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DIRITTO INDIANO

Nel primo momento della scoperta la Corona spagnola pensò di applicare alle nuove terre,
il diritto castigliano, così come aveva fatto anteriormente nelle Canarie, però molto presto
la realtà si impose con forza irresistibile esigendo una normativa ad hoc.
Furono tre i fattori extragiuridici principali che imposero un cambio di pensiero in materia di
legislazione:
1 la esistenza di una popolazione pagana di livello culturale differente da quello europeo;
2 la enorme distanza delle terre oltremare che rendeva difficile la comunicazione e la
trasmissione di ordini;
3 la debolezza dello Stato Spagnolo.
Tutti e tre questi elementi perdurarono, con al curecune varianti, durante tutto il tempo del
governo spagnolo.
Sebbene la gran parte della popolazione indigena fosse stata cristianizzata, ancora
resistevano alcune sacche di indios non convertiti ed un ampio settore di neofiti, ancora
nuovi alla fede cristiana, che necessitavano di particolari cure ed attenzioni.
Se pur erano migliorati i mezzi di comunicazione e trasporto tra Europa e America, tuttavia
non erano ancora tanto efficaci da eliminare le difficoltà di governare un impero così
lontano.
Si presentarono problemi nuovi, non previsti dalla legislazione della Castiglia medievale.
Per la loro soluzione, dal momento che i giuristi non avevano gran competenza in questi
fatti, furono interpellati i teologi, i quali erano ritenuti depositari di una conoscenza tanto
vasta da metterli in condizione di conoscere sia le cose divine che le umane, sia il giusto
che l'ingiusto.
Questi teologi spagnoli sono i creatori del diritto internazionale e aprono, inoltre, nuove vie
al diritto commerciale, al diritto penale,alla teoria politica.
Vitoria sostiene che, siccome i popoli indigeni americani non erano soggetti al diritto
umano, tutti gli accadimenti dovevano essere esaminati secondo le leggi divine, nelle quali
i giuristi non erano sufficientemente esperti.
Quando Colombo portò in Spagna schiavi da vendere, in un primo momento si diedero
disposizioni in questo senso, ma presto gli scrupoli morali e religiosi della Regina Isabella
fecero si che chiedesse il parere di teologi, canonisti e letterati sulla liceità giuridica e
morale di questa decisione e la stessa Isabella, dopo cinque anni di tentennamenti degli
esperti, decide unilateralmente per la illiceità della vendita di esseri umani; a partire da
quel momento, fu frequente l'intervento dei teologi unitamente a quello dei giuristi ogni
volta che si rendesse necessario adottare soluzioni nuove per fatti nuovi.
L'intervento dei religiosi non sarà limitato a questioni meramente legislative, ma avrà un
ruolo molto importante nell'applicazione concreta del diritto.
L'Ordinanza di Granata del 1526, che regola le nuove spedizioni, si dispone che in ogni
viaggio siano presenti due religiosi il cui compito, oltre a quello specificamente pertinente
alla loro qualità, sarà di controllare che gli indios siano trattati correttamente, denunciare
gli eventuali abusi ed essere consultati prima di intraprendere qualsivoglia azione bellica.
Anche se più tardi l'intervento diretto dei teologi nella elaborazione delle leggi per le Nuove
Indie sarà minore, l'influenza esercitata nella produzione di un corpus iuris ispirato ai valori
del diritto naturale farà si questo sia frequentemente invocato per corroborare disposizione
del diritto positivo, colmare vuoti legislativi o criticare norme considerate ingiuste.
Tutto ciò con l'approvazione ed il sostegno della Corona, che non solo non rifiuta l'aiuto di
critici laici o religiosi, ma al contrario ne sollecita l'intervento a denunciare gli errori per
conseguire un diritto più giusto.
Nel suo testamento, la Regina Isabella darà incarico al Re, alla figlia ed al genero di
proseguire nella politica indigenista, di porre molta diligenza affinché gli indios siano trattati
correttamente e di porre rimedio ad ogni eventuale abuso commesso.
Conformemente a queste disposizioni si disegnò uno statuto dell'indigeno che lo
considerava uomo libero e non soggetto a schiavitù, ma necessitato di una speciale
protezione e tutela. Gli sono riconosciuti i diritti di sposare chiunque senza distinzione tra
aborigeno, peninsulare o creolo, allevare qualsivoglia specie di bestiame, disporre dei
propri beni anche per testamento e, con certe limitazioni, è rispettata l'autorità dei suoi
capi naturali.
Una legislazione molto minuziosa regola i servizi che possono essere richiesti in miniera e
nella pesca delle perle ed altre attività lavorative, curando che nel regime del lavoro non si
verifichino violenze, ne eccessi, ne sfruttamento.
Si ordine di rispettare la proprietà privata e la terra dei nativi e, quando si concedono terre
agli spagnoli, è abituale inserire l'espressione “che non sia in danno dei nativi”.
Dovuto alla minore capacità giuridica che si riconosce loro, vi è come riscontro una minore
capacità penale, e pene inferiori a quelle riservate agli spagnoli per la medesima classe di
reati.
Le deviazioni dalla ortodossia religiosa non sono giudicate dall'Inquisizione, ma dal
tribunale ecclesiastico ordinario.
Le disposizioni impartite agli evangelizzatori li invitano, nei primi contatti, ad operare con
molta prudenza e discrezione evitando di intervenire con eccessivo rigore, lasciando che
l'abbandono degli idoli e della poligamia avvenga in un secondo momento, in maniera
meno dura e drastica.
Inoltre a coloro i quali si convertiranno spontaneamente sarà data esenzione dalle imposte
per un periodo di dieci anni.
Ben sapendo che l'indio, ignorante della lingua castigliana e del diritto vigente, potrebbe
facilmente essere ingannato da eventuali malfattori, la Corona crea una magistratura
speciale a difesa dei nativi, la cui speciale missione sarà vigilare il compimento delle leggi
poste a loro protezione.
Non c'è dubbio che, nonostante tutto, via siano state situazioni in cui la legge a favore
degli indios sia stata violata, a tal punto da giustificare l'ipotesi che tutto questo castello
giuridico non sia stato altro che una stupenda utopia, totalmente distaccata dalla realtà, o
peggio ancora una attività, ipocrita e deliberata, che mascherava lo spietato sfruttamento
delle popolazioni indigene.
Al proposito lo storico nordamericano Lewis Hanke scrisse un libro cui pose come titolo
Lotta per la giustizia nella conquista dell'America.
E' comunque fuori dubbio che la Corona spagnola non esitò a sfidare i colonizzatori pur di
imporre un sistema normativo che proteggesse gli interessi degli indigeni.
Il problema della distanza fra Spagna ed Americhe ostacolò grandemente la elaborazione
ed applicazione di un diritto giusto ed appropriato per il Nuovo Mondo.
Le informazioni tardavano ad arrivare e molto spesso erano viziate o influenzate dalle
passioni o dagli interessi degli stessi informatori, che le rendevano tendenziose e le
privavano di ogni credibilità.
Nel caso in cui, molto frequentemente, affluivano informazioni contraddittorie, inviate da
persone rispettabili che godevano di uguale credibilità, la perplessità di chi era preposto a
risolvere le situazioni aumentava, anche qualora il chiamato a risolvere la circostanza
avesse una conoscenza personale della situazione indigena, questa potrebbe non essere
sufficiente a guidarlo nelle decisioni corrette.
In questo senso si esprimeva Hernan Cortés quando diceva che fatti nuovi necessitano di
nuovi consigli e pareri; di parere uguale era il giurista peruviano Juan de Matienzo che,
innbase alla sua esperienza personale, affermava che lo “que hoy conviene manana dana
y el guardar inviolablemente lo ordenado es causa de destruccion”.
Anche la vastità del territorio da governare cospira contro la possibilità di una legislazione
omogenea, ugualmente utile a tutte le regioni.
Per affrontare questi problemi causati dalla distanza, dalla vastità del territorio, dalla
disomogeneità delle popolazioni la Corona ricorrer a vari rimedi.
Il primo dei quali è interrogare minuziosamente i soggetti più informati sulle situazioni
locali: esploratori, colonizzatori e funzionari.
Il Consiglio delle Indie si divide in due segreterie: quella della Nuova Spagna e quella del
Perù, dotate di personale qualificato e specializzato nel trattare le questioni delle rispettive
aree. Sin da subito si rinuncia alla possibilità di emanare una legislazione generale per
tutta l'America Latina e si opta per una legislazione provinciale nella ricerca strenua di
raggiungere il risultato più adeguato alle necessità del paese.
Il particolarismo si accentua per la concorrenza di due altri fattori: uno è la potestà
legislativa che si riconosce alla autorità locali, dalle quali promana un flusso costante di
norme; l'altro fattore è dato dalla disomogeneità dei costumi indigeni, non essendoci stata
una civilizzazione precolombina di carattere continentale.
Un altro rimedio per affrontare l'enorme varietà di situazioni è il casuismo, che era una
peculiarità del diritto spagnolo dell'epoca, vale a dire legislare in maniera che vi sia una
singola legge per ogni singolo caso – mi sia permesso un commento personale, teoria
questa che contrasta fortemente con il principio di astrattezza del diritto.
Una legge delle Nuove Indie prescriveva di esaminare con molta attenzione ogni singolo
caso, secondo le condizioni e circostanze del momento presente, poiché pretendere di
risolvere fatti concreti attenendosi a ciò che è stato fatto in occasioni precedenti (ancorché
similari), potrebbe generare grandi inconvenienti.
Un ultimo mezzo, abbastanza originale, di superare le difficoltà dovute alla distanza è la
autorizzazione ad accettare la legge ma a disapplicarla! Il governante indiano che riceve
una disposizione che ritiene inapplicabile compie questo rito: la bacia, la pone sopra la sua
testa in segno di rispetto e pronuncia la formula rituale “la accetto ma non la compio”,
come dire: obbedisco alla autorità che ha emanato la legge, ma non la applicherò perché
non adatta alle circostanze presenti. Ovviamente in questo caso il funzionario dovrà
giustificare e spiegare dettagliatamente i motivi che lo hanno indotto al rifiuto, ed in caso di
reiterazione dell'ordine da parte della Corona non potrà ulteriormente rifiutarsi di obbedire.
Lo storico Vicens Vives segnalò la contraddizione esistente tra l'enorme potere che la
teoria politica dell'epoca attribuiva al Re e la scarsità di mezzi che questi aveva a sua
disposizione perché di desse esecuzione a quello che comandava. Teoricamente il Re era
onnipotente e godeva di un potere assoluto, ma in pratica l'organizzazione burocratica era
inefficiente ed insufficiente ad assicurare la effettiva attuazione di quanto dettato.
Sebbene non si possa dire che il diritto indiano raggiunse tutti i suoi obiettivi, fu comunque
elaborato dagli spiriti più lucidi dell'epoca e rappresentò uno sforzo notevole per
incanalare l'azione colonizzatrice secondo principi ispirati ad un'etica cristiana.

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