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Quali sono i rapporti tra la parola e l’immagine nel fumetto? I romantici parlano di un
amore reciproco. I cinici malignano di un matrimonio d’interesse. Gli scienziati del
linguaggio che, per anni, hanno spaccato la nuvoletta in quattro alla ricerca della
particella del Dio Fumetto che rivelasse il senso del mistero, continuano a interrogarsi.
Nel frattempo, basta rileggere una vignetta d’esordio come quella diAdah di Giancarlo
Berardi e Ivo Milazzo per dimenticarsi di ogni diatriba teorica e godersi l’emozione
disegnata dell’incontro tra lettere e tratti grafici.
La prosa ci catapulta in media res nella vita, appena cominciata, della piccola Adah, poi
il disegno a mezza tinta raccoglie il testimone e rilancia, rafforzando il tono del
racconto, il colore umano, l’afflato lirico. La forma diario, esaltata
dal lettering in corsivo, diventa la cifra stilistica dell’intero racconto giocato sul
contrappunto, ora ironico ora drammatico, tra ciò che il pennello di Ivo Milazzo mette
via, via in scena e ciò che la penna di Giancarlo Berardi suggerisce.
Per esempio, dopo una manciata di episodi, i papà di Ken Parker hanno scelto di abolire
le tradizionali didascalie utilizzate per dettagliare la vignetta con indicazioni temporali
e spaziali. In sede di regia, è Berardi a renderne superflua la presenza, mutuando dal
cinema, in maniera sistematica, la grammatica cinematografica dei campi e dei ritmi.
Allo stesso modo, viene ridotto al minimo l’utilizzo di nuvolette/pensiero: l’unico modo
per comprendere i sentimenti dei personaggi diventa leggerne le espressioni,
abilmente rese dalla recitazione grafica di Milazzo.
E’ un segno graffiato sul foglio che nel “non finito” trova la sua dimensione
comunicativa.
Racconto illustrato VS Fumetto
Ma tutto quello che Berardi e Milazzo hanno scelto di togliere dalle vignette
come zavorra verbale, sanno recuperarlo come afflato emotivo. Ecco, allora che le
didascalie – liberate dall’incombenza informativa – diventano un nuovo spazio
espressivo, efficace nell’ospitare il flusso interiore del personaggio.
Nel caso particolare di Adah è proprio l’io narrante, a rendere ancora più coinvolgente
per il lettore la vicenda, fin da questa magistrale vignetta incipit. Nelle lettere che la
protagonista verga – e scopriremo nel corso della storia con quanto dolore e fatica è
arrivata a conquistarsi il diritto di scrivere e raccontarsi in prima persona – oltre allo
svolgersi degli eventi, c’è il senso di una intera vita. La forma diario eleva il lettore a
interlocutore “privilegiato” dell’eroina, perché lo interpella direttamente a raccogliere
le sue confidenze. Solo il lettore arriva a conoscere davvero Adah, rispetto a tutti gli
altri personaggi della storia, e perfino all’eroe Ken Parker.
Non si tratta di una trovata espressiva fine a se stessa (anche la copertina dell’albo
gioca sullo stesso principio): corrisponde ad una idea innovativa di serialità di Berardi e
Milazzo, lontana anni luce da quella monumentale e iterativa della matrice Tex
Willer. All’eroe, tutto d’un pezzo, artefice in ogni singola inquadratura del suo destino
narrativo, si contrappone un personaggio “primus inter pares”, capace di ritrarsi dalla
vignetta per far posto ad altri, voce tra le voci, storia tra le storie. Un testimone del suo
tempo che, come ha scritto Moreno Burattini: