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8
La Collana
Il Centro studi Toscolano «cui è intestata la collana è una fondazione nata per volontà
della famiglia Visintini e ha sede nei locali di una ex chiesa di un Convento di domenicani
insediatosi in località «La Religione» a Toscolano sul Lago di Garda nel 1261. Il complesso
era chiamato nella planimetria originaria «I prati della Religione» e ancora oggi la via che
conduce all’insediamento abitativo, che ha preso il posto del convento dopo la sua soppres-
sione nel 1772, reca lo stesso nome.
Fra le finalità culturali perseguite dal Centro Studi vi è lo svolgimento di ricerche su
tematiche di rilevante interesse e attualità con approccio interdisciplinare e la presente col-
lana è destinata a raccogliere pubblicazioni caratterizzate da questa metodologia.
La collana quindi si rivolge a un vasto pubblico di lettori versati in varie discipline e inoltre
si propone di far conoscere in modo accessibile ai profani cosa sia il diritto. Il tema del
diritto, della giustizia e delle istituzioni sta diventando di grande interesse per l’opinione
pubblica. Ma, a differenza della cronaca giornalistica che si muove prevalentemente sul
versante del diritto penale, in questa collana saranno soprattutto ospitati contributi volti a
far conoscere il diritto civile e i suoi principali istituti con uno stile molto semplificato e
con ampie spiegazioni del significato dei termini tecnico-giuridici. Esemplificando si trat-
teranno argomenti come la privacy e il trattamento dei dati personali, i fondamenti della
responsabilità civile, le tecniche per fare i contratti, matrimonio e divorzio, il mondo del
non profit (organizzazioni di volontariato) proprietà e condominio e altro ancora.
Libri pubblicati:
Cos’è la responsabilità civile.
Fondamenti della disciplina dei fatti illeciti e dell’inadempimento contrattuale
di Giovanna Visintini
Giurista di impresa
a cura di Alessandra Pinori
L’utopia dell’eguaglianza
Autori vari
Diritto, economia e forse giustizia
di Enrico Zanelli
La tutela della persona nella società dell’informazione
di Alessandra Pinori
La scuola civilistica di Bologna. Un modello
per l’accesso alle professioni legali
a cura di Giovanna Visintini
Libri in preparazione:
Guida al codice del consumo
a cura di Luciana Cabella Pisu
Quale tecnica per fare i contratti?
di Franco Vigotti
Guida al codice dell’ambiente
di Marianna Garrone
L’ abuso del diritto
a cura di
Giovanna Visintini
I promotori del convegno (di cui il presente volume raccoglie gli Atti) Giovanna
Visintini e Victor Uckmar (rispettivamente presidenti del Centro Studi Tosco
lano e della Fondazione A. Uckmar) ringraziano sentitamente il Direttore
del Dipartimento di Giurisprudenza, prof. Saverio Regasto per l’ospitalità dei
lavori nell’Aula magna dell’Università (era gremita), il Presidente dell’Ordine
degli Avvocati allora in carica, avv. Pierluigi Tirale, il Presidente dell’Ordine
dei Notai, dr. Enrico Lera e il Presidente dell’Ordine dei Commercialisti, dr.
Antonio Passantino, per avere affrontato le spese organizzative del Convegno.
Un ulteriore ringraziamento va alla Fondazione Cattolica Assicurazioni per il
contributo elargito e all’avv. Alessandro Redaelli De Zinis per la cena di gala
offerta ai relatori del Convegno presso il Ristorante «Borgo alla Quercia», una
villa incantevole in mezzo ai vigneti a Calvagese Riviera (BS).
Prefazione
Giovanna Visintini e Victor Uckmar 00
Introduzione (PER ORA MANCA)
Aurelio Gentili 00
Parte prima
L’abuso del diritto nella prassi civilistica
L’abuso del diritto nel quadro dei principi generali
Pietro Rescigno 00
Parte terza
L’abuso del diritto nel settore tributario
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale
Franco Gallo 00
Parte Quarta
La teoria dell’abuso del diritto in altri ordinamenti
L’abuso nel diritto comunitario
Guido Alpa 00
Pietro Rescigno
L’abuso del diritto nel quadro dei principi generali *
4
Trib. Torino, sez. lav., 14 settembre 2011, in Giur. it., 2012, p. 218, con nota di M. Persiani.
5
Cfr., criticamente, Taruffo, Abuso del processo, in Contratto e impresa, 2015, p. 845 s. e
ivi rif.
6
Il riferimento è alla notissima decisione relativa al caso Alibrandi c. Renault Italia, Cass. 18
settembre 2009, n. 20106, su cui v. il mio commento «Forme» singolari di esercizio dell’autonomia
20 Pietro Rescigno
collettiva (i concessionari italiani della Renault), in Contratto e impresa, 2011, p. 589 ss. e quello
di Galgano, Qui suo iure abutitur neminem laedit?, ivi, 2011, p. 524 ss.; ss; sulla pronuncia
è piovuto un inaspettato diluvio di critiche, di cui molte ignare della concreta fattispecie (v., in
questo senso, Galgano, op. loc. ultt. citt.).
7
Un nuovo caso di abuso del diritto, in Giur. it,, 2011, p. 794
L’abuso del diritto nel quadro dei principi generali 21
positive. Principi che chiedono poi di essere inverati ad opera del giudice
con un’attività che, senza tradire la certezza del diritto, appare sufficiente a
rappresentarci la realtà del sistema sociale e giuridico in cui viviamo, anche
reagendo a forme di abuso.
L’atteggiamento critico non può però trascurare che il tema è dotato di
una sua storicità e ripetutamente emerge, tanto è vero che gli stessi giudici,
pur forniti di altri più tradizionali strumenti di valutazione e decisione,
sentono la necessità di ricorrere alla figura.
Vi sono, evidentemente, tipi di rapporti, relazioni sociali, conflitti di
interessi per i quali i tradizionali principi, che pure hanno svolto un ruolo
così importante nello sviluppo del sistema, non sono sufficienti.
Non si deve, dunque, semplificare il problema o addirittura banaliz-
zarlo nella contrapposizione tra formalismo e sostanza dei rapporti umani
che cadono sotto la loro previsione, addebitando alla nozione di abuso di
essere «a geometria variabile», al limite priva di consistenza e sostanza, e
negandone perciò l’utilità.
Ancor più preoccupante per ciò che riguarda il rapporto tra forma a e
sostanza, in una prospettiva che, ripeto, riduce il problema in modo trop-
po semplicistico, è leggere gli spunti rinvenibili nei giornali che formano
la nostra opinione con riguardo ad un importante intervento della Corte
Costituzionale8 relativo al blocco della contrattazione collettiva e agli in-
terventi normativi riguardo agli statali. Leggere, dicevo, che in nome della
civiltà del diritto (che prende a prestito l’intitolazione di una collana tra le
più nobili della nostra editoria giuridica) si voglia giustificare una novità
preoccupante della nostra giurisprudenza costituzionale, cioè quella del-
la incostituzionalità intermittente o sopravvenuta, fa temere un modo di
rappresentare il rapporto tra forma e sostanza che può essere pericoloso.
5. Quasi una conclusione
Il mio impegno di studio e la mia presenza qui non vogliono, peraltro,
significare una difesa dell’abuso. I meno giovani ricorderanno che negli
anni Sessanta si diffuse il tema, che pure aveva connessioni col nostro, del
così detto «imprenditore occulto», tema che suscitò una prolungata pole-
mica tra gli studiosi. Nell’ambito di quel dibattito Walter Bigiavi pubblicò
la «Difesa dell’imprenditore occulto», un libro divenuto famoso, ma che
al contempo suscitò molte critiche per il discusso tentativo di inseguire
esigenze di equità, contaminando ragione giuridica e ragione economica.
Pur se non spetta a me, dunque, la difesa – per riprendere l’espressione
Sommario: 1. L’abuso del diritto di nuovo in Cassazione: una ulteriore lesione inferta
alla libertà contrattuale? – 2. Il recesso ad nutum dal contratto: ammissibilità di un
controllo causale? – 3. La sorte dell’atto abusivo: solo fatto illecito, fonte dell’obbli-
gazione di risarcire il danno? – 4. Il fondamento del divieto di abuso del diritto: dalla
clausola generale della buona fede alla norma comunitaria che formula l’espresso «di-
vieto dell’abuso di diritto».
* Viene ripubblicato qui per la sua eccellenza e in ricordo del giurista scomparso uno scritto
già apparso in Contratto e impresa, 2011.
1
Mi riferisco a Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Foro it., 2010, I, c. 85, in Giur. comm.,
2010, II, p. 830; in Contratti, 2010, p. 5; in Giur. it., 2010, p. 552; in Nuova giur. civ. comm.,
2010, II, p. 132.
2
Cass., 27 aprile 1951, n. 1028, in Mass. Foro it., 1951; Cass., 7 marzo 1952, n. 607, ivi,
1952; e Cass., 27 febbraio 1953, n. 476, in Giur. it., 1954, I, 1, c. 106; « quando un soggetto,
con la sua azione, oltrepassa i limiti entro i quali va contenuto il suo diritto, egli viene ad abu-
sare del diritto stesso, onde la sua attività assume carattere illecito e il danno che ne deriva è
antigiuridico ».
3
Sul quale Cass., 15 novembre 1960, n. 3040, in Foro it., 1961, I, c. 256, con nota critica
di A. Scialoja, per la quale l’abuso del diritto può consistere anche in comportamenti omissivi,
come l’omessa difesa in giudizio della proprietà, che risulti dannosa per altri oltre che per il
proprietario.
26 Francesco Galgano
4
Così, per il recesso della banca che assuma «connotati del tutto imprevisti ed arbitrari»,
analogamente a quanto decide la giurisprudenza francese per il recesso brusque et inopiné, Cass.,
21 maggio 1997, n. 4538, in Foro it., 1997, I, c. 4679; e in Giust. civ., 1998, I, p. 509, con nota
di Costanza; Cass., 22 novembre 2000, n. 15066, in Contratti, 2001, p. 791; e in Corriere giur.,
2000, p. 1479, con nota di Di Maio. A parte questa nota a sentenza, e quella di Di Ciommo, in
Contratti, 2000, p. 1115, la giurisprudenza in questione non attirò che l’attenzione del sotto-
scritto, Abuso del diritto, arbitrario recesso ad nutum dalla banca, in questa rivista, 1998, p. 18; e
del suo allievo Baraldi, Le «mobili frontiere» dell’abuso del diritto: l’arbitrario recesso ad nutum
della banca dall’apertura del credito a tempo indeterminato, ivi, 2001, p. 927.
E anche quando l’apertura di credito è a tempo determinato, ed il recesso della banca è am-
messo solo per giusta causa, il recesso della banca è abusivo «per le modalità del tutto impreviste
ed arbitrarie» anche in presenza di una giusta causa, se in precedenza la banca si era astenuta dal
farla valere, per Cass., 14 luglio 2000, n. 9321, in Foro it., 2000, I, c. 3495.
5
Analoga ratio decidendi per il recesso contrario a buona fede dal contratto di fornitura in
Cass., 16 ottobre 2003, n. 15482, in Impresa, 2004, p. 317.
6
Così Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. comm., 1996, II, p. 329, sulle quali mi sof-
fermai in Contratto e persona giuridica nelle società di capitali, in questa rivista, 1998, p. 1; non
ché Cass., 17 luglio 2007, n. 15942, in Mass. Foro it., 2007.
7
Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726, in Corriere giur., 2008, p. 745, con nota di
P. Rescigno.
8
Cass., 19 settembre 2000, n. 12405, in Foro it., 2001, I, c. 2326: deve essere revocato il
fallimento dichiarato su ricorso della banca creditrice, proposto al solo scopo di esercitare una
indebita pressione sul debitore e, perciò, con abuso del diritto di fare istanza di fallimento.
9
Ricordo U. Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento
giuridico italiano, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, p. 18, poi in Diritti fondamentali e cate-
gorie giuridiche, Milano, 1993, p. 511; Salvatore Romano, voce Abuso del diritto, in Enc. del
dir., Milano, 1958, p. 166; P. Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, p. 284, poi in
L’abuso del diritto, Bologna, 1998, p. 11; Cattaneo, Buona fede obiettiva e abuso del diritto, in
Riv. trim. dir. e proc. civ., 1971, p. 634; Gambaro, voce Abuso del diritto (diritto comparato e
straniero), in Enc. giur., Treccani, Roma, 1988; Breccia, L’abuso del diritto, in Diritto privato,
1997, III, Padova, 1998, p. 5; Sacco, L’abuso della libertà contrattuale, in Dir. priv., 1997, p.
217; Messinetti, voce Abuso del diritto, in Enc. del diritto, Aggiornamento, II, Milano, 1998, p.
1; Ferroni, Spunti per lo studio del divieto di abuso delle situazioni soggettive patrimoniali, in
Qui suo iure abutitur neminem laedit? 27
Temi e problemi della civilistica contemporanea, Napoli, 2005 p. 313; Tullio, Eccezione di abuso
e funzione negoziale, Napoli, 2005; Martines, Teoria e prassi sull’abuso del diritto, Padova, 2006;
Gitti e Villa, Il terzo contratto: l’abuso di potere contrattuale nei rapporti fra imprese, Bologna,
2008; Fiordalisi, Abuso di facoltà legittima e impedibilità degli atti antigiuridici, Torino, 2008;
Falco, La buona fede e l’abuso del diritto, Milano, 2010; Pagliantini e Calvo, Abuso del diritto
e buona fede nei contratti, Torino, 2010.
10
Cito, senza pretese di completezza e includendo anche le poche voci favorevoli, D’Amico,
Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, in Contratti, 2010, p. 11; R. Natoli, Abuso
del diritto e abuso di dipendenza economica, ivi, 2010, p. 524; Palmieri e Pardolesi, Della serie
«a volte ritornano»: l’abuso del diritto alla riscossa, in Foro it., 2010, I, c. 95; Monte- Leone,
Clausola di recesso ad nutum dal contratto e abuso del diritto, in Giur. it., 2010, p. 557; Scaglio-
ne, Abuso di potere contrattuale e dipendenza economica, ivi, 2010, p. 560; Salerno, Abuso del
diritto, buona fede, proporzionalità: i limiti del diritto di recesso in un esempio di ius dicere «per
principi», ivi, 2010, p. 809; Vettori, L’abuso del diritto. Distingue frequenter, in Obbligazioni e
contratti, 2010, p. 166; Maugeri, Concessione di vendita, recesso e abuso del diritto, in Nuova
giur. civ. comm., 2010, II, p. 319; Mastrorilli, L’abuso del diritto e il terzo contratto, in Danno
e resp. civ., 2010, p. 352; C. Scognamiglio, Abuso del diritto, buona fede, ragionevolezza (verso
una riscoperta della pretesa funzione correttiva dell’interpretazione del contratto?), in Nuova
giur. civ. comm., 2010, II, p. 139; Viglione, Il giudice riscrive il contratto fra le parti: l’autonomia
negoziale stretta fra giustizia, buona fede e abuso del diritto, ivi, 2010, II, p. 148; Orlandi,
Contro l’abuso del diritto, ivi, 2010, II, p. 139, nonché in Riv. dir. civ., 2010, II, p. 147; Baraldi,
La Cassazione di nuovo sull’abuso del diritto, in questa rivista, 2010, p. 41; Delli Priscoli,
Abuso del diritto e mercato, in Giur. comm., 2010, II, p. 834; C.A. Nigro, Brevi note in te- ma
di abuso del diritto, in Giust. civ., 2010, p. 2547. Altri commenti sono raccolti nel volume a cura
di Pagliantini, Abuso del diritto e buona fede, Torino, 2010, e precisamente Macario, Abuso
del diritto di recedere ad nutum nei contratti fra imprese, p. 45; Restivo, Abuso del diritto e
autonomia privata, considerazioni critiche su una sentenza eterodossa, p. 115.
11
Palmieri e Pardolesi, Della serie «a volte ritornano», cit.
28 Francesco Galgano
12
La formula fu proposta da Di Maio, Obbligazioni in generale, Bologna, 1985, p. 295, poi
in Commentario del cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 302; e riproposta con
forza da Rodotà, Il tempo delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 730.
13
Degna di nota al riguardo è Cass. 12 aprile 2006 n. 8619, in Mass. Foro it., 2006: «nel
sistema giuridico attuale, l’attività interpretativa dei contratti è legalmente guidata, nel senso
che essa risulta conforme a diritto non già quando ricostruisce con precisione la volontà delle
parti, ma quando si adegui alle regole legali, le quali, in generale, non sono norme integrative,
dispositive o suppletive del contenuto del contratto, ma, piuttosto, costituiscono lo strumento
di ricostruzione della comune volontà delle parti al momento della stipulazione del contratto e,
perciò, della sostanza dell’accordo. Pertanto, la volontà emergente dal consenso delle parti nel
suddetto momento non può essere integrata con elementi ad essa estranei, e ciò anche quando
sia invocata la buona fede come fattore di interpretazione del contratto, la quale deve intendersi
come fattore di integrazione del contratto non già sul piano dell’interpretazione di questo, ma
su quello – diverso – della determinazione delle rispettive obbligazioni, come stabilito dall’art.
1375 cod. civ.».
Qui suo iure abutitur neminem laedit? 29
14
È anche accaduto che un commentatore, forse per la cattiva informazione ricevuta, abbia
fatto riferimento ad una fattispecie errata. Delli Priscoli, Abuso del diritto e mercato, cit., p.
835, così descrive la fattispecie: «la nota casa produttrice di automobili Renault, in un contesto
di grave crisi economica mondiale, aveva chiesto ai suoi concessionari italiani di rinegoziare a
proprio favore la misura del prezzo per la vendita delle auto tra le parti. Al rifiuto da parte dei
concessionari di procedere ad un tale mutamento (deve considerarsi che la contingente situazione
di difficoltà economica, soprattutto in relazione alla generale contrazione degli acquisti delle
automobili, incideva naturalmente non solo sulla Renault ma anche sui suoi concessionari), la
Renault decideva di avvalersi del diritto di recesso contrattualmente stabilito».
Il che assolve la concedente, ma non ha nulla a che vedere con la fattispecie esaminata dalla
sentenza in questione.
30 Francesco Galgano
recesso per giusta causa non sta nel fatto che il primo può essere arbitra-
rio, capriccioso, inopinato, mentre il secondo deve essere ragionevolmente
motivato. La differenza è di ordine processuale: sul recedente per giusta
causa incombe l’onere di provare le ragioni del recesso; quando invece il
recesso è ad nutum incombe sull’altro contraente, che impugna l’atto di
recesso, l’onere di provare che esso è «arbitrario», determinato da ragioni
estranee alla causa della concessione di vendita e riconducibili a tutt’altri
interessi del concedente.
3. La sorte dell’atto abusivo: solo fatto illecito, fonte dell’obbligazio-
ne di risarcire il danno?
Un altro autore, che scrive «contro l’abuso del diritto», invoca l’antica
esimente qui suo iure utitur neminem laedit16, così equiparando l’utitur
all’abutitur; sicché l’antica massima dovrebbe essere così corretta: qui suo
iure abutitur neminem laedit. È ben vero che, per i Romani, la proprietà era
ius utendi abutendi; ma perpetuare questa equiparazione ed estenderla ad
ogni diritto soggettivo, sia reale, sia di credito, non è una grande proposta
di civiltà giuridica. La stessa Cassazione replica: «il principio qui suo iure
utitur neminem laedit trova il giusto limite nell’altro neque malitiis est
indulgendum»17.
Per questo commentatore l’abuso del diritto è un non senso logico
(come se un problema di diritto possa tradursi in una questione di con-
gruenza logica di un concetto), e finisce con il dissolversi nello «spazio
dell’illecito, che tutto attira nella propria sconfinata atipicità». Debbo con-
traddirlo: l’atto abusivo non è trattato come fatto illecito, fonte di danno
risarcibile ex art. 2043 c.c.; in materia contrattuale è, invece, atto invalido,
destinato ad essere privato di effetti. Così la Cassazione ebbe a decidere per
il recesso abusivo dall’apertura di credito: il cliente non aveva chiesto, né
era interessato a chiedere, il risarcimento del danno da fatto illecito; aveva,
invece, chiesto ed ottenuto che l’atto di recesso venisse invalidato, con la
conseguenza che l’apertura di credito doveva considerarsi ancora in corso
e che la banca aveva indebitamente preteso la restituzione delle anticipa-
zioni erogate. Del pari, nel caso di abuso del diritto di voto la Cassazione
si pronunciò per l’annullamento della deliberazione assembleare, non per il
risarcimento del danno. Nella specie, era stato deliberato dalla maggioranza
lo scioglimento anticipato della società al solo scopo di liberarsi di un socio
molesto, come era reso evidente dalla subito successiva ricostituzione della
18
E questa è obbligazione da contratto, inerente al contenuto legale di ogni figura contrat-
tuale (art. 1374): così Cass., 20 aprile 1994, n. 3775, in Corriere giur., 1994, p. 566, con nota di
Carbone, commentata anche da Nanni, in questa rivista, 1994, p. 745; come Cass., 16 novembre
2000, n. 14865, ivi, 2001, p. 762; Cass., 1 agosto 2002, n. 11437, in Contratti, 2003, p. 342.
19
Il riferimento è a Cass., 20 aprile 1994, n. 3775, cit. alla nota prec.
20
Cass., 15 novembre 1960, n. 3040, cit.; come già, in dottrina, U. Natoli, Note preliminari
ad una teoria dell’abuso del diritto, cit.
21
Ancora D’Amico, Recesso ad nutum, cit.
Qui suo iure abutitur neminem laedit? 33
diritto, mentre l’abuso del diritto attiene allo scopo per il quale il diritto
è esercitato. La prima, dunque, non potrebbe essere posta a fondamento
della repressione del secondo, che questo autore circoscrive ai casi espres-
samente previsti dalla legge (come nel caso della minaccia di far valere un
diritto). Ma domando se possa dirsi censurabile, alla stregua della buona
e della mala fede, l’anomala modalità di esercizio del diritto, e tuttavia
concedere immunità da censura, se non repressa dalla legge, ad una ben
più grave ipotesi, qual è l’esercizio del diritto che risulti preordinato ad
uno scopo anomalo. Ma c’è davvero una differenza? Forse che l’esercizio
«arbitrario» del diritto, censurato come modalità anomala, non tocca lo
scopo per il quale il diritto è utilizzato?
Aggiungo che alla clausola generale della buona fede va ora sostituita,
quale fondamento della repressione dell’abuso del diritto, un’altra e più
specifica clausola generale, formulata in sede comunitaria dalla Carta di
Nizza del 7 dicembre 2000, poi recepita nel Trattato di Lisbona del 1°
dicembre 2009. La formula usata dalla Carta di Nizza, sotto la rubrica
«divieto dell’abuso di diritto» è così concepita (art. 54): «nessuna dispo-
sizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di com-
portare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla
distruzione dei diritti o delle libertà riconosciute nella presente Carta o
di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste
dalla presente Carta»22. Non si può più ripetere allora l’antica massima
qui suo iure utitur neminem laedit. Non si può legittimamente ledere il
diritto altrui – questo è il senso della disposizione generale, che chiude la
Carta di Nizza – neppure se lo si lede nell’esercizio di un proprio diritto.
Incorre nel divieto di abuso del diritto chi si avvale di un proprio diritto,
riconosciutogli dalla Carta, per svolgere attività o compiere atti miranti a
ledere diritti altrui. E si noti che i diritti e le libertà protette dalla Carta
non sono solo i diritti e le libertà tradizionalmente concepite come diritti
o libertà fondamentali: comprendono anche il diritto di proprietà (art. 17),
la libertà di impresa (art. 16), la libertà professionale e il diritto di lavorare
(art. 15), ossia tutti i diritti e le libertà in gioco quando si discute di abuso
del diritto.
«Non facciamoci riconoscere», si diceva nella commedia all’italiana. A
dieci anni dall’entrata in vigore, in tutta Europa, della Carta di Nizza, la
22
Al principio della Carta di Nizza fa riferimento Cass., Sez. un., 11 novembre 2008, n.
26972, in Giur. it., 2009, p. 380, che lo qualifica come diritto vigente in Italia (il che, prima del
Trattato di Lisbona, era controverso); nonché Cass., 2 febbraio 2010, n. 2352, in Foro it., 2010,
I, c. 1145.
34 Francesco Galgano
provincia italiana non sembra essersi ancora accorta del «divieto dell’abuso
di diritto», e continua a prodursi in inutili virtuosismi concettuali ed in
sterili bizantinismi.
Giovanna Visintini
L’abuso del diritto come illecito aquiliano
Sommario: 1. L’abuso del diritto nel quadro degli illeciti dolosi. – 2. Il rapporto con la
regola sulla buona fede. – 3. Uno sguardo al sistema francese e ad altri ordinamenti. – 4.
La casistica. – 5. Conclusioni sul piano della politica del diritto e della storia delle idee.
1
Rinvio a questo proposito al mio libro La reticenza nella formazione dei contratti Padova,
1972; e ai contributi che figurano nel Trattato della responsabilità contrattuale, che ho diretto
nel 2009, edito Cedam.
36 Giovanna Visintini
ti, alle denunce infondate e alla doppia alienazione immobiliare, tutti com-
portamenti che vengono perseguiti solo se caratterizzati da dolo. Fra questi
deve essere collocato anche l’abuso del diritto. Come dirò più avanti infatti
un abuso del diritto caratterizzato soltanto da negligenza non è da consi-
derare illecito alla pari degli altri illeciti che ho testé menzionato. E infatti
nella casistica giurisprudenziale che cercherò di riassumere i giudici richie-
dono solitamente la prova rigorosa della consapevolezza della deviazione
dall’esercizio normale del diritto.
In breve ciò che voglio sottolineare in esordio è che nonostante l’apparen-
te equiparazione tra dolo e colpa che potrebbe attribuirsi all’art. 2043 c.c. ove
si legge «Qualunque fatto colposo o doloso che cagiona ad altri un danno in-
giusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno» esistono illeciti
civili che sono perseguiti solo se dolosi. Ma bisogna aggiungere che il dolo si
atteggia diversamente a seconda delle varie fattispecie. Si va dal dolo specifico
a quello generico, dall’inganno a stati soggettivi di malafede e a false informa-
zioni, reticenze intenzionali e abuso di potere. In certi casi – diffamazione – si
è passati dal dolo come requisito essenziale dell’illecito alla colpa grave dif-
ferenziando in questo modo la fattispecie civilistica dall’illecito penale che si
caratterizza a tutt’oggi come reato doloso.
E dunque occorre venendo specificamente al tema dell’abuso del diritto
chiarire quali sono gli elementi fondanti la nozione sulla scorta dei dati
comparatistici e delle linee di emersione dell’istituto nei grandi orienta-
menti giurisprudenziali.
Tuttavia, bisogna anche riconoscere che il divieto in esame in quanto
non recepito legislativamente in termini generali nell’ordinamento italiano
non è frequentemente operativo negli orientamenti giurisprudenziali anche
se nell’ultimo decennio i giudici si richiamano spesso alla formula dell’abu-
so al fine di sanzionare più rigorosamente comportamenti contrari alla
clausola generale di correttezza e buona fede oggettiva e quindi a sostegno
e rafforzamento di quest’ultima regola.
In sintesi a livello legislativo nel codice civile vi è soltanto sul terreno del
diritto di proprietà il divieto degli atti emulativi previsto dall’art. 833 c.c.
divieto che può essere interpretato come una ipotesi particolare di abuso
del diritto. Infatti la norma vieta al proprietario di compiere atti i quali non
abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestie ad altri e la giu-
risprudenza, che applica molto raramente questa norma, la legge come se il
presupposto irrinunciabile dell’atto emulativo sia integrato dal cosiddetto
«animus nocendi» e dalla totale mancanza di utilità per il titolare del diritto2.
Cfr. per tutte Cass. 3.4.1999 n.3275 ma v. anche infra le citazioni alle note 18 ss.
2
L’abuso del diritto come illecito aquiliano 37
Poi vi sono altre disposizioni di portata più specifica come la regola che
sanziona l’abuso del diritto di usufrutto (art. 1015 c.c.), l’art.. 1438 c.c. che
sanziona la minaccia di far valere un diritto, l’art.1059 comma 2 c.c. che
impone al comproprietario che ha concesso una servitù di non impedire
l’esercizio di tale servitù e ancora sul terreno dei diritti di credito l’art.
1993, comma 2 c.c. con gli artt. 21 e 65 l camb. Conclamati poi sono gli
abusi in diritto di famiglia della potestà genitoriale e quello di posizione
dominante sul terreno della concorrenza tra imprese.
Ma il problema che si pone agli interpreti è se al di là di queste ipotesi
tipizzate dal legislatore si possa ritenere implicito nel nostro ordinamento
un principio generale che vieta in presenza di certe condizioni l’abuso di
un diritto o se al contrario deve ritenersi ancora vigente la regola genera-
le (di cui le disposizioni sopra riportate sarebbero le eccezioni) secondo
cui l’esercizio di un diritto va sempre tutelato e non può dar luogo a un
illecito, regola tramandata dal noto brocardo qui iure suo utitur neminem
laedit.
Nel ’42, quando si è posto il problema al nostro legislatore di dare
espressione legislativa al divieto all’abuso del diritto che già era conosciuto
in altri ordinamenti (soprattutto in Germania dove a partire dal divieto de-
gli atti emulativi nell’esercizio del diritto di proprietà i pandettisti tedeschi
elaborarono il divieto generale poi recepito dal par. 226 B.G.B. secondo il
quale «L’esercizio di un diritto non è ammesso se può avere solo per scopo
di recar danno ad altri») è stata fatta una scelta di rinunciare a tale recezione
giustificandola con la difficoltà di pervenire a una definizione legislativa
non controversa di questo divieto. Così la disposizione che figurava nel
progetto preliminare del codice civile del 42 che stabiliva testualmente:
«nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per
il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto» non venne accolta. E
tale scelta legislativa venne spiegata anche in ragione dell’accoglimento nel
Codice Civile del ’42 di clausole generali come la buona fede contrattuale
e il principio di correttezza che, nell’auspicio del legislatore, avrebbero
potuto essere utilizzate dai giudici anche per correggere situazioni di abuso
nei rapporti patrimoniali3.
2. Il rapporto con la regola sulla buona fede
In un libro recente l’autore ha portato un chiarimento, a mio avvi-
so importante, in ordine a questa supposta sovrapposizione tra il divieto
dell’abuso del diritto, correttamente e storicamente ricostruito, e la clausola
3
Gambaro voce «Abuso del diritto in Enciclopedia Treccani, vol. I, Roma, 1988, p. 7 ss.
38 Giovanna Visintini
6
Busnelli e Navarretta Abuso del diritto e responsabilità civile in Studi in onore di Pietro
Rescigno, vol. V 1998, p. 77 ss.; Breccia, Le obbligazioni in Trattato di diritto privato a cura di
Iudica e Zatti, Milano, 1991
L’abuso del diritto come illecito aquiliano 39
a mio giudizio, tale impostazione finisce con lo sfumare nella ricerca dello
sforzo di diligenza che può esigersi dal debitore, perché la qualifica di abu-
so, a proposito del comportamento del creditore, finisce con l’identificare
la pretesa del creditore che va al di là dello sforzo di diligenza che il credi-
tore poteva attendersi in concreto dal debitore. Pertanto, in questo modo,
si sovrappongono i concetti di correttezza e di diligenza che nel sistema
del codice sono invece distinti e tale sovrapposizione è confermata dal fatto
che i sostenitori della teoria dell’abuso del diritto costruita sull’art. 1175
c.c., si esprimono nel senso che il principio di correttezza offre soltanto
al giudice un criterio per la valutazione del comportamento delle parti in
analogia con l’art. 1176 c.c.7 in senso difforme dalla dottrina ormai preva-
lente che vede nella regola degli artt. 1175 e 1375 c.c. la fonte di obblighi
accessori alla prestazione contrattuale principale e non soltanto un crite-
rio di valutazione del comportamento del debitore. Anche altri esponenti
della scuola pisana che pure criticano il paradosso di una resistenza della
dottrina italiana ad accreditare un ‘principio generale di divieto dell’abuso
del diritto a fronte di una evidente penetrazione del principio nel sistema
della normativa comunitaria ne affermano l’operatività attraverso l’inter-
pretazione della regola di buona fede in quanto estensibile a loro giudizio
al campo extracontrattuale8.
Ma vi è anche chi molto autorevolmente ha viceversa riscontrato l’esi-
genza di rendere operante la teoria dell’abuso del diritto piuttosto nel
campo dei diritti potestativi, ovvero delle potestà e delle libertà e non nel
campo dei diritti di credito patrimoniali, dove esistono norme espresse a
cui ancorare la soluzione dei problemi9.
Di fronte a queste posizioni ci si si può chiedere se serve la costruzio-
ne di una categoria «Divieto dell’abuso del diritto» che per essere utile
deve svolgere un ruolo che non è già svolto da altre regole nell’ambito
del sistema. Questo per ovvie ragioni di coerenza logica e perché spesso
si nota che nella giurisprudenza il ricorso all’abuso del diritto è un ricor-
so ad una argomentazione superflua perché nell’itinerario argomentativo
dei giudici la ratio decidendi è riconducibile direttamente alla clausola di
buona fede e ricorrere all’abuso significa semplicemente denunciarne la
inutilità10.
7
Natoli, op.cit., 126 ss. e Breccia, cit.
8
Cfr. Busnelli e Navarretta, Abuso del diritto e responsabilità civile cit., vol. V, 1998
9
Rescigno P. L’abuso del diritto in Riv. dir. civ. 1965, p. 205 ss.; L’abuso del diritto, Bo-
logna, 1998
10
Sacco, L’esercizio e l’abuso del diritto in Trattato di diritto civile a cura di Sacco, vol. Il
diritto soggettivo, Torino, 2001, p. 335.
40 Giovanna Visintini
11
Cfr. Viney et Jourdain Les conditions de la responsabilité in Traité de droit civil sous la
direction de Ghestin, 2 ed. 1998, n. 425 ivi pag. 366.
L’abuso del diritto come illecito aquiliano 41
modello è stato per lungo tempo un leading case francese: il caso Clément-
Bayard ove la Cour de Cassation definì, a fini risarcitori e inibitori, abuso
del diritto l’elevazione sul proprio terreno di pertiche al solo scopo di
impedire l’attività commerciale del vicino consistente nella fabbricazione
di palloni aerostatici che nel planare a terra si impigliavano nelle punte
delle pertiche14. Un caso di scuola che ha trovato corrispondenza nella
casistica italiana e da qui lo scarso utilizzo della norma. Esemplificando
la Corte di cassazione italiana non ha confermato la sentenza di primo
grado che aveva condannato il proprietario a rimuovere un muro di ce-
mento che aveva eretto sul suo terreno in sostituzione di una preesistente
siepe ritenendo che ricorresse nella specie un nocumento alle condizioni
estetiche della proprietà del vicino, e ha invece ritenuto sussistente l’utilità
del proprietario consistente in un rafforzamento della privacy della sua
proprietà15. E nel 1997 sempre la Supr. Corte ritenne incompatibile con il
requisito dell’animus nocendi richiesto all’art. 833 il comportamento omis-
sivo del proprietario di un fondo che aveva trascurato la potatura di una
piantagione di ligusti che pregiudicava al vicino l’esercizio di una servitù
di panorama16.
Il precedente giudiziale cui fanno riferimento queste sentenze è quello
commentato da Scialoja nel 1960.17
Ma da qualche tempo, anche su influenza di quella parte della dottri-
na che attualmente sembra schierata, sia pure con impostazioni diverse,
a favore dell’esistenza di un principio generale che va oltre le previsioni
specifiche del legislatore, la giurisprudenza anche nel settore della proprietà
v fa riferimento. Così, esemplificando, nel campo dell’attività edificatoria
che sia stata svolta in violazione di norme pubblicistiche si è inquadrata
la fattispecie nella teoria dell’abuso di diritto anziché nel quadro degli atti
emulativi anche se spesso le decisioni sono negative in quanto i giudici con-
tinuano a rilevare una utilità anche minima per il proprietario che eccede
nell’esercizio del suo diritto18. Ma è importante il riconoscimento da parte
della Supr. Corte dell’esistenza di un limite alle facoltà di godimento del
proprietario riconducibile ad una norma più ampia dell’art. 833, desumibile
dal sistema, volta a reprimere ogni forma di abuso del diritto (sono parole
testuali che si leggono nella sent. 19 marzo 2013 n. 6893 che peraltro ha
14
Cass. 3.8.1915, in Dalloz, 1917, I, 705
15
Cass. 7. 3. 2012 n. 3598
16
Cfr. Cass. 20.10.1997 n. 10250.
17
Cass. 15.11.1960 n. 3040 in Foro it. 1961, I, 256 con nota di Scialoja Il non uso è abuso
del diritto soggettivo?
18
Cfr. Cass. 18.8. 1986, n. 5066; Cass. 19.3.2013, n. 6823
44 Giovanna Visintini
19
Cass. Sez. Lav. 8 settembre 1995, n. 9501
20
Cass. Sez. lav. 8 gennaio 2015, n. 62).
21
Cfr. Cass. 19 settembre 2000, n. 12405; Cass. 10 febbraio 2011 n. 3274
L’abuso del diritto come illecito aquiliano 45
senti gli abusi del potere di rappresentanza da parte dei gestori delle case
di riposo o da parte di parenti non del tutto disinteressati, abusi che a mio
avviso sono resi possibili anche dal rilascio di procure generali.
E presumibilmente in un futuro imminente sarà il settore degli abusi
informatici e dell’abuso di informazioni economiche riservate o privilegia-
te a far emergere in tutta evidenza anche in Italia il divieto dell’abuso del
diritto come categoria civilistica in termini generali22.
Un libro recente disegna degli scenari apocalittici in cui la rete distrug-
ge ogni possibile tutela della privacy. È il libro di Dave Eggers, Il cerchio
tradotto in italiano da Mondadori nel corso di quest’anno.
Lascio ai relatori che seguiranno l’analisi delle applicazioni del divieto
dell’abuso in campo processuale, contrattuale, familiare e tributario non
senza rilevare che la fattispecie della lite temeraria regolata dall’art. 96 cod.
proc. civ. che sempre più spesso i giudici, spec. quelli di merito, inquadrano
nell’abuso del processo, integra sicuramente un illecito aquiliano. Oltre a
questo il fatto che comunemente ai fini dell’art. 96 comma 3 si esclude la
necessità della prova di un danno effettivamente subito dalla controparte
induce a ritenere che la norma introduca una forma di danno punitivo.
E ciò a mio giudizio conferma che l’abuso dello strumento processuale
integra un illecito aquiliano a carattere doloso23.
5. Conclusioni sul piano della politica del diritto e della storia delle
idee
In conclusione vorrei spendere qualche parola ancora sul piano della
politica del diritto per esprimere il mio pensiero sui rapporti tra il principio
in esame e le regole di correttezza e buona fede anche se sull’argomento è
acquisita agli Atti del convegno la relazione del collega Andrea D’Angelo
che ha scritto pagine importanti sul tema della buona fede.
Infatti per contrastare la continua sovrapposizione delle due tematiche
occorre far chiarezza e tener conto della diversa origine delle due clausole
generali, quella della buona fede oggettiva e quella dell’abuso del diritto.
Si tratta in entrambi i casi di clausole generali e non soltanto di principi
generali e quindi si tratta di strumenti nelle mani dei giudici che consen-
tono loro di integrare e non solo di interpretare i dati legislativi e quindi
si prestano anche a un uso arbitrario se non viene fatta chiarezza sugli
22
Cfr. Zeno Zencovich, Per uno statuto dell’informazione economica e finanziaria in Gal-
gano e Visintini (a cura di) Mercato finanziario e tutela del risparmio, Cedam , 2006
23
Nel senso di cui al testo Trib. Piacenza 15 novembre 2011 in Foro pad. 2012, p. 336; Trib.
Milano 20 marzo 2014, in Guida al diritto 2014, 38, 43
46 Giovanna Visintini
1. Premessa
Il mio intervento non potrà affrontare il tema assegnatomi in modo,
non dico esauriente, ma neanche adeguatamente rappresentativo di tutte le
prospettive e le implicazioni che lo concernono, a ragione della sua vastità,
dell’ampiezza e complessità delle sue interferenze sistematiche, della varietà
delle materie che ne sono interessate e dei concreti conflitti di interesse
sulla soluzione dei quali esso si riflette1.
Per ragionare su «buona fede» e «abuso del diritto» con riguardo ai rap-
porti tra i due termini ci si deve innanzitutto domandare se il problema con-
cerna un rapporto tra formule, e sia dunque, essenzialmente, un problema
di linguaggio tecnico o di convenienza espressiva, ovvero se riguardi un rap-
porto tra regole, e quindi si tratti di riconoscerne l’identità, al di là della
varietà terminologica, oppure di stabilire relazioni di distinzione, contiguità,
interferenza tra regole differenti. Ma occorre comprendere, in un caso come
nell’altro, quali modelli di ragionamento, quali criteri di giudizio, siano da
quei termini implicati, e se essi, a loro volta, possano rivelarsi distinti, conti-
gui, interferenti. E problemi analoghi possono porsi anche riguardo ai rap-
porti della buona fede e dell’abuso del diritto con la «exceptio doli».
Altro tema di fondo del mio intervento sarà quello dell’articolazione tra
buona fede come clausola generale, operante, unitamente alla correttezza,
nell’àmbito dei rapporti contrattuali e dei rapporti obbligatori anche di
fonte non contrattuale, e buona fede-correttezza come principio generale,
1
E le indicazioni bibliografiche e giurisprudenziali saranno assai contenute e necessaria-
mente circoscritte negli stretti limiti in cui lo svolgimento del discorso ne costituisce occasione.
50 Andrea D’Angelo
2
Cass., 24 marzo 1999, n. 2788, in Corr. Giur., 2000, p. 334; Cass., 4 marzo 2003, n. 3185;
Cass., 27 agosto 2014, n. 18304; Cass., 10 aprile 2015, n. 7181.
3
And. D’Angelo, La buona fede, in Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, IV**, Torino,
2004, pp. 14-23.
4
P. Rescigno, L’abuso del diritto, Riv. dir. civ., 1965, I, p. 214, nota 17.
5
V. le classiche pagine di P. Rescigno, L’abuso del diritto, cit.; per altre indicazioni biblio-
grafiche mi limito qui a rinviare a quelle offerte da And. D’Angelo, op. cit., pp. 60 ss. e, più
recentemente, da F. Piraino, La buona fede in senso oggettivo, Torino, pp. 354 ss.
6
Anche a questo proposito non è possibile dar conto della copiosa letteratura: v. ancora
gli scritti citati nella precedente nota e ivi ampi riferimenti, tra i quali mi limito a segnalare U.
Breccia, L’abuso del diritto, in Diritto privato, III, L’abuso del diritto, Padova, 1998, pp. 5 ss.;
Rapporti tra buona fede e abuso del diritto 51
mente osservato che l’asserzione «il diritto cessa dove comincia l’abuso»
è stata utilizzata sia per negare il problema che per giustificare il divieto7.
Lo sfavore per la buona fede, invece, si è a lungo manifestato, in par-
ticolare nella giurisprudenza, per ragioni eminentemente pratiche, di dife-
sa dell’impianto normativo circostante alla clausola generale, e di supposte
esigenze di certezza dei rapporti. Ma le motivazioni addotte – che trova-
rono poi definitivo superamento, grazie all’influenza della dottrina, nella
successiva giurisprudenza – echeggiavano anch’esse la categoria del diritto
soggettivo, negandosi che un comportamento contrario a lealtà, correttezza,
solidarietà possa essere illegittimo e fonte di responsabilità se non concreti
la violazione di un diritto soggettivo già riconosciuto da norme diverse dagli
artt. 1175 e 13758. In tal senso, dunque, il diritto soggettivo veniva in que-
stione quale referente non già della posizione dell’agente (come rispetto al
divieto di abuso), ma quale referente della posizione della sua controparte.
3. Incompatibilità logica tra abuso e diritto
L’argomento fondato sull’incompatibilità logica tra abuso e diritto,
muove dall’assunzione del modello proprietario di diritto soggettivo e dal
riconoscimento ad esso dell’attributo di pienezza delle inerenti prerogative.
E presuppone come precostituito ex lege il contenuto dei diritti, talché
l’esercizio delle corrispondenti prerogative non possa essere sottoposto a
un sindacato giudiziale.
Ma se si ammette che, nell’àmbito dei rapporti contrattuali e obbli-
gatori, le clausole generali di buona fede e correttezza concorrono, nella
soluzione giudiziale dei conflitti di interesse, alla formazione di giudizi di
illiceità o liceità di condotte, fondatezza o infondatezza di pretese, allora si
deve affermare che il riconoscimento o disconoscimento di diritti (di tenere
una condotta o corrispondenti a pretese) e di doveri (di astenersi da una
condotta) non si riferiscono a precostituiti e astratti modelli di situazioni
giuridiche soggettive, ma al contenuto di concrete e singolari posizioni
giuridiche riferite al rapporto, al caso e alle sue circostanze9.
F.D. Busnelli e E. Navarretta, Abuso del diritto e responsabilità civile, in in Diritto privato,
III, L’abuso, cit., pp. 181 ss.; A. Gentili, L’abuso del diritto come argomento, pp. 297 ss. Per la
giurisprudenza risalente v. Cass. 27 febbraio 1953, n. 576, nel senso che la formula del divieto di
abuso del diritto finisce col risolversi nella constatazione dell’illiceità di un esercizio del diritto
che «oltrepassi i limiti entro i quali il diritto stesso è contenuto».
7
P. Rescigno, op. cit., p. 214, nota 17.
8
Cass. 16 febbraio 1963, n. 357, in Foro pad., 1964, I, 1284.
9
Nel senso che le considerazioni circa l’abuso del diritto si risolvono nella definizione di
àmbito e confini del «diritto soggettivo concreto» v. già P. Rescigno, op. loc. ult. cit.; e And.
D’Angelo, op. cit., pp. 62 ss.; ma v. F. Piraino, op. cit., pp. 361 ss.
52 Andrea D’Angelo
10
Per una diversa prospettiva di affermazione del divieto di abuso come concretizzazione
della buona fede in funzione valutativa v. F. Piraino, op. cit., pp. 410 ss.
Rapporti tra buona fede e abuso del diritto 53
11
A. Di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Commentario del codice civile Scialoja-
Branca- Art. 1173-1176, Bologna-Roma, 1988, pp. 301 ss.
12
And. D’Angelo, op. cit., pp. 39 s., 68 s., 108 ss.
13
Anche a questo proposito rinvio alle indicazioni di dottrina e giurisprudenza che si rinven-
gono in And. D’Angelo, op. cit., pp. 33 ss. e in F. Piraino, op. cit., cap. II passim e segnatamente
pp. 270 ss.; tra la giurisprudenza più recente v. Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Foro it.,
2010, I, c. 85; Cass., 10 novembre 2010, n. 22819, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, p. 355;
Cass., 15 ottobre 2012, n. 17642; Cass., 8 aprile 2014, n. 8153, in Danno e resp., 2014, p. 1125.
54 Andrea D’Angelo
Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057; Cass, 13 maggio 2009, n.
15
17
C. Castronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, p. 108, parla di «congestione».
18
V. Cass. 31 maggio 2008, n. 13208.
19
Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, cit.
56 Andrea D’Angelo
20
Cass., 29 maggio 2012, n. 8567.
21
Cass., 31 maggio 2010, n. 13208, cit.
22
V. Cass. 10 dicembre 2002, n. 17576.
Rapporti tra buona fede e abuso del diritto 57
8. Il ricorso ai principi deve tener conto del contesto e della fatti-
specie concreta
Il rilevato disancoramento dei due princìpi da norme a fattispecie ana-
litica e trattamento giuridico puntuale, così come da situazioni giuridiche
soggettive da tali norme conformate, nonché dalla relazione con la trama
di disposizioni regolatrici delle obbligazioni e dei contratti – che orienta
l’utilizzo delle clausole generali – sembrerebbe, secondo il modo corrente
di argomentazione basata su princìpi, comportare una penetrante incidenza
su sfere di azione e di responsabilità prive di ogni altro criterio regolatore
che non siano gli stessi princìpi; e ciò, sembrerebbe, anche rispetto alla
stessa operatività della clausola generale della responsabilità civile, secondo
la formula del «danno ingiusto». In questo senso, pare essere attribuita a
tali princìpi una potenzialità di profonda alterazione del sistema.
Si manifesta, a questo proposito, la più generale problematica, tanto
dibattuta in dottrina, sui princìpi generali, la cui ampiezza e complessità
non consente di affrontarla in questa sede23, e della quale tuttavia occorre
quantomeno cogliere i profili critici rispetto all’uso dei princìpi in funzione
della formazione del giudizio individuale pratico di soluzione giudiziaria
di controversie.
Muoviamo al riguardo dal diffuso riconoscimento, di cui ho già fat-
to cenno, che il ruolo dei princìpi, quali espressioni di «valori», non sia
confinato nella funzione residuale di integrazione delle lacune, ai sensi del
secondo comma dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, ma
consista altresì nella funzione di guida all’interpretazione di disposizioni di
legge e, anche, di autonomo fondamento di decisioni, così da porre fuori
giuoco il riferimento a disposizioni di legge puntuali e alle norme che ri-
sultano dalla loro interpretazione.
Nella prospettiva di un’argomentazione giuridica che tende ad affran-
carsi da un rapporto con la legge improntato al modello positivistico del
sillogismo giudiziario, prende campo, a scapito del riferimento a dispo-
sizioni a fattispecie analitica e a trattamento giuridico puntuale, la con-
siderazione dei valori come contenuti di princìpi generali; e si predica
la «crisi della fattispecie»24. E, nell’àmbito di uno studio specificamente
23
Né può darsi conto della copiosa letteratura in argomento, per la quale mi limito a richia-
mare l’organica trattazione e l’apparato di G. Alpa, I principi generali2, in Trattato di diritto
privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2006; e v., recentemente, A. Gentili, Il diritto
come discorso, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2013, pp. 335
ss.; F. Piraino, op. cit., pp. 47 ss.
24
Mi limito a richiamare N. Irti, La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, pp. 41 ss.;
Id., Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 2014, pp. 36 ss.; N. Lipari,
58 Andrea D’Angelo
I civilisti e la certezza del diritto, Riv. trim. dir. proc. civ., pp. 1123 ss.; ma v. A. Cataudella,
Nota breve sulla «fattispecie», in Riv. dir. civ., 2015, pp. 245 ss.; C. Castronovo, op. cit., p. 11.
25
A. Gentili, op. ult. cit., p. 339.
26
A. Gentili, op. ult. cit., p. 340.
27
A. Gentili, op. ult. cit., p. 342.
28
A. Gentili, op. ult. cit., p. 342 ss.
29
Per le riflessioni che seguono v. And. D’Angelo, Discorso giuridico, termini tecnici e
concetti, § 7, in corso di pubblicazione in Riv. dir. civ., 2016.
Rapporti tra buona fede e abuso del diritto 59
30
Non condivido l’opinione di F. Piraino, op. cit., pp. 53 s., secondo cui il «mero obiettivo
di politica del diritto» non potrebbe essere qualificato come «valore», nel senso proprio di «ideale
di natura etica» che costituirebbe il contenuto dei princìpi generali.
60 Andrea D’Angelo
31
C. Castronovo, L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto, in Scrit
ti in onore di Luigi Mengoni, I, Milano, 1995, pp. 147 ss. e in La nuova Responsabilità civile2,
Milano, 1997, pp. 177 ss.; Id. Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in Eur. dir. priv., 2009,
pp. 679 ss.; Id., Eclissi, cit., pp. 128 ss., ai cui scritti si rinvia anche per i richiami di dottrina
tedesca e italiana e per la confutazione delle opinioni dissenzienti.
32
Per alcune applicazioni dell’accoglimento della dottrina della responsabilità da contatto
sociale, con conseguente qualificazione contrattuale della stessa, e implicazioni pratiche relative ai
criteri di valutazione della condotta e di imputazione di oneri di prova, v., in materia di rapporto
tra medico dipendente da struttura sanitaria e paziente, Cass. 22 gennaio, 1999, n. 589; Cass. 19
aprile 2006, n. 9085; Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2008, n. 577; in materia di obblighi di informa-
zione dell’ex datore di lavoro nei confronti dell’ex dipendente, v. Cass. 21 luglio 2011, n. 15992;
in materia di responsabilità della banca negoziatrice di assegno v. Cass. Sez. Un. 26 giugno 2007,
n. 14717; in materia di responsabilità procedimentale della P.A. v. Cass. 21 novembre 2011, n.
24438; in materia di responsabilità dell’insegnante per il danno cagionato dall’alunno a se stesso,
v. l’obiter dictum contenuto in Cass. Sez. Un. 27 giugno 2002, n. 9346.
Rapporti tra buona fede e abuso del diritto 61
34
Ma nel senso che solo sia «inammissibile una deroga generalizzata e in bianco», mentre
sarebbe «ammissibile derogare, in modo individualizzato, alle singole applicazioni concrete (che
hanno per ciò valore suppletivo)» v. V. Roppo, Il contratto2, in Trattato di diritto privato, a cura
di G. Iudica e P. Zatti, Milano 2011, p. 467; cfr. And. D’Angelo, La buona fede, cit., pp. 231 s.,
nel senso che «sarebbe nulla la pattuizione che disponesse la non applicabilità al rapporto della
clausola generale», mentre deve negarsi «l’appartenenza all’ordine pubblico degli stessi contenuti
attribuibili, di volta in volta ed in concreto, alla buona fede», e ivi ulteriori richiami.
35
V., tra le più recenti, con frequente riferimento all’esigenza di assicurare il «giusto equi-
librio degli opposti interessi»: Cass. 5 marzo 2009, n. 5348; Cass. 18 settembre 2009, n. 20106;
Cass. 10 novembre 2010, n. 22819 – che, in un obiter, giunge ad affermare che il controllo del
giudice alla stregua del «criterio» di buona fede opererebbe «in senso modificativo o integrativo
(e dunque manipolativo)» –; Cass. 21 giugno 2011, n. 13583; Cass. 31 maggio 2012, n. 8779; Cass.
7 agosto 2012, n. 14180; Cass. 15 ottobre 2012, n. 17642 (che anch’essa qualifica come «manipo-
lativo» l’intervento che il giudice potrebbe, alla stregua della buona fede, esercitare sullo statuto
negoziale); Cass. 14 maggio 2014, n. 10428; Cass. 30 settembre 2014, n. 20639.
Rapporti tra buona fede e abuso del diritto 63
36
La stessa Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, che è stata considerata, e criticata, come il
punto più avanzato di un intervento giudiziale sul contratto in applicazione della buona fede, ha
mostrato attenzione nel circoscrivere il sindacato alle modalità e tempi dell’esercizio del diritto
di recesso, senza porre in questione la validità della clausola che stabiliva il diritto; così come le
decisioni citate nella precedente nota 35 non giungono a dichiarare la nullità di patti contrattuali.
37
Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, pur riconoscendo una «tendenza»
di leggi speciali a «sbiadire» la distinzione tra norme di comportamento e norme di validità,
mostra di escludere che si sia verificato lo «sradicamento» di tale distinzione dal codice civile,
raccomandando «cautela nel dedurre da singole norme settoriali l’esistenza di nuovi principi»;
e Cass. 29 settembre 2005, n. 19024 esclude che la violazione di norme imperative nella fase di
trattativa e di formazione del contratto, che pur abbia determinato la pattuizione di condizioni
contrattuali svantaggiose per un contraente, possa comportare, in mancanza di espressa previ-
sione legislativa, l’invalidità del contratto, essendo invece esperibile il rimedio risarcitorio. Sulla
«comunicazione», in questo stesso senso, «tra buona fede precontrattuale e contrattuale», v. And.
D’Angelo, op. ult. cit., pp. 313 ss. L’originario squilibrio contrattuale economico-normativo non
è casuale, ma è solitamente il frutto di comportamenti precontrattuali e formativi di una parte
in pregiudizio dell’altra, e, in tal senso, rileva come lesione della cosiddetta procedural justice (v.
al riguardo And. D’Angelo, op. ult. cit., pp. 160-186 e F. Piraino, op. cit., p. 504 ss., ai quali
si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche), talché, nella prospettiva della decisione testé
citata, non ne risulta la contrarietà a norme imperative di elementi intrinseci al contratto che ne
possano inficiare la nullità, ma la contrarietà a esse di condotte precontrattuali e formative, con
rimedi differenti da quello dell’invalidità.
38
V., tra i tanti, L. Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa e tit.
cred.1997, p. 9 («In nessun caso, comunque, secondo la dogmatica del nostro codice, la viola-
zione del dovere di buona fede è causa di invalidità del contratto»); A. Gentili, op. cit., pp. 407
ss.; V. Roppo, op. cit., p. 466 s., che pur vede la tesi contraria «farsi spazio nella legislazione e
nella giurisprudenza più recenti»; F. Benatti, La buona fede nelle obbligazioni e nei contratti,
in AA.VV. Atti del seminario sulla problematica contrattuale in Diritto romano, Milano, 1988,
p. 297 («la buona fede non è mai norma che dispone dell’invalidità del negozio»); G. D’Amico,
La responsabilità precontrattuale, in Trattato del contratto diretto da V. Roppo, vol. V, t. 2,
Milano, 2006, p. 1003; And. D’Angelo, op. ult. cit., pp. 230-263; e, pur nell’àmbito di visioni
molto aperte alla valorizzazione del ruolo del giudice nella risoluzione di controversie in attua-
zione della buona fede, v. M. Grondona, Diritto dispositivo contrattuale, Torino, 2011, p. 413
e F. Piraino, op. cit., spec. p. 538, e v. ivi, pp. 504 ss. e 525 ss., ampi richiami della dottrina che
esclude un controllo di validità per violazione della regola di buona fede.
64 Andrea D’Angelo
do gli artt. 833 e 1175 c.c., la cui portata coprirebbe l’area delle situazioni
giuridiche patrimoniali2.
Sicuramente la presenza di tali norme e altre simili nel diritto priva-
to potrebbe ritenersi sufficiente per sostenere che il nostro sistema abbia
preferito norme specifiche, con criteri di valutazione però differenti, a un
principio generale che avrebbe reso le prime in parte superflue. Sicuramen-
te ragioni storiche e soprattutto i diversi criteri offerti dalle varie norme
rendono complicata la ricostruzione teorica di una figura generale dell’abu-
so del diritto nel nostro ordinamento3.
Nell’ambito dei diritti reali il diritto di proprietà è quello che maggior-
mente si presta a verificare l’effettività del principio dell’abuso.
La relazione tra tale principio e il diritto di proprietà ha trovato un parti-
colare spazio di approfondimento nell’esperienza francese, costituendo uno
dei cardini degli ordinamenti che derivano dal Code Napoléon. Il principio
dell’abuso si pose a allo scopo di mitigare le conseguenze derivanti, da un
lato, quelle caratteristiche di assolutezza attribuite al diritto di proprietà, e
dall’altro per condiscendere «l’adeguamento di quanto definito come entità
astratta immutabile al volgere dei tempi e al mutare delle esigenze»4.
Con l’espressione «abuso del diritto» si fa comunemente riferimento
a quelle situazioni nella quali colui che ha potere di disporre di diritti o
interessi li utilizza in un modo non conforme a quanto disposto dalla legge.
Il richiamo classico è volto a quella fattispecie in cui il potere attribuito
a un soggetto, per interessi che non gli appartengono, è usato con lo scopo
di realizzare un proprio interesse o di altri, e in contrasto con l’interesse
di cui può di disporre5.
2
Cfr. U. Natoli, «Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento
giuridico italiano», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, pp. 26 ss.).
3
Così S. Patti, Il principio dell’abuso del diritto nell’ordinamento italiano, in Il Diritto,
Enc. Giur. del Sole 24 ore, vol. I, 2007, p. 5, «Della sua «effettività» si potrebbe comunque
dubitare anche per la prudenza, forse eccessiva, mostrata dalla giurisprudenza nell’utilizzare le
clausole generali previste nel Codice. Peraltro occorre segnalare che al tradizionale rifiuto della
giurisprudenza, (generalmente certificata dalla dottrina, cfr. S. Rodotà, op. cit., p. 129), hanno
fatto seguito alcune interessanti applicazioni in diversi settori del diritto civile e del diritto com-
merciale, accompagnate a volte dall’affermazione della configurabilità del principio in termini
generali». Si cfr., Trib. di Bologna, 5 novembre 1970, in Foro it., 1971, I, c. 1030; Cass. 30 giugno
1972, n. 1965, in Giur. it. , 1973, I, 1, c. 413; Trib. Milano 4 luglio 1975, ivi, 1975, I, 2, c. 833;
e soprattutto, Trib. Torino 13 giugno 1983, in Resp. civ. prev., 1983, pp. 815ss., con nota di A.
Gambaro; Cass. 23 luglio 1997, n. 6900; Cass. 14 novembre 1997, n. 11271.
4
Si veda M. Conforti, «Ideologia e norma del diritto di proprietà, in Riv. dir. civ., 1984,
I, p. 309.
5
Vedi E. Bassoli, in Proprietà e diritti reali, il sistema delle tutele, a cura di G. Cassano,
Cedam, Padova 2007, p. 280.
L’abuso nel settore dei diritti reali 67
6
Ibidem.
7
Cfr. F. De Martino, «Della proprietà», in Commentario Scialoja e Branca, Bologna, 1976,
pp. 152 ss.
8
Si cfr. la riflessione di S. Patti, cit., p. 6 e 7, «La normativa costituzionale che ha stabilito il
principio della funzione sociale della proprietà non ha ovviato del tutto alla situazione descritta. Se
infatti è certo che con essa contrastano i comportamenti del proprietario lesivi degli interessi della
collettività, sembra dubbio che la norma, per la sua stessa struttura e formulazione, possa essere
utilmente invocata quando risultano lesi gli interessi di un singolo. Ciò perché la determinazione
dell’utilità sociale comporta una complessa e delicata valutazione di ordine generale, che addirittu-
ra tenga conto dell’assetto del paese, pur quando si tratta di dettare una disciplina giuridica. Essa,
quindi, anche per i nessi che la legano a condizioni continuamente mutevoli, può essere compiuta
soltanto da chi, come il Legislatore, gode della più ampia possibilità di valutazione e di giudizio». E
sulla formula (scarsamente precisa) della funzione sociale anche per i suoi nessi con l’abuso del di-
ritto, v. S. Rodotà, «Note critiche in tema di proprietà», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, pp. 1268s.
9
Cfr. Ugo Mattei, in Trattato di Diritto Civile, diretto da Rodolfo Sacco, Utet Torino
2004, pp. 261-262. Cfr. fra gli altri, C. Salvi, Abuso del diritto (diritto civile), in Enc. giur., I, 1988).
68 Mario Mistretta
10
Così M. Martino, in, R. Sacco, Trattato di diritto privato, diretto da Pietro Rescigno,
Utet, Torino 2005, p. 265.
11
Così U. Mattei, op. cit., p. 262.
12
U. Mattei, op. cit., p. 261; P.G. Monateri, Abuso del diritto e simmetria della proprietà
(un saggio di Comparative Law and Economics ), in Diritto Privato III- L’abuso del diritto,
1997, 89.
13
U. Mattei, op. cit., p. 262.
L’abuso nel settore dei diritti reali 69
14
Così Scognamiglio, voce «Illecito», in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 164.
15
Vedi M. Costantino, op. cit., p. 267.
16
Vedi Pardolesi, Azione reale e azione di danni nell’art. 844 c.c. – Logica economica e
70 Mario Mistretta
logica giuridica nella composizione del conflitto tra usi incompatibili delle proprietà vicine, nota
a Cass., 18-2.1977, n. 740, in Foro it. 1977, I, 1144.
17
Così Rescigno, l’abuso del diritto, op. cit., p. 232.
18
Così Cass., 21-10-1974, n. 2983, in Giust. civ. , 1975, I, p. 450.
19
Fra le tante Cass., 8-11.1977, n. 4777, in Rep. Foro it., 1977, voce «Emulazione», n. 3, «La
configurabilità di un atto emulativo da parte del proprietario della cosa, ai sensi e ali effettivi
cui all’art. 833 c.c., postula che l’atto medesimo sia stato posto in essere al solo fine di arrecare
nocumento o molestia altri, e, quindi, senza nessun vantaggio per il suo autore; ne consegue che
l’azione proposta dal proprietario di un immobile, allo scopo di opporsi a che una posizione del
bene venga da altri abusivamente utilizzata, non può costituire atto emulativo, quali che siano
le sue finalità, in quanto si ricollega comunque anche ad un vantaggio di quel proprietario».
20
Così M. Costantino, op. cit., p. 269.
L’abuso nel settore dei diritti reali 71
21
Ibidem, «La norma risulterebbe così giustificata dall’esigenza molto concreta di stabilire
più equi rapporti sociali e il vero problema risulterebbe quello di individuare i soggetti legittimati
ad avvalersene».
22
Così M. Costantino, «Rapporti privati e tutela civile in tema di esercizio dello «ius ae
dificandi», in Studi in onore di L. Coviello, Napoli, 1978, p. 161ss.
72 Mario Mistretta
Alberto Maria Benedetti
L’abuso dei (e nei) rimedi contrattuali
Sommario: 1. L’abuso del recesso. – 2. Dopo il 2009: l’abuso dei rimedi. – 3. Spunti
conclusivi.
1
Con molta approssimazione, indico qui alcune letture che non possono essere omesse se si
vuole comprendere il dibattito scaturito attorno all’abuso del diritto, con particolare riferimento
al diritto dei contratti: S. Pagliantini, Abuso del diritto e buona fede nei contratti, Torino, 2012;
M. Barcellona, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teolologicamente
orientata del traffico giuridico, in Riv. dir. civ., 2014, II, p. 467 ss.; A. Gentili, Abuso del diritto
e uso dell’argomentazione, in Resp. civ. e previd., 2010, p. 354 ss.; F. Galgano, Qui suo iure
abititur neminem laedit?, in Contr. impr., 2011, p. 311 ss.; G. D’Amico, Recesso ad nutum, buo
na fede e abuso del diritto, in Contratti, 2010, p. 11; C. Scognamiglio, L’abuso del diritto, in
Contratti, 2012, p. 5 ss.; A. Cataudella, L’uso abusivo dei principi, in Riv. dir. civ., 2014, I, p.
747 ss.; C. Salvi, Note critiche in tema di abuso del diritto e di poteri del giudice, in Riv. crit. dir.
priv., 2014, p. 27 ss.; F. Piraino, Il divieto di abuso del diritto, in Europa dir. priv., 2013, p. 75 ss.
74 Alberto Maria Benedetti
2
Art. 54 Carta di Nizza: «Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpre-
tata nel senso di comportare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla
distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Carta o di imporre a tali diritti e
libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta».
L’abuso dei (e nei) rimedi contrattuali 77
3
Cass., 31 maggio 2010, n. 13208, in Giur. it., 2011, I, 794, con nota di P. Rescigno, Un
nuovo caso di abuso del diritto.
78 Alberto Maria Benedetti
4
Da rileggere in questo senso un caso che precede di poco la decisione del 2009: Trib. Ber-
gamo, 7 luglio 2009, in Obbl. contr., 2009, p. 708.
5
Spunti in tal senso in una nota a firma G.A. a Cass., 5 luglio 2013, n. 16880 (Giust. civ.,
2013, I, p. 2368).
L’abuso dei (e nei) rimedi contrattuali 79
Per esempio, l’abuso può avere come scopo proprio quello di sottrare
a controparte rimedi o utilità che potrebbe conseguire attraverso un tipo
contrattuale diverso da quello utilizzato: è il caso, ad esempio, dell’abusiva
successione di contratti di lavoro a tempo determinato che dà luogo al di-
ritto del lavoratore al risarcimento del danno (ma non alla conversione del
contratto in uno a tempo indeterminato: Cass. Civ., 30.12.2014, n. 27481);
qui si configura una sorta di abuso di tipo contrattuale (con una vicinanza
alla frode alla legge difficilmente negabile) finalizzata proprio alla pena-
lizzazione della parte debole, che si vuole privata di vantaggi che avrebbe
potuto ottenere attraverso un più corretto tipo contrattuale.
O, ancora, l’abuso può concretizzarsi perfino in una cessione di azien-
da, quando essa avvenga nel corso di un processo in cui la cedente è già
stata condannato al pagamento di una somma a favore di un creditore: in
questo caso, l’identità della cessionaria (nuova società di compagine quasi
identica alla cedente), la prosecuzione da parte di quest’ultima dell’attività
della cedente, «appare operazione oggettivamente e sostanzialmente volta a
rendere concretamente inesigibile il credito di xx e ad eludere quindi le sue
ragioni creditorie»6. Insomma, abuso dell’autonomia privata nel senso più
ampio del termine, qui declinato nel senso di abuso a danno del creditore.
L’abuso del diritto, così come codificato di fatto dalla giurisprudenza
di legittimità e di merito sopra sintetizzate, fatica a trovare spazio nel di-
ritto dei consumatori, o, più in generale, nel diritto dei nuovi paradigmi
contrattuali asimmetrici.
In quest’ambito, intanto, esistono giù figure tipizzate di abusi che trova-
no un loro certo spazio applicativo (abuso di dipendenza economica, abuso
di posizione), che condividono con la figura generale di abuso del diritto
la derivazione dalla buona fede/correttezza costituzionalmente fondata, ma
che si differenziano per il contesto nel quale operano (che presuppone due
parti collocate su piani diversi, una forte l’altra debole) e per gli effetti che
determinano (in genere, il risarcimento del danno o la nullità della clausola
con la quale l’abuso viene conseguito e realizzato).
Qualche interrogativo.
Il consumatore che è titolare di un recesso di pentimento (nei casi in
cui la legge lo prevede) può abusare del suo diritto nonostante se ne voglia
garantire la totale arbitrarietà sganciandolo da oneri economici e obblighi
motivazionali?
La risposta, probabilmente, è sì, l’abuso del diritto può essere realiz-
6
Così scrive, facendo applicazione della teorica dell’abuso del diritto, il Trib. Reggio Emilia,
16 giugno 2015, in Contratti, 2015, 969, con nota di Passarella.
80 Alberto Maria Benedetti
7
In questa prospettiva vedasi S. Pagliantini (a cura di), Abuso del diritto e buona fede nei
contratti, Torino, 2013, pp. 173-174.
8
Trib. Torino, 7 marzo 2011, in www.ilcaso.it
L’abuso dei (e nei) rimedi contrattuali 81
1
Bob Dylan, Absolutely sweet Marie, nell’album discografico Blonde on Blonde, 1966, sul
cui testo, ampiamente, A. Carrera, in Giustizia e letteratura, I, a cura di G. Forti, C. Mazzu-
cato, A. Visconti, Milano, 2012, 436 s.
2
J. R. Searle, La costruzione della realtà sociale (The Construction of Social Reality, 1955),
cito dall’ed. it. Einaudi, 2006, p. 58 ss.
3
G. Visintini, Il valore della molteplicità nelle lezioni di Calvino, in Studi in onore di
Giovanni Iudica, Milano, 2014, p. 1455 ss.
4
J. Carbonnier, Flessibile diritto. Per una sociologia del diritto senza rigore, trad. it. di
Flexible droit. Pour une sociologie dudroit sans rigueur (Paris, 1969), a cura di A. De Vita,
Milano, 1997, p. 33.
5
A. Gide, I nutrimenti terrestri, Torino, 1994, p. 59 (trad. it. de Les nourritures terrestres,
1897). Mi sono soffermata sull’ambigua etimologia della parola communitas – in cui alcuni in-
84 Maria Vita De Giorgi
travvedono i moenia (le fortificazioni che difendono, ma anche isolano ed escludono), altri il
cum-munus (l’obbligo reciproco che diventa faticoso dovere) – in Vivere per raccontarla: i gruppi
intermedi, in Riv. dir. civ., 2012, I, p. 797 ss.
6
V., per una completa panoramica ed ogni rif. alla vasta dottrina, Di Nella, L’abuso delle
situazioni giuridiche negli ordinamenti europeo, italiano e tedesco: profili civilistici e tributari,
negli Studi in onore di Cataudella a cura di del Prato, I, Napoli, 2013, p. 695 ss.; Piraino, La
buona fede in senso oggettivo, Torino, 2015, p. 343 ss.
7
A tal fine, v. le nitide ricostruzioni di Castronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015,
p. 106 ss.
8
J. R. Searle, op. cit., p. 43 ss.
9
In arg., e per rif., Thiene, La tutela della personalità dal neminem laedere al suum cuique
tribuere, in Riv. dir. civ., 2014, p. 351 ss. Particolare il caso deciso dal Trib. Firenze, 2 febbraio
L’abuso del diritto nelle relazioni familiari 85
2015, in Nuova giur. civ. comm., I, p. 698, con nota di Amram, ove altri rif. alla dottrina in tema
di illeciti nei rapporti familiari. La decisione ha attribuito il risarcimento del danno «da falsa
rappresentazione della paternità».
10
Anche per rif., De Giorgi, La casa nella geografia familiare, in Eur. dir. priv., 2013, p.
768 ss.
11
«…quello che potremmo chiamare, alla stregua dell’arte povera, diritto povero, nel quale
tutto si riduce a responsabilità civile o responsabilità», Castronovo, op. cit., p. 113.
12
Rescigno, L’abuso del diritto, ora nel volume dal titolo omonimo, Bologna, 1998, p. 98 ss.
13
Cfr. A. Renda, Il matrimonio civile. Una teoria neo-istituzionale, Milano, 2013, p. 141 s.
e 348 ss. per la c.d. simulazione del matrimonio ex art. 123 c.c. e p. 635 s. per il matrimonio «di
comodo» dello straniero, di cui agli artt. 29, comma 9, e 30, comma 1 bis, T.U. immigrazione.
86 Maria Vita De Giorgi
14
Cass., 20 novembre 2003, n. 17607, in Corr. giur., 2004, p. 307 con nota di Oberto; in
Fam. dir., 2004, p. 473 con nota di Conte.
15
Cass. 21 marzo 2013, n, 7214, che si può reperire agevolmente in molti siti di carattere
giuridico.
16
Cass. 2 gennaio 2014, n. 7, in Giur. it., 2014, I, p. 31, con commento di Aureli.
17
Rescigno, L’abuso del diritto, cit. p. 88. s.
L’abuso del diritto nelle relazioni familiari 87
18
Cass. 23 maggio, 2003 n. 6970, in Fam. e dir., 2003, p. 319, con nota di Figone; Cass.,
9 ottobre 2007 n. 21099, in Nuova giur. civ. comm, p. 2008, I, 519 (ivi, p. 523, il commento di
Lenti, Il criterio per valutare l`intollerabilità della convivenza: la Cassazione abbandona le de
clamazioni ideologiche e disvela le regole operative).
19
Cass. 15 settembre 2011, n. 18853, in Danno e resp., 2012, 382 con commenti di Amram,
e di . Oliari; Cass. 1° giugno 2012, n. 8862, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 1081, con nota
di Favilli. Altri precedenti in Thiene, Commento all’art. 2043 cod. civ., in Comm. breve al dir.
di fam. (a cura di A. Zaccaria), 3° ed., Padova, 2016.
20
Figura di dubbio significato, su cui v., con gradevole ironia, Taruffo, Abuso del processo,
in Contr. e impr. 2015, p. 832 ss.
88 Maria Vita De Giorgi
21
Trib. Varese, 21 gennaio 2011, n. 98, in Giur. merito, 2011, p. 2704.
22
Trib. Varese, 23 gennaio 2010, inwww.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/2205.pdf
23
Cfr., anche per rif., De Giorgi, op. ult. cit., p. 789 ss.
L’abuso del diritto nelle relazioni familiari 89
24
Per rif., ancora De Giorgi, op. cit., p. 787.
25
App. Milano, Sez. minori, 7 gennaio 1961, Rescigno, op. cit., p. 63.
26
Cass. 16 marzo 1999 n. 2315, in Fam. e dir., 1999, 233 ss. con nota di Sesta; in Nuova
giur. civ. comm., 1999, I, 517 ss. con commento di Palmerini, in Giur. it., 2000, 275 ss. con
riflessioni Caggia e Sciso.
90 Maria Vita De Giorgi
27
La previsione è destinata a diventare sempre più rilevante, ora che Corte cost. 10 giugno
2014, n. 162 ha travolto – in nome di un diritto generale di autodeterminazione costituzionalmen-
te fondato – il divieto di fecondazione eterologa, confermando così la progressiva e inesorabile
astrazione dal dato genetico, cfr., Bilotti, Procreazione assistita eterologa, in Il libro dell’anno
del diritto 2015, Roma, 2015, p. 13 ss. e ivi rif.
28
Trib. Roma, 19 settembre 2013, in http://www.sportellodeidiritti.org/notizie/dettagli.
29
Trib. Civitavecchia 23 febbraio 2009, in Giur. it., 2009, 2205 ss. commentata da E. Car-
bone; in Giur. merito, 2010, 1250 ss., con annotazioni di Di Nardo. Un caso analogo è stato
deciso da Trib. Napoli 11 aprile 2013, in Foro it., 2013, I, 2040 con nota di Casaburi.
L’abuso del diritto nelle relazioni familiari 91
30
Questa scelta è stata confermata dal Trib. di Firenze, con ord. 30 luglio 2015, in Foro it.,
2015, I, c. 3113, che è giunto ad escludere la legittimazione anche in capo ai terzi interessati, se
mossi da interessi meramente ereditari.
31
Percorre, su richiesta delle parti, la strada della responsabilità civile in un caso di impugna-
zione paterna di un riconoscimento effettuato nel lontano 1943, Cass., 31 luglio 2015, n. 16622,
in Foro it., 2015, I, c. 3113, decisione in cui viene evidenziata l’irreparabile devastazione affettiva
causata da un ripudio effettuato dopo decenni di vita familiare.
32
Trib. Roma 17 ottobre 2012, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 349 ss. con commento di
M.G. Stanzione; in Dir. fam. e pers., 2014, 706 ss. con nota di Restivo; in Rass. dir. civ., 2013,
927 ss. con commento di Virgadamo.
92 Maria Vita De Giorgi
del Tribunale di Crotone aveva disposto il test del DNA, test che non si è
mai effettuato poiché gli appuntamenti stabiliti erano andati a vuoto. Alla
luce di tale comportamento il Tribunale emetteva la sentenza dichiaran-
do il difetto di veridicità del riconoscimento, sentenza confermata anche
in Appello. Secondo la Cassazione, la mancata sottoposizione delle parti
al test è un comportamento da cui potersi trarre elementi presuntivi, in
quanto «nell’attuale contesto socio-culturale caratterizzato da ampie pos-
sibilità di accertamento del patrimonio bio-genetico dell’individuo, pensare
di segregare l’atto negoziale di accertamento della paternità, escludendo il
controinteressato dal fornire la prova del suo difetto di veridicità significa,
ignorando il livello attuale delle cognizioni scientifiche e delle potenzialità
di indagine, consentire ogni forma di abuso del diritto e, quindi, di ado-
zione mascherata e fraudolenta del minore, non tollerabile in una società
civile e trasparente»33.
Concedendomi, come spesso in queste pagine, un uso elastico del lem-
ma, affine a quello del linguaggio comune, a mio parere un’ipotesi di abuso
che sta facendosi strada e di cui si sta occupando il legislatore, potrebbe
ravvisarsi nel rifiuto della madre di incontrare il figlio a suo tempo abban-
donato, quando, nel bilanciamento degli interessi, l’equilibrio esistenziale
connesso alla conoscenza delle proprie origini sia prevalente rispetto al
desiderio materno di seppellire il passato.
Come nel caso, raccontato dalla cronaca, di una signora di 55 anni che,
poco più che adolescente, aveva partorito e abbandonato una bambina,
chiedendo di restare anonima.
Su mandato del presidente del Tribunale per i minori di Roma, un’as-
sistente sociale l’ha cercata, aderendo alla richiesta della figlia, cresciuta
in una famiglia adottiva. La risposta è stata negativa, pur se la signora ha
accettato che il tribunale rendesse noti i suoi dati sanitari34.
La Corte costituzionale35, sul tema del diritto del figlio adottato a co-
noscere le proprie origini e del bilanciamento con quello della madre a
rimanere anonima, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 28,
comma 7, della legge n. 184 del 1983 nella parte in cui non prevede la
possibilità per il giudice di interpellare, su richiesta del figlio, la madre
che abbia dichiarato di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale
revoca della dichiarazione.
Cass., 26 marzo 2015, n. 6136, in Foro it., 2015, I, c. 3113 con commento di Casaburi.
33
Normalmente, invece, racconta la Presidente del Tribunale per i minori di Roma (Melita
34
Cavallo) su quindici istanze di figli che hanno chiesto alle madri di rimuovere l’anonimato, tredici
donne hanno accettato e due hanno detto di no, www.repubblica.it/cronaca/2015/06/13/news/
35
Corte cost. 22 novembre 2013, n. 278, in Dir. fam. e pers., 2014, p. 1 ss.
L’abuso del diritto nelle relazioni familiari 93
36
www.deputatipd.it/files/documenti/90bis%20Diritto%20conoscenza%20madre%20biolo
gica_
37
www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/per-la-dieta-del-figlio-vanno-in-tribunale-caso-
unico.
94 Maria Vita De Giorgi
38
De Giorgi, La casa nella geografia familiare, cit. p. 761 ss.
39
Cass. Sez. lav., 30 aprile 2015, n. 8784, in Giur. it. 2015, p. 2159, con nota di V. Miraglia,
con riferimenti di dottrina e giurisprudenza sull’ampio utilizzo della figura dell’abuso nel diritto
del lavoro.
40
Il Titolo IX bis, ordini di protezione contro gli abusi familiari – inserito con l. 4 aprile
2001, n. 154 – non pare aver preservato le donne da un eccidio quotidiano. L’allontanamento
dalla residenza familiare del figlio vittima di comportamenti pregiudizievoli ovvero del genitore
(o convivente) che maltratti il minore o ne abusi è previsto dall’art. 330, 2° co. c.c. (Decadenza
dalla potestà sui figli, il riferimento al genitore o convivente è stato inserito con l. 28 marzo 2001,
n. 149); disposizione analoga nell’art. 333 c.c., (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli), cfr.
in arg. E. Canavese, L’esecuzione dei provvedimenti concernente la persona del minore, Tratt. di
dir. di fam2. diretto da P. Zatti, VI, Tutela civile del minore e diritto sociale della famigliaa cura
di L. Lenti, 201 s. e ivi rif.
41
Ampiamente Senigaglia, La Convenzione di Istanbul contro la violenza tra ordini di
protezione e responsabilità civile endofamiliare, in Riv. dir. priv., 2015, p.111 ss.
42
Rescigno, «Jus in corpus e debito coniugale»: la ristampa del libro di Vassalli, ora in Ma
L’abuso del diritto nelle relazioni familiari 95
Nel nostro tempo, se l’omissione dei rapporti sessuali è uno dei motivi
di addebito che frequentemente vengono richiesti nell’ambito della sepa-
razione, quasi sempre le pretese sono respinte dai giudici.
E in passato? Per l’Allgemeines Landrecht für die Königlisch-Preussi
schenStaaten, (ALR), che entrò in vigore nel 1794 « I coniugi non possono
rifiutarsi durevolmente al compimento dei doveri coniugali ».
Nell’ambito familiare ciò si traduceva in un’espansione della disciplina
legislativa della vita di coppia e in una responsabilizzazione degli individui
rispetto all’esercizio della propria sessualità e all’uso del proprio corpo a
mezzo di un’incredibile trama di disposizioni, varie e specifiche, che non
sempre si risolvevano nel rigore di una proibizione43.
Con linguaggio assai concreto si prescriveva alle donne che avevano
rapporti fuori dal matrimonio di osservare con cura i mutamenti del pro-
prio corpo per scorgere i segni di una gravidanza e si ordinava alle madri
di informare, con prudenza, le figlie quattordicenni delle regole precauzio-
nali per la gestazione e il parto. Ancora: le madri erano tenute se in buona
salute ad allattare, in costanza di allattamento o per ragioni di salute esse
potevano però – è sempre l’espressa previsione di legge ad autorizzarlo –
rifiutarsi al debito coniugale.
Per l’ALR il rifiuto ostinato di adempiere al dovere coniugale, la deser
tio malitiosa, che aveva impegnato generazioni di giuristi, è specificamente
considerato dalla legge una bösliche Verlassung, e come tale una condotta
fortemente lesiva degli impegni presi con il matrimonio.
Per alcuni interpreti la colpevole mancata prestazione del debito, «con-
sistente nel ragionevole soddisfacimento dell’istinto generativo», sebbene
non potesse dar luogo ad una coazione diretta, poteva essere causa di se-
parazione di letto e di mensa, se non addirittura motivo per l’impiego di
mezzi coattivi indiretti: quale la privazione della libertà o l’irrogazione di
una sanzione pecuniaria.
Sugli abusi educativi nei rapporti con i figli il discorso richiederebbe un
altro convegno e invece, con gli sculaccioni, concludo.
Gli sculaccioni ai bambini come esercizio di ius corrigendi erano ai miei
tempi erano usati e accettati44, adesso opportunamente respinti in qualsiasi
Sommario: 1. Un breve cenno su nozione e funzione dell’abuso del diritto, e sul ruolo
del giurista. – 2. Il rapporto tra buona fede oggettiva e divieto di abuso. – 3. La natura
oggettiva del divieto di abuso: gli apporti della dottrina e il contributo della giurispru-
denza d’impresa e societaria. Suoi corollari operativi. – 4. Il divieto di abuso in ambito
societario e la metamorfosi delle sue condizioni d’uso. – 5. Abusi assembleari e abusi
nella gestione sociale: alcuni casi tipizzati. – 6. Per una concezione non dogmatica del
divieto di abuso in ambito societario.
1
Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Contratti, 2010, p. 5 ss., con nota D’amico, Recesso
ad nutum, buona fede e abuso del diritto; Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 231 ss., con nota
C. Scognamiglio, Abuso del diritto, buona fede, ragionevolezza (verso una riscoperta della
pretesa funzione correttiva dell’interpretazione del contratto?); Riv. dir. civ., 2010; II, p. 653 ss,
con nota Panetti, Buona fede, recesso ad nutum e investimenti non recuperabili dell’affiliato
nella disciplina dei contratti di distribuzione: in margine a Cass., 18 settembre 2009, N. 20106;
Foro it., 2010, I, c. 85 ss., con nota Palmieri e Pardolesi, Della serie «a volte ritornano»: l’abuso
del diritto alla riscossa.
2
La pronuncia della S.C. ha infatti cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di
Bologna, demandando al giudice del merito (ovvero ad altra sezione della stessa Corte) la valu-
tazione circa la sussistenza o meno, nel caso di specie, dell’abuso del diritto. Ad oggi non risulta
che la Corte d’Appello abbia deciso la controversia.
3
E di cui la stessa sentenza dà ampio risalto nella propria motivazione, che introduce la ratio
decidendi del caso in esame premettendo un puntuale excursus dei precedenti di Cassazione in
tema di applicazione del divieto di abuso.
98 Giovanni Meruzzi
4
Il riferimento è a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, Cedam,
Padova, 2005, in part. p. 338 ss.
5
Si consenta ancora il rinvio, per un più ampio sviluppo della materia, a Meruzzi, L’exceptio
doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., p. 348 ss., in part. p. 353 s.
6
Che all’esito dell’excursus giurisprudenziale svolto giunge alla conclusione che risulta «or-
mai acclarato che anche il principio dell’abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con
riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia pri-
vata, e valutare le condotte che, nell’ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti
contrattuali adottano».
L’oggettivazione del divieto di abuso tra diritto civile e diritto commerciale 99
7
Tanto che, come osserva M. Talamanca, La bona fides nei giuristi romani: «leerformeln» e
valori tutelati dall’ordinamento, in L. Garofalo (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva
nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, IV, Cedam, Padova, 2003, p. 4, dal punto di
vista della bona fides si può «scrivere la storia dell’intera esperienza giuridica romana, o tentare
di farlo». Ritengono la buona fede «one of the most fertile agents in the development of Roman
contract law» S. Whittaker e R. Zimmermann, Good faith in European contract law: surveying
the legal landscape, in S. Whittaker e R. Zimmermann (eds.), Good Faith in European Contract
Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2000, p. 7 ss., in part. p. 17. Sulla
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distinzione con-
cettuale tra fides e bona fides si sofferma P. D. Senn, Buona fede nel diritto romano, in Digesto,
disc. priv., sez. civ., II, UTET, Torino, 1988, p. 129 ss., in part. p. 130 s.
8
Un ruolo a tal fine centrale fu svolto dalla polemica tra Bruns e Wachter, il primo so-
stenitore della concezione etica della buona fede e il secondo di quella psicologica, destinata a
rimanere il caposaldo concettuale di ogni moderna dottrina in materia. In argomento v. l’accurata
ricostruzione bibliografica di Corradini, Il criterio della buona fede e la scienza del diritto
privato, Giuffrè, Milano, 1970, p. 109 ss., in part. p. 118 e 125, ove il rilievo che per la prima
volta si revoca in dubbio l’unitarietà dalla nozione. Si soffermano sulla disputa, tra gli altri, anche
Montel, Il possesso di buona fede, Cedam, Padova, 1935, p. 107 ss., e, nel vigore dell’attuale
100 Giovanni Meruzzi
noto é che il divieto di abuso del diritto nasce e si sviluppa prima nelle
riflessioni dei giuristi del diritto intermedio e poi in seno al droit coutumier
francese e nel diverso contesto della teoria dei diritti reali, come strumento
per mitigare l’assolutezza del diritto di proprietá e per reprimere gli abusi
proprietari e gli atti emulativi9.
La storia ha tuttavia portato le due nozioni a confluire e in qualche
modo gravitare l’una nell’orbita dell’altra, sino al punto da essere invalsa
la pratica, anche tra gli studiosi del diritto, di immedesimare le nozioni di
violazione del criterio di buona fede oggettiva e di abuso del diritto: chi
abusa del proprio diritto pone in essere un atto contrario alla buona fede
oggettiva, e la violazione del criterio di correttezza é intesa come una forma
di abuso del diritto.
La relazione in tal modo instaurata tra le due clausole generali é stata
cristallizzata dalla giurisprudenza di legittimitá in tempi non lontani, ri-
prendendo un autorevole insegnamento: il divieto di abuso del diritto é si
concettualmente distinto dal dovere di correttezza, ma in un rapporto di
species a genus10. Il divieto di abuso del diritto costituisce infatti una delle
subnorme di diritto oggettivo, o meglio uno dei criteri di condotta, in cui
si estrinseca il generale dovere di buona fede oggettiva11.
Codice, Bigliazzi Geri, Buona fede nel diritto civile, in Digesto, disc. priv., sez. civ., II, UTET,
Torino, 1988, p. 157 s.
9
In argomento v., senza alcuna pretesa di completezza, Rotondi, L’abuso di diritto, in Riv.
dir. civ., 1923, p. 105 ss., 209 ss., 417 ss., in part. p. 210 e 220 ss. in relazione agli ascendenti
romanistici dell’aemulatio, e p. 273 ss., ove riferimenti alle opere di Bartolo, Cino da Pistoia,
Alessandro Tartagna, Alciato; Gualazzini, Abuso del diritto (dir. intermedio), in Enc. dir., I,
Giuffrè, Milano, 1958, p.163 ss.; Gambaro, Il diritto di proprietà, in Tratt. Cicu-Messineo-Men
goni, Giuffrè, Milano, 1995, p. 474 ss.
10
Così Galgano, Trattato di diritto civile, Cedam, Padova, 2015, II, p. 657 ss., in part. p.
659 ss., cui si rinvia per ulteriori riferimenti.
11
La concezione è fatta propria da Cass., 18 ottobre 2003, n. 15482, in Nuova giur. civ.
comm., 2004, I, p. 305 ss., con nota Grondona, Disdetta del contratto, abuso del diritto e clau
sola di buona fede: in margine alla questione del precedente giudiziale; Foro it., 2004, I, c. 1845
ss., con nota redazionale Colangelo; Giust. civ., 2004, I, p. 3011 ss.; Giur. it., 2004, p. 2064
ss., con nota Bergamo, L’abuso del diritto ed il diritto di recesso, che in linea con la ricostru-
zione sistematica proposta da Galgano afferma che «nel nostro sistema legislativo è implicita
una norma che reprime ogni forma di abuso del diritto, sia questo il diritto di proprietà o altro
diritto soggettivo, reale o di credito. L’abuso del diritto consiste, secondo questa autorevole
dottrina, nell’esercitare il diritto per realizzare interessi diversi da quelli per i quali esso è ri-
conosciuto dall’ordinamento giuridico. … Specifica ipotesi di violazione dell’obbligo di buona
fede nell’esecuzione del contratto viene considerata proprio l’abuso del diritto, individuato nel
comportamento del contraente che esercita verso l’altro i diritti che gli derivano dalla legge o
dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati» (p.
308). L’orientamento è ribadito proprio dalla pronuncia di Cass., 18 settembre 2009, n. 20106,
secondo la quale «criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva è quello
L’oggettivazione del divieto di abuso tra diritto civile e diritto commerciale 101
3. La natura oggettiva del divieto di abuso: gli apporti della dottrina
e il contributo della giurisprudenza d’impresa e societaria. Suoi corollari
operativi
Le conclusioni cui si è giunti nei precedenti paragrafi danno ragione
della tendenza, ormai del tutto univoca in dottrina, a considerare il divieto
di abuso come una fattispecie oggettivata, la cui operativitá prescinde dalla
dell’abuso del diritto», con il risultato che in conseguenza «di tale, eventuale abuso, l’ordinamen-
to pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati
in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla
buona fede oggettiva».
12
Per un più ampio sviluppo della tesi si rinvia a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile
al diritto commerciale, p. 355 ss. e 525 s. Esplicità nel recepire tale impostazione è la pronuncia
di Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, ove si legge che nella prospettiva di una lettura costitu-
zionalmente orientata del criterio di buona fede oggettiva e del divieto di abuso «i due principii
si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta
delle parti, anche di un rapporto privatistico e l’interpretazione dell’atto giuridico di autonomia
privata e, prospettando l’abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo
per i quali essi sono conferiti».
13
Cfr. ancora Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, p. 358 s., cui
adde ��Busnelli – Navarretta, Abuso del diritto e responsabilità civile, in Diritto privato, 1997
(III), p. 359. Per ulteriori e più ampi sviluppi v. inoltre gli altri contributi pubblicati in questo
volume, dedicati agli specifici settori, del diritto privato e non, in cui emerge ormai con chiarezza
l’uso giurisprudenziale del divieto di abuso.
102 Giovanni Meruzzi
14
Così, ex multis, Rotondi, L’abuso del diritto, cit., p. 119; Gambaro, Abuso del diritto. II)
Diritto comparato e straniero, in Enc. giur. Treccani, I, Ist. enc. it., Roma, 1988, p. 1 ss., in part.
p. 7; Patti, Abuso del diritto, in Digesto, disc. priv., sez. civ., I, UTET, Torino, 1989, p. 1 ss., in
part. p. 8; Pignataro, Buona fede oggettiva e rapporto giuridico precontrattuale: gli ordinamenti
italiano e francese, ESI, Napoli, 1999, p. 39 e 43; Messinetti, Abuso del diritto, in Enc. dir.,
Aggiorn. II, Giuffrè, Milano, 1998, p. 1 ss., in part. p. 4 e 9.
15
Di tale avviso il già cit. Gambaro, Abuso del diritto. II) Diritto comparato e straniero, p. 7.
16
Per un’organica trattazione sul profilo, legato al progressivo emergere della regola di cor-
rettezza come norma giuridica primaria, si rinvia ancora a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto
civile al diritto commerciale, cit., p. 175 ss., ove ulteriori riferimenti.
17
V. in part. il passaggio della pronuncia già cit. ante, in nota 6.
18
Cass., 11 dicembre 2000, n. 15592, in Giust. civ., 2000, I, p. 2439 ss., con nota Costanza,
Brevi note per non abusare dell’abuso del diritto; Giur. it., 2001, p. 1887 ss., con note Giusti, Im
pugnative di bilancio ed exceptio doli, e Bergamo, Abuso del diritto e impugnativa del bilancio;
Foro it., 2001, I, c. 3274 ss.; Riv. dir. comm., 2001, II, p. 197 ss., con nota ASTONE, Impugnativa
di bilancio e divieto di venire contra factum proprium, la cui motivazione prosegue affermando
che «non si può negare, infatti, che un’impostazione esclusivamente o prevalentemente sogget-
tivistica rischia di far sovrapporre la personale valutazione dell’interprete – e, in particolare, del
giudice – alle regole di corretto svolgimento della vita dei singoli istituti giuridici e, per quanto
qui interessa, alla disciplina delle società».
L’oggettivazione del divieto di abuso tra diritto civile e diritto commerciale 103
19
Ciò in quanto, «in presenza della norma di cui all’art. 2377, 2° comma, c.c., ed in difetto
di qualsiasi restrizione all’esercizio del diritto d’impugnazione delle delibere difformi dalla legge
e/o dall’atto costitutivo … è ben difficile ipotizzare un abuso dello stesso diritto di impugnativa.
Infatti, per superare il principio secondo cui non può arrecar danno ad alcuno chi usa di un pro-
prio diritto nei termini e modalità previsti dalla legge e con finalità riconosciute come meritevoli
di tutela (l’azione essendo volta a ripristinare il rispetto della legge e/o dell’atto costitutivo),
occorre dimostrare l’esistenza di un quid pluris, per integrare l’abuso del diritto d’impugnativa.
Tale elemento aggiuntivo, che potrebbe astrattamente esser costituito dalla violazione dei principi
di correttezza e buona fede, intesa come regola di comportamento, non può essere individuato
semplicemente nell’identità soggettiva di chi abbia prima approvato il (progetto di) bilancio nella
qualità di amministratore e, poi, impugnato la delibera assembleare di approvazione».
20
Infatti per Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, nel caso «di eventuale, provata disparità di
forze fra i contraenti, la verifica giudiziale del carattere abusivo o meno del recesso deve essere
più ampia e rigorosa, e può prescindere dal dolo e dalla specifica intenzione di nuocere: elementi
questi tipici degli atti emulativi, ma non delle fattispecie di abuso di potere contrattuale o di
dipendenza economica».
21
Tale in sostanza è la conclusione cui perviene la più volte citata pronuncia Renault, quando
in sede di critica della pronuncia oggetto di ricorso e di introduzione dei criteri cui sarà tenuto a
conformarsi il Giudice del rinvio afferma che la Corte d’Appello «in concreto, avrebbe dovuto
104 Giovanni Meruzzi
valutare – e tale esame spetta ora al giudice del rinvio – se il recesso ad nutum previsto dalle
condizioni contrattuali, era stato attuato con modalità e per perseguire fini diversi ed ulteriori
rispetto a quelli consentiti», prescindendo quindi da ogni volontà di danneggiare la parte che
ha subito il recesso.
22
In materia è ancor oggi fondamentale, quanto alla ricostruzione storico-sistematica, il
contributo di Gambino, Il principio di correttezza nell’ordinamento delle società per azioni,
Giuffrè, Milano, 1987, in part. p. 77 ss. quanto all’istituto dell’eccesso di potere, cui si rinvia per
ulteriori riferimenti.
23
Il riferimento è al saggio di C. Fois, Le clausole generali e l’autonomia statutaria nella
riforma del sistema societario, in Giur. comm., 2001, I, p. 421 ss., in part. p. 436 e 452.
L’oggettivazione del divieto di abuso tra diritto civile e diritto commerciale 105
24
In tal senso, testualmente, Denozza, L’interesse sociale tra «coordinamento» e «coope
razione», in L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders,
Giuffrè, Milano, 2009, p. 9 ss., in part. p. 9.
25
Oltre all’appena cit. contributo di Denozza v. ex multis le riflessioni svolte da Angelici,
La società per azioni e gli «altri», in L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione
degli stakeholders, cit., p. 45 ss.
26
Restano in materia centrali le riflessioni svolte da Galgano, Diritto commerciale. II. Le
società, Zanichelli, Bologna, 2013, p. 19 ss.
106 Giovanni Meruzzi
27
Il riferimento è allo scritto di Carnelutti, Eccesso di potere nelle deliberazioni dell’as
semblea delle anonime, in Riv. dir. comm., 1926, I, p. 180 ss. Per un excursus giurisprudenziale
in tema di applicazione della teoria dell’eccesso di potere si rinvia ancora a Gambino, Il principio
di correttezza nell’ordinamento delle società per azioni, cit, p. 77 ss.
28
Il profilo è trattato nel noto saggio di Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965,
I, p. 205 ss., ora riedito in Id., L’abuso del diritto, Il Mulino, Bologna, 1998, in part. p. 79. Ne
L’oggettivazione del divieto di abuso tra diritto civile e diritto commerciale 107
È solo con gli studi di Piergiusto Jaeger prima e di Disiano Preite nei
primi anni ’90 dello scorso secolo che prende corpo, in parallelo con la
riscoperta e lo sviluppo teorico della clausola generale della buona fede
oggettiva, la riconduzione del divieto di abuso in ambito societario alla
correttezza in executivis, aprendo la strada al filone giurisprudenziale oggi
di gran lunga dominante e al conseguente abbandono della teoria dell’ec-
cesso di potere29.
Nella giurisprudenza di legittimità il punto di svolta è costituito dal
noto leading case deciso con la pronuncia 11151/1995, con la quale la Su-
prema Corte ha ricondotto l’abuso della maggioranza alla violazione della
buona fede oggettiva30.
Trattasi di pronuncia rilevante sotto vari aspetti. Oltre ad aver consentito
il rapido abbandono della teoria amministrativistica dell’eccesso di potere e
la sua sostituzione con la privatistica regola di correttezza, la sentenza ha
costituito il punto di partenza proprio del processo di oggettivazione della
nozione di abuso del diritto, sostituendo la prova dell’intento fraudolento
come elemento costitutivo della fattispecie con una valutazione in termini
del tutto obiettivi della condotta dell’abusante31. Quanto all’impatto del
precedente nello specifico ambito del diritto societario, con esso la prova
della voluntas nocendi è stata sostituita dalla (diversa) prova dell’esistenza
dell’interesse extrasociale perseguito dall’abusante a danno dei soci e della
società32.
Trattasi quindi non di un venir meno dell’onere della prova, quanto di
una diversa sua focalizzazione: non più sulla natura fraudolenta o dolosa
della condotta, quanto sul tipo di interesse perseguito tramite la condotta
fa applicazione Trib. Milano, 15 maggio 2008, in Società, 2009, con nota Margiotta, La legit
timazione attiva del socio all’impugnazione delle delibere assembleari.
29
Il riferimento è ai contributi monografici di JAEGER, L’interesse sociale, Giuffrè, Milano,
1972 e di Preite, L’»abuso» della regola di maggioranza nelle deliberazioni assembleari delle
società per azioni, Giuffrè, Milano, 1992.
30
Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. comm., 1996, II, p. 329 ss., con nota di Jaeger,
Angelici, Gambino, Costi, Corsi; Giust. civ., 1996, I, p. 381 ss., con nota Schermi; Giur. it.,
1996, I, 1, c. 574 ss.; Società, 1996, p. 295 ss., con nota Batti.
31
[nota da integrare]
Il principio è stato successivamente ripreso, in diverso contesto, nella più volte cit. pronuncia
Renault, ove si afferma che nell’ipotesi dell’abuso del diritto risulta «alterata la funzione obiettiva
dell’atto rispetto rispetto al potere che lo prevede».
32
In tal senso, da ultimo, Cass., 17 luglio 2007, n. 15942 [da citare]
Sul punto v. anche Trib. Napoli, 24 maggio 2006, in … per la quale la delibera è valida se
ha una propria ed autonoma giustificazione, e Trib. Bologna, 9 luglio 2009, che in tema di ri-
partizione dell’onere della prova fa incombere sul socio impugnante la prova dell’abusività della
condotta lamentata.
108 Giovanni Meruzzi
tenuta, ovvero sulla sua riconducibilità e coerenza rispetto a uno dei vari
interessi sussumibili nella nozione di interesse sociale.
È peraltro evidente che la riconduzione della fattispecie alla violazione
del dovere di correttezza induce a una rigorosa valutazione della condotta,
che consideri, nel perseguire da parte del supposto abusante uno tra gli
astratti interessi sussumibile nell’ambito della nozione di interesse sociale,
anche la necessità di salvaguardare gli interessi degli altri soci e gli ulteriori
riconducibili all’interesse sociale, ove ciò non costituisca un apprezzabile
sacrificio del proprio33.
Sarebbe peraltro un errore di analisi valutare la materia del divieto
di abuso in ambito societario limitandosi alla sola fattispecie tipizzata
dell’abuso di maggioranza. Nella più recente giurisprudenza emergono in
parallello altre fattispecie tipizzate, oltre a vari casi di applicazione pun-
tuale del divieto di abuso, sia in via autonoma che sub specie di violazione
della regola di correttezza.
Tra le fattispecie tipizzate va ricordato l’abuso della minoranza sociale,
noto in vari ordinamenti europei e divenuto anche in Italia attuale prima
per le sole società quotate, con l’introduzione nel Tuf del previgente art.
126, e poi per le società azionarie in generale, atteso il regime deliberativo
delle assemblee straordinarie introdotto con la novellazione del 2003 (cfr.
art. 2368 c.c.), che ha creato i presupposti del fenomeno delle c.d. mino-
ranze di blocco.
Non è certo questa la sede per soffermarsi sulla nozione di abuso di
minoranza, intesa come esercizio, da parte delle minoranze, di prerogative
di gruppo o di diritti individuali per conseguire diretti o indiretti vantaggi
individuali a danno dei soci di maggioranza o della stessa società34, né per
per affrontare la complessa questione del tipo di tutela che in questa ipotesi
l’ordinamento appronta, sia essa (solo) risarcitoria o anche reale35. Merita
33
Ciò in coerenza con la concezione della buona fede oggettiva come dovere di lealtà e
salvaguardia, … [bianca], ad oggi fatta propria dalla Cassazione e dalla giurisprudenza di merito.
34
[In part.: opposizione a realizzare un’operazione essenziale per la società, finalizzata
solo a favorire i propri interessi a danno degli altri soci.
Portale, Galgano: anche il comportamento delle minoranze, che azionino diritti loro
riconosciuti per perseguire fini non coerenti con la causa del contratto di società pongono
in essere una condotta di per sé illecita].
35
[Problema della sanzione ammissibile:
a) tutela risarcitoria: ammessa pacificamente;
b) esclusione della minoranza ostruzionistica: ammessa in altri ordinamenti, ma non
consentita nel diritto italiano (Portale);
c) invalidazione della delibera (negativa) assunta a seguito della condotta ostruzioni-
stica: si pone il problema dell’ammissibilità dell’impugnazione della c.d. delibera negativa
(contra: Portale e Trib. Milano, 29/11/2003; incerto Cian; a favore Trib. Catania, 10/8/2007,
L’oggettivazione del divieto di abuso tra diritto civile e diritto commerciale 109
solo rilevare, per quanto qui di interessa, che anche nella valutazione della
condotta tenuta dalle minoranze sociali viene in gioco una valutazione in
termini oggettivi della condotta tenuta, ovvero se questa sia coerente col
perseguimento di un interesse dei soci di minoranza sussumibile nell’alveo
dell’interesse sociale.
Quanto alle fattispecie non tipizzate, occorre prendere atto del sem-
pre più frequente ricorso al divieto di abuso per approntare tutela in
situazioni che investono sia i rapporti tra soci e fra questi e la società, sia
le condotte dei componenti degli organi di amministrazione e controllo,
e in particolare gli amministratori, poste in essere a detrimento dell’inte-
resse sociale.
Tra le numerose ipotesi meritano di essere qui ricordate quelle relati-
ve a:
– l’esclusione del socio di società di persone per grave inadempimento,
determinata dalla sua condotta abusiva e dalla conseguente violazione dei
doveri scaturenti dal criterio di correttezza36;
– la possibilità, per il socio di cooperativa, di esercitare il diritto di
recesso avvalendosi della finzione di avveramento ex art. 1359 c.c. nel caso
di inerzia dell’assemblea nell’accertare il venir meno del vincolo sociale,
secondo quanto previsto dallo statuto37;
– il divieto, per il creditore pignoratizio, di abusare del diritto di voto
di cui è titolare38;
– la sottoposizione del socio al criterio di correttezza nell’acquisire co-
pia della documentazione sociale39;
– l’obbligo per gli amministratori di rispettare le regole di correttezza
nella definizione del rapporto di concambio in sede di fusione40;
– il riconoscimento della natura abusiva della delibera assembleare di
accantonamento degli utili quando, in assenza di motivazione in ordine alle
ragioni sociali che la giustificano, sia caratterizzata da un intento vessatorio
nei confronti della minoranza41;
42
Cass., 17/7/2007, n. 15492, cit.
43
Trib. Catania, 3/3/2006; Trib. Bologna, 6/12/2006; Trib. Taranto, 13/7/2007; App. Mila-
no, 13/2/2008. V. però anche Trib. Napoli, 13/8/2009, in ordine al (limitato) diritto di accesso
del socio ex amministratore
44
[Cass., 12/2/2010, n. 3327: ipotesi di abuso della facoltà di approvazione delle proposte
concordatarie da parte dell’assemblea dei creditori sociali [da citare]];
45
[Meruzzi]
46
Conclusione, questa, valida per il diritto societario ma mutuabile all’intera teoria generale
del contratto. Sul punto v. ancora [Meruzzi, …]
L’oggettivazione del divieto di abuso tra diritto civile e diritto commerciale 111
rapporto e di valutazione del corretto utilizzo dei diritti e dei poteri che dal
contratto sociale scaturiscono, concorre in generale a definire il contenuto
della funzione selettiva assunta, nell’ordinamento giuridico, dal criterio di
buona fede oggettiva e correttezza.
Se ne deve concludere che anche nel settore del diritto societario il di-
vieto di abuso costituisce regola generale di condotta e uno strumento di
tutela e di repressione dei comportamenti scorretti realizzati sia dai soci nei
loro reciproci rapporti o da questi nei confronti della società, sia dai com-
ponenti dei suoi organi di amministrazione e controllo, in violazione del
generale dovere di perseguire l’interesse sociale o comunque perseguendo
interessi del tutto egoistici ed estranei al rapporto societario.
Operando in sinergia tra loro, buona fede oggettiva e divieto di abuso
costituiscono pertanto lo strumento di riequilibrio operativo degli interessi
perseguiti e di riconduzione dei diritti individuali riconosciuti ai soci e
ai componenti degli organi sociali alla fisiologica esecuzione del rapporto
societario, nonché di bilanciamento dei vari interessi che vengono in gioco
nella sua concreta esecuzione.
112 Giovanni Meruzzi
Parte seconda
1
Basti il richiamo a L. Josserand, De l’abus des droits, Paris, 1905, nonché a G. Ripert, La
règle morale dans les obligations civiles, Paris, 1925; quell’intuizione dottrinale trovò poi recepi-
116 Tommaso dalla Massara
mento giurisprudenziale, per esempio, in Chambre Reg. 3 agosto 1915, citata in Les grands arrêts
de la jurisprudence civile, Paris, 1984, 254. Sulla tradizione francese dell’abuso di diritto, si veda
G. Durry, La conception jurisprudentielle de l’abus de droit, in Rev. trim. droit civ., 1972, 395.
2
Su cui si veda infra § 7.
3
La letteratura italiana sull’abuso del diritto appare ormai difficile da compendiare: senza
pretesa di esaustività, si veda dapprima U. Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’abu
so del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 18 ss.; S.
Romano, voce Abuso del diritto, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 168 ss.; nonché poi il decisivo
punto di svolta rappresentato da P. Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 205
ss. (ora pubblicato in forma autonoma, Bologna, 1998, 13 ss.); quindi S. Patti, Profili della
tolleranza nel diritto privato, Napoli, 1978, 111 ss.; Id., voce Abuso del diritto, in Dig. disc.
priv. – sez. civ., I, Torino, 1987, 1 ss.; Id., Vicende del diritto soggettivo, Torino, 1999, 17 ss.;
D. Messinetti, voce Abuso del diritto, in Enc. dir., Aggiornamento, II, Milano, 1998, 1 ss.; C.
Salvi, voce Abuso del diritto. I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 1 ss.; A.
Gambaro, voce Abuso del diritto. II) Diritto comparato e straniero, in Enc. giur. Treccani, I,
Roma, 1988, 1 ss.; G. Levi, L’abuso del diritto, Milano, 1993; R. Sacco, Il diritto soggettivo.
L’esercizio e l’abuso del diritto, in Tratt. dir. civ. diretto da R. Sacco, Torino, 2001, 281 ss., in
specie 309 ss.; S. Viaro, Abuso del diritto ed eccezione di dolo generale, in L’eccezione di dolo
generale. Applicazioni giurisprudenziali e teoriche dottrinali, a cura di L. Garofalo, Padova,
2006, 1 ss.; C. Restivo, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano, 2007; M.
Barcellona, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolamentazione teleologicamen
te orientata del traffico giuridico, in Riv. dir. civ., 2014, 467 ss.; di recente, cfr. anche la pano-
ramica comparatistica proposta da R.T. Bonanzinga, Abuso del diritto e rimedi esperibili, in
www.comparazionedirittocivile.it.
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 117
4
Sulla genealogia del sapere il rinvio è, inevitabilmente, a Michel Foucault, il quale avverte
che ogni discorso sulle continuità/discontinuità nasconde il rischio di un irrigidimento: «nozione
paradossale, quella di discontinuità: infatti è contemporaneamente oggetto e strumento di ricer-
ca», giacché quel discorso presuppone lo stesso «movimento regolatore» all’interno del quale
esso si colloca; si veda M. Foucault, L’archeologia del sapere. Una metodologia per la storia
della cultura, trad. it. di G. Bugliolo, Milano, 2009, in specie 13 ss.
5
Sul diritto come ‘invenzione’ romana, cfr. A. Schiavone, ‘Ius’. L’invenzione del diritto in
Occidente, Torino, 2005, in specie 5.
6
In questa prospettiva, A. Gentili, L’abuso del diritto come argomento, in Riv. dir. civ.,
2012, I, in specie 321.
118 Tommaso dalla Massara
ni7, molte delle quali proprio in collegamento con l’idea di dolo generale8;
inoltre, che la relazione tra bona fides e dolo generale è di esatta antitesi9:
proprio nella misura in cui una condotta appaia connotata da dolo, e così
pure dal dolo generale, essa genera nei giuristi romani l’esigenza di uno
sforzo teso a far prevalere il principio di buona fede attraverso una sottile
analisi del caso di specie10.
Fondamentale è però sempre tenere presente che – lo vorrei ribadire
– nella giurisprudenza romana ogni soluzione collegata ad argomenti di
buona fede e di dolo presuppone analisi sottili e passa attraverso strumenti
tecnicamente elaborati.
2. Dolo generale: una nozione che si colloca sul terreno processuale
Se è vero quanto appena premesso, ossia che nel diritto romano il
dolo costituisce la figura antitetica rispetto alla buona fede e che proprio
nell’ambito di quest’ultima sono rinvenute dai giuristi romani soluzioni
tecnicamente elaborate sulla base del caso di specie, è ora da dire che larga
parte di quelle soluzioni sono affidate all’operatività del peculiare strumen-
to, connesso al funzionamento del processo formulare11, che è rappresen-
tato dall’eccezione di dolo generale.
7
Per una prima ricognizione sulla buona fede romana, F. Ranieri, voce Good Faith, in
The Max Planck Encyclopedia of European Private Law, I, Oxford, 2012, 790 ss.; cfr. inoltre
R. Cardilli, ‘Bona fides’ tra storia e sistema, Torino, 2004; Id., La buona fede come principio
di diritto dei contratti: diritto romano e America latina, in Roma e America, XIII, 2002, 123 ss.;
M.J. Schermaier, ‘Bona fides’ in Roman Contract Law, in Good Faith in European Contract
Law, a cura di R. Zimmermann – S. Whittaker, Cambridge, 2000, 87 ss.; G. Grosso, voce Buona
fede (dir. romano), in Enc. dir., V, Milano, 1959, 661 ss. Per una rappresentazione più sfaccettata
del grande tema della buona fede, muovendo dal diritto romano attraverso le sue diramazioni
diacroniche, si vedano i contributi raccolti nei quattro volumi dedicati a Il ruolo della buona fede
oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di
studi in onore di A. Burdese (Padova – Venezia – Treviso, 14-15-16 giugno 2001), a cura di L.
Garofalo, Padova, 2003.
8
In argomento, si rinvia anzitutto ai contributi contenuti in L’eccezione di dolo generale.
Diritto romano e tradizione romanistica, a cura di L. Garofalo, Padova, 2006.
9
Cfr. D. 17.2.3.3 (Paul. 32 ad ed.): […] bona fides contraria est fraudi et dolo.
10
In questo senso soprattutto il fondamentale lavoro di M. Brutti, La problematica del
dolo processuale nell’esperienza romana, I-II, Milano, 1973; in precedenza, Id., ‘Formulae de
dolo’ e dolo processuale tra la fine della Repubblica e gli inizi del Principato, in Studi Senesi,
LXXX, 1968, 261 ss.
11
In particolare sulla connessione tra l’eccezione di dolo e le strutture del processo formula-
re, cfr. C.A. Cannata, ‘Bona fides’ e strutture processuali, in Il ruolo della buona fede oggettiva,
I, cit., in specie 269 ss., oltre a M. Brutti, La problematica del dolo processuale, cit., in generale
ma specialmente I, 625 ss.; la stretta connessione con il sistema per formulas non deve peraltro
indurre a ritenere che le istanze di buona fede non trovassero rilevanza a mezzo di strumenti
antecedenti all’eccezione di dolo, già nell’antico processo per legis actiones, come dimostra A.
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 119
Corbino, Eccezione di dolo generale: suoi precedenti, in L’eccezione di dolo generale. Diritto
romano e tradizione romanistica, cit., 19 ss.
12
Cfr. V. Colacino, voce Denegatio actionis (dir. romano), in Noviss. dig. it., V, 1960, 453 s.;
di recente, con revisione di taluni profili del tem, S. Sciortino, ‘Denegare actionem’, ‘decretum’
e ‘intercessio’, in AUPA, LV, 2012, 659 ss.
13
Per riferimenti, si veda infra, nt. 61.
14
Per un primo sguardo, M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 350 s.;
si veda inoltre M. Brutti, La problematica del dolo processuale, II, cit., 327 ss.
15
Sul significato dell’aequitas che sostanzia e dà senso all’intervento pretorio, M. Talaman-
ca, La ‘bona fides’ nei giuristi romani: ‘Leerformeln’ e valori dell’ordinamento, in Il ruolo della
buona fede oggettiva, IV, cit., 1 ss.; inoltre, Id., Per la storia della giurisprudenza romana, in
BIDR, LXXX, 1977, 257 ss.; M.J. Schermaier, ‘Bona fides’ im römischen Vertragsrecht, in Il
ruolo della buona fede oggettiva, III, cit., 459 ss.
16
In questa chiave di lettura, L. Labruna, Note su eccezione di dolo generale e abuso del
diritto nelle vedute dei giuristi classici, in L’eccezione di dolo generale. Diritto romano e tradizione
romanistica, cit., 127 ss.; U. Elsener, Les racines romanistes de l’interdiction de l’abus de droit,
Bâle, 2004; C. Buzzacchi, L’abuso del processo in diritto romano, Milano, 2002. Soprattutto, i
differenti possibili campi applicativi dell’eccezione di dolo generale sono esplorati in L’eccezione
di dolo generale. Applicazioni giurisprudenziali e teoriche dottrinali, cit., ove in specie S. Viaro,
Abuso del diritto ed eccezione di dolo generale, 1 ss.; di recente in argomento, F. Piraino, La
buona fede in senso oggettivo, Torino, 2015, 343 ss.
120 Tommaso dalla Massara
17
Cfr. A. Burdese, voce Exceptio doli (diritto romano), in Noviss. dig. it., VI, Torino, 1960,
1073 ss.; mi permetto di rinviare anche a T. dalla Massara, Die Arglisteinrede, in Handbuch
des Römischen Privatrechts, herausgegeben von U. Babusiaux et alii, in corso di pubblicazione.
Sulle origini dello strumento, Id., L’eccezione di dolo generale da Aquilio a Labeone, in L’ecce
zione di dolo generale. Diritto romano e tradizione romanistica, cit., 104 s.; R. Fiori, Eccezione
di dolo generale ed editto asiatico di Quinto Mucio: il problema delle origini, in L’eccezione di
dolo generale. Diritto romano e tradizione romanistica, cit., 49 ss.
18
La formulazione edittale dell’exceptio doli è ricavabile da Gai. 4.119: si in ea re nihil
dolo malo A. Agerii factum sit neque fiat. Si veda O. Lenel, Das ‘Edictum perpetuum’. Ein
Versuch zu seiner Wiederherstellung. Dritte, verbesserte Auflage, Leipzig, 1927 (rist. Aalen,
1985) 512; D. Mantovani, Le formule del processo privato romano, Padova, 1999, 99. La con-
trapposizione tra dolo passato o speciale e dolo presente o generale fu elaborata nel corso di
un’evoluzione concettuale sviluppatasi dall’età medievale fino all’Ottocento; nelle fonti roma-
ne l’espressione dolo generale, in contrasto a dolo speciale, compare in effetti una sola volta:
D. 44.4.4.33 (Ulp. 76 ad ed.). Cfr. M. Brutti, La problematica del dolo processuale, II, cit.,
625 ss.
19
Sul punto, M. Brutti, La problematica del dolo processuale, I, cit., 166 ss. e in specie alle
ntt. 85 e 87.
20
«L’impego della exceptio rivolta al presente non comporta una maggiore ampiezza del
concetto di dolo, ma soltanto la sua applicazione ad un’attività processuale che si identifica con
l’esercizio stesso dell’actio. […]. I chiarimenti più espliciti che troviamo nelle fonti […] non
fondano un concetto nuovo di dolo, ma si limitano a sottolineare che a base dell’exceptio è, nei
casi considerati, la proposizione stessa dell’actio da parte dell’attore, e non un comportamento
doloso precedente al costituirsi del rapporto processuale»: così M. Brutti, La problematica del
dolo processuale, I, cit., 171 s.
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 121
Il dolo generale o presente dunque, per come emerge dalle fonti21, rap-
presenta una figura squisitamente processuale22.
Tanto per il caso del dolo passato o speciale quanto per quello presen-
te o generale, si dà la necessità per il convenuto di esprimere le proprie
difese attraverso un’eccezione, con cui sia accertato quel particolare fat-
to giuridico che è rappresentato dal realizzarsi del dolo. La presenza di
quest’ultimo – che si atteggia come fatto antigiuridico rilevante23 – apre la
via all’applicabilità di una controregola la quale giustifica una decisione di
reiezione della domanda attorea.
Se non fosse opposta l’eccezione, non sarebbe viceversa sufficiente per
il convenuto affidarsi all’istruzione probatoria che si sviluppa nella fase
apud iudicem allo scopo di contrastare la pretesa attorea; senza la richiesta
di uno specifico accertamento del dolo a mezzo di eccezione, la pretesa
attorea risulterebbe infatti iure civili fondata.
Com’è noto, assai lunga e controversa è la storia delle idee di cui si è
via via arricchita la vicenda dell’eccezione di dolo – concepita nel presente
21
Di dolus praesens, in contrapposizione al dolus praeteritus, si parla in D. 44.4.4.18 (Ulp. 76
ad ed.): quaesitum est, an de procuratoris dolo, qui ad agendum tantum datus est, excipi possit.
Et puto recte defendi, si quidem in rem suam procurator datus sit, etiam de praeterito eius dolo.
Hoc est si ante acceptum iudicium dolo quid fecerit, esse excipiendum, si vero non in rem suam,
dolum praesentem in exceptionem conferendum. Si autem is procurator sit, cui omnium rerum
administratio concessa est, tunc de omni dolo eius excipi posse Neratius scribit. In generale, sul
tema del dolo presente e passato, ancorché senza ricorso alle denominazioni che sarebbero poi
entrate nell’uso, si veda D. 44.4.2.3-5 (Ulp. 76 ad ed.). Nel senso della genuinità classica della
clausola neque fiat, la più antica testimonianza è rappresentata da D. 2.14.10.2 (Ulp. 4 ad ed.),
ove è riportato un parere di Trebazio. Cfr. M. Brutti, La problematica del dolo processuale, I,
cit., in specie 173 ss.
22
Cfr. L. Mitteis, Römisches Privatrecht bis auf die Zeit Diokletians, I, Leipzig, 1908, 318
ss.; A. Carcaterra, ‘Dolus bonus’, ‘dolus malus’. Esegesi di D. 4.3.1.2-3, Napoli, 1970; M.
Kaser, Das römische Privatrecht, I 2, Das altrömische, das vorklassische und klassische Recht,
München 1971, 488 e nt. 38; M. Kaser – K. Hackl, Das römische Zivilprozessrecht2, München,
1966 (1996), 54; M. Brutti, La problematica del dolo processuale, cit., in specie I, 166 ss. e 191
ss., e II, 624 ss.; G. Mac Cormack, ‘Dolus’ in Republican Law, in BIDR, XXVII, 1985, 1 ss.,
in specie 20 ss.; Id., ‘Dolus’ in Decisions of the Mid-classic Jurists, in BIDR, XXXV-XXXVI,
1993, 83 ss., in specie 127 ss.; tra i vari contributi in Il ruolo della buona fede oggettiva, cit., in
particolare C.A. Cannata, ‘Bona fides’ e strutture processuali, cit., 257 ss., e M. Talamanca,
La ‘bona fides’ nei giuristi romani, cit., 1 ss., in specie 33 ss. e 289 ss.; M. Schermaier, ‘Bona
fides’ in Roman Contract Law, cit., 63 ss., in specie 86 s. Cfr. poi nell’insieme L’eccezione di dolo
generale. Diritto romano e tradizione romanistica, cit., entro cui si segnala in questa prospettiva
specialmente A. Burdese, L’eccezione di dolo generale da Aquilio a Labeone, 93 ss., e L. Labru-
na, Note su eccezione di dolo generale e abuso del diritto nelle vedute dei giuristi classici, 123 ss.
23
In una prospettiva di comparazione, si veda S. Martens, voce Fraud, in The Max Planck
Encyclopedia of European Private Law, I, Oxford, 2012, 730 ss., ove si prospetta «a delictual
(punitive) action in almost any case of a wrongfully caused loss» (così in specie, 430).
122 Tommaso dalla Massara
24
Per uno sguardo d’insieme, nella prospettiva europea, cfr. F. Ranieri, voce Eccezione di
dolo generale, in Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, 311 ss.; Id., Bonne foi et exercice du
droit dans la tradition du ‘civil law’, in Rev. int. dr. comp., 1998, 1055 ss.
25
«Il dolo può essere anche oggi definito con Labeone omnis calliditas, fallacia, machinatio
ad circumveniendum, fallendum, decipiendum alterum adibita. Consiste in quei raggiri e artifizi
che vengono adoperati per ingannare una persona e per approfittare dell’errore nel quale, in con-
seguenza di questi, essa è caduta, allo scopo di farle compiere un negozio»: così A. Trabucchi,
Istituzioni di diritto civile47, a cura di G. Trabucchi, Padova, 2015, 130.
26
Così A. Burdese, voce Exceptio doli, cit., 1074, quasi riecheggiando D. 44.4.2.3 (Ulp. 76
ad ed.): […] licet enim eo tempore, quo stipulabatur, nihil dolo malo admiserit, tamen dicendum
est eum, cum litem contestatur, dolo facere, qui perseveret ex ea stipulatione petere […].
27
In una bibliografia vastissima, per limitarsi a segnalare i riferimenti essenziali: L. Carraro,
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 123
Valore attuale della massima ‘fraus omnia corrumpit’, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, 782 ss.,
ove si riscontra una sostanziale apertura, con argomenti che tenevano a riferimento soprattutto
la letteratura tedesca; invece, su posizioni di sostanziale scetticismo G.L. Pellizzi, voce Exceptio
doli (diritto civile), in Noviss. dig., it, VI, Torino, 1960, 1074 ss.; si veda poi A. Torrente, voce
Eccezione di dolo, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 218, le cui conclusioni appaiono interlocutorie;
passando per G.B. Portale, Impugnative di bilancio ed ‘exceptio doli’, in Giur. comm., 1982, I,
407 ss., e L. Nanni, La buona fede contrattale, in I grandi orientamenti di giurisprudenza civile
e commerciale diretto da F. Galgano, Padova, 1988, si giunge quindi alle decise aperture di F. Ra-
nieri, voce Eccezione di dolo generale, cit., 311 ss., anche in Id., Bonne foi, cit., 1055 ss., il quale
valorizza le potenzialità dello strumento in un raffronto storico-comparatistico; come pure fa L.
Garofalo, Per un’applicazione dell’‘exceptio doli generalis’ romana in tema di contratto autono
mo di garanzia, in Riv. dir. civ., 1996, I, 629 ss. (anche in Nozione formazione e interpretazione
del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor F. Gallo, III,
Napoli, 1997, 474 ss.). Si tenga presente, poi, la ricostruzione, sganciata dalle norme di cui agli
artt. 1175 e 1375 c.c., proposta da A.A. Dolmetta, Exceptio doli generalis, in Banca, borsa tit.
cred., 1998, I, 147 ss., anche in Enc. giur. Treccani, voce Exceptio doli generalis, Aggiornamento,
Roma, 1997, 1 ss. I problemi legati al fondamento dell’eccezione di dolo entro il diritto vigente
sono stati poi ripercorsi da G.M. Uda, La buona fede nell’esecuzione del contratto, Torino,
2004, 399 ss., nonché da G. Meruzzi, L’‘exceptio doli’ dal diritto civile al diritto commerciale’,
Padova, 2005, in specie 452 ss.; cfr., da ultimo, F. Piraino, La buona fede in senso oggettivo,
cit., particolarmente 431 ss.
28
Si leggano in proposito, per esempio, le considerazioni di G. Cattaneo, Buona fede
obbiettiva e abuso del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, 638.
29
G.L. Pellizzi, voce Exceptio doli (diritto civile), cit., 1075. Peraltro già R. von Jhering,
Serio e faceto nella giurisprudenza, trad. it. di G. Lavaggi, Firenze, s.d. [ma 1954], 323, rilevava
che con l’eccezione di dolo «non c’è nulla che non si riesca a combinare. Per parte mia mi im-
pegnerei a scardinare per mezzo suo tutto un ordinamento giuridico: avrei con il suo ausilio di
che respingere ogni norma che appena non mi garbi».
30
Si veda, per avere un punto di riferimento in tema di eccezione di dolo, Cass. 7 marzo
2007, n. 5273, su cui mi permetto di rinviare a T. dalla Massara, L’eccezione di dolo generale
nel pensiero attuale della Corte Suprema, in Riv. dir. civ., 2008, II, 228.
124 Tommaso dalla Massara
31
Su tale figura contrattuale, cfr. G.B. Barillà, Contratto autonomo di garanzia e ‘������
Garan
tievertrag’. Categorie civilistiche e prassi del commercio, Frankfurt am Main, 2005; P. Corrias,
Garanzia pura e contratti di rischio, Milano, 2006, 424 ss.; M. Lobuono, I contratti di garanzia,
Napoli, 2007, 107 ss.; A. Bertolini, Il contratto autonomo di garanzia nell’evoluzione giurispru
denziale, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 435 ss.; R. Natoli, Riflessioni sulla struttura del
contratto autonomo di garanzia e della polizza fideiussoria, in Giureta, 2012, 1 ss.; E. Navar-
retta, Il contratto autonomo di garanzia, in I contratti per l’impresa, I, a cura di G. Gitti – M.
Maugeri – M. Notari, Bologna, 2012, 553 ss.; C. Frigeni, Riflessioni sul contratto autonomo di
garanzia, in Vita not., 2013, 565 ss.; P. Tartaglia, Il contratto autonomo di garanzia e la giuri
sprudenza di legittimità, in ‘Liber Amicorum’ per A. Luminoso, Contratto e mercato, II, a cura
di P. Corrias, Milano, 2013, 967 ss.
32
Specificamente su questo percorso, L. Garofalo, Per un’applicazione dell’‘exceptio doli
generalis’ romana, cit., 629 ss. Si veda inoltre P. Lambrini, in nota a Trib. Treviso 24 dicembre
1997, in Riv. dir. civ., 1998, II, 443 ss.
33
Questa la prospettiva specifica dischiusa soprattutto da U. Natoli L’attuazione del rap
porto obbligatorio e la valutazione del comportamento delle parti secondo le regole della corret
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 125
tezza, in Banca, borsa tit. cred., 1961, I, 169 ss.; Id., L’attuazione del rapporto obbligatorio, in
Trattato Cicu – Messineo, Milano, 1974, 27 ss., Id., La regola della correttezza e l’attuazione del
rapporto obbligatorio, in Studi sulla buona fede, Milano, 1975, 170 ss.; si veda anche L. Bigliazzi
Geri, voce Buona fede nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, 154 ss., in
specie 183 ss. In prospettiva simile anche A. Di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Com
mentario del codice civile Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 1988, 284 ss.; A. D’Angelo, voce
Buona fede, in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, 1 ss.; Id., La tipizzazione giurisprudenziale
della buona fede contrattuale, in Contr. e impr., 1990, 702 ss. Si veda ora F. Piraino, La buona
fede in senso oggettivo, cit., in specie 12 ss.
34
Si rinvia nuovamente a Cass. 7 marzo 2007, n. 5273, cit., sulla quale infra, § 3.
35
Indicative di questa tendenza ‘sincretistica’ sono le pagine, scritte più di quarant’anni
fa, da G. Cattaneo, Buona fede obbiettiva e abuso del diritto, cit., 613 ss.: pur cogliendosi la
distinzione tra buona fede e abuso del diritto, se ne vede ivi il congiunto operare; cfr. sul punto,
F. Piraino, La buona fede in senso oggettivo, cit., 343 ss., in specie 379, nt. 152.
36
La si veda in Foro civ., 1950, 337, con nota di S. Arnone, Esecuzione di sentenza emessa
in lite simulata ed ‘exceptio doli’.
126 Tommaso dalla Massara
37
Si veda la rassegna proposta da L. Nanni, L’uso giurisprudenziale dell’‘exceptio doli gene
ralis’, in Contr. e impr., 1986, 197 ss.
38
Si legga la sentenza (in molti luoghi commentata) per esempio in Corr. giur., 1994, 566, con
nota – significativamente – di V. Carbone, La buona fede come regola di governo della discrezio
nalità contrattuale; su quel caso ritorna F. Piraino, La buona fede in senso oggettivo, cit., 37 s.
39
Cass. 23 luglio 1997, n. 6900, come pure la sentenza ‘sorella’ Cass. 8 agosto 1997, n. 7400,
entrambe in Giur. it., 1998, 889 ss., con nota di A. Ronco, Azione e frazione: scindibilità in
più processi del ‘petitum’ di condanna fondato su un’unica ‘causa petendi’ o su ‘causae petendi’
dal nucleo comune, ammissibilità delle domande successive alla prima e riflessi oggettivi della
cosa giudicata, giungevano all’esito della reiezione della domanda frazionata in quanto proposta
contro buona fede.
40
Su cui si veda infra, § 9.
41
Si tenga conto che alla pronuncia a Sezioni Unite hanno fatto seguito altre sentenze, tra
cui particolarmente significative appaiono Cass. 22 dicembre 2011, n. 28286, e Cass. 9 aprile
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 127
2013, n. 8576, nelle quali pure è omessa la diretta menzione dell’eccezione di dolo generale (su
queste si veda infra, alla nt. 76).
42
Su cui sia consentito rinviare a T. dalla Massara, L’eccezione di dolo generale nel pensiero
attuale della Corte Suprema, cit., 224 ss.
43
La sentenza si può leggere, per esempio, in Foro it., 2010, I, 85 ss., in Giur. it., 2010, 552 ss.,
128 Tommaso dalla Massara
Su questa decisione, ancora una volta silente sul dolo generale, non mi
soffermo: peraltro, sono certo che a essa altri Relatori di questo convegno
dedicheranno ampia attenzione.
Vorrei invece tenere al centro dell’attenzione la pronuncia del 2007,
opera della I Sezione, sull’eccezione di dolo generale, perché in essa la
Cassazione si era concentrata con apprezzabile esattezza nella definizione
del mezzo di difesa di tradizione romanistica.
Orbene, ciò che più mi preme qui sottolineare è che l’eccezione di
dolo generale appare strumento recepito e tecnicamente definito entro
l’ordinamento vigente in forza di un intervento giurisprudenziale ormai
maturo.
Si afferma che il dolo generale è quello commesso nel momento stesso
in cui l’azione viene proposta in giudizio; e l’eccezione corrispondente
si offre come rimedio processuale volto alla reiezione della domanda che
fosse stata proposta in contrasto con i principi di correttezza e buona fede.
Da qui occorre partire.
Mancano di essere compiuti non pochi svolgimenti concettuali, in ordi-
ne alle caratteristiche dello strumento di cui si discute. Prima, però, appare
utile ancora dedicarsi ad alcuni chiarimenti per i quali la comparazione
diacronica risulta indispensabile.
4. Le polarità semantiche emergenti dal diritto romano classico
Ribadita la natura squisitamente processuale dell’antica exceptio doli
generalis, ben fotografata nei suoi tratti anche nella recente giurispru-
denza poc’anzi richiamata, è opportuno ora tentare una sintesi sulle po-
larità di significato della nozione di dolo quali emergono dall’esperienza
giuridica romana.
Le prime due polarità semantiche – di cui si è detto – sono legate
all’esperibilità di un’eccezione con cui si faccia valere l’esistenza di artifizi
o raggiri collocabili al momento della conclusione del negozio che costi-
tuisce anche il titolo della pretesa attorea (in questo caso, si tratta di dolo
nonché in Giur. comm., 2010, II, 830 ss.; in margine alla sentenza si veda, tra molti, F. Galgano,
Qui suo iure utitur neminem laedit?, in Contr. e impr., 2011, 311 ss., e G. D’Amico, Recesso ‘ad
nutum’, buona fede e abuso del diritto, in Contratti, 2010, 11 ss.; Id., Ancora su buona fede e
abuso del diritto. Una replica a Galgano, in Contratti, 2011, 653 ss.; si veda inoltre M. Orlandi,
Contro l’abuso del diritto (in margine a Cass. 18 settembre 2009, n. 20106), in Riv. dir. civ., 2010,
II, 157; la sentenza è inoltre edita in Resp. civ. prev., 2010, 354 ss., con nota di A. Gentili, Abuso
del diritto e uso dell’argomentazione; in Foro it., 2010, I, 85 ss., con nota di Al. Palmieri – R.
Pardolesi, Della serie ‘a volte ritornano’: l’abuso del diritto alla riscossa; M. Cenini – A. Gam-
baro, Abuso del diritto, risarcimento del danno e contratto: quando la chiarezza va in vacanza,
in Corriere giur., 2011, 109 ss.
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 129
44
M. Brutti, La problematica del dolo processuale, II, cit., 625 ss.
45
Cfr. F. Casavola, voce Dolo (dir. romano), in Noviss. dig. it., VI, Torino, 1960, 148; G.I.
Luzzatto, voce Dolo (dir. romano), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 712 s.
46
Cfr. M. Talamanca, voce Custodia (dir. romano), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, Milano,
562 ss.; G. Luzzatto, voce Custodia (dir. romano), in Noviss. dig. it., V, 1960, Torino, 93 ss.;
G. Crifò, voce Illecito (dir. romano), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, 153 ss.; cfr. inoltre
C.A. Cannata, Per lo studio della responsabilità per colpa nel diritto romano classico, Milano,
1969; F.M. de Robertis, ‘Culpa et diligentia’ nella compilazione giustinianea, in Studi in onore
di E. Betti, II, Milano, 1962, 347 ss.; Id., La responsabilità contrattuale nel diritto romano, Bari,
1994. Di recente, C. Pelloso, L’obbligo di custodia, in Trattato delle obbligazioni, diretto da
M. Talamanca e L. Garofalo, I.2, Padova, 2014, 645 ss., ove più ampie indicazioni di letteratura.
47
Cfr. C.A. Cannata, ‘Bona fides’ e strutture processuali, cit., 257 ss; M.J. Schermaier,
‘Bona fides’ in Roman Contract law, cit., 87.
130 Tommaso dalla Massara
48
Così R. Zimmermann, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tra
dition, Oxford, 1996, 667 ss.
49
M. Talamanca, La ‘bona fides’ nei giuristi romani, cit., 34 ss.
50
Si veda A. De Vita, Buona fede e ‘common law’. Attrazione non fatale nella storia del
contratto, in Il ruolo della buona fede oggettiva, I, cit., 459 ss., in specie 472 ss.; A. Gambaro,
Common law ed equity in Inghilterra, in A. Gambaro – R. Sacco, Sistemi giuridici comparati,
Torino, 2002, 69 ss.; A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa, Milano, 1979, 530 ss.
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 131
51
Cfr. D.1.1.7.1 (Pap. 2 def.): ius praetorium est, quod praetores introduxerunt adiuvandi vel
supplendi vel corrigendi iuris civilis gratia propter utilitatem publicam. quod et honorarium di
citur ad honorem praetorum sic nominatum. Per un inquadramento, M. Talamanca, Istituzioni
di diritto romano, cit., 236 ss.
52
Così D. 44.1.2 (Ulp. 74 ad ed.).
53
Cfr. D. 44.1.1. (Ulp. 4 ad ed.), nella lettura di S. Pugliatti, voce Eccezione (teoria gene
rale), in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 160.
54
Quale si evince dal già citato D.1.1.7.1 (Pap. 2 def.), riportato supra, alla nt. 50.
55
Tra i tanti luoghi, si vedano per esempio le pagine conclusive dei volumi intitolati a Il
ruolo della buona fede oggettiva, IV, cit., 581.
132 Tommaso dalla Massara
56
Cfr. M. Brutti, La problematica del dolo processuale, I, cit., 11 ss.
57
Cfr. R. Zimmermann, The Law of Obligations, cit., 670 ss.
58
Cfr. D. 4.3.7 pr. (Ulp. 11 ad ed.): et eleganter Pomponius haec verba ‘si alia actio non sit’
sic excipit, quasi res alio modo ei ad quem ea res pertinet salva esse non poterit. Nec videtur huic
sententiae adversari, quod Iulianus libro quarto scribit, si minor annis viginti quinque consilio
servi circumscriptus eum vendidit cum peculio emptorque eum manumisit, dandam in manu
missum de dolo actionem (hoc enim sic accipimus carere dolo emptorem, ut ex empto teneri non
possit) aut nullam esse venditionem, si in hoc ipso ut venderet circumscriptus est. Et quod minor
proponitur, non inducit in integrum restitutionem: nam adversus manumissum nulla in integrum
restitutio potest locum habere, su cui si veda T. dalla Massara, Tra regole di validità e regole
di correttezza: la sanzione processuale del dolo incidente, in ‘Actio in rem’ e ‘actio in personam’.
In ricordo di M. Talamanca, a cura di L. Garofalo, II, Padova, 2011, 611 ss. Si coglie dunque la
collocazione della figura del dolo incidente sul crinale della tradizionale distinzione (e dunque
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 133
non interferenza) tra giudizio di validità e giudizio di correttezza: su ciò si veda A. Trabucchi,
Il dolo nella teoria dei vizi del volere, Padova 1937, 105 ss.; V. Pietrobon, Errore, volontà e
affidamento nel negozio giuridico, Padova 1990, 104 ss.; diversa e più coraggiosa impostazione in
G. Visintini, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, in specie 112 ss.
59
Sui meccanismi di funzionamento dell’arbitratus de restituendo cfr., di recente, S. Viaro,
L’‘arbitratus de restituendo’ nelle formule del processo privato romano, Napoli, 2012, in specie
49 ss.
60
Per il tenore della clausola edittale dell’actio doli, il riferimento va a D. 4.3.1.1 (Ulp. 11
ad ed.): quae dolo malo facta esse dicentur, si de his rebus alia actio non erit et iusta causa esse
iudicium dabo.
61
Cfr. V. Colacino, voce Actio de dolo, in Noviss. dig. it., I, Torino, 1960, 259 s.; G.I.
Luzzatto, voce Dolo (dir. romano), cit., 712 s.; F. Casavola, voce Dolo (dir. romano), cit., 148;
B. Albanese, La sussidiarietà dell’‘actio de dolo’, in AUPA, XXVIII, 1961, 253 ss.; M. Brutti,
La problematica del dolo processuale, I, cit., 135 s.; A. Wacke, Sul concetto di ‘dolus’ nell’‘actio
de dolo’, in Iura, XXVIII, 1977, 10 ss.; R. Fercia, Appunti su funzione e struttura formulare
dell’‘actio de dolo’, in Studi economico-giuridici in memoria di F. Ledda, I, Torino, 2004, 421 ss.;
M.F. Cursi, L’eredità dell’‘actio de dolo’ e il problema del danno meramente patrimoniale, Napo-
li, 2008; P. Lambrini, Dolo generale e regole di correttezza, Padova, 2010; Ead., Studi sull’azione
di dolo, Napoli, 2013. Cfr. inoltre T. dalla Massara, Die Klage wegen Arglist, in Handbuch
des Römischen Privatrechts, herausgegeben von U. Babusiaux et alii, in corso di pubblicazione.
134 Tommaso dalla Massara
62
Gai. 3.182.
63
Spunti in questo senso in M.F. Cursi, L’eredità dell’‘actio de dolo’, cit., 21 s.
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 135
64
Per un quadro aggiornato sulla responsabilità civile in Germania, cfr. A. Diurni, Le novità
in tema di risarcimento del danno nello ‘Zweite Gesetz zur Änderung Schadenersatzrechtlicher
Vorschriften’, in Annuario di diritto tedesco 2004, a cura di S. Patti, Milano, 2006, 341 ss.; per uno
sguardo di comparazione a livello europeo, tra tipicità e atipicità dell’illecito, cfr .G. Visintini,
La tecnica della responsabilità civile nel quadro dei modelli di ‘civil law’, in Nuova giur. civ.
comm., II, 1995, 51 ss.; sullo sfondo rimane l’ampio affresco rappresentato da R. Zimmermann,
The Law of Obligations, cit., 953 ss., in specie 1031 ss., ove è descritto il percorso «towards the
modern, generalized law of delict».
136 Tommaso dalla Massara
65
In particolare nell’art. 2, comma 2, del codice svizzero e nell’art. 281 di quello greco.
66
Così, L. Pellizzi, voce Exceptio doli (dir. civile), cit., 1074 ss.; non dissimile, da questo
punto di vista, l’impostazione di G.B. Portale, Impugnative di bilancio ed ‘exceptio doli’, cit.,
415 ss.
67
Ricavo l’espressione da F. Wieaker, Zur rechtstheoretischen Präzisierung des § 242 BGB,
in Franz Wieacker. Kleine juristische Schriften, a cura di M. Dießelhorst, Göttingen, 1988, 43 ss.
68
Si veda, a ridosso dell’entrata in vigore del BGB, O. Wendt, Die ‘exceptio doli generalis’
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 137
im heutigen Recht oder Treu und Glauben im Recht der Schuldverhältnisse, in AcP, 100, 1906,
1. In argomento, K. Luig, Il ruolo della buona fede nella giurisprudenza della Corte dell’Impero
prima e dopo l’entrata in vigore del BGB dell’anno 1900, in Il ruolo della buona fede oggettiva,
II, cit., 417 ss.; F. Ranieri, ‘Dolo petit qui contra pactum petat’. ‘Bona fides’ und stillschweigende
Willenserklärung in der Judikatur des 19. Jahrhunderts, in Jus commune. Veröffentlichungen
des Max Planck-Instituts für Europäische Rechtsgeschichte Frankfurt am Main, IV, herausge-
geben von H. Coing, Frankfurt am Main, 1972, 158 ss.; Id., Norma scritta e prassi giudiziale
nell’evoluzione della dottrina tedesca del ‘Rechtsmissbrauch’, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972,
1216 ss.; H.P. Haferkamp, Die ‘exceptio doli generalis’ in der Rechtsprechung des Reichsgerichts
vor 1914, in Das Bürgerliche Gesetzbuch und seine Richter, Frankfurt am Main 2000, 1 ss.; F.
Procchi, L’‘exceptio doli generalis’ e il divieto di ‘venire contra factum proprium’, in L’eccezione
di dolo generale. Applicazioni giurisprudenziali e teoriche dottrinali, cit., 77 ss., con ampia bi-
bliografia alla nt. 4.
69
Decisiva la svolta segnata con P. Rescigno, L’abuso del diritto, cit., 205 ss.
70
Cfr. M. De Cristofaro, Infrazionabilità del credito tra buona fede processuale e limiti
oggettivi del giudicato, in Riv. dir. civ., 2008, II, 336.
71
Si veda supra, § 3.
138 Tommaso dalla Massara
72
Del tema della riconducibilità dell’eccezione di dolo al fondamento degli artt. 1175 e 1375
c.c. mi ero occupato in T. dalla Massara, Frazionabilità della domanda e principio di buona
fede, in Il ruolo della buona fede oggettiva, I, cit., 429 ss., in specie 432 ss. Peraltro, oggi appare
finanche anacronistico il problema di rinvenire un fondamento normativo soltanto nazionale: sul
punto, G. Alpa, Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario e i suoi riflessi
negli ordinamenti degli Stati Membri, in Contr. e impr., 2015, 245 ss.
73
Il profilo preso in esame da V. Mannino, Considerazioni sulla ‘strategia rimediale’: buona
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 139
ponibile una difesa basata sulla violazione dei principi di buona fede e
correttezza, nonché quali effetti processuali scaturiscano dall’accoglimento
in sentenza di una simile obiezione.
Si badi che proprio in questa prospettiva operativa credo possa espri-
mere la sua massima utilità la comparazione diacronica: ricordo che nel
corso di un’altra preziosa occasione convegnistica resa possibile da Gio-
vanna Visintini avevo avuto il privilegio di condividere con Paolo Grossi
alcune considerazioni sull’utilità degli studi storici in chiave di analisi dei
problemi; e Grossi anche in quel caso ci aveva ricordato che studiare la
storia del diritto significa mettere a raffronto regole giuridiche, immergersi
in una vicenda di idee che rappresenta una concatenazione ininterrotta74.
Al centro deve essere sempre un lavoro sulle regole, dunque.
Ciò mi è parso utile qui sottolineare per dire che anche nel caso dell’ec-
cezione di dolo generale il raffronto storico appare utile nella misura in
cui arriva a farci comprendere temi e problemi che altrimenti potrebbero
sfuggire entro i confini di un’analisi puramente sincronica.
Nella specie, un esame dei profili concreti che emergono a fronte
dell’eccezione sollevata da colui che subisca un comportamento contrario
a buona fede e correttezza (o, se si preferisce dire, abusivo) evidenzia tut-
ta la difficoltà di offrire risposte univoche; per concretizzare: l’obiezione
fondata sulla violazione di buona fede e correttezza integra davvero un’ec-
cezione o costituisce una mera difesa? Si tratta di un’eccezione in senso
proprio o improprio? E ancora: si tratterebbe di un’eccezione di quale
natura? Eccezione di merito oppure di rito?
L’esemplificazione che segue renderà tutto più chiaro.
9. Il caso della c.d. domanda frazionata quale laboratorio per l’iden-
tificazione dei caratteri dell’eccezione di dolo generale
Il già evocato caso della c.d. domanda frazionata è fin troppo noto per
essere qui riproposto in tutta la sua ampiezza: come si sa, i numerosi pro-
blemi interpretativi sottesi nascono dalla deliberata scelta del creditore di
fede ed ‘exceptio doli generalis’, in Europa dir. priv., 2006, 1283 ss.; inoltre Id., Eccezione di dolo
generale e contratti di stretto diritto, in L’eccezione di dolo generale, II, cit., 171 ss., il quale si
colloca nella prospettiva di A. Di Majo, Il linguaggio dei rimedi, in Europa dir. priv., 2005, 341
ss.; da ultimo si veda nell’insieme la raccolta di saggi pubblicata a cura di L. Garofalo, Tutele
rimediali in tema di rapporti obbligatori. Archetipi romani e modelli attuali, Torino, 2015.
74
Cfr. T. dalla Massara, Lo storico, in La scuola civilistica di Bologna. Un modello per
l’accesso alle professioni legali, a cura di G. Visintini, Napoli, 2013, 173 ss., derivante dalla me-
desima occasione convegnistica cui risale il testo di P. Grossi, Ruolo degli insegnamenti storici e
importanza del dialogo tra docenti afferenti a diverse discipline, in Contr. e impr., 2012, 321 ss.
140 Tommaso dalla Massara
agire per la tutela del proprio diritto non già con una sola azione e per
l’intero, bensì segmentando il credito in una molteplicità di procedimenti
– monitori oppure ordinari, senza che la sostanza muti –, normalmente
allo scopo di adire la competenza del giudice di pace in luogo di quella
del tribunale.
Proprio su questo caso intendo sperimentare il mio ragionamento in
tema di eccezione di dolo generale.
Orbene, il problema che giurisprudenza e dottrina si sono poste si tra-
duce nel dubbio se un siffatto aggravamento della posizione difensiva del
convenuto – aggravamento che peraltro si riverbera anche nei termini più
ampi di una diseconomia processuale – trovi ostacolo in uno strumento di
difesa da parte del convenuto-debitore75.
Molti e interconnessi sono i profili toccati: appaiono implicati aspetti
di diritto sostanziale come pure di diritto processuale, tutti in grado di
imporre una riflessione assai larga sui valori dell’ordinamento, tra diritto
d’agire ed esigenze di contenimento dei processi.
Orbene, assai celebre è la decisione a Sezioni Unite della Corte di Cas-
sazione del 15 novembre 2007, n. 2372676, la quale davvero occupa un
posto centrale nello sviluppo di una stagione nuova della nostra giurispru-
denza in tema di buona fede nel processo77.
Con quella decisione la Suprema Corte non solo optò – a sette anni di
75
Alle molte questioni collegate al frazionamento della domanda sono dedicati i lavori mo-
nografici, pur differentemente impostati, di A. Fondrieschi, La prestazione parziale, Milano,
2005, e di A. Finessi, Frazionamento volontario del credito e obbligazione plurisoggettiva, Mi-
lano, 2007.
76
Quella sentenza si può leggere in Riv. dir. civ., 2008, II, 335 ss., con commento di M. De
Cristofaro, Infrazionabilità del credito, cit., e di T. dalla Massara, La domanda frazionata
e il suo contrasto con i principi di buona fede e correttezza: il ‘ripensamento’ delle Sezioni Unite;
la si veda inoltre in Giur. it., 2008, 929 ss., con nota di A. Ronco, (Fr)azione: rilievi sulla di
visibilità della domanda in processi distinti; in Nuova giur. comm., 2008, I, 458 ss., con nota di
A. Finessi, La frazionabilità (in giudizio) del credito: il nuovo intervento delle Sezioni Unite, e
di F. Cossignani, Credito unitario, unica azione; in Foro it., 2008, I, 1514 ss., con nota di Al.
Palmieri – R. Pardolesi, Frazionamento del credito e buona fede inflessibile, e di R. Cappo-
ni, Divieto di frazionamento giudiziale del credito: applicazione del principio di proporzionalità
nella giustizia civile?; in Corr. giur., 2008, 745 ss., con commento di P. Rescigno, L’abuso del
diritto (una significativa rimeditazione delle Sezioni Unite); in Obbl. e contr., 2008, 10, 784 ss.,
con nota di A. Meloni Cabras, Domanda di adempimento frazionata e violazione dei canoni
di correttezza e buona fede, e di B. Veronese, Domanda frazionata: rigetto per contrarietà ai
principi di buona fede e correttezza.
77
Quella sentenza aprì poi la strada a ramificazioni giurisprudenziali secondarie, come quella
che estende il divieto di frazionamento della domanda nell’ambito dei crediti risarcitori (Cass.
22 dicembre 2011, n. 28286) e quella che ribadisce il medesimo principio in tema di esecuzione
(Cass. 9 aprile 2013, n. 8576).
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 141
78
Cfr. Cass., sez. un., 10 aprile 2000, n. 108, con cui si annullava Conc. Napoli, 15 mag-
gio 1995. Intorno a tale pronuncia era venuto alimentandosi un vivace dibattito: essa compare
pubblicata in Giust. civ., 2000, I, 2268 ss., con nota di R. Marengo, Parcellizzazione della do
manda e nullità dell’atto; in Corr. giur., 2000, 1618 ss., con nota di T. dalla Massara, Tra ‘res
iudicata’ e ‘bona fides’: le Sezioni Unite accolgono la frazionabilità nel ‘quantum’ della domanda
di condanna pecuniaria; in Studium iuris, 2000, 1273 ss., con nota di A. Finessi; in Nuova giur.
comm., 2001, I, 502 ss., con nota di V. Ansanelli, Rilievi minimi in tema di abuso del processo;
in Giur. it., 2001, 1143 ss., con nota di A. Carratta, Ammissibilità della domanda giudiziale
‘frazionata’ in più processi?, oltre a osservazioni di S. Minetola, nonché di A. Ronco. A una
ricostruzione dei problemi del frazionamento della domanda, prima della pronuncia a Sezioni
Unite del 2007, dedicavo anche T. dalla Massara, Eccezione di dolo generale, ‘exceptio litis
dividuae’ e domanda frazionata, in L’eccezione di dolo generale. Applicazioni giurisprudenziali
e teoriche dottrinali, cit., 251 ss.
79
Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726: «il frazionamento della domanda, consistente
nella proposizione di più domande giudiziali aventi fondamento nel medesimo credito unitario, è
contrario alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di
solidarietà di cui all’art. 2 Costituzione, risolvendosi in un abuso del processo (ostativo all’esame
della domanda)».
142 Tommaso dalla Massara
80
Interrogativo rispetto al quale S. Viaro, Abuso del diritto ed eccezione di dolo generale,
cit., 74, osserva: «basti pensare che essa [l’eccezione di dolo generale, n.d.r.] non è più configu-
rata come un’eccezione in senso proprio, rispetto alla quale il dolo costituisce un fatto ostativo
all’accoglimento della domanda formulata dall’attore, bensì come una mera difesa, rispetto alla
quale il dolo rileva quale violazione di un precetto giuridico, che il giudice può considerare da sé
sulla scorta degli elementi introdotti nella causa dalle parti (senza perciò che ne esca contraddetto
il principio secondo cui la decisione va emessa iuxta alligata et probata)». In argomento, però
senza presa di posizione sul punto, cfr. G. Impallomeni, La ‘denegatio actionis’ e l’‘exceptio’ in
diritto romano in relazione con l’eccezione rilevabile e non rilevabile d’ufficio in diritto moderno,
in Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 1996, 656 ss.
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 143
81
Sulla base del § 280 ZPO: in tal senso M. Pagenstecher, Efficacia del giudicato contro
il vincitore nel diritto processuale civile germanico, in Studi in onore di G. Chiovenda, Padova,
1927, 645, nt. 9; E. Allorio, Giudicato su domande parziali, in Giur. it., 1958, I, 1, c. 404, C.
Consolo, Oggetto del giudicato e principio dispositivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 244; si
tratta di possibilità indicata anche da Cass., sez. un., 10 aprile 2000, n. 108, cit.
82
Cfr. Cass. 11 giugno 2008, n. 15476, in Obbl. e contr., 2009, 813 ss., con nota di B. Vero-
nese, L’improponibilità della domanda frazionata, cit.
144 Tommaso dalla Massara
83
Per un inquadramento, S. Pugliatti, voce Eccezione, cit., in specie 173 ss.
84
D’altra parte, anche la pronuncia delle Sezioni Unite del 2007, parlando di «inammissibi-
lità», ricorreva a un’espressione «in sé anodina» (così M. De Cristofaro, Infrazionabilità del
credito, cit., 335), non in grado di per sé di chiarire tutti i dubbi in ordine alla natura e agli effetti
della declaratoria di rigetto.
85
Cfr. Cass. 11 giugno 2008, n. 15476, cit., 813 ss.
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 145
86
Questa la prospettiva di M.F. Ghirga, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo
allo studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Milano, 2004, specie 205 ss.; in critica, M. Marinelli,
La clausola generale dell’art. 100 c.p.c. Origini, metamorfosi e nuovi ruoli, Trento, 2005, 85 ss.
87
Cfr. Trib. Torino, 13 giugno 1983, in Resp. civ. e prev., 1983, 815, con nota di A. Gamba-
ro. In quella decisione, dal riconoscimento dell’abuso di diritto realizzato da chi rivendichi un
diritto in astratto spettante (ma in concreto non comportante «alcun vantaggio apprezzabile e
degno di tutela giuridica», bensì volto «al solo, esclusivo fine di cagionare un tale danno all’altro
soggetto»), si traeva argomento per l’accoglimento di un’exceptio doli generalis; osserva peraltro
A. Gambaro che «il ricorso alla teoria dell’abuso appare appropriato perché solo invocandola
si può trascorrere dal giudizio sulla mancanza di interesse al giudizio sulla non meritevolezza
dell’interesse».
146 Tommaso dalla Massara
decisione della causa nel merito, allora la sentenza che a ciò desse rilievo
risulterebbe essere di rito, non già di merito.
Pertanto, pronunciata sull’abusività una sentenza in rito, non scattereb-
bero le preclusioni collegate al formarsi del giudicato materiale.
Se questa fosse la prospettiva, andrebbe allora ridefinito l’intero scena-
rio di riferimento dogmatico: l’abuso corrisponderebbe infatti a una man-
canza di meritevolezza dell’interesse ex art. 100 c.p.c., che a questo punto
dovrebbe ritenersi rilevabile ope iudicis.
Le conseguenze, assai più temperate per effetto del formarsi del giudica-
to formale, andrebbero a bilanciarsi con una maggiore incisività dei poteri
del giudice: sarebbe infatti da rimettere a quest’ultimo la valutazione in or-
dine alla meritevolezza o meno della domanda, assumendo così l’eccezione
di dolo la foggia di un’eccezione in senso lato.
Con riguardo al caso qui preso a paradigma dell’abusività della do-
manda, risulterebbe rimessa all’autonoma valutazione del giudice la scelta
attorea nel senso del frazionamento, come pure – più ampiamente – ogni
ponderazione sulla bontà dei modi e dei tempi dell’agire, onde scrutinarne
l’eventuale abusività.
Ricostruita la vicenda in termini di meritevolezza dell’interesse ad agire,
l’intervento del giudice presenterebbe dunque forti potenzialità correttive;
esso muoverebbe da un giudizio chiamato a investire i limiti di disponibi-
lità della domanda, nonché in particolare le ragioni che sono alla base di
un modo o di un altro di proporre quella domanda.
Molti degli aspetti essenziali di ricostruzione concettuale e sistematica
del rimedio rappresentato dall’eccezione di dolo sono stati fin qui – seppur
rapidamente – richiamati.
Eppure lo scenario dei percorsi argomentativi collegati al dolo generale
non appare ancora esaurito.
Come già ho avuto occasione di dire in altre sedi88, esiste a mio giudizio
una strada ancora differente e preferibile per attribuire rilievo all’abusività
della domanda.
Per restare al caso preso in esame quale laboratorio per l’identificazione
dei caratteri dell’eccezione di dolo generale, si pensi ancora alla scorrettez-
za commessa dall’attore-creditore, il quale decida di segmentare la propria
domanda in danno del convenuto-debitore: ebbene, esiste una via che evita
di incorrere negli eccessi di una sentenza di merito, idonea al giudicato
materiale, ma anche di cadere nelle difficoltà di dover immaginare un si-
88
Si veda per esempio T. dalla Massara, La domanda frazionata e il suo contrasto con i
principi di buona fede e correttezza, cit., 345 ss.
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 147
89
Cfr. F. Cordopatri, L’abuso del processo, I, Presupposti storici, e II, Diritto positivo, Pa-
dova, 2000; Id., L’abuso del processo e la condanna alle spese, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005,
249 ss.; G. Nicotina, L’abuso del processo civile, Roma, 2005; M.F. Ghirga, La meritevolezza
della tutela richiesta, cit., in specie 196 ss.; V. Ansanelli, voce Abuso del processo, in Digesto
disc. priv. – sez. civ., Aggiornamento, I, Torino, 2007, 1 ss.; L.P. Comoglio, Abuso del processo e
garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008, 320 ss.; M. De Cristofaro, Doveri di buona fede
ed abuso degli strumenti processuali, in Il giusto processo, 2009, 993 ss.; G. Tropea, L’abuso del
processo amministrativo. Studio critico, Napoli, 2015, sull’abuso del processo civile, in particolare,
221 ss.; utili i chiarimenti provenienti da G. Verde, L’abuso del diritto e l’abuso del processo (dopo
la lettura del recente libro di Tropea), in Riv. dir. proc., 2015, 1085 ss.
90
T. dalla Massara, Terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ.: quando, quanto e perché?, in
Nuova giur. civ. comm., 2011, II, 55 ss.
91
Sul rapporto tra gli artt. 88 e 92 c.p.c., da un lato, e l’art. 96 c.p.c., dall’altro, G. Guarnieri,
Regolamento di giurisdizione: lite temeraria e dovere di lealtà e probità del difensore, in Riv.
dir. proc., 1988, 201 ss. Sul dovere di lealtà e probità processuale, G. Scarselli, Lealtà e probità
nel compimento degli atti processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 139 ss.; M.A. Mazzola,
Responsabilità processuale e danno da lite temeraria, Milano, 2010.
148 Tommaso dalla Massara
92
È questa una via già percorsa con lungimiranza da una – orami lontana nel tempo – pro-
nuncia della Pretura di Sondrio (18 giugno 1988, in Banca, borsa tit. cred., 1989, II, 525, con nota
di F. Venosta, Note sull’‘exceptio doli generalis’) nella quale era sanzionata la contrarietà a buona
fede del comportamento del creditore che, pur vantando un credito da ritenersi immediatamente
esigibile, non aveva tenuto conto della «considerazione – ragionevole – che al debitore deve,
comunque, concedersi, se non altro, il tempo materiale per adempiere»: senza soffermarsi sulle
particolarità del caso di specie, si segnala la decisione di dar corso al decreto ingiuntivo per la
somma dovuta, ma con la condanna alle spese del creditore «tenuto conto dell’azionamento del
diritto fuori dai canoni della correttezza».
Dal dolo generale alle moderne teorie sull’abuso del diritto 149
93
Cfr. Economia processuale e comportamento delle parti nel processo civile. Prime applica
zioni del Protocollo Valore Prassi sugli artt. 91, 96 e 614-bis c.p.c., a cura di T. dalla Massara e
M. Vaccari, Napoli, 2012.
94
T. dalla Massara, Per un inquadramento sistematico della condanna prevista dal terzo
comma dell’art. 96 c.p.c., in Economia processuale e comportamento delle parti nel processo civile,
cit., 115 ss.
150 Tommaso dalla Massara
Non v’è dubbio tuttavia che l’idea di dolo generale pulsi ancora dentro
le forme del dibattito moderno sull’abuso del diritto.
Nella polarizzazione tra antico e moderno del diritto privato europeo,
al di sotto del retaggio più immediato dell’abus de droit, persiste il modello
di riferimento dei prudentes, ampio e pregnante. Soprattutto, la sua analisi
ci consente di mettere in rilievo molte linee altrimenti illeggibili, le quali
compongono una geografia di idee assai preziose per riempire di significato
e di precisa valenza le singole figure nelle quali si estrinseca oggi l’abuso
del diritto.
Giunti alla conclusione, credo si possa ribadire l’idea espressa in aper-
tura: sarebbe senza dubbio semplificante, se non addirittura falsante, una
ricostruzione del rapporto tra l’abuso del diritto e il dolo generale in ter-
mini di genealogia diretta. Tuttavia, potrebbe per questa ragione parlarsi
– per parafrasare il titolo di un’opera piuttosto provocatoria – dell’abus de
droit come di una notion sans histoire95? La risposta mi pare debba essere
di segno negativo.
L’abuso del diritto non difetta della sua storia, rispetto alla quale certa-
mente non è estraneo il diritto romano. Però il significato più autentico di
una comparazione tra modelli giuridici si rinviene a livello di acquisizione
di conoscenza, non invece in termini di dirette derivazioni.
Senza una comprensione esatta dei contorni di operatività del dolo ge-
nerale, v’è il rischio che quello di divieto dell’abuso del diritto finisca per
apparire un principio bon à tout faire, con l’aggravante che, in tal caso, si
creerebbe addirittura il rischio di un intralcio concettuale rispetto all’ope-
ratività tecnica di tante e assai utili soluzioni; e così – come si diceva all’ini-
zio – il richiamo all’abuso del diritto finirebbe per apparire soltanto come
un vuoto esercizio di retorica.
95
P. Ancel – C. Didry, L’abus de droit: une notion sans histoire? L’apparition de la notion
d’abus de droit en droit français au début du XXe siècle, in L’abus de droit. Comparaisons
franco-suisses. Études réunies par P. Ancel, G. Aubert, C. Chappuis, Saint-Étienne, 2001, 51 ss.
Vito Velluzzi
L’abuso del diritto dalla prospettiva
della filosofia giuridica
1. Introduzione
La prospettiva filosofico giuridica adottata in questo scritto è quella
della teoria analitica del diritto1. Si tratta di una prospettiva che non dif-
ferisce da quella dei «giuristi positivi»: il filosofo del diritto è, infatti, un
giurista tra i giuristi2. Egli propone agli altri giuristi, attraverso l’analisi dei
problemi che la prassi e la dottrina pongono, riflessioni sugli strumenti di
lavoro utilizzati o differenti (e più opportune) chiavi di lettura rispetto a
quelle impiegate. Il filosofo del diritto analitico (o analista che dir si vo-
glia) rileva, per esempio, l’assenza di chiarezza concettuale nella discussio-
ne dottrinale e giurisprudenziale, dovuta, sovente, all’assunzione di diverse
definizioni implicite riguardo a ciò di cui si discute; studia in senso critico
le definizioni (esplicite o implicite) impiegate, formulando eventuali defini-
zioni esplicative; indaga (e svela) i valori presupposti nelle argomentazioni
sviluppate dagli studiosi e dai giudici. Si può dire, pur per mezzo di una
sintesi eccessiva, che il compito principale della filosofia del diritto è, per
la prospettiva che qui si assume, quello di fornire mezzi adeguati per met-
1
Per il vero si tratta di una delle prospettive analitiche, o per essere precisi di una prospettiva
parziale dei mezzi e dei fini della filosofia analitica del diritto, sul tema v. M. Jori e A. Pinto-
re, Introduzione alla filosofia del diritto, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 1-17. Sottolineo, inci-
dentalmente, che l’approccio analitico alle questioni giuridiche è stato considerato un elemento
necessario, per quanto non sufficiente, «dell’educazione del giurista (un esercizio indispensabile
di igiene mentale)» anche da L. Mengoni, La filosofia del diritto nell’ottica del giurista positivo,
in B. Montanari (a cura di), La filosofia del diritto: identità scientifica e didattica, oggi, Milano,
Giuffrè, 1994, p. 75.
2
Quanto detto nel testo evoca la filosofia del diritto dei giuristi, ossia quella filosofia del
diritto che «muove piuttosto dai problemi concettuali che nascono all’interno dell’esperienza
giuridica (…) essa è un esercizio filosofico utile ai giuristi stessi (…) il suo scopo fondamentale
è la critica (e forse il progresso) della scienza giuridica» (la citazione è tratta da R. Guastini,
Teoria del diritto. Approccio metodologico, Modena, Mucchi, 2012, pp. 16-17). Sul filosofo del
diritto come giurista tra i giuristi v. L. Gianformaggio, Il filosofo del diritto e il diritto positivo,
in Ead, Filosofia del diritto e ragionamento giuridico, E. Diciotti-V. Velluzzi (a cura di), Torino,
Giappichelli, 2008, pp. 25-40.
152 Vito Velluzzi
tersi in cerca delle soluzioni, piuttosto che prescrivere soluzioni. Per dirla
con le autorevoli parole di Uberto Scarpelli: «Analitico è in generale colui
che preferisce ad un lampo nella notte (una meraviglia ma dopo non si sa
bene cosa si sia visto) una modesta lanterna (con cui si illumina la strada
da percorrere)»3.
2. I caratteri dell’abuso del diritto
Fatta questa rapida premessa metodologica si può ora trattare dell’abuso
del diritto. Al riguardo è ben noto che dopo anni di letargo e sparute ap-
parizioni giurisprudenziali, l’abuso del diritto è tornato, soprattutto negli
ultimi due lustri, al centro del dibattito di molteplici ambiti disciplinari.
L’attenzione per l’abuso del diritto si è ridestata pure nella filosofia del
diritto, nazionale e straniera, almeno a partire dall’inizio del nuovo millen-
nio4. Innanzi a questa «rinascita», o a questo momento di grande vitalità
giurisprudenziale dell’abuso del diritto, chi fa il mio mestiere deve, innanzi
tutto, chiedersi: quali sono i nodi filosofici (con evidenti ricadute pratiche)
che legano l’abuso del diritto?
Per abbozzare una risposta a questo interrogativo, prenderò le mosse
dai caratteri ripetutamente attribuiti all’abuso del diritto dalla giurispru-
denza, seppure, in alcuni casi, essi presentino differenze apparentemen-
te piccole, per il vero importanti5. Attraverso l’analisi critica dei caratteri
3
U. Scarpelli, L’etica senza verità, Bologna, il Mulino, 1982, p. 75.
4
V. almeno M. Atienza-J. Manero, Illeciti atipici. L’abuso del diritto, la frode alla legge, lo
sviamento di potere, trad. it Bologna, il Mulino, 2004 e su questo volume si vedano le penetranti
critiche sviluppate da B. Celano, Principi, regole, autorità. Considerazioni su M. Atienza, J. Ruiz
Manero, Illeciti atipici, in Europa e diritto privato, 3, 2006, pp. 1061-1086; G. Pino, L’esercizio
del diritto e i suoi limiti. Note a margine della dottrina dell’abuso del diritto, in Ragion pratica,
24, 2005, pp. 161-180; P. Comanducci, Abuso del diritto e interpretazione giuridica, in V. Vel-
luzzi (a cura di), L’abuso del diritto. Teoria, storia e ambiti disciplinari, Pisa, Ets, 2012, pp. 19-30;
copiosi riferimenti anche alla letteratura filosofica giuridica si trovano in G. Tropea, L’abuso
del processo amministrativo. Studio critico, Napoli, Esi, 2015, cap. II; in F. Piraino, Il divieto di
abuso del diritto, in Europa e diritto privato, 1, 2013, p. 75 ss.; in C. Restivo, Contributo ad una
teoria dell’abuso del diritto, Milano, Giuffrè, 2007; per approfondite riflessioni teoriche, storiche
e comparatistiche v. R. Sacco, L’esercizio e l’abuso del diritto, in G. Alpa, M. Graziadei, A.
Guarnieri, U. Mattei, P.G. Monateri, R. Sacco, Il diritto soggettivo, Torino, Utet, 2001 p. 281 ss.
5
Ci si riferisce, ovviamente, a Cass. civ., n. 20106 del 18.9.2009, per la quale «Si ha abuso
del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti
con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno
sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire
risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti»; nella
sentenza si trova scritto, inoltre, che l’abuso del diritto «è ravvisabile, in sostanza, quando, nel col-
legamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata
la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede». La sentenza è stata commentata
da parecchi e importanti studiosi, spesso in senso fortemente critico (v. tra i molti A. Gambaro-
L’abuso del diritto dalla prospettiva della filosofia giuridica 153
M. Cenini, Abuso di diritto, risarcimento del danno e contratto: quando la chiarezza va in vacan
za, in Corriere giuridico, 2011, p. 109 ss.; per considerazioni più allineate con la Cassazione v. F.
Galgano, Qui suo iure abutitur neminem laedit?, in Contratto e impresa, 2, 2011, pp. 311-319).
Decisioni più recenti in campo civilistico sono Cass. civ., n. 17642 del 2012 (per cui l’abuso del
diritto è correlato alla sola responsabilità contrattuale e riconducibile, al pari di quanto affermato
dalla Suprema corte nel 2009, alla violazione della buona fede oggettiva); Cass. civ., Sez. lav., n.
10568 del 7.5.2013, per la quale «non è ravvisabile abuso del diritto nel solo fatto che, perseguendo
un risultato in sé consentito attraverso strumenti giuridici adeguati e legittimi, una parte non tuteli
gli interessi dell’altra in sede di esecuzione del contratto, essendo necessario, invece, che il diritto
soggettivo sia esercitato con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e
buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrifico della controparte contrat-
tuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri
o facoltà furono attribuiti». Al di fuori dell’ambito civilistico segnalo Cons. Stato, n. 2857 del
17.5.2012, che richiama espressamente la sentenza 20106 del 2009; Cons. Stato n. 693 del 2.2.2014,
per la quale gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto sono «la titolarità di un diritto soggettivo
in capo ad un soggetto; la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato
secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; la circostanza che tale eserci-
zio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto
secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione giuridico o extragiuridico; la
circostanza che, a causa di tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra
il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte; di conseguenza l’abu-
so del diritto, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, comporta l’utilizzazione
alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al perseguimento di obiettivi ulteriori e diversi
rispetto a quelli indicati dal legislatore». È ricchissima la giurisprudenza tributaria (in proposito
rinvio a molteplici e autorevoli interventi di questo convegno e infra nota 9).
6
Col riferimento ai buoni argomenti non intendo richiamare una specifica teoria dell’argo-
mentazione giuridica, bensì intendo, più modestamente, segnalare che non basta menzionare un
argomento per farne un’adeguata giustificazione.
7
Mario Libertini ha messo ottimamente a fuoco nel suo intervento questa distinzione, pur
non denominandola abuso nel e abuso del diritto.
154 Vito Velluzzi
8
Si vedano le decisioni riportate alla nota 5 e anche V. Giorgianni, L’abuso del diritto
nella teoria della norma giuridica, Milano, Giuffrè, 1963, p. 128: «Che un comportamento sia
giuridicamente valutato al tempo stesso come permesso e come difforme da uno specifico obbligo
normativo è contraddittorio. Tuttavia, se v’è incompatibilità logica a pensare che si abbia diritto
a comportarsi in un dato modo, e che si sia, al tempo stesso, normativamente obbligati a non
comportarsi in quel modo, non v’è certo incompatibilità logica a pensare che un comportamento
sia qualificato come «possibile» o «autorizzato» e che abbia al tempo stesso un «limite inerente
alla qualificazione normativa in termini di possibilità o autorizzazione»»; noto che il tentativo
di Giorgianni non è riuscito: l’autore prova a salvare la figura dell’abuso del diritto, ma conduce
(inconsapevolmente) a considerare l’abuso superfluo, poiché conclude con l’alternativa tra com-
portamento qualificato come permesso entro certi limiti e comportamento che permesso non è.
Scrive correttamente A. Gentili, L’abuso del diritto come argomento, in V. Velluzzi (a cura di),
L’abuso del diritto, cit., p. 149 «L’abuso infatti non è altro che un uso. E nessuno potrebbe dire
a priori che uso: qualsiasi uso nelle circostanze appropriate può esser detto abuso. È chiamato
abuso, e non uso, in quanto ritenuto illegittimo. Illegittimo però tutto considerato. Perché a pri
ma vista non è che un uso formalmente legittimo, ché se non lo fosse non lo chiameremmo abuso
ma illecito. E invece diciamo «abuso» perché implichiamo che formalmente, secondo lo stretto
diritto, sarebbe legittimo, ma sostanzialmente, secondo il vero diritto, sia invece illegittimo».
9
Quest’ultimo aspetto è particolarmente presente nelle decisioni in campo tributario v. tra
le tante Corte di Giustizia CE, 21.2.2006, C-255/02; Cass. civ., Sez. Un., n. 30055, 30056 e 30057
del 23.12.2008. Sull’abuso del diritto nell’ambito dell’unione europea si vedano le considerazioni
di G. Alpa, Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi riflessi negli
ordinamenti degli Stati Membri, in Contratto e impresa, 2, 2015, pp. 245-261.
L’abuso del diritto dalla prospettiva della filosofia giuridica 155
10
Cito dal mio L’abuso del diritto in poche parole, in V. Velluzzi, Tra teoria e dogmatica.
Sei studi introno all’interpretazione, Ets, Pisa, 2012, p. 98.
11
I modi di individuazione dei principi inespressi sono molteplici, si va dalle congetture
sulla ratio, alle astrazioni generalizzatrici, alle induzioni, alle quasi induzioni, alle abduzioni e
ad altro ancora v. G. Tuzet, L’abduzione dei principi, in Ragion pratica, 33, 2009, pp. 517-539.
12
Trib. Reggio Emilia, n. 964 del 16. 6. 2015. Non va trascurato il fatto che tale base norma-
tiva potrebbe addirittura essere ampliata, visto che di abuso del diritto taluni trattano anche in
relazione alla responsabilità extracontrattuale e che se ne parla in molti ambiti del diritto com-
merciale: anche per questi aspetti rinvio alle dotte relazioni del convegno. Mi preme segnalare
che per l’ambito tributario la giurisprudenza degli ultimi anni ha fondato il divieto di abuso del
diritto sull’art. 53 Cost.
156 Vito Velluzzi
diritti reali, alle obbligazioni, ai contratti, alla concorrenza sleale, alla fa-
miglia. Da una base normativa tanto eterogenea sul piano delle fattispecie
regolate e delle conseguenze previste, si può soltanto estrarre, ragione-
volmente, un principio ad alta rarefazione: «è vietato abusare del diritto».
Tuttavia, quanto detto sin qui fa emergere i problemi, non costituisce la
soluzione ai problemi, non fosse altro perché di un principio siffatto biso-
gna specificare i contenuti13.
Va detto, poi, che se volessimo considerare l’abuso non una norma e
tanto meno una norma che assume la caratterizzazione di principio genera-
le, bensì un criterio grazie al quale determinare il significato di disposizioni
o di principi espressi che contengono termini valutativi, l’abuso finirebbe
con l’innescare una sorta di spirale tautologica14. V’è chi sostiene, infatti,
che il divieto di abuso del diritto non sarebbe autonomo rispetto alla buona
fede oggettiva, bensì espressione del principio di buona fede oggettiva: il
divieto di abuso è un’attuazione della buona fede oggettiva. Tuttavia, in
tal guisa si rischia di innescare la spirale tautologica appena paventata, nel
senso che la determinazione del significato di un sintagma indeterminato
(buona fede) viene affidata a una formula che sconta il medesimo grado di
indeterminatezza (abuso del diritto)15.
13
Senza contare, poi, che non necessariamente indicare parecchie disposizioni basta per giun-
gere ad esprimere un principio inespresso, bisogna che il materiale normativo riguardi fattispecie
e conseguenze giuridiche omogenee. Sui principi del diritto e sull’ampio dibattito filosofico in-
torno a essi v. G. Pino, Teoria analitica del diritto I. La norma giuridica, Pisa, Ets, 2016, cap. IV.
Torna utile qui quanto scritto da L. Mengoni, I principi generali del diritto e la scienza giuridica,
in Id., Scritti I. Metodo e teoria giuridica, C. Castronovo, A. Albanese, A. Nicolussi (a cura di),
Milano, Giuffrè, 2011, p. 239 ss., specie pp. 244-245, dove l’autore definisce i principi del diritto
dialettici o problematici, come i principi che «forniscono premesse verosimili, punti di partenza
accettabili di argomentazioni di tipo dialettico, che concludono con un giudizio di preferenza
tra più ipotesi possibili di soluzione di un caso concreto (…) Allo stato rimangono al livello di
rationes legis, criteri informatori comuni a una serie più o meno numerosa di norme (…) Al di
là di tale limite hanno una funzione euristica, possono servire come linee guida dell’argomenta-
zione»; il modo in cui normalmente si ragiona per individuare il principio inespresso del divieto
di abusare del diritto, avvicina molto questo principio ai principi dialettici o problematici trac-
ciati da Mengoni. Tanto è vero, come vedremo tra poco, che il principio, una volta esplicitato,
viene usato per orientare l’interpretazione delle disposizioni normative che attribuiscono diritti
soggettivi (o, più in generale, posizioni giuridiche soggettive attive).
14
Preferisco qui parlare di termini valutativi, non chiamando in causa le clausole generali,
proprio al fine di non impegnarmi nella discussione riguardante i rapporti tra termini valutativi,
clausole generali e principi del diritto. Ho affrontato le questioni ora segnalate in V. Velluzzi,
Le clausole generali. Semantica e politica del diritto, Milano, Giuffrè, 2010. Sui caratteri propri dei
termini valutativi, in sintesi U. Scarpelli, Filosofia analitica, norme e valori, Milano, Comunità,
1962, p. 41: «nei termini di valore c’è qualcosa di diverso o di più dei riferimenti a caratteri em-
pirici delle cose, c’è l’espressione di un apprezzamento, di una scelta, di una presa di posizione».
15
Sottolinea giustamente questo aspetto esprimendosi in termini di circolo vizioso C. Ca-
L’abuso del diritto dalla prospettiva della filosofia giuridica 157
stronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, Giuffrè, 2015, specie p. 110, nota 45. Rilevo che in
quella sede mi viene attribuita da Castronovo la tesi da lui criticata, indicando quale fonte V. Vel-
luzzi, Le clausole generali, cit.; ritengo che l’illustre autore non abbia ben compreso quanto da
me scritto: in quella sede (specie alle pp. 66-67) dopo aver ribadito una tesi (criticabile e criticata)
del saggio, ossia che talune clausole generali, come la buona fede oggettiva, sul piano semantico,
in astratto, rinviano indifferentemente a criteri interni ed esterni al sistema giuridico, mi limitavo
a ricordare alla nota 26 che ciò accade anche per l’abuso del diritto e che taluni sovrappongono
le due figure. Non ho sostenuto che la buona fede oggettiva fonda l’abuso o che quest’ultimo è
espressione della buona fede. Sul punto l’opinione di Castronovo e la mia, dunque, non conflig-
gono. Ovviamente, la responsabilità della cattiva comprensione da parte dell’autorevole studioso
dipende da chi ha scritto (cioè da me), non certo da chi ha letto.
16
Rileva non solo che vi sia un divieto, rileva pure capire che cosa sia vietato, come e perché.
17
La riduzione teleologica «si articola in questo modo: all’interno della classe di casi regolata
da una disposizione normativa si distinguono due o più sottoclassi, associando soltanto a una o
ad alcune la conseguenza giuridica prevista […] e tale riduzione avviene sulla base della ratio»
(V. Velluzzi, Le preleggi e l’interpretazione. Un’introduzione critica, Pisa, Ets, 2013, p. 45); la
fattispecie viene condotta, quindi, nel campo di una diversa norma; che la riduzione teleologica
crei lacune «effimere» destinate a essere subito colmate dall’interprete è stato sostenuto da E. Di-
ciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, Giappichelli, 1999, p. 454; scrive
A. Gentili, L’abuso del diritto come argomento, cit., p. 175 ss., specie p. 177: «Quando afferma
l’abuso […] l’interprete […] Non solo sottrae il caso alla lettera della disposizione permissiva che
lo prevede […] ma lo fa rientrare sotto la ratio di un’altra norma, repressiva […] scelta da lui»;
appellarsi all’abuso del diritto vuol dire far ricorso a un argomento basato, sovente, su un prin-
cipio: grazie a questo argomento viene sostenuta la riduzione teleologica. Critica questa tesi C.
158 Vito Velluzzi
Castronovo, Eclissi del diritto civile, cit., ritenendo che l’abuso è la conclusione del ragionamen-
to e non ciò che lo sostiene, ma replica correttamente C. Amato, Considerazioni sulla dottrina
dell’abuso del diritto, inedito gentilmente concesso dall’autore, p. 16, nota 87, che: «Nella tesi
di Gentili, infatti, l’abuso del diritto, lungi dall’essere conclusione dell’itinerario argomentativo
dell’interprete, ne è uno dei passaggi (sebbene quello maggiormente rilevante). Conclusione è la
disapplicazione della disposizione permissiva e la sua sostituzione con quella repressiva».
18
Sul dibattito teorico giuridico intorno al diritto soggettivo e alle situazioni giuridiche di
vantaggio v. F. Poggi, Concetti teorici fondamentali. Lezioni di teoria generale del diritto, Pisa,
Ets, 2013, cap. I. Il modo in cui i fautori del divieto dell’abuso del diritto abitualmente argo-
mentano sembra presupporre la teoria dell’interesse (interest theory) a fondamento del diritto
soggettivo. Per tale teoria l’attribuzione del diritto soggettivo è giustificata dal soddisfacimento di
un interesse, ne segue che l’abuso del diritto, come abitualmente configurato, si mostra in veste di
importante strumento capace di far emergere un conflitto tra ragioni dell’attribuzione (interesse
da soddisfare) e modalità di esercizio del diritto. Così concepita, la teoria dell’interesse pare, in
effetti, una base adeguata per l’elaborazione dell’abuso del diritto soggettivo (e del relativo di-
vieto). È opportuno ribadire che quando si parla di abuso del diritto non ci si riferisce, di solito,
soltanto ai diritti soggettivi, bensì a qualsiasi posizione giuridica di vantaggio.
19
Trattare di finalità diverse o di finalità ulteriori, esclusive, essenziali, assorbenti, predo-
minanti o concorrenti, lo si è detto, non è secondario e può variare sensibilmente le condizioni
di accertamento dell’abuso; ho già messo in luce questo aspetto con riguardo a una decisione
giudiziale in tema di abuso del processo penale (Cass. pen., Sez. Un., n. 155 del 10.1.2012) che ha
individuato l’abuso laddove la condotta sia contraria, anzi manifestamente contraria, alle ragioni
dell’attribuzione nel mio Due (brevi) note sul giudice penale e l’interpretazione, in Criminalia
2012. Annuario di scienze penalistiche, 2013, pp. 312-313, in quella sede ho posto in rilievo «un
primo problema: come può l’esercizio di un diritto soggettivo conforme ai significati attribuibili
alla disposizione normativa che lo conferisce essere manifestamente contrario alla finalità per
la quale il diritto è riconosciuto? L’interrogativo non è di poco conto, poiché se è più o meno
agevole sostenere che talune modalità di esercizio del diritto soggettivo, pur essendo in linea con
lo spettro semantico della disposizione normativa, non raggiungono, non realizzano al meglio la
finalità per la quale è stato attribuito o ne realizzano pure altre assieme a quella, pare più arduo
comprendere in quale guisa, stante una certa disposizione normativa, uno o più dei significati
per essa determinabili e alcune delle azioni a questi significati riconducibili, siano manifestamente
contrari al risultato cui mira il diritto soggettivo che la stessa disposizione normativa attribuisce.
Inoltre le categorie della legittimità in astratto e dell’abuso in concreto sono fuorvianti: se l’azione
realizzata è legittima in astratto vuol dire che essa è una istanza della classe regolata dalla norma
attributiva del diritto soggettivo, per cui in quanto tale o è legittima pure in concreto, oppure
ad essere illegittima è l’intera classe di comportamenti prevista e non solo la singola azione o la
serie di azioni di esercizio del diritto soggettivo».
L’abuso del diritto dalla prospettiva della filosofia giuridica 159
20
Il lessico è di F. Schauer, Le regole del gioco, trad. it Bologna, il Mulino, 2000. Ricordo,
inoltre, che l’interpretazione teleologica è anch’essa un esercizio di elevata discrezionalità v. per
tutti D. Canale-G. Tuzet, What is the Reason for this Rule? An Inferential Account of the
Ratio Legis, in Argumentation, 2, 2010, p. 97-110. Sottolineo pure che, di solito, in dottrina
e in giurisprudenza quando si parla di formulazione letterale, o di interpretazione letterale in
connessione con l’abuso del diritto, si fa riferimento a un perimetro semantico della disposizione
normativa tracciabile prima facie.
21
Rileva M. Orlandi, Abuso e teoria della fonte, in V. Velluzzi (a cura di), L’abuso del
diritto, cit., p. 106: «Questa logica appare prima facie semplice e chiara, e suscita una spontanea
adesione nello spirito equitativo e di buon senso che essa suggerisce. Il giurista non tarderà
tuttavia ad avvertirne l’insufficienza».
22
A. Gentili, L’abuso del diritto come argomento, cit., p. 176.
160 Vito Velluzzi
losofia del diritto i nemici del divieto di abuso del diritto sono, alla fine,
proprio molti di coloro che ne fanno uso per il modo in cui ne fanno uso:
a costoro andrebbe ricordato che argomentare non è solo menzionare, che
gli ampliamenti dei divieti sono, al medesimo tempo, riduzioni di sfere di
libertà.
La seconda osservazione, strettamente connessa alla prima, concerne
la natura valutativa del termine «abuso»23. Se, come si è detto, «abuso»
è un termine valutativo, l’oscillazione definitoria comporta una sensibile
variazione delle condizioni di applicazione dell’abuso tra i vari settori e
talvolta all’interno del medesimo settore. Infatti, se è abusivo l’esercizio del
diritto che non «soddisfa» le ragioni dell’attribuzione del diritto soggettivo
stesso, bisogna rammentare, allora, che si può controvertere, e di solito si
controverte, su quali siano le condizioni in grado di soddisfare le ragioni
dell’attribuzione stessa24. Da questo segue un conflitto con la certezza del
diritto intesa come prevedibilità dell’intervento degli organi decisionali25.
Ciò può accadere sincronicamente, mancando le condizioni per prevedere
le decisioni, e diacronicamente, poiché non può maturare la certezza a
causa della mancata stabilizzazione dei precedenti in ordine alle condizioni
di applicazione dell’abuso.
Il principio generale del divieto di abuso del diritto risulta, in tal guisa,
modellato e rimodellato continuamente dai giudici attraverso aggiustamenti
delle condizioni di applicazione del principio medesimo26. Il (presunto)
principio generale si inserisce e opera, inoltre, in ambiti disciplinari speci-
fici e ciò determina la necessità di adattare il modus operandi del divieto
di abusare del diritto soggettivo. Detto con maggiore chiarezza: il divieto
di abusare del diritto soggettivo comporta una riduzione teleologica della
disposizione normativa attributiva del diritto stesso; le modalità attraverso
le quali opera la riduzione teleologica variano, o possono variare, da con-
testo a contesto, e talvolta pure all’interno del medesimo contesto in tempi
diversi. Si potrebbe sostenere che questo è ciò che fisiologicamente avviene
quando ci si misura con principi e termini valutativi (ancor più con prin-
23
Si veda retro nota 14.
24
Si veda ancora G. Pino, L’esercizio del diritto e i suoi limiti. Note a margine della dottrina
dell’abuso del diritto, cit.
25
Su questa nozione di certezza del diritto v. L. Gianformaggio, Certezza del diritto, in
Ead., Filosofia del diritto e ragionamento giuridico, cit., p. 82 ss.; sulle vicende della certezza del
diritto nella cultura civilistica italiana v. N. Lipari, I civilisti e la certezza del diritto, in Rivista
trimestrale di diritto e procedura civile, 4, 2015, p. 1115 ss.
26
In proposito si rammenti la diffidenza che G. Tarello, L’interpretazione della legge,
Milano, Giuffrè, 1980, p. 385, nutriva verso il ricorso all’argomento dei principi generali.
L’abuso del diritto dalla prospettiva della filosofia giuridica 161
27
D’altronde, che i principi abbiano una fattispecie aperta o siano senza fattispecie o che
siano privi di conseguenza giuridica è opinione diffusa in letteratura, per gli opportuni riferimenti
v. ancora G. Pino, Teoria analitica del diritto I. La norma giuridica, cit., cap. IV.
28
Sui rischi di tale impostazione per la certezza del diritto v. P. Comanducci, Abuso del
diritto e interpretazione giuridica, cit., p. 29, che con riferimento alla citata sentenza della Cassa-
zione n. 20106 del 2009 scrive «La regola contrattuale prevede come permesso il recesso. E questa
regola è espressione dell’autonomia negoziale, che a sua volta trova appoggio in un principio del
codice civile che protegge l’autonomia dei privati.
Tutti i contratti sono però governati dal principio della buona fede oggettiva, ossia dalla reci-
proca lealtà di condotta tra le parti, che a sua volta deriva dal dovere di solidarietà. Il principio di
buona fede impone alle parti di agire in modo tale che si realizzi un bilanciamento degli interessi
reciproci, al di là dell’esistenza di specifici obblighi contrattuali. La violazione del principio di
buona fede comporta l’inadempimento del contratto e l’obbligo di risarcire il danno.
Il principio di buona fede costituisce il criterio che il giudice deve usare per controllare il
contratto ed equilibrare gli interessi delle parti. Le parti possono esercitare i poteri negoziali solo
in conformità con i canoni di buona fede, lealtà e correttezza, in modo che i loro diritti soggettivi
non si trasformino in arbitrari, determinando appunto un abuso del diritto.
I passaggi discrezionali nell’interpretazione e nell’argomentazione della Suprema Corte (da
me evidenziati sopra in corsivo) mi paiono del tutto evidenti: usando in questo modo i principi
risulterà sempre possibile svuotare di contenuto precettivo qualunque clausola contrattuale».
29
Per approfondimenti rinvio ancora ai contributi degli autorevoli studiosi di diritto tribu-
tario intervenuti al convegno.
162 Vito Velluzzi
30
Si tratta del comma 2, lettera b) dell’art. 1. A quanto pare il nodo da sciogliere resta
sempre il medesimo, quello di stabilire, lo sottolinea bene C. Sarra, L’imposizione nell’era della
positività pluritipica: la giustizia tributaria e la Filosofia del diritto contemporanea, in F. Zanuso
(a cura di), Custodire il fuoco. Saggi di Filosofia del Diritto, Milano, Franco Angeli, 2013, p.
247, «come sia possibile giudicare da una parte «indebito» il risparmio fiscale che il contribuen-
te tenta di ottenere e dall’altra «distorto» l’uso che sia fatto degli strumenti giuridici, peraltro
realmente voluti e adempiuti, quando contemporaneamente si affermi la mancata violazione di
alcuna norma giuridica». Questa osservazione è fondata e attuale rispetto alla nuova normativa:
il comma 12 dell’art. 1 del Decreto legislativo dispone, infatti, che «l’abuso del diritto può essere
configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione
di specifiche norme tributarie».
31
Si è posta questo problema con riferimento alla giurisprudenza successiva al 2008 la
Comm. Trib. I grado di Trento, n. 8 del 2.2.2009; si raccomanda la lettura di questa sentenza per
la lucida ricostruzione proposta del cammino dogmatico, teorico e giurisprudenziale compiuto
dal divieto di abuso del diritto.
32
C. Sarra , L’imposizione nell’era della positività pluritipica, cit., p. 249.
164 Vito Velluzzi
33
La citazione è tratta dal mio Due (brevi) note sul giudice penale e l’interpretazione, cit.,
p. 314.
Mauro Grondona
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica
e politica del diritto
1
Cfr. i molti spunti, in varie direzioni (e che chi scrive non condivide interamente), che si
possono trarre da A. Micocci, Moderatismo e rivoluzione, Napoli, ESI, 2011.
2
Importanti sono le considerazioni di I. Ruggiu, Il giudice antropologo. Costituzione e tec
niche di composizione multiculturali, Milano, Franco Angeli, 2012, spec. p. 211: «Se l’esperienza
antropologica è essenzialmente descrittiva, l’esperienza giuridica è, invece, nella sua essenza,
un’esperienza etica, di giustizia, di ricerca della regola del caso concreto o di ricerca di valori
costitutivi della convivenza».
3
Cfr. ora la netta presa di posizione di L. Nivarra, Germania «caput mundi»: liberismo,
ordoliberalismo e liberalismo in un libro recente, in Riv. crit. dir. priv., 2015, p. 641 ss., il qua-
166 Mauro Grondona
le, recensendo con pieno favore un recente scritto di Alessandro Somma («La dittatura dello
spread. Germania, Europa e crisi del debito», Roma, DeriveApprodi, 2014), stigmatizza molto
giustamente «quella ideologia della neutralità che, incredibilmente, dopo la grande stagione degli
anni ’70 del secolo scorso, è tornata ad essere dominante nella nostra Università […]» (p. 645).
4
Su tutto ciò, molte considerazioni giovevoli in C. Ginzburg, Leggere. Da vicino da lonta
no, https://www.youtube.com/watch?v=RUb8tV04HX8 (ultimo accesso 6 marzo 2016).
5
G.W von Leibniz, Il nuovo metodo di apprendere ed insegnare la giurisprudenza (saggio
introduttivo, trad. e note di C.M. de Iuliis), Milano, Giuffrè, 2012 (il volume contiene anche il
testo latino integrale), p. 47, § 1: «La giurisprudenza è la scienza propria del diritto relativo a
un qualche caso o fatto prospettato» («Jurisprudentia est Scientia, Juris, proposito aliquo casu
seu facto», ivi, p. LXXXV); cfr. allora T. Ascarelli, Hobbes e Leibniz e la dogmatica giuridica,
che è lo studio introduttivo a: Th. Hobbes, A dialogue between a philosopher and a student of
the Common Laws of England, G.W. Leibniz, Specimen quaestionum philosophicarum ex iure
collectarum – De casibus perplexis – Doctrina conditionum – De legum interpretatione. Premessa
di M. Giannotta, Milano, Giuffrè, 1960, pp. 1-69, spec. p. 35; su Leibniz, cfr. ora la splendida
biografia, uscita originariamente in inglese, di M.R. Antognazza, Leibniz. Una biografia intel
lettuale (trad. it.), Milano, Hoepli, 2015.
6
Cfr. in generale E. Picavet, La Revendication des droits. Une étude de l’équilibre des
raisons dans le libéralisme, Paris, Classiques Garnier, 2011, spec. p. 145 ss. (Droit individuels,
liberté et interdipéndance: la légitimation des droits et la question de la liberté); e v. anche V.
Caporrino, Pluralismo e tecniche di regolamentazione, Napoli, ESI, 2012.
7
Trib. Reggio Emilia, 16 giugno 2015, in Foro it., 2015, I, c. 3725 ss., con annotazioni di D.
Dalfino e R. Pardolesi (c. 3730 ss.: ivi bibliografia aggiornata cui si rinvia).
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 167
8
Trib. Reggio Emilia, cit., c. 3726.
9
Ibidem, c. 3727.
10
Ibidem, c. 3728.
168 Mauro Grondona
11
Ibidem, c. 3729.
12
Cfr. T. Ascarelli, Scienza e professione, in Foro it., 1956, IV, c. 86 ss.
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 169
13
Per una serie di questioni centralissime che qui non possono essere approfondite, v.: G.
Alpa (a cura di), P. Grossi, Roma-Bari, Laterza, 2011, spec. p. 253 ss.; P. Perlingieri, Inter
pretazione e legalità costituzionale. Antologia per una didattica progredita, Napoli, ESI, 2012,
P. Grossi, Ritorno al diritto, Roma-Bari, Laterza, 2015, N. Lipari, I civilisti e la certezza del
diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 1115 ss., ma v. anche, in diversa prospettiva, C. Ca-
stronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, Giuffrè, 2015, spec. il «Prologo», p. 1 ss.
14
V. in particolare V. Villa, Costruttivismo e teorie del diritto, Torino, Giappichelli, 1999.
170 Mauro Grondona
15
M. Bessone (a cura di), Sullo stato dell’organizzazione giuridica. Intervista a Giovanni
Tarello, Bologna, Zanichelli, 1979 (il volumetto, da molti anni fuori catalogo, meriterebbe senza
dubbio una ristampa per la sua innegabile attualità – e ciò, peraltro, non è certamente un buon
segno, sotto il profilo dei rapporti, in Italia, tra magistratura e politica).
16
Ibidem, p. 10: «A differenza di molti colleghi giuristi affetti da magistratofilia, io non
ritengo che la crescita dei poteri dei giudici di determinare il mutamento giuridico sia (o sia
sempre) un bene, e credo invece che sia opportuno agire tanto sulle condizioni socioculturali
interne ed esterne alla magistratura quanto sulla struttura del sistema giuridico al fine di limitare
simili poteri ai giudici».
17
Ivi: «Tutto ciò è oggetto di teoria, e queste mie asserzioni hanno la pretesa di essere vere».
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 171
18
Ivi.
19
Ibidem, pp. 10-11.
20
Ibidem, p. 11.
21
Cfr. il quadro concettuale tracciato da R. Sacco, voce «Abuso del diritto», in Dig. disc.
priv., Agg.********, Torino, Utet, 2012, p. 1 ss.
22
G. Alpa, Il contratto in generale, I. Fonti, teorie, metodi, nel Tratt. dir. civ. comm., Milano,
Giuffrè, 2014, Cap. VII («Princìpi e clausole generali»), p. 419 ss.
23
V. Velluzzi, Le clausole generali. Semantica e politica del diritto, Milano, Giuffrè, 2010.
24
Cfr. le illuminanti considerazioni di V. Villa, Il diritto come modello per le scienze sociali,
in Diritto & questioni pubbliche, n. 5/2005, p. 31 ss., http://www.dirittoequestionipubbliche.org/
page/2005_n5/mono_V_Villa.pdf.
172 Mauro Grondona
25
Non posso qui approfondire un aspetto che mi sta particolarmente a cuore: la critica
hayekiana al costruttivismo (v. ancora V. Villa, Costruttivismo, cit., spec. pp. 37-39), quale, in
sostanza, ordine imposto dall’alto in virtù di una pianificazione che intacca anche la sfera delle
idee, non può, a mio avviso, travolgere una prospettiva costruttivista che si pone, di fronte al
fenomeno giuridico, e, in senso più lato, antropologico e sociale, come permeabile all’incontro/
scontro tra pretese individuali in opposizione. Ciò, in sostanza, per dire che una certa visione
costruttivista non è incompatibile con un certo individualismo giuridico.
26
Sul punto v. P. Grossi, Ritorno al diritto, cit., passim, nonché Id., Per ripensare le fonti
del diritto (su un libro recentissimo e sulle sue sollecitazioni), in Quad. fior., 44 (2015), t. II, p.
1047 ss., ove tra l’altro si legge: «All’immagine, cara ai nostri vecchi, di un diritto connotato da
astrattezza e purezza, certo e stabile nella pietrosità dei testi normativi, si è andato sostituendo, in
questo nostro tempo pos-moderno, un diritto incerto ed estremamente mobile, che è giocoforza
qualificare – a causa del suo mescolarsi con la bassa corte dei fatti – anche impuro, da taluno
spregiativamente, da un giurista/storicista con qualche sollievo» (p. 1048). Ma allora v. anche le
seguenti parole di Erich Auerbach, cit. da C. Rivoletti, Auerbach inedito. Sull’influsso del meto
do storico ed ermeneutico di Vico, in R. Castellana (a cura di), La rappresentazione della realtà.
Studi su Auerbach, Roma, Artemide, 2009, p. 101 ss., a p. 113 s.: «Senza dubbio la vera realtà non
può venire pensata e compresa se non come ordinata. Ma l’ordine è potuto difficilmente sorgere
dalla mera volontà programmatica di un ordine: risulterebbe infatti necessariamente un ordine
angusto, da qualsiasi parte attingesse le proprie regole, e tenterebbe di costringere la realtà, cosa
che sarebbe comunque inutile. L’ordine della realtà deve sorgere da se stesso, o perlomeno da
una dedizione della vita all’ordine. Solo allora esso può risultare abbastanza grande, stabile ed
elastico, da comprendere ed abbracciare il proprio oggetto». Amplius cfr. ora R. Castellana,
La teoria letteraria di Erich Auerbach. Una introduzione a «Mimesis», Roma, Artemide, 2013.
In qualche modo ancora oggi utile V. Ganeff, La realtà giuridica secondo gli autori russi, in Riv.
int. fil. dir., 1921, p. 37 ss.
27
La dimensione ex ante e quella ex post sono in questo senso centrali: perché il vincolo
semantico ex ante impedisce proprio, almeno in thesi, quella varietà argomentativa, e soprattutto
di giudizio, indispensabile a una trasformazione del diritto che sia indotta dalla modificazione
del contesto e che sia attuata in via giurisprudenziale.
28
Per due ottimi esempi v. P. Chiassoni, La grande elusione. Tecnica e cultura nella giuri
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 173
sprudenza sul matrimonio omosessuale, in Studi in onore di Franco Modugno, I, Napoli, Edito-
riale Scientifica, 2011, p. 863 ss. (anche in Id., Diritti umani, sentenze elusive, clausole ineffabili.
Scritti di realismo militante, Roma, Aracne, 2011, p. 87 ss.), e A. Pugiotto, Una lettura non reti
cente della sentenza n. 138/2010: il monopolio del matrimonio eterosessuale, p. 1 ss., http://www.
forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0226_pugiotto.pdf.
29
Cfr. le appassionate pagine di P. Femia, Segni di valore, in civilistica.com (Revista eletrô-
nica de direito civil), a. 3, n. 1, 2014, p. 1 ss., http://civilistica.com/wp-content/uploads/2015/02/
Femia-civilistica.com-a.3.n.1.2014.pdf.
30
V. ad esempio le come sempre incisive pagine di T. Ascarelli, Scienza e professione, cit.,
c. 88: «È l’interprete che riduce a sistema norme frutto di orientamenti diversi; è l’interprete
che elabora e rielabora (ed anche nella più letterale delle interpretazioni) le categorie alle quali
ha fatto capo la norma (e poi inquadra in questa ricostruzione il caso), ed in ambedue questi
momenti concorrono orientamenti e valutazioni diversi. Ciò equivale poi a dire che il diritto è
frutto della storia e si svolge nella storia e perciò anche nella sua applicazione. Perciò ho finito per
scrivere che l’attività dei giuristi, piuttosto che a uno studio della norma in funzione della realtà,
attiene a uno studio della realtà in funzione della norma, in funzione alla fine di una disciplina
normativa della realtà .… formule queste che – è necessario soggiungerlo? – non si differenziano
per l’esigenza, in ambedue costante, di studio di ambedue i termini del binomio – realtà e norma
– ma per l’accentuazione che la seconda pone sulla destinazione del diritto – opera degli uomini
e destinata agli uomini – alla sua applicazione nella vita consociata». Su Ascarelli e sul problema
dell’interpretazione v. ora l’accurata analisi condotta da C. Crea, What Is to Be Done? Tullio
Ascarelli on the Theory of Legal Interpretation, in The Italian Law Journal, vol. 1, n. 2/2015, p.
181 ss., spec. p. 185 ss., http://www.theitalianlawjournal.it/crea/.
174 Mauro Grondona
31
Emerge qui una evidente tensione tra morfologia e storia, sulla quali, in ben altra prospet-
tiva, ha magistralmente richiamato l’attenzione C. Ginzburg, Paura reverenza terrore. Cinque
saggi di iconografia politica, Milano, Adelphi, 2015, spec. la «Prefazione», p. 11 ss., in riferimento
alla nozione di Pathosformeln impiegata da Aby Warburg.
32
J.H. von Kirchmann, Della mancanza di valore della giurisprudenza come scienza (trad.
it. e pref. di Paolo Frezza), Pisa, Arti grafiche Pacini Mariotti, 1942; questa stessa trad. it. è più
tardi confluita in J.H. von Kirchmann, E. Wolf, Il valore scientifico della giurisprudenza.
Introduzione di G. Perticone, Milano, Giuffrè, 1964.
33
B. Leoni, Il valore della giurisprudenza e il pensiero di Julius Hermann von Kirchmann,
in Riv. int. fil. dir., 1940, p. 343 ss., e 1941, p. 64 ss.
34
B. Leoni, Il valore della giurisprudenza (1940), cit., p. 347.
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 175
quanto sul piano della tecnica giuridica, rispetto ai quali l’uso politico rile-
va in quanto fondamento di un impiego del diritto funzionalizzato a con-
seguire solo quei risultati interpretativi compatibili con una determinata
cornice assiologica; con il che si concretizza, in questo caso, l’uso politico
in senso attualizzante e anti-storico (dunque un uso abusivo) di un autore
la cui visione del diritto screditava senza dubbio (ma in differente contesto)
il diritto legislativo a favore del diritto del popolo, quale prodotto spon-
taneo della comunità politica. Non occorre dunque spendere molte parole
per rilevare come l’uso in chiave di politica del diritto di un autore o di
una intera corrente dottrinale è il prodotto prima di tutto culturale di un
certo contesto, e non viceversa35.
Ma c’è poi un secondo aspetto da mettere in luce: un aspetto profonda-
mente collegato al primo, che, anzi, spiega molto bene il senso profondo
dell’uso politico in senso nazional-socialista e che mostra come, veramente,
l’orizzonte assiologico all’interno del quale la vita sociale si muove è il
criterio orientativo della tecnica giuridica, che è sempre servente rispetto
all’ambiente e al contesto.
In particolare, il riferimento è qui a un passaggio centrale della tesi di
Kirchmann: la legge positiva è rigida; il diritto si evolve, perciò anche la
verità della legge si trasforma col tempo in errore36.
Non basta: perché la legge positiva è astratta e la sua necessaria sem-
plicità distrugge la ricchezza delle formazioni individuali; di qui la forma
intermedia dell’equità, della discrezionale decisione del giudice37.
La legge positiva – prosegue Kirchmann – è un’arma impersonale, pron-
ta in ogni tempo, non meno che per la saggezza del legislatore che per la
passione del despota38.
Affermazione, quest’ultima, che ha un che di tragicamente beffardo, ap-
punto tenuto conto dell’uso che, da parte di giuristi nazisti, di Kirchmann
è stato fatto39.
Egli aggiunge che è del tutto illusoria l’aspirazione a una legislazione
35
Sulla centralità e sulla forza dell’ideologia e del pensiero v. ora il volume (peraltro molto
discusso) di J. Israel, La Rivoluzione francese. Una storia intellettuale dai Diritti dell’uomo a
Robespierre (trad. it.), Torino, Einaudi, 2015.
36
B. Leoni, Il valore della giurisprudenza (1941), cit., p. 74.
37
Ivi.
38
Ivi.
39
Peraltro, ogni fenomeno consistente nell’uso delle idee, diciamo pure ogni appropria-
zione fuori contesto di idee, se potrà qualificarsi come storicamente impropria se non indebita
(in chiave per dir così filologica), certo non è priva di ragioni (anche ripugnanti) che possano
spiegarla; ragioni, ancora una volta, da ricondursi al contesto all’interno del quale quell’uso e
quell’appropriazione si sono determinati. Un contesto che però è storico in re ipsa: il che apre
176 Mauro Grondona
una serie di ulteriori questioni facilmente intuibili alle quali neppure accenno. Molto istruttivo
ancora C. Rivoletti, Auerbach inedito, cit.
40
B. Leoni, Il valore della giurisprudenza (1941), p. 75.
41
In chiave di ricostruzione storica, molto interessanti le pagine di C.M. Radding, Le origini
della giurisprudenza medievale. Una storia culturale (trad. e cura di A. Ciaralli), Roma, Viella, 2013,
spec. la «Conclusione. L’invenzione di una disciplina», p. 223 ss., e in particolare il seguente rilievo
(che vuole rispondere alla domanda su quali furono gli impulsi che indussero la scienza giuridica a
trasformarsi in una disciplina di studio, p. 224): «[F]urono le controversie sorte tra gli specialisti, in
una situazione nella quale non era possibile attendere una soluzione da autorità esterne, a indurre la
consapevolezza che una esegesi non può essere assunta per vera in assenza di una verifica condotta
con argomenti sempre più complessi e strumenti di analisi ancora più raffinati. La conflittualità può
non essere una condizione necessaria per trasformare un ramo del sapere dalla semplice ripetizione
di nozioni a più ambiziosi meccanismi per la risoluzione dei problemi; per l’architettura dell’XI
secolo o per la matematica del XVI il progresso delle tecniche può essere stato motivo sufficiente a
spingere gli esperti di quei settori della conoscenza verso la proposizione di nuove questioni. Ma la
conflittualità tra gli esperti può bene essere fattore essenziale per aree del sapere con implicazioni
sociali così ampie come avviene nel campo del diritto» (p. 225).
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 177
42
V. una bellissima pagina di Sebastiano Timpanaro [S. Timpanaro, F. Orlando, Carteggio
su Freud (1971-1977), Pisa, Scuola Normale Superiore 2001, p. 63 s.], sull’idea che l’assoluta-
mente individuale e irripetibile, e quindi storicamente inafferrabile, apre la pericolosa strada del
totalmente ininterpretabile, o dell’interpretabile a piacere, perché il contesto sparisce e il testo
diviene il contesto di se stesso – un multiforme contesto per un testo multiforme, e così il testo
basta epistemologicamente a se stesso. Ma l’evento unico e irripetibile neppure è spiegabile (ibi
dem, p. 68); e v. anche quanto molto nettamente osservato da T. Ascarelli, Scienza e professione,
cit., c. 86: «Sono tra quanti indentificano l’opera del giurista nell’interpretazione e applicazione
del diritto, considerandola a sua volta come lo strumento per la continua adeguazione e appli-
cazione di un qualsiasi corpus iuris, opera nella quale rientra quella della dottrina, costituendo le
categorie da questa elaborate, strumento appunto per l’applicazione e l’adeguazione del diritto
costituito. E sono tra quanti non esitano a riconoscere perciò che storia del diritto e storia delle
dottrine giuridiche in realtà confluiscono in quella che sola può dirsi storia del diritto, chè lo
sviluppo interpretativo non si contrappone al dato legale come l’immagine nello specchio alla
realtà rispecchiata, ma piuttosto si pone nei confronti di questa come la pianta nei confronti del
seme. E perciò sono tra quanti ritengono vano pretendere ridurre l’opera della dottrina a mera
ricostruzione storiografica della legge ovvero a razionalizzazione di questa, ravvisandovi allora
solo il dispiegamento di una attività logica, ma invece ritengono costante e inevitabile l’influenza
delle valutazioni dell’interprete, riflettendosi nella interpretazione e nello sviluppo dottrinario le
convinzioni dell’ambiente, le sue tradizioni, le sue tradizioni, le sue speranze».
43
Nella civilistica, v. per tutti G. Perlingieri, Profili civilistici dell’abuso tributario. L’inop
ponibilità delle condotte elusive, Napoli, ESI, 2012.
178 Mauro Grondona
che la ‘fattispecie’ abuso del diritto sarà la risultante di una certa strategia
argomentativa che abbia ottenuto un certo livello di consenso. Dunque,
per poter dire cosa è e cosa non è ‘abuso del diritto’ dobbiamo analizzare
come questa nozione è stata impiegata, quali risultati sono stati conseguiti
in virtù del suo impiego, qual è stato il percorso argomentativo che ha con-
sentito di conseguirli (e si può incidentalmente notare che questo approc-
cio incentrato sull’argomentazione si è ormai oggi esteso ben al di là delle
norme a fattispecie aperta). L’approccio argomentativo concretizza quindi
la portata dell’abuso in relazione al caso di specie, e l’argomentazione in-
dividua, costruendolo, l’ambito di operatività dell’abuso; donde una fisio-
logica mobilità del contenuto operativo dell’abuso, dovendo essere pensato
e ripensato in ragione non soltanto del caso da decidere, ma degli effetti
prevedibili, auspicabili o no, positivi o no, rispetto alla medesima cornice
argomentativa, dei rischi, delle reazioni suscitate all’interno della comunità
scientifica, delle tendenze giurisprudenziali già in atto o probabili: ne deri-
va pertanto che la peculiarità dell’approccio argomentativo sta in ciò, che
la possibilità, perché una determinata soluzione si affermi, è interamente
rimessa alla individuazione di quelle che abitualmente si chiamano ‘buone
ragioni’, e che sono tali appunto se sono sufficientemente solide (una soli-
dità, non dovrebbe essere neppure il caso di precisarlo, storicamente giusti-
ficabile in termini teorici e non soltanto descrittivi; una solidità – questo è
aspetto centrale – che come tale non può meccanicamente derivare dal testo
della disposizione44 che evochi, o anche disciplini, l’abuso medesimo)45, in
44
Ma v. Francesco Benatti, Una riflessione sul rapporto tra dottrina e giurisprudenza
(saggio in corso di pubblicazione e che grazie alla cortesia dell’autore ho potuto leggere in an-
teprima), il quale (almeno tendenzialmente) accosta l’impiego dell’abuso del diritto «a un’opera
di manipolazione del vero senso della norma» (p. 9).
45
N. Lipari, I civilisti e la certezza del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 1115
ss., riprendendo un rilievo di Luigi Caiani, ha giustamente ribadito la critica all’«ipostasi po-
sitivistica che non consente il superamento del dualismo soggetto-oggetto e che si articola su
tre dogmi fondamentali: l’unicità della fonte di qualificazione giuridica, la prevalenza della
norma generale ed astratta rispetto alla molteplicità delle situazioni empiriche, che l’esperienza
prospetta e la necessaria subordinazione all’attività del legislatore della funzione di coloro che
applicano il diritto» (p. 1120). Qui naturalmente il punto è soprattutto quello della certezza
del diritto sotto il profilo della legittimità di un determinato uso del diritto. Fino a che punto,
dunque, il testo tollera un uso orientato al contesto? La questione, come subito emerge, certo
non riguarda soltanto il ristretto ambito giuridico, e anzi il giurista con notevole profitto ben
potrebbe ripercorrere ciò che sul punto la contemporanea teoria letteraria ha elaborato – e
dicendo questo penso soprattutto a Francesco Orlando, feroce critico del postmodernismo e
del decostruzionismo; il quale sottolineò la profonda eticità insita nella ricerca del significa-
to oggettivo (storicamente oggettivo) dei testi: perché il mancato rispetto del testo, che non
dicendo oggettivamente nulla può dire soggettivamente tutto (per virtù, o piuttosto nequizia,
d’interpretazione), si può trasferire sul mancato rispetto delle stesse persone. Ora, mi sembra
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 179
pertinente il rilievo che, se è ben possibile (e anche utile e opportuno, se non altro in chiave di
ricostruzione di storia del pensiero giuridico e della cultura giuridica – termini, come è noto,
nient’affatto sovrapponibili e che anzi risalgono a una esplicita polemica tra Grossi e Tarel-
lo, che ancora oggi prosegue, pur, mi pare, tendenzialmente sottotraccia, e sulla quale, allora,
sarebbe interessante ritornare) conoscere ciò che il legislatore (ma discorso analogo va allora
fatto anche per la giurisprudenza) ha inteso ‘dire’ e ‘fare’, emanando una determinata discipli-
na [in tema di originalismo cfr. ora lo scritto di G. Romeo, To be or not to be: le prospettive
dell’interpretazione costituzionale della Corte Suprema degli Stati Uniti dopo la morte di Justi-
ce Antonin Scalia, pp. 1-6, in AIC – Osservatorio costituzionale, n. 1/2016 (20 febbraio 2016),
http://www.osservatorioaic.it/to-be-or-not-to-be-le-prospettive-dell-interpretazione-costitu
zionale-della-corte-suprema-degli-stati-uniti-dopo-la-morte-di-justice-antonin-scalia.html, la
quale peraltro ben chiarisce come, «[s]ul piano dei canoni dell’interpretazione costituzionale,
Scalia difende[sse] una sua versione dell’originalism, non riuscendo ad essere del tutto identi-
ficabile con il pensiero originalista. Egli non predicava tanto il recupero puntuale dell’original
intent, quanto piuttosto la necessità di riferirsi al significato originale dei termini della Co-
stituzione. Le sue tesi poggiavano dunque su un testualismo di matrice storica, radicato cioè
in una ricostruzione di significati illuminata dai padri fondatori», p. 5), l’interprete troverà di
fronte a sé, sempre e comunque, il mobile spazio del contesto, cioè della società, cioè della
realtà, cioè della vita in carne e ossa, rispetto al quale mobile spazio, né il testo come tale, né il
testo interpretato fedelmente e restrittivamente in senso conforme all’intenzione originaria po-
trà svolgere un significativo ruolo applicativo; perché se è vero che l’opera letteraria non parla
solo di sé stessa ma parla comunque del mondo, pur letto con gli occhi dell’autore (e dunque
è fondatissima – e basti qui richiamare ancora una volta il glorioso nome di Erich Auerbach –
il disvelamento del canone, del o dei codici attraverso attraverso cui l’opera letteraria esprime,
filtrandola, la realtà), l’opera giuridica, intesa soprattutto come regola casistica (tema avvin-
cente è quello del recente passaggio dalla centralità della legge generale e astratta alla regola
del caso concreto, in sostanza connotante la fase del postmodernismo giuridico à la Grossi),
vive nel caso concreto; la legge dunque come seme (per usare un’immagine azzeccatissima di
T. Ascarelli, Scienza e professione, cit., c. 86) da cui, per virtù d’interpretazione, si diparte
la pianta del diritto, che del resto è ciò che serve alla società quale ordine vivente dei rapporti
sociali. Detto ancora altrimenti, la prescrizione generale e astratta è un alfabeto giuridico, che
per diventare linguaggio giuridico e perché l’utilizzo di questo linguaggio giuridico conduca
a un collegamento tra diritto e mondo abbisogna dell’opera dell’interprete, che, diversamente
da quanto accade in riferimento a un testo letterario, diventa co-autore del testo medesimo,
così legittimando quelle che, con linguaggio filologico, potremmo chiamare varianti d’autore.
46
Cfr. ancora V. Villa, Il diritto come modello per le scienze naturali, cit., passim, ma spec.
p. 39.
180 Mauro Grondona
47
Ibidem, pp. 39-40.
48
In tema v. ora ampiamente G. Perlingieri, Profili della ragionevolezza nel diritto civile,
Napoli, ESI, 2015.
49
Cfr. V. Villa, Il diritto come modello per le scienze naturali, cit., p. 41.
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 181
50
Cfr. V. Villa, Una teoria pragmaticamente orientata dell’interpretazione giuridica, Torino,
Giappichelli, 2012, spec. p. 22.
51
Cfr. G. Alpa, Appunti sul divieto di abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi
riflessi negli ordinamenti degli Stati Membri, in Contr. impr., 2015, p. 245 ss., il quale conclu-
sivamente auspica «una revisione degli schemi tradizionali, senza preclusioni dogmatiche e con
spirito di cooperazione al dialogo […]» (p. 261). Cfr. anche G. Cazzetta, Pagina introduttiva,
in Quad. fior., 44 (2015), t. I, p. 1 ss.
52
Cfr. ad esempio C. Salvi, Note critiche in tema di abuso del diritto e di poteri del giudice,
in Riv. crit. dir. priv., 2014, p. 27 ss.
53
Cfr. per tutti A. Gentili, Il diritto come discorso, Milano, Giuffrè, 2013, Capitoli 4 e 5,
p. 401 ss.
54
Penso qui soprattutto al dibattito francese, sul quale v. J.-S. Borghetti, L’abuso del diritto
in Francia, in Contr. impr., 2015, p. 847 ss. Ma anche in Francia, esattamente come da noi, c’è una
dottrina più scettica e una giurisprudenza più aperta all’impiego dell’abuso del diritto. Ci si lamenta
spesso della vaghezza dell’abuso del diritto, ci si lamenta del fatto che non si riesca, o forse non sia
nemmeno possibile, a darne una definizione esaustiva (che è un’altra cosa dal darne una razionaliz-
zazione, che invece è certamente possibile), e allora si cerca di restringere la portata del principio an-
182 Mauro Grondona
una critica realistica non può essere impostata come se l’abuso fosse uno
strumento indebito, forse addirittura capriccioso, che andrebbe margina-
lizzato: il problema centrale riguarda invece e unicamente il controllo del
ragionamento del giudice, quindi il problema applicativo, e dunque il pro-
blema interpretativo – e d’altronde oggi più che mai il diritto è interpre-
tazione, argomentazione, costruzione ermeneutica. E ciò si dice tenendo
sullo sfondo l’idea, che mi sembra persuasiva, per cui il prodotto inter-
pretativo, e quindi l’interpretazione non come attività ma come prodotto,
è un misto di descrizione di un diritto esistente e di creazione di nuovo
diritto; se non altro perché i problemi interpretativi autentici sono tali solo
quando ci sia una controversia da risolvere, un conflitto non meramente
immaginato ma effettivamente esistente.
Ecco che allora, da questo punto di vista, l’impostazione per cui si trat-
terebbe di capire se nel nostro ordinamento esista o no un principio ge-
nerale dell’abuso del diritto, oppure se, invece, esistano soltanto specifici
rimedi che hanno bensì, come ratio, quella di evitare condotte abusive, ma
che sono appunto rimedi specifici e quindi fattispecie circoscritte (un’im-
postazione che in particolare suggestivamente distingue tra prospettiva
estroversa e prospettiva introversa)55, non sembra inattaccabile, proprio
perché si sforza di tenere distinti due ambiti, quello strettamente normativo
corandolo a parametri soggettivi o oggettivi, mancando i quali l’operatività del principio è impedita.
E la conseguenza è che, al più, l’abuso del diritto potrà servire per colmare le lacune dell’ordina-
mento, svolgendo così una funzione sussidiaria, suppletiva, appunto circoscritta, residuale, come se
si trattasse, in sé, di un qualcosa di incontrollabile e pericoloso, anche se a ben vedere indispensabile,
e ciò per ragione di generale funzionalità del sistema giuridico e di quello sociale.
Quello che quindi spiace, in Francia come da noi, è in sostanza il fatto che l’abuso del di-
ritto non possa essere ricondotto, se si preferisce: ingabbiato, in una fattispecie a strette maglie
normative.
Ma il giurista contemporaneo dovrebbe essere persuaso del fatto che le valutazioni diciamo
pure etico-politiche non solo gli sono irrinunciabili, ma soprattutto gli spettano, e quindi il
giurista non può sottrarsi a questa responsabilità, che inevitabilmente è anche una responsabilità
sociale, collettiva, diciamo una responsabilità istituzionale in senso proprio, perché da questo
punto di vista il giudice è certamente e nel senso più forte e pieno un fattore istituzionale.
E allora anche in Francia, se guardiamo al rapporto tra dottrina e giurisprudenza in tema di
abuso di diritto e anche in tema di buona fede (posto che la buona fede e abuso del diritto stanno
in rapporto di prossimità non tanto perché l’uno è un principio e l’altra una clausola generale,
ma perché entrambi sono strumenti tecnici che pongono al centro dell’ordinamento giuridico e
dell’ordine giuridico l’interprete e quindi la sua responsabilità politica intesa nel senso migliore
del termine), la giurisprudenza mostra segnali significativi che può essere opportuno riprendere
ed esaminare, come bene mostra l’altrettanto attuale dibattito in tema di prerogative contrattuali
e deontologia contrattuale: cfr. in particolare L. Aynès, Vers une déontologie du contrat?, https://
www.courdecassation.fr/IMG/File/deontologie_contrat_11_05_06_aynes.pdf, pp. 1-9.
55
Cfr. M. Barcellona, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologi
camente orientata del traffico giuridico, in Riv. dir. civ., 2014, p. 467 ss.
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 183
56
Cfr. P. Chiassoni, Positivismo giuridico, in G. Pino, A. Schiavello, V. Villa (a cura di),
Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo, Torino, Giap-
pichelli, 2013, p. 32 ss., alle pp. 64-65; il quale prosegue: «Tale soluzione, si badi, non può essere
‘scoperta’, così come si scoprono giacimenti petroliferi o cave di marmo; non può essere letta
nelle pagine del ‘libro segreto’ del diritto, che esiste soltanto nell’immaginazione degli ingenui;
può soltanto essere argomentata: sostenuta dalla ‘migliore’ combinazione di argomenti accettabili
da giuristi ragionevoli e informati, secondo le modalità tipiche delle argomentazioni in diritto e in
morale, non dimostrative o stringenti, ma persuasive. […] Quando si ricorre ad argomentazioni
siffatte, quando s’invocano i princìpi della morale politica di fondo, al fine di stabilire ciò che
il diritto è, ciò che esso prescrive, viene fatalmente meno ogni distinzione tra il diritto qual è e
il diritto quale deve essere: la soluzione corretta per un caso difficile è infatti, al tempo stesso,
quella che rispecchia ciò che il diritto è e deve essere» (corsivo orig.).
57
Cfr. F. Galgano, Qui iure suo abutitur neminem laedit?, in Contr. impr., 2011, p. 311 ss.
184 Mauro Grondona
prattutto non risolvibile di per sé, e che proprio per questa ragione dovrà
essere soggetta a un costante ripensamento teorico: mi riferisco alla conci-
liazione di due elementi, sempre presenti nel momento interpretativo ma
soprattutto presenti quando si ha a che fare con principi o con clausole
generali: come si può conciliare la creazione di nuovo diritto (creazione
che va di pari passo con l’interpretazione) con l’esigenza della continuità
interpretativa? come si fa a evitare che il discontinuo tendenzialmente pre-
valga sul continuo? Questione, appunto, in linea teorica irrisolvibile, ma al
contempo questione che non solo potrà, ma dovrà, essere risolta in linea
pratica, situandosi l’interprete all’interno del flusso storico e adottando-
si un approccio storicista58; in questa prospettiva l’attenzione andrà così
portata anche su alcuni fattori decisivi al fine di indirizzare in un senso o
nell’altro il percorso di soluzione, cioè verso la linea del continuo oppure
verso quella del discontinuo: ad esempio, se la comunità dei giuristi è mol-
to compatta, se il metodo di lavoro è fortemente condiviso, è ovvio che le
voci dissonanti, voci dottrinali e a maggior ragione voci giurisprudenziali,
saranno, o espunte, o ricondotte all’ortodossia.
Ponendo questo interrogativo evoco nuovamente un giurista il cui pen-
siero andrebbe oggi analiticamente ripreso e rimeditato: Tullio Ascarelli59.
Non è dubbio che al centro dell’intera riflessione ascarelliana stia l’in-
terpretazione, come attività e come risultato; non è dubbio che la cultura e
la sensibilità di cui egli era straordinariamente provvisto lo portassero ben
lontano da posizioni formaliste; e tuttavia Ascarelli (e questa sua preoccu-
pazione è un elemento molto istruttivo e da non mettere in ombra, quando
si rifletta su un principio come quello dell’abuso del diritto) non ha mai
condiviso approcci sostanzialisti ed equitativi60, che mirano ad assicurare,
di fronte al caso concreto, appunto la giustizia sostanziale; concetto troppo
sfuggente e soprattutto difficilmente controllabile.
58
V. il rilievo di P. Grossi, Per ripensare le fonti del diritto, cit., p. 1048: «All’immagine, cara
ai nostri vecchi, di un diritto connotato da astrattezza e purezza, certo e stabile nella pietrosità
dei testi normativi, si è andato sostituendo, in questo nostro tempo pos-moderno, un diritto
incerto ed estremamente mobile, che è giocoforza qualificare – a causa del suo mescolarsi con
la bassa corte dei fatti – anche impuro, da taluno spregiativamente, da un giurista/storicista con
qualche sollievo».
59
È qui sufficiente rinviare a M. Stella Richter jr., voce «Ascarelli, Tullio», in Diz. biogr.
giuristi italiani, vol. 1, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 108-111, con amplia bibliografia.
60
Cfr. spec. M. Stella Richter jr., La dottrina commercialistica italiana e Mario Libertini
(dattiloscritto inedito che ho potuto conoscere grazie alla cortesia dell’autore). Molto critico di
un potere del giudice che è tale in vista della ricerca dell’equità del caso singolo, proprio «per-
ché è questa la sostanza dell’abuso del diritto come principio generale […]» è C. Salvi, Note
critiche, cit., p. 37.
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 185
61
Cfr. T. Ascarelli, Nota (*), in Id., Problemi giuridici, t. 1, Milano, Giuffrè, 1959, p. VIII:
«Se in questi saggi si vuole trovare un avvertimento metodologico, questo è proprio un avverti-
mento contro il decisionismo equitativo; è un richiamo all’argomentazione e all’analisi, richiamo
che, sotto questo aspetto [,] può dirsi agli antipodi delle tendenze irrazionalistiche; è un richiamo
all’autonomia dell’argomentazione giuridica e all’insuperabile eterogeneità tra concetti economici
e giuridici, all’impossibilità di dedurre la valutazione giuridica dalla realtà o natura dei fatti e così
agli antipodi del sociologismo in quanto questo non sia più storicismo».
186 Mauro Grondona
vedere le cose, quindi le concezioni del mondo, le quali però non potranno
non essere influenzate da ciò che storicamente accade62 (e questo elemento
va certamente letto nel senso continuista).
Il lavoro teorico mette spesso di fronte all’esigenza, pur magari in-
consapevole, di abbandonare certi schemi di ragionamento; e non per-
ché, come tali, non siano nobilitati da una tradizione culturale illustre
(basti pensare al negozio giuridico, alla visione non contrattuale del ma-
trimonio, o, peggio ancora, al matrimonio come vincolo giuridico esclu-
sivamente tra una donna e un uomo), ma per la ragione spiccatamente
pratica che non hanno più una sufficiente capacità esplicativa; sono stru-
menti di lavoro che non servono al giurista del nostro tempo perché,
impiegandoli, non riesce a fornire una spiegazione soddisfacente della
contemporaneità63.
La ragione del successo giurisprudenziale dell’abuso del diritto e le mo-
dalità operative, diciamo le tecniche di gestione, dell’abuso del diritto, allo-
ra, andranno prima di tutto trovate riflettendo sul contesto storico-politico
della contemporaneità (una contemporaneità necessariamente transfronta-
liera e transnazionale).
Da questo punto di vista, mi sembra che un elemento centrale su cui
riflettere possa essere la relazionalità, o, meglio, la dimensione relazio-
nale64 non solo tra persone ma tra spazi fisici e culturali dell’esistenza
umana, oggi così accentuata da non poter non trovare sbocchi anche
nell’ambito giuridico, che spesso si autorappresenta come ricettore cauto
dell’alterità.
La dimensione relazione ha molto a che fare con la libertà personale,
con la libertà della persona, diciamo in senso molto ampio, di autodeter-
minarsi.
E qui si configurano almeno due approcci, non collimanti.
Prima facie si può dire: il mettere l’accento sulla libertà della persona e
il guardare con favore all’espansione della libertà della persona va verosi-
milmente tradotto nel senso di restringere gli spazi relazionali delle e tra
62
Cfr. Id., Nota (*), cit., p. IX: «[C]redo possibile intendere la storia del pensiero giuridico
non già come disputa sull’eccellenza di questo o quel criterio, ma come sforzo nella sempre più
precisa consapevolezza dell’esperienza giuridica e come formulazione di criteri per lo sviluppo
del diritto, intellegibili solo nel quadro di uno sviluppo storico, nel contesto di strutture econo-
miche, abitudini, tradizioni, credenze, speranze».
63
Cfr. D. Canale (a cura di), Interpretare il diritto in un mondo in trasformazione. Rifles
sioni su La comprensione del diritto di Giuseppe Zaccaria, in Riv. fil. dir., 2015, p. 53 ss.
64
In generale cfr. G. Jervis, Contro il sentito dire. Psicoanalisi, psichiatria e politica, a cura
di M. Marraffa, Torino, Bollati Boringhieri, 2014.
Il problema dell’abuso del diritto tra tecnica e politica del diritto 187
65
Cfr. in tema P. Barcellona, Diritto senza società. Dal disincanto all’indifferenza, Bari,
Dedalo, 2003.
66
Cfr. le suggestive chiavi di lettura che si rinvengono in C. Rovelli, Sette brevi lezioni di
fisica, Milano, Adelphi, 2014, spec. p. 29 (la realtà è solo interazione) e p. 62 (la natura dei concetti
che usiamo per mettere in ordine il mondo è profondamente relazionale)
67
Cfr. Francesco Benatti, Una riflessione, cit., a favore, e N. Lipari, I civilisti, cit., contro.
68
Cfr. in senso più critico che non adesivo G. D’Amico, in Giust. civ.,
69
In generale cfr. G. Pino, L’abuso del diritto tra teoria e dogmatica (precauzione per l’uso),
http://www1.unipa.it/gpino/Pino,%20Abuso%20del%20diritto.pdf, pp. 1-44.
188 Mauro Grondona
1
Cfr. in particolare Cordopatri, L’abuso del processo, I e II, Padova, 2000; Ghirga, La
meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio dell’abuso dell’azione giudiziale, Mi-
lano 2004; Id., Abuso del processo e sanzioni, Milano 2012, e da ultimo Tropea, L’abuso del
processo amministrativo. Studio critico, Napoli 2015 e Asprella, Il frazionamento del credito
nel processo, Bari 2015.
2
Cfr. tra i molti Comoglio, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv.dir.proc.
2008, p. 319 ss.; Dondi, Abuso del processo (diritto processuale civile), in Enc.Dir., Annali III,
Milano 2010, p. 1 ss.; Ansanelli, Abuso del processo, in Dig. disc. priv., Sez.civ. , agg.III, 1, Tori-
no 2007, p. 1 ss.; Taruffo, Elementi per una definizione di abuso del processo, in Diritto privato,
III, Padova 1997, p. 435 ss.; Id., L’abuso del processo: profili comparatistici, ivi, IV, 1998, p. 496 ss.
3
Gli atti del convegno sono pubblicati con il titolo L’abuso del processo, Bologna 2012.
4
V. da ultimo l’ampia analisi di Ghirga, Recenti sviluppi giurisprudenziali e normativi in
tema di abuso del processo, in Riv. dir. proc., 2015, p. 445 ss.
5
Per questa ipotesi v. infatti Ghirga, op.ult.cit., p.457 ss.
190 Michele Taruffo
come una specie di elegante balletto tra gentiluomini piuttosto che come
una contesa dialettica, eventualmente anche dura, finalizzata alla vittoria
nella soluzione di una controversia. Risulta impossibile dar conto di tutto
ciò in poche parole o in poche righe; debbo quindi limitarmi a qualche
considerazione di ordine generale.
Una prima considerazione nasce dalla perplessità che non riesco a supe-
rare di fronte a questo fenomeno. Questa perplessità nasce da un dubbio
circa la stessa esistenza o autonoma configurabilità di ciò che chiamiamo
«abuso del processo». Se si parte, ad esempio, dall’idea di Calamandrei del
«processo come gioco»6, o dalla concezione di Roscoe Pound della sporting
theory of justice7, oppure –venendo ai nostri giorni – dall’interpretazione
che Vincenzo Ferrari offre del processo come un war game in cui «la
strategia processuale induce … gli attori a interpretare il loro ruolo col
massimo possibile di libertà e sfruttando ogni opportunità per compiere
le loro mosse»8, possiamo essere indotti ad interpretare il processo come
una competizione tra due soggetti, il cui svolgimento è disciplinato –non
di rado in maniera assai analitica – dalle «regole del gioco». Sono queste
le regole che stabiliscono quali mosse (pensiamo ad esempio agli scacchi)
sono consentite in quanto «costituiscono» il gioco, e stabiliscono anche
le sanzioni (pensiamo al baseball di cui parla Pound) che si applicano a
coloro che violano queste regole. Nel processo, come sappiamo, vi sono
regole specifiche che disciplinano il modo, il tempo e il contenuto di singoli
atti, nonché le attività che spettano ai vari soggetti (giudice, parti, e così
via), ed inoltre configurano le sanzioni (nullità, annullabilità, preclusioni,
risarcimento dei danni) che debbono essere applicate quando queste regole
vengono violate o non sono applicate validamente9. Senza eccedere con le
metafore ludiche, rimane evidente che questa interpretazione del processo
e delle sue regole ha un senso profondo, ma produce due conseguenze
rilevanti.
La prima conseguenza è che –per citare Goldschmidt10 – il processo non
6
Cfr. Calamandrei, Il processo come gioco, in Id., Opere giuridiche, I, Napoli 1965, p.
537 ss.
7
Cfr. Pound, The Spirit of the Common Law, Francestown, NH, rep. 1947, p. 125. Su
questa concezione v. Taruffo, Il processo civile «adversary» nell’esperienza americana, Padova
1979, p.12, 18, 123 ss.
8
Cfr. Ferrari, Etica del processo: profili generali, in Etica del processo e doveri delle parti,
Bologna 2015, p. 23.
9
In argomento v. da ultimo Menchini, Principio di preclusione e autoresponsabilità proces
suale, in Etica del processo, cit., p. 116 ss.
10
Cfr.Goldschmidt, Der Prozess als Rechtslage: eine Kritik der prozessualen Denkens,
Berlin 1925, p.292. Può essere, come sottolinea Carratta, che la tesi di Goldschmidt sia rimasta
L’abuso del processo 191
minoritaria nella dottrina tedesca (cfr. Carratta, Dovere di verità e completezza nel processo
civile, in Etica del processo, cit., p.154 s.) ma non si può negare che essa indichi una prospettiva
spiccatamente realistica e come tale degna di essere presa in considerazione.
11
Per alcuni esempi v. Taruffo, L’abuso del processo: profili generali, in L’abuso del processo,
cit., p.25 ss.
12
In argomento cfr. in particolare Cordopatri, L’abuso del processo nel diritto positivo ita
liano, in L’abuso del processo, cit., p.59 ss.. Per ampi riferimenti di dottrina e di giurisprudenza
v. da ultimo Carpi-Taruffo, Commentario breve al codice di procedura civile, VIII ed., Padova
2015, p.309 ss.. Rinvio a più oltre qualche commento sull’attuale terzo comma dell’art. 96, che
pare ispirarsi ad una logica completamente diversa.
192 Michele Taruffo
13
Così Ghirga, op.ult.cit., p.446, 457.
14
Bastino al riguardo gli esempi più recenti analizzati in Ghirga, op.ult.cit., p.447 ss.
15
V. in proposito infra, par.6.
16
Sulla categoria degli illeciti atipici v. Atienza-Ruiz Manero, Illeciti atipici: l’abuso del
diritto, la frode alla legge, lo sviamento di potere, tr.it., Bologna 2004.
17
In proposito v. in particolare Menchini, op.cit., p.120 ss.
L’abuso del processo 193
20
Cfr. Cordopatri, L’abuso del processo nel diritto positivo italiano, cit., p. 50 ss.. In argo-
mento v. da ultimo Tropea, op. cit., p.351 ss.; Asprella, op. cit., p. 104 ss.
L’abuso del processo 195
21
In proposito v. più ampiamente Taruffo, L’abuso del processo: profili generali, cit., p.
39, 45.
22
Cfr. Menchini, op. cit., p.117, ed in senso analogo Asprella, op. cit., p.121; Comoglio,
op. cit., p.328.
196 Michele Taruffo
ato Vincenzo Ferrari con la metafora del war game, nel processo le parti
assumono atteggiamenti diversi con la massima libertà possibile, approfit-
tando di ogni spazio per compiere le rispettive mosse in vista di finalità
fra loro incompatibili23. Limitare questa libertà di scelta delle tecniche e
delle strategie di difesa significherebbe porre restrizioni non giustificabili
all’attuazione concreta delle garanzie dell’azione e della difesa nell’ambito
del processo. Riprendendo per un attimo le metafore del gioco e della com-
petizione sportiva, sarebbe chiaramente assurdo chiedere allo scacchista di
rivelare all’inizio della partita quale sarà la sua strategia e quali saranno le
sue mosse in risposta alle mosse dell’avversario. Tutto ciò che gli si può
chiedere è di applicare puntualmente le regole del gioco. Analogamente,
non si può pretendere che l’allenatore di una squadra di calcio riveli in anti-
cipo la sua strategia. Ciò che si può pretendere è solo che la partita si svolga
in modo regolare. Questo significa che il giocatore è libero di scegliere la
sua «mossa» in ogni momento dello svolgimento della competizione, con
il solo limite consistente nel divieto di violare le regola del gioco.
D’altronde, e facendo ancora una volta riferimento alle norme che re-
golano la competizione processuale, è opportuno ricordare che esse già
contengono – come si è visto più sopra – un catalogo dettagliato delle
situazioni in cui la legge considera che la competizione si è svolta in modo
«scorretto». Volendo esprimersi in questo modo, si potrebbe dire che que-
sto è il catalogo delle situazioni in cui si configura un abuso del processo24,
nel senso ampio di un comportamento contrario alle «regole del gioco».
Peraltro, avendo il legislatore previsto queste fattispecie, con le relative
sanzioni, ci si può chiedere – come si è già accennato – se esso sia mera-
mente indicativo di alcuni casi specifici di una sorta di principio più gene-
rale, estensibile a piacere in via di interpretazione. In proposito vale come
minimo l’invito alla cautela di cui parla Vincenzo Ferrari25, se non altro
per evitare il rischio di una eccessiva ed ingiustificata compressione della
libertà tattica e strategica delle parti. Non è infondata, invero, la sensazione
che sia in atto una «deriva autoritaria» nell’interpretazione che spesso al
giurisprudenza dà dell’abuso del processo inteso come categoria atipica
applicabile in modo arbitrario per sanzionare comportamenti delle parti
che, per qualche ragione estranea alla applicazione delle norme processuali
specifiche, vengono considerati come «scorretti»26.
23
Cfr. Ferrari, op. cit., p.14, 23, 26.
24
In argomento cfr. Cordopatri, L’abuso del processo nel diritto positivo italiano, cit., p.
49 ss.
25
Cfr. Ferrari, op. cit., p. 30 ss.
26
In proposito v. Tropea, op. cit., p.395, anche con ampi riferimenti.
L’abuso del processo 197
27
In questo senso v. invece la monografia di Picò y Junoy, El principio de buena fe procesal,
Saragozza 2003.
28
Diversa è la situazione in alcuni paesi come Spagna, Portogallo e Brasile, dove esistono
norme che si riferiscono espressamente alla buona fede nel processo. V. da ultimo Tropea, op.cit.,
p.237; Taruffo, op. ult. cit., p.26.
29
In argomento cfr. l’ampia ed aggiornata analisi di Tropea, op.cit., p.235 ss., nonché Cor-
dopatri, op.ult.cit., p.63 ss.
198 Michele Taruffo
30
Cfr. Carratta, Dovere di verità e completezza nel processo civile, in Etica del processo,
cit., p. 145 ss., 224 ss. In argomento v. anche Taruffo, op.ult.cit., p.37 s.
31
Carratta, op. cit., p. 237, giustamente esclude che vi sia per le parti un dovere di «verità
materiale».
32
Nello stesso senso v.Carratta, op. cit., loc. ult. cit.
33
Si può osservare che se una parte pone a fondamento della sua domanda una narrazione
fattuale lacunosa, frammentaria, contraddittoria o manifestamente assurda perché contraria alla
normale esperienza, la conseguenza non è un abuso del processo ma la nullità della citazione per
violazione dell’art.163 n.4 cod.proc.civ. (cfr.l’art.164 comma 4 dello stesso codice).
34
In argomento v. più ampiamente Taruffo, La semplice verità. Il giudice e la costruzione
dei fatti, Bari 2009, p. 43 ss.
L’abuso del processo 199
35
Tra i molti riferimenti in proposito v. ad es. Carratta, op.cit., p.207 s.; Biavati, Interven
to, in L’abuso del processo, cit., p.250; Taruffo, L’abuso del processo: profili generali, cit., p.29 ss.
36
Sul tema v. ampiamente, e per numerosi riferimenti, Tropea, op.cit., p. 247, 264 ss.
37
Cfr. ad es.Tropea, op.cit., p.253 ss., 263; Taruffo, op.ult.cit., p.30 ss.;
38
V. infatti Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc. 2011,
p.513 ss.. L’incubo deriva dalla tendenza della Cassazione «ad interpretare gli istituti processuali
in funzione del valore considerato superiore della ragionevole durata»: cfr. Asprella, op.cit.,
p.123 ss.
200 Michele Taruffo
mere lo stesso ruolo della ragionevole durata del processo come canone
di interpretazione delle norme processuali39: un altro incubo, o lo stesso
incubo definito in altro modo, ma non meno pericoloso?
Soprattutto però – per quanto qui maggiormente interessa – ci si può
domandare a chi spetti la responsabilità dell’attuazione del preteso valore
costituito dalla durata ragionevole del processo. È almeno dubbio, infatti,
che tale responsabilità spetti alle parti. Come si è già detto, esse debbono
attenersi alle norme che regolano i loro atti e comportamenti, ma pare
difficile sostenere che inoltre esse debbono attivarsi per fare in modo che
il processo si svolga in modo «ragionevolmente rapido» (qualunque sia il
significato che si vuole attribuire a questa espressione irrimediabilmen-
te vaga). È constatazione ovvia, infatti, quella che dice che non tutte le
parti hanno il medesimo interesse alla rapidità del processo, tale interes-
se dipendendo ad esempio dalla natura e dall’oggetto della controversia e
dall’eventualità che parallelamente al processo si svolgano trattative o siano
in corso altri procedimenti in qualche modo connessi. Inoltre, entrambe le
parti possono non avere una particolare fretta di giungere alla decisione,
altrimenti non si spiegherebbe la sospensione concordata tra le parti am-
messa dall’art.296 del codice. Tornando di nuovo ad un esempio banale:
se il soccombente al quale non è stata notificata la sentenza ha sei mesi di
tempo per impugnarla, avrebbe senso imporgli (da parte di chi?) di impu-
gnarla molto tempo prima (quanto tempo prima: settimane, mesi?) poiché
in questo modo il processo durerebbe di meno? Sarebbe davvero abusiva
l’impugnazione proposta nell’ultimo giorno utile? In qual modo questo
preteso «ritardo» potrebbe o dovrebbe essere sanzionato?
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma la perplessità che in questo
modo emerge è se abbia davvero senso attribuire alle parti il dovere di fare
in modo che il processo abbia una durata ragionevole, poiché in caso con-
trario esse commetterebbero abusi anche qualora applicassero puntualmen-
te ciò che le norme processuali prevedono. È forse il caso di sottolineare
che l’art.111 della Costituzione dice testualmente che la legge – non le parti
– assicura la durata ragionevole del processo. È dunque il legislatore che ha
il dovere di assicurare tale durata ragionevole; di questo dovere non si può
far carico alle parti neppure quando – come accade – il legislatore dimostra
di essere strutturalmente incapace di far sì che i tempi della giustizia civile
si riducano in modo significativo.
Rimane tuttavia un altro soggetto al quale si potrebbe in ipotesi at-
tribuire il dovere di assicurare la durata ragionevole del processo, ossia
39
È l’auspicio formulato da Ghirga, Recenti sviluppi giurisprudenziali, cit., p.445.
L’abuso del processo 201
40
In argomento cfr. ad es. Cordopatri, L’abuso del processo nel diritto positivo italiano,
cit., p. 59 ss.
41
L’avverbio si spiega in quanto questa interpretazione esclude ciò che forse era nell’inten-
zione del legislatore, ossia la creazione di una fattispecie ulteriore, atipica, indeterminata e rimessa
alla assoluta discrezionalità del giudice, di abuso del processo.
42
V. ampie indicazioni in Carpi-Taruffo, op. cit., p. 404 ss.
43
Nel senso che il comma 3 dell’art. 96 configuri invece una fattispecie diversa ed ulteriore
202 Michele Taruffo
rispetto a quelle disciplinate nei primi due commi della norma v. invece Cordopatri, op. ult.
cit., p. 73 ss.
44
Op. cit., p. 263 s.
L’abuso del processo 203
avvenga45, ma pare che questo sia il vero aspetto del «diritto vivente» che
darebbe luogo all’abuso del processo.
Si può comunque osservare che anche per l’abuso del processo vale ciò
che scrive Aurelio Gentili a proposito dell’abuso del diritto in generale,
quando sottolinea da un lato che l’abuso non è un istituto ma è un argo-
mento, e dall’altro lato che questo argomento serve a giustificare un’ope-
razione con cui l’interprete (nel nostro caso: il giudice) disapplica la legge
per decidere il caso concreto sulla base di una norma diversa da quella
che regola il caso (nella nostra materia: le norme che regolano le attività
delle parti), norma che l’interprete sceglie per conto suo46, e quindi – si
può aggiungere – in maniera sostanzialmente arbitraria. È ciò che accade
nella frequente applicazione dell’art.96 comma 3, nella quale il riferimento
all’abuso serve a decidere in maniera incontrollata invocando il principio
della ragionevole durata del processo, di fatto sanzionando ogni compor-
tamento che il giudice – in una sua valutazione completamente personale
– ritenga in contrasto con questo principio. Si può però osservare che in
molti casi si tratta di decisioni che nella migliore delle ipotesi si possono
considerare extra legem (e nella peggiore contra legem) dato che si fondano
sulla disapplicazione della norma che regola direttamente la fattispecie, per
far prevalere su di essa criteri giustificativi individuati «altrove» secondo
valutazioni arbitrarie formulate caso per caso.
45
Il caso più evidente di incertezza dei principi che la stessa Cassazione dice di adottare
come «valori superiori» nell’interpretazione e nella valutazione dei comportamenti processuali
delle parti, è quello che costituisce anche l’esempio più importante, sempre a parere della Cassa-
zione, di abuso del processo, ossia il frazionamento della domanda. Potrebbe apparire ridicola, se
non fosse il segno di una tragica confusione di idee, la variabilità dei criteri a cui la stessa Corte
ha fatto riferimento nel volgere di pochi anni. In argomento v. l’esauriente analisi di Asprella,
op. cit., p. 26 ss., 54 ss., 71 ss., 99 ss., anche per numerosi riferimenti.
46
Cfr. Gentili, L’abuso del diritto come argomento, in Id., Il diritto come discorso, Milano
2013, p. 456 ss., e in L’abuso del diritto. Teoria, storia e ambiti disciplinari, a cura di V. Velluzzi,
Pisa 2012, p. 149 ss.
204 Michele Taruffo
Sergio Chiarloni
L’abuso del processo: un semplice Odnungsbegriff
privo di utilità per il diritto vivente
1
Catalano, L’abuso del processo, Milano, 2005; Nicotina, L’abuso nel processo civile,
Roma, 2005; Cordopatri, L’abuso del processo, Padova, 2000;
2
L’abuso del processo: Atti del 28 Convegno nazionale, Urbino, 23-24 settembre 2011 Bolo-
gna, 2012. (Quaderni dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile. Nuovissima serie, 61)
3
Abuse of Procedural Rights: Comparative Standards of Procedural Fairness a cura di Ta-
ruffo, New Orleans, 1998.
4
Cfr, ad esempio, da un lato VISINTINI, L’abuso del diritto come illecito aquiliano, e,
dall’altro, Borghetti, L’abuso del diritto in Francia, in questo volume.
5
Spunti di raffronto comparatistico in tema di abuso del processo (a margine della l. 24
marzo 2001, n. 89), in Nuova giur. civ. comm., 2003, 62.
6
Cfr., Ansanelli, Abuso del processo, in Di. disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, III, t. 1,
2007, 1.
206 Sergio Chiarloni
7
Come ci ricorda Carratta, Dovere di verità e completezza nel processo civile, in Etica
del processo e doveri elle parti, Atti del 29 Convegno nazionale, Genova 20-21 settembre 2013
Bologna, 2012. (Quaderni dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile. Nuovissima serie,
64), p. 161, di Missbrauch desProzesses si parlava già alla fine del secolo scorso.
8
Cfr., per tutti, Buzzacchi, Sanzioni processuali nelle Istituzioni di Gaio: una mappa nar
rativa per Gai. Inst. 4.171-172, in Collana della riv.dir.rom., Atti del convegno: Processo civile
e processo penale nell’esperienza del mondo antico, in www.ledonline.it/rivistadirittoromano/
attipontignano/html. Val la pena di ricordare che del problema si era occupato anche il giovane
Chiovenda: cfr. Le spese del processo civile romano, in Bullettino dell’Istituto di diritto romano,
pubblicato per cura del segretario perpetuo Vittorio Scialoja, Vol. VII, Roma, 1894 p. 287 ss.
L’abuso del processo: un semplice Odnungsbegriff 207
9
Riferimenti in Masoni, Il nuovo terzo comma dell’art. 96 c.p.c. e la condanna d’ufficio,
in www.aiga.it, Atti del convegno della Sezione Monza – 27 settembre 2010, su Le spese di lite:
riflessioni in tema di responsabilità aggravata per lite temeraria. Le novità della riforma.
208 Sergio Chiarloni
rilevanti, vale a dire a comportamenti che una volta accertati danno luogo
all’applicazione di una sanzione, secondo il noto paradigma kelseniano. A
meno che non si sia interessati ad una prospettiva de jure condendo, lamen-
tando che certi comportamenti che non lo sono, dovrebbero essere presi
in considerazione dal legislatore, in quanto si trovano fuori dalla portata
innovativa di un diritto vivente correttamente inteso.
Quel che importa è che le due prospettive siano tenute accuratamente
distinte, il che non succede sempre. Non mi pare infatti che, diversamente
da quanto accade nel diritto sostanziale, di fronte ad una disciplina come
quella del processo che da un secolo e mezzo prevede sanzioni per la lite
temeraria, ci sia molto spazio per un’elaborazione concettuale capace di
offrire nuovi strumenti di intervento al diritto vivente.
Lasciando da parte per il momento il dovere di lealtà e probità sancito
dall’art. 88 c.p.c., credo che bastino le dita di una mano per ricordare le
fattispecie rimanenti che qualcuno potrebbe, senza che sia peraltro neces-
sario, classificare come abuso.
Ne ricordo due
La prima era stata sanzionata dal legislatore con una legge speciale,
improvvidamente dichiarata illegittima dalla corte costituzionale con una
sentenza10 che a mio giudizio costituisce un classico esempio di «formali-
smo delle garanzie», secondo una vecchia formula che ho escogitato molti
anni fa.
Alludo alla legge 10 maggio 1976, n 358 che all’art. 2 aveva modificato
gli artt. 641 e 653 escludendo che il giudice nel pronunciare il decreto in-
giuntivo potesse liquidare le spese alla parte ricorrente quando la domanda
fosse fondata su un documento costituente titolo esecutivo.
10
Corte Cost. 31 dicembre 1986, n. 303, in Giur.it., 1987, I, 1, 963; in Foro it, 1987, I, 671,
con nota di Proto Pisani; in Foro padano, 1987, I, 3 con nota di Danovi, Decreto ingiuntivo
fondato su titoli esecutivi e liquidazione delle spese ; in Nuove leggi civ. comm., 1987, 137, con
nota di Consolo, Procedimento monitorio e rilevanza costituzionale della regola della condanna
del soccombente alla rifusione delle spese di lite; in Riv. dir. proc., 1987, 173, con nota di Tarzia,
Ricorso per ingiunzione fondato su titolo esecutivo e diritto alle spese. L’insufficiente ratio deci
dendi è basata sul rilievo che il decreto serve comunque per iscrivere l’ipoteca e che il creditore
munito di titolo, se agisse in via ordinaria, avrebbe comunque, in caso di vittoria, diritto al rim-
borso delle spese. Implicitamente, la decisione costituzionalizza il principio della soccombenza.
A me sembra invece evidente che la scelta di come allocare le spese di giudizio è una scelta di
opportunità da lasciare al legislatore ordinario, come d’altronde ci insegna l’esperienza compa-
rativa, dove il giusto processo (la due process of law clause della costituzione nordamericana, per
esempio), può benissimo accompagnarsi al diverso principio per cui le spese del giudizio sono
sopportate dalle parti che le hanno anticipate. Quanto all’ipoteca, la Corte avrebbe ben potuto
salvare la norma con una piccola manipolazione, stabilendo che il diritto al rimborso delle spese
andava condizionato all’allegazione dell’esistenza di immobili nel patrimonio del debitore.
L’abuso del processo: un semplice Odnungsbegriff 209
Ma un’altra attività dello stesso tipo, che ha, ugualmente, a che fare con
l’etica o se si preferisce con la deontologia del difensore ha dato luogo a
interventi della giurisprudenza allo scopo di contrastare l’apertura di una
forbice sempre più ampia tra interessi di tutela del cliente e interessi di
guadagno del professionista11, all’interno di un ceto professionale in fase di
«esplosione demografica», nonché di scadimento qualitativo in suoi ampi
settori e senza una visione sicura circa la direzione del proprio futuro.
Basti a quest’ultimo proposito pensare a quanto frequentemente si inizi
una causa di cognizione ordinaria quando basterebbe la tutela monitoria12
o addirittura l’esercizio dell’azione esecutiva. A quanto frequentemente
una causa di cognizione ordinaria venga radicata malgrado sia ictu oculi
inesistente il diritto vantato o malgrado, al contrario, il diritto sia incon-
testabile al punto che basterebbe una diffida e una trattativa per ottenere
l’adempimento ad opera del soggetto passivo. A quanto frequentemente,
in alcune zone del Paese si siano instaurate migliaia di cause previdenziali
per il valore di pochi euro13.
E vi è di più ed è qui che la giurisprudenza è intervenuta. Capita con
frequenza che, in materia di crediti pecuniari, la pretesa venga artificio-
samente frazionata, al fine di instaurare una pluralità di procedimenti al
posto di uno solo (ad esempio, si agisce separatamente per tante frazioni
del capitale, nonché per gli interessi). La cassazione a sezioni unite ha in-
11
Problema questo non solo italiano. Ad esempio esso è oggi particolarmente sentito nel
Regno Unito, dove l’aumento irrefrenabile delle somme stanziate a bilancio per il legal aid, or-
mai arrivate ad oltre un miliardo e mezzo di sterline, avvantaggia essenzialmente il ceto forense,
incoraggiato a complicare oltre misura le vicende processuali in virtù della consuetudine di farsi
pagare su base oraria. Cfr., in proposito, i rilievi di Zuckerman, No Win, no Fee, no Solution,
in The Time del 28 ottobre 1997.
12
Pellegrini, La litigiosità in Italia. Una ricerca sociologico-giuridica, Milano, 1997, p. 168
mostra che il ricorso al procedimento per decreto ingiuntivo è assai poco diffuso al Sud. Si
scende, da una media di 830 al Nord, ad una di 500 ingiunzioni ogni centomila abitanti. È cer-
tamente vero, come viene rilevato, che il fenomeno dipende soprattutto dalle diverse condizioni
economico-sociali nelle due zone del Paese. Molto probabilmente, peraltro, esso è anche correla-
bile in parte al fatto che gli avvocati preferiscono la via più fruttuosa della cognizione ordinaria,
affidandosi al brocardo dum pendet rendet, in un contesto dove il lavoro giudiziario è scarso,
paragonato al numero degli esercenti la professione.
13
L’enorme percentuale di cause previdenziali di valore infimo (a volte pochi euro) radicate
presso alcuni tribunali del Sud Italia, sintomi di accordi sotto banco tra avvocati e funzionari
dell’INPS (speriamo non anche di giudici). A questo proposito c’è da stupire per la non fre-
quente applicazione dell’art. 152 disp, att. c.p.c., nella parte aggiunta nel 2009 con l’intenzione
di contrastare un vero e proprio scandalo, ove si prevede che «le spese, competenze ed onorari
liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore
della prestazione dedotta in giudizio». Cosa che dovrebbe sollecitare il ministero della giustizia
ad inviare gli ispettori.
210 Sergio Chiarloni
14
Val la pena al riguardo di sottolineare che alcune di queste manifestazioni sono prese in
considerazione dal codice deontologico per gli avvocati, approvato dal Consiglio nazionale fo-
rense nella seduta del 17 aprile 1997. All’art. 49 sotto la rubrica «Pluralità di azioni nei confronti
della controparte» troviamo scritto: «L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime ini-
ziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando ciò non corrisponde ad effettive
ragioni di tutela della parte assistita».
L’abuso del processo: un semplice Odnungsbegriff 211
Orbene, la sanzione per l’abuso del processo non può che riguardare
il suo esito finale, sia in merito, che in rito. In tutti i casi che abbiamo
visto l’abuso castiga il soccombente, con l’inammissibilità in alcuni casi,
con l’aggravamento del costo del processo, in altri. L’abusatore del pro-
cesso non può essere la parte premiata con il riconoscimento della tutela
giurisdizionale a suo favore così così come all’abusatore del diritto non
può essere riconosciuta la protezione dell’interesse che quel diritto è indi-
rizzato a salvaguardare. L’applicazione dell’art. 88, invece, prescinde dalla
soccombenza, poiché qui, non si abusa del processo nell’applicazione dei
relativi istituti, ma, per dirla pianamente, ci si comporta male violando
regole dell’etica universale. Regole nelle quali si può, forse, far rientrare il
dovere di verità e correttezza ricostruito con grande cura, da Carratta15 in
sede di dichiarazioni delle parti nell’opera di individuazione dell’oggetto
del processo. Anche se al riguardo nutro alcuni dubbi, che non possono
qui venire analizzati, perché richiederebbero un troppo lungo discorso, da
riservare ad altra sede.
In conclusione possiamo anche apprezzare l’impegno dei molti che han-
no scritto di abuso del processo. A patto di renderci conto che il concetto
così costruito è un semplice Ordungsbegriff, utile esclusivamente a scopi
didattici o classificatori, per l’assolvimento di un compito di «sistematica
estrinseca», vale a dire in funzione di un’attività ordinatrice del pensiero
diretta non alla deduzione di conseguenze giuridiche, bensì alla padronan-
za della materia ed alla sua semplificazione
Op.cit., passim.
15
212 Sergio Chiarloni
Angelo De Zotti
Abusi della P. A. nei confronti del cittadino
Sommario: 1. La posizione del cittadino di fronte alla P.A. nella sua evoluzione che
corrisponde alla trasformazione dell’interesse legittimo da posizione passiva a posizione
attiva, protetta come e per certi aspetti più del diritto. – 2. La tutela dei nuovi diritti
del cittadino di fronte all’azione della P.A. nel rapporto oppositivo e pretensivo. – 3.
Alcuni esempi di cosa oggi si considera abuso o caratterizza l’abuso della P.A. e come
risponde l’apparato di protezione dei diritti e degli interessi legittimi del cittadino nei
confronti della P.A.
1. La posizione del cittadino di fronte alla P.A. nella sua evoluzione
che corrisponde alla trasformazione dell’interesse legittimo da posizio-
ne passiva a posizione attiva, protetta come e per certi aspetti più del
diritto
Fino a pochi decenni fa il cittadino italiano – benché riconosciuto «so-
vrano» dalla Costituzione – era, di fatto, di fronte alla burocrazia, un sud-
dito e tale comunque, a torto o a ragione, si sentiva:
– ogni procedimento amministrativo era atto di volontà unilaterale da
parte dell’Amministrazione e il cittadino non poteva intervenire a far sen-
tire le sue ragioni; non era codificato il principio della partecipazione;
– la Pubblica Amministrazione non aveva l’obbligo di concludere il
procedimento amministrativo con un provvedimento esplicito;
– il segreto d’Ufficio era un imperativo che nascondeva la P.A. al citta-
dino, e non lo garantiva dal rischio di imparzialità, o di abusi;
– nessun funzionario era responsabile personalmente della ‘pratica’; il
cittadino non veniva mai a conoscenza di dove e presso chi giaceva la
stessa.
– non c’era l’obbligo di concludere la pratica entro tempi prestabiliti,
e il cittadino poteva aspettare anni per veder riconosciuto un suo diritto.
Questo lo scenario più nero da cui siamo partiti e che ha cominciato la
sua mutazione con l’istituzione dei TAR e con la prima virata giurispru-
denziale degli anni 80
Oggi con la nuova legislazione, dalla 241/90 fino al recente T.U. sull’or-
dinamento degli enti locali, la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di
rinnovarsi nell’ottica dei diritti del cittadino.
I principi ispiratori sono:
214 Angelo De Zotti
interesse che abbia un rilievo, anche minimo, sul piano giuridico. In altri
termini, la visione deve essere motivata e non essere una semplice curiosità.
L’Amministrazione deve motivare validamente il rifiuto alla visione.
Va sottolineato che la regola è la trasparenza e il segreto è l’eccezione.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, è finalizzato a un con-
trollo democratico, esercitato dai cittadini, sull’operato dei pubblici poteri,
al fine di verificarne la conformità ai dettati costituzionali, e individuare
eventuali favoritismi e collusioni.
2. La tutela dei nuovi diritti del cittadino di fronte all’azione della
P.A. nel rapporto oppositivo e pretensivo
Cosa succede se questo quadro di principi e di regole non viene rispetta-
to e la P.A. abusa della propria posizione di titolare del potere autoritativo
basato sul principio di legalità.
Finita l’epoca dei controlli e finiti in cantina anche i rimedi ammini-
strativi (diversamente da quanto accade in Germania) oggi l’unico rimedio
(trascurando i vari difensori civici e le autorità di controllo) del cittadino
è rappresentato dal G.A..
Naturalmente devo essere breve e quindi dirò solo che la tutela del G.A.
è cresciuta nella stessa misura in cui è cresciuta (in contenuti, efficacia e
protezione) la situazione giuridica principe del cittadino verso la P.A. e cioè
l’interesse legittimo sia pretensivo che oppositivo.
Oggi anche dove la giurisdizione non è esclusiva (ossia riferita a diritti
e interessi legittimi) la tutela del cittadino è estremamente più piena e com-
pleta che in passato e basta pensare all’azione risarcitoria per equivalente
e alle sanzioni che possono colpire la P.A. inadempiente per capire che i
margini di tolleranza e le zone grigie in cui il potere autoritativo trovava
rifugio nella forma del potere discrezionale insindacabile sono praticamen-
te scomparse.
Penso anche ai poteri del giudice di assoggettare a consulenza tecnica
accertamenti e valutazioni che un tempo si ritenevano assolutamente in-
sindacabili sino a raggiungere la c.d. arbitrarietà.
3. Alcuni esempi di cosa oggi si considera abuso o caratterizza l’abu-
so della P.A. e come risponde l’apparato di protezione dei diritti e degli
interessi legittimi del cittadino nei confronti della P.A.
In cosa consiste oggi l’abuso della P.A. nei confronti del cittadino?
L’abuso consiste in una condotta scorretta, che anche quando non possa
essere classificata in sé come illecita merita di essere repressa perché con-
traria ai principi costituzionali o anche semplicemente generali che devono
ispirare il rapporto tra l’autorità e il cittadino.
216 Angelo De Zotti
1
Illuminanti sembrano le parole di G. Verde, L’abuso del diritto e l’abuso del processo (dopo
la lettura del recente libro di Tropea), in Riv. Dir. Proc., 2015, 4-5, 1085, il quale, dopo aver
osservato che il tema dell’abuso del processo è stato sempre trattato «in correlazione con quello
dell’abuso del diritto e quasi come se ne fosse una naturale e appendicolare continuazione»,
ravvisa «qualche difficoltà ad omologare le due situazioni»: «nel processo è difficile individuare
una fattispecie sussunta o sussumibile dalla norma giuridica e, quindi, è difficile immaginare un
quid che ne impedisca il dispiegarsi degli effetti. Il processo è materiato di istanze e di atti che
hanno per destinatario il giudice, prima ancora che la controparte».
220 Piera Maria Vipiana
2
M. Taruffo, Abuso del processo, in quest’opera, § 1, osserva che non sono pochi i giudici
che «si dedicano alla caccia delle fattispecie anche più rare di abuso del processo». V. altresì
Id., Abuso del processo, in Contratto e Impresa, 2015, n. 4-5, 832 ss. Con riguardo al processo
amministrativo, secondo G. Tropea, Spigolature in tema di abuso del processo, in Dir. Proc.
Amm., 2015, fasc. 4, pag. 1262 e segg., e spec. § 11, «… è proprio nel giudizio amministrativo
che il concetto di abuso trova la sua sublimazione, sia per il carattere tipicamente pretorio della
sua giurisprudenza, sia perché consente al giudice una sorta di valutazione pregiudiziale su un
super-interesse pubblico sempre immanente: quello all’efficiente processo».
3
Di «sempre più pervasivo richiamo all’abuso del processo» parla, significativamente, R.
Villata, Sui «motivi inerenti alla giurisdizione», in Riv. Dir. Proc., 2015, 3, 632, nota 1.
L’abuso del processo amministrativo 221
4
A tal fine «l’operazione logico-giuridica che il giudice è chiamato a compiere, vigendo
anche nella disciplina del processo amministrativo il principio fissato dall’art. 100 c.p.c. in virtù
del rinvio esterno operato dall’art. 39 c.p.a., si snoda in diversi momenti non tutti necessari,
occorrendo: a) delimitare il quadro fattuale emergente dagli atti del giudizio e sulla scorta di ciò
verificare in ragione del complesso della disciplina applicabile nella fattispecie se la posizione
azionata presenti un elemento che rispetto all’azione amministrativa contestata la ponga in una
situazione differente dall’aspirazione alla mera legittimità che anima tutti i consociati e se a li-
vello ordinamentale appaia giuridicamente apprezzata; b) accertare la presenza di una potenziale
lesione della posizione giuridica la cui tutela viene prospettata; c) individuare l’utilità, sia pure
potenziale o strumentale, di cui in concreto il ricorrente fruirebbe in caso di rimozione del
provvedimento; d) escludere che l’utilizzo del processo amministrativo si traduca in un abuso
del mezzo giurisdizionale (Cons. St., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3829). Le pronunce dei giudici
amministrativi citate nel presente lavoro si possono trovare, laddove non diversamente specifi-
cato, sul sito www.giustizia-amministrativa.it.
5
Cons. St., Sez. V, 9 marzo 2015, n. 1192.
6
S. Baccarini, Giudizio amministrativo e abuso del processo, in Dir. proc. amm., 2015,
fasc. 4, § 5.
222 Piera Maria Vipiana
7
G. Tropea, L’abuso del processo amministrativo. Studio critico, Napoli, 2015, 499.
8
Cfr., con riferimento al processo civile, A. Dondi – A. Giussani, Appunti sul problema
dell’abuso del processo civile nella prospettiva de iure condendo, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ.,
2007, 1, 193 ss., e F. Cordopatri, Ancora in tema di condanna del difensore alla rifusione delle
spese di lite, Nota a Cassazione civile, sez. Unite, 10 maggio 2006, n. 10706, in Giust. civ. 2007,
5, 1193 ss.
9
G. Tropea, L’abuso del processo amministrativo. Studio critico, cit., 487 e 501 ss.
10
Cons. Stato, Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5. Nella pronuncia si fa esplicito riferimento
all’abuso del processo, laddove osserva che la prassi dell’assorbimento è stata criticata, fra l’altro,
perché «il mancato esame di alcune censure, inoltre, non può mai essere giustificato da esigenze
di carattere istruttorio, in quanto in alcun modo difficoltà istruttorie o esigenze di sollecita
definizione della causa possono condurre ad una limitazione della tutela, salvi i casi di abuso
del processo».
L’abuso del processo amministrativo 223
11
Nella specie, una società aveva inoltrato ad una provincia undici autonome istanze per
il rinnovo di precedenti autorizzazioni all’installazione di cartellonistica pubblicitaria lungo
la rete viaria provinciale e quattro autonome istanze di rilascio di nuove autorizzazioni: la
provincia, dopo aver aperto e istruito quindici autonomi procedimenti, ha emanato, in date
variabili ricomprese nell’arco di poco più di un mese, quindici differenti provvedimenti di di-
niego fondati sulla valutazione di specifiche ragioni ostative collegate alla peculiare situazione
di fatto della sicurezza stradale relativa a zone diverse della rete viaria provinciale. Contro tali
dinieghi la società aveva proposto un unico ricorso dinanzi al T.a.r. per la Toscana, il quale
(Sez. III, 21 dicembre 2010, n. 6786) ha dichiarato inammissibile il ricorso, non ravvisando un
vincolo di connessione oggettiva tale da giustificare la riunione degli ipotetici autonomi ricorsi
che avrebbe dovuto proporre la società. La sentenza viene confermata dal Consiglio di Stato
(Sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6537), il quale, nel respingere l’appello contro di essa, osserva: in
primo luogo, che tutti i dinieghi impugnati hanno concluso autonomi procedimenti relativi a
diverse situazioni di viabilità e sono sostenuti da ragioni fattuali specifiche; in secondo luogo
che è irrilevante la deduzione in tutti i ricorsi siano dedotte delle medesime censure di difet-
to di motivazione e istruttoria atteso che le situazioni della viabilità, costitutive del sostrato
fattuale dei provvedimenti impugnati, sono diverse; in terzo luogo che è indubbio il notevole
vantaggio fiscale conseguito dal ricorrente che ha versato, in luogo di quindici, un solo contri-
buto unificato. Viceversa, se i soggetti che sono stati parti di uno stesso procedimento avanti
al giudice amministrativo, propongono domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo per
l’eccessiva durata di tale procedimento basata sullo stesso presupposto giuridico di fatto, depo-
sitando nello stesso giorno distinti ricorsi alla Corte d’appello, con il patrocinio del medesimo
difensore, tale condotta deve ritenersi configurare un abuso del processo (Cassazione civile,
sez. I, 12 maggio 2011, n. 10488).
12
In effetti, A. Dondi – A. Giussani, Appunti sul problema dell’abuso del processo civile
nella prospettiva de iure condendo, cit., 193 ss. parlano di abuso processuale come di un illecito
plurioffensivo.
224 Piera Maria Vipiana
13
Consiglio di Stato sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1478.
14
Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011 n. 3.
15
T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 6 maggio 2011, n. 653, n. 654, e n. 655.
16
V. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 14 settembre 2015, n. 1974. Nella specie, le ragioni
della domanda risarcitoria erano tutte presenti e nella disponibilità della parte ricorrente ben pri-
ma della data in cui il ricorrente aveva depositato una memoria con cui si riservava di articolare
la domanda: tali ragioni avrebbero potute essere articolate nel rispetto dei termini processuali di
cui all’art. 73 c.p.a. in vista dell’udienza pubblica.
17
E. Boscolo, Le condizioni dell’azione e l’abuso del processo amministrativo, in Giurispru
denza Italiana, 2014, n. 8-9, 2006 ss., Nota a Cons. St., Sez. V, 2 aprile 2014, n. 1572.
L’abuso del processo amministrativo 225
18
R. Damonte, Numero minimo, termine di efficacia e revoca delle offerte, Nota a Cons.
Giust. Amm. Sic., 29 gennaio 2015, n. 84, in Urbanistica e appalti, 2015, n. 5, 543 ss. e spec. 549.
19
Nel citare quest’ultima espressione, di Cons. Stato, Sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5255, Cons.
Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9, dopo aver premesso che «l’azione di annullamento da-
vanti al giudice amministrativo è soggetta – sulla falsariga del processo civile – a tre condizioni
fondamentali (titolo, interesse ad agire, legittimazione attiva/passiva), che devono sussistere al
momento della proposizione della domanda e permanere fino al momento della decisione fi-
nale», afferma: «tali condizioni (ed in particolare il c.d. titolo e l’interesse ad agire) assolvono
una funzione di filtro in chiave deflattiva delle domande proposte al giudice, fino ad assumere
l’aspetto di un controllo di meritevolezza dell’interesse sostanziale in gioco, alla luce dei valori
costituzionali ed internazionali rilevanti, veicolati dalle clausole generali fondamentali sancite
dagli artt. 24 e 111 Cost.; tale scrutinio di meritevolezza, costituisce, in quest’ottica, espressione
del più ampio divieto di abuso del processo».
20
T.R.G.A., Trento, 4 novembre 2015, n. 433; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 26 giugno
2105, n. 1780.
21
Ad esempio, il Cons. Giust. Amm. Sic., 23 gennaio 2015, n. 57, ha confermato la sentenza
di primo grado (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 14 marzo 2014, n. 836) nella quale si leggono i
seguenti passaggi: la natura «esplorativa» di un ricorso dev’essere verificata non sul piano della
specificità, o meno, dei motivi (aspetto attinente, invece, al profilo dell’ammissibilità delle do-
glianze dedotte), ma sul differente piano teleologico, ossia «della obiettiva finalità perseguita dal
ricorrente», sicché tale verifica riguarda il piano dell’interesse a ricorrere; in materia elettorale, il
fine precipuo del ricorso «esplorativo» non è quello, tutelato dall’ordinamento, di accertare even-
tuali illegittimità delle operazioni elettorali, ma è piuttosto «quello di addivenire a un secondo
scrutinio, in sede giurisdizionale, dei voti espressi, nella speranza di far affiorare ex post eventuali
vizi del voto ipotizzati ex ante in sede di ricorso»; quindi il ricorso «esplorativo» è inammissibile
perché tale impugnativa concreta «un vero e proprio abuso del processo, strumentalizzando le
potenzialità del giudizio al fine del conseguimento di un interesse non meritevole di tutela».
22
Cfr. T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 10 marzo 2016, n. 137.
23
Tale espressione si legge, ad esempio, in T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 19 maggio 2008, n.
1404, in www.giustamm.it, 2008, n. 5.
226 Piera Maria Vipiana
24
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, ordinanza 4 dicembre 2015, n. 1608.
25
Nel quadro dell’abuso del processo potevano essere viste pure le cosiddette migrazioni
cautelari: cfr. G. Tropea, L’abuso del processo amministrativo. Studio critico, cit., 489.
26
Infatti la legge prevede il menzionato strumento diretto per dare esecuzione piena e sa-
tisfativa alle sentenze che hanno accertato un’inerzia amministrativa, consentendo l’immediata
nomina del commissario ad acta che si sostituisca all’Amministrazione inadempiente per l’ado-
zione dell’atto mancato (Cons. Stato, Sez. VI, 22 ottobre 2015, n. 4844). In tema di giudizio di
ottemperanza e abuso processuale v. pure l’interessante caso preso in esame da T.A.R. Campania,
Napoli, Sez. VII, 6 maggio 2015, n. 2493.
27
T.A.R. Umbria, Sez. I, 27 gennaio 2016, n. 69 ( e già T.A.R. Umbria, Sez. I, 19 gennaio
2015, n. 39), con riferimento alla nota posizione di Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726.
Invece l’abuso processuale non sarebbe configurabile in presenza non di frazionamento di un
credito originariamente unitario, ma di due crediti soggettivamente diversi, sebbene sorti per
effetto del medesimo decreto (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 14 gennaio 2015, n. 151). Analoga-
L’abuso del processo amministrativo 227
Come si può notare dalla casistica appena riportata e che non è agevole
incasellare in categorie sistematiche chiare, siamo di fronte ad una cospicua
eterogeneità di fattispecie nelle quali si ravvisa l’abuso del processo ammi-
nistrativo. Invero, per un verso le parti non di rado inseriscono la menzio-
ne dell’abuso del processo nei loro ricorsi in primo grado o in appello37.
35
Cfr. Cons. St., Sez. III, 7 aprile 2014, n. 1630; Cons. St., sez. VI, 8 febbraio 2013, n. 703;
Cons. St., Sez. III, 17 maggio 2012, n. 2859; Cons. St., Sez. V, 7 febbraio 2012, n. 656. In dottrina
v.: P. Patrito – M. Protto, Eccezione di difetto di giurisdizione proposta in appello dal ricorren
te, in Urbanistica e appalti, 2012, 467 ss.; V. Carbone, Il giudicato implicito sulla giurisdizione
evita l’abuso del processo, in Corriere Giur., 2012, 3, 405 ss.; P. M. Vipiana, Il Consiglio di Stato
e l’abuso del processo amministrativo per contraddittorietà dei comportamenti processuali, in Giur.
it., 2012, 1429 ss.; R. Barbieri, Legittimazione ad eccepire il difetto di giurisdizione e abuso del
processo nella giustizia amministrativa, in Riv. dir. proc., 2013, n. 3, 754; F. Dinelli, La questione
di giurisdizione fra il divieto di abuso del diritto e il principio della parità delle parti nel processo,
in Foro amm.-Cons. Stato, 2012, 1998; Lo Presti, La contestazione in appello della giurisdizione
incardinata in primo grado integra abuso del processo?, ibid., 2011; G. D’Angelo, Eccezione di
difetto di giurisdizione e abuso del processo, Nota a Cons. Stato, Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5346
, in Urbanistica e appalti, 2015, 2, 181 ss.
36
Cfr. Cons. giust. Amm. Sic., 22 ottobre 2015, n. 634, che osserva come, in base a tale
orientamento, anche il ricorrente incidentale, qualora scelga di articolare domande (art. 42 cod.
proc. amm.) di accertamento pregiudiziale volte comunque ad ottenere una pronuncia che pre-
cluda l’esame del merito del ricorso principale, incorre in un abuso «se non versa lealmente e
da subito l’intero arco delle eccezioni in grado di paralizzare l’iniziativa avversaria». Sul punto
il Consiglio di giustizia ha disposto il deferimento della questione all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato.
37
Ad esempio, il T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 22 aprile 2015, n. 400, prende in esame
«l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla resistente amministrazione per violazio-
ne del principio d’intangibilità del giudicato e, più in generale, per abuso del processo».
L’abuso del processo amministrativo 229
38
V. infra ai §§ 5 e 8.
39
Ad esempio, nell’affermare l’improcedibilità del ricorso avverso l’ordinanza comunale
demolitoria, a seguito dell’istanza di sanatoria edilizia, un T.A.R. ha di recente osservato: «ed
eccessiva la preoccupazione del giudice amministrativo di evitare che la dichiarata improcedibi-
lità del ricorso avverso l’ordinanza demolitoria inneschi una nuova sequenza di ricorsi avverso i
provvedimenti demolitori successivi al diniego di sanatoria edilizia, con un paventato pericolo di
abuso del processo; infatti, un ordine di demolizione fondato su un diniego di sanatoria edilizia
divenuto incontestabile, sarebbe a sua volta un provvedimento incontestabile, almeno per i pro-
fili riferibili all’assenza del titolo edilizio, definitivamente accertata e non più ovviabile» (T.A.R.
Molise, Sez. I, 26 febbraio 2016, n. 86).
40
Cons. St., Sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6537.
41
Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2012, n. 1209.
42
Cons. Stato Sez. V, n. 656/2012, cit.
230 Piera Maria Vipiana
43
Cons. Stato, Sez. III, n. 1855/2015, cit., secondo cui la contestazione della giurisdizione
da parte del soggetto che abbia optato per quella giurisdizione e che, pur se soccombente nel
merito, sia risultato vittorioso, in forza di una pronuncia esplicita o di una statuizione impli-
cita, proprio sulla questione della giurisdizione arreca, fra l’altro, «un irragionevole sacrificio
alla controparte, costretta a difendersi nell’ambito del giudizio da incardinare innanzi al nuovo
giudice, in ipotesi provvisto di giurisdizione, adito secondo le regole in tema di translatio iudicii
dettate dall’art. 11 c.p.a.».
44
Cons. St., Sez. V, n. 1192/2015, cit. Per ampie critiche alla figura dell’abuso del processo
amministrativo v. pure l’ordinanza di Cons. giust. Amm. Sic., n. 634/2015.
45
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III ter, 13 novembre 2014, n. 11405.
46
In effetti la Sezione cita Cass. civ., Sez. Unite, 19 giugno 2014, n. 13940.
L’abuso del processo amministrativo 231
47
V. infra al § 8.
48
Significativo è di recente lo scritto e già il titolo di A. Panzarola, Presupposti e conseguen
ze della creazione giurisprudenziale del c.d. abuso del processo, Relazione al convegno di studio
organizzato in Roma il 28 maggio 2015 dalla Associazione italiana fra gli studiosi del processo
amministrativo dal titolo «Abuso del processo amministrativo?», in Dir. proc. amm., 2016, n. 1.
49
Quanto al processo civile, l’abuso del processo trova esili basi testuali, come afferma D.
Borghesi, Abuso del processo, in www.associazionecivilisti.it, 30 novembre 2009.
50
Ai sensi dell’art. 1, «La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva
secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo». A norma dell’art. 2, «Il processo
amministrativo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo
previsto dall’articolo 111, primo comma, della Costituzione» (c. 1) e «Il giudice amministrativo
e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo» (c. 2).
51
Ai sensi dell’art. 3 c.p.a. «Ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato» (comma
1) e «Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica» (comma 2).
232 Piera Maria Vipiana
52
M. Nunziata, La sinteticità degli atti processuali di parte nel processo amministrativo:
fra valore retorico e regola processuale, in Diritto Processuale Amministrativo, 2015, fasc. 4, pag.
1327 ss. V. pure: A. Giusti, Principio di sinteticità e abuso del processo amministrativo, in Giu
risprudenza Italiana, 2014, n. 1; C. Commandatore, Forma degli atti processuali. Sinteticità e
chiarezza degli atti processuali nel giusto processo, in Giurisprudenza Italiana, 2015, n. 4, 851 ss.;
53
In effetti, secondo la giurisprudenza della Corte EDU costituisce abuso del processo ogni
comportamento che possa ostacolare il buon andamento del procedimento, inclusa ogni condotta
consistente nel sottacere informazioni essenziali riguardanti i fatti di causa, l’uso eccessivo dei
procedimenti giudiziari o la mancata indicazione di collegamenti tra cause. In proposito v. T.A.R.
Piemonte, Sez. II, 18/12/2015, n. 1798.
54
Sull’art. 96, c. 3, c.p.c. cfr., ex multis: G. De Marzo, Le spese giudiziali e le riparazioni
nella riforma del processo civile, in Foro it., 2009, V, 397 ss.; G. Scarselli, Le novità per il
processo civile (L. 18 giugno 2009 n. 69). Le modifiche in tema di spese, ivi, 2009, V, 310 ss.; A.
Carratta – C. Mandrioli, Come cambia il processo civile. L. 69/2009, Giappichelli, Torino,
2009, p. 31; D. Potetti, Novità della L. n. 69 del 2009 in tema di spese di causa e responsabilità
aggravata, in Giur. merito, 2010, n. 4 , I, 936 ss.; R. Giordano, Brevi note sulla nuova respon
sabilità processuale cd. Aggravata, in Giur. merito, 2010, n. 2, II, 43 ss.; P. Porreca, La riforma
dell’art. 96 c.p.o. e la disciplina delle spese processuali nella L. n. 69 del 2009, in Giur. merito,
2010, n. 7-8, I, 1834 ss.; G. Buffone, L’art. 96, comma 3, c.p.c.: un ulteriore strumento di tutela
dei diritti dei minori, in Dir. Famiglia, 2011, 2, 1307 ss.; G. C. Salvatori, Tra abuso del diritto
L’abuso del processo amministrativo 233
e funzione punitiva: una lettura ricognitiva dell’art. 96, comma 3°, cod. proc. civ. e prospettive de
iure condendo, ne La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata 2015, n. 10, 10998.
55
Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252, e Consiglio di Stato, sez. V, 23
maggio 2011, n. 3083, secondo cui la somma di cui all’art. 96, co. 3, c.p.c. sarebbe un inden-
nizzo per il «danno lecito da processo», cioè il nocumento che la parte vittoriosa ha subito per
l’esistenza e durata del processo, anche se la controparte non ha agito o resistito in mala fede o
senza prudenza.
56
M. Lipari, La nuova sanzione per «lite temeraria» nel decreto sviluppo e nel correttivo al
codice del processo amministrativo: un istituto di dubbia utilità, in www.giustizia-amministrativa.
it, 3 novembre 2011, § 3.
57
Come osserva D. Nazzaro, Azione, «abuso processuale» ed «equa» condanna pecuniaria
(art. 26 del c.p.a. approvato con d. lgs. n. 104 del 2010), in www.giustizia-amministrativa.it,
14 marzo 2011, secondo cui in tal modo il legislatore ha voluto far fronte alle «liti meramente
avversative».
58
Ad esempio, Cons. giust. amm. Sic., sez. giurisd., 5 gennaio 2011, n. 13, ha preso in esame
il caso di una persona fisica al quale il Consiglio stesso, in più occasioni, aveva negato la legittima-
zione a ricorrere (come erede, quale socio delle società in amministrazione straordinaria o quale
liquidatore delle medesime società) contro provvedimenti riguardanti un complesso alberghiero.
Pertanto il Consiglio condanna tale persona, stante la sua totale soccombenza in giudizio e la
temerarietà della lite dalla stessa introdotta, al pagamento di un’ulteriore somma, in favore del
Ministero dello sviluppo economico e delle costituite società in amministrazione straordinaria: la
condanna viene basata sul contrasto delle difese svolte da tale persona con gli specifici precedenti
del Consiglio medesimo ed il risarcimento è riconosciuto a fronte del pregiudizio, causalmente
234 Piera Maria Vipiana
riconducibile all’iniziativa giudiziaria intrapresa dal soggetto, «in termini di maggiori costi, pub-
blici e privati, da sopportare nella definizione delle procedure di liquidazione dei beni delle so-
cietà in amministrazione straordinaria». Inoltre «deve essere riparato anche il danno morale delle
predette controparti per esser state costrette contrastare l’abuso del processo amministrativo» da
parte del soggetto medesimo, «in violazione dei valori costituzionali tutelati dagli artt. 24 e 111
Cost.». Viene quindi applicato l’istituto di cui all’art. 96, u.c., c.p.c., «poi riprodotto ... anche nel
citato art. 26, comma 2» c.p.a. Cfr. pure Cons. Stato, Sez. IV, n. 1131/2014, cit.
59
G. Comporti, La tutela risarcitoria « oltre « il codice, in Foro amministrativo TAR, 2010,
10, 67 ss., § 6, con citazioni di giurisprudenza. Cfr., ex multis, Cassazione civile, sez. VI, 13 set-
tembre 2011, n. 18745. V. anche Cassazione civile sez. VI, 23 dicembre 2011, n. 28592.
60
Come osserva G. Alpa, L’art. 140-bis del codice del consumo nella prospettiva del diritto
privato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 2, 379 ss., § 10, l’art. 140 bis, «per evitare l’abuso del
processo», «ha allestito un percorso piuttosto complesso, che può apparire una sorta di campo
minato»: si tratta di un «filtro collegato con requisiti processuali, oltre che con le limitazioni
derivanti dal diritto sostanziale»
61
G. Tropea, L’abuso del processo amministrativo. Studio critico, cit., 484.
62
N. Paolantonio, Abuso del processo (diritto processuale amministrativo), voce Enc. Dir.,
Annali, vol. II, tomo 1, Milano, 2008, 1 ss., e C. E. Gallo, L’abuso del processo nel giudizio
amministrativo, in Diritto e processo amministrativo, 2008, 1005 ss.
L’abuso del processo amministrativo 235
63
F. G. Scoca, Il «costo» del processo tra misura di efficienza e ostacolo all’accesso, in Dir.
Proc. Amm., 2014, fasc. 4, 1414 ss., spec. § 10.
64
M. F. Ghirga, Recenti sviluppi giurisprudenziali e normativi in tema di abuso del processo,
in Riv. Dir. Proc., 2015, 2, 445.
236 Piera Maria Vipiana
65
G. Verde, L’abuso del diritto e l’abuso del processo (dopo la lettura del recente libro di
Tropea), cit., § 3.
66
D’altronde, non mancano, in dottrina lavori il titolo dei quali fa riferimento proprio
all’abuso dell’abuso del processo: cfr. R. De Caria, La nuova fortuna dell’abuso del diritto nel
la giurisprudenza di legittimità: la Cassazione sta abusando dell’abuso? Una riflessione sul piano
L’abuso del processo amministrativo 237
costituzionale e della politica del diritto, in Giur. Cost., 2010, 4, 3627 ss., e M. Costanza, Brevi
note per non abusare dell’abuso del diritto, Nota a Cass., Sez. I, 11 dicembre 2000, n. 15592, in
Giust. Civ., 2001, 10, 2443.
67
Cons. St., Sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7486.
68
Cons. St., Sez. III, 13 aprile 2015, n. 1855, annotata da K. Peci, Difetto di giurisdizione
e abuso del processo amministrativo, in Giornale di diritto amministrativo, 2015, n. 5, 691 ss.
69
V. supra, al § 5.
238 Piera Maria Vipiana
70
Cass. civ., Sez. Unite, Sent., 19 giugno 2014, n. 13940.
L’abuso del processo amministrativo 239
71
Pertanto, come si è rilevato in dottrina, l’assunto cui pervengono le Sezioni unite si fonda
su queste due condizioni (M. F. Ghirga, Recenti sviluppi giurisprudenziali e normativi in tema
di abuso del processo, in Riv. Dir. Proc., 2015, 2, 445 ss., spec. § 4).
72
T.A.R. Lazio, Roma, sez. I quater, 24 maggio 2011, n. 4612.
240 Piera Maria Vipiana
L. Torchia, I principi generali, in Giorn. Dir. amm., 2010, 1120 s., la codificazione dei
74
1
La dottrina in tema di danni punitivi e di abuso del diritto è vasta. In questa relazione sono
citati solo quei saggi con cui si è più intensamente colloquiato.
2
M. Atienza & J.R. Manero, Illeciti atipici, Bologna, 2004.
3
A. Gambaro, Abuso del diritto, II)Diritto comparato e straniero, in Enc. giur., I, Roma,
1988, p. 10 ss.
4
Sulle problematiche terminologiche e di traduzione legate alla nozione di abuso v. A. Gam-
baro, Note in tema di abuso del diritto ed ordine di mercato nel diritto italiano e comunitario,
in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, 2011, p. 94 ss.
242 Francesca Benatti
noi ricondotte sotto la nozione di abuso del diritto, sono fattispecie tipiche
di torts. È il caso, ad esempio, della nuisance5.
Deve, dunque, essere esaminato se in concreto sia opportuna la liquida-
zione dei punitive damages nei casi di abuso del diritto per ottenere non
soltanto una effettiva deterrenza e sanzione, ma anche per supplire alle
difficoltà di quantificazione e concessione dei danni compensativi mediante
uno strumento che per sua stessa natura sfugge a esigenze di precisione,
rigore e alle limitazioni poste al risarcimento del danno6. È noto, infatti,
che oggi la determinazione del quantum costituisce una problematica si-
gnificativa per la complessità della realtà tecnica, economica e sociale: le
categorie tradizionali paiono non sufficientemente precise per inquadrare
la molteplicità delle fattispecie concrete. Si pensi alle distinzioni fra expec-
tation e reliance interest, fra lucro cessante e danno emergente, oggi poste
in discussione. La perdita di un bene produttivo7, ad esempio, comporta
entrambi i danni, tanto è vero che i modelli economici li costruiscono
insieme. In questo contesto è agevole osservare come i punitive damages
potrebbero essere una soluzione per superare tali difficoltà.
Il tema è tuttavia complicato per due ragioni diverse. La prima con-
siste nella maggiore attenzione di dottrina e giurisprudenza nel valutare
l’ammissibilità nel nostro ordinamento dell’abuso8 e successivamente nel
delineare le fattispecie in cui si concretizza rispetto alle sue conseguenze,
tra le quali si annovera il danno risarcibile. Peraltro questo elemento è stato
utilizzato quasi esclusivamente per determinare l’esistenza di un abuso. La
seconda riguarda la necessità, qualora si volessero adottare i danni punitivi
nell’abuso, di introdurli per via legislativa. Ciò dovrebbe comportare anche
la contestuale previsione di questa figura. Non si può, infatti, lasciare la
loro adozione all’opera della giurisprudenza che si troverebbe ad essere
creatrice sia della fattispecie che del danno.
Va osservato come il nostro legislatore è ricorso a una figura simile ai
danni punitivi solo nel caso di abuso del processo9. L’ art 96, comma terzo,
c.p.c., infatti, prevede che il giudice possa condannare la parte soccombente
5
Cfr. A. De Robilant, Abuse of Rights: The Continental Drug and the Common Law, 61
Hastings Law Journal , 2010,p. 687.
6
G. Calabresi, The complexity of torts-The case of punitive damages, in M.S. Madden (a
cura di) Exploring tort law, Cambridge University Press, 2005, p. 333 ss.
7
P. Trimarchi, Il Contratto: Inadempimento e rimedi, Milano, 2010, p. 129 ss.
8
Cfr. U. Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’ abuso del diritto nell’ ordinamento
giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 18 ss. In tal senso F. Busnelli e E. Na-
varretta, Abuso del diritto e responsabilità civile, in Studi in onore di Pietro Rescigno, vol. V,
Responsabilità civile e tutela dei diritti, Milano, 1998, 77 ss.
9
M. Taruffo, Elementi per una definizione di «abuso del processo», in Aa.Vv., L’abuso del
Danni punitivi e abuso del diritto 243
diritto, Padova, 1998, p. 435; Id., L’abuso del processo: profili generali, in Riv. trim. dir. e proc.
civ.,2012, p. 117 ss.
10
Cosi P. Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., I, 1965, p. 289.
11
C.M. Sharkey, Punitive damages as societal damages, in 113 Yale L. Jour., p. 2003, p.
347 ss.
244 Francesca Benatti
12
Sull’applicazione dei danni punitive nei casi di opportunistic o fraudolent breach of con-
tract mi permetto di rinviare a F. Benatti, Correggere e punire dalla law of torts all’inadempi
mento del contratto, Milano, 2008,p. 286 ss.
13
N.Y. Univ. v. Contl Ins. Co., 87 N.Y. 2d 308, 662 N.E.2d 763, 639 N.Y.S.2d 283 (1995).
Tuttavia gli standards utilizzati dalle corti sono vari. V. sul punto J. Leventhal & T. Dickerson,
Punitive Damages: Public Wrong or Egregious Conduct – A Survey of New York Law, in 76
Albany L. Rev., 2013, p. 961.
14
V. D. K. Moll, Shareholder Oppression And «Fair Value»: Of Discounts, Dates, and
Dastardly Deeds In The Close Corporation, in 54 Duke L. Jour., 2004, p. 293 ss., in particolare
nota 252.
Danni punitivi e abuso del diritto 245
15
Sull’ utilizzo dell’abuso del diritto in un ordinamento socialista cfr. G. Crespi Reghizzi
& R. Sacco, L’abuso del diritto nel sistema civilistico jugoslavo, Est-Ovest, (2), 1977, pp. 55
16
V. G. Alpa, Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi
riflessi negli ordinamenti degli Stati Membri, in Contr. impr., 2015, p.247.
17
N. Irti, La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, p. 36 ss.
18
V., ad esempio, M. Rotondi, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1923, p. 116 secondo cui
l’abuso del diritto «è un fenomeno sociale, non un concetto giuridico, anzi uno di quei fenomeni
che il diritto non potrà mai disciplinare in tutte le sue applicazioni che sono imprevedibili: è uno
stato d’animo, è la valutazione etica di un periodo di transizione, è quel che si vuole, ma non
una categoria giuridica, e ciò per la contraddizione che non lo consente».
19
Cfr., ad esempio, la ricostruzione di A. Gentili, Il diritto come discorso, Milano, 2013,
p. 401 ss.
246 Francesca Benatti
20
Per una critica puntuale alle varie ricostruzioni della figura dell’abuso C. Castronovo,
Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, p. 103 ss.
21
Si osserva come in Inghilterra vi sia una certa coincidenza tra danni punitivi e da ingiusto
profitto, essendo i casi di arricchimento tra quelli in cui sono consentiti i punitive damages.
Cfr. D. Rendleman, Measurement of Restitution: Coordinating Restitution with Compensatory
Damages and Punitive Damages, 68 Wash. & Lee L. Rev., 2011, p. 973 ss.
22
V. P. Pardolesi, Profitto illecito e risarcimento del danno, Trento, 2005.
23
P. Rescigno, L’abuso del diritto, cit., p. 289.
Danni punitivi e abuso del diritto 247
24
V. il caso Oldsmbile commentato da L. Feller, The Case for Federal Preemption of State
Dealer Franchise Laws: Lessons Learned from General Motors’ Oldsmobile Litigation and Other
Market Withdrawals, in 11 Penn. J. Bus. L., 2009, p. 909.
25
R. Pardolesi e A. Palmieri, Della serie «a volte ritornano»: l’abuso del diritto alla riscos
sa, in Foro It., 2010, c. 9598 ss.; R. Pardolesi, Nuovi abusi del diritto: percorsi di una clausola
generale, in Danno e Responsabilità, Part 12, 2012, p. 1165 ss.
248 Francesca Benatti
26
Su abuso e recesso ad nutum cfr. F. Gambino, Il Rapporto Obbligatorio,1, in Tratt.
Dir. Civ. diretto da R. Sacco, Torino, 2015, p. 222 ss.
27
Sui contratti di durata in generale v. M. Granieri, Il Tempo E Il Contratto. Itinera-
rio Storico-Comparativo Sui Contratti Di Durata, Milano, 2007.
Danni punitivi e abuso del diritto 249
Biotronik v. Conor Medsystems Ireland Ltd, March 27, 2014 – NY Court of Appeals.
28
250 Francesca Benatti
29
V., ad esempio G.B. Portale, Minoranze Di Blocco» E Abuso Del Voto Nell’espe-
rienza Europea: Dalla Tutela Risarcitoria Al Gouvernement Des Juges?, in Europa
E Dir. Priv., 1999, p. 153 ss.
30
Cfr. C. Angelici, La Società Per Azioni. Principi E Problemi, in Tratt. Dir. Civ.
Comm. diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schelsinger, Milano 2012, p. 66 ss
e p.340 ss.
31
V. G. Visintini, Cos’è la responsabilità civile, Napoli, 2014, p. 309 ss.
Danni punitivi e abuso del diritto 251
obiettivi e controllabili. Ciò vale anche nelle ipotesi in cui si ricorra all’art.
1226 c.c. Esso, infatti, può servire ad avvicinare la perdita subito a quella
liquidata quando non può essere provata o è difficile la quantificazione,
ma non per concedere più di quanto sofferto o per inventare un danno. I
criteri adottati dal decisore devono, pertanto, essere esposti con chiarezza
nella motivazione, risultando inadeguate forme vaghe e generiche, che non
permettono un controllo sul percorso logico-giuridico seguito.
Infine, il tema va considerato alla luce della globalizzazione e della con-
correnza fra sistemi32: la risarcibilità di danni da profitto o di quelli punitivi
in una fattispecie non chiaramente definita e soggetta alla visione dell’in-
terprete potrebbe di fatto comportare la preferibilità per altri ordinamenti
e dunque minori investimenti in Italia. Si pensi ad una multinazionale che
decida di sondare il mercato europeo provando ad una aprire una rete
commerciale in uno Stato: la presenza di risarcimenti sovracompensativi e
abuso del diritto, così viene delineato nelle sentenze della Cassazione nel
caso Renault33 o in quelle più recenti sull’ abuso di posizione dominante,
scoraggerebbe la scelta del nostro paese. Infatti, qualora l’impresa rece-
desse, magari a causa di margini di profitto inferiori alle aspettative o per
ragioni di ristrutturazione e di riorganizzazione, potrebbe rischiare di in-
correre in una sanzione. Uguale risultato si otterrebbe con la loro adozione
nel diritto societario, dove l’ammissibilità di punitive damages per abusi
della maggioranza o nelle ipotesi di gruppi per abuso di direzione e con-
trollo potrebbe far diminuire gli investimenti. Come è stato ricordato, «il
capitalismo ha bisogno di un diritto che si possa calcolare in modo simile
a una macchina34». «La calcolabilità esige un diritto formale che si appoggi
a fattispecie ed a giudizi sussuntivi35». Danni sovracompensativi e abuso
del diritto «precludono all’ imprenditore di contare sul futuro giuridico»36.
Non si può dimenticare, poi, come in tali fattispecie vi è il rischio la-
32
A. Zoppini (a cura), La concorrenza tra ordinamenti giuridici, Roma-Bari, 2004; A. Ni-
colussi, Europa e cosiddetta competizione tra ordinamenti giuridici, in Europa e dir. priv., 2006,
p. 84, A. Gambaro, Civil law e common law: evoluzione e metodi di confronto, in Aa.Vv., Due
iceberg a confronto: le derive di common law e civil law, in Quaderni Riv. trim dir. proc. civ.,
Milano, 2009, p. 7 ss.
33
V. F. Galgano, Qui iure suo abutitur neminem laedit?, in Contr. impr., 2011, p. 311 ss.
Cfr. inoltre sull’ abuso del diritto in ambito contrattuale i contributi di R. CaLVO, G. D’Amico,
G. De Cristofaro, F. Di Marzio, R. Favale, F. Macario, M.R. Maugeri, R. Natoli, M. Or-
landi, S. Pagliantini, C. RESTIVO, C. SCOGNAMIGLIO, G. VETTORI, in S. Pagliantini
(a cura di), Abuso del diritto e buona fede dei contraenti, Torino, 2010.
34
M. Weber, Storia economica ecc., 1919-1922, trad. it., Roma, 1993, p. 298, come riportato
in N. Irti, Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., I, p. 20.
35
N. Irti, Un diritto incalcolabile, cit., p. 20.
36
N. Irti, Un diritto incalcolabile, cit., p. 21.
252 Francesca Benatti
tente, spesso sottolineato dagli studi di analisi economica, che il costo sia
sopportato da altri soggetti quali i consumatori o i dipendenti.
3. Queste brevi osservazioni consentono alcune riflessioni
I danni sovracompensativi e l’abuso del diritto sono istituti che hanno
funzioni simili e che rispondono alla esigenza di colpire comportamenti
gravi, quando non vi sono o sono insufficienti i rimedi tradizionali. La
delicatezza di entrambi e il loro utilizzo nella pratica fanno però sorgere
delle perplessità sulla possibilità di combinarli, nonostante le suggestioni.
Non solo sono di ostacolo i contorni indefiniti dei due istituti a cui si
aggiunge l’uso sempre più frequente e spesso non condivisibile di clausole
generali come la buona fede, ma soprattutto il fatto che introdurre i danni
sovracompensativi in questa ipotesi comporta delle criticità derivanti dalla
scarsa esperienza del nostro ordinamento con tale figura. Alcuni problemi
andrebbero risolti precedentemente come la eventuale loro destinazione a
fondi particolari, la fissazione di un rapporto fra danni compensativi e pu-
nitivi o di un limite al loro ammontare. Anche se si optasse per l’adozione
di una forma di disgorgement, si imporrebbero comunque maggiori cautele
rispetto al 125 c.p.i. per le caratteristiche della fattispecie e i diversi ambiti
giuridici in cui può essere applicato. I danni sovracompensativi nell’ abuso
del diritto non devono diventare una forma di abuso. Nella ricostruzione
dell’istituto come certezza contro giustizia non bisogna dimenticare che la
certezza è essa stessa giustizia. È necessario un controllo per evitare che
«nei processi di concretizzazione del diritto si formi un residuo irraziona-
le prodotto da elementi non cognitivi provenienti dalla precomprensione
soggettiva del giudice»37.
37
L. Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 89.
Parte terza
L’abuso del diritto nel settore tributario
254 Franco Gallo
Franco Gallo
La nuova frontiera dell’abuso del diritto
in materia fiscale *
Sommario: 1. Una breve premessa filologica. – 2. Le diverse fasi della più recente «sto-
ria» dell’elusione fiscale illegittima e del divieto di abuso del diritto; 2.1. – Prima fase:
ante art. n. 10 della legge n. 408 del 1990; 2.2. – Seconda fase: l’art. 10 della legge n. 408
del 1990 e il vigente art. 37-bis del d.P.R. n. 600; 2.3. – Terza fase: le sentenze nn. 30055
e 30057 del 2008 della Cassazione. – 3. Il non sempre coerente percorso interpretativo
seguito dalla Corte di Cassazione. – 4. L’art. 5 della legge delega n. 23 del 2014. – 5.
Il decreto legislativo n. 128 del 5 agosto 2015. – 5.1. L’assenza di sostanza economica
e la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito. – 5.2. L’astrattezza della nozione
di abuso ed i conseguenti problemi interpretativi. – 5.3. L’interpello antiabuso e quello
disapplicativo, il contraddittorio preventivo e la nullità dell’accertamento per carenza di
motivazioni. – 6. Alcune brevi considerazioni sull’irrilevanza penale dell’abuso e sulla
sua sanzionabilità solo in via amministrativa.
* Questo scritto rappresenta una prima riflessione «a caldo» sulla nuova normativa riguar-
dante l’abuso del diritto-elusione in vigore dal 1° ottobre 2015. L’intenzione dell’autore è quella
di dare conto, per ora, del processo legislativo e giurisprudenziale – a livello sia comunitario che
nazionale – attraverso il quale si è giunti alla disciplina recata dall’art. 5 della legge delega n. 23
dell’11 marzo 2014 e dal d.lgs. n. 128 del 5 agosto 2015, attuativo di tale articolo.
In un prossimo saggio ci si ripromette di affrontare funditus i delicati problemi, d’ordine
più generale, conseguenti alla vigenza di un nuovo corpo normativo che, pur fornendo una più
precisa definizione dell’istituto, continua ad avere la sua fonte di diritto interno in un principio
sovraordinato desunto dall’art. 53 Cost., risolventesi nel divieto per gli operatori di usare lo
strumento dell’autonomia negoziale per alterare l’equo riparto dei carichi pubblici. Ciò, con
riferimento anche all’ordinamento dell’UE che, almeno per la prevalente dottrina (P. Farmer,
Prohibition of Abuse of (European) Law: The creation of New General Principle of EU Law
Through Tax: A Response, in R. De La Feira – S. Vogenhauer, Prohibition of Abuse of (Com
munity) Law: The Creation of a New General Principle of E.C. Law through Tax, in CMLRev.,
2008, pp. 45 e 521 ss.), parrebbe collocare il principio del divieto dell’abuso del diritto tra le sue
fonti primarie. Si tratterà, in particolare, di verificare sia la sufficienza della definizione data a cir-
coscrivere l’ambito dell’istituto sia, soprattutto, la compatibilità della nuova dettagliata disciplina,
fissata dal legislatore ordinario, con i suddetti sovraordinati principi costituzionali e comunitari
«a fattispecie indefinita», che è come dire verificare la «resistenza» e l’«imperforabilità» del nuo-
vo apparato normativo rispetto all’applicazione di questi stessi principi generali. In via teorica,
il problema è quello della delimitazione dei confini della copertura costituzionale delle nuove
256 Franco Gallo
di altri istituti contigui di diritto civile, come la frode alla legge, l’elusio-
ne, l’interposizione fittizia e il negozio indiretto. In Italia, fin dal periodo
antecedente la seconda guerra mondiale, è stato identificato con l’elusione
fiscale illegittima dai cultori di finanza pubblica come Griziotti e i rappre-
sentanti della sua scuola pavese.
Dal dopoguerra in poi la bibliografia è stata particolarmente ricca. Basti
pensare ai numerosi scritti dei cultori di diritto tributario, me compreso,
pubblicati prima e dopo il varo della legge n. 408 del 1990 che ha disci-
plinato per la prima volta l’elusione fiscale1. Detta legge conteneva, nel
suo art. 10, una prima clausola antielusione, diciamo così, di tenore gene-
rale seppur di applicazione parziale, che è poi confluita, con modifiche,
nell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera del d.lgs n. 358 del 1997.
Quest’ultima disposizione è stata sostituita, con decorrenza dal 1° ottobre
2015, dal d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, recante «Disposizioni sulla certezza
del diritto nei rapporti fra fisco e contribuente», in attuazione degli artt.
5, 6 e 8, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23, il cui titolo I consacra
definitivamente in via legislativa l’identità dei due concetti o, se si preferi-
sce, la uguale disciplina dei due istituti.
Indipendentemente da questo punto di arrivo, si può comunque dire che
l’istituto dell’abuso del diritto in campo fiscale è stato sempre di difficile
individuazione. A suo tempo feci una rapida indagine sui diversi significati
in cui esso è stato inteso nelle legislazioni dei maggiori paesi occidentali2 e
nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. Ebbi la sorpresa di appren-
dere che l’abuso del diritto è stato identificato, oltrechè con l’elusione in
senso stretto – e cioè, come vedremo meglio più avanti, con l’uso distorto
di negozi e atti per ottenere un risparmio di imposta, che è come dire
con l’abuso dell’autonomia privata – a volte, con il semplice aggiramento
(circonvention) e la frode alla legge fiscale; a volte, con la sola malafede
contrattuale; a volte, con il comportamento contra bonos mores; a volte,
con la simulazione e le costruzioni di puro artificio; a volte infine, con la
norme garantita dall’art. 53 Cost. e, attraverso l’art. 117, primo comma, Cost., dalle norme di
diritto internazionale convenzionale. Su questo tema alcune prime considerazioni sono state
svolte da A. Fedele, Il valore dei principi nella giurisprudenza tributaria, in Riv. dir. trib., 2013,
10, p. 877 e G. Fransoni, Abuso ed elusione del diritto, in Libro dell’anno del diritto, 2015,
Treccani, pp. 6-7.
1
Per una esauriente ampia bibliografia al riguardo rinvio al saggio ricostruttivo di G. Melis,
Abuso del diritto (rectius, elusione) ed interpretazione nel diritto tributario, destinato agli scritti
in onore di A. Fantozzi e A. Fedele di prossima pubblicazione.
2
Per un’attenta, recente indagine sull’abuso del diritto nella prospettiva comparata si veda,
comunque, il saggio di P. Mastellone, Fenomenologia dell’abuso del diritto tributario nella
prospettiva comparata, in Riv. Dir. Trib. Int., n. 1/2014, pp. 295-346.
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 257
3
Sul punto mi permetto di rinviare al mio Elusione, risparmio d’imposta e frode alla legge,
in Studi in onore di E. ALLORIO, vol. II, 1989, pp. 2041-2070.
258 Franco Gallo
4
Tale non può considerarsi, per unanime opinione, l’art. 6, comma 2, dello stesso TUIR che
sancisce «la tassazione dei proventi conseguiti in sostituzione dei redditi».
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 259
5
Da me a suo tempo inutilmente indicata e teorizzata (Elusione, risparmio d’imposta e fro
de alla legge, cit., passim; Limiti e caratteristiche degli acquisti con prevalente finalità fiscale, in
Acquisizione di società e di pacchetti azionari di riferimento, Aa.Vv., Milano, 1990).
260 Franco Gallo
6
Principi, beninteso, da applicare pur sempre nei limiti delle regole che disciplinano il rap-
porto tra ordinamento comunitario e ordinamento interno
262 Franco Gallo
dello stesso articolo7; b2) le operazioni per le quali non esiste una specifica
norma antielusione che le preveda (che si riducono poi alle operazioni non
comprese nell’elencazione tassativa di cui allo stesso comma 3 dell’art. 37-
bis e non oggetto di specifiche norme antielusive).
È, in particolare, con riguardo a queste ultime operazioni che si sono
posti i maggiori problemi interpretativi affrontati dalla Suprema Corte.
Questa si è chiesta se debbano considerarsi illegittime solo le operazioni
elusive sub b1), indicate nel comma 3, e legittime quelle sub b2), ivi non
indicate, o se, invece, debba applicarsi in ambedue i casi un regime antie-
lusivo; regime che, per le operazioni elencate nel terzo comma, sarebbe
7
E cioè la normativa dell’art. 37-bis, con riferimento alle imposte sui redditi, e quella dell’art.
20 del d.P.R. n. 131 del 1986 relativamente all’imposta di registro, la quale dispone che «l’imposta
è applicata secondo la intrinseca natura degli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione,
anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente». Riguardo a quest’ultima disposizione
rilevo che essa è stata considerata dalla Cassazione non una norma antielusiva, bensì una norma
«speciale» relativa all’interpretazione degli atti sottoposti a registro. Mi domando però che senso
abbia, in via teorica, fare questa distinzione quando la Suprema Corte ha utilizzato comunque
l’art. 20 per raggiungere l’effetto proprio delle norme antielusive, e cioè la inopponibilità di un
atto negoziale assoggettabile ad imposta di registro stipulato per ottenere un risparmio d’imposta
fiscale senza che sussistano valide ragioni economiche (ragionando, quindi, esclusivamente in
termini di effetti economici). In particolare, la Corte ha considerato legittima, ai sensi dell’art.
20, la riqualificazione di determinati «negozi collegati» operata dal Fisco sulla base di ragioni
puramente economiche, ancorché, come si è visto, detto articolo preveda solo la prevalenza
degli effetti giuridici sul titolo e sull’apparenza negoziale e non anche degli effetti economici. Il
risultato di tale posizione interpretativa si riduce, pertanto, nella non applicazione alle operazioni
considerate nell’art. 20 del contraddittorio preventivo e delle altre garanzie previste dall’art. 37-
bis per le sole operazioni antielusive assoggettate alle imposte sul reddito.
Delle tante sentenze che hanno ragionato in questi termini ricordo solo due che mi sem-
brano più rilevanti. Con la sentenza n. 10660 del 2003 la Cassazione aveva di fronte un’ipotesi
di vendita di un’azienda che era stata autonomamente assoggettata a imposta di registro e della
separata vendita dell’immobile strumentale assoggettata ad iva. Essa, ragionando fuori dallo sche-
ma giuridico dei negozi usati dai contraenti, ha riqualificato tali negozi come un’unica vendita di
azienda (comprensiva, dunque, dell’immobile strumentale), che doveva pertanto essere assogget-
tata ad imposta di registro e non ad iva. Con la sentenza n. 2713 del 2002, ha affrontato il tema
del regime fiscale del conferimento in società di un bene immobile gravato da mutuo ipotecario
e della cessione separata di quote sociali da parte dei conferenti ai soci della società conferitaria
(effettuato dopo un mese dalla prima operazione di conferimento). La Suprema Corte anche qui
ha riqualificato questi negozi come trasferimento dell’immobile alla società, avendo riguardo allo
scopo di risparmio fiscale perseguito, con conseguente assoggettamento al più gravoso regime
fiscale delle cessioni immobiliari. Mi pare abbastanza evidente che questo orientamento giuri-
sprudenziale forza non poco la lettera dell’art. 20, la quale non consente di avere riguardo agli
effetti economici. Coerenza, quindi, vorrebbe che la Cassazione, volendo mantenere questa sua
giurisprudenza, desse una giustificazione dell’art. 20 in termini antielusivi (e cioè con riferimento
al principio non scritto antiabuso), anziché creare in via solo interpretativa un sorta di tertium
genus tra interpretazione strettamente civilistica e norma fiscale antielusiva. Su questa specifica
problematica rinvio, comunque, al recente studio di G. Girelli, Abuso del diritto e imposta di
registro, Torino, 2013, pp. 61-93 e 97-132.
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 263
O alla disciplina interna della nullità negoziale per mancanza della «causa concreta» richia-
9
mata da una precedente sentenza (n. 20398 del 2005) rimasta isolata.
264 Franco Gallo
fiscale10, ha affermato nelle sentenze nn. 30055 e 30057 del 2008 che «non
può non ritenersi insito nell’ordinamento, quale diretta derivazione delle
norme costituzionali [nella specie, quella dell’art. 53 Cost.], il principio
secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’uso
distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di stru-
menti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale».
3. Il non sempre coerente percorso interpretativo seguito dalla Cor-
te di Cassazione
Con le sentenze sopra richiamate e con numerose successive dello stesso
tenore, la Corte di Cassazione è giunta, dunque, alla conclusione di appli-
care alle operazioni assoggettabili ad imposte non armonizzate il principio
generale antiabuso di diritto interno, ragionando sull’implicito presuppo-
sto interpretativo che l’art. 37-bis non sarebbe l’unica fonte normativa del
divieto dell’abuso del diritto contenente i criteri di decisione, ma rappre-
senterebbe la mera espressione dell’immanente principio di capacità con-
tributiva avente generale ed indiscriminata applicazione; di quel principio,
cioè, che vieta ogni atto di autonomia privata che abbia l’effetto di ledere
l’equo riparto dei carichi pubblici operato dal legislatore tributario. Non
essendo l’art. 37-bis la diretta autonoma fonte normativa della disciplina
antiabuso, la conseguenza inevitabile è che tutte le operazioni che produ-
cono tale effetto – si badi bene, sia quelle previste dal suo terzo comma,
sia quelle non previste – sono inopponibili al fisco in quanto violano (non
detto articolo, ma) direttamente la norma sovraordinata dell’art. 53 Cost.
e del quale l’art. 37-bis medesimo costituirebbe una mera attuazione-de-
rivazione.
Devo dire però, in via incidentale, che da questo consolidato non sem-
pre coerente orientamento interpretativo – fondato, lo ripeto, sulla non
autonomia precettiva dell’art. 37-bis – si è discostata la recente pronuncia
della stessa Cassazione n. 27087 del 19 dicembre 2014. Essa, prendendo ra-
dicalmente le distanze dalle precedenti sentenze (senza peraltro richiamarle
ed esplicitamente criticarle), è tornata ad attribuire ai primi due commi
dell’art. 37-bis un’autonoma portata precettiva e, contemporaneamente, al
compimento delle operazioni elencate al terzo comma la funzione di con-
dizione di applicabilità dei primi due.
10
La cui imperatività, contrariamente a quanto sostenuto in passato dalla stessa Suprema
Corte, deriverebbe ora dal combinato disposto del precetto costituzionale dell’art. 53, che pre-
vede il dovere di concorrere alle pubbliche spese in ragione della capacità contributiva, e della
norma tributaria sostanziale che tale dovere rende effettivo individuando il presupposto di im-
posizione.
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 265
Sul punto rinvio alle belle pagine di teoria generale di N. Lipari, I civilisti e la certezza
11
266 Franco Gallo
al richiamo fatto dalla Corte a detto art. 53 per rimuovere i negozi posti
in essere dal contribuente. Bisogna domandarci cioè:
– se il fatto che alcune operazioni siano dirette ad alterare, a fini di
risparmio fiscale, la distribuzione dei carichi pubblici voluta dal legislatore
ai sensi dell’art. 53 Cost. sia sufficiente, da solo, a renderle inopponibili al
fisco, senza che sia necessario dimostrare anche la fraudolenza dell’attività
negoziale e, comunque, il carattere indebito del vantaggio fiscale;
– o se, invece, il riferimento al principio di capacità contributiva non
debba in ogni caso essere accompagnato, per integrare l’ipotesi di com-
portamento elusivo illegittimo, dalla contestuale applicazione del principio
sottordinato della buona fede e dell’affidamento, oltreché da quello della
correttezza e della prevalenza della sostanza sulla forma, indicati rispet-
tivamente nell’art. 10 dello statuto dei diritti del contribuente, di cui alla
legge n. 212 del 27 luglio 2000, e nelle disposizioni sui principi contabili
internazionali (IAS – IFRS).
Una risposta a tale domanda nel senso dell’abbinamento di questi prin-
cipi è desumibile chiaramente dalle stesse richiamate pronunce della Supre-
ma Corte. In tali sentenze e in altre successive essa ha superato di slancio
questo dilemma interpretativo affermando espressamente, come si è visto,
che la clausola generale antiabuso, pur avendo la sua unica base normativa
nel solo principio sovraordinato di capacità contributiva (e cioè in un prin-
cipio «a fattispecie indefinita»), deve trovare comunque applicazione solo
in presenza di «indebiti vantaggi fiscali» derivanti «dall’utilizzo distorto di
strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale» e solo quando
non esistono valide ragioni economiche che giustificano l’operazione.
Questa affermazione è frutto di puro buon senso, anche se non è la
stretta conseguenza del generale ed astratto principio antiabuso. Essa ha
del diritto, destinato agli Studi in onore di N. PICARDI, di prossima pubblicazione, pp. 2-29.
Questo Autore sottolinea che le clausole generali, come quella antiabuso, riposano «non già
sull’oggettività di norme calcolabili», ma «sull’incontrollabile soggettivismo della decisione», con
la conseguenza che tanto più una clausola ha valore generale, tanto più è creativa la funzione
svolta dal giudice. Con riferimento specifico all’istituto dell’abuso del diritto, Lipari rileva, sul
filo di questa considerazione, che la costituzionalizzazione della clausola generale che ne sancisce
il divieto è la conseguenza del fatto che il giudice fonda il principio giuridico, quale che sia la
motivazione prescelta, solo su indici che egli «ricava dalla coscienza sociale, peraltro alla luce di
parametri non definiti». Sempre secondo tale Autore, la norma costituzionale fonte di tale clau-
sola, essendo «norma senza fattispecie», determina uno spostamento del criterio di valutazione
della prescrittività legale al valore degli interessi. Su questa stessa linea si pone N. Irti (La crisi
della fattispecie in Riv. Dir. Proc., 2014, pp. 41 ss.), il quale afferma che attraverso tali forme di
costituzionalizzazione i criteri di decisione si spostano al di sopra della legge (ordinaria), dando
così luogo ad un «innalzarsi dalla legge al diritto» e «dal diritto ai valori», il tutto come conse-
guenza dell’innalzarsi delle «leggi ordinarie alle norme costituzionali».
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 267
dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600, a volte anche il terzo comma dello stes-
so articolo – esercitino i loro poteri di accertamento senza precise guide
lines. Non v’è dubbio, infatti, che finora essi, confortati qualche volta dai
giudici di merito e da alcune sentenze della stessa Cassazione, sono passati
da una nozione di abuso in termini di fraudolenza o aggiramento, ad una
in termini di mera antieconomicità o di solo utilizzo di una diversa forma
giuridica (ad esempio, la forma della srl in luogo di quella della spa), fino ad
arrivare al punto di dare rilievo anche al solo dato, meramente soggettivo,
della coincidenza dell’uso distorto degli strumenti negoziali con la semplice
intenzione di ottenere un vantaggio fiscale.
L’art. 5 di detta legge delega si è dato, perciò, carico:
– di fissare finalmente una clausola antiabuso generale valida anche per
ogni tributo non armonizzato e quindi sganciata, come vuole la richiamata
giurisprudenza della Corte di Cassazione, dall’elencazione delle operazioni
contenuta nell’art. 37-bis (fatte salve, in ogni caso, le fattispecie antielusive
previste da altre specifiche norme);
– di definire espressamente, in via generale, l’abuso del diritto nel sen-
so appunto, indicato dalle ricordate sentenze e ricavabile dall’art. 37-bis,
primo e secondo comma, di «uso distorto di strumenti giuridici idonei
ad ottenere un risparmio d’imposta», escludendo, però, la configurabilità
di tale condotta se «l’operazione è giustificata da ragioni extrafiscali non
marginali», (lett. a) e b));
– di confermare così che il comportamento abusivo deve essere pur
sempre contrario al principio della buona fede e al dovere di reciproca
lealtà tra fisco e contribuente. La prova della carenza della buona fede e
dell’alterazione indebita del riparto contributivo deve risolversi nella dimo-
strazione che l’operazione è stata pur sempre posta in essere in assenza di
valide ragioni economiche e con eccesso di abilità fiscale, evidenziato dalla
artificiosità e tortuosità della ricostruzione giuridica, dalla preordinazione
delle operazioni, da una voluta anormalità delle procedure usate e dalla
manipolazione e alterazione di schemi negoziali classici (lett. a), b) e c));
– di sottolineare che, in ogni caso, la presenza di ragioni extrafiscali non
marginali esclude l’abusività dell’operazione;
– di indicare, sul piano procedimentale, al legislatore delegato criteri e
principi direttivi atti a creare, nel rispetto della regola generale del contrad-
dittorio preventivo, più precise e stringenti norme procedurali cui devono
attenersi gli uffici in sede di accertamento dell’abuso del diritto (lett. d),
e) e f)).
Questi principi e criteri costituiscono l’essenza anche dell’abuso comu-
nitario, come lo intende la stessa Corte di Giustizia dell’UE quando parla
di aggiramento, fraus legis ed elusione e quando rileva che, nonostante
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 269
12
In questo senso si esprime, con molta chiarezza, la recente sentenza della Corte di giustizia
UE 15 marzo 2014 causa C-155/13, SICES e A.C. Agenzia delle Dogane di Venezia. Essa afferma
che l’accertamento dell’esistenza di una pratica abusiva richiede che ricorrano cumulativamente
un elemento oggettivo e uno soggettivo. Quanto al primo, deve risultare che, nonostante il
rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’UE, l’obiettivo perseguito da tale
normativa non è stato raggiunto (sono così confermate le precedenti sentenze 14 dicembre 2000,
Emsland-Stärke, C-110, 99 Racc. I-11569, punto 52 e 21 luglio 2005, Eichsfelder Schlachtbetrieb,
C-515/03, Racc. I-7355, punto 39). Quanto al secondo elemento, deve risultare che lo scopo
essenziale delle operazioni controverse è il conseguimento di un vantaggio indebito. Non si ha,
quindi, abuso tutte le volte che le operazioni possono spiegarsi in modo diverso dal mero conse-
guimento di vantaggi e, cioè, quando non si ha la prova del carattere artificioso delle operazioni
(così pure le precedenti sentenze 21 febbraio 2006, Halifax, C-255/02, Racc. I-1609, punto 68; 22
dicembre 2010, Weald Leasing Ltd, C-103/09, nonché la appena richiamata sentenza Emsland-
Stärke, punto 53 e la sentenza 21 febbraio 2008, Part Service, C-425/06, Racc. I-897, punto 62).
270 Franco Gallo
13
Per un esaustivo esame di tale Raccomandazione si rinvia a G. Zizzo, L’abuso del diritto
tra incertezze della delega e raccomandazioni europee, in Corriere Tributario, n. 39/2014, p. 2997.
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 271
14
Sul punto va ricordato che il Conseil constitutionnel français con la sentenza 685 del 29
dicembre 2013 – commentata adesivamente da M. Procopio, La poco convincente riforma
dell’abuso del diritto ed i dubbi di legittimità costituzionale, in Dir. prat. trib., 2014, p. 746 ss. –
ha dichiarato incostituzionale la sostituzione operata dal legislatore francese, all’inizio del 2013,
dell’avverbio «esclusivamente» con quella «prevalentemente». Ha motivato laconicamente la sua
decisione con l’argomento che con tale modifica si era attribuito un eccessivo potere discrezio-
nale all’amministrazione finanziaria costituzionalmente inaccettabile.
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 273
sono l’essenza della certezza del diritto, almeno quella definita dal pensiero
illuministico e giuspositivistico. In un clima in continuo mutamento come
l’attuale, in cui pure in via teorica il diritto tende ad essere «incerto», plu-
rale nelle fonti, flessibile nelle strutture e, per definizione, opinabile negli
esiti, sarebbe già sufficiente che una disciplina di per sé necessariamente
astratta, come quella dell’abuso del diritto, assicurasse una certa stabilità
nella sua regolamentazione giuridica nel tempo, una soddisfacente omo-
geneità dei criteri di interpretazione e una maggiore controllabilità delle
argomentazioni addotte dalle parti e dai giudici nelle motivazioni e nelle
decisioni. Non si dimentichi che, dagli anni Ottanta in poi, l’abuso ha
subito quelle diverse regolamentazioni e quei continui capovolgimenti di
indirizzi giurisprudenziali di cui ho dato conto nei precedenti paragrafi 2,
3 e 4.
Sotto questo profilo si capisce, dunque, che assumeranno particolare
rilievo in futuro gli strumenti di compliance, come l’instaurazione di un
contraddittorio preventivo tra fisco e contribuente e le regole dell’interpel-
lo di cui dirò in seguito, ancor più della ripartizione dell’onere della prova.
Il tratto saliente delle nuove norme è, comunque, da rinvenire soprat-
tutto nel carattere residuale della assunta nozione di abuso. Ai sensi del
comma 12 del nuovo art. 10-bis, l’abuso è, infatti, configurabile solo se «i
vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione
di specifiche disposizioni tributarie», e cioè solo se il contribuente conse-
gue tali vantaggi attraverso fattispecie non riconducibili all’evasione.
Il che significa che devono essere esclusi dalla nozione di condotta abu-
siva e devono confluire in quella di evasione tutti quei comportamenti e
quelle situazioni che conducono alla rappresentazione di risultati diversi
da (o in contrasto con) quelli previsti dalla legge e, perciò, non solo, ov-
viamente, gli occultamenti di ricavi e proventi, le deduzioni di spese non
inerenti o fittizie, ma anche quelle alterazioni dei fatti economici che fi-
nora la Cassazione ha spesso assimilato all’abuso del diritto (il riferimento
è, soprattutto, alla dissimulazione, all’antieconomicità, all’interposizione e
residenza fittizie e all’esterovestizione). L’abuso del diritto in campo fiscale
va, quindi, definito per esclusione nel senso che esso inizia dove, integran-
dosi le ipotesi di cui all’art. 10-bis, finisce il legittimo risparmio d’imposta
e termina dove sono prospettabili specifiche fattispecie di evasione15.
15
In questo senso si sta muovendo la Corte di Cassazione. È eloquente, al riguardo, il passo
della recente sentenza n. 40272 del 2015 nel quale si afferma che è compito dell’interprete veri-
ficare se «operazioni qualificate in precedenza dalla giurisprudenza come semplicemente elusive
integrino ipotesi di vera e propria evasione».
274 Franco Gallo
16
Il verbo «allegare» è usato dall’art. 5, comma 1, lett. d) della legge delega n. 23/2014.
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 277
17
Rinvio sul punto agli scritti recenti di A. Giovannini, raccolti in Il diritto tributario per
principi, Milano, 2014, pp. 126-140
278 Franco Gallo
18
Per tutte, tra le ultime, Cass., sez. III, 6 marzo 2013-3 maggio 2013, n. 19100; Cass., sez.
III, 12 giugno 2013-31 luglio 2013, n. 33187; Cass., sez.III, 20 marzo 2014–3 aprile 2014, n.
15186.
19
Così ragiona, in particolare, la sentenza della Cassazione, sez. V penale, n. 8797 del 2014.
20
Ricordo comunque che, secondo la Corte di Giustizia (citate cause C-255/02 Halifax
contro Commissioners of Customs & Excise; causa C-110/99 Emsland-Stärke GmbH contro
Hauptzollamt Hamburg-Jonas), l’effetto proprio della constatazione dell’abuso consiste nel
mero ripristino della situazione senza abuso (in particolare, nel caso Emsland-Stärke, nel rim-
borso delle restituzioni all’esportazione indebitamente percepite; nel caso Halifax, nel rimborso
dell’IVA a monte indebitamente detratta). Per l’irrogazione di sanzioni, inoltre, non sarebbe
sufficiente l’esistenza del comportamento abusivo, occorrendo invece un «fondamento chiaro ed
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale 279
Ciò, del resto, era confermato dagli stessi lavori parlamentari relativi
alla legge di delegazione, nel corso dei quali sono stati, tra l’altro, respin-
ti emendamenti intesi a stabilire in termini espressi l’irrilevanza totale
del fenomeno sul versante sanzionatorio. Una simile soluzione sarebbe
risultata, comunque, non adeguata in rapporto all’esigenza di prevede-
re, in certi casi, un deterrente rispetto ad operazioni che, come quelle
elusive, realizzano risultati in ogni caso «indesiderati» dal punto di vista
dell’ordinamento fiscale. Nello stesso tempo, tuttavia, proprio il riferi-
mento della legge delega alla «individuazione dei confini» tra evasione
ed elusione dimostrava come il legislatore delegante avesse chiaramente
avvertito la necessità di una gradazione di gravità tra le condotte che in-
tegrano una violazione diretta di disposizioni normative e quelle che ne
«aggirano» la ratio.
In questa situazione, la scelta che ha fatto il decreto legislativo è stata
quella di realizzare tale gradazione escludendo la rilevanza penale delle
operazioni costituenti abuso del diritto così come da esso individuate («le
operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi
penali» dice l’art. 10-bis, comma 13, I parte) e, contemporaneamente, fa-
cendo salva l’applicabilità delle sanzioni amministrative, ove ne ricorrano
in concreto i presupposti («resta ferma l’applicazione delle sanzioni ammi-
nistrative e tributarie» aggiunge lo stesso comma 13, II parte).
È sembrato, in particolare, al legislatore delegato che l’esclusione
della punibilità dell’abuso del diritto con sanzioni penali dovesse esse-
re data per scontata, essendo essa la conseguenza – come è detto nella
relazione governativa – della generale definizione che l’art. 5 della legge
delega dà dell’abuso. Tale definizione infatti, per un verso, postula di
per sé l’assenza nel comportamento elusivo del contribuente di tratti ri-
conducibili ai paradigmi, penalmente rilevanti, della simulazione, della
falsità o, più in generale, della fraudolenza in senso naturalistico di cui
all’art. 3 della legge n. 74 del 2000 e, per l’altro verso, imprime – come
si è visto – alla disciplina dell’abuso un indubbio carattere di residualità
rispetto agli altri strumenti di reazione previsti dall’ordinamento tribu-
tario. Per queste stesse ragioni resta, però, nel contempo impregiudicata
la possibilità di ritenere che le operazioni qualificate in precedenza dalla
giurisprudenza come semplicemente elusive integrino, ricorrendone le
univoco» (v. punto 56 della sentenza Emsland-Stärke e punti 93 e 94 della sentenza Halifax). Da
una recente indagine, compiuta da uno speciale gruppo di lavoro della Luiss costituito all’interno
del Wintercourse, risulta che dei 10 Stati oggetto di analisi solo Francia, Ungheria e Stati Uniti
applicano le sanzioni amministrative, mentre nessun paese applica quelle penali.
280 Franco Gallo
21
Ciò è sottolineato dalla richiamata sentenza della Corte di Cassazione n. 40272 del 2015, la
quale espressamente afferma che «rimane impregiudicata la possibilità di ravvisare illeciti penali
nelle operazioni contrastanti con disposizioni specifiche che perseguono finalità antielusive». La
Suprema Corte si riferisce evidentemente a quelle operazioni (relative, ad esempio, al «commer-
cio di bare fiscali», alla disciplina Cfc o sul transfer pricing) che violano un preciso divieto posto
da una specifica norma a fini antielusivi, divieto che, se non rispettato, potrebbe integrare l’ipotesi
di illecito e quindi, sussistendone le condizioni, di evasione penalmente rilevante.
Giuseppe Corasaniti
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione
nell’ordinamento tributario
1. Premessa
È noto che nel nostro ordinamento, a differenza di quanto è avvenuto
nella gran parte degli ordinamenti dei Paesi dell’Europa continentale, man-
ca, ad oggi, una previsione che vieti l’abuso del diritto. Ciò ha determi-
nato un profondo contrasto di opinioni circa la possibilità di considerare
comunque vigente, quale principio inespresso, un tale divieto, dividendosi
la dottrina tra quanti rifiutano la praticabilità di siffatta interpretazione in
nome della certezza del diritto e quanti, di contro, la sostengono, ritenendo
che l’abuso del diritto rappresenti lo strumento più adeguato per evitare
che il rispetto formale della legge porti a risultati iniqui1.
1
Sul punto, F. Prosperi, L’abuso del diritto nella fiscalità vista da un civilista, in Dir. prat.
trib., 2012, I, 717 ss. L’A. rileva che sarebbe l’assenza del principi che rischia di compromettere
la certezza del diritto, giacché la pretesa dell’esercizio indiscriminato del diritto soggettivo si
tradurrebbe nei fatti in una resa all’arbitrio individuale e nella negazione di ogni autorità della
282 Giuseppe Corasaniti
legge. A conferma di ciò, l’A. sottolinea che i numerosi ordinamenti di Civil Law nei quali
l’abuso del diritto è espressamente previsto non sono affatto afflitti da un’incertezza del diritto
sconosciuta al nostro ordinamento, in cui l’abuso del diritto, oltre a non essere codificato, è
stato impiegato dalla giurisprudenza, prima dell’inversione di tendenza registratasi negli ultimi
anni, in casi limitati.
2
A favore della possibilità che venga applicato allo studio della normativa fiscale un metodo
interpretativo proprio, si veda B. Griziotti, Lo studio funzionale dei fatti finanziari, in Riv.
dir. fin. sc. fin., 1940, I, 306; Id., Saggi sul rinnovamento dello studio della scienza delle finanze
e del diritto finanziario, Milano, 1953, 417 ss.; Id., Pragmatismo e giurisprudenza fiscale, in Il
pensiero americano contemporaneo, Milano, 1958, 171. Cfr., altresì, D. Jarach, Le considerazioni
del contenuto economico nell’interpretazione delle leggi di imposta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1937,
II, 54 ss.; Id., Metodo e risultati nello studio delle imposte di registro, in Dir. prat. trib., 1938, 93
ss. In senso critico, ritenendo che in tal modo si finisca per consentire l’applicazione del tributo
a casi non previsti dalla legge, v. A. Uckmar, Interpretazione funzionale delle norme tributarie,
in Dir. prat. trib., 1949, 185.
3
Cfr., G. Falsitta, Spunti critici e ricostruttivi sull’errata commistione di simulazione ed
elusione nell’onnivoro contenitore detto «abuso del diritto», in Riv. dir. trib., 2010, 349 ss.
4
Cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 2012, 228. L’Autore sottolinea
come « l’abuso del diritto, per come configurato dalla Cassazione, è, ormai, strumento di diritto
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 283
rettezza erano intesi come requisiti etici della condotta delle parti in ogni
rapporto obbligatorio, finalizzati a mantenere il rapporto giuridico nei bi-
nari dell’equilibrio e della proporzione7.
In altri termini, considerando il dovere di buona fede alla stregua di
«clausola generale» dell’ordinamento, si garantirebbe una certa flessibilità
dell’ordinamento giuridico in una duplice direzione: da un lato, consenti-
re una maggiore adattabilità di esso alle circostanze concrete del caso da
decidere di volta in volta; dall’altro, consentire allo stesso di mantenersi
«attuale» nonostante il passare del tempo8.
Nell’applicazione pratica, di conseguenza, le clausole generali di corret-
tezza e di buona fede forniscono i criteri di orientamento teleologico della
condotta nelle relazioni di diritto privato, consegnando all’interprete l’idea
di autonomi obblighi e realizzando, in tale prospettiva, la cd. «chiusura del
sistema legislativo»9.
La progressiva valorizzazione degli inderogabili doveri di correttezza e
buona fede, anche alla luce del dettato costituzionale, segnatamente come
specificazione dei doveri di solidarietà sociale imposti dall’art. 2 Cost.,
ha comportato la simmetrica valorizzazione di una dimensione «etica»
nell’esercizio del potere di autonomia privata10, e di conseguenza la possi-
bilità di configurare quale illecito l’uso «anormale» del diritto, tutte quelle
7
F. Benatti, La clausola generale di buona fede, in Banca borsa tit. cred., 2009, 3, 241. L’A.
sottolinea come nel codice civile del 1942 sono state introdotte numerose clausole di buona
fede le quali rientrano nella categoria delle «clausole generali», ossia di quelle clausole che non
sono redatte con la tecnica della fattispecie, ma questa viene ricostruita dal giudice attraverso il
riferimento a modelli di comportamento consolidato, a valutazioni vigenti nell’ambiente sociale.
8
Cfr., F. Roselli, Il controllo della Cassazione civile sull’uso delle clausole generali, Napoli,
1983, 143 ss.; E. Fabiani, Sindacato della Corte di Cassazione sulle norme elastiche e giusta causa
di licenziamento, in Foro it., 1991, I, 1891; C. Fois, Le clausole generali e l’autonomia statutaria
nella riforma del sistema societario, in Giur. comm., 2001, IV, 421.
9
F. Galgano, Diritto commerciale, volume II, Le obbligazioni e i contratti, II edizione,
1993, 488. L’A. rileva che il dovere generale di buona fede contrattuale ha, come quello ancor
più generale di correttezza fra debitore e creditore la funzione di colmare le inevitabili lacune
legislative: la legge, per analitica che sia, non può prevedere tutte le situazioni; non può sempre
prevenire, con apposite norme, gli abusi che le parti possono commettere l’una a danno dell’al-
tra. La legge prevede solo le situazioni più frequenti, sventa gli abusi più ricorrenti. Il principio
generale della correttezza e della buona fede consente di identificare altri divieti e altri obblighi
oltre a quelli previsti dalla legge; realizza la «chiusura» del sistema legislativo, ossia offre criteri
per colmare lacune che questo può rivelare nella varietà e molteplicità delle situazioni della vita
economica sociale.
10
Sul punto, M. Barcellona, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, in Maz-
zamuto (a cura di), Il contratto e le tutele, Torino, 2002, 305 ss., ha contestato ogni forma di
eticizzazione del diritto privato, sottolineando la necessità di spostare l’asse del conflitto dal
contratto al tema dell’ambito e dei limiti dell’appropriabilità privata.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 285
volte in cui il comportamento del singolo fuoriesca dalla sfera del diritto
soggettivo11.
Tale consapevolezza ha portato alla teorizzazione del principio dell’abu-
so del diritto, da intendersi come esercizio di un diritto per realizzare in-
teressi diversi da quelli per i quali esso è riconosciuto dall’ordinamento
giuridico12.
L’abuso del diritto, pertanto, viene individuato nel comportamento di
un soggetto che esercita i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto
per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordi-
nati: la figura concerne, cioè, le ipotesi nelle quali un comportamento, che
formalmente integra gli estremi dell’esercizio del diritto soggettivo, deve
ritenersi illecito sulla base di alcuni criteri di valutazione. In altre paro-
le, l’abuso si ravvisa quando il titolare del diritto può esercitarlo secondo
una pluralità di modalità attuative non rigidamente preordinate, ma sceglie
quella che da luogo ad una sproporzione non inevitabile tra il proprio
beneficio e il sacrificio cui è soggetta l’altra parte.
Da tale prospettiva, è stato precisato che il principio di buona fede,
nella figura sintomatica dell’abuso del diritto, è necessario al fine di fissare
dei limiti al legittimo esercizio della facoltà di pretendere o di rifiutare
l’adempimento: assolve, in altre parole, ad una funzione di chiusura del
sistema, poiché evita di dover considerare permesso ogni comportamento
che nessuna norma vieta e facoltativo ogni comportamento che nessuna
norma rende obbligatorio13.
Il divieto di abuso del diritto, in ambito civilistico, diviene, nell’appli-
cazione pratica, uno dei criteri di selezione con cui esaminare e valutare
tanto i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata (quivi
11
Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, 57, il quale precisa che « Il prin-
cipio del divieto di abusare del proprio diritto è storicamente condizionato e non è espressamente
codificato, ma può desumersi dall’art. 2 Cost. sul dovere di solidarietà, come limite interno di
ogni situazione giuridica soggettiva, che si manifesta positivamente nel divieto degli atti emula-
tivi di cui all’art. 833 c.c. per i diritti reali, e, ma a prescindere dall’emulatività. nel principio di
correttezza e buona fede per i diritti di credito (artt. 1175 e 1375), in punto di inesigibilità della
prestazione, di esecuzione del contratto e di exceptio doli».
12
Cfr. Cass. 18.09.2009, n. 20106, con nota di C. Scognamiglio, Abuso del diritto, buona
fede, ragionevolezza (verso una riscoperta della pretesa funzione correttiva dell’interpretazione
del contratto?), in La nuova giuris. civ. comm., III, 2010, 139 ss. Sul punto, la Corte ha rilevato
che «si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti
formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona
fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed
al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà
furono attribuiti».
13
In questi termini, F. Galgano, Diritto commerciale, cit., 548.
286 Giuseppe Corasaniti
14
M. Rotondi, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1923, 116.
15
Cfr., P. Rescigno, L’abuso del diritto, Bologna, 1998, 11.
16
R. Messinetti, Abuso del diritto, voce dell’Enc. dir., Milano, 1998, 13. L’A. sottolinea
che l’esercizio del potere negoziale deve essere ricondotto dalla prospettiva di un’analisi del
contenuto del programma e degli aspetti interni della contrattazione alla spiegazione di relazioni
oggettive che si formano come conseguenza degli sviluppi dell’iniziativa economica.
17
G. Vettori, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese. Diritto dei con
tratti e regole di concorrenza, Milano, 1983, 147.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 287
Dal versante della tutela delle condizioni che possano garantire un cor-
retto funzionamento del mercato concorrenziale, come anche dal suo ro-
vescio, vale a dire la tutela del consumatore, sono pervenute, all’interno
dei confini nazionali, innovazioni che vanno gradualmente assestandosi nel
sistema ordinamentale e nella coscienza degli interpreti.
Uno dei profili più rilevanti di ingerenza del diritto di matrice europea
è rappresentato dalla persuasività della tesi secondo la quale la formalizza-
zione degli interessi giuridicamente rilevanti attraverso la categoria basilare,
di pandettistica ascendenza, del diritto soggettivo non risponda più ad un
modello assoluto e indefettibile, che anzi lascia sempre di più il posto alla
costruzione di regole operative a posteriori, proprio perché la fattispecie
attributiva del diritto nelle norme è solo accennata o manca affatto.
Al contrario, il bisogno di tutela che emerge di fronte a siffatti interessi
si raccorda a strumenti variabili e graduabili, orientati a prospettive di valu-
tazione che tengono conto di criteri come l’adeguatezza, la proporzionalità
e la ragionevolezza, ove la risposta in termini di rimedio si coglie nella
logica del massimo avvicinamento dell’interesse alla sua concreta possibilità
di soddisfazione intermini di semplicità, rapidità ed economicità.
In tal senso, un sistema organizzato nella prospettiva rimediale non
condivide quasi nulla con la categoria del divieto di abuso del diritto sem-
plicemente perché il diritto di cui si possa abusare sbiadisce, perdendo con-
sistenza e smarrendo una reale capacità connotativa di singole situazioni
giuridiche soggettive18.
Anche se la prospettiva citata non dovesse convincere, rimarrebbe in-
negabile che il diritto di matrice europea non ha offerto al diritto civile
una significativa spinta per una rinnovata o rinvigorita teorica del divieto
dell’abuso del diritto. Le fortune di questa categoria sono pertanto da ri-
cercare nelle pronunce della giurisprudenza domestica, segnatamente, la
fondamentale decisione del 18 settembre 200919, vera pietra miliare della
teorica dell’abuso nel nostro ordinamento.
Il Supremo Collegio, attraverso la pronuncia testé citata, ha stabilito
che si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur
in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed
irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno spro-
porzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed
al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i
F. Addis, L’abuso del diritto tra diritto civile e tributario, in Dir. prat. trib., 2012, V, 871 ss.
18
Cass. 18.09.2009, n. 20106, con nota di G. D’Amico, Recesso ad nutum, buona fede e
19
20
Cfr., R. Sacco, Il diritto soggettivo. L’esercizio e l’abuso del diritto, in Trattato di diritto
civile, Torino, 2001, 373, il quale sostiene che «(…) la dottrina dell’abuso non contiene contrad-
dizioni, né errori. Ma la dottrina dell’abuso è superflua. Essa è in qualche caso un medio logico
inutile; negli altri casi un inutile doppione. L’inclusione di una categoria parassita non vale ad
arricchire il sistema del giurista; lo rende più confuso»; A. Gentili, A proposito de «Il diritto
soggettivo», in Riv. dir. civ., 2004, II, 367.
21
In questi termini, F. Addis, L’abuso del diritto tra diritto civile e tributario, cit., 876.
22
In dottrina, ex multis, A. Lovisolo, Evasione ed elusione tributaria, in Enc. Giur., XII,
Roma, 1989, 1 ss.; S. Cipollina, Elusione fiscale, in Digesto comm., Torino, 2007, 371; F. Gal-
lo, Elusione, risparmio d’imposta e frode alla legge, in Giur. Comm., 1989, I, 377; Elusione ed
abuso del diritto tributario, Orientamenti attuali in materia di elusione e abuso del diritto ai fini
dell’imposizione tributaria, a cura di G. Maisto, in Quaderni della Rivista di diritto tributario,
Milano, 2009.
23
M. Beghin, L’elusione fiscale e il principio dell’abuso del diritto, Padova, 2013, 27 ss. L’A.
rileva come l’elusione non possa paragonarsi all’evasione, della quale non condivide la strut-
tura. Inoltre, puntualmente, chiarisce come l’elusione non possa confondersi nemmeno con la
290 Giuseppe Corasaniti
simulazione, pur potendo quest’ultima sovrapporsi alle fattispecie evasive. Considerato che la
simulazione consiste nella rappresentazione di una volontà «formale» diversa da quella effettiva,
si può convenire sul fatto che essa (simulazione) può spesso tradursi in un mancato versamento
di imposta dovuta sulla base dei presupposti concretamente realizzati. Dunque l’elusione non è
evasione, ma l’evasione può perpetrarsi attraverso la simulazione.
24
Cfr. S. La Rosa, Elusione e antielusione fiscale nel sistema delle fonti del diritto, in Riv.
dir. trib., I, 2010, 797. L’A. sottolinea come l’art. 37-bis, d.p.r. n. 600/1973, realizzi un ragione-
vole compromesso tra contrapposte esigenze garantiste e di giustizia tributaria sostanziale, sia a
«danno» del contribuente che a suo «favore». Un compromesso ragionevole, sia perché la pra-
ticabilità della disapplicazione antielusiva delle norme da parte dell’amministrazione finanziaria
viene limitata alle discipline fiscali di talune operazioni, sia perché al contribuente si riconosce
la parallela possibilità di ottenere la disapplicazione delle disposizioni antielusive specifiche. Ma
un compromesso nello stesso tempo ambiguo perché aperto ad entrambe le concezioni della
disapplicazione antielusiva che si sono profilate.
25
Cfr. Cass. 29.09.2006, n. 21221, in Dir. prat. trib., 2007, II, 273, con nota di A. Loviso-
lo, Il principio di matrice comunitaria dell’«abuso» del diritto entra nell’ordinamento giuridico
italiano: norma antielusiva di chiusura o clausola generale antielusiva? L’evoluzione della giuri
sprudenza della Suprema Corte.
26
Cfr. C. Giust. CE 21 febbraio 2008, causa C-425/06, Part service srl, punto 47, in Giur.
It., 2008, 1817, con nota di S. Gianoncelli, In tema di abuso del diritto comunitario, in Dir. prat.
trib., 2008, II, 627, con nota di C. Attardi, Abuso del diritto e giurisprudenza comunitaria: il
perseguimento di un vantaggio fiscale come scopo essenziale dell’operazione elusiva; e ivi, 1185.
27
Sul punto, cfr. Cass. 20.07.2007, n. 16097, con nota di M. Beghin, Elusione tributaria ed
esame «globale» della sequenza negoziale, in Corr. trib., 2007, 3165 ss. L’A. evidenzia come la
Suprema Corte, nella sentenza in commento, offra dell’art. 10 una struttura a «tridente», nella
misura in cui la disposizione de qua poggia sul necessario concorso delle condizioni consistenti:
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 291
(a) nell’assenza di valide ragioni economiche; (b) nella presenza dello scopo esclusivo di realizzare
un vantaggio fiscale; (c) da ultimo, nella connotazione fraudolenta quanto ai mezzi impiegati per
il raggiungimento del predetto fine esclusivo. I profili di criticità di tale impostazione sarebbero
almeno due: da una parte, la Corte dà per scontata la suddetta tripartizione dei presupposti ap-
plicativi dell’art. 10 della legge 408/1990, senza considerare che, in molti casi, l’assenza di valide
ragioni economiche e lo scopo esclusivo di ottenere un risparmio fiscale presentano significative
aree di sovrapposizione; dall’altra, non sembrano attentamente soppesate le conseguenti ricadute
sul versante procedimentale e processuale.
28
Cfr. E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, II ed., ristampa corretta, in Trattato
di diritto civile italiano, diretto da F.Vassalli, XV, Torino, 174 ss., che identifica la frode alla legge
«nell’abuso del tipo contrattuale».
292 Giuseppe Corasaniti
29
Cfr. Cass., 3. 9. 2001, n. 11351, in Giur. It., 2002, 1102; e in Corr. giur., 2002, 349, con
nota di G. Esposito, Qualificazione del contratto a fini fiscali e nullità per violazione di norme
tributarie; Cass., 28 febbraio 2007, n. 4785, in Giust. civ., 2007, 1512.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 293
quella che appare attraverso la lettura degli atti o dei contratti), bensì sulla
situazione sostanziale, i cui effetti si producono ex lege nonostante, ap-
punto, l’assetto formale dell’operazione. Ne deriva, dunque, un corollario
automatico: nell’elusione fiscale non c’è alterazione del fatto economico, il
quale, al contrario, è in toto rappresentato all’Amministrazione finanziaria
(ergo, dichiarato) sulla base, però, del percorso negoziale che ha condotto
alla sua realizzazione.
Nell’interposizione, dunque, il rapporto è trilatero atteso che il terzo
contraente conosce la situazione ed è al corrente del fatto che, nel mo-
mento in cui conclude l’accordo, sta intrattenendo rapporti economici con
l’interponente, non già con l’interposto30.
Nell’elusione, invece, l’ambito d’indagine è completamente differente.
Attraverso l’art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973, l’Amministrazione finanziaria
è stata dotata del potere di mandare a tassazione un’operazione (l’opera-
zione elusa) che non è mai stata realizzata ma che, tuttavia, il contribuente
avrebbe dovuto realizzare31.
La Corte di Cassazione, in numerose sentenze, rileva come l’art. 37, ter-
zo comma, d.p.r. n. 600/1973 non possa assolutamente assurgere a ruolo di
clausola generale antielusiva o antiabuso e che il suo ambito di applicazione
è strettamente limitato alle sole ipotesi di interposizione fittizia o ad altre
differenti ipotesi di simulazione32.
Tale principio di diritto è stato successivamente confermato nella sen-
tenza del 15.11.2011., n. 8671, secondo cui l’art. 37, terzo comma, d.p.r.
n. 600/1973 si occupa di interposizione fittizia in senso proprio – caratte-
30
Nell’interposizione fittizia il terzo deve essere consapevole che gli effetti del negozio,
nonostante le risultanze formali si producono nei riguardi del soggetto interponente, non già nei
riguardi del soggetto interposto. Sul punto, per tutti, F. Gazzoni, Manuale di diritto privato,
cit., 976, per il quale «L’adesione del terzo è necessaria, perché costui deve essere consapevole
della funzione meramente figurativa del contraente interposto e manifestare pertanto la volontà
di contrarre con l’interponente. In difetto di adesione, pur nella conoscenza dell’accordo tra
interponente e interposto, non vi è contrasto tra volontà e dichiarazione e quindi gli effetti si
producono tra le parti contraenti, sicchè si tratterà solo di stabilire se l’accordo stesso valga
come mandato senza rappresentanza o come negozio fiduciario oppure come di accertamento».
31
Sul punto si veda M. Beghin, L’interposizione fittizia di persona e «l’evasione elusiva»:
spunti per la sistematizzazione della materia, in Corr. trib., 2014, 3613 ss. L’A. chiarisce che l’ope-
razione elusa non appartiene alla realtà. non fa parte di «ciò che è», ma di «ciò che avrebbe potuto
essere, ma non è stato» : «non è stato» in quanto il contribuente ha scelto un differente percorso.
32
Cfr. Cass. 21. 10. 2005, n. 20398, in Dir. e giustizia, 2005, 43, con nota di D. Placido, Con
trordine: illecito il dividend washing. Se gli ermellini anticipano la Finanziaria; in Obbl. e Contr.,
2006, 302, G. Corasaniti, La nullità dei contratti come strumento di contrasto delle operazioni
di dividend washing nella recente giurisprudenza della Suprema Corte, in Rass. trib., 2006, 309
ss., con nota di D. Stevanato, Le «ragioni economiche» nel dividend washing e l’indagine sulla
«causa concreta» del negozio: spunti per un approfondimento.
294 Giuseppe Corasaniti
33
Sul punto, M. Basilavecchia, L’interposizione soggettiva riguarda anche comportamenti
elusivi?, in Corr. trib., 2011, 2968.
34
Cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 221; A. Lovisolo, Il contrasto all’in
terposizione «gestoria» nelle operazioni effettive e reali, ma prive di valide ragioni economiche,
in Riv. giur. trib., 2011, 869 ss.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 295
35
Così A. Lovisolo, Il contrasto all’interposizione «gestoria» nelle operazioni effettive e
reali, ma prive di valide ragioni economiche, cit., 871.
36
Cfr. Cass. 15.11.2013, n. 25671, con nota di M. Beghin, La strumentazione contrattuale
inadeguata e l’accusa di interposizione fittizia sotto la deformante lente dell’abuso del diritto, in
Riv. giur. trib., 2014, 301; Cass. 21.10.2014, n. 22255.
296 Giuseppe Corasaniti
37
Cfr. L. Ferlazzo Natoli, La rilevanza del fatto in diritto tributario, in Studi in onore
di V. Uckmar, Padova, 1997, I, 445; A. Giovannini, Soggettività e fattispecie impositiva, Padova,
1996, 232.
38
Sul tema v. A. Carinci, La rilevanza fiscale del contratto tra modelli impositivi, timori
antielusivi e fraintendimenti interpretativi, in Rass. trib., 2014, V, 961 ss.
39
S. Cipollina, La legge civile e la legge fiscale. Il problema dell’elusione fiscale, Padova,
Cedam, 1992, 117.
40
A. D. Giannini, I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956, 39.
41
S. Cipollina, La legge civile e la legge fiscale. Il problema dell’elusione fiscale, cit., 92.
42
A. Giovannini, Soggettività e fattispecie impositiva, cit., 65.
43
A. D. Giannini, I concetti fondamentali del diritto tributario, cit., 163; R. Lupi, Elusione
fiscale: modifiche normative e prime sviste interpretative, in Rass. trib., 1995, 412.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 297
44
E. De Mita, Diritto tributario e diritto civile: profili costituzionali, in Riv. dir. trib., 1995,
154; G. Gaffuri, I redditi diversi, in Dir. prat. trib., 1979, I, 769, il quale osserva che «qualsiasi
fenomeno, interessante l’economia, è anche un fatto giuridico»; F. Gallo, Tassazione delle atti
vità finanziarie e problematiche dell’elusione, in Rass. trib., 1994, 190.
45
S. Cipollina, La legge civile e la legge fiscale, Il problema dell’elusione fiscale, cit., 81.
46
In questi termini si esprime E. De Mita, Diritto tributario e diritto civile: profili costi
tuzionali, cit., 153, secondo il quale «una volta scelta la norma civilistica, non vi è una realtà
economica diversa da quella espressa, che riemerga nell’interpretazione della legge tributaria, fino
alla vanificazione dell’espressione civilistica».
47
Cfr. E. De Mita, Diritto tributario e diritto civile: profili costituzionali, cit., il quale chia-
risce che «… la priorità del diritto civile non è assoluta ma solo logica e programmatica, sicché
vi possono essere norme espresse che interrompono il collegamento sovrapponendo un’entità
fiscale alla realtà cristallizzata dal codice civile».
298 Giuseppe Corasaniti
48
Tuttavia, per i tributi di natura cartolare, come l’imposta di bollo, ovvero connessi con le
vicende materiali della produzione, come le accise, il contratto assumerebbe rilevanza in seno alla
fattispecie impositiva. In questi termini, A. Berliri, La legge di bollo, Milano, 1953, 74, il quale
sostiene che «non è il rapporto giuridico (la compravendita, il mutuo, ecc.) o il fatto economico
(scambio di ricchezza, trasferimento di merci, ecc.) che viene preso in considerazione, ma solo
il documento che contiene quel determinato negozio giuridico».
49
Cfr. A. Fedele, Assetti negoziali e «forme d’impresa» tra opponibilità simulazione e riqua
lificazione, in Riv. dir. trib., 2010, I, 1100.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 299
50
Sul punto v. P. M. Tabellini, L’elusione della norma tributaria, Milano, 2007, 214 ss.,
secondo il quale l’affermazione secondo cui la norma tributaria non imporrebbe obblighi o
divieti non riflette il dato letterale delle disposizioni; infatti, «la prestazione tributaria è per sua
natura imposta». Anche l’affermazione secondo cui la norma, per essere imperativa, dovrebbe
necessariamente essere proibitiva, escludendo quindi l’imperatività delle norme precettive, viene
contestato, rilevando che «il carattere imperativo di una norma deve essere desunto soprattutto
dall’identità dei valori che essa presidia e dalla prescrizione coercibile che essa contiene, mentre
non è decisiva la forma positiva o negativa con la quale detta prescrizione è formulata»
51
Cfr. P. M. Tabellini, L’elusione della norma tributaria, cit., 304.
52
A. Fedele, Assetti negoziali e «forme d’impresa» tra opponibilità simulazione e riqualifi
cazione, cit., 1102
53
Cfr., fra gli altri, F. Galgano, Il contratto, Padova, 2007, 143 ss; F. Gazzoni, Manuale di
diritto privato, cit., 807 ss.; R. Sacco, Il contratto, Torino, 2004, 792 ss.; V. Roppo, Il contratto,
in Tratt. dir. priv. a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2011, 369 ss. In giurisprudenza si è avuta
una progressiva adesione alla concezione della causa come funzione economico – individuale,
ovvero della concezione della causa «in concreto» quale sintesi degli interessi reali delle parti. Si
v., in particolare, Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in I Contratti, 2007, 621 ss.; Cass., 24 luglio
2007, n. 16315, in Nuova giur. civ. comm. 2008, 542 ss., con commento di S. Nardi, Contratto
di viaggio, «tutto compreso» e irrealizzabilità della sua funzione concreta.
300 Giuseppe Corasaniti
54
U. Majello, Il contratto simulato: aspetti funzionali e strutturali, in Riv. dir. civ., I, 1995,
641.
55
S. Pugliatti, La simulazione nei negozi giuridici unilaterali, in Diritto civile. Metodo.
Teoria. Pratica, Milano, 572.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 301
In questi termini A. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 137.
56
302 Giuseppe Corasaniti
legate fra loro per due ordini di motivi. In primo luogo perché tali ope-
razioni rappresentavano, all’epoca dei fatti, pratiche largamente utilizzate
allo scopo di minimizzare il carico fiscale. In secondo luogo perché con
tali sentenze la sezione tributaria della Suprema Corte ha affermato, anche
se implicitamente ed indirettamente, la illiceità di tali operazioni. La Cor-
te di Cassazione, infatti, posta di fronte all’assenza, all’epoca dei fatti in
contestazione, di adeguati strumenti normativi di contrasto di tali forme
di elusione, ha pensato di adottare soluzioni a «sorpresa»: mentre nelle
sentenze n. 2039857 e n. 22932 la Corte ha concluso riconoscendo la nullità
radicale per difetto di causa dei negozi collegati attraverso cui è realizzato
il c.d. «dividend washing» e il c.d. «dividend stripping»58, nella sentenza n.
20816, relativamente ad un’operazione di usufrutto azionario, la Corte ha
invece ipotizzato un’ipotesi di simulazione relativa59 o frode alla legge ex
art. 1344 c.c60. Solo successivamente, con la sentenza Halifax della Corte di
Giustizia, si è andato affermando anche nel nostro ordinamento il principio
dell’abuso del diritto.
57
Osserva D. Stevanato, Le «ragioni economiche» nel dividend washing e l’indagine sulla
«causa concreta» del negozio: spunti per un approfondimento cit., 312, che i giudici risolvono
casi e che spesso la motivazione delle sentenze costituisce la «razionalizzazione a posteriori
di un convincimento pre-giuridico». Insomma, «una reazione istintiva di ripulsa nei confronti
di comportamenti che, piuttosto sfacciatamente, sfruttavano una vistosa smagliatura del sistema
fiscale, per ottenere degli sgravi d’imposta obiettivamente non contemplati nell’ordinamento».
58
Per alcune osservazioni sull’argomento, M. Basilavecchia, Norma antielusione e «re
latività» delle operazioni imponibili Iva, in Corr. Trib., 2006, 1466 ss.; M. Beghin, L’elusione
tributaria, la nullità del contratto e l’azione di simulazione, in Aa.Vv., Elusione fiscale. La nullità
civilistica come strumento generale antielusivo. Riflessioni a margine di recenti orientamenti della
Cassazione civile. Atti del convegno tenuto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di
Padova il 15 settembre 2006, allegato n. 11 a il Fisco, 2006, 41 ss. In questo contributo l’A. sot-
tolinea come lo strumento della nullità del contratto per mancanza di causa è esorbitante rispetto
all’obiettivo di realizzare il concorso alle spese pubbliche a fronte di fatti che denotano capacità
contributiva. Invero, individuata una certa ricchezza, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe
limitarsi a tassarla, senza preoccuparsi dei «materiali di costruzione» impiegati dai contribuenti.
In altri termini, per combattere l’elusione non vi è alcuna necessità di «strangolare» le operazioni
economiche o di affossare il mercato: non è questa la funzione del diritto tributario.
59
L’inopponibilità della simulazione è trattata nel più generale quadro della nozione d’inop-
ponibilità, fra gli altri, da A. Uricchio, La simulazione nel negozio giuridico, Napoli, 1957, 89 ss.
60
Sul punto v. M. Beghin, L’elusione tributaria e la quantificazione del vantaggio fiscale, in
Corr. Trib., 2006, 3105 ss. L’A. sottolinea come la dichiarazione di nullità dei contratti determini
la frantumazione del tessuto economico sottostante, secondo schemi molto diversi rispetto a
quelli previsti per l’art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973. Infatti, se da una parte può rilevarsi che,
attraverso la clausola generale antielusiva, l’amministrazione è tenuta a rideterminare l’imposta
attraverso il modello della comparazione tra operazione «adeguata» e operazione elusiva, dall’al-
tra si nota come l’accertamento della nullità del contratto sembri non imporre oneri aggiuntivi
al Fisco. Gli Uffici, dunque, dovrebbero limitarsi a redigere, in questo caso, l’avviso di accerta-
mento come se l’operazione non fosse stata effettuata.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 303
61
Cfr. C. Giust. CE 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, in Rass. trib., 2006, 1040,
con nota di C. Piccolo, Abuso del diritto ed Iva: tra interpretazione comunitaria ed applicazione
nazionale; in Riv. di giur. trib., 2006, 385, con nota di A. Santi, Il divieto di comportamenti
abusivi si applica anche al settore dell’Iva; e in Riv. dir. trib., 2007, 3, con nota di P. Pistone,
L’elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuridica oltre le imprecisioni terminologiche
della Corte di giustizia europea in tema Iva.
304 Giuseppe Corasaniti
62
Cfr. Cass. 4 aprile 2008, n. 8772, in Giur. It. 2008, 2084; in Riv. di giur. trib., 2008, 695, con
nota di S. Orsini, L’abuso del diritto rende l’atto inefficace: sul contribuente l’onere della prova
contraria; in Riv. dir. trib., 2008, II, 448, con nota di M. Beghin, Note critiche a proposito di un
recente orientamento giurisprudenziale incentrato sulla diretta applicazione in campo domestico,
nel comparto delle imposte sul reddito, del principio comunitario del divieto di abuso del diritto,
in Dir. prat. trib., 2008, II, 913, con nota di M. Procopio, Elusione (od abuso del diritto): la
Corte di cassazione si allinea all’orientamento comunitario, in Corr. trib., 2008, 1777, con nota di
M. Beghin, L’inesistente confine tra pianificazione, elusione ed «abuso del diritto».
63
Le ragioni per le quali il principio del divieto di abuso del diritto comunitario non po-
trebbe automaticamente innestarsi nella disciplina domestica sono indicate da M. Poggioli, La
Corte di Giustizia elabora il concetto di «comportamento abusivo» in materia di Iva e ne tratteg
gia le conseguenze sul piano impositivo: epifania di una clausola generale antielusiva di matrice
comunitaria?, in Riv. dir. trib., 2006, III, 122 ss. L’A. sostiene la propria tesi facendo leva sul fatto
che la Corte di Giustizia CE ha interpretato una disposizione contenuta nella direttiva IVA e che,
a sua volta, quest’ultima è racchiusa in un testo non direttamente applicabile all’interno degli Stati
membri. La linea argomentativa segnalata è condivisa da autorevole dottrina, la quale, precisato
che il concetto di abuso siccome delineato dalla Corte di Giustizia CE si avvicina a quello di
elusione tributaria, segnala altresì i problemi che la diretta applicazione del principio porrebbe
sul piano delle garanzie relative al contraddittorio. In questo senso, cfr. L. Salvini, L’elusione
IVA nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Corr. trib., 2006, 3097 ss.
64
Ex multis si veda G. Zizzo, L’abuso dell’abuso del diritto, in Riv. di giur. trib., 2008,
465 ss.
65
Cfr. M. Beghin, Abuso del diritto: la confusione persiste, in Riv. di giur. trib., 2008, 649
ss. L’A. enfatizza l’abuso dell’abuso (ma si potrebbe dire anche la violenza dell’abuso) attraverso
una serie di argomentazioni criticabili per due ordini di ragioni. La prima, attiene la pretesa dei
giudici domestici di innestare il suddetto principio senza valorizzare la distinzione tra settori
armonizzati e non armonizzati; la seconda al profilo contenutistico del principio suddetto.
66
Cfr. Cass. S.U., 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056, 30057, in Obbl. e contr., 2009, 212,
con nota di G. Corasaniti, Sul generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario,
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 305
in Giust. Civ., 2009, I, 1873; in Riv. di giur. trib., 2009, 216, con nota di A. Lovisolo, L’art. 53
Cost. come fonte della clausola generale antielusiva ed il ruolo delle «valide ragioni economiche»
tra abuso del diritto, elusione fiscale ed antieconomicità delle scelte imprenditoriali; in Corr.giur.,
2009, 293, con nota di G. Falsitta, L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come
clausola generale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali.
67
Cfr., G. Fransoni, Abuso di diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni, in Corr.
trib., 2011, 13, il quale sottolinea come appare evidente la quasi perfetta coincidenza della norma
di cui all’art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973 e del principio antiabuso di matrice giurisprudenziale: là
dove il principio sull’abuso impiega l’espressione «indebiti vantaggi fiscali», la norma «semigene-
rale» sull’elusione fa riferimento a «riduzioni d’imposta o rimborsi, altrimenti indebiti»; là dove
il primo riguarda «l’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione,
di strumenti giuridici», la seconda prende a riferimento «gli atti anche tra loro collegati (…)
diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario»; infine, mentre l’abuso
di diritto ha ad oggetto operazioni realizzate «in difetto di ragioni economicamente apprezzabili
che giustifichino l’operazione», l’elusione riguarda gli atti «privi di valide ragioni economiche».
Inoltre, sono del tutto identiche, nell’uno e nell’altro caso, le conseguenze giuridiche: l’inoppo-
nibilità al Fisco dei comportamenti elusivi e/o abusivi. L’A. evidenzia come nel caso descritto è
possibile individuare un «concorso di norme», ossia la situazione che si verifica ogni qual volta
una fattispecie è astrattamente riconducibile ad una o più norme. In altri termini, se esiste un
evidente concorso di norme, dovrebbe essere altrettanto pacifico che esso debba essere risolto
facendo ricorso al principio di specialità, ossia alla regola per cui trova applicazione la norma la
cui fattispecie presenta maggiori elementi caratterizzanti e risulti, pertanto, «speciale» rispetto
all’altra.
306 Giuseppe Corasaniti
68
Sull’argomento v., fra gli altri, G. Marongiu, L’abuso del diritto nella legge di registro
tra principi veri e principi asseriti, in Dir. prat. trib., 2013, II, 361. L’A. sottolinea come nessuno,
fino alle sezioni unite della Cassazione del 2008, aveva posto a fondamento dell’asserito principio
generale il canone della capacità contributiva. Invero, il problema sembra porsi per le fattispecie
verificatesi anteriormente al 2008. A postulare la possibile applicazione del principio antielusivo
a fattispecie anteriori alla sua formale esplicitazione ci si troverebbe di fronte al contrasto tra un
principio generale contrario alla retroattività delle disposizioni tributarie e un principio generale
(la clausola antielusione) che la giurisprudenza vorrebbe applicare anche a situazioni anteriori
alla sua proclamazione. La stessa Corte Costituzionale insegna che, proprio perché la capacità
contributiva deve essere effettiva, attuale e concreta, una norma retroattiva può violare l’art. 53
Cost. Inoltre, l’eventuale applicazione in via retroattiva dell’art. 53 Cost. si scontrerebbe non
solo con lo stesso art. 53 ma anche con un altro principio generale ovverosia l’art. 3 della l. 212
/2000 per il quale le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. La conclusione è che
l’applicazione retroattiva di un principio generale, formulato dalla giurisprudenza nel 2008, viola
l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica.
69
Quanto all’art. 53 Cost. quale disposizione che vincola il legislatore nella scelta delle fat-
tispecie da tassare cfr., per tutti, F. Moschetti, Capacità contributiva, in Enc. Giur. Treccani,
Torino, 1988, 2.; V. Ficari, Clausola generale antielusiva, art. 53 della Costituzione e regole
giurisprudenziali, in Rass. trib., 2009, 390 ss.; M. Beghin, Evoluzione e stato della giurispruden
za tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema impositivo nazionale, in G.
Maisto (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario. Orientamenti attuali in materia di
elusione e abuso del diritto ai fini dell’imposizione tributaria, in Quaderni della Rivista di diritto
tributario, 2009, 15.
70
G. Zizzo, Clausola antielusione e capacità contributiva, in Rass. trib., 2009, 486. L’A., oltre
a ritenere comprensibile e condivisibile il richiamo al principio di capacità contributiva quale
fonte della clausola generale antielusiva, trova conferente la negazione che la Suprema Corte fa
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 307
in merito all’asserito contrasto fra elaborazione giurisprudenziale della clausola (quale divieto di
abuso del diritto tributario) e principio di legalità di cui all’art. 23 Cost. Ciò perché, in questo
quadro, la clausola configura una tecnica interpretativa delle disposizioni tributarie che serve ad
un più compiuto sviluppo dello spirito della legge. Non integrerebbe, perciò, una fonte di obbli-
ghi o divieti estranei alla legge, idonea a ledere il suddetto principio di legalità, ma una direttiva
sulla definizione dei contenuti normativi della legge medesima, sulla concreta identificazione
degli obblighi e dei divieti stabiliti da quest’ultima.
71
Cfr. G. Fransoni, Spunti in tema di abuso del diritto e «intenzionalità» dell’azione, in
Rass. trib., 2014, 403 ss.
72
Per tale ragione, il giudice non può elaborare un autonomo regime impositivo e l’art.
308 Giuseppe Corasaniti
53 cost. non opera un’autonoma individuazione delle fattispecie rilevanti in termini di capacità
contributiva. Cfr. G. Zizzo, Clausola antielusione e capacità contributiva, cit., 491.
73
G. Fransoni, Appunti su abuso del diritto e «valide ragioni economiche», in Rass. trib.,
2010, 933, sostiene che resta l’ovvia differenza che l’analogia presuppone una «lacuna», mentre
nei casi di abuso esiste una disciplina almeno «formalmente»applicabile.
74
Per una interessante ricostruzione del ruolo attribuito all’elemento soggettivo nella giu-
risprudenza comunitaria si veda P. Piantavigna, Abuso del diritto fiscale nel diritto comunitario,
Torino, 2011, 156 ss. L’A. ritiene maggiormente giustificata (e, quindi, diversamente fondata)
l’inserzione di tale elemento nella fattispecie dell’abuso nel caso in cui vengano in rilievo le libertà
fondamentali piuttosto che nei casi in cui l’abuso riguarda le norme secondarie.
75
Cfr. Cass. 21 gennaio 2011, n. 1372.; G. Zizzo, La giurisprudenza in materia di abuso ed
elusione nelle imposte sul reddito, in Corr. trib., 2012, 1019 ss.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 309
76
Cfr. F. Loffredo, M.C. Agostino, Operazioni di riorganizzazione societaria: aperture
dalla corte dei conti, in Bilancio e reddito d’impresa, 2013, 40.
310 Giuseppe Corasaniti
zione accusatoria incentrata sul fatto che, attraverso il lease back, una società
avrebbe potuto dedurre un costo superiore rispetto a quanto avrebbe potuto
fare se avesse stanziato in bilancio le quote di ammortamento, che, in tal caso,
l’imprenditore legittimamente deduce di più perché sopporta maggiori costi
effettivi e perché, per conseguenza, subisce un più consistente depaupera-
mento patrimoniale. In altri termini, in tale occasione, è stato affermato che
non basta il distorcimento contrattuale per dire che il vantaggio tributario
è elusivo. Il concetto di elusione va calato sul piano dei risultati fiscali che
siano stati raggiunti, non sul mero piano della normalità o della anormalità
della strumentazione giuridica impiegata. E l’elusività del risparmio dipende,
appunto, dalla morfologia del vantaggio conseguito dal contribuente.
In definitiva, con riferimento a tale ultimo caso citato, il soggetto il quale
deduca i canoni, dopo aver stipulato un contratto di «lease back», non aggira
le norme sugli ammortamenti. Parimenti, il soggetto il quale deduca quote
di ammortamento, dopo aver acquistato un bene strumentale e dopo averlo
impiegato nel circuito produttivo, non aggira le disposizioni sul leasing. In
ambedue le fattispecie, infatti, si applicano le disposizioni previste per il regi-
me strutturale sul quale è caduta la scelta del contribuente. Qui non c’è aggi-
ramento della legge, ma esatta applicazione della legge al fatto. L’aggiramento
ci sarebbe nel caso in cui un soggetto, avvalendosi di un particolare percorso
negoziale, riuscisse ad ammortizzare senza aver acquistato il bene o riuscisse
a dedurre canoni di leasing senza avere stipulato il relativo contratto77.
Di notevole rilevanza appare, inoltre, la sentenza del 19 dicembre 2014,
n. 27087, con cui la Corte di Cassazione ha chiarito che vi sarebbe un rap-
porto di species ad genus tra la previsione normativa, di cui all’art. 37-bis,
ed il principio generale del divieto di «abuso del diritto». Per l’effetto, non
può condividersi l’applicazione del principio dell’abuso anche ad operazio-
ni non rientranti nel comma 3 dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. La
Cassazione afferma che la scelta del Legislatore, tra le varie possibili, è stata
quella di «riconoscere determinati elementi di tipicità alla figura dell’abuso
di diritto, mediante la previsione espressa di presupposti di fatto, ovvero di
condotte negoziali o qualità soggettive, considerati come elementi costitutivi
della pratica abusiva, senza i quali, quindi, non è dato ravvisare abuso del
diritto». La volontà espressa è stata, in sintesi, quella di escludere qualsiasi
margine di atipicità alla figura dell’abuso di diritto tributario, almeno con
riguardo al settore impositivo delle imposte dirette78.
77
Cfr. M. Beghin, Una strana idea di libertà economica e di vantaggio fiscale asistematico
(su elusione fiscale e abuso del diritto), in Corr. trib., 2015, 731 ss.
78
Sul punto si v. M. Fanni, La Cassazione rivaluta i propri precedenti su presunzione di
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 311
onerosità e «transfer pricing» in una pronuncia sui finanziamenti infragruppo, in GT – Riv. giur.
trib., 2015, 322 ss.
79
Ex multis, Cass., 10 settembre 2014, n. 19044; Id, 5 dicembre 2014, 25758; Id, 8 ottobre
2014, n. 21190; Id, 10 dicembre 2014, n. 25972; Id, 18 dicembre 2014, n. 26805; Id, 19 dicembre
2014, n. 27087; Id, 14 gennaio 2015, n. 405; Id, 14 gennaio 2015, n. 439; Id, 14 gennaio 2015, n.
450; Id, 6 marzo 2015, n. 4561; Id, 18 marzo 2015, n. 5378; Id, 27 marzo 2015, n. 6226, tutte in
banca dati IPSOA BIG Suite.
312 Giuseppe Corasaniti
80
In dottrina, senza pretesa di esaustività: F. Gallo, Brevi spunti in tema di elusione
e frode alla legge (nel reddito d’impresa), in Rass. trib., 1989, I, 11; P. Russo, Brevi note in
tema di disposizioni anti elusive, in Corr. trib., 1999, 68, e Id., L’onere probatorio in ipotesi di
«abuso del diritto alla luce dei princìpi elaborati in sede giurisprudenziale, in Il fisco finanzia
ria, 2012, 1301; S. La Rosa, Elusione e antielusione fiscale nel sistema delle fonti del diritto,
cit., 785; G. Falsitta, Abuso del diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni, in Riv.
dir. trib., 2010, 349; F. Tesauro, Elusione e abuso nel diritto tributario, Dir. prat. trib., 2012,
I, 683; M. Basilavecchia, Presupposti ed effetti della sanzionabilità dell’elusione, in Corr.
trib., 2012, I, 797.
81
Cass. 21.01.2011, n. 1372, con nota di D. Stevanato, Ancora un’accusa di elusione senza
«aggiramento» dello spirito della legge, in Corr. trib., 2011, 673.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 313
82
Si veda, fra gli altri, G. Escalar, Indebita trasformazione del divieto di abuso del diritto
in divieto di scelta del regime fiscale meno oneroso, in Corr. trib., 2012, 2707.
83
Cfr. Corte di Giustizia CE, 22 maggio 2008, causa C-162/07, in banca dati IPSOA BIG
Suite. La Corte ha sostenuto che « il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le opera
zioni di cui trattasi possono spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali»,
posto che «tale divieto è finalizzato a vietare le costruzioni di puro artificio effettuate unicamente
al fine di ottenere un vantaggio fiscale».
84
Quanto alla giurisprudenza di merito, Cfr. Comm. Trib di Milano del 4 maggio 1996, n.
239, dove è stato specificato che «le valide ragioni economiche costituiscono parametro di valu
tazione dell’animus dell’agente, cioè servono a determinare se queste abbiano ispirato il soggetto
nella sua condotta».
85
Cfr. F. Tesauro, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, cit., 683. L’A. rileva che
all’interno della Relazione ministeriale allo schema di decreto legislativo che ha introdotto l’art.
37-bis nel d.p.r. n. 600 del 1973 si parla di manipolazioni, scappatoie e stratagemmi. L’elusione
è presentata come utilizzo di scappatoie formalmente legittime. La «scappatoia» non sarebbe
la sola metafora: vi si parla anche di approvazione o disapprovazione, da parte del legislatore,
dei comportamenti dei contribuenti; e si esclude l’elusione, quando il contribuente sceglie tra
comportamenti di pari dignità.
314 Giuseppe Corasaniti
86
Sul punto, cfr. R. Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Milano, 2011,
326.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 315
dendosi il più grande insieme che racchiude, oltre alle società direttamente
interessate, anche e soprattutto i soci.
Si pensi – per rimarcare fin dove l’Amministrazione finanziaria si è
spinta nella contestazione sull’esistenza di valide ragioni economiche ex-
trafiscali – al caso esaminato dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.
177/E del 200887 ai fini dell’applicazione dell’allora vigente regime dell’art.
1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 che consentiva non
solo agli imprenditori individuali e alle società di persone ma anche alle
s.r.l. di poter determinare il reddito agrario su base catastale88. La riso-
luzione stigmatizzava come elusiva la trasformazione di una società per
azioni in società a responsabilità limitata al precipuo fine di godere di tale
regime fiscale.
Ebbene, in questo caso non c è dubbio che la motivazione che ha in-
dotto la società a trasformarsi possa essere stata proprio quella di fruire
di tale regime tributario e ciò non di meno non si può non riconoscere
la legittimità di quest’ obiettivo. Se il legislatore, infatti, ha accordato un
determinato regime fiscale alle società aventi veste di s.r.l., non richiedendo
alcun altra condizione, sarebbe del tutto illogico ed iniquo sostenere che
una società che si sia costituita ab origine in s.r.l. possa fruire di questo
regime e, viceversa, lo stesso regime non possa essere accordato ad una
società che da s.p.a. si trasformi in s.r.l. per poter fruire dello stesso trat-
tamento. Sarebbe come voler ammettere che il regime in parola è fruibile
solo in modo elettivo e cioè solo dalle società che fin dall’origine si sono
costituite in forma di s.r.l89.
87
L’Ufficio ha precisato che «sussiste, in particolare, un utilizzo improprio degli strumenti
giuridici civilistici poiché la tassazione su base catastale deriverebbe da un uso improprio dell’ope
razione di trasformazione, in modo tale da realizzare risultati economico-sostanziali difformi da
quelli che il legislatore ha assunto, sul piano politico legislativo, a presupposto e giustificazione
dell’agevolazione in commento».
88
Cfr. Ris. Agenzia delle Entrate, n. 177/E del 2008 : «Sussiste, in particolare, un utilizzo
improprio degli strumenti giuridici civilistici poiché la tassazione su base catastale deriverebbe da
un uso improprio dell’operazione di trasformazione, in modo tale da realizzare risultati econo
mico – sostanziali difformi da quelli che il legislatore ha assunto, sul piano politico legislativo, a
presupposto e giustificazione dell’agevolazione in commento. Con l’operazione di trasformazione,
in pratica, la società istante non realizza gli effetti voluti dal legislatore fiscale con la disposizione
contenuta nel comma 1093 in commento, ma, abusando della autonomia negoziale riconosciuta
dall’ordinamento civilistico, intende conseguire un risparmio di imposta da considerarsi indebito.
L’unica ragione, di natura fiscale, addotta dalla società non può considerarsi una ragione eco
nomica caratterizzata dal requisito di «validità» previsto dalla norma, in quanto l’operazione
prospettata realizza lo scopo non in modo fisiologico e strutturale, ma attraverso aggiramenti che
generano risultati indebiti, realizzando in tal modo le condizioni richieste dall’art 37-bis citato».
89
Sul punto, M. Beghin, L’elusione tributaria e le agevolazioni fiscali, in Riv. dir. trib., 2006,
II, 621 ss. L’A. sottolinea come nessuna asistematicità può ravvisarsi laddove il contribuente si
316 Giuseppe Corasaniti
infili nel canale di un’agevolazione fiscale, ponendo in essere i presupposti cronologici, oggettivi
o soggettivi che il legislatore ha stabilito per l’applicazione della disciplina di favor. Nel momento
in cui sono fissati i requisiti di accesso ad una normativa tributaria più favorevole, il problema
dell’elusione è già scontato a monte, nel senso che il legislatore è consapevole del fatto che il
contribuente, nel procedere alla scelta tra una pluralità di schemi negoziali, potrà decidere di
conformarsi ai requisiti richiesti ex lege per l’applicazione del regime tributario più mite.
90
Cfr. M. Beghin, Elusione, evasione, confusione e abuso del diritto nell’applicazione delle
norme di favore, in Corr. trib., 2014, 3689 ss.
91
Cfr. Cass. 12 maggio 2011, n. 10383; Id, 11 novembre 2014, n. 24027, ove, a fronte di
un’operazione posta in essere dal contribuente al solo fine di fruire di un’agevolazione fiscale,
è stato chiarito che l’esenzione prevista nel caso di specie, sebbene formalmente spettante al
contribuente, era frutto di un’operazione che era stata concepita « allo scopo di fruire delle age
volazioni, altrimenti non spettanti».
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 317
92
Cfr. I. Vacca, L’abuso e la certezza del diritto, in Corr. trib., 2014, 1127.
93
Cfr. M. Procopio, La poco convincente riforma dell’abuso del diritto ed i dubbi di legit
timità costituzionale, in Dir. prat. trib., 2014, 746 ss. L’A. sostiene come l’art. 37-bis del d.p.r. n.
600/1973 presenti profili di illegittimità costituzionale, laddove prevede che l’Amministrazione
eserciti un insindacabile giudizio sulle operazioni posti in essere dagli operatori economici. In
altre parole, attribuire al contribuente l’onus probandi in punto di utilità economica dell’opera-
zione posta in essere significa andar contro a quanto statuito nell’art. 2697 c.c.
94
Cfr., M. Beghin, Consulenza fiscale e abuso del diritto tributario, in Corr. trib., 2010,
1092 ss. L’A. precisa, in via esemplificativa, come sono molti i casi nei quali un’operazione
può presentarsi totalmente priva di ragioni economiche (ed effettuata, pertanto, nell’esclusiva
prospettiva di ottenere un beneficio fiscale), senza per questo degenerare in abuso o elusione.
Basti pensare alle operazioni di affrancamento di terreni o di partecipazioni da parte di persone
fisiche; al riallineamento di differenziali tra valori civilistici e valori fiscali provocati sul complesso
produttivo attraverso il conferimento ex art. 176 Tuir; al riallineamento previsto per i disavanzi
generati mediante operazioni di fusione o di scissione.
318 Giuseppe Corasaniti
95
Nello stesso senso è la R.M. 15 luglio 1999, n. 117/E. In modo analogo, nella R.M. 2
novembre 2001, n. 175/E, è espresso il concetto che, quando il risparmio d’imposta conseguito
appare fisiologico, l’operazione non presenta profili di elusività.
96
Cfr. Commissione Parlamentare Consultiva in materia di riforma fiscale ai sensi della l.
23 dicembre 1996, n.662.
97
Si veda, fra gli altri, M. Beghin, L’abuso del diritto tra concetti astratti e rilevanza del
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 319
100
Cfr. M. Beghin, L’abuso del diritto nella indefettibile prospettiva del «vantaggio fiscale»,
cit., 2009. L’Autore sottolinea che:«la vendita delle partecipazioni e la vendita dell’azienda non
sono uguali e nemmeno si assomigliano. Da una parte (e mi riferisco, adesso, alla vendita delle
quote o delle azioni), siamo al cospetto di un contratto di scambio che consente al cedente di
trasferire all’acquirente la posizione soggettiva cui fa capo un rapporto partecipativo; ciò ha un
impatto rilevantissimo sul versante delle relazioni tra socio ed ente partecipato, oltre che, come è
lapalissiano, sulle declinazioni amministrative, gestionali e patrimoniali delle relazioni medesime.
Dall’altra (guardo, ora, alla vendita dell’azienda), il contratto di scambio consente di assumere
la diretta titolarità del complesso produttivo, con evidenti ricadute – di nuovo – sul fronte gestio
nale e, in particolare, su quello della immediata acquisizione della ricchezza prodotta attraverso
l’esercizio dell’impresa, senza che vi sia la necessità – in ipotesi – di deliberare la distribuzione
di dividendi».
101
M. Beghin, L’elusione tributaria e l’asistematicità dei vantaggi tributari, in Riv. dir. trib.,
2007, II, 237 ss. L’A. precisa che la questione «qualitativa» consistente nella valutazione della asi-
stematicità del vantaggio, non può trasformarsi in questione «quantitativa», poiché si rischierebbe
di travolgere la linea di demarcazione tra pianificazione fiscale ed elusione tributaria. Posta in
questi termini, infatti, la questione elusiva si ridurrebbe ad una mera operazione ragionieristica
consistente nella «pesatura» di due operazioni.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 321
102
Si veda, ad esempio, la sent. 5 giugno 2013, n. 14150, con nota di G. Zizzo, Imposta di
registro e atti collegati, in Rass. trib., 2013, 874. L’A. rileva come la Corte di Cassazione ha ade-
rito, in questa pronuncia, all’indirizzo dell’Amministrazione finanziaria che aveva riqualificato in
un’operazione di trasferimento di terreni il conferimento di un’azienda composta essenzialmente
322 Giuseppe Corasaniti
dai medesimi terreni cui aveva fatto seguito (nel periodo di un anno) la cessione delle quote a
due società cooperative differenti.
103
Cfr. M. Beghin, L’imposta di registro e l’interpretazione degli atti incentrata sulla sostan
za economica nell’ «abracadabra» dell’abuso del diritto, in Riv. giur. trib., 2010, 158 ss. L’Autore
ritiene che non si possa far leva, in queste situazioni, sul collegamento fra contratti poiché questi
mirano pur sempre alla composizione di un interesse economico unitario, difficilmente ricon-
ducibile – proprio in quanto «economico» – agli effetti giuridici che i singoli atti, isolatamente
considerati, sono capaci di produrre.
104
L’art. 8 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 disponeva che: « le tasse sono applicate secondo
l’intrinseca natura e gli effetti degli atti o dei trasferimenti, se anche non vi corrisponde il titolo
o la forma apparente». Cfr., sul punto, A. Uckmar, La legge del registro, 3 voll., Padova, 1928,
vol. primo, 215 ss. L’Autore ha osservato che certamente il fisco può tassare il contratto che
le parti hanno realmente posto in essere indipendentemente dal nomen e dall’intenzione delle
parti ma «ciò non deve portare all’estrema conseguenza di applicare un’aliquota più elevata di
quella dovuta su un determinato atto per il solo motivo che le parti hanno raggiunto lo scopo
che avrebbero potuto ottenere stipulando un altro contratto soggetto ad aliquota maggiore».
105
Per alcuni approfondimenti circa l’evoluzione dell’art. 20 del d.p.r. n. 131/1986 e circa la
struttura delle disposizioni che lo hanno preceduto, si veda G. Falsitta, L’influenza dell’opera di
Albert Hensel sulla dottrina tributaristica italiana e le origini dell’interpretazione antielusiva della
norma tributaria, in Riv. dir. trib., 2007, I, 569; G. Melis, Sull’ «interpretazione antielusiva» in
Benvenuto Griziotti e sul rapporto con la Scuola tedesca del primo dopoguerra: alcune riflessioni,
in Riv. dir. trib., 2008, I, 413 ss.; D. Jarach, I contratti a gradini e l’imposta, in Riv. dir. fin.,
1982, II, 79; M. Cerrato, Elusione fiscale ed imposizione indiretta nelle operazioni societarie, in
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 323
G. Maisto (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario, in Quaderno n. 4 della Riv. dir.
trib., Milano, 2009, 379. Si permetta infine il rinvio a G. Corasaniti, Conferimenti in natura e
apporti in società, Padova, 2008, 468 ss.; L’interpretazione degli atti e l’elusione fiscale nel sistema
dell’imposta di registro, in Dir. prat. trib., 2012, 963.
106
Cfr. G. Marongiu, L’abuso del diritto nella legge di registro tra principi veri e principi
asseriti, cit., 361.
107
In proposito assume rilevanza anche l’opinabile ordinanza della Corte di Cassazione
del 5 novembre 2013, n. 24739, che nel rimettere alla Corte costituzionale una questione di
(il)legittimità delle disposizioni di garanzia previste nell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973
per violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione in ragione della disparità di trattamento
rispetto ad altre disposizioni antielusive, osserva che «irrazionalmente, soltanto per la ripre-
sa antielusiva ai sensi dell’art. 37-bis cit. è legge che le forme del preventivo contraddittorio
debbano esser seguite sub poena nullitatis. Del resto, ad aumentare l’irragionevolezza della
misura in parola, deve essere rilevata l’esistenza di altre norme che, nella comune interpre-
tazione, consentono l’inopponibilità di negozi elusivi, ma senza che però vi sia un’analoga
previsione di nullità per difetto di forme del contraddittorio. Tra tutte, per la sua frequenza,
si rammenta il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20». Sul punto, F. Tundo, Illegittimo il
diritto al contraddittorio nell’accertamento antielusivo per disparità con l’abuso del diritto?,
in Corr. trib., 2014, 29.
324 Giuseppe Corasaniti
108
Cfr. Cass. 10 giugno 2013, n. 15319. Il Supremo Collegio ha statuito: «l’art. 20 «esprime
la precisa scelta normativa di assumere, quale oggetto del rapporto giuridico tributario inerente
a dette imposte, gli atti registrati, in considerazione non della loro consistenza documentale, ma
degli effetti giuridici prodotti». V., fra gli altri, G. Marongiu, L’elusione nell’imposta di registro
tra abuso del «diritto» e abuso del potere, in Dir. prat. trib., 2008, 1067 ss.
109
Così, in via esemplificativa, la sentenza n. 5877 del 2014, ove si osserva: «il principio
secondo cui, in forza del diritto comunitario, non sono opponibili all’Amministrazione finan-
ziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano abuso del diritto, cioè che si
traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale,
deve estendersi a tutti i settori dell’ordinamento tributario e, dunque, anche all’ambito delle im-
poste indirette, prescindendosi dalla natura fittizia o fraudolenta della operazione stessa, essendo
all’uopo sufficiente anche la mera prova presuntiva, come nella specie. Pertanto incombe sul con-
tribuente la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere
non meramente marginale o teorico, come nel caso in esame» (così, anche, Cass. n. 15963/2013).
110
Cfr. Cass. 15.10.2014, n. 21770, con nota di F. Bardini, D. Stevanato, R. Lupi, Partita
ancora da giocare su conferimento/cessione d’azienda nell’imposta di registro, in Dial. trib., 2014,
398 ss., la quale ha statuito che «la regola interpretativa di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art.
20, prescinde da intenti elusivi, eventualmente ma non necessariamente posti a base della scelta
negoziale complessa.
111
Cfr. M. Beghin, L’imposta di registro e l’interpretazione degli atti incentrata sulla sostan
za economica nell’ «abracadabra» dell’abuso del diritto, cit., 158 ss. L’A. sottolinea come l’art.
20 del d.p.r. n. 131/1986 attribuisce rilevanza non tanto al nomen iuris che le parti possono aver
attribuito all’atto, quanto alla intrinseca natura e agli effetti giuridici che dall’atto stesso proma-
nano, quale che sia la sostanza economica delle operazioni perfezionate. L’aggettivo «intrinseca»
richiama l’idea della «sostanza», di ciò che sta dentro, indipendentemente dall’intestazione che
si è voluta riservare all’atto. L’intrinseca natura riguarda perciò il contenuto e non il contenitore.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 325
112
In dottrina v., fra gli altri, M. Fanni, L’art. 20 del T.U.R. tra natura antielusiva e valu
tazione degli effetti giuridici degli atti nella circolazione indiretta delle aziende, in Riv. di giur.
trib., 2014, 494. L’Autore sottolinea che : «il quadro non è così semplice e, si teme, la soluzione
del contrasto non è così vicina. Ed infatti, il Collegio della «identità» degli effetti «giuridici» ha
assunto – dopo la richiamata pronuncia n. 15319 del 2013 – una serie di decisioni in apparente
ed immotivato contrasto con la ricostruzione ivi lucidamente effettuata, giustificando la riqua-
lificazione in cessione d’azienda del conferimento seguito dalla cessione di partecipazioni sulla
base di «ricette» composte da ingredienti incompatibili (l’identità degli effetti giuridici con gli
interessi perseguiti dal contribuente o la antielusività dell’art. 20) il cui risultato, unica costante di
questa nouvelle cuisine, è stato un boccone amaro – la soccombenza – per il contribuente». Per
un approfondimento della giurisprudenza di legittimità contrastante si vedano : Cass. 28.06.2013,
n. 16345; Cass. del 18.12.2013, n. 28259.
326 Giuseppe Corasaniti
registro, quale si desume dal sistema del testo unico che la disciplina, oltre
che sulla disposizione dell’art. 20 del d.p.r. n. 131/1986.
È possibile, alla luce di quanto detto precedentemente, notare la diffe-
renza strutturale fra l’art. 20 e l’art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973, in quanto
quest’ultimo, rubricato «Disposizioni antielusive», identifica una norma ec-
cezionale rispetto alle regole generali d’imposizione, volta a conciliare l’auto-
nomia contrattuale delle parti, la libertà d’iniziativa economica con la neces-
sità di contrastare l’elusione. Inoltre, la qualificazione dell’imposta di registro
come «imposta d’atto» preclude all’ufficio l’utilizzo di elementi extratestuali
nell’attività d’interpretazione dell’atto assoggettato a registrazione.
Dalle considerazioni svolte ne consegue che, nel tentativo di superare
«l’inequivocabile» significato dell’art. 20, si è invocata del tutto generica-
mente, con frasi sibilline e non ancorate al dato normativo, una supposta
«funzione antielusiva» dell’interpretazione qui oppugnata113.
Nessun problema, invece, sembrava potersi porre con riferimento alle
imposte sui redditi. In tale comparto, infatti, lo stesso legislatore fiscale ha
escluso a priori, con l’art. 176 comma 3 del TUIR, la natura elusiva del
comportamento consistente nel conferimento d’azienda e nella successi-
va cessione delle quote. Come rilevato nella stessa relazione illustrativa al
d.lgs. n. 344/2003, tale operazione non costituisce una fattispecie elusiva,
bensì rappresenta una casistica del tutto integrata con il nostro attuale si-
stema fiscale, considerato che alla sostanziale detassazione delle eventuali
plusvalenze realizzate dal cedente si contrappone il sub-ingresso da parte
del compratore in valori fiscalmente riconosciuti più bassi del prezzo da
quest’ultimo pagato114.
113
Cfr. G. Marongiu, L’abuso del diritto nella legge di registro tra principi veri e principi
asseriti, cit., 361. L’A. rileva la fumosità del linguaggio dell’amministrazione là dove scrive che
«pur tenendo conto della peculiare natura dell’imposta di registro, sembra possa fondatamente
configurarsi una ratio antielusiva dell’art. 20». Il legislatore dell’imposta di registro ha introdotto
alcune norme volte a prevenire ed arginare fenomeni elusivi e a queste e solo a queste occorre
attenersi. Proprio perché l’imposta di registro colpisce l’atto avendo precipuo riguardo al suo
contenuto giuridico, nel presupposto che vi sia una corrispondenza tra il tipo contrattuale e
il substrato economico dell’operazione, il legislatore ha avvertito l’esigenza di intervenire con
apposite disposizioni per reprimere fenomeni di elusione, caratterizzati da una divergenza tra lo
schema negoziale adottato dalle parti contraenti e gli scopi pratici da esse perseguiti, diversi ed
ulteriori rispetto a quelli connaturati al tipo negoziale. Se ne trova conferma nelle disposizioni
quali l’art. 24 in tema di trasferimenti di pertinenze e accessioni, l’art. 26 in tema di trasferimenti
immobiliari posti in essere tra coniugi ovvero parenti in linea retta, l’art. 32 in tema di dichiara-
zione di nomina effettuata oltre tre giorni dalla data di stipulazione del contratto per persona da
nominare. Ne deriva che non esiste una generale disciplina antielusiva nella disciplina dell’impo-
sta di registro, ma solo ipotesi che il legislatore ha codificato in specifiche norme.
114
Sul punto, la relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 344/2003 è chiara: «Semplificando,
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 327
infatti, il contribuente società di capitali potrà decidere se: – operare nell’ambito dell’esenzio-
ne, conferendo l’azienda in neutralità e successivamente cedendo la partecipazione usufruendo
della participation exemption, senza dare in questo caso al proprio acquirente valori fiscalmente
recuperabili (art. 176, c. 3); – operare in regime di imponibilità, vendendo l’azienda e facendo
concorrere la plusvalenza alla formazione del reddito imponibile, dando al proprio acquirente
valori fiscalmente riconosciuti. In entrambi i casi, si può concludere che il sistema è strutturato
in modo tale da evitare i salti d’imposta che si genererebbero per effetto della discontinuità nei
valori fiscalmente riconosciuti».
115
Per tutte, si segnala la Cass. 24 luglio 2013, n. 17965, con la quale la Corte, in considera-
zione delle peculiari caratteristiche della vicenda, ha ritenuto legittima la riqualificazione in un
unitario trasferimento di azienda delle cessioni di singoli beni attuate con distinti negozi giuridici
che si sono succeduti nell’arco temporale di ben tre anni.
116
Così definita da Cass. 11.06. 2007, n. 13580, in banca dati Fisconline.
117
Cfr. M. Della Vecchia, P. Stellacci, Elusione dell’imposta di registro: la cessio
ne d’azienda c.d. «spezzatino», in Il fisco, 2012, 3095.
328 Giuseppe Corasaniti
ovvero a quella del bene che sconta l’aliquota più elevata). I rilievi, dunque,
consistono generalmente nell’assoggettamento ad imposta di registro delle
operazioni, con conseguente ripresa a tassazione dell’imposta sul valore
aggiunto detratta dal cessionario (cui peraltro non fa seguito l’automatico
riconoscimento del rimborso dell’imposta sul valore aggiunto versata dal
cedente).
Nel secondo caso, invece, il beneficio risiederebbe proprio nell’evitare
l’assoggettamento ad imposta sul valore aggiunto (poiché, ad esempio, il
cessionario non riesce a detrarre detta imposta in tutto o in parte), qua-
lificando l’operazione come conferimento o cessione (di ramo) d’azienda.
L’accertamento determina la conseguente ripresa a tassazione dell’imposta
sul valore aggiunto omessa dal cedente e l’applicazione delle relative san-
zioni (cfr. Cass. 13 maggio 2009 n. 10966), ivi incluse quelle a carico del
cessionario per il mancato assolvimento dell’obbligo di denuncia di cui
all’art. 6 comma 8 del DLgs. 471/1997 (cui peraltro, anche in tal caso, non
fa seguito l’automatico rimborso dell’imposta proporzionale di registro
eventualmente già corrisposta).
Si nota come, procedendo secondo le modalità sopra descritte, l’Ammi-
nistrazione finanziaria non si limiti ad una mera riqualificazione degli atti,
bensì si arroga la facoltà di «invadere» la fattispecie contrattuale, andando
a ridefinire – a prescindere dalla libera volontà delle parti – il perimetro
dell’oggetto del conferimento d’azienda118.
7.3. «Merger leveraged buy out» e abuso del diritto
Con il termine leveraged buyout (breviter, LBO) viene indicata la tec-
nica di acquisizione di società che fa leva sulle capacità di indebitamento
di queste ultime.
Nella prassi commerciale si registra un progressivo ricorso a questa par-
ticolare forma di fusione, in quanto l’acquisizione del controllo di società
operative attraverso lo schema di LBO può consentire un utilizzo minimo
del capitale di rischio della società acquirente e un massimo impiego di
mezzi finanziari ottenuti a credito da terzi (come investitori privati, inve-
stitori istituzionali, istituzioni finanziarie)119, i quali sono indotti a fornire
118
In tal senso, una pronuncia, isolata a dire il vero, del Supremo Collegio (Cass. 22 gennaio
2013, n. 1405) con la quale è stato rigettato il ricorso del contribuente attribuendo rilievo diri-
mente ai fini della configurabilità di un’azienda (e del conseguente trattamento applicabile ai fini
dell’imposta di registro) alla mera attitudine potenziale dei beni (terreni edificabili) costituenti
il compendio trasferito ad essere utilizzati per l’esercizio di un’attività d’impresa, prescindendo
radicalmente, quindi, dall’attualità di tale utilizzo.
119
La cd. tecnica del cash merger è affiancata nella prassi da altre ipotesi quali appunto la
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 329
tali mezzi finanziari in virtù della solidità patrimoniale della società ope-
rativa.
Il LBO, nella forma più diffusa si articola nelle seguenti fasi:
a) Costituzione di una nuova società (newco o «società veicolo»);
b) Assunzione di finanziamenti a titolo oneroso presso istituti di cre-
dito o altri soggetti terzi;
c) Acquisto della partecipazione totalitaria o di controllo nella società
operativa (target);
d) Costituzione a favore dei finanziatori del diritto di pegno sulla par-
tecipazione acquistata, a garanzia del prestito erogato a tal fine.
Nel rispetto delle disposizioni previste dall’art. 2501-bis c.c., lo schema
di acquisizione prevede in conclusione la fusione tra la società target e la
società acquirente/debitrice (di regola, con l’incorporazione della prima
nella seconda)120.
Ai fini delle imposte sui redditi, il LBO è connotato da riflessi fiscali che
comunemente possono caratterizzare la fusione societaria, quali tra gli altri:
– L’emersione di differenze di fusione affrancabili mediante il paga-
mento dell’imposta sostitutiva prevista dall’art. 176, comma 2-ter, Tuir121;
– Il riporto delle perdite pregresse in capo alla società incorporante o
risultante dalla fusione, nel rispetto delle condizioni previste dal comma 7
dell’art. 172 Tuir122.
A tali aspetti se ne aggiunge uno ulteriore, peculiare di questa tipologia
di operazione, rappresentato dalla confluenza in capo alla società acquiren-
tecnica dell’assets for cash, nella quale la società target vede acquisito parte del suo patrimonio.
Tale ultima operazione è tuttavia poco praticata nella prassi, visto anche il disposto dell’art.
2560 c.c., il quale dispone che l’alienante non è liberato dai debiti (anteriori) inerenti all’esercizio
dell’azienda ceduta se non risulta che i creditori vi hanno consentito.
120
L’operazione può tuttavia concludersi anche mediante la fusione inversa della società
acquirente/debitrice nella società target, il che in genere accade quando quest’ultima è titolare
di licenze, autorizzazioni, concessioni amministrative et similia, la cui voltura e reintestazione
a favore della società newco o della società risultante dalla fusione potrebbe appalesarsi quale
procedimento lungo e difficoltoso. Cfr. G. Andreani, A. Tubelli, Sono elusive le operazioni di
«merger and leveraged buyout»?, in Corr. trib., 2011, 524.
121
Come definitivamente chiarito dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione 27 aprile
2009, n. 111/E, in banca dati IPSOA BIG Suite (la quale ha superato le indicazioni in preceden-
za fornite con la risoluzione 24 febbraio 2009, n. 46/E, ivi), il suddetto regime di imposizione
sostitutiva trova applicazione anche in caso di fusione inversa.
122
Secondo l’Agenzia delle entrate (cfr. risoluzioni 10 aprile 2008, n. 143/E; 24 ottobre
2006, n. 116/E, entrambe in banca dati IPSOA BIG Suite) e lo stesso Comitato consultivo per
l’applicazione delle norme antielusive (cfr. parere 19 gennaio 2005, n. 2, ivi), il diritto al riporto
delle perdite pregresse, oltre a passare il vaglio del disposto dell’art. 172, comma 7, Tuir dovreb-
be essere valutato anche alla luce della norma antielusiva generale contenuta nell’art. 37-bis del
D.P.R. 29 settembre 1973. n. 600.
330 Giuseppe Corasaniti
123
Sulla classificazione delle ragioni di ordine finanziario e patrimoniali quali motivazioni
tipiche della fusione, si veda tra gli altri E. Potito, «Le «valide ragioni economiche» di cui
all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973: considerazioni di un economista d’azienda», in Rass. trib. n.
1/1999, 61.
124
La sentenza è stata commentata da G. Andreani, A. Tubelli, Sono elusive le operazioni
di «merger leveraged buyout»?, cit., 524; D. Stevanato, Ancora un’accusa di elusione senza
«aggiramento» dello spirito della legge, cit., 678; R. Rizzardi, Abuso del diritto: svolta della
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 331
Corte di cassazione e della Corte di giustizia UE, in Corr. trib., 2011, 663; M. Basilavecchia,
Non sempre sono abusive le scelte negoziali ed organizzative produttive di risparmi d’imposta, in
Riv. giur. trib., 2011, 287. Si rinvia altresì a F. Tundo, Il «merger leveraged buy out» tra valide
ragioni economiche e disposizioni antielusive, in Corr. trib., 2011, 1411.
125
Cfr. Comm. Trib. regionale della Lombardia, sent. 13 aprile 2011, n. 36, con nota di F.
Tundo, «Merger leveraged buy out» e abuso del diritto: quali strumenti per sindacare l’elusività
di un atto complesso e degli interessi passivi, in Riv. di giur. trib., 2011, 611. L’autore sottolinea
come « la giurisprudenza di merito dimostra di aver recepito i principi di diritto statuiti dalla
Corte di Cassazione con la sent. 21 gennaio 2011, n. 1372. In primo luogo, è ora evidente – e
la Commissione tributaria regionale della Lombardia sembra averlo ben chiaro – che le fusioni
a seguito d’indebitamento non possono più essere considerate quali operazioni frammentate e,
anzi, il sindacato di elusività deve considerare il MLBO quale atto complesso, che vede nell’in-
corporazione finale un passaggio, certamente necessario, non isolato dall’iter che lo precede.
In secondo luogo, poi, è appena il caso di sottolineare come l’operato dei verificatori debba
necessariamente tenere conto del singolo tipo di MLBO con cui ci si sta confrontando, in modo
da calibrare di conseguenza il giudizio sulle valide ragioni economiche. In terzo luogo, infine,
nonostante l’operazione in questione costituisca un plesso inscindibile, l’Amministrazione dovrà
332 Giuseppe Corasaniti
azionare diverse norme antielusive a seconda della frazione che intende sindacare, non risultando
possibile una contestazione di elusività – per così dire – indistinta sulla base dell’art. 37-bis del
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600».
126
G. Fransoni, Abuso di diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni, cit., 13 ss.
L’Autore, partendo dalla premessa che il contribuente, dando prova della non ricorrenza degli
effetti elusivi, dimostra in concreto l’esistenza di una condotta contrapposta alla definizione di
operazione elusiva prevista dal primo comma dell’art. 37-bis, rileva che anche fra le norme an-
tielusive speciali e la norma antielusiva semigenerale esiste (rectius deve esistere) un «concorso»
risolto sulla base del principio di specialità. Da ciò ne deriva che la procedura di interpello disap-
plicativo ha senso solo se, ottenuta la disapplicazione della norma antielusiva speciale, il contri-
buente è al riparo dal rischio di un accertamento sulla base della norma antielusiva semigenerale.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 333
127
Si tratta pertanto di una semplice «sospensione», nella quale il conteggio dei giorni in
attesa del termine riprende dopo la ricezione del materiale richiesto (diversamente da quanto
accade nell’interpello ordinario ex art. 11 della legge n. 212/2000, nel quale il termine riprende
a decorrere «da capo» a seguito della richiesta istruttoria, potendo giungere fino a 240 giorni).
128
Cfr. Cass. 15.07.2014, n. 16183, con nota di F. Pistolesi, La non obbligatorietà dell’inter
pello disapplicativo, in Corr. trib., 2014, 2932 ss.
334 Giuseppe Corasaniti
129
Cfr. Circ. Agenzia delle Entrate 2 febbraio 2007, n. 5.
130
In tal senso Cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 389.
131
Favorevole al silenzio – assenso anche G. Fransoni, Efficacia ed impugnabilità degli in
terpelli fiscali con particolare riguardo all’interpello disapplicativo, in Maisto (a cura di), Elusione
e abuso del diritto, in Quaderni della rivista di diritto tributario, 2009, 105.
132
Cfr. F. Pistolesi, Gli interpelli tributari, Milano, 2007, 100.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 335
133
V. Circ. Agenzia delle Entrate 3 marzo 2009, n. 7.
134
Cfr. Cass., SS. UU., 18.02.2014, n. 3773, in banca dati Fisconline.
135
In questi termini v. Cass. 5.10.2012, n. 17010, in banca dati Fisconline.
136
Cfr. M. Beghin, L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, cit., 39.
336 Giuseppe Corasaniti
137
Per un’analisi più approfondita si veda, F. Pistolesi, Dalla delega fiscale più omogeneità
ed efficienza per gli interpelli, in Corr. trib., 2014, 1836.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 337
138
Cfr. A. Tomassini, Riordino degli interpelli: un’occasione da non perdere, in Corr. trib.,
2014, 1380 ss.
139
Sul tema dell’applicazione delle sanzioni amministrative e penali si segnalano: A. Gian-
nelli, Sanzione ed elusione fiscale: considerazioni a margine del recente orientamento della Corte
di Cassazione, in Riv. Trim. dir. trib., 2014, 121 ss.; G. Marini, Note in tema di elusione fiscale,
abuso del diritto e applicazione delle sanzioni amministrative, in Riv. Trim. dir. trib., 2013, 325
ss.; E. De Mita, I confini dell’abuso del diritto e della rilevanza penale dei comportamenti elusivi,
in Corr. trib., 2012, 2509 ss.; A. Contrino, Sull’ondivaga giurisprudenza in tema di applicabilità
delle sanzioni amministrative tributarie nei casi di «elusione codificata» e di «abuso/elusione», in
Riv. dir. trib., 2012, I, 261 ss.
140
Cfr. Cass., 25 maggio 2009, n. 12042. Il Supremo Collegio ha chiarito, in questa pronun-
cia, che nel caso di violazione di un principio di ordine generale come l’abuso del diritto non
possono trovare applicazione le sanzioni essendo in presenza di obiettive condizioni di incertezza
sulla portata della norma sanzionatoria. Sul punto, A. Marcheselli, Elusione e sanzioni: un’in
compatibilità logico giuridica, in Corr. trib., 2009, 1988; M. Beghin, L’abuso del diritto nell’im
posta di registro e il problema della «selezione» negoziale degli elementi costituendi l’azienda, in
Il fisco, 2009, 5326; V. Ficari, Principio di collaborazione e buona fede, disapplicazione delle san
zioni amministrative tributarie ed abuso del diritto nelle imposte sul redditi, in Il fisco, 2009, 5319.
141
Cfr. Cass., 30 novembre 2011, n. 25537, con nota di M. Nussi, Elusione fiscale «codificata»
e sanzioni amministrative, in Riv. giur. trib., 2012, 1936.
142
Cfr. Cass., 28 febbraio 2012, n. 7739, con nota di M. Basilavecchia, Quando l’elusione
338 Giuseppe Corasaniti
costituisce reato, in Riv. giur. trib., 2012, 381; Cass. 23 maggio 2013, n. 19100; Cass. 9 settembre
2013, n. 36894.
143
Cfr. F. Gallo, Rilevanza penale dell’elusione tributaria, in Rass. trib., 2001, 321 ss.; C.
Attardi, Elusione fiscale, abuso del diritto e sanzioni tributarie, in Il fisco, 2011, 212 ss; L. Del
Federico, Elusione tributaria codificata e sanzioni amministrative, in Giust. Trib., 2007, 283 ss;
M. Montanari, Elusione fiscale senza sanzione?, in Giur. It., 2002, 2433 ss.
144
Negano la sanzionabilità: G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 226; G. M.
Flick, Abuso del diritto ed elusione fiscale: quale rilevanza penale?, in Giur. Comm., 2011, 465
ss.; A. Carinci, Elusione tributaria, abuso del diritto e applicazione delle sanzioni amministra
tive, in Dir. prat. trib., 2012, 785 ss.
145
Cfr. F. Gallo, Rilevanza penale del’elusione tributaria, cit., 327.
146
Sul punto, si veda M. Basilavecchia, Quando l’elusione costituisce reato, cit., 381. L’A.
critica la tesi della natura sostanziale dell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973. Prendendo le mos-
se, infatti, dall’indubbio dato testuale, e dalla collocazione certo non arbitraria della norma tra
quelle attributive di poteri all’Amministrazione finanziaria, non risulta condivisibile l’idea che
allo stesso contribuente che ha scelto delle soluzioni negoziali trasparenti e palesi venga chiesto
di rinnegarle in sede di adempimenti fiscali: il superamento della soglia di tollerabilità della
pianificazione fiscale può allora costituire oggetto di rettifica ex post da parte del Fisco, e con il
recupero della maggiore imposta viene trovato un equilibrio che, pur essendo già molto gravoso
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 339
per il contribuente, non postula un irragionevole obbligo dichiarativo avulso dagli effetti giuridici
degli atti posti in essere.
147
G. Falsitta, L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come clausola immanen
te al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali, cit., 293.
148
Cfr. G. Falsitta, Natura delle disposizioni contenenti «norme per l’interpretazione di
norme» e l’art. 37-bis sull’interpretazione analogica o antielusiva, in Riv. dir. trib., 2010, I, 519
ss. Secondo l’A., il comma 1 dell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973 è disposizione che racchiude
una norma sussumibile sotto la categoria di appartenenza degli artt. 12, 13, 14 delle «disposizioni
sulla legge in generale» (le così dette preleggi). Si tratterebbe, pertanto, di norma che disciplina
l’attività d’interpretazione delle norme tributarie.
149
F. Tesauro, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, cit., 683.
340 Giuseppe Corasaniti
150
Come scrive S. La Rosa, Elusione e antielusione fiscale nel sistema delle fonti del diritto,
cit., 788, si tratta di fare applicazione di una norma la cui fattispecie non si è in realtà verificata,
in luogo di quella regolatrice del fatto che si è storicamente verificato.
151
È quel che avviene, ad esempio, in tema di scissione con conferimento alla beneficiaria
di immobili della scissa, seguita dalla cessione delle quote di partecipazione nella beneficiaria
detenute dalla scissa, quando l’Amministrazione finanziaria tassa la plusvalenza che sarebbe stata
realizzata se l’immobile fosse stato ceduto dalla scissa alla beneficiaria. Nel caso esaminato da
Cass., 10 giugno 2011, n. 12788, con nota di A. Lovisolo, Il contrasto all’interposizione «ge
storia» nelle operazioni effettive e reali, ma prive di valide ragioni economiche, cit., 2011, 869,
sull’imputazione del reddito nel caso di interposto reale privo di autonoma funzione economica,
l’Amministrazione finanziaria aveva imputato ad una società italiana, che vendeva dei beni ad una
società svizzera, che a sua volta li vendeva ad una società tedesca, redditi realizzati dalla società
svizzera (interposta reale). L’Amministrazione finanziaria aveva richiamato l’art. 37, 3° comma,
d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, considerato applicabile, oltre che all’interposizione fittizia, anche
a quella reale; era un caso, invece, di applicazione di imposta elusa, ex art. 37-bis, 2° comma (ma
non ricorreva nessuna delle ipotesi di cui al comma 3°).
152
Tuttavia G. Fransoni, Appunti su abuso del diritto e «valide ragioni economiche, cit., 941,
ne tenta un inquadramento in chiave dichiarativa.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 341
153
Cfr. A. Guidara, Sulla sanzionabilità delle condotte elusive nel quadro della nuova legge
delega, in Riv. dir. trib., 2014, 425.
154
A tal proposito, S. La Rosa, Elusione e antielusione fiscale nel sistema delle fonti del
diritto, cit., 799. L’Autore sottolinea come vi è la necessità si stabilire quale sia il «tipo» di an-
tielusione che può dirsi recepito nell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973. Se si parte dall’assunto
che alla disapplicazione antielusiva debba far seguito l’applicazione della disciplina risultante
dalle norme eluse (disapplicazione «ordinamentale»), malgrado non se ne siano verificati i pre-
supposti di fatto, si giunge all’automatica conseguenza, considerato che le clausole antielusive
vanno ad incidere su vere e proprie antinomie, che i risvolti sanzionatori dei comportamenti dei
contribuenti dovrebbero trovare il loro naturale referente normativo nell’esimente dell’obiettiva
incertezza delle regole.
155
Cfr. A. Giovannini, Il Diritto tributario per principi, Milano, 2014, 133 ss.
342 Giuseppe Corasaniti
Ciò che si punirebbe, allo stato attuale della legislazione, sarebbe, infatti,
non il comportamento abusivo in quanto tale o l’abuso in sé, ma l’infedeltà
della dichiarazione come fattispecie conseguente ad una condotta artificio-
sa contraria alle regole che informano la buona fede in senso oggettivo.
Tale orientamento prende le mosse dalla constatazione che di abuso si
deve parlare quando atti od operazioni complesse, pur esattamente corri-
spondenti al contenuto di una situazione soggettiva e di un precetto nor-
mativo, sono determinati per perseguire un interesse proprio dell’agente in
spregio a quello oggettivo del creditore, interesse il cui rispetto costituisce
limite esterno alle libertà giuridiche individuali, comprese le libertà econo-
miche e d’impresa.
Agganciare il concetto di abuso, per un verso, a situazioni soggettive
espresse in atti e negozi e all’interesse in concreto perseguito dal contri-
buente, e, per un altro verso, al diritto potenziale del creditore erariale,
significa raggiungere due obiettivi. Il primo: legittimare l’inopponibilità
all’Amministrazione degli effetti giuridici di quei negozi, senza vanificarne
gli effetti privatistici. Il secondo: legare il concetto di divieto di abuso a
quello di buona fede in senso oggettivo, principio, quest’ultimo, che è con-
sacrato nell’art. 10 della legge n. 212/2000. Dunque, buona fede oggettiva e
abuso avrebbero la medesima connotazione: entrambe le nozioni si caratte-
rizzano per esigere una valutazione bilaterale. Se impongono di valutare gli
interessi del privato alla realizzazione di interessi suoi propri che lo hanno
indotto ad utilizzare specifici atti o negozi, al contempo esigono che sia
accertato il diritto del creditore alla realizzazione della pretesa secondo la
sua reale configurazione.
Ma il principio della buona fede oggettiva introduce un elemento ulte-
riore: la correttezza della condotta. L’abuso del diritto, pertanto, si traduce
in un comportamento artificioso, contrario alle regole che lo dovrebbero
informare seguendo quelle della buona fede in senso oggettivo. Il divieto
di abuso sarebbe regola di condotta, il cui perno è la buona fede oggettiva.
In altri termini, l’abuso connota un comportamento artificioso o in-
teso a raggirare la legge; comportamento che, come tale, si differenzia da
quelli, pure illegali, ma semplicemente sottrattivi della materia imponibile.
A differenza dell’abuso, l’evasione è il risultato che accomuna tutti questi
comportamenti, siano essi riconducibili alla violazione della buona fede
oggettiva e quindi del divieto di abuso, siano essi riportabili a «semplice»
sottrazione di imponibile. La distinzione tra abuso ed altre forme di rispar-
mio illegale di imposta, insomma, non risiede nel risultato, ossia nell’eva-
sione, ma nelle condotte.
Dunque, se la disposizione sanzionatoria che s’intende applicare ha
come suo elemento costitutivo l’evasione dell’imponibile o dell’imposta,
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 343
156
Cfr. A. Giovannini, Il diritto tributario per principi, cit., 135. L’A. critica l’orientamento
giurisprudenziale sostenendo che, al fine di soddisfare i requisiti di determinatezza e tassatività,
si finisce per fondare una discriminazione tra comportamenti – quelli riconducibili all’art. 37-bis
e quelli estranei a questa disposizione – alcuni dei quali soltanto punibili, quando, invece, tutti
sono ugualmente caratterizzati dalla violazione del canone della buona fede oggettiva e dallo
scopo sostanzialmente evasivo, compresi, appunto, i comportamenti «codificati», che lo sono in
forza di una norma speciale d’interpretazione del principio generale.
157
M. Beghin, Elusione fiscale, abuso del diritto e profili sanzionatori, in Boll. trib., 2015,
805 ss.
158
M. Cicala, Attività di accertamento e contraddittorio amministrativo: verso un nuovo
intervento delle sezioni unite, in Boll. trib., 2015, 86 ss.
344 Giuseppe Corasaniti
159
Cfr. legge 11 marzo 2014, n. 23, recante disposizioni per un sistema fiscale più equo,
trasparente e orientato alla crescita.
160
Cfr. F. Gallo, Brevi considerazioni sulla definizione di abuso del diritto e sul nuovo
regime del c.d. adempimento collaborativo, in Dir. prat. trib., 2014, I, 6, 947 ss.
161
Si veda E. Altieri, La codificazione di una clausola generale antielusiva: giunga o wild
west?, in Rass. trib., 2014, 521 ss.
162
Cfr. A. Giovannini, La delega unifica elusione ed abuso del diritto: nozione e conseguen
ze, in Corr. trib., 2014, 1827. L’ A. sottolinea come l’art. 5 della legge delega tende a disciplinare la
ripartizione dell’onere della prova conformemente all’art. 2697 c.c. e alla collocazione strutturale
delle ragioni economiche in seno alla condotta; per un altro verso declina «le valide ragioni eco-
nomiche» nella normale logica di mercato. Inoltre, l’art. 5 amplia l’oggetto della prova rimessa al
contribuente, qualificando alla stregua di cause giustificative dell’operazione anche ragioni prive
di rilievo economico.
346 Giuseppe Corasaniti
163
Cfr. Raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressi-
va n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012. Qui la condotta abusiva si connota sia per essere priva
di sostanza economica sia per essere posta in essere essenzialmente per ottenere un risparmio
d’imposta. Lo scopo di ottenere un risparmio d’imposta deve risultare essenziale nella decisione
di realizzare la manovra, nel senso che «qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribu
ita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le
circostanze del caso». La Raccomandazione lascia dunque aperta la porta alla possibilità che la
condotta priva di sostanza economica sia stata comunque posta in essere per finalità extrafiscali,
o anche per finalità extrafiscali, e ravvisa l’abuso non quando la finalità di risparmio d’imposta
appaia prevalente su queste ulteriori finalità, ma quando esse appaiono «irrilevanti», e dunque
marginali, inconsistenti, pretestuose rispetto alla finalità di risparmio d’imposta.
164
G. Zizzo, L’abuso del diritto tra incertezze della delega e raccomandazioni europee, in
Corr. trib., 2014, 2997: G. Zizzo, La giurisprudenza in materia di abuso ed elusione nelle imposte
sul reddito, in Corr. trib., 2012, 1019; G. Zizzo, Gli obiettivi della riforma e la clausola generale
per il contrasto all’abuso del diritto, in Corr. Trib., 2012, 2848.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 347
165
Cfr. S. La Rosa, Abuso del diritto ed elusione fiscale: differenze ed interferenze, in Dir.
prat. trib., I, 4, 2012, 707 ss. L’A. precisa che l’espressione «ragioni economiche extrafiscali non
marginali» sembra che finisca con l’attrarre nell’area delle condotte abusive tutti i comportamenti
che risultano unicamente dettati dal fine (esclusivamente fiscale) del risparmio di imposte, se
caratterizzati dal ricorso ad un uso anomalo o «distorto» degli strumenti giuridici (si pensi all’ac-
quisto di una villa a fini residenziali tramite una società appositamente costituita o alla cessione di
diritti di usufrutto al coniuge per beneficiare dei minori livelli impositivi ai quali essa è soggetta).
Il pericolo è, secondo l’Autore, che alla fine finirà col prevalere il riconoscimento del non potersi
di per sé considerare «distorto» l’uso degli strumenti giuridici a meri fini di risparmio d’imposta;
e quindi anche con il pervenirsi ad una sostanziale vanificazione del tentativo di procedere alla
formalizzazione del concetto delle condotte fiscalmente «abusive».
166
Sul punto M. Procopio, La poco convincente riforma dell’abuso del diritto ed i dubbi di
legittimità costituzionale, cit., 759, il quale sottolinea che se verrà codificato il concetto di «pre-
valenza» si incorrerà nel rischio di attribuire agli organi di controllo dell’Amministrazione finan-
ziaria un inconcepibile potere discrezionale stante l’ampia latitudine dell’avverbio «prevalente».
348 Giuseppe Corasaniti
167
Cfr. A. Manzitti, M. Fanni, Abuso ed elusione nell’attuazione della delega fiscale: un
appello perché prevalgano la ragione e il diritto, in Corr. trib., 2014, 1140. Gli Autori sostengono
che il denunciato vizio è ancor più grave se si riflette sul fatto che nell’art. 5 la «condotta abusiva»
è definita come «uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta».
Se, infatti, è abuso l’uso distorto di uno strumento giuridico, dovrebbe esistere una norma che
definisca qual è l’uso «non distorto» dello stesso.
168
T. Lamedica, Abuso del diritto ed elusione: disciplina unificata, in Corr. trib., 2014, 1429,
chiarisce che la disciplina di carattere generale contenuta nell’art. 38 del d.p.r. n. 602/1973, non
sarebbe sufficiente a tal proposito,
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 349
169
Cfr. T. Lamedica, Abuso del diritto ed elusione: disciplina unificata, cit., 2014, 1429. L’A.
sottolinea come la legge delega ha posto sulle spalle dell’Amministrazione finanziaria di due
grossi macigni: da un lato, l’onere di provare il disegno abusivo, nonché la mancata conformità
a una normale logica di mercato e, dall’altro, la puntuale individuazione della condotta abusiva
nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso. In altre
parole, l’Amministrazione finanziaria dovrà darsi carico di mettere insieme le singole condotte
ritenute abusive per una necessaria comparazione – quantitativamente soddisfacente – di quanto
rappresentato dalle singole operazioni che hanno portato all’abuso del diritto. E il tutto deve es-
sere messo per iscritto, analiticamente,nella motivazione che costituirà la base dell’accertamento.
170
Cfr. A. Giovannini, La delega unifica elusione ed abuso del diritto: nozione e conse
guenze, cit., 2014, 1827. L’Autore sottolinea come l’art. 5 non specifica se il provvedimento
d’accertamento emanato in assenza di preventivo contraddittorio si debba considerare invalido o
inesistente. La mancanza di una previsione espressa improntata al principio di tipicità della nullità
e della tassatività dei vizi che la determinano, rischierebbe di determinare la nullità, non come
invalidità assoluta o inesistenza dell’avviso di accertamento, ma potrebbe dar luogo ad un’ipotesi
di annullabilità ai sensi del comma 2 dell’art. 21 – octies della legge n. 241/1990.
171
Cfr., per tutte, Cass. 20.05.2013, n. 12282. Sul punto v., fra gli altri, A. Poddighe, Abuso
350 Giuseppe Corasaniti
del diritto e contraddittorio processuale, in Rass. trib., 2009, 1830 ss.; G. Fransoni, Preclusioni
processuali, rilevabilità d’ufficio e giusto processo, in Corr. trib., 2013, 449. Si veda, inoltre, A.
Giovannini, La delega unifica elusione e abuso del diritto: nozione e conseguenze, cit., 1827, il
quale ammette la rilevazione in giudizio dell’abuso in forza dell’art. 113 c.p.c., in quanto trat-
tandosi di una norma giuridica in senso proprio deve essere vista come «regola di giudizio».
172
Cfr. Cass. 4.04.2014, n. 7961, con nota di F. Giuliani – S.Scalini, Abuso del diritto contro
elusione nel procedimento e nel processo tributari, in Boll. trib., 2014, 1262. Il ragionamento viene
svoloto dal Supremo Collegio avendo riguardo ad un caso in cui ad una società veniva notificato
un avviso di accertamento, motivato con la sola menzione dell’art. 39 del d.p.r. n. 600/1973. Solo
nel corso del secondo grado di giudizio, l’Ufficio accertatore contestava l’elusività delle opera-
zioni poste in essere dalla società contribuente, in violazione dell’art. 37-bis d.p.r. n. 600/1973,
senza che però fossero state precedentemente rispettate le garanzie procedurali a favore del con-
tribuente, previste dalla disposizione normativa de qua. In sostanza, il Supremo Collegio, oltre a
chiarire che un avviso di accertamento, se non motivato espressamente con la menzione dell’art.
37-bis, non possa essere riqualificato antielusivo dall’Agenzia delle Entrate, chiarisce anche che
nel caso di specie nemmeno una rilevabilità d’ufficio da parte del giudice sarebbe possibile, a
differenza dell’abuso del diritto.
173
Cfr. F. Tesauro, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, cit., 2012, I, 683.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 351
174
F. Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2009, 197. L’A. sottolinea che vi
sono dei criteri identificativi della domanda, a cui il giudice deve attenersi (ex art. 112 c.p.c.)
anche nei processi d’impugnazione, come il processo amministrativo e tributario; tra i criteri
identificativi della domanda sono compresi il presupposto d’imposta e la norma impositiva, in-
dicati nella motivazione dell’atto impugnato. Il giudice tributario deve muoversi insomma entro
questo perimetro, segnato dalla motivazione dell’atto impugnato e dai motivi del ricorso, come
del resto ripetutamente affermato dalla Cassazione (ex multis, Cass. 20.10.2011, n. 21719).
175
Perciò la tesi secondo cui il giudice può rilevare e applicare d’ufficio la clausola generale
antielusiva non è in linea con i principi che governano il processo tributario e, ancor prima, con
l’obbligo della motivazione degli atti impositivi, che debbono precisamente indicare, secondo le
norme che li regolano, i presupposti di fatto e le considerazioni di diritto posti a fondamento
della pretesa. Così M. Cantillo, Profili processuali del divieto di abuso del diritto: brevi note
sulla rilevabilità d’ufficio, in Rass. trib., 2009, 475, che aggiunge: «L’oggetto del giudizio è deli
mitato, anche con riguardo ai poteri cognitivi e decisionali del giudice, appunto dalle allegazioni
addotte nell’atto impositivo dell’Amministrazione e dai motivi del ricorso del contribuente, non
essendo consentito alle parti introdurre fatti ed elementi diversi da quelli enunciati (come sanci
scono gli artt. 7 e 24 del d.lgs. n. 546/1992). Inoltre, il negozio ritenuto elusivo non è nullo ma
inopponibile all’amministrazione; non si discute, in pratica, di un contratto ex se invalido, bensì
della sua inefficacia nei confronti dell’Amministrazione, in quanto qualificabile come abuso; e ciò
significa che l’illiceità del comportamento deve essere espressamente dedotta con l’atto impositivo
a fondamento della pretesa tributaria. Non è dunque applicabile l’art. 1421 cod. civ».
176
Sul punto, A. Manzitti, M. Fanni, Abuso ed elusione nell’attuazione della delega fiscale:
un appello perché prevalgano la ragione e il diritto, cit., 1140. Gli Autori rilevano che: «emerge
dall’analisi giurisprudenziale una volontà, sorprendente, che non è quella di estendere le garanzie
previste dall’ art. 37-bis alle altre fattispecie di abuso di matrice giurisprudenziale (a) per identità
della finalità di tutela che vi sono sottese, (b) perché soluzione costituzionalmente orientata ex art.
117 Cost. alla luce della giurisprudenza comunitaria in materia di diritto al procedimento, e (c)
perché principio accolto nella legge delega seppur ancora non approvata, ma quella, contraria, di
parificare le situazioni in peius, eliminando le tutele e le garanzie ove previste».
177
Cfr. Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13.
352 Giuseppe Corasaniti
178
Cfr. A. Marcheselli, Il contraddittorio deve precedere ogni provvedimento tributario,
in Corr. trib., 2014, 3019 ss. L’A. sottolinea che non è illegittima la norma che prevede il con-
traddittorio, ma quella che non lo prevede; è il contraddittorio ad essere conforme ai principi
fondamentali e non viceversa.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 353
179
Cfr. Cass., SS.UU., 9 dicembre 2015, n. 24823.
180
A. Guidara, Sulla sanzionabilità delle condotte elusive nel quadro della nuova legge
delega, cit., 415 ss. L’A. sottolinea come analoga constatazione deve farsi circa la raccomanda-
zione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva del 6 dicembre 2012, cui
l’art. 5 rinvia. Anche in questo caso, infatti, la raccomandazione si limita a definire le condotte
abusive e le possibili conseguenze sul piano sostanziale; per altro verso procede ad una serie di
specificazioni (circa la nozione di costruzione, la sua qualificazione come artificiosa, il fine di
eludere le imposte, la presenza di un vantaggio fiscale).
181
Sulle conseguenze negative della sovrapposizione, giurisprudenziale, dei piani dell’evasio-
ne e dell’elusione fiscale si vedano le puntuali osservazioni di S. La Rosa, Ancora sugli incerti
confini tra abuso del diritto, elusione ed illecito fiscale, in Riv. dir. trib., 2012, II, 353 ss. Tale
sovrapposizione, poi, viene spesso in essere in forza della regola, anch’essa di affermazione giu-
risprudenziale, della rilevabilità ex officio della violazione del divieto di abuso del diritto.
354 Giuseppe Corasaniti
182
È una reazione piuttosto forte, visto che i fatti che vi danno causa sono leciti, che viene,
però, temperata dalla consapevolezza che le discipline tributarie possono presentare imperfezioni,
smagliature, ossia dalla consapevolezza che vi è una concausa pubblica al verificarsi di siffatte
erosioni. In tal senso S. La Rosa, Elusione ed antielusione fiscale nel sistema delle fonti del diritto,
cit., 791 ss, riferisce di una «fisiologica patologia» delle moderne discipline tributarie:«le quali
sono sempre più minuziose, articolate, analitiche, asistematiche, sotto la spinta sia di certezza
sui comportamenti da tenere che di aderenza delle discipline fiscali alle sempre più diversificate
forme dei fenomeni economico-giuridici che s’intendono colpire; ma con ciò stesso moltiplica-
no le strade che i contribuenti possono percorrere nella ricerca delle soluzioni fiscalmente più
convenienti per le loro iniziative; e diventano quindi esse stesse motivo di successivi interventi
normativi, volti a sbarrare le strade che, benché percorribili, vengono poi dal legislatore consi-
derate troppo vantaggiose per i contribuenti, e quindi elusive».
183
Talvolta si qualificano tali sanzioni come «improprie» o «indirette», si veda, in tal senso,
ex multis, L. Del Federico, Sanzioni improprie e imposizione tributaria, in Aa.Vv., Diritto
tributario e Corte Costituzionale, a cura di Perrone e Berliri, Napoli, 2006, 529 ss.
184
A. Guidara, Sulla sanzionabilità delle condotte elusive nel quadro della nuova legge
delega, cit., 434. L’A. sottolinea come nel diritto tributario, accanto alle sanzioni pecuniarie e a
quelle accessorie afferenti al d.lgs. n. 472/1997, comunemente note come sanzioni amministra-
tive o sanzioni amministrative tributarie, si profilano altre sanzioni, pur sempre tributarie. Esse
sono evidentemente speciali, hanno dei contenuti variabili e presentano delle discipline spesso
singolari. Ad esempio, vanno considerate quali sanzioni speciali gli aumenti – ex art. 13, commi
3 bis e 6, d.p.r. 115/2012, – del contributo unificato qualora si ometta la dichiarazione del codice
fiscale, del fax e della PEC, ma anche del valore della lite.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 355
186
Cfr. Cass., Sez. II pen., n. 7739/2012, con nota di P. M. Corso, Una elusiva sentenza della
Corte di Cassazione sulla rilevanza penale dell’elusione, in Corr. trib., 2012, 1074; cfr., altresì,
Cass., n. 25537/2011 e n. 2234/2013.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 357
11. Il decreto delegato n. 128 del 2015: gli elementi costitutivi della
fattispecie abusiva
Da ultimo, il 1 ottobre 2015 è entrato in vigore l’art. 10-bis della legge
27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), introdotto dal
decreto legislativo del 5 agosto 2015, n. 128, riguardante la certezza nei rap-
porti tra Fisco e contribuente che attua alcune previsioni della legge delega,
fra le quali, per quel che qui rileva, quelle in tema di abuso del diritto188.
Dal punto di vista della collocazione dell’istituto nell’ordinamento, va
osservato che la disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale è stata
inserita nell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente189, al fine
187
Di questo avviso, G. Zizzo, L’abuso del diritto tra incertezze della delega e raccoman
dazioni europee, cit., 2997. L’A. definisce la delega «ambigua, confusa e reticente, frutto di una
scelta precisa del legislatore delegante, ovverosia quella di accodarsi alla giurisprudenza di le
gittimità degli ultimi anni, operando dei taglia e cuci di singoli affermazioni estrapolate dalle
singole pronunce».
188
In dottrina per un approccio critico al nuovo art. 10-bis si veda D. Stevanato, Elusione
fiscale e abuso delle forme giuridiche, anatomia di un equivoco, in Dir. prat. trib., 2015, I, 695
ss.; V. Mastroiacovo, L’abuso del diritto o elusione in materia tributaria: prime note nella
prospettiva della funzione notarile, Studio n. 151-2015/T approvato dal CNN nella seduta del
12-13 gennaio 2016; L. Miele, Abuso del diritto distinto dalle fattispecie di evasione, in Corr.
trib., 2015, 243 ss. L’A. sottolinea che lo schema di d.lgs. consta sostanzialmente di tre Titoli: il
primo concernente la disciplina dell’abuso del diritto, il secondo i reati tributari e il raddoppio
dei termini di accertamento e il terzo il regime dell’adempimento collaborativo (cd. compliance).
Da ultimo si veda F. Gallo, La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale, in Rass.
trib., 2015, 1315 ss., in cui l’Autore, dopo aver esaminato il testo della nuova disciplina, giunge
alla conclusione che, «pur essendosi fatti passi avanti sul piano interpretativo, non si sono però
risolti del tutto – né si potevano risolvere – i problemi definitori di un istituto che, per sua na-
tura, richiede pur sempre una verifica della compatibilità della nuova normativa con la clausola
generale antiabuso di derivazione costituzionale».
189
Per comodità del lettore si riporta, di seguito, l’art. 10-bis della l. 212/2000.
«1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che,
pur nel rispetto formale delle norme fiscali e indipendentemente dalle intenzioni del contri-
buente, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili
all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base
delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di
dette operazioni.
2. Ai fini del comma 1 si considerano:
a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati,
inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di
sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni
con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti
giuridici a normali logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non imme-
358 Giuseppe Corasaniti
diati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento
tributario.
3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni ex-
trafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di
miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del con-
tribuente.
4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla
legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale, salvo che queste ultime non confi-
gurino un caso di abuso del diritto.
5. Il contribuente può proporre interpello preventivo per conoscere se le operazioni che
intende realizzare costituiscano fattispecie di abuso del diritto. Con decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità applicative del presente comma. Fino
all’emanazione del decreto, si applica il regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze
19 giugno 1998, n. 259.
6. Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi,
l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al
contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui
sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto.
7. La richiesta di chiarimenti è notificata dall’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo
60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modifica-
zioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Tra la data
di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per
rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione
dell’atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza
per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordi-
nario, fino a concorrenza dei sessanta giorni.
8. Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l’atto impositivo è specificamente motivato,
a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti
vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al
comma 6.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 359
si prevede che: «configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di
sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali e indi
pendentemente dalle intenzioni del contribuente, realizzano essenzialmente
vantaggi fiscali indebiti».
Gli elementi costitutivi dell’abuso sono, invece, specificati all’interno
del 2 comma dell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente, e
sono: i) assenza di sostanza economica dell’operazione; ii) realizzazione di
un vantaggio fiscale indebito; iii) il requisito che il vantaggio sia l’elemento
essenziale dell’operazione.
Ciò che viene a rilievo, dall’analisi della nuova figura dell’abuso del
diritto e dei presupposti costitutivi, è il conferente rinvio a quanto previ-
sto nella Raccomandazione della Commissione del 6 dicembre 2012 sulla
pianificazione aggressiva190.
La richiamata Raccomandazione della Commissione Europea indica
diversi esempi di mancanza di sostanza economica. Il decreto delegato li
ha riassunti nei seguenti due: la non coerenza della qualificazione delle
singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non
conformità degli strumenti giuridici usati in normali logiche di mercato
(art. 10-bis, comma 2, letta).
Nello stesso tempo, è stata fornita una definizione di «vantaggi fiscali
indebiti» desumendola dalla Raccomandazione predetta. In particolare, i
vantaggi, per essere indebiti, devono essere fondamentali rispetto agli altri
fini perseguiti dal contribuente e, soprattutto, in contrasto con le finalità
delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento (art. 10-bis, comma
2, lett. b).
Nonostante tale ultimo riferimento, tuttavia, il decreto legislativo n. 128
del 2015 non sembra risolvere taluni dubbi191, già avanzati all’indomani
della pubblicazione della legge delega, che sorgono allorquando si vada a
riflettere intorno alle conseguenze pratiche derivanti dall’applicazione della
novella norma.
Anzitutto, mentre la legge delega prevede, insidiosamente a dire il
vero, il principio secondo cui la (presunta) operazione abusiva può aver
tratto origine da operazioni economiche realizzate prevalentemente allo
scopo di ottenere vantaggi fiscali indebiti, il decreto legislativo richiede
il requisito dell’ essenzialità, per nulla dirimente circa l’eventuale potere
190
Secondo la Raccomandazione, «Per determinare se la costruzione o la serie di costruzioni
è artificiosa, le autorità nazionali sono invitate a valutare se presenta una o più delle seguenti
situazioni: a) la qualificazione giuridica delle singole misure di cui è composta la costruzione non è
coerente con il fondamento giuridico della costruzione nel suo insieme; b) la costruzione o la serie
di costruzioni è posta in essere in un modo che non sarebbe normalmente impiegato in quello che
dovrebbe essere un comportamento ragionevole in ambito commerciale; c) la costruzione o la serie
di costruzioni comprende elementi che hanno l’effetto di compensarsi o annullarsi reciprocamente;
d) le operazioni concluse sono di natura circolare; e) la costruzione o la serie di costruzioni com
porta un significativo vantaggio fiscale, di cui tuttavia non si tiene conto nei rischi commerciali
assunti dal contribuente o nei suoi flussi di cassa; f) le previsioni di utili al lordo delle imposte sono
insignificanti rispetto all’importo dei previsti vantaggi».
191
M. Beghin, La clausola generale antiabuso tra certezza e profili sanzionatori, in Il Fisco,
2015, 2207 ss. L’A. sottolinea come la definizione della sostanza economica si presenta un po’
contorta; per tal ragione, sarebbe necessario chiarire meglio che la sostanza dell’operazione at-
tiene al modo d’essere della forma giuridica prescelta, in assenza di valide ragioni economiche,
rispetto all’obiettivo che il contribuente intendeva raggiungere.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 361
192
Sul punto si veda M. Procopio, La poco convincente riforma dell’abuso del diritto ed
i dubbi di legittimità costituzionale, cit., 759. L’A. rileva che, nel dibattito afferente i concetti
di prevalenza ed esclusività del vantaggio fiscale indebito, la Corte Costituzionale francese ha
assunto una posizione molto netta. Infatti, i giudici transalpini, con sent. 685 del 2013, hanno
precisato che la modifica dell’avverbio esclusivo con quello principale produce l’effetto di attribu-
ire un margine di apprezzamento importante all’Amministrazione finanziaria, mentre i principi
contenuti nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo (artt. 4, 5, 6 e 16) impongono al legislatore «
di adottare disposizioni di legge sufficientemente precise e norme non equivoche al fine di proteg
gere le persone da interpretazioni contrarie alla Costituzione o dal rischio di arbitrio, senza che
si debba riversare sull’autorità amministrativa o giudiziaria il compito di creare regole, compito
che la Costituzione assegna solo alla legge».
193
In tal senso si veda F. Gallo, La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale,
cit., 1332.
194
Sul punto si veda Cass. 14 gennaio 2015, n. 439, ove è stato chiarito, facendo espresso
riferimento all’art. 5 della l. n. 23/2014, che: « (…) nei processi di ristrutturazione e riorganiz
zazione aziendale integra gli estremi della condotta elusiva quella costruzione che, tenuto conto
sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento
essenziale dell’operazione economica lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che
il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti
che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta e manchi il presupposto dell’esistenza di un
362 Giuseppe Corasaniti
idoneo strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dalla parte contribuente, sia
comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (…)»
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 363
195
Cfr M. Beghin, «Elusione», tassazione differenziale e impatto sulla motivazione degli
avvisi di accertamento, in Corr. trib., 2015, 1827 ss.
196
Cfr. A Giovannini, Note controcorrente sulla sanzionabilità dell’abuso del diritto, in
Corr. trib., 2015, 823 ss.
364 Giuseppe Corasaniti
197
Il riferimento è a M. Beghin, La clausola generale antiabuso tra certezza e profili san
zionatori, cit., 2210.
Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario 365
198
Cfr. per tutte, tra le ultime Cass., sez. III, 6 marzo 2013-3 maggio 2013, n. 19100; Cass.,
sez. III, 12 giugno 2013-31 luglio 2013, n. 33187; Cass., sez. III, 20 marzo 2014-3 aprile 2014,
n. 15186.
199
In tal senso si veda F. Gallo, La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale,
cit., 1339.
366 Giuseppe Corasaniti
to» e quindi, dalla data del 1° ottobre 2015, essendo tale decreto entrato in
vigore il 2 settembre, «e si applicano anche alle operazioni poste in essere
in data anteriore alla loro efficacia per le quali, alla stessa data, non sia
stato notificato il relativo atto impositivo».Le disposizioni recanti la nuova
disciplina tributaria dell’abuso del diritto sono destinate a esplicare effetto
per le operazioni poste in essere dalla data del 1° ottobre 2015 per effetto
del principio tempus regit actum, ossia del principio di irretroattività della
legge sopravvenuta di cui all’art. 11 delle disposizioni preliminari del codi-
ce civile. Per contro, la disposizione del comma 1, recante la statuizione di
irrilevanza penale delle operazioni abusive, è destinata a esplicare effetto,
oltre che per le nuove operazioni abusive poste in essere dalla data del
1° ottobre 2015, anche per quelle poste in essere prima di tale data per il
principio di retroattività della legge penale più favorevole sancito dall’art.
2 del cod. penale200.
200
Cfr. Cass., 1 ottobre 2015, n. 40272.
Caterina Corrado Oliva
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione
e onere della prova
Sommario: 1. L’onere della prova sull’abuso del diritto nella giurisprudenza tributaria
e nella normativa di recente introduzione. – 2. Fatti e giudizi nella fattispecie dell’abuso
del diritto. – 3. Il problema dei fatti non direttamente rilevanti. – 4. Allegazione e non
contestazione nei processi sull’abuso del diritto tributario. – 5. Onere della prova e
onere di allegazione. – 6. Conclusioni.
1. L’onere della prova sull’abuso del diritto nella giurisprudenza tri-
butaria e nella normativa di recente introduzione.
La giurisprudenza della Suprema Corte sull’abuso del diritto in materia
tributaria si riferisce sovente all’onere della prova. Tanto da dare l’impres-
sione che il problema, in materia, sia centrale e tanto che lo stesso legisla-
tore, nella normativa di recente introduzione relativa al divieto di abuso
del diritto, ha voluto dedicare apposito comma alla ripartizione degli oneri
probatori1.
b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le
finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.
Il comma 3, oggetto dell’onere probatorio del contribuente, scrive invece:
3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni ex
trafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di
miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contri
buente.
2
Pare opportuno chiarire fin d’ora che, nel presente lavoro, allorché si parlerà di onere
della prova, si farà riferimento esclusivamente a ciò che la dottrina definisce con la locuzione
«onere della prova in senso oggettivo», e cioè al principio, o meglio, alla regola che consente
di risolvere una controversia, anziché pronunciare un non liquet, in caso di prova mancante o
non sufficiente di un elemento decisivo, facendone ricadere le conseguenze sulla parte che ne
era appunto onerata.
La dottrina tedesca (Betzinger, Die Beweislast im Zivilprozess, Berlin, 1910, 63 e Zitelmann,
Internationales Privatrecht, Leipzig) nei primi decenni del XX secolo, ha introdotto la distinzio-
ne tra onere della prova in senso soggettivo e onere della prova in senso oggettivo.
La distinzione in questione, che trova un corrispondente anche nel diritto anglosassone J. B.
Thayer, The burden of proof, 4 Harv. L. R., 1890, 45 e ss.; Mcnughton, Burden of production
evidence: a function of the burden of persuasion, Harv. L. R., 1955, 1382 e ss. e la distinzione
tra burden of producing evidence e burding of persuasion, facendo riferimento rispettivamente
all’onere della parte chiamata a fornire la prova di un certo fatto (e quindi, a ciò che verrà definito
come onere della prova in senso soggettivo) e all’onere che ha la parte di persuadere l’organo
giudicante. Essa ha avuto, invece, un minor séguito nella letteratura italiana (cfr. S. Patti, Prove.
Disposizioni generali, commento all’art. 2697 c.c., in Commentario del Codice Civile, a cura di
Scialoja e Branca, Bologna, 1987, 12 ss., il quale attribuisce all’influenza esercitata dall’opera di
G. A. Micheli la colpa della distrazione della dottrina italiana in proposito. G. A. Micheli, invero,
ha del tutto svalutato l’aspetto soggettivo dell’onere della prova.
Secondo tale impostazione, l’espressione «onere della prova in senso soggettivo» indica quale
parte deve provare un certo fatto, su chi incombe il «carico», la «charge de la preuve»: «esso
incombe sulla parte che intende avvalersi di un fatto a lei favorevole, poiché la prova costituisce
il presupposto necessario affinché esso venga preso in considerazione ai fini dell’applicazione di
una norma» (S. Patti, Prove. Disposizioni generali, op. cit., 12). Nello stesso senso, si veda S.
Patti, Le prove, Giuffrè, 2010, 57.
La definizione di onere della prova in senso soggettivo esprime, pertanto, il concetto che la
parte interessata alla prova deve assumerne l’iniziativa onde sperare di ottenere una decisione a
sé favorevole.
L’onere della prova in senso oggettivo indica, invece, la parte nei cui confronti si produce
l’effetto negativo nel caso di mancato raggiungimento della prova di una situazione di fatto
rilevante ai fini del giudizio. Esso esprime, quindi, il rischio del mancato raggiungimento della
prova riguardante un certo tipo di fatto, rischio che dipende, ovviamente, dal convincimento del
giudice. Se, infatti, il giudice ha raggiunto il convincimento nonostante che la parte gravata (sog-
gettivamente) dell’onere non abbia fornito le prove, poco importa, la regola di giudizio non opera
a suo sfavore; se, invece, nonostante che la parte onerata abbia fornito diverse prove, il giudice
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 369
neppure a fatti, i soli che per loro natura necessitano di prova, bensì per lo
più a valutazioni dei fatti, in quanto tali non soggette a prova ma a dimo-
strazione puramente teorica, ad argomentazione difensiva. Ad esempio si
parla di «prova» della validità delle ragioni economiche addotte5 o ancora
di «prova» della portata distorsiva di una operazione o di una struttura di
5
Si riportano qui di seguito alcuni passaggi di sentenze che parlano di prova o onere della
prova, ma in verità fanno evidentemente riferimento, per lo più, a valutazioni sulla portata di-
storsiva dell’operazione o sulla validità delle ragioni economiche.
Cass., sez. trib., 4 aprile 2008, n. 8772, statuisce: «non hanno efficacia nei confronti dell’Am-
ministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano «abuso del
diritto», cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di
un vantaggio fiscale; ed incombe sul contribuente la prova della esistenza di ragioni economiche
alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico».
Cass., sez. trib., 21 aprile 2008, n. 10257, riprende lo stesso concetto, per il caso in cui l’abuso
del diritto dia luogo ad un elemento negativo del reddito o dell’imposta. Tale sentenza, infatti,
scrive: «incombe sul contribuente la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o
concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico, specie quando l’abuso dia luogo ad
un elemento negativo del reddito o dell’imposta».
Ancora con riguardo alla prova della esistenza e particolarmente alla valutazione delle ra-
gioni economiche, la Cassazione, sez. trib., 30 novembre 2011, n. 25537, scrive che il requisito
dell’assenza delle valide ragioni economiche, a differenza degli altri due requisiti dell’abuso «può
ritenersi implicitamente verificato, ove si assuma […] che l’unico motivo dell’aggiramento della
norma tributaria sia il conseguimento di un vantaggio fiscale. Infatti la sentenza afferma che il
discrimine tra una attività lecita ed elusiva consiste nel fatto che la seconda e compiuta «essen
zialmente (ovvero unicamente, n.d.e.) per il conseguimento di un vantaggio economico (sul piano
fiscale)» e ciò esclude, univocamente, la presenza di una valida ragione economica di fondo, la
quale, ove esistente, si pone come elemento in primo luogo anteriore, ma comunque diverso e
aggiuntivo rispetto al mero vantaggio pecuniario perseguito con l’aggiramento della normativa
fiscale. Ciò è così vero che la stessa sentenza richiama, correttamente, il principio giurispruden
ziale secondo cui una volta che si sia in presenza di atto che appaia di abuso del diritto l’onere
di provare la esistenza di valide ragioni economiche per compierlo ricade sul contribuente (Cass.,
n. 8772 del 2008)».
Sempre valutazione e non prova del fatto, si ha allorché la Cassazione parla dell’«onere di
provare» che il fine del risparmio di imposta non era essenziale. Cfr., Cass., 19 maggio 2010, n.
12249, «si pone a carico del soggetto che ne invoca l’applicazione ai fini fiscali l’onere di provare
che l’impiego dello strumento contrattuale in contestazione non aveva il fine essenziale di conse
guire un risparmio di imposta».
Si veda sempre nello steso senso Cass., sez V, ord. 26 febbraio 2014, n. 4603: «in materia
tributaria, secondo l’orientamento di questa Corte […] la prova sia del disegno elusivo sia della
manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici [..] incombe sull’Amministrazione
finanziaria»ed inoltre Cass., sez. V, 16 aprile 2014, n. 8849 : «grava sul contribuente, secondo
le regole ordinarie ex art. 2697 c.c., l’onere di dimostrare che le transazioni sono intervenute per
valori di mercato da considerarsi normali alla stregua dell’art. 9, comma 3 tuir, sicché l’opera
zione non possa considerarsi ispirata dalla finalità di evasione delle imposte dovute», nonché più
recentemente Cass. sez. V, 30 dicembre 2015, n. 26060: «tanto premesso la deduzione del vizio
di insufficienza motivazionale della sentenza impugnata imponeva alla Agenzia fiscale ricorren
te di fornire in modo specifico la prova dei fatti dimostrativi dell’abuso di diritto, gravando su
quest’ultima il relativo onere della prova».
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 371
6
Cass., 21 gennaio 2011, n. 1372: «incombe all’amministrazione finanziaria l’onere di spiega
re, anche nell’atto impositivo, perché la forma giuridica (o il complesso di forme giuridiche) impie
gata abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa, mentre è
onere del contribuente provare l’esistenza di un contenuto economico dell’operazione diverso dal
mero risparmio fiscale». Ancora, si veda Cass., 17 ottobre 2008, n. 25374, ove si legge che l’Am-
ministrazione finanziaria ha l’onere di «individuare e precisare gli aspetti e le particolarità che
fanno ritenere l’operazione priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio di imposta».
7
È chiara nel riferirsi all’onere di allegazione, piuttosto che ad un onere della prova, Cass.,
sez. trib., 18 febbraio 2011, n. 3947, in cui si legge che «il tema relativo all’esistenza, validità
e opponibilità all’amministrazione del negozio da cui deriva, nella sostanza, la pretesa fiscale è
acquisito al processo per effetto dell’allegazione da parte del contribuente»; la stessa sentenza
rigetta il ricorso dell’Amministrazione finanziaria perché «la ricorrente non ha neppure allegato
(essendosi limitata a supporre un obbligo del giudice di verificare, comunque ed in astratto, se
le stesse «rispondessero o meno ad effettive esigenze di razionalità economica, o fossero piuttosto
finalizzate al perseguimento di illeciti vantaggi fiscali») quale sia, in effetti, il risparmio fiscale
tratto dalla contribuente delle contestate operazioni commerciali poste in essere con le cooperative:
segnatamente quale fosse l’irrazionalità economica di quelle operazioni che il giudice del merito
avrebbe dovuto rilevare e valutare».
8
I passaggi che sottolineano la ripartizione delle «prove» tra Amministrazione e contribuen-
te sono numerosi e variamente distribuiti nelle varie sentenze sul tema. Se ne riportano qui sol-
tanto alcuni, solo per la comodità di qualche esempio. Cass., sez. trib., 21 gennaio 2009, n. 1465,
la quale afferma: «è onere dell’Amministrazione finanziaria – non solo – prospettare il disegno
elusivo a sostegno delle operate rettifiche ma – anche – le supposte modalità di manipolazione o
di alterazione di schemi classici rinvenute come irragionevoli in una normale logica di mercato se
372 Caterina Corrado Oliva
non per pervenire a quel risultato di vantaggio fiscale così come incombe al contribuente allegare
la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichino
operazioni così strutturate».
Cass., sez. trib., 22 settembre 2010, n. 20030 statuisce: «la prova sia del disegno elusivo sia
delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come
irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato
fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di alle
gare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichino
operazioni in quel modo strutturate».
9
9 Da alcuno è stata rilevata l’«ingiustizia» della regola dell’onere della prova, a causa della
sua eccessiva «staticità». L’istituto in questione, invero, porta il giudice, non pervenuto ad un
convincimento, ad effettuare un passo indietro, una rinuncia mantenendo la situazione preesi-
stente all’instaurazione del processo (S. Patti, Prove. Disposizioni generali, op. cit., 158). Esso
rende così del tutto superflua ed inutile l’attività probatoria già svolta, interrompe definitivamen-
te il processo di avvicinamento alla verità che, comunque, nel processo si è svolto, a discapito
di quella parte che, nonostante la prova fornita, pur rilevante, non sia riuscita comunque a in-
generare il convincimento nel giudice (G. A. Micheli, L’onere della prova, Padova, 1966, 185,
ha rimarcato l’equivalenza, dal punto di vista dell’onere della prova, tra il non provare affatto e
il provare ma non sufficientemente).
È stato tuttavia rilevato come sia invece giusto, o forse meno ingiusto, che l’incertezza del
giudice ridondi a danno di chi era tenuto ad eliminarla, perché ciò «è espressione della fonda-
mentale esigenza del vivere civile, rappresentata dell’agire a proprio rischio (suae quisque artifex
fortunae)» Così, V. Andrioli, in Prova (dir. proc. civ.), in Novissimo Digesto Italiano, volume
XIV, Torino, 1967, 260 ss., in particolare 300, nota 1.
La «staticità» dell’onere della prova si giustifica, pertanto, in base al principio, di ragione
anzitutto, secondo cui colui che richiede un mutamento dello status quo deve fornire la relativa
prova.
Se la prova non è fornita o non è sufficiente, indipendentemente dal fatto che ciò dipenda
dalla colpevole carenza dell’attività probatoria svolta dalla parte onerata oppure dalla materiale
impossibilità di fornirla ovvero dal mancato esercizio dei poteri istruttori di cui il giudice even-
tualmente disponga o comunque dalla discrezionale valutazione del giudice medesimo circa il
mancato raggiungimento del convincimento, le conseguenze sfavorevoli dovranno necessaria-
mente ricadere sulla parte che ha richiesto all’ordinamento una modificazione della situazio-
ne preesistente, assumendosi così il rischio dell’iniziativa intrapresa e dovendone sopportare le
conseguenze. Ciò, anche se, in ipotesi, i fatti presupposti del diritto vantato dalla parte si erano
effettivamente verificati nella realtà, pur non essendo stato possibile acclararlo nel processo.
E così, con le parole di Carnelutti: «le prove, che sul principio mi parvero uno strumento di
giustizia, son finite per capovolgersi in uno strumento d’ingiustizia» (F. Carnelutti, La prova
civile, op. cit., 8).
La regola dell’onere della prova può comportare, al termine del giudizio, un sacrificio alla
«giustizia» e alla verità, pur perseguite nel corso di ogni giudizio per il tramite dell’istruzione
probatoria, sacrificio che si giustifica in base ad un bilanciamento di interessi con l’altrettan-
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 373
to fondamentale valore della certezza nei rapporti giuridici che il processo deve assicurare (G.
Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1966 (ristampa), 788 e ss.).
Verità e certezza sono i termini che racchiudono il nucleo della problematica ed esprimono
la tensione ed il travaglio del giudice, nel perenne sforzo di colmare lo scarto tra l’effettiva co-
noscenza dei fatti e il loro reale svolgersi.
10
Si veda la nota n. 1 relativamente alla distinzione tra onere della prova oggettivo e sog-
gettivo.
11
M. Scuffi, Il sindacato antiabuso del giudice tra elusione, frode e oneri probatori, in Corr.
trib., 1580; P. Russo, L’onere probatorio in ipotesi di «abuso del diritto» alla luce dei principi
elaborati in sede giurisprudenziale, in Il fisco, 2012, 1301.
Hanno operato trattazioni del problema meno specifiche, perché contenute nell’ambito di
lavori dal tema ben più ampio, ma rigorose sul piano dei principi del diritto processuale, A.
Marcheselli, Equivoci e prospettive della elusione tributaria, tra principi comunitari e principi
nazionali, retro, 2010, 801 ss., in particolare 820 e 824; E. Marello, Elusione fiscale ed abuso
del diritto: profili procedimentali e processuali, in Giur. it., 2010, 1731 ss., in particolare 1733.
374 Caterina Corrado Oliva
12
In tal senso, ex plurimis, Cass. ss. uu., 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056, 30057; Cass.,
sez. trib., 9 dicembre 2009, n. 25726; Cass., sez. trib., 22 ottobre 2010, nn. 21692, 21693; Cass.,
sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7393. Per una puntuale riflessione al riguardo F. Tesauro, Elusione
e abuso nel diritto tributario italiano, retro, 683 ss., nonché C. Glendi, Elusione tributaria e
bisogno di certezza giuridica, in Riv. giur. trib., 2006, 925.
13
A proposito dell’impiego di termini valutativi, e della sua distinzione rispetto ai termini
descrittivi, con riguardo alla individuazione dei fatti e alla relativa prova, M. Taruffo, La prova
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 375
nel processo civile, Milano, 2012, 17 ss., scrive: «un enunciato valutativo può essere condiviso
o non condiviso, ma non può essere vero o falso, almeno per chi condivida la validità della
distinzione tra essere e dover essere. Quindi solo un enunciato formulato in termini descrittivi
è realmente apofantico e può essere dimostrato vero o falso». Poco oltre, il medesimo A. ag-
giunge «le valutazioni possono essere condivise, approvate o disapprovate, giustificate o criticate
con idonei argomenti, che possono anche avere una struttura razionale, ma non possono essere
provate nel senso rigoroso del termine, proprio perché non sono né vere né false». «Ciò implica
che se l’attore allega un fatto esprimendo su di esso un giudizio di valore, con ciò non defini-
sce propriamente un factum probandum ma qualcosa di diverso, eterogeneo e più complesso,
e quindi non definisce propriamente ciò che può essere oggetto di prova. Potrà essere vera o
falsa, e quindi potrà essere eventualmente provata, quella parte dell’enunciato che espressamente
o implicitamente si riferisce al verificarsi di un accadimento empirico. Quanto alla valutazione
formulata dall’autore dell’enunciato, questa potrà essere o non essere condivisa da altri – ad es.
dal giudice – ma non rappresenta oggetto di dimostrazione probatoria. Può dunque accadere
che il fatto in senso proprio risulti provato, ma che il giudice non condivida la valutazione che
la parte ne ha formulato nell’enunciarlo».
Ancora più significativamente, con riguardo alle espressioni valutative contenute nelle fatti-
specie normative, il medesimo Autore, nell’opera citata, a pag. 20 e ss., scrive che si ha un «fatto
valutativamente determinato [...] quando la norma di riferimento definisce il fatto giuridicamente
rilevante impiegando termini valutativi invece che – od oltre a – termini descrittivi». «Si tratta
– prosegue l’A. – di una situazione molto frequente, poiché spesso la rilevanza giuridica di una
circostanza viene riferita non tanto al suo verificarsi come fenomeno empirico, quanto ad un
aspetto valutativo di essa: basta pensare ad ipotesi come quelle della «giusta causa», «condotta
riprovevole», «amministrazione corretta», «convivenza intollerabile», «danno grave», e così via
elencando. In questi casi l’enunciato che si riferisce ad un fatto valutativamente determinato
conterrà a sua volta termini valutativi, dato che il fatto in questione dev’essere ricondotto ad
una norma che lo determina valutativamente. Ciò non toglie tuttavia, come si è già accennato,
che oggetto di prova non sia la componente valutativa nella determinazione del fatto ma la sua
componente empirica: per stabilire che una condotta è riprovevole bisogna accertare che una
certa condotta ha avuto luogo con certe modalità; poi si valuterà se essa è o non è riprovevole.
Per stabilire che un danno è grave bisognerà accertare che un danno si è verificato e che esso ha
un certo controvalore monetario; poi si valuterà se esso è o non è grave».
14
Con terminologia processualcivilistica, desunta dall’art. 2697 c.c., diremmo i fatti costituti-
vi, da un lato, e i fatti impeditivi, estintivi, modificativi, dall’altro lato, anche se fin d’ora è bene
precisare che tali terminologie non sono perfettamente applicabili al processo tributario per le
ragioni precisate supra, nota n. 2.
15
S. Patti, Le prove. Parte generale, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P.
Zatti, Milano, 2010, 2 scrive «è principale il fatto costitutivo del diritto dedotto in azione; come
pure il fatto impeditivo, modificativo od estintivo dedotto in eccezione. È secondario il fatto che
376 Caterina Corrado Oliva
consente di acquisire l’elemento principale secondo il già descritto meccanismo probatorio indi-
retto». Anche G. Tarzia, Il litisconsorzio facoltativo nel processo di I grado, 1972, Giuffré, 350,
fornisce una chiarissima definizione di fatti giuridici o principali come «quelli che concorrono
a costituire la fonte del diritto dell’attore o del convenuto», laddove i fatti secondari o semplici
sono quelli «dai quali direttamente o indirettamente possa desumersi l’esistenza o l’inesistenza o
comunque un modo di essere dei fatti giuridici». Ancora, A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti
e principio di non contestazione nel procedimento civile, in Foro it., 2003, 604, in particolare 605,
scrive: «come è noto la distinzione tra fatti principali e fatti secondari attiene alla circostanza
che talvolta non si vuole e, soprattutto, non si può provare «direttamente» attraverso una fonte
materiale di prova (ispezione, documento, dichiarazione di scienza) il singolo fatto principale ma
questo può essere provato solo indirettamente tramite l’intermediazione di un altro fatto (fonte
di presunzione ex art. 2727 e 2729 c.c.), il fatto secondario di cui è acquisita la conoscenza al
processo tramite una fonte materiale di prova».
Sulla distinzione tra fatti principali e fatti secondari (o semplici), si vedano altresì M. Ta-
ruffo, Note in tema di giudizio di fatto, in Riv. dir. civ., 1971, 33 ss.; Id., Le preclusioni nella
riforma del processo civile, in Riv. dir. proc., 1992, 300; A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti e
principio di non contestazione nel processo civile, in Foro it., 2003, 604; C. Ferri, Struttura del
processo e modificazione della domanda, Padova, 1975, 92 ss., E.T. Liebman, Manuale di dirit
to processuale civile, IV ed., Milano, 1980, 173; C. Mandrioli, Riflessioni in tema di «petitum»
e «causa petendi», in Riv. proc. civ., 1984, 475, L.P. Comoglio, voce Allegazione, in Dig. disc.
priv. (sez. civ.), Torino, 1987, 279; A. Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova,
1991, 67 ss., C. Consolo, Un codice di procedura civile «seminuovo», in Giur. it., 1990, IV,
434; S. Chiarloni, Prime riflessioni su valori sottesi alla novella del processo civile, in Riv. dir.
proc., 1991, 675 ricorda peraltro che se la distinzione tra fatti principali e fatti secondari ap-
pare chiara a livello teorico, essa poi diviene evanescente allorché verificata nel concreto delle
singole fattispecie.
Non si può dire che la distinzione in questione sia invece approfondita dagli studiosi del
processo tributario, i quali, se, particolarmente con riguardo all’onere della prova, richiamano la
classificazione dei fatti costitutivi, estintivi, modificativi, impeditivi, non trattano praticamente
mai dei fatti secondari. Li valorizza, invece, il Glendi, individuando come tali anche quelli che la
restante dottrina definisce come principali, in ragione della particolare configurazione dei motivi
nella sfera della pregiudizialità secondo la ricostruzione del processo tributario di tale A., su cui
infra, nota n. 40. Si veda C. Glendi, voce Processo tributario, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2005,
Vol. Agg. XIII e C. Glendi, Prova testimoniale, principio dispositivo, onere della prova e oggetto
del processo tributario, in GT – Riv. giur. trib., 2007, 741.
16
L’inversione dell’aggettivo «principali» rispetto all’usuale formula «fatti principali» ha il
fine di evidenziare che, in questa sede, il termine è usato in maniera atecnica e non vale ad intro-
durre la distinzione tra fatti principali e fatti secondari ben nota alla dottrina processualcivilistica,
distinzione che non è universalmente considerata applicabile al processo tributario (in senso
contrario, C. Glendi, cfr. nota precedente).
17
A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel procedimento
civile, in Foro it., 2003, 604, significativamente scrive: «la determinazione dei fatti da provare deve
muovere necessariamente dalla individuazione ed interpretazione della norma, della fattispecie le-
gale astratta sotto cui sussumere il diritto fatto valere dall’attore in giudizio»; indi, l’A. prosegue:
«individuata ed interpretata la norma, suscettibili di prova saranno tutti i fatti che alla stregua
della fattispecie legale astratta assurgono al rilievo: a) di fatti costitutivi, normalmente allegati
al giudizio dall’attore e posti a fondamento del diritto fatto valere in giudizio [...]; b) di fatti
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 377
impeditivi, modificativi o estintivi, normalmente allegati al giudizio dal convenuto e posti a fon-
damento delle eccezioni». «Questi fatti, immediatamente rilevanti, si chiamano fatti principali».
18
Quanto alla definizione dell’abuso del diritto e alle sue conseguenze, si veda, per tutte,
Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055, in Corr. trib., 2009, 411 e ss., che ha così sancito:
«in materia tributaria esiste un generale principio antielusivo la cui fonte, in tema di tributi non
armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria, quan-
to piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano.
In particolare non può non ritenersi insito nell’ordinamento – come diretta derivazione delle
norme costituzionali – il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi
fiscali dall’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti
giuridici idonei a ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili
che giustifichino l’operazione, diversa dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale. Il riferito
principio non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione
di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi
di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta
l’inopponibilità del negozio all’amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantag-
gio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso
da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in
vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione».
19
Non è qui possibile, ovviamente, elencare i numerosissimi contributi dottrinali sull’abuso
del diritto nel processo tributario e quindi sia consentito il rinvio al presente e all’ultimo numero
della rivista (retro, n. 4 del 2012) in cui sono riportate le relazioni di un recente convegno sul
tema all’Università di Macerata, relazioni che hanno coperto i vari profili del tema.
20
A rigore, è la prova dei fatti ad essere del tutto marginale rispetto all’oggetto della lite.
378 Caterina Corrado Oliva
La controversia tra le parti, generalmente, non riguarda la prova dei fatti; il dibattito, il punto
delicato dei giudizi in tema di abuso del diritto, infatti, è sulla parte valutativa dei fatti, sulla
portata distorsiva delle operazioni, sulla validità delle ragioni economiche alternative e diverse
dal vantaggio fiscale, etc.
21
L’osservazione è di E. Marello, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili procedimen
tali e processuali, op. cit., 1734, il quale scrive «la prova dell’efficacia generica del negozio non
costituisce in realtà un vero problema, in quanto se il contribuente intende rendere efficace nei
confronti dell’amministrazione un negozio (che si ritiene abusivo), ne indicherà i corrispettivi
già in contabilità e nella dichiarazione».
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 379
22
Il riferimento polemico è ovviamente alla rilevabilità d’ufficio anche in sede di legittimità
dell’abuso del diritto.
23
Pare, invece, trascendere dalla prova dei fatti alla loro valutazione, E. Marello, Elusione
fiscale ed abuso del diritto: profili procedimentali e processuali, in Giur. it., 2010, 1731 ss., in par-
ticolare 1734, laddove scrive «in caso di pluralità di atti che l’Amministrazione ritiene collegati,
va provato il collegamento causale. E questo spetta all’Amministrazione, che dovrà, sulla scorta
dei documenti emersi nel corso dell’istruttoria, dare la prova del collegamento tra i differenti atti
e della loro inscindibile valutazione complessiva. I documenti dovranno dimostrare che le obbli-
gazioni sorgenti negli atti che si ritengono collegati hanno avuto una genesi ed un adempimento
guidati dal medesimo intento negoziale».
24
Con nettezza e puntualità, A. Di Pietro, negli Atti del Convegno tenutosi a Bologna, il
13 dicembre 2010, sul tema Teoria e pratica dell’abuso del diritto nel processo tributario, è così
intervenuto a definire «le aggettivazioni ricorrenti nella nozione di divieto di abuso: distorto, per
quanto attiene all’utilizzo di norme e/o strumenti negoziali, ed indebito, per ciò che concerne
il risparmio di imposta».
380 Caterina Corrado Oliva
Con riguardo alla prova del vantaggio fiscale, da un punto di vista nu-
merico, alcuna dottrina ha sottolineato, sulla scia della giurisprudenza in
proposito, la necessità di desumerla da un confronto con il negozio (o la
serie di negozi) che sarebbe normale. È bene precisare che si tratta, anche in
questo caso, non di un fatto da provare, ma di una argomentazione da svol-
gere; invero, il confronto va effettuato non con una operazione negoziale
reale ed esistente, che possa essere oggetto di prova, ma semplicemente con
un astratto negozio considerato normale. La individuazione del negozio
normale, da cui desumere la corretta imposizione della fattispecie, nasce
da valutazioni e non da fatti.
Anche per il terzo requisito, l’assenza delle valide ragioni economiche,
la parte valutativa è assolutamente preponderante su quella fattuale.
È infatti evidente che ciò che conta non è tanto l’esistenza di una qual-
sivoglia ragione economica, quanto piuttosto la sua validità. E la verifica
della validità non è un fatto da accertare, ma una valutazione da effettuare.
La giurisprudenza chiamata a specificare il significato di tale «validità», che
deve qualificare le ragioni economiche per escludere l’abuso, ha utilizzato
altri vari aggettivi: «prevalenti» o «essenziali», «non marginali» etc. A pre-
scindere dal dibattito sulla scelta degli aggettivi che traducano l’aggettivo
validità utilizzato nella fattispecie astratta dell’abuso del diritto, resta che
siamo nuovamente, e decisamente, sul piano del giudizio e non ricorre un
problema di prova del fatto. Come è valutazione quella sulla validità, così
è una valutazione anche quella che la individua come prevalenza o non
marginalità rispetto alla ragione di risparmio di imposta.
L’unico fatto oggetto di prova, come si è detto, è l’esistenza di tali ra-
gioni, non le loro caratteristiche.
Si tratta di un fatto psicologico e formulato al negativo, due elementi,
questi, che generalmente complicano non poco i profili probatori; ma, nel
caso della prova dell’assenza delle valide ragioni economiche nell’abuso del
diritto, non si riscontrano grandi difficoltà.
Con riguardo alla prova del fatto psichico25, che solitamente è con-
25
Bene definisce il fatto psichico e il problema della sua prova, M. Taruffo, La prova nel pro
cesso civile, Milano, 2012, 21-22, ove si legge: «il fatto non è costituito da un evento materiale ma
da uno stato mentale, una condizione psicologica, un atteggiarsi della volontà o una condizione
emotiva. Si tratta delle numerose ipotesi in cui la «conoscenza» o la «volontà» di un soggetto
rispetto a qualcosa rilevano come produttive di effetti giuridici». «Anche la categoria del fatto
psichico, dunque, è quanto mai ampia e varia: essa suscita problemi di notevole difficoltà quando
si tratta sia di enunciare questi fatti in modo tale che l’enunciato possa considerarsi vero o falso, e
quindi sia suscettibile di prova, sia quando si tratta di fornirne la dimostrazione psicologica». Lo
stesso A. si è occupato più diffusamente del problema in M. Taruffo, La prova dei fatti giuridici.
Nozioni generali, Milano, 1992, 136 ss.
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 381
26
M. Taruffo, La prova nel processo civile, Milano, 2012, 21, evidenzia il problema, scriven-
do «un’altra situazione problematica si verifica quando una norma determina negativamente
un fatto, attribuendo rilevanza al suo mancato verificarsi. Un fatto determinato negativamente
viene enunciato in termini negativi («non è vero che F...»), ma problemi rilevanti possono sorgere
quanto alla prova di un fatto così definito. A parte il tradizionale brocardo negativa non sunt
probanda, rimane che in molti casi risulta impossibile fornire la prova diretta di un fatto nega-
tivo, mentre può essere più agevole fornirne una prova indiretta, attraverso la dimostrazione di
fatti incompatibili con il suo verificarsi (come nel caso dell’alibi). È chiaro però che ciò implica
una differenza tra il fatto come è definito dalla norma di riferimento e il fatto che rappresenta
effettivamente oggetto di prova».
27
Si vedano, al riguardo, le attente riflessioni di A. Marcheselli, Equivoci e prospettive della
elusione tributaria, tra principi comunitari e principi nazionali, retro, 2010, I, 801 ss., in partico-
lare 820, laddove l’A. si domanda se l’attribuzione da parte della giurisprudenza al contribuente
dell’onere di provare la sussistenza delle valide ragioni economiche sia una inversione dell’onere
della prova o meno. L’A. rigorosamente sottolinea che una siffatta inversione dovrebbe scaturire
da una previsione di legge, che tuttavia nella fattispecie non sussiste. Ancora, l’A. considera la
possibilità che l’inversione sia riconnessa ad una presunzione giurisprudenziale: sennonché anche
tale ipotesi viene scartata perché una tale presunzione dovrebbe fondasi su una ragionevolezza
empirica e cioè se fosse «statisticamente normale» che un risparmio fiscale sia elusivo e privo di
ragioni economiche ulteriori, ciò che invece appare dubbio. Per conseguenza, l’A. esclude vi sia
una inversione dell’onere della prova ed invece riconosce un vero e proprio onere della prova
in capo al contribuente, in quanto soggetto più vicino alla prova, quanto alla sussistenza delle
valide ragioni economiche. Tra l’altro, la sussistenza di tali ragioni è ricondotta agli oneri proba-
tori del contribuente anche perché può considerarsi come fatto impeditivo della configurazione
dell’elusione.
382 Caterina Corrado Oliva
brocardo secondo cui negativa non sunt probanda e anche dalle difficoltà
generalmente legate alla prova di un fatto psicologico, quale è appunto
l’aver compiuto un determinato atto in virtù di un determinato fine (la «ra-
gione»), anche in questo caso buona parte dell’accertamento del requisito,
ed ogni discussione in proposito, si svolge su un piano diverso da quello
della prova del fatto.
Riassumendo, l’abuso del diritto si fonda quindi preminentemente su
valutazioni e poco su fatti di cui accertare l’esistenza o meno. I pochi fatti
direttamente rilevanti da provare sono: l’esistenza ed efficacia del negozio
(o dei negozi collegati), la sussistenza di un vantaggio fiscale (nel senso,
materiale, di minor pagamento di imposta) che si desume dal confronto con
l’operazione considerata normale, e la sussistenza di ragioni economiche.
Tali fatti, peraltro, come si è detto, sono marginali nel giudizio, facili da
provare e spesso pacifici tra le parti.
Queste considerazioni preliminari possono apparire ovvie, dato che è
del tutto evidente che un giudizio su un fatto non è un fatto da prova-
re; eppure, la enorme confusione della giurisprudenza in proposito, ed il
silenzio della dottrina, hanno reso necessario precisare che non vi è una
possibile prova, e tantomeno un onere della prova, sulla validità di una
ragione economica o sulla portata distorsiva di una operazione.
3. Il problema dei fatti indirettamente rilevanti
La ricostruzione dei fatti da provare effettuata al precedente paragrafo
potrebbe però apparire semplicistica, non tanto per la espunzione dei giu-
dizi, che anzi era doverosa, quanto piuttosto perché tiene conto soltanto
dei fatti direttamente menzionati nella fattispecie legale astratta, alias la
«fattispecie giurisprudenziale astratta», dell’abuso del diritto, e non di tutti
quei fatti che, pur non menzionati in essa, possono essere comunque og-
getto di prova in un processo sull’abuso del diritto.
A ben vedere, infatti, nel corso di un processo per abuso del diritto,
possono venire in rilievo anche molti fatti differenti da quelli specifica-
mente menzionati nella fattispecie ed individuati nel paragrafo precedente.
Ci si deve, dunque, chiedere che ruolo abbia la prova di questi ulteriori
fatti e se essi pongano eventualmente un problema di onere della prova.
I fatti possono essere numerosi, perché oltre a quei (pochi) direttamente
desumibili dalla fattispecie astratta dell’abuso del diritto, immediatamente
rilevanti, debbono considerarsi anche quelli che possono esser strumento
per la prova indiretta dei primi mediante ragionamento inferenziale.
Per provare, ad esempio, che esiste una valida ragione economica alla
base di una operazione di fusione che l’amministrazione contesta come
abusiva, il contribuente può addurre di avere inteso riorganizzare in manie-
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 383
28
L’esempio è tratto dal caso concreto oggetto della sentenza di Cass., sez. trib., 21 gennaio
201 n. 1372, in Corr. trib., 2011, 673, con nota di D. Stevanato, Ancora un’accusa di elusione
senza «aggiramento» dello spirito della legge.
29
Cfr. le precisazioni esposte supra, alla nota 2.
384 Caterina Corrado Oliva
30
P. Russo, L’onere probatorio in ipotesi di «abuso del diritto» alla luce dei principi elaborati
in sede giurisprudenziale, op. cit., 1309, ha peraltro opportunamente ricordato come la Corte di
Giustizia europea (CGUE, sent. C-103/09, 22 dicembre 2009) ritenga che la anormalità delle
operazioni contestate non può essere provata dal fatto che esse non sono normalmente poste in
essere dal contribuente interessato, dato che: «la constatazione della esistenza di una pratica abu-
siva deriva non dalla natura delle operazioni commerciali cui si dedica normalmente il soggetto
... bensì dallo scopo, dalla finalità e dagli effetti di tali operazioni». A parte tale rilievo, corretto,
comunque va osservato che il comportamento ordinario del contribuente può comunque avere
importanza, sul piano indiziario, sia perché può evidenziare quali siano i comportamenti nor-
malmente seguiti in generale sia perché può appunto essere significativo proprio per desumere
lo scopo, l’intento da egli realmente perseguito.
31
Cfr. art. 115, 2o comma, c.p.c., a mente del quale «il giudice può tuttavia, senza bisogno
di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatti che rientrano nella comune
esperienza».
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 385
32
L’avverbio è riferito al fatto che in dottrina vi è chi ritiene non vi siano fatti incerti nell’og-
getto della decisione nel processo trubutario e che tutti i fatti siano secondari in tale processo (C.
Glendi, per le cui tesi e riferimenti al riguardo, si rinvia alla nota n. 40).
33
La regola dell’onere della prova è enunciata in linea generale, per il diritto processuale
civile, all’art. 2697 c.c., rubricato appunto Onere della prova, il quale come è ben noto recita
«Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve
provare i fatti su cui l’eccezione si fonda». La norma, nella sua formulazione, contiene già in
sé l’origine della classificazione dei fatti in costitutivi, impeditivi, modificativi ed estintivi e così
chiarisce che la regola in questione si riferisce soltanto ai fatti principali, cioè quelli che fondano
la domanda o l’eccezione affermata in giudizio. Per un’esegesi della norma, e la «semplificazione
analitica della fattispecie» nei suoi fatti principali (cioè, appunto, costitutivi, estintivi, modifica-
tivi, impeditivi) che essa comporta, cfr. S. Patti, Le prove. Parte generale, in Trattato di diritto
privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2010, 49 e passim capitolo II.
34
Si rinvia alle precisazioni fornite supra, alla nota n. 2.
386 Caterina Corrado Oliva
risprudenza allorché menziona l’onere della prova con riguardo a fatti in-
direttamente rilevanti, i quali certamente possono essere oggetto di prova,
ma mai comportano come conseguenza immediata e diretta l’applicazione
della regola decisoria finale.
E così, risulta confermato che un eventuale problema di onere della pro-
va può porsi soltanto con riguardo a quei pochi e marginali fatti individuati
nel paragrafo precedente e menzionati nella fattispecie giurisprudenziale
astratta dell’abuso del diritto.
Converrà, a questo punto, fare un passo indietro, perché occorre con-
siderare che un fatto, prima di essere oggetto di prova, pone il problema
della sua allegazione in giudizio e della eventuale non contestazione ad
opera della controparte.
35
A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel procedimento ci
vile, in Foro it., 2003, 604, in particolare 606, significativamente chiarisce il rapporto tra la prova,
possibile solo con riguardo ai fatti, e il principio di non contestazione, che esclude la necessità
della prova, scrivendo che «solo i fatti, principali o secondari, rilevanti possono formare oggetto
di prova, ma non tutti i fatti rilevanti hanno bisogno di prova». Invero, «i fatti non contestati
sono posti fuori dal thema probandum, non hanno bisogno di essere provati».
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 387
36
In passato, allorché il principio di non contestazione aveva portata solo giurisprudenziale,
si poneva il delicato problema della individuazione delle ipotesi di non contestazione, al fine di
verificare se, ad escludere la prova di un fatto, ed il correlativo onere probatorio, fosse sufficiente
un atteggiamento passivo della controparte, ad esempio un mero silenzio, oppure occorresse
un’esplicita ammissione. Aveva affermato che, ai fini di escludere la prova di un fatto, non sa-
rebbe sufficiente una mera «non contestazione» del medesimo ex adverso ma occorrerebbe una
esplicita sua «ammissione», F. Carnelutti, Prova civile, op. cit., 23 ss. In senso contrario, sulla
distinzione tra non contestazione e ammissione esplicita, cfr. L.P. Comoglio, Le prove, in Trat
tato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Vol. 19, tomo 1, III, 182, il quale sottolineava che
mentre la non contestazione escluderebbe provvisoriamente la prova, senza però precludere la
contestazione successiva, possibile fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, la ammis-
sione esplicita, invece, fornirebbe una prova completa.
Oggi, peraltro, il problema è risolto dal diritto positivo, che ha rimarcato il valore di un
atteggiamento anche meramente passivo della parte non contumace. La riforma del diritto pro-
cessuale civile, operata con l. n. 60 del 2009, ha invero modificato l’art. 115 c.p.c. sancendo che
«il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico
ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita». Per un commento
alla nuova normativa, si veda S. Patti, Le prove. Parte generale, op. cit., 13 ss.
37
Contra S. Patti, Le prove. Parte generale, op. cit., 2, il quale richiama, per condividere,
l’affermazione della Suprema Corte, a sezioni unite (Cass., sez. un., 23 gennaio 2002, n. 761, in
Foro it., 2002, I, 2909, con nota di C.M. Cea e ivi, 2003, I, 604 con nota di A. Proto Pisani),
secondo la quale il principio di non contestazione avrebbe diversa efficacia a seconda della na-
tura – principale o secondaria – del fatto. Il Patti accentua la differenziazione accennata dalla
Corte di cassazione, per concludere che «soltanto per i fatti principali la mancata contestazione
nei termini di rito, rivestendo il significato di una manifestazione di autonomia privata nel senso
della disposizione del diritto controverso, ha l’effetto di rendere incontrovertibile l’allegazione.
Per i fatti secondari, invece, collocandosi questi nell’area della valutazione probatoria riservata
al giudice, l’omessa contestazione non ha un valore vincolante e costituisce soltanto argomento
di prova liberamente apprezzabile dal giudice».
Di diverso avviso, A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel
procedimento civile, in Foro it., 2003, 604, in particolare 606, il quale invece ritiene che il principio
di non contestazione valga sia per i fatti principali che per quelli secondari («opera allo stesso
modo sia riguardo ai fatti principali che riguardo ai fatti secondari», giacché «la non contesta-
zione è sempre la stessa cosa»); e questo perché l’allegazione dei fatti non sarebbe espressione
dell’autonomia sostanziale, ciò che comporterebbe un diverso rilievo per i fatti principali, ma
semplicemente un «problema di tecnica processuale».
Del resto, la tesi di Patti appare a chi scrive criticabile anche sotto altro profilo, nella parte in
cui trae spunto dalle norme relative al contenuto della citazione e della comparsa di risposta. Con
388 Caterina Corrado Oliva
Lo stesso accade, generalmente, per gli altri requisiti che vengono in ri-
lievo in un processo in tema di abuso del diritto, con riguardo, sempre, alle
componenti fattuali. Ad esempio, l’esistenza di un risparmio di imposta,
che generalmente non è contestata nella sua esistenza materiale e nella sua
valenza per così dire quantitativa e matematica. È molto spesso pacifico tra
le parti che quella determinata operazione abbia comportato un pagamento
di imposta inferiore rispetto alla operazione alternativa e «normale» ipotiz-
zata dall’Amministrazione finanziaria. Il contribuente, però, generalmente
deduce che quel risparmio di imposta non sia indebito, nel senso che non
sia frutto di un aggiramento normativo, ma invece sia previsto e voluto, o
comunque consentito, dall’ordinamento. Oppure, correlativamente, il con-
tribuente assume che il confronto non possa effettuarsi con l’operazione
assunta come normale dall’amministrazione.
In altri termini, anche in questo caso, il fatto del minor pagamento di
imposta, di solito, è pacifico tra le parti, quindi non abbisogna di pro-
va, e pertanto non può mai comunque porre, in caso di fallimento della
prova, un problema di eventuale applicazione della regola decisoria finale
dell’onere della prova.
Lo stesso, per le valide ragioni economiche. L’Amministrazione deduce
che l’unica ragione che spiega l’operazione realizzata dal contribuente è
quella del risparmio d’imposta; e questo, lo deduce praticamente in forma
implicita, dal momento che, quando contesta un indebito risparmio fiscale,
evidentemente ha riguardo al fatto che la normativa non intendeva con-
cedere alcuna riduzione di imposta per quella fattispecie. A fronte di ciò,
il contribuente può allegare ragioni economiche diverse dal risparmio di
imposta, che debbono essere valide e pregnanti. Soltanto la sussistenza di
tali ragioni è oggetto di prova (con tutte le difficoltà della prova di un fatto
riguardo a quest’ultima, invero, egli afferma che «l’onere del convenuto di prender posizione sui
fatti allegati dall’attore a fondamento della domanda (art. 167 c.p.c.) non abbraccia invece i fatti
(secondari) dedotti in funzione probatoria e la mancata contestazione di questi ultimi costitu-
isce soltanto argomento di prova liberamente apprezzabile dal giudice ai fini del giudizio circa
l’esistenza del fatto da provare». Per il vero, appare fuorviante il riferimento normativo indivi-
duato dall’A.: considerato che il principio di non contestazione non nasce dalle norme relative
alla introduzione della causa, bensì piuttosto dall’art. 115, c.p.c., in tema di prove, e soprattutto
verificato che tale ultima norma non introduce alcuna distinzione sulla natura dei fatti che, se
non contestati, devono essere posti alla base della decisione, non si vede perché anche per i c.d.
fatti secondari non possa operare il principio suddetto. Se mai potrebbe dirsi che l’art. 115 c.p.c.
escluda i fatti secondari laddove fa riferimento a fatti da porre «a fondamento della decisione»,
ché solo i fatti principali possono essere direttamente oggetto della decisione: ma, a ben vedere,
anche in questo caso, la norma sarebbe interpretata in maniera ingiustificatamente restrittiva, dato
che anche i fatti secondari, se non sono oggetto della decisione, possono riconnettersi ad essa, e
fondarla, sia pure in via indiretta, in quanto strumenti per la prova di quelli primari.
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 389
38
Parte della dottrina già da tempo aveva rilevato la configurabilità di un autonomo onere di
allegazione, diverso rispetto all’onere della prova. In tal senso: G. De Stefano, voce Onere (diritto
processuale civile), in Enc. dir., vol. XXX, Milano, 1980, 114 ss., 120; E.T. Liebman, Intorno ai
rapporti tra azione ed eccezione, in Riv. dir. proc., 1960, 450.
Altra parte della dottrina, invece, aveva affermato l’inutilità del concetto di onere di allega-
zione, scorgendo un perfetto parallelismo tra onere di allegazione e onere della prova. Così, R.
Sacco, Presunzione, natura costitutiva o impeditiva del fatto, onere della prova, in Riv. dir. civ.,
1957, I, 416 e ss. e, prima ancora, F. Carnelutti, La prova civile. Parte generale, Milano, 1992
(ristampa), 21 e ss., in particolare, 22 (in nota), il quale sostiene che l’allegazione del fatto può
essere utile perché se ne abbia una trattazione nella sentenza, ma nega recisamente che possa
configurarsi un onere di allegazione del fatto parallelo o analogo all’onere della prova.
Lo ha criticato S. Patti, Prove. Disposizioni generali, op. cit., 11, il quale rileva come Carne-
lutti abbia del tutto dimenticato, nella propria ricostruzione, i fatti notori, in relazione ai quali,
nella tesi di Patti, si configura un onere di allegazione, ma non un onere della prova. Secondo
l’A., la distinzione tra onere della prova e dell’allegazione si coglie specialmente considerando i
fatti che non abbisognano di prova, ma solo di allegazione, quali sono appunto i fatti presunti
o i fatti notori. In particolare, il Patti afferma che «i fatti su cui si basa il diritto devono essere
sempre enunciati dalla parte, anche se si tratta di fatti notori, perché alla parte spetta sempre
dichiarare se intende utilizzare i loro effetti giuridici» (S. Patti, Prove. Disposizioni generali, op.
cit., 11; l’A. ribadisce il concetto anche in S. Patti, Le prove, op. cit., 54 ss.). Nello stesso senso:
V. Denti, Ancora sulla nozione di fatto notorio, in Giur. compl. cass. civ., 1947, 265 ss.; L.P. Co-
moglio, Le prove, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, XIX, Torino, 181; G. Verde,
voce Prova, (dir. proc. civ.), in Enc. dir., vol. XXXVII, Milano, 1988, 613 ss., nota 237. In senso
contrario, L. Montesano, Osservazioni sui fatti notori, in Giur. compl. cass. civ., 1947, III, 222
ss., secondo il quale il giudice può utilizzare il fatto notorio indipendentemente dall’allegazione
di parte «perché la notorietà esclude il sospetto di parzialità inerente all’autonoma acquisizione
della fonte stessa da chi deve valutarla». Critica tale A., sempre il Patti, affermando che egli
confonderebbe tra massime di esperienza, che in quanto «regole» non devono essere allegate, e
i fatti notori, che invece necessitano di allegazione.
Altri in dottrina hanno affermato che è possibile cogliere la rilevanza autonoma dell’onere
di allegazione rispetto all’onere della prova in relazione proprio alle ipotesi in cui la parte è
dispensata dall’onere di provare e cioè ad esempio per i fatti presunti, che la parte ha l’onere di
allegare ma non di provare (es. buona fede ex art. 1147, 3o comma, c.c.). Così M. Taruffo, Studi
sulla rilevanza della prova, Cedam, Padova, 1970, 19 ss.; L. Mengoni, Gli acquisti a non domino,
Giuffré, Milano, 1975, 358.
La riflessione già svolta può riproporsi, alla luce della recente modifica dell’art. 115 c.p.c.,
anche in relazione ai fatti non contestati. Essi, pur oggetto di un onere di allegazione, non sono
poi soggetti a prova e, quindi, non determinano l’applicazione della regola dell’onere della prova.
I fatti non contestati, quindi, al pari di quelli presunti e di quelli notori, evidenziano l’autonomia
dei due concetti.
390 Caterina Corrado Oliva
Dopo tale allegazione, soltanto nei poco frequenti casi in cui il fatto sia
contestato, si pone un problema di prova e, allorché questa non sia fornita,
di eventuale applicazione della regola decisoria finale dell’onere della prova.
Altrimenti, la allegazione, unita alla non contestazione, esclude la neces-
sità di prova e quindi, in radice, anche ogni problema di onere della prova,
ovvero regola decisoria finale del fatto incerto, non essendovi, appunto, il
fatto incerto39.
Alla luce di quanto sinora visto, dunque, occorre rileggere le sentenze
della Suprema Corte, per avvedersi come esse, il più delle volte, quando
applicano conseguenze sfavorevoli all’una o all’altra parte in relazione ad
un presupposto di fatto dell’abuso, generalmente si riferiscono alla mancata
allegazione di detto fatto, più che alla mancata prova; la giurisprudenza,
quindi, in tema di abuso del diritto, piuttosto evidenzia l’onere dell’allega-
zione che non quello della prova.
Talora le sentenze parlano espressamente di onere di «allegare»; pur-
troppo, la formulazione corretta è scarsamente utilizzata e, quando lo è,
viene accostata all’onere della prova quasi che si trattasse di sinonimi40.
Probabilmente in seguito a tale confusione tra allegazione e prova, non-
ché relativi oneri, la giurisprudenza sull’abuso del diritto dimentica sempre
di considerare il principio di non contestazione, che consente appunto di
non provare i fatti allegati e non contestati.
Per tutte le ragioni sinora evidenziate, quindi, è davvero esiguo l’ipotetico
spazio per l’applicazione della regola dell’onere della prova in tema di abuso
del diritto, intesa – lo si ribadisce – come regola decisoria finale del fatto in-
certo: vi sono pochi fatti su cui decidere, cioè fatti direttamente rilevanti per
la sussistenza della fattispecie astratta dell’abuso, e sono oggetto di facile pro-
va, essenzialmente documentale e agevolmente reperibile dalle parti, ovvero
per lo più sono fatti non contestati, quindi raramente rimangono incerti.
5. Onere della prova e onere di allegazione
Nel presente lavoro si è lasciato sullo sfondo un altro problema per il
vero preliminare, relativo all’operatività della regola dell’onere della prova
nel processo tributario in generale.
39
L’onere della prova interessa, ovviamente, i soli fatti che hanno bisogno di prova, con
esclusione pertanto di quei fatti che sono incontestati tra le parti o che sono notori. Cfr., in tal
senso, per tutti, V. Andrioli, Prova (dir. proc. civ.), in Noviss. dig. it., Vol. XIV, Torino, 1967, 260
ss., 293, il quale afferma che «tale rilievo lascia intendere la caratteristica fondamentale dell’onere
della prova, consistente in ciò che può essere considerato non in astratto, ma con riferimento
alle concrete vicende del processo.
40
Cfr. note nn. 6 e 37.
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 391
41
La regola sull’onere della prova, quale regola decisoria finale, invero, incide sugli elementi
essenziali di un sistema processuale ed è proprio su questi che non vi è chiarezza in dottrina
o, meglio, non vi è uniformità di soluzioni. A seconda dell’orientamento che si sceglie intorno
all’identificazione dell’oggetto della domanda e della decisione del processo tributario, diversa
sarà, o dovrà essere, la soluzione del problema dell’onere della prova, che vi è irrimediabilmente
legato.
Da qui, precisamente, nasce la problematicità dell’onere della prova nel processo tributario,
anche se, per la verità, non può dirsi vi sia mai stata troppa consapevolezza nella dottrina tri-
butaristica circa tale stretta connessione, sul piano teorico, tra onere della prova e oggetto della
domanda e della decisione.
È, invero, su un piano concettuale, di teoria generale, che precisamente si trova la conferma
della inscindibilità delle due questioni.
L’onere della prova, secondo la unitaria definizione che si è deciso di assumere, è la regola
decisoria finale che indica al giudice come decidere, alias a chi attribuire le conseguenze negative
in caso di mancata prova di un fatto incerto.
Da tale definizione discende che per l’operare della regola in questione occorre valutare se
vi sia, e quale sia, il fatto incerto intorno al quale il giudice debba decidere. L’elemento – chiave
che fa «scattare» l’applicazione della norma è precisamente questo: il fatto incerto nell’oggetto
della decisione.
Ciò posto, per valutare l’applicabilità della regola dell’onere della prova nel processo tribu-
tario, occorre valutare come si collochi in esso il fatto incerto in rapporto con l’oggetto della
decisione.
E pertanto risulta preliminare individuare quale sia l’oggetto della decisione, il thema de
cidendum, connesso con l’oggetto della domanda. Ma, sull’oggetto della decisione e della do-
manda, come è noto, la dottrina tributaristica non ha proprio le idee chiare o, meglio, ha tante
idee chiare diverse.
Ci si riferisce allo «storico» dibattito tra dichiarativisti e costitutivisti, in relazione al quale
qui ci si limita ad un breve richiamo dei principali contributi dottrinali al riguardo.
Per la dottrina più antica, nel senso dichiarativista, cfr.: A.D. Giannini, Il rapporto giuridico
d’imposta, Milano, 1937, 232 ss.; Id., I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956,
270 ss.; Id., Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1965, 179 ss.; M. Pugliese, Istituzioni di diritto
finanziario, Padova, 1937, 121 ss.; G. Tesoro, Principi di diritto tributario, Bari, 1938, 176 ss.; E.
Vanoni, Nascita dell’obbligazione di pagare il tributo e descrizione di alcune fattispecie tributarie,
in Opere giuridiche, Milano, 1962, vol. II, 293 ss.
Più recentemente: A.F. Basciu, Contributo allo studio dell’obbligazione tributaria, Napoli,
1964, 42 ss.; F. Batistoni Ferrara, La determinazione della base imponibile nelle imposte dirette,
Napoli, 1964, passim; Id., Appunti sul processo tributario, Padova, 1995, 56 ss.; Id., Obbligazioni,
296 ss.; C. Longobardi, La nascita del debito d’imposta, Padova, 1965, passim; E. Potito, L’or
dinamento tributario italiano, Milano 1978, 62 ss.; E. Nuzzo, Natura ed efficacia della dichia
razione tributaria, retro, 1986, I, 35; P. Russo, Diritto e processo nella teoria dell’obbligazione
tributaria, Milano, 1969, passim; Id., Manuale di diritto tributario, Milano, II ed., 1996, 109; P.
Russo, L’obbligazione tributaria, in Trattato di diritto tributario, a cura di Amatucci, Cedam, II
vol., parte I, capitolo XX, 9; A. Giovannini, Riflessioni in margine all’oggetto della domanda nel
392 Caterina Corrado Oliva
processo tributario, in Riv. dir. trib., 1998, I, 35 ss.; Id., Il ricorso e gli atti impugnabili, in Giu
risprudenza sistematica di diritto tributario – il processo tributario, diretta da F. Tesauro, Torino,
1998, 329 ss., in particolare 379 ss.; F. Moschetti, Emendabilità della dichiarazione tributaria tra
esigenze di stabilità del rapporto e primato dell’obbligazione dovuta per legge, in Rass. trib., 2001,
1149 ss.; G. Fransoni, Giudicato tributario e attività dell’amministrazione finanziaria, Milano,
2001, 104 ss.
Per le teorie costitutive, cfr.: E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 60 ss. e
162 ss.; C. Magnani, Il processo tributario. Contributo alla dottrina generale, Padova, 1965, 57 ss.;
F. Maffezzoni, Il procedimento di imposizione nell’imposta generale sull’entrata, Napoli, 1965, 23
ss.; A. Fantozzi, La solidarietà nel diritto tributario, Torino, 1968, 154 ss.; G. Falsitta, Il ruolo di
riscossione, Padova, 1972, 82 ss.; Id., Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2003,
614 ss.; F. Tesauro, Il rimborso dell’imposta, Torino, 1975, 127 ss.; Id., Lineamenti del processo
tributario, Rimini, 1991, 106 ss.; Id., Istituzioni di diritto tributario, vol. 1, Parte generale, Tori-
no, 2003, 153 ss.; G. Tremonti, Imposizione e definitività nel diritto tributario, 216 ss. e 248 ss.
Nel senso di un costitutivismo radicale, cfr., C. Glendi, L’oggetto del processo tributario,
Padova, 1984, 242 ss. e passim. La particolare configurazione del processo tributario proposta da
tale A., e specialmente la particolare configurazione della domanda, come domanda autodetermi-
nata di annullamento tout court, e la particolare collocazione dei motivi, ricondotti nell’ambito
pregiudiziale della cognitio, posti al di fuori dell’oggetto della domanda e della decisione, conduce
a conseguenze interessanti sul tema dell’onere della prova. Invero, posto che i fatti altro non
sono che la parte, fattuale appunto, dei motivi, l’A. ne conclude che i fatti non sono mai parte
dell’oggetto della domanda e del corrispondente oggetto della decisione; quindi non si pone
un onere della prova nel senso tradizionale, come regola decisoria del fatto incerto nell’oggetto
della decisione, dato che, appunto, non vi sono fatti nell’oggetto della decisione. I fatti sono,
tutti, secondari rispetto alla decisione, hanno un rilievo indiretto; il conseguimento della prova
consente la valutazione di fondatezza dei motivi ed eccezioni nella loro parte fattuale. Così, l’A.
conclude: «se le circostanze fattuali allegate dal ricorrente non si riesce a provare siano vere, qual
è la conseguenza? Il rigetto del ricorso, perché infondato. Questa è la semplicissima regola finale
del fatto incerto, non altra, e grava sempre sul ricorrente, contrariamente a quanto si afferma e si
sostiene» (così in C. Glendi, Prova testimoniale, principio dispositivo, onere della prova e oggetto
del processo tributario, in GT – Riv. giur. trib., 2007, 741 ss., in particolare 743).
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 393
42
M. Taruffo, La prova nel processo civile, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu
Messineo, Milano, 2012, 25 ss., sottolinea come «la necessità della fissazione precoce del thema
probadum sia tutto sommato un’acquisizione recente, legata all’emergere di una maggiore con-
sapevolezza della sua importanza per il funzionamento ordinato e razionale – e quindi più effi-
ciente – del processo, ed anche a trasformazioni che attengono alla struttura del procedimento».
394 Caterina Corrado Oliva
L’A. quindi completa così la sua affermazione «è evidente, infatti, che quanto prima si perviene
a stabilire in modo completo e tendenzialmente definitivo quali sono i fatti che dovranno essere
provati, tanto più rapida potrà essere la decisione del giudice sulla rilevanza e ammissibilità dei
mezzi di prova, più agevole sarà la difesa dell’altra parte con l’eventuale contestazione dei fatti,
accompagnata se del caso da controdeduzioni istruttorie, e quindi più ordinato sarà il successivo
svolgimento del processo».
43
L.P. Comoglio, Allegazione, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), I, Torino, 1987, 272 ss., rileva
come il concetto di allegazione non sia definito da alcuna enunciazione normativa ed evidenzia
come esso sia spesso dato per presupposto, nell’uso corrente, senza una attenta e tecnica medi-
tazione del suo significato e delle sue implicazioni.
L’A. rileva come il termine allegazione abbia due diverse etimologie che ne descrivono una
duplice accezione: allegare significa infatti addurre (dal latino allegatio) ma significa anche col-
legare, cioè produrre (dal latino alligatio), che è poi la conseguenza della deduzione. In senso
stretto e tecnico, peraltro, l’allegazione è una attività tipicamente postulatoria, essa «rappresenta
l’atto processuale con cui chi agisce (o resiste) in giudizio afferma (oppure nega) la sussistenza di
determinati fatti concreti, prospettati od esposti a fondamento di una domanda o di un’eccezione,
quali elementi genetici dell’effetto giuridico invocato».
La dottrina processualcivilistica ha sempre avuto difficoltà ad individuare dati normativi che
possano costituire il fondamento dell’onere di allegazione.
Una norma da cui potrebbero desumersi argomentazioni in tale senso era l’art. 163, 4o com-
ma, c.p.c., laddove prevede «l’esposizione dei fatti [...] costituenti le ragioni della domanda». A
suo tempo, era stato obiettato che non era prevista dall’ordinamento alcuna conseguenza sfavo-
revole a fronte di un eventuale mancato rispetto della ricordata norma (es. nullità della citazione
ex art. 164 c.p.c.), di talché non sarebbe possibile qualificare tale allegazione di fatti come un
onere (R. Sacco, Presunzione, natura costitutiva o impeditiva del fatto, onere della prova, op.
cit., 416). Patti obiettava che l’argomentazione non reggeva, poiché il mancato adempimento di
un onere non deve comportare un risultato sfavorevole, quale la citata nullità della citazione, ma
invece concretarsi nella impossibilità di conseguire un risultato favorevole (S. Patti, Le prove.
Disposizioni generali, op. cit., 9). Tale argomentazione peraltro è oggi smentita dalla riforma del
1990, che ha inserito la sanzione della nullità della citazione, così consentendo di utilizzare, a
contrario, la critica esposta per confermare una base normativa dell’onere menzionato.
44
I fatti dedotti dell’Amministrazione riprenderanno quelli già menzionati nell’avviso di
accertamento, come parte della motivazione dell’atto. La motivazione, infatti, è composta della
menzione degli elementi giuridici e dei presupposti di fatto della pretesa. Di conseguenza, i fatti
direttamente rilevanti a fondare il recupero dovrebbero già essere menzionati nella motivazione,
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 395
I fatti del processo entrano in questo modo nella sfera del giudice e la
delimitano rigorosamente, nel senso che egli ne è vincolato, nel senso che
non può introdurne altri, pur con gli ampi poteri istruttori di cui dispo-
ne45, né può considerarne altri per la valutazione di fondatezza delle do-
mande ed eccezioni delle parti. Se, dunque, il giudice sul piano del diritto
ha qualche potere di rilievo d’ufficio, potere che diviene poi abnorme nel
caso dell’abuso del diritto, sul piano del fatto invece egli resta vincolato
dalle deduzioni delle parti. E, in una materia come l’abuso del diritto, tanto
contestato soprattutto per la facilità con cui ne fa uso sia l’Amministra-
zione sia soprattutto il giudice tributario, anche di ultimo grado, un limite
netto alla rilevabilità d’ufficio, sia pure sul piano dei fatti46, è assolutamente
essenziale.
salva la possibilità di aggiungere altri fatti indiretti, necessari ai fini della prova, nel corso del
processo.
Opportunamente valorizza l’onere di allegazione, in materia di abuso del diritto, e lo ricon-
nette con l’indicazione dei fatti nell’avviso di accertamento, A. Marcheselli, Equivoci e prospet
tive della elusione tributaria, tra principi comunitari e principi nazionali, retro, 2010, I, 801 ss.,
in particolare 813 laddove scrive che, con riguardo ai profili processuali dell’abuso, «sembra di
dovere dare spazio alle più moderne tendenze in ordine alla portata dell’onere di allegazione.
Esso, nella versione tradizionale, implica che il giudice (tributario) non possa porre a fondamento
della decisione fatti che non siano allegati dalle parti. Tale onere deve essere però calato nella
particolarità del giudizio tributario che è, per così dire, un procedimento di secondo grado: il
processo tributario si innesta e presuppone il completamento di un procedimento amministra-
tivo. È nostra modesta, ma ferma, convinzione che, allora, l’onere di allegazione dell’ammini-
strazione finanziaria abbia una sua precisa forma legale: esso deve essere adempiuto attraverso
l’avviso di accertamento; in altri termini: l’area dei fatti valutabili dal giudice tributario, quanto
al fondamento della pretesa, deve essere circoscritta a quelli enunciati nell’avviso (o negli atti
richiamati in esso). L’Amministrazione ha doveri di diligenza e di trasparenza che le impongono:
a) di raccogliere già nella fase amministrativa tutti i fatti che possono fondare la sua pretesa; b) di
enunciarli al contribuente nel provvedimento amministrativo. La soluzione opposta, quella che
consente al fisco di integrare la sua attività amministrativa, sarebbe, a nostro avviso, in radicale
contrasto non solo con principi di economia ma anche e soprattutto con quelli dell’imparzialità
della Pubblica Amministrazione e della buona fede».
45
Come è noto, l’art. 7, 1o comma, d.lgs. n. 546 del 1992 consente al giudice di esercitare
tutti i poteri istruttori propri degli Uffici tributari nella fase procedimentale restando però «nei
limiti dei fatti dedotti dalle parti».
46
Sostengono che il giudice non possa introdurre come temi di prova neppure i fatti secon-
dari, se non allegati dalle parti, M. Capelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità.
Contributo alle teorie della utilizzazione probatoria del sapere delle parti nel processo civile,
Giuffré, Milano, 1962, 339 e ss.; G. Tarzia, Il litisconsorzio facoltativo nel processo di primo gra
do, Milano, 1972, 349 e ss. In senso contrario, A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio
di non contestazione nel procedimento civile, in Foro it., 2003, 604, in particolare 605 scrive che
«i fatti secondari – tutti i fatti secondari anche se relativi a fatti costitutivi indispensabili per
l’individuazione del diritto fatto valere in giudizio, o relativi a fatti impeditivi, modificativi,
estintivi posti a fondamento di eccezioni in senso stretto che possono essere proposte soltanto
dalle parti – normalmente saranno allegati dalle parti ma ben possono emergere dagli atti del
396 Caterina Corrado Oliva
processo» durante tutto il corso del giudizio e anche per la prima volta in appello. Lo stesso E.
Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale e altri studi, Giuffré,
Milano, 1957, 375, afferma che la parte deve formulare i fatti indispensabili per l’identificazione
della ragione sostenuta in giudizio, cioè, in definitiva, dell’oggetto del processo e quindi pare
riferirsi ai soli fatti principali.
A favore di un generale onere di allegazione, sia dei fatti principali che secondari, dopo la
riforma del 1990, G.F. Ricci, L’allegazione dei fatti nel nuovo processo civile, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1992, 835. L’A. argomenta che tale onere di allegazione di tutti i fatti non discende-
rebbe tanto dall’art. 163, n. 3, c.p.c. riferito esclusivamente ai fatti che costituiscano elementi
identificativi della domanda (e quindi da precisarsi nella individuazione della «cosa oggetto della
domanda»), bensì dal n. 4 della medesima norma, laddove il legislatore chiede «l’esposizione dei
fatti ... costituenti le ragioni della domanda». L’A. rileva che «il complesso dei fatti di cui parla
l’art. 163, n. 4, rappresenta l’insieme anche dei c.d. fatti secondari (o fatti semplici della domanda)
quelli cioè che attengono essenzialmente alla prova [...] ed il cui mutamento in corso di causa non
comporta la modifica della domanda (a differenza di quanto avviene per il mutamento dei fatti
principali, cioè quelli costitutivi del diritto e dell’azione)». Tali fatti, che non hanno la funzione
di individuare la causa petendi e quindi, secondo l’A., la cosa oggetto della domanda, ex art. 163,
n. 4, c.p.c., debbono essere inseriti a pena di nullità già nell’atto iniziale non tanto per una «rinata
considerazione del legislatore per la «causa petendi», ma per la diversa necessità che nell’atto
introduttivo venga riferita ogni circostanza che sia essenziale per permettere al convenuto di
prendere posizione fin dall’inizio su tutti i punti della controversia. Si evidenzia, inoltre, che
l’istituto dell’allegazione dei fatti come elemento autonomo rispetto a petitum e causa petendi,
in quanto tale esterno al contenuto della domanda giudiziale, è stata felice intuizione del Cerino
Canova, Dell’introduzione della causa, in Comm. C.p.c., diretto da Allorio, II, Torino, 1980, 278.
L’abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova 397
stati tra le parti nei processi sull’abuso del diritto, giacché non è la struttura
della operazione che viene in discussione, tantomeno il risparmio di impo-
sta o la esistenza di una qualsivoglia ragione economica, bensì, piuttosto, la
qualificazione come distorsiva, con riguardo all’operazione, come indebita,
in relazione al risparmio fiscale, e come valide, per le ragioni economiche.
Così, come si è visto, una volta che le parti hanno allegato i rispettivi
fatti, spesso non si ha neppure un problema di prova, perché essi riman-
gono incontestati. Se però le parti non li allegano, essi non potranno essere
considerati: e quindi se l’Amministrazione non allega nel dettaglio l’opera-
zione e la sua struttura, non potrà introdurla in un secondo momento oltre
i termini di preclusione né il giudice potrà procedere, neppure d’ufficio,
alla valutazione della sua portata distorsiva e rilevare – eventualmente d’uf-
ficio – l’abuso del diritto.
L’onere di allegazione, quindi, diviene uno snodo centrale, nel proces-
so tributario in generale e in quelli sull’abuso in particolare, dove i fatti
debbono essere indicati ma restano spesso incontestati tra le parti e dove
il vero punto controverso non è la verità o meno di essi ma la loro valuta-
zione, che ovviamente non potrà avvenire, neppure d’ufficio da parte del
giudice, laddove essi non siano stati addotti.
L’allegazione dei fatti crea quindi lo spazio e il limite invalicabile all’in-
terno del quale si muoverà il processo sull’abuso del diritto e, in questo
senso, rappresenta per il contribuente, seppure sempre sul limitato pia-
no del giudizio di fatto, un baluardo ben più solido e conferente rispetto
all’onere della prova nei confronti di contestazioni di abuso inadeguata-
mente o tardivamente47 introdotte dall’Amministrazione finanziaria così
come dal giudice.
6. Conclusioni
Questa, la chiave di lettura che il presente lavoro si propone di fornire
per l’esame delle sentenze sull’abuso del diritto le quali, sempre a spropo-
sito ed in maniera autoreferenziale, fanno rinvio al concetto di onere della
prova.
47
L’inadeguatezza e la tardività sono qui riferite ad una carente o incompleta allegazione dei
fatti che possono dare origine alla contestazione di abuso. Spesso accade infatti che l’Amministra-
zione spicchi un atto impositivo avendo riguardo a profili di evasione, e quindi non alleghi, nelle
proprie controdeduzioni, con precisione, la struttura della operazione, il vantaggio economico
rispetto all’operazione normale etc. L’onere di allegazione impedisce che, nel corso del processo,
oltre i termini di preclusione, la Amministrazione introduca nuovi fatti per modificare la propria
pretesa e contestare l’abuso. Correlativamente, esso impedisce che una siffatta operazione venga
effettuata, d’ufficio, dal giudice.
398 Caterina Corrado Oliva
L’onere della prova, inteso come regola decisoria finale del fatto incerto,
e a prescindere dalle problematiche tuttora irrisolte circa la sua natura e
operatività nell’ambito del processo tributario, ha in materia di abuso del
diritto un ambito applicativo del tutto marginale.
Secondo la dottrina maggioritaria, invero, un problema di onere della
prova in senso proprio si pone con esclusivo riguardo ai fatti direttamen-
te rilevanti, quelli che i processualcivilisti chiamano i c.d. fatti principali,
cioè fatti costitutivi, impeditivi, estintivi, modificativi del diritto o delle
eccezioni affermate in giudizio. Per individuarli, occorre avere riguardo
alla definizione – non normativa, ma giurisprudenziale – dell’abuso del
diritto. E, come si è visto, «sezionando» tale definizione ed esaminando i
requisiti dell’abuso del diritto, i presupposti fattuali sono risultati pochi e
marginali, nel senso che non sono il terreno di scontro, non sono il punto
delicato delle controversie sull’abuso del diritto.
Tanto che tali fatti, già di per sé generalmente molto facili da provare,
spesso non sono neppure contestati tra le parti e quindi neppure richiedo-
no prova. Tali circostanze, quindi, rendono, per l’abuso del diritto, molto
più che per altri settori del diritto tributario, davvero marginali le questioni
di prova dei fatti e, ove anche configurabile, di onere della prova.
Eppure la giurisprudenza sull’abuso del diritto, più che per altri settori
del diritto tributario, puntualmente interviene sulla spettanza dell’onere
della prova.
Invece essenziale appare l’onere di allegazione, anch’esso citato dalla
giurisprudenza della Suprema Corte menzionata all’inizio del presente ar-
ticolo. Esso opera in un duplice senso, giacché le parti hanno l’onere di
allegare tempestivamente ed in maniera completa i fatti posti a fondamento
delle rispettive tesi (e quindi l’Amministrazione finanziaria deve allegare
con precisione la struttura dell’operazione contestata, il vantaggio fiscale
riveniente dal confronto con l’operazione normale, etc.) ed i giudici sono
costretti a rimanere nell’ambito di tale allegazione, senza possibilità di tar-
dive «sanatorie» di una eventuale carenza sotto tale profilo.
Se, dunque, la sostenuta marginalizzazione dell’onere della prova può
aver creato qualche, ingiustificata, preoccupazione per le garanzie del
contribuente, per la sua tutela, sul piano del giudizio di fatto, di fronte
all’«abuso dell’abuso del diritto», pare che l’onere dell’allegazione, ed una
sua valorizzazione, possa costituire un più saldo e coerente appiglio.
Parte Quarta
La teoria dell’abuso del diritto in altri ordinamenti
400 Guido Alpa
Guido Alpa
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito
comunitario e sui suoi riflessi negli ordinamenti degli
Stati Membri
1. Introduzione
Dell’«abuso del diritto» nel diritto dell’Unione europea si discute ormai
da quasi mezzo secolo, ma il dibattito non è sopito; anzi, si rinvigorisce
vieppiù, risvegliando un interesse sempre più esteso, anche in quelle espe-
rienze in cui la concezione dell’abuso non aveva innestato le sue radici. A
tutt’oggi la formula appare controversa sotto molti aspetti1.
Ci si chiede, innanzi tutto, se sia configurabile come regola avente te-
nore generale, oppure se si tratti di una regola applicata soltanto in alcuni
settori dell’ordinamento dell’Unione europea. Si mette in forse la sua na-
tura di principio generale2, al punto che in alcune recenti indagini scien-
tifiche sui principi generali del diritto non si fa menzione dell’abuso3,o si
pone il problema della sua sussistenza con accenti interrogativi4, oppure
si nega esplicitamente che abbia qualche credito; anche se, nelle analisi più
accurate, non si manca di rilevare il numero cospicuo di contributi che,
soprattutto a partire dagli anni Settanta del Novecento, si sono dedicati
al tema, costruendo la formula in termini di principio generale sotteso
all’intero ordinamento.
1
Nella copiosa letteratura tra i contributi più recenti v. Carbone, Brevi riflessioni sull’abu
so del diritto comunitario: commercio internazionale ed esercizio delle libertà individuali, in Dir.
comm. internazionale, 2011, p. 67 ss., con ampia nota bibliografica finale; Lenaerts, The Gene
ral Principle of the Prohibition of Abuse of Rights: A Critical Position on Its Role in a Codified
European Contract Law, in ERPL, 6-2010, p. 1121 ss.; Ionescu, L’abus de droit en droit
communautaire, thèse pour le doctorat en droit, Barcellona, 2008; Bonanzinga, Abuso del diritto
e rimedi esperibili, in www.comparazionedirittocivile.it.
2
Cataudella, L’uso abusivo dei principi, in Riv. dir. civ., 2014, I, p. 747 ss.
3
Reich, General Principles of EU Civil Law, Cambridge, Antwerp, Portland, 2014.
4
De la Feria e Vogenauer (edts), The Prohibition of Abuse of Law. An Emerging
Principle of EU Law?, Oxford, 2014.
402 Guido Alpa
5
V. i diversi saggi raccolti in The Prohibition of Abuse of Law, supra cit.
6
Per tutti v. Galgano, Il dovere di buona fede e l’abuso del diritto, relazione svolta
all’incontro di studio tenutosi a Tivoli dal 6 al 10 giugno 1994, in Persona e danno, p. 21 ss.; Id.,
Qui suo iure abutitur neminem laedit?, in questa rivista, 2011, p. 311 ss.; D’Amico, Ancora su
buona fede e abuso del diritto. Una replica a Galgano, in Contratti, 2011, p. 653 ss.; Sacco, Il di
ritto soggettivo. L’esercizio e l’abuso del diritto, in Tratt. dir. civ., Torino, 2001, p. 373; Villa,
Abuso, buona fede e asimmetria nei contratti tra imprese, in Annuario del contratto, 2011, p.
57 ss.; Zimmermann e Whittaker (edts), Good Faith in ERCL, Cambridge, 2000, p. 53 ss.
7
Gentili, Abuso del diritto, giurisprudenza tributaria e categorie civilistiche, in Ianus n.
1-2009; Prosperi, L’abuso del diritto nella fiscalità vista da un civilista, relazione tenuta al con-
vegno su L’abuso del diritto: tra diritto e abuso, Macerata, 29-30 giugno 2012; Scognamiglio,
L’abuso del diritto nella disciplina dei contratti, in Libro dell’anno del Diritto 2013, Enc. giur.
Treccani, Roma, 2013; Alpa, Il contratto in generale. Fonti, teorie.
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario 403
8
Per il diritto italiano sono sempre illuminanti le pagine di Rescigno, L’abuso del di
ritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 211 ss. (ora anche ne L’abuso del diritto, Bologna, 1998, p. 11
ss.; e v. più di recente Pino, L’abuso del diritto tra teoria e dogmatica (precauzioni per l’uso), in
Eguaglianza, ragionevolezza e logica giuridica a cura di Maniaci, Milano, 2006, p. 115 ss.; Bar-
cellona, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamenteorientata
del traffico giuridico, in Riv. dir. civ., 2014, I, p. 247 ss.; restano sempre attuali le pagine di Salvi,
Abuso del diritto. I) Diritto civile e di Gambaro, Abuso del diritto. II) Diritto comparato e
straniero Enc. giur., vol. I, Roma, 1988, p. 1. Incomprensibile la posizione critica di Ancel e
Didry, L’abus de droit: une notion sans histoire? L’apparition de la notion d’abus de droit en
droit français au debut du XXe siècle (ma v. più correttamente Sériaux, Abus de droit, voce del
Dictionnaire de la culture juridique diretto da Alland e Rials, Paris, 2003).
404 Guido Alpa
9
Oltre alle pagine di Gambaro, op. cit., v. di Robilant, Abuse of Rights: The Continental
Drug and the Common Law, in http://works.bepress.com; Byers, Abuse of Rights: An Old
Principle, a New Age, in McGill Law Journal 47, 2001-2002, p. 392 ss.
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario 405
bili gli autori francesi di fine Ottocento e inizio del Novecento, o i giuristi
tedeschi del periodo nazista, o ancora i primi commentatori del codice
civile italiano, e che hanno ispirato contributi di eccezionale rilievo, a cui
oggi molti ancora si ricollegano10, sono del tutto ignorati nella letteratura di
diritto comunitario e nei contributi recenti di diritto comparato. Segno che
la formula può essere depurata dei suoi indubbi connotati politico-sociali,
anche se essi sono latenti nell’uso degli interpreti, e che questa operazione
non ha conseguenze sul piano pratico. Dottrina e giurisprudenza comuni-
tarie sono informate ad una concezione pragmatica del diritto di cui dob-
biamo prendere atto, anche se essa può non soddisfare compiutamente il
palato raffinato dell’interprete più avvertito. E pertanto, salve le eventuali
agnazioni o affinità con i diversi modelli nazionali, l’abuso del diritto così
come si delinea nell’ordinamento dell’Unione europea presenta contorni
originali, ha una sua fisionomia ed una sua disciplina che lo rende figura
autonoma rispetto a quelle emergenti dalle esperienze nazionali.
Il che implica l’impossibilità di assimilare l’abuso del diritto di deriva-
zione comunitaria alle figure o ai principi di (divieto dell’) abuso di diritto
emergenti dalle esperienze nazionali.
2. Le regole scritte
I principi generali si desumono dalle regole scritte per via di induzio-
ne. Tuttavia, non mancano testi normativi in cui i principi generali sono
tradotti in regole scritte, ed assumono una valenza generale, se il contesto
normativo ha carattere generale, oppure più circoscritta se il contesto nor-
mativo ha un contenuto specifico ed è dedicato a disciplinare un settore
dell’ordinamento oppure un istituto in sé e per sé compiuto.
Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona dal 2009 ha acquisito va-
lore giuridico la Carta europea dei diritti fondamentali. Il testo, modificato
nel 2007, prevede un articolo (l’art. 54) a mente del quale « nessuna disposi
zione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare
il diritto di esercitare una attività o compiere un atto che miri a distruggere
diritti o libertà riconosciuti nella presente Carta o a imporre a tali diritti e
libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta ».
Se la rubrica di questa disposizione non recasse le parole « divieto
dell’abuso di diritto » si potrebbe leggere il testo come se si trattasse di una
semplice regola di interpretazione della Carta che faccia divieto di assegna-
re alle sue disposizioni un significato più circoscritto rispetto a quello fatto
palese dalle parole o rispondente alle intenzioni del legislatore; ma il testo
11
Per tutti v. i commenti nel Codice dell’Unione europea operativo diretto da Curti
Gialdino, Napoli, 2012
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario 407
12
V. gli atti del convegno su Il diritto e le discipline economiche, Torino, 8 maggio 2014, ora
in Nuovo dir. soc., 2014 ed ivi il contributo di Panzani; Panzani, Abuso del diritto. Profili di
diritto comparato con particolare riferimento alla disciplina dell’insolvenza transfrontaliera, in
Giust. civ., 2014, 3, p. 693 ss.; Eidenmueller, Abuse of Law in the Context of European Insol
vency Law, in http://ssrn.com.
13
Per un’accurata analisi v. il Comm. breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
Padova, 2012, sub art. 54.
408 Guido Alpa
42 « (...) la lotta contro l’evasione, l’elusione fiscale e gli eventuali abusi costituisce
un obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalla sesta direttiva (v., in particolare, sentenze
Halifax ea., C-255/02, EU:C:2006:121, punto 71; Kittel e Recolta Recycling, C-439/04 e
C-440/04, EU:C:2006:446, punto 54, nonché Mahagében e Dávid, C-80/11 e C-142/11,
EU:C:2012:373, punto 41).
43 A tale riguardo, la Corte ha più volte sottolineato che i singoli non possono
avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione (v., in
particolare, sentenze Kittel e Recolta Recycling, EU:C:2006:446, punto 54; Fini H,
C-32/03, EU:C:2005:128, punto 32, e Maks Pen, C-18/13, EU:C:2014:69, punto 26).
44 Da ciò la Corte ha desunto, in primo luogo, nell’ambito di una giurisprudenza
costante vertente sul diritto a detrazione dell’IVA previsto dalla sesta direttiva, che spetta
alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, alla
luce di elementi oggettivi, che quest’ultimo è invocato fraudolentemente o abusivamente
(v., in particolare, sentenze Kittel e Recolta Recycling, EU:C:2006:446, punto 55; Bonik,
C-285/11, EU:C:2012:774, punto 37, nonché Maks Pen, EU:C:2014:69, punto 26).
45 In secondo luogo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che tale conseguenza
di un abuso o di una frode si ripercuote, in linea di principio, anche sul beneficio del
diritto all’esenzione per una cessione intracomunitaria (v., in tal senso, sentenze R.,
C-285/09, EU:C:2010:742, punto 55, e Mecsek-Gabona, C-273/11, EU:C:2012:547,
punto 54).
46 In terzo luogo, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 50 a 52 delle
sue conclusioni, nei limiti in cui un diniego eventuale del beneficio di un diritto derivante
dalla sesta direttiva riflette il principio generale, menzionato al punto 43 della presente
14
Carbone, op. cit.
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario 409
42 « (...) secondo una giurisprudenza costante della Corte, i singoli non possono
avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione (v., in particolare,
sentenze Halifax ea., C-255/02, EU:C:2006:121, punto 68, nonché SICES ea., C-155/13,
EU:C:2014:145, punto 29).
43 In particolare, quanto alla lotta contro l’abuso della libertà di stabilimento, uno
Stato membro ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità
offerte dal Trattato FUE, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi abusivamente alle
norme delle loro leggi nazionali » (v. sentenza Inspire Art, C-167/01, EU:C:2003:512,
punto 136).
56 « (...) nella trasposizione (...) delle direttive (...) gli Stati membri devono avere
cura di fondarsi su un’interpretazione delle direttive medesime tale da garantire un
giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico
dell’Unione. Inoltre, in sede di attuazione delle misure di recepimento di tali direttive,
le autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto
nazionale in modo conforme a dette direttive, bensì anche provvedere a non fondarsi su
un’interpretazione di esse che entri in conflitto con i summenzionati diritti fondamentali
o con gli altri principi generali del diritto dell’Unione, quale, ad esempio, il principio di
proporzionalità » (v., in tal senso, sentenza Promusicae, cit. supra, punto 68, e ordinanza
LSG-Gesellschaft zur Wahrnehmung von Leistungsschutzrechten, cit. supra, punto 28).
4 «La società 3MCompany, con sede negli Stati Uniti, ha costituito un diritto di
usufrutto sulle azioni della 3MItalia, di cui essa ha il controllo, a favore della società
Shearson Lehman Hutton Special Financing, anch’essa avente sede negli Stati Uniti.
Quest’ultima, a sua volta, ha trasferito tale diritto di usufrutto alla società Olivetti &
C., con sede in Italia, con diritto di voto riservato al nudo proprietario, vale a dire alla
3MCompany.
5 A seguito di un’ispezione, l’amministrazione finanziaria italiana ha ritenuto
che la cessione di usufrutto a favore della Olivetti & C. fosse fittizia e che i dividendi
distribuiti dalla 3MItalia a quest’ultima fossero stati, in realtà, percepiti dalla Shearson
Lehman Hutton Special Financing, società non residente in Italia. Di conseguenza, essa
ha deciso che a tali dividendi doveva essere applicata la ritenuta a titolo d’imposta del
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario 411
32 « (...) nel diritto dell’Unione non esiste alcun principio generale dal quale
discenda un obbligo per gli Stati membri di lottare contro le pratiche abusive nel settore
della fiscalità diretta e che osti all’applicazione di una disposizione come quella di cui
trattasi nel procedimento principale, qualora l’operazione imponibile derivi da pratiche
siffatte e non sia in discussione il diritto dell’Unione.
33 Ne consegue che il principio del divieto dell’abuso di diritto e l’art. 4, par. 3,
T.U.E., che impone agli Stati membri di adottare ogni misura di carattere generale o
particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione
e di astenersi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione
degli obiettivi dell’Unione, non ostano, in linea di principio, all’applicazione, in un
procedimento come quello principale, di una disposizione nazionale quale l’art. 3,
comma 2° bis, lettera b), del d.l. n. 40/2010 ».
15
De Feria e Vogenauer (edts), op. cit.
16
Ionescu, op. cit.
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario 413
17
Per una discussione recente v. i contributi sopra cit. alla nota 6.
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario 415
processo, fanno parte di una concezione più ampia di abuso del diritto e
sono, – insieme con l’abuso dei poteri del proprietario o dell’usufruttuario
(in particolare, il divieto degli atti emulativi) – gli esempi più frequenti di
abuso del diritto nell’ordinamento italiano.
7. L’ignoranza dell’abuso del diritto nei testi di armonizzazione del
diritto privato europeo
Questa distinzione di ambiti del principio del divieto potrebbe essere
una giustificazione – ex post – della omissione, o dell’assenza, di una qual-
siasi menzione dell’abuso del diritto nei testi di armonizzazione del diritto
privato europeo. In questi testi si dovrebbe parlare comunque non di abuso
della legge ma di abuso di diritti, se volessimo considerare i rapporti tra le
parti nell’ambito del diritto privato.
Per leggere con una certa consapevolezza questi testi conviene richia-
mare i caveat esposti in apertura del discorso: in altri termini, i gruppi
di lavoro che li hanno compitati erano composti da giuristi provenienti
dalle esperienze continentali e di common law in cui l’abuso del diritto
aveva una storia radicata ma diseguale, arricchita di trapianti e circolazione
di modelli, ma sostanzialmente frammentata in percorsi propri a ciascun
ordinamento, quindi difficilmente riducibile ad unità. In più, seguendo le
sorti dell’abuso del diritto nei singoli ordinamenti, gli autori affiancano o
includono la problematica in quella della buona fede.
Ecco alcuni esempi.
I Principi di diritto comunitario in materia di contratto (Acquis Prin
ciples) solo l’art. 7:101 potrebbe essere richiamato per alludere alla appli-
cazione del divieto di abuso del diritto, nella misura in cui si fa obbligo
al debitore di adempiere secondo buona fede; l’art. 7:103 sull’obbligo del
debitore di curare gli interessi del creditore e l’art. 7:104 sull’obbligo del
creditore e debitore di cooperare.
Neppure nei Principles of European Contract Law l’art. 0:302 dedicato
alla lealtà contrattuale fa riferimento all’abuso del diritto.
Altrettanto silente è il Draft Common Frame of Reference. Neppure
nelle note iniziali, del Book I, riguardanti le disposizioni di apertura su
good faith and fair dealing,e reasonableness (I:1:103 e 104) fanno cenno
all’abuso del diritto.
Nonostante ciò, le analisi di diritto comparato in materia sono parti-
colarmente accurate, e descrivono tutte le soluzioni che in ciascun ordina-
mento sono state assunte per dare soluzione al problema del riconoscimen-
to del divieto di abuso del diritto: dalle codificazioni esplicite del divieto
a quelle criptiche.
Se, al contrario, si esamina la giurisprudenza della Corte di Cassazione,
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario 417
ormai si può dire che il principio è accolto con ampiezza, e i suoi confini
vanno ben al di là degli atti emulativi.
Insomma, la problematica si appresta ad infittirsi, il principio ad esten-
dere la sua applicazione, e quindi occorrerà provvedere ad una revisione
degli schemi tradizionali, senza preclusioni dogmatiche e con spirito di
cooperazione al dialogo, questa volta, tra giurisprudenza e dottrina, e tra
ordinamenti nazionali e diritto dell’Unione Europea.
418 Guido Alpa
Sonja Haberl e Alessandro Somma *
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca
3
L. Bourgeois, Solidarité, 3. ed., Paris, 1902, p. 61 s.
4
L. Duguit, Les transformation générales du droit privé (1911), 2. ed., Paris, 1920, pp. 26
s. e 37.
5
O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, Berlin, 1889, p. 9 ss.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 421
dendosi nella cittadella del diritto privato, sarebbe infine divenuto perva-
sivo, intaccando l’idea dell’assolutezza delle costruzioni tradizionalmente
utilizzate per il funzionamento del mercato. L’ordine proprietario si avvia-
va insomma a divenire terreno nel quale i diritti erano riconosciuti e tutelati
solo nella misura in cui il loro esercizio realizzava finalità sistemiche, quelle
di cui l’ordine si rendeva interprete.
È a partire dalla conclusione del primo conflitto mondiale che la nuova
prospettiva venne assunta in modo consapevole: quel conflitto aveva ab-
battuto definitivamente l’individualismo, esattamente come la Rivoluzione
francese aveva abbattuto il feudalesimo, rendendo ineludibile la costruzio-
ne di un ordine capace di conciliare «gli opposti interessi tra il capitale e
il lavoro»6. Il tutto accelerò e consolidò alcune costruzioni che avevano
preso corpo nel decennio precedente a completamento dell’approccio fun-
zionalista e dunque dell’idea di diritti funzionalizzati7. Costruzioni come
in particolare l’abuso del diritto, elaborata in area francese proprio per
amplificare il punto di vista relazionale nell’analisi dei diritti: per affermare
che essi sono «concessi dai pubblici poteri» e che in quanto tali «hanno
una missione sociale da compiere, contro la quale non possono insorgere»8.
Anche in area tedesca si è evidentemente discusso di abuso del diritto
(Rechtsmissbrauch), e a monte di funzionalizzazione dei diritti nell’ambi-
to di un ordine economico bisognoso di una mano visibile incaricata di
assicurarne l’equilibrio e lo sviluppo. Anzi, proprio in area tedesca questi
temi hanno conosciuto uno sviluppo particolare, dovuto alle modalità con
cui si è realizzato il processo di modernizzazione, diverso dal percorso
intrapreso in altre aree perché non si è accompagnato allo sviluppo della
democrazia: la modernizzazione tedesca costituisce il punto di arrivo di un
percorso governato da un potere politico autoritario, se non totalitario9.
In questo lavoro metteremo in luce le vicende che hanno sottolineato
quel percorso e condotto a elaborazioni dottrinali e orientamenti giuri-
sprudenziali che, se per un verso sono riferiti al tema dell’abuso del diritto,
sono per molti altri riconducibili a un vero e proprio dato caratteristico
6
N. Stolfi, La rivoluzione francese e la guerra mondiale in rapporto alle trasformazioni del
diritto, in Rivista di diritto pubblico, 1922, I, p. 386 ss.
7
L. Duguit, Les transformation générales du droit privé, cit., p. 51: «la conception de la
liberté-fonction remplace la notion de liberté-droit».
8
L. Josserand, Cours de droit civil positif français, vol. 1, Paris, 1938, p. 118. In precedenza
Id., De l’abus des droits, Paris, 1905.
9
È questo il senso della teoria del «percorso eccezionale» (Sonderweg): cfr. A. Somma, I
giuristi e l’Asse culturale Roma-Berlino. Economia e politica nel diritto fascista e nazionalsocia
lista, Frankfurt M., 2005, p. 4 ss.
422 Sonja Haberl e Alessandro Somma
10
Per tutti H.-P. Haferkamp, Die heutige Rechtsmissbrauchslehre – Ergebnis nationalsozia
listischen Rechtsdenkens?, Berlin, 1995, p. 95 ss.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 423
sieme delle azioni compiute dal titolare del diritto in assenza di interesse
proprio, ovvero all’unico scopo di arrecare danni ad altri11.
L’elemento soggettivo dell’intento di nuocere rappresentò un presup-
posto anche del primo divieto di atti emulativi codificato in area tedesca,
quello contenuto nell’Allgemeines Landrecht prussiano del 1794, dove si
prevedeva il risarcimento del danno subito da chi «tra più modalità pos-
sibili di esercizio del diritto abbia scelto quella che è dannosa per l’altro,
con l’intenzione di danneggiarlo» (par. 37 I tit. 6)12. Le difficoltà probatorie
legate a questo presupposto portarono la giurisprudenza a rompere con il
tenore letterale del divieto e ad affermare la responsabilità dell’agente an-
che nel caso in cui «l’elemento soggettivo non può essere comprovato»13.
L’orientamento non ebbe però influenza alcuna nell’individuazione poi
accolta dal Codice civile tedesco, nel cui vigore non venne più significati-
vamente proposto dalle corti.
Insomma, quando fu approvato, il divieto di atti emulativi venne sa-
lutato come il veicolo di trasformazioni epocali, in particolare come una
spinta verso la socializzazione del diritto e dunque verso il superamento
dei paradigmi individualisti ereditati dalla tradizione pandettista14. Tuttavia
le difficoltà legate alla prova dell’animus nocendi, prova sostanzialmente
impossibile15, condannarono il divieto a risultare del tutto trascurabile dal
punto di vista pratico, perché sostanzialmente non applicato. Ciò non to-
glie, però, che il principio posto alla base del divieto non abbia attecchito
nell’esperienza giuridica tedesca, essendo esso espressione di quanto abbia-
mo indicato come un vero e proprio dato di sistema: lo sviluppo di istituti
del diritto privato in linea con il proposito di edificare un ordine del merca-
to incentrato sul tema della funzionalizzazione delle libertà economiche. Il
tutto, come vedremo, con il fondamentale contributo della clausola di buo-
na fede, quindi del più noto tra gli strumenti tecnico giuridici utilizzati per
ottenere la conformazione dei comportamenti economicamente rilevanti.
3. L’abuso del diritto nella giurisprudenza del Reichsgericht
Il destino del divieto di atti emulativi apparve segnato fin dai primissi-
mi anni dall’entrata in vigore del Codice civile tedesco, quando la Corte
11
S. Stryk, De iure aemulatione (1678), in Id., Dissertationes iuridicae de selectis utriusque
iuris materiis, vol. 3, Frankfurt Oder, 1690, p. 52 ss.
12
Altri divieti erano contenuti nella disciplina della proprietà, ai parr. 27 e 28 I Tit. 8.
13
Preussisches Obertribunal, 7 giugno 1852, in Striethorst Archiv, 5, 1852, p. 282 ss.
14
Ad es. R. Saleilles, Introduction à l’étude du droit civil allemand, Paris, 1904.
15
Per tutti B. von Feldmann, Sub Par. 226, in BGB – Münchener Kommentar, vol. 1,
München, 1993, n. 1.
424 Sonja Haberl e Alessandro Somma
16
Cfr. RG, 13 gennaio 1885, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 13, 1885,
p. 32 ss.; RG, 9 novembre 1886, ivi, 18, 1887, p. 238 ss.; RG, 31 dicembre 1887, ivi, 20, 1888, p.
93 ss. e RG, 3 maggio 1888, ivi, 21, 1888, p. 243 ss.
17
RG, 30 maggio 1904, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 58, 1905, p.
35 ss.
18
F. Ranieri, Norma scritta e prassi giudiziale nell’evoluzione della dottrina tedesca del
Rechtsmissbrauch, in M. Rotondi (a cura di), L’abus de droit, Padova, 1979, p. 371.
19
Cfr. RG, 9 dicembre 1905, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 62, 1906,
p. 19 ss. e RG, 27 maggio 1911, ivi, 76, 1911, p. 319 ss., ove si ritenne comunque sufficiente il
dolus eventualis.
20
V. rispettivamente J.W. Hedemann, Zivilistische Rundschau 1908/09, in Archiv für bür
gerliches Recht, 1910, p. 151. e Id., Die Flucht in die Generalklauseln. Eine Gefahr für Staat und
Recht, Tübingen, 1933, p. 7.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 425
In una nota sentenza del 1909, di frequente citazione ancora oggi per
la particolarità della vicenda, il Reichsgericht fece direttamente ricorso al
divieto di atti emulativi per risolvere il caso in cui un padre aveva vietato al
figlio, con il quale aveva rotto ogni relazione, di accedere nel parco del suo
castello e dunque di visitare la tomba della madre21. Si tratta di una delle
rare decisioni in cui il tribunale, accedendo a una sua interpretazione am-
pia, applicò il par. 226 BGB22: «precetto di etica sociale in misura limitata»
in quanto concernente non la sola provocazione di un «danno materiale,
bensì anche la violazione di valori e interessi ideali». Il tutto in attuazione
di un principio fondamentale (Rechtsgrundsatz) di cui il giudice deve tene-
re conto d’ufficio, tanto è vero che il figlio non aveva chiesto di ricorrere
alla disposizione utilizzata dalla corte per risolvere la controversia, come
invece richiesto dalla prevalente dottrina dell’epoca23.
È così che il Reichsgericht giunse ad affermare un divieto di atti emu-
lativi nella sua veste di limite «anche del diritto di proprietà quale diritto
assoluto», cui in effetti il padre si era appellato. Con ciò urtando la su-
scettibilità di molti autori, i quali lamentarono fra l’altro la mancanza di
considerazioni approfondite riguardanti l’animus nocendi, se non altro in
quanto il padre, a giustificazione del suo rifiuto, lamentava la sofferenza di
problemi di cuore che l’eventuale visita del figlio avrebbe acuito, mettendo
a rischio la sua salute24. I giudici si erano invece limitati a generici rinvii a
quanto stabilito nel precedente grado di giudizio, dal quale sarebbe «emer-
so senza alcun dubbio come il divieto di visita posto dal convenuto fosse
esclusivamente finalizzato ad arrecare danno all’attore».
Qualche anno dopo la giurisprudenza sembrò assumere il punto di vi-
sta della dottrina, stabilendo che «è da escludersi l’atto emulativo qualora
un interesse legittimo sia anche soltanto la concausa del comportamento»
al vaglio della corte25. Nel complesso, poi, furono di gran lunga preva-
21
RG, 3 dicembre 1909, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 72, 1910, p.
251 ss. In dottrina da ultimo M.J., Das Schikaneverbot im Spiegel zweier höchstrichterlicher
Entscheidungen zum deutschen und englischen Recht um 1900 – Ein Gebot der sozialen Ethik
oder gefährliche uncertainty in the law?, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte
– Germanistische Abteilung, 2010, p. 338 ss.
22
Stesso schema in RG, 6 giugno 1905, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen,
61, 1906, p. 94 ss.; RG, 10 dicembre 1912, ivi, 65, 1907, p. 10 ss.; RG, 27 giugno 1919, ivi, 96,
1919, p. 184 ss. e RG, 24 gennaio 1924, ivi, 120, 1928, p. 47.
23
Per cui era necessaria un’eccezione della parte interessata: ad es. G. Planck, Sub Par. 226,
in BGB – Plancks Kommentar, vol. 1, Berlin, 1898, p. 276.
24
Per tutti K. Larenz e M. Wolf, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, 9. ed., Mün-
chen, 2004, p. 283.
25
RG, 8 gennaio 1920, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 98, 1920, p. 15 ss.
426 Sonja Haberl e Alessandro Somma
26
Ad es. RG, 17 settembre 1904, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 58,
1905, p. 428 ss.; RG, 8 ottobre 1909, ivi, 71, 1909, p. 435 ss. e RG, 26 maggio 1914, ivi, 85,
1915, p. 108 ss.
27
RG, 26 maggio 1914, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 85, 1915, p.
108 ss.
28
RG, 3 febbraio 1915, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 86, 1915, p.
195 ss.
29
Ad es. RG, 17 marzo 1932, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 135, 1932,
p. 376 ss.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 427
contra factum proprium, quello del dolo agit o la nota Verwirkung: figure
sulle quali torneremo fra breve.
Negli anni trenta del Novecento, poi, scontato ormai il tramonto di
quanto si era appalesato come un troppo «angusto» divieto di atti emula-
tivi, la clausola della buona fede di cui al par. 242 BGB assunse la veste di
cardine attorno al quale far ruotare tutte le costruzioni giurisprudenziali
degli anni successivi: giurisprudenza caratterizzata, come si vedrà, da una
«cospicua inammissibilità dell’esercizio del diritto»30.
4. Il dibattito dottrinale e la sua influenza sulla giurisprudenza
Anche la dottrina che al principio del Novecento si dedicò alla funzione
e alla portata del divieto di atti emulativi, oramai valutato alla stregua di un
mero «cartello etico decorativo» (moralisches Dekorationsschild)31, giacché
ci si era orientati verso una stretta concezione del par. 226 BGB. I dibattiti,
di conseguenza, si incentrarono prima sul par. 826, e poi sul par. 242 BGB.
Le prime ricerche tedesche dedicate al tema dell’abuso del diritto sono
in parziale ritardo su quelle confezionate in Francia: risalgono agli anni
trenta del secolo scorso. Tra esse spicca, per l’influenza tutt’altro che tra-
scurabile sugli orientamenti giurisprudenziali successivi, l’opera di Wolf-
gang Siebert, all’epoca giovane professore di diritto privato e di diritto del
lavoro presso l’Università di Kiel.
Non diversamente da altri autori e dal Reichsgericht, anche Siebert di-
scusse del divieto di atti emulativi come di un precetto con un ruolo del
tutto trascurabile, «consumato» da clausole generali più ampie. Il punto
di partenza per le sue riflessioni in merito a una teoria generale sull’abuso
del diritto furono infatti i parr. 242 e 826 BGB. Entrambi furono da lui
considerati limiti generali all’esercizio del diritto, da intendersi, più preci-
samente, come limiti interni comportanti una «relatività del contenuto del
diritto» (Relativität des Rechtsinhalts) e, nel caso fossero stati oltrepassati
dal suo titolare, un «agire senza diritto» (Handeln ohne Recht)32. Mentre
però la delimitazione dell’ambito di applicazione delle due norme nella
giurisprudenza del Reichsgericht rimase piuttosto vaga, Siebert giunse a
una sua demarcazione alquanto netta. Mosse dall’idea di «relazione ecce-
30
H. Merz, Vom Schikaneverbot zum Rechtsmissbrauch, in Zeitschrift für Rechtsverglei
chung, 1977, p. 168.
31
K. Huber, Über den Rechtsmissbrauch, Bern, 1909.
32
W. Siebert, Verwirkung und Unzulässigkeit der Rechtsausübung. Ein rechtsvergleichender
Beitrag zur Lehre von den Schranken der privaten Rechte und zur exceptio doli (Parr. 226, 242,
826 BGB), unter besonderer Berücksichtigung des gewerblichen Rechtsschutzes (Par. 1 UWG),
Marburg, 1934, p. 87 ss.
428 Sonja Haberl e Alessandro Somma
33
Su questo tipo di relazione, comportante l’esistenza di un qualche «contatto sociale», ad
es. A. Teichmann, Sub Par. 242, in BGB-Soergel, Kommentar, vol. 2, Stuttgart, 1990, n. 33 ss.
34
W. Siebert, Verwirkung und Unzulässigkeit der Rechtsausübung, cit., p. 116.
35
RG, 22 gennaio 1935, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 146, 1935, p.
385 ss.
36
Ad es. RG del 30 luglio 1936, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 152,
1937, p. 150 ss. e RG, 22 gennaio 1938, in Juristiche Wochenschrift, 1938, p. 1023 ss.
37
RG, 24 marzo 1939, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 160, 1939, p.
348 ss.
38
Molto discussi, a tal proposito, i casi del «rapporto comunitario di vicinato» (nachbarliches
Gemeinschaftsverhältnis): ad es. RG, 16 giugno 1936, in Entscheidungen des Reichsgerichts in
Zivilsachen, 155, 1937, p. 154 ss.
39
W. Siebert, Verwirkung und Unzulässigkeit der Rechtsausübung, cit., p. 123 s. Ad es. RG,
16 giugno 1936, cit. e RG, 24 marzo 1939, cit.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 429
40
RG, 16 giugno 1936, cit.
41
Ad es. A. Böhle-Stamschräder, Sub Par. 242, in BGB-Erman Kommentar, Köln, 1952,
n. 7 s. e F. Wieacker, Zur rechtstheoretischen Präzisierung des Par. 242 BGB, Tübingen, 1956,
pp. 26 e 46.
42
Per tutti H. Heinrichs, Sub Par. 242, in BGB-Palandt Kommentar, 60. ed., München,
2001, n. 38.
43
W. Siebert, Sub Par. 242, in BGB-Soergel Kommentar, 9. ed., Stuttgart, 1959, n. 24 ss.
44
Per tutti H.-P. Haferkamp, Wolfgang Siebert, in Neue Deutsche Biographie, vol. 24, Ber-
lin, 2010, p. 325.
45
Già I. Müller, Furchtbare Juristen. Die unbewältigte Vergangenheit unserer Justiz, Mün-
chen, 1989.
430 Sonja Haberl e Alessandro Somma
46
Per tutti H. Hattenhauer: Die Akademie für Deutsches Recht, in Juristische Schulung,
1986, p. 680 ss.
47
Ad es. M. Stolleis, Voce Volksgesetzbuch, in Handwörterbuch zur deutschen Rechtsge
schichte, vol. 5, Berlin, 1998, col. 990 ss.
48
Cfr. i punti 18, 19 e 20 delle Grundregeln für das Volksgesetzbuch des Grossdeutschen
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 431
54
Cfr. A. Somma, Da Roma a Washington, in P.G. Monateri, T. Garo e A. Somma, Le
radici comuni del dritto europeo. Un cambiamento di prospettiva, Roma, 2005, p. 194 ss.
55
Ad es. F. Wieacker, Bodenrecht, Hamburg, 1938, p. 47 ss.
56
Cfr. K. Larenz, Vertrag und Unrecht, vol. 1, 1937, p. 85 ss. e vol. 2, Hamburg, 1936, p. 43.
57
Già L. Miksch, Möglichkeiten und Grenzen der gebundenen Konkurrenz, in G. Schm-
ölders (a cura di), Der Wettbewerb als Mittel volkswirtschaftlicher Leistungssteigerung und
Leistungsauslese, Berlin, 1942, p. 102 ss.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 433
58
BGH, 12 luglio 1951, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 3, 1951, p.
94 ss.: «la proposizione valevole per il diritto francese per cui le droit cesse où l’abus commence
vale anche per il diritto tedesco».
59
F. Wieacker, Zur rechtstheoretischen Präzisierung, cit., p. 27.
60
Anche per Wieacker le riflessioni di Siebert rappresentarono un punto di riferimento es-
senziale: Zur rechtstheoretischen Präzisierung, cit., pp. 26, 27, 46.
61
H. Heinrichs, Sub Par. 242, cit., n. 42.
62
RG del 30 maggio 1904, cit.
63
Ad es. BGH, 22 maggio 1985, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen,
94, 1985, p. 344 ss.
434 Sonja Haberl e Alessandro Somma
64
BGH, 5 giugno 1997, in Neue Juristische Wochenschrift, 1997, p. 3377 ss.
65
BGH, 3 febbraio 1982, in Monatsschrift für Deutsches Recht, 1986, p. 732 ss.
66
BGH, 8 giungo 1978, in Neue Juristische Wochenschrift, 1978, p. 1975 ss e BGH, 10
maggio 1983, ivi, 1983, p. 2075 ss.
67
BGH, 20 gennaio 1954, in Der Betrieb, 1954, p. 150 ss.
68
BGH, 29 novembre 1965, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 44,
1966, p. 271 ss. e BGH, 8 novembre 1999, in Neue Juristische Wochenschrift, 2000, p. 1329 ss.
69
Ad esempio BGH, 21 gennaio 2009, in Neue Juristische Wochenschrift, 2009, p. 1139 ss.;
BGH, 13 aprile 2010, in Wohnungswirtschaft und Mietrecht, 2010, p. 575 ss.; BGH, 6 luglio 2010,
ivi, 2010, p. 512 ss. e BGH, 20 marzo 2013, in Neue Juristische Wochenschrift, 2013, p. 1596 ss.
Recentissima, ma negando un abuso del diritto, BGH, 4 febbraio 2015, ivi, 2015, p. 1087 ss.
70
Per tutti H. Heinrichs, Sub Par. 242, cit., n. 87 e A. Teichmann, Sub Par. 242, cit., n. 332.
71
K. Larenz e M. Wolf, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, cit., p. 289. V. anche P.
Roth, Sub Par. 242, in BGB-Münchener Kommentar, vol. 2, München, 2003, n. 297, che discorre
di uno sviluppo autonomo della Verwirkung.
72
L’elemento temporale non è precisamente determinabile, ma condizionato, tra l’altro, dal
tipo di diritto considerato, dal grado di intensità dell’affidamento ingenerato, oltre che dalle cir-
costanze del singolo caso: ad es. H. Heinrichs, Sub Par. 242, cit., n. 93. Sulla delimitazione tra
prescrizione (Verjährung) e Verwirkung – la prima Einrede, e quindi da tenere in considerazione
solo nel caso in cui il soggetto se ne avvalga, la seconda Einwendung e quindi da considerare
d’ufficio – v. ad es. A. Teichmann, Sub Par. 242, cit., n. 332 ss.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 435
73
Ad es. BGH, 16 marzo 2007, in Neue Juristische Wochenschrift, 2007, p. 2183 ss. Quest’ul-
���������
timo presupposto esclude la Verwirkung in merito a tutti quei diritti di cui la controparte non
è l’unica a poter disporre, diritti, quindi, che tutelano la collettività, come ad esempio quelli
riguardanti la concorrenza sleale: BGH, 7 novembre 2002, in Gewerblicher Rechtsschutz und
Urheberrecht, 2003, p. 628 ss.
74
BGH, 27 giugno 1957, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 25, 1958,
p. 47 ss.
75
BGH, 5 settembre 1999, in Neue Juristische Wochenschrift, 2000, p. 140 ss. Recentemente
anche BAG, 22 febbraio 2012, in Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2012, p. 1629 ss.
76
Da ultimo BGH, 23 gennaio 2014, in Neue Juristische Wochenschrift, 2014, 1230. Ma vedi
già BGH, 20 luglio 2010, in Neue Juristische Wochenschrift, 2011, p. 212 ss. e BGH, 14 gennaio
2010, in Baurecht, 2010, p. 618 ss.
77
BGH, 22 maggio 1997, in Versicherungsrecht, 1997, p. 1004 ss.
78
BGH, 13 gennaio 1988, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 103,
1988, p. 63 ss.
79
BGH, 6 ottobre 1971, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 57, 1972,
p. 108 ss. Il comportamento del soggetto, dovendo essere causale per l’acquisto del diritto, non
436 Sonja Haberl e Alessandro Somma
impedisce l’avanzamento delle pretese nel caso in cui l’acquisizione sarebbe avvenuta anche senza
un comportamento contrario a buona fede: cfr. A. Teichmann, Sub Par. 242, cit., n. 281.
80
BGH, 3 novembre 1976, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 67,
1977, p. 271 ss. Anche BGH, 27 ottobre 1982, in Neue Juristische Wochenschrift, 1983, p. 929
ss. riguardante il rifiuto infondato di prendere in consegna una raccomandata.
81
Per F. Wieacker, Zur rechtstheoretischen Präzisierung, cit., p. 28 s. l’inammissibilità della
domanda di far valere certi vizi di forma, essendo dovuta a un determinato comportamento
precedente del soggetto, rappresenta un esempio applicativo del divieto di venire contra factum
proprium.
82
Così già BGH, 27 ottobre 1967, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen,
48, 1968, p. 396 ss. Successivamente BGH, 5 maggio 1983, in Neue Juristische Wochenschrift,
1983, p. 2504 ss.; BGH, 20 settembre 1984, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivil
sachen, 92, 1985, p. 164 ss. e BGH, 24 aprile 1998, ivi, 138, 1998, p. 339 ss.
83
V. già BGH, 18 febbraio 1955, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen,
16, 1955, p. 334 ss. e BGH del 5 febbraio 1957, ivi, 23, 1957, p. 249 ss. Più di recente BGH, 20
dicembre 2001, ivi, 149, 2002, p. 326 ss.
84
BGH, 5 maggio 1983, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 87, 1983,
p. 237 ss.; BGH, 20 settembre 1984, ivi, 92, 1985, p. 164 ss. e BGH, 20 dicembre 2001, cit.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 437
priva di criteri precisi, propone in sua vece l’applicazione dei criteri del ve
nire contra factum proprium, potendo così operare distinzioni sulla base del
criterio della legittimità dell’affidamento della controparte85. In tal modo
la conoscenza da parte dell’acquirente della prescrizione di forma implica
la consapevolezza circa il rischio inerente l’affidamento della mera «buona
volontà» del venditore, e in quanto tale comporta l’esclusione del diritto
all’adempimento86. Diverso è invece il caso in cui l’acquirente era legitti-
mato a fidarsi sul presupposto che il contratto non avrebbe necessitato una
determinata forma, che può ad esempio discendere da un gap informativo
tra le due parti: si pensi alla grande società la quale, nel momento della
conclusione di un contratto richiedente il rogito notarile, induca l’altra
parte, un ex-impiegato, a rinunciare alla forma prescritta richiamando la
sua importanza e fama, oltre al fatto che in genere usa ritenere equivalente
la scrittura privata87.
Al di là delle ipotesi già riportate, abusa del suo diritto anche colui che
sia privo di un «interesse proprio legittimo» (berechtigtes Eigeninteresse).
Un simile interesse può essere del tutto inesistente fin dal principio o
cessare di esistere in seguito al raggiungimento dello scopo che il titolare
dell’interesse si era prefisso. Questa fattispecie, che pur non comprendendo
l’animus nocendi si avvicina molto al divieto di atti emulativi88, si verifica
ad esempio quando si fanno valere vizi della cosa nonostante essi non
siano più esistenti perché già eliminati89. Oppure qualora i fatti che hanno
causato l’errore non siano più esistenti nel momento dell’impugnazione90,
o ancora quando dichiarazioni mendaci nei confronti dell’assicurazione
vengano corrette prima che quest’ultima possa subire un danno91.
Se in simili ipotesi il creditore è immeritevole di tutela in modo asso-
luto, in altre esso può esserlo in termini relativi, da valutare attraverso un
raffronto con gli interessi del debitore: occorre che l’esercizio del diritto
provochi al creditore svantaggi o danni sproporzionati92, o che comunque
la sua posizione risulti bisognosa di maggiore tutela.
La Cassazione tedesca ha affrontato quest’ultimo aspetto in una serie di
85
Così A. Teichmann, Sub Par. 242, cit., n. 326 ss.
86
Stesso esito in BGH, 22 giugno 1973, in Neue Juristische Wochenschrift, 1973, p. 1455 ss.
87
BGH, 27 ottobre 1967, cit.
88
A. Teichmann, Sub Par. 242, cit., n. 291.
89
BGH, 22 febbraio 1984, in Neue Juristische Wochenschrift, 1984, p. 2287 ss.
90
BGH, 11 marzo 1992, in Wertpapiermitteilungen, 1983, p. 1055 ss. Anche BGH, 30 giugno
2000, in Neue Juristische Wochenschrift, 2000, p. 2894 ss.
91
BGH, 5 dicembre 2001, in Neue Juristische Wochenschrift, 2002, p. 518 ss.
92
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Tale ipotesi può considerarsi espressione del principio di proporzionalità: BGH, 7 no-
vembre 2002, in Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht, 2003, p. 628 ss.
438 Sonja Haberl e Alessandro Somma
93
BGH, 6 marzo 1975, in Wertpapiermitteilungen, 1975, p. 614 ss.; BGH, 26 febbraio 1987,
ivi, 1987, p. 732 ss. e BGH, 19 settembre 1988, in Neue Juristische Wochenschrift-Rechtspre
chungsreport, 1989, p. 1984 ss.
94
BGH, 15 febbraio 1978, in Wertpapiermitteilungen, 1978, p. 620 ss. V. anche BGH, 6 aprile
2011, ivi, 2011, p. 1870 ss.
95
Per tutti A. Teichmann, Sub Par. 242, cit., n. 294.
96
F. Wieacker, Zur rechtstheoretischen Präzisierung, cit., p. 29.
97
BGH, 21 maggio 1953, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 10, 1954,
p. 69 ss.
98
BGH, 7 maggio 1974, in Neue Juristische Wochenschrift, 1974, p. 1651 ss.
99
BGH, 17 dicembre 1986, in Wertpapiermitteilungen, 1987, p. 349 ss.; BGH del 24 maggio
1976, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 66, 1977, p. 302 ss. e BGH, 3
dicembre 1991, ivi, 116, 1992, p. 200 ss.
100
BGH, 19 marzo 1973, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 56, 1971,
p. 22 ss. e BGH, 28 maggio 1979, ivi, 74, 1980, p. 300 ss.
101
BGH, 24 ottobre 2003, in Neue Juristische Wochenschrift-Rechtsprechungsreport, 2004,
p. 229 ss.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 439
parte del datore di lavoro, di copie di documenti dei cui originali egli stesso
disponeva, al solo fine di mettere in difficoltà il lavoratore per la deduzione
della prova102. Lo stesso si è deciso nel caso in cui l’avente diritto intenda-
va avvalersi di un debito fondiario rispetto al quale esisteva, da parte sua,
l’obbligo di restituzione103, o ancora nel caso in cui ci si voleva appellare
alla nullità di una procura e il rappresentato era tenuto a conferirla104.
Il panorama giurisprudenziale qui descritto conferma il ruolo indiscus-
so del par. 242 BGB, norma cardine nella lotta contro l’abuso del diritto,
rispetto alla quale i parr. 826 e 226 BGB assumono un ruolo assolutamente
secondario: il primo ha ben presto esaurito la sua funzione pratica, mentre
le applicazioni del secondo da sempre devono cercarsi «con la lanterna»105.
Attraverso il riferimento alla buona fede le corti hanno comunque con-
dotto a una nozione di Rechtsmissbrauch che va al di là delle ipotesi di
abuso del diritto in senso stretto. Il par. 242 BGB ha cioè assunto, anche
al di fuori del campo dell’esecuzione dell’obbligazione in senso stretto, «il
compito di giustificare un generale divieto di esercizio scorretto o inten-
zionalmente dannoso del diritto»106.
102
BGH, 21 dicembre 1989, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 110,
1990, p. 30 ss. ove la Corte, oltre al par. 242, ricorre anche al par. 226 BGB.
103
BGH, 2 dicembre 1955, in Entscheidungen des Bundesgerichtshofes in Zivilsachen, 19,
1956, p. 205 ss. Anche BVerfG, 8 novembre 2004, in Neue Juristische Wochenschrift-Rechtspre
chungsreport, 2005, p. 500 ss.
104
BGH, 22 ottobre 2003, in Neue Juristische Wochenschrift, 2004, p. 62 ss.
105
B. von Feldmann, Sub Par. 226, cit., n. 1.
106
A. Las Casas, Tratti essenziali del modello dell’abuso del diritto nei sistemi giuridici eu
ropei e nell’ordinamento comunitario (luglio 2013), in www.comparazionedirittocivile.it, p. 24.
440 Sonja Haberl e Alessandro Somma
107
F. Böhm, Die Bedeutung der Wirtschaftsordnung für die politische Verfassung, in Süd
deutsche Juristen-Zeitung, 1946, p. 147.
108
Ad es. F. Böhm, Das Reichsgericht und die Kartelle. Eine wirtschaftsverfassungsrechtliche
Kritik an dem Urteil des RG vom 4. Februar 1897, in Ordo, 1948, p. 197 ss.
109
Verordnung gegen Missbrauch wirtschaftlicher Machtstellungen del 2 novembre 1923.
110
Par. 1 Gesetz über die Errichtung von Zwangskartellen del 15 luglio 1933.
111
Per tutti D.J. Gerber, Law and Competition in Twentieth Century Europe, Oxford,
2003, p. 266 ss.
112
Cfr. P. Hüttenberger, Wirtschaftsordnung und Interessenpolitik in der Kartellgesetz
gebung der Bundesrepublik 1949-1957, in Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, 1976, p. 287 ss.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 441
113
Amtliche Begründung zu dem Regierungsentwurf eines Gesetzes gegen Wettbewerbsbe
schränkungen del 17 febbraio 1954, in G. Brüggemeier, Entwicklung des Rechts im organisier
ten Kapitalismus, vol. 2, Frankfurt M., 1979, p. 412 ss.
114
Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen del 27 luglio 1957.
115
Cfr. F.A. Lutz, Bemerkungen zum Monopolproblem, in Ordo, 1949, p. 39.
116
Lo ammette per tutti W. Eucken, Die Wettbewerbsordnung und ihre Verwirklichung, in
Ordo, 1949, p. 68.
117
S. Haberl, Riflessioni sparse sul divieto di discriminazione nel diritto dei contratti, in
Politica del diritto, 2011, p. 79 ss.
442 Sonja Haberl e Alessandro Somma
118
Cfr. A. Somma, Razzismo economico e società dei consumi, in Materiali per una storia
della cultura giuridica, 2009, p. 447 ss.
119
Cfr. H.-P. Haferkamp, Die heutige Rechtsmissbrauchslehre, cit., p. 339 ss. In precedenza
W. Weber, Sub Par 242, in BGB-Staudingers Kommentar, Berlin, 1961, n. D 29.
120
Per tutti D. Haselbach, Autoritärer Liberalismus und Soziale Marktwirtschaft, Baden-
Baden, 1991 e R. Ptak, Vom Ordoliberalismus zur Sozialen Marktwirtschaft, Opladen, 2004.
121
Ricostruiti in A. Somma, La dittatura dello spread, cit., p. 19 ss.
122
A. Müller-Armack, Voce Soziale Marktwirtschaft, in Handwörterbuch der Sozialwis
senschaften, vol. 9, Stuttgart, 1956, p. 392.
123
A. Müller-Armack, Entwicklungsgesetze des Kapitalismus. Ökonomische, geschichts
theoretische und soziologische Studien zur modernen Wirtschaftsverfassung, Berlin, 1932.
L’abuso del diritto nell’esperienza tedesca 443
definito capitalismo dal volto umano. Tanto che Friedrich von Hayek ebbe
a osservare: «non mi piace questo uso, anche se grazie a esso alcuni amici
tedeschi sembrano riusciti a rendere appetibile a circoli più ampi il tipo di
ordine sociale che difendo»124.
La verità è che l’espressione coniata da Müller-Armack indica che l’eco-
nomia di mercato in quanto tale è un istituzione sociale, capace di re-
alizzare un’ottimale produzione e distribuzione della ricchezza. Il tutto
nell’ambito di un ordine che concepisce bensì un intervento perequativo
dei pubblici poteri, tuttavia solo nella misura necessaria e sufficiente a pro-
durre pacificazione sociale e collaborazione tra capitale e lavoro: è, questo,
un altro significato del rifermento al «sociale». A dimostrazione di come lo
scioglimento dell’individuo nell’ordine sia un dato caratteristico dell’espe-
rienza tedesca, anche e soprattutto con riferimento all’ordine concepito per
il funzionamento del mercato concorrenziale: il diritto è chiamato a presi-
diarlo con i molteplici istituti di cui dispone, incluso il Rechtsmißbrauch,
per trasformare la concorrenza in uno strumento di direzione politica dei
comportamenti individuali.
F.A. von Hayek, Legge, legislazione e libertà (1973-79), Milano, 2000, p. 283, nt. 26.
124
444 Sonja Haberl e Alessandro Somma
Jean-Sébastien Borghetti
L’abuso del diritto in Francia *
di ferro acuminate allo scopo di rendere più difficile la manovra dei dirigi-
bili. La Corte di cassazione, con la sentenza Clément-Bayard del 3 agosto
1915, ha riconosciuto la sussistenza di un abuso del diritto di proprietà e
ha condannato il vicino malintenzionato a risarcire il danno e a rimuovere
le strutture2.
2. Cento anni più tardi, tuttavia, l’abuso del diritto è circondato, in
Francia, da un’aura di notevole vaghezza. In effetti non esiste alcuna
definizione di abuso del diritto, né codicistica, né giurisprudenziale. Il
Code Napoléon, contrariamente ad altri codici più moderni, non con-
tiene alcuna previsione generale in materia di abuso del diritto. Dal can-
to suo la giurisprudenza ricorre regolarmente alla nozione di abuso del
diritto, ma i giudici, almeno finora, non ne hanno definito i contorni
con precisione. Al giorno d’oggi l’abuso del diritto assume rilevanza con
riguardo al diritto di proprietà (raramente, per vero), al diritto dei con-
tratti, al diritto di proprietà intellettuale, al diritto tributario, al diritto
processuale e ad altri campi ancora. Da tutta questa abbondante giuri-
sprudenza emerge in realtà l’impressione di una gran confusione, sì che
i rimedi contro l’abuso del diritto sono assai diversificati: a seconda del
caso, potrà trattarsi del risarcimento del danno, di una sanzione pecunia-
ria, della nullità, dell’inopponibilità, della decadenza, fino all’inefficacia
di una clausola contrattuale.
3. Di fronte a questa copiosa giurisprudenza, la dottrina manifesta un
certo imbarazzo. I dibattiti teorici dell’inizio del XX secolo (che d’altra
parte non hanno mai interessato molto i giudici) sono ormai superati, e
oggi nessuno contesta più che l’esercizio di un diritto possa essere fonte
di responsabilità per il titolare. Il problema è però che non c’è accordo sul
modo in cui, astrattamente, l’abuso di diritto potrebbe o dovrebbe essere
definito. Ciò dipende in particolare dal fatto che la stessa nozione di diritto
soggettivo non è stata chiaramente delineata nel diritto francese, a dispetto
di una considerevole letteratura in tema. Talvolta si è suggerito di distin-
guere tra diritto soggettivo e libertà, prestandosi solo il primo all’abuso,
ma poi nessuno è mai riuscito a tracciare una chiara linea di confine tra le
due nozioni – e tra l’altro la giurisprudenza è assai poco rigorosa nell’uso
di questi differenti termini. La nozione di abuso è anch’essa problematica.
2
Cass. (chambre des requêtes), 3 agosto 1915, Coquerel c. Clément-Bayard, DP (= Dalloz
périodique), 1917, 1; GAJC (= H. Capitant, F. Terré, Y. Lequette, Les grands arrêts de la
jurisprudence civile), t. 1, 13e éd., 2015, n. 69 (la sentenza si può leggere al seguente link: 70http://
mafr.fr/media/attachments/2012/10/2/Arret_Clement_Bayard.pdf).
L’abuso del diritto in Francia 447
3
Su tali aspetti v. l’eccellente ed esaustivo scritto di L. Cadiet e Ph. le Tourneau, Abus de
droit, Répertoire civil Dalloz, 2e éd., 2008.
4
Ph. Stoffel-Munck, L’abus dans le contrat. Essai d’une théorie. Préf. R. Bout, LGDJ,
2000, n. 3, che comunque non condivide questa opinione.
448 Jean-Sébastien Borghetti
5
Ph. Stoffel-Munck, L’abus dans le contrat, cit.
L’abuso del diritto in Francia 449
conto e di ordinare gli impieghi più notevoli dell’abuso del diritto in Fran-
cia. Per tale ragione saranno qui di seguito distinti l’abuso come compor-
tamento colposo (I) e l’abuso come superamento di una prerogativa (II).
2. L’abuso come comportamento colposo
Il riconoscimento dell’abuso di diritto, in diritto francese, rinvia molto
spesso a un comportamento colposo. La sanzione consiste allora nel risar-
cimento del danno. La questione che si pone, tuttavia, è di sapere perché
i giudici effettuino, per così dire, una deviazione, passando appunto per il
concetto di abuso di diritto, invece di parlare semplicemente di colpa del
titolare del diritto. Tale questione sarà affrontata (B) dopo che saranno stati
descritti alcuni impieghi particolarmente significativi dell’abuso del diritto
per sanzionare comportamenti colposi6 (A).
A. Esemplificazioni
Sono tre i diritti il cui esercizio connotato da colpa e qualificato in
termini di abuso merita particolare attenzione7: il diritto di proprietà, il
diritto di azione, il diritto di recedere dalla trattativa precontrattuale o dal
contratto.
i) L’abuso del diritto di proprietà
1. La tipologia più nota di abuso nel diritto francese è l’abuso del dirit-
to di proprietà, per le ragioni precedentemente richiamate. Si tratta di un
abuso che va ricondotto alla prima tipologia, nel senso che presupposto
di applicazione è il comportamento colposo di chi esercita il diritto. È
proprio l’aspetto che, come già precisato, venne appunto in gioco nel caso
Clément-Bayard, al cui cuore stava evidentemente il comportamento mali-
zioso del vicino, il quale era peraltro rimasto all’interno dei limiti oggettivi
del suo diritto di proprietà, poiché tale diritto in effetti gli consentiva di
costruire delle strutture sul suo terreno. Una volta ammesso il principio
della sanzione contro l’abuso del diritto – sanzione che normalmente viene
attuata attraverso il risarcimento del danno ma che può anche consistere
nella riparazione in forma specifica sub specie di distruzione dell’opera
6
Non è possibile, entro i limiti circoscritti di questo contributo, presentare un panorama
esaustivo di tutti i casi nei quali il diritto francese sanziona una colpa attraverso l’abuso del
diritto. Per un censimento completo v. però L. Cadiet e Ph. le Tourneau, op. cit., nn. 42-193.
7
Non si tratterà qui dell’abuso in materia di concorrenza, che ormai da tempo trova ampia
applicazione nel diritto dell’Unione europea. Sarà allo stesso modo lasciata da parte, nonostante
la sua rilevanza nel diritto interno, la questione dell’abuso nel diritto societario, su cui v. spec.
L. Cadiet e Ph. le Tourneau, op. cit., nn. 187-193.
450 Jean-Sébastien Borghetti
8
V. in particolare L. Josserand, De l’esprit des droits et de leur relativité – Théorie dite de
l’abus des droits, 2e éd., Dalloz, 1939.
9
CA Colmar, 2 maggio, 1855, DP, 1856, 2, 9; T. civ. Sedan, 17 dicembre 1901, DP, 1906, 5,
38; Cass. req., 28 gennaio 1903, DP, 1903, 1, 64; CA Chambéry, 21 luglio 1914, Gaz. Trib., 19
gennaio 1916; Cass. req., 16 giugno 1913, DP, 1914, 5, 23.
10
Cass., 3e civ., 15 febbraio 2012, n. 10-22899, in Bull. civ. III, n. 32; D, 2012, 1308, con
nota di Thomassin.
11
V. Les grands arrêts de la jurisprudence civile, cit., con riferimento alle osservazioni che si
leggono al caso Clément-Bayard.
L’abuso del diritto in Francia 451
12
Cass. civ., 27 novembre 1884, DP, 1845, 1, 14; Cass. req., 20 febbraio 1849, S, 1849, 1, 346.
13
V. in particolare Cass., 2e civ., 19 novembre 1986, Bull. civ. II, n. 172, la quale afferma:
«Nessuno deve cagionare ad altri un anomalo disturbo da vicinato».
14
L’abuso di altri diritti reali aventi ad oggetto beni materiali è altrettanto possibile. L’art.
618 cod. civ. fr. ravvisa d’altronde «l’abus que l’usufruitier fait de sa joussance»; abuso che può
condurre all’estinzione anticipata dell’usufrutto.
15
Sul tema v. in particolare C. Caron, Abus de droit et droit d’auteur. Préf. A. Françon,
Litec, 1998.
16
L. Cadiet e Ph. le Tourneau, Abus de droit, cit., nn. 70-74.
17
V. gli artt. 32-1, 559, 581 e 628 cod. proc. civ. fr. Queste disposizioni sono entrate in
vigore molto tempo prima che la giurisprudenza ammettesse la possibilità di abusare del diritto
d’azione.
452 Jean-Sébastien Borghetti
18
V. L. Cadiet e Ph. le Tourneau, Abus de droit, cit., nn. 119-178.
19
V. L. Cadiet e E. Jeuland, Droit judiciaire privé, 5e éd., Litec, 2006, n. 447, e i riferimenti
ivi citati.
20
Cass., 2e civ., 11 settembre 2008, n. 07-18.483, JCP 2009, I, 123, n. 5, con osservazioni di
Stoffel-Munck; LPA 4 novembre 2008, 13, con nota di Canselier.
21
V. ad es. Cass., 3e civ., 1° aprile 2009, n. 07-21.833, Bull. civ. III, n. 74.
22
V. ad es. Cass., 1 e civ., 19 dicembre 2013, n. 12-26459.
L’abuso del diritto in Francia 453
2. Allo stesso modo, in diritto francese esiste un principio in forza del
quale una parte di un contratto di durata indeterminata può recedere in
qualunque momento, mediante la fissazione di un termine di preavviso
ragionevole. Questa libertà conosce tuttavia alcuni limiti e, secondo una
giurisprudenza costante, «nei contratti a esecuzione continuata o periodica
in cui nessun termine è stato previsto, il recesso unilaterale spetta, salvo
il caso di abuso, a entrambe le parti»23. Ciò che può costituire abuso in
un caso del genere è meno chiaro, ma un autore ha sostenuto con molta
incisività che un tale abuso non è nient’altro che la violazione della buona
fede, la quale peraltro equivarrebbe a una colpa civile24 .
B) Il problema della distinzione tra abuso e colpa
1. I giudici francesi utilizzano dunque abbastanza frequentemente il
concetto di abuso per sanzionare condotte sleali che giustificano una san-
zione del loro autore sotto forma di risarcimento del danno. In tutti i
casi che vengono al proposito evocati non c’è in realtà alcun dubbio che
l’abuso costituisce una tipologia di colpa. La questione è sapere se l’abuso
si distingua o no dalla colpa «ordinaria».
2. Come noto, il diritto francese conosce la clausola generale di respon-
sabilità per colpa, espressa all’art. 1382 cod. civ. fr. Questo testo prevede:
«Tout fait quelconque de l’homme, qui cause à autrui un dommage, oblige
celui par la faute duquel il est arrivé à le réparer». Altrimenti detto: ogni
colpa che cagiona un danno ad altri obbliga l’autore del danno a risarcirlo.
Il codice civile non definisce però la colpa e anche la giurisprudenza ha
evitato di farlo. La ragione, senza dubbio, è che la Corte di cassazione,
che controlla la qualificazione del fatto compiuta dai giudici di merito, si
trova in questo modo a disporre di un ampio margine di libertà onde sta-
bilire se vi sia o non vi sia colpa. Sul versante giurisprudenziale è del resto
chiaro che ogni imprudenza, anche lieve, e pure lievissima, costituisce una
colpa suscettibile di far scattare la responsabilità dell’agente25. Dunque, in
diritto francese, le maglie della responsabilità per colpa sono estremamente
larghe26 .
23
Cass., 1e civ., 5 febbraio 1985, n. 83-15.895, Bull. civ. I, n. 54, e le altre pronunce citate da
Ph. Stoffel-Munck, L’abus dans le contrat, cit., n. 76.
24
Ph. Stoffel-Munck, loc. cit. et passim.
25
L’art. 1383 cod. civ. fr. precisa del resto che la colpa si estende altresì all’imprudenza:
«Chacun est responsable du dommage qu’il a causé non seulement par son fait, mais encore par
sa négligence ou par son imprudence».
26
Senza contare che ogni danno è in principio risarcibile, e che la causalità è valutata in
maniera non troppo rigorosa.
454 Jean-Sébastien Borghetti
3. Sta qui verosimilmente una delle ragioni, se non la ragione principale,
che spiega perché la giurisprudenza parli di abuso del diritto, piuttosto che
di colpa, in certi contesti27. L’applicazione pura e semplice dell’art. 1382 ri-
porterebbe ad ammettere come fonte di responsabilità qualunque negligen-
za, qualunque minimo scostamento dalla condotta astrattamente dovuta.
Ora, ci sono ambiti rispetto ai quali tale approccio non sembra, o almeno
non sembrerebbe, auspicabile. Ad esempio si comprende facilmente perché
la giurisprudenza non abbia voluto fare applicazione della responsabilità
del proprietario a fronte di una minima negligenza di quest’ultimo nell’uso
del proprio fondo o del proprio immobile. Ragionare in modo opposto
avrebbe significato restringere in modo davvero eccessivo la libertà del
proprietario, soprattutto nel contesto storico risalente alla fine del XIX
e all’inizio del XX secolo. In materia processuale, l’esigenza di disporre
del criterio dell’abuso nell’esercizio del diritto di azione è ormai da lungo
tempo il segno di una reticenza ad ammettere che la minima colpa può
configurare la responsabilità della parte. Allo stesso modo, in materia di
trattativa precontrattuale e di recesso contrattuale, il ricorso alla nozione
di abuso traduce, mi pare, l’idea che non è sufficiente qualunque grado di
colpa per far sorgere responsabilità in capo all’agente.
4. Il ricorso alla nozione di abuso si spiega allora facilmente in ragione
della portata applicativa estremamente ampia della responsabilità prevista
dalla clausola generale di cui all’art. 1382. L’esigenza di ricorrere alla figura
dell’abuso è stato un mezzo per restringere, senza dirlo espressamente,
il campo di applicazione di tale testo normativo, scartando in certi casi
il requisito della sufficienza della colpa ‘semplice’ e rimpiazzandolo con
una colpa ‘qualificata’. Questo meccanismo di messa fuori gioco della col-
pa semplice è del resto esplicito in alcuni casi. Così, in materia di libertà
d’espressione, la giurisprudenza subordina la responsabilità dell’autore di
affermazioni pregiudizievoli all’esistenza di un abuso ed essa così facendo
aggira appunto espressamente l’applicazione dell’art. 138228.
5. Di fatto, ben si comprende che, in certi ambiti, l’applicazione, in
tutto il suo rigore, del principio francese di responsabilità per colpa sarebbe
27
È anche vero che, in ragione della c.d. regola del divieto di cumulo delle responsabilità,
non è possibile invocare l’art. 1382 cod. civ. fr. nel quadro di un rapporto contrattuale. Ma del
resto al contratto si applica il principio di buona fede (art. 1134 cod. civ. fr.), ed è stato dimostrato
che si tratta di un principio sostanzialmente equivalente alla norma che l’art. 1382 sottende: v.
Ph. Stoffel-Munck, op. cit.
28
V. Cass., ass. plén., 12 luglio 2000, n. 98-10160, Bull. civ., n. 8; JCP 2000, I, 280, n. 2, con
osservazioni di Viney; RTDCiv 2000, 845, con osservazioni di Jourdain.
L’abuso del diritto in Francia 455
29
V. ad es. Cass., ass. plén., 6 ottobre 2006, n. 05-13255, Bull. civ. ass. plén., n. 9; D, 2006,
1825, con nota di Viney; JCP G, 2006, II, 10181, con opinione di Garizzo e nota di Billiau; Resp.
civ. et assur., 2006, études 17, di Bloch; RTDCiv, 2007, 123, con osservazioni di Jourdain; Les
grands arrêts de la jurisprudence civile, 12e éd., Dalloz, 2008, t. 2, n. 177, che pone il sorpren-
dente principio secondo cui il terzo può invocare, in chiave di responsabilità extracontrattuale,
l’inadempimento contrattuale, dal momento che proprio tale inadempimento gli ha cagionato
un danno.
30
In materia di recesso dalla trattativa la giurisprudenza indica nella stessa direzione che
l’abuso sarebbe equivalente alla colpa. Detto questo, non è del resto certo che qualunque com-
portamento negligente, anche quando la negligenza sia lieve, tenuto durante la negoziazione
comporti la responsabilità dell’agente.
31
V. ad es. Cass., 3e civ., 7 giugno 1990, n. 88-16277, Bull. civ. III, n. 140.
456 Jean-Sébastien Borghetti
In una fattispecie piuttosto divertente, in cui una signora aveva agito per
il risarcimento del danno contro i successori del suo ex compagno cui
rimproverava di aver modificato di nascosto il testamento con cui avrebbe
dovuto legarle il proprio appartamento, la Corte di cassazione ha affermato
che «la facoltà di revocare il testamento costituisce diritto discrezionale,
che come tale esclude ogni azione di responsabilità»32. Al di là del dibattito
sull’esistenza o non esistenza dei diritti discrezionali, questa affermazione
per cui certi diritti sono insuscettibili di abuso ci pare ancora una volta
rappresentare soprattutto un mezzo per mettere fuori gioco l’applicazione
della responsabilità per colpa, nelle ipotesi in cui la Corte di cassazione
la ritenga manifestamente inopportuna. Certamente si può discutere circa
l’opportunità di queste soluzioni e delle ragioni di politica del diritto che
le giustificano, ma esse alla fin fine suggeriscono che ci sono tre livelli di
applicazione del principio di responsabilità per colpa: 1) in quanto prin-
cipio generale, si applica astrattamente in tutti i casi di responsabilità; 2)
esistono tuttavia casi in cui questo principio è sostanzialmente aggirato e
in cui, ricorrendo alla copertura dell’abuso di diritto, l’applicazione della
responsabilità civile è subordinata alla sussistenza di una colpa qualificata;
3) infine, si danno circostanze molto rare nelle quali la persona dispone di
una assoluta libertà di agire, senza che alcuna responsabilità a suo carico
possa operare, e si tratta di casi in cui si parla di diritti discrezionali ovvero
insuscettibili di essere oggetto di abuso.
3. L’abuso come indebito superamento di una prerogativa
Accanto ai casi in cui l’abuso consiste in un comportamento deviante, e
dunque in una colpa, esistono altri casi in cui l’abuso è indipendente dalla
valutazione del comportamento del titolare del diritto, ma consiste in un
superamento, per così dire oggettivo, dei limiti delle prerogative di cui
dispone il titolare del diritto. Gli esempi di tale tipo di abuso sono perciò
meno numerosi (A), il che si spiega in particolare ponendo mente alle
modalità con cui oggi la maggior parte dei diritti è strettamente delimitata
quanto al contenuto (B).
A. Esemplificazioni
1. La più conosciuta ipotesi di abuso di questo secondo tipo è certa-
mente quella delle clausole contrattuali abusive. In base alla direttiva del
Consiglio 93/13/CEE del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei
32
Cass., 1e civ., 30 novembre 2004, n. 02-20883, Bull. civ. I, n. 297; D, 2005, 1621, con nota
di Maréchal.
L’abuso del diritto in Francia 457
Questo testo è stato trasposto nell’art. L. 132-1 del Codice del consumo francese.
33
È ben noto che, in inglese, il tema è quello degli unfair contract terms.
34
35
V. L. Cadiet e Ph. le Tourneau, Abus de droit, cit., n. 84; Ph. Stoffel Munck, L’abus
dans le contrat, cit., n. 686 e s.
36
V. ad es. Cass., 1e civ., 7 febbraio 2006, n. 03-15094, D, 2006, 1796, con nota di Penneau;
RTDciv, 2006, 763, con osservazioni di Mestre e Fages.
458 Jean-Sébastien Borghetti
37
Cass. civ., 18 marzo 1878, S, 1878, 1, 93, con nota di Labbé.
38
Art. L. 64, comma 1°, del Livre des procédures fiscales: «Afin d’en restituer le véritable
caractère, l’administration est en droit d’écarter, comme ne lui étant pas opposables, les actes
constitutifs d’un abus de droit, soit que ces actes ont un caractère fictif, soit que, recherchant le
bénéfice d’une application littérale des textes ou de décisions à l’encontre des objectifs poursuivis
par leurs auteurs, ils n’ont pu être inspirés par aucun autre motif que celui d’éluder ou d’atténuer
les charges fiscales que l’intéressé, si ces actes n’avaient pas été passés ou réalisés, aurait norma-
lement supportées eu égard à sa situation ou à ses activités réelles».
39
V. ad es., in materia di clausole abusive, Cass., 1e civ., 1° febbraio 2005, n. 02-20633, Bull.
civ. I, n. 63; RDC, 2005, 736, con osservazioni di Fenouillet.
40
Questa confusione è particolarmente evidente nell’ipotesi dei contratti-quadro di fornitura
o di distribuzione che prevedano la conclusione di futuri contratti di approvvigionamento in cui
il prezzo potrà essere fissato unilateralmente dal fornitore. La Corte di cassazione ritiene che
l’abuso nella fissazione del prezzo di tali contratti possa essere sanzionato o attraverso il recesso
o attraverso un indennizzo: Cass., ass. plén., 1° dicembre 1995, n. 91-15578, n. 91-19653, n. 91-
15999 e n. 93-13688, D, 1996, 13, conclusioni di Jéol (Premier Avocat général) e nota di Aynès;
JCP, 1996, II, 22565, conclusioni di Jéol e nota di Ghestin. Su tale delicata questione dell’abuso
della fissazione del prezzo nei contratti-quadro v. Les grands arrêts de la jurisprudence civile, t.
2, cit., nn. 152-155.
L’abuso del diritto in Francia 459
41
V. in particolare E. Morin, Quelques observations critiques sur le concept d’abus de droit,
in Mélanges Lambert, Sirey, 1938, t. II, 467; L. d’Avout, La «fonction sociale» des droits selon
et depuis Josserand, in W. Dross e Th. Favario (dir.), Un ordre juridique nouveau? Dialogues
avec Louis Josserand, Mare et Martin, 2014, 29, 37.
460 Jean-Sébastien Borghetti
42
V. Cass. com., 10 luglio 2007, n. 06-14768, Bull civ. IV, n. 188; D, 2007, AJ, 1955, con
osservazioni di Delpech, 2839, con nota di Stoffel-Munck, e 2844, con nota di Gautier; JCP E
2007, 2394, con nota di Mainguy e Respaud; Cass., 2e civ., 25 giugno 2009, n. 08-14254. Bisogna
peraltro segnalare che l’art. 2321, comma 2°, cod. civ. fr. ravvisa la possibilità dell’abuso del diritto
di credito, a proposito dell’operatività di una garanzia autonoma.
Maurizio Lupoi
Strade e sensibilità diverse: l’Equity inglese
1
Mertens v. Hewitt Associates, 508 U.S. 248, 251 (1993) a 254: «those categories of relief
that were typically available in equity».
2
Great-West Life v. Annuity Ins. Co. V. Knudson 534 U.S. 204 (2002).
3
Delaware, Mississippi e Tennessee hanno corti di equity separate.
4
Gebbart v. Belton, 33 Del. Ch. 144, 87 A.2d 862 (Del. Ch. 1952), aff’d, 91 A.2d 137 (Del.
1952).
462 Maurizio Lupoi
5
Brown v. Board of Education of Topeka, 347 U.S. 483 (1954).
6
«In Suits at common law, where the value in controversy shall exceed twenty dollars,
the right of trial by jury shall be preserved, and no fact tried by a jury, shall be otherwise re-
examined in any Court of the United States, than according to the rules of the common law».
7
In proposito, si cita un brano da una sentenza di fine Ottocento: In Re Hallett’s Estate;
Knatchbull v. Hallett (1880) 13 Ch.D. 696, per Sir George Jessel M.R. a p. 710: «it must not be
forgotten that the rules of courts of equity are not, like the rules of the common law, supposed
to have been establlished from time immemorial. It is perfectly well known that they have been
established from time to time – altered, improved, and refined from time to time. In many cases
we know the names of the Chancellors who invented them. No doubt they were invented for
the purpose of securing the better administration of justice, but still they were invented».
Strade e sensibilità diverse: l’Equity inglese 463
8
«on receipt of the money by the payee it is to be presumed that (as in the present case)
the identityh of the money is immediately lost by mixing with other assets of the payee, and
at that time the payee has no knowledge of the facts giving rise to the failure of consideration.
By the time that those facts come to light, and the conscience of the payee may thereby be af-
fected, there will therefore be no identifiable fund to which a trust can attach»: Westdeutsche
Landesbank Girozentrale v Islington London Borough Council [1996] AC 669 per Lord Browne-
Wilkinson a p. 689.
9
Le alter due massime richiamate nel testo sono: «He who comes into equity must come
with clean hands»; «One who seeks equity must do equity»; cfr. J. Martin, Hanbury and Martin’s
Modern Equity, 19th ed., 2012, ch. 1.
464 Maurizio Lupoi
10
Banner Homes Group Plc v. Luff Developments and Another [2000] Ch. 372, [2000] 2
WLR 772.
11
V. il brano riportato avanti, nota 13.
12
Pallant v Morgan [1953] Ch. 43.
Strade e sensibilità diverse: l’Equity inglese 465
13
Banner Homes Group Plc v Luff Developments and Another [2000] Ch. 372, per Chad-
wick LJ a p. 398: «It is the existence of the advantage to the one, or detriment to the other,
gained or suffered as a consequence of the arrangement or understanding, which leads to the
conclusion that it would be inequitable or unconscionable to allow the acquiring party to retain
the property for himself, in a manner inconsistent with the arrangement or understanding which
enabled him to acquire it».
466 Maurizio Lupoi
14
Cfr. l’osservazione di Lord Neuberger in FHR European Ventures LLP and others v
Cedar Capital Partners LLC [2014] UKSC 45, n. 37: «in terms of elementary economics, there
must be a strong possibility that the bribe has disadvantaged the principal. Take the facts of this
case: if the vendor was prepared to sell for € 211.5m, on the basis that it was paying a secret
commission of € 10m, it must be quite likely that, in the absence of such commission, the vendor
would have been prepared to sell for less than € 211.5 m, possibly € 201.5 m. While Simon J was
not prepared to make such an assumption without further evidence, it accords with common
sens that i should often, even normally, be correct; indeed, in some cases, it has been assumed
by judges that the price payable for the transaction in which the agent was acting was influenced
pro rata to account for the bribe».
15
Attorney General for Hong Kong v Reid [1994] 1 AC 324.
16
È il caso appena riferito.
17
V. in Australia Grimaldi v Chameleon Mining NL (No 2) (2012) 287 ALR 22.
Strade e sensibilità diverse: l’Equity inglese 467
Richiamo qui la mia monografia «Trusts», Milano 1997 e (2.a ed.) 2001.
18
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19
«Equity will not permit a statute to be used as an instrument of fraud». ������������������
Di recente su que-
sta massima v. M. Pawlowski, Fraud, Legal Formality and Equity, 23 Liverpool LR 79 (2001).
468 Maurizio Lupoi
Come a questo punto vi aspettate che sia, il giudice di equity ritiene che
sarebbe contro coscienza per colui che ha acquistato o ricevuto il bene di
tenerlo per se stesso, scevro da obbligazioni verso l’altra parte: avvalersi
del disposto di legge sulla forma (sebbene ad substantiam) equivale a ten-
tare una fraud. L’uso di questo termine di grande ascendenza nel diritto
romano e dal Continente pervenuto in Inghilterra ci colloca al centro del
tema della coscienza secondo un’ottica non comune: quando è che preten-
dere esattamente ciò che la legge prescrive può essere riprovevole? E cioè
connotato da «fraud»?
La risposta non è agevole. Gioca certamente l’esistenza di un arricchi-
mento che appare derivare soltanto dal mancato rispetto delle regole sulla
forma e quindi, visto in coscienza, un arricchimento ingiustificato: rispet-
tivamente, chi ha acquistato a beneficio un’altra persona tiene il bene per
se stesso ovvero chi lo ha ricevuto affinché fosse vincolato da un trust lo
tiene libero da tale vincolo. Sul piano generale, la fraud consiste nell’av-
valersi della eccezione di difetto di forma per finalità diverse da quelle in
vista delle quali il precetto sulla forma è stato legislativamente disposto;
nel caso specifico, però, la fraud è riscontrata quando appaia manifesto
l’affidamento che una parte, magari ignorante delle prescrizioni di legge,
ha fatto sulla parola dell’altra. Interessante, da questo punto di vista, che la
legge sulla forma degli atti promulgata nel 1677 e in vigore fino ai primi del
Novecento fosse intitolata «Statute of Frauds» ossia «Legge per reprimere
la frode» e che proprio avvalersi delle sue disposizioni può oggi essere
considerato un caso di frode.
Gioca anche il valore attribuito alle intese informali, proprio a quelle
che secondo il diritto comune non sono valide e non solo per la mancanza
della forma; qui l’equity torna alle proprie origini intrise di diritto canoni-
co, ripete connotati della exceptio doli generalis e anche il nudum pactum
non è di ostacolo a meccanismi di tutela.
7. Il titolo della mia relazione è stato concepito per consentirmi di toc-
care solo alcuni temi e poi concludere: è quello che faccio ora, invitando i
giovani civilisti – dei comparatisti non ho alcuna speranza – a bagnarsi in
questo mare e assicurando loro che ne usciranno ritemprati.
Guido Calabresi
Riepilogo
Parliamo di abuso del diritto e comincerò con una storiella che ri-
guarda la famiglia dei suoceri di mia cognata. Le persone molto ricche
spesso lo sono perché hanno inventato qualcosa o perché hanno rubato
con successo. Questi invece erano molto ricchi perché non hanno mai
speso niente. Sono arrivati nella Nuova Inghilterra nei primi anni del
‘600 e hanno conservato tutto perché si sono trovati perfino i panni e
gli spilli del «600 fra le loro cose. Roba ora trasferita al Museo Smi-
thsonian a Washington. Questi avevano molti terreni ed avevano paura
dell’esproprio, perché c’erano terreni loro che il governo desiderava per
costruire basi di Marina militare. In America l’esproprio equivale a un
risarcimento a valore di mercato ma questi lo temevano lo stesso perché
l’esproprio portava ad avere soldi, e se c’erano soldi, se c’era il liquido,
c’era la tentazione di spendere. Nel Connecticut, il nostro Stato, c’era
una legge che dava il diritto di esproprio a qualsiasi cimitero, se questo
cimitero stava per riempirsi. La ragione per cui questo poteva occupare
un po’ di terreno vicino era per poter essere in grado di seppellire pa-
renti di persone già ivi sepolte. Questa famiglia ha notato che c’era un
cimitero quasi pieno vicino ai propri terreni. Quindi hanno fatto una
riunione di famiglia e hanno deciso che la vecchia zia Elisa, che aveva
novant’anni e che non stava bene, appena morisse, doveva venire sepolta
al confine delle loro proprietà perché c’era un’eccezione a questo diritto
di esproprio per cui un cimitero non poteva espropriare le terre di un
altro cimitero. Quando la zia Elisa è morta, l’hanno sepolta lì. Il cimite-
ro adiacente ha domandato l’esproprio e ha fatto causa sostenendo: «La
sepoltura di Elisa non è un vero cimitero!». Il caso è andato fino alla
Corte Suprema del Connecticut, che – forse perché in quell’epoca l’abu-
so del diritto non veniva ancora riconosciuto, forse perché si trattava di
una questione di proprietà – ha detto: «Eh, se c’è un corpo sepolto li è
in un cimitero. Questa sarà anche gentaccia, ma non ci guardiamo den-
tro e non concediamo l’esproprio».
Questo caso, questa storiella descrive l’uso del diritto in un modo forse
contrario e certo non concepito da chi l’aveva creato. In questo caso la
Corte per varie ragioni non ha riconosciuto l’abuso; altre volte invece le
470 Guido Calabresi
Corti lo riconoscono come e perché nei termini in cui questo bel convegno
ha trattato l’argomento.
Sono emersi nei lavori quattro aspetti fondamentali, che io credo siano
stati i fili conduttori di questo convegno. Fili non sempre espliciti ma che,
a mio avviso, si sono visti attraverso tutte le relazioni.
Il primo è la disputa sulle parole, per la formula. Chi vuole usare questa
formula, e chi vuole proibirla . Proprio, la lotta su c’è / non c’è, quando si
può usare, quando non è permesso usare l’espressione «l’abuso del diritto».
Il secondo è un filo ideologico, ossia di certuni che per via del fatto che
questa formula potrebbe in certi casi lasciare potere allo Stato e in altre
situazioni invece no, sono favorevoli o meno.
Il terzo filo, che è molto importante, riguarda la questione di chi decide,
di chi fa il diritto, il legislatore, il giudice, l’amministratore? Anche questo
è un filo che attraversa tutte le relazioni, puntando su come chi decide
influisce sull’uso della formula.
E l’ultimo, che non è stato esplicitato in questo modo, ma che mi pare
molto importante, è l’importanza delle aspettative delle parti e quindi il
pericolo di cose troppo incerte, di formule o poteri generali in contrasto
con poteri specifici.
Allora, incomincio con la disputa sulla formula.
Perché discutiamo su quando si può usare la formula «l’abuso del di-
ritto» o meno? Perché facciamo questo invece di chiedere direttamente
qual è il risultato che desideriamo? Perché importa tanto la formula? La
formula importa perché ogni formula porta con sé un bagaglio enorme di
precedenti legali, di norme, di considerazioni emotive.
Pensiamo all’uso della parola «proprietà». Se si riesce a dire che questa
è una questione di proprietà, sappiamo subito tante cose che si possono
fare e altre che non si possono fare. Quindi alcuni inventano la «nuova»
proprietà, altri dicono che questa cosa non è più proprietà. Si fa proprio
una disputa, e così si è visto in questo contesto. Fare una discussione per
la formula «abuso del diritto» e sull’uso di questa, è quasi come mettere
in discussione il diritto stesso. Se si chiama una cosa diritto, tante cose
seguono, se si dice non è diritto, altre cose seguono, e non solo a livello
di terminologia.
Sono molto importanti quindi le parole, le frasi e i termini che si usano,
per via di quello che portano con loro, quello che – usando o bocciando
una formula – vogliamo che avvenga.
Abbiamo visto in questo seminario, che alcuni hanno voluto usare la
formula «abuso del diritto» in situazioni molto diverse, con risultati molto
diversi. Incomincio con quella cui si riferisce la mia storiella ovvero l’uso
della formula quando la legge viene impiegata in modo diverso, forse con-
Riepilogo 471
trario da come il legislatore avrebbe voluto. Poi invece c’è stata tutta una
serie di relatori che hanno inteso servirsi della formula se e quando il dirit-
to viene usato in un modo che il relatore o il giudice trova fosse antipatico
ovvero per prendere vantaggi su un’altra persona. E questo è un uso del
tutto diverso dal primo e si è visto che i processualisti ci hanno detto in
sostanza : «Ma in tali casi non si deve usare questa formula perché esiste
nel codice di procedura civile italiano la disciplina della lite temeraria».
Pensate specialmente alla doccia fredda dataci da Taruffo e Chiarloni. Ma
poi invece Dalla Massara ha detto: «Stiamo attenti perché infatti non è
sempre così come hanno dichiarato questi relatori».
Noto poi che questo uso o non uso della formula è diverso nei vari
paesi. Certe cose sono riconosciute come abusi del diritto facilmente in
certi paesi e altre invece sono poco riconosciute come abusi. Quello che
Taruffo, molto mio amico, ha detto essere una pazzia è fatto normalmente
negli Stati Uniti.
Negli Stati Uniti, per esempio, nei casi di discriminazione – al contra-
rio di quanto si usa nella legge americana, – il costo degli avvocati viene
rimborsato ai vincitori. La legge che proibisce le discriminazioni dice così
in termini assoluti. Quindi se promuovo una causa per un caso di discri-
minazione e vinco io e miei avvocati veniamo rimborsati dal perdente. Ma
se come succede spesso un caso di discriminazione viene sollevato da una
poveretta e questa perde perché non si è riscontrata la discriminazione il
difensore non ha diritto ad avere i costi degli avvocati rimborsati. Questo
deriva da una interpretazione asimmetrica data alla legge antidiscrimina-
zione dalla Corte Suprema. Ma la Corte ha riconosciuto una eccezione. Se
la causa era frivola c’era un abuso. La Corte nella sua discrezione può fare
proprio quello che Taruffo ci ha detto essere assurdo, ovvero rimborsare
tali costi. Ma certe volte lo fanno. Io come giudice di Corte d’Appello ten-
do ad essere molto severo nel controllare quando il giudice di prima istanza
si arrabbia con quello che ha promosso la causa e ordina il rimborso. Però
è una cosa lasciata alla sua discrezionalità e questo abuso da parte di chi
ha agito può dar luogo a sanzioni fortissime e noi lo chiamiamo proprio
abuso del diritto.
Poi ci sono tanti altri abusi del diritto processuale che noi riconosciamo.
Per esempio, se uno è un grande avvocato ed ha una ditta con centinaia di
collaboratori e cerca da distruggere l’altra parte, mandando una quantità di
avvocati con una quantità di domande la Corte può dire: «ma no questo
non lo puoi fare perché è un abuso del processo».
Questo punto di vista si vede in situazioni ben diverse. Per esempio:
a un datore di lavoro che minaccia immigrati illegali di denunciarli come
illegali per far loro accettare salari minimi ( non salari proibiti ma minimi)
472 Guido Calabresi
in futuro per fare che queste cose non siano più permesse». I fiscalisti ci
hanno detto: ma si possono colpire retroattivamente azioni che non hanno
significato economico. Cosa vuol dire? Ma non vuol dire niente. Quante
volte infatti lo Stato dà vantaggi fiscali a Tizio e Caio, vantaggi che non
hanno altro significato economico. Succede dappertutto. Il problema è che
i fiscalisti vedono che la reazione del legislatore è spesso troppo lenta, e
quindi quando un bravo avvocato trova un modo secondo cui si posso-
no legalmente risparmiare le tasse, i fiscalisti (e l’amministrazione fiscale)
vogliono bloccarlo prima che il legislatore riesca ad agire. E qui nasce la
questione delle sanzioni, perché forse se si potesse fare una tale sentenza
senza imporre sanzioni retroattive non sarebbe ingiusto. I fiscalisti dicono:
«Ma forse quello che si deve fare è solo far pagare gli interessi ....» Invece
anche solo gli interessi che si sono accumulati attraverso molti anni sono
in sè una sanzione grande. Un modo di trattare queste cose è di dire che
quando una azione è di incerta validità fiscale si deve chiedere al Fisco se
è valida o no. Ma allora bisogna che la risposta venga molto presto. In
America questo si fa spesso e il Fisco risponde in fretta e allora uno può
dire che colui che agisce senza chiedere, si mette in pericolo.
Il problema dell’incertezza è un problema molto più generale. Diceva
il grande giudice Cardozo che il problema è che, quando i giudici fanno
diritto, lo fanno retroattivamente e quindi distruggono le aspettative. E
dato questo è spesso impossibile usare le Corti per fare la riforma del
diritto. Ma questo crea altri problemi, perché siccome il legislatore quasi
sempre cambia il diritto solo prospettivamente tante persone non vanno
mai dal legislatore per chiedere riforme. Nel diritto della responsabilità
civile in America, per esempio, il danneggiato non va dal legislatore, sono
danneggiato, voglio il risarcimento, non mi interessa andare dal legislatore
per far cambiare la legge così che altri danneggiati possano avere il risar-
cimento in futuro. Non sono così altruista da cercare la riforma solo per
beneficiare altri. Uno va davanti alla Corte proprio perché spera di avere
il diritto al risarcimento anche se questo impone oneri inaspettati sull’altra
parte. Cardozo, forse inventando, diceva che i pretori romani dichiaravano:
«domani deciderò così» e sosteneva che i nostri giudici lo potessero fare;
andrebbe benissimo, ma quello che è stato danneggiato non affronterebbe
mai una causa per sentirsi dire: tu perdi ma domani uno come te vince-
rà! Infatti nella responsabilità civile, per ragioni complicate, si è potuto
cambiare il diritto e dare il risarcimento a quello che ha fatto causa senza
danneggiare aspettative importanti all’altra parte. Questo è avvenuto per-
ché a una compagnia di assicurazione importa pochissimo di perdere una
piccola causa singola perché la sua base di prezzi include la possibilità di
perdere «inaspettatamente» un caso o l’altro. Quindi, se si dà risarcimento
476 Guido Calabresi
spiegati. Che cosa significavano era del tutto incerto. Finché Brandeis che
poi è diventato giudice della Corte Suprema, e Warren (mi dispiace dirlo
professore a Harvard ) hanno scritto un grandissimo articolo dopo aver
studiato tutta questa giurisprudenza. In questo articolo non hanno detto:
« ci dovrebbe essere un essere un diritto di privacy» hanno invece detto
«c’è un diritto di privacy» – data la giurisprudenza – « è definito così»
Ed è proprio questo il dovere, il mestiere dell’accademico e il valore
della dottrina.
Fino ad ora, un grande articolo, tipo Brandeis e Warren, sull’abuso del
diritto non c’è stato. D’altra parte si può dire che questo bel congresso ha
fatto qualche passo in quella direzione e mi auguro che ci si arrivi presto.
478 Guido Calabresi
Gli autori