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La sonata classica 02/02/20, 12:39

La sonata classica

Il contenuto è ripreso da "Le forme della musica" di P. araba e C. Pedini, ed. Carish.

Sito: Liceo Giustina Renier


Corso: 5 ALM
Libro: La sonata classica
Stampato da: Marino Baldissera
Data: domenica, 2 febbraio 2020, 12:38

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Sommario
1. L'allegro di sonata
1.1. L'Esposizione
1.2. Lo Sviluppo (o Elaborazione)
1.3. La Ripresa
1.4. Schema dell'Allegro di sonata

2. Il tempo lento

3. Il Minuetto e lo Scherzo
3.1. Il Minuetto
3.2. Lo Scherzo

4. Il Finale
4.1. Il Rondò
4.2. Il Rondò-sonata
4.3. Altri tipi di finale

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1. L'allegro di sonata
Quando si parla di forma sonata o di allegro di sonata si intende quella particolare struttura
formale, bitematica e tripartita, utilizzata prevalentemente nel I° tempo di sinfonie, concerti, sonate ed altri
generi strumentali ad uno o più tempi scritti dopo la seconda metà del settecento. Questa forma, che rappresentò
il principale banco di prova per tutti i compositori del periodo classico e del periodo romantico, costituisce altresì
uno degli esempi più alti e complessi di struttura musicale che la storia ci ha consegnato, sintesi di elementi
costruttivi puramente musicali e principi logici propri del pensiero occidentale.

La struttura formale dell'Allegro di sonata era dunque basata su due temi distinti: il primo presentato nella
tonalità principale, il secondo nel tono della dominante (o al relativo maggiore se la tonalità principale era
minore). La presenza dei due temi nasceva dall'esigenza di meglio sottolineare il contrasto tonale già presente nel
meccanismo dialettico della sonata barocca. D'altra parte un nuovo elemento contrastante, un diverso Tema,
favoriva e al tempo stesso imponeva l'allargamento delle possibilità discorsive rendendo necessario il ricorso ad
una struttura più ampia e articolata del semplice schema bipartito proprio della forma più antica.

Lo schema complessivo dell'Allegro di sonata era pertanto suddiviso in tre parti distinte: l'Esposizione dove
venivano presentati i due temi nelle rispettive tonalità, lo Sviluppo dove i due temi venivano utilizzati e
sviluppati liberamente, dando vita a nuove sotto-strutture più o meno complesse, e la Ripresa dove i due
temi venivano riproposti non più in modo antitetico e contrastante ma entrambi "pacificati" a accomunati dalla
medesima tonalità principale d'impianto

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1.1. L'Esposizione
a) Il primo tema
L'Esposizione si apre con la presentazione del primo tema nel tono principale. Solitamente questo tema viene
posto in rilievo da evidenti caratterizzazioni melodiche e ritmiche; ciò trova ragione nell'esigenza di
riconoscibilità e memorizzazione di un elemento qual è il primo tema, particolarmente importante nell'economia
complessiva dell'intera composizione.

Si vedano i seguenti tre esempi:

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Talvolta la presentazione del primo tema viene preceduta da una introduzione, di solito
in tempo lento, che può anche non essere impostata nella tonalità principale.
Normalmente ha lo scopo di preparare adeguatamente l'arrivo del primo tema che,

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presentandosi con evidente contrasto di andamento e carattere espressivo, appare ancor


più definito nella propria identità.

b) Il ponte modulante
Dopo la presentazione del primo tema troviamo il ponte modulante, una zona transitoria che, come indica il
nome, ha lo scopo di traghettare la musica dalla tonalità principale a quella del secondo tema. Lo scopo del ponte
è anche quello di consentire il passaggio graduale da un tema con certe caratteristiche ad un altro tema, diverso
dal precedente non solo per tonalità ma anche per fisionomia complessiva.

La conclusione del primo tema non è sempre chiara e nitida, talvolta il tema stesso confluisce direttamente
nel ponte modulante senza che l'inizio di quest'ultimo sia individuabile in modo assoluto. Anche la lunghezza
del ponte può essere variabile: ci sono casi in cui viene ridotto a poche note, come nella Sonata facile in do
maggiore K.545 di Mozart dove il ponte è costituito da una sola battuta.

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Il ponte modulante è realizzato normalmente con alcuni frammenti melodici del primo tema; tuttavia non sono
infrequenti i casi in cui anche il ponte presenti nuovi motivi che, affiancati ai precedenti, possono andare a
costituire materiale tematico da utilizzare successivamente, anche durante lo Sviluppo.

Nel precedente esempio di Mozart il ponte diventa formula di accompagnamento del secondo tema.

c) Il secondo tema
Il ponte modulante ci conduce direttamente al secondo tema presentato nel tono della dominante (o al relativo
maggiore nel caso la tonalità d'impianto sia minore); tale rapporto di tonalità fra i due temi non costituiva tuttavia
obbligo assoluto, pur venendo nel periodo classico quasi sempre rispettato.

Il secondo tema ha di norma carattere contrastante rispetto a quello del primo tema: nella Sinfonia n° 5 di Franz
Schubert, al primo tema leggero e saltellante fatto di accordi spezzati e sostenuto nell'accompagnamento da un
delicato tremolo degli archi, risponde un secondo tema più definito e orchestrato in modo compatto.

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In Beethoven l'antitesi tematica è molto evidente: nella Quinta Sinfonia, dove la contabilità del secondo tema in
mi bemolle maggiore contrasta nettamente con il primo tema energico e ritmato; nella Sonata per pianoforte op.2
n° 2 dove ad un risoluto primo tema in la maggiore, fatto di salti e rapide scalette discendenti, viene contrapposto
un drammatico secondo tema nella tonalità di mi minore, costruito per gradi congiunti e frequentemente
modulante.

Si confrontino gli esempi con quelli riportati in precedenza tratti dalle stesse opere.

d) Conclusione dell'Esposizione
L'Esposizione si chiude con una serie di codette conclusive, costituite generalmente da una successione di
cadenze armoniche che hanno lo scopo di confermare definitivamente la tonalità del secondo tema.

L'intera Esposizione viene ritornellata (senza l'eventuale introduzione). Il motivo di questo ritornello sta nella
necessità di rendere ancora più chiaro, con il riascolto di tutta l'Esposizione, il materiale tematico in vista della
sua successiva utilizzazione durante lo Sviluppo.

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1.2. Lo Sviluppo (o Elaborazione)


Lo Sviluppo costituisce la parte centrale dell'Allegro di sonata. È la fase del confronto reciproco del materiale
tematico esposto in precedenza, confronto essenziale da cui prende vita una nuova situazione musicale che
scaturisce direttamente dalla combinazione ed elaborazione dei due temi principali. Il carattere tonale
dello Sviluppo è fondamentalmente modulante, al contrario dell'Esposizione, dove i due temi sono stati dichiarati
in due tonalità ben definite. Il percorso tonale svolto nel corso di questa sezione viene, pertanto, lasciato alla
completa libertà del compositore, che si affiderà al suo senso formale nello stabilire le giuste dimensioni da dare,
di volta in volta, allo Sviluppo.

Per meglio chiarire il significato di Sviluppo possiamo affermare che dopo l'Esposizione, di regola, non vengono
presentati nuovi temi o nuovi elementi musicali, se intendiamo per nuova un'entità priva di qualsiasi relazione col
materiale preesistente. Nello Sviluppo, ciò che viene prodotto, nondimeno avrà sempre il carattere della novità, in
quanto il materiale utilizzato non sarà mai identico al precedente e presenterà delle varianti per tonalità,
impostazione ritmica o andamento melodico. In altri casi lo Sviluppo produrrà una vera e propria "germinazione"
di elementi mai uditi in precedenza; ci troveremo allora innanzi a costruzioni musicali nuove, dotate di un proprio
carattere ed una propria fisionomia, pur sempre direttamente originate, nella mente del compositore, come
naturale conseguenza del materiale esposto.

Lo Sviluppo, per questa sua peculiarità di parte essenzialmente libera, dove il compositore in prima persona
decide quali strade intraprendere nell'utilizzare e trasformare il materiale tematico, rifugge da qualsiasi
schematizzazione precostituita. Ne consegue l'impossibilità di indicare criteri o norme generali di indagine, viste
e considerate le numerose e marcate differenze costruttive degli sviluppi riscontrabili nei diversi autori. Gioverà
piuttosto tracciare un quadro sintetico di come questa sezione si sia modificata nel corso del tempo e di come essa
abbia acquisito, progressivamente, importanza ed attenzione da parte dei compositori.

La graduale evoluzione della zona dello Sviluppo è testimoniata dall'esperienza compositiva di autori quali
Haydn e Mozart. Si veda ad esempio l'Allegro posto come secondo movimento del primo quartetto di Mozart:
l'Esposizione è priva del ponte modulante e la musica va direttamente dal primo al secondo tema, lo Sviluppo,
ridotto ad appena 14 misure, non contiene riferimenti diretti ai due temi principali ma viene svolto come una
breve sezione di collegamento, in modo analogo al momento di raccordo tipico della seconda parte di una sonata
antica. In questo caso, a rigore, ancora non si potrebbe parlare propriamente di Sviluppo, quanto piuttosto
di sezione di raccordo tonale, anche se il cammino evolutivo è segnato.

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Ben diverso si presenta lo Sviluppo del I° movimento della Sinfonia n° 40 che con le sue 64 battute elabora
adeguatamente il materiale tematico presentato nelle 100 battute di Esposizione. In questo esempio lo Sviluppo
viene realizzato da Mozart utilizzando prevalentemente la testa del primo tema frequentemente contrappuntata da
frammenti musicali derivanti dal secondo tema e dal ponte modulante.

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Nel periodo romantico lo Sviluppo diventa sezione ancora più importante e complessa. In essa si realizza
compiutamente il contrasto o sublimazione dell'antitesi tematica, motivo ispiratore e fine principale della forma
sonata. Si prenda come esempio la Sinfonia n° 4 "Italiana" di Felix Mendelssohn Bartholdy (1809-1847), ove
l'elaborazione degli elementi presentati durante l'Esposizione produce, nel corso dello Sviluppo, un terzo nucleo
tematico in parte derivato dalla combinazione dei due temi principali.

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Le tre esemplificazioni qui presentate hanno avuto lo scopo di mostrare alcuni dei possibili modi di condurre
uno Sviluppo, lontane dalla pretesa di esaurire un'ampia casistica spesso coincidente con prassi e stilemi diversi
da compositore a compositore. Ciò testimonia la grande duttilità della Forma Sonata rispetto ad altre ad essa
precedenti, quasi che il suo meccanismo costruttivo, più che basarsi su un rigido schema logico, fosse concepito
come l'impostazione di un problema musicale (l'antitesi bitematica contenuta nell'Esposizione), di cui ognuno
potesse ricercare la propria personale soluzione.

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1.3. La Ripresa
Al termine dello Sviluppo si colloca l'ultima sezione della forma sonata che prende il nome di Ripresa. In questa
sezione vengono riproposti, nella forma originale o leggermente variati, i due temi presentati nell'Esposizione. Vi
è però una differenza sostanziale: nella Ripresa i temi sono entrambi nella tonalità principale1. Uno degli obiettivi
della Ripresa è difatti la riaffermazione della tonalità principale dopo la lunga fase modulante che la precede, ma
in primo luogo è da sottolineare che questa terza sezione è il risultato di quanto avvenuto nel corso
dello Sviluppo. Il contrasto tematico e tonale che ha contraddistinto l'Esposizione e ha offerto materia viva
allo Sviluppo, trova nella Ripresa una soluzione, cosicché il primo e il secondo tema possono dialogare nella
stessa tonalità fino ad apparire, in taluni casi, uno complementare dell'altro.

1
Questa regola, per la verità, specie per le tonalità minori, presenta numerose eccezioni, dovute alla volontà di
mantenere il carattere del secondo tema integro e contrastante con il primo. Ad esempio, nella Ripresa del I°
Tempo della Quinta Sinfonia, Beethoven, al primo tema in do minore risponde, mantenendo il secondo tema in
tono maggiore.

Nella Sonata per pianoforte in do minore di Mozart, ad esempio, si vede chiaramente come il secondo tema, dal
mi bemolle maggiore dell'Esposizione al do minore della Ripresa, muti in modo radicale la propria fisionomia,
assumendo un aspetto più cupo, analogo a quello del primo tema.

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Lo schema normalmente adottato per la Ripresa è lo stesso utilizzato nell'Esposizione (fatti salvi i cambi
di tonalità di cui si è appena detto):

1° Tema ---> Ponte modulante ---> 2° Tema ---> Code conclusive

(tonalità principale) (tonalità principale)

Evidentemente il ponte modulante sarà condotto in modo tale da poter ricadere sulla tonalità da cui era partito.
Anche se dal punto di vista tonale la presenza del ponte sarebbe a questo punto superflua, bisogna ricordare che
la sua funzione di raccordo non è solo legata alla tonalità ma anche alle caratteristiche proprie dei due temi da
collegare.

Al termine della Ripresa troviamo frequentemente una Coda conclusiva dell'intero movimento. La presenza della
Coda diviene abituale dopo Beethoven che diede a questa parte un'importanza pari a quella delle sezioni che la
precedono. La Coda ha spesso lo scopo di riassumere i contenuti espressi nel corso dell'intero Allegro.

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1.4. Schema dell'Allegro di sonata

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2. Il tempo lento
Nelle composizioni da camera e sinfoniche del periodo classico e romantico, al primo tempo, l'Allegro in forma
sonata, segue un tempo lento. La prassi di alternare movimenti lenti a movimenti veloci era ormai consolidata fin
dal periodo barocco, senza dire della più antica struttura rinascimentale della Canzon da sonar, ove gli andamenti
veloci e lenti si susseguivano nel corso dell'unico tempo in cui quella forma strumentale era organizzata.

Nel periodo classico la struttura del tempo lento, pur manifestandosi con grande pluralità di tipologie, presenta
alcuni denominatori comuni. Innanzitutto la tonalità di questo movimento è quasi sempre diversa dal primo. In
epoca classica si prediligevano le tonalità più vicine; successivamente ci si allontanerà sempre più dal tono
del primo tempo, adottando per quello lento anche tonalità molto distanti. Dal punto di vista strutturale si nota,
nella maggior parte dei casi, la presenza di un tema principale (potremmo chiamarlo unico tema) di natura
spiccatamente melodica che si snoda poco alla volta nel corso del movimento e di cui costituisce la componente
più cospicua ed evidente. La marcata indole melodica di questo tema si contrappone in modo netto ai due temi
che hanno dato vita all'Allegro, determinando, insieme alla diversa di andamento, quel contrasto peculiare che
sempre si riscontra fra primo e secondo movimento.

Il tema compare almeno due volte, alternato da sezioni più o meno contrastanti. La sua priorità su altre eventuali
idee musicali presentate non viene mai messa in discussione, tanto da giustificare la frequente definizione data
dai teorici di movimento monotematico in forma di canzone (binaria o ternaria) o di rondò. Effettivamente la
struttura che sembra servire da modello elementare è quella della Canzone ternaria (la cosiddetta piccola forma
ternaria):

A-B-A (o anche A - B - A')

con un unico tema alternato da una breve sezione contrastante.

Nell'Andante della Sonatina per pianoforte op.79 di Beethoven, troviamo ad esempio una prima sezione A in sol
minore, una sezione B in mi bemolle maggiore e una ripresa A' in sol minore dove, ad una riproposizione testuale
della prima sezione, segue la Coda con le sue 5 misure conclusive, che riprende la formula di accompagnamento
della sezione B. L'esempio riguarda, non casualmente, una sonatina, forma semplificata della sonata, sia nella
difficoltà esecutiva che nelle dimensioni.

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Al contrario dell'esempio precedente, nella sonata vera e propria, in un quartetto, in una sinfonia o in un concerto
ecc., è molto raro trovare l'essenziale forma A - B - A', dato che il modello viene normalmente ampliato ripetendo
due volte lo schema Tema - sezione contrastante - Tema, tale da generare una struttura analoga al Rondò:

A-B-A-C-A

Diciamo struttura analoga in quanto la caratteristica tipica del rondò propriamente detto è, oltre la forma,
l'andamento e il carattere vivace del tema, caratteristiche, queste, lontane dalle prerogative del tempo lento. Tant'è
che non viene mai specificato dagli autori il termine "rondò" per il secondo movimento nonostante le eventuali
somiglianze formali, contrariamente a quanto avviene per l'ultimo tempo (di andamento veloce) indicato
espressamente come Rondò.

Esempio: Adagio cantabile della Sonata op.13 "Patetica" di L. V. Beethoven.

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Non è tuttavia questa l'unica strada seguita dagli autori nel modellare il tempo lento. Possiamo di frequente
incontrare una costruzione simile all'Allegro di sonata che preferiamo definire una quasi forma-sonata. Il
principio è il medesimo: la volontà di ampliare il modello ternario cui ci si riferisce come struttura di base. Il
procedimento normalmente adottato consiste nel condurre il tema fuori dalla tonalità iniziale e trasformarlo
melodicamente in modo da costruire un secondo nucleo tematico. Con tale procedimento, il nuovo elemento, più
che contrapporsi al primo, ne costituisce una naturale prosecuzione, mantenendone per lo più il carattere,
l'andamento e spesso anche le formule di accompagnamento. Si veda come esempio l'Adagio della Sonata K.576
di W. A. Mozart.

La tonalità di questo movimento è la maggiore (dominante della tonalità d'impianto dell'intera sonata). Il 1°
tema, dopo un primo periodo di 8 battute, si snoda melodicamente con frequenti figurazioni di biscrome,
portandosi, dopo le successive 8 battute, nella tonalità di fa diesis minore dando vita ad una diversa conduzione
melodica (2° tema). Di qui si prosegue, con questa nuova impostazione tematica, nella zona mediana, ricca di
modulazioni. Alla ripresa il 1° tema è in la maggiore, e nel trasformarsi melodicamente nel 2° tema permane
ancorato alla tonalità di la maggiore. È evidente quanto tale modo di condurre il tempo lento vada a coincidere
col modello tripartito della sonata classica, formulando in pratica la classica tripartizione costituita da
una Esposizione, uno Sviluppo e una Ripresa.

Nel secondo movimento della sua Quinta Sinfonia Beethoven presenta il tema (a) in la bemolle maggiore; alla
battuta 27 si stacca dalla tonalità iniziale, portandosi, in quattro battute modulanti, nel tono di do maggiore; qui
da vita ad un nucleo tematico (b, battuta 32) così simile al primo da apparire più come una naturale prosecuzione
dello stesso che non un tema diverso. Questo blocco la bemolle maggiore - do maggiore, da battuta 49 in avanti
(lettera B), viene ripetuto una seconda volta in modo quasi identico (con variazioni strumentali che non toccano
affatto l'impostazione armonica).

A battuta 98 (C) segue una terza variante, differente dal modello per una fermata sull'accordo di V° grado (mib)
alla fine del 1° tema (a''), cui segue l'aggiunta di una sezione di raccordo di poco più di venti battute, prima di
ritrovare il 2° tema (b'', che ritroviamo a batt.147). A questo punto vengono proposte altre due variazioni, ma del
solo 1° tema (a''' e a''''): la prima, brevissima (D), in la bemolle minore (batt.167), la seconda (E) di nuovo in la
bemolle maggiore (batt.185) che risolve nella Coda conclusiva "Più mosso" di battuta 205.

Lo schema formale che ne consegue è dunque il seguente:

A) Tema a - Tema b, B) a' - b', C) a'' - b'', D) a''', E) a'''', Coda

Evidentemente siamo di fronte ad un doppio tema progressivamente variato ma senza la rigida successione di un
vero e proprio tema con variazioni. Di quella forma, oltre ad un assetto costruttivo generale, manca la presenza di
un unico tema che affermi una precisa e sola tonalità; qui le tonalità sono due, nonché il mantenimento dei
rapporti tonali fra gli stessi, avvicinano molto questo movimento a quello di un tema con variazioni.

Ancora una volta gli esempi confermano la varietà delle strade percorse dagli autori nel modellare i propri lavori.

Riassumiamo qui di seguito in una sintesi schematica i tre modelli proposti negli esempi, a rappresentazione delle
strade più comunemente seguite dai compositori del periodo classico e romantico nell'ampliare il modello A - B -
A', forma primaria da cui il tempo lento muove.

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3. Il Minuetto e lo Scherzo
In una composizione, sia essa sinfonica o cameristica, costituita da più di tre movimenti, il terzo tempo di norma
è in forma di Minuetto o di Scherzo; si tratta di un movimento intermedio (al pari del tempo lento) che va a
collocarsi prima dell'ultimo tempo. Il minuetto o lo scherzo sono quindi assenti nelle composizioni costituite da
tre movimenti, ove l'alternanza Allegro . Adagio - Allegro, ne esclude la presenza.

Tale collocazione è di certo quella più largamente praticata; non sono tuttavia infrequenti i casi in cui il minuetto
o lo scherzo costituiscano il secondo movimento, con il tempo lento spostato al terzo posto (si pensi ad esempio
alla Nona Sinfonia di Beethoven).

La successione dei quattro movimenti può dunque presentare due varietà:

a) Allegro (in forma sonata) - Tempo lento - Minuetto (o scherzo) - Finale

b) Allegro (in forma sonata) - Minuetto (o scherzo) - Tempo lento - Finale

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3.1. Il Minuetto
Del minuetto abbiamo parlato a proposito dei diversi tempi di danza che possono aggiungersi ai movimenti fissi
di una suite. Si tratta di un movimento di danza con ritmo ternario (solitamente 3/4) e struttura derivata
dalla sonata antica (monotematica e bipartita).

La presenza del minuetto nelle composizioni con più movimenti del periodo classico che qui trattiamo, è in effetti
un residuo delle antiche forme barocche: quando la suite e la partita caddero lentamente in disuso per cedere il
posto alla sinfonia e alla sonata classica, restò quest'unico movimento a testimoniare la presenza nella musica
strumentale di forme in precedenza legate alla danza. Già nella suite avevamo osservato come al minuetto potesse
affiancarsi un secondo minuetto con funzione contrastante. Dopo l'esecuzione di questo secondo minuetto era
prevista la ripresa del primo minuetto senza ritornelli. Ne risultava una struttura complessiva
tipicamente ternaria:

A Minuetto I - B Minuetto II - A Minuetto I

con ritornelli con ritornelli senza ritornelli

Il Minuetto nelle composizioni classiche a più tempi assumerà questo assetto, con il secondo minuetto che
prenderà il nome di Trio. Alcuni definiscono questa come grande forma ternaria, per distinguerla dalla piccola
forma A B A.

L'appellativo di grande forma si giustifica per la presenza, all'interno di una struttura complessa, di entità
musicali (in questo caso il minuetto e il trio) già perfettamente definite in se stesse e insieme concorrenti alla
costruzione di una forma superiore. Il minuetto, ricordiamo, ha schema analogo alla piccola forma ternaria:

[: A :] [: B - A' :]

in cui B è episodio di collegamento e non secondo tema.

La presenza di un unico tema e la suddivisione dei ritornelli fa si che si tratti di forma monotematica e bipartita,
così come in precedenza descritta. L'aggettivo ternaria si riferisce alla presenza della ripresa A' nella seconda
parte. È dunque corretto definire il minuetto come piccola forma ternaria, con un unico tema, articolata in
due parti ritornellate.

Il Trio del Minuetto


Il trio non è altro che un secondo minuetto, strutturato in modo assolutamente identico al primo. Il termine
deriva dal fatto che in origine il minuetto secondo (così come per l'eventuale gavotta seconda o bourré ecc.)
nelle suites orchestrali veniva eseguito solo da tre strumenti, per meglio rendere il contrasto col "tutti"
del minuetto primo. Era questo uno degli elementi di contrasto più efficaci e necessari, visto che, tra l'altro,
il minuetto secondo restava sempre ancorato alla stessa tonalità del primo (l'unica eccezione era costituita dal
rapporto maggiore-minore, che legava talvolta i due minuetti). Anche se la prassi di affidare il minuetto II a tre
strumenti venne presto abbandonata, la tendenza ad alleggerire il piano della sonorità rimase una costante tipica
del trio anche in epoca classica e romantica. Il contrasto fra trio e minuetto poteva poi fondarsi su altri elementi
in aggiunta ai precedenti tra cui il carattere espressivo, l'andamento ritmico, i moduli d'accompagnamento.

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La ripetizione finale del minuetto avveniva senza ritornelli sia per non appesantire la forma (la presenza di un
ritornello si giustifica sempre con la necessità di rendere più evidente e comprensibile un elemento musicale,
necessità che viene ovviamente a mancare nel corso di una ripresa) sia per rendere più snella e quindi efficace la
conclusione. La struttura complessiva del terzo tempo, comprendendo minuetto e trio risultava così articolata:

Minuetto (con ritornelli) - Trio (con ritornelli) - Minuetto (da Capo senza ritornelli)

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3.2. Lo Scherzo
Lo Scherzo è il brano che, da Beethoven in avanti, sostituirà progressivamente il minuetto nelle composizioni a
più tempi. La definizione di scherzo si riferisce sia al carattere originario di brano brillante e, appunto,
"scherzoso" (caratteristica, quest'ultima, che negli autori tardoromantici il più delle volte andrà perduta), sia
nell'andamento, molto più vivace di un minuetto. Per quanto riguarda il metro, negli autori del primo ottocento
resta quello ternario (3/4), nonostante, nel corso del secolo, anche questo riferimento verrà molte volte
abbandonato in favore sia di tempi composti (3/8 o 6/8) sia di tempi binari semplici (2/2, 2/4, 4/4). Le uniche
caratteristiche che a questo punto accomuneranno tutti gli scherzi, saranno il carattere generale (assai lontano
dalla danza), l'andamento mosso e, naturalmente, la struttura, che si presenta ternaria, così come l'abbiamo
descritta a proposito del minuetto.

[: A :] [: B - A' :]

Nello scherzo, contrariamente al minuetto, non sono però sempre presenti i ritornelli; a volte questi vengono
svolti direttamente in partitura dal compositore al fine di apportare delle varianti durante le ripetizioni. Inoltre,
data la rapidità dell'andamento, il numero complessivo delle battute è di molto superiore a quelle che possiamo
trovare in un minuetto, senza dire degli sviluppi, ampliamenti, progressioni modulanti e codeste che lo rendono
molto più ricco e complesso.

Spesso la sezione centrale B si presenta più come sviluppo degli elementi della parte A che non come sezione
contrastante costituita da nuovi elementi. In tal caso, ove assente il segno di ritornello, la struttura dello scherzo
potrà essere semplicemente:

A - B - A (o A - B - A')

con ognuna delle tre sezioni ampiamente sviluppate.

Altra possibilità è una successione alternata di sezioni A e B ogni volta sottoposte a modifiche più o meno
significative, come ad esempio una struttura del tipo:

A - B - A' - B' - A''

Si veda nell'esempio lo Scherzo della Sinfonia n° 1, op. 38 di Robert Schumann (1810-1856) strutturato secondo
lo schema A - B - A':

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Il Trio dello Scherzo


Anche se lo scherzo è eseguito dal trio. Evidentemente in questo caso il trio sarà più complesso di quello che
segue un minuetto. Spesso, negli autori romantici, si trova in una tonalità diversa da quella dello scherzo, e questo
rende ancora più evidente il contrasto fra trio e scherzo. Contrasto che in alcuni casi viene ulteriormente
accentuato da modificazioni ritmiche, diverso carattere e andamento. Al trio segue nuovamente lo scherzo, che
contrariamente al minuetto, è scritto direttamente in partitura, così da consentire nuove aggiunte e modifiche nel

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corso della ripresa stessa. Pertanto, mentre alla fine del trio di un minuetto troviamo la semplice
indicazione Minuetto D.C. (che ci porta alla ineludibile ripresa Da Capo del minuetto), dopo il trio di uno
scherzo troviamo direttamente scritta in partitura la ripresa (più o meno variata) dello scherzo stesso:

Scherzo - Trio - Scherzo

In altri casi nel corso del trio viene riproposta una parte dello scherzo, dando così alla struttura complessiva una
fisionomia che si avvicina a quella del rondò, con l'insistente riproduzione del tema iniziale.

Altre volte, sempre nel periodo romantico, troviamo alternati allo scherzo due trii, come, ad esempio,
nella Prima e nella Seconda Sinfonia di Robert Schumann (1810-1856).

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In casi simili, come è possibile verificare negli esempi, lo scherzo vero e proprio non è particolarmente lungo e
limita le ripetizioni; i due trii si collocano poi all'interno di un unico movimento che li vede alternati da due brevi
riprese dello scherzo.

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La struttura complessiva che ne risulta può essere così schematizzata:

A (Scherzo) - B (Trio I) - A' (Scherzo) - C (Trio II) - A'' (Scherzo)

La forma che abbiamo appena descritto (a volte con un solo Trio) la troviamo applicata in modo identico anche
alla Marcia, brano generalmente destinato alle formazioni bandistiche per accompagnare sia i soldati che
processioni civili o religiose. Il tempo della marcia è però binario, come vuole il tipico passo marziale. Non
mancano esempi di marce stilizzate anche nelle forme concertistiche, come la Marcia funebre, II° movimento
della Sinfonia n°3 "Eroica" di Beethoven.

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4. Il Finale
Nei paragrafi successivi potrai approfondire le tipologie formali dell'ultimo movimento della Sonata classica.

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4.1. Il Rondò
L'ultimo tempo di una sonata, di una sinfonia, di un concerto o di un altro brano di musica da camera del periodo
classico era di regola un rondò realizzato nella tonalità principale, cioè la stessa del 1° Tempo1.

Si tratta di una delle strutture morfologiche più chiare ed efficaci, presente anche in molta musica popolare, e le
cui origini coincidono praticamente con quelle delle prime forme musicali. Il rondò è costituito da un solo tema
che viene presentato più volte, alternato a diverse sezioni conrastanti che possiamo chiamare episodi:

A - B - A - C - A (Rondò diviso in cinque sezioni)

o anche

A - B - A - C - A - D - A (Rondò diviso in sette sezioni)

dove A rappresenta il tema principale e B, C, D i diversi episodi. In pratica si tratta di un ampliamento dello
schema ternario A - B - A, così come abbiamo visto anche a proposito del tempo lento. Tuttavia ciò che
distingueva il rondò vero e proprio dalle analoghe strutture relative ai tempi lenti era il carattere musicale, che nel
rondò propriamente detto era sempre piuttosto vivace e spigliato.

La struttura ritornellata propria del rondò si trova già anticamente in molta musica vocale sacr di genere popolare
basata sul principio responsoriale, dalle litanie ai canti processionali. In queste strutture elementari, basate
sull'alternarsi di un semplice motivo cantato dal popolo ed una sezione, musicalmente diversa, eseguita dal
celebrante, troviamo la prima documentazione di un percorso formale comune alla maggior parte della musica
popolare.

Anche le forme vocali profane a struttura strofica seguivano spesso lo schema A-B-A-B'-A-B'' ecc. dove un
ritornello sempre identico, sia nella musica che nelle parole, si alternava ad una serie di strofe differenti per il
testo ma non per la musica. Questo schema elementare è poi rimasto immutato nel corso dei secoli ed ancor oggi
rimane quello più frequentemente adottato anche nelle canzoni di musica leggera.

__________

1 Se il 1° Tempo era in tonalità minore, l'ultimo poteva essere in tono maggiore. Come nella Quinta Sinfonia di Beethoven dove al 1° Tempo in do minore si

contrappone il Finale in do maggiore.

__________

Antenato del rondò era il Rondeau, una forma vocale del medioevo francese basata su un refrain corale ed una
serie di strofe, variamente combinate fra loro, cantate da un solista. In origine serviva come canto che
accompagnava una danza per trasformarsi poco a poco in brano musicale autonomo. In seguito, nei secoli XIV e
XV, il Rondeau divenne polifonico, per trasformarsi infine in composizione tipicamente strumentale destinata in
primo luogo al clavicembalo e strutturata ormai secondo lo schema A-B-A-C-A-D-A tipico del rondò.

Il tema principale del rondò è sempre tratteggiato chiaramente, in modo da essere facilmente riconoscibile ad
ogni sua nuova riproposizione, e, di norma, viene sempre ripresentato nella medesima tonalità.

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Gli episodi, viceversa, hanno una caratterizzazione meno pregnante e spesso sono modulanti rispetto al tono
principale. In alcuni casi gli episodi propongono un materiale nuovo e quindi particolarmente contrastante
rispetto al tema. Altre volte utilizzano spunti tematici tratti dal tema principale, sfruttando in modo
particolarmente evidente il principio di variazione.

Vediamo come esempio tipico di finale il rondò della Sonata in do maggiore K.545 di Mozart: il tema, costituito
di otto battute (all'inizio del movimento ritornellate), viene presentato complessivmente tre volte secondo lo
schema: A-B-A-C-A (più una Coda conclusiva di 13 battute).

Il tema principale, basato su bicordi di terze saltellanti, è sempre facilmente riconoscibile e risulta sempre
chiarissima ogni sua riproposizione. Gli episodi sono costruiti utilizzando per lo più frammenti ricavati dallo
stesso tema, dando a tutto il movimento un forte senso unitario. Mostrando separatamente ogni sezione di tutto
questo rondò abbiamo:

A:
batt. Tema - do maggiore, ritornellato
1-8
B:
1° episodio - sol maggiore, con nuovi elementi motivici nelle batt. 8 -
batt.
12 e con frammenti del tema principale nelle batt. 12 - 20.
8-20
A:
batt. Tema - do maggiore
20-28
2° episodio - la minore, si tratta di un lungo episodio costruito dapprima
C: con frammenti del tema principale, batt. 28-32, poi con nuovi elementi
batt. motivici, batt. 32-40, per poi riprendere ancora il frammento per terze
28-51 del tema principale, batt. 40-48, e terminare con una codetta di quattro
battute, 48-51, che ci riporta al tono principale.
A:
batt. Tema - do maggiore
52-60
Coda: do maggiore, costruita utilizzando prima lo stesso inciso della codetta
batt. del 2° episodio, batt. 60-67, per chiudere con due serie di accordi
60-73 spezzati di so maggiore chiusi da altrettante cadenze.

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4.2. Il Rondò-sonata
L'evoluzione delle forme classiche portò, alla fine del settecento, ad una trasformazione del rondò come
movimento finale delle composizioni a più tempi, dando vita ad una struttura che raccoglieva sia gli elementi
caratteristici del rondò che quelli dell'Allegro di sonata. Questa forma evoluta di rondò, comunemente detta
Rondò-sonata, adottava il seguente schema:

Esposizione Elaborazione (sviluppo) Ripresa


A-B-A -C- A - B' - A
A, in questo caso, rappresenta il 1° tema, che è anche il tema principale tipico del rondò. B e B' rappresentano
invece il 2° tema, che, analogamente all'Allegro di sonata, nella sua prima comparsa (B) sarà impostato in una
tonalità diversa dalla principale, mentre la sua riproposizione (B') avverrà nel tono d'impianto. C rappresenta
l'Elaborazione, che tuttavia, pur utilizzando materiali desunti dai temi precedenti, più che un vero e proprio
Sviluppo, rappresenta una zona fortemente variata e contrastante rispetto alle due parti che la delimitano.

Come si vede questa forma mantiene la tipicità del rondò, col frequente ritorno del tema principale, ma si
arricchisce della complessità propria del bitematismo dell'Allegro di sonata dando all'ultimo movimento dei tutta
la composizione un senso di conclusione particolarmente efficace e convincente. Un esempio tipico di rondò-
sonata è dato dal Finale della Sonata in do minore, "Patetica" di Beethoven.

Troviamo il tema principale in do minore esposto da batt. 1 a 17, seguono alcune battute di ponte
A
modulante che porteranno al secondo tema

Il 2° tema, in mib maggiore è piuttosto complesso e ordinato in quattro sezioni:

1) da batt. 25 a batt. 32

B 2) da batt. 33 a batt. 43

3) da batt. 44 a batt. 50

4) da batt. 51 a batt. 61 che riprende l'andamento della sezione n° 2

A La prima riproposizione del tema, sempre in do minore, alle battute 61-78

La parte centrale occupa le battute 78-120 ed è divisa in tre sezioni:

1) in lab maggiore da batt. 78 a batt. 106


C
2) in do minore da batt. 107 a batt. 112

3) sempre in do minore da batt. 113 a batt. 120

La seconda riproposizione del tema principale, in do minore, si trova alla battuta 120 ed apre la Ripresa.
A
Il tema principale confluisce direttamente nel 2° tema (battuta 134)

B' Il 2° tema (batt. 134-170) è riproposto nella tonalità principale, do minore

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A L'ultima ripresa del tema occupa solo otto battute, da 171 a 178 (ed ha la funzione di propagazione della
lunga coda successiva)

(batt. 178-210) che, riproponendo alcuni spunti musicali presentati nel corso del movimento, imprime
Coda
un forte senso conclusivo sia al rondò che a tutta la sonata.
***

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4.3. Altri tipi di finale


Da quando a Vienna, il 7 maggio 1824, venne eseguita per la prima volta la IX Sinfonia di Ludwig van
Beethoven, la storia della musica registrò un radicale cambiamento nel modo di intendere le forme classiche. In
verità, nella musica da camera, Beethoven aveva già mostrato come le strutture formali tradizionali potessero
essere modificate e superate. Questo in nome di una nuova visione del mondo, propria del romanticismo, i cui
principi filosofici ed estetici all'inizio del XIX secolo si andavano diffondendo in tutta Europa. Nell'estetica
romantica l'individuo torna ad occupare il posto centrale nella produzione delle idee, non viene più riconosciuta
l'oggettività e la perfezione astratta delle forme classiche, ma vengono posti in primo piano il sentimento e le
passioni, la spontaneità e l'irrequietezza, le emozioni proprie dell'animo umano capaci di guidare l'individuo
verso esiti nuovi e sorprendenti. Sotto questa nuova ottica l'individuo diviene soggetto attivo del processo
formale, intervenendo direttamente sulla fisionomia delle strutture compositore, plasmandole in base ad un
proprio percorso costruttivo e in opposizione alla visione oggettiva ed immutabile propria del razionalismo
illuminista del settecento.

Proprio con il Finale della Nona, quanto di più lontano e imprevedibile si potesse immaginare come conclusione
di una sinfonia, cadono definitivamente le ultime barriere che distinguevano le forme sinfonico-strumentali da
quelle vocali, mostrando come anche le distinzioni dei generi potessero essere superate in base a precise istanze
espressive.

La Nona Sinfonia di Beethoven, con il suo Finale dove quattro cantanti e il coro intonano l'ode An die Freude
scritta da Friedrich Schiller nel 1785, divenne così la bandiera, il punto di riferimento di quegli ideali romantici
che in musica portarono ad oltrepassare gli schemi formali ereditati dal classicismo. L'organizzazione delle 940
battute che compongono l'ultimo tempo della Nona è, approssimativamente, quella di una grande struttura
sinfonico-corale tripartita, preceduta da un'ampia introduzione della sola orchestra (batt. 1-207) che inizialmente
ripropone, riassumendoli, i temi proposti nei primi tre movimenti della sinfonia, per poi anticipare la
famosa melodia dell'ode di Schiller.

Sull'esempio di Beethoven sono numerosi gli autori che adottarono strutture formali insolite per i finali dei propri
lavori. Citeremo, fra i casi più significativi, quello del Finale della Sinfonia n° 4 "Italiana" di Mendelssohn
(1809-1847) indicato col termine di "Saltarello", una danza popolare italiana, di fatto costituito da una serie
di variazioni; queste, sostenute da un irrefrenabile impulso ritmico.

Un altro esempio di finale anomalo è quello della Quarta Sinfonia di Brahms (1833-1897) che adotta la struttura
di Passacaglia basata su un tema di otto battute ed una lunga serie di variazioni.

Nella sua Sinfonia n° 2 Gustav Mahler (1860-1911), analogamente alla Nona di Beethoven, adotta un finale con
coro e orchestra. C'è da dire tuttavia che alla fine dell'ottocento la forma classica della sinfonia (come,
evidentemente, del concerto, della sonata e delle altre forme analoghe) aveva subito ormai profondi mutamenti, i
quali da un lato avevano determinato modificazioni radicali nell'impostazione generale della struttura sinfonica,
cambiando sovente anche il tradizionale ordine dei singoli movimenti.

Appaiono così lavori in cinque o più tempi e che possono aprirsi o chiudersi anche con movimenti lenti.
Appartengono a questo tipo di sinfonia romantica la Sesta Sinfonia, detta "Patetica", di Petr Il'ic Cajkovskij
(1840-1893) che si chiude con un Adagio lamentoso, con i movimenti più mossi (fra cui uno
straordinario Walzer in 5/4) al centro. Anche la Nona e l'incompiuta Decima di Mahler si aprono e si chiudono

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con due grandi tempi lenti, mentre nella Terza (che, fra l'altro, utilizza anch'essa solisti vocali e coro, e che, con i
suoi sei movimenti, è la più lunga sinfonia che conosciamo) troviamo un grande adagio conclusivo. Per non dire
dell'Ottava Sinfonia dello stesso autore, tutta concepita per soli coro e orchestra, in due soli tempi di cui il primo
(sul testo dell'inno Veni Creator Spiritus) è modellato sullo schema della forma sonata, mentre il secondo,
lunghissimo, è una vera e propria scena lirica su testo tratto dal Faust di Goethe.

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