF e il Television 2 e in Gran Bretagna la BBC2. Nel 1966 in Spagna il TVE2.
Si affaccia il problema della concorrenza, con la conseguente fine dell’unico programma (“forza
bruta del monopolio”), rischio di crisi della missione culturale. Nascono le prime strategie di
programmazione: complementarità totale con specializzazione, senza specializzazione,
complementarità minima, concorrenza garbata, concorrenza diretta.

L’assedio
È un momento meno televisivo e più politico. La televisione è contestata da ogni parte:
• Conservatori (al nord): la televisione pubblica è troppo “di sinistra”, talvolta è “sovversiva”
(Germania, Berufsverboten).
• Sinistra (al sud): la televisione pubblica è asservita al potere politico (DC in Italia).
• Intellettuali: critica del basso livello culturale dei programmi.
• Interessi commerciali: richiesta di più spazi pubblicitari.
Si riaffermano i diritti del monopolio e si bloccano le innovazioni (cavo, satellite). Si attuano
riforme: nel 1974/75 in Francia si vede la fine di ORTF e nascono TF1, Antenne 2 e France Regions
3. In Italia nel 1975 si ha la riforma della RAI. In Germania vengono introdotti divieti che
stabiliscono che la parte del personale di estrema sinistra venga estromesso dal lavoro.

Deregolamentazione
Nasce un nuovo sistema di broadcasting in Europa e si chiude la fase del monopolio. In Europa
esordisce la televisione privata-commerciale sul modello americano. Si apre un dibattito sulle
“nuove tecnologie”: uso retorico (e politico) del “determinismo tecnologico”. Si parla di “cavallo di
Troia” per l’apertura del mercato e la fine del monopolio. È importante il ruolo del lobbying
politico (modello Italia: Berlusconi e il PSI di Bettino Craxi negli anni ’80).
In Francia nel 1984 viene introdotto il Canale Plus, prima rete a pagamento in Europa, su modello
HBO. Nel 1986 La Cinq (Berlusconi), nel 1987 privatizzazione di TF1 e nascita di M6.
In Germania Sentenza Corte Costituzionale “Duale Ordung” (RTL+ e SAT1).
Negli anni ’80 in Italia non viene fatta alcuna legge, si ha una fase di vuoto. Vengono creati
network per aggirare la legge. Berlusconi crea un network nazionale utilizzando le reti locali,
immaginando una programmazione sincronizzata che consente lo sviluppo della tv commerciale. I
pretori oscurano la tv commerciale di Berlusconi e nel 1984 il governo di Craxi tampona questa
situazione con un decreto.
166
La NeoTv in Italia vede un passaggio dalla scarsità alla disponibilità: prima la tv locale, poi la tv
commerciale (anni ‘70/’80). L’impero privato di Berlusconi, i network: Canale 5, Italia 1,
Retequattro (i canali), Fininvest (la holding) e Publitalia80 (concessionaria di pubblicità).
Competizione e specularità Rai/Fininvest negli anni ’80 (dal 1984), la contestata azione “dei
pretori”, fino alla Legge Mammì (1990) che fotografa il nuovo sistema. Concetto di “duopolio
imperfetto”. Neo-televisione (Eco), un nuovo linguaggio. La logica è quella del gatto: pieno
sviluppo dell’industria culturale in senso moderno e legata all’intrattenimento.
Drive in, su Italia 1 (1983-1988) è fatto di sketch brevi che si adattano alla logica della tv
commerciale. Viene introdotta la pubblicità che interrompe il programma tv di flusso. Si passa dal
topo al gatto (da adattamento artigianale ad una logica industriale di marketing televisivo). Si
creano programmi per catturare un pubblico specifico e targettizzato (in RAI è una logica politica,
in Fininvest è targettizzazione).

Nuove tecnologie
Dagli anni Novanta nuove piattaforme tecnologiche iniziano a essere sfruttate come mercati (cavo,
satellite). Dagli anni 2000 ha inizio della digitalizzazione (del cavo e del satellite), e nascita della
Televisione digitale terrestre
(Dtt). Irregolare penetrazione delle tecnologie e diverse strutture del mercato (es. la Germania è più
lenta nella
digitalizzazione, in Italia tutti i fenomeni si concentrano negli anni 2000). Importanza dello “switch-
off” del segnale analogico e passaggio al Dtt (accesso universale) in tutti i Paesi europei (2012).
Abbondanza, multicanalità, TV digitale, TV convergente, Social TV, ecc.

Il caso italiano: tra progetto e controllo


Controllo: attitudine della politica (e dei partiti) ad esercitare un controllo sulla TV pubblica:
• 1954 -1975: centralità della DC (Democrazia Cristiana, RAI sotto controllo del Governo).
Filiberto Guala e Ettore Bernabei (DG Rai dal 1960 al 1974).
• 1975-… Riforma RAI, passaggio del controllo della TV pubblica dal Governo al Parlamento
(“lottizzazione” dagli anni Ottanta: DC, PSI e PCI).

Progetto: definizione di una “missione complessiva”:


• Il progetto dei cattolici sulla tv delle origini. Duplice perimetro: l’esortazione di Papa Pio XI
e l’ala fanfaniana della DC (spinta sociale-educativa).
• Il progetto di rilancio della TV pubblica: Raitre di A. Gugliemi (1987-1994).

167
30. TEORIE DEI MEDIA
La “scuola” canadese
Non si tratta di un "istituto" vero e proprio ma di una scuola informale, un comune brodo di cultura,
dove altri sono allievi di altri ancora, e dove ci sono continui richiami di percorsi iniziati da altri.
Il centro è Toronto ma la scuola si estende anche in altre aree degli USA e della UK.
Vi è un attenzione ai media prevalentemente di tipo storico e in particolare a livello di storia
economica, tecnologica e culturale.
Quindi McLuhan e il suo maestro Innis considerano i media come storia delle tecnologie, dei
pensieri e delle mentalità ma anche storia economica e che ha a che fare con scambi di informazioni
e di denaro. Questa concentrazione sulla storia delle cose ha portato all'accusa di determinismo
tecnologico, come se la decisione di studiare in primis i fenomeni tecnologici si riverberasse nel
metterli sempre al primo posto. Invece questa lettura dei fenomeni mette al centro i materiali e le
tecnologie ma li inserisce all'interno di un ambiente più complesso dove si sottolinea la loro
importanza che è stata per molto tempo sottovalutata.

Le teorie di Innis
Nel 1950 in una sua raccolta di saggi, "Impero e comunicazione", si pongono le basi di un discorso
che arriverà fino ai media. È uno storico economico che si è preoccupato di economia e delle
trasformazioni di questa in Canada e anche nel mondo. Attraverso ciò viene coinvolto anche nello
studio della comunicazione e in particolare dei media.
Comunicazione intesa come un superamento di limiti spaziali e temporali.
Secondo Innis gli imperi si sono potuti sviluppare e ingrandire grazie ad un parallelo sviluppo di
forme di comunicazione. La storia avanza attraverso la possibilità di movimento nello spazio di
persone merci e messaggi. Fondamentale da questo punto di vista sono le reti di trasporto che
consentono di far spostare merci dal centro alle periferie dell'impero (vedi impero romano). E al
tempo stesso la mobilità dei messaggi è favorita dai media. Ad Innis interessano i materiali della
scrittura che implicano la possibilità di superare i vincoli temporali dei messaggi scritti e il
superamento dei vincoli geografici (si fanno arrivare gli ordini dell'imperatore in tutte le zone
dell'impero e attraverso la forma scritta questi messaggi vengono resi permanenti).
Questo discorso Innis lo applica alla storia antica e ai grandi imperi classici, ma è rilevante anche ai
nostri tempi. Lo sviluppo delle vie di comunicazione e della mobilità dei messaggi spesso vanno di
pari passo e costituiscono un potere. La dimensione mediale consente di superare spazio e tempo e
permette di ottenere potere simbolico, culturale ed economico. In questo modo il termine media
arriva ad includere anche alcune forme di trasporto.

Le teorie di McLuhan
Non nasce come studioso dei media ma come studioso di letteratura seicentesca britannica, ma ben
presto si rende conto della molteplicità di messaggi mediali di cui i suoi allievi sono circondati,
approdando ad abbozzare nel 1964 il saggio "Understanding media". Più avanti McLuhan diventerà
una figura importantissima all'interno del mondo dei media e non solo (darà perfino un intervista a
"Playboy" in cui sintetizzerà il suo pensiero). Diventa un guru dei media ed un personaggio famoso.
La definizione che McLuhan dà di "medium" parte da Innis ed è una definizione estensiva:
"Media sono tutti quegli strumenti che mettono in relazione tra di loro gli esseri umani."
Sono quelli che "mediano", che stanno nel mezzo. La definizione di medium quindi cambia a
dismisura.
Sono coinvolti molti aspetti per la definizione di media: ad esempio anche il numero, strumento
astratto con cui gli uomini riducono la complessità del mondo, viene utilizzato come merce di
scambio, pertanto diventa un medium; il denaro quindi è un medium, lo scambio economico (vedi il
baratto), le armi sono dei media. I media sono qualcosa che si inserisce e rende astratta la relazione
fra due o più uomini. Anche l'orologio è un medium che regola i tempi delle relazioni umane, cioè

168
cambia qualcosa nel modo in cui gli uomini interagiscono tra di loro. È questa una definizione
estensiva di mezzo di comunicazione. Questa relazione non è neutrale né banale.
I media sono per McLuhan delle metafore attive che traducono l'esperienza in una nuova forma e la
loro presenza cambia la natura della relazione. Tutti i media in un modo o nell'altro agiscono come
metafore portando la relazione su un altro piano e diventano protagonisti della relazione, quindi
sono attivi.
I media inoltre funzionano come "protesi" o "estensioni umane". Gli uomini modificano la relazione
tra di loro estendendo artificialmente un loro organo o una loro facoltà. In questo senso funzionano
come "protesi" dell'uomo, cioè si aggiungono alle facoltà umane, le potenziano e le migliorano.
Essi hanno una ricaduta sulla società cosi come hanno un effetto, un feedback, un ritorno sull'uomo
stesso, provocando un effetto di "narcosi", in cui si potenziano le facoltà ma si desensibilizza
l'organo che questa protesi potenzia. Ad esempio il microfono: è un medium che cambia la natura
della relazione tra gli uomini ed in un certo senso è l'estensione della voce. Se ci si abitua a parlare
con il microfono si sarà meno abituati ad usare la voce in modo potente.
Effetto di narcosi: si depotenzia la facoltà ma al contempo si amplifica questa stessa facoltà
attraverso un medium.
Il cinema ad esempio è l'unione della fotografia e della ruota. Oppure la stessa elettricità, che
estende il sistema nervoso centrale, innerva determinate regioni del pianeta e permette il
funzionamento di molte altre estensioni che da lei dipendono. La radio è l'estensione dell'orecchio.
La televisione si può dire che è l'estensione del tatto, perché è un medium particolare: estende
l'occhio e l'orecchio ma non solo. In essa vi è un coinvolgimento sinestetico, una comunione di altri
sensi: si riassume nel tatto (perché riguarda assieme tutti i nostri sensi)
Bisogna precisare che questa non è una visione negativa del medium. È semplicemente un
accorgersi oggettivo del fatto che c'è sia un positivo, l'estensione, ma anche un negativo, la narcosi.
Un altro slogan di McLuhan è che "Il medium è il messaggio". Vuol dire che nonostante noi spesso
ci concentriamo sui loro contenuti, linguaggi e forme, Mcluhan dice che questi contano
relativamente, in particolare i contenuti contano relativamente, perché il vero cambiamento è dato
dalla presenza stessa del medium che trasmette il messaggio più importante e cambia le proporzioni
gli schemi e il ritmo dei messaggi umani.
Non si può accusare in maniera stupida che la tv porti scene di violenza davanti ai bambini. Non è
che quello non conti ma il vero cambiamento è il fatto stesso che la tv sia lì, non tanto i suoi
contenuti. Poi potrà trasmettere qualsiasi cosa ma non cambia niente, perché c'è già stato un
cambiamento nel modo in cui ci relazioniamo agli altri.
"Il contenuto di un medium è sempre un altro medium". Mcluhan percorre già la strada che Bolter e
Grusin affrontano quando si parla di "rimediazione". Quando arriva la televisione questa include in
sé sia l'estensione della vista data dal cinema, sia quella dell'udito data dalla radio.
Inclusività progressiva dei media. Motivo per cui i media muoiono "di mortalità infantile": se sin
dall'inizio un medium ha successo poi finirà solo per svilupparsi al contrario se non lo avrà finirà
per scomparire.

Media caldi e media freddi


McLuhan introduce anche la distinzione tra media caldi e freddi. Hot & cold: espressione presa dal
jazz statunitense (hot: jazz di Fitzgerald / cold: jazz di Devis).
Media caldi
Forniscono info molto dettagliate ma solo ad uno o due sensi. Si tratta di informazioni ad alta
definizione che arrivano concentrate nel senso e nella facoltà cui sono indirizzate. Siamo investiti
da una quantità di informazioni superiori e prendiamo solo quello che riusciamo a prendere. Di
fronte a ciò non possiamo che reagire accogliendo in blocco le informazioni come dati (es. Scrittura
alfabetica, la stampa a caratteri mobili, il cinema, la radio forniscono informazioni ad alta

169
definizione solo ad alcuni nostri sensi). McLuhan spiega che è proprio per questo cioè perché siamo
sopraffatti dai suoni e dalle immagini, che davanti ad un film ci emozioniamo o ci commuoviamo.
Media freddi
Forniscono informazioni più frammentate ad una pluralità di sensi. Per questo siamo portati a
pensare che queste informazioni siano meno rilevanti. Invece no, la differenza è che ci coinvolgono
non a livello emotivo ma razionale. Siamo costretti a usare la ragione. Instaurano un dialogo con lo
spettatore costringendolo ad essere più presente. Es. Il fumetto, il telefono, la televisione presentano
un immagine a mosaico (una serie di quadratini) e lavorano a livello inconscio, cioè lo spettatore
prende i quadratini e a livello inconscio li unisce. Inoltre la televisione la guardo mentre faccio altre
cose: consente allo spettatore di essere più attivo.

Filosofia della storia Mcluhaniana


Sulla base della distinzione tra media caldi e freddi distingue in 3 ere:
• Era primordiale: media freddi.
• Fase di surriscaldamento: progressivo riscaldamento attraverso i caratteri mobili con l'età
meccanica fino all'elettricità. Capovolgimento del medium surriscaldato.
• Era fredda: si ritorna ai meccanismi del villaggio. Quando parla di messaggio globale lui dice
che abbiamo lo stesso sistema del villaggio ma a livello del pianeta, in una forma di oralità
secondaria.

La scuola di Francoforte
• Teorie profane: non dimostrate ma importanti perché si sviluppa un interesse scientifico nei
confronti dei media.
• Teorie scientifiche: in senso forte.
Bourdon riprende il sociologo Barton che parla di "teorie di medio raggio": ipotesi destinate a
rendere conto di un fenomeno e che si inseriscono in una disciplina specifica.
Nel clima di opinione che circonda i media si crede che i media possano condizionare i
comportamenti e quindi ad esempio istigare alla violenza. Quando questo tema diventerà importante
si svilupperanno una serie di teorie per verificare se questo sia vero.
Teoria a medio raggio: teorie che non hanno a che fare con una semplice cosa ma con un fenomeno
più ampio e che utilizzano una disciplina (ad esempio la sociologia) tentando di spiegare questo
fenomeno, a differenza delle teorie profane che sono solo delle opinioni.
Normalmente le teorie durano nel tempo e sono suffragate da prove o riscontri empirici. Esse
forniscono una serie di opinioni intorno ai media ma non tutte queste sono teorie. Quando
un'opinione riesce a resistere diventa una tradizione di ricerca e diversi autori sviluppano quadri
teorici.
Teoria critica: tradizione di ricerca sviluppata nel corso degli anni anche da autori differenti.
Le diverse teorie vengono ovviamente influenzate da come si sviluppano i media stessi.
Il contesto storico della teoria critica si fa risalire al lavoro di una serie di studiosi che si rifanno
all'"Istituto di ricerca sociale" sviluppatosi a Francoforte a partire dal 1923.
In quel tempo in Germania vi è la Repubblica di Weimar. Poi nel 1933 salirà al potere Hitler e i
filosofi tedeschi si spostano negli Stati Uniti dove fondano un corrispettivo dell'" Istituto sociale di
ricerca" tedesco con il nome di "Institute for social research".
I protagonisti sono Horkheimer, Pollock, Adorno, Benjamin, Habernas che lavorano sul lavoro tra
media e opinione pubblica.
La scuola di Francoforte vuole essere centro di studi sulla vita contemporanea e nasce sull'onda
dell'industrializzazione, del capitalismo e della nascita della società di massa, dove vi è una
particolare rilevanza delle masse nella storia. Prima guerra mondiale: prima guerra combattuta dalle
masse che acquistano sempre più rilevanza.
Il significato di "teoria critica" ce lo dà lo stesso fondatore e direttore dell' istituto, Horkeimer: la
teoria critica deve dare una spiegazione non parcellizzata della realtà sociale.
170
Per la teoria critica non basta l'apporto di una singola disciplina ma essa si propone di dare uno
sguardo che connetta le diverse discipline e che dia un senso ai cambiamenti sociali e culturali dei
secoli precedenti.
Si chiama critica perché secondo questi autori gli intellettuali che si occupano di ciò devono avere
un punto di vista critico, mettendo in rapporto tra di loro i valori che sembrano essere condivisi.
L'elemento sul quale i francofortesi puntano l'attenzione è la vita culturale. Le stesse dinamiche che
hanno caratterizzato la vita economica e politica entrano in quella culturale: la nascita dell'industria
culturale, termine che sembrerebbe costituire un ossimoro (industria vs cultura).
Che cosa vuol dire "industria culturale"? É qualcosa di completamente nuovo. Indica la
trasformazione avvenuta nella società con l'avvento della società di massa, l'industrializzazione e il
capitalismo.
L’industria è un modo di produzione legato alla fabbrica Ford, che con la catena di montaggio
costruisce macchine in serie. Fenomeno della standardizzazione. La cultura è qualcosa di opposto
all' industria; rappresenta il meglio della società, un modo di vita. È un patrimonio di conoscenze,
qualcosa di unico, non in serie, sia che appartenga ad una persona, sia che appartenga ad una
collettività.
Il termine "industria culturale" è dunque un ossimoro, ma che tuttavia definisce esattamente quello
che sta accadendo nel ‘900: la cultura inizia a produrre beni materiali, in una progressiva
standardizzazione della sfera culturale.
In questo contesto si inserisce l'intellettuale che deve analizzare criticamente tutto questo.
L'approccio critico nasce dai fenomeni che stavano caratterizzando l'Europa in quegli anni.
L'approccio dei Francofortesi è estremamente pessimistico perché vedono il letterale
capovolgimento di ciò che l'Illuminismo aveva affermato, proclamando il dominio della ragione.
L'Illuminismo infatti era caratterizzato dalla promessa che la ragione avrebbe dominato. La tecnica
sarebbe stata al servizio dell'uomo per affiancarlo nel bisogno. Per i francofortesi c'è stato invece un
rovesciamento letterale.
Società capitalista = alienazione e nuove forme di sfruttamento. Viene inoltre applicata la
tecnologia, strumento di liberazione, per la guerra. Nella Germania degli anni ‘30 sale al potere il
nazismo: rovesciamento totale della dialettica dell'Illuminismo. Quella che caratterizza questi anni è
una teoria fortemente influenzata dalla storia.
"Dialektik der Aufklärung" (1944) è una testo tradotto in Italia solo nel ‘66 e che sta alla base di
queste teorie.
La società contemporanea è lo specchio capovolto della società immaginata dagli Illuministi.
I film di Hollywood sono film di genere fatti con lo stampino come la catena di montaggio: ogni
film horror/commedia ecc. racconta la stessa cosa. E cosi anche la musica leggera e il jazz: stesse
melodie, formule destinate soprattutto a stupire e piacere in maniera immediata. Non richiedono
studio né interesse. E cosi sono anche i settimanali popolari.

Raymond Williams. Televisione, tecnologia e forma culturale


Ulteriore tradizione di ricerca è quella dei "Cultural Studies", area molto britannica.
Nascono tra anni ‘50 e ‘60 in Gran Bretagna, in particolare a Birmingham.
Williams è uno dei padri fondatori di questa tradizione di ricerca, soprattutto grazie al suo testo
"Media and television studies" .
Si aprono varie piste di ricerca. Siamo nel periodo storico contemporaneo alla nascita e sviluppo
della tv (anni ‘50 e ‘70).
Williams è un professore che arriva alla cattedra di "Literature and drama" a Cambridge negli anni
‘50, il cui interesse però va molto al di là degli studi letterari e in particolare si rivolge alla rilevanza
che la comunicazione mediale ha nella società contemporanea e agli effetti del cambiamento della
comunicazione sul modo in cui concepiamo la cultura.

171
Comprende prima di altri la centralità della televisione e lo fa a partire da un incarico che ha tra
1968 e 1972: tiene una rubrica sulla televisione su un settimanale. In questo modo si avvicina
ancora di più a questo medium.
Il libro fa particolare riferimento ad un viaggio che Williams fa dalla Gran Bretagna agli USA. Fino
alla fine degli anni ‘70 i modelli televisivi europei erano molto differenti: vi era una fortissima
presenza del servizio pubblico. La televisione americana invece si sviluppa sin dalle origini (anni
‘40) come televisione commerciale e questo provoca dirette conseguenze sulla caratterizzazione del
testo televisivo.
Dunque quando Williams va negli Stati Uniti trova una televisione completamente diversa da quella
europea. Da questa esperienza Williams conia il concetto di flow e di flusso televisivo: insieme di
programmi, promo, pubblicità che costituisce un flusso indistinto, cosa che di fatto era la specificità
comunicativa della televisione americana e che arriverà in Europa dagli anni ‘80 in avanti quando
nascerà la tv commerciale anche in Europa.
Ci sono tre concetti di fondo importanti in Williams, che differenziano fortemente i Cultural Studies
dalla teoria critica (il cui marxismo tuttavia un po' influenza anche i Cultural Studies, anche se in
modo diverso rispetto alla teoria critica) e dalla scuola canadese:

La critica del concetto di "massa"


Dibattito sui temi della società di massa e sul ruolo che i media hanno in essa. Il termine "massa" ha
sempre un'accezione negativa, in quanto la massa non è una comunità ma un insieme di persone del
tutto atomizzate (atomi che vivono senza relazioni fra loro) in cui il soggetto passivo. C'è l'idea che
il pubblico di media sia costituito da masse facilmente influenzabili. Williams critica questa
concezione di massa. Non ci sono delle masse ma solo il quadro teorico che adottiamo fa si che noi
pensiamo che la società contemporanea sia costituita da masse.

Il concetto di cultura ordinaria


I "Cultural Studies" hanno un'idea di cultura diversa dal modo tradizionale in cui generalmente la si
intende. Tradizionalmente la cultura è l'insieme del meglio che una società ha prodotto. Per
Williams questa è la tipica visione elitaria della società borghese ottocentesca. Williams ha una
posizione nettamente diversa secondo la quale questa visione elitaria è troppo ristretta.
Secondo lui della cultura fanno parte tutti gli artefatti e modi di vita che appartengono ad una
società/comunità: tutto quello che una società condivide (che non è una cosa lontana ma ci riguarda
da vicino). E che cosa più dei media è ordinario? Cosa più di loro è cultura nel senso ordinario del
termine, cioè a disposizione di tutti e utilizzata da tutti? Per questo Williams prende molto sul serio
la cultura popolare. La prospettiva dei "Cultural Studies" prende più sul serio la cultura
mediatizzata

La connessione fra cultura e comunicazione


Se è vero che la cultura rappresenta un intero modo di vita, allora la società di oggi è caratterizzata
da una rilevante parte di prodotti della cultura prodotti dai media in una chiave però comunicativa.
Vi è un nesso forte. Una delle domande che Williams e i "Cultural Studies" si pongono è "come si
possono creare condizioni per creare una cultura condivisa e comune e non limitata, cioè una
cultura democratica?" "E che ruolo hanno i media nel costruire questa cultura?"

Con Williams si passa da un' attenzione alla comunicazione di massa ad un'attenzione nei confronti
della cultura e del nesso cultura-comunicazione-media. Nesso che si rende ancora più evidente dal
fatto che rifiutiamo il concetto di massa e adottiamo il concetto di comunità, concetto che esprime
qualcosa di vivo, che include e non esclude. La costruzione di una cultura comune si scontra con
l'analisi dei modelli istituzionali della cultura comune stessa, che Williams riassume in tre grandi
modelli:

172
Modello autoritario
I media sono sotto il controllo del governo e hanno esclusivamente la funzione di propaganda. Non
ci si riconosce in essi e non esprimono l'esigenza di una cultura democratica.

Modello paternalistico (di servizio pubblico)


Adotta una visione tradizionale di cultura e intende il rapporto con il proprio pubblico come un
rapporto di divulgazione, nel senso di divulgare la cultura alta. Il servizio pubblico inglese, italiano
ed in generale europeo ha l'idea di mettere a contatto la popolazione non scolarizzata con i classici,
magari della letteratura (questo in particolare in Italia).
Modello pedagogico tradizionale è un medium che si fa maestro e insegna.

Modello commerciale
Non è un modello positivo perché in questo caso non ci sono preoccupazioni di carattere culturale,
ma solo un attitudine a costruire sistemi che facciano profitto.
Uno dei temi attorno a cui ruota il dibattito di Williams è l'ipotesi di definire un quarto modello
diverso dai precedenti.
Williams ipotizza un modello in cui da una parte ci sia un intervento pubblico ma che non sia
centralizzante e che magari si apra ad una serie di produttori esterni disseminati sul territorio.
Finite queste premesse importanti è ancor più importante l' analisi del mezzo televisivo.

L’analisi della televisione


La televisione è un’istituzione culturale di crescente importanza. Al principio del suo libro Williams
cerca di indagare e capire gli elementi rilevanti di indagine. Lui dice che la televisione è fatta di due
pilastri:
• Tecnologia
• Forma culturale (aspetti simbolici, testuali del medium)
Uno dei problemi che Williams si pone è la domanda "in che rapporto stanno tecnologia e forma
culturale?" e "in che rapporto sta la televisione con la società?". Temi molto presente nel dibattito di
quegli anni, su cui si ragiona ancora molto sulle conseguenze e gli effetti della televisione sulla
società.
Lui fa un analisi e una critica delle due forme di determinismo, che hanno a che fare col rapporto tra
la tecnologia con la società.

Determinismo tecnologico
C'è tutta una tradizione per esempio nella scuola canadese che dice che l'innovazione tecnologica è
la causa di una serie di cambiamenti. Williams nel suo testo esprime questo concetto: ci sono due
modi per concepire il rapporto tra tecnologia e società a partire dal fatto che un medium cosi forte
come la televisione cambia il mondo. Il determinismo tecnologico spiega questo dicendo che
l'innovazione tecnologica è causa del cambiamento. Williams invece dice che nel determinismo la
tecnologia è percepita come una causa non causata, cioè è causa ma compare dal nulla. Perché ad
un certo punto si fanno sforzi per creare un certo tipo di tecnologie? Il determinismo tecnologico
non lo spiega, lo dà per scontato.

Determinismo sociale
La tecnologia e il cambiamento tecnologico sono fenomeni superficiali, interessanti solo perché
sintomo di cambiamenti più profondi, sintomi del cambiamento della struttura sociale, dell'avvento
del capitalismo. Nascono i media moderni perché cambia completamente la struttura sociale.
Dunque le cause sono di altra natura, cioè di carattere strutturale (che riguardano cioè la struttura
economica e sociale). La tecnologia è epifenomeno, un fenomeno superficiale. É perché siamo

173
arrivati alla società di massa che si possono creare strumenti per rinforzare la società di massa
stessa.
Williams spiega il determinismo sociologico dicendo che è un fenomeno superficiale a effetto non
causante, ma è sintomo di un cambiamento ma non ha la capacità di cambiare e trasformare.
Quindi la tecnologia è stata creata per supportare i cambiamenti. Quindi se la televisione non fosse
stata inventata ci sarebbero stati altri mezzi che ci avrebbero manipolato in maniera stupida e
passiva come adesso fa la televisione.
Quindi da un lato si sviluppa un nuovo interesse per la storia della tecnologia e dall'altro lato si
pensa a come quella tecnologia si va a sposare con una nuova forma culturale come quella della
televisione.
Quindi con Williams si va oltre ai determinismi.
Williams ridà l'intenzionalità diretta, cioè quando si cerca di realizzare una televisione o una radio
si pensa ai bisogni della società (si rigetta l'idea che sia per manipolarci). Si tratta di una visione dei
media molto più articolata che necessita una ricerca anche in chiave storica. Si apre un campo di
ricerca sulla storia della tecnologia e su suoi usi.
Nel caso della televisione lo sforzo realizzativo dei sistemi radio-televisivi precede il pensare a
quali sono i contenuti.
La televisione nasce come tecnologia priva di contenuti. Quindi nel momento in cui questa si
diffonde ci si deve porre il problema di quali contenuti vanno al suo interno, problema della "forma
culturale".
Quale forma culturale deve assumere la televisione?
Quando la televisione nasce si adattano le forme culturali preesistenti (giornali, cartelloni
pubblicitari ecc.) al nuovo medium: diventano poi veri e propri generi televisivi, che mano a mano
che si sviluppano sono soggetti a trasformazioni.
Inoltre la televisione come mezzo di comunicazione crea da sola generi nuovi quindi forme culturali
nuove (vedi il reality show o qualsiasi altro genere contemporaneo)
Una delle forme culturali più nuove è la televisione stessa, lo stesso medium televisivo, che ha nel
flusso qualcosa di completamente diverso da tutte le forme culturali preesistenti. Il flusso televisivo
è la caratteristica principale della televisione come forma culturale.

L’imperialismo culturale
Siamo nel periodo che sta tra gli anni ‘60 e ‘70 del 1900 abbiamo la nascita e lo sviluppo
dell'industria cinematografica. In cinema assume un ruolo importante nella società.
Ma che ruolo giocano i media nel processo di globalizzazione?
Innanzitutto, cos'è la globalizzazione? La globalizzazione è l’insieme delle relazioni economiche tra
Paesi diversi tra loro e lontani e la circolazione delle merci e delle informazioni.
Le economie non sono più ristrette ma diventano imprese globali. In queste economie globali vi
sono fenomeni migratori, di delocalizzazione: si produce dove il costo della vita è più basso. Il
mondo diventa più piccolo, globalizzato.
I media e i mezzi di comunicazione hanno contribuito all'abbattimento delle barriere tra i vari Paesi
del mondo.
Oltre a spostare informazioni con i mezzi di comunicazione più rapidamente ci spostiamo noi stessi
attraverso i mezzi di trasporto, viaggiamo.
La teoria dell' imperialismo culturale è vicina alla teoria critica e riflette sulla connessione tra media
e globalizzazione.
L’imperialismo è il fenomeno che ha portato i Paesi più avanzati a creare colonie e imperi coloniali
attraverso un sistema economico che è quello del capitalismo.
Ciò che viene messo a tema è la possibilità di costruire forme di imperialismo sul lato della
dimensione della cultura.
Questa teoria viene elaborata tra anni ‘50 e ‘60 del 1900 ed è interessante, più che per la teoria in sé,
per le critiche che ha sollevato che risultano quasi più importanti della teoria stessa.
174
Media, spazio e tempo
I media ridefiniscono la struttura spazio-temporale della nostra esperienza e contraggono gli spazi e
i tempi.
Due delle premesse rilevanti dell'inizio del processo di globalizzazione furono:
• Sul piano della comunicazione mediata l'introduzione e la diffusione delle reti telegrafiche (a
partire dagli anni ‘30 e ‘40 del 1900), prima con i cavi e poi senza, consentono l'istantaneità
della comunicazione da un posto all'altro.
• Sul piano della comunicazione di massa abbiamo la circolazione di merci culturali/idee/beni
simbolici, che in quanto simbolici hanno qualcosa in più rispetto alla semplice merce.
La globalizzazione è un processo che si lega moltissimo ai media, ma bisogna stare attenti a non
cadere nel determinismo tecnologico.
I media non sono solo una causa della globalizzazione, ma allo stesso tempo ne sono anche una
conseguenza. Bisogna mettere in pratica uno sguardo olistico, ovvero tenere conto della
molteplicità. La modernità è il periodo che segue il medioevo, dove si riprendono i commerci, la
colonizzazione e l'industrializzazione, che contribuisce alla globalizzazione, perché i paesi più
industrializzati producono più merci, quindi hanno bisogno di esportare di più mercati per esportare
i loro prodotti.
Soprattutto a partire dalla seconda metà del 1800 abbiamo la diffusione delle reti di comunicazione.
Inoltre abbiamo l'emergere della stampa moderna e della notizia come "sintetica affermazione
relativa ad un fatto che accade lontano", insieme alla nascita delle grandi agenzie di informazione e
di stampa. Tutti fenomeni che sono una conseguenza ma anche un'ulteriore spinta alla
globalizzazione.
L'aspetto su cui questa teoria pone la sua sottolineatura è che questo processo non porta come
conseguenze a un equilibrio nuovo.
Non tutti coloro che prendono parte alla globalizzazione sono uguali: vi è un disequilibrio tra i
diversi paesi. Soprattutto negli USA e nell'Europa occidentale nascono i primi conglomerati mediali
(multinazionali delle comunicazioni). Il disequilibrio riguarda la asimmetria tra i poli che
producono comunicazione unito al fatto che gli USA diventano il Paese centrale delle relazioni di
potere e centrale per l'esportazione di prodotti mediali.
Questo squilibrio riguarda ad esempio il cinema ed in particolare l'assoluta preponderanza del
cinema americano sui mercati, soprattutto dopo la prima guerra mondiale sui mercati Europei (età
dell'oro del cinema americano, il quale si crea un pubblico sul mercato interno ma anche mondiale).
Il mercato del consumo di cinema negli Stati Uniti è fortemente caratterizzato dal prodotto
americano e questo vale anche per i mercati europei. Ad esempio la quota del cinema americano
rispetto a quello nazionale italiano è variabile, ma generalmente è intorno al 60/70% della quota di
mercato.
Assumono importanza anche le grandi agenzie di informazione che tendono a gettare il loro sguardo
su alcune parti del mondo, le più interessanti per il mercato dei relativi paesi in cui gli USA
trasmettono i loro prodotti mediali. Ad esempio l'Africa non si segue molto: scarsa conoscenza
dell'Occidente sulle vicende africane.
L'industria hollywoodiana, tuttavia, ad un certo punto viene pressata da leggi anti-trust (anni ‘50 e
60 del 1900) ed inoltre nasce la televisione, concorrente importante, che crea prodotti che riescono
ad uscire più facilmente dal mercato americano.

La teoria dell'imperialismo culturale


Viene elaborata da Schiller alla fine degli anni '60.
Idea dell'impero come "impero americano", non solo per quanto riguarda la supremazia economica-
militare ma anche quella culturale, che riesce a colonizzare anche altri mercati. In sostanza la

175
cultura globalizzandosi si americanizza. Questo comporta lo sradicamento delle forme di cultura
locale/nazionale. La cultura di cui la società fruisce è prevalentemente quella americana.
Questo processo si lega alla grande capacità degli Stati Uniti di essere dei leader. Hanno una forte
conoscenza sul piano della produzione culturale ma anche sul piano della produzione tecnologica:
sono leader nella ricerca, leader della rivoluzione digitale (la Silicon Valley). Secondo la teoria di
Schiller, gli Stati Uniti sono capaci di esportare non solo tecnologie ma anche modelli consonanti
col modello americano, che è fortemente commerciale. Gli Stati Uniti esportano tecnologia e
contemporaneamente creano una domanda di contenuti riguardo a quella tecnologia. In questo
consiste la capacità della produzione mediale americana di essere più universale. Anche perché
bisogna considerare che gli Stati Uniti stessi sono un melting pot; per questo riescono a produrre
prodotti universali e godono della vastità del loro mercato interno, cosa molto importante. Anche
per questo i loro prodotti sono più raffinati, perché hanno maggiori risorse grazie all'economia di
scala.

L'invasione elettronica
Schiller trae le conseguenze di tutto questo discorso parlando di invasione elettronica, cioè della
capacità del mercato mediale americano di invadere elettronicamente il mondo, distruggendo le
tradizioni e le culture locali e diffondendo l'"american way of life", diffondendo cioè i valori
consumistici americani e l'idea della centralità del consumo della pubblicità e della dimensione
commerciale del prodotto culturale. Questo genera la dipendenza culturale. Tema ampiamente
dibattuto nel campo italiano (si discute su quanto l'Italia produce cultura mediatizzata
autonomamente e quanto invece sia soggetta all'americanizzazione).
Questa teoria è interessante soprattutto per le critiche che ha sollevato:
1. Quando si guarda al mercato globale dei media si può sottolineare la rilevanza del polo
statunitense ma non si può negare che il mercato della produzione mediale sia multipolare.
2. Critica che ha a che fare con la natura delle tradizioni culturali. Si può veramente sostenere,
se pure ci fosse una forte presenza del prodotto mediale americano, che questo possa
sostituire la tradizione culturale autoctona?
3. Tema dell' influenza. Se anche fosse vero che c'è una forte preponderanza del prodotto
mediale americano a livello politico-economico, questo non pregiudica il modo con cui quel
prodotto viene recepito a livello locale.
1.
È certamente vero che gli USA hanno un ruolo rilevante sul mercato mondiale ma questo campo è
sicuramente multipolare. In questo processo di globalizzazione non esiste un unico centro, ma ci
sono centri differenti. C'è o c'è stata una forte capacità di produzione di tecnologie negli Stati Uniti,
ma lo stesso è successo anche in Cina e Giappone ad esempio, che sono ugualmente importanti.
Inoltre secondo questa critica la teoria di Schiller semplificherebbe tutto un discorso che riguarda
quei finanziamenti che hanno portato grandi imprese europee ad acquistare imprese americane.
Pertanto la teoria cadrebbe in una semplificazione eccessiva.

2.
Anche questa critica sostiene cha la teoria di Schiller sia un'eccessiva semplificazione. Da cioè per
scontato che ci sia solo il polo americano. In realtà ci sono altri poli importanti in grado di resistere
al prodotto americano e di esportare il proprio prodotto. Oppure ancora esistono anche industrie
molto tanto forti che detengono il monopolio del mercato locale (Bollywood, che detiene circa il
95% del mercato indiano ed esporta dove esiste il fenomeno della diaspora indiana: favorisce il
mantenimento dell'identità culturale indiana).
Schiller inoltre ha una visione romantica delle culture locali, come se esistessero delle culture locali
intatte, mai toccate se non con l'avvento della globalizzazione. Invece le culture sono sempre ibride
e mescolate già prima della globalizzazione. Non è vero che esistono culture incontaminate che
vengono poi contaminate dalla globalizzazione.
176
3.
Parte dall'idea che esista il livello macro cioè quello della diffusione del prodotto mediale che va ad
un livello micro cioè quello dell'appropriazione del prodotto mediale.
Schiller denuncia una conseguenza sul piano micro: fa dipendere direttamente il modo di
interiorizzare il prodotto (il piano micro) dalla diffusione dello stesso (cioè dal piano macro).
"The export of meaning " è una ricerca condotta da studiosi che studiano la serie televisiva "Dallas"
e rilevano, andando a intervistare pubblici di culture molto diverse fra loro, che ognuno ha un modo
diverso di interpretare (ad esempio alcuni pensano che Dallas sia una rappresentazione realistica
della realtà americana mentre altri pensano invece che sia una finzione e un modo eccessivo di
rappresentare la realtà americana).
La ricezione (il livello micro) è sempre localizzato ed è un’attività ermeneutica, cioè di carattere
interpretativo: non c'è mai un senso predefinito, ma si interagisce con il prodotto e nel consumare il
prodotto ognuno sfrutta il suo bagaglio di competenze e conoscenze.
Molti limiti della teoria hanno a che fare con la sua origine marxiana. L'aspetto più rilevante è che
la ricezione è un processo localizzato anche se guardando i mercato anche oggi è difficile sostenere
una predominanza del polo americano ma molti altri poli hanno importanza.

Meyrowitz. Oltre il senso del luogo


Lo studio di Meyrowitz riguarda lo sviluppo dei media elettronici (broadcasting e televisione).
I luoghi, cioè le situazioni comunicative, definiscono un frame per l' azione.
Meyrowitz scrive il testo "Oltre il senso del luogo" dove analizza l'impatto dei media elettronici sul
comportamento sociale.
Meyrowitz è un professore americano fortemente condizionato dalla scuola canadese di mediologia
(in particolare da McLuhan) e da una scuola anch'essa canadese di microsociologia, cioè sociologia
della vita quotidiana il cui massimo rappresentante è Goffman.
La teoria di Meyrowitz sta a cavallo tra queste due ed è il risultato della rielaborazione delle teorie
Mcluhaniane e Goffmaniane.
Lui si occupa infatti dell'impatto dei media elettronici sul comportamento sociale. I media
elettronici infatti hanno delle conseguenze (ed in questo riprende l'idea mcluhaniana che l'avvento
dei media abbiano effetti di vasta portata) sul comportamento sociale.
L'approccio che Meyrowitz adotta è quello di microsociologia: lo studio della sociologia a livello di
interazione faccia a faccia in un contesto di compresenza.
Ma per capire bene Meyrowitz bisogna partire da Goffman.

Goffmann
Tutta la microsociologia si dedica a indagare l'interazione nella nostra vita quotidiana fra attori che
condividono un certo contesto sociale.
Il suo testo più importante è "La vita quotidiana come rappresentazione". Lui dà vita ad un
approccio drammaturgico.
Per Goffmann l'attore sociale è in qualche modo come un attore di teatro e la vita quotidiana è come
una rappresentazione.
Nel teatro c'è una distinzione evidente tra quello che accade sulla scena e il retroscena. Quando
siamo sulla scena tendiamo a recitare la nostra parte (es. La parte dei bravi studenti). Cerchiamo di
conservare una faccia e cerchiamo di comportarci secondo le aspettative di quel frame
comunicativo. E poi c'è un retroscena nel quale l'attore si può rilassare. La vita sociale per Goffman
è analoga. Quando siamo sulla scena mandiamo impressioni alle altre persone e teniamo alla nostra
faccia e a dare un'immagine positiva di noi. Quando siamo nel retroscena tendiamo a rilassarci.
Uno dei concetti chiave è quello di frame, quadro che stabilisce le regole dell'interazione: gli attori
che si trovano in un luogo (che definisce le regole per gli attori stessi) tendono ad adattarsi alle
regole di quel luogo. Ciascun frame stabilisce come ci si deve comportare. Es. Se andiamo a teatro e
vediamo sulle pareti un cartello con scritto vietato fumare noi ci adattiamo. Se succede però che
177
nella rappresentazione un attore si metta a fumare nessuno di noi gli dice che non si può, perché
siamo consapevoli delle regole di quell'interazione.
Si vanno dunque a costruire una serie di frame e messaggi.
I luoghi (spazi sociali e non solo fisici) sono importanti perché ci danno un' idea di che cosa si può e
che cosa non si può fare. Rispetto a ciascuna situazione si può capire qual è la scena e quale il
retroscena. Ciascun luogo definisce dei canoni di comportamento.
Goffman arriva poi al punto di sostenere (dicendo che i luoghi definiscono i comportamenti
adeguati da tenere) che ad esempio la malattia mentale è in qualche modo costruita dal manicomio:
il malato si adegua alle regole di comportamento e si cade in una forma di determinismo. Per questo
i manicomi sono stati aboliti.
Quello che appare chiaro a Meyrowitz a partire da Goffman è la relazione tra la situazione (scena e
retroscena) e il comportamento sociale adeguato.
La novità che introduce è l'osservazione a partire da Mcluhan che i luoghi non sono più gli stessi:
cambiano i luoghi e cambiano anche le situazioni, quindi cambiano i frame che definiscono le
situazioni sociali e cambia il senso del luogo.
Quello che viene messo in discussione dai media cos'è? È la relazione stretta tra un luogo fisico e la
situazione sociale in cui siamo immersi. Es. Un signore sul treno parla al telefono di fronte ad una
persona che non conosce. Parla in maniera molto concitata e urla. La persona davanti lo guarda
strano e l'altra gli risponde che è una conversazione privata: doubling of place. Siamo socialmente
impegnati in un interazione con un'altra persona in uno spazio lontano ma allo stesso tempo siamo
in un certo luogo fisico.
Come i media vanno a cambiare il comportamento sociale e come trasformano il rapporto tra spazi
fisici e situazioni sociali in cui siamo immersi?
Quello che riprende da McLuhan è l’idea che i media sono dei veri e propri ambienti, nuovi spazi
virtuali che non esisterebbero se non ci fosse il medium. I media sono ambienti che tendono a
includere o escludere le persone in modi differenti. La società occidentale ha vissuto in quella che
Meyrowitz chiama, riprendendo McLuhan, la "Galassia Gutemberg", caratterizzata dal fatto che
siccome la cultura passa attraverso i codici della scrittura, questi definiscono delle élite alfabetizzate
in grado di controllare le informazioni e la cultura. La conseguenza è che esclude/include, crea
gruppi sociali distinti.
Parla poi anche di "Galassia Marconi". Marconi è l'inventore dei media elettronici (telegrafo senza
fili, radio, broadcasting televisivo), è colui che dà vita alla civiltà del broadcasting.
Il medium dominante è prima la radio prima e dopo soprattutto la televisione. In questa galassia non
ci sono più distinzioni, non è più necessaria una competenza. Galassia che tende ad includere molto
di più. Esperienza che non dipende più dall'età, dal livello di istruzione e dalla posizione sociale:
rompe delle barriere, siamo tutti immersi nella piazza (agorà) televisiva.
Meyrowitz vede il tutto in termini ottimistici.
Si passa dalla segregazione dell'informazione alla condivisione in un luogo che in realtà non ha un
luogo fisico. L'arena della televisione non è un luogo fisico. Per questo motivo il cambiamento che
avviene con la televisione è importante. Essa è un'arena collettiva che consente a tutti una
condivisione e percezione dei messaggi in maniera simultanea.
Simultaneità e contemporaneità sono le caratteristiche del broadcasting.
Per Meyrowitz quindi l'avvento e la forza del medium televisivo spezza le forze di separazione e
disgregazione tipiche della Galassia Gutemberg, che precedono l'avvento dei media. Tutti hanno
accesso allo stesso ambiente informativo.
Visione piuttosto determinista ma anche forse eccessivamente ottimista. La lettura di Meyrowitz va
nel senso della progressiva democratizzazione della società , del superamento delle differenze e
dell’appartenenza ad un unico ceto.
I media elettronici tendono a distruggere e superare le caratteristiche proprie dei luoghi.

178
Luoghi un tempo privati diventano accessibili e gli attori sociali non sono più legati ai luoghi fisici
perché con i media possiamo essere in qualunque luogo e quindi in nessun luogo: superamento del
senso del luogo.
Quindi se i luoghi influenzano i comportamenti sociali, i media sono luoghi, i media influenzano i
comportamenti sociali.
Il quadro di Meyrowitz è complessivamente ottimista ma contiene anche aspetti di criticità:
• Infanzia è la fase che appartiene ad un certo periodo storico nel quale l'infanzia è ben
definita, limiti chiari legati alla separazione spaziale: i bambini sono separati rispetto a un
certo tipo di informazione. È questo che definisce l'infanzia. Queste forme di separazione
con i media risultano sempre più difficili. La Galassia Marconi include anche i bambini:
diluizione dell'innocenza dell'infanzia e riduzione della autorità degli adulti sull'infanzia.
L'ambiente televisivo confonde i confini tra infanzia ed età adulta: i bambini sono adulti
prima.
• Ruolo del gender e rapporto tra i sessi. Democratizzazione: possibilità, soprattutto per le
donne, di superare la segregazione domestica dei secoli precedenti. I ruoli nella società sono
molto più mescolati (nascono la carrier woman e il family oriented man).
• Politica. Meyrowitz ribalta la distopia che caratterizza il modo di intendere i rapporti tra
media e politica (il Grande Fratello di Orwell e la società del controllo). Qui non ci sono i
pochi dotati di potere che controllano i molti, ma nella società che emerge con i media
elettronici i pochi dotati di potere sono costantemente esposti alla visibilità pubblica e basta
un piccolo elemento per generare scandali o gaffe. Basta pochissimo perché un politico sia
messo in crisi ad esempio. Da ciò deriva una maggiore debolezza del potere politico.
Meyrowitz nella sua teoria è molto legato al momento di maggiore splendore della televisione come
centro del sistema dei media.
Dagli anni ‘80 in avanti parte il fenomeno della digitalizzazione: nascita dei nuovi media digitali.
Legato a questo va il fenomeno della convergenza e legato a questa fase della storia dei media è il
testo di Jenkins "Cultura convergente".
Jenkins. Cultura convergente
Lo studio di Jenkins riguarda la nascita dei media digitali e fenomeno della convergenza.
Passiamo dagli anni ‘80 ai 2000. Per "nuovo media" oggi si fa riferimento ai media nati in seguito
al processo di digitalizzazione.
Con l'avvento dei nuovi media avviene un processo di ibridazione e sovrapposizione tra vecchi e
nuovi media chiamato "convergenza". Concetto definito per prima da Ithiel De Sola Pool:
indifferenza dei contenuti alle piattaforme. Es. il computer è un metamedium nel quale viaggiano
molti media.
Jenkins sostiene che il cambiamento tecnologico è importante, ma la convergenza è un fenomeno
più culturale e sociale.
Per lui tre concetti di fondo sono importanti:
• Convergenza mediatica: cambiamenti portati non tanto dalle tecnologie ma dagli attori che
fanno parte del sistema mediale, cioè le industrie mediali da un lato e dall'altro i
consumatori. Quando si parla di "strategie tattiche" il punto rilevante che Jenkins mette in
evidenza è il fatto che le strategie e le tattiche hanno un potere diverso: le industrie hanno un
potere più grosso rispetto al consumatore. Possono spingere verso un uso convergente. E
tuttavia certi tipi di usi non previsti dall'industria vengono sviluppati dai consumatori. Vi è
un confronto tra le strategie dall’alto e le pratiche dei consumatori.
• Cultura partecipativa: il consumo mediale è sempre più partecipativo (visione ottimistica). Il
consumo è sempre più attivo seppure con questa differenza di potere tra altro e basso.
• Intelligenza collettiva: è possibile sviluppare una forma di partecipazione attraverso i media
che coinvolge tante persone che si coalizzano per raggiungere un obbiettivo (es. flash mob,
wikipedia). Sforzo di tante persone che contribuiscono per esempio ad ampliare il sapere
(Wikipedia o lo spoiling).
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