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ALDO MARTIN è presbitero della diocesi di Vi­

cenza (4 giugno 1994). Ha conseguito la licenza


in Re biblica (3 aprile 2000) e difeso la ricerca
dottorale (26 ottobre 2004) presso il Pontificio
Istituto Biblico in Roma.
Educatore degli studenti di Teologia del Semina­
rio Vescovile di Vicenza, è docente di Sinottici­
Atti, Letteratura paolina e Letteratura giovannea
presso la Facoltà Teologica del Triveneto. Dal
2008 è responsabile della direzione dello Studio
Teologico e delle Scuole di Formazione Teologica
della diocesi di Vicenza.

Copertina:
Progetto grafico di Angelo Zenzalari
Presentazione
:';UOVA VEHSIONE llELL/1 BIBBL\ DAJ TESTI ANTICHI

L a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone


sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore a margine
dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bib-
bia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato nel
1967. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi,
arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contem-
poranee.

I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere


le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla
lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità
letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un
lato rendere conto dell'andamento del testo e, dall'altro, soddi-
sfare le esigenze del lettore contemporaneo.
L'aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi, è la
scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il
testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di
venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per
una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, ne-
cessariamente, anche la possibilità di accostarsi più direttamente
ad esse.
Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo li-
vello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre
informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti
nei diversi manoscritti antichi, l'uso e il significato dei termini,
i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che
spingono a preferirne una e altre questioni analoghe. Un secon-
do livello, dedicato al commento esegetico-teologico, presenta
le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli
aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno,
il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto
dialogico.

Particolare cura è dedicata all'introduzione dei singoli libri,


dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera
nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche
PRESENTAZIONE 4

fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine,


la storia della sua trasmissione.

Un approfondimento, posto in appendice, affronta la pre-


senza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita
del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo
nella sua collocazione "originaria", ma anche nella dinamica
interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebra-
zione liturgica costituisce l'ambito privilegiato.

I direttori della Serie


Massimo Grilli
Giacomo Perego
Filippo Serafini
Annotazioni di carattere tecnico
M'OV\ \"EHSJO\E DELLA BIHBL\ IHI TESTI.·\:'<TICHI

Il testo in lingua antica


Il testo greco stampato in questo volume è quello della ven-
tisettesima edizione del Novum Testamentum Graece curata da
B. Aland- K. Aland- J. Karavidopoulos- C.M. Martini (1993)
sulla base ·del lavoro di E. Nestle (la cui prima edizione è del
1898). Le parentesi quadre indicano l'incertezza sulla presenza
o meno della/e parola/e nel testo.

La traduzione italiana
Quando l'autore ha ritenuto di doversi discostare in modo
significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i
seguenti accorgimenti:
- i segni • , indicano che si adotta una lezione differente da
quella riportata in greco, ma presente in altri manoscritti o
versioni, o comunque ritenuta probabile;
le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che ap-
paiono necessari in italiano per esplicitare il senso della
frase greca.
Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si
allontanasse troppo dall'originale ebraico o greco, tenendo però
conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi dif-
fuso e abbastanza affermato.

I testi paralleli
Se presenti, vengono indicati nelle note i paralleli al passo
commentato con il simbolo l l; i passi che invece hanno vicinanza
di contenuto o di ·tema, ma non sono classificabili come veri e
propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo •:•.

La traslitterazione
La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con
criteri adottati in ambito accademico e quindi non con riferi-
mento alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale
fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.
ANNOTAZIONI 6

L'approfondimento liturgico
Redatto sempre dal medesimo autore (Gaetano Comiati),
rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani,
quindi nella versione CEI del 2008.

Per ulteriori approfondimenti legati al presente volume


e all'intera Serie si veda il sito www.nuovaversionedellabibbia.it
LETTERA AGLI EFESINI
Introduzione, traduzione e commento

a cura di
Aldo Martin

SAN PAOLO
Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, 27'h Revised Edition, edited by Barbara
Aland, Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger
in cooperation with the Institute for New Testament Textual Research, Miinster/
Westphalia, © 1993 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 20 Il


Piazza Soncino, 5- 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
www.edizionisanpaolo.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.
Corso Regina Margherita, 2- 10153 Torino

ISBN 978-88-215-7090-2
INTRODUZIONE

TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

Grazie a diverse citazioni presenti nelle opere dei Padri (tra i


primi vi sono Clemente Romano, Ignazio di Antiochia e Poli carpo
di Smime) si è in grado di sapere con certezza che la lettera agli
Efesini era conosciuta e utilizzata già tra la fine del primo e l'inizio
del secondo secolo, anche se di questi passi citati non si dice mai
espressamente che appartengano alla lettera agli Efesini. Circa l'in-
dirizzo alla comunità efesina la tradizione testuale si mostra incerta,
infatti, la dicitura «in Efeso», relativa ai destinatari (l, l), è assente
nei manoscritti più antichi (papiro Chester Beatty [1~ 46 ] e codici
Sinaitico [~]e Vaticano [B]), mentre compare nelle testimonianze
testuali successive. Marcione riteneva addirittura che la missiva
fosse destinata ai Laodicesi (cfr. Col 4, 16). L' inscriptio (il titolo
della lettera, indipendente dal testo) «agli Efesini», infatti, si pre-
senta in modo costante solo a partire dalla fine del secondo secolo
(compare, comunque, già nel Canone Muratoriano e in Ireneo).
Quest'incertezza circa l'indirizzo è dovuta anche al tono gene-
rico della lettera, dalla quale non affiorano dettagli concreti legati
alla vita di una comunità precisa, né si fa cenno a persecuzioni da
sopportare o a eresie da combattere o a situazioni contingenti da
risolvere (come nelle lettere autentiche di Paolo); in altre parole gli
argomenti assumono un carattere universale, valido per più di una
comunità. In un certo senso, dunque, della "lettera" Efesini conser-
va gli elementi di cornice (prescritto e postscritto) e alcuni discorsi
diretti agli interlocutori (p. es., il «voi» di 1,13.15-18; 2,1.11-14
INTRODUZIONE lO

ecc.), presentandosi più come un trattato teologico di cristologia


e di ecclesiologia, con una serie di considerazioni esortative assai
generali.
La si può quindi definire una «lettera circolare» - ossia indi-
rizzabile a comunità cristiane diverse -, il cui valore teologico e
parenetico fu recepito fin dai primi istanti dell'era postapostolica.
Infatti, la sua importanza e validità fu riconosciuta senza obiezioni,
tanto da meritarle un'indiscussa collocazione canonica tra le altre
lettere paoline, e precisamente tra quella ai Galati e quella ai Fi-
lippesi (anche se la paternità di Efesini non è affatto sicura, come
si vedrà oltre).

ASPETTILETTERAJU

L'articolazione della lettera


Il testo della lettera segue un andamento che si potrebbe defi-
nire classico: a una prima parte di tenore teologico ne segue una
seconda di tonalità parenetica, o, meglio, paracletica (cioè, esor-
tativa). Pur con modalità proprie, riflettono infatti questa stessa
sequenza le lettere ai Romani, ai Galati, ai Colossesi e la seconda
ai Tessalonicesi.
Più precisamente in Efesini, dopo il prescritto (mittente, destina-
tari e saluto: 1,1-2), la grande benedizione (euloghia: 1,3-14) e la
menzione della preghiera (l, 15-19), i primi tre capitoli presentano
argomentazioni di carattere speculativo-teologico. Dal c. 4 iniziano
le osservazioni prevalentemente esortative. La peroratio (esorta-
zione finale: 6, l 0-20) e i saluti finali concludono la lettera. Poiché
il concetto di «mistero» costituisce il tema originale di Efesini, le
due parti della lettera si potrebbero definire nel modo seguente:
rivelazione del mistero e vita nuova dei credenti (a partire dal mi-
stero stesso) 1•

1 Sia J.-N. Aletti, Saint Pau/ Épitre aux Éphésiens, Gabalda, Paris 2001, pp. 12-13, sia

S. Romanello, Lettera agli Efesini, Milano, Paoline 2003, p. 36 intitolano le due parti della
lettera proprio a partire dal concetto di mystirion: «la rivelazione del misterm> e «l'esorta-
zione a vivere il mistero».
11 INTRODUZIONE

l, 1-2 PRESCRITIO
1,3-3,21 PARTE TEOLOGICA: LA RIVELAZIONE DEL MISTERO
La benedizione (1,3-14)
Esordio epistolare: rendimento di grazie e signoria di Cristo
(1,15-23)
La condizione dei credenti: salvati e riconciliati tra loro (2, 1-22)
La rivelazione del mistero (3,1-13)
Preghiera e dossologia (3,14-21)
4,1-6,9 PARTE ETICA: VITA NUOVA DEI CREDENTI
L'unità ecclesiale nella diversità dei ministeri (4, 1-16)
La vita nuova in Cristo (4,17-5,20)
Il codice domestico (5,21-6,9)
6,10-20 PERORAZIONE: LA BATIAGLIA SPIRITUALE
6,21-24 CONCLUSIONE EPISTOLARE

Lo stile
Lo stile adottato dall'autore si discosta vistosamente da quel-
lo di Paolo. Mentre l'Apostolo scrive in modo incisivo, talora
con affermazioni stringate e connesse in una sintassi più sobria,
l'autore di Efesini si esprime con un fraseggio soggetto al feno-
meno dell'amplificazione. Talora alle singole espressioni se ne
aggiungono altre che fanno in qualche modo da eco, risultando
ridondanti se non addirittura sovraccariche. Basti citare come
esempio l'accumulo di sinonimi con costruzioni genitivali ampol-
lose nella traduzione letterale di l, 19: «la traboccante grandezza
della sua forza in noi, che crediamo secondo l'energia della po-
tenza della sua forza». Anche alcuni periodi sono eccessivamente
elaborati, tanto da meritarsi da parte degli studiosi la definizione
di «frasi-agglomerato» (Satzkonglomerat): 1,3-14.15-23; 3,1-7.8-
12.14-19; 4,11-16; 6,14-20. Le subordinate si susseguono e si
concatenano in frasi lunghissime, accavallando diversi elementi
sintattici, in cui talora si reperisce a fatica ilfi/ rouge. Il senso di
saturazione che si prova fa pensare a qualche carenza nella for-
mazione stilistica dell'autore, anche se tale stile di Efesini è stato
pure spiegato associandolo alle tendenze dell'asianesimo (una
corrente letteraria amante dei fraseggi maestosi e ridondanti), in
INTRODUZIONE 12

controtendenza rispetto a quelle dell'atticismo (dalle forme più


eleganti e proporzionate).
Si potrebbe tentare di spiegare questo fenomeno anche in con-
nessione all'argomento: forse, sentendosi portatore di una sovrab-
bondanza di significato, l'autore fatica a gestire il suo pensiero
teologico con un fraseggio contenuto e sente il bisogno di limare
in continuazione le espressioni, aggiungendo precisazioni e finen-
do per amplificarle un po' troppo. Siamo abbastanza lontani dallo
stile di Paolo, anche se le forzature della sintassi potrebbero essere
valutate come il tentativo di rendere la ricchezza delle intuizioni.

LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI

Prima di delineare le linee teologiche più preziose della lettera,


bisogna premettere un'osservazione sul «paolinismo» di Efesini.
Con questo termine s'intende che l'elaborazione concettuale del
testo efesino è debitrice della riflessione teologica di Paolo (anti-
cipiamo che l'autore della lettera non è l'apostolo stesso), perché
ne riprende alcuni nuclei tematici, anche se li rielabora e li amplia.
Di derivazione paolina sono, p. es., i temi della Chiesa-corpo (la
metafora somatica affiora e si precisa via via in 2,16; 3,6; 4,4.12.15-
16:25; 5,21-33: cfr. Rm 12,4-5 e 1Cor 12,12-30), della gratuità della
salvezza (2,4-9: cfr., p. es., Rm 3,24.28), della centralità della croce
nella redenzione (1,7; 2,13.16: cfr., p. es., l Cor 1,17-2,8), dell'uo-
mo nuovo (4,22-24: cfr., p. es., Rm 6,1-14; 2Cor 5,17; mentre 2,15
è uno sviluppo in senso ecclesiologico ). Al tempo stesso, tuttavia,
in Efesini ci sono alcuni assunti che presentano un largo margine
di originalità rispetto a Paolo.
Primo fra tutti il concetto di mistero (myst~rion). Se da una parte
indica un segreto di Dio, inaccessibile agli uomini se non per inizia-
tiva divina, dall'altra, grazie alla tradizione apocalittica, significa
pure il progetto e l'intervento di Dio negli eventi del mondo (cfr. Dn
2,18-19.27-30.47 e altri passi della letteratura intertestamentaria: l
Enok46,3;49,2;103; 4 Esdra 4,5;Apocalisse siriaca di Baruk 81,4
e alcuni testi di Qumran: Regola della Comunità [l QS] 11,3-7; 17-
13 INTRODUZIONE

19; Hodayot [IQH] 9; Libro dei Misteri [IQ 27]; Pesher Abacuc
[IQpAb] 7 e altri). Il mistero, dunque, che Dio non tiene più segre-
tamente per sé, esprime un'accezione conoscitiva dal momento che
viene reso noto, ma al tempo stesso rivela una sfumatura storico-
salvifica. Si può inoltre affermare che quanto Paolo esprime nelle
sue lettere col termine «Vangelo» (euangélion) Efesini lo riprende
e sviluppa col termine mystÙion. Da notare che non si tratta di
una conoscenza occulta, riservata a degli iniziati tenuti al silenzio,
ma di una realtà ampiamente divulgata, anche perché non è più
oggetto di attese e di computi: è un evento accaduto; sono escluse,
quindi, eventuali allusioni alle pratiche dei culti misterici (cfr. l ,9;
3,3.4.9; 5,32; 6, 19). In particolare la novità connessa col mistero
è l'accesso dei pagani alla stessa eredità riservata a Israele, cioè la
partecipazione al corpo ecclesiale di Cristo (cfr. c. 3).
Altro tratto originale di Efesini è il fenomeno che va sotto il nome
di escatologia realizzata. Mentre nelle lettere autentiche di Paolo la
parusia è motivo di forte attesa, quest'aspettativa in Efesini scompa-
re, lasciando il posto a una situazione già tutta appiattita sulla fine.
Tutto è già compiuto: le forze avverse sono definitivamente sotto-
messe (1,20-23) e i credenti sono addirittura già con-risorti assieme
a Cristo e assisi nei cieli con Lui (2,5-6). Sembra non esserci posto
per nessuna forma di attesa. Ciononostante, accanto a questa palese
dimensione del «già», s'affaccia pure quella del «non ancora», che
fa in qualche misura da correttivo a una visione escatologica del tutto
realizzata. La realtà della vita ecclesiale con il suo faticoso cammino
verso la comunione (4, 1-16), con l 'impegno a vivere da uomini nuovi
(4, 17-5,20), con la quotidianità dei rapporti tra le mura domestiche
(5,21-6,9) e con lo scontro corpo a corpo con il diavolo (6,10-20),
ricorda al cristiano che non può affatto riposare sugli allori. Se nella
corsa a staffetta c;lella Chiesa il testimone è già stato portato (da Cri-
sto) oltre la linea del traguardo, e si può quindi a ragione celebrare la
festa della vittoria escatologica, rimane ancora la fatica della volata
finale nel tragitto terreno. È lo scarto classico tra il «già» e il «non
ancora»; solo che in Efesini l'asse della bilancia è tutto spostato sul
compimento oramai realizzato dal Risorto e pienamente sperimen-
tato dalla Chiesa a Lui congiunta.
INTRODUZIONE 14

Il terzo polo delle novità teologiche della lettera è proprio l' ec-
clesiologia, la cui elaborazione è sinteticamente offerta nella me-
tafora somatica: la Chiesa è il «corpo» di Cristo, il quale ne è il
«capo». L'immagine è lattice dell'unità stretta tra Cristo e Chiesa e
al contempo della loro distinzione. La Chiesa ha il suo centro vitale
e propulsore in Cristo e a Lui è saldamente congiunta. Cionono-
stante Cristo la trascende sempre, perché Lui solo è sovrano del
cosmo intero. La metafora è di chiarissima derivazione paolina, ma
Efesini la fa evolvere. Paolo parla della comunità ecclesiale come
«corpo» di Cristo in Rm 12 e l Cor 12. In questi due passi l' Apo-
stolo definisce la Chiesa nel suo insieme come un'unità organica,
come un corpo composto da diverse membra, per mostrare la mutua
dipendenza dei cristiani fra loro e la confluenza della varietà dei
membri nell'unità ecclesiale (il «capo» viene menzionato alla pari
rispetto agli altri membri: cfr. l Cor 12,21 ). In Ef l ,20-22, invece,
si inserisce la novità della precisazione circa i rapporti tra capo e
corpo. La Chiesa è sempre descritta come «corpo» (soma) di Cristo,
ma Cristo viene definito come suo «capo» ( kefaM): in questo modo
si può descrivere la situazione gloriosa di Cristo senza che la Chiesa
possa confondersi con Lui. In altre parole Cristo siede alla destra
del Padre, esercitando così una sovranità universale, e la Chiesa
pur essendone la prima beneficiaria (è il corpo che riceve energia
e vita direttamente dal suo capo) è comunque distinta da Lui. Se
la metafora in Rm 12 e ICor 12 svolgeva un ruolo esclusivamente
ecclesiale, ora, evidenziando la distinzione- pur nella stretta unità
- tra kefaM e soma, si mette in luce pure la differenza di azione di
Cristo. Egli è, sì, capo della Chiesa, ma con un'autorità che rag-
giunge pure la totalità del cosmo. La metafora somatica in Efesini,
dunque, non è circoscritta all'interno dei confini ecclesiali, ma si
inserisce all'interno di un'attività di Cristo estesa alle dimensioni
dell'intero creato. Rispetto all'intento prettamente ecclesiologico di
Romani e prima Corinzi, l'autore di Efesini rivela un'intenzionalità
sovraecclesiale e universale.
Infine vanno ricordate le varie ipotesi di influenze sulla teologia
di Efesini che di volta in volta gli esegeti hanno rilevato (o pensato
di ritrovare): alcune affinità espressive con il qumranesimo, adden-
15 INTRODUZIONE

tellati con lo stoicismo e il giudaismo ellenistico, circa la visione


unitaria e armonica del cosmo, e influssi gnostici derivanti dalla
figura dell'uomo primordiale. Circa le prime due gli studiosi valu-
tano caso per caso (somiglianze espressive non sempre rivelano una
vera e propria dipendenza concettuale diretta), mentre per l'ipotesi
di un influsso gnosticizzante la questione è stata concordemente ar-
chiviata dagli studiosi, i quali rilevano come lo gnosticismo si possa
definire solo a partire da elaborazioni tardive e non certo contempo-
ranee o anteriori a Efesini2 • C'è unanimità nel ritenere che l'autore
di Efesini in larga parte dipenda dal patrimonio di fede dell'Antico
Testamento, che, pur citato pochissime volte in modo esplicito,
tuttavia fa chiaramente da sfondo alle rielaborazioni teologiche.

DESTINATARI, AUTORE E DATAZIONE

Destinatari
Comunemente è accettata l'idea ricevuta dalla tradizione, che
Efesini, cioè, fosse una lettera indirizzata a comunità cristiane si-
tuate nella parte occidentale dell'Asia Minore. Tra queste spiccava
l'importanza della città di Efeso, sia dal punto di vista ammini-
strativo in quanto capitale della provincia senatoriale romana in
Asia, sia perché fu indubbiamente «il primo e decisivo epicentro
dell'espansione cristiana e di un approfondimento ermeneutico
dell'evangelo»3. Famosa per la magnificenza del tempio di Arte-
mide (cfr. At 19,23-40), la città di Efeso del I secolo la si potrebbe
definire città «internazionale», in quanto crocevia di rotte commer-
ciali, centro di arti magiche e punto d'incontro di diverse tendenze
culturali e cultuali.
Argomentazioni inoppugnabili a favore della destinazione efe-
sina della lettera non ce ne sono, se non il fatto che il termine
mesotoichon («muro divisorio»: 2,14) avesse significato architet-

2 Al riguardo fanno eccezione le considerazioni di P. Pokomy: p. es., ((lJI'Jp.a Kpwrou

im Epheserbrief», Evange/ische Theo/ogie IO (1960) 456-464.


3 R. PENNA, La lettera agli Efesini. Introduzione, versione, commento, Dehoniane, Bo-

logna 1988, p. 68.


INTRODUZIONE 16

tonico solo nell'area dell'Asia Minore occidentale. Viceversa, gli


argomenti contrari a questa collocazione tradizionale non sono mai
riusciti a imporsi con assoluta evidenza.
Circa i destinatari i dettagli che emergono dal testo sono troppo
indeterminati (non va poi dimenticata la natura "circolare" della let-
tera): i vari tentativi fatti dagli esegeti di ricostruirne con esattezza i
tratti rimangono, dunque, del tutto congetturali. Alcune affermazio-
ni dell'autore depongono a favore di un uditorio prevalentemente
composto da etnocristiani (credenti provenienti dal paganesimo,
cfr. 2, 11 ). Di più non è possibile affermare.

Autore
Fin qui s~è tenuta la dicitura «autore di Efesini», distinguendolo
da Paolo, senza precisare ulteriormente. Sappiamo che Paolo sog-
giornò a Efeso circa tre anni secondo At 19, l O; 20,31 (tra il 52 e il
54 oppure tra il 55 e il 57) e nel testo di Efesini il nome dell' Aposto-
lo compare esplicitamente due volte (l, l e 3, l). La tradizione non
ha avuto alcun problema nel ritenere che fosse stato proprio Paolo
a redigere la lettera, anche perché si tratta di uno scritto «paolino»,
ossia un testo che si colloca chiaramente sulla scia del suo pensie-
ro, attingendone in parte il vocabolario e anche alcune intuizioni
teologiche (anche se manca il tema della giustificazione, così caro
a Paolo). Tuttavia alcune linee teologiche sono originali e lo stile
non è suo, come s'è potuto appurare in precedenza (cfr. pp. 11-12).
Il primo a sollevare dubbi sulla paternità dello scritto fu Erasmo
nel 1519, proprio a partire da osservazioni stilistiche, ma furono
soprattutto E. Evanson (1792) e H.J. Holtzmann (1872) a porre
criticamente la questione e a pronunciarsi per la non autenticità
dello scritto. Alcuni esegeti hanno cercato di aggirare il problema
adducendo la consuetudine dell'Apostolo di servirsi di un segre-
tario/scrivano. Le idee sarebbero di Paolo, mentre le particolarità
espressive dipenderebbero dall'intervento di tale figura di ausilio.
Ma un confronto più attento mostra che alcuni nuclei tematici si
presentano più come uno sviluppo del suo pensiero, che come una
semplice ripresentazione delle sue opinioni (cfr. le considerazioni
precedenti sulla metafora somatica: p. 14).
17 INTRODUZIONE

Ad oggi gli studiosi sono d'accordo nel ritenere che il dibatti-


to relativo all'identità dell'autore di Efesini debba essere chiarito
all'interno del fenomeno della pseudonimia o della pseudoepigra-
fia, similmente a quelli legati ad altre opere dell'antichità e anche
ad alcuni scritti biblici {cfr., p. es., la questione del Deutero e del
Trito isaia, distinti rispetto a Isaia stesso). Al contrario del fenomeno
tutto moderno dei diritti d'autore, con il conseguente diritto/desi-
derio da parte dello scrittore di vedere esplicitato il proprio nome
sulla sua pubblicazione, in antico per dare lustro e autorevolezza
al proprio scritto talora lo si attribuiva a qualche autore famoso. In
questo modo mediante un nome celebre autori sconosciuti potevano
far conoscere le loro opere; senza, tuttavia, che tutto questo fosse
percepito come un'attività fraudolenta (vale la pena ribadire: non
esisteva il copyright). Nel caso della nostra lettera gli esegeti si
rifanno al concetto di «scuola»: attorno alla figura autorevolissima
dell'Apostolo si sono raccolti alcuni suoi estimatori, che, dopo la
sua morte, ne hanno mantenuto vivo il pensiero appunto dando vita
a un sodalizio di discepoli, la cosiddetta «scuola paolina». Questa
ha raccolto gli insegnamenti di Paolo, li ha attualizzati in situazioni
ecclesiali differenti rispetto a quelle incontrate dal maestro e li ha
riletti in contesti culturali nuovi. In questo modo si attribuiva alla
figura ormai assente ma vivamente venerata dell'Apostolo uno
scritto fedele alle sue idee ma redatto da altri. L'autore di Efesi-
ni, pertanto, non aveva l'intenzione di ingannare ma di istruire i
credenti circa situazioni inedite, così come avrebbe fatto lo stesso
Paolo se fosse stato ancora in vita. Nulla vieta di ipotizzare che
questa «scuola» fosse composta proprio dai collaboratori stretti
dell'Apostolo, che lo hanno aiutato nell'opera di evangelizzazione
dell'Asia Minore: Epafra, Onesimo, Tichico, ecc. In questo modo si
possono spiegare sia le somiglianze, sia le differenze di pensiero e
di stile di Efesini rispetto alle lettere di Paolo. Queste osservazioni
permettono di avanzare una precisazione circa la classificazione uti-
lizzata per l'epistolario paolino: le lettere autentiche di Paolo ven-
gono oggi definite dagli esegeti homologoumena («riconosciute»;
sono dette anche «protopaoline»: la prima ai Tessalonicesi, le due
ai Corinzi, quella ai Romani, ai Galati, ai Filippesi e a Filemone)
INTRODUZIONE 18

mentre quelle di cui la paternità è messa in discussione, sono dette


antilegomena («discusse»; denominate pure «deuteropaoline»: la
seconda ai Tessalonicesi, quella ai Colossesi, agli Efesini, le due a
Timoteo e quella a Tito).
Il giudizio sulla pseudoepigrafia, comunque, non invalida il ca-
rattere di canonicità della lettera, perché le valutazioni che si pos-
sono legittimamente formulare a livello storico e critico-letterario
non pregiudicano la valutazione espressa dalla Chiesa fin dai primi
secoli, la quale ha potuto vedere riflessa nello scritto la propria fede
autentica, riconoscendo, quindi, a Efesini la qualifica di testo ispira-
to, anche se l'autore non è Paolo (questo vale anche per altri scritti
neotestamentari: due vangeli sono riconosciuti canonici, anche se
gli autori, pur provenendo dalla «cerchia» apostolica, apostoli non
sono: Marco e Luca).
Dell'autore si può dire che era un discepolo di Paolo, rimasto
volutamente nell'ombra dell'anonimato forse per non frapporre
se stesso tra l'Apostolo e lo scritto. Probabilmente è di origine
giudeo-ellenistica (cfr., p. es., il «voi» di 2,11 che individua inon
circoncisi dai quali l'autore si differenzia), non sente il bisogno di
citare spesso l'Antico Testamento, e si mostra attento alla vivacità
culturale del suo tempo (attraversata da intuizioni dell'apocalittica
essena, da temi della filosofia stoica e da quei fermenti legati al
tema della «conoscenza» dai quali solo successivamente avranno
origine le correnti gnostiche).

Epoca di composizione
Circa la datazione mancano elementi precisi e quindi si procede
per ipotesi. Poiché Efesini è un testo già citato dai Padri tra la fine
del I secolo e la prima metà del II, ovviamente si deve collocarne
la stesura alla fine del I secolo. Essendo l'autore di scuola paolina-
come s'è visto -la redazione va posta dopo la morte dell'Apostolo
(quindi tra il60170). La stesura, di conseguenza, andrebbe collocata
tra il 60 e il 90 d.C. Bisogna aggiungere poi che nell'elenco dei
ministeri (4,11) sono del tutto assenti le figure menzionate nel-
le Pastorali (episcopi, presbiteri e diaconi), quindi Efesini riflette
un'organizzazione ecclesiale anteriore. Altro dato importante per
19 INTRODUZIONE

la cronologia è, inoltre, il delicato rapporto con la lettera ai Colos-


sesi, con la quale la lettera intrattiene stretti rapporti di parentela:
se si riconosce un rapporto di dipendenza, la datazione di Efesini
allora verrebbe spostata un po' più avanti rispetto al 60. Queste
considerazioni, dunque, conducono a riconoscere la collocazione
cronologica più probabile quella databile attorno agli anni 80 d.C.

Rapporto tra Colossesi ed Efesini


Una questione assai curiosa - e, per certi versi, inestricabile
- nasce dalla stretta somiglianza che intercorre tra la lettera agli
Efesini e quella ai Colossesi4 • Leggendole di seguito sorprende la
forte aderenza non solo di vocabolario e di linee tematiche, ma
anche di alcune espressioni o di intere frasi, che si presentano iden-
tiche in entrambe le lettere (cfr., p. es., Ef5,22//Col3,18; Ef5,25//
Col 3, 19; Ef 6,21//Col 4, 7). Assieme ai vangeli sinottici, sono gli
unici testi del Nuovo Testamento che possono essere letti in sinossi
(parallelamente). Come spiegare questa omogeneità lessicale e, in
parte, anche concettuale? Le ipotesi avanzate finora dagli esegeti
sono raggruppabili nelle seguenti soluzioni: a) l'autore di Efesini
ha "utilizzato" il testo di Colossesi; b) l'autore di Colossesi ha
"utilizzato" il testo di Efesini (ma in entrambi i casi: che tipo di
''utilizzo"? L'autore scriveva tenendo sott'occhio il testo dell'al-
tra lettera? Oppure l 'ha letta e in seguito ha scritto ripescando a
memoria alcuni passaggi dell'altra?); c) nessuno dei due ha fatto
uso del testo dell'altro; d) sia l'uno che l'altro, appartenenti a una
«scuola paolina», hanno attinto alla medesima tradizione; e) si
tratta di un unico soggetto, autore di ambedue le lettere. Attorno a
queste possibili soluzioni poi si raggruppano anche altre varianti,
ma come si vede ci si muove su un terreno indiziano, per cui le
soluzioni proposte da ogni esegeta vanno vagliate attentamente.
Si può affermare che ad oggi il consenso maggiore si ha attorno
alla prima soluzione: l'autore di Efesini avrebbe avuto una buona
conoscenza del testo di Colossesi, tanto da poterlo riprendere e
ampliare, sviluppandone così alcune idee. Si potrebbe parlare di
4 Cfr. E. BEST, "Who Used Whom? The Relationship ofEphesians and Colossians", New

Testament Studies 43 (1997) 72-96.


INTRODUZIONE 20

«dipendenza creativa» di Efesini da Colossesi (p. es., il tema del


mistero, che in Colossesi è prettamente cristologico, in Efesini
riceve uno sviluppo prevalentemente ecclesiologico).
Non va dimenticato poi che Efesini intrattiene una somiglianza
lessicale e tematica pure con altri scritti del Nuovo Testamento, in
particolare con la prima lettera di Pietro e quella agli Ebrei.

TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

Circa la storia della trasmissione testuale lo scritto è ben attestato


fin dalle primissime testimonianze, eccetto che per la destinazione
efesina (1,1; cfr. p. 9) Le questioni più importanti di critica testuale
verranno discusse di volta in volta nelle osservazioni filologiche.

Elenco dei manoscritti citati nel commento


Papiro Chester Beatty II (IJ)46), scritto intorno al 200, conservato
in parte alla University of Michigan di Ann Arbor (qui si trovano i
fogli che contengono Efesini), in parte a Dublino, nella collezione
Chester Beatty.
Codice Sinaitico (N), scoperto nel monastero di Santa Caterina
sul Monte Sinai; risale al IV secolo; la maggior parte dei suoi fogli
è conservata alla British Library di Londra.
Codice Vaticano (B), del IV secolo; è conservato presso la Bi-
blioteca Apostolica Vaticana.
Codice Alessandrino (A), del V secolo; conservato alla British
Library di Londra.
Codice di Efrem riscritto (C), scritto in maiuscolo e risalente al
V secolo. Il nome deriva dal fatto che la pergamena, che in origine
conteneva tutto l'Antico e il Nuovo Testamento, fu riutilizzata nel
XII secolo per scriverei alcune opere di Efrem siro; il codice è
conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi.
Codice Claromontano (D), scritto in maiuscolo e risalente al V
secolo, contiene le lettere paoline; è conservato alla Bibliothèque
Nationale di Parigi.
Codice di Augia (F), del IX secolo; il nome è quello della località
21 INTRODUZIONE

in cui fu copiato, il monastero dell'isola di Reichenau sul lago di


Costanza, chiamata Augia in latino; attualmente è conservato al
Trinity College di Cambridge.
Codice di Bomer (G), del IX secolo; conservato a Dresda nella
Sachsische Landesbibliothek.
BIBLIOGRAFIA

Commenti
ALETII J.-N., Saint Pau/ Épitre aux Éphésiens. Introduction, tra-
duction et commentaire, Gabalda, Paris 200 l.
BARTH M., Ephesians, Doubleday, Garden City (NY) 1974; 19848 •
BEST E., Efesini, Paideia, Brescia 200 l.
BorsMARD M.-E., L 'énigme de la lettre aux Éphésiens, Gabalda,
Paris 1999.
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MoNTAGNINI F., Lettera agli Efesini. Introduzione, traduzione e
commento, Queriniana, Brescia 1994.
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to, Dehoniane, Bologna 1988.
RoMANELLO S., Lettera agli Efesini, Milano, Paoline 2003.
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ScHNACKENBURG R., Der Brief an die Epheser, Neukirchen-Vluyn
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Studi
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REYNIER C., Évangile et mystère. Les enjeux théologiques de l'épìtre
aux Éphésiens, Cerf, Paris 1992.
llPOI: E<l>EI:IOYI:

Agli Efesini
EFESINI 1,1 26

1 IIauÀoç à:rr6_?ToÀoç Xptcrrou 'I11crou òtà 8EÀ~Jlamç 8Eou m'ìç


1

àyi01ç TO'ìç oùmv [ÈV 'EcpÉcry.>] K<XÌ mcrro'ìç ÈV Xptcrr4) 'lflOOU, 2 Xaptç
ÙJ.llV K<XÌ EÌp~Vfl à:rrò 8EOU rra-rpÒç ~JlWV K<XÌ Kup{ou 'lfJOOU Xptcrrou.

3 EÙÀOYf1TÒç Ò 8EÒç K<XÌ lt<XT~p TOU KUp{ou ~JlWV 'lflOOU XptcrTOU,

Il 1,1-2 Testi paralleli: Rm 1,1; 1Tm 1,1; solo a partire dal V sec. nel codice Alessandri-
2Tm 1,1; Tt 1,1 no (A), mentre è assente nei manoscritti più
1,1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volon- antichi: papiro Chester Beatty ll (IJ)46), codici
tà di Dio (ITa.uÀoc; 1br&,.mÀoç XpLO'tou 'lTJOoU Sinaitico (M) e Vaticano (B). La destinazione
oux 9EÀ1}.La'toç eeou)- La sequenza è identica alla comunità di Efeso, dunque, è un'inserzione
a 2Cor 1,1 e Co11,1. Similmente ai versetti tardiva e le ipotesi di una destinazione alla co-
iniziali di alcune lettere (Rm 1,1; lTm 1,1; munità di Laodicea o a quella di Colossi riman-
2Tm l, l; Tt l, l) e a differenza di quelli delle gono congetture. Senza la specificazione «in
altre, accanto a quello di Paolo non compaio- Efeso» ne risulta un testo sospeso («ai santi che
no i nomi di alcuni suoi collaboratori. sono ... e fedeli»), che è oggetto di molteplici e
[In Efeso] [È v 'Eq>Éow] - Il sintagma compare incerti tentativi di armonizzazione.

PRESCRITTO (1,1-2)
Il prescritto, secondo le consuetudini epistolari del tempo, presenta in suc-
cessione il mittente, i destinatari e il saluto, ed è simile a quello delle altre lettere
dell'epistolario paolino. Il nome del mittente, Paolo, è con ogni probabilità fittizio,
ma questo fatto non tradisce un intento fraudolento dell'autore, perché il fenomeno
della pseudoepigrafia, frequente nell'antichità, aveva lo scopo di raccogliere l'ere-
dità di un maestro e di manteneme viva la memoria mediante la ripresentazione de-
gli insegnamenti (cfr. il concetto di «scuola paolina» nell'Introduzione, pp. 16-18).
In questa fase preliminare, però, l'autore non si limita alle indicazioni del proto-
collo epistolare e apporta alcune rapide e preziose aggiunte: il titolo «apostolo», che
rivendica l'autorità della persona che scrive e il valore normativo del testo scritto; e,
invece di un accenno biografico del mittente, ne viene offerto un breve ritratto teolo-
gico: egli è apostolo «di Cristo Gesù» non per iniziativa personale ma «per volontà
di Dio» (nel prosieguo l'autore fa intervenire Paolo in prima persona come «prigio-
niero di Cristo» e «ambasciatore in catene)): 3,1; 4,1; 6,20). Emerge, quindi, non
tanto l'immediata figura di Paolo, interlocutore diretto dei destinatari, ma il profilo
prestigioso dell'apostolo, già oggetto di venerazione da parte delle comunità cristiane.
Anche i destinatari vengono ~pecificati in senso teologico: «santh)- appellativo
consueto nel NTperi cristiani (cfr., p. es.,At 9,13; lCor 1,2; 16,1.15; 2Cor 1,1; Rm
15,25.26.31)- in forza della condizione oggettiva di chi è raggiunto dal dono della
santità stessa di Dio, e «fedelh) grazie all'impegno soggettivo di adesione a Cristo.

PARTE TEOLOGICA: LA RIVELAZIONE DEL MISTERO (1,3-3,21)


Nei primi tre capitoli la tonalità della lettera è prettamente dottrinale, infatti
l'andamento dell'argomentazione si presenta sotto un profilo squisitamente teolo-
27 EFESINI 1,3

1 1Paolo,
apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che
sono [in Efeso] e fedeli in Cristo Gesù: 2grazia a voi e pace da
Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

3Benedetto il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

1,2 Grazia a voi e pace (xocpLç ÙIJ.i.v K!Ù confronti con nessun passo della letteratura
Elp~VTJ)- Il binomio, che associa un augurio greca: è un conglomerato di subordinate, col-
di origine greca (XIipLç) con un saluto di stam- legate l 'una ali' altra sia in senso grammaticale
po semitico (elp~VTJ), è una formula iniziale sia in senso logico. Si tratta di una benedizio-
stereotipata, presente in quasi tutte le lettere ne (euloghia), introdotta dalla ripetizione nel
paoline. Non si tratta di un generico auspi- v. 3 del tema EuÀoy-: «Benedetto (EuÀOyT)t&;)
cio, dal momento che questo saluto, rivolto Dio ... ci ha benedetti (EuÀOyftoaç) ... con ogni
dall'autore, ha come origine Dio stesso. benedizione (Euwy(q:)».
1,3 Benedetto il Dio e Padre (EuÀoyrrcòç o Che ci ha benedetti (o EuÀOy~oaç)- Si tratta
9Eòç KUÌ. 1Tati]p) - Inizia qui un lunghissimo di un participio sostantivato, che non è co-
periodo che arriva fino al v. 14 e che non ha me gli altri participi circostanziali 1rpoop (oaç

gico-speculativo: la rivelazione del «mistero» da parte di Dio. Questo «mistero»


ha a che fare con la signoria di Cristo (c. l), si attua in un'opera di riconciliazione
dei giudeocristiani ed etnocristiani (c. 2), e ha come vertice l'ingresso aperto anche
ai pagani nell'unico corpo ecclesiale (c. 3).

1,3-14 La benedizione
Qual è il modo in cui Dio pensa, guarda e agisce verso l'umanità? Mediante un
unico atteggiamento benedicente, esplicitato poi dall'autore in una serie complessa
e dettagliata di azioni successive, celebrate in un'unica grande benedizione (eu-
loghia). Nella stesura di questo testo è assai probabile che l'autore si sia ispirato
all'uso giudaico delle b•rak6t, le preghiere di benedizione che accompagnavano
il culto e la vita domestica. Le azioni divine vengono lodate e raccolte dall'autore
in una frase lunghissima (vv. 3-14), la quale, assieme a una complessa concatena-
zione sintattico-grammaticale, lascia intravedere pure una strutturazione logica.
L'iniziativa di Dio, infatti, è illustrata in due grandi momenti: l'atto del benedire
(vv. 3-10) e le conseguenze della benedizione (vv. 11-14). Il primo momento, poi,
potrebbe essere a sua volta scandito in: elezione e predestinazione pretemporali
(vv. 4-6), redenzione di Cristo con la sua morte (v. 7) e progetto di ricondurre ogni
cosa a Cristo (vv. 8-10). Posta tra il prescritto (vv. 1-2) e l'inizio vero e proprio
della lettera (v. 15), l' euloghia si presenta come un 'unità letteraria che in qualche
modo funge da ouverture dell'intera lettera. Alcuni studiosi, poi, ipotizzano che si
tratti di un inno preesistente rielaborato all'interno dell'attuale redazione.
1,3-10 L 'atto del benedire
Nella sua istantaneità l'incipit dell'euloghia (v. 3) si presenta come una
sintesi di un'efficacia imprevedibile, quasi un punto di raccordo di almeno tre
EFESINI 1,4 28

Ò EÙÀoy~cra:ç ~}J<iç ÈV mxcrn EÙÀoy{~ 1tVEU}JO:T1Kft ÈV TOtç


Énoupa:viOtç lv Xptcrnf>, 4 Ka:8wç è.~eÀÉ~a:ro ~}J<iç è.v a:ùr'f> npò
KO:Ta:~oÀfjç KOCJ}JOU eivat ~}J<iç àyiouç KO:Ì Ò:1JW}Jouç KO:Tevwmov

( «predestinandoci»: v. 5) e yvwp (oaç («fa- celesti>>. È un aggettivo sostantivato, il quale


cendo conoscere»: v. 9), ma ha valore at- più che indicare un 'imprecisata collocazione
tributivo. In altre parole non si tratta di tre spaziale, rende piuttosto l'idea di una nuova
azioni coordinate (Dio che benedice, prede- situazione esistenziale dei credenti; analoga-
stina e fa conoscere) ma di due azioni che mente al sintagma «in Cristo» (e alle seguen-
dipendono da un unico atto di benedire: Dio ti locuzioni «in lui», «n eli' Amato», «nel
è il Benedicente, che ci benedice mediante quale»), espressivo non tanto di un luogo
tutte le azioni successive: «predestinare», quanto dell'inclusione dei cristiani nella vita
«far conoscere» e poi «donare>>, ecc. stessa di Cristo. Un richiamo esemplificativo
I cieli (~'TToupav(oL)- Alla lettera: «i [luoghi] potrebbe essere Gen 12,3 LXX: «In te (Abra-

"itinerari" concettuali e teologici. Il primo, rapidissimo "itinerario" è di carattere


storico: collega l'attuale originalità cristiana al passato fondante. La denomina-
zione «benedetto)), infatti, apre immediatamente a reminiscenze anticotestamen-
tarie (p. es., Gen 24,27: «Benedetto il Signore, Dio del mio padrone Abramo));
Es 18,10: «Benedetto il Signore, che vi ha salvato dalla mano dell'Egitto)); cfr.
anche Nm 6,24; Dt 14,29; 1Sam 25,32; Sal 145,1-2.10.21 e moltissimi altri
passi), ma spalanca pure la finestra sulla novità di Cristo: questo Dio, che in
antico era la fonte delle benedizioni su Israele, ora si rivela come il «Padre del
Signore nostro Gesù Cristo>>. Accanto a quello storico vi è pure un itinerario
verticale, lungo il quale mentre una benedizione sale a Dio, un'altra ne discende
su di noi: «Benedetto Dio che ci ha benedetti)). Infine, contemporaneamente ai
primi due, si affaccia discretamente pure un itinerario dall'andamento trinita-
rio: esplicitamente sono menzionati il Padre e il Figlio suo Gesù e si fa pure
allusione allo Spirito (che ricomparirà più esplicitamente in 1,13), in forza del
quale la benedizione è definita «spirituale >> (pneumatichi). Dio, quindi, dona
le sue benedizioni con la mediazione pretemporale e storica di Cristo e con il
concorso dello Spirito Santo.
Questa azione benedicente ci raggiunge «nei cieli>>, la sfera celeste in cui Cristo
è giunto con la sua risurrezione e che diviene l'ambito (ovviamente illimitato:
cfr. 1,20-23 e 4,10) nel quale Egli dispiega la sua signoria: non quindi un luogo
lontano rispetto alla terra, quanto piuttosto la realtà salvifica cui i cristiani sono già
incoativamente introdotti grazie alla benedizione divina. Infatti, dopo aver detto
«nei cieli)), l'autore aggiunge subito «in Cristo>>, per esplicitare l'associazione dei
credenti alla sua stessa vita.
Elezione e predestinazione pretempora/i (l ,4-6). La prima iniziativa con cui
Dio dimostra la sua benevolenza per gli uomini è stata una decisione presa in
anticipo rispetto alla storia e addirittura alla creazione: «ci ha scelti)) (v. 4a). Più
precisamente Dio ha cominciato a renderei oggetto della sua benedizione nel
29 EFESINI 1,4

che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli,


in Cristo, 4poiché in lui ci ha scelti prima della fondazione del
mondo per essere santi e immacolati davanti a lui nell'amore,

mo) saranno benedette (ÈVt=uÀ.OyT]B{joovtaL Èv è l'unico soggetto cui questo pronome può
oo() tutte le genti della terra». collegarsi.
1,4 Poiché (Ka9wç) - Questa congiunzione Prima della fondazione del mondo (rrpò
indica che quanto segue è specificazione del- Kataj3o,l..f}; KOO!.wu) -Tale formulazione è molto
la benedizione iniziale di Dio, indicata nel rara nella lingua greca ed è assente nella Settanta
versetto precedente. Davanti a lui (K«'tEVWTTLOV amou)- Il prono-
Ha scelti (È~EÀÉ~ato)- È il medesimo verbo me potrebbe grammaticalmente richiamare
dell'elezione di Israele: cfr., p.es., Dt 7,7; sia Cristo sia Dio, ma dal contesto seguente
14,2 LXX; At 13,17. è preferibile intendere «davanti a Dio>>, come
In lui (~v au-cQ) - È riferito a Cristo, che si evince nel v. 5.

tempo «poichb> (kath6s, v. 4) ci ha scelti/eletti prima dell'inizio del tempo. Il


tema dell'elezione, assieme a quello della benedizione, richiama evidentemente
la predilezione di Dio verso Israele, ma non allude affatto a una imprecisata
sostituzione dell'antico popolo eletto da parte dei cristiani. Inoltre la puntua-
lizzazione circa un'elezione pretemporale non sembra sottintendere il tema
della preesistenza delle anime, dal momento che l'unica persona che assiste a
questo «momento» è Cristo, nel quale i credenti sono stati anticipatamente scelti
(ancora non sono presenti, dunque). All'autore, invece, sta a cuore condurre i
lettori all'intenzione originaria di Dio e, parlando di una idea accarezzata da Dio
«prima della fondazione del mondo», non sembra coltivare indagini speculativo-
metafisiche circa un «prima» fatto di pura assenza di creature; desidera piutto-
sto descrivere un'intenzione sovrana e liberissima di Dio. Così, collocando il
proposito divino in un indeterminato "momento" previo alla creazione, l 'autore
afferma che Dio non è stato provocato (o, peggio, costretto) da null' altro se non
dal suo insondabile progetto, e avendo quale unico riferimento Cristo stesso,
nel quale noi siamo stati eletti.
Lo scopo dell'elezione è presto detto: santità e innocenza nell'amore (1,4).
«Santo e immacolato» erano le qualifiche necessarie per l'esercizio del culto
-riferite all'idoneità di oggetti, animali e persone per l'ambito liturgico-, che
lentamente sono passate a designare qualità di tipo morale; il punto d'arrivo è
giungere «davanti a lui», l'approdo, cioè, a un rapporto immediato con Dio. Con
una particolarità: tali qualità sembrano profilarsi più come un dono divino che
come il traguardo di sforzi umani, dal momento che in 5,27 è Cristo stesso che
rende la Chiesa «santa e immacolata» con il suo amore e il dono della propria vita.
Su questa linea va interpretata pure la predestinazione, comprensibile solo
come volontà buona, salvifica: lo scopo di Dio è farci diventare tutti suoi figli.
Non emergono per nulla le sfumature di una predestinazione individuale o, peggio,
negativa. La finalità di questa decisione è la figliolanza adottiva (hyiothesia), cioè
EFESINI 1,5 30

aù-rou f.v àyann, 5 npoopioaç ~}l<Xç Eiç uìo9Eoiav òtà 'If1oou


Xpto-rou Eiç aù-r6v, Ka-rà T~v EÙÒoKiav -rou 9EÀ~}la-roç aù-rou,
6 EÌç enatVOV OO~flç Tfjç xaplTOç aÙTOU ~ç f.xaplTWOEV ~}lUç fv T~

~yanfl}lÉv<p. 7 'Ev <I> fXO}lEV T~V ànoÀtJTpWOlV Òtà TOU at}laToç


aù-rou, -r~v èi<pEotv -rwv napanTWJ.laTwv, Ka-rà -rò nÀou-roç Tfjç
xaptmç aÙTOU 8 ~<; ÈnEplOOEUOEV EÌç ~}l<iç, fv naon OO<pl~ KaÌ
<ppOV~OEl, 9 yvwp{oaç ~}liV TÒ }lUO~ptoV TOU 9EÀ~}laToç aÙTOU,

1,5 Predestinandoci alla figliolanza adottiva un termine raro e compare solo in testi pao-
mediante Gesù Cristo (npoop(o~ç rw.ac; Elç lini (cfr., p. es, Rm 8,15.23; Gal4,5).
uloBEo(~v OLIÌ 1T]Oou XpLO't"OU etc; ~{m)v) La benevolenza della sua volontà (t~v
- La traduzione letterale reciterebbe: «pre- eòOod~v tou 9EÀ.~fl~toc; ~Ò't"ou)- Potrebbe
destinando noi alla figliolanza adottiva per trattarsi di un'endiadi (un unico concetto è
mezzo di Gesù Cristo per lui». «Per lui» (e Le; comunicato con due sostantivi coordinati):
~òt6v), che è omesso in traduzione, potrebbe «volontà buona».
grammaticalmente riferirsi sia a Cristo che a 1,6 A lode della gloria della sua grazia (etc;
Dio, ma la logica del versetto e del contesto E1T~LVOV 00/;Tjç 't"fìç xapnoç ~U't"OU)- Tale
più ampio indica una finalità teologica: la fi- espressione è ridondante similmente ad al-
gliolanza adottiva mediante Cristo introduce tre circonlocuzioni sovraccariche (cfr. «santi
alla relazione con Dio; quindi il sintagma va e immacolati»: v. 4; «la benevolenza della
inteso «per Dio», «verso Dio». sua volontà»: v. 5; «il progetto ... il proposito
Figliolanza adottiva (ulo9Eo(~)- Nel NT è della sua volontà»: v. l l) o ripetitive (cfr.

l'attuale situazione di figli sperimentata dai cristiani come dono gratuito da una
parte ma anche come èompito impegnativo dall'altra (v. 5). Non la si può quindi
comprendere come la designazione già sanzionata da Dio di un destino di salvezza
o, al contrario, di dannazione eterna, previamente e del tutto indipendente dalle
libere scelte del singolo. La figliolanza, poi, che per natura riguarda il solo Gesù
(di per sé solo lui è il Figlio), a noi è donata appunto per partecipazione, per questo
è detta «adottiva» (Paolo afferma che l'adozione filiale si rende percepibile nei
credenti mediante quell'invocazione affettuosa «Abbà>>, pronunciabile solo in
virtù dello Spirito santo; cfr. Rm 8,14-17 e Gal 4,4-7).
Lo scopo solamente buono di tale predestinazione viene ribadito dalle parole
«secondo la benevolenza della sua volontà>> (v. 5), che confermano l'intenzione
buona della volontà divina (eudokia). Questa, di conseguenza, provoca i credenti
alla lode per il dono gratuito di grazia fatto a noi nel Figlio. L'autore qui non ri-
prende il nome di Gesù (cfr. i vv. 1.2.3.5), ma lo definisce a partire dalla relazione
con il Padre che lo ama: egli è «l'Amato» (egapeménos: v. 6). Questo particolare
ci permette di confermare con evidenza ancora maggiore l'accezione positiva della
predestinazione alla figliolanza adottiva: se il Figlio è amato, a nostra volta noi,
figli per adozione, siamo prescelti come oggetto dell'amore divino.
La redenzione in Cristo (l, 7). Se «in Cristo» siamo stati scelti prima della
fondazione del mondo (v. 4), «in Cristo» siamo anche redenti: come si può
31 EFESINI 1,9

5predestinandoci alla figliolanza adottiva mediante Gesù Cristo


• , , secondo la benevolenza della sua volontà, 6a lode della gloria
della sua grazia, di cui ci ha fatto dono gratuito nell'Amato,
7nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il

perdono dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia, 8che


ha riversato con sovrabbondanza su di noi, in tutta sapienza e
intelligenza. 9Egli ci fece conoscere il mistero della sua volontà -

«a lode della gloria»: vv. 6.12.14 e «in Cri- somiglianza fonica causata dalla medesima
sto», «in lui» e «nel quale»). Queste forme radice tematica: anche in questo caso si può
pleonastiche (il pleonasmo è un'inserzione cogliere l'effetto ridondante.
di elementi ulteriori che però non aggiun- Amato (~ytt1fTll.Évoç)- Questo participio per-
gono nulla di nuovo) si distanziano dallo fetto del verbo ciyanciw nella Settanta viene
stile incisivo degli scritti autentici di Paolo riferito o a singoli personaggi (p. es., Abramo:
(gli homologoumena). Cfr. le medesime os- 2Cr 20,7) oppure traduce la qualifica y"suriìn,
servazioni ai vv. 18-19 e 23. «Gloria della riservata al popolo d'Israele in quanto amato
sua grazia» è un'endiadi, che corrisponde a e prediletto da Dio (cfr. Dt 32,15; 33,5.26;
«grazia gloriosa>>. Is 44,2). È molto simile all'aggettivo verbale
Ci ha fatto dono gratuito (xocpLtoç ... ciytt1TTlt6ç (che ha lo stesso significato) con cui
ÈXttp[twot:v)- Alla lettera: «grazia di cui Gesù viene denominato nei sinottici (cfr. Mc
ci graziò»; si tratta di una paronomasia, un 1,11; 9,7; 12,6 e passi paralleli).
accostamento di parole accomunate da una 1,9 Il mistero della sua volontà- secondo la

notare il riferimento cristologico funge da raccordo tra il piano della creazione


e quello della redenzione. Ora il concetto di redenzione mediante il sangue,
che evidentemente rinvia alla croce, non sembra rifarsi all'idea del pagamento
di un riscatto: Cristo avrebbe dovuto pagare un prezzo altissimo per liberarci.
Ma a chi? L'autore semplicemente non lo dice. Né usa il genitivo di prezzo
(non dice «redenzione di sangue»). Piuttosto pensa a una liberazione ardua,
tutt'altro che scontata, che Cristo ha realizzato con la sua morte (dice «reden-
zione mediante il suo sangue>>). Il «sangue», allora, non è la cifra sborsata a
favore di un imprecisato creditore; indica piuttosto l'altissimo valore di tale
liberazione: niente meno che il sangue dell'Amato! L'esito della redenzione
è il perdono dei peccati.
Ricondurre ogni cosa a Cristo (l ,8-1 0). Il v. 8 fa da ponte tra quanto precede
e quanto segue mediante l'idea di sovrabbondanza; quasi a dire che il perdono
non è stato concesso col contagocce, e sapienza e intelligenza sono state donate
senza riserva, con lo scopo appunto di offrirei una conoscenza completa. L'autore
così crea un collegamento tra l'evento della redenzione donatoci in eccesso (v.
7) e la possibilità dataci con altrettanta eccedenza di poterlo conoscere (v. 9).
La redenzione quindi non offre solo una sovrabbondanza di perdono ma anche
una nuova visione delle cose e della storia. Dio, infatti, ha deciso di attuare e,
quindi, di rendere noto il suo progetto, il «mistero» (l ,9). Quello di mystérion
EFESINI 1,10 32

Ka"Cà "C~V EUÒOK{av au"COU ~v npoé9ETO ÈV au"C<f> 10 Eiç OÌKOVO}ll<XV


"COU 1tÀTJPW}l<l't'O<; "CWV K<Xtpwv, avaKEcpa:Àatwoao9a:t "Cà Jt<XV"C<l ÉV
T~ XptcrT<f>, rà ÉnÌ roiç oupa:voiç K<XÌ Tà ÉnÌ rfiç yfiç lv aunf>.
11 'Ev <f} KaÌ ÉKÀT)pWST)}lEV npooptcr9ÉVTE<; Ka:rà np69ecrtv "COU Tà

mivTa: lvepyouvToç Ka:Tà T~v ~ouÀ~v rou 9eÀ~paToç a:urou


12 Eiç TÒ etva:t ~paç Eiç ena:tvov ò6E;TJ<; auTou Toùç npofJÀmK6Taç

ÉV "C<f> Xptcr"C<f>. 13 'Ev <f} K<XÌ Ù}lEiç aKOUO<lVTE<; "CÒV Àoyov


rfiç aÀT)9eta:ç, "CÒ EuayyÉÀtoV Tfi<; OW't'T)pta:ç Ù}lWV, ÉV <f} K<XÌ

bontà della decisione, che già aveva preso in gestione della pienezza dei tempi». Il termi-
se stesso (tò j..LUOtTJplOV toù BE>..l}J.atoç (lÌJtoù, ne olKovoj..L[a in questo contesto è di difficile
K(ltà t~V EOOoK L(lV autoù lìv npoÉE!Eto Év traduzione, infatti, gli esegeti propongono
autQ) - La frase ribadisce il medesimo con- soluzioni differenti: cfr., p. es., <<compimen-
cetto tre volte: «mistero della sua volontà», to» (Schlier, 48), <<governo» (Penna, 82),
«bontà della (sua) decisione», «che già ave- <<amministrazione» (Best, 143), «disposizio-
va presm> (alla lettera: «che aveva formulato ne» (Romanello, 46 n. 2), «governo» (Aletti,
dentro di sé»). 44). L'idea di fondo è che il grande "regista"
In se stesso (Év aòtQ)- Non sembra riferirsi della storia è Dio: è lui che la sta accompa-
a Cristo, anche se logicamente non lo si può gnando e conducendo al suo scopo ultimo.
del tutto escludere, ma a Dio (ecco perché Il termine ricorre pure in 3,2.9.
si esclude la pur grammaticalmente corret- I tempi a compimento (nl~pwj..La twv
ta traduzione «in lui», scelta dalla versione KaLpwv)- Alla lettera: «pienezza dei tempi».
CEI, optando per <<in se stesso»). La locuzione indica che l'apice della storia è
1,10 Portare i tempi a compimento (dc; giunto, il progetto è attuato (cfr. Gal4,4: tò
oiKOVOj..LLaV tOÙ 1TÀT)pWiJ.UtOc; tWV KULpwv)- n>..~pWiJ.U toù x;povou ).
La traduzione letterale reciterebbe: <<per la Ricondurre all'unico capo (civat<E<jlaMLOw)-

è un concetto chiave per Efesini e indica il proposito che da sempre Dio ha


segretamente cullato dentro si sé, e che ad un certo punto della storia ha realiz-
zato, facendolo di conseguenza conoscere agli uomini. Il momento preciso in
cui questo accade vien definito «compimento dei tempi» (pMroma ton kairon ),
perché non si tratta di un evento fortuito e impersonale, ma di un'attività che
Dio sta conducendo personalmente. Il tempo, quindi, non è fatto di attimi senza
senso, semplicemente messi in fila dallo scorrere degli eventi, ma ha uno scopo
impresso da Dio: il suo traguardo è Cristo. La storia non semplicemente scorre,
ma sta giungendo a compimento. Dio, cioè, sta orientando e riunificando tutte
le cose sotto l'universale signoria di Cristo: «ricondurre all'unico capo, Cristo,
tutte le cose» (anakephalaii5sasthai tà pémta en toi Christoi: v. l 0). Il cosmo
intero è attraversato da un processo di unificazione che ha in Cristo il suo fulcro
e la sua motivazione ultima.
Dal tenore solenne e di ampio respiro di queste affermazioni (vv. 8-1 O) sembra
che l'autor~ abbia già detto tutto. È proprio così? Bisognerà aspettare il prosieguo
della lettera, in cui i temi qui rapidamente affermati saranno ripresi e precisati: in
33 EFESINI 1,13

secondo la bontà della decisione, che già aveva preso in se stesso,


10di portare i tempi a compimento-: ricondurre ali 'unico capo,

Cristo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra in lui.
11 In lui poi siamo stati scelti, essendo predestinati secondo il

progetto di colui che tutto opera secondo il proposito della sua


volontà, 12perché noi fossimo a lode della sua gloria, (noi) che già
in precedenza abbiamo sperato in Cristo. 13ln lui anche voi, avendo
ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza,

Tale verbo è un dislegomenon del NT, còm- messa (cfr. Es 6,8; N m 32, 19; Dt 3, 18; 4,21;
pare, cioè, solo due volte: qui e in Rm 13,9, 5,31 ). Questo verbo regge la locuzione del v.
dove ha il senso di «riassumere» (come in Sir 12 «perché noi fossimo a lode della sua glo-
32,8). Il suo valore va compreso alla luce del- ria» (Etc; -rò dvaL Etç E-rraLvov 00ç1Jç aù-rou)
la radice KE<jl«À-, ripresa in 1,22, dove si parla con senso finale o consecutivo.
della signoria di Cristo su tutte le cose. Pur 1,12 (Noi) che già in precedenza abbiamo
nella forma media il soggetto agente è Dio. sperato (1Tp01JÀ1TLK<haç) - Tale participio
In lui (Év c&cQ)- È riferito a Cristo. perfetto indica un atteggiamento di speranza
•:• 1,3-10 Testi affini: l Pt 1,3-5; cfr. anche precedente ali' evento Cristo ma perdurante
Coll,13-20 anche dopo: non è quindi possibile restrin-
1,11 Siamo stati scelti (ÉKÀ11PW9T)I.LEV)- Il gerlo ai soli giudei che attendevano il messia
verbo KÀ11POw è tradotto da alcuni con «far (come ha sostenuto qualche esegeta).
ereditare» («siamo stati fatti eredi», così la 1,13 La parola della verità, il Vange-
CEI), ma indica chiaramente la scelta divi- lo della vostra salvezza ... Spirito Santo
na. In effetti, il tema dell'elezione potrebbe, della promessa (-ròv Àoyov tf)ç clÀ1]9daç,
forse, richiamare l'azione di Dio che assegna "tÒ EÙayyÉÀLOV -rf)ç OWtT]p(aç ÙIJ.WV ... c<\ì
«in sorte» (€v KÀ~p(jl) a Israele la terra pro- 1TVE4-tan -rf)ç É1TayyEÀL«ç -rQ ayt(jl)- Sono

l ,20-22 verrà detto come Cristo è «capo» (kephali), in 2, 14-18 si parlerà deli' ope-
ra di unificazione come di un superamento della divisione tra Giudei e pagani e al
c. 3 verranno date altre notizie per comprendere appieno il senso del mystirion.
In qualche modo, però, nei vv. 8-1 O abbiamo una sorta di piccolo compendio: la
redenzione in Cristo non è il frutto di un ripensamento di Dio ma era nelle sue
intenzioni fin dall'inizio, e questo proponimento segreto («mistero») è ora rea-
lizzato e manifestato; Dio, infatti, sta conducendo tutta la storia e tutta la realtà
creata sotto la sovranità cosmica di Cristo.
1,11-14 Le conseguenze della benedizione
Noi e voi (1,11-13). L'azione salvifica di Dio ha per oggetto il cosmo intero al
fine di ricondurlo sotto la sovranità universale di Cristo, ma non è certo priva di
conseguenze per la vita dei credenti, anzi. All'interno di questo quadro univer-
sale, infatti, l'attenzione torna a focalizzarsi sul destino di quelli che pongono la
loro speranza in Cristo. E a tal proposito l'autore inserisce una distinzione tra il
«noi» e il «voi», che )ungi dal voler creare separazioni, pone invece le premesse
per una comune partecipazione allo stesso dono dello Spirito: « ... noi che già
EFESINI 1,14 34

mon~:uoa:vre<; Èo<ppa:y{oSrrre -c4> nveu]Ja:n -cfjç Èna:yyeÀia:ç


T4> ày{<p, 14 0 Èonv àppa:~WV Tfj<; KÀflpOVO}Jta:<; ft}JWV, EÌ<;
ànoÀu-cpwotv -cfjç rrepmot~crewç, dç €rra:tvov Tfj<; ò6~11<; aùmu.

15 ~là TOUTO Kàyw àKOUOa:<; T~V Ka:8' Ò]Jéi<; 1ttO"Cl.V ÈV T4> KUpt<p
'lflOOU Ka:Ì 't~V àya1tf1V 't~V é:Ì<; nav-ca:ç TOÙ<; ày{ou<; 16 0Ù na:UO}JQ:l
eùxa:pto-cwv unÈp Ò]JWV }JVda:v no10U1J€Vo<; Ènì Twv npooeuxwv
1JOU, 17 tva: ò Seò<; Tou Kup{ou ft}JWV 'lf1oou Xpto-cou, ò na:~p -cfjç

tre semitismi, cioè forme espressive della 1,14 Caparra (cippapWv)- Da intendersi co-
lingua ebraica che rendono l'aggettivo con me un anticipo che in seguito dovrà esser ne-
un complemento di specificazione. Si po- cessariamente integrato (cfr. 2Cor 1,22; 5,5).
trebbe tradurre: «parola vera, Vangelo sal- 1,15 E dell'amore (-ri,v ciytt1!1JV)- Il papiro
vifico ... Spirito Santo promessm>. Chester Beatty II {SJ) 46 ), i codici Sinaitico

in precedenza abbiamo sperato in Cristo. In lui anche voi ... avete ricevuto il si-
gillo». Alcuni esegeti hanno intravisto in questa menzione di due gruppi distinti
un riferimento ad un prima dei giudeocristiani e ad un dopo degli etnocristiani,
entrati questi ultimi solo in un secondo momento nelle conseguenze salvifiche
del Vangelo, ma la distinzione diverrà nitida solo nel prosieguo della lettera (cfr.
2, 11-12). Più semplicemente, invece, si deve rilevare la tonalità colloquiale del
linguaggio epistolare, che crea un collegamento tra mittente (noi) e destinatari
(voi) mediante il discorso diretto. Piuttosto ciò che importa è che sia gli uni
che gli altri sono beneficiari del medesimo dono: il sigillo dello Spirito Santo.
Infatti, al v. l l viene rapidamente richiamata la decisione divina degli inizi me-
diante la ripetizione del verbo «predestinare» (proorizo) e del termine «volontà»
(di Dio: thélema), i quali, se prima erano posti in una collocazione pretemporale
(v. 5), ora invece sono direttamente connessi alla situazione storica dei credenti
(v. l l). La medesima volontà salvifica raggiunge gli uni («noi>>) e gli altri («voi»)
mediante le seguenti tappe: ascolto del Vangelo, adesione di fede e sigillo dello
Spirito (v. 13).
Caparra (1,14). Ora lo Spirito Santo riceve l'appellativo di «caparra»
(arrab6n), perché la sua presenza nel credente è un inizio sicuro, un anticipo cui
certamente farà seguito una pienezza. È questo il punto finale dell'euloghia: i
credenti possono sperimentare gli effetti in loro stessi dell'azione benedicente di
Dio, costatando di aver già in sé una sorta di acconto, che verrà sicuramente saldato
in un compimento futuro. Quando, cioè, la «proprietà» di Dio (peripoìesis: cfr. MI
3,17 e lPt 2,9; cfr. anche Es 19,5), sarà definitivamente riscattata. Come si può
notare, le considerazioni relative alla cosiddetta escatologia realizzata di Efesini
in questo passaggio debbono essere almeno attenuate: non tutto quanto è già com-
piuto, e l' éschaton non è appiattito alla sola dimensione presente. Ciononostante,
35 EFESINI l, 17

e avendo creduto in esso, avete ricevuto il sigillo dallo Spirito


Santo della promessa, 14il quale è caparra della nostra eredità, in
vista del riscatto della sua proprietà, a lode della sua gloria.

Perciò anch'io, avendo sentito della vostra fede nel Signore


15

Gesù e dell'amore per tutti i santi, 16non smetto di rendere grazie


per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, 17perché il Dio
del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria,

(M), Alessandrino (A) e Vaticano (B) e altri OO~TJç)- Si tratta di un'espressione senza
testimoni omettono aytX1TTJV, probabilmente paralleli. Alcune possibili allusioni potreb-
per una svista nella copiatura dovuta alla bero essere, p. es.: «Dio di gloria» (Sal28,3
ripetizione dell'articolo(~ aya1TT]V ~-· .). LXX [TM 29,3]); «Re di gloria» (Sal 23,7
1,17 Il Padre della gloria (ò 1T!ltfJp tftç LXX [TM 24,7]).

anche se un margine di attesa futura è mantenuto, le conseguenze dell'azione


benedicente di Dio lasciano una traccia riconoscibile nel presente ecclesiale.

1,15-23 Esordio epistolare: rendimento di grazie e signoria di Cristo


Compaiono ora alcuni elementi classici di un esordio epistolare, in conformità
al protocollo quasi sempre seguito nel Corpus paulinum: la tonalità del discorso
diretto (iniziato già in 1,13), l'accenno alle notizie relative alla vita dei creden-
ti e la menzione di un rendimento di grazie (cfr., p. es., lTs 1,2 e Rm 1,8-9).
L'esordio si riaggancia all'euloghia mediante il dià touto («perciò»: v. 15), ma
se ne differenzia: invece di mantenere il tono ampio della lode a Dio per la sua
iniziativa salvifica, diviene un ringraziamento circoscritto alla situazione concreta
dei credenti (vv. 15-19). Inoltre viene ripreso e sviluppato il tema della signoria
universale di Cristo (vv. 20-23).
1,15-19 Il ricordo nella preghiera
Le notizie e la preghiera (l, 15-16). La presenza degli stereotipi di un esordio
non deve far pensare a un mero accorgimento stilistico. Venuto a conoscenza
dell'effettivo tenore della fede e carità dei suoi destinatari, l'autore assicura la
sua riconoscenza e la sua preghiera, dimostrando come il vincolo che lo lega a
loro è certamente di natura relazionale ma si fonda pure sulla comune fede in Dio.
Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo (1,17). L'autore assicura i destinatari
che prega per loro (prayer report) e rivela pure il tenore delle sue richieste a Dio.
Innanzitutto il Dio cui si rivolge è quello oramai indissociabile da Gesù: non più
solo «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6), ma «il Dio
del Signore nostro Gesù Cristo». Il quale, poi, riceve un appellativo grandioso,
forse di derivazione liturgica: «il Padre della gloria>>, che ne ricorda la maestà e lo
splendore. Forse quest'ultimo appellativo serve proprio a introdurre il contenuto
EFESINI l, 18 36

ò6~11ç, òwn Ù}.liv rrveO}.la oocpiaç Kaì à:rroKaÀutiJe<Pç Èv Èmyvwoet


aÙTOU, 18 1t€q>WT10}.1ÉVOU<; TOÙ<; Òcp8aÀ}.lOÙç rfjç KapÒ{aç [Ù}.!WV]
dç rò dòévat Ù}.ldç ·riç Èonv ~ ÈÀrrÌç -rfjç KÀ~oewç aù-rou, -riç ò
rrÀouTOç rfjç ò6~11ç rfjç KÀT]povo}.liaç aùrou Èv roiç àyi01ç, 19 Kaì
ri rò ùrrep~aÀÀov }.1Éye8oç rfjç òuva}.lewç aùrou dç ~}.laç roùç
' ' ' ,, -, _,, '-
moreuovraç Kara TflV evepyetav rou Kparouç Tfl<; toxuoç aurou.
20 "Hv Èv~pyfloev Èv r4> Xptor4> Èyeipaç aùròv ÈK veKpwv KaÌ

Ka8ioaç Èv Òe~t~ aùrou Èv roiç Èrroupaviotç 21 ùrrepavw

1,18-19 Questi versetti sono attraversati da KapMaç (Ùf.Lwv])- Alla lettera: «<cchi illu-
una simploche, la quale è il risultato della minati del cuore». Con quest'espressione
combinazione di un'anafora (ripetizione s'intende una conoscenza piena, non solo
iniziale: 'tLç, 'tLç, 't L... , «quale», «quale», intellettuale, donata da Dio, che raggiunge
«quale» ... ) e di un' epifora (ripetizione fi- il centro della persona (KapMa, «cuore», è
nale: aucou, au1:où, au1:ou ... , «Sua», «sua», la sede delle decisioni, non solo degli affet-
«sua» ... ). Compare pure una congerie, cioè ti). Invece dell'accusativo per participio e
un accumulo di sinonimi (Mva~uç, ÉvÉpyHa, sostantivo, ci -si aspetterebbe la costruzione
Kplhoç, laxuç: «forza», «energia», «potere», in genitivo assoluto. L'anomalia è spiegabi-
«potenza»). L'effetto è ridondante. le o intendendo il sintagma come il secondo
1,18 Illumini gli occhi del [vostro] cuo- complemento oggetto del verbo <lwlJ («vi
re (1TE<!lWHOf.IÉVOUç 1:0Ùç ò<!l8aAf.LOUç ciìç doni occhi ... »; v. l7b), o per attrazione

conoscitivo delle richieste: dalla gloria luminosa di Dio si spera di ricevere "occhi
illuminati", per giungere così al vertice impareggiabile della conoscenza di Lui.
Ovviamente un tale traguardo può solo essere invocato, dal momento che non lo
si raggiunge con le sole facoltà umane: per questa ragione lo «Spirito di sapienza
e di rivelazione» non indica una capacità intellettiva ma lo pneuma divino, lo
stesso Spirito Santo.
La conoscenza della fede ( 1,18-19). Su quale conoscenza vengono spalancati
gli «occhi» del credente? Su una realtà ineguagliabile, espressa con linguag-
gio debordante. Infatti, al di là delle diverse sfumature e accezioni, dietro alle
espressioni «speranza della chiamata», «ricchezza della gloria della sua eredità
fra i santi» e «traboccante grandezza della sua forza» nei credenti, si nasconde
l'unica, indicibile iniziativa divina nei credenti: Dio dischiude loro l'orizzonte
sconfinato dell'esperienza di fede. Esperienza vissuta già nell'oggi ma orientata
pure al compimento escatologico. Con una sottolineatura inedita: tutto questo si
realizza nel credente sulla scorta di quella stessa azione potente che si è sprigionata
nella risurrezione di Cristo.
1,20-23 Sovranità cosmica di Cristo
All'improvviso il discorso diretto scompare e gli interlocutori si dileguano per
lasciare il campo all'azione di Dio, unico soggetto attivo sulla scena. C'è quindi
uno scivolamento dal tono particolare del colloquio epistolare (vv. 15-19), alla
37 EFESINI l ,21

vi doni uno Spirito di sapienza e di rivelazione nella conoscenza


di lui, 18( e) illumini gli occhi del [vostro] cuore, perché sappiate
qual è la speranza della sua chiamata, quale la ricchezza della
gloria della sua eredità fra i santi, 19e quale la traboccante
grandezza della sua forza in noi, che crediamo secondo l'energia
efficace della sua potenza,
20che ha potentemente sprigionato in Cristo, risuscitando lo dai

morti, e facendolo sedere alla sua destra nei cieli, 21 al di sopra di

dell'infinito EiùÉvat («sapere») che segue. una sottolineatura semantica, una sorta di
Fra i santi (Èv totç ày(otç) - Solitamente i insistenza su un concetto preciso.
«santi>) sono i credenti (cfr. Ef l, l.J 5 e an- 1,19 Secondo l 'energia efficace della sua
che l'uso frequente che Paolo ne fa nelle sue potenza (Katà ti!v ÈvÉpyuav tou Kpatouç
lettere), i quali godono già una condizione di tiìç loxuoç aùtou)- La traduzione letterale
salvezza (cfr. 2,6). reciterebbe: «secondo l'energia della poten-
1,19-20 Secondo l'energia ... che ha po- za della sua forza)), È un altro caso di con-
tentemente sprigionato in Cristo (Katù tTJV gerie, che rende ulteriormente ampolloso il
ÉvÉpyELav ... ~v ÈV~PYTJOEV Èv tQ XptotQ) discorso (cfr. la nota a 1,18-19).
-Alla lettera: «energia; .. che ha energizzato Grandezza (1J.ÉyE9oç)- È un hapax, cioè,
in Cristm). La ripetizione della radice EvEpy- compare in tutto il NT solo in questo testo.
crea un figura etimologica, la quale produce Potrebbe trattarsi di un termine ricercato.

visione universale dell'attività di Dio, il quale riversa su Gesù la (quasi) totalità


delle sue azioni (vv. 20-23). Per questo cambio repentino di linguaggio e il tenore
marcatamente teologico-cristologico dei vv. 20-23, alcuni esegeti hanno pure ipo-
tizzato che alla base ci fosse stato un inno o una professione di fede preredazionali
(in uso, cioè, tra i cristiani prima della stesura della lettera).
Risurrezione e ascensione (l ,20). La figura di Dio fa la sua comparsa con
un'azione potente, un vero e proprio dispiegamento della sua forza, effusa in due
tappe: nel risuscitamento di Cristo dai morti e nella sua intronizzazione celeste
(v. 20). La risurrezione di Gesù è un atto prettamente teologico: è il Padre che
prende l'iniziativa di far risorgere suo Figlio, strappandolo dalla condizione dei
morti (questa è una convinzione centrale nelle prime confessioni di fede: cfr.
l Ts l, l O; Rm 4,24; 8,11; l 0,9; Gal l, l; oppure col passivo divino: Rm 6,4; l Cor
15,4). Tuttavia Dio non ha semplicemente riportato Cristo alla vita di prima,
ma gli ha conferito uno status del tutto inedito. Ed ecco la seconda tappa: lo ha
innalzato accanto a sé nei cieli (cfr. Rm 8,34; Fil2,9; Col3,1). Il linguaggio per
esprimere quest'idea è mutuato dal Sal 110,1, che la rilettura cristiana ha inteso
come una profezia cristologica. L'invito di Dio, rivolto al re d'Israele nel giorno
dell'intronizzazione, di «sedersi alla sua destra», descriveva topograficamente la
collocazione del palazzo regale di Gerusalemme alla destra del tempio; i cristiani
ne hanno intravisto una descrizione prolettica (una sorta di anticipazione) degli
EFESINI l ,22 38

n6:cr11ç àpxfiç Kaì è~oucriaç Kaì òuv6:}le:wç Kaì Kupt6rrrroç Kaì navròç
òvé}lamç ÒVO}la~o}livou, où p6vov tv nf> aiwvt m6r(f) &:Mà KaÌ
tv T<f> }lÉÀÀovn 22 KaÌ mivra vnira(ev VJrÒ rovç n65aç aVX'OV KaÌ
aÙTÒV EÒWKEV KE<paÀ~v ÙnÈp nav-ra Tft ÈKKÀTJO'l~, 23 ~nç èonv TÒ
OW}la aù-roù, -rò nÀ~pwpa -roù -rànav-ra tv néiotv nÀTJpou}livou.

1,22 Sottomise tutto ai suoi piedi (miv-ra «al di sopra di tutte le cose>> come capo della
ùnha~Ev ùnò mùç n6oaç aù-roù)- Si tratta Chiesa; Dio donò Cristo come capo «soprat-
di una citazione di Sal8,7. tutto» alla Chiesa; Dio donò Cristo come
Capo di tutte le cose (KEqxxÀ~v ùnì:p miv-ra) capo «di tutte le cose» alla Chiesa. L'ordine
- Alla lettera: «capo al di sopra di tutte le sintattico e il significato contestuale depon-
cose>>. Oltre all'attestazione dell'universale gono a favore della terza opzione.
signoria di Cristo, affiora pure un'evidente 1,23 La pienezza di colui che compie tutte
sfumatura geografico-universale: Cristo è si- le cose perfettamente (-rò TTÀ~pWIJ.Il -roù -rèt
gnore del cosmo anche perché con l'ascen- n&vta Èv néioLv TTÀTJpOUj.lÉvou)- La tradu-
sione alla destra del Padre è collocato «al di zione letterale reciterebbe: «la pienezza di
sopriD> dell'intera realtà creata. Il sintagma colui che riempie tutte le cose sotto tutti gli
«al di sopra di tutte le cose>> ( ÙrrÈp mivca) può aspetti». Incontriamo qui un'altra figura eti-
avere tre significati: Dio donò Cristo che è mologica, resa dalla ripetizione della radice

effetti della risurrezione: l 'intronizzazione di Cristo alla destra del Padre, non più
nel palazzo terreno- ovviamente -ma nella reggia celeste. Ora, il fatto che Gesù
sia seduto a fianco al Padre indica la parità di condizione e di autorità. Il Risorto,
infatti, collocato alla destra di Dio, ne è il plenipotenziario e in qualche modo il
luogotenente anche nella sfera ultramondana.
La sovranità cosmica (l ,21 ). La sfera della sovranità del Risorto è illimitata.
Seduto nei cieli, Cristo è al di sopra di qualsiasi creatura, comprese tutte le en-
tità e Potenze celesti. Come a dire che, giunto al punto più alto del creato, non
incontra niente e nessuno che possa competere con la sua signoria universale. La
lista («ogni Principato, Autorità, Potenza e Dominazione»: v. 21) abbraccia tutte
le realtà invisibili di natura trascendente - angeliche o diaboliche (cfr. Ef 2,2;
6,12)- che popolavano e dominavano la cosmologia antica e di cui l'uomo aveva
paura. Le si potrebbero pure intendere come l'insieme di tutte quelle avversità che
minacciano seriamente la vita dell'uomo: le calamità della natura, la virulenza
delle malattie, le prepotenze e persecuzioni delle autorità politiche, le ostilità della
società, ecc. Se la sovranità cosmica di Cristo è illimitata sia in senso spaziale
sia in senso temporale («nell'era presente» e «in quella futura»), allora nulla può
spaventare o dominare il cristiano.
Sottomissione di tutte le cose a Cristo capo (l ,22). Sempre in Sal 11 O, l vi era
un altro augurio, indirizzato al re nel giorno della sua intronizzazione: la vittoria
sui nemici, «finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». Tale sottomis-
sione ne ha fatta ricordare una ancor più ampia: «sottomise tutto ai suoi piedh> (v.
22): non solo l'assoggettamento dei nemici, dunque, ma di tutta la realtà creata.
39 EFESINI l ,23

ogni Principato, Autorità, Potenza e Dominazione e ogni nome


che viene pronunziato non solo nell'era presente ma anche in
quella futura. 22E (Dio) sottomise tutto ai suoi piedi e lo donò
come capo di tutte le cose alla Chiesa, 23 la quale è il suo corpo, la
pienezza di colui che compie tutte le cose perfettamente.

11À'lP- (cfr. vv. 19-20). Va sottolineato pure celeste della divinità e degli eoni cui la
l'effetto pleonastico creato dall'insistenza creatura decaduta deve far ritorno. Nessun
sull'aggettivo «tutto» (;réiç: sei volte nei vv. panteismo, dunque. Designa piuttosto la
21-23): ovviamente serve per rendere l'idea sfera di influenza dell'azione di Cristo: la
della sovranità illimitata di Cristo. Chiesa appunto.
Pienezza (nl~pwfla)- Come apposizione Che compie (11Àflp01JfJÉvou)- Non è un par-
di awfliX («corpo>>), il termine è riferito alla ticipio passivo ma medio, e il soggetto è
Chiesa e non a Cristo e ha significato passi- Cristo. Quindi non bisogna intendere: Cri-
vo («pienezza») e non quello attivo («com- sto «compiuto» o ·«riempito», ma Cristo che
pletamento»). Pur divenuto in seguito un «compie».
termine tecnico dello gnosticismo, 11À~pWfl1X •:• l,lS-23 Testi affini: Fm 5; Col 1,3-4.9-
non sembra tradire qui alcun ascendente di 12; 1Ts 1,2b; 1Cor 15,24-25; Rm 12,4-5;
questo tipo; non indica, infatti, l'ambito 1Cor 12,12-30

Quest'ultima espressione deriva da Sal 8,6, di evidente sapore antropologico,


che dipinge la condizione dell'uomo quale vertice della creazione, ai piedi del
quale appunto tutto è stato assoggettato. Se Adamo è il custode/padrone di Eden,
e l'uomo è il signore del mondo, dal momento che Dio gli ha sottomesso ogni
essere vivente, allora Cristo, cui il Padre assoggetta tutto il creato, è il sovrano del
cosmo intero (ma questo l'autore l'aveva già detto in altri termini al v. 21). Non
solo. Egli è anche l'attuazione piena del sogno carezzato da Dio per l'umanità
intera fin dal primo uomo. Il Risorto è il compimento dell'umanità (Sal 11 O, l e
8,6 sono associati pure in 1Cor 15,25-27, con la differenza che il contesto non è
di escatologia realizzata e Paolo sta parlando della futura risurrezione dei credenti
e della non ancora realizzata sconfitta della morte).
Giunto a questo vertice cristologico, l'autore crea una sorta di colpo di scena:
tutta questa grandiosità di Cristo Dio la regala alla Chiesa! «Dio donò Cristo come
capo di tutte le cose alla Chiesa» (v. 22). L'azione potente di Dio non si arresta,
dunque, su Gesù, ma ridonda a vantaggio della comunità ecclesiale; intronizzato
alla destra del Padre, il Risorto, sovrano dell'intero creato («capo di tutte le cose»),
è donato alla Chiesa.
La Chiesa corpo e pienezza (1,23). Con la comparsa del termine s&ma («cor-
po»)- accanto al precedente kephali («capo/testa>>) -la metafora somatica appare
in tutta la sua completezza. Già in Rm 12,4-5 e lCor 12,12-30 Paolo utilizzava
l'immagine della Chiesa «corpo» di Cristo, facendo tuttavia comparire il «capo/
testa» al pari delle altre membra (cfr. lCor 12,21). Ora, però, similmente a Col
l, 18, la metafora si arricchisce di una novità: rispetto alla Chiesa suo «corpo»
EFESINI 2,1 40

2 KaÌ Ùl-téi<; ov-raç VEKpoùç -roiç napa1t"tWllaOW KaÌ -raiç


1

àllap-riatç Ùl!WV, 2 Èv alç no-rE nEptEna-r~cra-rE Ka-rà -ròv aiwva


TOU KOO'l!OU TOUTOU, Ka-rà TÒV apxov-ra -rfiç È~oucr{aç TOU à:€poç,
-rou nvEullaTOç -rou vuv ÈvEpyouv-roç Èv -roiç uioiç -rfiç à:nEt8Eiaç·

Il 2,1-10 Testi paralleli: Col2,12-13; 3,7; tore talora si permette (come nel linguaggio
Rm 3,23-24 parlato, creando così un rapporto diretto coi
2,1 Anche voi (K!Ù ÙiJ.iiç) - Il discorso ini- lettori). Probabilmente è da connettersi con
zia con un accusativo Ùfliiç («voi») senza un l' «anche noi tutti» (Ka:l ~iJ.Elç ntiv-t"eç) del
verbo che lo regga: fino al v. 3 si tratta, in- v. 3, nel quale autore e lettori vengono così
fatti, di un anacoluto, cioè di una mancanza associati, trovandosi nella medesima situa-
di sostegno grammaticale all'elemento con zione di peccato.
cui si comincia una frase, il quale rimane 2,2 Viveste (nepLena:cT)oa:ce) - Il verbo
così senza un appoggio sintattico congruen- nepL na:cÉw, «camminare», nel linguaggio
te. L'anacoluto è dovuto o alla difficoltà di biblico denota la condotta di vita (cfr. 2,10;
padroneggiare le strutture sintattiche del pe- 4, l.l7; 5,2).
riodo, o· alle libertà grammaticali che l'au- A/l 'influsso di questo mondo ('tÒv a:twva: 'toil

Cristo è il «capo» (cfr. anche 2,16; 3,6; 4,4.12.15-16.25; 5,21-33). Questa inno-
vazione introduce molte sfumature riguardo sia allegarne vitale che intercorre tra
la Chiesa e Cristo, sia alla loro distinzione. La Chiesa corpo è saldamente unita a
Cristo, dipendendo e traendo la vita da Lui; tra i due s'è stabilita cosi una sorta di
circolarità/reciprocità di vita. Tuttavia, Cristo capo, strettamente congiunto alla
sua Chiesa e al contempo distinto da lei, esercita Lui solo il dominio sull'universo.
La Chiesa dunque non coincide con Lui ed è messa, per così dire, al riparo dal
rischio di un eccessivo grado di esaltazione e identificazione con Lui: è, sì, il suo
corpo, ma Cristo in quanto capo la trascende.
Questa sottolineatura permette pure di precisare l'esercizio stesso della signoria
di Cristo: il suo potere ha solo nella Chiesa la sua sfera di influenza più esplicita.
Solamente lei è il «corpo» di Cristo; il cosmo no, o comunque non ancora. Al
contempo, però, la Chiesa non è la zona esclusiva di influenza del Cristo, la cui
sovranità travalica i confini ecclesiali: egli è «capo di tutte le cose». Il potere
sovrano di Cristo si estende sull'intera realtà creata. Curioso quindi il fatto che
da un'ecclesiologia così "forte" (unione tra Cristo e Chiesa) emerga pure un'in-
tenzionalità sovraecclesiale e universale (distinzione tra Cristo e Chiesa). Si può
osservare, inoltre, che, se la metafora del corpo in Rm 12,4-5 e 1Cor 12,12-30 si
riferiva alla singola comunità cristiana, qui assume invece una chiara accezione
universale: «corpo» di Cristo non è più un gruppo di credenti di una località cir-
coscritta, ma la Chiesa tutta, considerata nella sua globalità.
Infine, si può pensare a un'azione di Cristo che raggiunge tutte le cose, ma
che ha la sua piena visibilità storica nella Chiesa: lei sola, infatti, è il suo pliroma
(«pienezza»), l'ambito dove la sua azione sovrana si esprime compiutamente (v.
23). Essa, infatti, viene via via descritta come oggetto della grazia predestinatri-
41 EFESIN12,2

2 1Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri


peccati, 2nei quali un tempo viveste adeguandovi
all'influsso di questo mondo, secondo il principe del regno
dell'aria, lo spirito che ora agisce negli uomini disobbedienti,

Koo~ou ·wutou)- Il termine atwv («eone») uio1ç tf]c; à.nH!le(aç) - Insieme a «influsso
indica un'azione di influenza e di suggestio- (atwv) di questo mondo», sono epiteti di-
ne, resa in traduzione con «influsso». Con versi fra loro, che tuttavia confluiscono nel
tale concetto s'intendeva una delle fasi in cui descrivere un 'unica entità malvagia. Si tratta
si suddivideva il tempo; in particolare per il sempre del diavolo, del quale si elencano le
pensiero apocalittico quella attuale è un'epo- sfere d'influenza mediante circonlocuzioni
ca personificata cattiva, un «eone» maligno, elaborate (cfr. la somiglianza di linguaggio
che in qualche modo condiziona gli uomini. con Gv 12,31: ò lipxwv <ou Koo~ou toutou:
Principe del regno dell'aria ... spirito che «principe di questo mondo»).
agisce negli uomini disobbedienti (tòv Uomini disobbedienti- È un semitismo. Alla
apxovta tfìç lcçouo(aç toiì ocÉpoç, toiì lettera: «figli della disobbedienza» ( uloì. tf]ç
1TVE:U!-L«<oç toiì viìv Évepyoiìv<oç Év <o1ç cinH9daç).

ce in Cristo (1,5.11) e della sua redenzione (1,7-8), traguardo della sua opera di
riconciliazione (2,14-18; 3,6), beneficiaria dei suoi doni (4,7-12), recettrice della
forza che la fa crescere (4, 16), sua sposa ( 5,21-33 ). Cristo è signore dell'universo,
e sta portando a pienezza tutte le cose, ma il vertice della sua iniziativa, il p/Ùoma,
è la Chiesa, alla quale riserva il meglio delle sue attenzioni.

2,1-22 La condizione dei credenti: salvati e riconciliati tra loro


L'argomentazione riprende la tonalità del discorso diretto (v. l) e tocca da
vicino la situazione dei credenti, mettendo a confronto la condizione di un tempo
con quella attuale (cfr. gli avverbi «un tempo»l«ora»). Al centro c'è l'iniziativa
divina: la salvezza per pura grazia (vv. 1-10) e l'efficacia della croce, che realizza
l'unione reciproca tra cristiani provenienti dal giudaismo e quelli dal paganesimo
(vv. 11-22).
2,1-10 Salvati per grazia
L'autore senza giri di parole ricorda ai credenti la situazione di morte spirituale,
nella quale versavano per la loro condotta peccaminosa: erano «morti per i pec-
cati» (v. l). Tale considerazione "irriguardosa", però, funge da premessa negativa
alla splendida affermazione contraria: «ma Dio ci ha fatti vivere» (v. 5). Questa
connessione tra peccato e morte è un dato acquisito nella Scrittura (cfr., p. es.,
Gen 3,3-4; Sap 2,24; Sir 25,24; Rm 5,12-21; 7,9-13; 1Cor 15,56).
Tale condizione di peccato, poi, è compresa non solo a partire dalla responsa-
bilità personale ma considerando pure i condizionamenti sovraumani attuati dal
diavolo. Il demonio, infatti, pur dimorando nelle regioni celesti, può influenzare
l 'uomo sulla terra ed è particolarmente attivo in coloro che disobbediscono a Dio.
Anche le varie denominazioni (aiiin, archiin, pneuma: v. 2) potrebbero essere il
EFESINI 2,3 42

oiç KaÌ ~}lEi<; l[(XVTfç à:veorpaq>fJ}.lÉV ltOTf ÈV raiç


3 ÈV

Èm9u}.ltatç rfjç oapKÒç ~}.lWV notouvreç rà 9eÀ~}.lara rfjç


oapKÒç KaÌ TWV ÒtaVOlWV, KaÌ ~}.lf9a TÉKVa q>UOfl Òpyfjç
wç KaÌ OÌ Àomo{· 4 Ò Òf: 9eòç ltÀOUotOç WV ÈV ÈÀÉEl, ÒlcX T~ V
ltOÀÀ~V à:yanfJV aÙTOU ~V ~yanfJOEV ~}.léiç, 5 KaÌ ovraç ~}.léiç
VfKpoÙç roiç napaltTW}.laOlV OUVE~WOltOlfJOfV nj:> XplOT<j}, -
xaplTl ÈOTE OEO(f>O}.lÉVOl- 6 KaÌ OUV~YElpEV KaÌ OUVEKa9tOEV

2,3 Meritavamo l'ira- Si tratta di un al- 2,5-6 Ci ha fatti vivere assieme a Cristo ...
tro semitismo. Alla lettera: «figli dell'ira» e ci ha fatti risorgere e sedere assieme (a
(t~Kva Òpyiìç). Il tema dell'6pyii di Dio (l'ira lui) (ouv~(WOT!OLT]OEV tQ Xp~otQ ... Kal
divina) è ben attestato nella Bibbia. Nell' AT ouv~yHpEv Kal ouvE'Ka9~oEv l:v XptotQ
è la reazione di Dio quando vede tradito il 'IT]Ooiì) - La traduzione letterale permette di
suo amore per Israele. Per il NT cfr., p. es.: cogliere come queste forme verbali, assai ra-
Col3,6; Rm 1,18; 2,5.8; 3,5; 4,15; 9,22; lTs re in greco, presentino ripetutamente il pre-
1,10; 2,16; Mt 3,7; Gv 3,26; Ap 6,16; 11,18; fisso «con» (ouv-): «ci ha fatti con-vivificare,
14,10; 19,15. con-risuscitare, con-far-sedere con Cristo».

tentativo di sintetizzare la complessità di questa figura. Che il diavolo sia già


assoggettato alla sovranità di Cristo il credente lo sa (cfr. l ,21 ), tuttavia ne perce-
pisce ancora gli influssi malvagi sulla propria vita. Dunque, pur consapevole della
vittoria già avvenuta sul maligno, il credente è conscio della necessità di doverlo
combattere ancora (cfr. l'armatura di 6, l 0-17). Il tema della disobbedienza, poi,
che riecheggia alcuni passi dell' AT (p. es., N m 11,20; 14,43; Dt 1,26; 9,7), qui
non è ristretto al solo Israele, ma abbraccia tutti: è l'atteggiamento di chiunque
rifiuti l'annuncio evangelico.
Meritavamo l 'ira (2,3). Tutti, infatti, sono accomunati da una situazione pec-
caminosa di partenza, in cui si manifesta la disobbedienza a Dio: una condotta
morale riprovevole, riconducibile ai desideri della carne e delle intenzioni cattive
(cfr. 5,3; ma anche Gal 5,16.24; Rm 7,5; 13,14). Non viene presa in considera-
zione la fragilità umana, ma l'opposizione a Dio, che suscita in lui la collera. Ora
l'espressione letterale «per natura figli dell'ira)) rende l'idea della reazione divina
davanti al male: egli non lo può tollerare e per questo s'adira. Il tema della collera
divina trova particolare sviluppo nei primi tre capitoli della lettera ai Romani, nei
quali l'ira è il risvolto della giustizia retributiva divina, anche se non si realizza
con una punizione diretta da parte di Dio, ma si manifesta all'interno del peccato
stesso dell'uomo, compreso quale sanzione che in qualche modo l'uomo commina
a se stesso nel bel mentre lo compie; a questa giustizia retributiva (Dio premia i
buoni e punisce i cattivi) farà seguito la giustizia evangelica annunciata in Cristo
(tutti sono peccatori ma tutti ricevono l'offerta gratuita del perdono: Rm 3,23-24).
Sorge, poi, un problema nella comprensione dell'espressione «per natura»
(physei). Si allude, forse, a una connaturalità dell'uomo con il peccato? Non
43 EFESINI2,6

3fra i quali anche noi tutti un tempo vivevamo tra le passioni


della nostra carne, acconsentendo ai desideri della carne e delle
intenzioni (cattive), e per natura meritavamo l'ira come gli altri;
4ma Dio, che è ricco di misericordia, per il grande amore con

cui ci ha amati, 5nonostante fossimo morti per le (nostre) colpe,


ci ha fatti vivere assieme a Cristo,- per grazia siete salvati!-
6e ci ha fatti risorgere e sedere assieme (a lui) nei cieli in

Questa enfasi concentra tutta l'attenzione petizione della sillaba Ev: ouVE(W01TOLTJOEV Èv
sull'esito di queste azioni: l'associazione t4ì Xpwt4ì), oppure per la frequenza della
del cristiano «con» Cristo. formula Èv Xp wtQ che tra l'altro segue pure
2,5 Assieme a Cristo (t4ì X pLOt4ì) - La va- gli altri due verbi del v. 6.
riante «nel Cristo» (Ev t4ì XpLot4ì) rispetto Per grazia siete salvati 6:1ipL d ÉotE
a «con Cristo>> (t4ì XpLot4ì) è ben attestata: oE04JOfl~VoL)- La perifrastica è resa con
papiro Chester Beatty II (~46), codice Vati- il participio perfetto passivo OEOU)Ofl~VOL
cano (B), Vulgata (nell'edizione Clementina: («salvati>>), che evidenzia l'iniziativa divina.
vg" 1) e altri. È spiegabile o per dittografia (ri- L'espressione ricorre pure al v. 8.

sembra che l'autore desideri spingersi in una speculazione circa l'origine del male
nell'uomo. Né si può pensare di reperire qui una prova della dottrina del peccato
originale, così com'è stata elaborata successivamente. Piuttosto si può ammettere
che con il tema del peccato originale tale espressione condivide uno dei dati di
fondo: l 'umanità si trova sommersa in una storia di peccato e non può venirne
a capo se non per pura grazia. Con le sue sole forze l'uomo non ce la può fare.
Ancora una volta, allora, l'autore sottolinea le tinte negative delle premesse per
far risaltare la bellezza dell'esito finale: «per natura meritavamo l'ira>>, ma «per
grazia siete salvati>> (v. 5; tale contrasto ricorda da vicino le parole già accennate di
Rm 3,23-24: «Tutti, infatti, peccarono e sono privi della gloria di Dio, e vengono
giustificati gratuitamente per suo favore, mediante la redenzione che si trova per
mezzo di Gesù Cristo»).
La congiunzione avversativa «ma» (dé: 2,4) crea uno stacco. Serve a mettere in
risalto il capovolgimento motivato esclusivamente dall'eccesso di amore e di mise-
ricordia da parte di Dio. Egli colloca i credenti a un livello inimmaginabile: dall'ira
ora sono passati alla gloria, giungendo a condividere la condizione del Risorto.
Si viene a creare così un vincolo tale da rendere il cristiano pienamente partecipe
della vita di Cristo, della sua risurrezione e addirittura della sua intronizzazione
nei cieli (cfr. in 2,5-6 la scansione dei verbi «con-vivificare>>, «con-risorgere»,
«con-far-sedere»). Ci si trova davanti a un eccesso di ottimismo soteriologico, che
va sotto il nome di «escatologia realizzata»: i cristiani, pur ancora inseriti nelle
traversie di questo mondo, sono associati al Risorto, e in questo modo assapora-
no e godono anticipatamente il traguardo finale cui il loro capo è già approdato
(cfr. la questione dell'escatologia nell'Introduzione). Da notare come il sintagma
EFESINI2,7 44

€v miç f.noupaviotç €v Xptcrr~ 'Ir)crou, 7 tva è:vòdçr)rat €v roiç


aiwcrtv roiç €nepxo~Évotç rò ùnep~aÀÀov nÀouroç rfjç x<iptroç
aùrou è:v xpr)crr6rr)n €cp' ~~éiç f.vXptcrr<f> 'Ir)crou. 8 Tfi yò:p x<iptri
fOTE OEO(f>O~ÉVOt ÒtÒ: ntOTEWç· KaÌ TOUTO OÙK f.ç Ù~WV, 8EOU TÒ
òwpov· 9 0ÙK tç Épywv, tva ~~ nç Kaux~Or)Tat. 10 aùrou y<ip €cr~Ev
noir)~a, Kncr8Évreç €v Xptcrr<f> 'Ir)crou è:nì Épyotç ciya8oiç olç
npOr)TOt~aOEV b 8Eoç, lV a ÈV aÙroiç nEptnaT~OW~V.
11 ~tÒ ~Vr)~OVEUETE OTt noTÈ Ù~Eiç TÒ: É8Vr) fV crapKt,

2,7 Nelle epoche future (Év -rolç a.lW<Jw tolç XPflOTOTflTL é4l' fvuiç)- Nel!' originale la fra-
EonEPX~ÉvoLç) - Alla lettera: «negli eoni fu- se è decisamente ridondante: «la traboccante
turi». L'accezione negativa che a.lwv aveva ricchezza della sua grazia mediante la sua
al v. 2 qui non compare. bontà verso di noi».
La traboccante ricchezza della sua gra- 2,10 Opera sua, creati ... - Il termine
zia, (riversata) con bontà su di noi (TÒ noLfliJ.U («opera») e il participio Kna9ÉvTEç
ùnEp~ÀÀov nÀou-roç -rnç xttpL-roç a.ù-rou év («creati») rinviano alla creazione di Ada-

inclusivo «in Cristo» (en Christ3i) e le formulazioni verbali associative, rese con
il prefisso syn- («con»; reso in traduzione con «assieme»), vengano intrecciate
in modo tale da dare ancor più enfasi espressiva all'idea dell'unione vitale dei
credenti con Cristo.
Se, poi, al v. 2 si diceva che l'uomo era influenzato da un'«epoca» cattiva
(ai6n, inteso come personificazione malvagia; cfr. nota filologica), ora si annuncia
una situazione capovolta (v. 7). Alle «epoche future» si proclama che l'uomo è
oggetto di una bontà esagerata da parte di Dio (il termine ai6n qui non è più usato
in senso personalizzato). La menzione di «epoche future» mitiga un po' il concetto
di un'escatologia totalmente realizzata e apre a esiti non ancora raggiunti.
Salvati per grazia (2,8). Nessun presupposto, potenzialità, merito o talento
umano può spingere Dio a offrire all'uomo la salvezza. Semplicemente la dona
«per grazia», motivato esclusivamente dal suo amore indeducibile (la stessa af-
fermazione compare al v. 5). Alla gratuità della salvezza, poi, s'accompagna la
necessità delle buone opere; si è salvati, ma questa condizione non concede nes-
suno spazio al disimpegno. L'etica, così, si profila come conseguenza della grazia:
l 'uomo può compiere le opere buone perché Dio fa in modo che questo avvenga.
Lo statuto del cristiano, infatti, dipende da un atto creativo di Dio: «Siamo, infatti,
opera sua, creati in Cristo Gesù». Questi versetti richiamano alcuni temi paolini:
la giustificazione non per le opere della legge (cfr. , p. es., Rm 3,28 e Gal2,16),
la vita del cristiano come opera di Dio (cfr. 2Cor 5, 17) e l'esclusione del vanto
(cfr., p. es., Rm 3,27 e lCor 1,29).
2,11-22 Giudeocristiani ed etnocristiani riconciliati nel corpo di Cristo
Compare ora una tematica nuova: la relazione tra pagani e giudei, che viene
ridefinita e superata da Cristo. L'estraneità dei pagani dalla cittadinanza di Israele
45 EFESINI 2, Il

Cristo Gesù, 7per dimostrare nelle epoche future la traboccante


ricchezza della sua grazia, (riversata) con bontà su di noi in
Cristo Gesù. 8Per grazia, infatti, siete salvati mediante la fede,
e questo non (viene) da voi ma è dono di Dio, 9né (viene) dalle
opere, perché nessuno se ne vanti. 10 Siamo, infatti, opera sua,
creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto
perché vivessimo in (coerenza con) esse.
n Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne,

mo: cfr., p. es., Gen l ,26-27 e Sap 2,23. 5. Si verifichi anche lCor 3,10
Perché vivessimo in (coerenza con) esse ((va 2,11 Pagani nella carne (tà E9V11 Èv ocxpK()
~v cxùtoi.ç nE'p~ncxt~OWJ.1E'V)- Nell'originale -L'espressione designa tutti i non giudei.
emerge l'uso del verbo nE=p~ncxtEi.v col senso La denominazione «paganh) ha un'accezio-
di «comportarsi»: «perché camminassimo in ne negativa, ma viene ugualmente utilizzata
esse» (cfr. nota a 2,2; 4,1,17; 5,1). perché la traduzione letterale «genti nella
Il 2,11-22 Testi paralleli: Coll,21; Rm 9,4- carne» sarebbe difficilmente comprensibile.

(vv. 11-12), viene capovolta in concittadinanza coi santi e familiarità con Dio
(vv. 19-22), grazie all'opera di riconciliazione ottenuta dalla croce di Cristo (vv.
13-18).
La condizione precedente degli etnocristiani: l'estraneità (2, 11-12). La de-
scrizione della situazione passata dei cristiani provenienti dal paganesimo - cui
l'autore si rivolge direttamente: «voi»- è ottenuta mediante il procedimento
letterario definito dagli studiosi mirror-image («immagine a specchio»), a partire,
cioè, dal punto di vista giudaico. Le peculiarità di cui Israele godeva erano precluse
ai pagani e il segno più evidente della distinzione è la circoncisione. Quest'ul-
tima è un'impronta visibile nella carne, che, indicando l'appartenenza a Israele,
denomina automaticamente tutti gli altri come «non circoncisi». Tale incisione
fisica, tuttavia, viene fortemente relativizzata, sia perché si tratta di una semplice
denominazione verbale («soprannominati ... quelli che si diconm>), sia perché è un
segno prodotto dagli uomini a un livello puramente carnale (en sarkz), superficiale
dunque, che non è in grado di toccare le profondità della persona. Comunque, a
questa prima carenza dei pagani (l 'incirconcisione) ne vengono aggiunte altre. La
prima: essi erano «senza Cristm>, privi cioè delle aspettative messianiche. L'autore
sa che il Cristo di Israele è ormai identificato con Gesù; solamente si pone nella
prospettiva delle attese del giudaismo, che i pagani non potevano certo coltivare.
La seconda: esclusi dalla «cittadinanza>> di Israele, cioè da quel sistema religioso
e culturale, che, in particolare durante l'ellenismo, permetteva di riconoscersi ap-
partenenti al popolo eletto, pur senza risiedere entro i confini territoriali di Israele.
Ovviamente questo esclude i pagani pure dai «patti della promessa», cioè dagli
impegni di Dio a favore del suo popolo. La terza: «senza speranza». Privi, quindi,
della possibilità di ottenere quella salvezza, che era oggetto delle attese di Israele.
EFESINI 2,12 46

oi Àe)'Ol!EVOt àKpo~ucrria ùrrò rfjç ÀE)'Ol!ÉVflç rrEpttollfiç Èv


crapKÌ XEtporrOt~tOU, 12 on ~tE t4> Katp4> ÈKElV(f> xwpìç Xptcrrou,
à1tf1ÀÀorptWllÉVOl rfjç rroÀtrdaç rou 'Icrpa~À Kaì ~évot rwv 8ta8f1KWV
rfjç ÈrrayyEÀ{aç, ÈÀrr18a ll~ eyovrEç KaÌ a8EOl Èv t4> KOO"ll(f>·
13 vuvì 8è: Èv Xptcrt4> 'lf1crou Ùl!Eiç o! notE ovrEç llaKpà:v ÈyEV~8fltE

èyyùç èv r4> al'llan rou Xptcrrou. 14 Aùròç yap Ècrnv tì Eip~v11 JÌllwv,
ò rrm~craç rà: àl!<p6tEpa ev Kaì rò l!Ecr6rmxov rou cppawou Àucraç,

Soprannomi nati «non circoncisi>> (o L minata la parte fisica per indicare il tutto;
ÀE'YD!!EVOL liKpo~uot(a) - Alla lettera: o più precisamente la causa (l'incisione)
«soprannominati "prepuzio"». Sono i non per definire l'effetto (appartenenza a
appartenenti al popolo eletto, privi ap- Israele).
punto della circoncisione. La definizione Quelli che si dicono «circoncisi» {tfìç
è resa con una metonimia, cioè viene no- ÀEYOI!ÉVTJç 1TEpL to~-tfìç)- Alla lettera: <<so-

La quarta: «senza Dio» (atheoi), non tanto nel senso elaborato dall'ateismo mo-
derno, quanto piuttosto di una lontananza da Dio di tipo esistenziale; forse si può
intendere pure la mancanza del monoteismo israelitico. Fin qui, dunque, i motivi
di separazione interetnica. Si vedrà come il superamento di queste distinzioni
non consiste nella comparsa di un nuovo popolo, risultante dalla somma dei due,
ma nella realizzazione di una realtà che trascende le distinzioni etnico-religiose.
Questo per quel che riguardava il passato («un tempo»,poté: 2,11).
Riconciliazione in Cristo (2,13-18). «Ora invece» (nunì dé: 2,13) le cose non
stanno più così, dal momento che Cristo ha eliminato le divisioni, perché grazie
alla sua croce (<<sangue») la lontananza dei pagani da Israele e da Dio è stata supe-
rata. Egli poi non è semplicemente colui che fa opera di pacificazione tra pagani e
israeliti, ma è la pace per antonomasia (forse sulla scorta di alcuni testi messianici:
Is 9,5 e Mi 5,4). Il tema sta particolarmente a cuore all'autore, perché il termine
«pace» (eiriné) è ripetuto ben quattro volte. L'esclusione dei pagani non è stata
superata grazie alla loro incorporazione in Israele, infatti, si afferma non l'acco-
glienza dei pagani nel popolo eletto, ma di entrambi - pagani e israeliti - in una
realtà inedita, sovraetnica. Il linguaggio è rivelatorio: l'autore descrive l'esito della
riconciliazione in modi diversi: «una sola cosa» (v. 14), «un solo uomo nuovo»
(v. 15), «in un solo corpo» (v. 16), evitando accuratamente di usare la formulazio-
ne «popolo nuovo». L'argomentazione svolge una pars destruens, in cui Cristo
distrugge ogni elemento di demarcazione etnico-religiosa, annullandone qualsiasi
efficacia discriminante (viene demolito il «muro divisorio», abrogata la «legge»,
uccisa l' «ostilità») e una construens, in cui Cristo crea la realtà nuova riconciliata
(«fare» una cosa sola, «creare» l'uomo nuovo, «riconciliare» in un solo corpo).
Curiosa l'assenza di qualsiasi accenno alla risurrezione: è con la morte che Cristo
47 EFESINI 2,14

soprannominati «non circoncisi» da quelli che si dicono


«circoncisi» a causa di un intervento nella carne, 12eravate in quel
tempo senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza di Israele ed estranei
ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo.
130ra, invece, in Cristo Gesù voi, che un tempo eravate lontani,

siete diventati vicini nel sangue di Cristo. 14Egli, infatti, è la


nostra pace, colui che dei due ha fatto una sola cosa e ha
demolito il muro divisorio, cioè l'ostilità, nella sua carne,

prannominati "circoncisione"». È il me- mette di intuire come si insista sulla di-


desimo fenomeno linguistico rinvenuto mensione solamente umana della circon-
nell'espressione precedente: la metoni- cisione: «nella carne per mani d'uomo».
mia. 2,14 Il muro divisorio (tò 1-!EOOtOLXOV toil
Intervento nella carne (Èv oapKl XHpo- cjlpay1-1oil) -Alla lettera: «muro di mezzo
1IOL~tou) - La traduzione letterale per- della separazione».

opera la riconciliazione, uccidendo la stessa ostilità. La riflessione staurologica


(relativa alla croce, stauros) arriva qui a maturazione, perché la morte stessa di
Cristo esprime la forza attiva della creazione: trasforma due popoli, trascende le
loro distinzioni etniche e sociologiche e crea l 'uomo nuovo, cioè la Chiesa.
La sequenza dell'argomentazione segue uno schema fisso lungo tutta la peri-
cope: il passaggio da due a uno:

azione dualità unità


2,14 ha fatto dei due una sola cosa
2,15 per creare dei due un solo uomo nuovo
2,16 riconciliare entrambi in un solo corpo
2,18 abbiamo accesso entrambi in un solo spirito
Alcuni autori hanno ipotizzato che per lo stile solenne e la cadenza ritmica
dietro ai vv. 14-16 (o 14-18) ci sia una composizione innica preredazionale (pre-
cedente la stesura della lettera). Altri, più semplicemente, riconoscono un elogio
a Cristo pacificatore elaborato dall'autore stesso.
Fra le altre cose - si diceva - viene demolito il «muro di mezzo della sepa-
razione)} (questa la traduzione letterale: 2,14). Di quale muro divisorio si parla?
Molto s'è discusso tra esegeti e le soluzioni ipotizzate sono così riassumibili: a)
espressione puramente metaforica, che indica la separazione in quanto tale, senza
alcun riferimento a realtà concrete; ma si tratterebbe di una soluzione così generica
che non offre alcun chiarimento all'argomentazione; b) la barriera cosmica inter-
posta tra il mondo celeste e quello terreno; ma questo elemento mitologico, tratto
dalle speculazioni gnostiche successive, è del tutto estraneo al contesto di Efesini;
c) la balaustra che nel tempio di Gerusalemme impediva ai pagani l'accesso ai
cortili riservati ai figli di Israele (forse quella menzionata in 1Mac 9,54); d) la
EFESINI 2, 15 48

nìv €x8po:v Èv Tfi oo:pKÌ o:ìnoù, 15 -ròv v6pov rwv ÈvroÀwv Èv


ÒOYJlO:OlV Karo:py~oaç, tva roùç òuo Krion èv aùr<f> Eiç f.va Katvòv
èiv8pwnov notG>v dp~vYJv 16 Ko:Ì ànoKo:raMaçn roùç àp<por€pouç
Èv ÈvÌ owpan T<f> Se<f> òtà: TOÙ oraupoù, ànOKTEivaç nìv €x8pav
Èv aùr<f>. 17 Kaì èÀSwv EÙYJYYEÀioo:ro Eip~VYJV ùpiv roiç paKpà:v
KO:Ì EÌp~VYJV roiç èyyUç· 18 on òt' O:ÙTOÙ EXOlJEV nìv npooo:ywy~v oì
àp<p6repot Èv èvì nvEupan npòç ròv nar€po:.

:Z,15 Con (i suoi) precetti (Èv ooyjJOOw)- Non tWV ÈvtOÀ.WV Èv OOyjJOOLV («la legge dei pre-
compare nel papiro Chester Beatty II (sp46) e cetti nei decreti))) è chiaramente pleroforica.
nella Vulgata, ma non sembra una glossa, dal Per creare ... un solo uomo nuovo - Il verbo
momento che lo stile ridondante di Efesini Kt((w («creare))) assieme al complemento
ama tornare su alcuni termini mediante accu- oggetto KULVÒV avGpW'ITOV («UOmO nUOVO)))
mulo di sinonimi. Infatti, la frase tòv v4.Lov richiamano la creazione di Adamo (cfr.

Legge, che per salvaguardare i tratti peculiari dell'identità religiosa, poteva esser
percepita come motivo di separazione e causa di conflitti; nella società del tempo,
infatti, gli israeliti pativano discriminazioni e ostilità. Le soluzioni c) e d) sono
quelle che più convincono: innanzitutto perché i vv. 14-15 mettono in continuità
la demolizione del muro con l'abrogazione della Legge e poi perché il sistema di
separazione cultuale vigente al tempio era stabilito proprio dalla Legge, quindi un
reciproco richiamo tra muro divisorio e Legge era assai probabile.
L 'abrogazione della Legge e la creazione de/l 'uomo nuovo (2, 15-16). L'afferma-
zione più ardita, che non si ritrova nelle homologoumena, cioè le lettere autentiche di
Paolo, è l'abrogazione della Legge (cfr., p. es., Rm 7,4.6; Gal2,19; e anche Eb 7,18;
anzi cfr. Rm 3,31 !). L'autore ha in mente la Legge mosaica, con la sua ampia artico-
lazione in precetti e osservanze, che come complesso sistema di regole è soppiantata
dalla salvezza di Cristo. Ora la via per l'accesso a Dio non è più la Legge ma Cristo
(cfr. 2, 18). Essa è espunta come motivo di distinzione e di conflitto non in quanto
tale (nella lettera ci sono alcune citazioni esplicite e diversi richiami all' AT, che
rimane dunque normativo per la fede cristiana; cfr., p. es., 1,22; 4,8 e 5,31; 6,2-3).
L'autore non si limita ad affermare l'azione riconciliatrice di Cristo, ma la
dipinge con il linguaggio protologico della creazione (la protologia è il discorso
relativo alle origini), e, più precisamente con espressioni che riecheggiano la
creazione di Adamo. Cristo trae da due popoli la Chiesa, come Dio ha tratto dalla
terra il primo uomo. Cosicché dall'alto della croce Cristo è creatore dell'umanità
nuova, riconciliata. Si tratta di un riconoscimento altissimo, che attribuisce a
Cristo un'attività esclusiva di Dio: è una delle prove di quel fenomeno presente
in Efesini che va sotto il nome di teologizzazione della cristologia: la figura di
Cristo assume sempre più le prerogative di Dio.
Venendo ha annunciato pace (2, 17). L'annuncio della pace riecheggia i passi di
ls 52,7 e 57,19, dei quali i presenti versetti si profilano come un midrash cristiano
49 EFESINI 2,18

15avendo abrogato la legge dei comandamenti con i (suoi)


precetti, per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo,
facendo la pace, 16e per riconciliare entrambi con Dio in un solo
corpo mediante la croce, avendo ucciso l'ostilità in se stesso.
17E venendo ha annunciato pace a voi lontani e pace ai vicini;
18perciò grazie a lui possiamo entrambi avere accesso in un solo

spirito al Padre.

Gen 1,27; 2,7; Sap 2,23 e Sir 17,1; 33,10). be sulla medesima significazione ecclesiale.
2,18 In un solo spirito (É:v ÈvÌ. TIVE'quxn) - Di D'altra parte non si può escludere che, in conti-
quale spirito di parla? Dello Spirito Santo o nuità con l'andamento trinitario dell'eu/oghia
dello spirito ecclesiale? Essendo in parallelo di l ,3-14 e con la menzione dello Spirito al v.
con il sintagma «in un solo corpo» (v. 16), che 22, si voglia richiamare proprio lo Spirito Santo.
designa la Chiesa, l'espressione si collochereb- Entrambe le soluzioni sono quindi sostenibili.

(una spiegazione di testi dell'AT alla luce di Cristo). Ma di quale venuta si tratta?
Quand'è che Cristo con il suo arrivo ha annunciato la pace? Molteplici le discussioni
e le soluzioni ipotizzate per la comprensione del verbo <<Venire»: a) una predicazio-
ne anteriore all'incarnazione; mai però l'autore allude a un momento della storia
d'Israele in cui collocare tale attività di Cristo prima della sua vicenda terrena; b)
l'incarnazione stessa come annuncio di pace; ma l'interesse della lettera verte più
sull'esito finale, e il contesto immediato si concentra sulla morte di Gesù: non sembra
che le vicende di Gesù di Nazaret catturino l'attenzione dell'autore (forse un accenno
lo si può intuire solo in 4,21); c) la vita terrena di Gesù come predicazione; tuttavia
vale anche in questo caso quanto detto nel punto precedente; d) la risurrezione stessa
come annuncio; ma la venuta sarebbe allora successiva alla morte, mentre il contesto
ce la mostra concomitante; e) la venuta di Cristo contemporanea alla discesa/venuta
dello Spirito, il quale anima e accompagna la predicazione apostolica; tuttavia non
sembra che l'autore abbia in mente due venute diverse avvenute nello stesso momen-
to; t) la venuta di Cristo nell'evento stesso della predicazione, in quanto oggetto e al
contempo artefice della predicazione; ma nel contesto gli annunciatori non appaiono
né in modo esplicito, né tantomeno per allusione; g) l'arrivo del Risorto al di sopra
della barriera cosmica, inteso come un annuncio alle realtà cosmiche celesti; ma più
che di una "venuta" bisognerebbe parlare di un '"ascesa" (quest'ultima congettura
è troppo debitrice dello gnosticismo, fenomeno culturale e religioso che si precisa
molto dopo la fase neotestamentaria); h) la croce stessa potrebbe palesarsi come un
annuncio; ma allora non si comprende la funzione di elth6n (<<Venendo»): in che
modo la crocifissione può essere compresa come arrivo, venuta?
Come si può notare nessuna delle proposte è risolutiva. Gli esegeti propendono
per la c) e la t). Probabilmente bisogna rispettare la sequenza delle affermazioni in
cui il verbo <<Venire» è incastonato, le quali, se da una parte si concentrano, sì, su
un evento, quello della croce, dali' altra trascendono la pura oggettività delle singole
EFESINI 2, 19 50

19'1\.pa: oòv oùKén È:o"tÈ ~évot Ka:Ì mi:potKOl à:Mà: f:crrÈ cru}lnOÀi'ra:t
t'WV ày{wv K<XÌ OÌKElOl TOU 8EOU, 20 È:1tOlKO~O}ll18ÉVTEç È:nÌ t'Q
8E}lEÀl<p t'WV ànocrroÀwv Ka:Ì npOq>llTWV, ovroç Ò:Kpoywvta:iou
a:ùmu Xptcrrou 'I11crou, 21 È:v 4> mxcra: oiKo~oll~ cruva:p}loÀoyou}léVll
a:u~El EÌç va:òv aytov f:v Kupi<p, 22 f:v 4> Ka:Ì U}lEtç OUVOlKO~O}le:lcr8E
EÌç K<Xt'OlKllt'~plOV t'OU 8EOU È:v 1tVEU}l<XT1.

2,19 Familiari di Dio (OLKELOL ·mfl 8Eofl)- È il servizio liturgico o per «cercare il volto
un'espressione che tramite la radice OLK- ri- del Signore».
chiama la «casa di Dio», il tempio (oiKoç 2,20 Pietra angolare (aKpoywvux1oc;) - È
9EOfJ: cfr., p. es., Gen 28,17.19; Gdc 17,5; un termine assente dalla letteratura greca e
18,31; 2Sam 12,20), nel quale si entrava per deriva da Is 28,16 LXX. Si tratta di un di-

azioni, !asciandone trasparire piuttosto il significato profondo: quando e in che senso


Cristo avrebbe <<Ucciso l'ostilità» e compiuto l'atto di «annunciare» (2,16-17)? Forse
Cristo è «venuto» nel senso che per compiere l'avvicinamento tra pagani e israeliti
s'è avvicinato pure Lui, infatti, la nuova realtà ecclesiale è creata in Lui e a partire
da Lui. E il suo farsi vicino è il senso globale di tutta la sua vicenda.
Accesso (2, 18). Lo scopo dell'opera di Cristo è che entrambi abbiano «accesso»
(prosagoghi) al Padre. Tale linguaggio proviene dall'esperienza cultuale: l'ingres-
so nel tempio era percepito come un entrare alla presenza di Dio. Se il desiderio dei
pagani di arrivare a Dio imboccava inesorabilmente un vicolo cieco, e quello degli
israeliti aveva come passaggio obbligato la mediazione del culto gerosolimitano,
ora la via maestra, attraverso la quale entrambi possono incontrare Dio, è Cristo.
La condizione attuale: la concittadinanza (2, 19-22). Le distinzioni, riscontrabi-
li a livello etnico-religioso, sono superate allivello prettamente teologico del rap-
porto con Dio grazie alla mediazione cristologica. Se Israele partiva avvantaggiato
in forza delle sue prerogative, adesso non gode più dei privilegi rispetto ai pagani,
infatti, gli uni e gli altri, grazie a Cristo, accedono alla medesima familiarità con
Dio. Questo rapporto diretto con Dio viene affermato mediante la reversio delle
condizioni previe (l'inversione degli elementi in gioco) e l'inserzione del campo
semantico architettonico. Se i cristiani provenienti dalle genti erano definiti al v.
12 come esclusi dalla cittadinanza (politeia) di Israele ed estranei (xénoi), adesso
al v. 19 non sono più stranieri (xénoi) ma concittadini (sympolitai). Alcuni ter-
mini, quindi, vengono ripresi per essere negati, perché il risultato finale è dato
dal capovolgimento delle condizioni pregresse. Ma non in modo perfettamente
speculare. Infatti, se i pagani non erano ammessi alla cittadinanza di Israele, ora
non sono divenuti concittadini degli israeliti, ma dei «santi»; se erano estranei ai
patti della promessa, ora non debbono familiarizzare con la legge di Mosè, perché
sono divenuti «familiari di Dio». Il NT di solito usa il termine «santi» per indicare
i cristiani. I pagani, che hanno accolto la fede in Cristo, fanno parte del popolo dei
salvati, i «santi» appunto, tanto quanto i giudeocristiani. Quanto alla locuzione
51 EFESINI 2,22

Pertanto voi non siete più né stranieri né ospiti ma siete


19

concittadini dei santi e familiari di Dio, 20edificati sul fondamento


degli apostoli e dei profeti, essendo pietra angolare lo stesso
Cristo Gesù, 21 nel quale ogni edificio cresce armoniosamente
come tempio santo nel Signore, 22 nel quale anche voi venité
edificati insieme come abitazione di Dio nello Spirito.

slegomenon del NT, compare cioè solo due vv. 5-6 s'incontra anche qui la ripetizione
volte (qui e in l Pt 2,6 ). del prefisso «con» (cruv-; cfr. nota a 2,5-
2,21-22 Cresce armoniosamente ... veni- 6), anche se non si riferisce all'unione con
te edificati insieme (cruvo:p!J.OÀ.oyou!J.ÉVTJ Cristo, ma all'operosa unità dei cristiani
o;!)l;n ..• cruvolKolio!J.ElcrGe)- Similmente ai tra loro.

«familiari di Dio» si fa riferimento al tempio e al libero accesso alla presenza del


Signore. I cristiani vivono, quindi, non da schiavi, né da ospiti di passaggio, ma in
tutto come membri a pieno titolo della famiglia di Dio; hanno, cioè, un rapporto
esistenziale diretto con Lui (cfr. l' «accessm> di 2, 18).
Per rendere, poi, anche plasticamente l'idea di una unione dei cristiani con
Cristo e tra di loro, entra in scena la metafora dell'edificio. L'uso dei termini
relativi al campo semantico architettonico («edificare», «fondamento», «pietra
angolare», «edificio», «tempio», «abitazione») illustra in modo coerente diversi
aspetti della novità ecclesiale. La Chiesa è un unico edificio, nel quale ciascuno ha
il proprio ruolo da svolgere (cfr. lPt 2,4-5). Nella prima lettera ai Corinti il termine
«fondamento» (themé/ios) è riservato a Cristo, escludendo la possibilità che se ne
ponga uno diverso da Lui (cfr. lCor 3,10.11.12). Qui, invece, il fondamento sono
gli apostoli e i profeti. Siamo davanti a una fase di riflessione ecclesiologica suc-
cessiva rispetto a Paolo, perché se in precedenza il criterio normativo era Cristo,
ora è la predicazione stessa degli apostoli a essere normativa, come lo è il ruolo
dei profeti (cristiani interpreti delle rivelazioni dello Spirito).
La «pietra angolare» non indica la chiave di volta che regge l'arco, ma la
pietra d'angolo che sostiene l'incrocio dei muri. L'idea è un po' articolata ma
coerente: Cristo sorregge la Chiesa, ne è il supporto basilare, su cui poggiano,
quale fondamento, gli apostoli e i profeti, sui quali, a loro volta, i cristiani vengono
impiegati come pietre per l'unico edificio ecclesiale. La comunità ecclesiale, in
tal modo, può trovare all'interno della metafora architettonica una collocazione
tutt'altro che statica: è, infatti, un edificio che cresce. Di conseguenza la Chiesa
è un "cantiere aperto", vitale, dunque, mai concluso e in continua con-crescita
annonica. In essa sia etnocristiani sia giudeocristiani contribuiscono a pari merito
alla costruzione ecclesiale: sono «con-edificati» assieme. Contrariamente a quanto,
forse, ci si poteva aspettare, il campo semantico architettonico è attraversato da
un fremito dinamico: ne emerge un'ecclesiologia in cui la sinergia tra le diverse
componenti sembra essere uno degli elementi più apprezzabili.
EFESINI3,1 52

3 1Toutou xaptv Èyw Ila:uÀoç Ò ÒÉ<Jl!tOç rou Xptcrrou ['lfl<JOU]


ùn:Èp ÙJ.ul>v nl>v è:evwv
2 - d ye ~KOU<JO:Tf T~V OÌKOVOl!lO:V rfjç xaptroç TOU eeou Tfjç

òo8dcr11ç l!Ol dç Ùl!<iç, 3 [on] Ka:rà à:noKaÀmJnv è:yvwpicrefll!Ol


rò l!ucrr~ptov, Ka:8wç npoéypa:'lJa: è:v òÀiy<p, 4 n:pòç oòuva:cree
, l - ' l l , - l
a:va:ytVW<JKOVTfç VOfl<JO:l TflV <JUVf<JlV l!OU fV T(f) l!UOTflpl<p
Il 3,1-13 Testi paralleli: Col l ,24-29 mento che è più probabile l'aggiunta del nome
3,1 Io, Paolo ... (É:yw IlauÀoç ...) -La frase «Gesù» da parte di un copista rispetto alla sua
non offre un sostegno sintattico al soggetto omissione. Il testo con l'aggiunta è testimonia-
«io», che rimane così sospeso rispetto agli to da papiro Chester Beatty II (IJ)46), Sinaitico
elementi linguistici. Si tratta, infatti, di un (N 1), Alessandrino (A), Vaticano (B) e altri.
anacoluto (cfr. 2,1), stilisticamente non ele- Pagani (tà E9VTJ)- Si preferisce questa tra-
gante, ma sicuramente strategico, perché pone duzione rispetto a quella letterale «le genti»
al centro la figura dell'apostolo, che parla in (cfr. nota a 2,11 e anche 3,6).
prima persona (riprenderà il discorso in 2, 14). 3,2 Se pure ... (EL yE ... ) - Inizia qui un perio-
Prigioniero di Cristo (o òÉoiJ.LOç 'tOU XpLatou) do lungo fino al v. 7, in cui manca la princi-
- Spesso nelle lettere Paolo accenna al- pale. Abbiamo rispettato tale costruzione del
la sua prigionia (cfr. 2Cor 6,5; 11,23; Fil testo greco nella traduzione.
1,7.13.14.17; Co14,18) ma solo qui e in Fm 3,2 Gestione della grazia (oLKovoj.l.(a <iiç
1.9 si definisce cosi. x&.pL'tOç)- Anche qui (cfr. nota a 1,10) il
Di Cristo [Gesù] (XpLatou [1T)Oou])- La va- termine oLKoVOiJ.La è di difficile traduzione,
riante Xpwtou è forse da preferirsi, dal mo- dal momento che il contesto ne determina

3,1-13 La rivelazione del mistero


Nel c. 3 si dispiega tutta l'autorevolezza di Paolo: a lui è stato svelato il mi-
stero, cioè la partecipazione dei pagani alla stessa eredità dei giudei (3, 1-13), e da
questa rivelazione sgorga la preghiera dell'apostolo (3,14-21), che sfocia infine
in una dossologia.
3,1 Il prigioniero di Cristo
L'autore fa iniziare all'apostolo un discorso in prima persona, lasciato subito
in sospeso per seguire un tema che improvvisamente gli cattura l'attenzione. Il
filo verrà ripreso al v. 14 con il medesimo sintagma «per questo» (toutou charin).
Delle sue prigionie l'apostolo ha parlato in diverse occasioni nelle lettere, ma qui
egli non è più semplicemente un discepolo in prigione, è «il prigioniero di Cristo».
Da notare l'articolo (ho), che lo qualifica come «il>) prigioniero per antonomasia,
e il genitivo (tou Christou), che esprime l'appartenenza a Lui. L'esperienza delle
catene rivela come la vita di Paolo sia in realtà definitivamente incatenata a Cri-
sto. La figura dell'apostolo, dunque, si staglia qui in tutta la sua autorevolezza,
profilandosi già come oggetto di venerazione da parte delle comunità cristiane. La
prigionia però è ricordata nella sua valenza positiva: a vantaggio dei pagani (anche
in Fil l, 12-14 la condizione di prigioniero più che nuocere ha giovato alla causa del
Vangelo, difatti da un parte s'è rivelata come un'occasione propizia per l'annuncio
ai pagani e dall'altra è divenuta stimolo e incoraggiamento per la testimonianza
53 EFESINI 3,4

3 Per q~esto io, Paolo, il prigioniero di Cristo [Gesù] per voi


1

pagam ...
2se pure avete sentito (parlare) della gestione della grazia di Dio, a

me donata a vostro vantaggio, 3[ cioè che] per rivelazione mi è stato


fatto conoscere il mistero, come vi ho scritto prima brevemente,
4quindi, leggendo, siete in grado di capire quale conoscenza io

il senso, come si può notare nelle differenti preso pure in 3,9 (cfr. la nota a quel versetto).
proposte di alcuni esegeti: «adempimento» 3,3 [Cioè che] - La congiunzione on è
(Schlier, 224), «dispensazione» (Penna, 152), omessa nel papiro Chester Beatty IJ. (SJ)46 ),
«pianm> (Best, 343), «disposizione» (Roma- nel codice Vaticano (B) e in altri manoscritti,
nello, l 08), «amministrazione» al v. 2 ed mentre è presente nel Sinaitico (N), Alessan-
«economia» al v. 9 (Aletti, 168). Di queste drino (A), Efrem riscritto (C), Claromontano
volutamente si evitano «amministrazione» ed (D) e in altri. È preferibile mantenerla, con-
«economia», che nella lingua corrente hanno siderandola dipendente da ~Km)oate (3,2):
sapore economico-finanziario. L'idea soggia- «avete ascoltato ... che».
cente è che Paolo sta ricevendo un'iniziativa È stato fatto conoscere (Èyvwp(o9T)) - Si
di grazia che ha Dio per artefice, ma che Paolo tratta di un passivo divino, il cui soggetto
è chiamato a gestire (Paolo, infatti, è «servito- sottinteso è Dio stesso. La conferma viene
re»: cfr. 3,7). La versione CEI del2008 opta daJ termine tecnico anOKciJ,uijnç («riVelazio-
per «ministero», anche se nell'originale non ne»), che indica una conoscenza di origine
c'è affatto 1\uxKov(a. Qui si sceglie «gestio- trascendente: la radice aiTOK!XAUiT- ritorna in
ne», termine che ha il pregio di poter esser ri- 3,5 (aneKal..\xp9T), «è stato rivelato»).

da parte dei «fratelli»). Il ministero di Paolo riceve, così, quella qualifica che lo
accompagnerà per sempre: è l'apostolo delle genti (pagani, gentili). A lui è stato
rivelato il «mistero» (mystÙion), di cui l'autore delinea dapprima la natura (vv.
2-7) e poi l'atto di proclamazione (vv. 8-13).
3,2-7 La natura del mistero
L'apostolo è destinatario della rivelazione del «mistero», che, pur essendo
da sempre nei progetti di Dio, era rimasto finora nascosto: che cioè anche i pa-
gani in Cristo partecipano pienamente della stessa salvezza offerta ai giudei e
prendono parte del medesimo corpo ecclesiale. Quest'incarico affidato a Paolo
sembra noto ai destinatari, i quali probabilmente ne hanno già sentito parlare da
altri. Dire, comunque, che Paolo ha ricevuto la «gestione» (oikonomia) significa
non che sia lui a gestire la grazia, ma solamente che ne è il recettore (l'elargi-
tore è Dio; cfr. 3, 7). Tale grazia è data a lui personalmente, ma è comunque a
beneficio dei pagani.
L'autore aveva già delineato in l ,9-1 Oil senso del «mistero» in quanto progetto
salvifico da sempre pensato ma taciuto e rivelato solo con l'evento Cristo; inoltre,
se lo scopo del mystérion è l'inclusione dei pagani nel piano di salvezza in Cristo,
ne aveva parlato diffusamente in 2,11-22. Proprio per questo l'autore ora può
rinviare alla lettura di quanto detto in precedenza nella lettera («come vi ho scritto
prima brevemente»: v. 3). Per quale motivo allora tornare sulla questione? Perché
EFESINI 3,5 54

rou Xptcrrou, 5 oÈrépatç YEVEaiç OÒK tyvwp{cr8YJ roiç oioiç rwv


à:v8pwnwv wç vuv à:neKaÀucp8YJ roiç àyi01ç à:noar6À01ç aòrou
KaÌ npocp~ratç €v nvEuJlan, 6 eivat rà €8v11 auyKÀYJpov6Jla KaÌ
crucrcrwJla Kaì O'O}!Jléroxa rfjç €nayyeÀ{aç èv Xptcrr<f> 'IYJcrou òtà
rou eòayyeÀ{ou, 7 où èyev~811v òtaxovoç Karà r~v òwpeàv rfjç
xapnoç !OU 8EOU rfjç Ò08elO'YJ<; Jl01 Katà !~V ÈvépyetaV rfjç
òuv<i:Jlewç aòrou.

3,5 Agli uomini (r:oi.c; utoi.c; twv àv9pwnwv) 3,6 Prendano parte alla stessa eredità, for-
- Alla lettera: «ai figli degli uomini»; cfr. mino lo stesso corpo, partecipino alla stes-
nota a2,3. sa ... (ouyKi..T)pov~, oooow~J.~X, OlJil.ILÉtoxa ... )
I profeti (npocflfitrn) -Non sono quelli -Da notare l'insistente ripresentazione del
menzionati nell' AT, autori dei libri che prefisso ouv- («con»), come si può notare
portano il loro nome, ma sono i profeti nella traduzione letterale: «(siano) con-eredi,
cristiani, che sono a servizio della comu- con-corporei, com-partecipi» (cfr. 2,5-6.21-
nità ecclesiale. 22).

sta per aggiungere alcune novità, sia circa la persona e la missione di Paolo, sia
in relazione alla natura del «mistero» stesso.
Ebbene, Paolo è pervenuto alla conoscenza di tale «mistero>> non riflettendo
sull' AT, né perché altri glielo hanno spiegato e nemmeno per una qualche intui-
zione personale, ma solo «per rivelazione» (apokalypsis: 3,3), cioè esclusivamente
in forza di una comunicazione diretta da parte di Dio. L'apostolo è puro oggetto
di un'iniziativa di Dio senza premesse. Ma quand'è che Dio ha svelato questo suo
segreto a Paolo? Il linguaggio assai aderente a Gal l, 12.15-16 («per rivelazione ...
mi chiamò con la sua grazia e si compiacque di rivelare in me suo Figlio perché
lo annunziassi in mezzo ai pagani. .. ») lascerebbe intendere l'esperienza sulla via
di Damasco. Ma il libro di Atti al riguardo non è univoco: in due casi è Hanania a
riferire l'incarico (9,15; 22,15), e solo in un altro è il Risorto (26,16-18). In 2Cor
12,1-4, poi, Paolo parla di diverse visioni e rivelazioni ricevute dal Signore. Quindi
il momento preciso non è possibile stabilirlo con esattezza. In ogni caso l'autore
non è interessato al "quando", ma al "come" e al "perché": per iniziativa divina e
a vantaggio dei pagani. Inoltre aggiunge una precisazione rispetto a 1,9: si tratta
del «mistero di Cristo» (v. 4).
In precedenza nessuno aveva ricevuto notizia della novità assoluta di cui ora
si è messi al corrente. I destinatari di questa rivelazione, tuttavia, non sono diret-
tamente tutti i cristiani, ma i «santi apostoli e profeti» (v. 5). I primi a riceverla
sono dunque le guide della comunità primitiva. Dapprima l'autore aveva riservato
esclusivamente a Paolo la rivelazione del myst~rion, ora invece allarga la cerchia
ai capi storici. Perché? Quest'inclusione dei primi testimoni potrebbe essere un
indizio significativo di come si fosse già lontani dagli esordi del cristianesimo,
percependo così la generazione dei primissimi cristiani nella sua valenza fondante
55 EFESINI 3,7

abbia del mistero di Cristo, 5che nelle precedenti generazioni non è


stato svelato agli uomini come adesso è stato rivelato ai suoi santi
apostoli e profeti nello Spirito, 6{ cioè che) i pagani prendano parte
alla stessa eredità, formino lo stesso corpo e partecipino alla stessa
promessa in Cristo Gesù mediante il Vangelo, 7del quale sono
divenuto servitore secondo il dono di grazia che Dio mi ha dato
secondo l'energia della sua forza.

3, 7 Sono divenuto servitore (ÉyEv~6TJV IlO L) - Alla lettera: «il dono della grazia di
6uhwvoç) -È assai probabile che il verbo sia Dio, data a me». L'espressione forma un'in-
un passivo divino, il cui soggetto sottinteso clusione con il v. 2, in cui compaiono le stes-
è Dio. Paolo non si è autodesignato a questo se identiche parole (tfìç xcipL toç tou 6Eou tiìç
ministero ma è divenuto servo del Vangelo 006ELoT)ç IlO L). Lo scopo di questa ripetizione
per iniziativa divina. è evidente: inquadrare gli accenni relativi a
Il dono di grazia che Dio mi ha dato (t~v Paolo ali 'interno dell'iniziativa di grazia da
liwpEIÌV tf)ç xcipttoç toiì 6Eou tf)ç ùollELoT)ç parte di Dio.

e normativa. Come si può notare, nella coscienza ecclesiale accade che più ci si
allontana anche cronologicamente dali' evento fondante più si guarda con vene-
razione agli apostoli (e a Paolo), cristallizzandoli quasi all'interno dell'evento
stesso. Non sembra invece che la presenza di altri recettori del «mistero>> sia
da ascriversi a una sorta di ridimensionamento del ruolo centrale di Paolo (cfr.
invece 1Cor 1,12).
Pure in Rm 16,25-26 e Coll,26 Paolo si presenta come l'incaricato da parte di
Dio di annunciare il mistero ai pagani. In questo modo si può comprendere come
di fatto il concetto di «mistero>> sia coestensivo col concetto di «Vangelo>>, o, se
si preferisce, finiscano quasi per essere sinomini (questo fenomeno si profila in
maniera nitida negli scritti antileg6mena, quelli cioè la cui paternità è discussa):
entrambi hanno come oggetto l'inclusione dei pagani in quell'identica salvezza
che si pensava fosse esclusiva dei giudei.
Per esprimere il contenuto del «mistero» l'autore -ancora una volta- seleziona
alcuni termini a effetto e li inanella in una espressione curiosa: la novità sta nel
fatto che i pagani sono «con-eredi», «con-corporei>> e «com-partecipi» (3,6; cfr.
nota filologica per la traduzione italiana). L'imprevedibile partecipazione dei paga-
ni impone anche un nuovo modo di esprimersi. Evidente la triplice ripetizione del
prefisso syn- («con-»), similmente a 2,5-6. Ma mentre là si insisteva sul concetto
di partecipazione alla vita risorta di Cristo da parte di tutti i credenti, ora l'insi-
stenza verte sulla piena partecipazione alla salvezza in Cristo da parte dei pagani
(come espresso in 2,11-22), senza differenza alcuna rispetto ai giudeocristiani.
Grazie al disvelamento/attuazione del mistero ogni divisione etnica e religiosa
è superata, e le componenti prima distanti o in conflitto ora confluiscono in una
perfetta comunione vicendevole e con Dio.
EFESINI 3,8 56

8'EllOÌ T~ ÈÀUXlCITOTÉpy> mivTWV ayiwv ÈÒ0811 ~ xci:ptç UUTll,


TOt<; e9vecrtV eÙayyeÀtcrao9at TÒ àve~lXVlUO'TOV JtÀOUTO<; TOU
Xptcrrou 9 KaÌ cpwricrat [nci:vTaç] riç ~ oiKovollia Tou llUO'Tllpiou
mu ànOKEKPUlll!ÉvOU ànò TWV aiwvwv Èv T~ Se~ T~ Tà: nci:vra
Kdcravn, 10 tva yvwptcr8ft vuv Tatç àpxatç KaÌ Tatç È~oucriat<; tv mtç
Ènoupaviotç òtà: rijç ÈKKÀllcriaç ~ noÀunoiKlÀoç oocpia mu 8eou,
11 KaTà: np68emv Twv aiwvwv ~v Ènoi11crEV Èv T~ Xptcrr<f> 'I11crou

3,8 L 'infimo- L'aggettivo ÈÀa.XLOtOtEpoç è il - In base alla lezione scelta tra quelle dei
comparativo di V..&xwtoç («piccolissimo»), vari manoscritti la traduzione cambia: «il-
che a sua volta è il superlativo di ~LKpoç luminare [tutti] su quale sia la gestione»,
(«piccolo»). Si dovrebbe tradurre con «il più oppure «portare alla luce quale sia la ge-
piccolissimm>, una sorta di forzatura gram- stione». La prima possibilità è da preferir-
maticale voluta dali' autore per enfatizzare la si sia dal punto di vista logico-sintattico,
grazia divina: poverissime le premesse ma sia da quello delle testimonianze testuali:
ottimi i risultati! Probabilmente è una ripre- Chester Beatty II (IP 46 ), Sinaitico (~). Va-
sa, rafforzata, di ICor 15,9: «l'infimo degli ticano (B), Efrem riscritto (C), Claromon-
apostoli>> (o ÈÀa.XLOtOç tWV Ctt!OO"COÀ.wv). tano (D) e altri.
3,9 Illuminare [tutti) su quale sia la ge- La gestione (otKovo~(o:) -Qui il soggetto
stione (cj>w-c(acu [1l!tv-co:ç] -c(ç ~ olKovo~(o:) che «gestisce» il mistero è Dio. La versione

3,8-13 La proclamazione del mistero


Al v. 8 si torna ancora sul mistero, ma spostando l'attenzione su una novità: la sua
proclamazione universale. Dopo l'autodesignazione di «servitore del Vangelo» (3,7),
ora ne compare un'altra: «l'infimo di tutti i santi» (v. 8; cfr. la traduzione letterale in
nota). Se da una parte tale denominazione ricorda la qualifica di l Cor 15,9 («l'infimo
degli apostoli))) dali' altra, allargando il termine di confronto a tutti i credenti («santi)))
e rincarando la dose con il curioso comparativo del superlativo, diviene un titolo che
ha il tono dell'assolutezza. Un'indegnità totale. Ciononostante, per grazia, Paolo è
il destinatario di un privilegio esclusivo: gli è rivelata, ed è in graqo di annuncia-
re a tutti, la ricchezza di Cristo, che di per sé sarebbe inaccessibile, insondabile.
Il lettore di Efesini è ormai abituato alle modalità espressive dell'autore, che
ama talora calcare le tinte negative delle premesse per dare risalto alla positività
dell'esito finale. Ora, al fine di sottolineare la bellezza inaudita della rivelazione
del «mistero>>, ne ricorda il suo lunghissimo nascondimento, aggiungendo però
alcune sfumature. Il «mistero» non è nascosto chissà dove, ma in Dio, dunque è
espressione e realizzazione della sua volontà; poi l'autore aggiunge: in Dio «creatore
di tutte le cose>) (3,9). Il richiamo alla creazione sottolinea certamente il fatto che
nemmeno il creato, in tutta la sua grandiosità, è in grado di lasciar trapelare qualcosa
del «mistero», però serve anche a ricordare come il mystiirion non sia una trovata
dell'ultimo momento, una sorta di escamotage improvvisato, perché in realtà Dio
coltivava l'intenzione segreta di attuarlo da sempre, fin dall'iniziale atto creativo.
Altra novità sta nel fatto che, oltre a Paolo e agli apostoli e profeti, il «mistero» è
57 EFESINI 3,11

8A me, che sono l'infimo di tutti i santi, fu concessa questa


grazia: annunciare ai pagani l'impenetrabile ricchezza di Cristo
9e illuminare [tutti] su quale sia la gestione del mistero

nascosto da secoli in Dio, creatore di tutte le cose, 10 a:ffinché


sia ora svelata ai Principati e alle Autorità nei cieli, mediante
la Chiesa, la multiforme sapienza di Dio, 11 secondo il progetto
eterno che ha realizzato in Cristo Gesù, il Signore nostro,

CEI del 2008 sceglie, infatti, «attuazione>>, di varietà è già contenuta nell'aggettivo
discostandosi dalla scelta fatta in 3,2. Cfr. le no~KLÀoç (cfr. la tunica «variopinta» di Giu-
osservazioni a 1,10 e 3,2. seppe in Gen 37,3) e l'aggiunta di noì..uç la
Del mistero nascosto da secoli (f.LUUtllPLOU rafforza. inserendo pure la sfumatura di inac-
"COU al!OK~KPUf.Lf.LÉVOU anÒ
"CWV atwvwv)- È cessibilità. L'origine divina della sapienza
un'espressione identica a Col 1,26 e molto e la sua impenetrabilità sono un tema caro
aderente a Rm 16,25: «il mistero avvolto alla Bibbia; cfr., p. es., Gb 28,12-13.20-21;
nel silenzio per secoli eterni» (f.LUUtllP (ou Pr 30,1-4; Sap 8,21; 9,13-17; Sir 1,1-8; Bar
XPOVO~ç aLWVLO~ç U~ULYllf.LÉVOU). 3,14--4,4; lCor 2,6-16.
3,10 Multiforme sapienza(~ noì..uno(K~Àoç 3,11 Il progetto eterno (npoe~u~v twv
u<Xj>(a)- L'aggettivo noì..unoLK~Àoç compare atwvwv)- Alla lettera: «progetto degli eo-
solo qui (è hapax dell'intera Bibbia). L'idea ni». Cfr. nota a 2,7; 3,21.

svelato pure alle Potenze del cielo, le realtà invisibili di natura trascendente («Prin-
cipati e Autorità>>: 3,10), di cui in 1,21 s'è proclamato l'assoggettamento. La realtà
tutta rientra nell'opera di armonizzazione e unificazione che Dio sta attuando (in
1,9-10, infatti, si dice che il mystÙion della volontà di Dio è comporre in unità la
totalità del creato sotto l 'unica signoria di Cristo). Ma anche alle Potenze soggiogate
vien data notizia del luogo in cui il mistero brilla: la Chiesa. Qui l'unità non è solo
un proposito di Dio, perché grazie a Cristo è già divenuta realtà. Sono confluiti
nell'unità ecclesiale anche popoli provenienti dal paganesimo (3,6). Per questo la
Chiesa diventa strumento d'annuncio (3,10). Infatti, il dirlo pure alle Potestà, fra le
quali alcune sono chiaramente ostili alla Chiesa, significa dimostrare la portata uni-
versale dell'evento ecclesiale, nel quale il cosmo intero in qualche modo è coinvolto.
Anche le forze avverse, che tramano per la divisione e la conflittualità, vengono a
sapere che i loro sforzi sono vani e che Cristo ha realizzato una realtà dove ormai
regna l 'unità: la comunità ecclesiale, appunto (il linguaggio e probabilmente anche le
intenzioni sono molto diverse, ma la portata cosmica di questo brano non può non far
ricordare Rm 8,19-22, in cui anche il creato anela alla stessa libertà dei figli di Dio).
Tali Potenze celesti sottomesse, destinatarie di questo annuncio, saranno pure
oggetto di redenzione? Vien forse fatto loro quest'annuncio per "ingelosirle" e
quindi riconciliarle (in l , l Osi dice che Dio sta agendo verso tutte le cose, sia quelle
terrene che quelle celesti)? Bisogna limitarsi a porre la domanda senza spingersi
oltre, tenendo presente però quanto verrà detto in 6,12: la battaglia spirituale contro
i Principati e le Potenze è ancora aperta.
EFESIN13,12 58

-r<f> Kupi<p JÌ}!WV, 12 Èv 4> fxO}!EV nìv napprtcriav KaÌ npocrayw)'IÌv Èv


nenot8~cret òtà: ti]ç mcrTewç aù-rou. 13 òtò aìmu}.lat l!~ ÈyKaKEiv Èv
-raiç 8ÀiljJecriv }!OU ùnèp Ù}!WV, ~nç Ècr-rìv ò6~a Ù}!WV.

3,12 Abbiamo la libertà di accedere con fidu- 3,14 Pcub-e (tòv 11atÉpa)- Alcuni codici antichi
cia tEXOf.lE'V t~v 11appT]OtaV Kal 11pooaywy1lv dopo «Padre)) vedono l'aggiunta «del Signore
Év 1TE'1TOL91loH)- La formulazione è ridondan- nostro Gesù Cristm), ma l'omissione è mag-
te, infatti, la traduzione letterale suonerebbe: giormente attestata: Chester Beatty II (IP46),
«abbiamo franchezza e accesso con fiducia». I Sinaitico (M), Alessandrino (A), Vaticano (B),
termini 11appT)Ota («franchezza») e 11pooaywY1l Efrem riscritto (C) e altri. Dunque è da inten-
(«accesso») costituiscono un'endiadi. dersi non come Padre di Gesù, ma del creato.

Il linguaggio, ora, acquista in precisione (anche se, come in altre occasioni,


corre il rischio della ridondanza). Se il piano di Dio si realizza nell'attuazione-
rivelazione del «mistero» in precedenza nascosto, ora il suo disvelamento chiama
in causa «l'impenetrabile ricchezza di Cristo» (3,8) e «la multiforme sapienza
di Dio» (3,10). Ogni angolo del cosmo e della storia è illuminato dalla bellezza
del «mistero», ogni piega della realtà ne è coinvolta (pure le Potenze celesti ne
hanno notizia, come s'è visto), e questo chiama in causa l' incommensurabile
grandezza di Dio. Anche se non secondo un rapporto di parità, all'immensità
del cosmo corrisponde una manifestazione dell'immensità divina. Tuttavia se
gli orizzonti dell'universo sono vastissimi, l'eccedenza trascendente di Dio e di
Cristo (altrettanto e ancor più sconfinata) rimane imperscrutabile e inesauribile.
Ma- ecco la sorpresa- non inaccessibile! Innanzitutto perché Paolo ne ha ricevuto
la rivelazione e poi perché i credenti nei confronti di Dio hanno libero «accesso»
(3,12; cfr. 2,18). Forse proprio per questo l'autore sente il bisogno di formulare
una preghiera che sfocia nella dossologia (3,20-21), nonostante la situazione
penosa della prigionia di Paolo.
Lungo l'argomentazione dedicata al mystùion l'autore ha offerto anche molti
dettagli sulla figura dell'Apostolo, che ci permettono di cogliere in quale conside-
razione fosse già tenuto al momento della stesura della lettera. Innanzitutto Paolo
è per antonomasia il prigioniero del Signore (v. 1), gli appartiene totalmente. Poi è
il recettore del «mistero», non solo nel senso che lo ha potuto capire, ma in quanto
destinatario di una rivelazione (apokalypsis) diretta da parte di Dio; quindi, pur
non rientrando nella categoria dei visionari dell'apocalittica, ne gode i privilegi
(3,3). Paolo poi viene definito «servitore» del Vangelo (dùikonos: 3,7), in quanto
annunciatore ai pagani della ricchezza insondabile di Cristo. Per introdurre questo
tesoro inaccessibile, sulle labbra dell'Apostolo viene posta una dichiarazione di
umiltà massima: il più infimo di tutti i credenti (3,8); tuttavia è lui che illumina tutti
sull'attuazione del «mistero>> (3,9). Il paradosso implicito va evidenziato: si trova
all'ultimissimo posto, ma è in grado di illuminare tutti. Infine, a mo' d'inclusione
59 EFESINI 3,15

12nel quale abbiamo la libertà di accedere con fiducia mediante


la fede in lui. 13 Perciò vi invito a non scoraggiarvi per le mie
tribolazioni a vostro vantaggio: sono la vostra gloria.

14 Per questo piego le ginocchia davanti al Padre, 15dal quale

Piego le ginocchia (Kciwrrtw tà y6vo:tci f!OU) v. 19, che non è ben strutturato a livello
-Anche se il pio ebreo solitamente pregava sintattico a causa delle subordinate che si
in piedi, talora lo faceva con la prosternazio- accavallano l'una sull'altra.
ne o la genuflessione, che indicava il ricono- 3,15 Stirpe- In traduzione non si può eviden-
scimento di sottomissione e l'attestazione di ziare la figura etimologica creata con la ripeti-
uìniltà (cfr. Rm Il ,4 e Fil2, l 0). zione, nei vv. 13-14, del tema no:tp- nei voca-
In 3,14 ha inizio un lungo periodo fino al boli no:tÉpo: ... no:tpui («Padre ... stirpe») e resa

della pericope, si ricordano le durezze a cui è sottoposto a causa della prigionia


(3,13), anche queste però comprese in una luce trasfigurata: le sue tribolazioni
sono la gloria dei credenti.
Si tratta, dunque, solo di alcune pennellate rapide ma sufficienti per offrire un
accurato ritratto di Paolo, presentato in tutta la sua statura di apostolo autorevole
e venerato: privato della libertà, Paolo ha ricevuto una ricchezza incalcolabile e
a tutti l'annuncia, ed è in grado infine di pregare lui, prigioniero, a vantaggio dei
credenti e a lode di Dio (vv. 14-21).

3,14-21 Preghiera e dossologia


Paolo invoca Dio come fonte della vita, da cui sgorgano tutti i viventi nei cieli e
sulla terra, ma lo fa non con l'appellativo di «creatore)), bensì con quello di «Padre»
(cfr. 4,6). Si tratta probabilmente della sua paternità cosmica e non di quella esclusiva
nei confronti di Cristo. Da lui, infatti, proviene ogni «stirpe» (patria): sia le famiglie,
i clan e le nazioni sulla terra, sia le Potestà, le Potenze e i Principati in cielo (3,15).
Menzionando l'estensione grandiosa della sua paternità, l'intercessione può spingersi a
formulare le richieste più ardite per l'interiorità dell'uomo. Dalla sconfinata esuberanza
creatrice di Dio l'autore passa a considerare la profondità del cuore umano («l'uomo
interiore»), perché lì possa dimorare un'altra infinita grandezza: la forza dello Spirito
e il Cristo stesso. La relazione del credente con Dio non poteva essere formulata in
modo più incisivo di questo: lo Spirito che fortifica interiormente e l'inabitazione del
Cristo dentro al cuore (viene in mente Gal2,20: «vivo, però non più io, ma vive in me
Cristo»). L'autore auspica che l' incontenibile immensità di Dio abiti nel limite angusto
del cuore umano; un'immensità di esplicito sapore trinitario: il Padre di ogni stirpe
(v. 15), lo Spirito che dà forza (v. 16), il Cristo che abita nell'intimo (v. 17). I contorni
di questa inabitazione, poi, sono difficilmente circoscrivibili in una definizione, e per
questo il linguaggio è costretto a ricorrere a espressioni debordanti, che forzano le
consuetudini linguistiche e concettuali. Innanzitutto le coordinate spaziali non sono
più solo tre («larghezza, lunghezza, altezza))), perché ne viene aggiunta una quarta
EFESINI 3,16 60

oÒ mxcra: na:-rptÒ: EV oÙpa:voiç KO:Ì ÉnÌ yfjç ÒVO}.l<X~HO:l, 16 lVO: Ò<f'>


Ù}Jiv Ka:-rà: -rò nÀou-roç -rfjç ò6ç11ç a:ù-rou òuv<i}JEt Kpa:-ra:tw8fjva:t
Òtà: -rou nvEU}JO:Toç a:ù-rou Eiç -ròv EO"W av8pwnov' 17 KO:TOtKfjcra:t
-ròv Xptcr-ròv òtà: -rfjç nicr-rewç Èv -ra:iç Ka:pòia:tç Ù}JWV, Èv
àyann Èppt~W}JÉVOt KO:Ì TE8E}JEÀtW}JÉVOt, 18 lVO: f.çtOXUO"flTE
Ka:-ra:Àa:~Écr8a:t crùv n<icrtv -roiç àyiotç -ri -rò nÀa-roç Ka:Ì }Jf\Koç Ka:Ì
u\jJoç KO:Ì ~a8oç, 19 yvwva{ TE T~V ÙnEp~aÀÀOUO"O:V -rfjç yvwcrewç
àyan11v -rou Xptcr-rou, tva:.nÀf1pw8fj-re Eiç nav -rò nÀ~pw}Ja: -rou

erroneamente dalla Vulgata con <<Patrem ... pa- -Le due espressioni ò fuw livepw1Toç e Ko:pò(a
temitas». Il senso di 1TO:'tpui è «stirpe, discen- di fatto si presentano come sinonimi, anche se
denza, famiglia, nazione», non <<paternità». la prima è d'origine greco-ellenistica e la secon-
Nei cieli e sulla terra (Èv oòpo:vo1ç KO:L È1TÌ. da è di stampo semitico. Indicano la profondità
yf]ç) - È un merismo, cioè un modo di dire la della persona (cfr. 2Cor4,16; Rm 7,22).
totalità menzionandone gli estremi. Altri me- 3,17 Radicali e fondati nel! 'amore (Èv &yct1T1J
rismi sono presenti in l, l O(«nei cieli e sulla Èpp~(WfJ.fVOL KO:L 'tE9Ef.i.E'ÀLWfJ.fVO~)- È una
temm), 1,21 («presente, futuro»), 4,9 («salì in frase fuori posto: si allaccia a quanto prece-
alto, discese nel profondo della terra»). de o a quanto segue? Questi due participi si
Viene al! 'esistenza (6vqui(E''to:~) -Alla lettera armonizzano con l'affermazione successiva:
significa «riceve il nome» (cfr. 1,21 ): conferire «perché voi, radicati e fondati nell'amore,
un nome nel linguaggio biblico equivale a dare siate capaci di comprendere ... ». Si trattereb-
identità, generare alla vita; quindi riceverlo vuoi be, quindi, di un'anastrofe (o, meglio, di un
dire venire all'esistenza (cfr., p. es., Sal 146,4; iperbato), ossia di un'inversione nell'ordine
Qo 6,10). Tuttavia Adamo che dà il nome agli abituale dei segmenti sintattici.
animali ovviamente non li chiama all'esistenza, 3,18 L{Irghezza, lunghezza, altezza, profondità
ma esercita su di loro una signoria (Gen 2,19). (1TÀ!ltoç, f.i.ft<oç, iJ$oç, p&:eoç)- Quest'elenco ha il
3,16-17 Nell'uomo interiore ... nei vostri cuori sapore di una figura dell'accumulo, come l' enu-

(<<profondità», sinonimo della seconda), del tutto assente nella cosmologia del tempo
(3, 18). Una palese forzatura. Più che domandarsi a quali dimensioni cosmiche o a
quali speculazioni anche di tipo filosofico si rifaccia tale affermazione, basta ricordare
quanto detto prima: l'autore sta considerando l'eccedenza trascendente di Dio, per
delineare la quale i parametri normali di misurazione saltano. Inoltre l'autore rimane
sul vago: larghezza, lunghezza, altezza e profondità di cosa? Anche i commentatori
antichi, come alcuni moderni, hanno tentato di specificare a cosa vengano attribuite
queste misure (la Sapienza, la Gerusalemme celeste, la potenza divina, il corpo cosmi-
co di Cristo, il piano salvifico di Dio), dal momento che vengono elencate senza che si
espliciti a chi o a che cosa si riferiscano. Sono più convincenti le ipotesi strettamente
connesse con il contesto: si tratta di un tentativo di comunicare l'amore divino che è
semplicemente illimitato. Se poi si pensa che probabilmente tali coordinate spaziali
potevano designare anche le Potenze celesti che popolano il cosmo, allora attribuirle
ali' amore di Dio e di Cristo, significa alludere al fatto che l'universo non è più in preda
ai poteri che minacciano l'uomo, ma è colmo dell'amore divino.
61 EFESINI 3,19

viene ali' esistenza ogni stirpe nei cieli e sulla terra, 16perché
vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere
potentemente fortificati mediante il suo Spirito ne Il 'uomo
interiore; 17 che il Cristo dimori grazie alla fede nei vostri
cuori, radicati e fondati nell'amore, 18perché siate capaci di
comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza,
l'altezza e la profondità, 19e di conoscere l'amore di Cristo che
oltrepassa la conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza

meratio (una lista), oppure potrebbe costituire lità: ÉnEpLOIJEOOEV («ha riversato con sovrab-
una sorta di merismo "al quadrato", cioè men- bondanza>>: l ,8); -rò ilTIEpj31i,U.ov f.LÉyE6oç («tra-
zionare non solo i (consueti) due estremi per di- boccante grandezza>>: 1,19); -rò ÒlTE:pj31iì..Aov
re il tutto, ma addirittura quattro: si avrebbe qui nJ..ou-roc; («la traboccante ricchezza>>: 2,7);
una totalità nella sua massima estensione. Solo lllTEpEKlTEpLOOOU («ben a) di là»: 3,20).
dal contesto si comprende a che cosa si riferisca Conoscere l 'amore di Cristo che oltrepassa la
quest'elenco di coordinate spaziali: non tanto conoscenza (yvwva( -r~v ÙnEpJXlJ..J..ouoav -riìç
alle dimensioni del cosmo ma alla sproporzione yllWoEwc; àyalTTJV -rou XpLo-rou)- È un' espres-
dell'amore di Dio. Forti le reminiscenze sapien- sione paradossale, che presenta contempora-
ziali: «l'altezza del cielo, la distesa della terra neamente la figura etimologica yvwvaL ...
e le profondità dell'abisso chi le potrà esplo- yvooEwç («conoscere ... conoscenza») e una
rare?>> (Sir 1,3). Alcuni testimoni antichi, tra i costruzione lessicale simile ali' ossimoro,
quali il Sinaitico (~)e altri semplificano, omet- formata dall'unione di due termini antitetici
tendo le ultime due estensioni: uljloc; e paeoc;. in cui uno sembra contraddire l'altro: «una
3,19 Che oltrepassa (imEpj31iì..Aoooav)- Que- conoscenza ben al di là èella conoscenza»,
sto participio fa parte del linguaggio debor- dunque una «conoscenza· inconoscibile».
dante, cui l'autore ci ha abituati, utilizzato per Perché siate ricolmi in vista di tutta la
descrivere i doni divini elargiti con prodiga- pienezza di Dio ((va lTÀT]pw6fìn Elc; n&.v

In ogni caso emerge il bisogno di un linguaggio originale, arricchito anche di espres-


sioni iperboliche, come dimostra il prosieguo (3, 19-20): l'intensità con cui Cristo ama
i cristiani trascende, sopravanza la conoscenza, non certo per un inconfessato sospetto
verso la ragione ma per la vastità incontenibile di questo amore. «Conoscere l'amore
di Cristo che oltrepassa la conoscenza» sembra una contraddizione in termini, ma è
il modo per esprimere l'esperienza di un amore incommensurabile. Come, poi, sia
possibile che l'immensità di Dio -la sua «pienezza>>- possa essere riversata nei cre-
denti non viene precisato (si tratta chiaramente di una ripresa di quanto detto prima:
il raffmzamento interiore per opera dello Spirito e l'inabitazione di Cristo nei cuori).
Ancora, di Dio si dice che è colui che può realizzare molto più («ben al di là») di quanto
la preghiera possa Invocare e l'immaginazione riesca a concepire. Tuttavia davanti
alla spropon:ione della generosità divina non compare alcun timore o smarrimento:
nessuna distanza si frappone tra Dio e gli uomini, perché tutta questa sovrabbondanza
è donata ai credenti ed è già operativa: «secondo la fon:a che agisce in noi» (3,20). Da
tali considerazioni scaturisce spontaneamente la dossologia finale, che assieme a Cristo,
EFESINI 3,20 62

8EOU. 20 T4J ÒÈ: ÒUVa}lfV(f> Ù1tÈ:p 1tCXVra 1t0tficrat Ù1tEpEK1tEpl<1<10U


<llv aÌTOU}lE8a tl VOOU}lEV KaTÒ: T~V ÒUVa}llV T~V ÈVEpyOU}lfVT)V
Èv JÌ}ltV, 21 aùrq> tì òé~a Èv rft ÈKKÀT)cri~ Kaì Èv Xptcr-rq> 'IT)crou Eiç
, ' \ - ,_ - ,, , l
nacraç raç yeveaç rou atwvoç rwv atwvwv, a}lTJV.

4 1napaKaÀw oòv ù}laç èyw ò òé(T}ltoç tv Kupi(f> à#wç


1tEpmaTficrat Tfiç KÀ~<1EWç ~ç Èl<À~8T)TE, 2 }lETÒ: 1t<X<1T)ç

tÒ 'TTÀ~pWfUX tofi 9Eofi) - La variante Yva. - La costruzione è ridondante, secondo lo


TTÀ11pw9fl 'TTiiv tÒ 'TTÀ~pWfUX tofi ElEofi («per- stile dell'autore. Alla lettera: «per tutte le
ché tutta la pienezza di Dio sia riempita») generazioni dell'eone degli eoni». I termini
è attestata solo da Chester Beatty II (1))46), yEvEa e a.lwv sono spesso associati, come,
Vaticano (B) e pochi altri; inoltre non sembra p. es., Es 40,15; Is 51,8; Gl 2,2; 4,20; Sal
in armonia col contesto. n>..,pw9i)tE («siate 105,31 LXX(TM 106,31);Dn6,27.Circail
ricolmi») e 'TTÀ~pWj.UX («pienezza») sono uniti termine «eone» cfr. nota a 2,2 e 2,7.
da una figura etimologica (cfr. nota a 1,23). •:• 3,14-21 Testi affini: Col 1,27;2,2; Rm
3,21 Per tutte le generazioni, per sempre (Elç 11,36; 16,25-27; Sir 1,3
'TTitoa.ç tà.ç yEvEà.ç tofi a.twvoç twv a.twvwv) Il 4,1-16 Testi paralleli: Rm 11,36; 12,1-

coinvolge nello stupore e nella lode pure la Chiesa, intesa come il luogo in cui tale
esagerazione si rende manifesta (3,20-21 ). La gloria che appartiene a Cristo capo brilla
nella Chiesa suo corpo, e questo per i secoli dei secoli. La Chiesa quindi è già compresa
nella sua associazione escatologica, e quindi nella condizione di eternità, con Cristo.

PARTE ETICA: VITA NUOVA DEI CREDENTI (4,1-6,9)


Se fin qui la lettera ha mantenuto una tonalità dottrinale, nei cc. 4-6 la pro-
spettiva cambia, acquisendo un tenore prettamente etico. Di per sé si nota come
gli esegeti incontrino alcune difficoltà nel distinguere nettamente le sezioni, dal
momento, appunto, che l'argomentazione non sembra mostrare interruzioni: alcuni
esegeti segnalano il cambio di sezione in 5,2, altri in 5,6, altri ancora in 5,20. Di
fatto si vedrà come da 4, l 7 a 5,20 (21) le indicazioni valgono per tutti i cristiani,
mentre un netto cambiamento lo si nota in 5,22, in cui il discorso è riservato a una
categoria più ristretta: i coniugi (poi i padri, e infine i padroni, 6, 1-9).
Come si accennava, nel passaggio dal c. 3 al c. 4l'argomentazione da specifica-
mente speculativa si fa più concreta. giungendo a indicare la giusta condotta da tenere.
Per essere più precisi: non scompaiono del tutto le considerazioni teologiche ma le
sollecitazioni di tipo etico prendono il sopravvento. Si potrebbe dire che il «mistero>>
come realtà svelata da Dio e conosciuta (cc. 1-3) ora deve penetrare nell'esistenza
dei battezzati e divenire vita vissuta (cc. 4-6). Il passaggio dali 'una ali' altra sezione
presenta le stesse parole che nella lettera ai Romani segnano la divisione in prima parte
teologica e seconda parte esortativa (paracletica; cfr. Rm 12, l : «Vi esorto dunque ... »).
Nelle lettere del NT, la sezione dedicata alle indicazioni di tipo etico, se confron-
tata con l'epistolografia ellenistica. acquista un'importanza assai significativa. sia per
63 .EFESINI 4,2

di Dio. 20A Colui che può realizzare ben al di là di tutto quello


che noi riusciamo a chiedere o immaginare, secondo la forza
che agisce in noi, 21 a Lui gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per
tutte le generazioni, per sempre. Amen

4 1Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi


in modo degno della chiamata che avete ricevuto, 2con ogni
8; 1Cor 8,6; 12,4-12.28; Col 2,19; 3,5-15 associato al vocativo «fratelli>> per istaurare un
4,1 Esorto- ll verbo uapoo<aì..Éw ha molti signi- rapporto cordiale (cfr., p. es., Rm 12,1; 16,17;
ficati (richiedere, supplicare, invitare, incorag- lCor 1,10; 16,15; lTs4,10; 5,14),qui compare
giare, confortare, consolare, esortare, incitare) con l'io enfatico (Eyw) a evidenziare l'autorità
e inaugura la parte etico/esortativa della lettera dell'apostolo (similmente a 2Cor lO, l).
(4,1-6,9), in cui si formula una serie di atteg- Prigioniero nel Signore (o 001~t~oç Ev Kup(Cj>)
giamenti comunitari e individuali che l'autore -L'inizio del quarto capitolo è simile a quel-
vuole raccomandare ai cristiani (cfr. anche Rm lo del capitolo terzo. Con una differenza: qui
12, l; Fil4,2; l Tm 6,2). A differenza delle altre Paolo è prigioniero «nel» Signore, mentre
occorrenze nelle lettere paoline, in cui il verbo è là era il prigioniero «di» Cristo (o OÉo~J.LOç

dimensioni, sia per il legame con la parte teologica. Nel presente scritto la sezione
etica è così ampia da coprire la metà della lettera (come in quella ai Colossesi; nella
lettera ai Romani, p. es, occupa i capitoli da 12,1 a 15,13). Il collegamento logico
con la sezione precedente è offerto dall'avverbio «dunque» (4, l), che mostra come il
seguito sia in qualche modo da intendersi come la conseguenza delle considerazioni
fatte a livello teologico. L'utilizzo, poi, del verbo «esortare» (parakaléo) mette in
luce come si tratti non semplicemente di una esortazione formale e distaccata, ma
di una richiesta carica di sollecitudine e di partecipazione (cfr. nota filologica). Le
indicazioni concrete, poi, non si discostano dali' ethos condiviso ali' epoca; infatti, si
possono rinvenire molteplici somiglianze con i comportamenti raccomandati dagli
autori pagani; ciononostante il terreno in cui fioriscono è diverso: la condotta del
cristiano nasce da un rapporto e da una conoscenza di Cristo (cfr. 4,20) e ha come
fine ultimo l'edificazione della comunità cristiana.
Anche il c. 4, come i precedenti, è consacrato al tema dell'unità, declinato tut-
tavia non più dal punto di vista della partecipazione degli etnocristiani alla stessa
eredità dei giudeocristiani, bensì a partire da una visione squisitamente ad intra
(interna, cioè, alla comunità): la molteplicità dei doni e dei servizi proviene da
un 'unica fonte divina e concorre alla crescita unitaria e armoniosa dell'organismo
ecclesiale (vv. 1-16). Da questa concezione unitaria della Chiesa derivano, poi,
alcuni comportamenti concreti, che descrivono la vita nuova in Cristo (4, 17-5,20).

4,1-16 L'unità ecclesiale nella diversità dei ministeri


L 'unità ecclesiale fondata sul/ 'unità di Dio (4, 1-7). Il tono esortativo s'impone
con evidenza a partire dal v. l: «Vi esorto ... a comportarvi», in cui compare un
EFESINI 4,3 64

-rarretvocppooovrtç KaÌ rrpaihrt-roç, J.I.E-rà paKpo8upiaç, à:vex6pevot


àÀÀ~Àwv év àyarrn, 3 orrouòa~ovn:ç -rrtpEiv -r~v f:v6-rrt-ra -rou
ltVEUJ.I.<X't'O<; év -r'f> ouvÒÉOJ.1.4l rfjç EÌp~vrtç· 4 "Ev owpa KaÌ Ev
ltVEUJ.I.<X, Ka8wç KaÌ ÈKÀ~8rt-rE év }.l.t~ ÈÀrrtÒt rfjç KÀ~OEW<; Ùpwv·
5 Eiç Kupwç, pia rrionç, ev ~arrnopa,

tof> Xpw·mu). In questo caso si tratta di un la mansuetudine e la dolcezza contrapposte


i:v associativo/inclusivo: l'unione a Cristo è all'irascibilità (cfr. Mt 11,29). La magna-
rimarcata più qui che in 3, l. nimità si delinea come larghezza d'animo,
Chiamata che avete ricevuto (tftç KÀlJOEWç f]ç come capacità di pazienza e sopportazione
i:KJ..#hl"CE)- Nella traduzione letterale si coglie nelle prove (cfr. Col l, 11 ).
la figura etimologica resa dalla ripetizione: 4,3 Conservare l'unità dello spirito
«chiamata con cui siete stati chiamati». (nJpE1v 't~V Évot1lta "Col> lTVEUIJ.ator;) -Di
4,2 Umiltà, mitezza, magnanimità quale lTVEÙIJ.a si parla? Essendo evidente
('tanHvoljlpoouv,, npaih,ç, IJ.«KpoeuiJ.[a)- l'impossibilità di intenderlo come spirito
Nella cultura greca l'umiltà è percepita con del singolo cristiano, si fa riferimento allo
disprezzo quale sinonimo di viltà, mentre spirito di Dio (quindi allo Spirito Santo) o al-
nella Bibbia è una virtù: quella di sentirsi lo spirito ecclesiale? Alcuni esegeti propen-
piccoli e poveri davanti a Dio (cfr. Sall8,28; dono per l'interpretazione pneumatologica,
Fil2,3). La mitezza ne è un sinonimo: indica altri per quella ecclesiale; tuttavia, essendo

elenco di virtù necessarie alla vocazione cristiana. Ma (come era capitato anche
in 2,1 e in 3,1) l'argomento cede improvvisamente il passo a un'altra tematica più
urgente, per tornare a riaffiorare solo in seguito al v. 17. Le virtù ricordate, infatti,
non sono un codice comportamentale per il buon cittadino, ma hanno come scopo
esclusivo una convivenza ecclesiale fraterna. Non viene consegnata, quindi, una
lista per la condotta virtuosa, sulla scorta delle raccomandazioni, presenti nella
cultura greca, rivolte, p. es., al sovrano, al filosofo o al condottiero- in cui, eccetto
l' <<Umiltà» (tapeinophrosyne), compaiono sostanzialmente gli stessi termini- ma
vengono offerte alcune indicazioni concrete al fine di «custodire l'unità dello
spirito grazie allegarne della pace» (4,3). Fin qui il tenore del discorso è decisa-
mente esortativo e la finalità è chiaramente l'unità ecclesiale; al v. 4, invece, quasi
ali' improvviso, si cambia registro e, pur mantenendo almeno all'inizio l'attenzione
incentrata sull'unità, s'imbocca un'argomentazione decisamente speculativa, nella
quale vengono a intrecciarsi ecclesiologia, teologia e cristologia.
La concordia ecclesiale non è solo il frutto di una strategia finalizzata a
una convivenza pacifica; più precisamente, essa non è motivata da calcoli di
opportunità, seppur legittimi, per pianificare rapporti sereni, secondo la spon-
tanea aspirazione dell'uomo alla socialità. Di mezzo, invece, c'è l'iniziativa
divina. L'unione dei credenti, dunque, proviene dalla chiamata di Dio (nei vv.
1.4 «chiamare» e «chiamata)) compaiono ben tre volte). C'è, infatti, una vo-
cazione originaria all'unità, insita nell'esperienza di fede, che precede ogni
65 EFESINI4,5

umiltà, mitezza e magnanimità, sopportandovi reciprocamente


nell'amore, 3 impegnandovi a custodire l'unità dello spirito grazie al
legame della pace. 4Un solo corpo eun solo spirito, così come siete
stati chiamati in una sola speranza, quella della vostra chiamata.
5Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo,

non soltanto un dono divino da ricevere ma dell'aggettivo numerale «uno», declinato


una realtà da realizzare, non può essere lo in tutti i suoi generi (maschile, femminile
Spirito Santo (cfr. v. 13). Inoltre lo Spirito e neutro). Lo scopo di questa insistenza è
Santo è esplicitamente segnalato dall'ag- l'intreccio tra l'unicità divina e l'unità del-
gettivo ayLOç dopo il sostantivo 1TVEUj.lll (cfr. la Chiesa («unO>) compare pure in 4,7, in
1,13; 4,30). La conferma sopraggiunge al v. unione con l'aggettivo EKaotoç). La ripetuta
4, in cui «corpo» ecclesiale e «spirito» sono scansione di quest'aggettivo numerale unito
usati come sinonimi: «un solo corpo e un a elementi diversi (corpo, spirito, speranza,
solo spirito» (Èv o~a Kat EV nVEu~a). Signore, fede, battesimo, Dio) produce una
Unità (ÉvotT)ç) - È dislegomenon del NT: strutturazione di tipo climatico (un climax è
compare solo due volte, in Ef 4,3.13. una concatenazione di elementi in crescen-
4,4 Un solo corpo ... (Èv m:~~a ... )- Inizia do): lo sguardo del lettore è accompagnato a
qui, prolungandosi fino al v. 6, una lunga innalzarsi dal particolare ecclesiale ali 'uni-
anafora, costruita mediante l 'iterazione versale di Dio e del cosmo.

singolare specifica vocazione (cfr. la reiterata insistenza sul numerale «uno» e


sul concetto di «unità» nei vv. 3-6). Solo in seguito (dal v. 7) l'autore prenderà
in considerazione la peculiarità delle singole chiamate, fondate sui diversi doni
del Risorto; prima sente l 'urgenza di mettere a tema il fondamento teologico
dell'unità ecclesiale. Per dirla con una terminologia un po' ricercata, ai vv. 1-6
non si sta profilando una sociologia ecclesiologica, ma una ecclesiologia teo-
logica: la coesione dei credenti nel! 'unico corpo della Chiesa si basa sui doni
della speranza, della fede e del battesimo, che sono di origine divina (e sacra-
mentale). Infatti, l'insistita attenzione ali 'unione comunitaria viene declinata
intrecciandola all'unicità di Gesù e di Dio: «Un solo corpo, un solo spirito ...
un solo Signore ... un solo Dio e Padre».
Poi lo sguardo s'allarga, perché dalla Chiesa si passa a considerare il cosmo
intero (non è questo un fatto insolito in Efesini; già in 1,22 cosmologia ed eccle-
siologia si sono incrociati; infatti, Dio conferisce a Cristo la sovranità sull'intero
creato in quanto lo ha reso capo della Chiesa). Qui il pensiero si innalza fino a
Dio, seguendo una scansione concettuale climatica, perché dal concreto si giunge
all'universale: dall'unità della comunità ecclesiale e della sua esperienza battesi-
male le considerazioni si concentrano sull'unicità di Cristo e poi di Dio, sovrano
dell'universo. In qualche modo si parte dagli effetti (l'unità sperata) per risalire
alla causa (l 'unicità di Dio). Con una sorta di digressione, poi, a Dio vengono rico-
nosciute alcune qualifiche che lo confessano come origine e vertice dell'universo:
EFESINI4,6 66

Elç Scòç KaÌ nar~p mivrwv,


6

ò ènì mivrwv KaÌ òtà mi:vrwv KaÌ èv mxow.


7 'EvÌ ÒÈ ÈKaOT~ ~~WV ÈÒ08fJ ~ xaptç KCXTà TÒ ~ÉTpOV rflç ÒWpEéiç

TOU XptOTOU.
8 ÒtÒ ÀÉycl'
Jva{3aç Efç Vl/Joç .riXIJaÀWrEVCJEV afxpaÀWCJfav,
é5wKEV 56para rofç JvBpwrrozç.

4,6 Dio e Padre (9EÒç Ka.l rra.-r~p) - Questi ellenistico, per passi simili {l Cor 8,6: «un
termini compaiono associati nel!' epistolario solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene»;
paolino: Rm 1,7; 15,6; lCor 1,3; 2Cor 1,2.3; Rm 11,36: «da Lui, per mezzo di Lui e per
11,31; Gall,3; Ef 1,3; 5,20. Lui sono tutte le cose»), per l'uso cosmi-
Padre di tutto (rra.-rÌlP mivtwv) - Il genitivo co deli' aggettivo lTiiç («tutto») nel testo di
plurale (miv-rwv) può essere inteso al neutro Efesini: 1,10.22.23; 3,9; 4,10. Anche Filone
o al maschile: Padre di «tutti» (gli uomi- Alessandrino parla di Dio come «Padre del
ni) o di «tutto» (il cosmo)? A favore della cosmo» (Decalogo, 134).
prima soluzione c'è il contesto precedente, Tutto- La quadruplice ripetizione dell'ag-
che parla dei cristiani, e al v. 7 si specifica gettivo rriiç, definibile come epifora (cfr. nota
«ciascuno di noi»; alcuni manoscritti, tra i a l, 18-19), scandisce ritmicamente l' enun-
quali il codice Claromontano (D), quello di ciazione, enfatizzando l'estensione illimitata
Augia (F) e il quello di Borner (G), dopo il della sovranità di Dio. Alla lettera: <<un solo
finale Èv rriiOLv aggiungono 1\J.lv, con lo sco- Dio e Padre di tutto, il quale sopra tutto e
po di sciogliere l'ambiguità: «in tutti noi». mediante tutto e in tutto». Tale definizione di
La seconda soluzione, però è preferibile: per Dio assomiglia molto ad alcune altre: p. es.,
le formule greche parallele che intendono il a quella formulata dal presocratico Diogene
cosmo, per la paternità cosmica di Dio pre- di Apollonia (V sec. a.C.) e conosciuta grazie
sente in varie testimonianze del giudaismo a Simplicius (prima metà del VI sec. d.C):

«Padre di tutto, il quale è sopra di tutto e (agisce) per mezzo di tutto e (dimora) in
tutto» (v. 6). L'effetto è meraviglioso: chi si prende cura della Chiesa è anche colui
che permea e sostiene l'universo; il padre dei cristiani (e di Gesù) è il padre del
cosmo. La conseguenza è l'intuizione di una corrispondenza/identità immediata:
colui che compone in unità la totalità universale delle cose (tà panta) è lo stesso
che ha a cuore l'unità dei cristiani. Si tratta realmente di un vertice insuperabile,
sia per l'ecclesiologia sia per la teologia. Arrivati, infatti, a questo culmine, non
si può che "ridiscendere" al particolare del singolo cristiano (dal v. 7 in poi).
Dopo questo sguardo panoramico e onnicomprensivo, dalle dimensioni appun-
to universali, si torna a puntare sul dettaglio del dono personale: «a ciascuno di
noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo» (4,7). Il
discorso, quindi, non pecca di un eccesso teorico/speculativo, perché se lo sguardo
ha abbracciato l'universo, attraversato e sostenuto dalla potenza divina, è solo
per ritornare a considerare, ricco di questa "scorta" contemplativa, la comunità
67 EFESINI4,8

6un solo Dio e Padre di tutto,


il quale è sopra di tutto e (agisce) per mezzo di tutto e
(dimora) in tutto.
7A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la

misura del dono di Cristo.


8Perciò dice:

Salendo in alto ha catturato prigionieri,


ha distribuito doni agli uomini.

«Quel che gli uomini chiamano aria ... mi dei salmi, dove s'incontra pure il cambio di
sembra che sia dio e giunga dovunque e tutto soggetto. Se nel testo salmico il soggetto
disponga e in tutto sia» (Physica auscultatio, è Dio, sia in Efesini sia nel Targum c'è un
151 [BI], 28); oppure a quella dello stoico soggetto diverso: Gesù per Efesini e Mosè
Marco Aurelio (II sec. d.C.): «Da Te tutto, per il Targum; il primo mentre dona i mini-
in Te tutto e verso Te tuttm) (Colloqui con steri alla Chiesa, il secondo mentre consegna
se stesso 4,23). la Legge a Israele. Tale modifica in Efesini
4, 7 Dono (bwpEéi.ç) - Il campo semantico non è dovuta a una presunta (e tanto discussa
del dono ha una presenza significativa nel dagli esegeti) polemica dei cristiani verso la
brano sia mediante il verbo bLbwf.L~, sia coi figura di Mosè (ipoteticamente soppiantata
sostantivi con la stessa radice tematica: v. 7: da Gesù), ma a una sostituzione della figura
«è stata datiD) (È009TJ); v. 8: «ha distribuito di Dio con la figura di Gesù. Quest'ultimo
donh) (EbwKEV béj.lata ); v. Il: <<è lui che ha semplicemente si trova nella stessa posizio-
donatm) (autòç EbwKEv). ne divina.
4,8 Salendo in alto ... agli uomini (civaf>àç Elç Ha catturato prigionieri (~Xf.L«ÀWtEUOEV
\lljsoç ... to1ç civ9pw1To~ç) - È una citazione o:txi-Lo:Àwo(av)- Nella traduzione letterale
di Sal67,19 (TM 68,19) con la modifica da si può cogliere come i termini siano legati
~~ç (<<prese))) a ~OWKEV («diede))). Que- da una figura etimologica (cfr. nota a 1,23):
sta variazione è presente anche nel Targum «imprigionò la prigioniiD>.

ecclesiale. La struttura della comunità, infatti, articolata secondo una diversità di


ruoli e di compiti, non è - ancora una volta- conseguenza di una strategia orga-
nizzativa, ma è frutto di un'iniziativa dall'alto, secondo un dono di grazia. Con
una sola differenza: se prima l'attenzione si focalizzava in ultima battuta su Dio
(v. 6), ora l'argomentazione è tutta centrata su Cristo, latore di ogni dono (v. 8).
Salendo in alto ha distribuito doni (4,8-1 0). La posizione del Risorto riceve
una coloritura tutta particolare per la solennità con cui viene introdotta; si cita,
infatti, Sal 68,19 ( 67,19 LXX), con qualche adattamento: «Salendo in alto ha
catturato prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Questa citazione ha diversi
pregi perché sintetizza messaggi differenti con un'unica frase: l'ascensione
di Gesù al cielo, il suo trionfo sui nemici, l'elargizione dei doni. Ovviamente
si trascende il senso letterale del salmo, perché non si descrive più l'ingresso
trionfale in Sion dell'esercito vittorioso, con il seguito dei prigionieri e del
bottino da distribuire al popolo. Infatti, il testo salmico è ripreso ora per cele-
EFESINI 4,9 68

9"tÒ ÒÈ cXVÉ~f1 -r{ È:onv, El l!~ on KaÌ Ka"tÉ~f1 El<; -rà Ka"tW"tt:pa
[l!ÉPll] -rflç yflç; 10 oKa-ra~àç aù-r6ç è:onv Kaì oàva~àç ùnepavw
nav-rwv -rwv oùpavwv, 1va 1tÀf1pwon -rà nav-ra.

4,9 «È salito» non implica forse che è an- tentativo di chiarire questo testo enigmatico.
che sceso ... ? (tÒ cSÈ UVÉ~Tj t l Éonv, Et f.l~ Innanzitutto dopo KatÉ~l] alcuni manoscrit-
on KCtL KatÉ~T]) -Alla lettera: «ma il "salì" ti hanno aggiunto Tipwtov (p. es., il codice
cos'è, se non che anche discese ... ?». Vaticano [B)), al fine di dare chiarezza alla
Sceso quaggiù ' ' sulla terra (KatÉ~T] ELç sequenza degli eventi: è asceso colui che
tà. KatwtEpa [f.lÉpTJ] tiìç yiìç) - Le varianti «prima» era disceso. Ma la lezione senza
testuali mostrano una tendenza costante: il l'avverbio temporale è ben attestata nel

brare la risurrezione e ascensione di Cristo come l'entrata gloriosa nella reggia


divina posta nell'alto dei cieli («salendo in alto»). Comunque, già in 1,20-21
risurrezione e ascensione erano associate all'assidersi di Cristo alla destra del
trono di Dio nel più alto dei cieli, solo che qui al c. 4 sia la cristologia, sia
l'ecclesiologia ricevono un più ampio sviluppo. Poi si accenna a una prigionia
dai tratti un po' vaghi («ha catturato prigionieri»), che non sembra riferirsi,
appunto, a prigionieri fatti durante un 'imprecisata battaglia e poi tradotti in
schiavitù, ma più probabilmente allude all'assoggettamento da parte di Cristo
dei nemici che popolano i cieli (cfr. le Potenze di 1,20-22). Infine si indica una
distribuzione non del bottino di guerra («ha distribuito doni»), ma di regali che
il Risorto assegna alla Chiesa. E quest'ultima tematica è la più importante, sia
perché riprende il v. 7 («a ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la mi-
sura del dono di Cristm>), sia perché si impone per il prosieguo al v. 11 («è lui
che ha donato alcuni come apostoli, altri come profeti...»). Questa rilettura di
Sal 68, 19 deriva da una comprensione attualizzata dell' AT, che alla luce della
novità cristologica può sprigionare nuovi e più ampi significati; in altre parole
di tratta di un esempio di mìdrash cristiano sul testo salmico.
Questa rilettura del salmo apre a una digressione cristologica su quella che
potremmo definire la "carriera" di Cristo, ossia la traiettoria completa della sua
esistenza e missione (4,9-1 0). La storia dell'interpretazione di questi versetti si
mostra assai vivace e complessa, poiché, mentre per l'ascensione non si sono
mai incontrate difficoltà interpretative, per la discesa sono state formulate di-
verse congetture: a) discesa agli inferi, b) discesa nell'incarnazione, c) discesa
a Pentecoste.
a) La prima ha incontrato sostenitori fin dall'antichità, ma la difficoltà a ri-
conoscere la dottrina del descensus ad ìnferos sta proprio nella visione cosmo-
logica di Efesini, che non è mai distinta in tre livelli (cielo, terra, inferi; cfr. Fil
2,10), ma sempre in due (cielo e terra). Se poi la «prigionia>> riguarda le potenze
diaboliche sconfitte, queste dimorano in cielo e non sotto terra (cfr. 1,21; 3,10;
6,12). Inoltre, non si comprende come la discesa agli inferi si integri nel contesto
dell'edificazione ecclesiale. Vale, infine, il valore epesegetico dell'espressione
69 EFESINI 4, l O

9Ma dire che «è salito» non implica forse che è anche sceso
quaggiù sulla terra? 10Colui che è disceso è lo stesso che è
r ,

anche salito al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose.

papiro Chester Beatty II (1})46) e nei codici Quaggiù sulla terra (Eiç "t"à K<m.l"t"Epo: "t"iìç
Sinaitico (N) e Alessandrino (A). Anche la yiìç) - Alla lettera: «nelle profondità della
precisazione f!ÉPTJ («parti») va intesa come terra». Non sembra che il genitivo "t"iìç yiìç
una glossa aggiunta per chiarire la localiz- sia partitivo, da intendersi cioè con «parti più
zazione; infatti, non è presente nel papiro profonde della terra», e quindi gli «inferi»,
Chester Beatty II (1})46) e nel codice Claro- ma epesegetico: le parti più inferiori rispetto
montano (D). al cielo, ossia la «terra» stessa.

«parti inferiori della terra», che conduce alla traduzione «quaggiù sulla terra»,
escludendo l'accezione di «inferi» (cfr. nota a 4,9).
b) La seconda ipotesi ha il merito di fare riferimento all'incarnazione e quindi
alla vita terrena di Gesù, ma in tutta la lettera non emerge nessun'altra menzio-
ne di quest'evento; poi non si comprenderebbe bene il legame con il contesto
dal momento che il dono dei servizi ministeriali, dispensati per la crescita della
Chiesa, viene elargito dal Cristo glorioso e non dal Gesù terreno. Rimane questa,
comunque, l'ipotesi col margine più ampio di attendibilità.
c) La terza intende la discesa non come un fatto antecedente all'ascesa, ma
successivo; in questo modo coinciderebbe con la discesa mistica del Risorto nella
Chiesa mediante i suoi doni a Pentecoste, e questo grazie a una sorta di identi-
ficazione tra la discesa di Cristo e quella dello Spirito Santo. Si avrebbe così il
pregio di collegare la digressione cristologica con il contesto ecclesiale: il Risorto
dall'alto dei cieli, mediante lo Spirito, invia alla Chiesa i doni necessari al suo
sviluppo. Rimangono, tuttavia, due forti perplessità: non c'è nessuna allusione o
menzione dello Spirito Santo, e l 'identificazione non è tra Cristo e lo Spirito ma tra
«colui che è sceso» e «colui che è asceso». Dunque anche l'esito pneumatologico
rimane problematico, e il collegamento con la Pentecoste resta un pura congettura.
Bisogna, allora, riconoscere che all'autore sta principalmente a cuore l'ascen-
sione, perché è l'evento culmine, in forza del quale Cristo si trova in una posizione
"forte" rispetto alla Chiesa: dall'alto dei cieli può attrezzare la Chiesa dei servizi
necessari alla sua esistenza. In più, la coppia antinomica «scendere quaggiù sulla
terra)) e «salire al di sopra di tutti i cieli)) più che focalizzare su un evento preciso
della vita di Cristo, potrebbe indicare l'estensione semplicemente illimitata della
sua signoria.
In questa linea, infatti, si colloca pure la conclusione del v. l O, dove alla loca-
lizzazione «al di sopra di tutti i cieli)) si aggiunge la puntualizzazione «per riempire
tutte le cose)). Si tratta dell'apice insuperabile da cui Cristo dispiega la sua autorità
sovrana sul cosmo: asceso alle più alte vette delle realtà celesti è in posizione
divina e regge tutto l'universo. Anche se l'autore non li utilizza, si potrebbero
tranquillamente riconoscere in questo momento al Risorto i titoli di Pantokrator
EFESINI 4, Il 70

11 Kaì aù-ròç ÉÒWKfV -roùç ~€v à:nocr-r6/\ouç, -roùç ò€ npo<p~-raç,


-roùç òè E:ùayyE:Àtcr-raç, -roùç ò€ not~évaç Kaì òtòacrKaÀouç, 12 npòç
-ròv Ka-rapncr~òv -rwv àyiwv E:Ìç épyov ÒtaKoviaç, dç oiKoÒo~~v
mu m.0~amç mu Xptcr-rou, 13 ~ÉXpt Ka-rav~crw~fv oi nav-rE:ç
dç -r~v È:VOTt'JT<X -rfjç nicr-rE:wç Kaì -rfjç èmyvwcrE:wç mu uìou -rou
8wu, dç avÒpa TÉÀ€\OV, dç ~ÉTpOV ~ÀlKtaç TOU TtÀrJpW~<XTOç
mu Xptcr-rou, 14 !va ~rJKÉn W~fv v~mot, KÀuòwvt~6~E:vot KaÌ
n€pt<pé:p6~E:vot navTÌ à:vÉ~4> Tfjç ÒtÒà:crKaÀiaç èv Tfi Ku~d'it -rwv
à:v8pwnwv, èv navoupyi'it npòç nìv ~E:8oòdav Tfjç nÀavrJc:;,
4,11 Ed è lui che ha donato (ml nùtòç le. Nell'elenco va sottolineata l'assenza di
EOWKEV) - Il pronome nùt6ç è in posizione termini frequenti nella società civile e nelle
enfatica, per questo s'è evitata la traduzione religioni pagane: «sacerdoti» (l.Ep«:'iç), «con-
«ed egli donò alcuni». Inizia qui un altro pe- siglieri» @ouì..Eutn ( ), «sovrintendenti delle
riodo lunghissimo, che giunge fino al v. 16, palestre» (yUj.!vna(npKoL), ecc.
in cui l'autore fatica a dipanare i pensieri e, 4,l3All'unità ... , all'uomo ... , secondo la mi-
quindi, procede per accumulo. sura ... (Elç t~v ÉvOtT]tiX ... , Elç /Xvl:ipn ... , Elç
Ha donato alcuni come apostoli... (EI:iwKEV j.!Étpov ... ). Il triplice Elç («a>>) non indica che
toùç !lÈV &.noat6ì..ouç ... ) - La traduzione le espressioni siano poste in parallelismo (evi-
«egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, tato, appunto, nella traduzione). Sono invece
ad altri di essere profeti ... » (come si riscon- sintagmi collegati in modo che i rispettivi
tra nella versione CEI del 2008) corre il significati si compenetrino l'uno nell'altro.
rischio di far comprendere i ministeri prin- Ali 'uomo perfetto (Elç IXvl:ipn tÉÀELov)- Con
cipalmente come doni indirizzati ai singoli, tale espressione non si intende il Risorto co-
mentre sono doni finalizzati essenzialmente me figura corporativa, che porta a compi-
alla crescita del!' intera comunità ecclesia- mento in se stesso l'umanità intera, secon-

(Signore di tutte le cose) o di Cosmo/Chronokrator (Signore del cosmo e del


tempo). Anche qui con una conseguenza sorprendente, cui però l'autore aveva
già accennato in 1,22: giunto al vertice ineguagliabile e irraggiungibile della sua
"carriera", Cristo ha il solo obiettivo di prendersi cura della sua Chiesa. Difatti
l'attività che Cristo svolge è identificabile non tanto con questo o quel preciso
avvenimento, ma è comprensibile come una sorta di «perenne rifondazione»
(Penna, 189) della comunità ecclesiale. Questo sovrano universale dimostra tutta
la sua grandezza e originalità con una sorta di inversione dei ruoli: se i re terreni
dai loro sudditi pretendono la riscossione di tributi e imposte, Cristo rivendica
come unico splendido privilegio quello non di esigere dei doni ma di elargirli.
L 'uomo perfetto e la crescita della comunità (4, 11-16). Il Risorto fornisce al-
la Chiesa il dono personale dei ministeri (4,11 ), non ancora strutturati secondo la
successiva articolazione in ministeri ordinati (diaconi, presbiteri e vescovi), istituiti
(lettori e accoliti) e i cosiddetti ministeri "di fatto", secondo la dicitura contemporanea.
L'elenco ricorda da vicino le liste di Rm 12,6-8 e 1Cor 12,28, dove le diversità dei
ministeri mostrano una situazione ancora fluida. Ciò che colpisce è che qui abbiamo
71 EFESINI 4,14

11 Edè lui che ha donato alcuni come apostoli, altri come


profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri,
12per rendere i santi capaci di servire, al fine di edificare

il corpo di Cristo, 13finché giungiamo tutti all'unità della


fede e della conoscenza del Figlio di Dio, all'uomo
perfetto, secondo la misura della completa pienezza di
Cristo. 14(Questo) affinché non siamo più dei bambini,
sballottati e portati qua e là da ogni vento di insegnamento
secondo l'astuzia umana che vuol trarre in inganno,
do la teologia dell'ultimo Adamo (cfr. l Cor come, p. es, in Mt 11,25, ma decisamente
15,45). Si intende, invece, «l'uomo adulto», negativa, similmente a ICor 3,1.
cresciuto, cioè il traguardo del cammino di Secondo l'astuzia umana che vuoi trarre in
maturazione della Chiesa. inganno (Év tfj Kuf3E:tct twv àv9pw1Twv, Év
Secondo la misura della completa pie- 1Tcxvoupytct 1rpÒç tftV f.Lf:6o&(av tfìç TIMVTJç)
nezza di Cristo (f:Lç f.LÉ'rpov ~hKtaç toO - Ci troviamo davanti a una diallage, un ac-
1TÀTJPWf.Latoç toO XpLotoO) -Alla lettera: cumulo, cioè, di sinonimi; infatti, la tradu-
«secondo la misura della maturità della pie- zione letterale è piuttosto pesante: «secondo
nezza di Cristo». Il termine ~ÀLKtcx («matu- l'inganno degli uomini, con l'astuzia per la
rità») può designare sia l'età sia la statura; frode dell'aberrazione>>. In particolare il ter-
qui indica il livello di crescita del1TÀ~pWf.l!l di mine Ku(Xtcx, che deriva da KU~oç («cubo»,
Cristo, «pienezza» non riferita alla sua per- «dado»), dà l'idea del rischio e dell'impre-
sona, ma ali' oggetto della sua attività, ossia vedibilità del gioco dei dadi, insistendo, così,
la Chiesa (cfr. l ,23 ). sul senso di insicurezza e instabilità suscitato
4,14 Bambini (~mOL)- La condizione in- dali' immagine della tempesta («sballottati e
fantile non ha qui una sfumatura positiva, portati qua e là da ogni vento ... »).

un elenco non di compiti o qualifiche, ma di persone. Cristo, cioè, non conferisce


la competenza dell'apostolicità, della profezia o dell'annuncio, ma dona apostoli,
profeti, annunciatori, ecc ... col fine di abilitare tutti i cristiani al servizio. All'interno
della comunità ci sono, dunque, ruoli differenti: di governo (apostoli), di esortazione
e discernimento (profeti), di annuncio (evangelisti, ma non nel senso degli autori dei
quattro vangeli), di guida e di insegnamento autorevole (pastori e maestri), ma tutti
sono orientati a un unico scopo, quello di rendere i credenti capaci di servire, perché
il fine è l'edificazione della comunità (v. 12). Quasi a dire che i ministeri nella Chiesa
hanno come unica ragion d'essere l'abilitazione di tutti al servizio (diakonia). Infatti,
la perfezione della Chiesa, il processo di maturazione comunitaria (ecco la metafora
dell'uomo perfetto, «adulto>>, contrapposto alla condizione «infantile»; 4,13-14) si
delinea nella crescita armonica dell'intera comunità ecclesiale, dove ciascuno può e
deve dare il suo contributo, resistendo al fascino di insegnamenti ingannevoli.
Con l'immagine della tempesta si vuole alludere a quegli sconvolgimenti interio-
ri e comunitari prodotti dalla comparsa di opinioni teologiche e morali («ogni vento
d'insegnamento»), che mettevano continuamente in discussione il quadro dottrinale
EFESINI 4,15 72

15àÀ119eoov-u:ç ò€ Èv àyann aù~~ow}!EV Eiç a\rròv -rà


TtaVTa, oç Èonv ~ KE<paÀ~, XptoT6ç, 16 È~ oiJ mxv TÒ O"W}!a
ouvap}!OÀoyoO}!EVOV KaÌ O"U}!~t~a~O}!EVOV Òtà nao11ç Ò:<pfiç Tfiç
., 1 .,, , t' r 1 , 1 ' '
E1t1XOPT1Ytaç KaT EVEpyetaV EV }!ETp<.p EVO<; EKaO"TOU }!Epouç TT1V
aU~TlO"tV TOÙ O"W}!aToç 1t01EiTat eiç OÌKOÒO}!~V ÈaUTOÙ Èv àyann.
17 Tofuo oòv Myw xaì }lapropo}lat Èv xupi<.p, }!TlKÉn Ù}!aç nepma-reìv,
Ka9wç KaÌ TÙ e9VT1 nEplltaTEÌ ÈV }!aTatOTTlTt TOÙ voÒç aÙTWV,
18 ÈO"KOTW}!ÉVot -rft Òtavoi<;t ov-reç, ànTlÀÀOTptW}!ÉVot -rfiç ~wfiç -roù

9eoù ÒtÙ T~V ayv01av T~V OÒO"aV ÈV aÙTOtç, ÒtÙ T~V 1tWpWO"lV Tfiç
xapò{aç aù-rwv, 19 o1nveç àn11ÀY11KOTeç Èau-roùç naptòwxav -rft
llO"EÀyet<;t EÌç Èpyao{av <.ÌKa9apo{aç na011ç ÈV TtÀEOVE~t<;t.

4,15 Cresciamo in ogni cosa verso di lui (iTfuJ tÒ <J<4.Ia ... tÌ]V tt~T]O~V tOU O~toç iTO~E:1.­
(tti.I';T)ac.JI.IEV elç a.&tòv tÌX 1T(lvttt) - La frase ttt~ elç oiKOOq.L~v l:a.utou)- Alla lettera, «Tut-
è diversamente comprensibile a seconda che to il corpo ... produce la crescita del corpo per
au~avw venga inteso in senso transitivo o l'edificazione di se stesso». Sembra che l'autore,
intransitivo; nel primo caso tÌX ;ravta sarà il nella concitazione delle tante informazioni da
complemento oggetto: «facciamo crescere ogni dire sulla crescita ecclesiale, non si sia accorto
cosa verso di lui»; nel secondo, invece, un ac- del pleonasmo: il corpo ecclesiale contempo-
cusativo avverbiale: «cresciamo in ogni cosa raneamente soggetto e oggetto della medesi-
verso di lui». La seconda soluzione è preferibile ma azione. Il passo assai simile di Col 2,19 è
perché in sintonia sia col contesto immediato, decisamente più snello: «tutto il corpo riceve
sia con altri passi (cfr. 4, 16: a crescere è il cor- sostentamento e coesione per mezzo di giunture
po ecclesiale e non il cosmo; anche in 2,20-22 e legamenti e cresce secondo il volere di Dio».
si parla della crescita dell'edificio ecclesiale). Composto armoniosamente (ouvttpiJ.OÀo-
4,16 Tutto il corpo ... cresce per edificarsi yoli!J.evov Ka.l otJ!.113~f3a.(~evov) -Alla lettera:

sicuro, cui i credenti erano invitati a far affidamento. Purtroppo la scarsità di infor-
mazioni non permette di farci un'idea più precisa sui contenuti di queste opinioni
deprecate dall'autore; il contesto esortativo e l'invito a non seguire il <<comporta-
mento dei pagani» (4, 17) induce a ritenere che si tratti di questioni etiche più che
di opinioni teologiche (anche nelle lettere Pastorali, comunque, emerge un'istanza
di difesa della sana dottrina: cfr. ITm 4,1.7; 2Tm 4,3-4; Tt 1,10-14).
La regola d'oro cui rifarsi è la «verità nell'amore» (v. 15), perché ortodossia
e carità non possono procedere separate. Sia perché la scienza senza l'amore non
vale nulla (cfr. lCor 13,2), dal momento che le istanze veritative (ortodossia)
separate da quelle della carità non sono sufficienti per la crescita della comunità
ecclesiale; sia perché la pratica fattiva dell'amore (ortoprassi) deve ispirarsi a un
unico principio veritativo: Cristo stesso, traguardo verso il quale la comunità deve
crescere (in 4,20 quest'idea vien esplicitata come non mai: è necessario «imparare
Cristo»). Interessante poi la dimensione di mutua interconnessione esistente tra i
credenti, messa in luce dalla metafora del corpo che si sviluppa grazie all'apporto e
73 EFESINI 4,19

dicendo, invece, la verità nell'amore, cresciamo in ogni


15

cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, 16dal quale tutto il


corpo, composto armoniosamente grazie all'apporto di ogni
articolazione, secondo la capacità propria di ciascun membro,
cresce per edificarsi nell'amore.
Questo, dunque, affermo e sostengo nel Signore: non seguite
17

più il comportamento dei pagani che hanno per la mente


pensieri vuoti, 18sono ottenebrati nell'intelletto, estranei alla
vita di Dio per la loro ignoranza e per l'indurimento del loro
cuore; 19 diventati insensibili si sono dati alla dissolutezza,
commettendo con avidità ogni tipo di depravazione.

«compatto e congiunto». Compare ancora - Questi termini compaiono in molti catalo-


l'uso insistito del prefisso ouv- («con>>), co- ghi di vizi sia nella Bibbia sia nella lettera-
me in 2,5-6.21-22; 3,6. tura extrabiblica. 'AoÉÀyE La significa: «inso-
4,17 Non seguite più il comportamento dei lenza, dissolutezza, impudenza»; aKa9apa[a
pagani che hanno per la mente pensieri vuoti (più raro nel greco classico) indica: «impu-
{I.Lt]KÉ'tL uf.Uiç m:pL 'lT!l'tE:LV, Ka9Wç K!lL 'tÌX ~9VT] rità, depravazione, immoralità»; 'lTÀEOVEo~;La
m:: p t na"t~CL Èv IJ.«'t!lLOTI]n miì voòç a{m;;v) vuoi dire: «avidità, cupidigia, bramosia».
- Una figura etimologica affiora dalla ripe- Anche se i primi due possono talora restrin-
tizione del verbo «camminare», che designa gersi ali' ambito delle devianze sessuali, di
la condotta di vita (cfr. 2,2.1 O; 4, l; 5,2). La fatto questi tre vizi più che un elenco det-
traduzione letterale reciterebbe: «Non cam- tagliato, nel loro insieme sono la fotografia
minate più come anche i pagani camminano della condizione immorale dei pagani, resa
nella vanità del loro pensiero». con una sorta di diallage (accumulo di sino-
4,19 Dissolutezza ... avidità ... depravazione nimi), come in 4,14.

allegarne reciproco di ogni singolo membro (v. 16). Solo così la comunità cristiana
può edificarsi come corpo di Cristo in stato di perenne crescita.

4,17-5,20 La vita nuova in Cristo


Al v. 17 la tematica ecclesiale lascia il posto a una serie di esortazioni diverse,
anche molto concrete e diversificate tra loro, accomunate tuttavia dall'attenzione
al comportamento individuale, le quali proseguono senza interruzione nel c. 5.
4,17-32 Contrapposizione tra condotta passata e condotta nuova
Il rischio di lasciarsi infantilmente sviare dai venti di dottrina (espresso al v. 14) vie-
ne ripreso nella raccomandazione a non condividere l'intelletto ottenebrato dei pagani.
Come si può facilmente notare, l'esortazione, che ha di mira un certo tipo di prassi,
in prima battuta si preoccupa dei pensieri: è da una certa mentalità che scaturiscono
i comportamenti dissoluti (vv. 18-19). Il profilo, dunque, in prima istanza almeno, è
dottrinale: prima pensavate in un certo modo, come i pagani, ora non pensate più così.
L'inversione, infatti, non si basa solo su una semplice antitesi tra costumi diversi (quelli
EFESINI 4,20 74

20 'Y}lfiç 8È: OÙX oirrwç qux8trE TÒV Xpurr6v, 21 d ye <XÙTÒV ~KOU(J(XTE KCXÌ
f:v a&r<f) é:òt&ix8ryre, KCX8wç é:cmv àÀ~8eta f:v -r<f) 'IYJcrou, 22 à:no8Écr8at
Ù}.1éiç Ka:Tà nìv npo-rÉpav à:vacr-rpcxp~v -ròv na:Àatòv èiv8pwnov -ròv
q>8EtpOllfVOV KCXTà -ràç Èm8u}.1ia:ç Tfiç Ò:mXTYJç, 23 Ò:VaveoUcrSat ÒÈ T<f)
nvw}.1Q:n -rou voòç Ù}.1WV 24 KCXÌ f:vòucracr8at -ròv Katvòv èiv8pwnov -ròv
Ka:Tà 8eÒv Kncr8ÉvTa f:v ÒlKO:locnJvn KCXÌ ÒOl.OTYJTI Tfiç àÀYJ8eia:ç. 25 ~lÒ
à:no8É}lfVot -rò ~ruòoç ÀaÀEfre ~hjBEZav D<acrrcx; pera rov 7rÀ1Jcnov
on
amoV, ~ à:ÀÀ~ÀWV }lfÀYJ. 26 6py[(eo0e Kaì Wl apapravae·ò
~Àtoç }.1~ É:mÒUÉTW É:nÌ [T<f}] napopyt0}.1<f} Ù}.1WV, 27 }.1YJÒÈ ÒtÒOTE TOITOV
-r<f) Òtaj36~. 28 ò KÀÉmwv llfJKÉn KÀErrrÉTw, }.1éiÀÀoV ÒÈ Kom.<hw
É:pya~O}lfVoç TO:iç [ÌÒtatç] XEPCJÌV TÒ à:ya86v, lVO: fxn }.1Et'O:Òl00Vat
-r<f) XPEiav éxovn. 29 néiç Myoç cranpòç ÈK -rou cr-r6}.1a:Toç Ù}.1WV 1.1~
É:Knopeutcrew, àÀÀà d nç à:ya8òç npòç oiKOÒ0}.1~V Tfiç XPEiaç, 1va 04>

4,20 Non così avete imparato il Cristo (oùx «leggere Dante», <<aSCOltare Bach», «imparare
o\Jtwç Éj.uiEletE tÒV XpLat6v)- n verbo j.JavSavw Kant», che non indicano l'apprendimento del-
(«imparo») nella Settanta è strettamente con- le loro persone, ma delle rispettive opere. Ma,
nesso alla Legge, imparare la quale signifi- chiedendo l'apprendimento di Cristo, l'autore
ca sottomettervisi per fare la volontà di Dio. non si riferisce a ooa qualche «opera» di Cristo;
Nell'espressione, forse c'è Wla sottile allusio- indica piuttosto l'accoglienza della sua persona.
ne al termine 1Ja9TJnl; («discepolo>>), che ha la 4,21 Siete stati istruiti (É=IILIXiXGT]tE)- Le infi-
stessa radice tematica. Potrebbe anche trattarsi nitive dei vv. 22-24 («spogliarsi», «rinnovar-
di ooa metonimia, cioè nominare la causa per si», <<rivestirsi») dipendono sintatticamente da
l'effetto: in questo caso si nomina l'autore per questo verbo, ma logicamente si connettono
indicarne l'opera. Alcm1e metonimie simili a a ritroso pure con l'apprendimento di Cristo,
«imparare Cristo» potrebbero essere, p. es.: fondamento che motiva tutti gli atteggiamenti

dei cristiani contrapposti a quelli dei pagani). È l'orizzonte concettuale che deve cam-
biare in modo radicale, in forza di un unico nuovo principio ispirativo: Cristo stesso.
I cristiani, appunto, hanno una mentalità diversa, perché più radicalmente hanno
assimilato qualcosa che trascende il puro livello intellettuale: essi hanno «imparato
il Cristo» (4,20). L'espressione è assai curiosa, perché mentre ci è familiare l 'idea di
imparare da Cristo (cfr., p.es., Mt l l ,29: «imparate da me che sono mite e umile di
cuore»), meno consueto è sentire di dover apprendere Cristo stesso. Probabilmente
l'espressione intende trasmettere l'idea che la fede non si riduce solamente a una
dottrina da assimilare o a un sistema valoriale cui aderire, ma è un rapporto personale
con Cristo, che "rapisce" non una ma tutte le facoltà dell'uomo. Detto altrimenti: è
l'assenso pieno a Cristo e alla sua opera mediante un'adesione e ridefinizione globali
della propria vita. Vengono in mente le espressioni totalizzanti di Paolo: «mi ero
proposto di non sapere altro in mezzo a voi che Gesù Cristo, e lui crocifisso» (l Cor
2,2); «vivo, però non più io, ma vive in me Cristo» (Gal 2,20); «per me vivere è
CristO>) (Fill,21). Per assimilare Cristo, tuttavia, ci vogliono le mediazioni: chi lo
75 EFESINI 4,29

20Voi però non così avete imparato il Cristo, 21 se realmente lo avete


ascoltato e in lui siete stati istruiti, come c'è verità in Gesù, 22a
spogliarvi dell'uomo vecchio con la condotta di prima, quello che
si corrompe secondo le concupiscenze ingannevoli, 23e a rinnovarvi
nello spirito della vostra mente 24e rivestirvi dell 'udmo nuovo, creato
secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. 25Perciò, rinunciando
alla menzogna, ciascuno dica la verità al suo prossimo, perché siamo
membra gli uni degli altri. 26Se vi arrabbiate, non peccate; il sole non
tramonti sulla vostra ira, 27non fate spazio al diavolo. 28Chi ruba non
lo faccia più, piuttosto s'impegni compiendo il bene con le [proprie]
mani, per avere di che condividere con chi è nel bisogno. 29Dalla
vostra bocca non esca nessuna parola aspra, piuttosto una parola
buona di edificazione, secondo necessità, per il bene di chi ascolta.
successivi. I vv. 20-24, infatti, costituiscono adamica implicita: si descrive, cioè, la nuova
un unico lungo periodo, assai complesso e realtà ecclesiale ricorrendo al linguaggio relati-
non certo lineare dal punto di vista stilistico. vo alla creazione di Adamo, ma lo si fa in mo-
4,24 Rivestirvi dell'uomo nuovo, creato se- do delicatissimo, allusivo, non esplicito. Come
condo Dio nella giustizia e nella santità vera in Col3, l 0: «avete rivestito il nuovo [uomo] ...
(EvOOOaatlaL tÒV K!XLVÒV av6pw1TOV tÒV Katèt a immagine di Colui che lo ha creato».
9Eòv Kno9Évta E:v OLKawouvn KaÌ. ÒOL&n,n 4,25 Ciascuno dica la verità al suo prossimo
ti); cUTjSElaç)- In questa frase i contatti lette- (À.aÀE'i'tE àJ..{]aHaV ~K!XOtoç j.lEtÙ toU 1TÀ.T]<JLOV
rari con l' ATsono molteplici: Sap 9,1-3; 2,23; autou)- Si tratta di un citazione di Zc 8,16.
Sir 17, l; 33, l O; in tutti questi testi si parla del- 4,26Seviarrabbiate, nonpeccate(4rfil,Ed3E KaÌ.
la creazione di Adamo. Che l'autore vi faccia ~tlivEtE)- Alla lettera: «arrabbiatevi ma
l-1ft
riferimento depone a favore di una tipologia non peccate»; è una citazione di Sal4,5 LXX.

annunci nel kérigma e chi lo spieghi nella catechesi (4,21 ). Egli, infatti, non giunge
immediatamente al singolo credente se non attraverso la comunità cristiana, la quale
ha il compito di annunciare il Cristo e di far memoria di tutta la sua vicenda terrena;
in questo senso va intesa la locuzione «come c'è verità in Gesù», in cui compare
appunto il nome terreno di Cristo. Infatti, «conoscere il Cristo, è anche seguire Gesù
di Nazareth nelle sue scelte e nelle sue reazioni» (Aletti, 236).
La relazione personale con Lui provoca una novità esistenziale nel credente,
abilitandolo a lasciarsi alle spalle la condotta seguita in passato, per abbracciarne una
nuova. Quest'idea è resa plasticamente con l'antitesi dell'uomo vecchio da smettere
e dell'uomo nuovo da indossare (4,22-24). La metafora dell'indumento potrebbe
apparire superficiale ed estrinseca, poiché indossare un abito piuttosto che un altro
non cambia certo la persona. In realtà, invece, il messaggio offerto è che ci si debba
svestire di un comportamento sbagliato precedente («l 'uomo vecchio») per vestire
una condotta inedita, originale («l'uomo nuovo»), che si fonda ultimamente su un
atto creativo di Dio. Il rinnovamento attraversa dunque la totalità della persona: dai
EFESINI 4,30 76

xaptv roiç àKououmv. 3°K<XÌ J.l~ ÀundrE tÒ 1tVWJ.l<X tÒ éiytov tou 8Eou,
Év 4> ÈO<ppayt081")TE EÌç ~}JÉpav !Ì1tOÀUTpWOEWç. 31 JtCl<J<X ntKp{a K<XÌ
8upÒç KCXÌ Òp)'lÌ K<XÌ Kpau)'IÌ K<XÌ ~À<XO<pl"JJ.ll<X àp8~TW àcp' Ù}lWV OÙV
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1t€pl1t<Xt€tt€ ÉV àyann, Ka:8wç K<XÌ Ò XptotÒç ~YcX1tl")OEV ~}.léiç


4,30 Non rendete triste lo Spirito Santo di monianza discreta della sua realtà personale.
Dio (!l~ lun~tt~ tÒ nv~iìjla tò iiywv tou L'espressione richiama ls 63,10.
9EOu) - Il il~ è omesso dal papiro Chester Avete ricevuto il sigillo (€v ~ €o4Jpaytoe11n)
Beatty II (\}:'46), ma si può ritenere un sem- -Alla lettera: «con cui foste contrassegnati
plice errore, altrimenti il testo risulterebbe col sigillo».
incomprensibile. Per alcuni esegeti il fatto •:• 4,17-32 Testi affini: Rm 13,14; Mt6,12.14;
che lo Spirito possa essere afflitto è una testi- 18,23-35; Le Il ,4; Gv 13,34; l Gv 4,11.19

convincimenti interiori alla prassi esteriore. E questo chiama in causa la potenza


creatrice di Dio, al pari della creazione del primo uomo (abbiamo qui un'allusione
ad Adamo). Ora, la metafora dell' «indossare», legata alla novità cristologica e varia-
mente declinata a seconda dei diversi contesti, è un tema prettamente paolino: anche
in questi casi, contrariamente al senso immediato di estrinsecismo che l'immagine
dell'abito può trasmettere, essa veicola visivamente una trasformazione totale e pro-
fonda della persona (Rm 13,12.14: indossare le armi della luce e rivestire il Signore
Gesù Cristo; lCor 15,53.54: vestirsi d'incorruttibilità e d'immortalità; 2Cor 5,3-4:
non nudi ma sopravestiti; Gal3,27: rivestirsi di Cristo; l Ts 5,8: indossare la corazza
della fede e della carità; Col 3,10.12: rivestire l'uomo nuovo e indossare viscere
di misericordia; la stessa lettera agli Efesini in 6,11: indossare l'armatura di Dio).
Si potrebbe dire che 4,20-24 costituisce una sorta di nucleo fondativo, dal risvolto
cristologico e antropologico, dal quale di conseguenza seguono tutte le considera-
zioni etiche successive (4,25-32). L'uomo nuovo da indossare, infatti, porta con sé
la rinuncia alle menzogne, all'ira, al furto, al linguaggio duro o volgare, a ogni sorta
di manifestazione scortese e collerica. La riprova sta nel fatto che i comportamenti
virtuosi sono la conseguenza dei doni ricevuti: lo Spirito (v. 30) e il perdono (v. 32).
Questi ultimi due ancora una volta mostrano che la novità cristiana non è pura azione
di maquillage: il credente può vivere atteggiamenti radicalmente nuovi perché è
stato rinnovato dal di dentro dall'azione di Dio (vale anche qui l'antico adagio agere
sequitur esse: «la condotta nasce dall'essere [della persona]»).
Infine un'osservazione a margine circa la cosiddetta escatologia realizzata di Efesini.
Le esortazioni di questa sezione dimostrano come il cristiano non possa "dormire sugli
allori", ritenendosi esentato da fatiche, lotte e scontri. Certamente è già partecipe della
vittoria di Cristo, ai cui piedi le Potenze malvagie sono state definitivamente assoggettate
(1,2.1-22), ed è associato alla sua risurrezione nei cieli (2,6). Tuttavia deve ingaggiare
una dura lotta contro gli influssi demoniaci. Qui, infatti, fa la sua comparsa l'azione del
77 EFESINI 5,2

30E non rendete triste lo Spirito Santo di Dio, del quale avete ricevuto
il sigillo per il giorno della redenzione. 31 Togliete da voi ogni asprezza,
collera, ira, schiamazzo, maldicenza, con ogni malignità. 32 Siate
[invece] buoni gli uni con gli altri, misericordiosi, perdonandovi
reciprocamente, proprio come Dio ha perdonato voi in Cristo.
5 1Diventate, dunque, imitatori di Dio come figli amati 2e

camminate nell'amore, come anche Cristo ci ha amati e ha


Il 5,1-14 Testi paralleli: Col3,5-6; Gal2,20 più riprese: «figli amati>> ('tÉKva &yan,'ta:
5,1/mitatori di Dio (1-HiJil'tiXÌ. 'toù 9Eoù)- È 5, l), «camminate nell'amore>> (nE pL1TIX'tEt
questo l'unico versetto in tutta la Bibbia in n Èv àyann: 5,2), «Cristo ci ha amati» (o
cui compare il tema dell'imitazione di Dio: Xpta'tÒç ~y&n,oEv lÌiJ&ç: 5,2). Circa il verbo
non di un qualche tratto o comportamento «camminare» (1TEpL1TIX'tEtv), cfr. 2,2.10; 4,1.
divino, ma di Dio stesso. 5,2 Come anche (KaSWç Ka() - Kaewç può
Figli amati- Il tema dell'amore affiora a essere comparativo (amare «come» Cristo ci

diavolo (il tennine didbolos spunta qui e in 6,11 ), connessa con l'ira degli uomini, quasi
ne fosse l'ispiratore (in 2,2 il demonio è associato alla ribellione). Ora, se c'è ancora
spazio per un tempo di prova e di lotta, questo attenua la percezione di una vittoria
definitiva; la battaglia contro le forze del male, infatti, è ancora aperta e il campo dove
avviene lo scontro è l'uomo e la sua condotta: anche se la vittoria è già stata decretata,
di fatto il conflitto tra uomo vecchio e uomo nuovo non è ancora cessato.
5,1-14 Dalla tenebra alla luce
Il tenore esortativo del c. 4 fluisce senza alcuna soluzione di continuità anche
nel c. 5, tanto che 5,1 è fortemente connesso con quanto precede: in 4,32 si chiede
di essere pronti a perdonare agli altri proprio come Dio stesso perdona a noi, e in
5,1, coerentemente, si domanda di diventare, appunto, «imitatori di Dio».
Il tema dell'«imitazione», diffuso nella cultura greca soprattutto per il rapporto
archetipo-copia di stampo platonico (nell'arte, soprattutto, ma anche nell'etica: biso-
gnava imitare gli eroi e gli dei), non ha corrispondenti diretti nella Scrittura; che si possa
imitare il Dio Altissimo è un'idea del tutto estranea al linguaggio biblico (in Is 46,5 si
dice che lui non è paragonabile a nulla e a nessuno), anche se si farà strada nel giudaismo
ellenistico e rabbinico. Nei vangeli emerge l'insistenza di essere misericordiosi (cfr. Le
6,36) e perfetti come lo è il Padre (Mt 5,48). Paolo, poi, chiede che i cristiani imitino
lui (1Cor4,16; Fil3,17; 2Ts 3,7), il quale a sua volta è imitatore di Cristo (lCor 11,1):
infatti, i cristiani sono divenuti imitatori (mimetat) sia di Paolo che del Signore (lTs
1,6). Ma l'imitazione diretta di Dio non compare mai esplicitamente nel NT, eccetto
qui. Ovviamente il comando «diventate imitatori di Dio>> (5,1) è un'espressione iper-
bolica, dal momento che Dio rimane l'ineguagliabile per eccellenza; ciononostante una
piccola breccia viene aperta dal tema dell'amore: imitare Dio significa riprodurne nella
propria vita l'amore misericordioso. L'esortazione. a «camminare nell'amore» (5,2) è
incastonata tra due constatazioni di quanto amore si riversi su di noi: siamo «figli amati»
da Dio (5,1) e amati da Cristo in forza della sua offerta sacrificate: «ci ha amati e ha
EFESINI 5,3 78

KaÌ napÉÒWKEV È:aUTÒV ÙnÈ:p ~lJWV npoo<popàv KaÌ 9uo{av r<f}


9t::<f) dç OOlJ~V t::ùwòiaç. 3 Ilopvda òè: Kaì àxa9apo{a mxoa ~
nÀEovE~ia lJflÒÈ: 6vo11a~éoew è.v Ùlliv, Ka9wç npÉnEt àyi01ç,
4 KaÌ aÌOXpOTfl<; KaÌ lJWpoÀoy{a ~ EÙrpanEÀta, OÙK <ÌVfjKEV, a
àMà }l<XÀÀov cùxaptoria. 5 TOUTO yàp tOTE ytvWOKOVTEç, on naç
n6pvoç ~ Ò:Ka9aproç ~ nÀcovÉKTfl<;, o Èonv dòwÀoÀarpf1ç, oÙK
EXEl KÀflpOVO}liav Èv rft ~aotÀEi~ TOU XplOTOU KaÌ ecou.

ha amati) o causale (amare «perché» Cristo applicata ai soli mariti. La coppia «amare)) e
ci ha amati): le due sfumature vanno tenute «consegnare se stesso» potrebbe essere inte-
assieme. Queste considerazioni valgono an- sa come un'endiadi: due espressioni coordi-
che per 5,25. nate che indicano un'unica realtà. Cristo ci
Cristo ci ha amati e ha consegnato se stes- ha amati consegnando se stesso, oppure, s'è
so per noi (ò Xp~a'tòç 1ÌYIXlT1lOEV ~IJ.liç KaÌ consegnato per l'amore verso di noi.
napÉOwKEV Èau'tòv ÙnÈp ~~wv) - Identica Ci ... per noi (~IJ.liç ... ùn~p ~jlwv)- Alcu-
espressione ricorre in 5,25 («Cristo amò ne varianti testuali, testimoniate, p. es., dal
la Chiesa e consegnò se stesso per lei>), codice Vaticano (B), presentano pronomi di
ò Xp~a'tòç i)yan11aEv '~v ÉKKÀTia(av Kal seconda plurale (ÙIJ.liç ... ùnÈp Ùjlwv: «vi ...
ECW'tÒv napÉOwKEV imÈp aù'tfìç), creando cosi per voi))). Ma sia il contesto, sia la qualità
un'inclusione all'interno di questa sezione delle altre attestazioni depongono a favore
esortativa. Ripresa all'interno del codice dei pronomi di prima plurale.
domestico (cfr. 5,21-6,9), offre una moti- Offerta e sacrifico di profumo fragrante
vazione di fondo valida per tutti, anche se (npoocjlopà KaÌ aoo(a ELç OOjl~V EÙWOLaç)

consegnato se stesso per noi)) (5,2; in Gal2,20 appare la stessa identica locuzione, ma
riferita al solo Paolo). Balza ali' occhio che è su quest'esagerazione di amore ricevuto
che può fondarsi la richiesta, altrettanto sproporzionata, di amare allo stesso modo. È
come se nei primi due versetti ci fosse donato un piccolo, preziosissimo compendio
sull'amore, che ha come fonte la paternità di Dio- allusa dal termine «figli))-, come
obiettivo la vita e la condotta dell'uomo, e come misura il sacrificio di Gesù (di cui,
tuttavia, non si accenna al dolore, ma alla fragranza profumata, in parallelo coi sacrifici
al tempio; anche nella lettera agli Ebrei, in particolare al c. l O, si usa il medesimo lin-
guaggio dell'offerta sacrificale riferita alla morte di Gesù). Su questa scia, sintonizzata
sul tema dell'amore, risulta, allora, meno incomprensibile il comando di imitare Dio.
La tonalità, però, s'inverte rapidamente e con la tecnica del contrasto a questo
compendio sull'agape se ne affianca uno di segno opposto (5,3-4). Alla limpidezza
di un comportamento motivato dall'amore si contrappone, infatti, una lista di
comportamenti così torbidi (fornicazione, impurità, avidità), che sarebbe meglio
venissero taciuti. La bocca, poi, oltre a non menzionare neppure tali comporta-
menti riprovevoli, non deve mai lasciarsi andare a discorsi grossolani e volgari, ma
dedicarsi esclusivamente a parole di gratitudine. Proseguendo con la tecnica del
contrasto affiora pure un altro tema, che di primo acchito almeno, sembra opporsi
a quanto detto sull'amore di Dio: la sua ira. Dai peccati commessi con le parole si
79 EFESINI 5,5

consegnato se stesso per noi, come offerta e sacrifico di profumo


fragrante a Dio. 3La fornicazione, ogni impurità e avidità non
vengano neppure menzionate fra voi- come s'addice ai santi-
4né la volgarità, la chiacchiera stupida, il discorso scurrile, cose

tutte inappropriate; piuttosto (si dicano) parole di ringraziamento.


5Sappiate bene questo: nessun fornicatore o impuro o avido -

ossia idolatra- può ereditare il regno di Cristo e di Dio.

- Questo linguaggio è desunto dalle prati- teralmente: «sappiate conoscendo»; il parti-


che cultuali in uso al tempio. L'espressione cipio serve a rafforzare il verbo principale,
«sacrificio e offerta» la si ritrova in Sal 40,7 ma l'effetto è decisamente pleroforico, cioè
(39,7 LXX; cfr. anche Eb 10,5), mentre la ridondante.
menzione del profumo gradito ricorda l'im- Regno di Cristo e di Dio (~aOLÀELa -rou
magine, di chiara impronta antropomorfica, XpLo-rou Kal 9eou)- Mentre è molto fre-
secondo la quale Dio annusa e apprezza quente la locuzione «regno di DiO>), è assai
l'odore che sale al cielo dalle vittime im- raro trovare «regno di Cristo» (è tardiva
molate e bruciate sull'altare (cfr. Gen 8,21; nel NT: cfr. 2Tm 4,1.18; 2Pt 1,ll). Asso-
Es 29,18; Lv 1,9). ciate, s'incontrano solo qui. In 1Cor 15,24,
5,4 La volgarità, la chiacchierq stupida, il comunque, Cristo consegna il regno al Pa-
discorso scurrile (aloxp6-rT)ç KalllwpoÀoy[a dre. Potrebbe essere un ulteriore indizio
~ eù-rpauEÀla) - Questi tre sostantivi sono dell'escatologia realizzata: dai cieli, infatti,
htipax legomena del NT (ricorrono solo qui). Cristo esercita una signoria regale sull'uni-
5,5 Sappiate bene ('(.an ywooKovteç)- Let- verso intero.

passa a quelli legati all'esercizio sregolato della sessualità e a quelli legati all'uso
avido del denaro (5,5). Ebbene su chi commette tali peccati incombe l'esclusione
dal Regno e la collera di Dio. L'ira divina non può essere compresa come l'ester-
nazione immotivata di un Dio facilmente irascibile; piuttosto la Scrittura non teme
di attribuirgli il risentimento proprio per salvaguardare la sua inconciliabilità col
male. Detto altrimenti: Dio non può assolutamente essere connivente con il male
e il peccato; se scendesse a compromessi accondiscendendovi, sarebbe profonda-
mente ingiusto. Al contrario, egli prova una ripulsa insopprimibile, perché desidera
e fa solo il bene. L'ira, dunque, è espressione paradossale del suo amore: amando
fino in fondo l'uomo, Dio QOn resta indifferente al suo peccato che ne umilia
la dignità, e lo respinge con tutte le forze. Infine, non va dimenticata un'altra
dimensione dell'ira divina, quella pedagogica. Infatti, tali minacce hanno anche
funzione deterrente (questo, evidentemente, non significa affermare che l'autore
escludesse l'idea di una condanna eterna).
Sempre continuando con l'accostamento dei contrari, l'autore sintetizza tali
considerazioni mettendo in campo l'antitesi tra la tenebra e la luce, con la quale
delinea il passaggio da un passato negativo a un presente di segno opposto. La
fecondità di tale antitesi si può notare dal duplice risvolto con cui viene utilizzata.
Da una parte essa evidenzia la condizione nuova in cui il cristiano si trova grazie al
EFESINI 5,6 80

6MflÒEÌç ùpéiç ànararw KEvoiç Àoyotç· òtà raiha yàp


epxErat ~ òpy~ rou 9Eou ÈnÌ roùç uioùç rflç ànEt8Eiaç. 7 1J~
oÒv ytVE0'8E O'UlJlJÉTOXOt a:Ùrwv· 8 ~t'E yap ltOt'E O'KOTO<;, VUV
ÒÈ: <pW<; ÈV KUpl(f>' wç t'ÉKVO: <pWTÒ<; 1tEputO:t'Elt'E 9 - Ò yàp
KapnÒç t'OU <pwròç ÈV nacrn àya9wcruvn KaÌ ÒtKa:tocruvn KaÌ
cXÀf18E{çt - 10 ÒOKtpa~OVt'E<; t'l ÈO't'tV EÙapEO't'OV r<f> KUpt(f>, 11 KO:Ì
' -
_,, _,, -,
llll cruyKotvwvEtt'E rotç Epyotç rotç a:Kapnotç rou crKorouç,
péiÀÀov ò€ KaÌ ÈÀÉYXErE. 12 rà yàp Kpu<pfi ytv6pEva: ùn' aùrwv
a:icrxpov Ècrnv KaÌ ÀÉyEtv, 13 rà ÒÈ: navra ÈÀEYXOlJEVa ÙnÒ rou
<pwròç <pavEpourat, 14 néiv yàp rò <pavEpoupEvov <pwç Ècrnv.
òtò ÀÉyn
EyEtpE, ò Ka9Euòwv,
Kaì àvacrra ÈK rwv vEKpwv,
Ka:Ì Èm<paucrn crot ò Xptcrr6ç.

5,6 Incombe l'ira di Dio (Epxercn ~ òpyi] tenebra. La prima coppia antinomica al v.
-roiì 9EOiì) - Tale espressione si ripresenta 8 designa lo statuto del cristiano, mentre la
identica in Col 3,6. Il tema dell'ira divina seconda esprime l'agire. Tale antitesi affio-
attraversa un po' tutta la Sacra Scrittura, ra con maggior frequenza nel NT rispetto
talora associato a quello della gelosia (cfr., aii'AT: Gen 1,4; ls 42,16; 59,9; Mt 4,16; Gv
p. es., Es 4,14; Nm 11,1.10; Gs 7,1; 9,20; 1,5; 3,19; 8,12; 12,35.46; Rm 13,12; 2Cor
2Sam 24,1; Sal 6,2; Is 5,25; Gv 3,36; Rm 6,14; 1Ts5,5; 1Pt2,9; IGv 1,5;2,8.
1,18; Ap 11,18). Figli della luce (t~Kvo: tflw-r6ç)- È un semi-
5,7 Non abbiate dunque niente in comune tismo che significa: «appartenenti alla luce»,
con loro (Ili] oùv y(VEaSI: OIJI.1f.LÉ'rDXDL o:u-rwv) «luminosi», «illuminati» (cfr. Le 16,8; Gv
-Alla lettera: «non diventate partecipi di es- 12,36; ITs 5,5). È frequente negli scritti di
si». Qumran, dove indica uno schieramento che
5,8 Un tempo eravate tenebra, ora siete luce fa guerra ai «figli delle tenebre» (cfr., p. es.,
nel Signore (~-rE 1ron OKÒtoc;, viìv & tflwç) Regola della Comunità [IQS] 1,9-10). Ma,
-L'antitesi luce/tenebra domina i vv. 8-14, mentre in Qumran la contrapposizione te-
ma non in egual modo per i due termini: nebra/luce indica il conflitto tra due spiega-
«luce» compare cinque volte, mentre «tene- menti contrapposti, qui veicola l'idea di una
bra>> solo due. Nei vv. 8-11 c'è una reversio, trasformazione della persona da un «prima»
gli elementi linguistici, cioè, ricompaiono negativo, tenebroso, a un «ora» illuminato
in sequenza capovolta: tenebra/luce e luce/ da Cristo.

Signore: se prima era talmente ottenebrato tanto da poter essere definito «tenebra»,
ora, invece, grazie all'illuminazione di Cristo, si ritrova in una condizione radi-
calmente rovesciata, essendo divenuto «luce» (v. 8). Dall'altra parte l'antitesi ha
il pregio di mostrare due condotte irriducibilmente contrarie tra loro: la necessità
di «camminare come figli della luce» e di «non partecipare alle opere infruttuose
81 EFESINI 5,14

6Nessuno vi inganni con discorsi vuoti, per queste cose, infatti,


incombe l'ira di Dio sugli uomini disobbedienti. 7Non abbiate
dunque niente in comune con loro. 8Un tempo, infatti, eravate
tenebra, ora invece siete luce nel Signore: camminate come
figli della luce 9- infatti, il frutto della luce (consiste) in ogni
bontà e giustizia e verità- 10distinguendo ciò che è gradito al
Signore, 11 e non partecipate alle opere infruttuose della tenebra,
piuttosto invece condannatele. 121nfatti, di quello che essi fanno
di nascosto è vergognoso perfino parlare; 13 le opere condannate,
invece, vengono manifestate dalla luce, 14 infatti, tutto ciò che
viene manifestato è luce. Perciò dice:
«Svegliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e il Cristo ti illuminerà».

5,9 Il frutto della luce (o Kapnòç 'tOU contatto con la luce di Cristo (e quindi da lui
ljlun6ç) - Tale locuzione richiama da vicino illuminata), diviene a sua volta luce per gli
Gal 5,22: «il frutto dello Spirito»; infatti, altri: non tanto nel senso che abbia il dovere
il papiro Chester Beatty II (IJ:\ 46 ) e i codici di smascherare l'altrui prassi negativa (che
del testo bizantino al posto di 'tou <jlw'toç rimane comunque tenebra), quanto piuttosto
(«della luce») hanno 'toiì nvEuj.!a'toç («dello che debba illuminarla con il proprio esempio
Spirito»). positivo, ispirando così una condotta diversa.
5,13 Le opere condannate ... vengono mani- Perciò dice (fJLÒ ÀkyH)- È una formula di
festate dal/a luce (c& mxvca É:ÀEYXÒj.!Eva imò citazione, solitamente riferita a passi dell' AT
'tOU <jlw'tÒç <jlavE:poiì'taL) - Si può tradurre (cfr. 4,8). Qui però viene riportato un passo
pure in altro modo: <de opere condannate extrabiblico, la cui fonte potrebbe essere: o
dalla luce divengono manifeste>>. un apocrifo, o uno scritto di Qurnran, o un
5,14 Tutto ciò che viene manifestato è luce inno legato ai culti misterici, o un testo già
(néiv yocp 'tÒ <jlavE:pouj.!EVov <jlwç Èonv)- condizionato da influssi pregnostici, o, più
L'espressione è un po' enigmatica: non è vero semplicemente, un inno liturgico cristiano,
che, se il peccato viene manifestato, divenga probabilmente legato al rito del battesimo.
luce. La si può, allora, comprendere come un Tali ipotesi, però, non superano il puro lì-
aforisma o un epifonema, ossia un'afferma- vello congetturale.
zione breve che sintetizza un'intera riflessio- •!• 5,1-14 Testi affini: 2Cor 4,6; 6,14; ITs
ne. Qui l'idea è che la prassi dei credenti, in 5,4-8; lGv 3,16

della tenebra» (5,8.11). Come si può notare non siamo affatto lontani dall'antitesi
uomo vecchio/uomo nuovo di 4,22-24.
La luc~, poi, ha il potere di palesare le opere riprovevoli e, infine, di allu-
dere alla risurrezione. La citazione di 5,14 (tratta da un testo conosciuto dai
destinatari), infatti, invita il cristiano a risorgere: «Svegliati, tu che dormi,
EFESINI 5,15 82

15BÀÉrtete oòv àxpt~wç nwç rtepmareite J.llÌ wç aoocpol àM' wç


oocpoi, 16 È~ayopa~6}leVOl ròv Katp6v, on ai JÌ}lÉpatrtOVJ1pa{
eìotv. 17 òtà: touto lllÌ yiveoee &cppoveç, à.Mà: ouviEtE ti tò
8ÉÀJ1}.1Cl tOU KUptOU. 18 KClÌ llJÌ }lE8UCJKECJ8E OtV<p, ÈV 4> ÈCJtlV
àowria, àMà: rtÀJ1pouo8E Èv nveuJJan, 19 ÀaÀouvreç éauroiç
[Èv] \jJaÀ}loiç KaÌ UJ.lVOtç KaÌ 4>òaiç rtVEU}lClttKaiç, ~òovreç KaÌ
\jJaÀÀovreç rfi Kapòi<;t Ù}lWV t~ Kupi<p, 20 eùxaptorouvreç nci:vrore
ÙrtÈp nci:vrwv Èv ÒVO}lCltl rou Kup{ou JÌ}lWV 'IJ100U Xptorou t~
Se~ Kaì natpi.

Il 5,15-20. Testi paralleli: Col3,16-17; 4,5 moniato dai codici Claromontano (D), di
5,15 Attentamente (&Kp~~wç)- Avverbio Augia (F) e altri.
da tenere unito a ~lE' nn~: («guardate»), 5,16 Riscattando- Il verbo ~l;cxyopa(w, de-
come attestato in particolare dal papi- sunto dal linguaggio della transazione eco-
ro Chester Beatty II (!p 46 ) e dai codici nomica per il riscatto degli schiavi, è usato
Sinaitico (~) e Vaticano (B), e non al da Paolo per designare l'effetto universale
verbo n~: p~ ncx-rd-re («comportatevi», alla della redenzione attuata da Cristo nella sua
lettera: «camminate») come invece testi- morte (cfr. Gal 3,13; 4,15). «Riscattare il

risorgi dai morti e il Cristo ti illuminerà». Non sembra, tuttavia, che si tratti
di un invito letter~le, ma piuttosto di un'espressione metaforica, che esprime
una risurrezione etica, in linea con il contesto precedente. Dalla precedente
condizione di morte causata dal peccato bisogna passare ora alla nuova con-
dotta di vita, illuminata dal Risorto. Dunque, è un invito, rivolto, forse, ai
neofiti nel giorno del battesimo, «a vivere ciò che sono, luce ricevuta dalla
luce, il Cristo» (Aletti, 257).
5,15-20 Colmi di Spirito
Un «dunque» (oun) ci avverte che le considerazioni dei vv. 15-20 sono conse-
guenza diretta di quanto affermato in precedenza; la necessità e la possibilità di
«guardare» attentamente, infatti, sembra la deduzione logica della scena anteriore
dominata dalla luce. Inoltre, se prima l'andamento era ritmato dall'accostamento
di elementi antitetici, ora quello di 5,15-20 non lo è da meno: stolti/saggi, irra-
gionevoli/comprendere, ubriachi/colmi di Spirito.
Il contesto in cui i cristiani sono chiamati a vivere non è favorevole, poiché è
dominato dal dilagare di comportamenti negativi («i giorni sono cattivi»: 5,16),
ma ciò non deve spaventare, poiché i credenti, divenuti luce grazie a Cristo,
possono e debbono comportarsi saggiamente, e così «riscattare il tempo», ossia
sottrar!o al dominio negativo e contraddistinguerlo con una condotta buona. Ov-
viamente non è il tempo in se stesso a essere cattivo o buono; lo sono, invece, le
scelte dei soggetti, le quali sono condizionate dall'influsso del maligno (cfr. 2,2;
83 EFESINI 5,20

15 Guardate, dunque, attentamente di comportarvi non come


stolti ma come saggi, 16riscattando il tempo, perché i giorni
sono cattivi. 17Non siate quindi irragionevoli ma cercate di
comprendere quale sia la volontà del Signore. 18E non ubriacatevi
di vino, che vi porta ad agire senza freni, ma siate colmi di
Spirito, 19parlando tra di voi con salmi, inni e canti ispirati,
cantando e salmeggiando di cuore al Signore, 20rendendo sempre
grazie per ogni cosa a Dio e Padre nel nome del Signore nostro
Gesù Cristo.

tempo)) significa non !asciarselo sfuggire «vino in cui c'è sfrenatezza)).


invano, adoperandosi per vivere ogni attimo 5,20 Rendendo grazie (euxapw'toilvnç)
facendo il bene. - È una ripresa dello stesso tema al v. 4
Giorni cattivi (a t ~~o~ÉpaL 1TOVT]pa()- Espres- (euxapw-r(a), che non sembra riferirsi pre-
sione metonimica, che sta per «giorni carat- cisamente alla celebrazione dell'eucarestia,
terizzati da azioni cattive)). quanto piuttosto a un più ampio atteggia-
5,18 Vìno che vi porta ad agire senza freni mento di gratitudine a Dio (cfr. l Ts 5, 18;
(o'Cv4J, Ev c.\) Eanv à.aw-r(a)- Alla lettera: Col3,17).

6,11) e, a loro volta influenzano in positivo o in negativo i giorni degli uomini


(cfr. «giorno malvagio» in 6,13). Per far questo, tuttavia, la saggezza umana
non è sufficiente, perché è necessario il discernimento della volontà di Dio.
Sorprende, poi, il richiamo alla sobrietà, che sopraggiunge del tutto inatteso,
ma la cui presenza è comprensibile se si tiene conto del prosieguo: «siate colmi
di Spirito» (v. 18); infatti, ogni sforzo intellettivo risulta vano se manca il pre-
supposto della lucidità (è probabile che il ragionamento si fondi su un'antitesi
sottintesa non tra gli elementi ma tra gli effetti: "non siate pieni di vino, ma
siate pieni di Spirito Santo"; all'ebbrezza esteriore, quindi, vien contrapposta
l'ebbrezza spirituale). Una mente obnubilata dagli effetti del vino, infatti, non
può certo discernere la volontà divina e tantomeno metterla in pratica; piutto-
sto bisogna tenerla positivamente allenata mediante discorsi che si ispirano al
linguaggio della Scrittura e della liturgia (salmi, inni e canti). Se il contesto cui
l'autore si riferisce sia quello della liturgia eucaristica o di qualche altro incontro
liturgico a sfondo conviviale, che poteva anche degenerare in qualche sbornia
(cfr. l C or 11 ,21: «uno ha fame, l'altro è ubriaco») o, al contrario, induceva a
intavolare discorsi seri ed edificanti, è assai difficile dirlo. Resta il fatto che qui
l'autore riprende la tematica dei vv. 3-4.12, attinenti al contenuto dei discorsi,
in cui oltre alla proibizione delle espressioni volgari emergeva il comando a
proferire parole di ringraziamento.
EFESINI 5,21 84

21'Yrroracm6JléVOt Ò:ÀÀ~Àot<; €v <p6~y> Xptorou,


22<XÌ yUV<XlKéç TOtç ÌÒtotç Ò:VÒpacnv wç T4) KUpty>, 23 0n Ò:v~p €onv
Ké<p<XÀ~ rfjç yuvatKÒç wç K<XÌ Ò XpHnÒç Ké<j)<XÀ~ Tfjç iKKÀllOt<Xç,
aù-ròç owr~p TOU OWJl<XToç· 24 Ò:ÀÀÒ: wç ~ €KKÀ110l<X òrro-raooerat
nf) Xptor4), ourwç K<XÌ ai yuva1Keç roiç àvòpaotv €v rravrL

Il 5,21-33 Testi paralleli: Col3, 18-19; lPt 3,1-7 l'accezione di conflittualità e, al contempo,
5,21 Siate subordinati (imoto:oooj.IEVOL)- Si di rendere la sfumatura di volontarietà.
tratta di un verbo dalle tinte forti, che può 5,22 Come - Inizia qui una serie di compara-
indicare la sottomissione forzata, anche zioni tra il rapporto marito/moglie e la relazio-
in situazione di conflitto (cfr. 1,22 e lCor ne Cristo/Chiesa, retti da varie particelle: Wç
15,27-28). Qui, però, Ù7Totaoow va inteso al (5,22.23.24), OUtwç (5,24.28), KIX&.iç (5,25.29).
medio, quindi indica non un assoggettamen- Tali congiunzioni, tuttavia, come s'è visto per
to forzato, ma una sottomissione volontaria. 5,2, non hanno solo valore comparativo (p. es.,
Per questo in traduzione si è reso non con il v. 25: il marito deve amare «come» Cristo
«assoggettatevi» o «sottomettetevi», ma con ama) ma svolgono talora pure una funzione
«siate subordinati», che tenta di attenuare causale (il marito deve amare «poiché» Cristo

5,21-6,9 Il codice domestico


A questo punto l'autore inserisce quello che comunemente viene definito un
«codice domestico», ossia un insieme di norme che regolano quei rapporti vissuti
fra le pareti domestiche non codificati dal diritto positivo, una sorte di codice com-
portamentale familiare. Nell'antichità classica, nella società greco-ellenistica e pure
nel giudaismo erano conosciuti diversi elenchi di raccomandazioni simili (Seneca,
Epitteto, Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio). Alla base c'è la convinzione che
la famiglia sia un'entità sociale di capitale importanza e, perciò, da salvaguardare
nel suo insieme mediante il regolamento dei rapporti interni (in quelle abbienti la
servitù veniva annoverata come parte integrante della famiglia). Queste relazioni,
poi, erano strutturate secondo un rapporto chiaramente gerarchico, sul quale nessuno
nell'antichità avrebbe avuto alcunché da eccepire: il pateifami/ias (il capofamiglia)
era il centro dell'autorità, cui tutti (moglie, figli e schiavi) dovevano obbedienza. Il
codice domestico di Efesini è il più ampio del NT (cfr. Col3,18-4,1; 1Pt 3,1-7): va
da 5,21 a6,9, e dedica ai rapporti tra coniugi un'attenzione così estesa da non avere
paragoni. Se le singole indicazioni possono essere assai aderenti a quelle presenti
nei paralleli pagani, cambia radicalmente la motivazione di fondo che sorregge i
comportamenti raccomandati: il riferimento a Cristo. Nelle lettere autentiche (homo-
/ogoumena) non si trova nessun codice analogo, probabilmente perché per Paolo la
famiglia era un dato pacificamente acquisito dalla prassi giudaica; la realtà familiare,
invece, non era più ovvia e scontata all'interno dei mutati contesti culturali della
seconda e terza generazione cristiana.
5,21-32 Marito e moglie
L 'introduzione. Si discute se il v. 21 funga da conclusione della sezione pre-
cedente (in continuità coi participi di 5, 19-20) o apra la pericope seguente (dove
85 EFESINI 5,24

21Siate subordinati gli uni agli altri nel timore di Cristo;


22le mogli (lo siano) verso i rispettivi mariti, come al Signore, 23 perché
il marito è capo della moglie, come anche il Cristo è capo della
Chiesa, essendo lui il salvatore del corpo. 24Ma come la Chiesa è
subordinata a Cristo, così anche le mogli (lo siano) ai mariti in tutto.

ama). Tra i due livelli, dunque, non si instaura il termine ocvfv:> si poteva intendere l' «uomo»
solo un mero rapporto di somiglianza, ma an- come individuo della specie umana (sinonimo
che quello più forte di causalità. di liv9pwnoç: cfr. Mt 14,35; Le 5,8), il «ma-
Le mogli ... verso i rispettivi mariti (ai. yuVIX'ìK~ç schio» rispetto alla femmina (cfr., p. es., Gen
to'lç Ì.ÒLOLç ocvopaow)- Con il termine yuvi) si 24,16; Le 1,34; Gal 3,28), l'uomo «adulto»
potevano indicare realtà diverse: la «femmina» distinto dal bambino (cfr. lCor 13,11 ed Ef
della specie umana distinta dal maschio (cfr. 4,13), il «marito» (cfr., p. es., Gen 20,3; Es
At 5,14; lCor 7,1), la <<fidanzata» (secondo il 21,22; Mc 10,2; Rm 7,23; nel greco classico il
diritto matrimoniale semitico: lCor 7,27 po- termine appropriato per «marito>> era n&nç). I
trebbe esserne un esempio), la «moglie» (cfr., termini yuvi) e ocvfv:> vengono qui utilizzati con
p. es., Gen 8,18; 16,1; Rt 1,1; Mt 5,31). Con l'accezione del legame coniugale.

il verbo «subordinare}) è ripreso); forse è più semplice intender! o come transi-


zione tra l'una e l'altra. Si tratta comunque di un versetto strategico, perché dà
il tono all'intera argomentazione, affermando fin dall'inizio che all'interno della
comunità cristiana la subordinazione deve essere volontaria e reciproca: «Siate
subordinati gli uni agli altri nel timore di Cristo}) (5,21 ). Dunque né asservimento
(di chi assoggetta gli altri), né servilismo (da parte di chi si sottomette totalmente);
si tratta, invece, di un porsi volontariamente in posizione subordinata, e quindi
disponibile, alle esigenze dell'altro, senza temere nessuno all'infuori di Cristo.
Questa chiarificazione iniziale è di capitale importanza: pur essendoci compiti
diversi (cfr. 4,11 ), ali 'interno della comunità tutti sono subordinati gli uni nei
confronti degli altri, perché l'unica autorità assoluta è quella di Cristo; dunque il
v. 21 offre un paradigma morale di base. Tutto questo si riflette anche all'interno
dei rapporti tra coniugi, perché anche se l'ingiunzione alla subordinazione è rivolta
solo alle mogli, non va dimenticato che l'introduzione è rivolta a tutti, quindi i
mariti non possono ritenersi esentati dall'essere subordinati alle mogli, anche se
poi quest'intimazione ai mariti non sarà rivolta esplicitamente.
Le mogli (5,22-24). Anche all'inizio di questa pericope, come altre volte, l'au-
tore si lascia prendere la mano: sta, infatti, rivolgendo alle mogli un discorso pa-
lesemente esortativo ma, improvvisamente, la sua attenzione viene catturata da
alcune analogie con l'unione tra Cristo e la Chiesa, cosicché l'argomentazione si
sposta su un piano palesemente teologico. Dall'unione coniugale passa a un livello
cristo-ecclesiologico (5,23-24). Oramai il lettore della nostra lettera è abituato alla
modalità argomentativa di questo autore, che talora sospende un discorso appena
iniziato per intavolarne improvvisamente un altro; qui parte da un livello pratico e,
inaspettatamente, salta a un livello speculativo/teologico. E il ragionamento di tutta
EFESINI 5,25 86

25 Oi &vòpt:ç, àyanèirE ràç yuvaiKaç, Ka8wç Kaì ò Xpto-ròç ~yamwEV


nìv ÉKKÀf)crtav KaÌ Éauròv napÉÒwKEV ùnf:p aùùjç, 26 tva aùnìv
àytacrn Ka8apicraç T<f> Àourp<f> TOU uòamç Év P~!lO:Tl, 27 tva
napacr~crn O:ÙTÒç É:O:UT<f> EvÒO~OV TIÌV ÉKKÀfJ<1lO:V, !l~ EXOUcrav
crntÀov ~ pur{Òa ~ n TWV TOlOUTWV, àM' tVa !Ì àyia KO:Ì a!lW!lOç.
28 ourwç Ò<pEiÀouow [Kaì] oi &vòpt:ç àyanèiv ràç éaurwv yuvaiKaç

wç T<Ì ÉO:UTWV <1W!l0:TO:. Ò àyanwv TIÌV ÉaUTOU yuvaiKa É:aUTÒV


àyan~. 29 OÙÒEÌç yap nOTE nìv ÉO:UTOU crapKa É!ll<1f)<1EV àÀÀà
ÉK-rpÉ<pEl Kaì SaÀnEt aù~v, Ka8wç Kaì ò Xptcrròç nìv ÈKKÀrwiav,

5,26 Con il /avacro dell'acqua median- identificabile con il lavacro battesimale.


te la parola (tQ ì..outpQ toil uoatoç Èv 5,27 Presentare (napaot~ou)- La presen-
p~Ila H) - Un bagno purificatore, ac- tazione della sposa allo sposo spettava al
compagnato da una parola esplicativa è paraninfo (o pronubo, una sorta di interme-

la pericope scorre lungo questo duplice binario, oscillando da un piano all'altro:


da una parte la relazione marito/moglie e dall'altra quella Cristo/Chiesa. Ma da
termine di confronto per la coppia umana, la relazione tra Cristo e la Chiesa diviene
l'oggetto primario de li' esposizione e, in questo modo, le considerazioni parenetiche
s'intrecciano continuamente con le osservazioni teologiche. Infatti, rammentando
che la subordinazione al marito è dovuta al fatto che lui è il capo (kephali) della
moglie (cfr. l Cor 11 ,3 ), l'autore ricorda immediatamente che questo termine de-
scrive pure la preminenza di Cristo rispetto alla Chiesa (5,23-25; cfr. 1,22 e 4,15).
Dunque la necessità che la moglie sia subordinata al marito viene "da fuori": è
motivata dall'atteggiamento analogo tenuto dalla Chiesa nei confronti di Cristo.
I mariti (5,25-31 ). Che non si tratti di una sottomissione umiliante lo si com-
prende subito dalle considerazioni riservate corrispettivamente ai mariti. Questi
non possono sfruttare la posizione subordinata delle mogli, anzi, debbono amarle.
Tuttavia non per pura reciprocità. Ancora una volta la motivazione non viene im-
mediatamente dalla vita di coppia, ma proviene da fuori: la ragione sta nel fatto
che Cristo ha amato la Chiesa e ha offerto la vita per lei (5,25). E qui abbiamo una
sorpresa: ciò che sta alla base dell'amore coniugale è la stessa realtà che fonda
la fede cristiana in assoluto. Infatti, se alla base dell'amore reciproco tra cristiani
sta la consegna che Cristo ha fatto di se stesso (5,2), a fondamento dell'amore
del marito verso la moglie sta la medesima consegna (5,25); quasi a dire che le
diverse modalità dell'amore umano traggono la loro possibilità di essere dall'unico
amore oblativo di Cristo. .
L'argomentazione non poggia sulla semplice correlazione tra il piano antropo-
logico marito/moglie e quello trascendente Cristo/Chiesa; infatti, tra i due livelli
non corre solo un rapporto di somiglianza, ma anche di causalità. Lo dimostra lo
sbilanciamento, anche quantitativo, dei versetti riservati all'agire di Cristo. Gli
ampliamenti cristologici sono molteplici: «salvatore del corpo» (5,23), «consegnò
87 EFESINI 5,29

25Voi mariti, amate le mogli, come anche il Cristo amò la


Chiesa e consegnò se stesso per lei, 26per renderla santa,
purificandola con illavacro dell'acqua mediante la parola,
27 e per presentare a se stesso la Chiesa gloriosa, priva di

macchia, di ruga o qualcosa di simile, ma perché sia santa e


immacolata. 28Così [anche] i mariti debbono amare le loro mogli
come i propri corpi. Chi ama la propria moglie, ama se stesso.
29 Nessuno, infatti, ha mai odiato la propria carne, piuttosto la

nutre e la cura, proprio come Cristo (fa con) la Chiesa,


diario per le nozze), che nel rito nuziale la Santa e immacolata (ày(a Kal /4J.wf.!.oç)- È
accompagnava nella casa del futuro marito un binomio già utilizzato in l ,4 per descri-
(cfr. Paolo paraninfo della comunità in 2Cor vere la volontà originaria di Dio verso i cri-
11,2). stiani (aywL K!XL è!.f,!.Wf.l.OL).

se stesso per lei [la Chiesa]» (5,25), le cure sacramentali e "cosmetiche" riservate
alla Chiesa (5,26-27), l'appartenenza delle membra ecclesiali al corpo di Cristo
(5,30). Queste qualifiche sono esclusive di Cristo e non possono certo essere
applicate o richieste al marito. Piuttosto esse sono fondative. Il rapporto tra i due
livelli, dunque, è palesemente asimmetrico (anche perché il marito fa comunque
parte della Chiesa e non è un soggetto da lei distinto, come Cristo).
D'altra parte l'autore raccoglie quel fecondo filone temati co dell' AT in cui
l'amore di Dio verso Israele è paragonato all'unione coniugale, ed eredita, riat-
tualizzandole cristologicamente, le potenti intuizioni dei profeti circa il rapporto
nuziale che lega Dio al suo popolo (cfr. Is 61,10; 62,5; Ez 16; Os 2,4-25). Dio
ama come uno sposo, ma Israele è infedele; tuttavia la fedeltà di Dio è di gran
lunga più grande e forte, cosicché dalle pagine profetiche si profila una relazione
asimmetrica, come in Efesini (anche se nel testo efesino non compare il tema
della Chiesa sposa infedele; forse può esser riconosciuta solamente una qualche
allusione al v. 27: «priva di macchia, di ruga o qualcosa di simile»).
Qual è, quindi, l'originalità irriducibile- asimmetrica, appunto-dell' azione di
Cristo verso la Chiesa? Già s'è accennato alle attenzioni "cosmetiche" di Cristo,
che vuole purificare la Chiesa e farsela comparire bellissima (5,26-27). Dietro a
questa metafora ci stanno due elementi: il sacramento del battesimo, che purifica
dal peccato e al contempo rende partecipi della santità stessa di Dio, e il servizio
del paraninfo, esercitato in questo caso non da una terza persona ma da Cristo
stesso (dunque nessun intermediario per le nozze, a differenza del ruolo esercita-
to da Paolo verso la comunità: cfr. 2Cor 11,2). Va sottolineato qui il carattere di
assoluta gratuità: la santità e la bellezza della Chiesa non sono il presupposto per
cui Cristo la sceglie, ma l'effetto. L'esito è una gloria e una bellezza incomparabili.
Le mogli, poi, vanno amate come si ama e ci si prende cura del proprio corpo
(5,28-29): esse sono talmente congiunte ai loro coniugi da essere comprese addi-
EFESINI 5,30 88

30 on }liÀfJ ÈCJl.lÈV -rou crw}latoç aÙtou. 31 dvrì ro6rov Karak{f/Jez


ifv()pwrroç { rov1Jraripa KaÌ { rrJV1JlT]rÉpa KaÌ 7rpOCJKOÀÀl]{)rjCJEral
rrpoç dj v yvvafl<a a6rov, Kaì lCJovraz oi 5vo eiç CJapKa p{av. 32 tò
}lUcrnlptov tofrro péya ècrriv· èyw òè À.Éyw Eiç Xptcrtòv KaÌ Eiç nìv
ÈKl<ÀfJolav. 33 rrÀ~V KaÌ ÙJ.1E:iç OÌ Ka8' Eva, aaatoç tJÌV ÉautOU yuvaiKa
oirrwç àyamhw wç Éaut6v, ~ OÈ yuv~ tva cpo~fjtat tÒV &vòpa.
5,30 Alcuni manoscritti, fra i quali i codici fatta per questa congiunzione iniziale, il v.
Claromontano (D), di Augia (F) e di Bomer 3 l è una citazione letterale di Gen 2,24 LXX
(G), inseriscono dopo ~~suo corpo» un testo (dove la congiunzione è EVEKEV TOUTou). Le
assai aderente a Gen 2,23 (EK TT)ç aapKoç varianti testuali relative agli articoli non in-
ctULOU Kct~ EK TWV OOLEWV ctUTOU: «della Sua fluiscono sul senso del testo.
carne e delle sue ossa»), al fine di rendere più 5,32 Questo mistero è grande (TÒ f.i.OOLiJpwv
chiaro il passaggio dalle membra del corpo TOuTo f!Éya EaT(v) - La Vulgata traduce:
ecclesiale (5,30) all'unica carne di Gen 2,24 «sacramentum hoc magnum est». Il termine
(5,31 ). Ma la versione senza la citazione di f.i.OOnlPWV, che in latino andrebbe tradotto con
Gen 2,23 è ben attestata, tra gli altri, dal <@ysterium», è stato reso invece con «sacra-
papiro Chester Beatty II (çp 46), dai codici mentum». Questo potrebbe far pensare che
Alessandrino (A) e Vaticano (B). nella Vulgata si volesse esplicitare il senso
5,31 Per questo (av1:l TOUTou)- Eccezion sacramentale della pericope efesina: tuttavia

rittura come parte integrante della corporeità del proprio marito. Questo richiamo
esplicito al corpo accende nella mente dell'autore diversi collegamenti: al corpo
ecclesiale, di cui siamo membra, e alla corporeità "condivisa" della coppia pri-
mordiale. La citazione di Gen 2,24, infatti, concentra l'attenzione sull'esito finale
dell'unione tra i coniugi: «Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà
a sua moglie, e i due saranno un 'unica carne» (5,31). Questo richiamo all'unio-
ne di Adamo ed Eva crea un curioso intreccio di interrelazioni tipologiche. La
coppia Cristo/Chiesa, certamente di natura diversa rispetto ali 'unione coniugale
umana, condivide con la coppia primordiale due caratteristiche: la singolarità e la
sorgività. Da una parte, infatti, entrambe sono uniche, in qualche modo irripetibili
(nessuna coppia di sposi, p. es., può vantare di essere la "prima", creata diretta-
mente da Dio, e nessuna potrà mai riprodurre in toto le caratteristiche peculiari
della relazione Cristo/Chiesa), dall'altra esse sono in qualche modo normative, e
perciò possono presentarsi come modello sorgivo, fondativo di ogni esperienza
coniugale. In questo senso allora esiste una sorta di circolarità ermeneutica: le
relazioni cristo-ecclesiologiche illuminano la realtà coniugale, ma anche quest'ul-
tima a sua volta getta una luce nuova sul rapporto che intercorre tra Cristo e la
· sua Chiesa. Ma su quale base, dal momento che sono realtà così diverse? Quella
comune dell'unica carne. Questa possibilità proviene "da lontano", dal dono
che il Creatore fece in origine ad Adamo ed Eva. Infatti, viene citato per esteso
il testo genesiaco, il quale, afferma l'autore, parlava anticipatamente di Cristo e
della Chiesa, e non solo di qualsiasi coppia umana (5,32). Rifacendosi, dunque,
89 EFESINI 5,33

30poiché siamo membra del suo corpo. 31 Per questo l 'uomo


lascerà [il] padre e [la] madre e si unirà a sua moglie, e i
due saranno un 'unica carne. 32Questo mistero è grande; e lo
dico (riferendomi) a Cristo e alla Chiesa. 33Nondimeno, anche
ciascuno di voi ami la propria moglie come se stesso, e la
moglie rispetti il marito.

si trova la stessa traduzione (((sacramentunD>) indicata ora dall'autore come modello ispi-
anche in testi che non hanno nessun riferi- rativo di ogni relazione marito/moglie. Tale
mento ai sacramenti. Piuttosto il concetto di circolarità tra le due unioni (Cristo/Chiesa e
«mistero», in quanto progetto nascosto da marito/moglie) non esclude affatto la com-
sempre in Dio e rivelato ora in Cristo (cfr. prensione sacramentale del matrimonio.
l ,9; 3,3.4.9; 6, 19), indica che la reciprocità tra 5,33 Ciascuno di voi (~E'ì.ç ot Ka.e' eva.)-
la relazione Cristo/Chiesa e la relazione ma- Alla lettera: «voi, ciascuno da parte sua».
rito/moglie rientra nell 'insondabile ed eterno Tema (cjlof~frra.L) - Il verbo è usato in parallelo
progetto di Dio. Infatti, il riferimento esplicito a «obbedire» (Ù1ToTaoow). Non si invita la
a Gen 2,24 nel versetto precedente, conduce moglie ad avere propriamente paura del ma-
a una comprensione tipologica: nell'unione rito, ma, in conformità alla visione patriarca-
della prima coppia (Adamo/Eva) è in qualche le del tempo, a nutrire obbedienza riverente
modo preannunciata l'unione Cristo/Chiesa, e subordinazione volontaria.

a questa condizione primordiale dell'unica carne tra Adamo ed Eva, l'autore può
permettersi di creare una correlazione stretta tra il rapporto cristo-ecclesiologico e
quello marito/moglie, superando il pericolo dell'estrinsecismo: sia marito/moglie,
sia Cristo/Chiesa sono un'unica carne.
Ed è proprio grazie a questo nesso così forte che si può parlare di "sacramento
del matrimonio". Il tema è stato molto dibattuto: gli autori antichi vedevano in
questa pericope il fondamento della sacramentalità del matrimonio, messa in di-
scussione in seguito dall'esegesi moderna. Ci sembra, invece, che la dimensione
sacramentale emerga dall'intera argomentazione: le relazioni Cristo/Chiesa e
marito/moglie non sono giustapposte per evidenziare un semplice paragone, una
similitudine interessante ma del tutto estrinseca. Piuttosto le due relazioni ven-
gono intrecciate come la trama e l'ordito di un unico tessuto argomentativo, nel
quale si nota da una parte come la relazione cristo-ecclesiologica sia la fonte e il
modello cui ogni coppia umana può e deve rifarsi e, dall'altra, come ogni unione
coniugale possa diventare una visibilizzazione esplicita e concreta (un "segno",
dunque) d eli' unica carne tra Cristo e la sua Chiesa.
Infine, è necessario sottolineare un ultimo aspetto del ragionamento dell '.autore.
Egli sta parlando dell'istituzione più antica, l 'unione coniugale, che nell'orizzonte
socio logico del tempo, evidentissimamente difforme da quello contemporaneo, era
pacificamente recepita nella forma gerarchico-patriarcale del marito capo, padrone
della moglie (nell'AT si può notare come moglie e schiavi venissero considerati
proprietà del capo famiglia: cfr., p. es., Es 20,17 e Dt 5,21 ). In tal senso il discor-
EFESINI 6,1 90

6 1 TàTÉKV<X, Ùn<XKOUETE miç yovEUOlV Ù}lWV (Èv KUpt<p} TOUTO


yap Ècrnv ÒtKatov. 2 rf}Ja ròv rrarÉpa aov KaÌ rr}v J.LfJrÉpa,
i]nç ÈcrTÌv ÈvToÀ~ npwn1 Èv ÈnayyeÀi<;l, 3 iva çJ aoz ytvqraz Kaì
la,q J.LaKpoxp6vzoç érri rrjç yrjç. 4 Kaì oi naTÉpeç, ll~ napopyt~ETE
Tà TÉKV<X Ù}lWV àÀÀà ÈKTpÉq>ETE <XÙTà ÈV natÒEt<;l K<XÌ VOU8EOt<;l
Kup{ou.

//6,1-9. Testi paralleli: Col3,20-4,1 cristologico del codice domestico (5,21).


6,1 [Nel Signore] ([Év Kup(~])- Il sintag- 6,2-3 Compare la citazione di Es 20, 12a
ma è presente nel papiro Chester Beatty II (e di Dt 5, 16), interrotta a metà da un' os-
(1,1.) 46), nei codici Sinaitico (~). Alessandri- servazione circa la promessa contenuta nel
no (A), e altri, mentre è omesso dai codici comandamento.
Vaticano (B), Claromontano (D) e di Augia 6,2 Primo comandamento (ÉvtoÀi} 1TpWtTJ)
(F). Ma sia l'una che l'altralezione presen- - Perché viene definito «primo» questo
tano buone ragioni per essere considerate comandamento, quando più precisamente
originali. La sfumatura introdotta da «nel sarebbe l'unico associato a una promessa?
Signore» è comunque in linea con l'inizio Alcuni antichi commentatori (Ambrosiater

so fila via in continuità con le coordinate sòciologiche di allora. Ciononostante


l'autore inserisce elementi di altrettanto evidente discontinuità, poiché il marito
non è affatto un padrone con soli diritti e ha il dovere - novità, questa, assoluta
nel panorama culturale di allora, tolte rarissime, isolate affermazioni di qualche
filosofo greco- di amare la propria moglie. Ma non solo. Se, infatti, come s'è già
visto, si tiene conto dell'ingiunzione iniziale alla reciproca subordinazione (5,21),
si può notare che in qualche modo anche il marito è subordinato alla moglie; inol-
tre, solo al marito è chiesto di amare come Cristo che ha dato la vita (5,25); sembra
che alle mogli sia chiesto un po' meno, ossia la semplice subordinazione. Non si
può, allora, non notare che se la dimensione gerarchica dell'istituto matrimoniale
viene pienamente rispettata, al tempo stesso si .introduce nell'unione coniugale
una novità assoluta: la modalità cristologica dell'amore.
6,1-9 Padri e .figli, padroni e schiavi
Il «codice domestico» continua con una serie di considerazioni rivolte ai
figli, ai padri, agli schiavi e ai padroni. Come si può osservare questa parte della
lettera guarda alla realtà familiare patriarcale non dal solo punto di vista dei
diritti del pateifamilias (o, se si vuole, dei doveri dei subalterni), ma in chiave
relazionale, o meglio, secondo una scansione incentrata sulla correlazione. Come
già per i coniugi (5,21-33), infatti, l'autore considera i rapporti all'interno della
casa non in modo unidirezionale, ma a partire dalla reciprocità: figli/padri e pa-
dri/figli, schiavi/padroni e padroni/schiavi (prima mogli/mariti e mariti/mogli).
Molto probabilmente vale anche qui l'introduzione di 5,21: «siate subordinati
gli uni agli altri nel timore di Cristo», principio questo che, se non rivoluziona
la scala gerarchica della famiglia patriarcale (e la liceità della schiavitù), contri-
91 EFESINI 6,4

6 1Figli,obbedite ai vostri genitori [nel Signore], perché


ciò è giusto. 20nora tuo padre e (tua) madre, questo è il
primo comandamento (che contiene) una promessa: 3affinché
tu sia felice e abbia una lunga vita sulla terra. 4E voi, padri,
non irritate i vostri figli ma fateli crescere con l'educazione e
l'ammonimento del Signore.

e Pelagio) risolvono dicendo che si tratta del l'uccellino che cova le uova in Dt 22,6).
primo della seconda tavola dei comandamen- 6,4 Fateli crescere con l'educazione
ti tenuta in mano da Mosè, ma nel giudaismo (ÉKtpÉQ>HE aùtà Év rrctLiiELQ:) - Alla lette-
ci sono molte testimonianze che lo conside- ra: «nutriteli con l'educazione». Il verbo
rano scritto nella prima tavola. Il problema ÉKtpÉ<i>w, utilizzato in 5,29 per indicare la cu-
si risolve intendendo l'aggettivo «primo» ra concreta del nutrimento verso la moglie,
come sinonimo di «preminente», importan- qui è usato in senso metaforico. Va ricorda-
te, rispetto ad altri comandamenti e precetti, to come l'educazione (rrctt&E(a) dei fanciul-
esterni al Decalogo, ritenuti meno importan- li fosse una della questioni maggiormente
ti (p. es., la proibizione di togliere dal nido sentite e tematizzate nella grecità classica.

buisce enormemente a reinterpretare e reimpostare le relazioni ad essa sottese.


Padri e figli (6,1-4 ). Il comando di obbedire ai genitori era patrimonio comune
sia dell'ambito giudaico che di quello greco-romano, e si fondava sul legame bio-
logico tra genitori e figli. Tuttavia l'autore desidera aggiungere una precisazione
originale. Oltre ad affermare che questo «è giustO))- rientra, cioè, nell'ordine natu-
rale dei rapporti (ed è tra l'altro una virtù ben attestata nell'ellenismo)-, inserisce
una motivazione squisitamente religiosa, citando direttamente il comandamento
di onorare i genitori. Quest'ultimo è accompagnato dalla promessa di felicità e di
longevità. Onorare i genitori, quindi, oltre ad essere un dovere è anche un dono
fatto a se stessi, una sorta di garanzia per il futuro, in cui Dio stesso si impegna
personalmente mediante una promessa.
Agli ammonimenti indirizzati ai figli seguono poi, come corrispettivo, le rac-
comandazioni rivolte ai padri. L'esortazione ora non è rivolta a entrambi i geni-
tori, ma solamente ai padri, i quali correvano il rischio di esercitare un'autorità
esagerata e talora violenta sui figli. Anche qui, in sintonia col contesto precedente,
le osservazioni non corrono solo sul piano naturale ma vengono arricchite di moti-
vazioni di fede; anche se non si precisa di più, scendendo nei particolari, vien detto
che i padri debbono far crescere in figli «con l'educazione e l'ammonimento del
Signore)). Cosa significa? Sembra trattarsi di un'educazione attenta non solamente
alla dimensione culturale, ali' acquisizione delle buone maniere in ambito sociale,
alla formazione di cittadini attivi e responsabili della p6lis, ma improntata pure
cristianamente. Probabilmente sia per quel che concerne i contenuti trasmessi,
sia per quel che riguarda la fonte stessa dell'educazione (i genitori sono, certo,
educatori, ma il Maestro rimane il Signore Gesù). Manca, comunque, un'esem-
EFESINI 6,5 92

5 OÌ ÒOUÀOl, ÙJtaKOUEU: Toiç KaTà crapKa KUplOl<; }lETà


cp6~ou KaÌ TpO}lOU f.v ànÀOTrJTl Tfjç KapÒ{aç Ù}lWV wc; T<f>
XptcrT<f>, 6 }1~ Ka-r' òcp9aÀ}lOÒOuÀiav wc; àvepwrrapEO'KOl
cXÀÀ' wc; òouÀOl XplO'TOU ltOlOUVTE<; TÒ 9ÉÀll}la TOU eeou È.K
\jJUXfic;, 7 }lET' EÙvo{aç ÒOUÀEUOVTE<; W<; T~ KUp{~ KaÌ OÙK
àvepwnmc;, 8 Eiò6-re:c; on EKacr-roc; f.av n ltOl~crn àya96v,
-rou-ro KO}licre:-ratnapà Kupiou dn: òouÀoc; d-re: È:Àe:uee:poc;.
9 Kaì oi Kuptot, -rà aù-rà noteiTe: npòc; aù-rouc;, àvtév-rec; -r~v

6,5 Con timore e tremore (IJ.età. cjl6j3ou KaÌ. con lo stesso termine riferito a Cristo o a
tJX.\J.ou)- Il binomio non designa la paura, inte- Dio: ai «padroni terreni» (o t Ka'tà. ottpKa
sa come emozione, ma l'ossequio rispettoso e KUpLOL; alla lettera: «i signori nella carne»)
talora la reazione davanti alla presenza di Dio; contrappone in 5,9 «Wl solo Padrone nei cie-
cfr. Gen 9,2; Es 15,16; Dt 2,25; Is 19,16; Sal li» (o KUpL6ç Éonv Év oupavolç).
2,ll;Gdt 15,2; 1Cor2,3;2Cor7,15;Fil2,12. 6,6 Servendo soltanto quando vi controllano
Padroni (Kup(OL)- Invece di utilizzare il ter- (Kat' òcjl8a~o&mÀLav)- Alla lettera: «secon-
mine consueto 6Eon6t11ç, l'autore preferisce do la schiavitù degli occhi»; ma non nel senso
Kupwç, con l'intento di creare un contrasto di «vanità», «vanteria)), o <<Vanagloria» di chi

plificazione concreta di cosa s'intenda più precisamente; forse per i destinatari


il richiamo generico al Signore era sufficiente per cogliere lo specifico cristiano
dell'educazione. Può darsi che «l'ammonimento del Signore», in sintonia con il
divieto di esasperare i figli, indichi pure un'educazione impartita con dolcezza,
come Gesù (cfr. Mt Il ,29).
Padroni e schiavi (6,5-9). All'orecchio dell'uomo contemporaneo tali parole
urtano, venendo a cozzare con tutte le battaglie e le conquiste che nel corso della
storia hanno portato al riconoscimento della pari dignità di ogni essere umano e
all'abolizione della schiavitù, che era una componente essenziale della struttura
socio-economica del mondo antico. Tale istituto, infatti, era largamente ammesso
dalla consuetudine giuridica e veniva addirittura teorizzato da qualche filosofo
(Aristotele). Nel giudaismo c'erano alcune restrizioni atte a mitigare l'asprezza
della condizione degli schiavi, senza tuttavia giungere a cambiarne radicalmente
lo statuto sociale (cfr. Sir 33,31-32: «Se hai uno schiavo, sia come te ... trattato
da fratello»; solo l'essenismo aveva abolito la schiavitù, forse perché in comu-
nità vigeva la rinuncia agli averi personali e la sostanziale uguaglianza di tutti i
membri). Fenomeno analogo lo si riscontra pure tra alcuni eminenti rappresen-
tanti dello stoicismo: Seneca, p. es., esorta a trattare gli schiavi come amici, ma
non chiede l'abolizione della schiavitù (Lettere 47,1). All'inizio il cristianesimo
prende semplicemente atto di questa strutturazione della società e, non avendo di
mira una radicale ricomposizione dell'assetto sociale, prospetta invece la ridefi-
nizione dei rapporti interpersonali. Lo stesso Paolo chiede agli schiavi battezzati
93 EFESINI6,9

5Voi, schiavi, obbedite ai padroni terreni con timore e tremore, in


semplicità di cuore, come a Cristo, 6non servendo soltanto quando
vi controllano, come chi vuole compiacere a degli uomini, ma
come schiavi di Cristo, compiendo di cuore la volontà di Dio,
7 servendo con prontezza d'animo come se (si servisse) al Signore

non agli uomini, 8sapendo che ciascuno, sia schiavo che libero,
quanto avrà fatto di bene, lo riavrà in ricompensa dal Signore.
9E voi, padroni, comportatevi con loro allo stesso modo, lasciando

vuoi farsi vedere bravo davanti al padrone, 6,9 Comportatevi con loro allo stesso modo
quanto piuttosto di un lavoro compiuto so- -Non è molto chiaro cosa significhi «fate
lamente alla presenza (sotto gli occhi) dei le stesse cose nei loro confronth} (tà autà
padroni. La versione CEI del 2008 traduce noLEhE npÒç autouç). Forse, pur essendo pa-
«non servendo per farvi vedere». droni, debbono anche loro sentirsi «schiavi
Schiavi di Cristo (ooùì..oL Xptotoù)- Anche di CristO>}, servendo lo con timore e tremore.
Paolo s'è definito «schiavo di CristO>} (cfr. Abbiamo qui un'applicazione del principio
Rm l, l; Gal l, IO), ma nel senso di servitore generale formulato in 5,21 della sottomissio-
del Vangelo a tempo pieno. ne vicendevole tra tutti i cristiani.

di rimanere tali, vivendo tuttavia in modo nuovo la loro condizione (l Cor 7,21)
e rimanda a Filemone lo schiavo Onesimo, raccomandando di trattarlo come un
«fratello carissimo» (Fm 16). Anche in Col3,22-4,1 non c'è la richiesta di abo-
lire la schiavitù; vi si trovano, invece, affermazioni molto aderenti a Ef 6,5-9 e
sostenute dalla medesima motivazione cristologica: l'unico padrone (fo/rios) cui
si deve piacere è Cristo.
Il nostro autore condivide il medesimo rispetto nei confronti dell'assetto so-
ciale vigente, anche se attua una relativizzazione assai significativa. Infatti, pur
intimando agli schiavi l'obbedienza, nel definire «terreni» i padroni (alla lettera:
«secondo la carne»), non fa altro che circoscriverne e !imitarne l'autorità, su-
bordinandola all'unica sovranità di Cristo. Il vero servizio, infatti, è compiere
la volontà di Dio, facendo il bene. Si presenta qui un'innovativa esperienza di
libertà interiore, che si manifesta in un servizio non solo di facciata e che viene
sintetizzata nell'espressione volutamente paradossale: «servendo ... come schiavi
di Cristm> (6,6). In ultima analisi ciò che conta è appartenere a Cristo, la cui uni-
ca, vera sovranità è garanzia di libertà autentica: la vera ricompensa per il bene
compiuto è quella che viene da Lui. I padroni, dal canto loro, debbono metter da
parte ogni sistema coercitivo, ricordando che in fondo tra loro e gli schiavi vi è
una sorta di fondamentale uguaglianza. Quest'ultima non si fonda sulla comune
natura umana (affermazione questa che si poteva udire nelle argomentazioni degli
stoici) ma sull'unico padrone di tutti, il Signore del cielo, di cui viene ricordata
l'assoluta imparzialità.
EFESINI 6, l O 94

à:rrEtÀ~V'
do6rEç on KCXÌ aùrwv KCXÌ U}lWV ò KUpt6ç Èonv Èv
oùpavoiç xaì rrpoowrroÀflJ.niJia oùx €onv rrap' aùnf>.

10 Tou Àomou, tvouva}louoeE tv xupi<p xaì tv r<f> xpara Tfjç ioxuoç


aùrou. 11 ÈvOuoao9E nìv rravorrÀiav rou 9Eou rrpòç rò ouvao9at
U}léiç orfjvat rrpòç ràç }lE9oodaç TOU Ota~6Àou· 12 on OÙK €onv
ft}ltV ft rraÀfl rrpòç CXt}lCX KCXÌ oapKCX Ò:ÀÀ<Ì rrpòç ràç à:pxaç, rrpòç ràç

Preferenza di persone (npoownoÀrj.ujlla)- Tra- 6,1 ORafforzatevi ... e nella potenza della sua
dotto alla lettera indica il «preferire la faccia>} forza (ev1iuva~oiìa9E ... Kat ev·n;ì KprhH 'tf]c;
(np6ownov) di qualcuno (il contrario di «non toxuoc; au"tou) - Affermazione pleonastica,
guardare in faccia nessunm}), ed è presente in quasi identica a 1,19. Va sottolineata la so-
Rm 2, Il; Col3,25; Gc 2, l. Va ricordato come miglianza non solo terminologica ma anche
Dio non faccia <<preferenza di persona>} anche contestuale con gli ultimi versetti del c. l:
in At 10,34, Gal2,6 e in 1Pt 1,17. Ma il tema l 'orizzonte cosmico della sottomissione/
dell'imparzialità di Dio è caro all'AT: cfr., p. scontro con le potenze celesti.
es.,Dt 10,17; lSam 16,7;Mll,9;Sir35,13. 6,11 L'armatura di Dio ('t~V navon Ha v "tou
•:• 6,1-9 Testi affini: Dt l O, 17; Pr 6,20; 9Eoù)- La navonHa nel greco classico in-
13,24; Gb 31,13-15; Sir 7,20-21; 33,31; dica l'equipaggiamento militare del soldato
1Tm6,1-2; Tt2,9-10; 1Pt2,18 che combatteva a piedi, il fante, dotato di
//6,10-20. Testi paralleli: Is 59,16-17; Sap armatura pesante sia di attacco che di difesa.
5,17-23; lTs 5,8 Nella Bibbia s'incontra la rappresentazione

PERORAZIONE: LA BATTAGLIA SPIRITUALE (6,10-20)


All'improvviso l'argomento cambia: dal quadro ordinato della vita domestica
si passa bruscamente ali' orizzonte conflittuale dello scontro cosmico contro le
forze del male, forse per ricordare al cristiano che sotto l'apparente normalità
della vita quotidiana in realtà si nasconde e si gioca una battaglia misteriosa e
decisiva. Infatti, si torna a quelle tematiche che l'autore aveva esposto nei primi
capitoli (cfr. l, 19-23 e 2,1-1 O); solo che mentre là la disfatta del male era già stata
definitivamente celebrata col trionfo del Risorto, qui la vittoria sul maligno è un
traguardo che il cristiano deve ancora conquistare. Il «già)) del dono di grazia deve,
dunque, trasformarsi nel «non ancora>> che contrassegna l'impegno del credente:
quest'ultimo, immerso nelle contraddizioni e nelle fatiche della storia, partecipa
della risurrezione di Cristo (cfr. 2,5-6), è unito a Lui, capo della Chiesa, e quindi
ne attinge vitalità e forza per affrontare lo scontro quotidiano con le forze del male.
La tonalità delle affermazioni presenti in questi versetti fa assomigliare la
pericope a un discorso di incitamento delle truppe prima di una battaglia, oppure,
dal punto di vista retorico, indurrebbe a classificarla come una peroratio (ossia la
parte finale di un discorso finalizzata a sintetizzare i temi trattati e, qui in partico-
lare, a stimolare le emozioni degli ascoltatori). La prima parte sollecita alla lotta
(6,10-13), mentre la seconda è una descrizione minuziosa dell'armatura (6,14-
95 EFESINI 6,12

da parte le minacce, sapendo che c'è un solo Padrone nei cieli sia
per loro sia per voi, il quale non fa preferenza di persone.

10lndefinitiva, rafforzatevi nel Signore e nella potenza della


sua forza. 11 Indossate l'armatura di Dio per poter resistere alle
astuzie del diavolo, 12infatti, noi non combattiamo contro creature
in carne ed ossa, ma contro i Principati, le Autorità, i Dominatori

metaforica di Dio che indossa alcune armi nella più ampia metafora dell'indumento,
(i testi cui l'autore sicuramente attinge sono utilizzata per esprimere mediante elementi
ls 59,16-17 e Sap 5,17-23). Pure il cristia- visivi (gli abiti) aspetti interiori nascosti (cfr.
no è descritto come un guerriero dotato di p. es., 1Sam 2,4; Is 11,5; 52,1; 60,1; 61,10;
qualche arma spirituale (cfr. Rrn 6,13; 13,12; Bar 5,1-2; Le 24,49; Col3,12; ITs 5,8; lPt
2Cor 6,7; 10,3-5; Fil2,25; Fm 2). A Qumran, 5,5). Nel NT ci si può addirittura rivestire di
poi, ci si preparava per la guerra dei figli Cristo (Rrn 13, 14; Gal3,27).
della luce contro i figli della tenebre. An- 6,12 Non combattiamo contro creature in
che Gesù utilizza immagini belliche: cfr. M t carne ed ossa (oÙ< .•• ~ miÀT] 1!pòç crlJ.Ul KcrÌ.
10,34 e Le 22,36. L'autore di Efesini attinge a<xpKcr) -Alla lettera: «la nostra battaglia non
a questo ampio campo metaforico e descrive è contro sangue e carne». Il binomio atJ.Ul KaÌ.
figurativamente le qualità richieste al cristia- ocipKcr («sangue e carne») è un semitismo che
no come parti di un'unica armatura. L'imma- indica le creature terrene, qui contrapposte a
gine dell'abbigliamento militare s'inserisce quelle diaboliche di natura trascendente.

17). Non ci troviamo, comunque, dinanzi a un incoraggiamento alla violenza: il


combattimento è solo figurato.

6,10-13 Invito alla lotta


L'intimazione a indossare l'armatura di Dio (6,11) implica il dato, non esplici-
tato, che il cristiano sia un combattente, un soldato, che deve perciò rivestirsi della
forza di Dio, perché il conflitto che lo attende non si gioca sui _s:ampi di battaglia
e con armi terrene, ma su un terreno trascendente e con armi spirituali. Non si
tratta di ingaggiare un corpo a corpo contro guerrieri o eserciti umani (la storia
di sempre ha raccontato con dovizia di particolari episodi bellici, che popolano
le letterature epiche di ogni cultura), né di combattere asceticamente contro le
passioni del corpo, che appunto muovono guerra all'anima (come diceva Filone
d'Alessandria, Allegorie delle leggi 3,190; cfr. pure Paolo in Rm 7,23), ma di
«resistere alle astuzie del diavolo» (v. Il). Il nemico è il demonio, e non creature
in carne ed ossa. Non è la prima volta che l'autore ne parla (cfr. 2,1-3; 4,27), ma
vi ritorna diffusamente fornendo non tanto una presunta gerarchia diabolica di
segno contrario a una gerarchia angelica, quanto piuttosto un'esemplificazione
di manifestazioni di un'unica forza maligna (come in 1,21 e 3,10). «l Principati,
le Autorità, i Dominatori di questo mondo oscuro e gli Spiriti malvagi» (6,12)
EFESINI 6,13 96

f:~oucria:ç, npòç mùç KOO'}.lOKpampa:ç -rou crK6muç -roumu, npòç


Tà 1tVEU}.l<XTl.Kà rijç 1tOVYJpta:ç tv TOi<; f:noupa:vt01<;. 13 Òtà t'OUTO
àva:Àa~ETE -r~v na:vonÀia:v -rou 9eou, 1va: òuvYJ9fjTE àvncr-rfjva:t tv
Tfj· ~}.lÉp~ Tfj 1tOVYJp~ K<XÌ ana:vTa: K<XTEpya:cra}.lEVOt crrijva:t.

14O'TfjTE oòv 1tEp~wcr<i}.levot ~v Òcr<pÙV ù}lWv tv àÀYJ9Ei~ Ka:Ì


tvòucr<l}.levot -ròv 9wpa:Ka: Tfjç òtKa:tooUvYJ<; 15 mi ùnoòYJmi}.lEVot
TOÙ<; noòa:ç tv ÈTOl}.l<Xcri~ TOU rua:yyEÀtOU Tfjç EÌp~VYJ<;, 16 tv néimv
cXva:Àa:~VTE<; TÒV 9UpEÒV Tfjç mEwç, tv 4> Ò~O'Ecr9E n<i:v-ra: Tà ~ÉÀYJ
TOU 1tOVYJpoU [Tà] 1tE1tUpw}JÉva: crj3Éool' 17 Ka:Ì ~V 1tEplKEcpa:Àa:tav TOU
crwTYJpiou ò~a:cr9e mì ~v l.l<i:xa:tpa:v mu nvru}.la:mç, of:crnv Pfilla: 9eou.

6,13 Nel giorno malvagio (Èv 'U lÌIJ.É~ 'U (ÈvouatifJ.E'VOL còv SWp!lK!l ci)ç OLKa~oouVT]ç)
1TOVTJP~) - Questa formulazione è di estra- -In Is 59,17 e Sap 5,18 la corazza simbo-
zione apocalittica e indica il giorno ultimo leggia la giustizia di Dio, il cui intervento
e tremendo del giudizio divino (cfr., p. es., contro gli empi è garantito nel castigo esca-
Am 5,18-20; Gll,l5; Zc 14,1.6-9.13.20-21; tologico. Qui esprime l'idea che il combat-
Dn 12, l). Vien detto «malvagio» perché era timento del cristiano è giusto in quanto as-
il giorno preceduto da un periodo di violenta sicurato e sostenuto da Dio. Paolo, invece,
oppressione, durante il quale le forze ostili in l Ts 5,8 utilizza l'immagine della corazza
del maligno sarebbero state libere di agire, abbinandovi l'idea della fede e della carità.
ma solo per il tempo concesso da Dio. 6,15 Calzando ai piedi la prontezza del Van-
6,14 Coifianchi cinti di verità (uEp~(wa~voL gelo della pace (UlloOT]OUttE'VOL toùç uoooç EV
tÌJv òacjlùv Uj.LWV i:v Ò:ÀT]BE(~)- La cintura hOLj.LUOL~ 't"OU E'Ò!lyyE'ÀLOU Ti')ç ELp~VT]ç)- Chi
ai fianchi ricorda le raccomandazioni per il doveva affrontare lunghi viaggi sia in tempo
cammino nel deserto (Es 12, l 0), benché qui di guerra che in tempo di pace poneva molta
abbia una sfumatura bellica e si avvicini a cura nella scelta di come riparare i piedi. Nel
Is 11,5, in cui si descrive l'equipaggiamento contesto di una descrizione militare la presen-
del Messia, pronto a far guerra all'empio e za della pace sorprende, ma potrebbe anche
al violento. La «verità» (ÙÀ~9H!l) di Is 11,5 riecheggiare ls 52,7: «Come sono belli sulle
LXX traduce l'ebraico 'emilnfì, che. indica la montagne i piedi del messaggero che annun-
fedeltà stessa di Dio all'uomo, unica garan- cia la pace, che reca una buona notizia>>. I cal-
zia di vittoria contro le forze avverse. zari in questo caso indicano la sollecitudine
Con addosso la corazza della giustizia del!' annuncio del Vangelo, manifestato anche

rappresenterebbero in modo cumulativo tutte le entità di natura trascendente,


che minacciano la vita dell'uomo e che possono trovare nelle forze catastrofiche
della natura o nell'autorità politica opprimente uno strumento concreto della loro
ostilità (cfr. commento a l ,21 ).

6,14-17 Descrizione del/'armatura spirituale


A questo punto l'autore avrebbe potuto limitarsi a una serie di raccomandazioni
e, invece, entra nel dettaglio dell'annatura, descrivendone ogni singolo particolare. Il
97 EFESINI 6,17

di questo mondo oscuro e gli Spiriti malvagi (che abitano)


nei cieli. 13Perciò prendete l'armatura di Dio, perché possiate
opporre resistenza nel giorno malvagio e restare saldi dopo aver
eseguito ogni cosa.

14State dunque saldi, coi fianchi cinti di verità, con addosso


la corazza della giustizia, 15 calzando ai piedi la prontezza del
Vangelo della pace, 16con in mano sempre lo scudo della fede,
con il quale potete estinguere i dardi infuocati del maligno;
17prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito,

che è la parola di Dio.

alle Potenze nemiche nel cosmo (cfr. Ef3, l 0). 6,17 L 'elmo della salvezza ('t~ V TIEp~­
6,16 Con in mano lo scudo della fede KE«jlaì..a(av 'tou OW'tllp(ou)- L'espressione
(&vaì..a~ovm; 'tÒV 6upeÒv 'tfìç 'TTLO'tEWç) - è ripresa alla lettera da Is 59,17, solo che il
Nell' AT la protezione divina riceve una termine «salvezza» non indica più un inter-
descrizione plastica: Dio stesso è lo scudo vento sperato, ma qualcosa che si è già rea-
sicuro, soprattutto nelle invocazioni dei sal- lizzato con la morte e risurrezione di Cristo:
mi (cfr., p. es., Gen 15,1; Dt 33,29, 2Sam non c'è protezione più sicura di questa per
22,3; Sal 18,3; 33,20; 59,12; 84,10; 115,9- il credente. Il neutro ow't~pwv nel NT è ter-
ll; 119,114; 144,2; Pr 2,7; Zc 12,8). Qui, mine raro, di solito si preferisce il sinonimo
invece, lo scudo è la fede, riparo altrettanto OW'tllPL«. Compare solo in citazioni dell' AT
invulnerabile, perché associa il credente di- (Le 2,30; 3,6; At 28,28), appunto come qui.
rettamente a Dio, rifugio inespugnabile dalle La spada dello Spirito, che è la parola di
forze nemiche. Il diavolo può pure scoccare Dio ('t~V ~xa~pav 'tOU TIVEltJ.«'toç, o ro'tLV
i suoi «dardi infuocati» (gli assalti nei con- pfp« eeou)- La derivazione più probabile di
fronti dei cristiani), ma sono resi inoffensivi quest'espressione è Is 11,2.4, in cui le parole
dalla fede (cfr. 1Pt 5,8-9). di punizione del messia hanno l'efficacia di un
Sempre (~v Tiiio~v)- Alcuni autori, seguendo atto di forza. Il NT si approprierà di quest'im-
la variante ÉTilTiiioLV (ma ~v ha una solida te- magine, attribuendo alla parola di Dio e del
stimonianza testuale: papiro Chester Beatty Il Risorto l'efficacia tagliente di una spada (cfr.
[SJ)4~t codici Sinaitico [M], Vaticano [B], ecc.), Eh 4,12; Ap 1,16; 19,15). Bisogna osservare
traducono «soprattutto>>. Ma è preferibile «in che questo è l'unico caso in cui si dà un'iden-
ogni (circostanza)», quindi «sempre». tificazione tra «Spirito» e «parola di Dio»,

linguaggio metaforico dell'equipaggiamento militare non è un semplice espediente,


giocato per vivacizzare un po' un'illustrazione probabilmente noiosa di alcune virtù.
L'autore poteva benissimo menzionare la verità, la giustizia, la prontezza, la fede, ecc.
Ma avrebbe perso moltissimo: le sftunature del conflitto e della sfida, l'astuzia del ne-
mico e il pericolo delle sue macchlnazioni, l'ardimento e lo slancio che il credente deve
mettere nel combattimento. Invece, "gettando" il cristiano nel bel mezzo della mischia,
gli fa percepire, quasi sulla sua pelle, la vivacità di una lotta la cui posta in gioco è la
sua stessa vita. La forza evocativa e coinvolgente della metafora fa la differenza: si
EFESINI 6,18 98

18 ~tàrraoY)ç rrpooeuxfjç KaÌ ÒE~O'EWC, rrpOOEUXO}lEVOl. tv rraV'tÌ


Katp<f> ÉV ltVEUpan, KaÌ EÌç aÙTÒ aypurrvOUVTEC, ÉV rracrn
rrpooKap-rep~Otl KaÌ ÒE~O'El. rrepì rrav-rwv TWV à:yiwv 19 KaÌ òrrèp
Épou, !va }lOl òo8fi Àoyoç ÉV avoi~El. TOU o-r6pa-r6ç }lOU, ÉV
rrappY)Olljl yvwpioat -rò puo-r~ptov mu eùayyeÀiou, 20 ÒrrÈp où
rrpeo~euw Év Ò:ÀUO'El, tva ÉV aù-r<f> rrappY)ot.aowpat. wç Òd }lE
ÀaÀfjoat.

"l va ÒÈ EÌÒfjTE KaÌ Òpeiç -rà Ka-r' É}lÉ, 'tl rrpaoow, rrav-ra yvwp{oet.
21

òpiv TUXl.KOç ò ayaltY)TÒç aÒEÀ<pÒç KaÌ mo-ròç Òt.aKovoç tv Kupicp,


accomunati dall'idea dell'efficacia: la Parola Spirito Santo nel credente (cfr. Rm 8,15.26;
raggiunge l'effetto per la potenza dello Spirito Gal4,6).
Santo. Anche se il nostro autore non vi allude 6,19-20 La frase è ripetitiva e decisamente
nemmeno, nei sinottici Gesù, spinto dallo Spi- farraginosa: al v. 19 si chiede di poter far
rito Santo nel deserto, vince le insidie del dia- conoscere «con franchezza» (Év rrappl)OL~)
volo proprio citando la parola di Dio dall' AT. il mistero del Vangelo, al v. 20 di poter «an-
6,18 Pregate con ogni preghiera ... nello Spi- nunciare francamente» (rrappl)OLUOUJIUU ). Al
rito (rrpooeux~evm... i: v rrve4uxn) - Non v. 19 c'è l'espressione <<parlare apertamente»
è la preghiera fervente, contrapposta a un (À.oyoç i:v àvo(~H toiì otOf.LUtoç; alla lettera:
pregare abitudinario, né una preghiera esta- «parola e apertura della bocca»), al v. 20 si
tica, riservata a pochi privilegiati. Piuttosto menziona il «parlare» (Àa.HìoaL).
è la preghiera che nasce dalla presenza dello 6,19 Il mistero del Vangelo (tò j.lUOt~pLov

è più incitati allo scontro da una simulazione avvincente e verosimile (p. es., Wl bel
videogioco di judo o di karate), che da Wl' elegante volume che elogia le arti marziali.
L'autore ce lo fa percepire in modo fortemente dinamico: non si tratta di Wl esercizio
di virtù, per quanto impegnativo, ma di Wl vero e proprio corpo a corpo con il maligno.

6,18-20 Esortazione alla preghiera


Non sorprende che affiori qui l'esortazione alla preghiera, che in qualche misura è
l'arma spirituale per eccellenza contro il diavolo (cfr. Mc 9,29), preghiem elevata per
tutti i credenti (i «santi») e per lo stesso Paolo (con cui l'autore si identifica), il quale,
proprio a vantaggio del combattimento che deve affi'ontare per l'evangelizzazione,
chiede che si interceda a suo favore (anche in Rm 15,30 Paolo chiede la preghiem
come aiuto nella lotta e domanda preghiere per sé in 2Cor 1,11; Col4,3; lTs 5,25;
2Ts 3, l). Non invoca la libertà dalla prigionia, ma la libertà di parola per proclamare
con piena franchezza (parresia) il Vangelo di cui è «ambasciatore in catene» (v. 20).
Molto probabilmente, pur all'interno della cornice pseudepigmfica, l'autore em ben
consapevole che i destinatari della lettem fossero al corrente della morte dell' Apo-
stolo, e quindi della sua non avvenuta liberazione. Tuttavia è del tutto verosimile che
abbia voluto rendere in qualche modo in presa diretta l'appello di Paolo, facendone
sentire quasi a "viva voce" l'ardore e la dedizione per l'annWlcio del Vangelo.
99 EFESINI 6,21

18Pregate con ogni preghiera e supplica in ogni occasione nello


Spirito, e per questo vegliate con ogni supplica perseverante a
favore di tutti i santi 19e anche a favore mio, perché mi sia data la
possibilità di parlare apertamente e far conoscere con franchezza
il mistero del Vangelo, 20del quale sono ambasciatore in catene,
affinché lo possa annunziare con quella schiettezza con cui è mio
dovere parlame.

Tichico, l'amato fratello e servo fedele nel Signore, vi informerà


21

su tutto, perché sappiate anche voi come sto e quel che faccio.
tou EooyyEl(ou) - La critica testuale si mo- salvezza pure i pagani (cfr. il commento a
stra incerta, anche se lievemente a favore 1,9 e 3,3.9).
della variante con la precisazione «del Van- •:• 6,10-20 Testi affini: Rm 13, 12; 2Cor
gelo», omessa dai codici Vaticano (B), di 10,3-5
Augia (F), di Bomer (G), mentre è presente //6,21-24 Testi paralleli: Col4,7-8
nel Sinaitico (M) e Alessandrino (A); rimane 6,21 Tichico (TuXLKoç) - Di lui si hanno
dubbia la testimonianza del papiro Chester alcune preziose informazioni: di origine
Beatty II (5p46). Comunque, il termine «mi- asiatica, divenne ben presto collaboratore
sterm> contiene già di per sé l'accezione fidato di Paolo (cfr. At 20,6; Col4,7; 2Tm
dell'annuncio: si tratta, infatti, del progetto 4,12; Tt 3,12). Non è del tutto infondata, fra
salvifico di Dio, nascosto da secoli e mani- le diverse altre, l'ipotesi che sia proprio lui
festato in Cristo, di rendere partecipi della l'autore di Efesini.

CONCLUSIONE EPISTOLARE (6,21-24)


L'epistolografia classica solitamente pone alla fine di una lettera una conclu-
sione (postscriptum) assai succinta e con un augurio formale di congedo («sta
bene», «ti vada tutto bene», «sta in buona salute»). Nei postscripta paolini,
invece, si riscontra un ampliamento notevole, con riferimenti circostanziati
a fatti o persone ben precisi (eccetto Galati), e una formula di saluto finale di
tonalità liturgica (cfr. lTs 5,28: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia
con voi»; cfr. anche Rm 16,20; lCor 16,23-24; 2Cor 13,13; Gal6,18; Fil4,23;
Fm 25; Col4,18; 2Ts 3,18).
Il desiderio di restituire ai lettori la testimonianza viva dell'Apostolo, ha fatto
sì che l'autore di Efesini ponesse sulle labbra di Paolo un ulteriore, benché rapido,
richiamo autobiografico, con il quale rendere partecipi i destinatari della sua situa-
zione; o meglio, sarà Tichico a riferire notizie circa le sue condizioni personali.
Ciononostante, l'aver fatto un cenno veloce alle circostanze in cui Paolo si trova,
pone l'uditorio nella condizione di sentirsi in diretto contatto con lui. I toni, poi,
usati per qualificare Tichico sono, pur nella loro sobrietà, assai intensi e superano
il linguaggio formale dei convenevoli. Egli, infatti, riceve le splendide qualifiche
di «amato fratello e servo fedele» (6,21 ), simili a quelle riservate dali' Apostolo
ai suoi collaboratori più stretti: Timoteo (Fil2,19-20), Epafrodito (Fil2,25.29),
EFESINI 6,22 100

22 ov EnqnjJa npòç Ù}.uìç Eiç atrrò TOUTO, 1va yvwn: Tà ne:pì ~}lWV
K<XÌ napaK<XÀÉOTI Tàç K<XpO(aç Ù}lWV. 23 EÌp~Vt') Totç Ò:OEÀ<poiç K<XÌ
ò:yanrJ }.!ETà nicrTe:wç ò:nò 9e:ou naTpòç Kaì Kupiou 'lrJcrou XptcrTou.
24 ~ xaptç }.!ETà naVTWV TWV ò:yanwvTWV TÒV KUpl.OV ~}lWV

'lt')CJOUV XptcrTÒV Év Ò:<p8apcr{~.

6,22 Perfarvi avere nostre notizie ((va yvG>tE cata correzione è comprensibile ipotizzando
tà nEpÌ. i}J.wv)- I vv. 21-22 sono pressoché che l'autore considerasse corretto il plurale
un calco di Col4,7-8. È probabile che l'autore comprendendo lo stesso Tichico all'interno
avesse sotto mano, o conoscesse a menadito, delle notizie da riferire (quindi «nostre» rife-
il testo della lettera ai Colossesi. L'indizio è rito sia a Paolo che a Tichico).
dato dal fatto che, mentre in Colossesi una 6,23 Pace (ELp~VTJ)- Da saluto tipicamente
conclusione riguardante più persone («nostre semitico, la «pace)), riceve in Efesini una
notizie») è legittimata dalla menzione iniziale coloritura prettamente cristologica (in 2,14
di due mittenti (Paolo e Timoteo: Col l, 1), in la pace è Cristo stesso).
Efesini una conclusione al plurale («nostre Amore (ciya1TTJ)- L' «amore)) attraversa tutto
notizie») sarebbe in dissonanza con l'indica- lo scritto come dono di Dio e come stile di
zione iniziale di un solo mittente (Paolo: Ef vita richiesto ai cristiani (l ,4; 2,4; 3,17 .19;
1, 1). Per coerenza avrebbe dovuto scrivere 4,2.15.16; 5,2.25).
«mie notizie» (tà nEpÌ. Èf!oiì). Forse la man- Fede (n(onç) - La «fede)) è accoglienza

Epafra (Col 4,12-13). Il compito di Tichico non è solamente quello di riferire


alcune informazioni, ma anche di portare conforto ai cuori dei destinatari.
Tuttavia, se la conclusione della lettera viene confrontata con gli altri scritti
dell'epistolario paolino, ci si accorge immediatamente come il testo efesino
sia assai stringato: i saluti non sono formulati in forma diretta e, soprattutto,
non vengono salutati singoli membri della comunità, nominati ad uno ad uno,
né affiorano riferimenti circostanziati a fatti e persone precisi (come in Rm
16,1-16; 1Cor 16,10-20; 2Tm 4,9-21; Tt 3,12-14), né vengono riferiti i saluti
di altri (Rm 16,16b.21-23; 1Cor 16,19-20; 2Cor 13,12b; Fil4,22; Col4,10-14;
2Tm 4,21b; Tt 3,15; Fm 23). Tutte queste osservazioni depongono a favore
del carattere circolare e pseudepigrafico della lettera: non era destinata a una
singola, concreta comunità ma a più d'una, e non è stata redatta direttamente
dall'Apostolo, ma è il frutto di chi, raccogliendone l'insegnamento, lo ha
101 EFESINI 6,24

22Ve l 'ho inviato proprio per farvi avere nostre notizie e consolare
i vostri cuori. 23 Pace ai fratelli e amore, assieme alla fede,
da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. 24La grazia
sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo
nell' incorruttibilità.

della salvezza, vincolo di unità e scudo di conclusione di Efesini gli elementi augurali
difesa dal maligno (cfr. 1,15; 2,8; 3,12.17; addirittura si moltiplicano: «pace, fede, amo-
4,5.13; 6,16). re e grazia>>.
6,24 Grazia (xnptç) - Solitamente nel Cor- Nell'incorruttibi/ità (~v &<jl9ocpo(~)- Non
pus paulinum le lettere finiscono con l' augu- sembra che «incorruttibilità» sia un termine
rio della «grazia» del Signore Gesù (cfr. Rrn isolato rispetto agli altri; quindi non indica
16,20; lCor 16,23; 2Cor 13,13; Gal 6,18; la vita eterna, come quinto elemento del sa-
Fil 4,23; Col 4, 18b; lTs 5,28; 2Ts 3, 18; luto finale. Piuttosto è una qualifica relativa
lTm 6,21 b; 2Tm 4,22b; Tt 3, 15b; Fm 25). all'amore: l'amore intramontabile, incorrut-
La «grazia» è espressione sia dell'iniziativa tibile.
salvifica gratuita da parte di Dio, sia del mi- •:• 6,21-24 Testi affini: Rm 16; ICor 16;
nistero stesso di Paolo, sia della vocazione 2Cor 13,11-13; Gal 6,11.18; Fil 4,21-
di ogni singolo cristiano all'interno della 23; l Ts 5,26-28; 2Ts 3,16-18; l Tm 6,21b;
comunità (1,6.7; 2,5-8; 3,2.7-8; 4,7). Nella 2Tm 4, 19-22; Tt 3, 12-15; Fm 22-25

adattato e riproposto in un contesto culturale ed ecclesiale diverso da quello


incontrato da Paolo.
Nelle ultime battute l'autore, a differenza di Paolo, formula un saluto in cui
raggruppa addirittura quattro elementi augurali: pace, amore, fede e grazia, in cui
si può scorgere una sorta di sintesi di alcune linee tematiche dell'intera lettera:
Si può notare come vengano offerti qui i punti cardinali di tutta l'esperienza
credente: l'iniziativa amorevole di Dio in Cristo che raggiunge i cristiani e li
abilita a intrattenere relazioni pacificate e orientate all'amore di Dio e al mutuo
servizio ecclesiale.
Sembra quasi che l'autore alla fine della lettera voglia mostrare come la gran-
diosa benedizione di Dio, posta come incipit del suo scritto (1,3-14), abbia nella
pace, nell'amore, nella fede e nella grazia la sua fioritura più bella, deposta ora
come seme nel cuore degli uomini e della storia.
LA LETTERA AGLI EFESINI
NELL'ODIERNA LITURGIA

Dono sovrabbondante e lode inesausta

L'inno che apre la lettera agli Efesini (1,3-14) è un testo


maestoso e inebriante, iperbolico. In esso, come un fiume in piena,
ci raggiunge la tradizione orante della Chiesa delle origini, che
rivolgeva al Padre questa lode e benedizione probabilmente in
forma di canto, intercalato da un ritornello (il versetto 3a) ripreso
al termine delle strofe. Cercando nei testi liturgici, nel Messale o
nei Rituali, ci si aspetterebbe di trovare un più largo utilizzo del suo
lessico, mentre di alcune preziose espressioni vi sono poche tracce
esplicite. Le orazioni latine preferiscono, infatti, utilizzare verbi
meno equivoci dal punto di vista teologico (p. es., in Ef l ,5 non si
usapraedestinavit, scegliendo piuttosto praesignavit) e più misurati
dal punto di vista semantico (si rinuncia al superabundavit di Ef
1,8, che l'italiano traduce: «Egli l'ha riversata in abbondanza»).
Decidiamo perciò di iniziare il nostro approfondimento partendo
dalla Liturgia delle Ore, la preghiera della Chiesa, che scandisce
il ritmo quotidiano del vivere in Cristo. L'aspetto rilevante della
salmodia è che in essa non si teme mai la parola forte, schietta,
talvolta eccessiva, perché a innalzare la lode e la supplica a Dio
è l 'uomo tutto intero, con la. vivida varietà dei suoi stati emotivi
ed esistenziali. Rispetto alla liturgia dei sacramenti - sotto alcuni
punti di vista - potremmo dire che la liturgia horarum osa di più!
La trasbordante gioia dell'Inno, che celebra il dispiegarsi della
grazia di Dio, riveste l'assemblea santa e ne unge il capo con olio di
letizia quando, riunita nella preghiera serale, ripensa ai doni ricevuti
EFESINI NELLA LITURGIA 104

durante la giornata e scorge nel declinare del sole la fedele presenza


del Padre che «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei
cieli in Cristo» (Ef l ,3 ). Così, tutte e quattro le settimane del salterio
prevedono come cantico ai vespri del lunedì Ef l ,3-1 O, ponendolo
quasi a "cerniera" tra il giorno festivo da poco trascorso e i giorni
feriali che hanno appena avuto inizio. È una logica strutturante
quella evidenziata, che lascia emergere il nesso inscindibile tra il
tempo della gratuità- quello inaugurato da Dio nell'ora della nuova
ed eterna alleanza -, e il tempo della quotidianità che da esso è
generato e sgorga come da fonte.
Libro alla mano, ci accorgiamo poi come la Chiesa conosca e
contempli i "luoghi" e gli "strumenti" con i quali Dio ha benedetto
l'umanità, soprattutto nell'elezione di Maria e nella chiamata degli
apostoli. La loro vicenda rivela il «mistero della volontà» del Padre
(Ef l ,9), cioè la predestinazione di tutti gli uomini a «essere per
lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (Ef l ,5). Ecco perché il
comune della Beata Vergine Maria e il comune degli apostoli -
tanto ai primi vespri quanto ai secondi - indica per il cantico i
versetti di Ef l ,3-1 O. La ripetizione, vistosa, rimarca l'eccezionalità
del testo. Saranno le antifone a indicare con precisione la chiave di
lettura per le diverse celebrazioni: la Madre di Dio è acclamata con
le parole «L'Altissimo ti ha benedetta, figlia del nostro popolo: tu
ci hai dato il frutto della vita» (primi vespri), sottolineando il tema
dell'elezione e della redenzione; ai santi apostoli sono ripetute
le parole di Gesù: «Non vi chiamo più servi, ma amici: perché
vi ho rivelato quanto ho udito dal Padre mio» (secondi vespri),
esplicitando mirabilmente il tema dell'adozione a figli. Non di
meno avviene per il comune delle Vergini, dei Santi, delle Sante.
Infine, valorizzandone tutta la portata e la completezza teologica,
Ef l ,3-1 O è il cantico che apre la solennità della Santissima
Trinità il cui testo - stavolta considerato fino al versetto 14 - fa
da sfondo anche alla colletta della Messa, recuperando in chiave
cristologica la bella espressione paolina che il latino traduce con
verbum veritatis (Ef 1,13). Così leggiamo nel Messale: «0 Dio
Padre, che hai mandato il tuo Figlio, Parola di verità, e lo Spirito
santificatore, per rivelare agli uomini il mistero della tua vita, fa'
105 EFESINI NELLA LITURGIA

che nella professione della vera fede riconosciamo la gloria della


Trinità e adoriamo l'unico Dio in tre persone».
Nella Liturgia delle Ore sono moltissime le citazioni della Lettera,
soprattutto nel Proprio del tempo. Così, l'Avvento, in tutte e quattro
le settimane, non manca di riportare nella lettura breve dell'ora
terza, il versetto di Ef2, 14, che indica Cristo come «colui che di due
(popoli, n.d.r.) ha fatto una cosa sola». Nel tempo di Natale il testo
paolino è recuperato come prima lettura all'ufficio della domenica
dedicata alla Santa Famiglia (5,21--6,4), proprio in quella sezione
che la Lettera dedica a illustrare la novità cristiana delle relazioni
coniugali e filiali: amarsi vicendevolmente «come Cristo ha amato
la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (5,25). Abbondantissime sono
le attestazioni nel tempo di Pasqua, dalla domenica di Risurrezione
al giorno di Pentecoste, nelle letture brevi, nelle letture dell'ufficio,
nei responsori. Soprattutto ricorrono due pericopi: la prima è Ef
2,4-6, e custodisce una delle più incisive espressioni del corpus
neotestamentario: «Ma Dio ... da morti che eravamo ci ha fatti
rivivere con Cristo: per grazia siete stati salvati» (2,5); la seconda è
Ef 4,23-24; radice di ogni riflessione morale cristiana, si rivolge agli
Efesini chiedendo loro di «rivestire l 'uomo nuovo, creato secondo
Dio nella giustizia e nella vera santità» (4,24). Osserviamo, tra le
molte presenze nel Santorale, come ci sia una certa affinità elettiva
tra la Lettera e le feste degli apostoli, tanto da essere prevista nel
comune degli apostoli come lettura breve sia per le lodi (Ef 2,19-
22) che per i secondi vespri (Ef 4,11-13), oltre che per la festa di
sant'Andrea, dei santi Filippo e Giacomo, di san Tommaso, di san
Giacomo e san Matteo.

Comprendere a quale speranza il Padre ci ha chiamati

La più completa presentazione della lettera agli Efesini ci è


data a partire dal giovedì della XXVIII settimana, anno pari, fino
al giovedì della XXX settimana, per un totale di tredici pericopi
che tralasciano dello scritto solo pochissimi versetti. Una lettura
praticamente continua, illuminata da una sapiente scelta di salmi
EFESINI NELLA LITURGIA 106

responsoriali che aiutano l'assemblea a pregare e attualizzare la


Scrittura per accoglierla fruttuosamente.
Per rimanere con il celeberrimo inno, brano di apertura del
percorso feriale, consideriamo il Sal 97, che al ritornello dice: «Il
Signore ha rivelato la sua giustizia», contrappuntando perfettamente
Ef l ,9 dove si benedice Dio che ha fatto «conoscere il mistero
della sua volontà». Così pure il giorno seguente, in riferimento
al tema della predestinazione, il Sal 32 permette alla Chiesa di
riconoscere e godere della grazia ricevuta con le parole: «Beato il
popolo scelto dal Signore». Tra le altre bellissime corrispondenze
- capaci di mettere in luce come la ricchezza del salterio sia tra le
basi della composizione paolina- il lunedì della XXIX settimana
all'affermazione di Ef 2, l O («Siamo, infatti, opera sua, creati in
Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in
esse camminassimo») abbina il canto del Sal 99: «Egli ci ha fatto
e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo». Queste
osservazioni meriterebbero di essere fatte per ogni singolo giorno,
con il beneficio aggiuntivo di farci comprendere l'importanza
assoluta del salmo nell'interpretazione liturgica del testo sacro.
Il Lezionario domenicale, anno B, a partire dalla domenica XV
fino alla domenica XXI, sceglie sette brani - ovviamente legati in
sequenza semicontinua e non dipendenti dalla prima lettura e dal
vangelo -, che escludono il capitolo terzo e sesto (ripresi, come
vedremo, altrove). Nel Lezionario festivo la lettera agli Efesini
annovera alcune importantissime presenze, di cui ne segnaliamo
tre. La II domenica dopo Natale offre alla comunità l'ascolto e
la meditazione di Ef 1,3-6.15-18, che si inserisce nell'armonica
relazione di continuità che lega l'elogio della Sapienza divina della
prima lettura (Sir 24,1-4.12-16) al prologo del vangelo secondo
Giovanni (Gv 1,1-18). Il Messale italiano propone per quel giorno
una Colletta molto bella, capace di integrare i vari motivi presenti
nei testi che verranno proclamati. Essa prega così: «Padre di eterna
gloria, che nel tuo unico Figlio ci hai scelti prima della creazione del
mondo e in lui, sapienza incarnata, sei venuto a piantare in mezzo
a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo
il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende,
107 EFESINI NELLA LITURGIA

come figli ed eredi del regno». La Lettera permea gran parte delle
immagini e del lessico utilizzati: dalla elezione divina, passando per
l'illuminazione spirituale, fino alla gloriosa eredità offerta ai santi. Di
lì a pochi giorni, nella solennità dell'Epifania, lo scritto paolino torna
ad esserci offerto con l'intervallo che va dai vv. 2-3a fino ai vv. 5-6 di
Ef 3. La scelta è evidente: annunciare che il «mistero della grazia di
Dio» è ora rivelato in Gesù Cristo e consiste nella chiamata di tutte
le genti «a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e
ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo»
(Ef 3,6). Rimanendo poi nell'ambito del Lezionario domenicale e
festivo, giungendo all'Ascensione del Signore, Ef 1,17-23 è indicata
come seconda lettura. Questi versetti racchiudono espressioni molto
belle, perfettamente ed esplicitamente legate al mistero celebrato
considerato nella sua portata esistenziale. Ai fedeli di Efeso si
augura che il Padre «illumini gli occhi del vostro cuore per farvi
comprendere a quale speranza vi ha chiamati» (1,18), rassicurando
la comunità sulla potenza e sull'efficacia dell'intervento di Dio, che
ha mostrato la sua forza risuscitando Cristo dai morti e facendolo
«sedere alla sua destra nei cieli» (l ,20c). La Colletta riprende
esplicitamente i vv. 22-23, offrendo un quadro unitario del giorno:
«Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che
celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo
la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo
corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo,
nella gloria». La preghiera eucaristica, nel prefazio dell'Ascensione
l, contiene tre citazioni esplicite (Ef 1,22; 4,15; 5,23) che, insieme
ad altri riferimenti neotestamentari, ribadiscono l'ottica celebrativa
e ci offrono una preghiera di altissimo respiro, «per darci la serena
fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue
membra, uniti nella stessa gloria».

Chiesa universale e chiesa domestica: Cristo, unico fondamento

Nel Rito dell'Iniziazione cristiana degli adulti e nel Rito del


Matrimonio, la lettera agli Efesini si offre sia come fonte di
EFESINI NELLA LITURGIA 108

ispirazione eucologica sia come pagina per la proclamazione


durante la Liturgia della Parola. Il mistero dell'adozione a figli
(Ef 1,5) e dell'illuminazione (Ef 5,14), nel contesto liturgico del
tempo di Quaresima e del tempo di Pasqua, innerva e sostiene
molte orazioni e monizioni che non sempre riportano una citazione
esplicita dell'opera paolina ma certo ne condividono il lessico e
la teologia. Teniamo poi ben presente la grande quantità di testi
che attingono abbondantemente alle appassionate indicazioni dei
capitoli 4 e 5. Riportiamo in modo esemplificativo una intensa
preghiera di esorcismo, capace di recuperare quella varietà di
elementi e spunti che contraddistinguono l'indole battesimale
dello scritto: «Signore Dio onnipotente, che hai creato l 'uomo
a tua immagine e somiglianza nella santità della giustizia; tu
che non l'hai abbandonato quando è divenuto peccatore, e hai
sapientemente provveduto alla sua salvezza con l'incarnazione
del tuo Figlio, salva questi tuoi figli liberandoli da tutti i mali
e dalla schiavitù del nemico; allontana da loro lo spirito di
falsità, di cupidigia e di malizia. Accoglili nel tuo regno e apri
gli occhi del loro cuore perché comprendano il tuo Vangelo, e,
divenuti figli della luce, siano membra della tua Chiesa santa,
dando testimonianza alla verità e, secondo i tuoi comandamenti,
esercitino le opere della carità».
Questa summa narrativo-teologica è riscontrabile con ri-
ferimento a Efesini anche nel prefazio della IV domenica di
Quaresima dove, pur neli' esplicita dipendenza dal testo giovanneo,
si prega dicendo: «Nel mistero della sua incarnazione egli (Cristo)
si è fatto guida dell'uomo che camminava nelle tenebre, per
condurlo alla grande luce della fede. Con il sacramento della
rinascita hai liberato gli schiavi dali' antico peccato per elevarli
alla dignità di figli».
Osserviamo, infine, un ultimo aspetto, non marginale. Il
Lezionario per le messe rituali ci propone, tra gli altri, di utilizzare
come seconda lettura il brano che in Ef 4,1-6 chiede alla comunità
di «conservare l 'unità dello spirito per mezzo del vincolo della
pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la sperànza
alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo
109 EFESINI NELLA LITURGIA

Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,3-4). Il medesimo


testo non solo è ripreso nell'Iniziazione cristiana dei bambini e
nella Confermazione, ma anche nella Benedizione degli abati e
abbadesse, nella Messa per i laici e per l 'unità dei cristiani (insieme
a Ef 1,3-14; 2,19-22; 4,30-5,2). Emerge quindi dall'ecclesiologia
di Efesini l'origine battesimale del vivere comunitario cristiano,
che non ha altro fondamento oltre al vincolo di carità e comunione
che unisce i credenti a Cristo.
La lettera agli Efesini è anche un testo fondamentale per
la teologia del matrimonio cristiano. Il Lezionario accoglie
quella pagina che più e meglio di altre tratta direttamente ed
esplicitamente dell'amore coniugale (Ef 5,2a.21-23), a partire da
una intensa riflessione cristologica che di fatto offre un quadro nel
quale tutto l'essere e l'agire della Chiesa hanno origine e senso:
«Camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato
e ha dato se stesso per noi» (5,2a). Tale è la densità di queste righe
che, tanto i prefazi quanto le benedizioni nuziali- oltre alle orazio-
ni -, riprendono in vario modo. Il prefazio titolato Il matrimonio,
sacramento grande in Cristo e nella Chiesa riesce a recuperare
anche i temi di Ef l: «Tu (Padre) hai stabilito con il tuo popolo
un patto nuovo, perché in Cristo, morto per la nostra redenzione
e gloriosamente risorto, l 'umanità diventi partecipe della tua vita
immortale e coerede della gloria nei cieli. Nell'alleanza tra l'uomo
e la donna ci hai dato l'immagine viva dell'amore di Cristo per la
sua Chiesa, e nel sacramento nuziale riveli il mistero ineffabile del
tuo amore».
Efesini sa pensare e mostrare come l'amore per Dio e l'amore
per l'uomo siano espressione dell'unica carità, quella teologale.
Non ci sono amori divini e amori umani, ma la partecipazione
all'unico e indiviso amore di Cristo.
INDICE

PRESENTAZIONE pag. 3

ANNOTAZIONI DI CARATTERE TECNICO )) 5

INTRODUZIONE )) 9
Titolo e posizione nel canone )) 9
Aspetti letterari )) 10
Linee teologiche fondamentali )) 12
Destinatari, autore e datazione » 15
Testo e trasmissione del testo )) 20
Bibliografia » 22

AGLI EFESINI » 25
l, 1-2 PRESCRITTO » 26
1,3-3,21 PARTE TEOLOGICA: LA RIVELAZIONE DEL MISTERO » 26
La benedizione (1,3-14) )) 27
Esordio epistolare: rendimento di grazie
e signoria di Cristo (1,15-23) » 35
La condizione dei credenti: salvati e riconciliati
tra loro (2,1-22) )) 41
La rivelazione del mistero (3,1-13) » 52
Preghiera e dossologia (3,14-21) » 59
4,1-6,9 PARTE ETICA: VITA NUOVA DEI CREDENTI » 62
L'unità ecclesiale nella diversità dei ministeri (4,1-16) » 63
La vita nuova in Cristo (4,17-5,20) )) 73
Il codice domestico (5,21-6,9) )) 84
6,10-20 PERORAZIONE: LA BATTAGLIA SPIRITUALE » 94
6,21-24 CONCLUSIONE EPISTOLARE » 99
INDICE ll2

LA LETTERA AGLI EFESINI NELL'ODIERNA LITURGIA pag. l 03


Dono sovrabbondante e lode inesausta » l 03
Comprendere a quale speranza il Padre ci ha chiamati » l 05
Chiesa universale e chiesa domestica: Cristo, unico fondamento » l 07

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Società San Paolo, Alba (Cuneo)
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