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L’EQUIVOCO STRAVAGANTE

L’EQUIVOCO
STRAVAGANTE

20 FONDAZIONE ROSSINI
PESARO
FONDAZIONE ROSSINI PESARO
I LIBRETTI DI ROSSINI

20

Collana diretta da Cesare Scarton


L’EQUIVOCO STRAVAGANTE
a cura di
Marco Beghelli

FONDAZIONE ROSSINI PESARO 2014


FONDAZIONE ROSSINI PESARO
PRESIDENTE
ORIANO GIOVANELLI

CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE

ALBERTO BERARDI
MAURIZIO GENNARI
FRANCESCA MATACENA
LUCIO CARLO MEALE
STEFANO PIVATO

ASSEMBLEA
DANIELE VIMINI (presidente)
GIORGIO CERBONI BAIARDI
FABIO CORVATTA
ACHILLE MARCHIONNI
GIANFRANCO SABBATINI
FRANCA MANCINI
DANIELE TAGLIOLINI
MASSIMO TONUCCI

COLLEGIO SINDACALE
VINCENZO GALASSO (presidente)
ALESSANDRO COMANDINI
VALERIA SACCO

SEGRETARIO GENERALE
CATIA AMATI

DIRETTORE DELL’EDIZIONE CRITICA


ILARIA NARICI

COORDINATORE EDITORIALE
DANIELE CARNINI

COMITATO SCIENTIFICO

ANNALISA BINI
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DAVIDE DAOLMI
RENATO MEUCCI
RETO MÜLLER
ILARIA NARICI
EMILIO SALA
CESARE SCARTON
BENJAMIN WALTON

COPYRIGHT © 2014 BY FONDAZIONE ROSSINI - PESARO


À Reto Müller,
humble allumeur
du soleil rossinien
INDICE

Premessa p. 
xiii

Sigle di biblioteche e archivi utilizzate nel volume xvii

SAGGI

I. Marco Beghelli, Gasbarri! Chi era costui? xxv

  1. Una disistima immeritata xxvi

  2. Gli equivoci dell’«Equivoco» xxviii

  3. Don Gaetano, Pastore Arcade xxxvii

  4. Nuova vita a Firenze xliii

  5. Librettista, fase seconda xlvi

  6. Le trasferte bolognesi lii

  7. Fuori dal giro lxiv

  8. Con Giovanni e Rosa Morandi lxviii

  9. Rossini visto da lontano lxxiv

10. Affarista e burocrate lxxxii

11. Gli anni della Restaurazione lxxxvii

12. Epilogo xcv

II. Fabio Rossi, La commedia delle lingue nei libretti


di Gaetano Gasbarri xcix

  1. Il parlar difficile e il metalinguaggio cii

  2. Mistilinguismo: il “latinorum” degli azzec-


cagarbugli cxvii

IX
  3. Fischi per fiaschi e qui pro quo: dai mala-
propismi alle risemantizzazioni cxxv

  4. Il tic dell’interruzione cxxxv

  5. Qualche retrodatazione e altre particolari-


tà lessicali cxlii

  6. Per concludere, con Goldoni cxlviii

III. 
Valentina Anzani - Marco Beghelli, Un sogget-
to equivoco al crepuscolo degli dèi castrati clv

  1. Ultimi castrati all’opera clv

 2. Voci insofferenti clx

  3. Emarginazione e diversità clxxix

  4. Nuovi spazi per le donne cxc

  5. Esclusi dalle scene e dalle cantorie cxcvi

  6. Rossini e i castrati ccx

IV. Marco Beghelli - Antonella Campanini - Ste-


fano Piana, I libretti dell’«Equivoco stravagante»:
storia di una censura maldestra ccxxi

  1. La macchina prefettizia bolognese ccxxii

  2. Un libretto scellerato ccxli

  3. Dopo il debutto cclxxiii

 4. Un inane tentativo di resurrezione: «L’a-


mor geografo» cclxxviii

 5. Reincarnazioni rossiniane cclxxxiii


Documenti ccxci

V. 
Marco Beghelli - Nicola Usula, Di «Equivoco» in
«Equivoco»: lo stravagante falso triestino (1824) ccclxv

  1. Varo e naufragio di un «rappezzato navi-


glio» ccclxv

  2. Dalla commedia al libretto ccclxxiv

  3. Nell’officina del raffazzonatore ccclxxxiv

 4. Post scriptum cdi

X
TESTI

Gaetano Gasbarri, L’equivoco stravagante, dramma gio-


coso per musica (manoscritto, 1811) 3
Gaetano Gasbarri, L’equivoco stravagante, dramma gio-
coso per musica (Bologna, 1811) 53
Adolfo Bassi, L’equivoco stravagante, dramma giocoso
[per musica] (Trieste, 1824) 103

APPENDICE

Marco Beghelli - Gianluca Nicolini, Lettere di Gaeta-


no Gasbarri a Giovanni Morandi 157
  1. Natura e consistenza del carteggio 157
  2. Gasbarri e Morandi: tracce di un’amicizia
all’ombra di Rossini 160
Lettere 165

XI
II
Fabio Rossi
LA COMMEDIA DELLE LINGUE
NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

Erede della commedia dell’arte, la comicità dell’opera buffa sette-


ottocentesca passa soprattutto per l’inscenamento del caos, che è es-
senzialmente caos del verbum, cioè «commedia delle lingue»  1: dialetti,
registri, stili, tecnicismi, aulicismi, forestierismi, latinismi, neologismi,
parole deformate o inventate, e quanti più -ismi e varietà si possano
immaginare negli umani idiomi, conflagrano in uno stesso testo, a volte
nel medesimo personaggio o addirittura in uno stesso turno dialogi-
co. Mistilinguismo estremo, dunque, di chiara matrice espressionistica
(nell’accezione continiana del termine) – o meglio realistica ed espres-
sionistica insieme – quello dell’opera buffa, contrapposto al monolin-
guismo regolarissimo, di marca petrarchesco-metastasiana (con qual-
che tardo lacerto ossianico-alfieriano), dell’opera seria fino ai libretti
del primo Verdi inclusi (dopo le acque si intorbidano, com’è noto, con
continuo altalenare tra il serio e il comico, il mimetico e l’idealizzante)  2.

1
  Cfr. «Le lingue della commedia e la commedia delle lingue», quinto capitolo del
volume di Gianfranco Folena, Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinasci-
mentale, Torino, Bollati Boringheri, 1991, pp. 119-146. Sull’insegnamento mai estinto
di Gianfranco Folena nell’ambito degli studi sul plurilinguismo nel linguaggio comico
e melodrammatico buffo, cfr. da ultimo il volume Lingue testi culture. L’eredità di Fole-
na vent’anni dopo, Atti del XL Convegno Interuniversitario (Bressanone, 12-15 luglio
2012), a cura di Ivano Paccagnella e Elisa Gregori, Padova, Esedra, 2014. Tuttora
imprescindibile, sul plurilinguismo del linguaggio operistico, il classico Daniela Gol-
din, La vera fenice. Librettisti e libretti tra Sette e Ottocento, Torino, Einaudi, 1985.
2
  Per una prima ricognizione sui caratteri linguistici seri e buffi, cfr. Luca Serian­
ni, Viaggiatori, musicisti, poeti. Saggi di storia della lingua italiana, Milano, Garzanti,
2002, pp. 113-161; Fabio Rossi, «Quel ch’è padre, non è padre...». Lingua e stile dei
libretti rossiniani, Roma, Bonacci, 2005, pp. 305-337 et passim. Su mono- e plurilin-
guismo, cfr. almeno Gianfranco Contini, Varianti e altra linguistica. Una raccolta di
saggi (1938-1968), Torino, Einaudi, 1970, pp. 169-192; Bruno Moretti e Ivano Pacca-
gnella, Mistilinguismo, in Enciclopedia dell’italiano, diretta da Raffaele Simone, con
la collaborazione di Gaetano Berruto e Paolo d’Achille, 2 voll., Roma, Istituto della

XCIX
ROSSI

I libretti buffi si presentano pertanto come testi babelici, e per questo


succosissimi per gli storici della lingua, sebbene siano stati trascurati,
salvo qualche eccezione, proprio dagli studi linguistici. Tra i più neglet-
ti, anche tra i musicologi e gli storici del teatro, spiccano i libretti delle
opere minori di Rossini e contemporanei, ovvero quelle presto uscite
dal repertorio e cadute nel dimenticatoio cui le ha relegate il duraturo
ciclone romantico-verista.
Nell’intento di proseguire un lavoro iniziato anni fa, vorrei qui
estendere a una decina di libretti (undici, per l’esattezza) scritti da Ga-
etano Gasbarri il frutto dell’analisi linguistica già applicata all’intero
corpus rossiniano  3, al fine di verificare quanto allora osservato su diver-
si autori (a conferma dell’omogeneità del genere librettistico in sé), ma
anche, per contro, di individuare alcune peculiarità e differenze. Tra i
libretti attribuibili con maggiore o minore certezza alla penna di Ga-
sbarri, ho scelto di indagare quelli di più sicura o verosimile paternità
(cfr. il cap. I di questo volume)  4:
I puntigli per equivoco (Napoli 1796)
L’innocente ambizione (Napoli 1797)
L’amor per interesse (Napoli 1797)
Il maldicente, o sia La bottega del caffè (Firenze 1807)
Il poeta fortunato, o sia Tutto il mal vien dal mantello (Firenze 1808)
Lo sposo in bersaglio (Firenze 1808)
L’ajo in imbarazzo (Bologna 1810)
L’equivoco stravagante (Bologna 1811)
Così si fa ai gelosi (Perugia 1812)
Carlotta e Verter (Firenze 1814)
Il qui pro quo (Roma 1817)

Tutti i testi sono stati consultati nelle prime edizioni a stampa


(per i cui dettagli bibliografici, cfr. ancora il cap. precedente). Nelle

Enciclopedia Italiana, 2011, vol. II, pp. 893-897. Non si menzionano qui, per motivi
di sintesi, altri fondamentali riferimenti bibliografici sull’analisi linguistica dei libretti
d’opera (da Folena a Goldin, da Baldacci a Bonomi, da Coletti a Telve ecc.), per i quali
si rimanda a Fabio Rossi, Poesia per musica, in Storia dell’italiano scritto, a cura di Giu-
seppe Antonelli, Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin, 3 voll., vol. I: Poesia, Roma,
Carocci, 2014, pp. 291-322.
3
  F. Rossi, «Quel ch’è padre, non è padre...» cit.
4
  I dubbi sull’autore del Maldicente del 1807 sono attenuati dalla natura lingui-
stica e stilistica del testo, confermata nel Maldicente del 1808, sicuramente attribuibile
a Gasbarri. Affinché l’incerta paternità dello Sposo in bersaglio non infici l’analisi che
andremo a fare, se ne considererà il testo soltanto tangenzialmente.

C
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

citazioni s’è rispettata la grafia originale, fuorché per gli accenti e gli
apostrofi, normalizzati secondo l’uso attuale, e minimi ritocchi alla
punteggiatura per rendere più trasparente la sintassi, nella consape-
volezza della precarietà di cui soffrono quelle stampe mandate fretto-
losamente sotto i torchi, a poche ore dal debutto dello spettacolo. Va
da sé che in questo contesto non assumono alcuna rilevanza le sorti
patite dai testi gasbarriani nel momento in cui vengono dati in pasto
ai singoli compositori per l’intonazione musicale e, successivamente,
ai singoli impresari e interpreti che – produzione dopo produzione –
provvederanno ad apportarvi tutte quelle modificazioni che la pratica
teatrale consente e talvolta impone, fino a produrre nuovi testi: basti
vedere, tra le tante, le differenze più o meno cospicue tra le prime
due edizioni del Maldicente (Firenze 1807 e Bologna 1808), presumi-
bilmente curate da Gasbarri stesso  5. Sarebbe al più importante poter
accedere a stadi genetici precedenti, cioè alle stesure originali sotto-
poste al vaglio della censura; ma questo è quasi sempre impossibile se
non in casi eccezionali, come accade, in minima parte, per L’equivoco
stravagante (cfr. il cap. IV di questo volume). La stesura primordiale
di un testo librettistico era comunque già essa stessa frutto di una
autocensura regolata secondo i principi invalsi, ben noti al poeta di
turno, per cui l’intervento dello scrupoloso funzionario di polizia non
faceva che completare in senso ancor più restrittivo quanto già ope-
rato in autonomia dal librettista stesso, perfettamente inserito in quel
particolare sistema produttivo.
È dunque lecito parlare (e dunque occuparsi) di una “autonomia
testuale” del libretto d’opera, ma

5
  Sulle questioni filologiche legate al testo operistico, cfr. almeno: Alessandro
Roccatagliati, Libretti d’opera: testi autonomi o testi d’uso?, «Quaderni del Dipar-
timento di Linguistica e Letterature comparate», Università degli studi di Bergamo,
VI, 1990, pp. 7-20; Paolo Trovato, Note sulla fissazione dei testi poetici nelle edizioni
critiche dei melodrammi, «Rivista Italiana di Musicologia», XXV, 1990, pp. 333-352;
Stefano Castelvecchi, Sullo statuto del testo verbale nell’opera, in Gioachino Rossini
1792-1992, il testo e la scena, a cura di Paolo Fabbri, Pesaro, Fondazione Rossini,
1994, pp. 309-314; Fiamma Nicolodi e Paolo Trovato, La tradizione primo ottocen-
tesca dei libretti (1814-1839), in Il turco in Italia, a cura di Fiamma Nicolodi, Pesaro,
Fondazione Rossini, 2002 («I libretti di Rossini», n. 9), pp. LXI-XCVII; Benedetta
Pierfederici, L’edizione critica dell’«Adriano in Siria» di Pietro Metastasio, in Dal libro
al libretto. La letteratura per musica dal ’700 al ’900, a cura di Maria Silvia Tatti,
Roma, Bulzoni, 2005, pp. 29-43; Stefano Telve, Tra storia della lingua e filologia: osser-
vazioni sul testo dell’«Olimpiade» di Pergolesi, in Studi Pergolesiani / Pergolesi Studies,
n. 7, a cura di Simone Caputo, Bern, Peter Lang, 2012, pp. 77-94; Edoardo Buroni,
Arrigo Boito librettista, tra poesia e musica. La “forma ideal, purissima” del melodramma
italiano, Firenze, Cesati, 2013, pp. 12-20 e 63-68.

CI
ROSSI

essa è di tal fatta che cela sempre dietro sé un’eteronomia di concezione,


anche quando letterariamente la maschera al meglio. È indubbio infatti che
il poeta d’opera confeziona un testo vero e proprio: esso risponderà a detta-
mi estetici e narrativi dell’epoca sua, adotterà lessico e usi di versificazione
coevi, non di rado mostrerà peculiarità stilistiche d’autore. Ma è altrettan-
to certo che l’operato del librettista verrà fortemente condizionato dagli usi
compositivi del milieu operistico nel quale egli vive, usi da cui deriveranno
una certa scansione delle scene, un certo dosaggio di versi sciolti e lirici, un
dato numero di personaggi, di atti e di scene, una certa concezione delle
  6
unità drammatiche .

Per tali motivi, i testi gasbarriani qui presi in esame verranno sem-
pre rapportati al genere letterario all’interno del quale sono cresciuti,
con particolare riferimento agli stereotipi dell’opera buffa coeva, di cui
conservano ed esibiscono gran parte dei tratti drammaturgici, linguisti-
ci e stilistici; e in particolar modo:
– la messa in rilievo dell’astuzia femminile, sulla scorta dei modelli
goldoniani imprescindibili per ogni librettista buffo;
– la metateatralità e il metalinguaggio;
– l’ironia sui cavilli burocratici, legali ed economici, con ampio
sfoggio di tecnicismi e gergalismi, tanto più felicemente sma-
scherati quanto più commisti ai colloquialismi;
– la mescidanza, con effetti espressionistici, di lingue e registri, con
particolare riferimento al dialetto napoletano che s’intarsia su un
tessuto di italiano superstandard (letterario o tecnicistico);
– il doppio senso, perlopiù a sfondo sessuale;
– il ludismo verbale: dai giochi di parole alle parole fraintese e de-
formate, dalle figure retoriche del significante ai tropi;
– la messa in burla di taluni tic linguistici.

1.  Il parlar difficile e il metalinguaggio

Italo Calvino, in un articolo del 1965, in risposta alla nascita di un


«nuovo italiano tecnologico» salutato da Pier Paolo Pasolini, osserva-
va che molti connazionali, nell’illusione di elevare il proprio eloquio e
nel timore di compromettersi con parole semplici e concrete, «come
se “andare” “trovare” “sapere” indicassero azioni turpi», utilizzavano
un’antilingua: «Avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli

6
  A. Roccatagliati, Libretti d’opera cit., p. 9.

CII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono par-


lano pensano nell’antilingua», ovvero la lingua di chi «ha paura di mo-
strare familiarità e interesse per le cose di cui parla [...], l’italiano di chi
non sa dire “ho fatto” ma deve dire “ho effettuato”»  7.
Ebbene, il buon Gasbarri, come ogni autore comico che si ri-
spetti, deride, ante litteram, tale deriva semantica e si prende spesso
burla di chi vuole infarcire di paroloni anche il discorso più comune,
sparare a casaccio tecnicismi e aulicismi, allontanare quanto più pos-
sibile gli enunciati dal senso comune. Gli azzeccagarbugli, insomma.
La sua operazione è naturalmente non solo metalinguistica ma anche
metateatrale, visto che, così facendo, sembra anche smascherare il
gioco dell’antirealismo (vale a dire la tendenza al travestimento auli-
co della realtà più concreta) connaturato nel linguaggio librettistico
serio.
Ecco allora come Ernestina, l’eroina del libretto gasbarriano più
noto (e direi anche il migliore, per il numero dei giochi verbali esibiti,
l’intreccio, ancorché complesso, perfettamente dominato e soprattutto
la capacità dell’autore di costruire la psicologia e il milieu dei suoi per-
sonaggi mediante minute accortezze sulla lingua che parlano), designa
le sedie e l’atto del sedersi, con lambiccate perifrasi:

Ernestina Le macchine corporee


in linea curva adattino
su due comodità.
Buralicchio
Come?
Ernestina
Due sedie
secondo il basso volgo. Aspettan questi (seggono)
àlbori lavorati
da voi l’onore di essere ammaccati.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.7)

E di fronte a simile sproloquio, l’attonito promesso sposo Buralicchio


non può che esclamare: «Bella lingua!».
Nell’atto successivo, la medesima sedia viene definita «il necessa-
rio», di fronte alla perplessa cameriera Rosalia:

7
  Italo Calvino, L’antilingua, «Il Giorno», 3 febbraio 1965, ripubblicato in Pier
Vincenzo Mengaldo, Il Novecento, Bologna, Il Mulino, 1994 (Storia della lingua italia-
na, a cura di Francesco Bruni), pp. 277-280.

CIII
ROSSI

Ernestina Adesso. Porta un necessario, e via. (a Rosalia)


Rosalia Che cos’è il necessario?
Ernestina Il necessario
denota sedia in senso letterario.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, II.8)

In quest’ultimo uso, tra l’altro, non si esclude un ulteriore elemento di


comicità, dato dal possibile doppio senso con necessario ‘latrina’  8.
L’antilingua di Ernestina tocca l’apice nel seguente sproloquio, a
proposito della gelosia del pretendente Buralicchio:

Ernestina D’umor geloso egli impastata ha l’alma


che traversando per le fibre e arterie
produce nell’occipite
della sua fantasia
una talquale fantasmagoria;
quindi di veder crede
ciò che creder non deve, e ammalgamando
i spirti sparsi al nervo,
che ottico si appella,
un topo gli rassembra una vitella.
Potreste, o padre, esser così protervo
contro di me per vaneggiar d’un nervo?
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.11)

Difficile non andare con la mente ad altri nonsense pseudoscientifi-


ci, quali quelli rintracciabili nei film di Totò:

Totò La scimmia/ non è proprio una bestia del regno animale//


Ma bensì/ una metamorfosi vulcanica/ dell’umanità inte-
gerrima// La paratomia dell’uomo sintetico/ è una sintesi
delle cellule umanitarie/ che/ a prescindere dalla corpu-
lenza anatomica maschile/ escludendo ben inteso la parte
addominale delle mucose logiche/ abbiamo il nervo sim-
patico/ che soffre d’antipatia e simpatia// Così/ che/ cal-
colando/ la distanza epidermica/ fra/ l’uomo e il gorilla/

8
  Cfr. Grande dizionario della lingua italiana, diretto da Salvatore Battaglia e
poi da Giorgio Bàrberi Squarotti, Torino, Utet, 1961-2003, 21 voll. (d’ora in avanti
GDLI), s. v. necessario, § 12.

CIV
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

assistiamo/ al caso specifico/ della vostra perfetta rassomi-


  9
glianza/ con lo scimpanzé// È chiaro?

Totò Il funzionario civico municipale/ è un aggettivo qualifica-


tivo di genere funzionatorio// Il funzionario/ fisiologica-
mente funziona/ con la metamorfosi estiva della metem-
psicosi// La metamorfosi del funzionamento/ muove la
leva idraulica delle cellule che agendo sull’arterioscleròsi
del soggetto patologico/ lo fa funzionare nell’esercizio del-
  10
le proprie funzioni// Hai capito?

Tra due alternative, l’una più usata, l’altra peregrina, Ernestina pre-
dilige senz’altro quest’ultima, come tra pietrificato e sassificato: «Sassi-
ficata, o genitore, io resto | da tal linguaggio» (L’equivoco stravagante,
I.11). «Mio generante!» è l’iperculto allocutivo con cui Ernestina si ri-
volge al padre (ibid., I.6); la stessa si dà arie da filosofa, chiedendo, in
luogo di chi sono queste persone?: «Chi son questi Enti?» (ibid., I.6).
Alla supponente Ernestina tenta di tener testa il padre Gamberot-
to, ignorantissimo e d’origine contadina ma ansioso di parlar come un
libro stampato:

Gamberotto Nei tempi in cui la zappa io maneggiava


non si filosofava; oggi che a forza
di sudori, e di calli
un signor diventai, giacché nell’alto
rango in cui sono salito
impera il filosofico prurito,
vo’ che alla figlia mia
voi insegnate la filosofia.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.1)

Alla figlia che, non sentendosi ben vestita, dice: «Non sono accin-
ta», egli replica: «Accinta, oppur succinta | è tutt’uno» (I.6). E così si
rivolge al futuro genero Buralicchio:

9
  Due cuori fra le belve, 1943, regia di Giorgio C. Simonelli, trascrizione da Fabio
Rossi, La lingua in gioco. Da Totò a lezione di retorica, prefazione di Tullio De Mauro,
Roma, Bulzoni, 2002, p. 118 (per i criteri di trascrizione dai film, con barre oblique
semplici e doppie, in luogo di virgole e punti, per rendere le unità tonali, cfr. ibid., pp.
31-32).
10
  Fermo con le mani, 1937, regia di Gero Zambuto, trascrizione da F. Rossi, La
lingua in gioco cit., p. 153.

CV
ROSSI

Gamberotto     Ah vieni al mio seno


amato mio genero.
Un osculo tenero
deh prendi da me.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.4)

E Buralicchio insieme a lui: «Di gioia in un pelago | mi trovo già im-


merso» (I.4). Lo sciocchezzario di Gamberotto suscita di conseguenza
la fine ironia dei servi astuti:
Frontino Che gran testa! che parole!
Rosalia Che saper profondo e raro!
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.1)

Lo sfoggio di aulicismi e arcaismi è moneta corrente non soltanto


nell’opera seria, come si sa, ma anche in molte sezioni di quella buf-
fa, specialmente nelle scene d’amore. Nei titoli farseschi del Gasbar-
ri, tuttavia, è evidente la componente grottesca di tessere quali osculo,
pelago ecc., incastonate in contesti e fra personaggi triviali. Il gioco
della mescidanza dei registri tanto meglio riesce quanto più ampia è
l’escursione dall’alto al basso e quanto più decontestualizzata risulta
l’espressione letteraria, che ancora una volta, dunque, facendo il verso
al codice melodrammatico serio, si tinge di metalinguaggio e acquista
un interesse tutto particolare per il lettore/spettatore contemporaneo.
La componente metalinguistica, metateatrale e autoparodica (corrente
nella produzione buffa a tutte le altezze cronologiche e a tutte le lati-
tudini) si accresce, naturalmente, nei casi di citazione diretta di melo-
drammi più o meno celebri, com’è il caso dell’aria di Fazio, nell’Amor
per interesse, che nella parte conclusiva cita alla lettera la metastasiana
Didone abbandonata:
Fazio [...]
    E intanto confuso
nel dubbio funesto,
non parto, non resto,
ma provo il martire
ch’avrei nel partire,
ch’avrei nel restar.
  11
(G. Gasbarri, L’amor per interesse, II.3)

11
  Cfr. Gianluca Nicolini, «E per un frutto piace tutto un orto». Lingua e stile nei

CVI
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

Dalla Didone si cita anche nell’Equivoco stravagante: «Dal dono impa-


ra il donator qual sia» (II.6), ricalca chiaramente il metastasiano «Nel
dono impara il donator qual sia» (Didone abbandonata, I.5), rilevato
in quanto tale dallo stesso Rossini, che sotto quelle parole scrive l’uni-
co esempio di “basso fiorito” interno al recitativo secco, a incornicia-
re metalinguisticamente la citazione. Né era necessario aver mandato
a memoria l’intera produzione del Metastasio per conoscere questa o
quella frase divenute proverbiali: la loro divulgazione passava piuttosto
attraverso raccolte di sentenze e massime estratte dai suoi libretti, op-
portunamente confezionate in agili volumetti  12. Di impronta metasta-
siana è pure «atterrito passaggier» (L’equivoco stravagante, II.9)  13.
Né mancano ammiccamenti metateatrali più espliciti (anch’essi to-
pici del genere buffo): «Quanto va ca nc’è nterzetto» (L’amor per inte-
resse, I.7); «Noi intanto da quel luogo | cara ci celeremo, | e il fin della
Comedia osserveremo» (ibid., II.7); «Son finite scene» (ibid., II.9). An-
che in altri libretti: «E con pugni, e scappellotti | la commedia finirà»
(I puntigli per equivoco, II.13); «Ah ah che ridere! | Bella Commedia!»
(Il poeta fortunato, I.2); «Vediamo | come finisce questa scena comica»
(ibid., I.11); «Chi sa come | la scena è terminata» (ibid., I.18); «Ah ah
che ridere! – Bella Commedia | quando il sipario – in su n’andrà» (L’ajo
in imbarazzo, I.15); «Non si è letto nella storia, | non si è inteso nella
favola, | non si è visto mai in commedia | accidente così comico: | ecco
un ajo fatto balio | per fatal necessità» (ibid., II.2); «La commedia va
così» (ibid., II.7); «Oh! che commedia è questa!» (Carlotta e Verter,
II.ultima).
Come anche espressamente metateatrali (metalinguistici e metalet-
terari) sono i brani che fanno riferimento al poetare o alle recensioni
delle opere. Tra questi ultimi, spicca la scena II.8 del Maldicente del
1807 (scena II.6 nell’edizione del 1808, con numerose, anche se mai
sostanziali, varianti), in cui Don Marzio, Vittoria, Lisaura e altri perso-
naggi del dramma, mettono in rima la recensione di un melodramma e
i commenti sarcastici sulla corruzione dei giornalisti:

libretti di Gaetano Gasbarri, «Bollettino del Centro rossiniano di studi», XLIX, 2009,
pp. 41-129: 61-62.
12
  Fra i più antichi: Massime e sentenze estratte dalle opere del Sig. Abate Pietro
Metastasio, Torino, Presso Francesco Prato, 1793. Nuove edizioni dal titolo analogo
fioriranno per tutto l’Ottocento.
13
  Cfr. «sorpreso passaggier» e varie attestazioni metastasiane di atterrito in Lette-
ratura italiana Zanichelli. CD-ROM dei testi della letteratura italiana, a cura di Pasqua-
le Stoppelli e Eugenio Picchi, Bologna, Zanichelli, 2001 (d’ora in avanti LIZ).

CVII
ROSSI

Don Marzio     [...]


    La gazzetta universale
nell’articol teatrale
ragionando lungamente
sentan come dice qua.
Gli altri     Ascoltiamo attentamente,
e con gran curiosità.
Don Marzio     “L’opera seria (leggendo)
è andata in scena,
che porta il titolo
di Pelamena,
celebre musica
del mastro Copia;
parto drammatico
d’un Pelagatto,
di cui l’estratto
daremo qua.”
Gli altri     Bravo, leggiamolo.
Quest’è un articolo
ben curiosissimo
per verità.
Vittoria     “Sorprendentissimo (leggendo)
è il primo basso
e tutto il pubblico
fa gran fracasso
per la sua celebre
abilità.”
Don Marzio     Tutti mi dicono
ch’è scellerato,
ma quel ducato
lodar lo fa.
Gli altri     Questa è ridicola!
Ah ah ah ah!
Lisetta     “Il gran tenore (leggendo)
volò alle stelle,
fan gran romore
le cose belle,
che in tredici arie
ci fé ascoltar.”
Don Marzio     Questo mi credano
l’è un can barbone,
ma il ducatone
lo fa esaltar.
Gli altri     Quanto è buffone
quel suo parlar!

CVIII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

Trappola     “La prima femina (leggendo)


Eva chiamata
per la sua armonica
voce incantata
là rende attoniti
gli spettator.”
Don Marzio     Sembra ranocchio
ch’è nei pantani,
ma i cento grani
le fanno onor.
Gli altri     E sempre seguita
con quell’umor!
Eugenio     “E lo spettacolo (leggendo)
fa tal furore,
che in folla il popolo
a ventun ore
tutti i posti occupa
dal fondo in su.”
Don Marzio     Eh ci fa un freddo
da cascar morto.
Gli altri Eh via finitela
che avete torto.
Don Marzio Ne’ palchi scherzano
li ragnateli.
Gli altri Per tutto il cinico
ritrova i peli.
Don Marzio O che gran polvere
c’è sulle panche!
La solitudine
regna là giù.
Gli altri     “I balli poi...” (leggendo tutti in flotta, e
Don Marzio Son scelleraggini. sempre interrotti da Don
Gli altri “Il ballerino...” Marzio)
Don Marzio È monco, e zoppica.
Gli altri “La ballerina...”
Don Marzio La sembra un diavolo.
Gli altri “Tutt’i grotteschi...”
Don Marzio Sono appopletici.
Gli altri Ma zitto cattera
con tante chiacchiere
che una girandola
mi sento al cerebro;
e via finitela
per carità.
Don Marzio     Voglio parlare,

CIX
ROSSI

vò criticare,
voglio strillare,
vò ragionare,
finché l’esofago
mi reggerà.
(G. Gasbarri, Il maldicente, II.8)

Di tale condanna lanciata contro la stampa periodica compiacen-


te si ricorderà forse Luigi Romanelli con l’aria del giornalista corrotto
Macrobio nella Pietra del paragone per Rossini (1812):

Macrobio È inutile: ho due cento


articoli pro e contra preparati,
che in sei mesi saran già consumati.
Son tanti i virtuosi (ora ad esso, ora alle altre)
e di ballo, e di musica, clienti
del mio giornal, che diverrà frappoco
l’unico al mondo. Infatti figuratevi
d’essere in casa mia. Questo è il mio studio:
qui ricevo; e frattanto
nel cortil, per le scale, in anticamera,
un non so qual, come di mosche o pecchie,
strano ronzio si ascolta:
piano, piano, signori; un po’ per volta.
    Chi è colei che s’avvicina?
È una prima ballerina: (finge che la ballerina par-
“Sul teatro di Lugano li essa stessa)
gran furor nel Solimano!” (finge di prendere del de-
Mille grazie; siamo intesi; naro)
il giornal ne parlerà.
    D’una prima cantatrice
vien la mamma sola, sola. (come sopra)
“Nel Traiano alla Fenice
gran furor la mia figliola!” (come sopra)
Mille grazie; siamo intesi:
il giornal ne parlerà.
    La Fiammetta col fratello,
altra prima sul cartello.
Mille grazie; siamo intesi:
il giornal ne parlerà.
    Ma la folla già s’accresce;
tutti udir non mi riesce.
Virtuosi d’ogni razza,
che ritornano alla piazza,

CX
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

bassi, musici e tenori,


pappagalli e protettori:
osservate che scompiglio!
Che bisbiglio qui si fa!
    Largo, largo... Ecco il Maestro,
il Maestro Don Pelagio:
baci, amplessi... adagio, adagio...
Ma chi è mai quest’altro qua?
    È il poeta Faccia fresca,
che non sa quel che si pesca.
Quante ciarle! Sì, Signore,
voi farete un gran furore:
questa musica è divina;
più bel dramma non si dà.
    Il Poeta con le carte...
Il Maestro con la parte...
Giusti Dei! che assedio è questo:
chi mi salva per pietà?
(L. Romanelli, La pietra del paragone, I.14)

Anche i riferimenti espliciti alla vita magra del letterato sono annove-
rabili tra gli spunti metateatrali. Ne è un buon esempio l’aria del «poeta
miserabile» (così definito dalla tavola dei personaggi) nel Poeta fortunato:
Pompilio     Chi vuol veder dipinta
fame, miseria, e dieta,
osservi qui un Poeta,
e pago resterà.
    Le muse sono vergini,
è cosa che si sa;
    ma la ricchezza è un Nume,
ch’è capriccioso assai,
e non si accosta mai
alla verginità.
    Perciò i Poeti sono
ridotti a un punto estremo,
e dalla rima al remo
un passo sol ci sta.
Dicono che le muse sono nove,
ed io le credo vecchie;
perché, s’è ver, come dicea Pittagora,
che di malanni, e guai
vecchiaia è calamita, quai malanni
non attrae seco questa

CXI
ROSSI

parentela sgraziata
sulla razza poetica affamata!
(siede a terra, stende un cencio, ove mette del pane, e delle
radici, che mangia)
(G. Gasbarri, Il poeta fortunato, I.6)

E il topos del poeta squattrinato viene ripreso ancora una volta da


Pompilio nell’aria dell’atto successivo:
Pompilio     Se misero sei
ti chiaman birbante,
sei gran galantuomo
se tieni contante:
colui mangia appena
Polenta, e Pattona,
quest’altro in poltrona
sta grasso a russar.
    Così è sempre andata,
così l’anderà.
Che tutto nel mondo
è un tara la là.
O Pompilio! Pompilio! a che ti serve
la fama che acquistasti
scrivendo Rime, Ottave, Drammi, et cetera,
se oggi per colpa di un destin infame
la fama tua sta diventando fame?
Fame, e freddo! Che innesto!
Misero me! pericoloso è questo!
(G. Gasbarri, Il poeta fortunato, II.6)

Del poeta Pompilio potrebbe essersi ricordato persino Jacopo Fer-


retti con la figura del poeta Isidoro, in Matilde di Shabran per Rossini
(1821), còlto nell’atto d’improvvisare versi:
Isidoro     “Intanto Erminia fra le ombrose piante
d’antica selva dal cavallo è scorta;
né già più regge il fren la man tremante
e mezza quasi par...” Cosa m’importa?
    Ho una fame, una sete ed un freddo,
che fra poco una mummia divento.
Sto in divorzio coll’oro e l’argento
ed il rame veder non si fa.
   Biondo Apollo, bellissimo nume,
perché mai son sì barbari i fati,

CXII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

che i poeti son tutti spiantati,


e non trovan pagnotte o pietà?
    La miseria del volto patetico
si capisce da un quarto di miglio.
Hanno sempre al comando poetico
il singhiozzo, il sospir, lo sbadiglio,
E una fame... che fame eloquente!
Ed in tasca non hanno poi niente...
Ma peraltro alla fine del canto
Grandi evviva!.. gran plausi!.. Ed intanto
manco un soldo! Già questo si sa.
    Ma questo castellano
sarà di larga mano;
Don Isidoro, allegro,
  14
preparati a scialar .
(J. Ferretti, Matilde di Shabran, I.2)

Passando ad altri riferimenti metaletterari dell’Equivoco strava-


gante, ecco come Buralicchio si compiace per le proprie doti amoro-
se, trasformando la stereotipia erotico- (ed eroico‑ ) melodrammatica
(occhietti, vezzosi, fulgore, avvampa, eterni Dei, voti miei) in greve me-
teorismo («chi stringesi la bocca, | il naso chi si tura»), tempestato di
termini realistici e antiletterari (lampeggiar, scotta, botta, sesso, brutta,
erutta, trabocca, bestial, magnetismo, fanatismo):
Buralicchio     Occhietti miei vezzosi,
che state a lampeggiar
lasciate ch’io riposi
lo spesso scintillar.
Perché da quel fulgore,
che avvampa, accende, e scotta
può nascere una botta
al sesso assai fatal.
    Si accende la bellina,
si scalda ancor la brutta.
Questa un sospiro erutta,
quella di là trabocca;
chi stringesi la bocca,
il naso chi si tura,

14
  Sull’aria di Pompilio, cfr. G. Nicolini, «E per un frutto piace tutto un orto» cit.,
pp. 65-66. Sulla figura di Isidoro, cfr. F. Rossi, «Quel ch’è padre, non è padre...» cit., pp.
47, 91, 114 et passim.

CXIII
ROSSI

perché per sua natura


il foco è assai bestial.
    Calmate, eterni Dei,
un simil magnetismo,
o in tanto fanatismo
porgete ai voti miei
la flemma che vorrei
per tutte contentar.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.3)

Analogamente fa Gamberotto, che affianca il colloquiale briccone alla


topica invocazione agli astri, i realistici cinque, o sei temporali alla stere-
otipa ira divina, e che scomoda il letterario prigione in luogo del comune
prigioniero, oltretutto al maschile e riferito a germoglio (con facile doppio
senso osceno che rimanda all’equivoco della figlia spacciata per figlio):
Gamberotto Il mio germoglio
prigione? Astri bricconi
e lo soffrite? E ancor non fulminate
cinque, o sei temporali
contro il perfido autor di tanti mali?
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, II.11)

Ed è lo stesso ineffabile Gamberotto che così intima il silenzio: «Cos’è


quel chiasso | che il timpano mi rompe dell’auricole?» (ibid., I.8).
Con una fidanzata e un futuro suocero tanto saputi, anche l’insi-
piente Buralicchio tenta, come può, di darsi un tono; eccolo, durante la
presentazione alla promessa sposa, gareggiare in nonsense col suocero
(Totò e Peppino ante litteram), sfruttando il meccanismo della rima
giacché non comprende gli insulsi suggerimenti:
Gamberotto (Di’ con me, che dici bene.)
(insinuandoli sottovoce il complimento)
    Non ha il prato tante rape...
Buralicchio Come rape? non ci cape.
Gamberotto non ha l’orto tante zucche...
Buralicchio Non vi son tante parrucche...
Gamberotto non ha il campo tante fave...
Ernestina Oh che frasi belle, e brave!
(Quasi quasi io riderei.)
Gamberotto e quanti son gli ossequi miei
Buralicchio che ossequioso ossequio a te.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.7)

CXIV
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

Analogamente (con allitterazione e figura etimologica):


Buralicchio Se io non fossi certo
della certezza di questo accidente
crederia alle sue ciarle certamente.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravante, II.11)
L’abuso della terminologia forense è spesso deriso da Gasbarri,
sull’onda lunga dell’opera buffa settecentesca:
Buralicchio Ma le prove...
Gamberotto Quai prove?
Buralicchio Ho qui disposta
ragionata querela.
Gamberotto Ebben: ti voglio
legalmente legar. Sia questo il buco. (siede con gravità)
Buralicchio Che buco?
Gamberotto Oh talpa! Il foro
dove esaminerò gli appelli tuoi
per formalmente giustiziarti poi.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.11)
Oltre all’allitterazione paronomastica legalmente legar, spicca il
doppio senso di foro ‘tribunale’ e ‘buco’, anch’esso finito poi in un film
di Totò: «Lui è un principe del foro// È come un sorcio// È conosciuto
in tutti i fori»  15. Con questo non si vuole dire, ovviamente, che gli sce-
neggiatori di Totò conoscessero i libretti di Gasbarri, ma semplicemen-
te individuare un terreno comune a queste due forme testuali (opera
buffa e cinema farsesco), entrambe eredi della commedia dell’arte.
Anche a giustiziare è dato un significato abnorme (‘rendere giusti-
zia’), come traspare dalla successiva battuta di Buralicchio «Giustizia-
temi voi, Ser Gamberotto» (ibid., I.11) e già nella prima scena, con
paronomasia e paretimologia giustifica, giustizia, giustiziare:
Ermanno Se mi destina - a un tanto onore
saprò la scelta - giustificar.
Gamberotto Se mi giustifica - con la giustizia
  16
saprò i suoi meriti - giustiziar .
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.1)

15
  Sette ore di guai, 1951, regia di Vittorio Metz e Marcello Marchesi, trascrizione
da F. Rossi, La lingua in gioco cit., p. 212.
16
  «L’unica edizione a stampa dello spartito (pubblicata da Ricordi nel 1851), re-
stia a credere che Rossini abbia potuto mettere in musica questo insulso gioco verbale,
cambia la parola finale in “giustificar”, mandando così a monte l’intero effetto» (Philip

CXV
ROSSI

Ancora, a biancheria viene attribuito il significato di ‘candore mo-


rale, innocenza’, in un enunciato sempre deridente lo stile avvocatesco:
«Che prove adduci di tua biancheria?» (ibid., I.11).
Tale sistematica derisione del modo di parlare dei personaggi non
è né scontata (o quantomeno, non in tutte le opere buffe è condotta
con tanta maestria), né casuale, ed è, come non raramente nei libretti di
Gasbarri, finemente preannunciata nella tavola delle dramatis personae
dell’Equivoco: «Ernestina, figlia di Gamberrotto, che affetta letteratu-
ra», «Gamberotto, villano nobilitato», «Buralicchio, giovane ricco e
sciocco, promesso sposo di Ernestina».
Così (e con maggior evidenza sarà osservato anche sotto, per L’in-
nocente ambizione) il Gasbarri mostra non comuni doti registiche, ol-
treché drammaturgiche, nello scolpire in due parole tutto un caratte-
re, poi coerentemente sviluppato con mezzi linguistici nel corso del
dramma. Finezza ribadita nelle frequenti e minuziose didascalie (anche
queste sicuramente più dettagliate nell’opera buffa che nella seria, ma
non sempre così ben costruite) che punteggiano i libretti migliori e che
dicono moltissimo (al compositore prima, agli interpreti, agli allestitori
e agli spettatori poi) sulle attitudini, gli atteggiamenti, i comportamenti
e i movimenti dei personaggi, dai maggiori ai minimi (e spesso anche
sulle caratteristiche che la musica deve avere in quel momento, a con-
ferma della non impermeabilità musicale di certi librettisti dell’epoca
e della possibile collaborazione col maestro di turno). Basterebbero le
seguenti didascalie del Finale dell’Innocente ambizione a dimostrarlo,
allorché Cicco (non più finto conte, ma vero servo imbarazzato) e la
cameriera Rosina stanno per rappacificarsi (si riportano per comodità
tutte di seguito le quattro distinte didascalie collocate nei diversi mo-
menti del dialogo):
Va per accostarsi a Rosina, e quella, che si era seduta ad un sasso, naturalmen-
te si alza, ed egli s’intimorisce.
Se le accosta risoluto.
Rosina lo guarda, s’intenerisce, ma poi ravvedendosi, va dall’altra parte della
Scena.
Cantando lo interrompe, e va dall’altra parte.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, II.ultima)

Gossett, L’equivoca e stravagante signora letterata di Rossini, in L’equivoco stravagante,


programma di sala, Pesaro, Rossini Opera Festival, 2002, pp. 13-24: 15).

CXVI
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

2.  Mistilinguismo: il “latinorum” degli azzeccagarbugli

Non è soltanto nel libretto L’equivoco stravagante che Gasbarri si


diverte a far il verso a chi usa la parola per confondere le carte in tavola
e le idee altrui. Gran parte della comicità dei Puntigli per equivoco pog-
gia proprio sull’abuso della terminologia giuridica e burocratica e sul
code-mixing tra stile forense e dialetto napoletano. Il protagonista della
vicenda è per l’appunto un notaio partenopeo, Don Fabio Vozzola, il
quale infarcisce il proprio eloquio di tecnicismi (anche medici, econo-
mici e d’altri ambiti ancora, oltre a quelli avvocateschi) e latinismi, scu-
sandosi con le ragioni professionali: «È frase di Notaro. Pass’avanti» (I
puntigli per equivoco, I.8). Nelle sole prime tre scene dell’Atto Primo
si incontrano almeno i seguenti termini e locuzioni notevoli: poliza e
poliza d’affitto, citra prejudicium, ratifica, cauterio (‘piaga, medicamento
caustico e, in senso figurato, angustia’: «Vedete che cauterio | costui mi
vuò applicar!», I.1), china, antimonio, cum sacculo parato, istanza, pro-
cura, cambiale, quietanza, commendatizia, nulla mora posposita, bene-
placito, dispositivo, obbligativo, proculdubio, ad maiorem cautelam, sta-
bile, vincolo, conzenzo fittizio, alienato, uxorare, formolario, nubere, seu.
Nell’abuso di tecnicismi, e soprattutto nel considerare i rapporti
umani alla stregua di quelli con la merce, il libretto dei Puntigli sem-
bra avere non poche assonanze col successivo libretto rossiniano della
Cambiale di matrimonio di Gaetano Rossi (1810). Entrambi i testi, poi,
sono sicuramente debitori (come pressoché ogni libretto buffo dell’e-
poca) della comicità goldoniana: val forse la pena di ricordare che la
prima attestazione nota del sostantivo cambiale, dominante in entrambi
i libretti, è proprio in Goldoni (L’uomo di mondo, 1738)  17. Come già ac-
cennato e come si vedrà meglio in seguito, del resto, le ascendenze gol-
doniane del Gasbarri non si esauriscono qui: oltre ai ritratti femminili
(la Rosina dell’Innocente ambizione, la Livietta dell’Amor per interesse,
l’Ernestina dell’Equivoco stravagante, la Filamonda del Qui pro quo, tra

17
  Cfr. LIZ e Carmelo Scavuzzo, Sulla lingua del teatro in versi del Settecento,
«Studi di lessicografia italiana», XIX, 2002, pp. 183-228: 222. Sull’influenza di Gol-
doni nell’opera buffa, oltre a quanto detto infra, nell’ultimo paragrafo, cfr. F. Rossi,
«Quel ch’è padre, non è padre...» cit., pp. 56-57, 341-343 et passim; Id., Imitazione e
deformazione di lingue e dialetti in Goldoni, in Studi linguistici per Luca Serianni, a cura
di Valeria Della Valle e Pietro Trifone, Roma, Salerno, 2007, pp. 147-162; Id.,
L’eredità linguistica lasciata da Goldoni al melodramma primottocentesco, in Rossini und
das Libretto, a cura di Reto Müller e Albert Gier, Leipzig, Leipziger Universitätsver-
lag, 2010, pp. 139-157; Id., Poesia per musica cit., pp. 309-312.

CXVII
ROSSI

le tante, si rivelano parenti strette di Mirandolina e delle altre colleghe


lagunari), sono goldoniani sicuramente l’attenzione alla psicologia dei
personaggi legata al loro status sociale, il solido intreccio drammatico
dei libretti migliori e soprattutto la capacità di scolpire, attraverso la
lingua (dai tic linguistici ai giochi verbali, dal cambiamento di registro
a quello di codice), la complessità dei personaggi.
La diglossia del notaio si manifesta talora nel contrasto tra l’a parte
e la battuta rivolta ad altro personaggio: a seconda dei casi, infatti, o
l’uno o l’altra sono, rispettivamente, prevalentemente in napoletano o
preferibilmente in latino-italiano dotto o aulico:
Fabio (Giacché songo io, mettimmonce in quantunque.)
Ad majorem cautelam io direi,
che parlassimo un poco della dote;
acciò applicando sopra questo stabile,
ogni vincolo osservi, e condizione;
che la gatta nel sacculo
non si prende così, o mio patrone.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.3)

E, poco dopo:

Fabio (O caso strano, sive inopinato!)


E tua figlia ci ha sfizio?
Fronimo Che ti pare?
Fabio (O birba sine appello! e poi mi scrive:
Notaruccio caruccio!
Ah ca jastemmarria in forma pubblica!)
Vedi bene Don Fro’? fusse in conzenzo
fittizio?
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.3)

Fabio (Io si non crepo adesso


sarraggio fatto a prova di cannone.)
Orzù, io me ne vado: io sono incomodo.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.14)

Fabio (Prejatenne;
ca mo l’acchiappe! Orsù, mo jammoncenne.)
O, Signori miei belli,
vi riverisco ad invicem.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, II.2)

CXVIII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

Altrove, la mescidanza italiano, napoletano e latino, lingua stan-


dard, superstandard, colloquiale, substandard e specialistica colpisce la
medesima battuta, senza distinzione in a parte:

Fabio Lei mo sagli sopra


addove sta mia sorima
e sappia ch’io nulla mora posposita
farò quanto mi scrive Don Arzenico.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.2)

La ragguardevole sensibilità linguistica del Gasbarri assembla,


nei pochi versi appena riportati, tutti i tratti tipici di chi vuol darsi un
tono al di sopra del proprio status, senza però riuscirci: combinazione
dell’allocutivo formale di cortesia Lei che confligge non soltanto con la
forma dialettale sagli, ma anche con la seconda persona del medesimo
verbo; il possessivo enclitico in sorima (sorta di compromesso fonetico
rispetto alla pronuncia napoletana sorema ‘mia sorella’) viene stempe-
rato dal pleonastico e ipercorrettistico mia; e infine la deformazione
paronomastica del nome proprio Arsenio in Arzenico (con credibile
resa in <z> della pronuncia affricata [ts] o [dz] della sibilante postvi-
brante RS), che vanifica lo sfoggio di dottrina del congiuntivo (sappia)
e soprattutto dell’ablativo assoluto nulla mora posposita (‘senza perder
tempo’), per tacere della convivenza tra i regionali mo ‘ora’, addove
‘dove’ e sta ‘è’ con l’italiano forbito «farò quanto mi scrive».
Nell’Amor per interesse, il pleonastico e affettato mia sorema ‘mia
sorella’ compare anche nel parlato del salumiere napoletano Pancrazio,
il quale conversando col barbiere italofono Fazio cerca di darsi un tono
(II.3-4); analogamente, lo stesso Pancrazio usa moglierella, in glossa del
precedente napoletano mogliera (II.3), per via della rima con sorella,
detto da Fazio (cfr. anche moglierama: II.ultima).
Altri casi gasbarriani di mistilinguismo:

Fabio (Via songo io proculdubio.)


(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.3)

Fabio Zitto, ca so stato


testimonio di visu, auditu, & tactu
della tua jacovella,
e che fuorze jocammo a bassettella?
Bettina Ma...
Fabio Ma colui dev’essere lo sponso?

CXIX
ROSSI

E sponsalo. Io ti annullo
dall’antico mio foco,
e faccio irrito, e casso
il giuramento, che con teco ho fatto;
scocchia ccà, è rescisso già il contratto.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.5)

Notevole, in quest’ultimo caso, il fatto che la deformazione ludica


intacchi anche il lessico amoroso, mettendolo in burla (il che accade
non di frequente, dal momento che le sezioni amorose dei drammi gio-
cosi determinano di norma un innalzamento diafasico e un ripiegamen-
to verso l’aulicismo e la stereotipia lirica). E ancora:

Fabio     (Sta’ fermo, Notà Fabio,


sta’ saldo, si no sciulie;
l’assalto è troppo critico,
potria spostarmi ancor.)
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.5)

Fabio Riverisco insolitum


la zita, il zito, ed anche il Genitore.
Miettete ccà; e voi a core a core. (ad Eugenio, e Bettina)
[...]
E che ti par? Mettiamoci l’occhiale. (siedono)
Or siamo tutti, ancora i Testimonj
a jure requisitis; figli mascoli
come diluviassero;
acciò la vostra razza cavallina
venga in aumento, e non in detrimento.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.8)

Fabio     Che dici? Le parti


con bona salute
non son convenute,
ed io padron caro
son Regio Notaro,
né posso un contratto
doloso, vel matto,
mo qui roborar.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.8)

CXX
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

Fabio Oh ca mme sò levato no cantàro


da copp’a lo vellicolo. Bettina
con quella marcangegna, che mo ha fatto,
mi ha rattificato l’amor suo
cum pondere, et mensura. Ed io sicuro
sono che il pero già si fa maturo.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.10)

Fabio O sorte! & quid credebat


cotesta metamorfosi? Or la cosa
s’è acconciata per me troppo addorosa.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.10)

Fabio Statti cheta,


non farte vedé affatto, per non fare
penetrare all’amico, che qui stai.
Noi intanto opreremo con il Giudice,
e si liquiderà la tua ragione
poscia, o ’nguadia ch’hai tuorto, o va presone.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.10)

Fabio Lei sbagliò. Io appresi


l’arte notaria, e non l’arte oratoria
veda ussoria! è asciuta n’auta storia.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.11)

Fabio Io stonghe co li cancare


ultra vires del solito.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.14)

Fabio (Chisto è ghiuto ’mpazzia!)


E questo ccà va bene: ma dovevi
prima sentire il quia, il cur, e il quare
di quel mio illegittimo operare.
Bettina Ma io ero gelosa... E lei ancora
sentir doveva il cur, il quare, e il quia
quando mi ha tormentato ussignoria.
Fabio Malosca! dice bene.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, II.14)

CXXI
ROSSI

Tale alternanza di brani in italiano (o latino) e dialetto non è cer-


to una novità, nell’opera buffa, ché anzi il mistilinguismo è d’uopo in
presenza di un cosiddetto “buffo napoletano” nel cast (come il cele-
berrimo Carlo Casaccia, il Casacciello, interprete di Pancrazio, nell’A-
mor per interesse), sia in libretti scritti ad hoc (in Rossini è il caso della
Gazzetta), sia nel caso di riscritture locali (come avverrà per il Turco in
Italia, Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola, Matilde di Shabran)  18. Nel
corpus gasbarriano si vedano anche Matusio e Cicco dell’Innocente am-
bizione (ma quasi in ogni libretto gasbarriano, e in generale nei libretti
comici partenopei, v’è almeno un personaggio che napoletaneggia).
Anche il salumiere dialettofono partenopeo Pancrazio, nell’ultima
scena dell’Amor per interesse, latineggia un po’:

Pancrazio Mm’avete spogliato comm’a leggo legis.


(G. Gasbarri, L’amor per interesse, II.ultima)

Pancrazio Uscia men vaga


facenno mo la restituzione
in integrum de quanto t’accchiappaste
de fatte mieje.
(G. Gasbarri, L’amor per interesse, II.ultima)

Analogamente fa la cameriera Leonarda (pur non napoletana, ma


a conferma della trasversalità sociale del mistilinguismo buffo) nell’Ajo
in imbarazzo, I.3: «Tu di là, io di qua... | Virtus unita fortior già si sa».
Sulla produzione media, tuttavia, il libretto dei Puntigli per equivo-
co spicca per acutezza dei giochi linguistici e per la funzionalità espres-
siva, non meccanica, dei fenomeni del code-switching e del code-mixing,
sempre al servizio della resa drammaturgica del testo e psicologica del
personaggio  19. Latinismo comico per eccellenza (e dunque con spiccata

18
  Cfr. Fiamma Nicolodi, Schede sulla prassi esecutiva, in Il turco in Italia cit., pp.
XCIX-CXXII; I libretti di Rossini, vol. I, a cura di Vittorio Viviani, Milano, Rizzoli,
1965, pp. 222-252 e 255-273. Sull’uso del napoletano nell’opera buffa, cfr. Nicola De
Blasi, Storia linguistica di Napoli, Roma, Carocci, 2012, volume indispensabile, nella
sua interezza, sulla storia e le caratteristiche delle lingue di Napoli dal Medioevo a oggi.
19
  Sul napoletano e sul latino dei Puntigli, cfr. anche G. Nicolini, «E per un frutto
piace tutto un orto» cit., pp. 58-59. Anche le mescidanze di italiano, dialetti e latino,
tipica marca della librettistica buffa, provengono dalla commedia dell’arte: cfr. Ber-
nadette Ferlazzo, Dialetti in scena ne «Gli amorosi inganni» di Vincenzo Belando, tesi
di dottorato in Studi linguistici italiani, XXII ciclo, Università degli studi di Messina,
2010, tutor Fabio Rossi, pp. 31, 43 et passim e Ead., Il siciliano in scena ne «Gli amorosi

CXXII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

componente metateatrale), soprattutto in presenza di elencazioni, op-


pure di brani scritti, letti o dettati in scena, oppure ancora di tecnicismi
e di burocratismi, è eccetera  20, che puntualmente vi compare più volte:
Fabio Ma tua figlia ci presta il beneplacito
dispositivo, obbligativo, & cetera?
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.3)

Fabio Patti, capitoli, e convenzioni (dettando)


fra Don Eugenio Vigna
e Don Fronimo Perchia, il quale eccetera
interviene per sé, e in nome eccetera
di Donna Betta Perchia...
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.8)

Fabio Sunt partes – eccetera


scordantes – eccetera
nec possunt – eccetera
contractum – eccetera
perfectum – eccetera
tra se consumar.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.8)

Latino e italiano aulico servono ai personaggi gasbarriani, come s’è


già visto, soprattutto a darsi delle arie, e a farlo sono specialmente i
parvenu: deliziosa la scena in cui la serva Rosina, convinta che il suo
spasimante Cicco sia conte, così apostrofa la propria padrona Angelica:

Rosina Padrona! Lei è Dama provinciale,


e noi siamo una Dama capitale.
E come tale non possiamo poi
senza aria darvi ascolto.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.12)

inganni» di Vincenzo Belando, in Storia della lingua italiana e dialettologia, Atti dell’VIII
Convegno ASLI (Palermo, 29-31 ottobre 2009), a cura di Giovanni Ruffino e Mari
D’Agostino, Palermo, Centro di Studi Linguistici e Filologici Siciliani, 2010, pp. 417-
434. Sulla presenza del fenomeno in Totò, cfr. F. Rossi, La lingua in gioco cit., pp. 46-49.
20
  Su eccetera, cfr. Marco Beghelli, “Con venti etcetera”: la ricchezza melodram-
matica di uno stereotipo linguistico, «Musica e Storia», X, 2002, pp. 290-300; Id., Le
didascalie nei libretti rossiniani, in Rossini und das Libretto cit., pp. 159-183: 174-176;
F. Rossi, L’eredità linguistica cit., pp. 146-148.

CXXIII
ROSSI

Dal canto suo, il già citato Cicco, finto conte, così rimprovera Vale-
rio di dargli del tu senza rispetto per il grado nobiliare:

Cicco E se chiamar mi vuoi, chiamami Conte.


Valerio Tu?
Cicco Che rrobb’è stto tu? Vuò, che te sbatto
nfaccia la mia Contea?
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.14)

E, da conte, innalza subito il suo eloquio, approssimandolo, con ir-


resistibile ironia e metateatralità, a quello dei libretti seri: «s’insinui»
dice a Venanzio, per farlo accomodare, in luogo di entri. E anco-
ra: «si porga», «si ripudi»  21, «Potentissimi Numi», «avversa stella»
(ibid., I.16).
Insinuare nell’inconsueto significato di ‘introdurre, far entrare, pre-
sentare’ compare anche, con l’inevitabile quanto prevedibile doppio
senso osceno, nell’Equivoco stravagante, allorché Gamberotto così pre-
annuncia al futuro genero Buralicchio l’imminente presentazione a sua
figlia Ernestina:

Gamberotto T’insinuerò. Vedrai nel suo bel fisico


tanta vaghezza, tanta leggiadria,
ch’io credo a stento che sia figlia mia.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.4)

A darsi un tono c’è anche un’altra parvenue, nel corpus gasbarria-


no, ovvero la ballerina Livietta nell’Amor per interesse: «La testa ho in
testa - tutta intronata» (I.5), con una battuta che ancora una volta sarà
riecheggiata nell’Equivoco stravagante: «Uom senza testa in testa» (I.8),
dice il risentito Gamberotto a Buralicchio, che ha mancato di rispetto
a Ernestina.
Ancora a Gamberotto ed Ernestina fanno pensare un altro padre e
un’altra figlia gasbarriani: Zaccaria si compiace della cultura della figlia
Lisetta, sentendola pronunciare ergo: «Bello quell’ergo: è proprio lette-
rata» (Il qui pro quo, II.4).

21
  Sull’uso del si passivante e impersonale come tipico poetismo operistico serio,
cfr. F. Rossi, «Quel ch’è padre, non è padre...» cit., pp. 217-221.

CXXIV
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

3. Fischi per fiaschi e qui pro quo: dai malapropismi alle risemantizza-
zioni

Certo, il darsi un tono può giocare brutti scherzi, come quello di


prendere fischi per fiaschi.
Non molto dissimile dalla risemantizzazione razionalistica di bian-
cheria sopra commentata (diciamo così, nel senso di ricondurre forzata-
mente il significato delle parole al loro etimo originario, gioco anch’es-
so molto caro alla commedia dell’arte e alla comicità avanspettacolare)
è quella di umanità ricondotta, da homo, a ‘mascolinità’, sempre nell’E-
quivoco stravagante:
Buralicchio     Più lo guardo, più l’osservo,
più l’Eunuco in lui ravviso;
femminin non è quel viso
ha un tantin d’umanità.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, II.4)

A parlare così è lo stolto Buralicchio, che si riferisce a Ernestina


da lui creduta un uomo castrato vestito da donna. Molto probabil-
mente il medesimo gioco di umanità ‘mascolinità’, con la medesima
allusione all’omoerotismo, si incontrava già nei Puntigli per equivoco,
allorché Fronimo ed Eugenio supplicano il notaio Don Fabio di ac-
contentarli:

Fronimo     Ma per altro, voi potreste


contentar la brama mia.
Fabio Ha sbagliato ussignoria,
io votai di castità.
Eugenio     Perché mai da lei si abborre
quel che ognun di noi desìa?
Fabio Ca studiai Filosofia,
non appresi umanità.
Fronimo ed     (Più d’un marmo freddo, e duro
Eugenio qui l’amico se ne sta.)
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, II.4)

Per tornare allo stolto Buralicchio dell’Equivoco, egli fraintende il


parlar purgato con l’assunzione di un purgante:

Gamberotto Parli molto purgato.


Buralicchio Eh! noi Signori

CXXV
ROSSI

che l’intelletto abbiam di dotte tempre


pria di parlare ci purghiamo sempre.
Gamberotto Ancor io qualche volta
tento purgarmi; ma malgrado i miei
sforzi spropositati ho sempre in corpo
il sugo della Zappa
che succhiai col succhiare della pappa.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.4)

Ed ecco che così, dal darsi un tono al fraintendimento, si trascolora


fatalmente nel gioco linguistico, che è sempre dietro l’angolo in Ga-
sbarri.
Quasi in ogni scena dell’Equivoco s’annida almeno un doppio sen-
so a sfondo sessuale. I migliori (spicca l’uso, tuttora comune in italiano,
di dare e venire in accezione erotica  22) sono nell’Atto Secondo, allorché
Buralicchio, convinto che la sua promessa sposa Ernestina sia in realtà
un castrato, inizia a sottrarsi alle grazie dell’ignara ragazza:

Ernestina Ma il ciglio volgi altrove, (tenera)


del mio tenero amor prefissa meta.
Buralicchio Scusi, quest’oggi voglio far dieta.
Ernestina Ti accosta qua: vo’ darti
di mia sincera fé tenero pegno.
Buralicchio Che darmi puoi, se un pezzo sei di legno?
Ernestina Ti vo’ cantare un’ariettina tenera.
Buralicchio Per questo poi lo credo, e ci scommetto,
puoi cantar al più al più qualche mottetto.
[...]
Ernestina     Se non vieni verrò io...
Buralicchio Non s’accosti al fianco mio.
Ernestina Dar ti vuo’ una cosa bella...
Buralicchio Che puoi dar se non sei quella?
Ernestina E chi son, saper si può?
Buralicchio Sei... tu sei... Te lo dirò.
    Per chi la roba grassa
a digerire è avvezzo
sei di materia un pezzo,
che in gola può restar.

22
  Se il primo verbo ha secolari attestazioni in accezione sessuale (cfr. GDLI, s. v.
dare, §§ 59, 62), il secondo, invece, nell’accezione di ‘avere un orgasmo’, è datato dal
GDLI, s. v. venire, § 31, non prima del 1905, in Alfredo Panzini.

CXXVI
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

Ernestina     Chi suol mangiar di magro,


cara sardella mia,
chi studia anatomia
solo ti può apprezzar.
  23
Buralicchio     Quei fianchi son da musico .
Ernestina Le gambe son da tisico.
Buralicchio Hai certo che d’anfibio.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, II.4)

Ma già nelle scene precedenti, l’Equivoco non mancava di doppi


sensi. Per esempio, quando si gioca sul duplice significato di piena ‘col-
ma’ e ‘incinta’ e forse anche su interessante punto, nell’accezione di
stato interessante ‘gravidanza’  24:

Buralicchio Che fa la cara sposa,


Ernestina che fa?
Gamberotto È piena...
Buralicchio Piena?
Gamberotto Di contentezza, già vedendo giunto
quel per le donne interessante punto.

(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.4)

E nella scena successiva: «Puntellate vi prego | la mia filosofia con-


valescente» (ibid., I.5), dove è evidente il valore osceno di quel pun-
tellare. Su piena (‘incinta’), tra l’altro, nella medesima scena I.5, s’ap-
punterà, com’è noto, la censura. Così recitava il testo originale, ancora
riscontrabile nelle più antiche partiture manoscritte (cfr. cap. IV, § 2 di
questo volume):

Ernestina     Nel cor un vuoto io provo (alzandosi)


che non so dir cos’è:
mi veggo, e mi ritrovo
mancarmi un non so che.

23
  Tra il Sei- e l’Ottocento, musico vale, soprattutto, ‘cantante castrato’ (ante 1650
in Salvator Rosa per GDLI, s. v. musico2, § 3), oltre ai consueti significati di ‘compo-
sitore’, ‘teorico della musica’, ‘esecutore’, ecc. Sia musico sia mottetto, subito sopra,
come del resto tutti i riferimenti agli evirati cantori, conferiscono all’Equivoco strava-
gante una forte componente metateatrale e metamusicale.
24
  Stato interessante è datato da GDLI (s.v. interessante, § 4) ante 1890 e post 1875
(Carducci).

CXXVII
ROSSI

Colleghi miei dottissimi,


vuota son io: perché?
Coro     Vuota se adesso sei,
più vuota non sarai:
col tempo troverai
un gaz, un infiammabile,
o un qualche vegetabile
pallon ti renderà.

(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.5)

Così il brano fu censurato nel primo libretto a stampa e nelle copie


successive della partitura rossiniana:

Ernestina     Nel core un vuoto io provo (alzandosi)


che non so dir cos’è:
mi veggo, e mi ritrovo
mancarmi un non so che.
Colleghi miei dottissimi,
trista son io: perché?
Coro     Se trista adesso sei
trista poi non sarai:
col tempo troverai
chi ti consolerà.

(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.5)

Ancora, ibid. I.7: «Apri un po’ la bocca angusta | allo sposo, e al


precettor» (ben più esplicito in partitura, dove al posto di «apri un
po’» è superstite l’originale «slarga pur»). E nella stessa scena: «Il var-
co è a lei già aperto, | che alla vetta conduce un uom di merto».
Notevole (per l’arditezza) anche la vis ludicra verbale che prepara
all’equivoco dello scambio di sesso: «Chi sa che vi è mai sotto» (ibid.,
I.11); e, nella stessa scena, ancora darla ‘di una donna, concedersi ses-
sualmente’: «Ah figlia, dagliela, - senti a papà» (ibid., I.11), ribadito da
Rossini in partitura anche nella successiva battuta di Buralicchio: «Ah
dunque dammela, - per carità» (censurato in «La mano dunque - per
carità»)  25.

25
  Sui doppi sensi sessuali dell’Equivoco e sui problemi della censura, cfr. Marco
Beghelli e Stefano Piana, La nuova edizione critica, in L’equivoco stravagante, pro-
gramma di sala, Pesaro, Rossini Opera Festival, 2002, pp. 37-44; F. Rossi, «Quel ch’è

CXXVIII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

Passiamo ora a doppi sensi d’altra natura (o quasi), a partire da


quello, con raffinata mise en abîme, sulla parola chiave del libretto qui
commentato, vale a dire equivoco:

Gamberotto     Volgi le amabili - pupille elastiche


a questa bestia - senza giudizio
figliola equivoca - d’un semideo
d’un forte Acheo - di nostra età.

(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.11)

Se a equivoca sembra qui doversi attribuire il significato di ‘straor-


dinaria’, ma anche, dato il titolo e la trama dell’opera, ‘di dubbia mo-
ralità’ e ‘di incerta natura sessuale’ (situazione aggravata dalla lezione
originale del libretto, che in vece di «forte Acheo» prevedeva un «Mar-
docheo» di trivialissima assonanza)  26, le pupille elastiche non possono
non rimandare alle pupille tenere del celebre rondò di Curiazio in Gli
Orazi e i Curiazi di Antonio Simeone Sografi per Domenico Cimarosa
(1796):

Curiazio     Quelle pupille tenere


che brillano d’amore
vedran di questo core
candida ogn’or la fé.

Ma già qualche scena prima era stato Buralicchio ad equivocare l’ap-


prezzamento «Quell’occhio tenero» espresso da Ermanno a Ernestina,
parafrasandolo da par suo in «Quel ciglio morbido» (I.7): il tutto, di
rimando in rimando, in un gioco di specchi carissimo all’operismo co-
mico sette-ottocentesco.
Sull’aggettivo equivoco tanto caro a Gasbarri (compare in ben tre
titoli della sua non ampia produzione librettistica: I puntigli per equi-
voco per Fioravanti, L’equivoco per Coccia e L’equivoco stravagante per
Rossini), si continua a giocare nell’Atto Secondo:

padre, non è padre...» cit., pp. 77-80; Id., Rossini e il «mal d’amore», in Sublimazione e
concretezza dell’eros nel melodramma. Rilievi linguistici, letterari, sessuologici e musico-
logici, a cura di Fabio Rossi, Roma, Bonacci, 2007, pp. 121-145: 126-127; G. Nicolini,
«E per un frutto piace tutto un orto» cit., pp. 55-56.
26
  Cfr. cap. IV, § 2 di questo volume. La versione originale del libretto, di cui
rimangono solo vaghe tracce in partitura, moltiplicava certamente i giochi linguistici
bislacchi, quando non del tutto osceni.

CXXIX
ROSSI

Gamberotto     Prole d’un padre equivoco (facendosi avanti)


nata fra zucche, e cavoli,
i miei mandati ed ordini
si eseguono così?
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, II.4)

Il solito ammiccamento alla supposta ambiguità sessuale della pro-


tagonista Ernestina (spacciata, s’è detto, per un castrato) innesca la
comicità anche per via degli opposti riferimenti all’importanza, per le
scienze e la filosofia, di ben distinguere tra il maschio e la femmina.
Due esempi:

Coro     Come dai villici - si piantan cavoli


le scienze piantansi - così in città.
    Perciò germogliano - scoperte nuove,
che il terren bagnasi - si sa se piove,
si sa distinguere - l’uom dalla femmina,
e tante simili - curiosità.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.1)

Gamberotto     Egli è valente in lettere


e il bianco in men d’un atomo
dal nero sa distinguere,
e il maschio dalla femmina
senza difficoltà.
Si sa, si sa, si sa.
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, I.8)

Similmente ad equivoco, anche dubbio è usato in modo ambi-


guo: «Da un dubbio genitor sei scapolata» (I.11), in cui dubbio
sembra, dal contesto, avere qui il significato letterale di ‘dubbio-
so, che dubita’; viene tuttavia inoculato, nello spettatore, come già
per equivoco, un dubbio sulla paternità di Gamberotto (e forse
anche sulla sua virilità). Spicca inoltre la paretimologia del verbo
scapolare, pure attestato nel senso di ‘liberare’, qui ricondotto a
scapolo e, per di più, riferito a una donna nel senso di ‘privare del
fidanzato’.
Sul sostantivo equivoco, anzi sull’intera espressione equivoco stra-
vagante, gioca anche un ammiccamento metateatrale di Così si fa ai
gelosi:

CXXX
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

Donne     L’equivoco finora


è stato stravagante:
non venga mai l’istante
di farlo discifrar.
(G. Gasbarri, Così si fa ai gelosi, II.5)

Con personaggi supponenti, ignoranti e spocchiosi, il malapropi-


smo è sempre in agguato, come nella scena seguente, in cui Buralic-
chio, leggendo stentatamente una lettera fra le continue correzioni di
Frontino (che quella lettera aveva proditoriamente vergato), apprende
la “vera” natura di Ernestina:

Frontino Tutto è scoperto.


Buralicchio Cosa?
“Amico Gambero...” (leggendo)
Frontino Gamberotto dirà.
Buralicchio “Giunge in coteste
parti di minotauri...”
Frontino Di militari.
Buralicchio “Una colonna nobile...”
Frontino Mobile.
Buralicchio “Per sorprender
qualunque sia deserto...”
Frontino Disertore.
Buralicchio “Ve lo avverto acciò mettiate in salsa...”
Frontino In salvo.
Buralicchio “Il vostro caro figlio Ernesto
che da donna vestito
finor sì bene avete custodito.”
Come? che sento! parla...
  27
(G. Gasbarri, L’equivoco stravagante, II.3)

Talora nell’Equivoco stravagante non è un termine ad essere usato


al posto di un altro, bensì un pronome, come nello scambio di Lei per
Voi: «Chi siete lei?» (ibid., I.1).

27
  La trascrizione di questo passo si allontana sensibilmente dalla stampa del li-
bretto originale (riprodotto anastaticamente in fondo al volume), dove gli emistichi
risultano malamente accoppiati: sono dunque stati ricostruiti gli endecasillabi seguen-
do la scansione metrica dei versi. Per chiarezza grafica, le parole lette sono poi state
riprodotte fra virgolette, anziché in corsivo.

CXXXI
ROSSI

Passando agli altri libretti, il già commentato plurilinguismo non


sempre consapevole del notaio Don Fabio e la sua mania dei latinismi
espone lui e i suoi interlocutori a tutta una serie di equivoci e giochi di
parole, a partire dal delizioso uxorare ‘sposare’, frainteso da Fronimo
per ‘usuraio’:

Fronimo Io conosco,
che l’età mia comincia a declinare.
Onde vorrei... m’intendi... collocarla.
Fabio Cioè farla uxorare.
Fronimo Che parli di usuraro?
Fabio Questo è termine
del Formolario. Nubere, uxorare
vuol dire, prender moglie, seu marito.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.3)

E anche altrove Fronimo non capisce i termini del notaio:

Fabio Zitella in ampla forma roborata.


Fronimo Cos’è quel roborata?
Fabio È frase di Notaro. Pass’avanti.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.8)

Poco sotto, nella stessa scena, Fronimo non capisce «Infracitata» e il


notaio risponde: «Infrascritta, e infracitata | è lo stesso vacabolo» (I.8).
Anche i riferimenti alla storia antica possono mettere in difficoltà
l’interlocutore, allorché la battaglia di Canne è scambiata per un’im-
precazione (canna ‘gola’):

Venanzio Io poi, che so d’Istoria, capisco


perché mai voi siete travestito,
volete far quello, che fece Annibale
nella rotta di Canne.
Cicco Rotta de Canna a me? E oscellenza
on se rompe la noce de lo cuollo.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.8)

Più dimessamente, il numero nove viene scambiato come forma po-


etica non dittongata dell’aggettivo nuovo: «Dicono che le muse sono
nove | ed io le vedo vecchie», dice il poeta spiantato Pompilio (Il poeta

CXXXII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

fortunato, I.6). Più avanti, in versi qui anch’essi già citati, lo stesso assi-
mila, per paronomasia e sulla sua pelle, fama a fame:
Pompilio O Pompilio! Pompilio! a che ti serve
la fama che acquistasti
scrivendo Rime, Ottave, Drammi, et cetera,
se oggi per colpa di un destin infame
la fama tua sta diventando fame?
Fame, e freddo! Che innesto,
misero me! pericoloso è questo!
(G. Gasbarri, Il poeta fortunato, II.6)

facile gioco di parole che anche in questo caso ci riporta alla mente
Totò:
Lucas [Luigi Pavese] Un uomo con la vostra fama!
Totò Si vede?
Lucas Che cosa?
  28
Totò Sciupatino .

Pieno di giochi di parole è anche il libretto Il qui pro quo, quasi


l’espressione idiomatica eponima, più che lo scambio di persone, stesse
qui a indicare lo scambio di una parola (o un’accezione) con un’altra.
Uno dei fraintendimenti migliori è di lunga tenuta, nel linguaggio ope-
ristico, al punto da ritrovarsi nientedimeno che nella Bohème puccinia-
na («un piatto degno di Demostene: | un’aringa... salata»  29); quando
il servo sciocco Bertoletto, scambiato da Zaccaria per principe, sente
parlar di «una arringa» preparata per omaggiarlo, chiede a Zaccaria:
Bertoletto Negoziate in salumi?
Zaccaria Non fo tal mercanzia.
Son l’Intendente vostro Zaccaria.
Bertoletto E cosa dice mai costui d’arringhe?
Zaccaria E dell’ingegno di mia figlia un parto
osserverete ancora.
Bertoletto Ha dunque partorito la signora?
Zaccaria Parto d’ingegno dissi.
(G. Gasbarri, Il quo pro quo, I.2)

28
  Le sei mogli di Barbablù, 1950, regia di Carlo Ludovico Bragaglia, trascrizione
da F. Rossi, La lingua in gioco cit., pp. 188-189.
29
  Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, La Bohème, IV, vv. 655-656 (si cita da Libretti
d’opera italiani dal Seicento al Novecento, a cura di Giovanna Gronda e Paolo Fabbri,
Milano, Mondadori, 2007, p. 1639).

CXXXIII
ROSSI

Anche il secondo gioco (parto in senso letterale e metaforico) è assai


diffuso nella comicità popolare. Il solito Totò lo fraintenderà con l’an-
glicismo party, tanto da suscitare la seguente reazione di Peppino: «E
chi sgrava?» – «Sòreta!», risponde immancabilmente l’amico  30.
Subito sotto, Bertoletto deturpa il nome di Zaccaria in Beccaria, Ar-
pia, Giammaria (secondo un topos onomastico ininterrotto da Plauto ai
comici televisivi odierni). Inoltre:
– Zaccaria usa animale per anima; allorché sente la contessa dire:
«Il brio m’accende l’anima», lui ripete: «Il brio le accende l’ani-
male» (I.3);
– il coro di contadini, che deve ripetere le parole di Zaccaria, de-
forma due volte il toponimo Macedonia in Manfredonia e in Mac-
cheronia (I.7);
– Zaccaria dice esequie in luogo di ossequi: «Or ora in questo luo-
go istesso | avrà l’esequie ancora del bel sesso» (I.8), di nuovo
come farà Totò  31;
– Zaccaria deforma il noto motto latino in «Ecco lupus in fabbri-
ca» (I.12), sempre come Totò  32, e usa pubertà in luogo di probità:
Zaccaria Se alla mia pubertà...
Marchese Come!
Zaccaria Dicevo
se alla mia probità si affida lei,
che sposa acquisterebbe!
(G. Gasbarri, Il qui pro quo, I.12)

Infine allitterazione, figura etimologica e pleonasmo (malefico/ma-


lor) si hanno in:
Coro     Sincero dicaci - senza misteri
il mal malefico - del suo malor.
(G. Gasbarri, Il qui pro quo, I.ultima)

30
  Totò, Peppino e... la dolce vita, 1961, regia di Sergio Corbucci, trascrizione da F.
Rossi, La lingua in gioco cit., p. 54.
31
  In Totò e le donne, 1952, regia di Steno e Mario Monicelli, e in Uccellacci e
uccellini, 1966, regia di Pier Paolo Pasolini; «esequie» viene utilizzato anche per ‘con-
doglianze’ («esequie/ signora// Le mie esequie») in Siamo uomini o caporali?, 1955,
regia di Camillo Mastrocinque, trascrizione da F. Rossi, La lingua in gioco cit., p. 189.
32
  In Il medico dei pazzi, 1954, regia di Mario Mattoli, trascrizione da F. Rossi, La
lingua in gioco cit., p. 49: «Ciccillo   (riferendosi a un uomo che si finge pazzo) Lupus/
in fabula// – Felice [Totò]   Ohé! – Moglie   Chi è? – Felice   È un lupo della fabbri-
ca// Ce sarà una fabbrica de lupi// Che ne so//».

CXXXIV
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

4.  Il tic dell’interruzione

I tic linguistici rappresentano un aspetto, ancorché interessante dal


nostro punto di vista, non frequente nella librettistica ottocentesca. Se
lo trattiamo, in questa sede, è per la sua particolare rilevanza in un li-
bretto del Gasbarri: L’innocente ambizione. Nell’elenco dei personaggi
preposto al dramma, leggiamo: «D. Venanzio Padre di Angelica, uomo
inconcludente, e di umore stravagante». Etichette in apparenza così
generiche (inconcludente, stravagante), che tanto poco sembrano svela-
re sulla natura del personaggio, assumono subito concretezza, fin dalle
prime battute:

Venanzio Per Bacco, e poi si dice (in collera)


che sono uno... che... certo
se non posso veder... Che cosa c’entra
questo con quello? Guarda che animale!
Marcia di qua... ma caro il mio Valerio
io t’amo, e tu per questa
maledetta pittura
vuoi forse rovinar gli abiti miei?
Io so che chi dipinge... basta... poi...
capisci bene il resto?
Fa’ il Cameriere, il tuo dovere è questo.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.1)

Molti turni dialogici di Don Venanzio si concludono con l’espres-


sione «Capisci bene il resto?», che più o meno sta per la domanda
retorica «Lei mi intende?» o «Mi capisci?», ma che, nel nostro perso-
naggio, anziché presupporre una risposta affermativa, ovvero nessuna
risposta (come mero fatismo e richiesta di feedback, atta a sollecitare
l’attenzione dell’interlocutore), implicano invece l’assoluta incom-
prensione da parte del malcapitato destinatario dei suoi sproloqui.
Ecco dunque che l’inconcludenza e la stravaganza del personaggio
si chiariscono: si evincono dalla sua incapacità a portare avanti un
discorso, a concludere il giro sintattico delle frasi, ad essere coeren-
te e coeso, e dal suo frequente ricorso ad espressioni idiomatiche
strampalate. La costruzione del suo carattere avviene, insomma, con
mezzi quasi esclusivamente linguistici, tanto quanto la comicità che
ne deriva. Come si è visto dalla battuta appena citata, l’espediente
grafico con cui viene resa l’inconcludenza è quello dei puntini di so-
spensione, che nella scrittura drammaturgica (soprattutto dei libretti

CXXXV
ROSSI

d’opera) assolvono a una duplice funzione: 1) indicano enfasi e forte


emozione (soprattutto nei libretti seri o nelle parti amorose di quelli
buffi); 2) contrassegnano sospensione o interruzione di parole, fra-
si o concetti (per aposiopesi, difetto di pronuncia o inconcludenza,
appunto). Quest’ultima funzione è pressoché assente, salvo rare ecce-
zioni, nei libretti seri.
Ma vediamo qualche altro esempio del parlare interrotto e saltel-
lante di Don Venanzio. Poco dopo la sfuriata di cui sopra – e sempre
suscitata dall’insofferenza, ma anche dall’affetto, nutriti nei confronti
del cameriere (in realtà cavaliere travestito) Valerio, segretamente inna-
morato della figlia di Venanzio – quest’ultimo esclama:

Venanzio Spiegarsi?
Tu credi, che spiegarsi è cosa... Io
spiego Virgilio, e pure non so leggere...
Perché il leggere...
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.1)

Contro Cicco, suo rivale in amore per la bella cameriera Rosina:

Venanzio Perché noi,


quando siamo... Non dico... ma può darsi...
che ogni cosa alla fine...
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.3)

All’amata Rosina:

Venanzio Rosina, intendi bene...


Quando uno a dirla schietta...
E poi se un altro...
[...]
Oh! siam restati soli!.. Senti Rosa,
Amore sai cos’è? È per esempio...
Hai visto un fiume? Ed io ne tengo prattica
che chi corre si perde. Tu potresti...
Non dico già di farsi,
che ogni cosa alla fine poi può darsi.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.3)

Venanzio È fatto, è fatto... Io... già mi capisci...


Non ci è dubbio, che penso... anzi... che gusto!
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.6)

CXXXVI
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

A Cicco, credutolo conte, Don Venanzio si rivolge, con incoerenza


quasi schizofrenica, alternando mozziconi di frase per cattivarselo, con
altri per minacciarlo:

Venanzio Ma perché trasmigravi? Però io


sapevo, che chi nasce ha da morire...
Per esempio se uno... eh non fa il caso...
Ma poi perché nascondervi? O cospetto!
Lei non sa di creanza... In casa altrui
non si entra di soppiatto... or la mia spada
io prendo, e fo vedervi... come... ah amabile
Contino mio, lo adoro, e ben si vede
che è Conte via dal capo fin al piede.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.8)

Venanzio Eh fa paura la sua condizione


ma si faccia così... Egli vorrebbe...
per esempio chi mangia spesso spesso
si potrebbe affogare, e poi... capite
Quando un si ostina, e vuole...
A buon intenditor poche parole. (via)
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, II.2)

E ancora:

Venanzio Voi restate... ora vado... sissignore.


Ma se non si facesse... basta il fatto
se non si fa... succede...
Ed è un orbo, Signor, chi non ci vede.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, II.12)

Venanzio Ma mio Signor... mi creda... non ci è dubbio.


Saprete, che le cose, per esempio...
Chi beve assai si affoga, ed un successo
quando succeder suole...
Già capirete ben le mie parole.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, II.14)

Tipica del parlato spontaneo (nelle forme dell’anacoluto, della per-


dita di coesione ecc.) e delle sue lacune mnemoniche proprie di una

CXXXVII
ROSSI

costruzione del pensiero sempre in itinere, raramente l’incertezza ver-


bale trova così ampio spazio nella mimesi letteraria o drammaturgica,
dal momento che contravviene alle esigenze di sintesi necessarie a ogni
riproduzione linguistica, a maggior ragione in testi tanto brevi quanto
un libretto.
Il parlato di Don Venanzio sembra insomma contravvenire sistema-
ticamente a tutte o quasi (con parziale eccezione per la prima) le quat-
tro massime individuate da Herbert P. Grice e necessarie a un proficuo
e cooperativo scambio conversazionale:

1) massima di qualità: sii sincero, fornisci informazione veritiera,


secondo quanto sai;
2) massima di quantità: non essere reticente né ridondante;
3) massima di relazione: sii pertinente all’argomento della conver-
sazione;
4) massima di modo: evita l’ambiguità e l’oscurità del tuo discor-
so  33.

Caratteristici del parlato traballante sono alcuni segnali discorsivi


che svolgono quasi la funzione di zeppe, riempitivi, appigli per prender
tempo durante le difficoltà di progettazione. Tipico è il segnale cioè,
che, al pari degli altri marcatori di incoerenza e perdita di coesione,
non è molto frequente nella librettistica e che invece compare puntual-
mente nell’eloquio di Don Venanzio:

Venanzio Rosina mia, Valerio


non state mesti, perché la mestizia
è una cosa... cioè... chi paga poco
sempre è servito bene.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, II.2)

Questa perfetta corrispondenza tra usi linguistici e carattere del


personaggio, nonché la coerenza tra la sua presentazione nell’elenco
proemiale e il suo atteggiamento nello svolgimento della commedia,

33
  Cfr. Luca Serianni e Giuseppe Antonelli, L’italiano: istruzioni per l’uso. Sto-
ria e attualità della lingua italiana, Milano, Bruno Mondadori, 2006, p. 58. Per gli
altri concetti di analisi conversazionale e di linguistica testuale qui sfiorati, cfr. Fabio
Rossi e Fabio Ruggiano, Scrivere in italiano. Dalla pratica alla teoria, Roma, Carocci,
2013.

CXXXVIII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

fanno dell’Innocente ambizione uno dei libretti più interessanti del


corpus gasbarriano, dal nostro punto di vista, e rendono il suo autore,
almeno ai nostri occhi, particolarmente notevole, nella sua abilità di
piegare la lingua alle esigenze più disparate, anche in un tratto non fre-
quentemente inscenato come l’esitazione e l’interruzione di enunciati.
Ma come reagiscono gli interlocutori di Don Venanzio al suo parla-
re slegato e astruso, sfibrato e sfibrante? Esattamente come il pubblico
(anch’esso interlocutore, sebbene senza diritto di risposta, dell’enun-
ciazione teatrale, di cui è anzi il vero ed unico destinatario): tentan-
do di colmare le lacune del testo senza riuscirci e reagendo, dunque,
con un senso di stizzita impotenza i primi (i personaggi teatrali), con
il divertimento il secondo (vale a dire il pubblico). Divertimento che,
secondo i noti meccanismi freudiani del comico, scaturisce dal senso
di straniamento e liberazione cui il parlar fratto e oscuro, tipico del
linguaggio infantile, onirico, comico, poetico e psicotico, conduce il
nostro inconscio  34.
Tipiche battute di reazione a Don Venanzio sono pertanto:

Lisetta (Che umor curioso è questo!)


(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.1)
  35
Cicco (Ma comme parla! Siente un Calepino! )
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.3)

Matusio Amico mio, pensanno, che ho da esserti


parente, già me vene friddo, e freve.
[...]
Statte zitto.
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, II.14)

L’interruzione e il parlar a singhiozzo, nell’Innocente ambizione,


vengono sfruttati anche con un’altra funzione: quella di riprodurre il
pianto e dunque, per l’appunto, il singhiozzo, stavolta propriamente

34
  Sullo straniamento e sui meccanismi linguistici del comico, cfr. F. Rossi, La
lingua in gioco cit., pp. 17-40.
35
  Nel senso metaforico di ‘erudito, oscuro, in senso spesso spregiativo o ironico’,
riferito sia a discorso o libro, sia a persona, dal nome dell’umanista bergamasco Am-
brogio Calepino, estensore di un fortunatissimo vocabolario latino (1502), detto per
antonomasia, per l’appunto, il Calepino.

CXXXIX
ROSSI

detto (ancorché simulato), della cameriera Rosina. Così recita infatti


la didascalia: «Tenera, ed in atto di piangere»; e la battuta di Rosina
è: «Pazi...enza», con la parola rotta dal pianto, seguita da: «Lasciar...
vi de...vo» (I.9). Analogamente, nel concertato finale dell’Atto Primo,
Rosina e Valerio, poi Cicco e Venanzio:
    Deh... vi muo...va il pia...nto mio
a un tantino di pietà.
(A un do... do... do...lor sì rio
liquefando il cuor si sta.)
(G. Gasbarri, L’innocente ambizione, I.ultima)

Il parlato interrotto e saltellante compare anche in ulteriori libretti


del Gasbarri, sebbene in nessun altro raggiunga l’efficacia e la funzio-
nalità espressiva dell’Innocente ambizione:
Fabio E siente... io... cioè tu... anzi colui
che ti deve sposare...
E chi può le parole qui accozzare?
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, I.11)

esclama il notaio napoletano Don Fabio Vozzola, allorché ha finito


di preparare il contratto matrimoniale per Bettina, che si illudeva di
impalmare e che invece si vede costretto a cedere ad un altro. L’e-
sempio appena citato registra peraltro anche ulteriori credibili feno-
meni del parlato non programmato, come i segnali discorsivi dell’in-
certezza e dell’autocorrezione (cioè, anzi), il fatismo dialettale siente
e il rilievo metalinguistico dell’impotenza argomentativa («E chi può
le parole qui accozzare?»). Così invece i due protagonisti dell’Ajo in
imbarazzo esprimono tutta la propria concitazione e incertezza sul
da farsi:
Enrico Adesso...
Don Gregorio Adesso...
Non so nulla: vedremo...
cercheremo... faremo... basta! A voi:
prendetevi la chiave: procurate
di farla scappar via:
del resto poi... povera testa mia!
Enrico Ma siccome...
Don Gregorio Siccome un par di giuggiole...
(G. Gasbarri, L’ajo in imbarazzo, I.11)

CXL
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

E un verosimile esempio di autocorrezione si ha pure nell’Equivoco


stravagante: «Illustre… no… illustrissimo» (I.1).
Come si diceva, pochi libretti valorizzano l’incertezza e le disfun-
zioni del linguaggio quanto L’innocente ambizione di Gasbarri. Tra
essi spicca, nel corpus rossiniano, quello del Signor Bruschino, ossia
Il figlio per azzardo, farsa giocosa per musica in un atto di Giuseppe
Maria Foppa (Venezia, Teatro di San Moisè, 1813). Anche lì, come
si ricorderà, tra l’altro, il tic linguistico aveva una sua rilevanza, dal
momento che proprio un tormentone dell’opera è costituito dalla
snervante iterazione dell’espressione «Che caldo!» da parte di Bru-
schino padre  36. Ma la trovata migliore di quel libretto (o meglio di
quella partitura, visto che nel libretto non v’è traccia dello smozzica-
mento) passava per la riproduzione della balbuzie, frutto di enorme
imbarazzo e pentimento che toglie la parola, nell’oggi celebre finale
dello smascherato Bruschino figlio: «Padre mio!.. Padre mio, mio,
mio, mio, mio, mio, mio!.. son pentito! -tito, -tito, -tito, -tito, -tito
-tito! padre mio! sono pentito! -tito, tito, -tito, -tito!», su note ri-
battute le quali «più che del pentimento suggeriscono l’idea della
disarmante, irrimediabile dabbenaggine»  37. Tra l’altro, il libretto del
Bruschino condivide con L’innocente ambizione anche più di un nodo
della trama: entrambi parlano infatti di un figlio che scappa dal pa-
dre, di scambi di persona col fuggitivo, del ritrovamento finale del
genitore, con tanto di perdono e di lieto fine nuziale. Questo non im-
plica, naturalmente, una discendenza diretta di un libretto dall’altro,
data la più volte rilevata stereotipia (e ampia circolazione) di trame e
personaggi nel mondo operistico serio e buffo, sebbene non si possa
escludere che il Foppa avesse qualche reminiscenza precisa dell’ope-
ra del collega napoletano.
Ulteriori elementi di tangenza possono essere reperiti tra le trame
del Gasbarri e quelle di altre opere rossiniane. Di similitudini tra Il qui
pro quo e La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo, dramma giocoso in
due atti di Giacomo (Jacopo) Ferretti (Roma, Teatro Valle, 1817) parla
Gianluca Nicolini  38, mentre ancora L’innocente ambizione, nell’espe-
diente del ritratto (spedito per ritrovare un fuggitivo) artefatto ad hoc
per ostacolare il ritrovamento (I.5), ricorda l’analogo espediente nella

36
  Cfr. F. Rossi, «Quel ch’è padre, non è padre...» cit., p. 164.
37
  Piero Mioli, Invito all’ascolto di Rossini, Milano, Mursia, 1986, p. 75. Su que-
sta scena, cfr. F. Rossi, «Quel ch’è padre, non è padre...» cit., pp. 164-165.
38
  Cfr. G. Nicolini, «E per un frutto piace tutto un orto» cit., p. 104.

CXLI
ROSSI

Gazza ladra, melodramma in due atti di Giovanni Gherardini (Milano,


Teatro alla Scala, 1817).

5.  Qualche retrodatazione e altre particolarità lessicali

La scarsa presenza dei libretti d’opera (tolti i maggiori: quelli di


Metastasio, Da Ponte, Boito e pochissimi altri) negli studi di linguisti
e lessicografi fa sì che si dia talora, grazie ai nostri testi, qualche pos-
sibilità di retrodatazione. Felice destino toccato anche a Gasbarri, con
quattro lemmi: divorziare, stirare, l’allocutivo sor e il vino porto (tacen-
do dell’accezione sessuale di venire, sopra commentata).
Divorziare. «La ripudio, la lascio e la divorzio!», dice Buralicchio
in riferimento alla promessa sposa Ernestina nell’Equivoco stravagante
(II.11). Oltre all’uso transitivo (‘ripudiare’)  39, è forse retrodatabile al
1811 anche l’accezione di ‘ottenere l’annullamento del matrimonio’: la
prima attestazione riportata dal GDLI, s. v., § 1, è del 1832 (Monaldo
Leopardi)  40.
Stirare. Lamenta Teresina in Così si fa ai gelosi:
Teresina     Stiro pur quanto vogl’io, (stirando della biancheria)
meschinella, io stiro invano;
quel vezzoso Capitano
non mi sorte mai dal cor.
    Se potessi da me stessa
riportar la biancheria...
saria questa sol la via
di star farmi in lieto umor;
    ma tiranna gelosia
di un marito il vieta ognor.
    Ragazze, che sollecite
a maritarvi siete,

39
  Attestato, secondo il GDLI, s. v. divorziare, § 3, per la prima volta in Dossi,
ante 1910.
40
  La data riportata dal Grande dizionario italiano dell’uso, ideato e diretto da
Tullio De Mauro, Torino, Utet, 1999, 6 voll. (d’ora in avanti GraDIt) è invece 1796,
ma senza altra indicazione né di fonte, né d’accezione e presumibilmente riferito all’ac-
cezione figurata. Il dizionario di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, DELI – Diziona-
rio etimologico della lingua italiana, seconda edizione, Bologna, Zanichelli, 1999 (d’ora
in avanti DELI), s. v. divorziare, v. intr., ‘far divorzio’, riporta 1796 Enrico Michele
L’Aurora (ma, mancando il contesto, permangono le stesse riserve sopra avanzate sul
GraDIt).

CXLII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

l’esempio mio vedete,


la mia fatalità:
    questa è la via di perdere
la bella libertà.
(G. Gasbarri, Così si fa ai gelosi, I.3)

Oltre alla bella (e goldoniana) affermazione di autonomia e libertà da


parte delle donne, piace qui l’uso (assoluto nei versi, transitivo in dida-
scalia) del verbo stirare nell’accezione comune. L’uso assoluto è dunque
retrodatabile (al 1812) rispetto al GDLI, s. v., § 8 (Ghislanzoni 1884) e
al GraDIt, s. v., § 1b (1829); quello transitivo è invece attestato a par-
tire da G. Gozzi ante 1762. In verità il lemma stirare (sia transitivo sia
intransitivo) compare già in Goldoni, La locandiera, 1753 (nell’«Autore
a chi legge» e più volte nell’Atto Terzo) e altrove, sempre in Goldoni, a
partire dal 1750 (LIZ).
Sor. Più volte i personaggi di Carlotta e Verter s’appellano premet-
tendo al nome o alla carica l’allocutivo sor ‘signore’, forma centrome-
ridionale perfettamente adatta al Gasbarri, un po’ meno (peraltro con
irresistibile comicità, data dallo straniamento geo- e socioculturale) al
mondo goethiano: «Su, baciate la mano al sor maestro. | [...] | Quando
lo dice il sor maestro, andate», raccomanda Carlotta ai suoi figli (I.7);
«Eccoci di ritorno, sor maestro», dice Ambrogio (I.10); «Ah sor Alber-
to!», esclama il medesimo Ambrogio (I.14). Anche quest’uso è dunque
retrodatabile (al 1814, o meglio al 1812, date le attestazioni di sor in
Così si fa ai gelosi, I.8, I.14, II.3), rispetto al GDLI (Tommaseo 1861-
1879) e al GraDIt (1855).
Porto. In Carlotta e Verter leggiamo «Vuol del Porto?» (I.1), che
retrodata così (sempre al 1814) la prima attestazione del termine nota
al GDLI (Carducci ante 1907) e al GraDIt (1889).
Se poi estendiamo lo spoglio anche alle voci espressive e regionali,
il numero delle retrodatazioni (o, se non altro, delle attestazioni preco-
ci) include almeno anche càttera, pedalino e birichino.
L’esclamazione càttera (per indicare meraviglia o sdegno), assente
in GraDIt e datata 1938 da GDLI in Imbriani, con attestazioni in Belli
(post 1830) in LIZ, è molto frequente nei libretti del Gasbarri, almeno
a partire dall’Innocente ambizione (1797): «Innamorarsi | in Casa mia?
O cattera!» (I.11), poi anche nel Maldicente (II.8), in Così si fa ai gelosi
(II.ultima) e altrove  41.

41
  L’esclamazione (equivalente a capperi! o caspita!) è attestata, in varie forme (càt-

CXLIII
ROSSI

Pedalino (regionalismo centromeridionale per ‘calza corta’), datato


post 1902 (Pirandello) in GDLI, ante 1910 (C. Dossi) in GraDIt e 1878
(C. Dossi) in LIZ, risale ai Puntigli per equivoco (1796), nella forma
plurale napoletana pedaline, all’interno del gustoso catalogo dei beni
portati in dote da Bettina:

Bettina     Sei para di cazette, quattro para


de pedaline, e di più due rezzole,
  42
sei fasciatore, due tellicarelle .
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, II.10)

Il settentrionalismo birichino ‘monello’, datato ante 1816 (Fosco-


lo) in GDLI e 1801 (Foscolo) in GraDIt, compare sia nei Puntigli per
equivoco (1796):

Bettina     Dov’è l’amato Fabio?


quel caro biricchino?
Errante per raggiungerlo
andai per il giardino,
e non mi fu possibile
poterlo rintracciar.
(G. Gasbarri, I puntigli per equivoco, II.16)

sia in Carlotta e Verter, II.2 («Ah birichini! - che modo è questo?»),


sebbene si possano reperire attestazioni in testi dialettali a partire dal
1703 (nei dialoghi in bolognese di Lotto Lotti, citati da DELI, s. v.)  43.
Ma, come s’è in parte già visto, l’interesse lessicale dei nostri libretti
non s’esaurisce nelle retrodatazioni. Se dei tecnicismi burocratici e fo-
rensi abbiamo già detto, a proposito del parlar difficile, non mancano
nel corpus altri ambiti specialistici. Nell’Amor per interesse compare la

tira, càttara ecc.), in molti dialetti meridionali e proviene dal greco katára ‘maledizione,
imprecazione’ (cfr. Manlio Cortelazzo e Carla Marcato, I dialetti italiani. Dizionario
etimologico, Torino, Utet, 1998 [d’ora in avanti DEDI], s.v. càttira).
42
  Per attestazioni dialettali precedenti (secentesche), cfr. Luca Serianni, Norma
dei puristi e lingua d’uso nell’Ottocento nella testimonianza del lessicografo romano
Tommaso Azzocchi, Firenze, Accademia della Crusca, 1981, p. 200. Cfr. anche Raffae-
le D’Ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, Napoli, D’Am-
bra, 1873 e DEDI, s.v. pedalino.
43
  Attestazioni settecentesche (a partire dal 1736) in LEI – Lessico etimologico
italiano, a cura di Max Pfister, vol. VIII, fasc. 68, Wiesbaden, Reichert, 2001, col. 768.
Attestazioni nei secoli precedenti, in testi dialettali, ibid.

CXLIV
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

terminologia economica: «una rimessa di tremila scudi» (I.2); ma an-


cor più degni di nota sono i termini che rimandano, rispettivamente,
al mestiere di salumiere e a quello di barbiere, rappresentati da due
personaggi: il casadoglio – in napoletano ‘salumiere’ – Pancrazio, che
parla in napoletano (il termine compare nella tavola dei personaggi e
in I.4, nonché in II.ultima nella forma casoddoglio) e il barbiere Fabio.
Ed ecco dunque soppressata (I.3), zibetto ‘essenza profumata’ (I.4), par-
misciane ‘parmigiana’ (I.9), provola (II.4). L’attaccamento del salumiere
Pancrazio al proprio mestiere è tale da riverberarsi anche sulle sue me-
tafore, gastronomiche e norcine: «Io del tuo cuorio ne farò zoffritto»
(II.6), «Bravo: lo puorco è nuosto» (II.8). Dell’arte del casadduoglie
(ché così viene pronunciato in napoletano), Pancrazio tesse poi un vero
e proprio elogio nel finale dell’opera:

Pancrazio     Sono amante, e casaddoglio


e l’impero io solo voglio
del formaggio, e del mio cor.
(G. Gasbarri, L’amor per interesse, II.ultima)

A Livietta, che per darsi un tono sembra non apprezzare il dialettali-


smo («Casaddoglio? oh che arte strana!»), e che infatti poco sotto tra-
duce in italiano («Vanne, o vil pizzicarolo»), Pancrazio fa l’elenco dei
suoi ironici desiderata, così come ha già fatto lei con lui, in una sorta di
comico scambio di ruoli:

Livietta     Va’ in Bottega, e a tutta fretta


pesa, e taglia, vendi, e da’.
Pancrazio     Va’ ntriato a fa Rosetta
zompa, e sauta ccà, e llà.
Lisetta     Che pretendi? dimmi un po’?
Pancrazio     Li denare, le cauzette,
le marenne, li rosette,
li rigale a li sarture,
nocche, rose, penne, e sciure,
e presotta, e sopressate
che papà mi pettinò.
(G. Gasbarri, L’amor per interesse, II.ultima)

Tra l’altro, se in questo bizzarro elenco non si fraintende il senso


di marenna ‘ostrica’, esso rappresenta un’altra notevole retrodatazione,
visto che secondo il GDLI e il GraDIt il termine risale al 1921. A meno

CXLV
ROSSI

che non si tratti del napoletanismo marenna ‘pasto da asporto’ (coeti-


mologico dell’italiano merenda; naturalmente assente nei vocabolari di
lingua), come pure potrebbe lasciar intendere l’adiacenza con rosette  44.
Val forse la pena di ricordare velocemente un’ultima volta Totò, pa-
rente stretto del Gasbarri nell’attingere a temi, situazioni ed espressioni
propri della secolare commedia dell’arte partenopea. Il termine casad-
duoglio, infatti, compare in una scena celeberrima del film Miseria e
nobiltà (1954, dalla farsa omonima di Eduardo Scarpetta, 1888), come
utile sostituto dell’affettato francesismo charcutier:

Pasquale [Enzo Turco] Siccome il monte di pietà era chiuso/ vai dallo
charcutier qui alla cantonata/ eh?
Felice [Totò] Da chi?
Pasquale Dallo charcutier alla cantonata//
Felice E chi è questo sciacquettiere?
Pasquale Il pizzicagnolo// Il salumiere//
Felice Il casadduoglio?
Pasquale Eh//
Felice E parla chiaro!
Pasquale Il bottegaio//
Felice Eh// [....] Se io vado dallo sciartonier con que-
  45
sto paltò/ quello me piglia a calci/ capito?

La terminologia enogastronomica (sempre cara all’opera buffa, per


via dei topoi della fame e della contrapposizione tra ricchi e poveri)
popola anche l’incipit (in pretto stile elencatorio, a mo’ di pezzo di ca-
talogo) di Così si fa ai gelosi:

Tonino     Voi cosa bramate? [a Laborde]


Gianfrullo Arrosto, o pur lesso? [a Laborde]
Tonino Formaggio, ricotta?
Gianfrullo Prosciutto? salsiccia?
Laborde Purché la sia ciccia,
sia fresca, sia secca,
sia cruda, sia cotta,

44
  Cfr. R. D’Ambra, Vocabolario napolitano-toscano cit. e DEDI, s.v. marenna.
45
  Miseria e nobiltà, 1954, regia di Mario Mattoli, trascrizione da F. Rossi, La lin-
gua in gioco cit., p. 68. Sul termine casadduoglio, cfr. la minuta ricognizione di Fran-
cesco Avolio, La sensibilità linguistica di Totò e la sua aderenza alla cultura popolare
campana, in Totò. Parole di attore e di poeta, a cura di Patricia Bianchi e Nicola De
Blasi, Napoli, Libreria Dante & Descartes, 2007, pp. 101-114: 108-110.

CXLVI
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

mi piace mangiar.
[...]
Gianfrullo     Vuol del Porto? vuol Sciampagna?
Tonino Vin del Reno, o pur di Spagna?
Gianfrullo e Lei comandi, e da servirla
Tonino v’è, Signore, al par d’un Re.
(G. Gasbarri, Così si fa ai gelosi, I.1)

Assai probabile, dati la trama e i personaggi, il doppio senso sessuale (i


due appetiti vengono spesso assimilati) sull’amore per la ciccia femmini-
le, in qualunque stato si presenti, come per il Don Giovanni dapontiano.
Un altro brano di catalogo, stavolta di termini medico-farmaceutici
(talora deformati: squassio per quassio ‘tipo di legno da cui si estraggo-
no sostanze medicamentose’; termentina, con metatesi, per trementina
‘tipo di solvente ottenuto dalla resina, acquaragia’), compare infine nel
concertato del Finale Primo del Qui pro quo, a mo’ di ricetta:
Coro Saran tubercoli, - o umori frigidi
saran materie, - o pur depositi.
[...]
(Silenzio generale, i Medici si consultano.)
    Recipe d’oppio - denari sedici
questo si mescoli - coll’antimonio
il legno squassio, - la termentina
con once sedici - di sublimato
che preparato - da noi sarà!
(G. Gasbarri, Il qui pro quo, I.ultima)

Come ogni librettista buffo che si rispetti (riprendendo anche in


questo caso un topos caro al Goldoni  46), il Gasbarri non si limita ad
esibire termini e lingue realmente (o letterariamente) esistenti, ma ne
inventa anche di nuove, come accade nel Poeta fortunato, in cui è la
(finta) statua di Valerio a parlare (con immancabile troncamento finale):
Valerio     Mastarafalgara,
spertele femere,
ti ri pi ti stichi
zoramocì.
(G. Gasbarri, Il poeta fortunato, II.8)

46
  Cfr. F. Rossi, Imitazione e deformazione cit.

CXLVII
ROSSI

6.  Per concludere, con Goldoni

Come s’è visto, il ventaglio lessicale dei libretti buffi, e in partico-


lar modo di quelli del Gasbarri, è molto ampio, ben più del setaccia-
tissimo lessico serio. I libretti del Gasbarri accolgono senza filtri ogni
apporto: dai dialettalismi ai forestierismi, dagli aulicismi ai doppi sensi
osceni, dagli arcaismi ai tecnicismi degli ambiti più disparati, fino alle
lingue deformate e inventate. Il tessuto connettivo di tutte queste tesse-
re lessicali è però di diversa natura: l’italiano colloquiale, le espressioni
idiomatiche, la lingua a metà tra il comico-realistico (e dunque frutto
dell’astrazione letteraria trecento-cinquecentesca) e il teatral-popolare
(commedia dell’arte e artisti di piazza, dal Medioevo al Barocco). In
una parola, quel «fantasma scenico»  47 genialmente messo a punto da
Carlo Goldoni e, anche grazie al suo esempio, finito poi per diventare
non soltanto langue del teatro borghese, ma italiano dell’uso medio,
quell’italiano parlato che, complice tra gli altri il Manzoni (tra i più
sensibili raccoglitori dell’esempio goldoniano)  48, diventerà soltanto più

47
  «La Umgangssprache, la lingua goldoniana d’uso italiano, è sostanzialmente
Bühnensprache, lingua teatrale, fantasma scenico che ha spesso la vivezza del parlato
ma si alimenta piuttosto all’uso scritto non letterario accogliendo in copia larghissima
venetismi, regionalismi ‘lombardi’ e francesismi, accanto a modi colloquiali toscani e a
stilizzazioni auliche di lingua romanzesca e melodrammatica: è un ‘come se’, una ipote-
si spesso così persuasiva di realtà, fondata su un presupposto di intelligibilità comune»
(Gianfranco Folena, L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Tori-
no, Einaudi, 1983, p. 91).
48
  Vittore Branca salutava in Goldoni «il precursore delle intuizioni sulla verità
e i valori fondamentali della vita fatti esprimere nei Promessi Sposi dal più familiare
linguaggio di popolani e artigiani, in un certo senso goldoniani» (Vittore Branca, In-
troduzione al convegno, in Carlo Goldoni 1793-1993, Atti del Convegno del Bicentena-
rio (Venezia, 11-13 aprile 1994), a cura di Carmelo Alberti e Gilberto Pizzamiglio,
Venezia, Regione Veneto, 1995, pp. 17-19: 18). Sulla presenza di Goldoni in Manzoni,
cfr. Andrea Dardi, Goldoni in Manzoni, in Da riva a riva. Studi di lingua e letteratura
italiana per Ornella Castellani Pollidori, a cura di Paola Manni e Nicoletta Mara-
schio, Firenze, Cesati, 2011, pp. 121-146 e Luca D’Onghia, Drammaturgia, in Storia
dell’italiano scritto cit., vol. II: Prosa letteraria, Roma, Carocci, 2014, pp. 153-202: 160-
163. Sulla tormentata ricezione goldoniana nell’Ottocento, cfr. Rossana Melis, «Eh
via, ci mancherebb’altro». Goldoni nella ricezione ottocentesca, in Lingue testi culture
cit., pp. 515-538. Ancora sull’importanza di Goldoni nel melodramma ottocentesco,
cfr. Bruno Capaci, L’impostore malinconico. Epiloghi non lieti nei drammi giocosi di
Goldoni, ibid., pp. 277-294 e Edoardo Buroni, Lingua e stile «all’ombra amena del
giglio d’or». Il Viaggio a Reims di Rossini e Balocchi, ibid., pp. 295-311. Sull’italiano
dell’uso medio, ovvero neostandard, cioè l’italiano ormai comune a tutti e in tutti i re-
gistri, anche in quei fenomeni (dai pleonasmi agli anacoluti, dalle scelte pronominali a
certi usi lessicali) tuttora, o almeno fino a pochi anni fa, considerati dalle grammatiche
normative come non perfettamente conformi allo standard, cfr. Francesco Sabatini,

CXLVIII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

tardi (non prima della metà del Novecento, a voler essere d’accordo
con Tullio De Mauro, che considera l’Italia, fino all’avvento della tele-
visione, quasi esclusivamente dialettofona) il cibo condiviso da tutte le
tavole degli italiani  49. Quell’italiano fatto di termini d’uso quotidiano
come stirare, che, non a caso, continuano spesso a sfuggire alle maglie
dei nostri dizionari storici, refrattari ad allargare le proprie fonti a ma-
teriali paraletterari del passato quali i libretti d’opera. Financo i libretti
goldoniani (cioè del più prolifico librettista settecentesco) vengono tra-
scurati dai nostri lessicografi (assenti sia in GDLI sia in LIZ).
Altro che lingua finta e grigia, dunque, l’italiano goldoniano, come
pure troppo spesso è stato definito da italianisti non sempre interessati
all’analisi linguistica!  50 Già in altre citate sedi  51 ho tentato di raccogliere
i goldonismi (non necessariamente termini esclusivi o prime attestazio-
ni di Goldoni, ma parole o espressioni comuni o giocose attestate con
frequenza nelle sue commedie e nei suoi libretti) disseminati nell’ope-
ra buffa ottocentesca e ripeterne qui l’elenco sarebbe sterile. Bastino
pertanto solo alcuni prelievi qua e là da questo tessuto connettivo del
corpus gasbarriano (in ordine d’occorrenza)  52:

«sen vada in sua malora» (I puntigli per equivoco, I.5): il sintagma «in ma-
lora» ha decine di attestazioni goldoniane a partire da Il prodigo;
«Pietà un corno» (I puntigli per equivoco, II.6; L’ajo in imbarazzo I.9):

L’“italiano dell’uso medio”: una realtà tra le varietà linguistiche italiane, in Gesprochenes
Italienisch in Geschichte und Gegenwart, a cura di Günter Holtus e Edgar Radtke,
Tübingen, Narr, 1985, pp. 154-184.
49
  Per una visione diversa, che retrodata notevolmente il conseguimento di un
italiano unitario, rispetto a quella di Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia
unita, Bari, Laterza, 1963, cfr. almeno Arrigo Castellani, Quanti erano gl’italofoni
nel 1861?, «Studi linguistici italiani», VIII, 1982, pp. 3-26; Id., Italiano dell’uso medio
o italiano senza aggettivi?, «Studi linguistici italiani», XVII, 1991, pp. 233-256: Fran-
cesco Bruni, L’italiano fuori d’Italia, Firenze, Cesati, 2013; Enrico Testa, L’italiano
nascosto. Una storia linguistica e culturale, Torino, Einaudi, 2014; Luca Serianni, Prima
lezione di storia della lingua italiana, Roma-Bari, Laterza, 2015, pp. 155-170.
50
  Con alcune eccezioni, naturalmente. Oltre all’inarrivabile Folena, cfr. almeno
Adolfo Jenni, Goldoni “filologo”, in Studi goldoniani, 2 voll., a cura di Vittore Branca
e Nicola Mangini, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1960, vol.
II, pp. 729-749; Carmelo Scavuzzo, L’amore e gli innamorati nei libretti di Goldoni, in
Sublimazione e concretezza dell’eros cit., pp. 67-103.
51
  Cfr. le indicazioni bibliografiche di nota 17.
52
  Il cui riscontro goldoniano, e in altri autori, può essere verificato in F. Rossi,
«Quel ch’è padre, non è padre...» cit., pp. 244-303 e Id., L’eredità linguistica cit., oltreché
in LIZ. La provenienza napoletana di Gasbarri, ça va sans dire, non inficia l’assorbimen-
to di goldonismi da parte del nostro librettista, data l’ampia circolazione e la precoce
cristallizzazione del codice comico instaurato (o meglio fissato) dall’autore veneziano.

CXLIX
ROSSI

numerose attestazioni goldoniane di «un corno» a partire da L’erede


fortunata;
«ti prendo a pizzicotti» (I puntigli per equivoco, II.13): «pizzicotti» in Gol-
doni, Il padre per amore;
«Per Bacco» (L’innocente ambizione, I.1): innumerevoli le attestazioni gol-
doniane a partire da La donna di garbo; «poter di bacco!» (Carlotta e
Verter, II.ultima): in Goldoni a partire da La donna di garbo; «Poffar
Bacco!» (L’ajo in imbarazzo, I.9);
«Che cosa c’entra [...]?» (L’innocente ambizione, I.1): varie attestazioni in
Goldoni a partire da La bancarotta;
«Guarda che animale!» (L’innocente ambizione, I,1): varie attestazioni si-
mili in Goldoni a partire da Il Molière;
«bestia» e derivati (L’innocente ambizione, I.3; Lo sposo in bersaglio, I.10;
L’equivoco stravagante, I.11 e altrove): innumerevoli attestazioni gol-
doniane a partire da Il prodigo; «Mi fate andare in bestia» (Lo sposo in
bersaglio, I.12): numerose attestazioni simili in Goldoni a partire da Il
prodigo; «monto in bestia» (Così si fa ai gelosi, I.7): come sopra; «vado
in bestia» (Il qui pro quo, II.8): come sopra;
«Tu vuoi rompermi il cervello?» (L’innocente ambizione, I.3): innumere-
voli le attestazioni di espressioni idiomatiche con «cervello» in tutto
Goldoni e in tutti gli operisti buffi;
«briccone» (L’innocente ambizione, I.4; L’equivoco stravagante, II.11; Car-
lotta e Verter, II.2 e altrove): parola chiave in tutto Goldoni e in tutti
gli operisti buffi; «bricconcello» (I puntigli per equivoco, I.5); «bric-
conaccio» (L’innocente ambizione, I.3 ecc.): come sopra; «briccona»
(L’ajo in imbarazzo, I.4);
«Ci ho piacere» (L’innocente ambizione, I.4): numerose attestazioni in
Goldoni a partire da L’uomo di mondo;
«acqua al mio mulin tirare» (L’innocente ambizione, I.7): analogamente in
Goldoni, Il bugiardo e La finta ammalata;
«povera gnocca» (L’amor per interesse, I.2): varie attestazioni di «gnocca»
‘sciocca’ in Goldoni, a partire da La donna volubile;
«La più buona pasta | chi vide mai di lei?» (Il maldicente, I.16): attestazio-
ni goldoniane di «buona pasta» a partire da I malcontenti;
«mi salta in testa il grillo» (Il maldicente, I.15): espressioni idiomatiche
con «grillo» in Goldoni a partire da La donna volubile); «Or guardate
che grillo | che l’è saltato in testa!» (Il maldicente, II.6): come sopra;
«Come vi nacque il grillo?» (Il maldicente, II.10): come sopra;
«questa è bella!» (Il maldicente, I.14; L’ajo in imbarazzo, I.11): decine di
attestazioni in Goldoni a partire da I due gemelli veneziani;
«tutto il mondo è paese» (Il maldicente, II.8): varie attestazioni goldonia-
ne a partire da L’uomo di mondo;
«corbellare» (Lo sposo in bersaglio, I.10; L’ajo in imbarazzo, II.ultima;
Carlotta e Verter, I.14): lemma goldoniano chiave con innumere-

CL
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

voli attestazioni); «corbellato» (Carlotta e Verter, II.ultima): come


sopra;
«Che diavolo sarà! Resto di stucco» (Lo sposo in bersaglio, I.11): entrambe
le espressioni sono attestate in Goldoni moltissime volte, a partire da
La donna di garbo;
«Oh mamma mamma mia!» (Lo sposo in bersaglio, I.11): analogamente in
Goldoni, a partire da L’uomo prudente;
«un tantino» (L’ajo in imbarazzo, I.9; Così si fa ai gelosi, II.3; Carlotta e
Verter, II.8) e «un tantin» (L’equivoco stravagante, II.4; Carlotta e Ver-
ter, I.8): entrambi i sintagmi sono ben attestati in Goldoni, Il servitore
di due padroni e altrove;
«bagattella» (L’ajo in imbarazzo, I.10, II.7, II.ultima; Il qui pro quo, II.1):
innumerevoli attestazioni goldoniane a partire da La donna di garbo;
«un cavolo» (L’ajo in imbarazzo, I.11); «non sono alfine un cavolo» (Così
si fa ai gelosi, I.4): varie simili attestazioni in Goldoni a partire da Il
Molière;
«Son uom di mondo» (L’ajo in imbarazzo, II.5; Così si fa ai gelosi, I.5):
varie attestazioni goldoniane a partire da L’uomo di mondo;
«un non so che» (L’equivoco stravagante, I.5): numerose attestazioni gol-
doniane a partire da Il prodigo;
«fra un pochetto» (Così si fa ai gelosi, I.1): innumerevoli attestazioni gol-
doniane di un pochetto a partire da L’uomo di mondo;
«Ma la finisco io» (Così si fa ai gelosi, I.4): varie attestazioni analoghe in
Goldoni a partire da La vedova scaltra;
«ragazzate» (Così si fa ai gelosi, I.4): varie attestazioni goldoniane a partire
da La donna di garbo;
«Capperi», come esclamazione (Così si fa ai gelosi, I.5): innumerevoli atte-
stazioni goldoniane a partire da La donna di garbo;
«star fresco» (Così si fa ai gelosi, I.8): numerose attestazioni goldoniane a
partire da L’uomo di mondo;
«Oibò» (Carlotta e Verter, I.1, II.2): come sopra;
«eccoci qui alle solite» (Carlotta e Verter, I.2): similmente in Goldoni, Il
frappatore;
«Siam da capo mi pare» (Carlotta e Verter, I.9): numerose attestazioni gol-
doniane di «da capo» a partire da Il prodigo;
«uomo di garbo» (Carlotta e Verter, I.10): innumerevoli attestazioni gol-
doniane a partire da L’uomo di mondo; «cameriera di garbo» (Carlotta
e Verter, II.8): Goldoni, Le donne curiose;
«La sa lunga il maestro» (Carlotta e Verter, I.10): analoghe espressioni in
Goldoni a partire da Il cavaliere e la dama;
«non apro bocca» (Carlotta e Verter, I.10): in Goldoni, La famiglia dell’an-
tiquario e altrove;
«a quattr’occhi» (Carlotta e Verter, I.10): attestazioni goldoniane a partire
da I due gemelli veneziani;

CLI
ROSSI

«non starmi più a seccar» (Carlotta e Verter, I.10 e I.12): analoghe attesta-
zioni goldoniane a partire da Il prodigo;
«Farò il fagotto» (Carlotta e Verter, I.10 e II.7): «fare fagotto» e simili in
Goldoni a partire da I due gemelli veneziani;
«cospetto» (Il qui pro quo, II.1 e altrove): numerosissime attestazioni gol-
doniane a partire da L’uomo di mondo; «cospettaccio» (I puntigli per
equivoco, II.13; Lo sposo in bersaglio, I.12); «cospettone» (Lo sposo in
bersaglio, I.5; Il qui pro quo, II.1 ecc.): in Goldoni, La donna di gover-
no, Il Molière e altrove.

E il contingente potrebbe naturalmente essere ben più rimpolpato:


si pensi almeno al lessico dell’insulto, alle interiezioni, alle espressioni
di cortesia, ai saluti e a tutti quegli elementi tipici della simulazione
teatrale del parlato spontaneo, a iosa disseminati dal Goldoni e a piene
mani raccolti dai librettisti buffi successivi. E, per tacere dei temi (la
cui ascendenza goldoniana è già stata suggerita sopra), si pensi anche ai
titoli. Oltre al rifacimento della Bottega del caffè (Il maldicente, sulla cui
prima edizione gravano tuttavia, come s’è detto, dubbi sulla paternità
gasbarriana), si pensi al termine puntiglio (che, insieme ai suoi derivati,
vanta decine di attestazioni in Goldoni): esso compare sia nel titolo
gasbarriano I puntigli per equivoco, sia nella commedia goldoniana I
puntigli domestici (e, per i derivati, si veda Le femmine puntigliose).
Inutile seguitare la serie dei riscontri. Basti qui, a congedo, l’auspi-
cio all’inserimento sistematico dei libretti d’opera (soprattutto buffi, e
segnatamente quelli ritenuti “minori”, ché proprio quelli costituiscono
la langue del genere e meglio registrano il parlato dell’epoca) tra le fon-
ti dei nostri dizionari e degli studi di lessicologia e lessicografia italiana
(ma, perché no, anche di dialettologia). Se ne ricaverebbero, oltreché
un notevole arricchimento di attestazioni interessanti (non soltanto
lessicali, ma anche di usi fonetici, morfologici, sintattici e testuali), ul-
teriori elementi sulla fitta rete di autori teatrali che hanno percorso,
anticipando tra l’altro alcune scelte manzoniane, strade alternative a
quelle consuete della letteratura, nella realizzazione di una funzionale
mescidanza tra dialetti, italiano parlato e coinè comico-realistica: quel-
la lingua, cioè, che, due secoli dopo, Giovanni Nencioni avrebbe defi-
nito parlato-recitato  53.
Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, che cosa faccia emergere

53
  Cfr. Giovanni Nencioni, Parlato-parlato, parlato-scritto, parlato-recitato, «Stru-
menti critici», XXIX, 1976, pp. 1-56, ripubblicato in Id., Di scritto e di parlato. Discorsi
linguistici, Bologna, Zanichelli, 1983, pp. 126-179. Cfr. anche supra, note 47 e 48.

CLII
LA COMMEDIA DELLE LINGUE NEI LIBRETTI DI GAETANO GASBARRI

il nostro librettista napoletano rispetto alla langue appena tratteggiata.


Sebbene il giudizio estetico esuli dai compiti della nostra analisi lin-
guistica e la medietas di questi libretti, come abbiamo appena detto,
costituisca per noi un valore aggiunto, piuttosto che un limite, non ci
sottraiamo dalla risposta. Almeno nei libretti migliori, sotto il rispetto
linguistico e drammaturgico (I puntigli per equivoco, L’innocente am-
bizione, L’equivoco stravagante, Così si fa ai gelosi), spicca, in primo
luogo, come s’è tentato di dimostrare nell’analisi fin qui condotta, la
corrispondenza precisa tra fenomenologia linguistica (dai doppi sensi
ai tic, dalla mescidanza lessicale allo sfoggio di paroloni ecc.), mai fine
a sé stessa, e carattere del personaggio, e, in genere, l’attenzione posta
dall’autore nella scelta delle parole (si pensi, per fare un esempio tra
i molti possibili, a equivoco e dubbio nell’Equivoco stravagante), valo-
rizzate, grazie al gioco del doppio senso, in tutto lo spettro semantico;
l’ampio ventaglio lessicale gasbarriano (dagli aulicismi ai colloquiali-
smi, dai tecnicismi ai forestierismi, dai neologismi ai termini inventa-
ti) – nelle corde, è vero, dell’opera buffa, ma qui particolarmente ri-
levante – contribuisce al merito dei nostri libretti. Secondariamente,
l’intreccio della storia, pur nella farragine propria del genere, è con-
dotto con mano sicura (senza cioè perdere di vista la differenza tra
personaggi principali e secondari, tra episodi prominenti e altri sullo
sfondo e sciogliendo, nell’Atto Secondo, i nodi intrecciati fino al Finale
Primo, secondo convenzione) e con indubbio risultato comico. Anche
il notevole rispecchiamento della prassi teatrale coeva (con i frequen-
ti, d’accordo topici, riferimenti metatestuali) è ascrivibile alle qualità
dei libretti gasbarriani. Infine, le sintetiche, eppur dettagliate, informa-
zioni presenti sia nell’elenco iniziale dei personaggi sia nelle didascalie
lasciano intendere un’attenzione non scontata (nei libretti coevi) agli
aspetti scenici e psicologici.
Pur nella piena accettazione della langue librettistica postgoldo-
niana, dunque, la parole di Gaetano Gasbarri si ritaglia un suo spazio
nella drammaturgia per musica finesettecento- e primottocentesca. E
soprattutto, quel che più interessa in questa sede, la sua produzione
andrebbe tenuta in conto (almeno) dai linguisti e dagli italianisti, per
colmare finalmente il vuoto di conoscenze ancor esistente tra l’opera
buffa settecentesca e il teatro comico ottocentesco.

CLIII

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