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Luigi Maxmilian Caligiuri

La Fisica
dell’Incredibile
Dalla fisica quantistica
alle teorie di frontiera

Gli speciali di
Prodotto curato da: R
 iviste & Co. per Scienza e Conoscenza/
Gruppo Editoriale Macro
Grafica: Melissa Bernardi per Riviste & Co.
via Uberti 33, Cesena FC
direzione@rivisteeco.it

I edizione dicembre 2017 - Tutti i diritti riservati

Questo libro in formato e-book fa parte della collana


“Gli speciali di Scienza e Conoscenza”
www.scienzaeconoscenza.it

Proprietà letteraria digitale di gruppo editoriale macro © 2017


Capitolo 1 - Fisica quantistica

Prima Parte
Campi elettromagnetici
e salute

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Capitolo 1

I campi elettromagnetici
danneggiano la ghiandola pineale?
Esposizione a campi elettromagnetici ad alta frequenza
ed effetti sanitari: i nuovi risultati delle ricerche scientifiche
indipendenti e il ruolo della ghiandola pineale.

L
a possibilità che l’esposizione a campi elettromagnetici non ioniz-
zanti ad alta frequenza generi effetti biologici e sanitari nocivi è oggi
una questione di primaria importanza in fisica sanitaria e in medici-
na in generale. L’esposizione a campi elettromagnetici (EMF) è stata asso-
ciata a un’ampia varietà di effetti sanitari aventi conseguenze significative
sulla salute pubblica, i più seri dei quali riguardano, ad esempio, quelli re-
lativi ai campi a frequenze estremamente bassi (ELF) e/o a radiofrequenze
(RF) e microonde (MW) e comprendono, tra l’altro, leucemia (anche di
tipo infantile), tumori cerebrali e un elevato incremento del rischio di in-
sorgenza di patologie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer e la
sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
Inoltre sono stati riportati casi di aumentato rischio di cancro al seno, effetti
genotossici (danno al DNA e micronucleazione), forettura patologica della
barriera ematoencefalica, alterazione del sistema immunitario, infiamma-
zioni, aborti spontanei ed effetti cardiovascolari. Un’ulteriore categoria di
effetti evidenziati riguarda infine disturbi del sonno per esposizioni a cam-
pi RF di bassa intensità nelle vicinanze di ripetitori WI-FI e stazioni radio
base per telefonia mobile cellulare, effetti cognitivi e comportamentali a
breve termine, alterazione dei tempi di reazione agli stimoli, dell’attenzio-
ne, della concentrazione ed alterata attività cerebrale (EEG).

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Capitolo 1 - Fisica quantistica

Informazione, disinformazione e interessi economici


Le implicazioni sulla salute pubblica dell’esposizione a EMF sono, nella
società contemporanea, di enorme portata a causa della sempre maggiore e
capillare diffusione, specialmente tra le giovani generazioni, di apparecchi
elettronici facenti uso di tecnologie di telecomunicazione senza fili (“wire-
less”) di “vecchia” e “nuova” generazione.
Negli Stati Uniti, ad esempio, lo sviluppo delle infrastrutture di tipo wi-
reless ha subìto un’accelerazione esponenziale con circa 250.000 siti
cellulari censiti nel 2008. Si stima che oggi, nel mondo, circa 2.2 mi-
liardi di persone posseggono almeno un telefono cellulare e molti mi-
lioni in più utilizzano correntemente telefoni cordless, con una per-
centuale estremamente elevata in Europa e ancora più alta in Italia.
Ciò determina un numero incredibilmente elevato del numero di telefona-
te e, soprattutto, di SMS e altri tipi di dati (Internet, email ecc.) scambia-
ti ogni secondo da tale popolazione di utenti “wireless”, con conseguenti
enormi guadagni economici da parte dei costruttori delle apparecchiature
e dei gestori dei servizi di radiotelecomunicazione, dando luogo così a una
forte competizione, tra gli operatori del settore, nell’accaparrarsi fette sem-
pre più consistenti di tale ricco e promettente mercato.
Non sorprende affatto, quindi, lo strategico silenzio tenuto dai principali
mezzi di comunicazione sulla questione dei possibili rischi sanitari connes-
si all’uso di tali tecnologie o peggio l’informazione (o, per meglio dire, la
disinformazione) troppo spesso “pilotata” allo scopo di scoraggiare, e a vol-
te addirittura tentare di oscurare, i risultati scientifici indipendenti basati
sul corretto equilibrio tra dato empirico, valutazione dell’utilità tecnologica
e, solo in ultima analisi, ragioni economiche.
D’altra parte, anche ammettendo che il rischio per la salute associato all’e-
sposizione a campi elettromagnetici RF/MW, fosse minimo per singola
esposizione di tipo cronico (ossia prolungata nel tempo), il potenziale im-
patto sanitario per la popolazione in generale sarebbe comunque enorme.
Basti pensare, infatti, che la presenza di campi elettromagnetici è oggi ubi-
quitaria, “saturando” di fatto ogni ambiente esterno o abitativo del mondo
industrializzato, coinvolgendo, in tal modo, sia gli utenti intenzionali sia,
cosa ancora più grave, quelli cosiddetti “passivi”.
Esistono prove scientifiche estremamente fondate degli effetti dell’esposizione
a RF sulle funzioni delle membrane cellulari, sul metabolismo e sulla comu-
nicazione di segnali intercellulari, così come sull’attivazione della produzione

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di proteine dello stress a livelli di esposizione di gran lunga inferiori di quelli
ritenuti “sicuri” dalle normative di tutela sanitaria, adottate a livello nazionale
e internazionale da parte di molti Paesi europei ed extraeuropei. Un ulteriore
effetto che si suppone essere associato all’esposizione a EMF riguarda la ge-
nerazione di radicali liberi (o, più in generale, di specie di ossigeno altamente
reattive) in grado di determinare danni al DNA, aberrazioni cromosomiche e
distruzione delle cellule nervose.

I campi elettromagnetici danneggiano la ghiandola pineale


Numerosi altri effetti sul sistema nervoso centrale sono stati ampiamente
documentati e includono, in particolare, alterazione delle funzioni cerebrali
quali perdita di memoria, ritardi nell’apprendimento, disfunzioni moto-
rie e delle prestazioni nei bambini, incremento nella frequenza di mal di
testa, affaticamento e disordini del sonno. In particolare, come vedremo
più avanti, studi specifici hanno evidenziato, quale conseguenza dell’espo-
sizione cronica a EMF (praticamente in corrispondenza a tutto lo spettro
di frequenza possibile) importanti effetti di riduzione del livello di mela-
tonina, un fondamentale ormone secreto dall’epifisi, altrimenti nota come
ghiandola “pineale”. Tale ormone, come noto, è essenziale per garantire la
regolarità del ritmo circadiano e risulta pertanto di fondamentale impor-
tanza per il corretto equilibrio fisiologico dell’organismo umano. La sua
alterata (ridotta) produzione, dovuta all’esposizione a campi elettromagne-
tici a RF, si ritiene possa dunque costituire uno dei più importanti fattori di
rischio di insorgenza di patologie, anche di natura tumorale.
Tuttavia, nonostante negli ultimi decenni siano state avanzate molte ipote-
si sui possibili meccanismi biofisici in grado di spiegare la correlazione tra
esposizione a EMF ed effetti biologici e sanitari, sia in riferimento al ruolo
giocato dalla ghiandola pineale che alla funzionalità dei diversi organi e ap-
parati, non esiste accordo, tra gli studiosi, sull’origine e sulle caratteristiche
di un siffatto meccanismo.
Una proposta interessante, in tal senso, è stata recentemente avanzata dal-
lo scrivente come risultato delle attività di ricerca svolte presso il FoPRC
(Foundation of Physics Research Center) ed è in grado di fornire un mec-
canismo biofisico che spieghi l’interazione dei campi elettromagnetici a RF
e MW, come quelli tipicamente emessi dalle principali sorgenti wireless,
con le strutture biologiche e i conseguenti effetti biologici.

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È importante comunque sottolineare che tali effetti sono in grado di deter-
minare, in caso di esposizioni incontrollate a lungo termine, possibili dan-
ni alla salute che possono risultare di particolare gravità quando riferiti a
bambini e soggetti in giovane età i quali, oltre a essere caratterizzati da una
intrinseca maggiore sensibilità fisiologica legata alla fase di crescita, risulta-
no meno capaci di sottrarsi, rispetto agli adulti, all’azione delle sorgenti di
radiazione eventualmente presenti in ambiente abitativo ed esterno.

Gli effetti dell’esposizione a campi RF/MW e il ruolo


della ghiandola pineale
La relazione tra una buona qualità e durata del sonno e le prestazioni co-
gnitive e di guarigione dell’individuo è ben nota. Il sonno è un fattore pro-
fondamente importante nel garantire la risposta dell’organismo ai processi
di natura infiammatoria e nell’assicurare l’efficienza dei processi fisiologici
in generale, specialmente di quelli relativi alla funzioni cognitive e com-
portamentali. In particolare i ritmi circadiani, che sono regolati da schemi
sincronizzati dei periodi sonno-veglia, normalizzano la produzione del co-
siddetto ormone dello “stress” (il cortisolo, ad esempio).
I soggetti che sono cronicamente esposti alle emissioni EMF di radiazioni
RF/MW anche di bassa intensità, generate ad esempio da antenne wire-
less, riportano sintomi legati alla mancanza di sonno o alla difficoltà ad ad-

Esposizione a campi elettromagnetici: effetti sulla salute


Effetti di natura “immediata”: Effetti di tipo cronico:
•• riduzione della durata e della qua- •• trasmissione genetica di danni al DNA,
lità del sonno, •• stress fisiologico,
•• alterazione dei livelli ormonali, •• alterazione delle funzioni immuni-
•• indebolimento delle funzioni tarie,
cognitive, •• elettrosensibilità,
•• della concentrazione, dell’atten- •• infertilità,
zione, del comportamento, e del •• aumento del rischio generalizzato
benessere complessivo. di cancro,
•• danni neurologici.
dormentarsi, così come altri sintomi specifici che includono affaticamento,
mal di testa, vertigini, debolezza, perdita di concentrazione, problemi di
memoria, ronzii auricolari, problemi di orientamento ed equilibrio e diffi-
coltà nello svolgere operazioni che richiedono la realizzazione di più atti-
vità contemporaneamente.
Mentre rimane da approfondire a che livello d’intensità l’esposizione a
campi RF/MW è in grado di alterare le funzioni neurocomportamentali,
un numero crescente di recenti prove scientifiche sembra suggerire un pos-
sibile meccanismo attraverso cui tali campi interferirebbero con le funzioni
cognitive e legate al ritmo sonno-veglia.
Tale ritmo è infatti regolato dall’oscillatore circadiano centrale collocato
nell’ipotalamo, la cui attività è, a sua volta, controllata da un ormone, la
melatonina, secreto dalla ghiandola pineale.
Esistono prove scientifiche importanti che dimostrano come l’esposizione
a EMF, praticamente su tutto lo spettro di frequenza ad essi associato, dai
campi ELF a quelli RF/MW, sia in grado di ridurre considerevolmente
il livello di melatonina prodotto dalla ghiandola pineale, sia negli esse-
ri umani che negli animali. In particolare, alcuni studi hanno evidenziato
una riduzione notevole della funzione urinaria in ratti esposti a campi RF/
MW e della concentrazione del metabolito urinario della melatonina in
individui che utilizzavano telefoni cellulari per più di 25 minuti al giorno.
In un altro studio condotto su un campione di donne che vivevano nelle
vicinanze di trasmettitori radio e televisivi, è stata evidenziata la riduzione
della concentrazione di melatonina nelle urine, in modo particolare nelle
donne in post-menopausa.

L’“effetto melatonina”
Tali evidenze sembrano supportare il cosiddetto “effetto melatonina”, pro-
posto per la prima volta da Davis nel 1994 ,secondo il quale l’esposizione a
EMF comporterebbe una riduzione della concentrazione notturna di me-
latonina e quindi del suo potenziale oncostatico (ossia la capacità di inibire
la crescita delle cellule cancerose e/o di stimolare il sistema immunitario).
Finora, tre tipologie di possibili meccanismi sono stati ipotizzati al fine di
spiegare in che modo la riduzione di concentrazione di melatonina, asso-
ciata all’esposizione a EMF, sia in grado di determinare un incremento del
rischio di contrazione di patologie tumorali:

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1. concentrazioni più basse rispetto al normale di melatonina determi-
nerebbero una maggiore produzione di estrogeni e prolattina deter-
minando, in tal modo, un incremento dell’incidenza delle patologie
tumorali mediate da ormoni;
2. considerato l’importante ruolo antiossidativo svolto dalla melatonina,
una riduzione del suo livello potrebbe incrementare la suscettibilità del
DNA a danneggiarsi, con conseguente aumento del rischio canceroge-
nico;
3. attesa la funzione che la melatonina esercita nell’inibizione della proli-
ferazione cellulare, un ridotto livello di tale ormone potrebbe risultare
molto rilevante nella promozione e sviluppo del cancro in generale.

Tale schema concettuale, noto come “ipotesi della melatonina”, fornirebbe


inoltre una possibile base per spiegare una serie di altri effetti dovuti all’e-
sposizione a EMF.
Infatti la melatonina ha un ruolo importante per l’apprendimento e la me-
moria ed è in grado di inibire le componenti elettrofisiologiche dei processi
di apprendimento in alcune aree del cervello. La melatonina, inoltre, come
accennato in precedenza, svolge importanti funzioni antiossidanti e di ri-
mozione dei radicali liberi e, di conseguenza, una sua diminuzione potreb-
be determinare un’aumentata attitudine allo sviluppo di danni cellulari e,
infine, del cancro. L’alterazione dei livelli di concentrazione di melatonina
conseguenti all’esposizione a EMF potrebbe rappresentare la chiave per
comprendere gli effetti di tali campi sull’insorgenza della malattia di Al-
zheimer.
Con riferimento a tale aspetto, in particolare, uno studio recente ha evi-
denziato la sussistenza di una relazione di proporzionalità inversa tra l’e-
spulsione dei metaboliti della melatonina e delle particolari strutture pro-
teiche fibrose (amiloide beta) in lavoratori dell’industria elettrica. Proprio
la concentrazione di tale struttura proteica risulta particolarmente elevata
nei malati di Alzheimer.
Tuttavia, nonostante le numerose evidenze sperimentali di una possibile
correlazione tra esposizione a campi a RF/MW ed alterazione dei livelli di
concentrazione di melatonina e di cosa ciò potrebbe comportare a livello di
effetti biologici e danni sulla salute, nessuna considerazione conclusiva potrà
essere tratta finché non sarà elucidato il possibile meccanismo biofisico di
tipo non-termico con cui i campi EMF di bassa intensità interferiscono con
il funzionamento della ghiandola pineale e con i tessuti viventi in generale.

Le ipotesi sui meccanismi biologici alla base degli effetti


non-termici delle radiazioni RF/MW
Negli ultimi decenni, la posizione dominante del mondo scientifico a pro-
posito degli effetti biologici dei campi elettromagnetici a RF/MW è stata
basata sulla generale convinzione che il meccanismo principale di inte-
razione tra questi e gli organismi viventi fosse sostanzialmente di natura
termica, vale a dire legato alla quantità di energia elettromagnetica radiante
effettivamente rilasciata nei tessuti attraversati dall’onda sotto forma di ca-
lore. Tale assunzione implicava, a sua volta, che la pericolosità dell’esposi-
zione fosse proporzionale all’intensità della radiazione incidente.
Recentemente, di fronte a tutta una serie di forti evidenze teoriche e spe-
rimentali, la comunità scientifica ha iniziato a interrogarsi sulla possibile
esistenza di effetti biologici o sanitari conseguenti all’esposizione a campi
elettromagnetici non ionizzanti, caratterizzati da bassa o bassissima inten-
sità e durata protratta nel tempo, relativamente ai quali un meccanismo
diretto di interazione di tipo termico è ovviamente improponibile.

Radiazioni emesse dai telefonini: effetti sui bambini


Nei bambini, l’esposizione alle radia- •• riduzione della concentrazione,
zioni emesse dai telefoni cellulari è •• accelerazione delle funzioni men-
in grado di determinare modificazio- tali associata tuttavia a riduzione
ni negative dell’attività cerebrale du- dell’accuratezza,
rante lo svolgimento di compiti che •• ritardo nei tempi di reazione,
richiedono l’impiego di alcune capa- •• disorientamento spaziale,
cità mnemoniche. •• riduzione dell’abilità motoria e
dell’apprendimento e, in generale,
Sono stati riportati inoltre:
una serie di altri sintomi segnala-
•• effetti legati alla riduzione delle
ti anche nel caso dell’esposizione
capacità cognitive,
dei soggetti adulti.

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Tale questione è oggi, come visto, di particolare rilevanza attesa la diffusione, spe-
cie tra i giovani e giovanissimi, di microdispositivi elettronici (telefoni cellulari,
tablet ecc.) capaci di generare campi elettromagnetici d’intensità medio-bassa,
ma per intervalli temporali giornalieri significativi.
D’altra parte le attuali normative nazionali (e molte normative internazio-
nali) in materia di protezione dai campi elettromagnetici a RF/MW sono
finalizzate a prevenire gli effetti termici di tali radiazioni sui tessuti viventi.
Questa impostazione quindi non garantisce la tutela dai possibili effetti
non termici.
In particolare tali effetti si manifestano quando l’energia radiante assorbita
dai tessuti non è sufficiente ad aumentare la temperatura di una cellula, di
un tessuto o di un organismo vivente ma, nel contempo, risulta in grado di
produrre delle alterazioni fisiche o biochimiche rilevabili.
A titolo di esempio si può affermare che una mezz’ora di esposizione a
un campo a RF di bassa intensità, caratterizzato da un SAR (ovvero la
grandezza fisica che quantifica la quantità di energia per unità di massa
rilasciata in un dato tessuto vivente) nell’intervallo tra 1 W/kg e 4 W/kg, è
in grado di aumentare la temperatura media di un individuo adulto sano di
circa 1°C. Tale aumento di temperatura non è in grado di alterare l’equili-
brio termico e risulta quindi generalmente considerato come accettabile dal
punto di vista della tutela sanitaria.
Diverse ipotesi sono state avanzate per spiegare in che modo i campi elet-
tromagnetici a RF, ma anche quelli emessi nello spettro del visibile, dell’in-
frarosso, possano determinare gli effetti biologici di natura non-termica
sopra discussi. Una prima ipotesi riguarda la possibilità che le radiazioni
RF siano in grado di modificare la trasduzione dei segnali a livello della
membrana cellulare, diminuendo in tal modo la formazione degli ioni cal-
cio e la frequenza di apertura dei relativi canali di trasporto. Un analogo
effetto potrebbe inoltre interessare il trasporto, attraverso le stesse mem-
brane, degli ioni Na+, K+ e Ca2+.

L’ipotesi di Fröhlich: l’organismo vivente come antenna


radio
Una delle proposte più interessanti, finora avanzate per la caratterizzazione
di un possibile meccanismo d’interazione, è quella elaborata da Fröhlich,
secondo la quale le macromolecole presenti nei tessuti biologici compio-
no oscillazioni in corrispondenza a frequenze tali da consentire l’assor-
bimento di energia elettromagnetica esogena attraverso un meccanismo
di tipo risonante. In tal modo un organismo vivente si comporterebbe,
rispetto all’interazione elettromagnetica, in maniera simile a un’antenna
radio ricevente in grado di amplificare anche un segnale molto debole se
“sintonizzata” sulla frequenza portante di tale segnale elettromagnetico.
In altre parole la radiazione elettromagnetica esogena determinerebbe la
formazione di un circuito risonante nelle molecole dell’organismo vivente
se la frequenza del campo incidente ricadesse nella finestra di frequenza
permessa dalla struttura del tessuto biologico interessato dall’esposizione.
Un tale processo risonante sarebbe l’unico in grado di spiegare l’insorgenza
degli effetti non-termici in presenza di campi elettromagnetici di intensità
bassa o bassissima.
Nel modello proposto da Fröhlich il “circuito” ricevente sarebbe verosi-
milmente costituito dalla membrana cellulare, per cui l’interazione con il
campo esterno disturberebbe l’azione di diversi neurotrasmettitori, ormoni,
enzimi e delle proteine presenti sulla membrana cellulare stessa, attivando
potenzialmente la produzione di cascate enzimatiche capaci di trasferire
segnali dalla cellula nel sistema intercellulare, inclusi quelli di crescita e
divisione cellulare.

Interazione tra campi a microonde e micro tubuli cellulari


Recenti ricerche condotte presso il FoPRC hanno dimostrato che tale
meccanismo di risonanza risulta particolarmente importante quando si
considera l’accoppiamento risonante tra campo elettromagnetico a MW
esogeno e alcune fondamentali strutture biologiche denominate micro-
tubuli (MT) che costituiscono il citoscheletro, ossia l’ossatura stessa, del
tessuto cellulare.
I MT sono costituiti da polimeri rigidi formati da gruppi di protofilamenti
di lunghezza variabile tra 1 e 30 micron di forma cilindrica e internamente
cavi, caratterizzati da un diametro interno e un diametro esterno rispetti-
vamente dell’ordine di 15 e 25 nanometri e di densità elevate. Struttural-
mente sono suddivisi in sottounità detti eterodimeri, a loro volta composti
da coppie di tubuline aventi proprietà elettriche che permettono loro di
polarizzarsi in presenza di un campo elettrico (o elettromagnetico) esterno
(fig. 1).

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Fig. 1. Struttura di un microtubulo.

Secondo tale innovativa ipotesi, i MT sono schematizzati come degli oscil-


latori elastici, capaci di compiere vibrazioni trasversali e longitudinali sotto
l’influenza del campo elettromagnetico esterno.
La specificità di tale rappresentazione consiste nel fatto che tali oscillazioni
sono considerate come non-lineari e tra loro accoppiate (ossia tali che le
vibrazioni longitudinali si “sintonizzano” con quelle trasversali e viceversa,
rinforzandosi così a vicenda) e pertanto in grado di amplificare in maniera
estremamente efficace le vibrazioni indotte anche da un campo elettroma-
gnetico di bassissima intensità, purché caratterizzato dalla “giusta” fre-
quenza (fig. 2).

Fig. 2. Vibrazioni meccaniche longitudinali e trasversali di un microtubulo.

La quantità di energia risonante rilasciata nei tessuti biologici da tale


tipologia di interazione sarebbe talmente elevata (fig. 3) da essere in
grado di “spezzare” la struttura cellulare stessa, dando origine a effetti
biologici e sanitari potenzialmente molto rilevanti a carico di diversi
organi e apparati.
Fig. 3. Risposta risonante dell’ampiezza delle vibrazioni longitudinali e trasversali
dei microtubuli ai campi elettromagnetici secondo il modello di L.M. Caligiuri.

Secondo tale modello, inoltre, tale interazione sarebbe specificamente fa-


vorita a livello delle cellule e dei tessuti neurologici e cerebrali, spiegando
così l’effetto particolarmente importante dell’esposizione a EMF sul siste-
ma nervoso.
La constatazione che valori d’intensità di campo elettromagnetico parti-
colarmente bassi, quali quelli tipicamente emessi, nella maggior parte dei
casi, dai dispositivi wireless così diffusi oggi in ambienti abitativi ed ester-
ni, possano determinare effetti biologici e sanitari particolarmente gravi,

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in particolare nel caso di esposizioni prolungate, diventa particolarmente
preoccupante se si pensa che tali valori sono generalmente inferiori a quelli
individuati dalle normative di protezione sanitaria in ambito nazionale e
internazionale.
Ciò impone da un lato la necessità di condurre nuovi studi e ricerche
finalizzate a ottenere una maggiore comprensione dei meccanismi di in-
terazione tra campi elettromagnetici non ionizzanti e organismi viventi,
dall’altro quella di una profonda revisione e riformulazione delle norma-
tive nazionali e internazionali atte ad assicurare la tutela della popolazio-
ne dai possibili rischi derivanti dall’esposizione a tali agenti fisici.

PER APPROFONDIRE
1. CALIGIURI, L.M., A novel model of interaction between high frequency electromagnetic fields
and microtubules viewed as coupled two-degrees of freedom harmonic oscillators, in «Current Topi-
cs in Medicinal Chemistry», vol. 15, n. 6, 2015, pp. 549-558.
2. CALIGIURI, L.M., MUSHA, T., Superradiant coherent photons and hypercomputation in
brain microtubules considered as metamaterials, in «WSEAS Transactions on Circuit and Sy-
stems», vol. 9, 2015, pp. 192-204.
3. FROHLICH, H., Long-Range Coherence and Energy Storage in Biological Systems, in «Inter-
national Journal of Quantum Chemistry», vol. 2, 1968, pp. 641-649.
4. VASILE, M., CALIGIURI, L.M., LAMONACA, F., NASTRO, A., BEIU, T., Non-ioni-
zing electromagnetic radiations (EMF) and their influence on the health of living organisms, in
«Annals Series on Biological Sciences – Academy of Romanian Scientists», vol. 3, n. 2, 2015,
pp. 5-18.
Seconda Parte
La Fisica Quantistica
e i suoi misteri

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Capitolo 2

Entanglement
il mistero della Fisica Quantistica
Anche se la loro spiegazione è ancora lontana, i bizzarri
fenomeni della fisica quantistica sono alla base di tante
tecnologie quotidianamente utilizzate, dal computer al
laser, dalle celle solari ai dispositivi biomedicali. Inoltre
costringono la scienza a indagare nuove teorie e possibilità,
dalle interazioni superluminali alla “morte” quantistica
dell’Universo.

L
a meccanica quantistica rappresenta senza dubbio il capito-
lo più misterioso di tutta la fisica: anche chi non possiede una
formazione scientifica specialistica può rendersi facilmente
conto delle sue innumerevoli stranezze, in grado di violare così pa-
lesemente il senso comune. Queste “contraddizioni” rappresentano,
d’altra parte, il fondamento concettuale delle più importanti teorie
fisiche moderne e sono oramai comunemente accettate “in quanto
tali”, dal momento che i modelli che da esse derivano sono in grado
di descrivere buona parte dei risultati sperimentali finora disponibili.
Uno dei più profondi misteri della meccanica quantistica è sicuramente
quello concernente la “vera” natura della luce. La questione di cosa sia
in realtà la luce ha arrovellato le più grandi menti del pensiero scien-
tifico e filosofico, dall’antichità a oggi. Da questo punto di vista si può
affermare che la risposta a tale domanda ha avuto, nel corso della storia,
una risposta altalenante tra due posizioni contrapposte che apparivano
concettualmente e fenomenologicamente inconciliabili: l’interpretazio-
ne cosiddetta “ondulatoria” e quella “corpuscolare”.

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La fisica dell’incredibile

Ancora sulla natura della luce


Come noto, il grande fisico Isaac Newton riteneva che la luce fosse compo-
sta da particelle materiali microscopiche (i corpuscoli appunto) che segui-
vano, durante il loro moto, ben precise traiettorie, perfettamente determi-
nabili a priori, note le condizioni iniziali, attraverso le leggi della meccanica
classica da egli stesso formulate. D’altra parte qualche decennio più tardi,
il fisico Thomas Young, nel suo famoso e fondamentale esperimento della
“doppia fenditura” del 1801, dimostrò sperimentalmente che la luce, at-
traversando due sottili fessure poste l’una vicino all’altra, si comportava in
realtà come un’onda, generando, al di là di queste su un apposito schermo,
una figura di interferenza del tutto simile a quella prodotta dall’interferen-
za tra due o più onde.

Ma la luce è dunque un’onda o è veramente composta


da una moltitudine di particelle materiali?
Tale domanda rimane sostanzialmente senza risposta sino alla formulazio-
ne della meccanica quantistica agli inizi del Novecento che propose, come
noto, una soluzione sconcertante a tale dilemma: la luce avrebbe in realtà
una doppia natura e si comporterebbe pertanto sia come un’onda sia come
un insieme di particelle a seconda delle “circostanze”, ossia delle modalità
con cui essa interagisce con l’ambiente e in particolare con l’apparato di
misura (incluso l’osservatore). Tuttavia, cosa ancora più stupefacente, tale
comportamento non sarebbe limitato alla luce ma varrebbe per qualsiasi
particella materiale la quale dunque, posta in moto, potrebbe diffrangere e
interferire con se stessa, come suggerito, per la prima volta, dal fisico Luis
De Broglie nel 1924. Secondo la teoria di De Broglie, inoltre, associando
a ogni particella materiale in movimento una corrispondente onda di “ma-
teria” sarebbe possibile spiegare, tra l’altro, l’origine della quantizzazione
dei livelli energetici che costituisce una delle principali e oscure previsioni
della meccanica quantistica. Inizialmente De Broglie ritenne che tale asso-
ciazione avesse un significato “semplicemente” matematico, ma la riprodu-
zione dell’esperimento di Young utilizzando gli elettroni al posto della luce
dimostrò che, la descrizione della materia attraverso proprietà ondulatorie,
era in realtà la manifestazione di una sua più profonda caratteristica fisica
che venne, da quel momento in poi, indicata con l’espressione “dualismo
onda-particella”.

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Capitolo 2 - Entanglement

Entanglement, questo sconosciuto


Il comportamento ondulatorio della materia previsto dalla meccanica
quantistica è inoltre alla base di un altro sorprendente fenomeno, tipica-
mente quantistico, noto come entanglement (ovvero intreccio) che caratte-
rizza gli stati quantici di sistemi fisici (microscopici) tra loro interagenti. Si
può certamente affermare che l’entanglement quantistico rappresenta uno
dei fenomeni più misteriosi, e tuttora sostanzialmente inspiegati, di tutta la
fisica a tal punto che Erwin Shrodinger, uno dei padri fondatori della mec-
canica quantistica lo definiva il “tratto caratterizzante” della teoria quan-
tistica, e Albert Einstein non riuscì mai ad accettarlo fino in fondo tanto
da ritenerlo la prova stessa che la meccanica quantistica fosse una teoria
sostanzialmente inesatta (o quantomeno incompleta). In estrema sintesi, il
concetto di entanglement è basato sull’assunzione che gli stati quantistici
di due particelle microscopiche A e B (ma anche, in una certa misura, dei
sistemi macroscopici) inizialmente interagenti possano risultare legati (ap-
punto “intrecciati”) tra loro in modo tale che, anche quando le due particel-
le vengono poste a grande distanza l’una dall’altra, la modifica che dovesse
occorrere allo stato quantistico della particella A istantaneamente avrebbe
un effetto misurabile sullo stato quantistico della particella B, determinan-
do in tal modo il fenomeno della cosiddetta “azione fantasma a distanza”
(spooky action at distance).
Secondo lo stesso Einstein, l’esistenza di una tale “interazione” a distanza
metterebbe in seria crisi la nostra concezione di come la natura funziona,
determinando conseguenze paradossali (come quelle descritte dal cosid-
detto paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, altrimenti noto come EPR).
Tale affermazione, come divenne chiaro molti decenni dopo, deve essere
interpretata esclusivamente con riferimento alla Teoria della Relatività e
non può essere ritenuta di validità generale.
Nel 1964 il fisico John Bell ricava una diseguaglianza matematica (nota,
appunto, come diseguaglianza di Bell) che quantifica il massimo grado di
correlazione tra gli stati quantici di particelle spazialmente distanti nell’am-
bito di esperimenti in cui sono soddisfatte tre “ragionevoli” condizioni:
1. gli sperimentatori hanno libero arbitrio nell’imporre le condizioni ini-
ziali dell’esperimento;
2. le proprietà delle particelle che vengono misurate sono reali e preesi-
stenti e non emergono soltanto al momento dell’esperimento;

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La fisica dell’incredibile

3. nessuna interazione tra le particelle può avere luogo a una velocità


maggiore di quella assunta dalla luce nel vuoto (che, in accordo con i
postulati della Teoria della Relatività di Einstein, costituirebbe dunque
un limite assoluto nell’Universo).
Ebbene, com’è stato provato nell’ambito d’innumerevoli esperimenti appo-
sitamente progettati ed eseguiti al fine di verificare la predetta diseguaglian-
za, la meccanica quantistica puntualmente viola la condizione imposta da
quest’ultima, fornendo livelli di correlazione tra particelle lontane superiori
rispetto a quelli occorrenti se la diseguaglianza di Bell fosse rispettata. Tale
risultato pone innanzitutto un interrogativo di natura “filosofica”: è forse
possibile che il comportamento del sistema fisico risulti in qualche maniera
predeterminato, ossia indipendente dalla nostra possibilità di scegliere a
piacimento le condizioni sperimentali, nel fornire il risultato ottenuto?
Oppure dobbiamo ritenere che le proprietà quantistiche misurabili delle par-
ticelle non siano “reali” (ossia inerenti la natura stessa delle medesime par-
ticelle) ma esistano “semplicemente” come risultato delle nostre percezioni
(o più precisamente delle nostre misurazioni eseguite sul sistema fisico in
questione)? Se non siamo disposti a ritenere, com’è ragionevole che sia, che
la realtà che sperimentiamo sia creata esclusivamente dalla nostra interazione
con il mondo circostante all’atto della percezione o della misurazione, allora
dobbiamo accettare la possibilità che l’interazione quantistica a distanza tra
particelle intrecciate si trasmetta a una velocità superiore a quella della luce
nel vuoto. Tale eventualità, tutt’altro che remota, è stata da sempre osteggiata
dagli esponenti più radicali dell’impostazione generalmente accettata del-
la fisica teorica moderna, adducendo motivazioni quasi sempre infondate o
pretestuose che hanno impedito la nascita e lo sviluppo di un vero dibattito
scientifico, privo di pregiudizi e false interpretazioni sull’argomento. D’altro
canto tutta una serie di fondate evidenze teoriche e sperimentali sinora ac-
cumulate dimostra inequivocabilmente che la propagazione superluminale
delle interazioni (ovvero di informazioni che abbiano un significato fisico)
non viola necessariamente alcun principio fondamentale della fisica, ivi com-
preso quello di causalità macroscopica. In particolare, solo per citare uno dei
risultati sperimentali più recenti, nel 2008 il fisico Nicolas Gisin e i suoi
collaboratori all’Università di Ginevra hanno dimostrato che, se assumiamo
che la realtà fisica e il libero arbitrio esistano, la velocità di trasferimento
dell’informazione relativa agli stati quantistici tra due fotoni intrecciati, posti
in due città distanti tra loro circa 18 km, deve risultare dell’ordine di circa 10
milioni di volte la velocità della luce nel vuoto.
20
Capitolo 2 - Entanglement

La “morte termica” dell’Universo è già avvenuta?


Il secondo principio della termodinamica prevede un destino inesorabile
per l’Universo: quando tutte le stelle avranno consumato il loro combusti-
bile smettendo di irradiare energia nello spazio, la temperatura dell’Uni-
verso raggiungerà un valore di equilibrio. A questo punto nessuno scambio
di energia utile sarà più possibile e l’Universo raggiungerà la cosiddetta
“morte termica” che rappresenta, inoltre, uno stato irreversibile, caratteriz-
zato dal massimo valore di entropia possibile, come previsto dal secondo
principio della termodinamica.
Tuttavia non tutti gli studiosi sono d’accordo sul fatto che tale stato rappre-
senti effettivamente lo stato “finale” dell’Universo e che, ad esempio, esso
non possa invece avere caratterizzato uno stato precedente dell’Universo,
non necessariamente associato allo stesso livello di realtà che noi oggi spe-
rimentiamo ovvero, piuttosto, a un livello più profondo di realtà.
Secondo tale ipotesi, qualcosa di molto simile alla morte termica sarebbe
già avvenuta nel nostro Universo e questo spiegherebbe la nostra incapacità
di afferrare alcuni aspetti della realtà, come quelli legati al comportamen-
to quantistico e tra questi, in primo luogo, l’entanglement e il carattere
non-locale delle proprietà quantistiche dei sistemi fisici.
Il comportamento dualistico onda-particella presuppone, infatti, che le
particelle microscopiche, quali ad esempio gli elettroni, possano appari-
re localizzate nello spazio sotto forma di particelle oppure de-localizzate
come onde di materia aventi una certa estensione spaziale e l’occorrenza
dell’una o dell’altra possibilità dipende dal modo con cui vengono misu-
rate le proprietà del sistema. In generale, gli oggetti quantistici sembrano
esistere in uno stato di “indecisione” prima che essi siano effettivamente
osservati attraverso un esperimento. Ad esempio, per un elettrone, la gran-
dezza, propriamente quantistica, nota come spin può assumere due valori,
indicati come “su” (spin up) e “giù” (spin down). Fintantoché una misura-
zione non “forza” lo spin in uno stato ben definito tra quelli possibili (su o
giù), esso è come se fosse caratterizzato da entrambi gli stati contempora-
neamente (più propriamente si trova in una loro sovrapposizione quanti-
stica). Questa “indefinitezza” è proprio ciò che viene trasmesso a distanza
attraverso l’entanglement di due particelle quantistiche, per cui effettuando
una misurazione di un’osservabile quantistica sulla particella A (e quindi
“determinandone” il valore), istantaneamente anche lo stato quantistico
della particella B viene alterato.

21
La fisica dell’incredibile

“Zitto e calcola”
Da un punto di vista squisitamente matematico (ossia computazionale), la
determinazione del comportamento di un siffatto sistema, sia esso costitu-
ito da un singolo elettrone o da una coppia di elettroni intrecciati, non pone
alcuna difficoltà concettuale, in quanto essi risultano in ogni caso descritti e
descrivibili attraverso una funzione matematica, nota come funzione d’on-
da, che contiene l’informazione su ogni possibile proprietà del sistema, quale
l’energia, lo spin etc. Più in particolare tale informazione è resa disponibile,
da un punto di vista statistico, calcolando il modulo al quadrato della fun-
zione d’onda che fornisce la probabilità che misure di una data osservabile
quantistica, condotte su un insieme di diversi sistemi fisici “identici”, diano
un determinato risultato per il valore di quella data osservabile. Tale “gioco
di prestigio”, tuttavia, ha reso possibile la realizzazione di solide e oramai
irrinunciabili applicazioni tecnologiche basate sulle bizzarrie della mecca-
nica quantistica, dal computer al laser, dalle celle solari ai dispositivi biome-
dicali, etc. Siamo oramai talmente abituati a fare uso di tali prodotti della
tecnologia in maniera del tutto naturale da dimenticare o trascurare il fatto
che nessuno comprende ancora l’origine profonda e il significato fisico più
recondito del comportamento quantistico alla base del loro funzionamento.
In parole povere, un elettrone è davvero costituito da una “nuvola” di pro-
babilità, tutto e nulla assieme, prima dell’atto di una misurazione?
E come fa esso a interagire, attraverso l’entanglement, con un altro elet-
trone, sia esso a un metro di distanza da esso o dall’altra parte della galas-
sia? Secondo l’interpretazione “ortodossa”, o interpretazione della scuola
di Copenaghen (dovuta al fisico Niels Bohr, uno dei padri fondatori della
meccanica quantistica), la meccanica quantistica sarebbe sostanzialmente
uno strumento di calcolo che ci aiuta a predire la probabilità che la real-
tà fisica si comporti in dato modo, piuttosto che una descrizione di cosa
la realtà fisica stessa sia veramente. Tuttavia, tale argomentazione sarebbe
secondo molti studiosi solo un escamotage concettuale per nascondere la
sostanziale incompletezza della meccanica quantistica stessa. A tal pro-
posito è da ricordare che, dalla formulazione dell’interpretazione di Co-
penaghen, avvenuta nel 1924, in poi, diverse sono state le formulazioni
alternative proposte, molte delle quali estremamente valide ma, purtroppo,
come spesso accade nella storia, impropriamente oscurate dalla teoria “vin-
citrice” (perché sposata dai più e non necessariamente in quanto quella più
solidamente e coerentemente fondata).

22
Capitolo 2 - Entanglement

Secondo una di queste formulazioni, particolarmente interessante, è pos-


sibile fare precise assunzioni circa la natura della realtà fisica nel mondo
quantistico. In particolare, ogni particella esisterebbe in un preciso punto
dello spazio e sarebbe caratterizzata, in ogni istante, da ben determina-
te proprietà fisiche (e non soltanto da una funzione di probabilità) e il
suo comportamento determinato dalla cosiddetta “onda pilota”. In questo
modo gli elettroni intrecciati sarebbero collegati dalla stessa onda pilota,
per cui ciò che ci appare come l’azione fantasma a distanza non sarebbe
altro che, nella realtà, il risultato di una complessa rete di interazioni tra
onde pilota che collegano le particelle fisiche in una dimensione della realtà
fisica non direttamente visibile.

La “morte quantica” e l’Universo Superluminale


L’estrema importanza della formulazione basata sulla dinamica delle onde
pilota consiste nel fatto che essa è in grado di fornire le stesse previsioni
sul comportamento dei sistemi fisici dell’interpretazione ortodossa, risul-
tando così anch’essa in accordo con i dati sperimentali, ma evitando mol-
te delle contraddizioni concettuali insite nella prima. Ma se per un verso
tale circostanza rappresenta un elemento vincente che caratterizza la teo-
ria dell’onda pilota, dall’altro non può costituire un elemento discriminan-
te decisivo a favore dell’una o dell’altra interpretazione, giacché entrambe
risulterebbero in accordo con i risultati sperimentali. Tuttavia, qualsiasi sia
l’interpretazione cui facciamo riferimento, non vi è dubbio che l’esistenza
sperimentale dell’entanglement e, di conseguenza, dell’azione istantanea a
distanza tra particelle intrecciate, consente di sfruttare tale correlazione per
trasferire informazione tra esse. Il fatto paradossale è che, sebbene sia evi-
dente che tale “comunicazione” tra particelle intrecciate avvenga a velocità
ben maggiore di quelle della luce (ovvero direttamente proporzionale alla
distanza tra esse), si ritiene che nessun segnale “utile” possa essere inviato
da una particella all’altra attraverso tale canale. Secondo alcuni studiosi ciò
risulterebbe direttamente del calcolo dalle probabilità eseguito considerando
il modulo quadro della funzione d’onda di un sistema quantistico. Se si
considera, ad esempio, un certo numero di coppie di elettroni tra loro in-
trecciati, statisticamente metà degli elettroni presenti sarà caratterizzato da
un valore “su” dello spin, mentre l’altra metà da un valore “giù”. La “esatta”
suddivisione di popolazione elettronica eviterebbe la trasmissione d’infor-

23
La fisica dell’incredibile

mazione superluminale tra i membri delle coppie elettroniche intrecciate.


Tale comunicazione sarebbe invece possibile nel caso in cui questa distribu-
zione statistica fosse disuniforme (ad esempio 80/20 o 51/49 etc.).
Da un punto di vista strettamente statistico il fenomeno è molto simile a ciò
che accade alle molecole di un gas che si trovino, inizialmente, confinante
nell’angolo di un recipiente che le contiene. Dopo un certo intervallo di
tempo, più o meno lungo, le molecole del gas si diffonderanno uniforme-
mente in tutto il volume fisicamente occupabile e il gas sarà caratterizzato
da una temperatura uniforme. Tale stato di equilibrio è concettualmente
simile a quello previsto per la morte termica dell’Universo. D’altra parte è
estremamente improbabile che le molecole di un gas risultino, già inizial-
mente, in questo stato di equilibrio, ma piuttosto concentrate ad esempio in
prossimità del punto di immissione nel recipiente. Orbene, lo stato iniziale
dell’Universo (sia esso quello descritto dal Big Bang oppure no) doveva es-
sere necessariamente uno stato di non-equilibrio estremamente ordinato, ad
esempio, con tutte le particelle caratterizzate da spin “su” concentrate in un
certo luogo e tutte quelle caratterizzate da spin “giù” in un altro.
Ed è a questo punto che le onde pilota sarebbero entrate in azione, deter-
minando l’evoluzione dell’Universo in maniera ben diversa rispetto a quan-
to previsto dall’interpretazione tradizionale. In questo caso, infatti, la fit-
ta rete di onde pilota determinata dalle particelle entangled spazialmente
separate avrebbe guidato, in una frazione di secondo, l’Universo verso una
configurazione di equilibrio quantistico, caratterizzata dall’uniformità della
distribuzione statistica dei valori di spin “su” e “giu”. In tal modo la “mor-
te quantistica” dell’Universo si sarebbe manifestata quasi istantaneamente e
quindi infinitamente prima della presunta “morte termodinamica”. Secondo
tale modello, dunque, la suddivisione equi-probabilista delle proprietà quan-
tistiche delle particelle presenti oggi nell’Universo, conseguente alla morte
quantica iniziale e naturale evoluzione dell’Universo a partire da un qualsiasi
stato quantico di non-equilibrio, sarebbe alla base dell’impossibilità di usare
l’azione a distanza associata all’entanglement per trasferire informazione a
velocità superluminale.
Questo concetto può essere illustrato con un esempio semplice. Supponia-
mo, infatti (vedi fig. 1a), che dopo la morte quantica dell’Universo, la distri-
buzione degli spin misurata da un osservatore A sia equamente suddivisa
tra “su” e giu” e così anche per i rispettivi stati intrecciati misurati da un
secondo osservatore B. Se ora A ruota il proprio apparato di misura (vedi fig.
1b), diciamo di 90° in senso antiorario, allora la correlazione tra le particelle

24
Capitolo 2 - Entanglement

intrecciate viene persa ma B continuerà a rilevare il 50 % degli spin “su” e il


50% “giù”, ossia per lui nulla è cambiato e non si accorge del cambiamento di
configurazione operato da A.

Viceversa, prima della morte quantica dell’Universo (fig. 2a), la regola dell’equi-
distribuzione degli spin non sarebbe valida e A misurerebbe, ad esempio,
tutti gli spin in configurazione “su” (e, conseguentemente, B tutti gli spin in
configurazione “giù”). Anche in questo caso, se A ruota il proprio apparato
come in precedenza (fig. 2b), la correlazione tra le particelle intrecciate si
perde ma, ora, non esiste alcun vincolo per la distribuzione dei valori di
spin misurati da B che può pertanto rilevare un certo numero di spin “su”.
In tal modo il cambiamento di configurazione di A verrebbe sperimenta-
to istantaneamente da B (attraverso la rilevazione di particelle aventi spin
“su”) e ciò equivarrebbe alla trasmissione di un’informazione fisica a velo-
cità superluminale

25
La fisica dell’incredibile

La maggior parte dei fisici non si trova a proprio agio quando ha a che fare
con concetti che potrebbero minare il substrato di certezze sul quale hanno
fondato un’intera carriera quali, ad esempio, la possibilità del moto super-
luminale o l’esistenza di un tempo assoluto unico per tutto l’Universo. Con
riferimento a quest’ultimo aspetto, in particolare, dei “residui” del tempo fi-
sico che caratterizzava l’Universo prima della sua morte quantica potrebbero
essere ancora presenti nell’Universo attuale confondendo, ad esempio, la no-
stra nozione di causalità e la distinzione dei processi fisici possibili da quelli
impossibili. In particolare, la teoria della morte quantica potrebbe essere
in grado di spiegare la presenza delle fluttuazioni di densità nell’Universo
primordiale, dalle quali avrebbero avuto origine, in seguito all’instabilità gra-
vitazionale, le stelle e delle galassie come le conosciamo oggi.
D’altra parte le recenti ricerche condotte presso il FoPRC (Foundation of
Physics Research Center) hanno dimostrato la possibilità che una partico-
lare evoluzione dinamica del vuoto quantistico possa avere dato origine

26
Capitolo 2 - Entanglement

non solo alla materia ma anche a una rete di interazioni superluminali,


come quella ipotizzata nel modello della morte quantica dell’Universo. En-
trambe le teorie ipotizzano inoltre che la manifestazione di tali interazioni
superluminali potrebbe essere in grado di spiegare l’origine fisica dell’ani-
sotropia osservata nella radiazione di fondo a microonde (CBR) presente
nell’Universo e che ne rappresenterebbe il relitto dello stato primordiale.
La possibile presenza ubiquitaria di un campo superluminale, mediato da
particelle analoghe a quelle ipotizzate nel 1964 da Gerald Feinberg, note
come tachioni, caratterizzanti la dinamica di un livello sottostante e più
fondamentale della realtà fisica osservata, potrebbe fornire in definitiva la
chiave per cercare di comprendere, come recentemente proposto dal grup-
po di ricerca del FoPRC, l’origine della materia, l’evoluzione dell’Universo
e persino i meccanismi fisici alla base della formazione del pensiero umano
e della coscienza.

PER APPROFONDIRE
1. A. Valentini, H. Westman. Dynamical origin of quantum probabilities, Proceedings of the Royal
Society A 8, vol. 461, no. 2053, January 2005.
2. L.M. Caligiuri. The Origin of Inertia and Matter as a Superradiant Phase Transition of Quantum
Vacuum. In Unified Field Mechanics. World Scientific (2015).
3. .M. Caligiuri and T. Musha. The Superluminal Universe: from Quantum Vacuum to Brain Me-
chanism and Beyond. NOVA Science Publishers (2016).

27
Capitolo 3

Cosa sappiamo dell’Antimateria


L’universo allo “specchio” e il grande mistero
dell’asimmetria materia-antimateria.

V
iviamo in un Universo dominato dalla materia, fatta di atomi a loro
volta costituiti da protoni, neutroni ed elettroni che ne determina-
no le proprietà macroscopicamente osservabili. Ma oltre alla mate-
ria “usuale” di cui siamo costituiti e che sperimentiamo quotidianamente,
ne esiste di un’altra specie, molto meno comune, ma altrettanto importante
nell’ambito delle dinamiche dell’Universo, vale a dire la cosiddetta “an-
timateria”. Se non fosse per via delle sue più intime caratteristiche essa
apparirebbe del tutto simile alla materia “ordinaria” e, a prima vista, indi-
stinguibile da essa.
Ma di cosa è fatta, in realtà, l’antimateria? È possibile definirla come “l’op-
posto della materia”? E in che senso si può parlare di opposto?
L’antimateria può essere considerata come l’immagine “speculare” della
materia ordinaria, il suo “doppio” in un “universo alla rovescia”, tale che
se essa incontra la materia, le rispettive caratteristiche complementari si
cancellano reciprocamente dando luogo al fenomeno della cosiddetta an-
nichilazione, vale a dire la distruzione di entrambe con conseguente emis-
sione di pura energia sotto forma di radiazione gamma. In questo senso
l’antimateria può essere effettivamente considerata in senso letterale come
l’antagonista della materia.

La primordiale battaglia tra materia e antimateria


Ma se l’antimateria è presente nell’Universo come mai non assistiamo con-
tinuamente a tali poderosi fenomeni di annichilazione materia-antimate-
ria? Infatti, nel nostro Universo osservabile, per quanto siamo in grado

28
Capitolo 3 - Cosa sappiamo dell’Antimateria

oggi di conoscere, la materia è ubiquitaria e rappresenta il risultato di una


primordiale “battaglia” tra materia e antimateria svoltasi subito dopo l’o-
rigine dell’Universo ovvero, secondo la teoria prevalentemente accettata,
negli istanti immediatamente successivi al Big Bang. Infatti, secondo tale
modello cosmologico, in seguito al Big Bang si sarebbero generate quantità
perfettamente uguali di materia ed antimateria, in particolare avendosi per
ogni quark un rispettivo antiquark e per ogni leptone (la famiglia di par-
ticelle leggere cui appartiene l’elettrone) esattamente un antileptone. Ma-
teria e antimateria sarebbero poi andate incontro a un processo noto come
“grande annichilazione” che avrebbe portato alla distruzione di gran par-
te (tutta?) dell’antimateria e alla sopravvivenza dei semi della materia che
avrebbero poi portato alla formazione delle strutture materiali del nostro
Universo e il cui residuo sarebbe rappresentato dalla cosiddetta “radiazione
cosmica di fondo a microonde” che pervade ancora l’Universo a miliardi di
anni di distanza dall’evento di annichilazione.
Ma se le quantità iniziali di materia e antimateria sottoposte al processo
di grande annichilazione erano le stesse, come è possibile allora che solo la
materia sia, almeno per quanto ci è dato di sapere, “sopravvissuta” al pro-
cesso? La risposta a tale domanda, ovvero la spiegazione dell’asimmetria
materia-antimateria nell’Universo, costituisce infatti uno dei più grandi
misteri della scienza, tuttora irrisolto.
Ma cosa differenzia la materia dall’antimateria? Così come la prima, anche
la seconda può essere composta da atomi e molecole, che potremmo defi-
nire anti-atomi e anti-molecole rispettivamente, le cui caratteristiche ap-
paiono, a tale scala, sostanzialmente indistinguibili da quelle proprie della
materia. Ciò significa che le differenze tra i due tipi di materia e il dualismo
che esse manifestano devono essere ricercati a un livello ancora più fon-
damentale, ossia penetrando nella struttura più intima dei nuclei atomici.
La Teoria Quantistica Relativistica di Campo, che rappresenta la sintesi
tra Teoria della Relatività Speciale e Meccanica Quantistica, impone che i
costituenti più elementari della materia non possano essere costituiti esclu-
sivamente da particelle di materia ma che, per ciascuna particella subato-
mica, debba esistere un’entità “speculare”, in grado di formare, al pari della
materia usuale, strutture atomiche e molecolari in apparenza simili a queste
ultima ma, in realtà, profondamente differenti da queste.
Ad esempio, è noto che le leggi fondamentali dell’elettromagnetismo, l’in-
terazione che garantisce la stabilità della materia su scala macroscopica,
risultano invarianti se si scambiano tutte le cariche negative con delle cari-

29
La fisica dell’incredibile

che di uguale intensità ma di segno opposto e viceversa. Se supponessimo


che tutti gli elettroni abbiano carica positiva anziché negativa e i protoni
carica negativa anziché positiva, ciò non determinerebbe alcuna differen-
za macroscopicamente osservabile nel comportamento degli atomi e delle
molecole.
Tale scambio di carica trasformerebbe, effettivamente, la materia in anti-
materia in modo tale che, ad esempio, un atomo di anti-idrogeno sarebbe
costituito da un anti-elettrone (di carica positiva) che interagisce con un
anti-protone (di carica negativa).

Dirac: una mente geniale che indaga la materia


Il primo a postulare, dal punto di vista teorico, l’esistenza dell’antimateria
fu, nel 1928, il grande fisico inglese Paul Dirac, come possibile soluzio-
ne della sua omonima famosa equazione che descrive il comportamento
quanto-relativistico delle particelle caratterizzate da spin uguale a ½. Prima
della scoperta di tale equazione nessuno sospettava la possibile esistenza
dell’antimateria e, in effetti, si assumeva “semplicemente” la validità della
legge di conservazione della massa (ossia delle particelle di materia). Ciò
significava che tutta la massa presente nell’Universo all’inizio del tempo
sarebbe rimasta la stessa in qualunque istante successivo, un concetto che si
sposava perfettamente con il modello di Universo statico e macroscopica-
mente immutabile comunemente accettato a quell’epoca. In questo senso,
quindi, il principio della costanza della quantità totale di materia nell’Uni-
verso non poneva particolari problemi concettuali.
Tuttavia, la successiva scoperta della legge di Hubble, la relazione linea-
re che lega lo spostamento verso il rosso (redshift) delle linee spettrali di
emissione di una sorgente di luce alla distanza dal punto di osservazio-
ne, fornì la prima evidenza sperimentale dell’espansione dell’Universo. In
un modello di Universo in espansione, se si assume la conservazione della
materia, la presenza di quest’ultima può essere solo interpretata come con-
dizione iniziale per la sua evoluzione successiva. Tuttavia l’equazione di
Dirac impone una mutazione radicale di tale concezione. Per comprendere
la rivoluzione concettuale introdotta dall’equazione di Dirac è necessario
ricordare che, al tempo della sua formulazione, era nota l’esistenza di due
tipi di particelle di materia soltanto, ossia elettroni e protoni mentre, per
la definitiva accettazione della scoperta del neutrone, si dovrà attendere

30
Capitolo 3 - Cosa sappiamo dell’Antimateria

sino al 1932. L’equazione di Dirac ebbe subito una conferma sperimentale


in quanto fu in grado di predire il corretto valore del momento magnetico
dell’elettrone ma, allo stesso tempo, conteneva un profondo enigma la cui
manifestazione più evidente era costituita dalla previsione di stati caratte-
rizzati da valori di energia negativi. Tale questione è intimamente legata
anche al significato che bisogna attribuire alla massa nell’ambito della Te-
oria della Relatività Speciale di Einstein. Di fatto, quest’ultima richiede
che un qualsiasi corpuscolo materiale, di massa m, possieda, anche se in
quiete rispetto a un dato sistema di riferimento inerziale, un’energia, detta
“energia a riposo”, data dalla famosa equazione di Einstein, , che
può essere considerata come latente all’interno del corpuscolo considerato.
Nel caso di un corpo in movimento, il quadrato dell’energia totale del cor-
po equivale alla somma del quadrato dell’energia a riposo e del quadrato
dell’energia cinetica. Il problema nasceva dal fatto che la presenza di tale
termine quadratico di energia nell’equazione di Dirac implicava la pre-
senza di soluzioni, per il valore dell’energia totale, sia positive sia negative
(essendo il quadrato di una quantità negativa un valore positivo al pari del
quadrato di una quantità positiva). Tali stati appaiono tuttavia “innaturali”
e non-fisici, atteso anche che nella comune esperienza quotidiana non vi
sono evidenze della presenza di valori di energia negativa per un corpo
materiale isolato.
Ciò poneva quindi un serio problema d’interpretazione dell’insieme di tali
stati a energia negativa ovvero del cosiddetto “mare di Dirac”. Nel miglio-
re dei casi tale circostanza poteva essere interpretata come la necessità di
ridefinire, in qualche modo, lo stato di vuoto fisico e il conseguente livello
zero dell’energia delle particelle isolate mentre, nel peggiore dei casi, come
la presenza di un difetto strutturale della teoria la quale non ammetteva, in
tal modo, uno stato caratterizzato da un valore minimo di energia con la
conseguenza, ad esempio, che un elettrone o un protone aventi un livello
iniziale di energia positiva, avrebbero potuto “scivolare” spontaneamente
in uno stato di energia negativa cedendo la propria energia e rendendo
così di fatto instabile tutta la materia di cui siamo fatti e quella che ci cir-
conda. Tuttavia la materia appare sostanzialmente stabile e può apparire
paradossale che lo stesso Dirac utilizzò tale condizione (di stabilità) come
presupposto fondamentale della sua teoria. Nel caso dei fermioni, ossia
della particelle caratterizzata da valori semi-interi dello spin (una proprietà
tipica delle particelle quantistiche) la soluzione alla questione della stabilità
della materia è offerta dal famoso “principio di esclusione” già formulato

31
La fisica dell’incredibile

da W. Pauli secondo il quale due fermioni (come ad esempio due elettroni)


non possono coesistere nello stesso stato quantistico.
Nella teoria di Dirac, il vuoto fisico non è considerato come effettivamente
“vuoto”, ossia privo di qualsiasi proprietà intrinseca, quanto piuttosto come
una sorta di enorme “contenitore” (il “mare” appunto) contenente un numero
infinito di possibili stati quantici di energia negativa. La superficie di questo
“mare” corrisponde, in tale rappresentazione, al livello di zero dell’energia e
se si suppone che tutti i possibili stati a energia negativa siano occupati, ad
esempio, da elettroni, per il principio di Pauli nessun altro elettrone, dotato
di energia negativa, potrebbe “scivolare” nel mare stesso andando così a occu-
pare un livello energetico negativo. Ciò assicurerebbe, in tal modo, la stabilità
della materia osservata nel mondo macroscopico. Tuttavia, nell’interpreta-
zione di Dirac, tale mare non è un’entità statica e invariabile ma dinamica.
Infatti, secondo Dirac, se si fornisse “sufficiente” energia, ad esempio attra-
verso della radiazione elettromagnetica di sufficiente frequenza, si potrebbe
far “saltare” un elettrone da uno stato a energia negativa a uno a energia
positiva, generando così un “buco” nel mare di Dirac ovvero ciò che viene
indicato come “lacuna”. Tale lacuna, ovvero la mancanza di una particella con
carica negativa ed energia negativa verrebbe quindi interpretata, nella teoria,
come la “materializzazione”, a partire dal vuoto fisico, di una particella avente
carica positiva ed energia positiva ovvero di ciò che è denominato positrone
(o elettrone positivo), che rappresenta, così, l’anti-elettrone.
È proprio attraverso tale meccanismo che Dirac teorizza l’esistenza
dell’antimateria, ossia, per ogni particella di materia, della corrispondente
anti-particella, avente massa uguale alla prima ma carica elettrica uguale e
opposta in segno. Secondo questo schema, dunque, il rapporto tra materia e
antimateria è caratterizzato da una completa simmetria tra i membri di una
coppia particella-antiparticella. Inoltre la stessa teoria prevede la possibilità,
solo successivamente verificata sperimentalmente, di generare, dal vuoto, una
coppia elettrone-positrone in presenza di una quantità sufficiente di energia
sotto forma di radiazione elettromagnetica. Il processo è spiegato nel modo
seguente: la radiazione elettromagnetica rilascia la propria energia a un
elettrone, che si trova in uno stato di energia negativa nel “mare di Dirac”
il quale, di conseguenza, “salta” in uno stato di energia positiva e carica
negativa generando, al suo posto, una lacuna (ossia una particella di energia
positiva e carica positiva).
La previsione teorica dell’antimateria, e in particolare dell’esistenza di un
anti-elettrone è parsa, alla maggior parte dei fisici, nel periodo in cui è stata

32
Capitolo 3 - Cosa sappiamo dell’Antimateria

formulata, come un’ipotesi puramente fantascientifica. Si deve ricordare.


Infatti, all’epoca, le uniche particelle elementari conosciute erano rappre-
sentate dal protone e dall’elettrone le quali erano inoltre considerate come
immutabili ed eterne. Al contrario, la teoria di Dirac rappresentava una
realtà nella quale particelle ed antiparticelle potevano scomparire e ricom-
parire dal “nulla”, convertendo la materia in pura energia e viceversa. Inol-
tre uno dei fondamenti della teoria era costituito dalla perfetta simmetria
tra particella e relativa antiparticella e quindi dalla necessità che, per ogni
particella di materia, dovesse esistere una corrispondente antiparticella (di
pari massa e carica elettrica opposta), principio oggi considerato come una
caratteristica fondamentale del comportamento della Natura.
In accordo con la rappresentazione di Dirac, oggi, infatti, assumiamo che il
“mare” degli stati a energia negativa sia in effettivamente popolato da tutte
le possibili particelle elementari dotate di massa (quark e leptoni) che, sod-
disfacendo al principio di Pauli, lo riempiono completamente.
Le interazioni tra particelle e antiparticelle e i relativi fenomeni di annichi-
lazione si manifestano continuamente in natura e ciò ha fornito una con-
ferma importante della teoria di Dirac. Basti pensare, ad esempio, ai raggi
cosmici ad alta energia che regolarmente penetrano l’atmosfera terrestre
interagendo con essa e producendo piccolissime quantità di antimateria
rinvenibile nei getti di particelle così generati che si annichilano, subito
dopo, con la particelle di materia presenti in atmosfera. Anche le esigue
quantità di antimateria generate artificialmente in laboratorio sono state
sempre accompagnate dalla generazione di un’eguale quantità di materia e
dalla successiva quasi immediata annichilazione materia-antimateria.

Antimateria, tempo e simmetria


Una delle caratteristiche più intriganti e affascinanti dell’antimateria è
stata messa in evidenza da R. Feynman il quale, riprendendo l’originaria
idea del fisico svizzero Stueckelberg, ha avanzato l’ipotesi secondo la quale
un’antiparticella potesse essere considerata effettivamente come la corri-
spondente particella che si sposta “all’indietro nel tempo”. Secondo questa
ipotesi l’antimateria appare dunque essere caratterizzata da proprietà anco-
ra più esotiche di quelle derivanti dalla teoria di Dirac, dal momento che,
ad esempio, osservare il moto di un positrone equivarrebbe a osservare un
elettrone proveniente dal futuro.

33
La fisica dell’incredibile

Il concetto di tempo è probabilmente uno dei più complessi e controversi


di tutta la Fisica; potremmo affermare in un certo senso che, per la maggior
parte della materia (inclusa quella vivente), il tempo possa essere conside-
rato alla stregua di un’illusione determinata dalle leggi del caso quando si
considerano sistemi composti da un grandissimo numero di particelle. Il
principio dell’aumento dell’entropia per tali sistemi determina quindi la
percezione del fluire del tempo ossia della cosiddetta “freccia del tempo”.
Tuttavia, se si considera la dinamica delle singole particelle, a qualunque
scala, indipendentemente dal sistema fisico macroscopico di cui fanno par-
te, le leggi fisiche che ne descrivono il comportamento risultano invarianti
(ossia non cambiano forma) se si inverte il verso del tempo (scambiando il
passato con il futuro), circostanza che rappresenta il primo e più elementare
tipo di simmetria riscontrabile nella realtà fisica.
Inoltre, se considerassimo un sistema fisico che si evolve a ritroso nel tem-
po e, contemporaneamente, ne osservassimo il moto in uno specchio, no-
teremmo che nulla è cambiato rispetto al moto originale. Ciò corrisponde,
nel linguaggio della simmetria, a eseguire due operazioni: la prima, deno-
minata inversione temporale e rappresentata dall’operatore T che inverte il
segno del tempo nelle relative equazioni, la seconda, rappresentata dall’o-
peratore P, denominato operatore di parità, che applica una riflessione spe-
culare nei confronti del sistema fisico considerato. Nel caso in cui entrino
in gioco particelle dotate di carica elettrica, la simmetria risulta essere con-
servata se, oltre alle operazioni T e P, si esegue, sul sistema, la cosiddetta
operazione di coniugazione di carica elettrica, rappresentata dall’operatore
C, che inverte il segno di tutte le cariche elettriche presenti, dando luogo a
ciò che viene denominata simmetria CPT.
Il comportamento della materia e dell’antimateria appare dunque com-
pletamente simmetrico rispetto all’azione dell’operatore CTP mentre, ap-
plicando solo due delle operazioni di simmetria tra materia e antimateria,
possono essere rilevate sottili differenze dinamiche tra le due.
Infatti, nonostante l’apparente completa e assoluta simmetria tra materia
e antimateria, esiste un caso in cui è possibile rilevare, abbastanza “facil-
mente”, la differenza di comportamento tra queste: ci riferiamo al com-
portamento della particella denominata Kaone neutro (indicato con ),
la cui dinamica sembra in grado di fornire un criterio assoluto per distin-
guere la materia dell’antimateria. Questa particella, costituita da un quark
e un antiquark rispettivamente caratterizzati da sapore [insieme di numeri
quantici caratterizzanti leptoni e quark; N.d.R.]down e sapore strange e

34
Capitolo 3 - Cosa sappiamo dell’Antimateria

avente carica elettrica complessiva nulla, risulta essere instabile e può de-
cadere nella sua antiparticella, ovvero l’anti-K neutro. Analogamente, la
teoria prevede che un anti-K neutro possa decadere in un K-neutro per
via della trasformazione del numero quantico di sapore che caratterizza i
quark e gli anti-quark costituenti. Se ci fosse totale e completa simmetria
tra materia e antimateria, al livello profondo delle particelle subatomiche
che costituiscono il mesone K (e, analogamente l’anti-K), allora la proba-
bilità di occorrenza della trasformazione K in anti-K che dovrebbe risultare
esattamente uguale alla probabilità della trasformazione inversa anti-K in
K, e le oscillazioni tra K in anti-K risultare assolutamente regolari.
Tuttavia, una serie di esperimenti condotti al CERN nel 1998, ha evi-
denziato una leggera differenza nella frequenza dei due processi di de-
cadimento della particella K, dimostrando così l’esistenza di una sottile
asimmetria tra materia e antimateria a livello di particelle elementari,
ascrivibile alle diverse “famiglie” di quark esistenti e coinvolte nel proces-
so considerato.
Tali considerazioni relate all’esistenza, in corrispondenza a un qualche li-
vello fondamentale, di una possibile asimmetria tra materia e antimateria
ci portano a riflettere su uno dei più profondi e ancora irrisolti enigmi della
scienza moderna, vale a dire l’assoluta prevalenza, almeno limitatamente
all’Universo osservabile, della quantità di materia osservata rispetto all’an-
timateria.

Perché vediamo solo la materia?


Atteso che, stante la vita media molto ridotta della particella K, non sareb-
be possibile attribuire, ad esempio, tale macroscopica differenza all’asim-
metria delle oscillazioni della particella K, è necessario considerare altre
ipotesi al fine cercare di fornire una qualche giustificazione a tale profonda
questione. Se assumiamo, come indicato dal modello correntemente accet-
tato, che tutta la materia (e l’antimateria) si sia formata in seguito all’evento
denominato Big Bang, allora dobbiamo assumere, come già in precedenza
sottolineato, che tali quantità fossero inizialmente equivalenti.
Ma se ciò è vero sarebbe forse possibile accettare l’idea secondo la quale, ad
esempio, l’antimateria sia in realtà “confinata” in una regione dell’Universo a
noi inaccessibile e che la sua quantità risulti in definitiva confrontabile con
quella della materia osservata?

35
La fisica dell’incredibile

Tutte le tracce dell’antimateria osservata sembrano riconducibili alla sua


“creazione” transitoria in seguito a processi d’interazione in cui è coinvolta la
materia ordinaria e, in particolare, all’interazione dei raggi cosmici con l’at-
mosfera terrestre. Tutta una serie di evidenze sembrano inoltre indicare che,
fatta eccezione per le particelle di antimateria generate da processi di natura
astrofisica, fino a distanze di molte centinaia di milioni di anni, la totalità
della materia osservata sia composta da materia ordinaria.
Ciò significa che, se accettiamo la teoria del Big Bang, dobbiamo ammet-
tere che negli istanti immediatamente successivi ad esso le quantità di ma-
teria e antimateria, inizialmente uguali, possano essere state differenti e
che, di conseguenza, la “grande annichilazione” avvenuta subito dopo abbia
lasciato dei “superstiti”, ovvero particelle composte di materia che avrebbe-
ro poi dato “vita” all’Universo osservabile.
Se ciò è vero, dobbiamo accettare l’idea che, prima del processo di annichi-
lazione, un qualche altro tipo di fenomeno fisico, ancora sostanzialmente
sconosciuto, sia intervenuto facendo pendere il piatto della bilancia, sebbe-
ne di una quantità piccolissima (dell’ordine di una parte su dieci miliardi),
verso la materia. Qualcosa deve rendere, cioè, la materia diversa dall’anti-
materia. La soluzione dell’enigma potrebbe derivare dall’analisi del ruolo
svolto da un’altra particella elementare, forse la più enigmatica ed elusiva
di tutte: il neutrino.

Una possibile risposta: il neutrino


Si tratta di oggetti che potremmo definire a cavallo tra l’essere e il “nulla”
che non hanno carica elettrica e sono caratterizzati, almeno per quanto
finora ne sappiamo, da una massa a riposo prossima a zero. Sono capaci di
attraversare la materia ordinaria senza praticamente interagire con essa;
essendo fermioni, soddisfano anch’essi l’equazione di Dirac e, di conse-
guenza, possono essere catalogati nell’ambito della materia o dell’antima-
teria. Tuttavia, in questo caso, la differenza non può essere attribuita alla
carica elettrica (pari a zero sia per il neutrino che per l’anti-neutrino) ma
a una proprietà esclusivamente quantistica, che caratterizza le particelle
elementari, nota come spin, che può essere immaginato, in maniera estre-
mamente semplicistica e riduttiva, come una sorta di momento angolare
quantizzato (classicamente associato a una rotazione attorno ad un asse).
I neutrini vengono generati naturalmente nel processo radioattivo noto

36
Capitolo 3 - Cosa sappiamo dell’Antimateria

come decadimento beta in cui, ad esempio, un protone, all’interno di un


nucleo instabile, si trasforma in un neutrone emettendo un positrone e,
appunto, un neutrino. Nel processo opposto, in cui un neutrone decade
dando origine a un protone e a un elettrone, viene invece generato un
anti-neutrino.
Così come accade per gli elettroni, anche i neutrini possono avere spin
antiorario, o levogiro, ovvero spin orario o destrogiro. Gli esperimenti
più significativi condotti sinora sui neutrini hanno mostrato che essi sono
caratterizzati da spin antiorario e che, di conseguenza, gli anti-neutrini
posseggono spin orario.
D’altra parte è evidente che il verso antiorario riflesso in uno specchio
corrisponde a una rotazione oraria, per cui se si osservasse un neutrino
allo specchio la sua immagine riflessa corrisponderebbe al relativo an-
ti-neutrino. Per tale ragione la differenza tra neutrino e anti-neutrino
sembrerebbe risiedere esclusivamente nel verso del suo spin per cui in
tempi recenti è stata avanzata l’ipotesi che possa esistere un unico tipo di
neutrino il cui valore di spin cambia in base al processo fisico in cui esso
compare. Un’altra questione essenziale riguarda la massa del neutrino
che, sebbene estremamente piccola, è diversa da zero, ciò significando che
i neutrini (ed i corrispondenti anti-neutrini) possono, come conseguen-
za delle interazioni con altre particelle, assumere spin antiorario oppure
orario.
Che i neutrini possano rappresentare la chiave per la spiegazione dell’a-
simmetria tra materia e anti-materia nell’Universo è ulteriormente sug-
gerito da alcuni importanti risultati sperimentali ottenuti recentemente.
Tali esperimenti, condotti presso l’Imperial College di Londra, suggeri-
scono che ci possa essere una differenza importante tra il comportamento
della materia e quello dell’antimateria. Il gruppo di ricerca T2K (questo il
nome in codice del progetto) ha studiato le proprietà di neutrini e antineu-
trini e in particolare la possibilità che questi hanno di assumere i tre diversi
tipi di “sapori”, rispettivamente corrispondenti alle tre varietà di neutrini
note come neutrino elettronico, muonico e tauonico. Tali variazioni di sa-
pore sono anche note come “oscillazioni”.
Il gruppo di ricerca ha investigato, in particolare, le differenze nelle ca-
ratteristiche di tali oscillazioni nel caso dei neutrini e nel caso degli an-
ti-neutrini, sperimentando un differente rateo di apparizione del neutrino
elettronico (quello che appare nei processi che coinvolgono la generazione
di elettroni) rispetto a quello dell’anti-neutrino elettronico. Ciò ha eviden-

37
La fisica dell’incredibile

ziato, a un livello fondamentale sinora mai raggiunto, il comportamento


asimmetrico di materia e antimateria.
Un’altra ipotesi avanzata per spiegare tale asimmetria è basata sulla possi-
bile esistenza di un altro tipo di particella, nota come “Majorone” (in onore
del grande fisico Ettore Majorana), ossia di un neutrino di massa partico-
larmente elevata il cui decadimento darebbe origine, oltre all’emissione di
energia pura, a quantità non necessariamente simmetriche di neutrini e an-
ti-neutrini alcuni dei quali, dunque, avrebbero potuto sopravvivere all’anni-
chilazione primordiale fornendo parte della materia iniziale dell’Universo.
Non conosciamo ancora quale sia la risposta definitiva all’interrogativo
posto all’inizio della nostra discussione, ovvero del perché viviamo in un
Universo dominato dalla materia piuttosto che dall’antimateria, ma siamo
certi che il trovarla implicherà una profonda rivisitazione delle conoscenze
e delle convinzioni scientifiche attuali, in grado di superare le limitazioni
del Modello Standard delle particelle elementari, oggi unanimemente ac-
cettato, proponendo un nuovo schema unificatore in cui tutte le interazioni
e le particelle possono essere considerate come manifestazioni diverse di
un’unica universale realtà.

PER APPROFONDIRE
1. P.A.M. Dirac, Proc. Of Royal Society London, A117, 610 (1928); A118, 351 (1928).
2. E.P. Wigner, Symmetries and Reflections, OXBOW PRESS, Woodbridge, Connecticut (1979).
3. T.D. Lee and C.N. Yang, Phys. Rev. 194, 254 (1956).
4. F. Close, Antimatter, Oxford University Press, Oxford (2009).

38
Capitolo 4

Mente, cervello e Fisica Quantistica


Dalla dinamica del vuoto fisico all’origine della coscienza:
modelli quantistici della mente, fenomeni superluminali e
il ruolo del cervello.

L
a trattazione di problemi fondamentali come il finalismo, il deter-
minismo o il libero arbitrio ha da sempre posto, anche soltanto dal
punto di vista strettamente filosofico, una qualche definizione del
concetto di coscienza. Tutti i principali modelli filosofici si sono dovuti ci-
mentare, secondo approcci e livelli di approfondimento differenti, con tale
questione. Essa appare di tale fondamentale importanza che, a seconda che
alla coscienza sia stato associato di volta in volta un significato materiale o
spirituale, mortale o immortale, da questo derivasse una diversa concezio-
ne dell’Universo e della realtà stessa. Nella maggior parte degli studi sinora
condotti al fine di definire e comprendere la reale natura della coscienza (e,
con essa, delle funzioni mentali superiori tipiche della specie umana quali,
ad esempio, la logica, l’intuizione e la fantasia), la coscienza appare come un
fenomeno complesso il cui studio si pone in un ambito di intersezione tra il
dominio della filosofia, della psicologia, della medicina, della psichiatria ma
anche e soprattutto, potremmo oggi dire, delle scienze esatte e, in particolar
modo, della fisica. Senza dubbio possiamo affermare che la coscienza è un
fenomeno squisitamente soggettivo che costituisce una riserva inesauribile di
sensazioni, emozioni e di idee e d’altra parte rappresenta quell’entità “stru-
mentale” attraverso la quale il soggetto cosciente “costruisce” il proprio mon-
do interiore interpretando la realtà “esteriore”. Invero, nella maggior parte dei
casi, le sensazioni sono il risultato di una stimolazione fisica esterna (come,
ad esempio, un flusso di fotoni nel caso della sensazione luminosa, o la vibra-
zione di un mezzo elastico nel caso della sensazione sonora ecc.).
È proprio l’insieme di queste sensazioni, che, risultando statisticamente
compatibili per tutti gli esseri umani, determina la nostra “immagine” (la
39
La fisica dell’incredibile

nostra “realtà”) del mondo esterno, tramite l’azione mediatrice della co-
scienza. Alcune situazioni specifiche rivelano la capacità della coscienza di
interagire con l’ambiente esterno: si pensi al caso della misurazione quan-
tistica (in cui, secondo l’interpretazione correntemente accettata, il libero
arbitrio dell’osservatore nella progettazione e realizzazione di un esperi-
mento di misura ne influenza in maniera irreversibile l’esito) ma anche alla
generazione artificiale di sensazioni “irreali” ovvero non associate a un’ef-
fettiva esistenza di cause nel mondo “esterno” (quali, ad esempio, quelle
associate alle allucinazioni prodotte dall’uso di droghe, ovvero determinate
dall’estasi mistica, o dall’intuizione artistica ecc.). La coscienza, inoltre, è
caratterizzata dalla possibilità di manifestarsi in una moltitudine di stati,
corrispondenti a un livello più o meno “elevato” di interazione con l’am-
biente esterno al soggetto.
Tutte queste evidenze suggeriscono che la coscienza non possa essere con-
siderata come una “semplice” manifestazione della corteccia cerebrale ma
che essa sia caratterizzata da un’esistenza propria, probabilmente afferente
a un livello più profondo della realtà e in grado di interagire con la materia.
Ciò indica che la coscienza potrebbe avere essa stessa una connotazione
materiale, ma di quale tipo di materia possa trattarsi e a quale dinamica
essa risponda è una domanda tutt’altro che semplice a cui rispondere.
Senza dubbio, in quest’ultimo caso, essa dovrebbe essere costituita da una
forma di materia avente caratteristiche spazio-temporali specifiche, del
tutto differenti da quelle tipiche della materia che conosciamo (del resto, in
fisica, l’ipotesi dell’esistenza di materia di tipo non barionico non è nuova,
basti considerare l’idea della materia oscura introdotta per rendere con-
to della velocità di espansione dell’Universo derivante dalle osservazioni
astronomiche) e probabilmente non appartenente allo spazio-tempo de-
scritto dalle teorie fisiche comunemente accettate.
Ma come avverrebbe dunque l’interazione tra tale livello della realtà, con-
tenente la coscienza, e la materia ordinaria di cui è fatto il nostro cervello?
L’ipotesi più ragionevole è che questa possa manifestarsi in corrispondenza
all’interfaccia tra questi due livelli di realtà ad opera, verosimilmente, della
corteccia cerebrale e del sistema nervoso. Secondo questa visione, dunque,
le strutture nervose superiori agirebbero in maniera simile a uno strumento
rivelatore (un analizzatore di spettro o un dispositivo similare) in grado di
decomporre un segnale nelle sue componenti di frequenza evidenziandone
così la sua reale composizione, nello stesso modo come un prisma scompo-
ne la luce bianca nei diversi colori dello spettro.

40
Capitolo 4 - Mente, cervello e fisica quantistica

Possibili modelli fisici della coscienza e loro conseguenze


L’idea di una coscienza materiale (nel senso sopra evidenziato) non è nuova
nel panorama scientifico e risale a più di quarant’anni fa, essendo stata invo-
cata già nell’ambito neurofisiologico e psicoanalitico. Uno dei primi studiosi
a evidenziare, già a partire dall’inizio degli anni Ottanta, le contraddizioni
insite nell’interpretazione “tradizionale” psicofisiologica della coscienza è
stato il grande neurofisiologo John Eccles, insignito del premio Nobel per le
sue ricerche sulla trasmissione sinaptica nelle cellule cerebrali corticali. Nel
suo trattato intitolato Le basi neurofisiologiche della Mente, Eccles sviluppa
il modello che egli definisce come “ipotesi del meccanismo di azione del-
la volontà sulla corteccia cerebrale”. Egli parte dalla constatazione di come
uno stesso effetto, anche il più semplice come ad esempio alzare un dito,
possa essere provocato attraverso una stimolazione artificiale di opportune
aree della corteccia cerebrale ma anche, in maniera totalmente differente,
da ciò che si produce quando tale movimento deriva da una precisa volon-
tà di compierlo. Tale palese constatazione porta a una ovvia contraddizione
se interpretata nell’ambito di una teoria che tenga conto del solo sistema
nervoso e della formazione dei riflessi condizionati. Eccles propone dunque
l’ipotesi secondo la quale l’esercizio della “volontà” produrrebbe, nella cortec-
cia, una modificazione in risposta a una specifica situazione, per cui, anche
una lievissima “azione della volontà” su un singolo neurone sarebbe in grado
di comportare un cambiamento considerevole dell’attività cerebrale. Ancora,
secondo Eccles, la corteccia funzionerebbe semplicemente come un sistema
rivelatore di un’ulteriore “struttura”, non (ancora) misurabile per mezzo degli
strumenti scientifici disponibili, identificabile con ciò che egli chiama giu-
stappunto Mente.
Eccles quindi riconosce l’esistenza di due entità distinte: la mente, struttura
fisica ancora sconosciuta, e il cervello la cui unica funzione sarebbe quel-
la di rilevare i “campi di influenza” spazio-temporali generati dalla mente
e di garantire l’espletamento delle attività fisiologiche necessarie alla vita
dell’organismo cosciente. In particolare, nel modello di Eccles, il ruolo fon-
damentale è svolto dal processo di exocitosi che consente la trasmissione di
segnali nervosi nelle vescicole presinaptiche. Tale processo rappresenta l’at-
tività fondamentale unitaria della corteccia cerebrale per il quale è possibile
stabilire una legge di conservazione. Da un punto di vista quantistico tale
legge di conservazione può essere spiegata, secondo Eccles, supponendo
l’esistenza di specifiche particelle quantistiche denominate “psiconi” che

41
La fisica dell’incredibile

rappresenterebbero le unità fondamentali della coscienza le quali, intera-


gendo tra loro, sarebbero in grado di generare l’esperienza unitaria e sog-
gettiva della coscienza. Il campo quantistico associato a tali psiconi costi-
tuirebbe quindi il campo non-materiale, analogo a un campo di probabilità,
che regolerebbe il processo di formazione della coscienza.

Gli psitroni: la coscienza secondo il matematico A. Dobbs


Un altro modello fisico della mente particolarmente interessante è quello
proposto dal matematico inglese A. Dobbs nel 1967, secondo il quale la
materia pensante risulterebbe costituita da un sistema collettivo composto
da unità quantistiche elementari denominate “psitroni”, ovvero di particelle
aventi massa propria immaginaria (le particelle “ordinarie” hanno massa
a riposo nulla, come i fotoni, o positiva) e, di conseguenza, caratterizzati
da una velocità superiore a quella della luce nel vuoto. In un certo senso
dunque, gli psitroni di Dobbs potrebbero essere identificati con le particelle

I limiti dei modelli fisici della coscienza


Ciascuno dei modelli fisici della co- tistico su cui sono fondati mentre,
scienza sinora elaborati, di cui quelli d’altra parte, il modello ORCH-OR
sopra menzionati costituiscono sol- è afflitto, tra l’altro, da questioni di
tanto una sintesi inevitabilmente compatibilità tra il tempo di collasso
incompleta, risulta caratterizzato da e quello di decoerenza dello stato
specifiche criticità teoriche che ne quantistico dei microtubuli previsti
rendono la validità e la rappresen- dal modello stesso.
tatività necessariamente limitate. Problemi di natura differente ma
In estrema sintesi, possiamo affer- egualmente sostanziali riguarda-
mare che i modelli basati sulla te- no anche il modello di Pribram, nel
oria quantistica di campo (come ad quale, ad esempio, non viene fornita
esempio quello di Frohlich e quello una spiegazione esaustiva riguardo
di Ricciardi-Humezawa) non riesco- alla natura, all’origine e alle caratte-
no a spiegare compiutamente la ristiche del cosiddetto dominio delle
dinamica di formazione e di evolu- frequenze spaziali che costituiscono
zione dello stato quantistico macro- il substrato di informazioni elabora-
scopico o dello stato di vuoto quan- te dal cervello in maniera olografica.

42
Capitolo 4 - Mente, cervello e fisica quantistica

superluminali denominate generalmente tachioni, ipotizzate per la prima


volta dai fisici Feinberg e Surdashan nel 1966. Tale considerazione risulterà
estremamente interessante, come vedremo, nel seguito. In particolare la
teoria di Dobbs considera un tempo a due dimensioni: la prima coinciden-
te con quella usualmente considerata, la seconda, di natura esclusivamen-
te matematica, legata al concetto di probabilità di un evento. Egli inoltre
introduce un modello dell’interazione tra psitroni e neuroni nel cervello
secondo il quale quest’ultimo viene interpretato, analogamente al modello
di Eccles, come un insieme di filtri selettivi in frequenza, del tutto analoghi
a quelli presenti in un “ricevitore radio”. Nonostante la teoria di Dobbs
appaia, per certi versi, molto elaborata, un modello sostanzialmente più
articolato è quello su cui è basata la teoria olografica di K. Pribram.

L’affascinante teoria olografica di Pribram


Questo è senza dubbio uno dei primi e più importanti modelli strutturati
di coscienza basato esclusivamente su basi fisiche e in particolare sul con-
cetto di ologramma. Come noto la tecnica olografica permette di registrare
su una pellicola la figura d’interferenza prodotta dalla luce riflessa da un
oggetto e sulla quale nessuna immagine è apparentemente distinguibile.
Tuttavia, illuminando la superficie con un raggio laser, si formerà, come ri-
sultato, un’immagine tridimensionale collocata nello spazio. È importante
sottolineare che un ologramma contiene effettivamente tutte le informa-
zioni relative al volume dell’oggetto che esso rappresenta nello stesso modo
in cui una fotografia rappresenta tutti i dettagli di una determinata faccia di
un oggetto tridimensionale.
Secondo Pribram il cervello funziona in maniera olografica grazie alla pre-
senza di cellule specializzate, in grado di eseguire un’operazione del tutto
analoga alla funzione matematica nota come trasformata di Fourier.
Questa consente, operando su una funzione matematica del tempo, di pas-
sare dal dominio del tempo a quello della frequenza (e viceversa). Secondo
Pribram la corteccia cerebrale giocherebbe un ruolo analogo a quello del
raggio laser nel caso dell’olografia in modo tale che, agendo nel dominio
delle frequenze denominate frequenze “spaziali”, restituirebbe, a partire da
uno schema d’interferenza, le “immagini” quadridimensionali che corri-
spondono agli oggetti fisici a tre dimensioni che percepiamo nel nostro
spazio-tempo. Secondo tale modello ciò che chiamiamo realtà fisica non

43
La fisica dell’incredibile

sarebbe altro che una proiezione olografica, realizzata dal cervello attra-
verso un processo analogo a quello con cui un raggio laser decodifica lo
schema d’interferenza impresso su una pellicola.

Cervello spazio-temporale e cervello non-locale


Il modello proposto da Pribram presuppone l’esistenza di una realtà indi-
pendente e più fondamentale, rispetto alla proiezione olografica realizzata
dal cervello, sostanzialmente composta da un ensemble di frequenze rispetto
alle quali il cervello agirebbe come un dispositivo rivelatore-decodificatore.
In questo senso la “costruzione” della realtà che noi sperimentiamo av-
verrebbe esclusivamente e completamente all’interno del cervello, essendo
essa la proiezione della realtà “vera” costituita dall’insieme delle figure d’in-
terferenza appartenenti al dominio delle frequenze spaziali.

Ma quali sarebbero le conseguenze fisiche del modello


olografico?
Il teorema di Fourier, sul quale è basata la definizione dell’omonima trasforma-
ta, consente di trasformare gli oggetti dello spazio-tempo “usuale”, matemati-
camente descrivibili come dei segnali aventi uno sviluppo temporale regolato
dal principio di causalità macroscopica, in oggetti appartenenti al dominio
della frequenza, caratterizzato da un ordine di tipo non-locale e nel quale non
è possibile stabilire un ordine di causalità dal momento che, in esso, tutti gli
eventi apparirebbero contemporanei e per i quali, al posto del principio di cau-
salità, è possibile assumere soltanto un principio di correlazione tra essi. Tale
struttura permetterebbe al cervello di “funzionare” sia in maniera spazio-tem-
porale che in maniera non-locale, sollevando tuttavia la questione di come sia
allora possibile che, nei fenomeni fisici di natura strettamente quantistica, tali
modi risultino manifestarsi soltanto in maniera mutuamente esclusiva.
La risposta potrebbe risiedere, come suggerisce lo stesso Pribram, nel prin-
cipio di complementarietà che, secondo N. Bohr, si presenta come una
proprietà fondamentale sia del sistema fisico osservato che dell’osservatore.
In questo senso, dunque, la sincronicità apparirebbe come la manifestazio-
ne di un ordine non-locale, essendo le relazioni di natura causale introdotte
soltanto in riferimento all’osservatore che esegue le misure.

44
Capitolo 4 - Mente, cervello e fisica quantistica

I limiti del modello Pribram e il modello di realtà di Bohm


Tuttavia il modello di Pribram, sebbene alquanto elaborato e affascinante,
lascia alcuni importanti interrogativi senza risposta quali, ad esempio: esi-
stono delle tipologie di ordinamento degli eventi fisici ancora sconosciute?
L’ordine di tipo spazio-temporale, quello di natura non-locale così come
gli altri eventualmente esistenti sono soltanto una costruzione del nostro
cervello? Ancora: quali sono la natura, l’origine e le caratteristiche del co-
siddetto dominio delle frequenze spaziali che costituiscono il substrato
d’informazioni elaborate dal cervello in maniera olografica?
Il concetto di “ordine” sottointeso da Pribram risulta essere altresì alla base
del modello di realtà proposto dal fisico inglese D. Bohm, secondo il quale
esistono soltanto due tipi di ordine: quello implicato e quello esplicato. Nel
primo di tipo di ordine non esiste differenza tra mente e materia, mentre
nel secondo questi costituiscono due realtà distinte. Se un fenomeno è de-
scrivibile in termini di fisica quantistica l’ordine implicato prevale, mentre
in un sistema descritto dalla fisica classica, il ruolo fondamentale è giocato
dall’ordine esplicato. Secondo la teoria di Bohm, la coscienza sarebbe as-
sociata all’ordine implicato in cui le particelle risulterebbero “informate”
tramite il collasso della funzione d’onda, coincidendo dunque tale processo
di “informazione” con l’ordine implicato stesso. La teoria dell’ordine impli-
cato assume, in un certo senso, che ogni particella materiale contenga una
forma elementare di coscienza e che il processo di in-formazione, conse-
guente al collasso quantistico della funzione d’onda, realizzi la connessione
tra le proprietà “mentali” e materiali delle particelle. Più specificamente
Bohm definisce, per un sistema di particelle, una funzione matematica,
denominata potenziale quantistico, che rappresenta una proprietà intrinseca
del sistema stesso.
Questa consisterebbe in una sorta di “informazione attiva” che, stabilendo
una correlazione non-locale, sarebbe in grado di “guidare” le particelle in
un moto ordinato. Bohm considera quindi tale potenziale quantistico come
una proprietà “mentale” della materia che si rivela sostanzialmente a livello
quantistico sotto forma di moto delle particelle.

Altri modelli quantistici della coscienza


Il concetto di sistema ordinato ritorna ancora nel modello fisico di co-
scienza proposto da H. Fröhlich che considera il cosiddetto “condensato di
45
La fisica dell’incredibile

Bose-Einstein”, ovvero un sistema materiale macroscopico che mostra un


comportamento collettivo, del tipo a singola particella, di natura quantisti-
ca quando portato a temperature estremamente basse. Nel 1969 Frohlich
ha mostrato come tale comportamento potesse manifestarsi negli organi-
smi viventi, portndo così alla formazione di condensati di Bose-Einstein alle
temperature tipiche dei processi biologici. Tale eventualità apparirebbe par-
ticolarmente significativa dal momento che una delle proprietà principali di
tale sistema quantistico macroscopico consiste nella sua abilità di amplificare
i segnali e di codificare le informazioni: due dei processi alla base, secondo
Föhlich, del fenomeno della coscienza. Il modello proposto da Föhlich ri-
sulta particolarmente interessante anche perché, a partire da esso, nel 1980,
L.M. Ricciardi e H. Umezawa elaboravano probabilmente il primo model-
lo di coscienza completamente fondato sulla Teoria Quantistica di Campo
(QFT). Nell’ambito di tale modello, le funzioni superiori del cervello sono
attribuite a stati quantistici collettivi ordinati. In questo modo, ad esempio,
la memoria è associata allo stato di vuoto quantistico del sistema, ossia a
quello di minima energia, in cui non sono presenti particelle materiali. La
stabilità dello stato del vero vuoto quantistico garantirebbe, in tale inter-
pretazione, la permanenza dei ricordi e inoltre, attraverso la capacità di
determinare correlazioni quantistiche su scale di lunghezza macroscopiche,
la capacità di agire in maniera non locale su diverse aree del cervello e del
sistema nervoso. In questo senso, dunque, la coscienza sarebbe il risultato
di una somma coerente di molti processi quantistici elementari dovuti agli
oscillatori quantistici presenti nel campo di materia formatosi all’interno
del cervello.
Da ultimo, ma non per questo meno importante, ricordiamo il modello di
coscienza proposto da S. Hameroff e R. Penrose denominato ORCH-OR,
ovvero “Collasso-Oggettivo-Orchestrato”.
Nel modello di Hameroff e Penrose, in particolare, si considera l’esistenza di
tre livelli di realtà: il mondo Platonico o delle forme, il mondo fisico e quello
mentale. Mentre nell’interpretazione ortodossa della meccanica quantistica
(dovuta come noto a Bohr), le proprietà del mondo fisico sono una conse-
guenza di quelle del mondo mentale (ovvero dell’osservazione condotta dallo
sperimentatore cosciente) per il tramite del collasso della funzione d’onda
associata al sistema fisico considerato, nel modello ORCH-OR queste realtà
sono ontologicamente separate e interagiscono soltanto tramite il collasso
della funzione d’onda. Tale collasso avverrebbe all’interno dei microtubuli
(le strutture che costituiscono il citoscheletro delle cellule) del cervello, a in-

46
Capitolo 4 - Mente, cervello e fisica quantistica

tervalli regolari di circa 25 msec, e in modo “orchestrato”, determinando in


tal modo la posizione in essere dell’esperienza cosciente e ponendo così in
relazione il mondo mentale con quello fisico.

Coscienza e cervello nel modello di Universo Superluminale


Per quanto concerne lo schema proposto da Eccles, alcune recenti ricerche
hanno evidenziato la possibilità che le unità mentali fondamentali, deno-
minate psichioni, non siano in realtà altro che tachioni di energia estrema-
mente bassa (virtualmente pari a zero).
Come ricordato sinteticamente nella trattazione che precede, tali entità
sono costituite da ipotetiche (benché alcune importanti evidenze speri-
mentali ne abbiano suggerito l’effettiva esistenza e rilevabilità) particelle
caratterizzate da una velocità sempre superiore a quella della luce del vuoto
che costituirebbe dunque, in relazione ad esse, non già un limite superiore
(come previsto dalla Teoria della Relatività di Einstein per le particelle
“ordinarie”) bensì un limite inferiore. In questo caso, infatti, la teoria pre-
vede che all’aumentare della velocità, l’energia dei tachioni diminuisca (per
giungere teoricamente a zero in corrispondenza a una velocità infinita-
mente elevata) e, viceversa, aumenti al decrescere della stessa. In tal modo
per “rallentare” un tachione al di sotto del valore della velocità della luce
sarebbe necessario fornire ad esso un’energia infinita (nello stesso modo in
cui, secondo la Relatività, sarebbe necessaria un’energia infinita per acce-
lerare una particella “ordinaria” fino alla velocità della luce). Così definiti,
i tachioni sarebbero caratterizzati da una massa a riposo immaginaria ma,
nel contempo, da una energia e quantità di moto reali e, quindi, in linea di
principio misurabili.
È possibile dimostrare, come suggerito recentemente da S.D. Hari, che
un campo di tachioni a energia nulla (ZET) è caratterizzato da proprietà
simili a quelle dei “campi mentali” ipotizzati in diversi modelli fisici della
coscienza. In particolare è possibile considerare un tachione più come un
campo che come una particella localizzata, ovvero come un fenomeno fisi-
co di natura non-locale che viene generato e assorbito secondo dinamiche
collettive di tipo coerente. In questa visione, un tachione non potrebbe
essere generato in una specifica posizione e, successivamente, misurato in
un’altra, ma piuttosto su una regione più o meno estesa di spazio. Adot-
tando questa rappresentazione è possibile associare a un campo tachionico

47
La fisica dell’incredibile

ZET una serie di proprietà che lo rendono idoneo a spiegare esattamente


il meccanismo d’azione degli psichioni ipotizzati da Eccles. In particolare
si può dimostrare che un campo ZET agisce come una sorta di interruttore
per il processo di exocitosi (modellizzato da F. Beck come un effetto tunnel
quantistico) e può essere considerato come la possibile spiegazione in ter-
mini fisici dell’atto intenzionale della mente.
Tale modello tuttavia, sebbene estremamente affascinante e interessante,
non è in grado di fornire una spiegazione dell’origine fisica e delle pro-
prietà dinamiche del campo tachionico che esso pone all’origine dell’atto di
volontà mentale che innesca il processo di exocitosi. Una possibile risposta
a tale questione è stata recentemente suggerita nell’ambito del modello di
Universo Superluminale proposto da L.M. Caligiuri e T. Musha che hanno
dimostrato, considerando i microtubuli presenti nel cervello, che all’interno
di questi sussistono le condizioni per la formazione, a partire dallo stato
di vuoto quantistico, di uno stato macroscopico coerente dell’acqua in essi
contenuta che, organizzandosi in domini di coerenza, resiste al fenomeno
della decoerenza ambientale per un tempo superiore a quello necessario a
generare, per effetto tunnel quantistico, dei fotoni superradianti all’interno
di un campo elettromagnetico evanescente. Tali fotoni possono essere in-
terpretati come un campo coerente composto da particelle superluminali
che si “propagano” all’esterno dei domini di coerenza dell’acqua attraverso
le pareti dei microtubuli, andando così a interagire con i neuroni circo-
stanti. Tale processo è in grado di spiegare non solo l’origine del campo
tachionico ipotizzato da Hari ma anche il suo meccanismo di interazione
non locale in grado di innescare il processo di exocitosi.
Analogamente, esso può essere interpretato come il campo fisico associato
al dominio delle frequenze spaziali ipotizzato da Pribram la cui ricezione
da parte del cervello permette la ricostruzione olografica della realtà. Il
medesimo meccanismo permette infine di interpretare il processo inten-
zionale tipico della mente in termini di teoria quantistica di campo e, in
particolare, della Teoria Elettrodinamica Quantistica Coerente (CQED)
che, nella formulazione recentemente proposta da L.M. Caligiuri, regola
la dinamica del vuoto quantistico e la sua evoluzione coerente verso la for-
mazione della materia.
Siamo ancora lontani da una piena comprensione dei meccanismi della
mente, della loro origine e della loro dinamica ma, nel contempo, sempre
più convinti che i risultati scientifici recentemente conseguiti in tale senso
siano da interpretare in maniera estremamente incoraggiante, essendo que-

48
Capitolo 4 - Mente, cervello e fisica quantistica

sti in grado di aprire scenari affascinanti e imprevedibili nonché capaci di


fornire indizi determinanti verso la soluzione di uno dei più grandi enigmi
di sempre.

PER APPROFONDIRE
1. L.M. Caligiuri, The origin of inertia and matter as a superradiant phase transition fo quantum
vacuum. Unified Field Mechanics, World Scientific, 2015.
2. L.M. Caligiuri, Zero-Point Field QED Coherence, Living System and Biophotons Emission.
Open Journal of Biophysics, vol. 5, 2015, pp. 21-34.
3. L.M. Caligiuri, T. Musha, Superluminal Photons Tunneling through Brain Microtubules Modeled as Me-
tamaterials and Quantum Computation. Advanced Engineering Materials and Modeling, Wiley, 2016.
4. L.M. Caligiuri , T. Musha, The Superluminal Universe: from quantum vacuum to brain mecha-
nism and beyond. NOVA Science Publishers, 2016.
5. J.C. Eccles, A Unitary hypothesis of Mind-Brain Interaction in the Cerebral Cortex. Proc. R. Soc. Lond.
B, vol. 240,1990, pp. 433-455.
6. S. Hari, The difference between the Living and the Lifeless. www.primordiality.com.
7. K. Pribram, Consciousness Reassessed. Mind & Matter; 2(1), vol. 2004 pp. 7-35.
8. E.C.G Sudarshan, The nature of Faster-Than-Light particles and Their Interaction. Arkiv fur
Fysik vol. 39, 1969; p. 40.

49
Capitolo 5

Creare energia dal suono:


le nuove frontiere della Fisica
La sonoluminescenza consiste nell’emissione di luce, e
quindi di energia, all’interno di acqua o altri tipi di liquido
in cui siano state generate delle onde sonore.

L
a sonoluminescenza o meglio, la sua variante più frequentemente
considerata denominata sonoluminescenza a singola bolla (SSB),
rappresenta uno dei fenomeni fisici più interessanti e, al contempo,
meno compresi, la cui analisi costituisce a tutt’oggi una sfida per la fisica
teorica moderna. Ciò appare ancora più sorprendente se si considera la
facilità con cui è possibile riprodurre il fenomeno in laboratorio nelle sue
diverse varianti.
Dal punto di vista fenomenologico, la sonoluminescenza consiste nell’e-
missione di luce, e quindi di energia, all’interno di acqua o altri tipi di liqui-
do in cui siano state generate delle onde sonore. Il campo di onde acustiche
induce, per mezzo della variazione di pressione che esso trasporta (come
noto, infatti, un’onda acustica non è altro che la propagazione di un’alte-
razione della pressione all’interno di un mezzo materiale elastico, quale,
ad esempio, l’aria, l’acqua, i metalli, le rocce ecc.), il pressoché istantaneo
collasso di una o più bolle di gas all’interno del liquido e la conseguente
emissione di luce, caratterizzata da uno spettro energetico particolarmente
intenso, che si propaga, sostanzialmente senza alterazioni di intensità e
frequenza, all’interno del liquido stesso.
In seguito all’interazione con l’onda sonora, il diametro della bolla inte-
ressata può anche raggiungere un valore pari a circa 1/10 di quello iniziale
dopodiché questa collassa completamente raggiungendo la fase liquida ed
emettendo, contemporaneamente, impulsi di luce straordinariamente corti
(di durata tipicamente inferiore a circa 50 ps) e sincroni. Diverse indagini
50
Capitolo 5 - Creare energia dal suono

sperimentali hanno evidenziato che, durante il collasso di una bolla avente


un diametro dell’ordine di grandezza di 100 µm, l’energia dei fotoni emes-
si sotto forma di luce – quando essa collassa fino a un diametro di circa
1 µm – corrisponde all’energia emessa, sotto forma di radiazione, da un
corpo che si trova alla temperatura di circa 10.000 K, mentre gli impulsi di
luce sono caratterizzati da un’intensità media nell’intervallo 1-10 mW, da
un livello sorprendentemente elevato di coerenza temporale (circa 50 ps),
proprietà che risultano assolutamente inspiegabili se si fa riferimento ai
meccanismi fisici usualmente considerati in questi casi quali, in particolare,
l’emissione del corpo nero o la fisica dei plasmi.

Dalla sonoluminescenza alla sonofusione


In presenza di onde acustiche di intensità particolarmente elevata, il feno-
meno della sonoluminescenza è in grado di provocare un altro interessante
processo, denominato “sonofusione”, secondo il quale l’energia confinata
all’interno delle pareti della bolla, durante il suo velocissimo collasso, è in
grado di generare temperature estremamente elevate (fino a circa K),
addirittura confrontabili con quelle raggiunte all’interno del Sole.
Ciò significa allora che, almeno in linea di principio, l’interno di una bolla
collassante potrebbe determinare, così come all’interno delle stelle, l’inne-
sco di un processo di fusione nucleare ove il liquido utilizzato per formare
le bolle fosse costituito da acqua “pesante” (ossia una sostanza in cui agli
atomi di ossigeno nella molecola d’acqua si sostituiscono atomi di Deu-
terio) o altri liquidi “deuterati” (ossia modificati attraverso l’aggiunta di
atomi di Deuterio), secondo un processo denominato “fusione per confi-
namento inerziale acustico”. In realtà, numerose prove sperimentali della
reale possibilità di generare tale fenomeno sono state già ottenute studian-
do il collasso di bolle in soluzioni di acetone “pesante” ( ) in cui, in
conseguenza delle alte temperature generate all’interno di queste durante il
collasso, è stata rilevata la formazione di un campo di onde d’urto acustiche
(ossia di onde caratterizzate da repentine ed elevate variazioni di pressione,
densità temperatura e velocità di propagazione), d’intensità sufficiente a
indurre un processo di fusione nucleare. Questi esperimenti hanno inoltre
evidenziato la produzione di Trizio e di neutroni, in concomitanza con i
picchi di emissione di luce dovuti alla sonoluminescenza dimostrando così,
inequivocabilmente, l’occorrenza di una reazione nucleare associata all’e-
missione di luce nel liquido contenente le bolle.
51
La fisica dell’incredibile

Come si può spiegare la sonoluminescenza


Diversi modelli teorici sono stati proposti, negli ultimi anni, nel tentativo di
fornire una spiegazione del fenomeno della sonoluminescenza, la maggior
parte dei quali basata sulla considerazione della radiazione di frenamento,
sull’effetto corona, sul tunnelling quantistico ecc. Tra questi, un modello
particolarmente interessante è quello suggerito dal fisico J. Swinger che
mette in relazione il fenomeno della Sonoluminescenza alla dinamica del
Vuoto Quantistico (VQ) dell’elettrodinamica o Campo di Punto Zero
(ZPF). Secondo questo modello, la sonoluminescenza (o la sonolumine-
scenza a Singola Bolla) sarebbe spiegabile considerando i fotoni generati
in seguito alla diminuzione dell’energia del Vuoto Quantistico associata al
volume di spazio contenuto all’interno della bolla durante la fase di collasso
secondo un fenomeno simile a quello alla base dell’effetto Casimir.
Quest’ultimo consiste, in parole estremamente semplici, nella generazione
di una forza di attrazione tra due corpi conduttori estesi (delle lastre metal-
liche nell’esperimento originale di Casimir) posti nel vuoto a una distanza
ravvicinata, tra i quali non esiste alcun tipo di interazione elettromagnetica
di tipo classico.
Tale forza trae, infatti, origine dalla variazione dell’energia del Vuoto Quan-
tistico (associata ai modi di oscillazione del ZPF previsti dalla generalizza-
zione del principio di indeterminazione di Heisenberg alla Teoria Quantisti-
ca di Campo) determinata dalla presenza dei corpi presenti in esso.
Tuttavia, nonostante l’originalità e la sostanziale correttezza concettuale
dell’impostazione alla base di tale modello per ciò che concerne l’impor-
tanza del ruolo della dinamica del VQ nella possibile spiegazione del fe-
nomeno, è stato ampiamente dimostrato come esso non sia in grado di
predire correttamente il valore dell’energia coinvolta nel processo, in par-
ticolare sottostimandone fortemente il valore, rispetto a quanto osservato
sperimentalmente in relazione ai picchi luminosi generati dalla sonolumi-
nescenza.
Recentemente, un approccio del tutto differente è stato proposto da T.
Musha, che ha elaborato un modello teorico secondo il quale l’emissione di
luce legata alla sonoluminescenza sarebbe da attribuire alla presenza di un
tipo particolare di radiazione, denominata radiazione Cherenkov, dovuta al
moto superluminale di particelle cariche aventi origine nel VQ.
Tale modello, sebbene in grado di riprodurre correttamente alcune delle
caratteristiche salienti del fenomeno della sonoluminescenza, richiede tut-

52
Capitolo 5 - Creare energia dal suono

tavia la preliminare spiegazione di un meccanismo in grado di generare tali


particelle superluminali a partire dal vuoto fisico e la loro possibilità da par-
te di quest’ultime di propagarsi senza attenuazioni all’interno delle bolle.
Tale spiegazione è stata avanzata, di recente, da L.M. Caligiuri nell’ambito
di un modello dinamico più generale del VQ, ed è legata alla considerazio-
ne delle proprietà di coerenza elettrodinamica quantistica all’interno della
materia condensata e in particolare dell’acqua.
Secondo questo modello, infatti, l’interazione coerente tra la bolla, durante
la fase di collasso, e il Vuoto Quantistico è in grado di dare origine all’emis-
sione di fotoni come conseguenza del rilascio del calore latente associato
a un cambiamento di uno stato quantistico macroscopico dell’acqua, in
particolare dal suo stato di vapore, all’inizio del processo, allo stato liquido,
alla fine del collasso. In questo modo il modello individua anche un valore
critico, per la densità della bolla, oltre il quale il processo irreversibile di
transizione ha inizio.
Il modello è in grado, da un lato, di prevedere correttamente le caratteri-
stiche essenziali che caratterizzano il fenomeno della sonoluminescenza
dal punto di vista sperimentale ovvero la durata temporale degli impulsi
luminosi e il loro spettro di frequenza, dall’altro di fornire la giustificazione
teorica del processo di generazione di particelle superluminali, a partire dal
Vuoto Quantistico, e la loro propagazione nella bolla collassante, consen-
tendo in tal modo la generazione della radiazione Cherenkov ipotizzata da
Musha. Ma per meglio comprendere come tale modello possa finalmente
offrire una spiegazione esaustiva del fenomeno della sonoluminescenza, è
necessario un breve richiamo relativo al concetto di coerenza Elettrodina-
mica Quantistica nell’acqua.

La Coerenza Elettrodinamica Quantistica nell’acqua


Secondo il modello della Coerenza Elettrodinamica Quantistica (CQED)
della materia condensata, l’evoluzione di qualsiasi sistema fisico costituito da
campi di materia e di radiazione elettromagnetica tra loro interagenti, sotto
opportune condizioni di temperatura e densità del sistema (quasi sempre veri-
ficate in condizioni normali), conduce a uno stato caratterizzato dalla presenza
di un campo elettromagnetico di notevole intensità che oscilla in fase (ossia in
maniera coerente) con tutte i costituenti elementari (dal punto di vista quan-
tistico) del sistema materiale. Infatti, secondo la Teoria Quantistica di Cam-

53
La fisica dell’incredibile

po (QFT), la materia e il campo elettromagnetico compiono continuamente


delle fluttuazioni (dette fluttuazioni di punto-zero) simili a quelle associate
al Vuoto Quantistico (ZPF). Secondo la CQED, al di sopra di un valore cri-
tico di densità (N/V) di un sistema materiale (nella fattispecie dell’acqua) e
al di sotto di una temperatura di soglia T, un insieme di atomi e/o molecole,
che si trovi nello spazio “vuoto” (ossia in una regione di spazio fisico carat-
terizzato dall’assenza di altri tipi di materia o di radiazione, fatta eccezione,
ovviamente, per il Campo di Punto Zero o ZPF), “decade” spontaneamente
verso uno stato energeticamente più stabile rispetto a quello iniziale in cui le
fluttuazioni quantistiche vengono fortemente amplificate dalla loro intera-
zione coerente con la materia.
Queste oscillazioni coerenti si sviluppano e rimangono sostanzialmen-
te confinate all’interno di ben definite regioni macroscopiche di spazio,
chiamate “domini di coerenza” (CD), la cui estensione è determinata dalla
lunghezza d’onda del campo elettromagnetico coerente che si instaura tra
materia e ZPF, secondo la relazione

in cui indica la frequenza (comune) di oscillazione del campo elettroma-


gnetico e del campo di materia all’interno dei CD, a sua volta legata all’ener-
gia della transizione tra livelli quantistici del sistema di materia considerato.
Nel caso di un sistema composto da un gran numero di particelle materiali
(atomi e/o molecole), la probabilità che una fluttuazione quantistica casuale
(associata al campo di punto zero, ZPF) si accoppi al sistema materiale, ec-
citandone uno o più livelli di energia, è proporzionale al numero N di par-
ticelle presenti ossia, in ultima analisi, alla sua densità. Pertanto se, a parità
di temperatura, la densità eccede uno specifico valore critico (proprio del
particolare sistema materiale considerato), quasi tutte le fluttuazioni quanti-
stiche di ZPF, si accoppiano con gli atomi o le molecole presenti nel sistema.
Tale condizione dà inizio a una transizione di fase (ossia un passaggio di stato
quantistico, concettualmente simile a ciò che accade durante il cambiamento
di fase di una sostanza, ad esempio dallo stato di vapore allo stato liquido)
del sistema da uno stato iniziale (instabile) denominato “Stato Fondamen-
tale Perturbativo” (o PGS), in cui le fluttuazioni del campo di materia e
quelle del campo elettromagnetico sono disaccoppiate (incoerenti), verso
uno stato più stabile (il vero stato fondamentale) denominato “Stato Fon-
damentale Coerente” (o CGS) nel quale, all’interno di ciascun CD, si ori-
gina un campo elettromagnetico coerente che oscilla in fase con la materia,
determinando la creazione di uno nuovo stato quantistico macroscopico.

54
Capitolo 5 - Creare energia dal suono

In tale stato gli atomi e/o le molecole presenti perdono, dal punto di vista
fisico, la loro individualità, diventando parte di un sistema intrecciato (en-
tangled) in cui materia e radiazione formano un unico oggetto quantistico.
E’ importante sottolineare che la transizione di fase dal PGS al CGS è
sempre accompagnata, per ogni CD, dall’emissione di una certa quantità
di energia , una sorta di calore latente (come quello liberato da un
sistema che passa dallo stato liquido a quello solido), direttamente propor-
zionale al numero di atomi e/o molecole contenute in quel dato CD.
Per quanto riguarda in particolare la molecola di acqua, secondo la CQED,
questa non è più la “semplice” molecola che interagisce con quelle circo-
stanti tramite forze elettrostatiche a corto “range”, assolutamente inade-
guate a spiegarne le strane e meravigliose proprietà osservate sperimental-
mente. Infatti la CQED è in grado di dimostrare che l’acqua si organizza
in domini di coerenza delle dimensioni di circa 1/10 di micron all’interno
dei quali qualche milione di molecole oscilla in fase con un campo elettro-
magnetico coerente. In modo figurato tali CD possono essere rappresentati
come “isole” in un mare circondate da interstizi (di dimensioni crescenti
con la temperatura) di liquido incoerente il cui comportamento è simile a
quello di un gas molecolare ad alta densità in cui operano le forze a corto
range “tradizionali”. La porzione coerente (contenuta nei CD) mostra un
elevato grado di strutturazione in forme tetraedriche (che “mimano” il clas-
sico legame a idrogeno pur avendo origine e caratteristiche completamente
differenti) mentre quella interstiziale, incoerente, conferisce all’acqua la sua
strutturale plasticità, contiene disciolti al suo interno diversi insiemi di ioni
che, a loro volta, si organizzano in proprie strutture elettrodinamiche coe-
renti all’interno della fase incoerente dell’acqua.

La sonoluminescenza spiegata dal punto di vista della


dinamica coerente del Vuoto Quantistico e dell’acqua
La spiegazione del fenomeno della sonoluminescenza è, se interpretata e
descritta nell’ambito del quadro teorico fornito dallo studio della dinami-
ca coerente del Vuoto Quantistico e della sua interazione con la molecola
d’acqua, straordinariamente semplice ed efficace dal punto di vista concet-
tuale (sebben non altresì semplice dal punto di vista matematico!).
In particolare, tale approccio permette di comprendere cosa accade nella fase
finale del collasso indotto delle bolle formatesi all’interno della fase liquida.

55
La fisica dell’incredibile

Infatti, quando la velocità d’implosione di una bolla di vapore supera quella


del suono al suo interno (innescando così l’implosione), ha inizio un proces-
so di compressione il cui primo effetto è quello di accrescere la densità del
vapore d’acqua.
Quando il valore di tale densità supera quello critico, la transizione di fase
quantistica dal PGS al PGS ha luogo, secondo il meccanismo sopra de-
scritto, portando alla liberazione, per ogni bolla di vapore interessata, di
una quantità di energia (il calore latente) proporzionale al numero di mo-
lecole contenute nella bolla e al “gap” di energia che caratterizza, per quella
bolla, la differenza di livello energetico tra il PGS e il CGS.
Parte di tale emissione, in generale particolarmente elevata stante l’alto numero
di molecole contenute in una bolla di dimensioni medie, sarebbe all’origine
dell’energia rilevata nel fenomeno della sonoluminescenza, sotto forma di im-
pulsi di luce caratterizzati da uno spettro di intensità di energia ben definito.
Tale processo di condensazione implosiva, previsto dalla CQED, può esse-
re schematicamente descritto osservando l’evoluzione dinamica di una bol-
la di vapore durante la fase di compressione dell’onda acustica che innesca
il processo di collasso della bolla stessa.
Ciò può essere ottenuto, in prima approssimazione, considerando come varia
nel tempo, durante il processo, il raggio della bolla , il cui valore iniziale,
all’istante iniziale , viene indicato con . Infatti, quando , la bolla
inizia a collassare e il suo raggio diventa inferiore a quello critico (ossia
), a questo punto la velocità con cui il raggio della bolla varia nel tempo diven-
ta superiore a quella del suono e un’onda d’urto, generata in corrispondenza
dell’interfaccia tra l’interno della bolla e il suo esterno, si muove ad altissima
velocità verso il centro della bolla comprimendola. Tale compressione determi-
na, a sua volta, un incremento della densità del liquido interno alla bolla che,
quando raggiunta la densità critica prevista dalla CQED per l’acqua, da inizio
al processo di condensazione coerente dell’acqua dal PGS al CGS e alla libera-
zione dell’energia in eccesso sotto forma di radiazione luminosa.
Durante la fase di collasso le molecole di vapore, poste in prossimità
dell’interfaccia liquido-vapore risultano come “incollate” su tale superficie
e trasportate da questa aumentando così ulteriormente la loro densità.
Si può immaginare che tali molecole formino una serie di strati la cui di-
stanza relativa, nella direzione in cui avviene l’implosione della bolla, sia
in media costante, mentre trasversalmente (ossia perpendicolarmente
alla direzione in cui avviene il collasso) la distanza media tra le moleco-
le d’acqua dipende dal valore del raggio della bolla in ogni dato istante.

56
Capitolo 5 - Creare energia dal suono

Attraverso queste semplici assunzioni e basandosi sulla descrizione della


molecola d’acqua offerta dalla CQED, è stato possibile calcolare l’energia
totale emessa da ciascuna bolla durante il collasso e la sua distribuzione in
funzione della frequenza.
Dai calcoli effettuati è risultato che tale energia è, in realtà, molto più alta
di quella effettivamente emessa sotto forma di luce; ciò significa che, da
un lato, l’energia potenzialmente generata nel fenomeno del collasso è
maggiore di quella sprigionata come radiazione visibile e, dall’altro, che è
necessario individuare un meccanismo secondo il quale parte dell’energia
dovuta alla transizione di fase coerente associata al collasso venga conver-
tita in energia luminosa.

Fotoni superluminali e radiazione Cherenkov generati


durante il collasso della bolla
Un possibile meccanismo in grado di spiegare come ciò possa effettiva-
mente accadere è stato recentemente proposto da L.M. Caligiuri e T. Mu-
sha e implica la considerazione di particelle di tipo superluminale, ossia
caratterizzate da una velocità di propagazione superiore a quella della luce
nel vuoto.
La possibilità di concepire l’esistenza di particelle, massive o non, in grado
di infrangere la “barriera” costituita alla velocità della luce nel vuoto non è
un fatto nuovo ma risale al 1962 quando, il fisico indiano G. Sudarshan,
ne ipotizzò l’esistenza nell’ambito dei suoi studi sulla Teoria Ristretta della
Relatività di Einstein. Lo stesso concetto fu ripreso nel 1964 da G. Fein-
berg che, per indicare tali particelle, coniò il termine Tachione per indicare
una speciale categoria d’ipotetiche particelle caratterizzate da una velocità
sempre superiore a quella della luce. In seguito, la teoria dei Tachioni fu svi-
luppata in maniera sistematica dal fisico italiano E. Recami che, basandosi
su un’opportuna generalizzazione della Relatività Speciale di Einstein, ne ha
evidenziato molteplici e interessanti proprietà.
Tuttavia, negli anni a venire, la teoria dei Tachioni e, più in generale, qualsiasi
possibilità di ammettere l’esistenza del moto superluminale, fu ferocemente
osteggiata dalla fisica cosiddetta di “mainstream” i cui fautori e sostenitori
si arrogavano, immotivatamente, il diritto di deciderne, probabilmente più
sulla base delle conseguenze che una posizione controcorrente avrebbe avuto
sulla loro carriera accademica piuttosto che sulla comprensione di ciò che

57
La fisica dell’incredibile

in realtà la scienza sia e debba effettivamente rappresentare, l’insostenibili-


tà, sulla base della semplicistica quanto ingiustificata considerazione che
l’ammetterla avrebbe comportato una violazione di alcuni principi fonda-
mentali della fisica (quale, in primo luogo, il principio di causalità) e della
Teoria Ristretta della Relatività formulata da Einstein, a dispetto di una
serie di fondate evidenze sperimentali, ottenute da differenti gruppi di ri-
cerca nell’ambito di esperimenti di tipo diverso, a sostegno di tale ipotesi.
Tali evidenze sono state recentemente riconsiderate e reinterpretate at-
traverso il modello di Universo proposto da L.M. Caligiuri e T. Musha
nel volume dal titolo The Superluminal Universe: from Quantum Vacuum to
Brain Mechanism and Beyond che riporta i risultati delle ricerche compiute
in questo campo presso il Foundation of Physics Research Center (Fo-
PRC), in cui si dimostra, in realtà, che non soltanto il moto superluminale
è potenzialmente in grado di rispettare tutti i principi fondamentali della
Fisica ma che esso può essere considerato addirittura come la naturale con-
seguenza della dinamica coerente del Vuoto Quantistico.
Con riferimento al fenomeno della sonoluminescenza, in particolare, tale
modello prevede che, durante il collasso della bolla, dopo il raggiungimen-
to della densità critica e l’avvio della transizione di fase quantistica dal falso
vuoto (il PGS) verso il vero vuoto (CGS), all’interno dei domini di coeren-
za si abbia la formazione di un campo di fotoni superluminali.
Il “decadimento” di tali fotoni è in grado di originare, a sua volta, un cam-
po tachionico, ossia mediato da particelle superluminali massive, dal moto
delle quali può avere origine un tipo particolare di radiazione, noto come
radiazione di Cherenkov, dal nome del fisico russo che ne scopri l’esistenza
e le proprietà nel 1958.
Questa rappresenta una particolare radiazione elettromagnetica che si ori-
gina in un dato mezzo quando una particella carica si muove, al suo inter-
no, a una velocità superiore a quella della luce, determinandone la tempora-
nea polarizzazione e la successiva emissione di radiazione elettromagnetica
conseguente al ritorno del mezzo alla sua condizione di equilibrio. Il mo-
dello teorico basato sulla dinamica coerente del Vuoto Quantistico e sulla
conseguente emissione di radiazione Cherenkov è in grado di riprodurre
le principali caratteristiche tipicamente osservate negli esperimenti di so-
noluminescenza e inoltre, in particolare, la scala temporale, estremamente
ridotta, degli impulsi luminosi generati dalla bolla.
I risultati ottenuti mostrano inequivocabilmente come la dinamica coerente
del Vuoto Quantistico e le sue implicazioni relative al moto superluminale,

58
Capitolo 5 - Creare energia dal suono

siano ancora una volta in grado di fornire una spiegazione soddisfacente a


fenomeni sostanzialmente inspiegati inspiegabili attraverso il paradigma
comunemente accettato della fisica teorica moderna.
Nel caso della sonoluminscenza tali risultati e quelli derivanti dagli espe-
rimenti evidenziano inoltre la capacità, da parte di tale fenomeno, di ge-
nerare temperature straordinariamente elevate, perfino comparabili con
quelle raggiunte all’interno delle stelle, e quindi tali da produrre sorgenti
localizzate di elevata energia, potenzialmente in grado di indurre reazioni
nucleari all’interno di acqua “pesante” o liquidi “deuterati”.
Ciò suggerisce infine un metodo concreto di estrarre energia utilizzabile
dal Vuoto Quantistico e la possibilità di avere accesso, dunque, in un pros-
simo futuro a una sorgente di energia libera e illimitata.

PER APPROFONDIRE
1. J. Schwinger, Proc. Natl. Acad. Sci., USA 89 (1992)
2. J. Schwinger, Proc. Natl. Acad. Sci. USA 90 (1993).
3. T. Musha, Natural Science 3, 3 (2011).
4. S. Liberati, M. Visser, F. Belgiorno and D.W. Sciama, Fourth Workshop on Quantum Field Theory
under the Influence of External Conditions, World Scientific (1999).
5. L.M. Caligiuri, Origin of Inertia and Matter as Superradiant Phase Transition of Quantum Va-
cuum, Unified Field Mechanics, World Scientific (2015).
6. L.M. Caligiuri, T. Musha, Sonoluminescence explained by the standpoint of Coherent Quantm Va-
cuum Dynamics and its Prospects for Energy Production, Unified Field Mechanics, World Scientific
(2015).
7. L.M. Caligiuri, T. Musha, The Superluminal Universe: from Quantum Vacuum to Brain Mecha-
nism and Beyond, NOVA Science Publishers (2016).

59
Terza Parte
L’Universo
Superluminale
e la Fisica di frontiera

60
Capitolo 6

Universo Superluminale
È possibile che la mente sia costituita da un tipo di
materia-energia ancora sconosciuta, avente caratteristiche
differenti da quelle della materia a noi nota?

I
l tema della morte rappresenta, forse paradossalmente, un elemento
decisivo nella vita dell’Uomo, capace di condizionarne anche pesante-
mente il corso e le caratteristiche. Basti pensare che tutte le principali
religioni e la maggior parte delle filosofie elaborate nel corso dei secoli sono
imperniate sul concetto della morte e sul suo più intimo significato, indivi-
duando, di conseguenza, un complesso di “regole” etiche e morali.
Fin dalla notte dei tempi l’uomo ha circondato la morte di un alone di ri-
spetto e di paura, sottoponendo i defunti a un trattamento speciale (emble-
matico è, a tal proposito, il caso degli Egizi) e considerando la morte come
un’entità a sé stante, suscettibile di possedere poteri in grado di superare la
comprensione umana, un’entità che era necessario ingraziarsi.
Il mistero della morte, o meglio del se e di cosa ci sia “dopo” di essa, ovvero
se questa corrisponda al termine ultimo dell’esistenza stessa o, al contrario,
all’inizio di una “nuova” vita magari in seno a una diversa “dimensione”
dell’essere, rappresenta uno dei più profondi e fondamentali interrogativi.
Per l’uomo contemporaneo, l’esistenza è sostanzialmente legata al concetto
di vita biologica e nient’altro: da qui deriva il senso di angoscia associato
al pensiero della morte intesa come la fine ultima e irreversibile della vita.
Da un punto di vista strettamente biologico è evidente che, indipendente-
mente dalle cause specifiche che possano condurre alla morte di un sogget-
to, tale condizione è caratterizzata da un quadro clinico comune che, ine-
vitabilmente, conduce a una condizione di “shock” medico. Quest’ultima è
sostanzialmente caratterizzata da una mancanza di afflusso di ossigeno agli
organi vitali la quale, qualora non opportunamente “invertita”, determina il

61
La fisica dell’incredibile

successivo arresto cardiaco, vale a dire il manifestarsi di quella condizione


clinicamente definita quale “morte”.
Infatti, diversamente da ciò che può accadere quando organi diversi dal
cuore smettono di funzionare, una mancanza di ossigeno importante può
condurre, nell’arco di pochi secondi, all’arresto cardiaco e alla morte del
soggetto che, a sua volta, può sopraggiungere anche pochi secondi dopo.
Per tale motivo la definizione clinica di morte si riferisce all’assenza di
battito cardiaco, di attività respiratoria e di riflessi nel tronco encefalico e
della conseguente assenza di attività cerebrale dovuta alla mancanza di os-
sigeno (fenomenologicamente associata alla dilatazione e alla insensibilità
delle pupille alla stimolazione luminosa). In questo senso dunque la morte,
più che un processo di carattere mistico o filosofico, quale veniva ed è
tuttora spesso considerata, si caratterizza come un fenomeno di natura
prettamente fisica e biologica, conseguente alla mancanza dell’afflusso di
ossigeno al cuore e al cervello.
In generale, quando il livello di ossigeno diretto al cervello diminuisce al di
sotto di un valore critico, quest’ultimo entra nella condizione clinica deno-
minata “coma” e, se tale livello diminuisce ulteriormente, il cervello cessa di
funzionare completamente entro pochi secondi come risultato dell’assenza
dell’attività elettrica, corrispondente a un elettroencefalogramma “piatto”.
Tuttavia, com’è stato dimostrato nell’ambito di diversi studi scientifici, i
danni subiti dalle cellule nervose e dai tessuti cerebrali possono essere con-
siderati irreversibili solo molte ore dopo l’inizio della crisi.

Pratiche di rianimazione ed esperienze ai confini della morte


I risultati di tali studi hanno determinato, negli ultimi decenni, la nascita e
lo sviluppo di una serie di pratiche mediche, note come tecniche di riani-
mazione, di cui uno dei maggiori esperti in campo internazionale è il dottor
Sam Parnia, specialista in anestesia e rianimazione, primario del reparto
di terapia intensiva e direttore del Reparto di Ricerca sulla Rianimazione
presso la Scuola di Medicina della Stony Brook University di New York,
massima autorità nello studio delle “esperienze ai confini della morte” o
NDE (“Near Death Experiences”).
La pratica clinica della rianimazione inizia a essere praticata, all’interno
degli ospedali, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso con una pro-
gressiva accettazione e messa in pratica, da parte della comunità scien-

62
Capitolo 6 - Universo Superluminale

tifica internazionale, negli anni Sessanta-Settanta. Tuttavia, nonostante i


crescenti successi clinici ottenuti in seguito all’utilizzo di tali tecniche, è
solo a partire dalla metà degli anni Settanta, in particolare nel 1975, con la
pubblicazione del best-seller dal titolo Life After Life (La vita oltre la vita)
scritto dallo psichiatra Raymond Moody, che il tema dell’esperienza uma-
na durante il processo della morte viene per la prima volta portato all’at-
tenzione della comunità scientifica e del grande pubblico. Moody raccolse
e analizzò 150 casi di soggetti sopravvissuti a diverse tipologie di NDE
che egli definì come una “situazione clinica che, in condizioni normali,
avrebbe condotto alla morte dell’individuo in assenza di un intervento
di tipo medico”.
Uno dei più importanti risultati dello studio di Moody fu la constatazione
che, nonostante le NDE sperimentate dai pazienti analizzati fossero eteroge-
nee tra loro, nondimeno queste risultavano caratterizzate da tratti ed elemen-
ti ricorrenti ben definiti. In particolare, uno degli elementi comuni a tutte le
NDE era rappresentato dalla sensazione di pace, gioia, tranquillità e assenza
di qualsiasi dolore provata dai pazienti durante l’esperienza, mentre un ele-
vato numero di questi ultimi riportava la sensazione di distacco dal corpo
fisico e di avere osservato quest’ultimo dal di sopra, addirittura riuscendo a
distinguere se stesso in posizione supina sul letto d’ospedale durante i tenta-
tivi di rianimazione operati dallo staff medico. In altre esperienze i pazienti
riferivano di avere rivissuto in maniera quasi istantanea tutta la propria vita,
riuscendo addirittura rivedere e a risentire cose viste, dette e sentite nel corso
di questa.
Altri ancora riferivano di avere avuto incontri con parenti deceduti e di ave-
re parlato con essi. Un altro elemento distintivo delle NDE sembra essere
la visione di un’intensa luce e l’ingresso in un tunnel anch’esso emanante
una luce in grado di generare una sensazione di amore e di pace. In alcuni
casi i soggetti riportavano di essere giunti sino a un punto di “non ritorno”,
oltrepassato il quale non avrebbero più potuto tornare indietro, o di un
punto che non sarebbero stati in grado di oltrepassare. Una caratteristica
estremamente notevole ricorrente nei casi di NDE è che la loro occorrenza
ha determinato, in tutti i soggetti, profonde conseguenze psicologiche che
ne hanno condizionato fortemente il comportamento successivo in senso
positivo.
La sensazione di avere vissuto un’esperienza “extra-corporale” è decisa-
mente prevalente nei soggetti che sostengono di avere vissuto una NDE;
in questi casi il dato forse più interessante riguarda il fatto che i soggetti in

63
La fisica dell’incredibile

questione riferiscono di associare il proprio “se” (la propria autocoscienza)


alla parte del loro essere che, durante la NDE, si trovava esternamente e al
di sopra del corpo, piuttosto che al corpo stesso. Nei casi più complessi di
NDE, i pazienti riferivano di essere in grado addirittura di ricordare parti-
colari dettagli od oggetti, notati nel corso dell’esperienza “extra-corporale”,
impossibili da scorgere dalla posizione supina in cui versavano.
È importante sottolineare che, in tutti i casi analizzati, la presenza della
memoria costituisce un elemento fondamentale che caratterizza le NDE.
Ciò appare sorprendente, giacché, in presenza di un trauma (quale è sen-
za dubbio un arresto cardiaco) la brusca riduzione del flusso sanguigno al
cervello (con conseguente modificazione dei livelli di ossido di carbonio
e di glucosio) si riscontra generalmente una perdita di memoria prima e
dopo l’evento traumatico, che può durare da pochi minuti prima sino a
parecchi giorni o settimane dopo l’evento. Tuttavia, nonostante tale perdita
di memoria, i soggetti conservavano memoria quasi completa di particolari
della NDE.
Secondo taluni studiosi tuttavia, l’interpretazione dei risultati derivanti da-
gli studi sinora condotti sulle NDE potrebbe risultare problematica soprat-
tutto in relazione al significato preciso da attribuire all’espressione “confini
della morte” che potrebbe risultare non sufficientemente precisa dal punto
di vista scientifico. Cosa significa infatti “confini della morte”? Quanto “vi-
cino” alla morte si giunge in una NDE? Ciò ha originato, nel mondo scien-
tifico, un certo scetticismo nei confronti dell’attendibilità scientifica delle
NDE. Tuttavia è necessario osservare che, secondo le attuali conoscenze
mediche, sia da un punto di vista fisiologico che sperimentale, i pazienti
che, durante un arresto cardiaco, manifestano l’assenza di battito e di fun-
zioni cerebrali rilevabili risultano, di fatto, clinicamente morti.
Per tale ragione Sam Parnia preferisce parlare, in questi casi, di “esperienza
di morte effettiva” o ADE (“Actual Death Experience”). D’altra parte, i
numerosi risultati positivi ottenuti nella rianimazione di soggetti clinica-
mente morti nel senso sopra specificato, purché adeguatamente sottoposti,
entro breve periodo dalla manifestazione dell’arresto cardiaco, a opportuno
trattamento rianimatorio, ha obbligato la comunità scientifica a ridefini-
re il concetto di morte biologica spostandone la definizione in corrispon-
denza alla manifestazione di un danno irreversibile delle cellule cerebrali
che, come già accennato, può manifestarsi compiutamente anche molte ore
dopo l’insorgenza dell’arresto cardiaco

64
Capitolo 6 - Universo Superluminale

Morte clinica, morte biologica e coscienza


Nondimeno la differenziazione tra morte “clinica” e morte “biologica”
pone un problema di natura ancora più fondamentale, che rappresen-
ta di fatto un paradosso scientifico tuttora insoluto. Infatti, ammesso di
avere ridefinito la “vera” morte di un soggetto come la sua morte biologica,
che sopraggiunge in seguito a quella clinica, come è possibile che, avvenuta
la prima con le conseguenze che essa comporta in relazione alla soppres-
sione dell’attività cerebrale, alcuni soggetti siano in grado di formare quel
complesso di esperienze mentali ben strutturate e “universali” (ovvero fon-
damentalmente identiche in tutti i casi) note come ACE e di memorizzarle
per poi riportarne il contenuto anche a distanza di molto tempo dalla loro
“risuscitazione”?
Nella visione correntemente accettata delle neuroscienze, la mente (ovvero
la coscienza o il “sé”) viene sostanzialmente attribuita all’attività elettrochi-
mica delle cellule cerebrali, rendendo così inspiegabile la manifestazione
delle ACE, atteso che, nell’intervallo di tempo in cui esse sembrano mani-
festarsi, l’afflusso di ossigeno al cervello è insufficiente a garantirne l’attivi-
tà (come del resto ampiamente dimostrato dall’assenza dei tracciati di elet-
troencefalogramma). Alcuni studiosi hanno ipotizzato, per risolvere tale
paradosso, che, probabilmente, durante l’occorrenza delle ACE, l’afflusso
di ossigeno, seppur estremamente ridotto rispetto al normale, sia comun-
que sufficiente a rendere operativo un insieme minimo di cellule cerebrali.
Tuttavia, tale argomentazione appare in netto contrasto con diverse osser-
vazioni sperimentali che evidenziano come, in presenza di attività mentali
coscienti quali la formazione di pensieri, di memorie e di sentimenti (quali
quelli tipicamente oggetto delle ACE) risultino sempre coinvolte (attivate)
contemporaneamente più aree estese del cervello, secondo un processo ca-
ratterizzato da un livello estremamente elevato di complessità.
Da un punto di vista prettamente scientifico, ossia basato direttamente
sull’osservazione dei dati sperimentali, è dunque poco credibile assumere
che la coscienza umana venga “persa” nella fase immediatamente succes-
siva alla morte clinica, essendo molto più verosimile ritenere che essa,
in qualche modo, continui a “esistere” (almeno per un certo intervallo di
tempo dopo il sopraggiungimento della morte clinica) nonostante subito
dopo l’arresto cardiaco (o meglio la sua manifestazione) cessi di risultare
“visibile“ al mondo esterno essendo che, in seguito all’arresto cardiaco, i
“circuiti” cerebrali risultano inattivi. Le numerose evidenze sperimentali

65
La fisica dell’incredibile

relative alle esperienze ACE mostrano come la mente (o la coscienza)


possa continuare a esistere e operare durante la fase di morte clinica.
Tali risultati sono stati ulteriormente confermati nell’ambito del recente
progetto scientifico internazionale denominato AWARE (acronimo di
“AWAreness durin REsuscitation”, ovvero “Coscienza durante la Riani-
mazione”), coordinato dal dottor Sam Parnia, condotto su pazienti prove-
nienti da 25 ospedali sparsi tra il Regno Unito e gli USA e tutt’ora in corso
di svolgimento.
Un problema fondamentale relativo all’interpretazione delle ACE riguar-
da in particolare la natura delle memorie corrispondenti a tali esperienze
e come e “dove” queste si possano “conservare” in assenza di attività ce-
rebrale. Assumendo infatti come valido il modello tradizionale adottato
dalle neuroscienze, dovremmo ritenere che queste abbiano origine e sede
in determinate aree del cervello opportunamente attivate da processi elet-
trochimici, in evidente contrasto con la constatazione clinica dell’inattività
cerebrale durante l’intervallo di tempo di occorrenza delle ACE.
D’altra parte è innegabile che il cervello giochi un ruolo primario nella
manifestazione della coscienza come ampiamente dimostrato dalla cor-
relazione tra i processi mentali e l’attivazione di aree più o meno estese
della corteccia cerebrale, evidenziata sperimentalmente. Ma tutto ciò non
è assolutamente sufficiente né equivalente, dal punto di vista scientifico, ad
affermare che sia il cervello a originare la coscienza.

La mente è un epifenomeno del cervello?


Per tale ragione è stato proposto che il cervello assuma in realtà il ruolo, se
così si può dire, di “decodificatore”, ovvero di un’interfaccia biologica tra
la mente e il mondo fisico “sperimentabile”. Su tale principio si basa, ad
esempio, il modello di cervello “olografico” sviluppato da K. Pribram così
come altri modelli elaborati successivamente tra cui, ad esempio, quello
proposto, ultimamente, da L.M. Caligiuri e T. Musha e basato sulla consi-
derazione di un possibile meccanismo di scambio di fotoni superluminali
tra microtubuli del cervello.
La questione posta dalla manifestazione delle ACE risulta tuttavia di na-
tura ancora più sostanziale.
Infatti, se i dati sperimentali relativi a tali esperienze sono attendibili, così
come sembra, indipendentemente dallo specifico meccanismo di funzio-

66
Capitolo 6 - Universo Superluminale

namento del cervello, non si spiega come sia possibile che, in assenza di
attività rilevabile da parte di quest’ultimo, la mente e la coscienza possano
rimanere presenti e attive tanto da generare esperienze strutturate e uni-
formi (rispetto ai campioni di pazienti analizzati) quali appunto le ACE.
Da un punto di vista prettamente logico, dunque, sarebbe necessario am-
mettere che la mente, pur essendo correlata, nelle sue manifestazioni, al
cervello, possa costituire un’entità fisica dotata di esistenza autonoma e
indipendente rispetto ad esso, sebbene comunque in grado di interagire
con esso, quando questo risulta “attivo”, ma che non cessa di esistere e con-
servarsi se lo stesso dovesse risultare danneggiato o privo di attività.
D’altra parte tale ipotesi sembrerebbe confermata, seppur a un livel-
lo estremamente elementare, dall’esistenza di forme di vita, come ad
esempio le amebe, le quali, pur non essendo dotate di un cervello (o di
strutture in qualche modo riconducibili a tale concetto), sembrerebbero
in grado di manifestare la presenza di “memorie” alla base del loro com-
portamento. È possibile che la mente sia in realtà costituita da un tipo
di materia-energia ancora sconosciuta, avente caratteristiche differenti da
quelle della materia a noi nota e non misurabile sperimentalmente con
gli strumenti sinora disponibili? È possibile inoltre che questa forma di
materia-energia risieda in una diversa “dimensione” della realtà, ovve-
ro in una differente configurazione dello spazio-tempo rispetto a quel-
la quadridimensionale descritta dalla teoria della Relatività di Einstein?
La scienza non è ancora in grado di fornire una risposta definitiva a tale
profondissimo e fondamentale interrogativo tuttavia, negli ultimi decen-
ni, una serie di ipotesi sono state formulate in tal senso, nessuna della
quali, tuttavia, si è rivelata totalmente coerente e priva di contraddizioni.
La motivazione di tale stato di cose risiede probabilmente nella constata-
zione che, se vale l’ipotesi di una mente “materiale” come noi riteniamo,
dobbiamo essere disposti ad accettare la possibilità che le sue proprietà
possano non essere interpretabili, se non forse in maniera estremamente
parziale, dalle attuali teorie fisiche.
La possibilità di considerare la mente come la manifestazione di un diverso
e nuovo tipo di materia presuppone un superamento delle attuali frontiere
scientifiche e la proposizione di nuovi paradigmi di descrizione della realtà
capaci di generalizzare ed estendere la nostra visione dell’Universo fisico.
Un tentativo interessante in tal senso è quello proposto recentemente da
L.M. Caligiuri e T. Musha nel volume The Superluminal Universe al quale
faremo cenno, sinteticamente, nel seguito.

67
La fisica dell’incredibile

Una nuova fisica per descrivere la morte: la teoria dell’U-


niverso Superluminale
Nel modello elaborato da L.M. Caligiuri, l’origine della materia è ricondotta
a una transizione di fase del vuoto quantistico a partire da una condizione in
cui sia i campi di materia che quelli di radiazione compiono esclusivamente
oscillazioni di “punto-zero”, corrispondenti cioè a uno stato di minima energia.
Sotto opportune condizioni tali oscillazioni possono “accoppiarsi” tra loro e
svilupparsi secondo un processo di risonanza che conduce a un rinforzo (espo-
nenziale) delle reciproche ampiezze fino alla formazione di uno stato cosiddet-
to coerente (in cui campi di materia e di radiazione oscillano in fase tra loro) che
rappresenta il “vero” stato di minima energia (quindi stabile), corrisponden-
te alla formazione dei cosiddetti “domini di coerenza”, ovvero delle regioni
macroscopiche in cui la materia si “organizza” dando origine all’Universo
osservato. Tale modello dinamico, di fatto, introduce una rappresentazione
dell’Universo basata sulla manifestazione, su scale spaziali e di energia dif-
ferenti, del fenomeno della coerenza quantistica secondo il quale, in corri-
spondenza ad ogni dominio spaziale di interazione coerente tra campi di
materia e campi di radiazione (nello specifico i campi elettromagnetici e
i campi di gauge del vuoto quantistico), corrisponde un eventuale campo
superluminale o tachionico.
In questo modo la materia, l’attività del cervello cosciente e i campi super-
luminali rappresentano diversi aspetti della medesima realtà sottostante
dovuta alla dinamica coerente dei campi di punto-zero del vuoto quan-
tistico. Di conseguenza, i campi tachionici associati all’attività del cervello
possono instaurare correlazioni con altri campi tachionici “esterni”, prodotti
ad esempio da altri individui o associati al campo di punto zero cosmico.
Tale possibilità, come già brevemente menzionato in precedenza, era stata
già suggerita, attraverso un approccio completamente diverso, dal neurofisio-
logo Sir John Eccles e poi ripresa da Rupert Sheldrake secondo il quale, in
particolare, ogni cellula, tessuto od organismo possiedono un loro proprio
specifico campo di informazione, denominato campo “morfico”, caratte-
rizzato da una sorta di “memoria” intrinseca e da proprietà di “similarità”
e “cumulatività”.
Nel modello di Universo Superluminale la mente o la coscienza apparten-
gono a una “dimensione” dell’Universo denominata Universo “fondamen-
tale”. Diversamente dai pensieri specifici (mediati dall’attività del cervello
e quindi imprescindibili da esso), la mente in quanto tale (ovvero la Co-

68
Capitolo 6 - Universo Superluminale

scienza, o il “Sé”) potrebbe essere costituita da un campo tachionico (o in


generale di materia superluminale) residente in uno spazio-tempo disgiun-
to dal nostro (lo spazio-tempo superluminale appunto), che si trova al di
là della “barriera” della luce (ovvero al di fuori del cono di luce associato,
secondo la Teoria della Relatività, ad ogni evento occorrente nell’Universo
sub-luminale), al di là del cervello ma in connessione con esso.
Come già evidenziato in precedenza, il modello proposto conduce a una
rappresentazione tripartita della realtà, costituita dall’Universo “superlu-
minale” (formato sostanzialmente da campi tachionici), dall’Universo su-
bluminale (quello da noi sperimentato direttamente) e da una “frontiera”
che separa i due precedenti, popolata dai luxoni (ovvero da particelle che si
muovono alla velocità della luce). In questo scenario il cervello agisce, in
un senso del tutto analogo a quello proposto da Pribram nel suo model-
lo di “cervello olografico”, come un filtro o meglio, come un “apparec-
chio ricevitore”, che “capta” una certa quantità limitata di informazione
dall’Universo Superluminale e la organizza secondo uno schema causale
in cui il flusso del tempo è regolato da un principio entropico. In corrispon-
denza all’interfaccia con l’Universo Superluminale, il flusso del tempo non
esiste più e passato, presente e futuro coesistono. In questo dominio dello
spazio-tempo la coscienza acquista un carattere assoluto e tutti gli eventi
avvengono simultaneamente (simultaneità assoluta). Se assumiamo che il
dominio della mente sia rappresentato dalla dimensione spazio-temporale
dell’Universo Superluminale, ciò che sperimentiamo come coscienza non
sarebbe altro che una “proiezione” olografica della dimensione superlumi-
nale su quella subluminale, generata dal cervello all’interno degli organismi
viventi.
Tale concezione è, in un certo senso, concettualmente simile a quella pro-
posta da Platone nel “mito della caverna” secondo il quale l’anima è in real-
tà imprigionata nel corpo materiale che, dopo la morte, ritorna alle sue ori-
gini. Secondo Platone, infatti, la realtà sperimentata dagli uomini altro non
è che un’illusione, un riflesso di una realtà più fondamentale (il cosiddetto
“mondo delle idee”) situato nell’Universo “fondamentale” (l’Iperuranio).
Nel modello proposto da Caligiuri e Musha, l’Universo Superluminale
è considerato come uno stato fisico (corrispondente a una particolare
regione dello spazio-tempo complessivo), composto da pura informa-
zione ovvero caratterizzato da un livello minimo di entropia (disordine).
Nell’Universo subluminale, l’aumento costante dell’entropia, imposto dal
secondo principio della termodinamica, corrisponde all’esperienza di un

69
La fisica dell’incredibile

flusso lineare del tempo, mentre, viceversa, nello spazio-tempo superlu-


minale, in cui il tempo assume una dimensione esclusivamente “spazia-
le”, l’entropia diminuisce costantemente determinando così un aumento
dell’informazione fisica presente. In questo senso, nella dimensione super-
luminale, tutti i possibili eventi esistono simultaneamente e la causalità,
nel senso comune del termine (ossia di ordinamento temporale di causa ed
effetto), è sostituita dal concetto più generale e universale, di correlazione.
L’Universo Superluminale, composto di pura informazione, potrebbe esse-
re considerato effettivamente come un diverso e più fondamentale livello
di realtà in cui lo spazio e il tempo acquistano un significato differente da
quello che sperimentiamo usualmente e che costituirebbe il vero e ultimo
dominio della mente e della coscienza costituita, di conseguenza, da “ma-
teria” superluminale.
A partire dalla dimensione della coscienza superluminale, sarebbe possi-
bile generare, tramite l’azione mediatrice del cervello, tutti gli altri livelli
della realtà che ne rappresenterebbero delle semplici “proiezioni” su uno
spazio-tempo differente. Tale modello, basato su solide basi di carattere
fisico e matematico, lungi dall’essere una semplice astrazione concettuale,
potrebbe quindi effettivamente rappresentare una risposta, per quanto ov-
viamente ancora soltanto preliminare e provvisoria, alla nostra domanda
iniziale sul significato della morte in relazione alla dinamica della mente e
della coscienza.
Nella dinamica dell’Universo Superluminale durante la morte clinica, cor-
rispondente all’assenza di attività cerebrale, si manifesterebbe una sorta di
transizione di “fase” della coscienza, dalla dimensione subluminale (in cui
questa, tramite l’azione del cervello, costruisce gli ologrammi dello spa-
zio-tempo quadridimensionale usuale) a quella superluminale in cui essa è
costituita da pura informazione a-temporale. In tale dominio, la memoria
è pertanto conservata sotto forma d’informazione e pronta, qualora la ri-
animazione del soggetto abbia successo (e ovviamente in assenza di dan-
no irreversibile delle cellule cerebrali), a essere nuovamente decodificata
e proiettata dal cervello, ora nuovamente funzionante, nella dimensione
spazio-temporale dell’Universo subluminale.
Non sappiamo ancora se tale modello fisico di realtà, ancora in fase em-
brionale e di frenetico sviluppo, benché in grado di fornire, forse per la pri-
ma volta, una spiegazione in termini scientifici di alcuni dei più importanti
tratti caratteristici delle ACE, possa costituire una risposta definitiva alla
nostra domanda primordiale sul significato della morte, ma certamente

70
Capitolo 6 - Universo Superluminale

potrebbe costituire un interessante passo avanti nella comprensione di uno


dei più grandi e fondamentali misteri dell’esistenza umana.

PER APPROFONDIRE
1. K. Pribram, Consciousness Reassessed. Mind & Matter 2004; 2(1), pp 7-35.
2. E. Recami, Special Theory of Relativity extended to superluminal motions: A review. Riv. Nuovo
Cim., 1986, 9(6), pp. 1-178.
3. S. Parnia, What Happens When We Die. Hay House, 2006.
4. L. M. Caligiuri, The origin of inertia and matter as a superradiant phase transition fo quantum
vacuum. Unified Field Mechanics, World Scientific, 2015.
5. L. M. Caligiuri, T. Musha, The Superluminal Universe: from quantum vacuum to brain mecha-
nism and beyond. NOVA Science Publishers, 2016.

71
Capitolo 7

Informazione, computazione e
realtà nell’Universo Superluminale
La realtà esiste a prescindere o è una creazione della nostra
mente?

C
osa siamo e da dove veniamo? Qual è l’origine ultima dello spazio,
del tempo e della materia? La realtà che sperimentiamo è “solo” una
creazione della nostra mente (o di un’eventuale Mente universale)
o esiste in qualche modo “lì fuori”, indipendentemente dalla presenza di
uno o più osservatori coscienti?
A tali domande fondamentali non esiste ancora una risposta definitiva, tutta-
via, negli ultimi decenni, la scienza, e in modo particolare la Fisica, è stata in
grado di fornire una serie di indizi che hanno permesso di gettare le basi per
la ricerca di una possibile soluzione a tali enigmi. Nondimeno, nonostante gli
sforzi profusi in tale direzione, la visione comunemente accettata delle teorie
fisiche, in grado di affrontare tali questioni, si trova in condizione di sostan-
ziale stallo soprattutto a causa della sua incapacità nel fornire una visione
unificata della realtà, dalla scala microscopica (la dinamica dei sistemi fisici
su scala atomica e subatomica), descritta dalla meccanica quantistica (e dalla
sua estensione relativistica rappresentata dalla teoria quantistica dei campi o
QFT), a quella macroscopica (la scala degli oggetti di esperienza quotidiana
fino a quella dell’Universo stesso), oggetto della Teoria della Relatività (ToR).
Appare oramai evidente che l’incapacità, nonostante i numerosi tentativi di
costruzione di una Teoria di Campo Unificato o di quella della cosiddetta
Gravità Quantistica, di unificare i due importanti impianti teorici della
fisica moderna, ovvero proprio la meccanica quantistica e la teoria della
relatività, in uno schema concettuale unitario, capace di spiegare l’origine
della materia e la sua evoluzione dinamica, la nascita della vita ma anche
fenomeni come la coscienza e le straordinarie capacità della mente umana,
72
Capitolo 7 - Informazione, computazione e realtà

sia dovuto a una sostanziale incompletezza dell’una, dell’altra o, più proba-


bilmente, di entrambe tali teorie.
Tale constatazione impone, tra l’altro, una profonda e onesta riconsidera-
zione del significato ultimo di ciò che chiamiamo una “legge fisica”, e di
quanto le leggi fisiche alla base delle formulazioni teoriche generalmente
accettate siano effettivamente in grado di descrivere la realtà che ci circon-
da e la sua enorme ricchezza e complessità.
Un approccio estremamente interessante a tale questione (peraltro da di-
versi anni oggetto di ricerca presso il FoPRC – Foundation of Physics Re-
search Center, diretto dallo scrivente, si vedano in particolare a tal propo-
sito i riferimenti bibliografici [1] e [2]) risulta essere quello per il quale gli
oggetti fisici e le leggi che ne descrivono il comportamento possano essere
descritti in termini di informazione e computazione, responsabili da un
lato del livello di complessità osservato nell’Universo, dall’altro della nasci-
ta e lo sviluppo di fenomeni complessi quali la vita.
Tale schema concettuale può essere esteso alla descrizione degli oggetti e
dei processi fisici a differenti livelli della realtà fisica, dal mondo digitale
a quello quantistico. Secondo tale formulazione, dunque, l’informazione
costituirebbe il livello più fondamentale della realtà fisica dal quale derive-
rebbero poi, secondo un livello crescente di complessità, tutte le strutture e
i processi che caratterizzano il nostro Universo.
Ma per capire come ciò possa essere possibile è necessario analizzare più
da vicino i concetti di informazione e computazione e il loro rapporto con
l’Universo fisico.

La “rivoluzione” dell’informazione: dall’analogico al


digitale e la meccanica quantistica
La nascita e lo sviluppo della scienza dell’informazione (o dell’informati-
ca, come oggi tale disciplina viene comunemente chiamata) ad opera del
grande matematico Alan Turing, e la sua formulazione del concetto di
“macchina calcolatrice”, hanno avuto un impatto enorme sullo sviluppo
dei computer elettronici e sulla conseguente influenza che questi disposi-
tivi hanno avuto e hanno sulle nostre vite e, in ultima analisi, sulla nostra
interpretazione della realtà.
Tale impatto risulta particolarmente evidente se consideriamo l’applicazio-
ne dei calcolatori elettronici allo studio delle leggi della fisica, sia a livello

73
La fisica dell’incredibile

di leggi fondamentali, sia su più larga scala come nel caso della fluidodi-
namica, della termodinamica, dell’elettrodinamica dei mezzi continui che
coinvolgono un numero enormemente elevato di costituenti elementari.
Ma la possibilità che l’informazione e la computazione costituiscano la vera
essenza della realtà fisica sembra essere suggerito, d’altra parte, direttamen-
te dalla meccanica quantistica. Da un punto di vista meramente algoritmi-
co tale possibilità è legata allo studio di fenomeni quantistici macroscopici
(quali, ad esempio, la superconduttività, la superfluidità, i condensati di
Bose-Einstein, i sistemi coerenti della materia condensata ecc.), in grado
quindi di implicare un numero molto elevato di sistemi elementari per i
quali la descrizione in termini continui fornita dall’equazione “dinamica”
fondamentale della meccanica quantistica, vale a dire l’equazione di Schro-
dinger, la cui dinamica viene simulata al calcolatore, tramite un’opportuna
approssimazione discreta, analogamente al caso dei sistemi continui della
fisica classica. In questo senso la teoria quantistica di campo, con le sue
funzioni continue che rappresentano le ampiezze dei campi quantistici as-
sociati alle particelle fisiche, appare dunque come ambito naturale di appli-
cazione delle tecniche computazionali e di simulazione.
Tuttavia esiste un’altra fondamentale caratteristica della meccanica quan-
tistica che può essere considerata come la ragione principale per cui questa
può essere associata al concetto di computazione molto più profondamente
di quanto accada nel caso della fisica classica (per la quale, come spiegato
in precedenza, ciò avverrebbe soltanto da un punto di vista “operazionale”),
ovvero la discretizzazione che essa introduce, quale caratteristica fonda-
mentale della teoria fisica e che costituisce altresì il fondamento della teoria
dell’informazione e della computazione digitale. Giova ricordare, infatti,
che la nozione autentica di computabilità, frutto del lavoro di matematici
quali Godel, Church, Kleene e altri, successivamente codificata ed elabo-
rata nella definizione di “macchina di Turing”, è sostanzialmente basata sul
concetto di discretizzazione.
Tale discretizzazione, associata al concetto di quanto, ossia di entità di-
screta (espressa come multiplo della costante fondamentale di Planck ),
che regola la dinamica dei sistemi quantistici (in termini di energia, mo-
mento angolare, spin ecc.), sembra in qualche modo suggerire una natura
“granulare” della realtà fisica all’origine delle “operazioni” che hanno luogo
nell’Universo fisico. Diversi studiosi hanno valutato in tal senso la possibi-
lità che la visione della realtà basata sui concetti di continuità e differenzia-
bilità, ovvero sull’impiego del sistema dei numeri reali, possa essere sosti-

74
Capitolo 7 - Informazione, computazione e realtà

tuita, proprio facendo riferimento a una reinterpretazione della meccanica


quantistica, con uno schema teorico in cui il concetto di discretizzazione e
di computazione svolgono il ruolo principale.
Secondo alcune formulazioni proposte in tal senso, tale discretizzazione si
rivelerebbe soltanto in corrispondenza a separazioni spaziali dell’ordine della
cosiddetta “lunghezza di Planck”, , e sulla scala temporale dell’ordine
del cosiddetto “tempo di Planck”, , le quali, essendo enormemente
piccole rispetto a quelle tipicamente rilevanti per i processi che coinvolgono
le particelle elementari, non renderebbero “visibile” tale caratteristica negli
esperimenti sinora eseguiti.
Secondo tale visione, inoltre, a tali scale spazio-temporali, in base al prin-
cipio di indeterminazione di Heisemberg (l’altro pilastro, assieme all’e-
quazione di Schrodinger, della meccanica quantistica), i campi quantistici
sarebbero soggetti a “violente” fluttuazioni, dando così origine a una strut-
tura dello spazio-tempo completamente diversa da quella continua assunta
dalla fisica classica, suggerendo così che, a livello fondamentale, il modello
discreto sia quello corretto. Ma se la realtà è fondamentalmente discreta
e costituita da informazione, a cosa dobbiamo l’evoluzione dinamica e i
processi che avvengono nell’Universo?

Informazione e realtà nell’Universo Superluminale


e la natura delle leggi della fisica
Nessuno dei modelli teorici proposti fino a qualche tempo fa è in grado di
fornire una risposta a tale domanda senza incorrere in una serie di difficol-
tà, sostanzialmente imputabili alla presenza di limiti teorici di computabi-
lità nel caso di sistemi fisici particolarmente complessi.
Di recente una soluzione a tale questione è stata proposta nell’ambito della
teoria dell’Universo Superluminale (SU) elaborata da L.M. Caligiuri e T.
Musha, pubblicata nel volume dal titolo: The Superluminal Universe: from
Quantum Vacuum to Brain Mechanism and Beyond [2].
Tale modello descrive, in particolare, una rappresentazione a diversi livelli
di realtà dell’Universo in cui, ad ogni intervallo spaziale associato all’inte-
razione di natura coerente (nel senso dell’elettrodinamica quantistica) tra la
materia e il vuoto fisico (o Vuoto Quantistico, QV), inteso come l’insieme
delle oscillazioni di puto-zero dei campi quantistici, è associato un campo
superluminale o campo tachionico (il tachione, lo ricordiamo, rappresenta

75
La fisica dell’incredibile

un’ipotetica particella che si muove, nel vuoto, a una velocità sempre supe-
riore a quella della luce), capace di unificare l’interazione tra materia, atti-
vità cerebrale e campi superluminali che rappresentano la manifestazione
di aspetti diversi di un’unica realtà, ovvero la dinamica coerente del vuoto
fisico.
In particolare, secondo il modello di SU, la coscienza risulta associata a
un campo di materia superluminale appartenente a una dimensione della
realtà denominata “Universo Fondamentale” di cui il nostro mondo sareb-
be una proiezione olografica subluminale e nel quale tutta l’informazione
(discreta) associata all’Universo e il relativo significato risiedono (fig. 1).
La proiezione olografica (che trasforma l’informazione discreta bidimen-
sionale in informazione tridimensionale) viene eseguita dal cervello che
agisce come un filtro nei confronti di tale realtà “superiore”. Da ciò deriva la
possibilità di suddividere la realtà in due “universi”: a) quello superluminale
in cui le interazioni avvengono a velocità superiore a quella della luce nel
vuoto e b) quello subluminale a noi familiare, topologicamente adiacenti.
Da un punto di vista filosofico la rappresentazione della realtà che emerge
da tale modello è del tutto simile a quella ipotizzata dal grande filosofo gre-
co Platone, secondo il quale il nostro Universo non sarebbe altro che un’il-
lusione, o meglio una proiezione di una qualche realtà più fondamentale
(il “mondo delle idee” nella sua filosofia) esistente in un’altra dimensione
dell’essere (il cosiddetto “Iperuranio”).

Fig. 1. Struttura dell’Universo secondo il modello dell’Universo Superluminale [2].

76
Capitolo 7 - Informazione, computazione e realtà

È importante sottolineare che, nel modello di SU, la “dimensione” super-


luminale viene considerata come uno stato fisico associato a pura informa-
zione e dunque caratterizzato da un livello minimo (virtualmente zero) di
entropia, ovvero dal massimo grado di “neghentropia”.
In particolare, all’interno di tale schema, i fenomeni della vita possono es-
sere considerati come processi ciclici in cui l’energia interna viene utilizzata
per produrre lavoro utile verso l’esterno, parzialmente utilizzato per ripri-
stinare le stesse riserve interne.
Se si considera l’Universo come un sistema chiuso, allora il secondo princi-
pio della termodinamica impone che l’entropia non possa diminuire. D’al-
tra parte è stato dimostrato che in un sistema chiuso costituito da materia
tachionica, l’entropia decresca linearmente con il tempo determinando così
un incremento continuo dell’informazione in esso presente e del suo signi-
ficato (trattandosi di informazione ordinata ossia a bassa entropia). In tale
dimensione, inoltre, tutti gli eventi esistono simultaneamente e la causalità,
nel senso comune del termine, non esiste, non essendo possibile definire
l’ordine temporale degli eventi a causa della presenza di una simultaneità
assoluta [3].
L’esistenza di un possibile Universo Superluminale, costituito da pura infor-
mazione a bassa entropia, fondato, nell’ambito del modello di SU sviluppato
a partire dalla Teoria Quantistica Coerente di Campo (CQED) proposta
da L.M. Caligiuri [4], può essere quindi interpretata come la presenza di
un livello di realtà differente e più fondamentale in cui lo spazio e il tempo
assumono un significato completamente nuovo rispetto a quello corrente.
La concezione di Universo espressa nel modello di SU risulta chiaramente
di natura olistica dal momento che essa è basata sulla nozione di esisten-
za di due universi interdipendenti e indivisibili che pervadono la totalità
dell’esistente, ossia l’universo subluminale “visibile” e quello superluminale
“invisibile”.
Nel modello proposto da C. Pribram [5], denominato “cervello olografico”,
ciò che definiamo “realtà” non sarebbe altro che una proiezione olografica
di un universo più fondamentale, inteso come un dominio di frequenza
in cui lo spazio e il tempo “collassano” e solo le onde hanno un significato
fisico. In questo caso l’interfaccia tra la coscienza e la corteccia cerebrale
sarebbe in grado di eseguire un’analisi di Fourier (analisi in frequenza) e
proiettare, in un sistema di coordinate arbitrarie, ciò che noi definiamo e
sperimentiamo come spazio e tempo, ovvero tutte le frange di interferenza
dal dominio della frequenza, sotto forma di ologrammi.

77
La fisica dell’incredibile

Secondo la teoria di Pribram, dunque, la corteccia cerebrale giocherebbe


un ruolo simile a quello di un fascio laser nella tecnica olografica, ovvero
di una sorgente coerente di luce. La corteccia, così come un raggio laser,
eseguirebbe una trasformata di Fourier per proiettare le frequenze in forma
di ologramma.
È dunque possibile che le informazioni genetiche relative a tutti gli orga-
nismi viventi esistano già codificate all’interno di un campo superluminale
informativo che compone l’Universo e che può o meno tradursi in esisten-
za fisica nella forma a noi nota. In questo modello l’evoluzione giocherebbe
un ruolo importante ma non determinante nello sviluppo dei processi della
vita. Ciò non significa ovviamente escludere l’evoluzione ma considerare
che questa possa avvenire all’interno di schemi e forme che risultano già
predeterminate in quanto attuabili e “costruttivamente armoniose”, ovve-
ro determinate dalla dinamica del campo superluminale di informazione.
Ma l’assunzione che la realtà che sperimentiamo nell’Universo sublumina-
le rappresenta una “falsa” realtà, proiezione (ovvero risultato di un calco-
lo matematico) dell’informazione contenuta nell’Universo superluminale,
non significa che tale realtà sia caotica (in senso indeterministico) o pura-
mente casuale. La questione del determinismo degli eventi e della possi-
bilità che essi possano essere interpretati da un punto di vista strettamente
algoritmico (basato cioè sulla computazione a partire dall’informazione di
tipo discreto) è un problema che affonda le sue radici nei fondamenti on-
tologici della meccanica quantistica stessa.
Infatti, diversamente da quanto accade nel caso dei processi non predicibili
ma computabili, nel mondo quantistico gli eventi sembrano accadere senza
una necessaria apparente ragione.
Si pensi, ad esempio, al decadimento radioattivo di un atomo o alla posi-
zione di un elettrone che collassa da una condizione di entanglement (ossia
l’intreccio che lega due stati quantistici per cui la modifica dell’uno risulta
tradursi in una istantanea modifica dell’altro).
Appare quindi a prima vista abbastanza strano che uno degli argomenti più
forti a sostegno della teoria dell’Universo “digitale” e computazionale derivi
proprio dalla meccanica quantistica e ciò indipendentemente dal concetto
di quanto e di spazio-tempo “granulare” già discusso in precedenza.
I sistemi descrivibili dalla fisica classica soddisfano un criterio che potrem-
mo definire di “realismo locale”, vale a dire tale che i risultati delle misure
eseguite su un sistema localizzato nello spazio e nel tempo risultano essere
completamente determinati dalle proprietà intrinseche del sistema stesso

78
Capitolo 7 - Informazione, computazione e realtà

(realismo) e non possono essere istantaneamente influenzati da eventi spa-


zialmente distanti (località).
I fenomeni di natura quantistica, d’altra parte, risultano essere caratteriz-
zati da una fondamentale non-località (in senso relativistico), dal momento
che è necessario invocare un sistema di riferimento privilegiato per giu-
stificare l’assunzione secondo la quale la misurazione eseguita su una par-
ticella influenza immediatamente lo stato di una seconda particella (con
essa precedentemente “intrecciata”), anche se questa si trova al di là della
distanza massima permessa, dalla Teoria della Relatività, affinché si abbia
lo scambio di informazioni tra di esse.

Conclusioni
I modello teorici sinora elaborati ci dicono infatti che anche una “insignifi-
cante” variazione nei valori delle equazioni fondamentali avrebbe un effetto
così importante da rendere, ad esempio, impossibile la vita sulla Terra.
Il prossimo livello di unificazione, in Fisica così come nella Scienza in ge-
nerale, non potrà dunque prescindere dal concetto di informazione (e da
quello di computazione) e, più in particolare, dal modo in cui questa viene
codificata e di quanta informazione è necessario disporre per descrivere i
processi che avvengono nell’Universo.
La possibilità di ammettere l’esistenza, per quanto ancora esclusivamente
in via teorica, di un Universo “digitale”, quale quello generato dalla dina-
mica superluminale sopra descritta, pone un problema forse ancora più
profondo in relazione all’essenza ultima delle leggi della fisica: sono esse la
manifestazione di una realtà più profonda e astratta fondata sull’informa-
zione e la computazione o sono esse stesse a generare l’informazione come
risultato dei processi fisici e delle interazioni che si manifestano nell’Uni-
verso?
Non disponiamo ancora di una risposta a tale domanda ma da questa di-
penderà senza dubbio lo sviluppo della nuova frontiera della scienza.

PER APPROFONDIRE
1. L.M. Caligiuri, Il tempo: realtà o illusione?, Scienza & Conoscenza, n. 43, febbraio 2013.
2. L.M. Caligiuri, T. Musha, The Superluminal Universe: from Quantum Vacuum to Brain Mechanism
and Beyond, NOVA Science Publishers (2016).

79
La fisica dell’incredibile

3. L.M. Caligiuri, A. Nastro, About the conventionally of simultaneity and synchronization, Pro-
ceedings of 20th IMEKO TC4 International Symposium and 18th International Workshop on
ADC Modeling and Testing Research on Electric and Electronic Measurement for the Economic
Upturn, Benevento, 15–17 settembre 2014.
4. L.M. Caligiuri, Origin of Inertia and Matter as Superradiant Phase Transition of Quantum
Vacuum, Unified Field Mechanics, World Scientific (2015).
5. K. H. Pribram, Brain and Perception. New Jersey: Lawrence Erlbaum (1991).
6. D. Bohm, B.J. Hiley, The unidivided Universe: an ontological interpretation of Quantum Theo-
ry. London and New York: Routledge (1993).

80
Capitolo 8

Il mistero dell’esistenza
Perché esiste ciò che esiste e qual è l’origine ultima delle
leggi della Fisica.

P
erché esiste tutto ciò che esiste? Perché esiste un universo fatto di
atomi, pianeti, stelle, galassie, esseri viventi e dotato di tutte quelle
specifiche caratteristiche direttamente o indirettamente sperimenta-
bili? Perché questo universo risulta nel complesso stabile e ordinato? Ciò
che esiste è emerso dal nulla senza una particolare ragione o è, al contrario,
il risultato della creazione attuata da un’entità superiore, sia essa un Dio o
più in generale un Principio primo di natura impersonale? E in questo caso,
potrebbe essere Dio la causa e la spiegazione della sua stessa esistenza? E
se Dio avesse in se stesso gli attributi e le caratteristiche della ragione della
sua stessa esistenza non potrebbe essere così per l’universo stesso nella sua
interezza, ossia potrebbe il cosmo contenere in se stesso la giustificazione
della sua esistenza ed essere quindi autogenerato in modo completamente
necessario e inevitabile secondo quanto prescritto da un dato insieme di
leggi della fisica? Oppure l’universo esiste senza una particolare ragione e
da un tempo infinito?
Queste sono le domande fondamentali alle quali l’Uomo, attraverso la Fi-
losofia, la Religione e, soprattutto, la Scienza, cerca da sempre di dare una
risposta. È indubbio che una possibile riposta a tali quesiti presuppone una
specifica visione della realtà nella sua interezza e, in particolare, di ciò che
chiamiamo “Universo”.
Fino a non molto tempo fa si pensava che l’universo coincidesse con il
cosmo osservabile (tecnicamente quello contenuto entro il nostro “oriz-
zonte” ovvero la porzione a noi accessibile tramite le osservazioni) ma le
teorie cosmologiche basate sulla meccanica quantistica hanno rivoluziona-
to tale paradigma permettendo l’introduzione del concetto di “Multiverso”,
ossia di un modello in cui la totalità di ciò che esiste sarebbe costituita da

81
La fisica dell’incredibile

un insieme, contenente un numero potenzialmente infinito di elementi,


composto da regioni di spazio-tempo immense, ognuna delle quali corri-
spondente a uno specifico “universo”. Oppure, come altri hanno proposto,
sia noi osservatori coscienti, sia tutta la realtà in cui siamo “immersi”, sa-
remmo “semplicemente” il risultato di uno schema di attività (o, in altre
parole, di un insieme di algoritmi) eseguito da un ipercomputer (quan-
tistico) che “simulerebbe” l’esistente. O, ancora, dovremmo preferire una
rappresentazione dell’universo, simile a quella propria da molte religioni,
secondo la quale questo sarebbe una “struttura” o uno “schema” creato da
una divinità infinita e onnipotente?
Probabilmente, il concetto di una realtà che si auto-giustifica e si autoge-
nera è quello a prim’acchito più difficile da comprendere ma che appare,
per molti versi, più vicino all’impostazione suggerita da diversi modelli co-
smologici.
Ciò è dovuto alla naturale e logica tendenza nello spiegare un concetto o
un fatto, ricorrendo a un altro concetto o fatto e così via, conducendo così
all’impossibilità di giungere a un punto finale della catena logica, in cui il

L’universo eterno e la filosofia


Già nel 1271 Tommaso d’Aquino, ta da Leibniz nel 1697 (nell’opera On
nell’opera De Aeternitate Mundi, os- the Ultimate Origination of Things) in
servava che anche se l’universo fosse cui egli si interroga, tra l’altro, sull’ori-
esistito dall’eternità del passato, esso gine della geometria partendo dall’i-
avrebbe richiesto, per la sua esisten- potesi che la trattazione completa di
za, la manifestazione di una “causa quest’ultima sia contenuta in un libro.
creativa” ovviamente identificata, nel Ci si chiede, allora, quale sia l’origine
suo caso, con l’atto creativo di un Dio del contenuto di tale libro supponen-
onnipotente. Cartesio, inoltre, ritene- do che questo possa essere stato co-
va che il mondo reale, benché eterno, piato, a sua volta, da un secondo libro
avrebbe immediatamente smesso e così via generando un processo ri-
di esistere qualora Dio avesse inter- corsivo a ritroso infinito il quale non
rotto il suo supporto creativo. Ma la solo sarebbe incapace di giustificare
questione forse più delicata e inte- la presenza dei libri ma anche dell’o-
ressante, in riferimento al concetto di rigine del loro contenuto, ossia della
cosmo eterno, è quella già evidenzia- stessa geometria.

82
Capitolo 8 - Il mistero dell’esistenza

passaggio precedente sia il nulla assoluto. Ma le cose stanno proprio così o


si può ammettere che la realtà possa effettivamente autogenerarsi dal nulla
assoluto, ossia dall’assenza non solo di ciò che esiste ma anche di qualsiasi
realtà possibile? Tale conclusione appare, come vedremo, ragionevolmente
non sostenibile. Dobbiamo rilevare, a questo punto, che qualsiasi conside-
razione sull’origine di ciò che esiste non può non tenere conto della diffe-
renza tra ciò che possiamo considerare puramente reale e ciò che invece si
manifesta effettivamente nella realtà. Ad esempio la definizione dell’opera-
zione aritmetica 2+2=4 può essere senza dubbio considerata come reale ma
ciò è sufficiente a concludere che essa esista nella realtà? Tale questione, in
verità estremamente profonda, si riferisce alla differenza tra ciò che è logi-
camente possibile e ciò che, essendo logicamente possibile e non contrad-
dittorio, si manifesta effettivamente sotto forma di oggetti e/o fenomeni
reali sperimentabili nell’universo. In virtù di tale differenza, sembrerebbe
possibile assumere che non tutto ciò che possiamo considerare reale dipen-
da o si basi o implichi l’esistenza di entità reali, escludendo, in tal modo,
la sussistenza di una manifestazione dell’esistente basata su un principio
di necessità a partire da entità logicamente reali. Ciò potrebbe implicare,
in particolare, che la domanda da cui siamo partiti – “perché esiste ciò che
esiste ?” – non abbia necessariamente una risposta definita, ammettendo
così la possibilità che l’universo esista senza una ragione specifica. D’altra
parte, da un punto di vista prettamente logico, appare ovvio che uno scena-
rio caratterizzato dalla presenza di entità reali risulti più probabile del nulla
assoluto, per il semplice fatto che il primo può manifestarsi in una molti-
tudine di modi, in contrasto con il secondo. Tuttavia tale argomentazione
logico-formale non è ovviamente sufficiente a fornire, di per sé, una rispo-
sta esauriente ai nostri interrogativi di partenza e, soprattutto, a spiegare
la complessità, varietà, ordine e armonia dell’universo. Per tentare di dare
riposta a tali profondi interrogativi è necessario allora entrare nel dominio
della Fisica fondamentale e della Cosmologia, analizzando, alcune tra le
più significative teorie sinora elaborate.

L’universo eterno
Secondo tale concezione, solitamente denominata teoria del “cosmo eterno”,
l’universo è sempre esistito nell’infinità del passato e continuerà a esistere
nell’infinità del futuro. In tale categoria rientra, in particolare, il modello di

83
La fisica dell’incredibile

Hoyle-Narlikar, anche noto come modello dello “stato stazionario” secondo


il quale lo spazio vuoto creato dall’espansione dell’universo viene continua-
mente “riempito” tramite un processo di creazione spontanea e continua di
materia (in modo da mantenere costante la densità media di materia presente,
da cui la definizione di “stato stazionario”). Nel modello di Hoyle la gene-
razione spontanea di materia è considerata come l’effetto di una legge fisi-
ca fondamentale mentre, nel modello di Universo Inflazionario sviluppato da
A. Guth e A. Linde, un fenomeno simile è descritto, come vedremo più avanti,
in termini dell’azione di un campo di energia negativa in grado di produrre, alla
fine della fase di inflazione, la materia presente durante il “Big Bang”.
Il modello di universo “eterno” non implica pertanto la considerazione
di un universo di tipo statico o che si evolve esclusivamente secondo un
tempo “progressivo” (attraverso stati differenti corrispondenti a istanti
di tempo successivi) ma anche un possibile universo “ciclico” che si evol-
ve secondo oscillazioni eterne ripercorrendo, un numero infinito di volte,
i medesimi stati. Un siffatto Universo potrebbe quindi passare la sua esi-
stenza oscillando tra un Big Bang e un successivo “Big Crunch” (ossia una
fase di collasso concettualmente opposta al Big Bang) un numero infinito
di volte e per l’eternità.
Tale modello pone tuttavia dei problemi a causa del Secondo Principio
della Termodinamica che prevede, in particolare, che l’entropia di un siste-
ma isolato non diminuisca, circostanza che, al contrario, si manifesterebbe
se l’universo (considerato come un sistema isolato) si evolvesse attraverso
una successione di stati iniziali, passando da un valore minimo di entropia
a un valore massimo, per poi invertire il processo ritornando in uno stato
caratterizzato da un valore di entropia più piccolo.
Recentemente, R. Penrose ha proposto una possibile soluzione a tale que-
stione assumendo che, quando la fase di espansione (in ciascun ciclo di
oscillazioni) avrà distrutto tutti i possibili orologi fisici, l’universo “dimen-
ticherà” il suo stato (e quindi anche il suo livello di entropia) e potrà rico-
minciare la sua storia evolutiva a partire da uno stato altamente compresso,
ossia da un nuovo Big Bang a bassa entropia. Un’ulteriore generalizzazione
della teoria dell’Universo oscillante è stata presentata da P. Steinhard e
N. Turok nell’ambito del cosiddetto modello di Universo “Ecpirotico”, se-
condo il quale il nostro universo sarebbe derivato da una collisione fra due
universi tridimensionali (“brane”) all’interno di uno spazio quadridimen-
sionale e nel quale le ripetute collisioni tra una brana e l’altra rappresentano
successivi Big Bang.

84
Capitolo 8 - Il mistero dell’esistenza

Il concetto di universo eterno assume un ruolo centrale anche nella te-


oria dell’Universo inflazionario, secondo il quale il nostro universo sa-
rebbe in realtà una regione nella quale l’espansione rapida dovuta all’in-
flazione è ora fortemente rallentata. In questo caso l’inflazione potrebbe
essere avvenuta infinite volte in passato (secondo quanto proposto da
A. Linde) o, come suggerito da A. Vilenkin, manifestarsi infinite volte nel
futuro, nascendo l’universo dal “nulla” per effetto tunnel quantistico.
Le teorie che si riferiscono a un universo eterno sembrano tuttavia non
essere in grado di rispondere alla domanda relativa al perché esista la
realtà piuttosto che il nulla assoluto.
La considerazione di un Universo eterno sembra porre dunque inevitabilmente
la questione della generazione di un processo ricorsivo infinito che non spiega
l’origine dei singoli eventi e, di conseguenza, l’origine della loro totalità.

L’universo inflazionario e la nascita dell’universo dal nulla


È possibile che l’Universo sia il risultato di una fluttuazione quantistica
del cosiddetto vuoto fisico? E se ciò e possibile, tale vuoto corrisponde a
un nulla assoluto o, piuttosto, a un “qualcosa” (il cosiddetto “quasi nulla”)
caratterizzato dalla presenza di un livello di realtà preesistente?
Una caratteristica fondamentale, comune a tali modelli e che ne costitui-
sce in un certo senso il fondamento, riguarda il valore dell’energia media
totale dell’universo assunta pari a zero per un universo chiuso. In tal modo
la presenza di una forza gravitazionale di tipo attrattivo, dando luogo a
un’energia negativa (il sistema è “legato” dall’attrazione gravitazionale per
cui è necessario fornire energia dall’esterno per vincere l’attrazione dovuta
alla gravità), sarebbe in grado di compensare, su scala globale, la “creazione”
spontanea di materia e radiazione isolate caratterizzate, per definizione, da
un valore di energia positivo. Tale constatazione, abbinata alla considera-
zione delle leggi della fisica quantistica, permetterebbe di affermare, come
già suggerito diversi anni fa da E. Tyron, che l’Universo possa essere “sem-
plicemente” una della cose “che accadono di tanto in tanto”. Tale ipotesi
di fatto implica l’assunzione che il vuoto fisico debba risultare in qualche
modo instabile, ma anche la necessità, a questo punto, di una più precisa
definizione fisica del vuoto stesso.
In particolare è necessario considerare anche il significato che possiamo
dare al tempo man mano che ci avviciniamo all’istante in cui qualcosa

85
La fisica dell’incredibile

possa essere scaturito dal nulla. Particolarmente interessante, in tal sen-


so, appare la possibilità di descrivere l’evoluzione dell’universo tramite una
“funzione d’onda universale” e ammettere, così, che lo stato dell’universo sia
rappresentato dalla somma di tutte le possibili storie quantistiche non singo-
lari. Il Principio d’Indeterminazione quantistica stabilisce allora che, più ci
si avvicina all’istante “iniziale”, più diventa difficile definire un istante “pre-
cedente” a quello considerato e così via. Questo implicherebbe, secondo
l’dea avanzata da Hartle e Hawking, che il tempo stesso non esista prima
dell’origine dell’Universo evitando, così, la necessità di supporre la pre-
senza di una causa efficiente che dia origine all’universo. Hawking sug-
gerisce che, durante un periodo d’inflazione dell’universo (cioè una fase di
espansione ultrarapida dello spazio che, nei modelli cosmologici attuali, pre-
lude al Big Bang), questo possa utilizzare in maniera consistente la propria
energia gravitazionale (negativa) per supportare la creazione della materia, in
modo tale che nella sua fase iniziale, quando esso è ridotto virtualmente a un
punto, l’universo non conterrebbe alcunché, essendo il processo di inflazione
a determinare la creazione, dal “nulla”, di tutto il contenuto di materia e ra-
diazione che oggi esiste. Lo stesso processo darebbe luogo a un unico insieme
di leggi fisiche possibile, consistenti con la dinamica di tale processo, senza
tuttavia spiegare secondo quale meccanismo ciò avverrebbe.
Nel modello proposto da A. Vilenkin (sostanzialmente identico a quel-
lo rivendicato da L. Krauss) un “mini” universo, sorto per effetto tunnel
quantistico dal nulla, inizierebbe a espandersi, sotto l’azione di un campo
di gravità repulsiva (originato dalla presenza di una sorta di materia eso-
tica manifestante tale proprietà), in maniera talmente rapida da evitare di
collassare immediatamente, entrando così in una fase di inflazione in cui la
creazione “spontanea” di materia (e quindi di energia positiva) sarebbe an-
cora una volta controbilanciata dall’energia gravitazionale attrattiva (nega-
tiva). Il modello sviluppato da Vilenkin mostra, sorprendentemente, come
la probabilità che tale “tunneling” avvenga è diversa da zero anche quando
il valore del raggio del mini universo tende ad annullarsi.
Ciò dimostra, almeno da un punto di vista puramente matematico, la pos-
sibilità che tale “baby” universo primordiale appaia praticamente dal nulla
con probabilità diversa da zero. Tuttavia, anche in questo caso, il modello
non fornisce la spiegazione dell’esistenza delle leggi della fisica che rendo-
no possibile il fenomeno dell’effetto tunnel quantistico, le quali, pertan-
to, devono essere considerate come, “date”, ovvero già esistenti, in qualche
senso, prima dell’Universo stesso!

86
Capitolo 8 - Il mistero dell’esistenza

In questa concezione, conformemente a quanto in precedenza proposto


da Hawking, il tempo potrebbe iniziare a esistere solo successivamen-
te alla nascita dell’universo stesso. Per tale ragione, la probabilità che si
manifesti un effetto tunnel quantistico in grado di dare vita all’universo,
non potrebbe essere considerata alla stessa stregua di una comune proba-
bilità (generalmente intesa) come quella, ad esempio, che descrive il de-
cadimento di un atomo radioattivo, in quanto, in questo caso, il concetto
di tempo assume un preciso significato in relazione alla manifestazione di
un cambiamento dello stato fisico del sistema (il decadimento) che, a sua
volta, presuppone la possibilità di definire un prima e un dopo, circostanza
impossibile prima della nascita dell’universo stesso.
Per tale ragione, in un siffatto contesto cosmologico, il concetto di tempo
dev’essere opportunamente riformulato e considerato come associato alla
possibilità puramente logica che si verifichino dei cambiamenti. In questo
senso, con riferimento ai modelli cosmologici considerati, in ogni istante
un nuovo Universo potrebbe sorgere dal nulla senza che questo fatto appaia
logicamente contraddittorio.

Universi “paralleli” e Regolazione Fine


Il concetto di universi “paralleli” o “Multiverso”, ovvero di un insieme co-
stituito da gigantesche regioni cosmiche, ampiamente o completamente
disgiunte tra loro, costituisce il presupposto di diverse varianti di modelli
cosmologici particolarmente interessanti. Contrariamente a quanto si po-
trebbe pensare, la considerazione della possibile esistenza di universi pa-
ralleli non contrasta con il principio di economia scientifica, noto come
“rasoio di Occam” (secondo il quale le entità adoperate nella descrizione
di un sistema fisico non devono essere moltiplicate senza che ve ne sia la
necessità) in quanto:
•• sarebbe strano se il meccanismo di creazione dal nulla dell’universo
operasse una e una sola volta (dando origine, cioè, ad un Cosmo
unico);
•• diversi universi possono esistere nelle forme più semplici di numero-
se teorie fisiche.

Tra queste ricordiamo, ad esempio:


•• le oscillazioni cosmiche;

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La fisica dell’incredibile

•• l’inflazione continua (secondo la quale il nostro Universo non sareb-


be altro che una regione del Multiverso in cui l’inflazione è termina-
ta o risulta estremamente rallentata);
•• le fluttuazioni quantistiche di ampie porzioni di spazio;
•• gli universi creati per effetto tunnel del vuoto (modello di Vilenkin);
•• gli universi come regioni all’interno del paesaggio cosmico descritto
dalla Teoria delle Stringhe;
•• gli universi descritti dalla “Teoria Quantistica dei Molti Mondi”.

In particolare quest’ultima, inizialmente proposta da H. Everett, preve-


de che la funzione d’onda quantistica che descrive l’Universo subisca un
processo continuo di differenziazione (ramificazione) in corrispondenza a
tutti i possibili eventi permessi dalla teoria quantistica, dando origine, in
tal modo, a universi paralleli, ciascuno corrispondente a una diversa al-
ternativa, che si evolvono in maniera del tutto autonoma e indipendente
gli uni dagli altri, generando così, in breve tempo, uno spazio delle fasi di
dimensioni abnormi. L’essenza concettuale della teoria dei Molti Mondi
è legata alla profonda ed essenziale questione del rapporto tra coerenza
logica ed esistenza reale degli elementi della Realtà cui si faceva cenno
in premessa.
Da un punto di vista puramente formale, infatti, tutti gli universi matema-
ticamente e logicamente non contraddittori potrebbero esistere nella realtà
in quanto non vietati nell’ambito del Multiverso. Tuttavia, d’altra parte, una
grande quantità di tali strutture matematiche (virtualmente un numero infi-
nito) sarebbero caratterizzate da un’enorme complessità, apparendo peraltro
totalmente differenti dal nostro universo caratterizzato, invece, da leggi fisi-
che in generale “abbastanza” semplici da potere essere individuate e descrit-
te attraverso relazioni matematiche non particolarmente complesse. D’atra
parte, se tutte le strutture matematicamente non contraddittorie esistessero
in realtà sarebbe possibile, secondo alcuni studiosi, che in qualsiasi istante di
tempo una o più regioni dell’universo compiano una transizione verso uno
stato “disordinato”, dal momento che quest’ultimo risulterebbe sempre più
probabile rispetto a una configurazione più ordinata.
La teoria del Multiverso, sebbene tuttora controversa, permette tuttavia
di affrontare in maniera adeguata la cosiddetta questione della “regola-
zione fine” dei parametri che caratterizzano l’universo in cui viviamo,
che risulta, in particolare, talmente speciale da supportare l’esistenza di os-
servatori intelligenti.

88
Capitolo 8 - Il mistero dell’esistenza

Molte proprietà fisiche fondamentali del nostro universo appaiono infatti


finemente “regolate”, nel senso che piccole variazioni che dovessero occor-
rere nei loro valori impedirebbero l’esistenza degli osservatori coscienti. Le
caratteristiche specifiche delle forze fondamentali conosciute, i valori delle
principali costanti fisiche, quelli delle masse delle particelle elementari su-
perpesanti, la differenza tra la massa del neutrone e quella del protone, la
piattezza, l’omogeneità e l’isotropia dell’universo su larga scala ecc., appaiono
tutte finemente selezionate in modo da dare conto della struttura osservata
della realtà.

La natura ultima delle leggi della Fisica


Sfortunatamente, nessuno dei modelli cosmologici finora proposti è in gra-
do di rispondere alla domanda più fondamentale di tutte, vale a dire quella
relativa all’origine ultima delle leggi stesse della fisica alle quali, in ultima
ratio è demandato il compito di spiegare, dal punto di vista scientifico, l’o-
rigine di ciò che esiste. Come abbiamo visto, la possibilità di assegnare un
valore di energia totale nulla all’universo permette di aggirare concettual-
mente la questione dell’origine della materia a patto, tuttavia, di assumere
la pre-esistenza di leggi fisiche fondamentali in grado di supportare tale
scenario. Si pone allora il problema di spiegare l’esistenza di un determina-
to insieme di equazioni matematiche in grado di rappresentare adeguata-
mente altrettante leggi fisiche, capaci di governare le dinamiche del mondo
reale piuttosto che limitarsi a rimanere delle semplici relazioni simboliche
tra oggetti astratti. Sarebbe possibile ipotizzare che le leggi in grado di
spiegare l’origine dell’Universo, nell’ambito della teoria più fondamen-
tale possibile (la teoria “ultima” o “Teoria del Tutto” o ToE), emergano
come conseguenza di un principio puramente logico e che, in seguito,
esse stesse siano in grado di generare un universo nel quale esse si ma-
nifestano? Appare abbastanza evidente che la coerenza logica di un’equa-
zione non può essere ritenuta, di per se stessa, una condizione sufficiente
affinché essa possa rappresentare una legge fisica in grado di descrivere
effettivamente una moltitudine di processi reali. Per quale motivo, infatti,
l’universo dovrebbe autogenerarsi dal nulla semplicemente perché esiste un
dato insieme di equazioni matematiche che consente tale evoluzione?
Tutto ciò che è non contraddittorio (in quanto non vietato da un certo
insieme di condizioni logiche) è necessario? Supponiamo ad esempio che

89
La fisica dell’incredibile

esista una legge che stabilisce l’esistenza di un certo tipo di entità chiamata
X, allora solo se tale legge si applicasse davvero alla realtà fisica, essa de-
terminerebbe l’effettiva esistenza di X, ma per quale ragione essa dovrebbe
effettivamente applicarsi in realtà? Un principio esclusivamente logico non
potrebbe garantire tale applicabilità e quindi costituire il fondamento di
una teoria fisica che descrive la nascita dell’universo dal nulla.
E inoltre, anche ammettendo una tale possibilità, cosa determinerebbe la
selezione di uno specifico insieme di leggi fisiche piuttosto che di un altro e
ancora, cosa richiederebbe l’esistenza stessa di una legge fisica in quanto tale?
È necessario osservare, a tale proposito, che le leggi fondamentali della
fisica, quantomeno al livello attuale di conoscenza, non sono in grado di
fornire una spiegazione dell’origine ultima delle entità elementari che
esse descrivono, ossia, in ultima analisi, dei campi quantistici relativistici
(che determinato altresì, in forma virtuale, la “struttura” del vuoto quan-
tistico), nè, in generale, del perché essi debbano avere quelle particolari
caratteristiche che essi effettivamente mostrano di avere.
Una risposta esauriente a tali fondamentali domande non potrebbe dunque
essere fornita nell’ambito dell’attuale quadro concettuale che caratterizza la
Fisica contemporanea e dovrà essere ricercata all’interno di una nuova for-
mulazione, basata su una più profonda comprensione del significato stes-
so del concetto di legge fisica, capace finalmente di chiarire, se possibile,
in che modo una data equazione matematica logicamente possibile, possa
“tramutarsi” in una legge naturale in grado di determinare la nascita e il
destino dell’Universo.

PER APPROFONDIRE
1. L.M. Caligiuri, T. Musha, The Superluminal Universe: from quantum vacuum to brain mechanism
and beyond. NOVA Science Publishers, 2016.
2. S. W. Hawking, Black Holes and Baby Universes, Bantam, New York, 1993.
3. F. Hoyle, The Intelligent Universe, Michael Joseph, London, 1983.
4. L. M. Krauss, An Universe from Nothing, Free Press, new York, 2012.
5. A. D. Linde, The Inflationary Multiverse, in B. Carr ed., Universe or Multiverse ?, Cambridge
University Press, Cambridge, 2007.
6. R. Penrose, Cycles of Time: An Extraordinary New View of the Universe, Bodley Head, London,
2010.
7. E.P. Tyron, What Made The World ?, New Scientist, 8.3.1984, pp. 14-16.

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Chi è Luigi Maxmilian Caligiuri?
Nasce a Cosenza il 30 novembre del 1972. Nel 1995 riceve la Laurea Ma-
gna cum Laude in Fisica Teorica presso l’Università della Calabria, dove
inizia la sua attività didattica e di ricerca nelle Facoltà di Scienze ed In-
gegneria, in diversi campi di natura teorica e sperimentale. Dal 2001 è
professore di Fisica e, dal 2013, anche Direttore Scientifico del Founda-
tion of Physics Research Center (FoPRC), organizzazione internazionale
indipendente per la ricerca avanzata in Fisica che vanta collaborazioni di
ricerca in tutto il mondo.
Attualmente ricercatore indipendenre, ha pubblicato oltre cento articoli
scientifici in riviste internazionali peer-reviewed di Fisica ed Ingegneria
nei settori della fisica teorica, dell’acustica, della biofisica, dei campi elet-
tromagnetici e della scienza dei materiali. È membro del comitato scienti-
fico, in qualità di academic editor, di numerose riviste scientifiche interna-
zionali di fisica teorica ed applicata.
Dal 2015 è anche membro esperto dell’International Engineering and Te-
chnology Institute (IETI) e risulta nell’elenco delle personalità di fama
internazionale individuate dal Marquis Who’s Who. Nel 2017 è stato in-
dividuato tra i primi 100 scienziati di rilevanza internazionale dall’Inter-
national Biographical Center di Cambridge. Le sue attività di ricerca più
recenti riguardano la teoria quantistica di campo coerente e le sue applica-
zioni a differenti settori – dalla fisica fondamentale alla cosmologia ed alle
neuroscienze. Ha elaborato, di recente, una teoria innovativa sull’origine
della materia, basata su un nuovo modello dinamico di vuoto fisico, pub-
blicata nel volume “Unified Field Mechanics”, edito da World Scientific
(2015) ed è coautore del volume “The Superluminal Universe: from Quan-
tum Vacuum to Brain Mechanism and Beyond” edito da NOVA Science
(2016) in cui ha formulato una nuova concezione della Realtà, fondata sulle
dinamiche superluminali, in grado di offrire una visione alternativa della
struttura dell’Universo e delle sue leggi, nonché della possibile origine dei
processi superiori tipici della mente umana, ricondotti, in tale modello, ad
un unico schema concettuale unitario.

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INDICE
PRIMA PARTE
Campi elettromagnetici e salute
I campi elettromagnetici danneggiano
la ghiandola pineale?............................................................................4

SECONDA PARTE
La Fisica Quantistica e i suoi misteri
Entanglement, il mistero della Fisica Quantistica...................17
Cosa sappiamo dell’Antimateria ....................................................28
Mente, cervello e Fisica Quantistica ............................................39
Creare energia dal suono:
le nuove frontiere della Fisica.......................................................50

TERZA PARTE
L’Universo Superluminale e la Fisica di frontiera
Universo Superluminale .....................................................................61
Informazione, computazione
e realtà nell’Universo Superluminale.........................................72
Il mistero dell’esistenza ......................................................................81

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