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LA POLEMICA CLASSICO ROMANTICA

La polemica fra classicisti e romantici durò per circa un decennio e fu avviata da un articolo della
scrittrice francese Madame de Stael, intitolato Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni ed apparso
l'1 gennaio 1816 nel primo numero della rivista "Biblioteca italiana", in cui criticava i classicisti per
la loro staticità nelle tematiche, ormai antiche e ripetitive (mitologia greco-romana); consigliava
inoltre di prendere spunto dalle letterature europee come quella inglese e tedesca, e di tradurne un
maggior numero di opere, perché esse rappresentavano, invece, grande innovazione e modernità.

Nell'articolo era implicita l’accusa di arretratezza rivolta i letterati italiani, alcuni dei quali, diceva la
Stäel, erano degli eruditi che andavano "continuamente razzolando nelle antiche ceneri, per
trovarvi forse qualche granello di oro"; altri erano superficiali e leggeri, capaci solo di scrivere
opere ricche di belle parole, ma vuote d’ogni pensiero, che stordivano le orecchie e lasciavano
sordi i cuori altrui.

L’articolo suscitò molte polemiche: i neoclassici italiani, che identificavano la purezza artistica nella
nostra tradizione letteraria, lo considerarono poco meno che un’offesa; i romanici, invece,
disponibili ad affrontare nuove tematiche culturali, lo ritennero un invito forte a rinnovare la nostra
letteratura.

Il punto di vista di Pietro Giordani

Fra i grandi sostenitori del classicismo italiano che risposero all'articolo della de Staël, vi fu Pietro
Giordani, "cara e buona immagine paterna" di Giacomo Leopardi. Il quale rispose che l’imitazione
dei poeti stranieri contemporanei era inutile quanto dannosa per gli Italiani.

Era inutile, perché i letterati italiani erano da secoli sulla via dell’imitazione dei poeti classici, che
avevano raggiunto la perfezione attingendo la bellezza ideale, eterna ed immortale.

Era poi dannosa, perché l’imitazione dei poeti stranieri avrebbe offuscato l’italianità della
letteratura. Già nel Settecento la traduzione delle opere francesi, tedesche ed inglesi aveva
causato l’imbarbarimento della nostra lingua e c’era voluto lo sforzo dei Puristi per depurarla dai
barbarismi. Pertanto aprirsi alle letterature contemporanee straniere significava correre il rischio di
un nuovo e più nocivo imbarbarimento.

Il parere di Leopardi e Monti

Nella polemica intervennero altri classicisti, dei quali meritano particolare menzione Giacomo
Leopardi e Vincenzo Monti.

Il Leopardi partecipò ad essa nel 1816, quando, poco più che adolescente, scrisse una lettera ai
compilatori della "Biblioteca italiana", che però non venne pubblicata, e nel 1818, quando scrisse il
Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica. Nei due interventi Leopardi si dichiara
contrario alle traduzioni di opere straniere, specialmente di autori nordici, che infarciscono le loro
poesie di esagerazioni e di scene truculente, di paesaggi foschi, uccisioni, orrori, incesti, streghe,
spettri, scheletri e creature mostruose, tutte cose lontanissime dalla "vera, castissima, santissima,
leggiadrissima natura".

Il Monti interviene nella polemica più tardi, nel 1825, col Sermone sulla mitologia, un epitalamio in
endecasillabi sciolti, composti per celebrare le nozze del figlio della marchesa Antonietta Costa di
Genova. Il De Sanctis definì il Sermone "l'ultimo rantolo della scuola classica", sia perché esso era
stato composto quando la polemica classico-romantica andava spegnendosi e il Romanticismo
sembrava ormai vittorioso, sicché il Monti, settantenne, si sentiva un sorpassato, sia per il tono
elegiaco con cui il Monti rimpiangeva le belle favole della mitologia classica, spazzate via dal
Romanticismo, definito sprezzantemente audace scuola boreale (cioè nordica, con allusione alla
sua origine germanica) e sostituite dal nudo, arido vero, ossia dalla squallida realtà quotidiana, che
è la "tomba" della poesia.

I romantici italiani e Berchet

I romantici italiani mossi anch'essi da un sincero amor di patria ritennero giuste le critiche di
Madame de Stäel, riconoscendo la decadenza italiana nel contesto della cultura europea ed
impegnandosi a vivificarla e a modernizzarla. Essi si proposero pertanto di educare il popolo,
abbattere lo steccato che da secoli il classicismo aveva innalzato tra gli intellettuali e le masse
popolari, di creare una letteratura nuova, moderna, libera, nazionale, democratica. Anche se non
accettarono i principi rivoluzionari del Romanticismo tedesco, tuttavia incondizionatamente
accettarono l'altro principio romantico, quello del vero come argomento di poesia. Le fonti della
poesia dovevano essere la storia, la religione, le tradizioni nazionali e popolari. Allo scopo poi di
conquistare il più vasto pubblico possibile, i romantici italiani proposero l'uso di un linguaggio
antiletterario, chiaro, semplice, comprensibile, veramente popolare.

L'organo di diffusione delle idee romantiche fu la rivista "Il Conciliatore", così intitolato, perché
mirava a "conciliare i sinceri amatori del vero" , come scrisse il suo redattore capo Silvio Pellico.
Furono collaboratori del "Conciliatore" Giovanni Berchet ed altri letterati italiani. Erano tutti di idee
liberali e ben presto attirarono i sospetti e gli interventi della censura austriaca. Perciò la rivista che
aveva iniziato la pubblicazione nel settembre del 1818, venne soppressa dall'Austria nell'ottobre
del 1819. Nello stesso anno in cui l'articolo di Madame de Stäel accendeva la polemica tra
classicisti e romantici, apparve la Lettera semiseria di Grisostomo di Giovanni Berchet, che viene
considerata il manifesto del Romanticismo italiano. La Lettera sembra scritta sotto l'influenza
stessa dell'articolo sull'utilità delle traduzioni, perché il Berchet, sotto il falso nome di Grisostomo,
finge di inviare al figlio, che è lontano in un collegio, la traduzione di due ballate del poeta tedesco
Gottfried Bürger - Il cacciatore feroce e l'Eleonora - di argomento fortemente romantico per la
presenza di elementi drammatici, avventurosi, lugubri. Tale occasione offre al Berchet lo spunto
per parlare della nuova letteratura romantica e per metterne in evidenza, con notevole rigore
logico, la modernità e la superiorità sulla poesia classica.

Tutti gli uomini - dice il Berchet - hanno una tendenza naturale alla poesia, ma questa tendenza è
attiva in pochi privilegiati, che sono appunto i poeti; negli altri è passiva, simile ad una corda che
vibra al solo tocco delle dita. Ma non tutti quelli che hanno la tendenza passiva sono in grado di
comprendere la poesia: non la comprendono, ad esempio, gli Ottentotti (popolo dell'Africa
meridionale qui assurto a simbolo di ignoranza e di barbarie), come il Berchet chiama gli uomini
rozzi, ignoranti ed analfabeti, costretti ad essere privi di sensibilità e di vita intellettuale, ed i
Parigini, che sono gli uomini eccessivamente raffinati, sofisticati, razionali, troppo civilizzati.

La comprendono invece e la gustano, traendone vitale nutrimento, quelli che appartengono al


popolo, una categoria di gente che il Berchet identifica con la piccola e media borghesia.

Va qui notato che la diffidenza del Berchet e degli altri intellettuali verso la plebe e le masse
contadine era un'eredità dell'Illuminismo e costituisce il grande limite del nostro Risorgimento. Il
Berchet poi divide i poeti, coloro cioè che hanno la tendenza attiva alla poesia, in due categorie:
quelli che, infatuati della loro presunta perfezione artistica, imitano i poeti greci e latini,
rimasticandone i sentimenti, le credenze e la mitologia, e quelli che interrogano direttamente o la
natura, ricavandone i misteri e la morale della religione cristiana, o l'animo degli uomini
contemporanei, ricavandone passioni, ideali e sentimenti veri, genuini, reali ed attuali.

La poesia dei primi è "classica", e, poiché ricalca le orme dei poeti antichi, può definirsi "poesia dei
morti"; la poesia dei secondi è romantica, ed essendo poesia moderna, nuova, originale, può
definirsi "poesia dei vivi"; Perciò i poeti se vogliono essere veramente moderni, invece di rifriggere
cavoli già putridi, come fa chi imita la poesia classica, devono essere coevi al loro secolo e
interrogare l'animo del loro popolo e nutrirlo di pensiero e non di vento. Dalla nuova poesia
romantica tutti gli Italiani potranno trarre giovamento, perché essa, ispirandosi ai sentimenti della
gente comune, può educarli moralmente e civilmente e creare una comune patria letteraria, come
premessa di una comune patria politica. Il Berchet conclude il suo discorso fingendosi di ritrattare
le idee esposte, come se si fosse trattato di uno scherzo (perciò la lettera è detta semiseria), e
facendo un'ironica esaltazione della poesia classica ed un'altrettanto ironica denigrazione della
poesia romantica. Le idee esposte nella lettera non sono né profonde né originali, ma sono dettate
dal buon senso; perciò esse ebbero una straordinaria diffusione, e per la loro efficacia divulgativa
attirarono sul Berchet le simpatie dei romantici e le invettive dei classicisti.

Sicuramente più profonde ed originali sono invece le opere del Manzoni che trattano i problemi
connessi con la nuova estetica romantica. Esse sono la prefazione al Carmagnola , la Lettera a
Monsieur Chauvet e la Lettera sul Romanticismo diretta al marchese Cesare D'Azeglio.

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