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BLACKSAD: TUTTA LA FORTUNA D’UN GATTO

NERO
2 Luglio 2018 · by Marco D'Angelo · in Riscritture

Che cosa rende davvero originale un personaggio a fumetti? E cosa vuol dire in fin
dei conti “originale”? La recente pubblicazione integrale in volume della
serie Blacksad di Canales e Guarnido permette qualche riflessione a riguardo.

Di gatti e topi la storia del fumetto è piena. Eppure, quando una decina d’anni fa
m’imbattei nella prima avventura in Bande dessinée del Blacksad, ideato da Juan
Díaz Canales (scrittore) e Juanjo Guarnido (disegnatore) mi sembrò davvero una
novità, nonostante al tempo stesso tutto in quelle vignette fosse intriso di déjà-
vu.

Blacksad è nero di pelo e di genere, è triste di nome e di vissuto. Le avventure di


questo gatto, investigatore privato in una America (alternativa) anni Cinquanta,
grondano hard-boiled in ogni inquadratura. Ambientate in un mondo feroce, un
mondo da cani, oltre che da gatti, ippopotami e giaguari, le vicende combinano la
narrativa di Raymond Chandler con la favolistica di Esopo e La Fontaine. Guardano
al maturo disincanto fumettistico di Alack Sinner e Torpedo ma mantengono, in
certe gag, l’esplosiva energia visiva dei comics e dell’animazione disneyana (da
cui Guarnido, come autore grafico, proviene).

Guarnido riesce a donare una peculiare concretezza plastica a questo universo


figurativo fatto di bestie umanizzate. Canales è altrettanto efficace in termini di
scrittura della scena a delineare i caratteri dei personaggi come un coacervo
inestricabile di istinti primari e sentimenti umanissimi. I personaggi
di Blacksad sono animali condannati ad essere uomini e che, nella loro umanità,
trovano la dannazione.

Come ha rilevato il critico Thierry Groensteen:

Un animale che parla e che si comporta come un umano determina una


anomalia [narrativa]. Tuttavia la dimensione antropomorfica può, in una
certa misura, farsi dimenticare e passare agli occhi del lettore per una
semplice convenzione di racconto… In Blacksad l’anomalia crea nondimeno
un sentimento di estraneità alla connivenza parodica, perché niente negli
intrecci riporta a una intenzione comica o satirica… (Thierry
Groensteen, Parodies: la bande dessinée au second degré, 2010
Flammarion).
In questo elemento “disturbante” emerge l’aspetto davvero peculiare della serie:
una chiosa dotta, e al tempo stesso cinicamente divertita, a millenni
d’antroporfismo, dalle favole letterarie già citate agli illustratori dell’ottocento
come Doré e Grandville, fino al Maus di Spiegelman. Blacksad non sarebbe
credibile per il pubblico come personaggio finzionale (e di conseguenza come
prodotto editoriale), se non vantasse nel suo DNA – per rimanere al genere felino
– i vari Felix, Krazy Cat, Fritz… I precedenti fumettistici alimentano l’immaginario
e ne sostengono la poetica espressiva.

In sostanza, l’originalità di Blacksad lavora per “addizione”. La serie esibisce


le somiglianze con storie e personaggi che l’hanno preceduta, perché solo
cogliendo quei rimandi, il lettore arriva a godere contestualmente
delle differenze presenti in queste storie.

Presi uno per uno, nessuno degli ingredienti mescolati dagli autori risulta davvero
sconosciuto al palato dei lettori gourmand del buon fumetto. Ma poi c’è il sapore
del piatto finale che gli chef Canales e Guarnido ci servono in tavola, o meglio in
ogni tavola del fumetto, è quello sì risulta, se non proprio inedito, comunque
incredibilmente gustoso.
Su tutto, resta la singolarità di questo gatto detective così felino e così umano.
D’altronde, come rilevava il cantore dell’hard-boiled letterario Raymond Chandler:

Un gatto si comporta come se fosse lui stesso il suo unico punto di


riferimento in un’esistenza per il resto opaca… Ma questo è solo un altro
modo per dire che un gatto non è un sentimentale, ma non vuol dire che non
provi affetto.

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