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EDUCARE AL SERVIZIO PASTORALE

Le patologie comunitarie che impediscono l’assunzione di responsabilità

Sebastiano Fascetta

Riflettere sul valore del servizio, del volontariato come forma generosa di disponibilità verso gli
altri è di fondamentale importanza per comprendere il senso di ogni ministero pastorale all’interno
del vissuto comunitario e, in modo specifico, all’interno del RnS. Un gruppo, una comunità, non
possono crescere, sia dal punto di vista spirituale che umano, senza guide spirituali che si prendano
cura del bene di ciascuno, con quell’attenzione particolare che il ministero pastorale richiede.

Accostarsi alle persone, farsi loro compagni di viaggio, è un compito importante, affascinante e allo
stesso tempo esigente poiché né va della crescita di chi lo svolge e di chi ne beneficia. La pastoralità
è una chiamata da parte di Dio che si esplicita in forme diverse, sia a livello personale che
comunitario.

Dio continua a chiamare ed inviare in mezzo al suo popolo guide, pastori secondo il suo cuore ( cf
Ger 3,14) comunicando, per mezzo dello Spirito Santo,tutti i doni necessari per adempiere a tale
mandato.

Da punto di vista meramente generale, ogni battezzato è chiamato, imprescindibilmente, a vivere


secondo lo stile di Gesù Cristo che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita
( cf Mc 10,40ss; Gv13,1ss; Fil 2,5ss). Tutti siamo chiamati ad essere servi per amore e nella libertà;
siamo tutti corresponsabili della crescita gli uni degli altri. Per adempiere a tale compito, ogni
membro del popolo di Dio è dotato di un carisma particolare per l’edificazione comunitaria (cf 1
Cor 12,1ss). Tutti siamo carismatici ma non tutti siamo chiamati ad adempiere i medesimi ministeri,
infatti, una comunità non vive di sola pastoralità o profezia, ma necessità di una multiforme varietà
di ministeri tanto quanto sono le diverse esigenze della comunità.

Da qui la necessità di discernere i carismi, le diverse vocazioni che si sviluppano all’interno del
vissuto comunitario, in modo che ognuno sia aiutato ad rispondere alla particolare chiamata che lo
Spirito Santo pone come offerta di crescita e di libertà. Si tratta di esercitare un discernimento
umile, attento, che eviti qualunque forma di coercizione o imposizione, basato sull’ascolto dell’altro
in modo da favorire un clima fraterno e di reciproca stima ove ciascuno riesce ad essere sé stesso e
a fare esperienza dell’amore fraterno.

Nessuno assume un ministero dall’oggi al domani, infatti, se lo Spirito Santo agisce, liberamente e
gratuitamente, distribuendo i carismi a prescindere dalle nostre capacità o meriti, è pur vero, che
ogni autentico esercizio carismatico richiede un grande lavoro di maturità umana. Il principio
teologico secondo il quale si afferma che la grazia presuppone la natura” mette in evidenza la
necessità di evitare qualunque lettura dualista della vita cristiana tesa a giustificare la separazione
tra l’azione dello Spirito e la vita umana; tra l’equilibrio psicologico-affettivo che ogni persona deve
poter sviluppare e l’unzione carismatica.
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Il caos a livello psicologico, affettivo, relazionale che ci abita deve essere addomestico, assunto,
rielaborato, curato, guarito dalla Grazia, attraverso un impegno spirituale ed umano, che ci
coinvolge integralmente in modo da vivere in sinergia con la Grazia.

Per questo motivo l’apostolo Paolo consiglia, all’interno delle lettere pastorali, di non affidare
compiti di responsabilità a chi è neofita cioè immaturo e, pertanto, non in grado di sostenere il peso
del ministero. Senza voler cedere a forme di perfezionismo, soprattutto in fase di scelta delle guide
di una comunità, bisogna, comunque, evitare scelte superficiali, approssimative, occasionali,
esclusivamente legate alle situazioni contingenti senza possibilità di un serio discernimento.

Uno dei sintomi che dimostra quanto fatica facciamo nel lasciarci lavorare e trasformare dalla
Grazia è il clima di competizione, di arrivismo e di arroganza che serpeggia proprio in occasione
dei rinnovi degli organi pastorali.

La competizione e la conflittualità nascono quando il servizio è confuso con la volontà sempre


latente di ottenere potere e così poter soddisfare i propri deliri di onnipotenza. Si tratta di un vero e
proprio campanello d’allarme che compromette sin dall’inizio ogni eventuale discernimento
comunitario.

IL superamento di tale tentazione avviene soltanto all’interno di un processo educativo, di


conversione e maturazione umana che la vita comunitaria ben impostata può favorire; non è
,infatti,superfluo affermare che relazioni fraterne malate producono responsabili con forti patologie
spirituali, mentre una comunità sana favorisce responsabili maturi.

I responsabili di oggi sono lo specchio di quelli d’ieri, ovvero sono il prodotto di modelli trasmessi
nel tempo e profondamente radicati del modo d’interpretare e vivere il ruolo pastorale. Un modello
di pastoralità autoritaria che spadroneggia; una pastoralità improvvisata, finalizzata al proprio
interesse, che non sa affrontare i problemi, statica, ripiegata su sé stesso, lacerata da conflitti interni,
forgia negativamente i futuri responsabili segnati da tali modelli.

Per una considerazione attenta ai modelli che incarniamo di pastoralità e soprattutto per una
valutazione del clima comunitario è opportuno riflettere sui seguenti aspetti:

- Mancanza di una visione comunitaria, di un progetto comunitario. In questo caso, la


comunità non cresce, non riesce a discernere la meta da raggiungere ( paradigmatico è il
cammino del popolo liberato dall’Egitto verso la Terra Promessa), ma si limita a sopravvive
cercando di conservare l’esistente, senza alcuna progressione in avanti, apertura all’inedito,
alla creatività dello Spirito. La comunità non è un cerchio chiuso formato da persone che
vivono in maniera autoreferenziale, ma spazio aperto, accogliente, propositivo, di crescita.

- Preparazione insufficiente dei responsabili, mancanza di “discepolato pastorale”,


“carismatico”; mancanza di testimonianza di vita che mette al centro della vita comunitaria
il senso di generosità, gratuità, umiltà, impegno, fedeltà, fraternità. La preparazione dei
responsabili non dev’essere intesa esclusivamente da un punto di vista dottrinale, ma
esperienziale, esistenziale, per un coinvolgimento integrale della persona. Questo implica
tempo per assimilare, riflettere, verificare, correggere, interiorizzare. Una delle priorità, ai
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fini della formazione, è la capacità di darsi del tempo, di avere tempo per capire,
approfondire, maturare, per confrontarsi.

- Attenzione concentrata soltanto sul risultato, dare valore alle persone solo in misura di
quello che fanno e non per quello che sono. Quando, ai fini del discernimento, si assolutizza
il criterio del fare, dell’efficienza, della prestazione senza considerare la persona in sé, nel
suo imprescindibile valore si incoraggia la competizione, l’arrivismo , la mania di potere,
con gravi conseguenza per il futuro della comunità.< Se dunque c'è qualche consolazione in
Cristo, se c'è qualche conforto, frutto della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci
sono sentimenti di amore e di compassione, 2rendete piena la mia gioia con un medesimo
sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. 3Non fate nulla per rivalità o
vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso.
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Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri.> ( Fil 2,1-4)

- Distacco tra responsabili e comunità, soprattutto se i responsabili assumono atteggiamenti


ieratici, di super carismatici, di persone inavvicinabili che pongono steccati gerarchici nei
riguardi degli altri. In questi casi il primato della fraternità, umiltà e amicizia sono
totalmente elusi. Uno dei compiti fondamentali per un proficuo esercizio del carisma
pastorale è la cura delle relazioni interpersonali, contro qualunque forma di preferenze tra i
diversi membri della comunità. L’esempio di Gesù, a tal proposito, è particolarmente
eloquente in riferimento alla sua infinita capacità di accogliere tutti senza distinzione alcuna,
senza giudicare nessuno. Se, da una parte, l’ ipocrita atteggiamento degli scribi e della casta
sacerdotale allontanava i poveri, i piccoli, i peccatori, gli oppressi incutendo loro un senso di
paura, Gesù presentandosi come vero uomo si è mostrato accogliente verso tutti suscitando
un profondo senso di fiducia e di speranza soprattutto nei riguardi di coloro che erano
considerati disperati e dunque destinati ad essere emarginati e condannati. Ogni autentica
pastoralità non può prescindere dallo stile di vita di Gesù, il Bel Pastore (cfr Gv 10,1ss),
dalla sua umanità, capacità di accoglienza, compassione, umiltà, disponibilità a mettersi
dalla parte dei piccoli, presentandosi come fratello tra fratelli. L’esempio di Gesù deve
essere incarnato dalla comunità cristiana come attesta l’apostolo Paolo: <Condividete le
necessità dei santi; siate premurosi nell'ospitalità.> ( Rm12,13); <Accoglietevi perciò gli uni
gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio> ( Rm15.7).

- Chiusura ai problemi comunitari. Questa forma di patologia consiste nel vivere una
pastoralità idealizzata, decontestualizzata, che guarda altrove fuggendo dalla fatica di amare,
servire la comunità reale, le persone concrete cariche di problemi reali. Ogni vero progetto
comunitario non deve scaturire da idee personali, da aspirazioni, seppur belle e legittime,
che i responsabili possono nutrire e desiderare di realizzare, ma dall’ascolto attento dei
bisogni reali della comunità. Ovviamente, in ogni comunità risiede una profezia, che la
stessa comunità deve saper assumere e incarnare, ma che, comunque, non prescinde mai
dalla realtà umana che la caratterizza. La missione profetica che la comunità deve assumere
non è qualcosa che cala dall’alto, non è il frutto della sensibilità dei responsabili che
decidono dove e come indirizzare la comunità elaborando progetti preconfenzionati, ma atto
d’obbedienza alla volontà di Dio che passa, inevitabilmente, dall’ascolto umile dei reali
bisogni dei fratelli e delle sorelle che costituiscono la comunità. Una progettualità stabilita a
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priori dai responsabili senza un lavoro di ascolto e di discernimento comunitario non


coinvolge nessuno e sarà assunto come un peso, mentre un progetto frutto del lavoro
comune di tutti determina, inevitabilmente, un reciproco coinvolgimento e un
interessamento concreto da parte di tutti.

- Religiosità esteriore e/o ruotine. L’ipocrisia, l’incoerenza, la doppia faccia rappresentano


un vero ostacolo all’educazione al servizio. Da qui la differenza tra l’autorità come potere e
l’autorità come autorevolezza. La prima forma è intesa come un “mestiere”, una “funzione”
che si assume per senso di dovere, la seconda, invece, esprime senso di responsabilità verso
gli altri e comunica fiducia. La comunità non ha bisogno di “funzionari “ delle cose di Dio ,
ma di responsabili che si prendano, sinceramente e umilmente, cura degli altri, senza altri
interessi se non quello di favorire la crescita di ciascuno.

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