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Copertina:
Progetto grafico di Angelo Zenzalari
Presentazione
:';UOVA VEHSIONE llELL/1 BIBBL\ DAJ TESTI ANTICHI
La traduzione italiana
Quando l'autore ha ritenuto di doversi discostare in modo
significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i
seguenti accorgimenti:
- i segni • , indicano che si adotta una lezione differente da
quella riportata in greco, ma presente in altri manoscritti o
versioni, o comunque ritenuta probabile;
le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che ap-
paiono necessari in italiano per esplicitare il senso della
frase greca.
Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si
allontanasse troppo dall'originale ebraico o greco, tenendo però
conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi dif-
fuso e abbastanza affermato.
I testi paralleli
Se presenti, vengono indicati nelle note i paralleli al passo
commentato con il simbolo l l; i passi che invece hanno vicinanza
di contenuto o di ·tema, ma non sono classificabili come veri e
propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo •:•.
La traslitterazione
La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con
criteri adottati in ambito accademico e quindi non con riferi-
mento alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale
fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.
ANNOTAZIONI 6
L'approfondimento liturgico
Redatto sempre dal medesimo autore (Gaetano Comiati),
rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani,
quindi nella versione CEI del 2008.
a cura di
Aldo Martin
SAN PAOLO
Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, 27'h Revised Edition, edited by Barbara
Aland, Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger
in cooperation with the Institute for New Testament Textual Research, Miinster/
Westphalia, © 1993 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.
ISBN 978-88-215-7090-2
INTRODUZIONE
ASPETTILETTERAJU
1 Sia J.-N. Aletti, Saint Pau/ Épitre aux Éphésiens, Gabalda, Paris 2001, pp. 12-13, sia
S. Romanello, Lettera agli Efesini, Milano, Paoline 2003, p. 36 intitolano le due parti della
lettera proprio a partire dal concetto di mystirion: «la rivelazione del misterm> e «l'esorta-
zione a vivere il mistero».
11 INTRODUZIONE
l, 1-2 PRESCRITIO
1,3-3,21 PARTE TEOLOGICA: LA RIVELAZIONE DEL MISTERO
La benedizione (1,3-14)
Esordio epistolare: rendimento di grazie e signoria di Cristo
(1,15-23)
La condizione dei credenti: salvati e riconciliati tra loro (2, 1-22)
La rivelazione del mistero (3,1-13)
Preghiera e dossologia (3,14-21)
4,1-6,9 PARTE ETICA: VITA NUOVA DEI CREDENTI
L'unità ecclesiale nella diversità dei ministeri (4, 1-16)
La vita nuova in Cristo (4,17-5,20)
Il codice domestico (5,21-6,9)
6,10-20 PERORAZIONE: LA BATIAGLIA SPIRITUALE
6,21-24 CONCLUSIONE EPISTOLARE
Lo stile
Lo stile adottato dall'autore si discosta vistosamente da quel-
lo di Paolo. Mentre l'Apostolo scrive in modo incisivo, talora
con affermazioni stringate e connesse in una sintassi più sobria,
l'autore di Efesini si esprime con un fraseggio soggetto al feno-
meno dell'amplificazione. Talora alle singole espressioni se ne
aggiungono altre che fanno in qualche modo da eco, risultando
ridondanti se non addirittura sovraccariche. Basti citare come
esempio l'accumulo di sinonimi con costruzioni genitivali ampol-
lose nella traduzione letterale di l, 19: «la traboccante grandezza
della sua forza in noi, che crediamo secondo l'energia della po-
tenza della sua forza». Anche alcuni periodi sono eccessivamente
elaborati, tanto da meritarsi da parte degli studiosi la definizione
di «frasi-agglomerato» (Satzkonglomerat): 1,3-14.15-23; 3,1-7.8-
12.14-19; 4,11-16; 6,14-20. Le subordinate si susseguono e si
concatenano in frasi lunghissime, accavallando diversi elementi
sintattici, in cui talora si reperisce a fatica ilfi/ rouge. Il senso di
saturazione che si prova fa pensare a qualche carenza nella for-
mazione stilistica dell'autore, anche se tale stile di Efesini è stato
pure spiegato associandolo alle tendenze dell'asianesimo (una
corrente letteraria amante dei fraseggi maestosi e ridondanti), in
INTRODUZIONE 12
19; Hodayot [IQH] 9; Libro dei Misteri [IQ 27]; Pesher Abacuc
[IQpAb] 7 e altri). Il mistero, dunque, che Dio non tiene più segre-
tamente per sé, esprime un'accezione conoscitiva dal momento che
viene reso noto, ma al tempo stesso rivela una sfumatura storico-
salvifica. Si può inoltre affermare che quanto Paolo esprime nelle
sue lettere col termine «Vangelo» (euangélion) Efesini lo riprende
e sviluppa col termine mystÙion. Da notare che non si tratta di
una conoscenza occulta, riservata a degli iniziati tenuti al silenzio,
ma di una realtà ampiamente divulgata, anche perché non è più
oggetto di attese e di computi: è un evento accaduto; sono escluse,
quindi, eventuali allusioni alle pratiche dei culti misterici (cfr. l ,9;
3,3.4.9; 5,32; 6, 19). In particolare la novità connessa col mistero
è l'accesso dei pagani alla stessa eredità riservata a Israele, cioè la
partecipazione al corpo ecclesiale di Cristo (cfr. c. 3).
Altro tratto originale di Efesini è il fenomeno che va sotto il nome
di escatologia realizzata. Mentre nelle lettere autentiche di Paolo la
parusia è motivo di forte attesa, quest'aspettativa in Efesini scompa-
re, lasciando il posto a una situazione già tutta appiattita sulla fine.
Tutto è già compiuto: le forze avverse sono definitivamente sotto-
messe (1,20-23) e i credenti sono addirittura già con-risorti assieme
a Cristo e assisi nei cieli con Lui (2,5-6). Sembra non esserci posto
per nessuna forma di attesa. Ciononostante, accanto a questa palese
dimensione del «già», s'affaccia pure quella del «non ancora», che
fa in qualche misura da correttivo a una visione escatologica del tutto
realizzata. La realtà della vita ecclesiale con il suo faticoso cammino
verso la comunione (4, 1-16), con l 'impegno a vivere da uomini nuovi
(4, 17-5,20), con la quotidianità dei rapporti tra le mura domestiche
(5,21-6,9) e con lo scontro corpo a corpo con il diavolo (6,10-20),
ricorda al cristiano che non può affatto riposare sugli allori. Se nella
corsa a staffetta c;lella Chiesa il testimone è già stato portato (da Cri-
sto) oltre la linea del traguardo, e si può quindi a ragione celebrare la
festa della vittoria escatologica, rimane ancora la fatica della volata
finale nel tragitto terreno. È lo scarto classico tra il «già» e il «non
ancora»; solo che in Efesini l'asse della bilancia è tutto spostato sul
compimento oramai realizzato dal Risorto e pienamente sperimen-
tato dalla Chiesa a Lui congiunta.
INTRODUZIONE 14
Il terzo polo delle novità teologiche della lettera è proprio l' ec-
clesiologia, la cui elaborazione è sinteticamente offerta nella me-
tafora somatica: la Chiesa è il «corpo» di Cristo, il quale ne è il
«capo». L'immagine è lattice dell'unità stretta tra Cristo e Chiesa e
al contempo della loro distinzione. La Chiesa ha il suo centro vitale
e propulsore in Cristo e a Lui è saldamente congiunta. Cionono-
stante Cristo la trascende sempre, perché Lui solo è sovrano del
cosmo intero. La metafora è di chiarissima derivazione paolina, ma
Efesini la fa evolvere. Paolo parla della comunità ecclesiale come
«corpo» di Cristo in Rm 12 e l Cor 12. In questi due passi l' Apo-
stolo definisce la Chiesa nel suo insieme come un'unità organica,
come un corpo composto da diverse membra, per mostrare la mutua
dipendenza dei cristiani fra loro e la confluenza della varietà dei
membri nell'unità ecclesiale (il «capo» viene menzionato alla pari
rispetto agli altri membri: cfr. l Cor 12,21 ). In Ef l ,20-22, invece,
si inserisce la novità della precisazione circa i rapporti tra capo e
corpo. La Chiesa è sempre descritta come «corpo» (soma) di Cristo,
ma Cristo viene definito come suo «capo» ( kefaM): in questo modo
si può descrivere la situazione gloriosa di Cristo senza che la Chiesa
possa confondersi con Lui. In altre parole Cristo siede alla destra
del Padre, esercitando così una sovranità universale, e la Chiesa
pur essendone la prima beneficiaria (è il corpo che riceve energia
e vita direttamente dal suo capo) è comunque distinta da Lui. Se
la metafora in Rm 12 e ICor 12 svolgeva un ruolo esclusivamente
ecclesiale, ora, evidenziando la distinzione- pur nella stretta unità
- tra kefaM e soma, si mette in luce pure la differenza di azione di
Cristo. Egli è, sì, capo della Chiesa, ma con un'autorità che rag-
giunge pure la totalità del cosmo. La metafora somatica in Efesini,
dunque, non è circoscritta all'interno dei confini ecclesiali, ma si
inserisce all'interno di un'attività di Cristo estesa alle dimensioni
dell'intero creato. Rispetto all'intento prettamente ecclesiologico di
Romani e prima Corinzi, l'autore di Efesini rivela un'intenzionalità
sovraecclesiale e universale.
Infine vanno ricordate le varie ipotesi di influenze sulla teologia
di Efesini che di volta in volta gli esegeti hanno rilevato (o pensato
di ritrovare): alcune affinità espressive con il qumranesimo, adden-
15 INTRODUZIONE
Destinatari
Comunemente è accettata l'idea ricevuta dalla tradizione, che
Efesini, cioè, fosse una lettera indirizzata a comunità cristiane si-
tuate nella parte occidentale dell'Asia Minore. Tra queste spiccava
l'importanza della città di Efeso, sia dal punto di vista ammini-
strativo in quanto capitale della provincia senatoriale romana in
Asia, sia perché fu indubbiamente «il primo e decisivo epicentro
dell'espansione cristiana e di un approfondimento ermeneutico
dell'evangelo»3. Famosa per la magnificenza del tempio di Arte-
mide (cfr. At 19,23-40), la città di Efeso del I secolo la si potrebbe
definire città «internazionale», in quanto crocevia di rotte commer-
ciali, centro di arti magiche e punto d'incontro di diverse tendenze
culturali e cultuali.
Argomentazioni inoppugnabili a favore della destinazione efe-
sina della lettera non ce ne sono, se non il fatto che il termine
mesotoichon («muro divisorio»: 2,14) avesse significato architet-
Autore
Fin qui s~è tenuta la dicitura «autore di Efesini», distinguendolo
da Paolo, senza precisare ulteriormente. Sappiamo che Paolo sog-
giornò a Efeso circa tre anni secondo At 19, l O; 20,31 (tra il 52 e il
54 oppure tra il 55 e il 57) e nel testo di Efesini il nome dell' Aposto-
lo compare esplicitamente due volte (l, l e 3, l). La tradizione non
ha avuto alcun problema nel ritenere che fosse stato proprio Paolo
a redigere la lettera, anche perché si tratta di uno scritto «paolino»,
ossia un testo che si colloca chiaramente sulla scia del suo pensie-
ro, attingendone in parte il vocabolario e anche alcune intuizioni
teologiche (anche se manca il tema della giustificazione, così caro
a Paolo). Tuttavia alcune linee teologiche sono originali e lo stile
non è suo, come s'è potuto appurare in precedenza (cfr. pp. 11-12).
Il primo a sollevare dubbi sulla paternità dello scritto fu Erasmo
nel 1519, proprio a partire da osservazioni stilistiche, ma furono
soprattutto E. Evanson (1792) e H.J. Holtzmann (1872) a porre
criticamente la questione e a pronunciarsi per la non autenticità
dello scritto. Alcuni esegeti hanno cercato di aggirare il problema
adducendo la consuetudine dell'Apostolo di servirsi di un segre-
tario/scrivano. Le idee sarebbero di Paolo, mentre le particolarità
espressive dipenderebbero dall'intervento di tale figura di ausilio.
Ma un confronto più attento mostra che alcuni nuclei tematici si
presentano più come uno sviluppo del suo pensiero, che come una
semplice ripresentazione delle sue opinioni (cfr. le considerazioni
precedenti sulla metafora somatica: p. 14).
17 INTRODUZIONE
Epoca di composizione
Circa la datazione mancano elementi precisi e quindi si procede
per ipotesi. Poiché Efesini è un testo già citato dai Padri tra la fine
del I secolo e la prima metà del II, ovviamente si deve collocarne
la stesura alla fine del I secolo. Essendo l'autore di scuola paolina-
come s'è visto -la redazione va posta dopo la morte dell'Apostolo
(quindi tra il60170). La stesura, di conseguenza, andrebbe collocata
tra il 60 e il 90 d.C. Bisogna aggiungere poi che nell'elenco dei
ministeri (4,11) sono del tutto assenti le figure menzionate nel-
le Pastorali (episcopi, presbiteri e diaconi), quindi Efesini riflette
un'organizzazione ecclesiale anteriore. Altro dato importante per
19 INTRODUZIONE
Commenti
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Studi
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23 BIBLIOGRAFIA
Agli Efesini
EFESINI 1,1 26
àyi01ç TO'ìç oùmv [ÈV 'EcpÉcry.>] K<XÌ mcrro'ìç ÈV Xptcrr4) 'lflOOU, 2 Xaptç
ÙJ.llV K<XÌ EÌp~Vfl à:rrò 8EOU rra-rpÒç ~JlWV K<XÌ Kup{ou 'lfJOOU Xptcrrou.
Il 1,1-2 Testi paralleli: Rm 1,1; 1Tm 1,1; solo a partire dal V sec. nel codice Alessandri-
2Tm 1,1; Tt 1,1 no (A), mentre è assente nei manoscritti più
1,1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volon- antichi: papiro Chester Beatty ll (IJ)46), codici
tà di Dio (ITa.uÀoc; 1br&,.mÀoç XpLO'tou 'lTJOoU Sinaitico (M) e Vaticano (B). La destinazione
oux 9EÀ1}.La'toç eeou)- La sequenza è identica alla comunità di Efeso, dunque, è un'inserzione
a 2Cor 1,1 e Co11,1. Similmente ai versetti tardiva e le ipotesi di una destinazione alla co-
iniziali di alcune lettere (Rm 1,1; lTm 1,1; munità di Laodicea o a quella di Colossi riman-
2Tm l, l; Tt l, l) e a differenza di quelli delle gono congetture. Senza la specificazione «in
altre, accanto a quello di Paolo non compaio- Efeso» ne risulta un testo sospeso («ai santi che
no i nomi di alcuni suoi collaboratori. sono ... e fedeli»), che è oggetto di molteplici e
[In Efeso] [È v 'Eq>Éow] - Il sintagma compare incerti tentativi di armonizzazione.
PRESCRITTO (1,1-2)
Il prescritto, secondo le consuetudini epistolari del tempo, presenta in suc-
cessione il mittente, i destinatari e il saluto, ed è simile a quello delle altre lettere
dell'epistolario paolino. Il nome del mittente, Paolo, è con ogni probabilità fittizio,
ma questo fatto non tradisce un intento fraudolento dell'autore, perché il fenomeno
della pseudoepigrafia, frequente nell'antichità, aveva lo scopo di raccogliere l'ere-
dità di un maestro e di manteneme viva la memoria mediante la ripresentazione de-
gli insegnamenti (cfr. il concetto di «scuola paolina» nell'Introduzione, pp. 16-18).
In questa fase preliminare, però, l'autore non si limita alle indicazioni del proto-
collo epistolare e apporta alcune rapide e preziose aggiunte: il titolo «apostolo», che
rivendica l'autorità della persona che scrive e il valore normativo del testo scritto; e,
invece di un accenno biografico del mittente, ne viene offerto un breve ritratto teolo-
gico: egli è apostolo «di Cristo Gesù» non per iniziativa personale ma «per volontà
di Dio» (nel prosieguo l'autore fa intervenire Paolo in prima persona come «prigio-
niero di Cristo» e «ambasciatore in catene)): 3,1; 4,1; 6,20). Emerge, quindi, non
tanto l'immediata figura di Paolo, interlocutore diretto dei destinatari, ma il profilo
prestigioso dell'apostolo, già oggetto di venerazione da parte delle comunità cristiane.
Anche i destinatari vengono ~pecificati in senso teologico: «santh)- appellativo
consueto nel NTperi cristiani (cfr., p. es.,At 9,13; lCor 1,2; 16,1.15; 2Cor 1,1; Rm
15,25.26.31)- in forza della condizione oggettiva di chi è raggiunto dal dono della
santità stessa di Dio, e «fedelh) grazie all'impegno soggettivo di adesione a Cristo.
1 1Paolo,
apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che
sono [in Efeso] e fedeli in Cristo Gesù: 2grazia a voi e pace da
Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.
1,2 Grazia a voi e pace (xocpLç ÙIJ.i.v K!Ù confronti con nessun passo della letteratura
Elp~VTJ)- Il binomio, che associa un augurio greca: è un conglomerato di subordinate, col-
di origine greca (XIipLç) con un saluto di stam- legate l 'una ali' altra sia in senso grammaticale
po semitico (elp~VTJ), è una formula iniziale sia in senso logico. Si tratta di una benedizio-
stereotipata, presente in quasi tutte le lettere ne (euloghia), introdotta dalla ripetizione nel
paoline. Non si tratta di un generico auspi- v. 3 del tema EuÀoy-: «Benedetto (EuÀOyT)t&;)
cio, dal momento che questo saluto, rivolto Dio ... ci ha benedetti (EuÀOyftoaç) ... con ogni
dall'autore, ha come origine Dio stesso. benedizione (Euwy(q:)».
1,3 Benedetto il Dio e Padre (EuÀoyrrcòç o Che ci ha benedetti (o EuÀOy~oaç)- Si tratta
9Eòç KUÌ. 1Tati]p) - Inizia qui un lunghissimo di un participio sostantivato, che non è co-
periodo che arriva fino al v. 14 e che non ha me gli altri participi circostanziali 1rpoop (oaç
1,3-14 La benedizione
Qual è il modo in cui Dio pensa, guarda e agisce verso l'umanità? Mediante un
unico atteggiamento benedicente, esplicitato poi dall'autore in una serie complessa
e dettagliata di azioni successive, celebrate in un'unica grande benedizione (eu-
loghia). Nella stesura di questo testo è assai probabile che l'autore si sia ispirato
all'uso giudaico delle b•rak6t, le preghiere di benedizione che accompagnavano
il culto e la vita domestica. Le azioni divine vengono lodate e raccolte dall'autore
in una frase lunghissima (vv. 3-14), la quale, assieme a una complessa concatena-
zione sintattico-grammaticale, lascia intravedere pure una strutturazione logica.
L'iniziativa di Dio, infatti, è illustrata in due grandi momenti: l'atto del benedire
(vv. 3-10) e le conseguenze della benedizione (vv. 11-14). Il primo momento, poi,
potrebbe essere a sua volta scandito in: elezione e predestinazione pretemporali
(vv. 4-6), redenzione di Cristo con la sua morte (v. 7) e progetto di ricondurre ogni
cosa a Cristo (vv. 8-10). Posta tra il prescritto (vv. 1-2) e l'inizio vero e proprio
della lettera (v. 15), l' euloghia si presenta come un 'unità letteraria che in qualche
modo funge da ouverture dell'intera lettera. Alcuni studiosi, poi, ipotizzano che si
tratti di un inno preesistente rielaborato all'interno dell'attuale redazione.
1,3-10 L 'atto del benedire
Nella sua istantaneità l'incipit dell'euloghia (v. 3) si presenta come una
sintesi di un'efficacia imprevedibile, quasi un punto di raccordo di almeno tre
EFESINI 1,4 28
mo) saranno benedette (ÈVt=uÀ.OyT]B{joovtaL Èv è l'unico soggetto cui questo pronome può
oo() tutte le genti della terra». collegarsi.
1,4 Poiché (Ka9wç) - Questa congiunzione Prima della fondazione del mondo (rrpò
indica che quanto segue è specificazione del- Kataj3o,l..f}; KOO!.wu) -Tale formulazione è molto
la benedizione iniziale di Dio, indicata nel rara nella lingua greca ed è assente nella Settanta
versetto precedente. Davanti a lui (K«'tEVWTTLOV amou)- Il prono-
Ha scelti (È~EÀÉ~ato)- È il medesimo verbo me potrebbe grammaticalmente richiamare
dell'elezione di Israele: cfr., p.es., Dt 7,7; sia Cristo sia Dio, ma dal contesto seguente
14,2 LXX; At 13,17. è preferibile intendere «davanti a Dio>>, come
In lui (~v au-cQ) - È riferito a Cristo, che si evince nel v. 5.
1,5 Predestinandoci alla figliolanza adottiva un termine raro e compare solo in testi pao-
mediante Gesù Cristo (npoop(o~ç rw.ac; Elç lini (cfr., p. es, Rm 8,15.23; Gal4,5).
uloBEo(~v OLIÌ 1T]Oou XpLO't"OU etc; ~{m)v) La benevolenza della sua volontà (t~v
- La traduzione letterale reciterebbe: «pre- eòOod~v tou 9EÀ.~fl~toc; ~Ò't"ou)- Potrebbe
destinando noi alla figliolanza adottiva per trattarsi di un'endiadi (un unico concetto è
mezzo di Gesù Cristo per lui». «Per lui» (e Le; comunicato con due sostantivi coordinati):
~òt6v), che è omesso in traduzione, potrebbe «volontà buona».
grammaticalmente riferirsi sia a Cristo che a 1,6 A lode della gloria della sua grazia (etc;
Dio, ma la logica del versetto e del contesto E1T~LVOV 00/;Tjç 't"fìç xapnoç ~U't"OU)- Tale
più ampio indica una finalità teologica: la fi- espressione è ridondante similmente ad al-
gliolanza adottiva mediante Cristo introduce tre circonlocuzioni sovraccariche (cfr. «santi
alla relazione con Dio; quindi il sintagma va e immacolati»: v. 4; «la benevolenza della
inteso «per Dio», «verso Dio». sua volontà»: v. 5; «il progetto ... il proposito
Figliolanza adottiva (ulo9Eo(~)- Nel NT è della sua volontà»: v. l l) o ripetitive (cfr.
l'attuale situazione di figli sperimentata dai cristiani come dono gratuito da una
parte ma anche come èompito impegnativo dall'altra (v. 5). Non la si può quindi
comprendere come la designazione già sanzionata da Dio di un destino di salvezza
o, al contrario, di dannazione eterna, previamente e del tutto indipendente dalle
libere scelte del singolo. La figliolanza, poi, che per natura riguarda il solo Gesù
(di per sé solo lui è il Figlio), a noi è donata appunto per partecipazione, per questo
è detta «adottiva» (Paolo afferma che l'adozione filiale si rende percepibile nei
credenti mediante quell'invocazione affettuosa «Abbà>>, pronunciabile solo in
virtù dello Spirito santo; cfr. Rm 8,14-17 e Gal 4,4-7).
Lo scopo solamente buono di tale predestinazione viene ribadito dalle parole
«secondo la benevolenza della sua volontà>> (v. 5), che confermano l'intenzione
buona della volontà divina (eudokia). Questa, di conseguenza, provoca i credenti
alla lode per il dono gratuito di grazia fatto a noi nel Figlio. L'autore qui non ri-
prende il nome di Gesù (cfr. i vv. 1.2.3.5), ma lo definisce a partire dalla relazione
con il Padre che lo ama: egli è «l'Amato» (egapeménos: v. 6). Questo particolare
ci permette di confermare con evidenza ancora maggiore l'accezione positiva della
predestinazione alla figliolanza adottiva: se il Figlio è amato, a nostra volta noi,
figli per adozione, siamo prescelti come oggetto dell'amore divino.
La redenzione in Cristo (l, 7). Se «in Cristo» siamo stati scelti prima della
fondazione del mondo (v. 4), «in Cristo» siamo anche redenti: come si può
31 EFESINI 1,9
«a lode della gloria»: vv. 6.12.14 e «in Cri- somiglianza fonica causata dalla medesima
sto», «in lui» e «nel quale»). Queste forme radice tematica: anche in questo caso si può
pleonastiche (il pleonasmo è un'inserzione cogliere l'effetto ridondante.
di elementi ulteriori che però non aggiun- Amato (~ytt1fTll.Évoç)- Questo participio per-
gono nulla di nuovo) si distanziano dallo fetto del verbo ciyanciw nella Settanta viene
stile incisivo degli scritti autentici di Paolo riferito o a singoli personaggi (p. es., Abramo:
(gli homologoumena). Cfr. le medesime os- 2Cr 20,7) oppure traduce la qualifica y"suriìn,
servazioni ai vv. 18-19 e 23. «Gloria della riservata al popolo d'Israele in quanto amato
sua grazia» è un'endiadi, che corrisponde a e prediletto da Dio (cfr. Dt 32,15; 33,5.26;
«grazia gloriosa>>. Is 44,2). È molto simile all'aggettivo verbale
Ci ha fatto dono gratuito (xocpLtoç ... ciytt1TTlt6ç (che ha lo stesso significato) con cui
ÈXttp[twot:v)- Alla lettera: «grazia di cui Gesù viene denominato nei sinottici (cfr. Mc
ci graziò»; si tratta di una paronomasia, un 1,11; 9,7; 12,6 e passi paralleli).
accostamento di parole accomunate da una 1,9 Il mistero della sua volontà- secondo la
bontà della decisione, che già aveva preso in gestione della pienezza dei tempi». Il termi-
se stesso (tò j..LUOtTJplOV toù BE>..l}J.atoç (lÌJtoù, ne olKovoj..L[a in questo contesto è di difficile
K(ltà t~V EOOoK L(lV autoù lìv npoÉE!Eto Év traduzione, infatti, gli esegeti propongono
autQ) - La frase ribadisce il medesimo con- soluzioni differenti: cfr., p. es., <<compimen-
cetto tre volte: «mistero della sua volontà», to» (Schlier, 48), <<governo» (Penna, 82),
«bontà della (sua) decisione», «che già ave- <<amministrazione» (Best, 143), «disposizio-
va presm> (alla lettera: «che aveva formulato ne» (Romanello, 46 n. 2), «governo» (Aletti,
dentro di sé»). 44). L'idea di fondo è che il grande "regista"
In se stesso (Év aòtQ)- Non sembra riferirsi della storia è Dio: è lui che la sta accompa-
a Cristo, anche se logicamente non lo si può gnando e conducendo al suo scopo ultimo.
del tutto escludere, ma a Dio (ecco perché Il termine ricorre pure in 3,2.9.
si esclude la pur grammaticalmente corret- I tempi a compimento (nl~pwj..La twv
ta traduzione «in lui», scelta dalla versione KaLpwv)- Alla lettera: «pienezza dei tempi».
CEI, optando per <<in se stesso»). La locuzione indica che l'apice della storia è
1,10 Portare i tempi a compimento (dc; giunto, il progetto è attuato (cfr. Gal4,4: tò
oiKOVOj..LLaV tOÙ 1TÀT)pWiJ.UtOc; tWV KULpwv)- n>..~pWiJ.U toù x;povou ).
La traduzione letterale reciterebbe: <<per la Ricondurre all'unico capo (civat<E<jlaMLOw)-
Cristo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra in lui.
11 In lui poi siamo stati scelti, essendo predestinati secondo il
Tale verbo è un dislegomenon del NT, còm- messa (cfr. Es 6,8; N m 32, 19; Dt 3, 18; 4,21;
pare, cioè, solo due volte: qui e in Rm 13,9, 5,31 ). Questo verbo regge la locuzione del v.
dove ha il senso di «riassumere» (come in Sir 12 «perché noi fossimo a lode della sua glo-
32,8). Il suo valore va compreso alla luce del- ria» (Etc; -rò dvaL Etç E-rraLvov 00ç1Jç aù-rou)
la radice KE<jl«À-, ripresa in 1,22, dove si parla con senso finale o consecutivo.
della signoria di Cristo su tutte le cose. Pur 1,12 (Noi) che già in precedenza abbiamo
nella forma media il soggetto agente è Dio. sperato (1Tp01JÀ1TLK<haç) - Tale participio
In lui (Év c&cQ)- È riferito a Cristo. perfetto indica un atteggiamento di speranza
•:• 1,3-10 Testi affini: l Pt 1,3-5; cfr. anche precedente ali' evento Cristo ma perdurante
Coll,13-20 anche dopo: non è quindi possibile restrin-
1,11 Siamo stati scelti (ÉKÀ11PW9T)I.LEV)- Il gerlo ai soli giudei che attendevano il messia
verbo KÀ11POw è tradotto da alcuni con «far (come ha sostenuto qualche esegeta).
ereditare» («siamo stati fatti eredi», così la 1,13 La parola della verità, il Vange-
CEI), ma indica chiaramente la scelta divi- lo della vostra salvezza ... Spirito Santo
na. In effetti, il tema dell'elezione potrebbe, della promessa (-ròv Àoyov tf)ç clÀ1]9daç,
forse, richiamare l'azione di Dio che assegna "tÒ EÙayyÉÀLOV -rf)ç OWtT]p(aç ÙIJ.WV ... c<\ì
«in sorte» (€v KÀ~p(jl) a Israele la terra pro- 1TVE4-tan -rf)ç É1TayyEÀL«ç -rQ ayt(jl)- Sono
l ,20-22 verrà detto come Cristo è «capo» (kephali), in 2, 14-18 si parlerà deli' ope-
ra di unificazione come di un superamento della divisione tra Giudei e pagani e al
c. 3 verranno date altre notizie per comprendere appieno il senso del mystirion.
In qualche modo, però, nei vv. 8-1 O abbiamo una sorta di piccolo compendio: la
redenzione in Cristo non è il frutto di un ripensamento di Dio ma era nelle sue
intenzioni fin dall'inizio, e questo proponimento segreto («mistero») è ora rea-
lizzato e manifestato; Dio, infatti, sta conducendo tutta la storia e tutta la realtà
creata sotto la sovranità cosmica di Cristo.
1,11-14 Le conseguenze della benedizione
Noi e voi (1,11-13). L'azione salvifica di Dio ha per oggetto il cosmo intero al
fine di ricondurlo sotto la sovranità universale di Cristo, ma non è certo priva di
conseguenze per la vita dei credenti, anzi. All'interno di questo quadro univer-
sale, infatti, l'attenzione torna a focalizzarsi sul destino di quelli che pongono la
loro speranza in Cristo. E a tal proposito l'autore inserisce una distinzione tra il
«noi» e il «voi», che )ungi dal voler creare separazioni, pone invece le premesse
per una comune partecipazione allo stesso dono dello Spirito: « ... noi che già
EFESINI 1,14 34
15 ~là TOUTO Kàyw àKOUOa:<; T~V Ka:8' Ò]Jéi<; 1ttO"Cl.V ÈV T4> KUpt<p
'lflOOU Ka:Ì 't~V àya1tf1V 't~V é:Ì<; nav-ca:ç TOÙ<; ày{ou<; 16 0Ù na:UO}JQ:l
eùxa:pto-cwv unÈp Ò]JWV }JVda:v no10U1J€Vo<; Ènì Twv npooeuxwv
1JOU, 17 tva: ò Seò<; Tou Kup{ou ft}JWV 'lf1oou Xpto-cou, ò na:~p -cfjç
tre semitismi, cioè forme espressive della 1,14 Caparra (cippapWv)- Da intendersi co-
lingua ebraica che rendono l'aggettivo con me un anticipo che in seguito dovrà esser ne-
un complemento di specificazione. Si po- cessariamente integrato (cfr. 2Cor 1,22; 5,5).
trebbe tradurre: «parola vera, Vangelo sal- 1,15 E dell'amore (-ri,v ciytt1!1JV)- Il papiro
vifico ... Spirito Santo promessm>. Chester Beatty II {SJ) 46 ), i codici Sinaitico
in precedenza abbiamo sperato in Cristo. In lui anche voi ... avete ricevuto il si-
gillo». Alcuni esegeti hanno intravisto in questa menzione di due gruppi distinti
un riferimento ad un prima dei giudeocristiani e ad un dopo degli etnocristiani,
entrati questi ultimi solo in un secondo momento nelle conseguenze salvifiche
del Vangelo, ma la distinzione diverrà nitida solo nel prosieguo della lettera (cfr.
2, 11-12). Più semplicemente, invece, si deve rilevare la tonalità colloquiale del
linguaggio epistolare, che crea un collegamento tra mittente (noi) e destinatari
(voi) mediante il discorso diretto. Piuttosto ciò che importa è che sia gli uni
che gli altri sono beneficiari del medesimo dono: il sigillo dello Spirito Santo.
Infatti, al v. l l viene rapidamente richiamata la decisione divina degli inizi me-
diante la ripetizione del verbo «predestinare» (proorizo) e del termine «volontà»
(di Dio: thélema), i quali, se prima erano posti in una collocazione pretemporale
(v. 5), ora invece sono direttamente connessi alla situazione storica dei credenti
(v. l l). La medesima volontà salvifica raggiunge gli uni («noi>>) e gli altri («voi»)
mediante le seguenti tappe: ascolto del Vangelo, adesione di fede e sigillo dello
Spirito (v. 13).
Caparra (1,14). Ora lo Spirito Santo riceve l'appellativo di «caparra»
(arrab6n), perché la sua presenza nel credente è un inizio sicuro, un anticipo cui
certamente farà seguito una pienezza. È questo il punto finale dell'euloghia: i
credenti possono sperimentare gli effetti in loro stessi dell'azione benedicente di
Dio, costatando di aver già in sé una sorta di acconto, che verrà sicuramente saldato
in un compimento futuro. Quando, cioè, la «proprietà» di Dio (peripoìesis: cfr. MI
3,17 e lPt 2,9; cfr. anche Es 19,5), sarà definitivamente riscattata. Come si può
notare, le considerazioni relative alla cosiddetta escatologia realizzata di Efesini
in questo passaggio debbono essere almeno attenuate: non tutto quanto è già com-
piuto, e l' éschaton non è appiattito alla sola dimensione presente. Ciononostante,
35 EFESINI l, 17
(M), Alessandrino (A) e Vaticano (B) e altri OO~TJç)- Si tratta di un'espressione senza
testimoni omettono aytX1TTJV, probabilmente paralleli. Alcune possibili allusioni potreb-
per una svista nella copiatura dovuta alla bero essere, p. es.: «Dio di gloria» (Sal28,3
ripetizione dell'articolo(~ aya1TT]V ~-· .). LXX [TM 29,3]); «Re di gloria» (Sal 23,7
1,17 Il Padre della gloria (ò 1T!ltfJp tftç LXX [TM 24,7]).
1,18-19 Questi versetti sono attraversati da KapMaç (Ùf.Lwv])- Alla lettera: «<cchi illu-
una simploche, la quale è il risultato della minati del cuore». Con quest'espressione
combinazione di un'anafora (ripetizione s'intende una conoscenza piena, non solo
iniziale: 'tLç, 'tLç, 't L... , «quale», «quale», intellettuale, donata da Dio, che raggiunge
«quale» ... ) e di un' epifora (ripetizione fi- il centro della persona (KapMa, «cuore», è
nale: aucou, au1:où, au1:ou ... , «Sua», «sua», la sede delle decisioni, non solo degli affet-
«sua» ... ). Compare pure una congerie, cioè ti). Invece dell'accusativo per participio e
un accumulo di sinonimi (Mva~uç, ÉvÉpyHa, sostantivo, ci -si aspetterebbe la costruzione
Kplhoç, laxuç: «forza», «energia», «potere», in genitivo assoluto. L'anomalia è spiegabi-
«potenza»). L'effetto è ridondante. le o intendendo il sintagma come il secondo
1,18 Illumini gli occhi del [vostro] cuo- complemento oggetto del verbo <lwlJ («vi
re (1TE<!lWHOf.IÉVOUç 1:0Ùç ò<!l8aAf.LOUç ciìç doni occhi ... »; v. l7b), o per attrazione
conoscitivo delle richieste: dalla gloria luminosa di Dio si spera di ricevere "occhi
illuminati", per giungere così al vertice impareggiabile della conoscenza di Lui.
Ovviamente un tale traguardo può solo essere invocato, dal momento che non lo
si raggiunge con le sole facoltà umane: per questa ragione lo «Spirito di sapienza
e di rivelazione» non indica una capacità intellettiva ma lo pneuma divino, lo
stesso Spirito Santo.
La conoscenza della fede ( 1,18-19). Su quale conoscenza vengono spalancati
gli «occhi» del credente? Su una realtà ineguagliabile, espressa con linguag-
gio debordante. Infatti, al di là delle diverse sfumature e accezioni, dietro alle
espressioni «speranza della chiamata», «ricchezza della gloria della sua eredità
fra i santi» e «traboccante grandezza della sua forza» nei credenti, si nasconde
l'unica, indicibile iniziativa divina nei credenti: Dio dischiude loro l'orizzonte
sconfinato dell'esperienza di fede. Esperienza vissuta già nell'oggi ma orientata
pure al compimento escatologico. Con una sottolineatura inedita: tutto questo si
realizza nel credente sulla scorta di quella stessa azione potente che si è sprigionata
nella risurrezione di Cristo.
1,20-23 Sovranità cosmica di Cristo
All'improvviso il discorso diretto scompare e gli interlocutori si dileguano per
lasciare il campo all'azione di Dio, unico soggetto attivo sulla scena. C'è quindi
uno scivolamento dal tono particolare del colloquio epistolare (vv. 15-19), alla
37 EFESINI l ,21
dell'infinito EiùÉvat («sapere») che segue. una sottolineatura semantica, una sorta di
Fra i santi (Èv totç ày(otç) - Solitamente i insistenza su un concetto preciso.
«santi>) sono i credenti (cfr. Ef l, l.J 5 e an- 1,19 Secondo l 'energia efficace della sua
che l'uso frequente che Paolo ne fa nelle sue potenza (Katà ti!v ÈvÉpyuav tou Kpatouç
lettere), i quali godono già una condizione di tiìç loxuoç aùtou)- La traduzione letterale
salvezza (cfr. 2,6). reciterebbe: «secondo l'energia della poten-
1,19-20 Secondo l'energia ... che ha po- za della sua forza)), È un altro caso di con-
tentemente sprigionato in Cristo (Katù tTJV gerie, che rende ulteriormente ampolloso il
ÉvÉpyELav ... ~v ÈV~PYTJOEV Èv tQ XptotQ) discorso (cfr. la nota a 1,18-19).
-Alla lettera: «energia; .. che ha energizzato Grandezza (1J.ÉyE9oç)- È un hapax, cioè,
in Cristm). La ripetizione della radice EvEpy- compare in tutto il NT solo in questo testo.
crea un figura etimologica, la quale produce Potrebbe trattarsi di un termine ricercato.
n6:cr11ç àpxfiç Kaì è~oucriaç Kaì òuv6:}le:wç Kaì Kupt6rrrroç Kaì navròç
òvé}lamç ÒVO}la~o}livou, où p6vov tv nf> aiwvt m6r(f) &:Mà KaÌ
tv T<f> }lÉÀÀovn 22 KaÌ mivra vnira(ev VJrÒ rovç n65aç aVX'OV KaÌ
aÙTÒV EÒWKEV KE<paÀ~v ÙnÈp nav-ra Tft ÈKKÀTJO'l~, 23 ~nç èonv TÒ
OW}la aù-roù, -rò nÀ~pwpa -roù -rànav-ra tv néiotv nÀTJpou}livou.
1,22 Sottomise tutto ai suoi piedi (miv-ra «al di sopra di tutte le cose>> come capo della
ùnha~Ev ùnò mùç n6oaç aù-roù)- Si tratta Chiesa; Dio donò Cristo come capo «soprat-
di una citazione di Sal8,7. tutto» alla Chiesa; Dio donò Cristo come
Capo di tutte le cose (KEqxxÀ~v ùnì:p miv-ra) capo «di tutte le cose» alla Chiesa. L'ordine
- Alla lettera: «capo al di sopra di tutte le sintattico e il significato contestuale depon-
cose>>. Oltre all'attestazione dell'universale gono a favore della terza opzione.
signoria di Cristo, affiora pure un'evidente 1,23 La pienezza di colui che compie tutte
sfumatura geografico-universale: Cristo è si- le cose perfettamente (-rò TTÀ~pWIJ.Il -roù -rèt
gnore del cosmo anche perché con l'ascen- n&vta Èv néioLv TTÀTJpOUj.lÉvou)- La tradu-
sione alla destra del Padre è collocato «al di zione letterale reciterebbe: «la pienezza di
sopriD> dell'intera realtà creata. Il sintagma colui che riempie tutte le cose sotto tutti gli
«al di sopra di tutte le cose>> ( ÙrrÈp mivca) può aspetti». Incontriamo qui un'altra figura eti-
avere tre significati: Dio donò Cristo che è mologica, resa dalla ripetizione della radice
effetti della risurrezione: l 'intronizzazione di Cristo alla destra del Padre, non più
nel palazzo terreno- ovviamente -ma nella reggia celeste. Ora, il fatto che Gesù
sia seduto a fianco al Padre indica la parità di condizione e di autorità. Il Risorto,
infatti, collocato alla destra di Dio, ne è il plenipotenziario e in qualche modo il
luogotenente anche nella sfera ultramondana.
La sovranità cosmica (l ,21 ). La sfera della sovranità del Risorto è illimitata.
Seduto nei cieli, Cristo è al di sopra di qualsiasi creatura, comprese tutte le en-
tità e Potenze celesti. Come a dire che, giunto al punto più alto del creato, non
incontra niente e nessuno che possa competere con la sua signoria universale. La
lista («ogni Principato, Autorità, Potenza e Dominazione»: v. 21) abbraccia tutte
le realtà invisibili di natura trascendente - angeliche o diaboliche (cfr. Ef 2,2;
6,12)- che popolavano e dominavano la cosmologia antica e di cui l'uomo aveva
paura. Le si potrebbero pure intendere come l'insieme di tutte quelle avversità che
minacciano seriamente la vita dell'uomo: le calamità della natura, la virulenza
delle malattie, le prepotenze e persecuzioni delle autorità politiche, le ostilità della
società, ecc. Se la sovranità cosmica di Cristo è illimitata sia in senso spaziale
sia in senso temporale («nell'era presente» e «in quella futura»), allora nulla può
spaventare o dominare il cristiano.
Sottomissione di tutte le cose a Cristo capo (l ,22). Sempre in Sal 11 O, l vi era
un altro augurio, indirizzato al re nel giorno della sua intronizzazione: la vittoria
sui nemici, «finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». Tale sottomis-
sione ne ha fatta ricordare una ancor più ampia: «sottomise tutto ai suoi piedh> (v.
22): non solo l'assoggettamento dei nemici, dunque, ma di tutta la realtà creata.
39 EFESINI l ,23
11À'lP- (cfr. vv. 19-20). Va sottolineato pure celeste della divinità e degli eoni cui la
l'effetto pleonastico creato dall'insistenza creatura decaduta deve far ritorno. Nessun
sull'aggettivo «tutto» (;réiç: sei volte nei vv. panteismo, dunque. Designa piuttosto la
21-23): ovviamente serve per rendere l'idea sfera di influenza dell'azione di Cristo: la
della sovranità illimitata di Cristo. Chiesa appunto.
Pienezza (nl~pwfla)- Come apposizione Che compie (11Àflp01JfJÉvou)- Non è un par-
di awfliX («corpo>>), il termine è riferito alla ticipio passivo ma medio, e il soggetto è
Chiesa e non a Cristo e ha significato passi- Cristo. Quindi non bisogna intendere: Cri-
vo («pienezza») e non quello attivo («com- sto «compiuto» o ·«riempito», ma Cristo che
pletamento»). Pur divenuto in seguito un «compie».
termine tecnico dello gnosticismo, 11À~pWfl1X •:• l,lS-23 Testi affini: Fm 5; Col 1,3-4.9-
non sembra tradire qui alcun ascendente di 12; 1Ts 1,2b; 1Cor 15,24-25; Rm 12,4-5;
questo tipo; non indica, infatti, l'ambito 1Cor 12,12-30
Il 2,1-10 Testi paralleli: Col2,12-13; 3,7; tore talora si permette (come nel linguaggio
Rm 3,23-24 parlato, creando così un rapporto diretto coi
2,1 Anche voi (K!Ù ÙiJ.iiç) - Il discorso ini- lettori). Probabilmente è da connettersi con
zia con un accusativo Ùfliiç («voi») senza un l' «anche noi tutti» (Ka:l ~iJ.Elç ntiv-t"eç) del
verbo che lo regga: fino al v. 3 si tratta, in- v. 3, nel quale autore e lettori vengono così
fatti, di un anacoluto, cioè di una mancanza associati, trovandosi nella medesima situa-
di sostegno grammaticale all'elemento con zione di peccato.
cui si comincia una frase, il quale rimane 2,2 Viveste (nepLena:cT)oa:ce) - Il verbo
così senza un appoggio sintattico congruen- nepL na:cÉw, «camminare», nel linguaggio
te. L'anacoluto è dovuto o alla difficoltà di biblico denota la condotta di vita (cfr. 2,10;
padroneggiare le strutture sintattiche del pe- 4, l.l7; 5,2).
riodo, o· alle libertà grammaticali che l'au- A/l 'influsso di questo mondo ('tÒv a:twva: 'toil
Cristo è il «capo» (cfr. anche 2,16; 3,6; 4,4.12.15-16.25; 5,21-33). Questa inno-
vazione introduce molte sfumature riguardo sia allegarne vitale che intercorre tra
la Chiesa e Cristo, sia alla loro distinzione. La Chiesa corpo è saldamente unita a
Cristo, dipendendo e traendo la vita da Lui; tra i due s'è stabilita cosi una sorta di
circolarità/reciprocità di vita. Tuttavia, Cristo capo, strettamente congiunto alla
sua Chiesa e al contempo distinto da lei, esercita Lui solo il dominio sull'universo.
La Chiesa dunque non coincide con Lui ed è messa, per così dire, al riparo dal
rischio di un eccessivo grado di esaltazione e identificazione con Lui: è, sì, il suo
corpo, ma Cristo in quanto capo la trascende.
Questa sottolineatura permette pure di precisare l'esercizio stesso della signoria
di Cristo: il suo potere ha solo nella Chiesa la sua sfera di influenza più esplicita.
Solamente lei è il «corpo» di Cristo; il cosmo no, o comunque non ancora. Al
contempo, però, la Chiesa non è la zona esclusiva di influenza del Cristo, la cui
sovranità travalica i confini ecclesiali: egli è «capo di tutte le cose». Il potere
sovrano di Cristo si estende sull'intera realtà creata. Curioso quindi il fatto che
da un'ecclesiologia così "forte" (unione tra Cristo e Chiesa) emerga pure un'in-
tenzionalità sovraecclesiale e universale (distinzione tra Cristo e Chiesa). Si può
osservare, inoltre, che, se la metafora del corpo in Rm 12,4-5 e 1Cor 12,12-30 si
riferiva alla singola comunità cristiana, qui assume invece una chiara accezione
universale: «corpo» di Cristo non è più un gruppo di credenti di una località cir-
coscritta, ma la Chiesa tutta, considerata nella sua globalità.
Infine, si può pensare a un'azione di Cristo che raggiunge tutte le cose, ma
che ha la sua piena visibilità storica nella Chiesa: lei sola, infatti, è il suo pliroma
(«pienezza»), l'ambito dove la sua azione sovrana si esprime compiutamente (v.
23). Essa, infatti, viene via via descritta come oggetto della grazia predestinatri-
41 EFESIN12,2
Koo~ou ·wutou)- Il termine atwv («eone») uio1ç tf]c; à.nH!le(aç) - Insieme a «influsso
indica un'azione di influenza e di suggestio- (atwv) di questo mondo», sono epiteti di-
ne, resa in traduzione con «influsso». Con versi fra loro, che tuttavia confluiscono nel
tale concetto s'intendeva una delle fasi in cui descrivere un 'unica entità malvagia. Si tratta
si suddivideva il tempo; in particolare per il sempre del diavolo, del quale si elencano le
pensiero apocalittico quella attuale è un'epo- sfere d'influenza mediante circonlocuzioni
ca personificata cattiva, un «eone» maligno, elaborate (cfr. la somiglianza di linguaggio
che in qualche modo condiziona gli uomini. con Gv 12,31: ò lipxwv <ou Koo~ou toutou:
Principe del regno dell'aria ... spirito che «principe di questo mondo»).
agisce negli uomini disobbedienti (tòv Uomini disobbedienti- È un semitismo. Alla
apxovta tfìç lcçouo(aç toiì ocÉpoç, toiì lettera: «figli della disobbedienza» ( uloì. tf]ç
1TVE:U!-L«<oç toiì viìv Évepyoiìv<oç Év <o1ç cinH9daç).
ce in Cristo (1,5.11) e della sua redenzione (1,7-8), traguardo della sua opera di
riconciliazione (2,14-18; 3,6), beneficiaria dei suoi doni (4,7-12), recettrice della
forza che la fa crescere (4, 16), sua sposa ( 5,21-33 ). Cristo è signore dell'universo,
e sta portando a pienezza tutte le cose, ma il vertice della sua iniziativa, il p/Ùoma,
è la Chiesa, alla quale riserva il meglio delle sue attenzioni.
2,3 Meritavamo l'ira- Si tratta di un al- 2,5-6 Ci ha fatti vivere assieme a Cristo ...
tro semitismo. Alla lettera: «figli dell'ira» e ci ha fatti risorgere e sedere assieme (a
(t~Kva Òpyiìç). Il tema dell'6pyii di Dio (l'ira lui) (ouv~(WOT!OLT]OEV tQ Xp~otQ ... Kal
divina) è ben attestato nella Bibbia. Nell' AT ouv~yHpEv Kal ouvE'Ka9~oEv l:v XptotQ
è la reazione di Dio quando vede tradito il 'IT]Ooiì) - La traduzione letterale permette di
suo amore per Israele. Per il NT cfr., p. es.: cogliere come queste forme verbali, assai ra-
Col3,6; Rm 1,18; 2,5.8; 3,5; 4,15; 9,22; lTs re in greco, presentino ripetutamente il pre-
1,10; 2,16; Mt 3,7; Gv 3,26; Ap 6,16; 11,18; fisso «con» (ouv-): «ci ha fatti con-vivificare,
14,10; 19,15. con-risuscitare, con-far-sedere con Cristo».
Questa enfasi concentra tutta l'attenzione petizione della sillaba Ev: ouVE(W01TOLTJOEV Èv
sull'esito di queste azioni: l'associazione t4ì Xpwt4ì), oppure per la frequenza della
del cristiano «con» Cristo. formula Èv Xp wtQ che tra l'altro segue pure
2,5 Assieme a Cristo (t4ì X pLOt4ì) - La va- gli altri due verbi del v. 6.
riante «nel Cristo» (Ev t4ì XpLot4ì) rispetto Per grazia siete salvati 6:1ipL d ÉotE
a «con Cristo>> (t4ì XpLot4ì) è ben attestata: oE04JOfl~VoL)- La perifrastica è resa con
papiro Chester Beatty II (~46), codice Vati- il participio perfetto passivo OEOU)Ofl~VOL
cano (B), Vulgata (nell'edizione Clementina: («salvati>>), che evidenzia l'iniziativa divina.
vg" 1) e altri. È spiegabile o per dittografia (ri- L'espressione ricorre pure al v. 8.
sembra che l'autore desideri spingersi in una speculazione circa l'origine del male
nell'uomo. Né si può pensare di reperire qui una prova della dottrina del peccato
originale, così com'è stata elaborata successivamente. Piuttosto si può ammettere
che con il tema del peccato originale tale espressione condivide uno dei dati di
fondo: l 'umanità si trova sommersa in una storia di peccato e non può venirne
a capo se non per pura grazia. Con le sue sole forze l'uomo non ce la può fare.
Ancora una volta, allora, l'autore sottolinea le tinte negative delle premesse per
far risaltare la bellezza dell'esito finale: «per natura meritavamo l'ira>>, ma «per
grazia siete salvati>> (v. 5; tale contrasto ricorda da vicino le parole già accennate di
Rm 3,23-24: «Tutti, infatti, peccarono e sono privi della gloria di Dio, e vengono
giustificati gratuitamente per suo favore, mediante la redenzione che si trova per
mezzo di Gesù Cristo»).
La congiunzione avversativa «ma» (dé: 2,4) crea uno stacco. Serve a mettere in
risalto il capovolgimento motivato esclusivamente dall'eccesso di amore e di mise-
ricordia da parte di Dio. Egli colloca i credenti a un livello inimmaginabile: dall'ira
ora sono passati alla gloria, giungendo a condividere la condizione del Risorto.
Si viene a creare così un vincolo tale da rendere il cristiano pienamente partecipe
della vita di Cristo, della sua risurrezione e addirittura della sua intronizzazione
nei cieli (cfr. in 2,5-6 la scansione dei verbi «con-vivificare>>, «con-risorgere»,
«con-far-sedere»). Ci si trova davanti a un eccesso di ottimismo soteriologico, che
va sotto il nome di «escatologia realizzata»: i cristiani, pur ancora inseriti nelle
traversie di questo mondo, sono associati al Risorto, e in questo modo assapora-
no e godono anticipatamente il traguardo finale cui il loro capo è già approdato
(cfr. la questione dell'escatologia nell'Introduzione). Da notare come il sintagma
EFESINI2,7 44
2,7 Nelle epoche future (Év -rolç a.lW<Jw tolç XPflOTOTflTL é4l' fvuiç)- Nel!' originale la fra-
EonEPX~ÉvoLç) - Alla lettera: «negli eoni fu- se è decisamente ridondante: «la traboccante
turi». L'accezione negativa che a.lwv aveva ricchezza della sua grazia mediante la sua
al v. 2 qui non compare. bontà verso di noi».
La traboccante ricchezza della sua gra- 2,10 Opera sua, creati ... - Il termine
zia, (riversata) con bontà su di noi (TÒ noLfliJ.U («opera») e il participio Kna9ÉvTEç
ùnEp~ÀÀov nÀou-roç -rnç xttpL-roç a.ù-rou év («creati») rinviano alla creazione di Ada-
inclusivo «in Cristo» (en Christ3i) e le formulazioni verbali associative, rese con
il prefisso syn- («con»; reso in traduzione con «assieme»), vengano intrecciate
in modo tale da dare ancor più enfasi espressiva all'idea dell'unione vitale dei
credenti con Cristo.
Se, poi, al v. 2 si diceva che l'uomo era influenzato da un'«epoca» cattiva
(ai6n, inteso come personificazione malvagia; cfr. nota filologica), ora si annuncia
una situazione capovolta (v. 7). Alle «epoche future» si proclama che l'uomo è
oggetto di una bontà esagerata da parte di Dio (il termine ai6n qui non è più usato
in senso personalizzato). La menzione di «epoche future» mitiga un po' il concetto
di un'escatologia totalmente realizzata e apre a esiti non ancora raggiunti.
Salvati per grazia (2,8). Nessun presupposto, potenzialità, merito o talento
umano può spingere Dio a offrire all'uomo la salvezza. Semplicemente la dona
«per grazia», motivato esclusivamente dal suo amore indeducibile (la stessa af-
fermazione compare al v. 5). Alla gratuità della salvezza, poi, s'accompagna la
necessità delle buone opere; si è salvati, ma questa condizione non concede nes-
suno spazio al disimpegno. L'etica, così, si profila come conseguenza della grazia:
l 'uomo può compiere le opere buone perché Dio fa in modo che questo avvenga.
Lo statuto del cristiano, infatti, dipende da un atto creativo di Dio: «Siamo, infatti,
opera sua, creati in Cristo Gesù». Questi versetti richiamano alcuni temi paolini:
la giustificazione non per le opere della legge (cfr. , p. es., Rm 3,28 e Gal2,16),
la vita del cristiano come opera di Dio (cfr. 2Cor 5, 17) e l'esclusione del vanto
(cfr., p. es., Rm 3,27 e lCor 1,29).
2,11-22 Giudeocristiani ed etnocristiani riconciliati nel corpo di Cristo
Compare ora una tematica nuova: la relazione tra pagani e giudei, che viene
ridefinita e superata da Cristo. L'estraneità dei pagani dalla cittadinanza di Israele
45 EFESINI 2, Il
mo: cfr., p. es., Gen l ,26-27 e Sap 2,23. 5. Si verifichi anche lCor 3,10
Perché vivessimo in (coerenza con) esse ((va 2,11 Pagani nella carne (tà E9V11 Èv ocxpK()
~v cxùtoi.ç nE'p~ncxt~OWJ.1E'V)- Nell'originale -L'espressione designa tutti i non giudei.
emerge l'uso del verbo nE=p~ncxtEi.v col senso La denominazione «paganh) ha un'accezio-
di «comportarsi»: «perché camminassimo in ne negativa, ma viene ugualmente utilizzata
esse» (cfr. nota a 2,2; 4,1,17; 5,1). perché la traduzione letterale «genti nella
Il 2,11-22 Testi paralleli: Coll,21; Rm 9,4- carne» sarebbe difficilmente comprensibile.
(vv. 11-12), viene capovolta in concittadinanza coi santi e familiarità con Dio
(vv. 19-22), grazie all'opera di riconciliazione ottenuta dalla croce di Cristo (vv.
13-18).
La condizione precedente degli etnocristiani: l'estraneità (2, 11-12). La de-
scrizione della situazione passata dei cristiani provenienti dal paganesimo - cui
l'autore si rivolge direttamente: «voi»- è ottenuta mediante il procedimento
letterario definito dagli studiosi mirror-image («immagine a specchio»), a partire,
cioè, dal punto di vista giudaico. Le peculiarità di cui Israele godeva erano precluse
ai pagani e il segno più evidente della distinzione è la circoncisione. Quest'ul-
tima è un'impronta visibile nella carne, che, indicando l'appartenenza a Israele,
denomina automaticamente tutti gli altri come «non circoncisi». Tale incisione
fisica, tuttavia, viene fortemente relativizzata, sia perché si tratta di una semplice
denominazione verbale («soprannominati ... quelli che si diconm>), sia perché è un
segno prodotto dagli uomini a un livello puramente carnale (en sarkz), superficiale
dunque, che non è in grado di toccare le profondità della persona. Comunque, a
questa prima carenza dei pagani (l 'incirconcisione) ne vengono aggiunte altre. La
prima: essi erano «senza Cristm>, privi cioè delle aspettative messianiche. L'autore
sa che il Cristo di Israele è ormai identificato con Gesù; solamente si pone nella
prospettiva delle attese del giudaismo, che i pagani non potevano certo coltivare.
La seconda: esclusi dalla «cittadinanza>> di Israele, cioè da quel sistema religioso
e culturale, che, in particolare durante l'ellenismo, permetteva di riconoscersi ap-
partenenti al popolo eletto, pur senza risiedere entro i confini territoriali di Israele.
Ovviamente questo esclude i pagani pure dai «patti della promessa», cioè dagli
impegni di Dio a favore del suo popolo. La terza: «senza speranza». Privi, quindi,
della possibilità di ottenere quella salvezza, che era oggetto delle attese di Israele.
EFESINI 2,12 46
èyyùç èv r4> al'llan rou Xptcrrou. 14 Aùròç yap Ècrnv tì Eip~v11 JÌllwv,
ò rrm~craç rà: àl!<p6tEpa ev Kaì rò l!Ecr6rmxov rou cppawou Àucraç,
Soprannomi nati «non circoncisi>> (o L minata la parte fisica per indicare il tutto;
ÀE'YD!!EVOL liKpo~uot(a) - Alla lettera: o più precisamente la causa (l'incisione)
«soprannominati "prepuzio"». Sono i non per definire l'effetto (appartenenza a
appartenenti al popolo eletto, privi ap- Israele).
punto della circoncisione. La definizione Quelli che si dicono «circoncisi» {tfìç
è resa con una metonimia, cioè viene no- ÀEYOI!ÉVTJç 1TEpL to~-tfìç)- Alla lettera: <<so-
La quarta: «senza Dio» (atheoi), non tanto nel senso elaborato dall'ateismo mo-
derno, quanto piuttosto di una lontananza da Dio di tipo esistenziale; forse si può
intendere pure la mancanza del monoteismo israelitico. Fin qui, dunque, i motivi
di separazione interetnica. Si vedrà come il superamento di queste distinzioni
non consiste nella comparsa di un nuovo popolo, risultante dalla somma dei due,
ma nella realizzazione di una realtà che trascende le distinzioni etnico-religiose.
Questo per quel che riguardava il passato («un tempo»,poté: 2,11).
Riconciliazione in Cristo (2,13-18). «Ora invece» (nunì dé: 2,13) le cose non
stanno più così, dal momento che Cristo ha eliminato le divisioni, perché grazie
alla sua croce (<<sangue») la lontananza dei pagani da Israele e da Dio è stata supe-
rata. Egli poi non è semplicemente colui che fa opera di pacificazione tra pagani e
israeliti, ma è la pace per antonomasia (forse sulla scorta di alcuni testi messianici:
Is 9,5 e Mi 5,4). Il tema sta particolarmente a cuore all'autore, perché il termine
«pace» (eiriné) è ripetuto ben quattro volte. L'esclusione dei pagani non è stata
superata grazie alla loro incorporazione in Israele, infatti, si afferma non l'acco-
glienza dei pagani nel popolo eletto, ma di entrambi - pagani e israeliti - in una
realtà inedita, sovraetnica. Il linguaggio è rivelatorio: l'autore descrive l'esito della
riconciliazione in modi diversi: «una sola cosa» (v. 14), «un solo uomo nuovo»
(v. 15), «in un solo corpo» (v. 16), evitando accuratamente di usare la formulazio-
ne «popolo nuovo». L'argomentazione svolge una pars destruens, in cui Cristo
distrugge ogni elemento di demarcazione etnico-religiosa, annullandone qualsiasi
efficacia discriminante (viene demolito il «muro divisorio», abrogata la «legge»,
uccisa l' «ostilità») e una construens, in cui Cristo crea la realtà nuova riconciliata
(«fare» una cosa sola, «creare» l'uomo nuovo, «riconciliare» in un solo corpo).
Curiosa l'assenza di qualsiasi accenno alla risurrezione: è con la morte che Cristo
47 EFESINI 2,14
:Z,15 Con (i suoi) precetti (Èv ooyjJOOw)- Non tWV ÈvtOÀ.WV Èv OOyjJOOLV («la legge dei pre-
compare nel papiro Chester Beatty II (sp46) e cetti nei decreti))) è chiaramente pleroforica.
nella Vulgata, ma non sembra una glossa, dal Per creare ... un solo uomo nuovo - Il verbo
momento che lo stile ridondante di Efesini Kt((w («creare))) assieme al complemento
ama tornare su alcuni termini mediante accu- oggetto KULVÒV avGpW'ITOV («UOmO nUOVO)))
mulo di sinonimi. Infatti, la frase tòv v4.Lov richiamano la creazione di Adamo (cfr.
Legge, che per salvaguardare i tratti peculiari dell'identità religiosa, poteva esser
percepita come motivo di separazione e causa di conflitti; nella società del tempo,
infatti, gli israeliti pativano discriminazioni e ostilità. Le soluzioni c) e d) sono
quelle che più convincono: innanzitutto perché i vv. 14-15 mettono in continuità
la demolizione del muro con l'abrogazione della Legge e poi perché il sistema di
separazione cultuale vigente al tempio era stabilito proprio dalla Legge, quindi un
reciproco richiamo tra muro divisorio e Legge era assai probabile.
L 'abrogazione della Legge e la creazione de/l 'uomo nuovo (2, 15-16). L'afferma-
zione più ardita, che non si ritrova nelle homologoumena, cioè le lettere autentiche di
Paolo, è l'abrogazione della Legge (cfr., p. es., Rm 7,4.6; Gal2,19; e anche Eb 7,18;
anzi cfr. Rm 3,31 !). L'autore ha in mente la Legge mosaica, con la sua ampia artico-
lazione in precetti e osservanze, che come complesso sistema di regole è soppiantata
dalla salvezza di Cristo. Ora la via per l'accesso a Dio non è più la Legge ma Cristo
(cfr. 2, 18). Essa è espunta come motivo di distinzione e di conflitto non in quanto
tale (nella lettera ci sono alcune citazioni esplicite e diversi richiami all' AT, che
rimane dunque normativo per la fede cristiana; cfr., p. es., 1,22; 4,8 e 5,31; 6,2-3).
L'autore non si limita ad affermare l'azione riconciliatrice di Cristo, ma la
dipinge con il linguaggio protologico della creazione (la protologia è il discorso
relativo alle origini), e, più precisamente con espressioni che riecheggiano la
creazione di Adamo. Cristo trae da due popoli la Chiesa, come Dio ha tratto dalla
terra il primo uomo. Cosicché dall'alto della croce Cristo è creatore dell'umanità
nuova, riconciliata. Si tratta di un riconoscimento altissimo, che attribuisce a
Cristo un'attività esclusiva di Dio: è una delle prove di quel fenomeno presente
in Efesini che va sotto il nome di teologizzazione della cristologia: la figura di
Cristo assume sempre più le prerogative di Dio.
Venendo ha annunciato pace (2, 17). L'annuncio della pace riecheggia i passi di
ls 52,7 e 57,19, dei quali i presenti versetti si profilano come un midrash cristiano
49 EFESINI 2,18
spirito al Padre.
Gen 1,27; 2,7; Sap 2,23 e Sir 17,1; 33,10). be sulla medesima significazione ecclesiale.
2,18 In un solo spirito (É:v ÈvÌ. TIVE'quxn) - Di D'altra parte non si può escludere che, in conti-
quale spirito di parla? Dello Spirito Santo o nuità con l'andamento trinitario dell'eu/oghia
dello spirito ecclesiale? Essendo in parallelo di l ,3-14 e con la menzione dello Spirito al v.
con il sintagma «in un solo corpo» (v. 16), che 22, si voglia richiamare proprio lo Spirito Santo.
designa la Chiesa, l'espressione si collochereb- Entrambe le soluzioni sono quindi sostenibili.
(una spiegazione di testi dell'AT alla luce di Cristo). Ma di quale venuta si tratta?
Quand'è che Cristo con il suo arrivo ha annunciato la pace? Molteplici le discussioni
e le soluzioni ipotizzate per la comprensione del verbo <<Venire»: a) una predicazio-
ne anteriore all'incarnazione; mai però l'autore allude a un momento della storia
d'Israele in cui collocare tale attività di Cristo prima della sua vicenda terrena; b)
l'incarnazione stessa come annuncio di pace; ma l'interesse della lettera verte più
sull'esito finale, e il contesto immediato si concentra sulla morte di Gesù: non sembra
che le vicende di Gesù di Nazaret catturino l'attenzione dell'autore (forse un accenno
lo si può intuire solo in 4,21); c) la vita terrena di Gesù come predicazione; tuttavia
vale anche in questo caso quanto detto nel punto precedente; d) la risurrezione stessa
come annuncio; ma la venuta sarebbe allora successiva alla morte, mentre il contesto
ce la mostra concomitante; e) la venuta di Cristo contemporanea alla discesa/venuta
dello Spirito, il quale anima e accompagna la predicazione apostolica; tuttavia non
sembra che l'autore abbia in mente due venute diverse avvenute nello stesso momen-
to; t) la venuta di Cristo nell'evento stesso della predicazione, in quanto oggetto e al
contempo artefice della predicazione; ma nel contesto gli annunciatori non appaiono
né in modo esplicito, né tantomeno per allusione; g) l'arrivo del Risorto al di sopra
della barriera cosmica, inteso come un annuncio alle realtà cosmiche celesti; ma più
che di una "venuta" bisognerebbe parlare di un '"ascesa" (quest'ultima congettura
è troppo debitrice dello gnosticismo, fenomeno culturale e religioso che si precisa
molto dopo la fase neotestamentaria); h) la croce stessa potrebbe palesarsi come un
annuncio; ma allora non si comprende la funzione di elth6n (<<Venendo»): in che
modo la crocifissione può essere compresa come arrivo, venuta?
Come si può notare nessuna delle proposte è risolutiva. Gli esegeti propendono
per la c) e la t). Probabilmente bisogna rispettare la sequenza delle affermazioni in
cui il verbo <<Venire» è incastonato, le quali, se da una parte si concentrano, sì, su
un evento, quello della croce, dali' altra trascendono la pura oggettività delle singole
EFESINI 2, 19 50
19'1\.pa: oòv oùKén È:o"tÈ ~évot Ka:Ì mi:potKOl à:Mà: f:crrÈ cru}lnOÀi'ra:t
t'WV ày{wv K<XÌ OÌKElOl TOU 8EOU, 20 È:1tOlKO~O}ll18ÉVTEç È:nÌ t'Q
8E}lEÀl<p t'WV ànocrroÀwv Ka:Ì npOq>llTWV, ovroç Ò:Kpoywvta:iou
a:ùmu Xptcrrou 'I11crou, 21 È:v 4> mxcra: oiKo~oll~ cruva:p}loÀoyou}léVll
a:u~El EÌç va:òv aytov f:v Kupi<p, 22 f:v 4> Ka:Ì U}lEtç OUVOlKO~O}le:lcr8E
EÌç K<Xt'OlKllt'~plOV t'OU 8EOU È:v 1tVEU}l<XT1.
2,19 Familiari di Dio (OLKELOL ·mfl 8Eofl)- È il servizio liturgico o per «cercare il volto
un'espressione che tramite la radice OLK- ri- del Signore».
chiama la «casa di Dio», il tempio (oiKoç 2,20 Pietra angolare (aKpoywvux1oc;) - È
9EOfJ: cfr., p. es., Gen 28,17.19; Gdc 17,5; un termine assente dalla letteratura greca e
18,31; 2Sam 12,20), nel quale si entrava per deriva da Is 28,16 LXX. Si tratta di un di-
slegomenon del NT, compare cioè solo due vv. 5-6 s'incontra anche qui la ripetizione
volte (qui e in l Pt 2,6 ). del prefisso «con» (cruv-; cfr. nota a 2,5-
2,21-22 Cresce armoniosamente ... veni- 6), anche se non si riferisce all'unione con
te edificati insieme (cruvo:p!J.OÀ.oyou!J.ÉVTJ Cristo, ma all'operosa unità dei cristiani
o;!)l;n ..• cruvolKolio!J.ElcrGe)- Similmente ai tra loro.
pagam ...
2se pure avete sentito (parlare) della gestione della grazia di Dio, a
il senso, come si può notare nelle differenti preso pure in 3,9 (cfr. la nota a quel versetto).
proposte di alcuni esegeti: «adempimento» 3,3 [Cioè che] - La congiunzione on è
(Schlier, 224), «dispensazione» (Penna, 152), omessa nel papiro Chester Beatty IJ. (SJ)46 ),
«pianm> (Best, 343), «disposizione» (Roma- nel codice Vaticano (B) e in altri manoscritti,
nello, l 08), «amministrazione» al v. 2 ed mentre è presente nel Sinaitico (N), Alessan-
«economia» al v. 9 (Aletti, 168). Di queste drino (A), Efrem riscritto (C), Claromontano
volutamente si evitano «amministrazione» ed (D) e in altri. È preferibile mantenerla, con-
«economia», che nella lingua corrente hanno siderandola dipendente da ~Km)oate (3,2):
sapore economico-finanziario. L'idea soggia- «avete ascoltato ... che».
cente è che Paolo sta ricevendo un'iniziativa È stato fatto conoscere (Èyvwp(o9T)) - Si
di grazia che ha Dio per artefice, ma che Paolo tratta di un passivo divino, il cui soggetto
è chiamato a gestire (Paolo, infatti, è «servito- sottinteso è Dio stesso. La conferma viene
re»: cfr. 3,7). La versione CEI del2008 opta daJ termine tecnico anOKciJ,uijnç («riVelazio-
per «ministero», anche se nell'originale non ne»), che indica una conoscenza di origine
c'è affatto 1\uxKov(a. Qui si sceglie «gestio- trascendente: la radice aiTOK!XAUiT- ritorna in
ne», termine che ha il pregio di poter esser ri- 3,5 (aneKal..\xp9T), «è stato rivelato»).
da parte dei «fratelli»). Il ministero di Paolo riceve, così, quella qualifica che lo
accompagnerà per sempre: è l'apostolo delle genti (pagani, gentili). A lui è stato
rivelato il «mistero» (mystÙion), di cui l'autore delinea dapprima la natura (vv.
2-7) e poi l'atto di proclamazione (vv. 8-13).
3,2-7 La natura del mistero
L'apostolo è destinatario della rivelazione del «mistero», che, pur essendo
da sempre nei progetti di Dio, era rimasto finora nascosto: che cioè anche i pa-
gani in Cristo partecipano pienamente della stessa salvezza offerta ai giudei e
prendono parte del medesimo corpo ecclesiale. Quest'incarico affidato a Paolo
sembra noto ai destinatari, i quali probabilmente ne hanno già sentito parlare da
altri. Dire, comunque, che Paolo ha ricevuto la «gestione» (oikonomia) significa
non che sia lui a gestire la grazia, ma solamente che ne è il recettore (l'elargi-
tore è Dio; cfr. 3, 7). Tale grazia è data a lui personalmente, ma è comunque a
beneficio dei pagani.
L'autore aveva già delineato in l ,9-1 Oil senso del «mistero» in quanto progetto
salvifico da sempre pensato ma taciuto e rivelato solo con l'evento Cristo; inoltre,
se lo scopo del mystérion è l'inclusione dei pagani nel piano di salvezza in Cristo,
ne aveva parlato diffusamente in 2,11-22. Proprio per questo l'autore ora può
rinviare alla lettura di quanto detto in precedenza nella lettera («come vi ho scritto
prima brevemente»: v. 3). Per quale motivo allora tornare sulla questione? Perché
EFESINI 3,5 54
3,5 Agli uomini (r:oi.c; utoi.c; twv àv9pwnwv) 3,6 Prendano parte alla stessa eredità, for-
- Alla lettera: «ai figli degli uomini»; cfr. mino lo stesso corpo, partecipino alla stes-
nota a2,3. sa ... (ouyKi..T)pov~, oooow~J.~X, OlJil.ILÉtoxa ... )
I profeti (npocflfitrn) -Non sono quelli -Da notare l'insistente ripresentazione del
menzionati nell' AT, autori dei libri che prefisso ouv- («con»), come si può notare
portano il loro nome, ma sono i profeti nella traduzione letterale: «(siano) con-eredi,
cristiani, che sono a servizio della comu- con-corporei, com-partecipi» (cfr. 2,5-6.21-
nità ecclesiale. 22).
sta per aggiungere alcune novità, sia circa la persona e la missione di Paolo, sia
in relazione alla natura del «mistero» stesso.
Ebbene, Paolo è pervenuto alla conoscenza di tale «mistero>> non riflettendo
sull' AT, né perché altri glielo hanno spiegato e nemmeno per una qualche intui-
zione personale, ma solo «per rivelazione» (apokalypsis: 3,3), cioè esclusivamente
in forza di una comunicazione diretta da parte di Dio. L'apostolo è puro oggetto
di un'iniziativa di Dio senza premesse. Ma quand'è che Dio ha svelato questo suo
segreto a Paolo? Il linguaggio assai aderente a Gal l, 12.15-16 («per rivelazione ...
mi chiamò con la sua grazia e si compiacque di rivelare in me suo Figlio perché
lo annunziassi in mezzo ai pagani. .. ») lascerebbe intendere l'esperienza sulla via
di Damasco. Ma il libro di Atti al riguardo non è univoco: in due casi è Hanania a
riferire l'incarico (9,15; 22,15), e solo in un altro è il Risorto (26,16-18). In 2Cor
12,1-4, poi, Paolo parla di diverse visioni e rivelazioni ricevute dal Signore. Quindi
il momento preciso non è possibile stabilirlo con esattezza. In ogni caso l'autore
non è interessato al "quando", ma al "come" e al "perché": per iniziativa divina e
a vantaggio dei pagani. Inoltre aggiunge una precisazione rispetto a 1,9: si tratta
del «mistero di Cristo» (v. 4).
In precedenza nessuno aveva ricevuto notizia della novità assoluta di cui ora
si è messi al corrente. I destinatari di questa rivelazione, tuttavia, non sono diret-
tamente tutti i cristiani, ma i «santi apostoli e profeti» (v. 5). I primi a riceverla
sono dunque le guide della comunità primitiva. Dapprima l'autore aveva riservato
esclusivamente a Paolo la rivelazione del myst~rion, ora invece allarga la cerchia
ai capi storici. Perché? Quest'inclusione dei primi testimoni potrebbe essere un
indizio significativo di come si fosse già lontani dagli esordi del cristianesimo,
percependo così la generazione dei primissimi cristiani nella sua valenza fondante
55 EFESINI 3,7
3, 7 Sono divenuto servitore (ÉyEv~6TJV IlO L) - Alla lettera: «il dono della grazia di
6uhwvoç) -È assai probabile che il verbo sia Dio, data a me». L'espressione forma un'in-
un passivo divino, il cui soggetto sottinteso clusione con il v. 2, in cui compaiono le stes-
è Dio. Paolo non si è autodesignato a questo se identiche parole (tfìç xcipL toç tou 6Eou tiìç
ministero ma è divenuto servo del Vangelo 006ELoT)ç IlO L). Lo scopo di questa ripetizione
per iniziativa divina. è evidente: inquadrare gli accenni relativi a
Il dono di grazia che Dio mi ha dato (t~v Paolo ali 'interno dell'iniziativa di grazia da
liwpEIÌV tf)ç xcipttoç toiì 6Eou tf)ç ùollELoT)ç parte di Dio.
e normativa. Come si può notare, nella coscienza ecclesiale accade che più ci si
allontana anche cronologicamente dali' evento fondante più si guarda con vene-
razione agli apostoli (e a Paolo), cristallizzandoli quasi all'interno dell'evento
stesso. Non sembra invece che la presenza di altri recettori del «mistero>> sia
da ascriversi a una sorta di ridimensionamento del ruolo centrale di Paolo (cfr.
invece 1Cor 1,12).
Pure in Rm 16,25-26 e Coll,26 Paolo si presenta come l'incaricato da parte di
Dio di annunciare il mistero ai pagani. In questo modo si può comprendere come
di fatto il concetto di «mistero>> sia coestensivo col concetto di «Vangelo>>, o, se
si preferisce, finiscano quasi per essere sinomini (questo fenomeno si profila in
maniera nitida negli scritti antileg6mena, quelli cioè la cui paternità è discussa):
entrambi hanno come oggetto l'inclusione dei pagani in quell'identica salvezza
che si pensava fosse esclusiva dei giudei.
Per esprimere il contenuto del «mistero» l'autore -ancora una volta- seleziona
alcuni termini a effetto e li inanella in una espressione curiosa: la novità sta nel
fatto che i pagani sono «con-eredi», «con-corporei>> e «com-partecipi» (3,6; cfr.
nota filologica per la traduzione italiana). L'imprevedibile partecipazione dei paga-
ni impone anche un nuovo modo di esprimersi. Evidente la triplice ripetizione del
prefisso syn- («con-»), similmente a 2,5-6. Ma mentre là si insisteva sul concetto
di partecipazione alla vita risorta di Cristo da parte di tutti i credenti, ora l'insi-
stenza verte sulla piena partecipazione alla salvezza in Cristo da parte dei pagani
(come espresso in 2,11-22), senza differenza alcuna rispetto ai giudeocristiani.
Grazie al disvelamento/attuazione del mistero ogni divisione etnica e religiosa
è superata, e le componenti prima distanti o in conflitto ora confluiscono in una
perfetta comunione vicendevole e con Dio.
EFESINI 3,8 56
3,8 L 'infimo- L'aggettivo ÈÀa.XLOtOtEpoç è il - In base alla lezione scelta tra quelle dei
comparativo di V..&xwtoç («piccolissimo»), vari manoscritti la traduzione cambia: «il-
che a sua volta è il superlativo di ~LKpoç luminare [tutti] su quale sia la gestione»,
(«piccolo»). Si dovrebbe tradurre con «il più oppure «portare alla luce quale sia la ge-
piccolissimm>, una sorta di forzatura gram- stione». La prima possibilità è da preferir-
maticale voluta dali' autore per enfatizzare la si sia dal punto di vista logico-sintattico,
grazia divina: poverissime le premesse ma sia da quello delle testimonianze testuali:
ottimi i risultati! Probabilmente è una ripre- Chester Beatty II (IP 46 ), Sinaitico (~). Va-
sa, rafforzata, di ICor 15,9: «l'infimo degli ticano (B), Efrem riscritto (C), Claromon-
apostoli>> (o ÈÀa.XLOtOç tWV Ctt!OO"COÀ.wv). tano (D) e altri.
3,9 Illuminare [tutti) su quale sia la ge- La gestione (otKovo~(o:) -Qui il soggetto
stione (cj>w-c(acu [1l!tv-co:ç] -c(ç ~ olKovo~(o:) che «gestisce» il mistero è Dio. La versione
CEI del 2008 sceglie, infatti, «attuazione>>, di varietà è già contenuta nell'aggettivo
discostandosi dalla scelta fatta in 3,2. Cfr. le no~KLÀoç (cfr. la tunica «variopinta» di Giu-
osservazioni a 1,10 e 3,2. seppe in Gen 37,3) e l'aggiunta di noì..uç la
Del mistero nascosto da secoli (f.LUUtllPLOU rafforza. inserendo pure la sfumatura di inac-
"COU al!OK~KPUf.Lf.LÉVOU anÒ
"CWV atwvwv)- È cessibilità. L'origine divina della sapienza
un'espressione identica a Col 1,26 e molto e la sua impenetrabilità sono un tema caro
aderente a Rm 16,25: «il mistero avvolto alla Bibbia; cfr., p. es., Gb 28,12-13.20-21;
nel silenzio per secoli eterni» (f.LUUtllP (ou Pr 30,1-4; Sap 8,21; 9,13-17; Sir 1,1-8; Bar
XPOVO~ç aLWVLO~ç U~ULYllf.LÉVOU). 3,14--4,4; lCor 2,6-16.
3,10 Multiforme sapienza(~ noì..uno(K~Àoç 3,11 Il progetto eterno (npoe~u~v twv
u<Xj>(a)- L'aggettivo noì..unoLK~Àoç compare atwvwv)- Alla lettera: «progetto degli eo-
solo qui (è hapax dell'intera Bibbia). L'idea ni». Cfr. nota a 2,7; 3,21.
svelato pure alle Potenze del cielo, le realtà invisibili di natura trascendente («Prin-
cipati e Autorità>>: 3,10), di cui in 1,21 s'è proclamato l'assoggettamento. La realtà
tutta rientra nell'opera di armonizzazione e unificazione che Dio sta attuando (in
1,9-10, infatti, si dice che il mystÙion della volontà di Dio è comporre in unità la
totalità del creato sotto l 'unica signoria di Cristo). Ma anche alle Potenze soggiogate
vien data notizia del luogo in cui il mistero brilla: la Chiesa. Qui l'unità non è solo
un proposito di Dio, perché grazie a Cristo è già divenuta realtà. Sono confluiti
nell'unità ecclesiale anche popoli provenienti dal paganesimo (3,6). Per questo la
Chiesa diventa strumento d'annuncio (3,10). Infatti, il dirlo pure alle Potestà, fra le
quali alcune sono chiaramente ostili alla Chiesa, significa dimostrare la portata uni-
versale dell'evento ecclesiale, nel quale il cosmo intero in qualche modo è coinvolto.
Anche le forze avverse, che tramano per la divisione e la conflittualità, vengono a
sapere che i loro sforzi sono vani e che Cristo ha realizzato una realtà dove ormai
regna l 'unità: la comunità ecclesiale, appunto (il linguaggio e probabilmente anche le
intenzioni sono molto diverse, ma la portata cosmica di questo brano non può non far
ricordare Rm 8,19-22, in cui anche il creato anela alla stessa libertà dei figli di Dio).
Tali Potenze celesti sottomesse, destinatarie di questo annuncio, saranno pure
oggetto di redenzione? Vien forse fatto loro quest'annuncio per "ingelosirle" e
quindi riconciliarle (in l , l Osi dice che Dio sta agendo verso tutte le cose, sia quelle
terrene che quelle celesti)? Bisogna limitarsi a porre la domanda senza spingersi
oltre, tenendo presente però quanto verrà detto in 6,12: la battaglia spirituale contro
i Principati e le Potenze è ancora aperta.
EFESIN13,12 58
3,12 Abbiamo la libertà di accedere con fidu- 3,14 Pcub-e (tòv 11atÉpa)- Alcuni codici antichi
cia tEXOf.lE'V t~v 11appT]OtaV Kal 11pooaywy1lv dopo «Padre)) vedono l'aggiunta «del Signore
Év 1TE'1TOL91loH)- La formulazione è ridondan- nostro Gesù Cristm), ma l'omissione è mag-
te, infatti, la traduzione letterale suonerebbe: giormente attestata: Chester Beatty II (IP46),
«abbiamo franchezza e accesso con fiducia». I Sinaitico (M), Alessandrino (A), Vaticano (B),
termini 11appT)Ota («franchezza») e 11pooaywY1l Efrem riscritto (C) e altri. Dunque è da inten-
(«accesso») costituiscono un'endiadi. dersi non come Padre di Gesù, ma del creato.
Piego le ginocchia (Kciwrrtw tà y6vo:tci f!OU) v. 19, che non è ben strutturato a livello
-Anche se il pio ebreo solitamente pregava sintattico a causa delle subordinate che si
in piedi, talora lo faceva con la prosternazio- accavallano l'una sull'altra.
ne o la genuflessione, che indicava il ricono- 3,15 Stirpe- In traduzione non si può eviden-
scimento di sottomissione e l'attestazione di ziare la figura etimologica creata con la ripeti-
uìniltà (cfr. Rm Il ,4 e Fil2, l 0). zione, nei vv. 13-14, del tema no:tp- nei voca-
In 3,14 ha inizio un lungo periodo fino al boli no:tÉpo: ... no:tpui («Padre ... stirpe») e resa
erroneamente dalla Vulgata con <<Patrem ... pa- -Le due espressioni ò fuw livepw1Toç e Ko:pò(a
temitas». Il senso di 1TO:'tpui è «stirpe, discen- di fatto si presentano come sinonimi, anche se
denza, famiglia, nazione», non <<paternità». la prima è d'origine greco-ellenistica e la secon-
Nei cieli e sulla terra (Èv oòpo:vo1ç KO:L È1TÌ. da è di stampo semitico. Indicano la profondità
yf]ç) - È un merismo, cioè un modo di dire la della persona (cfr. 2Cor4,16; Rm 7,22).
totalità menzionandone gli estremi. Altri me- 3,17 Radicali e fondati nel! 'amore (Èv &yct1T1J
rismi sono presenti in l, l O(«nei cieli e sulla Èpp~(WfJ.fVOL KO:L 'tE9Ef.i.E'ÀLWfJ.fVO~)- È una
temm), 1,21 («presente, futuro»), 4,9 («salì in frase fuori posto: si allaccia a quanto prece-
alto, discese nel profondo della terra»). de o a quanto segue? Questi due participi si
Viene al! 'esistenza (6vqui(E''to:~) -Alla lettera armonizzano con l'affermazione successiva:
significa «riceve il nome» (cfr. 1,21 ): conferire «perché voi, radicati e fondati nell'amore,
un nome nel linguaggio biblico equivale a dare siate capaci di comprendere ... ». Si trattereb-
identità, generare alla vita; quindi riceverlo vuoi be, quindi, di un'anastrofe (o, meglio, di un
dire venire all'esistenza (cfr., p. es., Sal 146,4; iperbato), ossia di un'inversione nell'ordine
Qo 6,10). Tuttavia Adamo che dà il nome agli abituale dei segmenti sintattici.
animali ovviamente non li chiama all'esistenza, 3,18 L{Irghezza, lunghezza, altezza, profondità
ma esercita su di loro una signoria (Gen 2,19). (1TÀ!ltoç, f.i.ft<oç, iJ$oç, p&:eoç)- Quest'elenco ha il
3,16-17 Nell'uomo interiore ... nei vostri cuori sapore di una figura dell'accumulo, come l' enu-
(<<profondità», sinonimo della seconda), del tutto assente nella cosmologia del tempo
(3, 18). Una palese forzatura. Più che domandarsi a quali dimensioni cosmiche o a
quali speculazioni anche di tipo filosofico si rifaccia tale affermazione, basta ricordare
quanto detto prima: l'autore sta considerando l'eccedenza trascendente di Dio, per
delineare la quale i parametri normali di misurazione saltano. Inoltre l'autore rimane
sul vago: larghezza, lunghezza, altezza e profondità di cosa? Anche i commentatori
antichi, come alcuni moderni, hanno tentato di specificare a cosa vengano attribuite
queste misure (la Sapienza, la Gerusalemme celeste, la potenza divina, il corpo cosmi-
co di Cristo, il piano salvifico di Dio), dal momento che vengono elencate senza che si
espliciti a chi o a che cosa si riferiscano. Sono più convincenti le ipotesi strettamente
connesse con il contesto: si tratta di un tentativo di comunicare l'amore divino che è
semplicemente illimitato. Se poi si pensa che probabilmente tali coordinate spaziali
potevano designare anche le Potenze celesti che popolano il cosmo, allora attribuirle
ali' amore di Dio e di Cristo, significa alludere al fatto che l'universo non è più in preda
ai poteri che minacciano l'uomo, ma è colmo dell'amore divino.
61 EFESINI 3,19
viene ali' esistenza ogni stirpe nei cieli e sulla terra, 16perché
vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere
potentemente fortificati mediante il suo Spirito ne Il 'uomo
interiore; 17 che il Cristo dimori grazie alla fede nei vostri
cuori, radicati e fondati nell'amore, 18perché siate capaci di
comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza,
l'altezza e la profondità, 19e di conoscere l'amore di Cristo che
oltrepassa la conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza
meratio (una lista), oppure potrebbe costituire lità: ÉnEpLOIJEOOEV («ha riversato con sovrab-
una sorta di merismo "al quadrato", cioè men- bondanza>>: l ,8); -rò ilTIEpj31i,U.ov f.LÉyE6oç («tra-
zionare non solo i (consueti) due estremi per di- boccante grandezza>>: 1,19); -rò ÒlTE:pj31iì..Aov
re il tutto, ma addirittura quattro: si avrebbe qui nJ..ou-roc; («la traboccante ricchezza>>: 2,7);
una totalità nella sua massima estensione. Solo lllTEpEKlTEpLOOOU («ben a) di là»: 3,20).
dal contesto si comprende a che cosa si riferisca Conoscere l 'amore di Cristo che oltrepassa la
quest'elenco di coordinate spaziali: non tanto conoscenza (yvwva( -r~v ÙnEpJXlJ..J..ouoav -riìç
alle dimensioni del cosmo ma alla sproporzione yllWoEwc; àyalTTJV -rou XpLo-rou)- È un' espres-
dell'amore di Dio. Forti le reminiscenze sapien- sione paradossale, che presenta contempora-
ziali: «l'altezza del cielo, la distesa della terra neamente la figura etimologica yvwvaL ...
e le profondità dell'abisso chi le potrà esplo- yvooEwç («conoscere ... conoscenza») e una
rare?>> (Sir 1,3). Alcuni testimoni antichi, tra i costruzione lessicale simile ali' ossimoro,
quali il Sinaitico (~)e altri semplificano, omet- formata dall'unione di due termini antitetici
tendo le ultime due estensioni: uljloc; e paeoc;. in cui uno sembra contraddire l'altro: «una
3,19 Che oltrepassa (imEpj31iì..Aoooav)- Que- conoscenza ben al di là èella conoscenza»,
sto participio fa parte del linguaggio debor- dunque una «conoscenza· inconoscibile».
dante, cui l'autore ci ha abituati, utilizzato per Perché siate ricolmi in vista di tutta la
descrivere i doni divini elargiti con prodiga- pienezza di Dio ((va lTÀT]pw6fìn Elc; n&.v
coinvolge nello stupore e nella lode pure la Chiesa, intesa come il luogo in cui tale
esagerazione si rende manifesta (3,20-21 ). La gloria che appartiene a Cristo capo brilla
nella Chiesa suo corpo, e questo per i secoli dei secoli. La Chiesa quindi è già compresa
nella sua associazione escatologica, e quindi nella condizione di eternità, con Cristo.
dimensioni, sia per il legame con la parte teologica. Nel presente scritto la sezione
etica è così ampia da coprire la metà della lettera (come in quella ai Colossesi; nella
lettera ai Romani, p. es, occupa i capitoli da 12,1 a 15,13). Il collegamento logico
con la sezione precedente è offerto dall'avverbio «dunque» (4, l), che mostra come il
seguito sia in qualche modo da intendersi come la conseguenza delle considerazioni
fatte a livello teologico. L'utilizzo, poi, del verbo «esortare» (parakaléo) mette in
luce come si tratti non semplicemente di una esortazione formale e distaccata, ma
di una richiesta carica di sollecitudine e di partecipazione (cfr. nota filologica). Le
indicazioni concrete, poi, non si discostano dali' ethos condiviso ali' epoca; infatti, si
possono rinvenire molteplici somiglianze con i comportamenti raccomandati dagli
autori pagani; ciononostante il terreno in cui fioriscono è diverso: la condotta del
cristiano nasce da un rapporto e da una conoscenza di Cristo (cfr. 4,20) e ha come
fine ultimo l'edificazione della comunità cristiana.
Anche il c. 4, come i precedenti, è consacrato al tema dell'unità, declinato tut-
tavia non più dal punto di vista della partecipazione degli etnocristiani alla stessa
eredità dei giudeocristiani, bensì a partire da una visione squisitamente ad intra
(interna, cioè, alla comunità): la molteplicità dei doni e dei servizi proviene da
un 'unica fonte divina e concorre alla crescita unitaria e armoniosa dell'organismo
ecclesiale (vv. 1-16). Da questa concezione unitaria della Chiesa derivano, poi,
alcuni comportamenti concreti, che descrivono la vita nuova in Cristo (4, 17-5,20).
elenco di virtù necessarie alla vocazione cristiana. Ma (come era capitato anche
in 2,1 e in 3,1) l'argomento cede improvvisamente il passo a un'altra tematica più
urgente, per tornare a riaffiorare solo in seguito al v. 17. Le virtù ricordate, infatti,
non sono un codice comportamentale per il buon cittadino, ma hanno come scopo
esclusivo una convivenza ecclesiale fraterna. Non viene consegnata, quindi, una
lista per la condotta virtuosa, sulla scorta delle raccomandazioni, presenti nella
cultura greca, rivolte, p. es., al sovrano, al filosofo o al condottiero- in cui, eccetto
l' <<Umiltà» (tapeinophrosyne), compaiono sostanzialmente gli stessi termini- ma
vengono offerte alcune indicazioni concrete al fine di «custodire l'unità dello
spirito grazie allegarne della pace» (4,3). Fin qui il tenore del discorso è decisa-
mente esortativo e la finalità è chiaramente l'unità ecclesiale; al v. 4, invece, quasi
ali' improvviso, si cambia registro e, pur mantenendo almeno all'inizio l'attenzione
incentrata sull'unità, s'imbocca un'argomentazione decisamente speculativa, nella
quale vengono a intrecciarsi ecclesiologia, teologia e cristologia.
La concordia ecclesiale non è solo il frutto di una strategia finalizzata a
una convivenza pacifica; più precisamente, essa non è motivata da calcoli di
opportunità, seppur legittimi, per pianificare rapporti sereni, secondo la spon-
tanea aspirazione dell'uomo alla socialità. Di mezzo, invece, c'è l'iniziativa
divina. L'unione dei credenti, dunque, proviene dalla chiamata di Dio (nei vv.
1.4 «chiamare» e «chiamata)) compaiono ben tre volte). C'è, infatti, una vo-
cazione originaria all'unità, insita nell'esperienza di fede, che precede ogni
65 EFESINI4,5
TOU XptOTOU.
8 ÒtÒ ÀÉycl'
Jva{3aç Efç Vl/Joç .riXIJaÀWrEVCJEV afxpaÀWCJfav,
é5wKEV 56para rofç JvBpwrrozç.
4,6 Dio e Padre (9EÒç Ka.l rra.-r~p) - Questi ellenistico, per passi simili {l Cor 8,6: «un
termini compaiono associati nel!' epistolario solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene»;
paolino: Rm 1,7; 15,6; lCor 1,3; 2Cor 1,2.3; Rm 11,36: «da Lui, per mezzo di Lui e per
11,31; Gall,3; Ef 1,3; 5,20. Lui sono tutte le cose»), per l'uso cosmi-
Padre di tutto (rra.-rÌlP mivtwv) - Il genitivo co deli' aggettivo lTiiç («tutto») nel testo di
plurale (miv-rwv) può essere inteso al neutro Efesini: 1,10.22.23; 3,9; 4,10. Anche Filone
o al maschile: Padre di «tutti» (gli uomi- Alessandrino parla di Dio come «Padre del
ni) o di «tutto» (il cosmo)? A favore della cosmo» (Decalogo, 134).
prima soluzione c'è il contesto precedente, Tutto- La quadruplice ripetizione dell'ag-
che parla dei cristiani, e al v. 7 si specifica gettivo rriiç, definibile come epifora (cfr. nota
«ciascuno di noi»; alcuni manoscritti, tra i a l, 18-19), scandisce ritmicamente l' enun-
quali il codice Claromontano (D), quello di ciazione, enfatizzando l'estensione illimitata
Augia (F) e il quello di Borner (G), dopo il della sovranità di Dio. Alla lettera: <<un solo
finale Èv rriiOLv aggiungono 1\J.lv, con lo sco- Dio e Padre di tutto, il quale sopra tutto e
po di sciogliere l'ambiguità: «in tutti noi». mediante tutto e in tutto». Tale definizione di
La seconda soluzione, però è preferibile: per Dio assomiglia molto ad alcune altre: p. es.,
le formule greche parallele che intendono il a quella formulata dal presocratico Diogene
cosmo, per la paternità cosmica di Dio pre- di Apollonia (V sec. a.C.) e conosciuta grazie
sente in varie testimonianze del giudaismo a Simplicius (prima metà del VI sec. d.C):
«Padre di tutto, il quale è sopra di tutto e (agisce) per mezzo di tutto e (dimora) in
tutto» (v. 6). L'effetto è meraviglioso: chi si prende cura della Chiesa è anche colui
che permea e sostiene l'universo; il padre dei cristiani (e di Gesù) è il padre del
cosmo. La conseguenza è l'intuizione di una corrispondenza/identità immediata:
colui che compone in unità la totalità universale delle cose (tà panta) è lo stesso
che ha a cuore l'unità dei cristiani. Si tratta realmente di un vertice insuperabile,
sia per l'ecclesiologia sia per la teologia. Arrivati, infatti, a questo culmine, non
si può che "ridiscendere" al particolare del singolo cristiano (dal v. 7 in poi).
Dopo questo sguardo panoramico e onnicomprensivo, dalle dimensioni appun-
to universali, si torna a puntare sul dettaglio del dono personale: «a ciascuno di
noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo» (4,7). Il
discorso, quindi, non pecca di un eccesso teorico/speculativo, perché se lo sguardo
ha abbracciato l'universo, attraversato e sostenuto dalla potenza divina, è solo
per ritornare a considerare, ricco di questa "scorta" contemplativa, la comunità
67 EFESINI4,8
«Quel che gli uomini chiamano aria ... mi dei salmi, dove s'incontra pure il cambio di
sembra che sia dio e giunga dovunque e tutto soggetto. Se nel testo salmico il soggetto
disponga e in tutto sia» (Physica auscultatio, è Dio, sia in Efesini sia nel Targum c'è un
151 [BI], 28); oppure a quella dello stoico soggetto diverso: Gesù per Efesini e Mosè
Marco Aurelio (II sec. d.C.): «Da Te tutto, per il Targum; il primo mentre dona i mini-
in Te tutto e verso Te tuttm) (Colloqui con steri alla Chiesa, il secondo mentre consegna
se stesso 4,23). la Legge a Israele. Tale modifica in Efesini
4, 7 Dono (bwpEéi.ç) - Il campo semantico non è dovuta a una presunta (e tanto discussa
del dono ha una presenza significativa nel dagli esegeti) polemica dei cristiani verso la
brano sia mediante il verbo bLbwf.L~, sia coi figura di Mosè (ipoteticamente soppiantata
sostantivi con la stessa radice tematica: v. 7: da Gesù), ma a una sostituzione della figura
«è stata datiD) (È009TJ); v. 8: «ha distribuito di Dio con la figura di Gesù. Quest'ultimo
donh) (EbwKEV béj.lata ); v. Il: <<è lui che ha semplicemente si trova nella stessa posizio-
donatm) (autòç EbwKEv). ne divina.
4,8 Salendo in alto ... agli uomini (civaf>àç Elç Ha catturato prigionieri (~Xf.L«ÀWtEUOEV
\lljsoç ... to1ç civ9pw1To~ç) - È una citazione o:txi-Lo:Àwo(av)- Nella traduzione letterale
di Sal67,19 (TM 68,19) con la modifica da si può cogliere come i termini siano legati
~~ç (<<prese))) a ~OWKEV («diede))). Que- da una figura etimologica (cfr. nota a 1,23):
sta variazione è presente anche nel Targum «imprigionò la prigioniiD>.
9"tÒ ÒÈ cXVÉ~f1 -r{ È:onv, El l!~ on KaÌ Ka"tÉ~f1 El<; -rà Ka"tW"tt:pa
[l!ÉPll] -rflç yflç; 10 oKa-ra~àç aù-r6ç è:onv Kaì oàva~àç ùnepavw
nav-rwv -rwv oùpavwv, 1va 1tÀf1pwon -rà nav-ra.
4,9 «È salito» non implica forse che è an- tentativo di chiarire questo testo enigmatico.
che sceso ... ? (tÒ cSÈ UVÉ~Tj t l Éonv, Et f.l~ Innanzitutto dopo KatÉ~l] alcuni manoscrit-
on KCtL KatÉ~T]) -Alla lettera: «ma il "salì" ti hanno aggiunto Tipwtov (p. es., il codice
cos'è, se non che anche discese ... ?». Vaticano [B)), al fine di dare chiarezza alla
Sceso quaggiù ' ' sulla terra (KatÉ~T] ELç sequenza degli eventi: è asceso colui che
tà. KatwtEpa [f.lÉpTJ] tiìç yiìç) - Le varianti «prima» era disceso. Ma la lezione senza
testuali mostrano una tendenza costante: il l'avverbio temporale è ben attestata nel
9Ma dire che «è salito» non implica forse che è anche sceso
quaggiù sulla terra? 10Colui che è disceso è lo stesso che è
r ,
papiro Chester Beatty II (1})46) e nei codici Quaggiù sulla terra (Eiç "t"à K<m.l"t"Epo: "t"iìç
Sinaitico (N) e Alessandrino (A). Anche la yiìç) - Alla lettera: «nelle profondità della
precisazione f!ÉPTJ («parti») va intesa come terra». Non sembra che il genitivo "t"iìç yiìç
una glossa aggiunta per chiarire la localiz- sia partitivo, da intendersi cioè con «parti più
zazione; infatti, non è presente nel papiro profonde della terra», e quindi gli «inferi»,
Chester Beatty II (1})46) e nel codice Claro- ma epesegetico: le parti più inferiori rispetto
montano (D). al cielo, ossia la «terra» stessa.
«parti inferiori della terra», che conduce alla traduzione «quaggiù sulla terra»,
escludendo l'accezione di «inferi» (cfr. nota a 4,9).
b) La seconda ipotesi ha il merito di fare riferimento all'incarnazione e quindi
alla vita terrena di Gesù, ma in tutta la lettera non emerge nessun'altra menzio-
ne di quest'evento; poi non si comprenderebbe bene il legame con il contesto
dal momento che il dono dei servizi ministeriali, dispensati per la crescita della
Chiesa, viene elargito dal Cristo glorioso e non dal Gesù terreno. Rimane questa,
comunque, l'ipotesi col margine più ampio di attendibilità.
c) La terza intende la discesa non come un fatto antecedente all'ascesa, ma
successivo; in questo modo coinciderebbe con la discesa mistica del Risorto nella
Chiesa mediante i suoi doni a Pentecoste, e questo grazie a una sorta di identi-
ficazione tra la discesa di Cristo e quella dello Spirito Santo. Si avrebbe così il
pregio di collegare la digressione cristologica con il contesto ecclesiale: il Risorto
dall'alto dei cieli, mediante lo Spirito, invia alla Chiesa i doni necessari al suo
sviluppo. Rimangono, tuttavia, due forti perplessità: non c'è nessuna allusione o
menzione dello Spirito Santo, e l 'identificazione non è tra Cristo e lo Spirito ma tra
«colui che è sceso» e «colui che è asceso». Dunque anche l'esito pneumatologico
rimane problematico, e il collegamento con la Pentecoste resta un pura congettura.
Bisogna, allora, riconoscere che all'autore sta principalmente a cuore l'ascen-
sione, perché è l'evento culmine, in forza del quale Cristo si trova in una posizione
"forte" rispetto alla Chiesa: dall'alto dei cieli può attrezzare la Chiesa dei servizi
necessari alla sua esistenza. In più, la coppia antinomica «scendere quaggiù sulla
terra)) e «salire al di sopra di tutti i cieli)) più che focalizzare su un evento preciso
della vita di Cristo, potrebbe indicare l'estensione semplicemente illimitata della
sua signoria.
In questa linea, infatti, si colloca pure la conclusione del v. l O, dove alla loca-
lizzazione «al di sopra di tutti i cieli)) si aggiunge la puntualizzazione «per riempire
tutte le cose)). Si tratta dell'apice insuperabile da cui Cristo dispiega la sua autorità
sovrana sul cosmo: asceso alle più alte vette delle realtà celesti è in posizione
divina e regge tutto l'universo. Anche se l'autore non li utilizza, si potrebbero
tranquillamente riconoscere in questo momento al Risorto i titoli di Pantokrator
EFESINI 4, Il 70
9eoù ÒtÙ T~V ayv01av T~V OÒO"aV ÈV aÙTOtç, ÒtÙ T~V 1tWpWO"lV Tfiç
xapò{aç aù-rwv, 19 o1nveç àn11ÀY11KOTeç Èau-roùç naptòwxav -rft
llO"EÀyet<;t EÌç Èpyao{av <.ÌKa9apo{aç na011ç ÈV TtÀEOVE~t<;t.
4,15 Cresciamo in ogni cosa verso di lui (iTfuJ tÒ <J<4.Ia ... tÌ]V tt~T]O~V tOU O~toç iTO~E:1.
(tti.I';T)ac.JI.IEV elç a.&tòv tÌX 1T(lvttt) - La frase ttt~ elç oiKOOq.L~v l:a.utou)- Alla lettera, «Tut-
è diversamente comprensibile a seconda che to il corpo ... produce la crescita del corpo per
au~avw venga inteso in senso transitivo o l'edificazione di se stesso». Sembra che l'autore,
intransitivo; nel primo caso tÌX ;ravta sarà il nella concitazione delle tante informazioni da
complemento oggetto: «facciamo crescere ogni dire sulla crescita ecclesiale, non si sia accorto
cosa verso di lui»; nel secondo, invece, un ac- del pleonasmo: il corpo ecclesiale contempo-
cusativo avverbiale: «cresciamo in ogni cosa raneamente soggetto e oggetto della medesi-
verso di lui». La seconda soluzione è preferibile ma azione. Il passo assai simile di Col 2,19 è
perché in sintonia sia col contesto immediato, decisamente più snello: «tutto il corpo riceve
sia con altri passi (cfr. 4, 16: a crescere è il cor- sostentamento e coesione per mezzo di giunture
po ecclesiale e non il cosmo; anche in 2,20-22 e legamenti e cresce secondo il volere di Dio».
si parla della crescita dell'edificio ecclesiale). Composto armoniosamente (ouvttpiJ.OÀo-
4,16 Tutto il corpo ... cresce per edificarsi yoli!J.evov Ka.l otJ!.113~f3a.(~evov) -Alla lettera:
sicuro, cui i credenti erano invitati a far affidamento. Purtroppo la scarsità di infor-
mazioni non permette di farci un'idea più precisa sui contenuti di queste opinioni
deprecate dall'autore; il contesto esortativo e l'invito a non seguire il <<comporta-
mento dei pagani» (4, 17) induce a ritenere che si tratti di questioni etiche più che
di opinioni teologiche (anche nelle lettere Pastorali, comunque, emerge un'istanza
di difesa della sana dottrina: cfr. ITm 4,1.7; 2Tm 4,3-4; Tt 1,10-14).
La regola d'oro cui rifarsi è la «verità nell'amore» (v. 15), perché ortodossia
e carità non possono procedere separate. Sia perché la scienza senza l'amore non
vale nulla (cfr. lCor 13,2), dal momento che le istanze veritative (ortodossia)
separate da quelle della carità non sono sufficienti per la crescita della comunità
ecclesiale; sia perché la pratica fattiva dell'amore (ortoprassi) deve ispirarsi a un
unico principio veritativo: Cristo stesso, traguardo verso il quale la comunità deve
crescere (in 4,20 quest'idea vien esplicitata come non mai: è necessario «imparare
Cristo»). Interessante poi la dimensione di mutua interconnessione esistente tra i
credenti, messa in luce dalla metafora del corpo che si sviluppa grazie all'apporto e
73 EFESINI 4,19
allegarne reciproco di ogni singolo membro (v. 16). Solo così la comunità cristiana
può edificarsi come corpo di Cristo in stato di perenne crescita.
20 'Y}lfiç 8È: OÙX oirrwç qux8trE TÒV Xpurr6v, 21 d ye <XÙTÒV ~KOU(J(XTE KCXÌ
f:v a&r<f) é:òt&ix8ryre, KCX8wç é:cmv àÀ~8eta f:v -r<f) 'IYJcrou, 22 à:no8Écr8at
Ù}.1éiç Ka:Tà nìv npo-rÉpav à:vacr-rpcxp~v -ròv na:Àatòv èiv8pwnov -ròv
q>8EtpOllfVOV KCXTà -ràç Èm8u}.1ia:ç Tfiç Ò:mXTYJç, 23 Ò:VaveoUcrSat ÒÈ T<f)
nvw}.1Q:n -rou voòç Ù}.1WV 24 KCXÌ f:vòucracr8at -ròv Katvòv èiv8pwnov -ròv
Ka:Tà 8eÒv Kncr8ÉvTa f:v ÒlKO:locnJvn KCXÌ ÒOl.OTYJTI Tfiç àÀYJ8eia:ç. 25 ~lÒ
à:no8É}lfVot -rò ~ruòoç ÀaÀEfre ~hjBEZav D<acrrcx; pera rov 7rÀ1Jcnov
on
amoV, ~ à:ÀÀ~ÀWV }lfÀYJ. 26 6py[(eo0e Kaì Wl apapravae·ò
~Àtoç }.1~ É:mÒUÉTW É:nÌ [T<f}] napopyt0}.1<f} Ù}.1WV, 27 }.1YJÒÈ ÒtÒOTE TOITOV
-r<f) Òtaj36~. 28 ò KÀÉmwv llfJKÉn KÀErrrÉTw, }.1éiÀÀoV ÒÈ Kom.<hw
É:pya~O}lfVoç TO:iç [ÌÒtatç] XEPCJÌV TÒ à:ya86v, lVO: fxn }.1Et'O:Òl00Vat
-r<f) XPEiav éxovn. 29 néiç Myoç cranpòç ÈK -rou cr-r6}.1a:Toç Ù}.1WV 1.1~
É:Knopeutcrew, àÀÀà d nç à:ya8òç npòç oiKOÒ0}.1~V Tfiç XPEiaç, 1va 04>
4,20 Non così avete imparato il Cristo (oùx «leggere Dante», <<aSCOltare Bach», «imparare
o\Jtwç Éj.uiEletE tÒV XpLat6v)- n verbo j.JavSavw Kant», che non indicano l'apprendimento del-
(«imparo») nella Settanta è strettamente con- le loro persone, ma delle rispettive opere. Ma,
nesso alla Legge, imparare la quale signifi- chiedendo l'apprendimento di Cristo, l'autore
ca sottomettervisi per fare la volontà di Dio. non si riferisce a ooa qualche «opera» di Cristo;
Nell'espressione, forse c'è Wla sottile allusio- indica piuttosto l'accoglienza della sua persona.
ne al termine 1Ja9TJnl; («discepolo>>), che ha la 4,21 Siete stati istruiti (É=IILIXiXGT]tE)- Le infi-
stessa radice tematica. Potrebbe anche trattarsi nitive dei vv. 22-24 («spogliarsi», «rinnovar-
di ooa metonimia, cioè nominare la causa per si», <<rivestirsi») dipendono sintatticamente da
l'effetto: in questo caso si nomina l'autore per questo verbo, ma logicamente si connettono
indicarne l'opera. Alcm1e metonimie simili a a ritroso pure con l'apprendimento di Cristo,
«imparare Cristo» potrebbero essere, p. es.: fondamento che motiva tutti gli atteggiamenti
dei cristiani contrapposti a quelli dei pagani). È l'orizzonte concettuale che deve cam-
biare in modo radicale, in forza di un unico nuovo principio ispirativo: Cristo stesso.
I cristiani, appunto, hanno una mentalità diversa, perché più radicalmente hanno
assimilato qualcosa che trascende il puro livello intellettuale: essi hanno «imparato
il Cristo» (4,20). L'espressione è assai curiosa, perché mentre ci è familiare l 'idea di
imparare da Cristo (cfr., p.es., Mt l l ,29: «imparate da me che sono mite e umile di
cuore»), meno consueto è sentire di dover apprendere Cristo stesso. Probabilmente
l'espressione intende trasmettere l'idea che la fede non si riduce solamente a una
dottrina da assimilare o a un sistema valoriale cui aderire, ma è un rapporto personale
con Cristo, che "rapisce" non una ma tutte le facoltà dell'uomo. Detto altrimenti: è
l'assenso pieno a Cristo e alla sua opera mediante un'adesione e ridefinizione globali
della propria vita. Vengono in mente le espressioni totalizzanti di Paolo: «mi ero
proposto di non sapere altro in mezzo a voi che Gesù Cristo, e lui crocifisso» (l Cor
2,2); «vivo, però non più io, ma vive in me Cristo» (Gal 2,20); «per me vivere è
CristO>) (Fill,21). Per assimilare Cristo, tuttavia, ci vogliono le mediazioni: chi lo
75 EFESINI 4,29
annunci nel kérigma e chi lo spieghi nella catechesi (4,21 ). Egli, infatti, non giunge
immediatamente al singolo credente se non attraverso la comunità cristiana, la quale
ha il compito di annunciare il Cristo e di far memoria di tutta la sua vicenda terrena;
in questo senso va intesa la locuzione «come c'è verità in Gesù», in cui compare
appunto il nome terreno di Cristo. Infatti, «conoscere il Cristo, è anche seguire Gesù
di Nazareth nelle sue scelte e nelle sue reazioni» (Aletti, 236).
La relazione personale con Lui provoca una novità esistenziale nel credente,
abilitandolo a lasciarsi alle spalle la condotta seguita in passato, per abbracciarne una
nuova. Quest'idea è resa plasticamente con l'antitesi dell'uomo vecchio da smettere
e dell'uomo nuovo da indossare (4,22-24). La metafora dell'indumento potrebbe
apparire superficiale ed estrinseca, poiché indossare un abito piuttosto che un altro
non cambia certo la persona. In realtà, invece, il messaggio offerto è che ci si debba
svestire di un comportamento sbagliato precedente («l 'uomo vecchio») per vestire
una condotta inedita, originale («l'uomo nuovo»), che si fonda ultimamente su un
atto creativo di Dio. Il rinnovamento attraversa dunque la totalità della persona: dai
EFESINI 4,30 76
xaptv roiç àKououmv. 3°K<XÌ J.l~ ÀundrE tÒ 1tVWJ.l<X tÒ éiytov tou 8Eou,
Év 4> ÈO<ppayt081")TE EÌç ~}JÉpav !Ì1tOÀUTpWOEWç. 31 JtCl<J<X ntKp{a K<XÌ
8upÒç KCXÌ Òp)'lÌ K<XÌ Kpau)'IÌ K<XÌ ~À<XO<pl"JJ.ll<X àp8~TW àcp' Ù}lWV OÙV
naon K<XKlef. 32 ylVE08E [òè] EÌç àÀÀ~Àouç XPl"JOtOl, ruonÀayxvot,
xcxpt~OJ.lEVOl €autoiç, K<X8wç K<XÌ Ò 8EÒç Év Xptat<f'> ÈX<Xp{oa:to Ùpiv.
30E non rendete triste lo Spirito Santo di Dio, del quale avete ricevuto
il sigillo per il giorno della redenzione. 31 Togliete da voi ogni asprezza,
collera, ira, schiamazzo, maldicenza, con ogni malignità. 32 Siate
[invece] buoni gli uni con gli altri, misericordiosi, perdonandovi
reciprocamente, proprio come Dio ha perdonato voi in Cristo.
5 1Diventate, dunque, imitatori di Dio come figli amati 2e
diavolo (il tennine didbolos spunta qui e in 6,11 ), connessa con l'ira degli uomini, quasi
ne fosse l'ispiratore (in 2,2 il demonio è associato alla ribellione). Ora, se c'è ancora
spazio per un tempo di prova e di lotta, questo attenua la percezione di una vittoria
definitiva; la battaglia contro le forze del male, infatti, è ancora aperta e il campo dove
avviene lo scontro è l'uomo e la sua condotta: anche se la vittoria è già stata decretata,
di fatto il conflitto tra uomo vecchio e uomo nuovo non è ancora cessato.
5,1-14 Dalla tenebra alla luce
Il tenore esortativo del c. 4 fluisce senza alcuna soluzione di continuità anche
nel c. 5, tanto che 5,1 è fortemente connesso con quanto precede: in 4,32 si chiede
di essere pronti a perdonare agli altri proprio come Dio stesso perdona a noi, e in
5,1, coerentemente, si domanda di diventare, appunto, «imitatori di Dio».
Il tema dell'«imitazione», diffuso nella cultura greca soprattutto per il rapporto
archetipo-copia di stampo platonico (nell'arte, soprattutto, ma anche nell'etica: biso-
gnava imitare gli eroi e gli dei), non ha corrispondenti diretti nella Scrittura; che si possa
imitare il Dio Altissimo è un'idea del tutto estranea al linguaggio biblico (in Is 46,5 si
dice che lui non è paragonabile a nulla e a nessuno), anche se si farà strada nel giudaismo
ellenistico e rabbinico. Nei vangeli emerge l'insistenza di essere misericordiosi (cfr. Le
6,36) e perfetti come lo è il Padre (Mt 5,48). Paolo, poi, chiede che i cristiani imitino
lui (1Cor4,16; Fil3,17; 2Ts 3,7), il quale a sua volta è imitatore di Cristo (lCor 11,1):
infatti, i cristiani sono divenuti imitatori (mimetat) sia di Paolo che del Signore (lTs
1,6). Ma l'imitazione diretta di Dio non compare mai esplicitamente nel NT, eccetto
qui. Ovviamente il comando «diventate imitatori di Dio>> (5,1) è un'espressione iper-
bolica, dal momento che Dio rimane l'ineguagliabile per eccellenza; ciononostante una
piccola breccia viene aperta dal tema dell'amore: imitare Dio significa riprodurne nella
propria vita l'amore misericordioso. L'esortazione. a «camminare nell'amore» (5,2) è
incastonata tra due constatazioni di quanto amore si riversi su di noi: siamo «figli amati»
da Dio (5,1) e amati da Cristo in forza della sua offerta sacrificate: «ci ha amati e ha
EFESINI 5,3 78
ha amati) o causale (amare «perché» Cristo applicata ai soli mariti. La coppia «amare)) e
ci ha amati): le due sfumature vanno tenute «consegnare se stesso» potrebbe essere inte-
assieme. Queste considerazioni valgono an- sa come un'endiadi: due espressioni coordi-
che per 5,25. nate che indicano un'unica realtà. Cristo ci
Cristo ci ha amati e ha consegnato se stes- ha amati consegnando se stesso, oppure, s'è
so per noi (ò Xp~a'tòç 1ÌYIXlT1lOEV ~IJ.liç KaÌ consegnato per l'amore verso di noi.
napÉOwKEV Èau'tòv ÙnÈp ~~wv) - Identica Ci ... per noi (~IJ.liç ... ùn~p ~jlwv)- Alcu-
espressione ricorre in 5,25 («Cristo amò ne varianti testuali, testimoniate, p. es., dal
la Chiesa e consegnò se stesso per lei>), codice Vaticano (B), presentano pronomi di
ò Xp~a'tòç i)yan11aEv '~v ÉKKÀTia(av Kal seconda plurale (ÙIJ.liç ... ùnÈp Ùjlwv: «vi ...
ECW'tÒv napÉOwKEV imÈp aù'tfìç), creando cosi per voi))). Ma sia il contesto, sia la qualità
un'inclusione all'interno di questa sezione delle altre attestazioni depongono a favore
esortativa. Ripresa all'interno del codice dei pronomi di prima plurale.
domestico (cfr. 5,21-6,9), offre una moti- Offerta e sacrifico di profumo fragrante
vazione di fondo valida per tutti, anche se (npoocjlopà KaÌ aoo(a ELç OOjl~V EÙWOLaç)
consegnato se stesso per noi)) (5,2; in Gal2,20 appare la stessa identica locuzione, ma
riferita al solo Paolo). Balza ali' occhio che è su quest'esagerazione di amore ricevuto
che può fondarsi la richiesta, altrettanto sproporzionata, di amare allo stesso modo. È
come se nei primi due versetti ci fosse donato un piccolo, preziosissimo compendio
sull'amore, che ha come fonte la paternità di Dio- allusa dal termine «figli))-, come
obiettivo la vita e la condotta dell'uomo, e come misura il sacrificio di Gesù (di cui,
tuttavia, non si accenna al dolore, ma alla fragranza profumata, in parallelo coi sacrifici
al tempio; anche nella lettera agli Ebrei, in particolare al c. l O, si usa il medesimo lin-
guaggio dell'offerta sacrificale riferita alla morte di Gesù). Su questa scia, sintonizzata
sul tema dell'amore, risulta, allora, meno incomprensibile il comando di imitare Dio.
La tonalità, però, s'inverte rapidamente e con la tecnica del contrasto a questo
compendio sull'agape se ne affianca uno di segno opposto (5,3-4). Alla limpidezza
di un comportamento motivato dall'amore si contrappone, infatti, una lista di
comportamenti così torbidi (fornicazione, impurità, avidità), che sarebbe meglio
venissero taciuti. La bocca, poi, oltre a non menzionare neppure tali comporta-
menti riprovevoli, non deve mai lasciarsi andare a discorsi grossolani e volgari, ma
dedicarsi esclusivamente a parole di gratitudine. Proseguendo con la tecnica del
contrasto affiora pure un altro tema, che di primo acchito almeno, sembra opporsi
a quanto detto sull'amore di Dio: la sua ira. Dai peccati commessi con le parole si
79 EFESINI 5,5
passa a quelli legati all'esercizio sregolato della sessualità e a quelli legati all'uso
avido del denaro (5,5). Ebbene su chi commette tali peccati incombe l'esclusione
dal Regno e la collera di Dio. L'ira divina non può essere compresa come l'ester-
nazione immotivata di un Dio facilmente irascibile; piuttosto la Scrittura non teme
di attribuirgli il risentimento proprio per salvaguardare la sua inconciliabilità col
male. Detto altrimenti: Dio non può assolutamente essere connivente con il male
e il peccato; se scendesse a compromessi accondiscendendovi, sarebbe profonda-
mente ingiusto. Al contrario, egli prova una ripulsa insopprimibile, perché desidera
e fa solo il bene. L'ira, dunque, è espressione paradossale del suo amore: amando
fino in fondo l'uomo, Dio QOn resta indifferente al suo peccato che ne umilia
la dignità, e lo respinge con tutte le forze. Infine, non va dimenticata un'altra
dimensione dell'ira divina, quella pedagogica. Infatti, tali minacce hanno anche
funzione deterrente (questo, evidentemente, non significa affermare che l'autore
escludesse l'idea di una condanna eterna).
Sempre continuando con l'accostamento dei contrari, l'autore sintetizza tali
considerazioni mettendo in campo l'antitesi tra la tenebra e la luce, con la quale
delinea il passaggio da un passato negativo a un presente di segno opposto. La
fecondità di tale antitesi si può notare dal duplice risvolto con cui viene utilizzata.
Da una parte essa evidenzia la condizione nuova in cui il cristiano si trova grazie al
EFESINI 5,6 80
5,6 Incombe l'ira di Dio (Epxercn ~ òpyi] tenebra. La prima coppia antinomica al v.
-roiì 9EOiì) - Tale espressione si ripresenta 8 designa lo statuto del cristiano, mentre la
identica in Col 3,6. Il tema dell'ira divina seconda esprime l'agire. Tale antitesi affio-
attraversa un po' tutta la Sacra Scrittura, ra con maggior frequenza nel NT rispetto
talora associato a quello della gelosia (cfr., aii'AT: Gen 1,4; ls 42,16; 59,9; Mt 4,16; Gv
p. es., Es 4,14; Nm 11,1.10; Gs 7,1; 9,20; 1,5; 3,19; 8,12; 12,35.46; Rm 13,12; 2Cor
2Sam 24,1; Sal 6,2; Is 5,25; Gv 3,36; Rm 6,14; 1Ts5,5; 1Pt2,9; IGv 1,5;2,8.
1,18; Ap 11,18). Figli della luce (t~Kvo: tflw-r6ç)- È un semi-
5,7 Non abbiate dunque niente in comune tismo che significa: «appartenenti alla luce»,
con loro (Ili] oùv y(VEaSI: OIJI.1f.LÉ'rDXDL o:u-rwv) «luminosi», «illuminati» (cfr. Le 16,8; Gv
-Alla lettera: «non diventate partecipi di es- 12,36; ITs 5,5). È frequente negli scritti di
si». Qumran, dove indica uno schieramento che
5,8 Un tempo eravate tenebra, ora siete luce fa guerra ai «figli delle tenebre» (cfr., p. es.,
nel Signore (~-rE 1ron OKÒtoc;, viìv & tflwç) Regola della Comunità [IQS] 1,9-10). Ma,
-L'antitesi luce/tenebra domina i vv. 8-14, mentre in Qumran la contrapposizione te-
ma non in egual modo per i due termini: nebra/luce indica il conflitto tra due spiega-
«luce» compare cinque volte, mentre «tene- menti contrapposti, qui veicola l'idea di una
bra>> solo due. Nei vv. 8-11 c'è una reversio, trasformazione della persona da un «prima»
gli elementi linguistici, cioè, ricompaiono negativo, tenebroso, a un «ora» illuminato
in sequenza capovolta: tenebra/luce e luce/ da Cristo.
Signore: se prima era talmente ottenebrato tanto da poter essere definito «tenebra»,
ora, invece, grazie all'illuminazione di Cristo, si ritrova in una condizione radi-
calmente rovesciata, essendo divenuto «luce» (v. 8). Dall'altra parte l'antitesi ha
il pregio di mostrare due condotte irriducibilmente contrarie tra loro: la necessità
di «camminare come figli della luce» e di «non partecipare alle opere infruttuose
81 EFESINI 5,14
5,9 Il frutto della luce (o Kapnòç 'tOU contatto con la luce di Cristo (e quindi da lui
ljlun6ç) - Tale locuzione richiama da vicino illuminata), diviene a sua volta luce per gli
Gal 5,22: «il frutto dello Spirito»; infatti, altri: non tanto nel senso che abbia il dovere
il papiro Chester Beatty II (IJ:\ 46 ) e i codici di smascherare l'altrui prassi negativa (che
del testo bizantino al posto di 'tou <jlw'toç rimane comunque tenebra), quanto piuttosto
(«della luce») hanno 'toiì nvEuj.!a'toç («dello che debba illuminarla con il proprio esempio
Spirito»). positivo, ispirando così una condotta diversa.
5,13 Le opere condannate ... vengono mani- Perciò dice (fJLÒ ÀkyH)- È una formula di
festate dal/a luce (c& mxvca É:ÀEYXÒj.!Eva imò citazione, solitamente riferita a passi dell' AT
'tOU <jlw'tÒç <jlavE:poiì'taL) - Si può tradurre (cfr. 4,8). Qui però viene riportato un passo
pure in altro modo: <de opere condannate extrabiblico, la cui fonte potrebbe essere: o
dalla luce divengono manifeste>>. un apocrifo, o uno scritto di Qurnran, o un
5,14 Tutto ciò che viene manifestato è luce inno legato ai culti misterici, o un testo già
(néiv yocp 'tÒ <jlavE:pouj.!EVov <jlwç Èonv)- condizionato da influssi pregnostici, o, più
L'espressione è un po' enigmatica: non è vero semplicemente, un inno liturgico cristiano,
che, se il peccato viene manifestato, divenga probabilmente legato al rito del battesimo.
luce. La si può, allora, comprendere come un Tali ipotesi, però, non superano il puro lì-
aforisma o un epifonema, ossia un'afferma- vello congetturale.
zione breve che sintetizza un'intera riflessio- •!• 5,1-14 Testi affini: 2Cor 4,6; 6,14; ITs
ne. Qui l'idea è che la prassi dei credenti, in 5,4-8; lGv 3,16
della tenebra» (5,8.11). Come si può notare non siamo affatto lontani dall'antitesi
uomo vecchio/uomo nuovo di 4,22-24.
La luc~, poi, ha il potere di palesare le opere riprovevoli e, infine, di allu-
dere alla risurrezione. La citazione di 5,14 (tratta da un testo conosciuto dai
destinatari), infatti, invita il cristiano a risorgere: «Svegliati, tu che dormi,
EFESINI 5,15 82
Il 5,15-20. Testi paralleli: Col3,16-17; 4,5 moniato dai codici Claromontano (D), di
5,15 Attentamente (&Kp~~wç)- Avverbio Augia (F) e altri.
da tenere unito a ~lE' nn~: («guardate»), 5,16 Riscattando- Il verbo ~l;cxyopa(w, de-
come attestato in particolare dal papi- sunto dal linguaggio della transazione eco-
ro Chester Beatty II (!p 46 ) e dai codici nomica per il riscatto degli schiavi, è usato
Sinaitico (~) e Vaticano (B), e non al da Paolo per designare l'effetto universale
verbo n~: p~ ncx-rd-re («comportatevi», alla della redenzione attuata da Cristo nella sua
lettera: «camminate») come invece testi- morte (cfr. Gal 3,13; 4,15). «Riscattare il
risorgi dai morti e il Cristo ti illuminerà». Non sembra, tuttavia, che si tratti
di un invito letter~le, ma piuttosto di un'espressione metaforica, che esprime
una risurrezione etica, in linea con il contesto precedente. Dalla precedente
condizione di morte causata dal peccato bisogna passare ora alla nuova con-
dotta di vita, illuminata dal Risorto. Dunque, è un invito, rivolto, forse, ai
neofiti nel giorno del battesimo, «a vivere ciò che sono, luce ricevuta dalla
luce, il Cristo» (Aletti, 257).
5,15-20 Colmi di Spirito
Un «dunque» (oun) ci avverte che le considerazioni dei vv. 15-20 sono conse-
guenza diretta di quanto affermato in precedenza; la necessità e la possibilità di
«guardare» attentamente, infatti, sembra la deduzione logica della scena anteriore
dominata dalla luce. Inoltre, se prima l'andamento era ritmato dall'accostamento
di elementi antitetici, ora quello di 5,15-20 non lo è da meno: stolti/saggi, irra-
gionevoli/comprendere, ubriachi/colmi di Spirito.
Il contesto in cui i cristiani sono chiamati a vivere non è favorevole, poiché è
dominato dal dilagare di comportamenti negativi («i giorni sono cattivi»: 5,16),
ma ciò non deve spaventare, poiché i credenti, divenuti luce grazie a Cristo,
possono e debbono comportarsi saggiamente, e così «riscattare il tempo», ossia
sottrar!o al dominio negativo e contraddistinguerlo con una condotta buona. Ov-
viamente non è il tempo in se stesso a essere cattivo o buono; lo sono, invece, le
scelte dei soggetti, le quali sono condizionate dall'influsso del maligno (cfr. 2,2;
83 EFESINI 5,20
Il 5,21-33 Testi paralleli: Col3, 18-19; lPt 3,1-7 l'accezione di conflittualità e, al contempo,
5,21 Siate subordinati (imoto:oooj.IEVOL)- Si di rendere la sfumatura di volontarietà.
tratta di un verbo dalle tinte forti, che può 5,22 Come - Inizia qui una serie di compara-
indicare la sottomissione forzata, anche zioni tra il rapporto marito/moglie e la relazio-
in situazione di conflitto (cfr. 1,22 e lCor ne Cristo/Chiesa, retti da varie particelle: Wç
15,27-28). Qui, però, Ù7Totaoow va inteso al (5,22.23.24), OUtwç (5,24.28), KIX&.iç (5,25.29).
medio, quindi indica non un assoggettamen- Tali congiunzioni, tuttavia, come s'è visto per
to forzato, ma una sottomissione volontaria. 5,2, non hanno solo valore comparativo (p. es.,
Per questo in traduzione si è reso non con il v. 25: il marito deve amare «come» Cristo
«assoggettatevi» o «sottomettetevi», ma con ama) ma svolgono talora pure una funzione
«siate subordinati», che tenta di attenuare causale (il marito deve amare «poiché» Cristo
ama). Tra i due livelli, dunque, non si instaura il termine ocvfv:> si poteva intendere l' «uomo»
solo un mero rapporto di somiglianza, ma an- come individuo della specie umana (sinonimo
che quello più forte di causalità. di liv9pwnoç: cfr. Mt 14,35; Le 5,8), il «ma-
Le mogli ... verso i rispettivi mariti (ai. yuVIX'ìK~ç schio» rispetto alla femmina (cfr., p. es., Gen
to'lç Ì.ÒLOLç ocvopaow)- Con il termine yuvi) si 24,16; Le 1,34; Gal 3,28), l'uomo «adulto»
potevano indicare realtà diverse: la «femmina» distinto dal bambino (cfr. lCor 13,11 ed Ef
della specie umana distinta dal maschio (cfr. 4,13), il «marito» (cfr., p. es., Gen 20,3; Es
At 5,14; lCor 7,1), la <<fidanzata» (secondo il 21,22; Mc 10,2; Rm 7,23; nel greco classico il
diritto matrimoniale semitico: lCor 7,27 po- termine appropriato per «marito>> era n&nç). I
trebbe esserne un esempio), la «moglie» (cfr., termini yuvi) e ocvfv:> vengono qui utilizzati con
p. es., Gen 8,18; 16,1; Rt 1,1; Mt 5,31). Con l'accezione del legame coniugale.
se stesso per lei [la Chiesa]» (5,25), le cure sacramentali e "cosmetiche" riservate
alla Chiesa (5,26-27), l'appartenenza delle membra ecclesiali al corpo di Cristo
(5,30). Queste qualifiche sono esclusive di Cristo e non possono certo essere
applicate o richieste al marito. Piuttosto esse sono fondative. Il rapporto tra i due
livelli, dunque, è palesemente asimmetrico (anche perché il marito fa comunque
parte della Chiesa e non è un soggetto da lei distinto, come Cristo).
D'altra parte l'autore raccoglie quel fecondo filone temati co dell' AT in cui
l'amore di Dio verso Israele è paragonato all'unione coniugale, ed eredita, riat-
tualizzandole cristologicamente, le potenti intuizioni dei profeti circa il rapporto
nuziale che lega Dio al suo popolo (cfr. Is 61,10; 62,5; Ez 16; Os 2,4-25). Dio
ama come uno sposo, ma Israele è infedele; tuttavia la fedeltà di Dio è di gran
lunga più grande e forte, cosicché dalle pagine profetiche si profila una relazione
asimmetrica, come in Efesini (anche se nel testo efesino non compare il tema
della Chiesa sposa infedele; forse può esser riconosciuta solamente una qualche
allusione al v. 27: «priva di macchia, di ruga o qualcosa di simile»).
Qual è, quindi, l'originalità irriducibile- asimmetrica, appunto-dell' azione di
Cristo verso la Chiesa? Già s'è accennato alle attenzioni "cosmetiche" di Cristo,
che vuole purificare la Chiesa e farsela comparire bellissima (5,26-27). Dietro a
questa metafora ci stanno due elementi: il sacramento del battesimo, che purifica
dal peccato e al contempo rende partecipi della santità stessa di Dio, e il servizio
del paraninfo, esercitato in questo caso non da una terza persona ma da Cristo
stesso (dunque nessun intermediario per le nozze, a differenza del ruolo esercita-
to da Paolo verso la comunità: cfr. 2Cor 11,2). Va sottolineato qui il carattere di
assoluta gratuità: la santità e la bellezza della Chiesa non sono il presupposto per
cui Cristo la sceglie, ma l'effetto. L'esito è una gloria e una bellezza incomparabili.
Le mogli, poi, vanno amate come si ama e ci si prende cura del proprio corpo
(5,28-29): esse sono talmente congiunte ai loro coniugi da essere comprese addi-
EFESINI 5,30 88
rittura come parte integrante della corporeità del proprio marito. Questo richiamo
esplicito al corpo accende nella mente dell'autore diversi collegamenti: al corpo
ecclesiale, di cui siamo membra, e alla corporeità "condivisa" della coppia pri-
mordiale. La citazione di Gen 2,24, infatti, concentra l'attenzione sull'esito finale
dell'unione tra i coniugi: «Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà
a sua moglie, e i due saranno un 'unica carne» (5,31). Questo richiamo all'unio-
ne di Adamo ed Eva crea un curioso intreccio di interrelazioni tipologiche. La
coppia Cristo/Chiesa, certamente di natura diversa rispetto ali 'unione coniugale
umana, condivide con la coppia primordiale due caratteristiche: la singolarità e la
sorgività. Da una parte, infatti, entrambe sono uniche, in qualche modo irripetibili
(nessuna coppia di sposi, p. es., può vantare di essere la "prima", creata diretta-
mente da Dio, e nessuna potrà mai riprodurre in toto le caratteristiche peculiari
della relazione Cristo/Chiesa), dall'altra esse sono in qualche modo normative, e
perciò possono presentarsi come modello sorgivo, fondativo di ogni esperienza
coniugale. In questo senso allora esiste una sorta di circolarità ermeneutica: le
relazioni cristo-ecclesiologiche illuminano la realtà coniugale, ma anche quest'ul-
tima a sua volta getta una luce nuova sul rapporto che intercorre tra Cristo e la
· sua Chiesa. Ma su quale base, dal momento che sono realtà così diverse? Quella
comune dell'unica carne. Questa possibilità proviene "da lontano", dal dono
che il Creatore fece in origine ad Adamo ed Eva. Infatti, viene citato per esteso
il testo genesiaco, il quale, afferma l'autore, parlava anticipatamente di Cristo e
della Chiesa, e non solo di qualsiasi coppia umana (5,32). Rifacendosi, dunque,
89 EFESINI 5,33
si trova la stessa traduzione (((sacramentunD>) indicata ora dall'autore come modello ispi-
anche in testi che non hanno nessun riferi- rativo di ogni relazione marito/moglie. Tale
mento ai sacramenti. Piuttosto il concetto di circolarità tra le due unioni (Cristo/Chiesa e
«mistero», in quanto progetto nascosto da marito/moglie) non esclude affatto la com-
sempre in Dio e rivelato ora in Cristo (cfr. prensione sacramentale del matrimonio.
l ,9; 3,3.4.9; 6, 19), indica che la reciprocità tra 5,33 Ciascuno di voi (~E'ì.ç ot Ka.e' eva.)-
la relazione Cristo/Chiesa e la relazione ma- Alla lettera: «voi, ciascuno da parte sua».
rito/moglie rientra nell 'insondabile ed eterno Tema (cjlof~frra.L) - Il verbo è usato in parallelo
progetto di Dio. Infatti, il riferimento esplicito a «obbedire» (Ù1ToTaoow). Non si invita la
a Gen 2,24 nel versetto precedente, conduce moglie ad avere propriamente paura del ma-
a una comprensione tipologica: nell'unione rito, ma, in conformità alla visione patriarca-
della prima coppia (Adamo/Eva) è in qualche le del tempo, a nutrire obbedienza riverente
modo preannunciata l'unione Cristo/Chiesa, e subordinazione volontaria.
a questa condizione primordiale dell'unica carne tra Adamo ed Eva, l'autore può
permettersi di creare una correlazione stretta tra il rapporto cristo-ecclesiologico e
quello marito/moglie, superando il pericolo dell'estrinsecismo: sia marito/moglie,
sia Cristo/Chiesa sono un'unica carne.
Ed è proprio grazie a questo nesso così forte che si può parlare di "sacramento
del matrimonio". Il tema è stato molto dibattuto: gli autori antichi vedevano in
questa pericope il fondamento della sacramentalità del matrimonio, messa in di-
scussione in seguito dall'esegesi moderna. Ci sembra, invece, che la dimensione
sacramentale emerga dall'intera argomentazione: le relazioni Cristo/Chiesa e
marito/moglie non sono giustapposte per evidenziare un semplice paragone, una
similitudine interessante ma del tutto estrinseca. Piuttosto le due relazioni ven-
gono intrecciate come la trama e l'ordito di un unico tessuto argomentativo, nel
quale si nota da una parte come la relazione cristo-ecclesiologica sia la fonte e il
modello cui ogni coppia umana può e deve rifarsi e, dall'altra, come ogni unione
coniugale possa diventare una visibilizzazione esplicita e concreta (un "segno",
dunque) d eli' unica carne tra Cristo e la sua Chiesa.
Infine, è necessario sottolineare un ultimo aspetto del ragionamento dell '.autore.
Egli sta parlando dell'istituzione più antica, l 'unione coniugale, che nell'orizzonte
socio logico del tempo, evidentissimamente difforme da quello contemporaneo, era
pacificamente recepita nella forma gerarchico-patriarcale del marito capo, padrone
della moglie (nell'AT si può notare come moglie e schiavi venissero considerati
proprietà del capo famiglia: cfr., p. es., Es 20,17 e Dt 5,21 ). In tal senso il discor-
EFESINI 6,1 90
e Pelagio) risolvono dicendo che si tratta del l'uccellino che cova le uova in Dt 22,6).
primo della seconda tavola dei comandamen- 6,4 Fateli crescere con l'educazione
ti tenuta in mano da Mosè, ma nel giudaismo (ÉKtpÉQ>HE aùtà Év rrctLiiELQ:) - Alla lette-
ci sono molte testimonianze che lo conside- ra: «nutriteli con l'educazione». Il verbo
rano scritto nella prima tavola. Il problema ÉKtpÉ<i>w, utilizzato in 5,29 per indicare la cu-
si risolve intendendo l'aggettivo «primo» ra concreta del nutrimento verso la moglie,
come sinonimo di «preminente», importan- qui è usato in senso metaforico. Va ricorda-
te, rispetto ad altri comandamenti e precetti, to come l'educazione (rrctt&E(a) dei fanciul-
esterni al Decalogo, ritenuti meno importan- li fosse una della questioni maggiormente
ti (p. es., la proibizione di togliere dal nido sentite e tematizzate nella grecità classica.
6,5 Con timore e tremore (IJ.età. cjl6j3ou KaÌ. con lo stesso termine riferito a Cristo o a
tJX.\J.ou)- Il binomio non designa la paura, inte- Dio: ai «padroni terreni» (o t Ka'tà. ottpKa
sa come emozione, ma l'ossequio rispettoso e KUpLOL; alla lettera: «i signori nella carne»)
talora la reazione davanti alla presenza di Dio; contrappone in 5,9 «Wl solo Padrone nei cie-
cfr. Gen 9,2; Es 15,16; Dt 2,25; Is 19,16; Sal li» (o KUpL6ç Éonv Év oupavolç).
2,ll;Gdt 15,2; 1Cor2,3;2Cor7,15;Fil2,12. 6,6 Servendo soltanto quando vi controllano
Padroni (Kup(OL)- Invece di utilizzare il ter- (Kat' òcjl8a~o&mÀLav)- Alla lettera: «secon-
mine consueto 6Eon6t11ç, l'autore preferisce do la schiavitù degli occhi»; ma non nel senso
Kupwç, con l'intento di creare un contrasto di «vanità», «vanteria)), o <<Vanagloria» di chi
non agli uomini, 8sapendo che ciascuno, sia schiavo che libero,
quanto avrà fatto di bene, lo riavrà in ricompensa dal Signore.
9E voi, padroni, comportatevi con loro allo stesso modo, lasciando
vuoi farsi vedere bravo davanti al padrone, 6,9 Comportatevi con loro allo stesso modo
quanto piuttosto di un lavoro compiuto so- -Non è molto chiaro cosa significhi «fate
lamente alla presenza (sotto gli occhi) dei le stesse cose nei loro confronth} (tà autà
padroni. La versione CEI del 2008 traduce noLEhE npÒç autouç). Forse, pur essendo pa-
«non servendo per farvi vedere». droni, debbono anche loro sentirsi «schiavi
Schiavi di Cristo (ooùì..oL Xptotoù)- Anche di CristO>}, servendo lo con timore e tremore.
Paolo s'è definito «schiavo di CristO>} (cfr. Abbiamo qui un'applicazione del principio
Rm l, l; Gal l, IO), ma nel senso di servitore generale formulato in 5,21 della sottomissio-
del Vangelo a tempo pieno. ne vicendevole tra tutti i cristiani.
di rimanere tali, vivendo tuttavia in modo nuovo la loro condizione (l Cor 7,21)
e rimanda a Filemone lo schiavo Onesimo, raccomandando di trattarlo come un
«fratello carissimo» (Fm 16). Anche in Col3,22-4,1 non c'è la richiesta di abo-
lire la schiavitù; vi si trovano, invece, affermazioni molto aderenti a Ef 6,5-9 e
sostenute dalla medesima motivazione cristologica: l'unico padrone (fo/rios) cui
si deve piacere è Cristo.
Il nostro autore condivide il medesimo rispetto nei confronti dell'assetto so-
ciale vigente, anche se attua una relativizzazione assai significativa. Infatti, pur
intimando agli schiavi l'obbedienza, nel definire «terreni» i padroni (alla lettera:
«secondo la carne»), non fa altro che circoscriverne e !imitarne l'autorità, su-
bordinandola all'unica sovranità di Cristo. Il vero servizio, infatti, è compiere
la volontà di Dio, facendo il bene. Si presenta qui un'innovativa esperienza di
libertà interiore, che si manifesta in un servizio non solo di facciata e che viene
sintetizzata nell'espressione volutamente paradossale: «servendo ... come schiavi
di Cristm> (6,6). In ultima analisi ciò che conta è appartenere a Cristo, la cui uni-
ca, vera sovranità è garanzia di libertà autentica: la vera ricompensa per il bene
compiuto è quella che viene da Lui. I padroni, dal canto loro, debbono metter da
parte ogni sistema coercitivo, ricordando che in fondo tra loro e gli schiavi vi è
una sorta di fondamentale uguaglianza. Quest'ultima non si fonda sulla comune
natura umana (affermazione questa che si poteva udire nelle argomentazioni degli
stoici) ma sull'unico padrone di tutti, il Signore del cielo, di cui viene ricordata
l'assoluta imparzialità.
EFESINI 6, l O 94
à:rrEtÀ~V'
do6rEç on KCXÌ aùrwv KCXÌ U}lWV ò KUpt6ç Èonv Èv
oùpavoiç xaì rrpoowrroÀflJ.niJia oùx €onv rrap' aùnf>.
Preferenza di persone (npoownoÀrj.ujlla)- Tra- 6,1 ORafforzatevi ... e nella potenza della sua
dotto alla lettera indica il «preferire la faccia>} forza (ev1iuva~oiìa9E ... Kat ev·n;ì KprhH 'tf]c;
(np6ownov) di qualcuno (il contrario di «non toxuoc; au"tou) - Affermazione pleonastica,
guardare in faccia nessunm}), ed è presente in quasi identica a 1,19. Va sottolineata la so-
Rm 2, Il; Col3,25; Gc 2, l. Va ricordato come miglianza non solo terminologica ma anche
Dio non faccia <<preferenza di persona>} anche contestuale con gli ultimi versetti del c. l:
in At 10,34, Gal2,6 e in 1Pt 1,17. Ma il tema l 'orizzonte cosmico della sottomissione/
dell'imparzialità di Dio è caro all'AT: cfr., p. scontro con le potenze celesti.
es.,Dt 10,17; lSam 16,7;Mll,9;Sir35,13.