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L’autrice

Gabriella Greison è fisica, scrittrice, giornalista e attrice teatrale.


Laureata in Fisica a Milano, ha collaborato con diversi istituti di
ricerca e musei scientifici, e ha scritto per varie riviste e quotidiani e
attualmente collabora con «la Repubblica». Ha scritto e condotto
Pillole di fisica, in onda su «RaiNews24», e ha portato a teatro i
monologhi: 1927. Monologo Quantistico, cui hanno fatto seguito
L’alfabeto dell’universo, Due donne ai raggi X. Marie Curie e Hedy
Lamarr, ve le racconto io, Faust a Copenhagen, Einstein & me e La
leggendaria storia di Heisenberg e dei fisici di Farm Hall. È autrice di
diversi libri di successo: L’incredibile cena dei fisici quantistici (2016),
Storie e vite di Superdonne che hanno fatto la scienza (2017); Hotel
Copenhagen, Einstein e io (2018), e La leggendaria storia di
Heisenberg e dei fisici di Farm Hall (2019). Presso Bollati Boringhieri
è apparso Sei donne che hanno cambiato il mondo. Le grandi
scienziate della fisica del XX secolo (2017). Il suo sito è
www.greisonanatomy.com.
www.bollatiboringhieri.it

facebook.com/bollatiboringhierieditore

www.illibraio.it

Per gli estratti da G. Greison, Einstein e io:


© 2018 Salani Editore

Per gli estratti da A. Einstein, Pensieri di un uomo curioso:


© 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano
© A. Einstein, Pensieri di un uomo curioso, traduzione di Sylvie
Coyaud

Per il diploma in appendice:


© ETH-Bibliothek, University Archives, EZ-REK1/1/8701. Einstein,
Albert, ne. 14.03.1879.
Student Register for his studies at the Federal Polytechnikum, 1896-
1900

Per le lettere dei bambini ad Einstein, a pp. 35, 52, 80, 90, 98, 117:
Alice Calaprice (a cura di), Caro Professor Einstein. Il genio della
fisica risponde alle lettere dei bambini, Archinto Editore
© 2005 RCS Libri S.p.A., Milano/Archinto S.a.s., Milano

L’editore è a disposizione degli aventi diritto dai quali non fosse stato
possibile ottenere l’autorizzazione a pubblicare testi e immagini
di loro proprietà, e si dichiara pronto a regolare le intese economiche
in base alle norme vigenti in materia di diritto d’autore

© 2020 Bollati Boringhieri editore


Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86
Gruppo editoriale Mauri Spagnol

Illustrazione di copertina: Albert Einstein. Personality rights of Albert


Einstein are used with permission of The Hebrew University of
Jerusalem. Represented exclusively by Greenlight

ISBN 978-88-339-3412-9

Prima edizione digitale: gennaio 2020


Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Indice

Einstein Forever
Introduzione
ν
Extra capitolo ν – La musica
x
Extra capitolo x – La musica
N
Extra capitolo N – La musica
π
Extra capitolo π – La musica
i
Extra capitolo i – La musica
γ
Extra capitolo γ – La musica
k
Extra capitolo k – La musica
g
Extra capitolo g – La musica
α
Extra capitolo α – La musica
t
Extra capitolo t – La musica
c
Extra capitolo c – La musica
e
Extra capitolo e – La musica

Extra capitolo ∞ – La musica
Einstein’s Music Box
Appendice
Note e ringraziamenti
Fonti delle citazioni e bibliografia delle opere consultate
Opere di Albert Einstein
Opere e articoli su Albert Einstein
Altre opere
Cronologia di Albert Einstein
Bibliografia di Albert Einstein
Seguici su ilLibraio
Einstein Forever

Con la fama divento sempre più stupido, un fenomeno che è ovviamente molto
comune.
Albert Einstein
Introduzione

Il mito di Albert Einstein è in continua crescita. A differenza di altre


icone pop, da Che Guevara a Marilyn Monroe, il suo carisma e la
sua leggenda non fanno che aumentare. È l’unico mito a cui accade
questo strano fenomeno di crescita esponenziale: basti pensare alla
recente scoperta delle onde gravitazionali, o alla foto dell’orizzonte
degli eventi, entrambe rivelazioni che confermano le sue teorie e
fanno continuamente parlare di lui, delle sue intuizioni, e non solo in
ambienti scientifici. Le sue frasi a effetto, i suoi aforismi sono sulla
bocca di tutti, sono sui social network, vengono usati in politica,
ripetuti dagli economisti, ricopiati sui diari scolastici degli studenti,
citati dalla gente comune. Albert Einstein rappresenta molto più di
quello che è stato raccontato finora, ed è per questo che ho sentito
l’esigenza di dare il mio personale contributo alla narrazione della
sua vita.
Le mie ricerche sono avvenute principalmente a Princeton, il
luogo che meglio di tutti sa creare miti e leggende e che ha reso
Einstein il modello indiscusso delle generazioni di scienziati che
sono venute dopo di lui; ho poi attinto dagli archivi che la Hebrew
University di Gerusalemme ha reso pubblici e da altri dei più
importanti istituti scientifici, e ho divorato centinaia di libri, romanzi,
saggi, lettere. Il mito di Einstein si è nutrito delle sue frasi
indimenticabili, della sua forza spirituale, della filosofia, e della
tenacia con cui si è battuto per la pace. Ma ad avermi attratto sono
stati i suoi più intimi segreti: il suo credo, le sue debolezze, la sua
capacità di creare una teoria immaginifica, un luogo dove realizzare i
nostri sogni. Einstein ha vissuto alla continua ricerca di un modo per
trovare, anche in una disperazione contingente, la chiave di una
nuova creatività. Allo stesso modo, per questo, mi interessano i suoi
momenti di sofferenza, le sconfitte, le paure, gli abissi, i baratri che
ha dovuto affrontare e che lo hanno reso indistruttibile agli occhi di
tutti.
Il periodo che analizzo in questo libro è quello americano, dal
1932-33 – quando lascia la Germania per non farvi più ritorno – al
1955, l’anno della sua morte, ovvero l’ultima parte della sua
esistenza: in pratica, quello che ci ha lasciato in eredità dopo il
successo della teoria della relatività.
Ho considerato il periodo europeo di Einstein – dalla nascita nel
1879 fino alla partenza definitiva per l’America – in un mio
precedente romanzo, Einstein e io. Avevo deciso di raccontare
Einstein attraverso lo sguardo di Mileva Marić, perché Mileva l’aveva
visto crescere e diventare un mito, e meglio di tutti poteva rendercelo
umano. Mileva Marić, fisica anche lei, ha conosciuto Einstein tra i
banchi di scuola del Politecnico di Zurigo, nel 1895, e i due sono
rimasti insieme vent’anni; è stata la madre dei suoi figli, e sua prima
moglie. Ed è stato lì, in Svizzera, parlando con i biografi di Einstein e
i professori del Politecnico, che ho compreso meglio l’evoluzione
della sua figura. Ma la Svizzera non è l’America, lì il mito di Einstein
è molto limitato. Tant’è che il suo periodo europeo e quello
americano sono diversissimi, perché lui è diverso. In Europa,
Einstein ha affrontato tutte le difficoltà di questo mondo, ha subito
ingiustizie, torti, ripicche, ha patito l’ostilità di accademici paludati
che cercavano di tarpargli le ali. E, a sua volta, ha dato dispiaceri ai
suoi affetti più cari – Mileva Marić è la persona che più di tutti ha
subito il contraccolpo di avere al fianco un uomo che stava per
entrare nella leggenda. È solo nel periodo americano che Einstein
ha preso coscienza di tutto questo.
È uscito perdente da alcune battaglie, ma ha vinto le più
importanti. E soprattutto, ha vissuto un cambiamento. Le sue
riflessioni in solitudine gli hanno permesso di cambiare, di trovare un
altro sé. È in America che Einstein diventa un’altra persona, diventa
ciò di cui portiamo avanti il ricordo. La sua fisica, quella che lui ha
creato, è un’altra cosa, risale agli anni della giovinezza e della prima
maturità.
La relatività ristretta è datata 1905 (Einstein aveva 26 anni), la
conferma della relatività generale è datata 1919 (aveva 40 anni).
Abraham Pais, il più grande biografo di Einstein, si lamentava del
fatto che lo scienziato durante gli anni americani non fosse arrivato
alla conclusione di nulla di significativo sulla fisica: si sbagliava. O
meglio, finché Pais fu in vita questo era vero, ma negli ultimi dieci
anni sono successe tantissime cose, alla luce delle quali anche il
periodo americano in campo scientifico diventa importante. In
America, Einstein voleva creare la sua teoria del tutto, una teoria che
comprendesse tutte le forze della natura, la teoria della grande
unificazione: non ce l’ha mai fatta, ma ancora oggi gli scienziati
studiano quello che lui ha detto, in cerca di ispirazione. Ha elaborato
il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (1935), sull’entanglement
quantistico, e ha messo a punto la teoria del wormhole, passato alla
storia come ponte Einstein-Rosen. L’unione di questi due lavori
metterebbe insieme la fisica quantistica con la gravità, e negli ultimi
dieci anni sono nate tante teorie al riguardo – gli studi più avanzati
puntano a questo. Quando sono stata a Princeton mi sono fatta
incuriosire dai lavori in corso su questa unificazione, in particolare da
quelli che sta portando avanti il fisico Juan Maldacena, con cui ho
parlato a lungo della sua teoria delle superstringhe che invito tutti a
leggere. Poi ho studiato un altro lascito di Einstein, sempre del suo
periodo americano: la metrica di Kähler-Einstein, in cui la quinta
dimensione ricopre un ruolo fondamentale nella nuova teoria che
stava costruendo, e la metrica di Bergman (elaborata da Stefan
Bergman, un polacco quasi coetaneo di Einstein, anche lui emigrato
negli Stati Uniti, di cui Einstein si interessò nelle ultime settimane di
vita). Ma sono state le mie lunghe chiacchierate con Freeman
Dyson, oggi lucidissimo ultranovantenne, ad avermi fatto viaggiare
con la mente e ad aver permesso la scrittura di questo libro.
L’eredità che abbiamo ricevuto da Albert Einstein è immensa.
Potrei continuare tutta la vita a leggere altre nuove biografe su di lui
senza mai stancarmi, o a rileggere le stesse per trovare sempre
qualcosa di nuovo su cui riflettere. Le conseguenze scientifiche delle
sue idee, delle sue formule, delle sue teorie, sono tante e a lui
dobbiamo gran parte del mondo in cui viviamo e che conosciamo: il
GPS, la scoperta dei buchi neri, la comprensione del Big Bang, e
tanto altro. Nel 1999 la rivista «Time» ha messo in copertina Einstein
e lo ha eletto personaggio del secolo: a parer mio, lo è anche del
secolo successivo.
In ogni capitolo di questo libro parto da una lettera (una lettera
vera e propria, ve le ricordate ancora le lettere, no?) che un bambino
ha spedito ad Einstein, indirizzandola alla sua casa di Princeton, nel
New Jersey, al numero 112 di Mercer Street.
La famiglia che oggi abita in quella casa mi ha raccontato di
ricevere ancora lettere da tutto il mondo: la gente scrive a
quell’indirizzo per parlare con lui, in una sorta di «dialogo eterno»
con qualcuno che è esistito, esiste, e sempre esisterà, ed è un
riferimento indiscusso, anche per l’anima. Sono andata anche
all’ufficio postale nei pressi di Trenton, sempre in New Jersey: un
luogo magnifico, dove c’è chi ha ancora cura di tante lettere –
rovinate, perse, spaesate, sgualcite – che ora finalmente troveranno
nuova luce. Un luogo che consiglio di visitare a tutti gli amanti di
Albert Einstein, perché lì si sta con lui, e in buona compagnia.
Qualcuno dice di scrivergli ancora perché lo fa sentire più
intelligente, altri perché pensano a lui nelle giornate di grandi dubbi
esistenziali, altri perché non credono più a Babbo Natale e allora non
resta che lui; qualcuno perché non crede alla morte, e altri soltanto
per l’irrefrenabile desiderio di tenerlo vicino.
Alcune lettere sono dei tempi di Einstein, ad alcune lui ha
risposto, ad altre no; altre ancora sono dei nostri giorni: a quelle che
mi hanno colpito di più ho dato una risposta. Ho scelto lettere scritte
da bambini, perché ai bambini Einstein rispondeva sempre. E così
ho deciso di fare anch’io, all’inizio di ogni capitolo di questo racconto.
Affinché il mito continui a crescere, e la curiosità a creare proseliti.
Perché l’intelligenza è contagiosa. Se stai con persone intelligenti, lo
diventi anche tu. Dopo queste lettere i bambini ne manderanno altre,
che creeranno altre curiosità. Sono stata a mia volta messaggera di
alcune lettere, scritte ad Albert Einstein da bambini italiani; ho creato
in Italia un festival della fisica, e per due edizioni, negli spazi dedicati
ai bambini, ho chiesto loro di scrivere personalmente ad Einstein. Ho
accontentato quelli che sono stati così generosi da lasciarmi la loro
lettera: l’ho portata in America, nel New Jersey, dove arrivano anche
tutte le altre. Il mio è un lavoro che parte da lontano, come avrete
capito.
Ogni capitolo è numerato con un simbolo scientifico e in ognuno è
presente la musica. Albert Einstein suonava il violino (non m’importa
se bene o male), e la musica era fondamentale nelle sue giornate.
Chiamava il suo violino Lina e ne aveva molta cura. Si chiudeva
nello studio e smetteva di pensare alla fisica suonando: o meglio,
diceva che con la musica «il cervello resta sempre al lavoro», e per
questo si dedicava alle sue sonate preferite sia nei momenti di
stanchezza sia in quelli di grande fervore. Con la musica, la fisica gli
veniva meglio. Un giorno alla settimana, il mercoledì, suonava con
altri o partecipava a concerti. Ho ricostruito il suo elenco di musiche
preferite, mi piace l’idea di riportarle tutte alla fine del libro in una
sorta di juke-box di Albert Einstein – il suo cofanetto d’autore, la sua
playlist.
Gli argomenti che affronto in ogni capitolo sono il suo lascito, il
regalo più grande che abbiamo avuto in dono, la sua eredità, non
soltanto scientifica. Alla base di tutto c’è un grande insegnamento:
Einstein amava la solitudine, era desideroso di viverla, la difendeva
con tutte le forze, diceva che la solitudine andrebbe insegnata nelle
scuole tanto è importante per crescere e creare. E amava scavare
dentro di sé, sradicare la sofferenza, provare dolore per poi
rinascere. Diceva che spesso si creava nuove sofferenze,
disperazioni momentanee da superare per risplendere di nuovo.
Albert Einstein viveva pressioni e disagi continui. La società lo
faceva sentire inadeguato ed era vulnerabilissimo, non sapeva come
rispondere agli sciocchi, ai supponenti, ai malvagi.
Oggi io paragono Einstein a un’aragosta. L’aragosta è un animale
delicato, che vive dentro un guscio duro che non si espande mai.
Per crescere, deve trovare uno stratagemma. Man mano che diventa
più grande, il suo guscio diventa sempre più stretto e scomodo, e
l’aragosta non può fare altro che liberarsene. Per farlo, deve
nascondersi, isolarsi. Nascondendosi tra le rocce lascia andare il
vecchio guscio e ne crea uno nuovo.
Con questo nuovo guscio, affronta le sue nuove necessità.
Crescendo, anche questo guscio diventa stretto e scomodo.
L’aragosta allora torna a nascondersi e ripete il processo, ancora e
ancora. La scomodità, il disagio, il dolore rendono possibile la
crescita dell’aragosta, che cerca dentro di sé le risorse per il
cambiamento. I medici, se esistessero i medici delle aragoste, le
direbbero di prendere farmaci, o cercherebbero di sedarla per
placare il suo malessere, illudendola con una soluzione immediata di
avere risolto il problema. Ma l’aragosta non ha un medico, e Einstein
i medici non li vedeva volentieri. Quando ultracinquantenne dovette
ricorrere a loro per problemi di salute, se ne lamentava
continuamente. Gli vietavano le sigarette, il sesso, il cibo troppo
elaborato, e lui a fatica riusciva a rispettare queste imposizioni.
Diceva: «Ma perché per vivere devo privarmi delle uniche cose
per cui vale la pena di vivere?»
Nell’ultimo capitolo, ho riepilogato i luoghi e le persone che mi
hanno aiutato nelle ricerche. I miei viaggi sono stati tanti e molto
proficui, e ho avuto intorno persone che mi hanno dato molti spunti
di riflessione. Sono stata fortunata.
Questo libro è il mio personale manifesto sul più grande genio di
tutti i tempi. Einstein l’incantatore di folle, Einstein il visionario,
Einstein il narratore di storie legate alla fisica, lui che prima di tutti ha
mostrato come questa complicata disciplina possa essere narrata
con parole semplici e comprensibili a tutti. Einstein il bambino,
Einstein il sognatore. Einstein il genio. Einstein Forever è una
dichiarazione d’amore nei confronti di chi ci ha insegnato a sognare,
e ci ha rivelato il segreto di come restare bambini per sempre.
Albert Einstein siamo noi quando torniamo bambini. Quando
affrontiamo momenti difficili e cerchiamo la forza per superarli.
Quando proponiamo qualcosa di nuovo e ci troviamo di fronte un
muro. Quando vogliamo che tutti parlino di noi. Quando ci dicono
«chi ti credi di essere». Quando ci fanno abbassare la testa. Quando
ci dicono di non montarci la testa. Quando ci sentiamo al centro del
mondo. Quando ci impediscono di realizzarci. Quando ci trovano
impertinenti. Quando vogliamo tutto e subito. Quando facciamo
grandi sogni. Quando reagiamo alle ingiustizie. Quando reclamiamo
attenzione. Quando vogliamo giocare. Quando siamo egoisti.
Quando siamo affamati. Albert Einstein siamo noi sognatori. È bello
immedesimarci in lui, portarlo sempre con noi, come esempio. Sulla
rivista «Nature», alcuni anni fa, venne pubblicato un sondaggio
internazionale, il cui risultato è stato affisso sui muri del negozio di
indumenti di lana che si trova in Nassau Street, a Princeton. Einstein
frequentava spesso quel negozio, che oggi ospita un museo
dedicato a lui. Nel sondaggio si chiedeva ai bambini di tutto il mondo
il nome di un personaggio che si fosse contraddistinto per
l’intelligenza a cui volessero somigliare da grandi. Tutti, proprio tutti i
bambini, il cento per cento, hanno risposto «Albert Einstein». Per
questo sono partita dalle lettere dei bambini: perché vanno prese sul
serio. Come faceva lui.
ν

Caro dottor Einstein, la sua formula E = mc2 proprio non la capisco, me la


spiega?
Dorottya dall’Ungheria

Cara Dorottya, volevo dirti che sei in buona compagnia. Anche i


grandi si fanno la stessa domanda.
Ti racconto un fatto realmente accaduto. Siamo in America, a una
serata di premiazione dei film dell’anno, il tappeto rosso, tanta gente
che preme per avere una foto con la propria star preferita, i fotografi
che scattano a ripetizione. Un giornalista si avvicina a Cameron Diaz
e le chiede: «Lei ha avuto tutto dalla vita, ogni forma di
appagamento personale e professionale, il successo, ruoli
importanti, interpretazioni acclamate, i premi più prestigiosi,
ebbene... cosa le manca?» Tutti gli occhi sono sull’attrice, che pare
non essere turbata per nulla dalla domanda, anzi. La sua risposta
passerà alla storia: «Vorrei tanto capire E = mc2...».
Nella mia personale classifica delle interviste più belle della storia,
questa occupa senz’altro il primo posto.
Ecco le mie riflessioni su cosa ci dice la più famosa formula di
Albert Einstein.
Albert Einstein scrisse la formula E = mc2 nel 1905, nel suo quinto
lavoro dato alle stampe in quell’anno, intitolato L’inerzia di un corpo
dipende dal suo contenuto di energia? La formula era al fondo
dell’articolo, poco commentata, senza alcun rimando a più
approfondite spiegazioni, e con un’altro tipo di notazione (questa
infatti è la traduzione in termini «facili» con cui è diventata nota in
tutto il mondo): E è l’energia, c la velocità della luce (ovvero 300 000
chilometri al secondo), m è la massa. È una formula piena di
informazioni. In questa formula c’è tutto il mondo di Einstein. Questa
piccola formula dice che la velocità della luce nel vuoto è sempre la
stessa, e che nulla può superarla. Dice anche che le leggi della
natura sono le stesse per qualsiasi viaggiatore, purché viaggi a
velocità costante; che le distanze e gli intervalli temporali non sono
universali, ma dipendono da chi ne fa una misura.
La cosa stupefacente è che tutte queste informazioni sono
contenute in una formula così breve e semplice, in cui non compare
neppure il tempo (le formule più importanti della fisica hanno quasi
sempre nei loro membri il tempo, t). In base a questa formula con un
grammo di materia possiamo produrre 30 milioni di kilowattora di
energia, ovvero il fabbisogno di energia di una città come Genova
per un anno. Grazie a una così grande quantità di energia un giorno
forse potremmo raggiungere pianeti in orbita attorno a stelle lontane,
e progettare razzi o astronavi capaci di viaggiare così velocemente
da ridurre le distanze e la durata dei viaggi interstellari, tanto da
portare esseri umani al di fuori del Sistema solare.
Nell’articolo in cui compare la formula, dopo averla espressa con
grandezze diverse (come ad esempio Δm = L/c2, ma il significato era
lo stesso) Einstein raccontava la chiara consapevolezza della
validità universale della sua scoperta. E c’è una cosa interessante
che scriveva Einstein, come epilogo del suo racconto: diceva di
andare a guardare meglio come si comporta il radio, l’elemento
radioattivo scoperto da Marie Curie insieme al marito Pierre.
Sosteneva che l’equivalenza tra massa ed energia, nel caso di
emissione radioattiva, aveva ancora più successo. Einstein fu molto
incuriosito dai lavori di Marie Curie, e da quelli era partito per i suoi
ragionamenti. Gli scienziati che avevano letto la formula, però, non
la capirono immediatamente. Einstein non era un fisico
sperimentale, e questo faceva storcere il naso a chi invece cercava
nei laboratori le risposte della scienza. La sua formula venne
ignorata dalla comunità scientifica. Einstein venne preso poco sul
serio. Inoltre, con le equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo,
tutti pensavano che le informazioni fossero già chiare. La velocità
della luce, c, Maxwell la descriveva come una costante, e nessuno
sembrava interessato a ulteriori approfondimenti. Per di più il
contesto in cui Einstein la tirava in ballo pareva non c’entrare per
nulla.

Perché allora Einstein aveva ripreso in mano il concetto di c?


Einstein si era semplicemente posto un limite superiore, un limite
che sicuramente non poteva essere superato. E quindi se un
osservatore guarda un oggetto in movimento che va aumentando la
sua energia trova che deve avere necessariamente un aumento
della massa. O al contrario, un oggetto in movimento usa la sua
massa per produrre energia. Tutto questo ragionamento però lo
aveva già fatto Marie Curie nel 1898, senza aver dato nessuna
formula. Lei era una fisica sperimentale. Marie Curie aveva chiamato
«radioattività» tutte quelle attività in cui dei metalli traevano energia
annichilendo parti infinitesimali della loro massa, e trasformandole in
energia ancora più grande. Ma non era riuscita a spiegare il
fenomeno. Era rimasta solo a guardarlo. Einstein incontrò la Curie, e
in diverse occasioni ebbero modo di parlare dei suoi risultati di
laboratorio, e di quello che osservava. I due erano molto in sintonia,
si incontrarono a Bruxelles, in occasione dei Congressi Solvay, dal
1911 in avanti, e poi si incontrarono anche per fare passeggiate sulle
Alpi, o in occasione di congressi ed eventi dove i fisici del XX secolo
amavano andare proprio per confrontarsi sui loro studi. Non
esistevano, ai tempi, i telefonini, le email o i social network, per
questo c’è traccia ovunque dei loro incontri e delle loro lettere.
Piccola parentesi: in accordo con l’equazione di Einstein, furono
proprio i corpi radioattivi e le leggi della fisica a essi legate a far
morire madame Curie. Alcuni milionesimi di grammo di polvere
radioattiva attaccarono il DNA delle sue ossa, e il suo midollo osseo
non reagì alle cure. La cosa incredibile fu che Marie Curie indagava
proprio questo: è morta dei suoi stessi studi, una sorta di cavia
umana. A quei tempi non si pensava che la radioattività fosse così
dannosa. Figuriamoci, quando venne scoperta divenne una moda:
se ne appropriarono anche i santoni, i veggenti, i cartomanti, gli
astrologi. Tutti usavano il radio, venivano create campagne
pubblicitarie per vendere creme solari al radio, shampoo al radio,
tisane al radio, dentifrici al radio e addirittura sigarette al radio. Il
secondo errore di Marie Curie fu di non depositarne il brevetto (lei
pensava di favorire così il progresso e la scienza), in realtà se ne
appropriarono tutti. Anche quando vennero scoperte le radiografie se
ne fece un uso spregiudicato: per vendere le scarpe ai bambini, i
calzolai facevano direttamente sul posto la radiografia dei loro
piedini.
Torniamo al racconto principale. Il cuore del racconto sta nel fatto
che alcuni metalli molto densi, come il radio e l’uranio, possono
cedere energia settimana dopo settimana, mese dopo mese, senza
essere alimentati da alcuna sorgente al loro interno. Un corpo
esposto a questi elementi avrà quindi le ossa rosicchiate piano
piano, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Il fenomeno
venne studiato in laboratorio per molti anni. Nel campo della fisica
nucleare si ebbero sistematiche conferme della validità
dell’equazione. Il fatto che l’energia e la massa si possano
trasformare una nell’altra è solo uno dei fatti più evidenti
dell’equazione di Einstein, e la fisica nucleare è solo uno dei tanti
campi in cui è visibile, anche se, nell’ideologia comune, è stata
associata subito alla bomba atomica. E quindi Einstein fu associato
alla creazione bomba atomica. Un’assurdità che ebbe spazio su tutti
i giornali, la relatività di Einstein non venne affatto usata per costruire
la bomba atomica. I nuclei coinvolti e le particelle non hanno mai
velocità tali da poter essere considerati relativistici. Con il tempo,
questa falsa credenza venne rivista e corretta, ma ancora oggi c’è
qualcuno che la pensa così.
Ritorniamo alla formula, e alla sua relatività. Con la relatività
ristretta Einstein ha compiuto una sintesi mirabile tra la meccanica e
l’elettrodinamica, che ha oggi tantissime applicazioni pratiche e di
uso comune. Ci ha arricchiti di idee e risultati, ma ci ha anche
lasciato tanti problemi da risolvere. Ci ha lasciato i compiti da fare. E
per affrontarli è necessario avvicinarci all’approccio metodologico
che proprio lui ci ha lasciato in eredità. Questo approccio è
fondamentale per il progresso scientifico, e per la comprensione
degli eventi della natura. Le sue rivoluzionarie idee sul moto
browniano e sull’effetto fotoelettrico (i primi due risultati clamorosi di
Einstein, quando decise di voler fare qualcosa di grande nella
scienza) ci hanno permesso una chiara conoscenza di una fetta di
mondo. Ma è con la definizione di tempo relativo che avviene la
svolta definitiva. Le correlazioni del prima e del poi tra due eventi
qualsiasi sono rimaste fin quasi ai giorni nostri un fatto intrinseco alla
natura delle cose, svincolato dalle caratteristiche dei sistemi di
riferimento. È interessante cercare di cogliere, attraverso lo studio
dei suoi scritti e le testimonianze dei suoi colleghi e amici, la
transizione fra le argomentazioni basate sull’osservazione dei
fenomeni empirici e la fede nel fatto che fossero invece sufficienti gli
strumenti della matematica e della geometria per scoprire le radici
delle leggi fondamentali che regolano l’universo. Dopo Einstein, i
fisici teorici e i cosmologi hanno imparato la lezione e hanno
sostanzialmente seguito il cammino che lui ha indicato: ricercare
nuovi punti di vista nella nostra concezione del mondo, che possano
spiegare l’enorme varietà dei fenomeni. Il processo è ancora in
corso, tutti noi ne stiamo guardando oggi i risultati.
È in America che Einstein ha capito tutto questo, ed è in America
che ha lasciato traccia del suo modo di lavorare, del suo
cambiamento e del suo processo intuitivo. Tant’è che è proprio in
America che Einstein fa le prime riflessioni su se stesso, e su come
era da ragazzo, su come aveva vissuto la relatività ai tempi in cui
l’aveva immaginata.
A Princeton, tra i suoi amici fisici che insegnavano all’Institute for
Advanced Study, c’era anche il fisico Robert Oppenheimer, che si
rivelò fondamentale per lo studio del mondo piccolissimo di cui la
natura è fatta. Oppenheimer, responsabile del Progetto Manhattan,
sì che aveva lavorato alla costruzione della bomba atomica, e fu lui a
pronunciare, il giorno in cui fu sganciata la prima bomba atomica sul
Giappone, la terribile frase «Sono diventato Morte, il distruttore di
mondi». Secondo Freeman Dyson, Oppenheimer era un grande
maestro. Nessuno al mondo insegnava la fisica come lui: come ne
parlava, come sapeva fare paragoni e metafore, come la rendeva
semplice. Era una persona molto gentile, molto ben disposta con
tutti, con una mente sempre fresca e brillante. Dyson mi raccontò a
lungo anche dei ripensamenti che tormentarono Oppenheimer
quando cercò di opporsi allo sviluppo della bomba all’idrogeno e
delle accuse che gli vennero mosse dalla Commissione per le attività
antiamericane, in un clima di caccia alle streghe, e di come Einstein
prese le sue difese guidando la protesta della comunità scientifica.
Nella sua autobiografia, Oppenheimer racconta molto bene il
tormento che aveva procurato ad Einstein la copertina del «Time»,
datata 1° luglio 1946. In primo piano si vede lo scienziato e sullo
sfondo la tipica forma del fungo atomico nel quale campeggia la
formula E = mc2. Nell’articolo il giornalista attribuiva ad Einstein la
paternità della creazione della bomba, e nel giro di pochi giorni la
cosa era sulla bocca di tutti. Oppenheimer racconta il dispiacere di
Einstein per non essere riuscito a spiegare la verità all’indomani
della diffusione del giornale, e quanto le parole del giornalista gli
fossero sembrate fuori luogo e sbagliate. Einstein le aveva vissute
come il fallimento della sua intera esistenza. Poi, con il tempo, la
verità fisica venne raccontata, e quell’articolo rimase solo la
testimonianza di un ostinato luogo comune.

Procediamo con ordine. Nell’agosto del 1939 Einstein aveva


spedito una lettera al presidente americano Franklin Delano
Roosevelt, per sollecitare l’istituzione di un collegamento
permanente tra il governo e il gruppo di fisici guidati da Fermi che
stava lavorando sulla reazione a catena, e caldeggiando la
costruzione dell’arma atomica in considerazione del fatto che se la
Germania nazista ci fosse arrivata prima sarebbe stata una
catastrofe. Dopo che altre personalità della politica e della scienza
spinsero in questa direzione, l’anno successivo venne avviato il
Progetto Manhattan, che nel 1945 avrebbe portato alla costruziuone
della prima bomba a fissione nucleare. Ma Einstein era all’oscuro di
tutto questo. Dopo lo sgancio della bomba uscirono numerosi articoli
che, ricostruendo gli antefatti in maniera molto sbrigativa, facevano
risalire tutto alla formula E = mc2. È come se si scrivesse che il Big
Bang è riassumibile in una formula: sai quanti titoli di giornali
fioccherebbero, e il Big Bang sarebbe di più facile comprensione per
tutti. Ma nel caso di E = mc2 non è così, è sbagliato. La formula dice
che un corpo a riposo possiede un’energia uguale alla sua massa
per la velocità della luce al quadrato. Negli anni trenta si scoprì che
la conversione della massa in energia si verifica nelle reazioni
nucleari, ad esempio nella fissione dell’uranio, alla base della
tecnologia della bomba.
Un nucleo di uranio bombardato con un neutrone si scinde in due
emettendo altri neutroni. I neutroni a loro volta colpiscono altri nuclei
di uranio e innescano una reazione a catena che sprigiona una
potenza elevatissima, che mantenuta all’interno dei reattori nucleari
può essere controllata e usata per svariati scopi scientifici (se non
viene contenuta all’interno di reattori nucleari, può provocare
un’esplosione). La formula di Einstein descrive il bilancio energetico
di questi processi – ovvero che una piccola percentuale della massa
iniziale si converte in energia –, ma non il meccanismo e il modo in
cui si svolgono.
Tant’è che quando vennero fatte delle lezioni teoriche agli esperti
scientifici di Los Alamos, la formula di Einstein non venne neppure
citata per capire la scienza alla base del Progetto Manhattan.
Secondo gli scienziati infatti era utile sapere solo la quantità di
energia rilasciata, e non il fatto che dipendesse dalla differenza di
massa. Le particelle e i nuclei coinvolti non erano affatto particelle e
nuclei relativistici, ovvero non raggiungevano velocità tali da essere
paragonati alla velocità della luce. Scrivendo all’amico Linus Pauling,
Einstein parlò della lettera inviata a Roosevelt: «Ho fatto un errore,
nella vita, quando ho firmato quella lettera al presidente Roosevelt
chiedendo che venisse costruita la bomba atomica. Ma forse mi si
potrà perdonare: infatti tutti noi eravamo convinti che fosse
altamente probabile che i tedeschi riuscissero a costruirla, e a usarla
per diventare la razza padrona». Le parole scritte da Oppenheimer
in un ricordo pubblicato sulla «New York Review of Books», in
occasione della celebrazione di un compleanno postumo di Albert
Einstein, nel 1966, furono: «In lui non c’era quasi niente di ricercato,
ed era totalmente inesperto delle cose del mondo... Ha sempre
avuto una purezza meravigliosa, fanciullesca, e insieme
profondamente ostinata».
Dal 1945 fino all’anno della sua morte Einstein intervenne a
favore di un governo mondiale, come imperativo morale e per il
controllo delle armi nucleari, e si pronunciò contro ogni forma di leva
obbligatoria. «Chi ha cari i valori della cultura, non può che essere
pacifista» dichiarò già nel 1922. E aggiunse: «Ogni volta che è
possibile risolvere una crisi con una soluzione razionale, sono
favorevole a una collaborazione leale, o se le circostanze non lo
permettono, al metodo di Gandhi: la resistenza passiva». Albert
Einstein conobbe Gandhi, e ne fu uno strenuo sostenitore. Pacifista
dichiarato fin dall’adolescenza, nel 1929 sosteneva : «Il mio
pacifismo è un sentimento istintivo, un sentimento che mi abita
perché l’omicidio è ripugnante. Non nasce da una teoria
intellettualistica, ma da un profondo orrore per ogni forma di odio e
crudeltà». Le sue parole sono scritte sulla roccia, e sono una grande
eredità che ai giorni nostri viene ancora diffusa. In un’intervista
rilasciata durante un viaggio negli Stati Uniti nel 1931 pronunciò
queste parole: «Non sono un semplice pacifista, sono un pacifista
militante. Sono disposto a combattere per la pace... Non è meglio
per un uomo morire per una causa in cui crede, come la pace, che
soffrire per una causa in cui non crede, come la guerra?»

Ultime considerazioni, sempre a proposito della formula E = mc2.


All’interno del Sole, ogni secondo avvengono esplosioni equivalenti
allo scoppio di milioni di bombe atomiche. Infatti l’equazione E = mc2
non si applica solo a fenomeni terrestri. È stata un’ironia della sorte
che lo sviluppo tecnologico si sia appropriato proprio di questa
formula per la costruzione di ordigni bellici. In realtà, la natura stessa
ce ne offre esempi continui. E la natura diventa ancora una volta un
laboratorio perfetto per l’osservazione di fenomeni straordinari.
Verso la fine dell’Ottocento gli scienziati credevano che il Sole, in
analogia con il nucleo della Terra, fosse costituito perlopiù di ferro. Il
ferro però è un elemento della tavola periodica con un nucleo molto
stabile ed equilibrato: come era possibile, dunque, applicando la
formula E = mc2 ricavare quella potenza nota a tutti? Le cose
cambiarono con l’utilizzo dello spettroscopio. La persona che trovò il
modo di spiegare tutto con E = mc2 fu Cecilia Payne.
Animata fin da giovane da una fervente curiosità, andò
all’Università di Cambridge per studiare botanica, fisica e chimica.
Dopo aver assistito a una conferenza di Arthur Eddington sulle
eclissi solari, però, decise di cambiare ambito di studi. Sarebbe
diventata un’astrofisica. Si trasferì negli Stati Uniti, all’Università di
Harvard (all’epoca, ovvero negli anni venti, alle donne non era
«concesso» di laurearsi a Cambridge), e, avendo a disposizione la
straordinaria raccolta di fotografie spettroscopiche dell’osservatorio,
elaborò la sua teoria sulla composizione delle masse stellari. Nel
1925 fu la prima donna a ottenere un dottorato in Astronomia a
Harvard.
Ed ecco che il cerchio si chiude. Arthur Eddington divenne lo
scienziato che provò la teoria della relatività generale di Albert
Einstein. Cecilia Payne nella sua tesi di dottorato sull’interpretazione
delle linee spettroscopiche formulò la teoria secondo cui era
l’idrogeno ad alimentare il Sole. Ed ecco che la formula E = mc2
ebbe da questa grande scienziata la strada spianata per spiegare la
combustione solare. In pratica, nell’equazione E = mc2 è nascosto il
segreto delle stelle, il motivo per cui le stelle brillano e il Sole illumina
e riscalda la Terra. In natura, l’equazione di Einstein è il motore
cosmico che tiene insieme l’universo. Infatti, quello che accade nelle
galassie, in prossimità dei buchi neri, dentro le stelle e dentro il
nostro Sole è predetto accuratamente dalla celebre equazione di
Albert Einstein. Nella formula E = mc2 ci siamo dentro noi. Noi siamo
fatti dello stesso materiale di cui sono fatte le stelle. Noi siamo fatti di
E = mc2.
Sarebbe da concludere il capitolo così, con questa frase a effetto.
Ma voglio aggiungere un ultimo racconto. Un altro amico di Einstein
in America – un amico di antica data, dei tempi della nascita della
fisica quantistica – era Max Born. Born era diventato presso
l’Università di Gottinga un prestigioso riferimento per tutti, prima
dello scoppio della guerra e della cacciata degli ebrei dalle università
(Gottinga venne decimata). Fu un grande fisico teorico, che la
comunità scientifica del XX secolo insignì del Nobel nel 1954, e fu
per Einstein un valido interlocutore. Max Born fu tra i più grandi fisici
del Novecento, e da tutti era apprezzato anche per la sua umanità.
Tra le cose che mi piace ricordare di lui, in riferimento ad Einstein,
c’è il discorso pubblico che fece in occasione dei cinquant’anni della
teoria della relatività, nel 1955:

Ricordo che durante la mia luna di miele, nel 1913, avevo nel mio bagaglio
alcune ristampe dei lavori di Einstein, che assorbivano la mia attenzione per
ore, con grande noia della sposa. Trovavo questi lavori affascinanti, ma difficili,
tanto da incutere un senso di paura. Quando incontrai Einstein a Berlino nel
1915, la teoria [della relatività] era stata molto migliorata, e coronata dal
successo ottenuto grazie alla spiegazione dell’anomalia del perielio del
Mercurio, scoperta da Leverrier. Io venni a conoscenza di tutto ciò non solo
dalle pubblicazioni, ma anche da numerose discussioni con Einstein, il cui
risultato finale fu quello di indurmi alla decisione di non intraprendere mai
alcun lavoro in questo campo. La formulazione della relatività generale mi
appariva allora, e mi appare ancora oggi, come la più grande impresa del
pensiero umano nel processo di comprensione della Natura, la combinazione
più sorprendente di penetrazione filosofica, intuizione fisica e abilità
matematica. Ma le sue connessioni con l’esperienza erano esili. Mi affascinava
come una grande opera d’arte, che doveva essere goduta e ammirata solo a
una certa distanza.

Max Born pronunciò questo discorso durante la celebrazione di E


= mc2 che avvenne dopo la morte di Einstein. E la cosa bella fu che
si sbagliava. Le ultime frasi di quel discorso oggi dovrebbero essere
riviste, perché recenti sono le conferme sperimentali della teoria
della relatività generale di Einstein (le onde gravitazionali e l’iconica
foto dell’orizzonte degli eventi). Ma la cosa ancora più sorprendente
di quelle parole fu che Born aveva cambiato idea su una sua stessa
convinzione. Ma non finisce qui. Fino a pochi minuti prima che lo
facesse, il discorso di Born doveva essere un altro, doveva vertere
su E = mc2, infatti il testo che aveva preparato per l’occasione era
stato approvato e letto già da altri scienziati, che facevano parte
dell’organizzazione di quella giornata di festa. Ma poi, all’ultimo
momento, buttò via ogni cosa che aveva scritto e il suo racconto virò
sulla relatività generale, e lo fece a braccio. Einstein era morto da
qualche settimana e Born si stava preoccupando, temeva che la
relatività generale venisse interpretata solo come un artificio
matematico e non compresa dai posteri, mentre per la relatività
ristretta ed E = mc2 non c’erano problemi, entrambi avevano avuto
ampio clamore sulla stampa e tra la gente. In poche parole, Born
voleva assicurarsi che ai posteri venisse tramandata la relatività
generale e non la formula. La cosa bella è che tra il pubblico, quel
giorno, c’erano anche dei ragazzi, i quali ascoltarono l’accorato
appello di Born e presero alla lettera tutto ciò che lui aveva
raccomandato. È stato proprio come se Born avesse fatto suonare la
campanella in un’aula, e chiesto attenzione. L’attenzione di quei
ragazzi la ottenne eccome, e furono loro a dimostrare
sperimentalmente la sua teoria. «È questa la giusta strada verso il
futuro» disse Born. Quelle parole hanno dato la direzione al
progresso scientifico fino ai giorni nostri.

Extra capitolo ν – La musica


Nelle sezioni extra di ogni capitolo, riporto un aneddoto che
riguarda la musica di Einstein. Mi lascio ispirare dal contenuto del
capitolo per trovare la giusta colonna sonora. Come faceva lui,
quando suonava Lina, il suo violino.
In un racconto pubblicato pochi mesi dopo la morte di Einstein,
nell’aprile del 1955, lo scrittore americano Jerome Weidman ricorda
di essere stato ospite a una cena di gala presso la casa di un
facoltoso magnate newyorkese in cui si ascoltava musica da
camera, Bach. Durante una pausa confessò all’uomo seduto
accanto a lui che non aveva mai sentito la musica di Bach in vita
sua. L’uomo al suo fianco era Albert Einstein. Che gli disse: «Venga
con me!». Einstein, che evidentemente doveva conoscere bene la
casa in cui si trovavano, lo portò in uno studio con un’ampia
collezione di vinili e iniziò fargli sentire prima una canzone di Bing
Crosby, poi la voce melodiosa di John McCormack per poi passare a
un’aria della Cavalleria rusticana cantata da Enrico Caruso, per finire
con una registrazione di musica senza parole. Dopo aver ascoltato
ogni brano Einstein gli diceva di provare a canticchiarne il motivo,
per concludere: «Ecco, ora è pronto per Bach».
Quando tornarono insieme al concerto stavano eseguendo
proprio una cantata di Bach. Raggiunti dalla loro ospite, preoccupata
per la loro assenza, Eistein rispose sorridendo: «Eravamo impegnati
nella più grande attività di cui l’uomo è capace, aprire un altro
frammento alla frontiera della bellezza».
x

Caro dottor Einstein,


voglio sapere che cosa c’è oltre il cielo. La mia mamma mi ha detto che tu
puoi dirmelo.
Tuo, Frank, Bristol, Pennsylvania

Caro Frank, so che Einstein ti ha già risposto, ma se non sei


soddisfatto ti prego di proseguire qui la tua lettura, anche perché so
per certo che lui ti ha fatto solo una battuta.
Ecco la mia risposta, un pochino più approfondita: dietro al nostro
cielo c’è il suo spazio-tempo. Il racconto di cos’è lo spazio-tempo di
Albert Einstein richiede una storia un pochino lunga, che parte da
molto lontano. Ma seguimi nel discorso, è interessante, perché lo
spazio-tempo di Einstein rappresenta la meraviglia oltre il cielo, e
quindi la sua relatività generale.
Quando formulò la teoria della relatività Einstein fece delle
previsioni. Grazie a queste previsioni si possono fare viaggi
magnifici, in altri mondi, in cui la gravità è il cuore di tutto. Dunque,
partiamo dalle basi. Esistono quattro interazioni fondamentali in
natura (lo so, i fisici partono sempre da questa frase quando
vogliono raccontare qualcosa, qualsiasi cosa, potrebbe diventare
una barzelletta questa frase iniziale, ma è fondamentale veramente
partire da lì): l’interazione nucleare forte, quella cioè che tiene
insieme protoni e neutroni nel nucleo; l’interazione debole, quella dei
procedimenti radioattivi, del decadimento beta; poi ce ne sono altre
due, che contrariamente alle precedenti sono a lungo raggio, cioè si
sentono anche a distanza, e sono la forza elettromagnetica e la
forza gravitazionale. La differenza fondamentale tra le forze di tipo
elettrico e quelle gravitazionali è che in questo secondo caso non c’è
un opposto, non esiste una gravità negativa. Due forze gravitazionali
si sommano sempre, attirano sempre altri corpi. La forza
gravitazionale è una forza che fa crescere i corpi celesti, che plasma
l’universo; è la scultrice dell’universo. Con una rapida ricerca su
Google, si possono trovare in rete le foto del telescopio Hubble: ve
ne consiglio la visione, sono foto bellissime. Le foto mostrano come
è fatto l’universo. Ve le descrivo: in ognuno dei punti più visibili c’è
una galassia, in ogni galassia ci sono miliardi di stelle. Esistono
miliardi di galassie, tutte animate dall’azione della gravità. Capito
quanto è portentosa questa forza? Ma la domanda è: come è stato
immaginato storicamente l’universo dall’umanità? Cioè, prima che si
osservasse, prima di oggi, come se lo immaginavano i nostri
predecessori? Dapprima con il modello di Tolomeo, poi con quello
copernicano, dopo è venuto quello di Galileo, poi quello di Newton, e
soltanto dopo è arrivato quello di Albert Einstein. Lo snodo
fondamentale di queste visioni diverse dell’universo è stato
Copernico: prima di lui, gli uomini mettevano al centro dell’universo
la Terra, con lui, il posto privilegiato spetta al Sole. La differenza
sostanziale è profonda, sta nella distinzione tra mondo celeste e
mondo terrestre: nel modello geocentrico, quello di Tolomeo e di
Aristotele, la Terra era concepita come sede di fenomeni con cui si
può interagire, mentre la sfera celeste era considerata la perfezione.
La sfera celeste era fatta di pianeti o stelle, tutti incastonati in sfere
di cristallo, e quella era ritenuta la perfezione. Poi Galileo ha
introdotto il metodo sperimentale: e ci ha detto che solo con
l’osservazione diretta è possibile scrivere una solida teoria
scientifica. Agli inizi del Seicento, Galileo comunicò al mondo le
scoperte che aveva fatto osservando il cielo per la prima volta, con
un nuovo strumento da lui stesso costruito, il telescopio. Dopo aver
osservato il cielo con il suo telescopio, Galileo passò allo studio delle
leggi del moto, e si mise a fare ingegnosi esperimenti di immediata
visualizzazione. A lui piaceva creare modelli che replicassero quello
che vedeva in natura. Ad esempio, fece scendere lungo un piano
inclinato oggetti di masse diverse, per osservare direttamente come
cadono. E così formulò la legge sulla caduta dei gravi. Aristotele
pensava che la velocità di caduta di un corpo dipendesse dal suo
peso. Lasciando cadere una palla di piombo e una palla uguale di
sughero, arriva a terra prima quella di piombo. Ed è quello che dice
anche il nostro buon senso. Ma Galileo aveva proprio fatto
l’esperimento, per vedere esattamente cosa succedeva. E aveva
inoltre generalizzato, dicendo che quello che si vede in questo caso
è solo un caso limite, rispetto a qualcosa di più grosso, una teoria
che contiene tutto, e che deve tenere in considerazione più in
generale il mezzo che contiene gli oggetti. Il mezzo in cui cadono i
corpi è la cosa più importante, diceva. Se lo stesso esperimento lo
facciamo all’interno di una piscina d’acqua, i tempi di caduta sono
differenti. Galileo aveva fatto anche questo esperimento.
Alla fine di tutti gli esperimenti, giunse alla sua conclusione
generale che dice: «Se si levasse totalmente la resistenza del
mezzo, tutte le materie discenderebbero con eguali velocità». In
pratica, Galileo ha tolto il rumore di fondo, ha isolato il fenomeno
della caduta dei gravi da qualsiasi altro disturbo. Ha generalizzato,
cosa che sanno fare solo i migliori scienziati della storia. Questo
modo di operare è caratteristico del metodo scientifico moderno.
L’importanza di Newton, invece, sta in altro. Con Newton prende
forma la matematica che c’è dietro al cielo. Mondo terrestre e mondo
celeste sono in realtà la stessa cosa, dice Newton. Le stesse leggi
valgono sia se noi andiamo in cima a una montagna e lanciamo una
pietra da una finestra, sia se la tiriamo in orizzontale: in entrambi i
casi la pietra cade a terra. Se poi cerchiamo di tirare la pietra
sempre più lontano, in direzione parallela al suolo, a un certo punto
potrebbe accadere una cosa strana. La Terra ha dimensioni finite,
quindi se, da un punto molto elevato, lanciamo la pietra molto molto
molto lontano in orizzontale, a un certo punto non la vediamo più,
perché entra in orbita. Questa fu l’immagine che colpì Newton, il
quale si interrogò a lungo anche sulla nostra Luna. Osservava la
Luna e all’inizio pensava che fosse sospesa. Noi sappiamo oggi che
in realtà trae in inganno, non è sempre lì, nel vuoto, non è sospesa.
La Luna ruota, molto lentamente, ma ruota. L’intuizione
fondamentale di Newton fu questa: così come una mela che si
stacca dall’albero casca a terra, per lo stesso motivo la Luna è
attratta dalla Terra, ma non ci cade sopra perché la sua orbita è più
grande della circonferenza terrestre. Ed ecco la prima conseguenza
importante di questo discorso: la gravità è universale, ed è
responsabile dei fenomeni terrestri così come di quelli celesti. La
gravitazione vale ovunque, in tutto l’universo. Ed è il primo esempio
di universalità delle leggi fisiche. Oggi, dalle rilevazioni più recenti,
con strumenti che Newton, Galileo o Einstein neanche si
immaginavano, sappiamo che non solo la forza gravitazionale vale
dappertutto, ma anche che tutte le interazioni agiscono allo stesso
modo nell’universo tutto. E non solo. Esse hanno agito allo stesso
modo anche nel passato: è per questo che noi vediamo la luce di
oggetti stellari lontanissimi, emessa miliardi di anni prima di arrivare
a noi, e abbiamo così moltissime informazioni sul cielo, sulla natura
e sull’universo.
Ma torniamo indietro, continuiamo sul filo che ha tracciato la
storia. Dopo Newton, gli scienziati si sono chiesti: cosa avviene nel
vuoto? E come avvengono le azioni a distanza? Se tra la Terra e la
Luna ci fosse il vuoto, come avverrebbero le interazioni a distanza?
Le forze come si trasmettono? Come è possibile che il vuoto
trasmetta qualcosa? A dare la risposta è arrivato James Clerk
Maxwell. Fu lui, con le sue equazioni matematiche, a spiegarci
l’elettromagnetismo e il campo elettromagnetico. E in questo elenco
di fisici che ci hanno spiegato cosa c’è dietro il cielo, Albert Einstein
si colloca esattamente dopo Maxwell, e da lui si è fatto ispirare
(piccola parentesi, Einstein è nato esattamente nell’anno della morte
di Maxwell, così come Newton è nato l’anno del-la morte di Galileo).
Einstein ci ha detto che la gravità è una manifestazione della
curvatura dello spazio-tempo. Una cosa nuova, mai detta prima.
Come possiamo immaginare questa curvatura? Allora, innanzitutto
immaginiamo due persone, fingiamo che siano due fisici.
Assumiamo che decidano di vivere su un piano, su un piano infinito,
che sarà il loro universo, steso e piatto, senza confini, come un
tavolo gigantesco oltre il quale c’è il vuoto. Su questo piano in due
dimensioni immaginiamo che i due fisici facciano un esperimento
(altrimenti che fisici sarebbero?! I fisici fanno sempre esperimenti,
anche su questo ci sono miliardi di barzellette). Uno dice all’altro:
vediamo se la nostra distanza cambia quando andiamo in due
direzioni a caso. La sola condizione è che debbano andare in
direzione perpendicolare alla retta che li unisce. Si mettono in moto,
ciascuno lungo la propria retta, e procedono con la stessa velocità
stando su due rette parallele.
Misurano la distanza tra di loro all’inizio, e poi anche dopo un po’.
Presumono di trovare sempre quella distanza. Se la velocità non
cambia, la distanza deve restare quella. E invece, la cosa
sorprendente è che trovano valori diversi. Man mano che vanno
avanti, fanno nuove misurazioni, e misura dopo misura trovano
sempre valori diversi.
I due fisici si avvicinano, la loro distanza si accorcia, e a un certo
punto addirittura si incontrano. Allora uno pensa che l’altro abbia
imbrogliato. E quindi rifanno l’esperimento, un’altra volta, e poi
un’altra volta ancora, finché non si convincono che effettivamente è
così. Traggono come conclusione il fatto che esiste una forza che li
attrae. La cosa interessante di questo esperimento è che i due fisici
non mettono in discussione il fatto di vivere uno spazio-tempo
bidimensionale piatto, e devono quindi introdurre una forza esterna
per spiegare il fenomeno che osservano. Ci sarebbe però anche
un’altra spiegazione: il loro mondo non è piatto ma è curvo, e ciò
implica un salto concettuale. Se i due fisici vivono su una sfera, le
regole cambiano: muovendosi ad esempio dall’equatore seguendo
due meridiani, e quindi andando sempre in direzione perpendicolare
alla retta che li unisce, si incontreranno per forza, perché il mondo in
cui vivono è curvo. Quindi dovete pensare alle linee che i due fisici
percorrono come due spicchi di un mandarino, e i poli sono i punti in
cui i due fisici si incontreranno. Non è necessario allora introdurre
una forza esterna per spiegare quel fenomeno: semplicemente, i due
fisici hanno rivisto la geometria nella quale vivono per descrivere un
fatto ben preciso.
Il cuore della relatività generale sta proprio in questo. Einstein dà
la sua visione, la sua spiegazione del Sistema solare, e dice che
esiste una forza che attira i corpi in uno spazio piatto. Il Sole curva lo
spazio, perché il Sole è la massa più pesante che esista,
esattamente come farebbe una biglia di piombo su un tappeto
elastico. Questa curvatura – questa deformazione dello spazio –
forza gli altri corpi a muoversi intorno, esattamente come succede a
una pallina che viene spinta a girare lungo le pareti di un imbuto. Nel
vuoto non c’è attrito, e quindi nel vuoto la pallina ruoterebbe per
milioni di anni. Questa è una spiegazione alternativa di un fenomeno
che viene osservato: dice che tutti i corpi si muovono liberi, e si
muovono non in linea retta proprio perché lo spazio è curvo; quindi,
non fanno altro che seguire le linee geodetiche dello spazio in cui si
trovano, che vengono loro imposte dalla materia circostante. Da
questo punto di vista la visione di Einstein può sembrare alternativa
a quella di Newton. Newton diceva che il tempo e lo spazio sono
assoluti, e poi c’è la forza che tiene vicine le varie masse, ovvero la
gravità. Einstein, invece, dice che non c’è solo lo spazio, non c’è
solo il tempo, ma che la forza di gravità e lo spazio-tempo sono la
stessa cosa. Questa è la relatività generale. Einstein predice che c’è
una velocità, quella della luce, che non si può superare, e tutti gli
osservatori la vedono con lo stesso valore. Questo dettaglio è
compatibile con la relatività ristretta e con tutti i fenomeni che si
possono osservare in natura. Ci sono degli effetti precisi: secondo
Einstein una massa curva lo spazio, ma anche la luce viaggia nello
spazio, e quindi anche la luce deve seguire le linee geodetiche dello
spazio, deve seguire linee curve.
Quindi la luce di una stella viene deviata dalla presenza del Sole
e, quando arriva sulla Terra, l’osservatore la vede come se la stella
fosse in un altro punto, in una posizione apparente, non reale.
Questa predizione di Albert Einstein aveva solo carattere teorico
ed era necessario provarla sperimentalmente. Einstein formula la
relatività generale nel 1915. Quattro anni dopo, nel 1919, arriva la
prova sperimentale della sua teoria, con Arthur Eddington.
L’astronomo inglese parte per una spedizione con l’intento di fare
una foto della volta celeste durante un’eclissi solare. Eddington si
reca su sull’isola di Principe, nel Golfo di Guinea al largo dell’Africa
occidentale, e scatta la foto: effettivamente c’è un movimento.
Eddington era partito dalla teoria di Einstein: noi conosciamo la
posizione delle stelle nella notte, ma se fotografiamo il cielo di
giorno, quelle stelle devono essere in un’altra posizione, proprio
perché lo spazio è curvo. Nell’eclissi di Sole, la Luna è di fronte al
Sole, è tra noi e il Sole, quindi oscura il Sole, quindi si può osservare
bene il cielo. Eddington fa la foto del cielo scuro dietro al Sole, e
vede che c’è un movimento, c’è una discrepanza, la posizione delle
stelle è cambiata. Fino a quella prova sperimentale, la relatività
generale era considerata una cosa un po’ astrusa che conoscevano
veramente in pochissimi. Einstein aveva scritto che il suo testo sulla
relatività generale era «per dodici persone sagge», cioè non più di
dodici persone al mondo stavano comprendendo la sua teoria.
Eddington partì per la sua spedizione quasi senza sostegno da parte
del governo britannico – figuriamoci un inglese che andava a
provare la teoria di un tedesco! Ma partì lo stesso, e scattò le foto.
Tutti i giornali ne parlarono, e la notorietà di Einstein fu immediata.
Un giornale dell’epoca scrisse: «Gli uomini di scienza sono tutti
stupefatti dai risultati dell’osservazione dell’eclissi, questo è il trionfo
della teoria di Einstein»; un altro dichiarò che «Le stelle non stanno
dove sembrano essere, dove è stato calcolato finora», e un altro
ancora riportò che «La luce si deforma nei cieli». Romantici o meno,
questi commenti fecero scattare la curiosità della gente comune, e la
relatività divenne un argomento sulla bocca di tutti. Ecco finalmente
la risposta alla domanda che tutti si ponevano, ecco cosa c’è dietro
al cielo.
Un altro esperimento che dà una risposta a questa domanda è
legato al tempo. Altra parola tanto cara a Einstein. Siamo tutti
d’accordo ormai nel dire che il tempo non scorre in maniera uguale
in punti diversi del campo gravitazionale. Più si va in alto e più il
tempo scorre rapidamente, più si è vicini a un campo gravitazionale
forte, come il centro della Terra, più il tempo rallenta. Si tratta di
qualche milionesimo di secondo nella vita di un uomo, ma questa
differenza nello scorrere del tempo c’è, è reale, esiste. Se si usano
orologi di precisione, atomici, si può chiaramente distinguere questo
intervallo diverso tra chi sta più in alto e chi sta più in basso. Ed è
per questo che il campo di Einstein si chiama campo dello spazio-
tempo. In pratica, il tempo scorre diversamente a seconda di quanto
è forte il campo gravitazionale. Ed ecco che la deformazione
spaziale di cui ho parlato prima diventa una deformazione
spaziotemporale: è lo spazio-tempo nel suo complesso che viene
deformato dalla presenza della materia, della gravità. Un orologio
vicino a un campo gravitazionale rallenta rispetto a un orologio posto
più lontano. È quello che hanno provato i fisici con gli orologi atomici,
cioè orologi precisissimi. E furono loro ad avvertire l’esercito
americano negli anni settanta (che sperimentò il Transit, nel primo
sistema di navigazione satellitare) che gli orologi sui satelliti
sarebbero stati più veloci rispetto a quelli posti sulla Terra. Ma i
graduati dell’esercito responsabili del progetto non li ascoltarono, e
nei primi test ignorarono un fatto fisico fondamentale che fece fallire
il test. Fu così che anche loro dovettero accettare la fisica che dice
che con l’altezza il tempo scorre più veloce, accelera, seguendo le
predizioni di Einstein e la sua teoria della relatività generale. Einstein
è dentro la tecnologia dei nostri giorni.

Prendiamo un grosso campo gravitazionale come, ad esempio,


un buco nero, e sia chiaro, il concetto di buco nero esiste prima
dell’arrivo di Einstein. Per spiegare cos’è un buco nero, e cos’è il
raggio di Schwarzschild, ovvero l’orizzonte degli eventi, prendiamo
una palla da tennis e lanciamola in aria. Dopo poco dal lancio la
palla torna giù. L’energia cinetica si trasforma in energia potenziale,
dal momento in cui la palla si stacca dalla mano, raggiunge l’apice, e
poi quando arriva a terra. Se la tiro più in alto, acquista più energia
potenziale, ma la cosa certa è che poi torna giù comunque. Se la tiro
ancora più in alto, ma molto molto in alto, succede una cosa strana.
Esiste una velocità limite in cui l’energia cinetica acquisita diventa
pari all’energia di attrazione gravitazionale da parte della Terra.
Questa velocità limite si chiama velocità di fuga. Per cui se io lancio
da terra un oggetto a una velocità maggiore della velocità di fuga,
esso lascia la Terra e non ci ritorna mai più. Questa velocità di fuga
per la Terra è di 11 chilometri al secondo, ma non è una cosa
semplice da raggiungere. Esiste una formula che parla di questa
velocità di fuga. Senza scriverla, vi dico che cosa racconta. La
formula dice che la velocità di fuga aumenta tanto più è grande
massa della Terra, ma anche tanto più piccolo è il raggio (cioè tanto
più la massa è concentrata). Seguendo questa formula, è logico
pensare che possiamo immaginare un oggetto con una massa
grande e un raggio piccolo, tanto grande e tanto piccolo da riuscire a
pensare che da quel corpo lì non si può far partire niente, perché
nulla gli sfugge via, tutto rimane confinato al suo interno. La velocità
della luce non si può superare. Questo corpo celeste può ricevere un
raggio di luce, ma non lo può riflettere, ecco perché è nero, non fa
andare via niente. Una volta che sta dentro non esce più, per uscire
dovrebbe superare la velocità di fuga, ma non è possibile. Perché
questo corpo esista la massa deve essere concentrata nel raggio
(chiamato raggio di Schwarzschild, che è la persona che l’ha
pensato per primo). La Terra per diventare un buco nero dovrebbe
essere concentrata in una sferetta di 8 millimetri di diametro, e
questo numero si trova con calcoli semplici, applicando la formula
semplicissima che ho richiamato prima (che è una formula classica,
una formula che non ha tensori, niente di complicato). Il Sole, che ha
una massa molto più grande della Terra, dovreste concentrarlo in
una sfera di 3 chilometri di diametro per ottenere questo buco nero.
Usando il Sole tutto sembrerebbe più semplice, perché il Sole è
gassoso e ipoteticamente sembrerebbe più facile concentrarlo in
quello spazio. Ma se ci riuscite, quell’oggetto non appartiene più a
questo universo. Non comunica più. Può solo «prendere cose»
dall’esterno senza mai restituirle. Che fine fa la materia che va lì
dentro? Questa è la domanda che si pongono i fisici oggi. Un buco
nero è una massa concentrata in una zona piccolissima. Una prova
recente dell’esistenza dei buchi neri è la foto dell’orizzonte degli
eventi, la foto del secolo – aprile 2019 –, ma su questo tornerò più
avanti.

Ai fisici di oggi piace tantissimo questo argomento, perché i buchi


neri permettono di capire molte cose, le informazioni contenute
dentro un buco nero sono più numerose di quelle che immaginiamo.
Con i buchi neri però non si possono fare esperimenti reali,
soltanto la natura può farli. Non tutto si può fare in laboratorio, ed è
per questo che oggi si osserva il cielo. Il cielo è un laboratorio
naturale. Per questo gli scienziati guardano continuamente il cielo. I
buchi neri in cielo sono dei laboratori naturali di fisica nel senso che
gli scienziati ne traggono informazioni. È così da sempre. I fotoni che
osserviamo ci dicono che esistevano i pianeti, le stelle, i satelliti di
Giove, le galassie. Ma le informazioni che ci arrivano dall’universo
hanno anche altre forme, non arriva solo luce visibile. Durante
fenomeni violenti osserviamo fotoni ad altissima energia, che ci
danno altre informazioni, e per osservarli sono necessari strumenti
sempre più accurati. Il buco nero è prodotto naturalmente dalla
natura, durante il collasso di stelle grandi (grandi oltre dieci volte la
massa del Sole). È proprio dal collasso delle stelle che siamo nati
noi. Noi siamo le stelle. Gli elementi chimici non li ha fatti il Big Bang.
Carbonio e ossigeno non li ha fatti il Big Bang. Il Big Bang ha fatto
solo delle particelle elementari, idrogeno e un po’ di elio. Tutti gli altri
elementi chimici vengono creati all’interno delle stelle, perché la
stella, grazie alla gravità, comprime l’idrogeno, fa fondere i nuclei e
produce elementi chimici superiori (elio, carbonio, azoto, ossigeno
ecc.). La stella reagisce a questa compressione, e fa uscire energia.
Questa energia è frutto della fusione nucleare ed equilibra la forza di
attrazione gravitazionale. Quando Newton, o Galileo o Maxwell
guardavano il Sole, lo vedevano lì, tranquillo, quieto. In realtà oggi
sappiamo che non è così. Se noi guardiamo il Sole non possiamo
pensare come pensavano Galileo, Maxwell e Newton. All’interno del
Sole c’è una battaglia continua tra due forze contrapposte: la gravità,
che tenderebbe a comprimerlo sempre di più, e la radiazione
nucleare, che è dovuta alla fusione nucleare, radiazione fatta di luce
e di neutrini, che tende invece a espanderlo sempre di più. Perché è
così che vive una stella. Una stella vive grazie alla continua battaglia
di forze nel suo interno, per miliardi di anni, e produce gli elementi
chimici, tutti, fino al ferro (se visti nella sequenza della tavola
periodica). Ma oltre il ferro, la stella non ce la fa più e collassa.
Quando collassa, implode e manda in giro per l’universo elementi
chimici, ed è così che siamo nati noi. Noi nasciamo tutti dalle stelle.
Quando queste stelle sono grandi, generano elementi più pesanti del
ferro, come l’uranio, l’oro o il piombo. Questo nucleo così pesante,
durante il collasso, può diventare talmente concentrato da riuscire a
entrare dentro il limite del raggio di Schwarzschild, cioè la natura può
essere in grado in quel caso di creare un buco nero. Ogni giorno
nell’universo se ne forma uno. Quando la massa entra nel raggio di
Schwarzschild, la curvatura di Einstein diventa pronunciatissima, e il
buco nero, secondo la sua teoria, diventa un pozzo senza fondo. Un
pozzo che va giù verso l’infinito, dove la curvatura dello spazio-
tempo tende a un valore infinito. Ed ecco che avviene ciò che è
chiamato con una parola molto usata in America, ossia la
spaghettification, che abbiamo visto molto bene nel film Interstellar (il
fisico Kip Thorne, premio Nobel nel 2017, era tra gli sceneggiatori).
Se un uomo potesse fare due o tre giri intorno a un buco nero in
quello che sembrerebbe un intervallo di tempo di pochi mesi, quando
tornebbe sulla Terra sarebbero passati mille anni. Vicino a un campo
gravitazionale il tempo rallenta, come ho detto prima. Ecco perché
avvicinandoci a un buco nero si potrebbe viaggiare nel futuro. Ora la
domanda è: se questo buco nero è un pozzo senza fondo, dove va a
finire? È lecito pensare che vada a finire in un altro punto
dell’universo, nel pozzo di un altro buco nero. Oppure in un altro
universo. Non si sa. Per ora gli scienziati gli hanno dato il nome di
singolarità, ma la singolarità non è spiegata dalla relatività generale
di Einstein, e non è compatibile con la meccanica quantistica.
Bisogna creare qualcosa di diverso per spiegare questo
fenomeno, ed ecco perché si parla di nuove teorie in corso di
formulazione, come ad esempio la relatività quantistica, una teoria
che mette d’accordo relatività generale e fisica quantistica. Ma tutto
è ancora in fase di studio. Un avvenimento recente, l’assegnazione
del premio Breakthrough per l’anno 2019, andato alla teoria della
supergravità, diviso tra i fisici Sergio Ferrara, Daniel Freedman e
Peter van Nieuwenhuizen, è significativo. La teoria descrive le
particelle e le forze fondamentali della natura in termini di campi che
incarnano le leggi della meccanica quantistica. È nata a metà degli
anni settanta, ed è stata molto influente per gli studi successivi. Ma
ancora non si è arrivati a una teoria definitiva.

Torniamo ad Einstein, e al nostro cielo. L’ultima predizione


compiuta da Einstein, avvenuta un anno dopo la nascita della
relatività generale e sempre all’interno della relatività generale, sono
le onde gravitazionali. Dice questo: se lo spazio-tempo è flessibile,
elastico, quando due stelle ruotano una intorno all’altra generano
onde, esattamente come due paperelle in uno stagno increspano
l’acqua nuotando una intorno all’altra. Come l’acqua, anche lo
spazio-tempo è flessibile. Le perturbazioni dello spazio create dal
movimento della materia sono le onde gravitazionali. A iniziare per
primo la ricerca delle onde gravitazionali è stato Joseph Weber, un
fisico statunitense con un passato come ufficiale di marina. Einstein
si era posto il problema, e Weber portò avanti il suo quesito. Si mise
a studiare la relatività generale, e il suo scopo era trovare qualche
effetto dovuto alle onde gravitazionali per provarne l’esistenza.
L’effetto macroscopico del passaggio di un’onda gravitazione è
l’allargamento e lo stiramento della luce. Per studiare il passaggio
della luce, Weber pensò a un interferometro, lo costruì e si mise per
giorni e giorni davanti a un microfono in ascolto delle vibrazioni dello
spazio-tempo. Nel 1969 pubblicò un articolo intitolato Scoperte le
onde gravitazionali, ma nessuno gli credette (infatti ancora non era
vero). In tutto il mondo, però, la curiosità aumentò, e in tanti si
misero a fare gli esperimenti di Weber con strumenti molto più
sofisticati.
Nel 2016 finalmente è arrivata la conferma dell’esistenza delle
onde gravitazionali. Le ha rilevate in America lo strumento LIGO
(Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), e i dati sono
stati analizzati dalla collaborazione internazionale LIGO e Virgo,
quest’ultima facente capo all’European Gravitational Observatory
(EGO), fondato e finanziato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
(INFN) e dal Consiglio Nazionale della Ricerca Scientifica francese
(CNRS). È stato così osservato il primo evento in assoluto nel quale
una collisione non produce dati osservabili se non attraverso le onde
gravitazionali. I due buchi neri formavano una coppia, un sistema
binario nel quale l’uno ruotava intorno all’altro. E poi la collisione,
dalla quale si è formato un unico buco nero, con massa uguale alla
somma dei due buchi neri, e una quantità di energia liberata sotto
forma di onde gravitazionali. A nemmeno quattro anni dall’annuncio
della scoperta del bosone di Higgs, questo evento ha entusiasmato
tutti gli amanti del cielo. Ecco la dimostrazione sperimentale della
cattura dell’increspatura dello spazio-tempo generata da una
catastrofe cosmica come la collisione tra due massicci buchi neri
avvenuta un miliardo di anni fa. L’esistenza delle onde gravitazionali,
quindi, è stata una verifica, in condizioni estreme, della teoria della
relatività generale, prevista un secolo fa da Albert Einstein. Tutto
questo c’è dietro al cielo.

Extra capitolo x – La musica


Oggi guardando il cielo, io penso spesso a quando lo faceva
Einstein. E la prima donna con cui ha condiviso questa visione fu
Mileva Marić. Quando Albert Einstein era ancora studente, spesso
andava a trovare Mileva alla pensione dove viveva. Una volta si
presentò con il suo violino. Sapeva che Mileva amava la musica e
suonava spesso, la sera, a beneficio delle altre ragazze che
vivevano con lei. Anche Mileva aveva un buon orecchio musicale: il
suo strumento preferito era la tamburica, appartenente alla famiglia
dei liuti a collo lungo e originario dei paesi balcanici. Suonava anche
il pianoforte – aveva preso lezioni durante il periodo di studi al liceo
di Zagabria. Dicevo, Einstein entrò nella pensione e le chiese di
suonare insieme. Lei accettò. Lui al violino, e lei al pianoforte
suonarono uno di quelli che sarebbero diventati i cavalli di battaglia
della coppia, Beethoven, la Sonata per violino e pianoforte n. 6, op.
30 n. 1.
N

Caro signor Einstein,


Mi chiamo Louise e ho dieci anni. Il mio Papà pensa che sei un uomo molto
meraviglioso. Uno dei più grandi mai vissuti, e io la penso come lui. Visto che
sei un uomo così grande, credo che alla gente piacerebbe avere la tua foto
autografata. Potrei organizzare una lotteria e vendere i biglietti a 25 centesimi
l’uno. Al vincitore andrebbe la tua foto. E poi manderei il denaro al United
Jewish Appeal. Mi manderesti per favore due tue foto autografate, così una
potrei darla al mio Papà, perché anche lui è un grand’uomo.
Louise, Toronto, Canada

Cara Louise, so per certo che Albert Einstein ha già risposto alla
tua lettera, e che ti ha spedito le due foto appoggiando la tua lotteria;
hai pensato a un’ottima iniziativa, brava. Lui stesso si è impegnato,
negli ultimi anni della sua vita, alla causa ebraica, e ha lasciato in
dono alla Hebrew University di Gerusalemme alcuni suoi documenti
importanti. Altri sono a Princeton, e altri sono stati resi accessibili in
rete tramite il Digital Einstein Papers. Ma è la Hebrew University che
a un certo punto mi ha incuriosito, per il fatto che Einstein non ci ha
mai messo piede. E quindi un giorno sono andata a guardare tutto
con i miei occhi. Ora ti racconto quello che ho visto.

Nella seconda parte della sua vita, quella americana, Einstein ha


sentito la necessità primaria di sostenere le minoranze, gli oppressi, i
dimenticati, tutti coloro che sono stati lasciati indietro dalla società
dominante. Il cambiamento che lui ha vissuto, nella seconda parte
della sua vita, è stato clamoroso. Da ragazzo non la pensava certo
così. Da ragazzo pensava solo a se stesso, viveva alla giornata,
tutto ciò che progettava era solo per il raggiungimento dei suoi
personalissimi obiettivi. In pratica, è come se, una volta esauditi i
suoi primi sogni, si sia dedicato a quelli degli altri, si sia chiesto
come aiutare chi ne avesse bisogno, e abbia messo in atto una serie
di azioni volte a dare loro sostegno. In America appoggiò le cause
dei neri, quelle dei nativi americani, e diede il suo sostegno alla
causa ebraica. Negli ultimi dieci anni della sua vita, rinunciò alle
cattedre universitarie più prestigiose che gli venivano offerte in ogni
parte del mondo, e decise di andare a insegnare in un sobborgo di
New York, il Bronx, in una classe composta da gente disagiata, per
la maggior parte di colore, senza alcun titolo di studio, e senza
alcuna specializzazione scientifica. Decise che la fisica e la scienza
potevano diventare il motore per far scattare la scintilla dentro la
testa di questi ragazzi, e suggerire nuove vie di fuga. Il giorno
dedicato all’insegnamento era uno alla settimana, e si faceva
chilometri e chilometri di viaggio in treno, con in testa un solo
obiettivo: risvegliare la curiosità nelle persone che non hanno alcun
stimolo culturale. Con la scienza si costruisce il proprio riscatto,
sosteneva Einstein. Le persone che ascoltavano le sue lezioni lo
guardavano sbigottite. Prima di allora, la fisica non aveva per loro
alcun significato, e per di più avevano di fronte a loro Einstein che la
raccontava con parole semplici. La notizia naturalmente fece il giro
del mondo e ne scrissero tutti i giornali. Non durò a lungo
quell’esperienza, il tratto di strada che doveva percorrere era via via
sempre più tempestato di giornalisti. Einstein in America era una
vera e propria rockstar, ogni cosa che faceva usciva sulle prime
pagine dei quotidiani. Tutti volevano intervistarlo, i fotografi gli
chiedevano di gettare in aria il cappello a favore di uno scatto,
signorine lo fermavano per le strade, bambini gli chiedevano
l’autografo.
Parlava direttamente con i capi di Stato, interveniva alla radio e
sui giornali sulle questioni di attualità più importanti. Ma la sua foto in
mezzo ai nativi americani è una di quelle che Einstein appese nel
suo studio a Princeton. Ed era tra le sue preferite. Tra le altre foto,
c’era anche quella con il presidente israeliano Ben Gurion (oggi
l’aeroporto di Tel Aviv porta il suo nome, così come centinaia di altri
luoghi di interesse sparsi nel paese). Veniamo ora a Israele, e al suo
legame con questa terra. Delle sue origini ebraiche ho già
accennato, ma ora è il momento dell’approfondimento.
Sono andata alla Hebrew University, a Gerusalemme, e ho voluto
vedere con i miei occhi. Anche per capire qualcosa di più di questa
United Jewish Appeal di Toronto, una delle organizzazioni nate per
sostenere gli ebrei oltreoceano. La Hebrew University è il luogo dove
Einstein ha lasciato in deposito 80 000 manoscritti, tra cartoline,
appunti, lettere, quaderni e diari. Per la maggior parte, questi
documenti sono stati digitalizzati e messi online. Altri ne arriveranno
ancora. Alcuni si possono leggere soltanto andando lì a consultarli.
La lettera di Louise Baker ha suscitato in me altre domande, e
allora sono andata di persona a cercare le mie risposte.

Gerusalemme. Quando entro al Science Campus, e mi dirigo al


secondo edificio sulla destra dell’Edmond J. Safra Campus, nel
quartiere Givat Ram, una delle cose che mi colpisce all’ingresso,
dopo aver passato metal detector e controlli, è l’enorme cassetta
delle donazioni su un tavolo – in nessuna università europea c’è
traccia di cassette per le donazioni. Poi entro nel giardino,
finalmente. Attorno sono raccolti gli edifici più grandi di questo
enorme complesso universitario, e ci metto un po’ a orientarmi. Tutto
è uguale ogni cinquanta metri, tutto si ripete identico, gli stessi colori
alternati (pochi, nero e grigio), le stesse porte e finestre in alluminio
anodizzato, gli stessi percorsi di chi si sposta da un palazzo a un
altro. È tutto molto decadente. Ma c’è una statua bellissima, laggiù in
fondo: è la più grande statua al mondo di Albert Einstein. È un po’
nascosta, ma se chiedi ai ragazzi, loro sì che sono felici di
accompagnarti e di farti una foto con il telefonino. È un Einstein
ormai adulto, non in posa, in procinto di andare da qualche parte.
Qui, alla Hebrew University, è presente il più importante archivio di
Einstein, ma lui, curiosamente, non ci ha mai messo piede.
Albert Einstein non si riteneva ebreo dal punto di vista religioso,
ma soltanto culturale. A tredici anni osservava le regole della
kasherut, ovvero mangiava solo certi cibi, anche se la sua famiglia
non seguiva le stesse prescrizioni; non celebrò però il bar mitzvah,
che segna il passaggio all’età della maturità del bambino ebreo,
responsabile da quel momento per se stesso nei confronti della
Halakhah, la legge ebraica che dà loro la coscienza di distinguere il
bene dal male. Negli anni venti, quando Einstein aveva circa
quarant’anni, stava crescendo il movimento sionista e in Europa
dilagava l’antisemitismo; l’Organizzazione Sionista Mondiale,
presieduta da Chaim Weizmann, si rivolse allo scienziato, e gli
chiese di partecipare a una raccolta fondi.
Einstein accettò. Un anno più tardi decise di visitare la Palestina,
all’epoca sotto mandato britannico, e ci rimase quasi due settimane:
fu l’unica occasione in cui Albert Einstein mise piede in questa terra.
Nel 1952 (Einstein aveva 73 anni) Chaim Weizmann morì, e il primo
ministro israeliano Ben Gurion gli offrì la carica di secondo
presidente dello Stato d’Israele. Einstein rifiutò con una lettera:
«Sono commosso per quanto mi viene proposto dal nostro Stato
d’Israele, allo stesso tempo sono triste e mi vergogno per non poter
accettare. Ho trascorso tutta la mia vita ad occuparmi di problemi
oggettivi, al punto che scarseggiano in me la naturale attitudine e
l’esperienza per affrontare opportunamente le persone ed esercitare
funzioni ufficiali». In occasione del settimo anniversario della nascita
dello Stato ebraico, nel 1955, le TV americane chiesero ad Einstein
di pronunciare un discorso in merito. Una settimana prima del
discorso, il 18 aprile, Albert Einstein morì. Quel discorso ora si trova
qui, nell’archivio della Hebrew University:

Oggi è il settimo anniversario della nascita dello Stato di Israele. La


fondazione di questo Stato è stata largamente approvata e riconosciuta a
livello internazionale con l’intento di proteggere i resti del Popolo Ebraico dagli
indescrivibili orrori della persecuzione e dell’oppressione. Perciò, la fondazione
di Israele è un evento che impegna attivamente la coscienza di questa
generazione. Pertanto, è un amaro paradosso il fatto che un Paese che è
stato creato per difendere un popolo martoriato debba a sua volta affrontare
gravi minacce alla sua stessa sicurezza. Le coscienze universali non possono
rimanere indifferenti a un tale pericolo. Non è giusto che l’opinione pubblica
mondiale critichi solo la reazione di Israele alle ostilità e non si sforzi
attivamente di porre fine all’ostilità araba che è alla radice delle tensioni. Le
politiche internazionali in Medio Oriente dovrebbero essere fondate sugli sforzi
di assicurare la pace a Israele e ai suoi vicini. Ciò sarebbe coerente con gli
ideali di pace e fratellanza che sono il più grande contributo che il Popolo
Ebraico ha dato nella sua lunga storia.
E aggiunge: «Mi sento vicino a voi, più che ad altri». Ecco
spiegato tutto. Nel marzo del 2019, per i 140 anni dalla nascita di
Einstein, l’Archivio apre al pubblico nuovi documenti. Oggi la lettura
di queste carte è un privilegio di assoluto livello: è un peccato aver
avuto incontri poco empatici con chi gestisce questi archivi. Avevo
accennato al discorso del mansplaining, no? Ma aver fatto la foto
con l’enorme statua di Einstein nel giardino del Campus, è stato
molto emozionante. ll resto che ho trovato l’ho disseminato in questo
libro.

Extra capitolo N – La musica


La sorella di Albert Einstein si chiamava Maja. Nelle memorie che
ha lasciato, racconta che quando Einstein era intento a suonare il
violino poteva capitare che all’improvviso gli venisse in mente
qualcosa; allora si alzava urlando: «Sì, ecco, ora ce l’ho!», e di corsa
andava ad appuntarsi qualcosa. Una volta, scrive Maja, Einstein era
in salotto nella sua casa di Princeton a Mercer Street, e accadde una
cosa nuova. Aveva preparato tutto con cura, aveva aperto il
grammofono, aveva cambiato la puntina, l’aveva posizionata, e
aveva fatto partire una melodia bellissima. Compiva queste azioni,
sempre le stesse, con lentezza, come dei piccoli rituali, facendo
sempre gli stessi movimenti di mani, braccia e corpo. Quel giorno,
dopo che la melodia era iniziata, aveva preso il violino e si era
messo a seguirne il ritmo, suonando in sottofondo. Era l’Andantino
della Sonata per violino e pianoforte n. 26 K 378 di Mozart. Dopo
neanche un minuto che aveva iniziato ad andare d’accordo con la
musica, ripose di scatto il violino nella custodia, alzò la puntina,
spense il grammofono e si chiuse nel suo studio per due giorni interi.
Maja racconta che era assolutamente imprevedibile cosa gli
facevano scattare nella testa la musica e il suono del suo violino.
Il rapporto tra Einstein e la musica non è molto evidenziato nelle
varie biografie che raccontano di lui, ma è importante. Torniamo
allora ad Albert Einstein e alla musica.
Einstein aveva a cuore Mozart, la sua purezza, il suo candore.
Naturalmente, non gli importava nulla di ciò che si diceva del
musicista – in generale, della vita privata delle persone non
s’interessava affatto, men che meno se famose o leggendarie. Un
po’ come accadde con Marie Curie, quando la conobbe al primo
Congresso Solvay di Bruxelles nel 1911. Marie era vedova già da
cinque anni (Pierre era morto nel 1906) e in quel periodo la stampa
francese aveva pubblicato uno scoop, raccontando che la Curie
aveva una storia d’amore con Paul Langevin, anche lui fisico e
anche lui conosciuto in tutto il mondo, sposato e padre di quattro
figli.
Ovviamente si scatenò una catena di odio contro di lei, e i giornali
iniziarono a titolarle articoli cattivissimi. «La ladra di mariti» scrissero
una volta. La gente la fermava per strada per insultarla, per
additarla, per prenderla in giro. Lei si chiuse in casa, disperata per
quell’atteggiamento ostile che aveva preso il posto della stima
ossequiosa. Per tutti lei era la grande Marie Curie, con il primo Nobel
già in tasca, tra l’altro.
Al Congresso Solvay in cui Einstein la conobbe nessuno le
rivolgeva la parola, tutti ridacchiavano di lei, l’atmosfera nella sala
quando venne inaugurato il seminario era tesissima per la sua
presenza e la tensione nell’aria si tagliava con un coltello.
Nel momento esatto in cui riferirono ad Einstein tutto questo, per
sdrammatizzare lui si mise al pianoforte in un angolo della sala e
iniziò a suonare Mozart. Poi si alzò e andò da lei a parlarle e a farle i
complimenti, perché come fisica la apprezzava tantissimo. Parlò
tutta la sera con lei. Piccola parentesi: la musica che suonò era la
Sonata K 378.
Per concludere il racconto su Marie Curie, mi piace l’idea di
riportare la lettera che Einstein le scrisse al termine di quel periodo
bruttissimo. Dopo il viaggio a Bruxelles, alla Curie arrivò la telefonata
da Stoccolma in cui le annunciavano che aveva vinto il suo secondo
premio Nobel – e questa volta tutto per lei, in chimica –, ma le
chiedevano di non andare a ritirarlo perché non volevano che lo
scandalo arrivasse fin lì. Marie Curie si chiuse in casa e visse il
periodo peggiore della sua vita. Fino a quando, dopo tre settimane,
ricevette una lettera di Einstein:
Non rida di me se le scrivo senza avere nulla di ragionevole da dire. Ma sono
talmente in collera per le maniere indecenti con cui il pubblico si sta
ultimamente interessando a Lei, da sentire il dovere di dare sfogo a questo
mio sentimento. Ad ogni modo, sono convinto che Lei coerentemente
disprezzi questa gentaglia, sia che questa elargisca ossequiosamente stima
nei suoi confronti sia che tenti di soddisfare il proprio appetito per il
sensazionalismo! Mi sento spinto a dirle quanto io sia arrivato ad ammirare il
suo ingegno, la sua energia e la sua onestà, e che mi sento fortunato ad aver
avuto la possibilità di conoscerla di persona a Bruxelles. Chiunque non
appartenga a questa schiera di rettili è certamente felice, ora e anche prima,
del fatto che abbiamo tra noi persone come lei, e anche come Langevin,
persone reali rispetto alle quali si prova il privilegio di essere in contatto. Se la
gentaglia dovesse continuare a occuparsi di Lei, non legga queste fesserie ma
piuttosto le lasci ai rettili per cui sono state prodotte.
Con i miei più amichevoli ossequi a lei, e a Paul Langevin,
cordialmente,
A. Einstein

Alla lettura di queste parole il cuore di Marie Curie si riempì di


gioia e, benché sempre più malata, decise di andare a ritirare il
Nobel. Salì le scale che l’avrebbero condotta sul palco della
premiazione tra due ali di folla festanti, malgrado quelle che erano
state le premesse, a testa alta, fiera come non mai. E tutto questo
grazie ad Albert Einstein, e alla sua lettera passata alla storia.
π

Caro Einstein, io e il mio amico Francesco vorremmo sapere cosa fa quando


non studia scienze. Così per sapere anche noi cosa fare.
E vorremmo avere qualche informazione sui suoi giochi e passatempi,
nessuno ce lo dice dei grandi. E come passa le giornate. Insomma, tutta la
sua vita reale.
Grazie per la risposta, Matteo da Roma (5a elementare)

Caro Matteo, la vita di Albert Einstein fuori dalla scienza è stata


molto interessante. Hai ragione tu, i libri di scuola e i grandi non ce la
raccontano. Pare quasi che la vita di Einstein debba stare lassù in
alto, intoccabile, sacra, e non vada fatta scendere tra noi. E, invece,
per me non è così. Quindi, te la racconto una volta per tutte.
Albert Einstein nacque a Ulma, una città del sud della Germania,
il 14 marzo del 1879, un venerdì. Sin dall’inizio della sua avventura
terrena, mostrò segni di un’esistenza assolutamente fuori
dall’ordinario. Pare che il padre Hermann e la madre Pauline
mostrassero una certa preoccupazione per quel loro figlio, che nei
primi anni di vita sembrava così diverso dagli altri bambini: una certa
forma del cranio, un’apparente dislessia, sicuramente una chiusura
ostinata nei confronti del mondo esterno. Albert Einstein iniziò a
parlare a tre anni e aveva il vizio, o meglio il vezzo, di ripetere la
stessa frase due volte, come se la persona che si trovava davanti
non capisse ciò che diceva. Certo era Albert Einstein fin da
bambino... Iniziò la scuola regolarmente all’età di sei anni e,
nonostante il luogo comune ormai tramandato, i suoi biografi
riferiscono che aveva un ottimo rendimento, malgrado i suoi
insegnanti lo descrivessero in termini poco benevoli. Come
passatempo, gli piaceva stare con gli oggetti in legno che costruiva
egli stesso, e giocare con un treno in miniatura che faceva correre
lungo i binari sistemati per terra nella sua stanza.
A nove anni iniziò a frequentare il Luitpold Gymnasium di
Monaco: andava bene in latino e in matematica ma non si adattava
al sistema scolastico e alla rigidità delle scuole tedesche. Nel 1895
lasciò il Gymnasium senza aver terminato gli studi e raggiunse a
Pavia la famiglia, costretta a spostarsi spesso per il lavoro del padre,
un imprenditore nella nascente industria elettrica. Detto fra noi, i
professori non si erano certo rattristati dell’abbandono del giovane
Einstein, una vera testa calda in continua polemica contro le regole
della geometria degli antichi greci e le leggi della fisica allora note.
«Con la sua sola presenza lei distrugge il rispetto della classe nei
miei confronti» gli urlò un professore una volta. Nell’autunno dello
stesso anno venne bocciato all’esame di ammissione al Politecnico
di Zurigo. Dunque non era uno studente così eccellente come ci
eravamo immaginati?! Ma sì, certo che lo era! In realtà ottenne voti
altissimi, ma c’era un piccolo particolare che non aveva tenuto in
considerazione: nel 1895 Albert Einstein era appena sedicenne, e
quindi non aveva né l’età né il diploma necessario per iscriversi
all’università. Una volta preso il diploma e raggiunta l’età giusta,
tornò a Zurigo, si ripresentò all’esame e fu finalmente ammesso al
Politecnico. Terminò più che brillantemente gli studi, nel luglio del
1900. Nonostante si fosse dimostrato uno dei migliori allievi, non
ottenne un posto come assistente al Politecnico di Zurigo, e dopo
aver vissuto per un paio di anni grazie a lezioni private di
matematica e fisica, nel 1902 venne assunto all’Ufficio brevetti di
Berna: un semplice lavoro di passacarte, che gli lasciava poco
tempo libero. Continuò le sue ricerche in sostanziale solitudine e
proseguendo in quella sua ostinata osservazione del mondo. Voleva
riscrivere la definizione della parola «tempo». E lo faceva pensando,
oziando, leggendo di nascosto Galileo e Newton. Fino ad arrivare a
quel 1905, l’anno della consacrazione, e della parola «tempo»
riscriverà eccome la definizione, creerà la teoria della relatività
ristretta. Lui stesso descriveva il suo modo di lavorare:
«Semplicemente immagino che sia così, poi cerco di provarlo». Nel
1921 arrivò il premio Nobel e la fama universale, imperitura.
Einstein era di famiglia ebraica, ma non credeva negli aspetti
strettamente religiosi dell’ebraismo: «La parola Dio non è niente di
più che un’espressione e un prodotto dell’umana debolezza, e la
Bibbia è una collezione di onorevoli ma primitive leggende, piuttosto
infantili [...] Per me la religione ebraica, come tutte le altre, è
un’incarnazione delle superstizioni più infantili». Credeva però nel
mistero. E suonava il violino. La musica costituiva una sorta di riposo
intellettuale: era convinto infatti che anche così il cervello
continuasse a lavorare. Einstein era un grande sostenitore dell’ozio,
del riposo. Gli piacevano le code, le file, le attese. Gli piacevano gli
orologi a pendolo, e gli specchi. Si racconta che un giorno, a un
amico che si scusava per averlo fatto attendere a un appuntamento,
sotto un ponte a Praga, Einstein rispose: «Non si preoccupi, non ho
perduto il mio tempo, stavo lavorando».
Anche dopo lo straordinario successo, Einstein continuava ad
avere orrore per qualsiasi imposizione. Tanto per dire: anche
nell’abbigliamento non sopportava l’omologazione o i modelli imposti
da altri. Metteva sempre un maglione, un paio di pantaloni sgualciti e
un paio di sandali. Spesso si presentava a qualche convegno per
tenere conferenze con i pantaloni sformati e senza calze, e non si
capacitava di come gli altri dessero importanza a simili dettagli, che
per lui erano solo sciocchezze.
Nel 1933 in Germania sale al potere Adolf Hitler, e viene
promulgata la legge che obbliga tutti gli studenti e i professori di
origine ebraica a lasciare le università. In quell’anno Einstein è a
Princeton presso l’Institute for Advanced Study, in qualità di docente:
non metterà mai più piede in Germania. Nel corso dello stesso anno
si dimette dall’Accademia prussiana e dall’Accademia bavarese delle
scienze, e nel 1935 fa formale richiesta di poter risiedere negli Stati
Uniti, ottenendo la cittadianza cinque anni più tardi (pur mantenendo
anche quelle svizzera).
Albert Einstein era dichiaratamente pacifista, antirazzista e
internazionalista e la sua vita negli Stati Uniti fu per oltre vent’anni
sotto osservazione dell’FBI, che raccolse un monumentale dossier di
circa 1427 pagine su di lui, nel quale si poteva leggere che Einstein
credeva, consigliava, difendeva o insegnava una dottrina ritenuta
«capace di permettere all’anarchia di progredire indisturbata». Si
legge anche che «era stato membro, sostenitore o affiliato a 34
movimenti comunisti». Nel 1999 però la rivista «Time», senza
menzionare le antiche accuse di socialismo, lo incorona come
personaggio del secolo.
Nel 1955 Einstein fu firmatario assieme a Bertrand Russell dello
straordinario manifesto contro la proliferazione delle armi atomiche:

Si apre di fronte a noi, se lo vogliamo, un continuo progresso in felicità,


conoscenza e saggezza. Sceglieremo invece la morte, perché non sappiamo
dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, come esseri umani, ad altri
esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se vi riuscirete,
si apre la via verso un nuovo paradiso; se no, avete di fronte il rischio di morte
universale.

La firma sotto queste parole fu l’ultima, ma veramente l’ultima,


azione della sua vita.

Extra capitolo π – La musica


Più di una volta, nelle sue dichiarazioni pubbliche, Albert Einstein
ha dato alla musica il merito delle sue intuizioni scientifiche. In
un’intervista del 1929, tra le altre cose, dichiarò che se non fosse
stato un fisico, probabilmente sarebbe diventato un musicista, «Io
penso spesso in musica. Quando fantastico ad occhi aperti la
musica mi accompagna, e vedo la mia vita in termini musicali».
Durante il suo periodo in Svizzera, Einstein aveva amava suonare
nei momenti di tensione una musica in particolare. Bach, Sonata n. 3
in mi maggiore per violino e clavicembalo (catalogata come BWV
1016). Questa musica gli permetteva di ritrovare la calma e
l’equilibro. Ho trovato traccia di questa melodia durante una serata
nella hall dell’Hotel Metropole di Bruxelles, dove Einstein era solito
essere ospite insieme agli altri fisici in occasione dei Congressi
Solvay. Anche a Bruxelles naturalmente si portava dietro il suo
amato violino, con il quale si intratteneva prima di andare a dormire.
Il fisico Paul Ehrenfest racconta che nella hall dell’hotel c’era un
grammofono a disposizione di tutti: una volta Einstein scelse
Beethoven e chiuse la giornata così, suonando per tutti i presenti la
Sonata n. 5 in fa maggiore per violino e pianoforte. Era la sera del
quinto Congresso Solvay, anno 1927; in quel convegno sarebbe poi
nata la fisica quantistica.
i

Caro dottor Einstein, mi dice cos’è la relatività, come e dove l’ha vista? Grazie,
le mando i saluti anche da parte di mia mamma Sophie.
Io sono Christopher, ho 8 anni, abito a New York, da grande voglio essere lei

Caro Christopher, so che Einstein ti ha inviato la sua risposta, ma


voglio comunque aggiungere qui anche la mia. La tua è la domanda
più bella che si possa fare ad Albert Einstein. Complimenti! E ti dirò
di più, alla tua età la puoi fare soltanto a lui. Quando ero piccola io, e
facevo quella domanda, i grandi a cui mi rivolgevo mi dicevano che
non era il momento di sapere quelle cose, ero troppo piccola. E così
sono cresciuta con l’idea che per capire la relatività fosse necessaria
la maggiore età, come per prendere la patente! In realtà, crescendo,
ho capito soltanto che niente di tutto questo era vero. Einstein si
divertiva un mondo a immaginare, a fare pensieri divertenti, a dare
spiegazioni semplici alle cose scientifiche che studiava. Faceva voli
incredibili con la fantasia, usando raggi di luce, orologi, treni,
campanili. Per questo, tutti possiamo capire quello che lui intendeva
dirci. E ora ti racconto anche come Einstein è diventato Einstein, per
lasciarti ispirare, visto che vuoi diventare come lui.
Per vedere la sua relatività, Einstein studiò a lungo i testi e i libri di
Newton e Galileo. Prendeva quei libri e se li portava sotto un albero
in giardino per leggerli e rileggerli. Era la sua occupazione preferita.
Einstein leggeva il principio di Newton, poi chiudeva gli occhi e lo
immaginava. Quando pensava all’accelerazione, non si concentrava
sulle formule o sui numeri. Faceva così: immaginava una palla
sparata nel cielo. Poi immaginava una palla sparata nello spazio, a
cui è stata applicata la stessa forza che alla palla precedente. E poi
si chiedeva: quale palla vince la gara di velocità?
Un’altra sua occupazione prediletta era riflettere sul tempo. Sulla
parola «tempo». Voleva dare un’altra definizione alla parola, non gli
piaceva quella in uso, non gli bastava, voleva darne una tutta sua,
una più bella. E così passava ore a pensare al tempo. Guardava il
campanile della torre di Berna per ore e ore, e poi guardava la
gente.
In un intervallo di tempo fisso, sempre lo stesso, guardava i
movimenti di una persona, e poi quelli di un’altra, e li paragonava.
Lui pensava: se guardate una rappresentazione teatrale, ad
esempio, un’ora e mezza passa con un certo intervallo di tempo, ma
la stessa ora e mezza nella vita di tutti i giorni, mentre ad esempio si
fa la spesa o si studia, non vale la stessa durata. E la stessa ora e
mezza per gli attori in scena, che magari ripetono la parte da sei
anni, sempre con le stesse battute, non scorre alla stessa maniera
che per un attore esordiente.
Poi, c’è da dire un’altra cosa. Tra le occupazioni preferite di
Einstein, quella che cioè gli faceva passare il tempo velocemente,
c’era corteggiare le ragazze. Lo faceva con molta facilità, da
giovane. Fino a quando non ne ha trovata una che non ne voleva
sentire di avere altre rivali. Gli anni erano quelli del Politecnico di
Zurigo, e sto parlando ancora di Mileva Marić, naturalmente. Lei era
l’unica donna tra i banchi che seguiva le lezioni con lui. Mi sono
quindi immaginata come si possa essere rivolto a lei, per farla
innamorare. Tramite Mileva la mia fantasia è volata lontano.
Seguitemi, che la cosa si fa interessante. Ecco come può aver
corteggiato Mileva: «Signorina Marić, quando parlo con lei mi
sembra di riuscire a fermare il tempo. Non riesco a fare a meno di
pensarla quando non la vedo, e mi piacerebbe avere la possibilità di
conoscerla meglio, stando di più insieme. Forse a lei pensare di
lasciarci appena finisce la lezione e rivederci la mattina successiva
in aula sembra un battito di ciglia, ma per me è un’eternità. Eppure,
si sa, il tempo non può procedere a due velocità diverse». Bello, no?
Come può una donna resistere a queste parole?
Una volta, mentre facevano un giro in bicicletta per le strade di
Zurigo, Einstein si mise a pedalare più forte, e poi ancora più forte,
sempre più forte, perché voleva diventare una particella di luce.
Voleva immaginare cosa volesse dire viaggiare a 300 000 chilometri
al secondo. Mentre pedalava velocissimo, immaginava di essere
un’onda che viaggia nell’etere, e lanciato in una folle corsa decise di
seguire un treno che gli viaggiava di fianco. Pedalò ancora più
veloce e gli sembrò quasi di andare veloce come il treno, e proprio
quando raggiunse una velocità esorbitante gli sembrò di essere
immobile nel tempo, gli sembrò di fermare il tempo.
Questo è stato un passaggio fondamentale, nel grande processo
di immaginazione che lo avrebbe portato alla teoria della relatività.
Un’altra volta era alle prese con lo studio della legge di
raffreddamento di Newton (era una delle poche volte che studiava:
solitamente si presentava agli esami con poche nozioni in testa,
sparse qua e là). Non concluse la frase che stava leggendo, buttò
via i libri, mise le mani dietro la testa, e si mise a immaginare. Di
nuovo. Qualcosa d’altro, qualcosa di ancora più grandioso. Si mise a
immaginare le molecole. A quei tempi ancora nessuno aveva dato
una definizione di molecole, nessuno le sapeva rappresentare. Lui lo
fece. Suppose che le molecole fossero delle persone, e le mise
dentro una stanza. All’inizio le mise in una stanza piccola, e osservò
come si muovevano. Poi decise di metterle in una stanza più grande,
dove veniva organizzato un ballo. La stanza era grande e le persone
erano libere di muoversi senza scontrarsi. Le lasciò ballare
liberamente nella sua testa, e poi fece una magnifica deduzione: più
volume, meno collisioni, minore pressione... Decise di scrivere un
articolo su questa trovata, che aveva chiamato «esperimento
mentale» (cioè un esperimento fattibile solo nel laboratorio del suo
cervello). Lo scrisse e ne fece diverse copie, le spedì alle più
importanti riviste svizzere e tedesche. Si era fatto un film in testa,
pensava di aver dedotto il modo per provare l’esistenza delle
molecole, e di diventare famoso grazie a quell’esperimento mentale.
Nessuno gli pubblicò mai l’articolo, anzi ancora peggio: proprio
nessuno prese sul serio i suoi ragionamenti. E allora lui decise di
pubblicarne un altro. Voleva inserire quel suo ragionamento in
qualcosa di più grande, non lo buttò via, lo tenne lì. Continuò a
pensarci, a creare nuovi esperimenti mentali. Ma senza costanza,
occasionalmente tra un caffè e un altro al bar con gli amici, che
infatti lo vedevano sempre ciondolare da un tavolino all’altro.
Lontano, a Vienna, Ludwig Boltzmann accennava a nuove
definizioni di atomo. Ancora più lontano, a Berlino, Max Planck
pubblicava sugli «Annalen der Physik» tutte le novità sulla fisica
teorica. Albert Einstein, invece, faceva esperimenti mentali e
perdeva tempo.
Era la sua occupazione preferita, e consigliava a tutti il suo modo
di vivere. Meglio riposare e stare a casa, non lavorare, diceva; solo
se si perde tempo si arriva da qualche parte. E aveva ragione lui.
Arrivò il 1905, e gli esperimenti mentali che fece in quell’anno lo
consacrarono per sempre come genio indiscusso. Si era trasferito a
Berna, e restava a guardare la torre dell’orologio per ore, dopo il
lavoro all’Ufficio brevetti, quella era diventata la sua nuova
occupazione preferita. Nel frattempo, dopo cinque anni di insistenze,
iniziarono a pubblicare i suoi articoli sugli «Annalen der Physik». Ma
nessuno pareva leggerli. Un giorno pubblicò Un punto di vista
euristico relativo alla generazione e alla trasformazione della luce.
Ancora una volta non ottenne nessuna risposta, nessuna menzione
negli articoli successivi, nessuna nota che rimandasse ai suoi
ragionamenti, il mondo scientifico taceva di fronte ai suoi
ragionamenti. Lui non si diede per vinto. Me lo sono immaginato
mentre notava imbufalito che i suoi articoli venivano ignorati: «Il
mondo scientifico non ha aperto bocca, ancora. Va bene. Ne
pubblicherò un altro. E se non mi notano ancora, ne scriverò un
altro. Niente? Un altro ancora. Un altro ancora. Non possono
ignorami per sempre. Mi serve trovare un nuovo problema,
un’incongruenza, un paradosso, qualcosa che nessun altro vede...»
Lui voleva trovare qualcosa che nessun altro vedeva, voleva dare
risposte a domande che nessuno pensava fossero domande. Ecco
che le molecole tornarono a essere la sua ossessione. Riprese in
mano il suo vecchio articolo, un giorno mentre faceva colazione. E
guardando la tazzina del caffè e lo zucchero che si scioglieva dentro
immaginò una cosa nuova: «E se la tazza di caffè che ho davanti
avesse ragione? Quando lo zucchero si dissolve nel caffè, l’acqua
circonda il glucosio e gli strappa dei cristalli, giusto? Più zucchero
aggiungo, più denso diventa il caffè. Se riuscissimo a calcolare la
pressione osmotica forse potremmo dedurre l’esatto numero di
molecole!»

Ed ecco che scrisse un altro articolo, esattamente con questa


spiegazione per il calcolo delle molecole, che nessuno prima aveva
fatto. Lo ignorarono ancora. I paludati accademici dicevano che
aveva «troppa ambizione, questo ragazzo».
Passò altro tempo. Un giorno era seduto davanti alla torre
dell’orologio di Berna, su una panchina, e di fianco aveva il suo
amico Michele Besso, un ingegnere svizzero di origine italiana (lo
frequentava perché gli dava ai nervi la sua formazione da ingegnere,
diceva che gli ingegneri non immaginano mai abbastanza, quindi lo
usava per i suoi esperimenti mentali). Immaginiamo cosa possono
essersi detti:

Tempo fa ho brevettato un aggeggio, che ora è montato sull’orologio della


torre di Berna.
Quel marchingegno ogni ora emette un segnale alla velocità della luce, che
arriva a degli orologi che si trovano a Ginevra, a Basilea, a Zurigo,
sincronizzandoli. Ma cosa succederebbe se spedissimo il segnale verso un
orologio che sta su un treno in corsa? Immagina di avere un orologio, qui,
fermo; e adesso cerca di sincronizzarlo con uno laggiù in movimento. Cosa
succede? Gli orologi si sincronizzano perché il tempo e lo spazio sono
assoluti, secondo Newton. Ma perché ciò sia vero, la luce dovrebbe accelerare
o rallentate la sua velocità, per mantenere gli orologi sincronizzati. Ma Maxwell
dice che la luce si muove a un’unica velocità. Quindi è Newton o è Maxwell ad
aver ragione. Non possono averla entrambi!

(A questa conclusione Michele Besso suppongo abbia obiettato


che soltanto Newton tra i due poteva avere ragione, perché gli
ingegneri ragionano così...). Dopo questo straordinario esperimento
mentale, che ancora non aveva una conclusione, Einstein si chiuse
nella sua stanza, e ci rimase a pensare per tre giorni consecutivi.
Non uscì mai, e non dormì mai. L’unico svago era giocare con un
trenino, un giochino che aveva montato in casa su binari in miniatura
che attraversavano tutta la stanza del figlio Hans Albert (nel
frattempo si era sposato con Mileva, e Hans Albert era il loro primo
figlio maschio, la prima figlia, Lieserl, era morta di tubercolosi).
Una mattina ebbe un’intuizione geniale. Immaginiamo di nuovo
cosa raccontò a Michele Besso:

Immagina di guardare un binario ferroviario...


Immagina che passi un treno... Immagina che questo treno viaggi più
velocemente di qualsiasi treno che tu abbia visto. Ora, mentre il treno passa,
voglio che immagini due fulmini che cadano oltre il binario, nello stesso
momento, a cento metri di distanza uno dall’altro. Ora immagina di trovarti al
centro del treno, durante la stessa identica scena. In questo caso, i lampi
sarebbero comunque simultanei?

(Michele avrà risposto di sì, certo; Einstein dovette insistere, per


farlo immaginare meglio).

No... non se la luce si muove a una velocità fissa, come dice Maxwell!
Riprova, chiudi gli occhi. Immaginati di nuovo sul treno e pensaci bene, rivedi i
lampi, pensaci attentamente, il treno sta viaggiando... Vedi che i fulmini non
sono simultanei, li vedi?! Perché ti stai allontanando da uno e stai andando
verso l’altro. Per me che stavo fermo invece i due fulmini erano simultanei.
Come è possibile che abbiamo vissuto diversamente lo stesso evento? A
meno che... non sia Maxwell a prendersi la pallottola in faccia, ma Newton!
Capito, no? Il tempo non è assoluto!

Decise di scrivere un articolo, con tutto questo ragionamento


dentro. Il titolo dell’articolo era L’elettrodinamica dei corpi in
movimento. Albert Einstein aveva risposto a una domanda che
nessuno si stava ponendo: fu questa la sua grande rivoluzione. E in
una nota a margine di un altro articolo, di poco successivo, scrisse
una piccola formula E = mc², che fece il giro del mondo, e questa
volta suscitò i commenti di tutti. Una formula magnifica. Gli articoli
che Einstein pubblicò nel giro di sette mesi furono sei – anche uno
solo di quelli lo avrebbe iscritto per sempre nell’olimpo della scienza,
e lui ne scrisse sei. C’era riuscito, aveva riscritto la definizione della
parola tempo: aveva definitivamente dato al mondo la sua teoria
della relatività ristretta. Il suo sogno era raggiunto. Ma era soltanto il
primo. Tra il 1905 e il 1909, Einstein pubblicò una quarantina di
scritti, che approfondivano la relatività e rispondevano alle critiche
che gli venivano mosse. Di critiche Einstein ne riceveva parecchie.
I paludati accademici gli davano contro sostenendo che la sua
relatività era senza dubbio già stata espressa da Hendrik Lorentz,
ma in realtà non ne capivano le differenze. Einstein, dal canto suo,
stava espandendo ancora la sua visione del mondo, e voleva creare
qualcosa di più grande, che inglobasse tutto. Faceva sempre così:
ogni volta che arrivava a una conclusione, poi voleva generalizzare,
e trovare qualcosa di più grande che contenesse i ragionamenti
precedenti. Così aveva fatto per Newton, e poi per Maxwell, e così
faceva anche per le sue teorie.
Un giorno, mentre si trovava a vivere un’altra situazione reale,
immaginò qualcosa di nuovo:

L’altro giorno ho preso un ascensore, per raggiungere degli amici a cena in


una casa al quinto piano... Quando l’ascensore è partito, ho sentito una botta
strana dentro la pancia. Come se l’ascensore avesse avuto un percorso al
contrario e si fosse messo a scendere. Come se l’ascensore stesse cadendo e
io stessi fluttuando al suo interno.
All’inizio è stato terrificante. Ma poi all’improvviso era come se non avessi più
avuto peso... Perché un uomo che cade non sente il suo peso! Il mio cappello,
i miei fogli, la mia pipa stavano cadendo insieme a me. Ma poi l’ascensore ha
preso a salire... stava accelerando per recuperare terreno in direzione
opposta... e quindi ha prodotto in me la sensazione opposta... sentivo il
pavimento che mi spingeva... questa è la gravità... come ho fatto a non capirlo
prima: l’accelerazione e la gravità sono la stessa cosa.

Era questa l’idea che gli mancava per completare la teoria della
relatività, per aggiungerci un altro pezzo che completasse l’opera.
Una riflessione sulla gravità mancava, non ne aveva tenuto conto
nella sua prima teoria. Da quel momento, Albert Einstein
letteralmente esplose. Fu il periodo più bello della sua vita. Anche se
coincise con la separazione da Mileva. I due non si capivano più, i
figli erano diventati due, ma Einstein era in volo. Mileva smise di fare
la fisica, la società maschilista e sessista aveva avuto la meglio.
Un giorno Einstein era a una cena, e una cameriera incuriosita dai
suoi discorsi gli chiese di spiegargli la teoria della relatività con
parole semplici. Lui la accontentò. Immaginatevi la scena: Einstein
che le risponde serio «Signorina, certo che gliela spiego, glielo
racconto subito...» A capannello si chiusero in venti intorno a lui ad
ascoltare. Albert Einstein stava per spiegare a tutti cos’è la relatività.
Tutti in silenzio, zitti, non si sentiva volare una mosca. C’era anche il
suo amico Michele Besso, che si sporgeva ancora di più, per sentire
meglio. Silenzio. Stava per parlare...

Signorina, se venissi chiuso per due ore in una stanza con lei, il tempo
sembrerà passarmi in un attimo. Se invece... be’, sì... se venissi chiuso per
due ore in una stanza con il qui presente, ingegnere illustrissimo Michele
Besso, il tempo sembrerà non passarmi mai! È semplicemente questa la
relatività, signorina...

Einstein rispondeva alle domande di tutti, cercava di rendere la


fisica semplice e di facile comprensione. Una volta litigò con
Wolfgang Pauli, durante un simposio pubblico. Pauli era un fisico
viennese (divenuto famoso, tra le altre cose, per il principio di
esclusione), e sosteneva che la fisica non va mai banalizzata e resa
semplice per tutti, perché lui e quelli come lui ci avevano messo una
vita per capirla. Mentre Einstein sosteneva il contrario: diceva a Pauli
che se non riusciva a spiegare a un bambino il suo principio di
esclusione, allora voleva dire che non lo aveva capito neanche lui. E
Pauli gli rispondeva che non voleva spiegarlo a un bambino. Le
discussioni tra i due andavano avanti per ore. Ieri come oggi, c’erano
– e ci sono ancora – queste due scuole di pensiero. Chi dice che la
fisica deve essere raccontata con semplicità, e deve essere alla
portata di tutti; e chi invece sostiene il contrario. Io sto dalla parte di
Albert Einstein (immagino fosse chiaro).
A un certo punto, Einstein ebbe un’altra intuizione delle sue.
Realizzò un’altra conseguenza alla sua idea. Disse: la gravità piega
la luce.

Immaginate un tronco che galleggia in un fiume. Il tronco supponiamo sia una


particella di luce e il fiume supponiamo sia lo spazio. Ora immaginate di veder
passare un barcone che sta navigando, ecco, quello è il Sole, mentre si
muove increspa l’acqua... quindi la gravità del Sole modifica la forma dello
spazio. Quelle pieghe che il barcone ha creato arrivano fino al tronco, cioè alla
nostra particella di luce... e quindi: la gravità piega la luce.

Ma per provare questa intuizione, questa volta non potevano


bastare oggetti semplici, come ascensori e orologi. Era necessario
un atrofisico, per guardare le stelle. Einstein allora si mise a cercare
un buon astrofisico, finché nel 1919 si palesò di sua iniziativa un
inglese che il 29 maggio durante un’eclisse totale di Sole fece delle
fotografie che dimostrarono la deflessione gravitazionale della luce.
Si chiamava Arthur Eddington. Fu lui il principale artefice della
fortuna di Einstein. Verificò sperimentalmente la teoria della relatività
generale.
L’eclissi sarebbe stata visibile solo nella fascia dell’Atlantico, e fu
inviata una spedizione all’Isola di Principe, al largo delle coste
dell’Africa, finanziata dal governo inglese (per alcuni ciò fu uno
smacco, perché inglesi e tedeschi erano stati in conflitto durante la
guerra, per altri invece fu un motivo di pace tra i due popoli). Il
«Times» titolò Einstein contro Newton, e nell’articolo era scritto
«L’eclissi ha evidenziato una variazione della gravità, la deviazione
dei raggi di luce intacca i principi di Newton». Il Nobel per Albert
Einstein arrivò nel 1921, e gli fu assegnato per la scoperta della
legge dell’effetto fotoelettrico. Per quella motivazione Einstein rise
tantissimo, perché i paludati accademici non accettavano ancora la
relatività, e siccome dovevano premiarlo – perché ormai era
diventato il fisico più famoso al mondo, la relatività aveva incuriosito
tutti ed era diventata un fenomeno di massa – lo premiarono per
l’effetto fotoelettrico, che riguardava una sua intuizione alla base
della nascente fisica quantistica (su questo tornerò più avanti). La
consacrazione di Einstein arrivò dopo: le sue equazioni tentavano di
rappresentare un mondo imperfetto, e l’unico modo per farlo è stato
di introdurre imperfezioni nei fondamenti della teoria. Aveva ragione
a dire che sono i dettagli imperfetti a rendere tutto perfetto. Metafora
magnifica, la fisica. Per la teoria della relatività generale, Albert
Einstein si mise a capire quale doveva essere la matematica più
utile, la studiò e se ne servì. Tullio Levi-Civita, Gregorio Ricci
Curbastro, Bernhard Riemann, i tensori, tutta roba difficile e lui lo
sapeva, non bastavano più le equazioni differenziali per raccontare
la relatività generale, doveva studiare e usare un’altra matematica.
Quando un bambino gli disse che trovava difficile la matematica, lui
rispose «Che cosa dovrei dire io?!». Sì, perché ad Einstein della
matematica non importava poi tanto, semplicemente la usava, se gli
serviva. E siccome in quel caso, per formalizzare la teoria della
relatività generale, non poteva usare una matematica facile (come
quella della relatività ristretta), doveva appropriarsi di una più
difficile, prenderla, e applicarla al suo caso specifico. E quello fu un
altro periodo della sua vita, fatto di calcoli tensoriali e scambi di
lettere con i matematici più bravi che aveva conosciuto nella sua
vita.
Una volta formalizzata anche la teoria della relatività generale,
Einstein si rilassò. E iniziò l’ultima fase della sua esistenza. Quella
del divo riconosciuto da tutti per strada. E poi la fase americana, la
teoria della grande unificazione, e tanto altro che ancora devo
raccontarvi.

Extra capitolo i – La musica


La madre di Einstein, Pauline, era una pianista di talento e questo
fatto stimolò il piccolo Albert ad avvicinarsi con entusiasmo alla
musica.
Si racconta che già all’età di sei anni abbia iniziato a studiare il
violino e che a tredici eseguisse le prime sonate di Mozart. Proprio
come era nel suo stile, quando iniziarono a fargli i complimenti per la
sua bravura e i professori a congratularsi per la velocità con cui
imparava, smise di prendere lezioni. E fece di testa sua. Lasciò che
il suo intuito lo guidasse per esprimersi al meglio. Niente doveva
essere ridotto a schemi. Essere autodidatta era la sua prima regola
di vita. Einstein improvvisava, e suonava solo quello che gli piaceva.
Quando si trasferì da Monaco in Svizzera, nel 1895, per
completare la sua istruzione, dedicò molto del suo tempo alla
musica: in particolare svolse un durissimo lavoro di studio sulla
Sonata n. 1 per violino in sol maggiore di Brahms, a seguito della
visita ad Aarau del grande violinista Joseph Joachim. A diciassette
anni Einstein sostenne un esame scolastico che comprendeva
anche la materia musicale. E pur praticando la musica
occasionalmente, e solo per diletto, per gioco, suonò davanti a tutti
Bach, un brano della Partita n. 2 per violino in re minore (catalogata
come BWV 1004). Ricevette i complimenti da parte di tutta la
commissione.
γ

Caro signor Einstein,


Sono una bambina di sei anni.
Ho visto la tuo foto sul giornale. Secondo me devi tagliarti i capelli, così diventi
più bello.
Tua, Ann

Cara Ann, so per certo che Albert Einstein ti ha risposto, e credo


anche l’abbia fatto nella maniera più simpatica possibile, visto il tuo
spirito così arguto, estroso e propositivo, qualità che lui apprezzava
tanto. È giunto per me il momento di approfondire una grande
caratteristica di Albert Einstein, il suo anticonformismo. Anche
questo fa parte dei doni preziosi che ci ha lasciato in dote.

I capelli per Albert Einstein erano proprio la sua ultima


preoccupazione. Figurati, non amava nessuna forma di rigore
imposta dall’alto come regola di vita, tenere in ordine i capelli
risultava quindi un pensiero inesistente per lui. Einstein detestava le
frasi fatte, non ossequiava i potenti, non ha mai scambiato la sua
libertà per il denaro, non ha mai steso tappeti rossi per un posto di
lavoro o una promozione. Anzi, rifuggiva le promozioni e tutti coloro
che se ne beavano. Tra il rigore di un professore universitario
vecchio stampo alla Minkowski e l’estrosità di uno Schrödinger, lui
preferiva Schrödinger.
Tra una serata passata ai tavolini di un caffè e una a espletare le
sue funzioni pubbliche in un ritrovo di cattedratici, preferiva
senz’altro il caffè. Tra le ciabatte e le scarpe, preferiva le ciabatte.
Tra un maglione liso e una camicia, preferiva il maglione. Tra un paio
di pantaloni senza più alcuna forma e un frac, preferiva i pantaloni
sformati. Quando viveva in Svizzera, aveva accolto con gioia il
lavoro all’Ufficio brevetti, e al livello più basso della gerarchia
aziendale, perché così non c’era competizione con altri per un posto
che riteneva inutile. La competizione lui la metteva in atto solo per
gareggiare contro se stesso. Le cose a cui certe persone danno
peso nella vita di tutti i giorni erano per lui dettagli inutili. Erano
sciocchezze, e così le liquidava. Le apparenze non gli importavano,
sia riguardo a sé, sia nei confronti delle persone che aveva di fronte.
Solo la libertà desiderava, e la custodiva come il bene più prezioso
di un essere umano. Libertà di pensiero, di parola, di religione, di
sesso, e su questo disse la sua in diverse occasioni durante i dibattiti
pubblici, e sulla stampa. Tante interviste che fece in America erano
incentrate sulla libertà che ogni essere umano deve pretendere.
Libertà di frequentazioni, di scelte, di azioni. La sua vita negli Stati
Uniti fu caratterizzata dalla presenza costante di folle festanti e
curiose intorno a lui, appena si muoveva; appena pronunciata, ogni
sua dichiarazione usciva sui giornali: per questo si sentì in obbligo di
diffondere i valori più alti, e le conquiste straordinarie che si possono
fare in una vita terrena.
Albert Einstein faceva i suoi viaggi da Princeton, dove abitava,
verso New York prendendo il Dinky, un trenino che collegava (e
collega tuttora) le due città, che si trovano più o meno a novanta
chilometri di distanza. Questi viaggi erano molto frequenti, perché a
New York c’erano le sedi dei più importanti giornali e delle radio. Il
percorso in treno era per lui l’occasione per parlare con la gente
comune, per firmare autografi, ma anche per ascoltare i problemi
degli altri. Una volta arrivato a New York, in strada veniva
immediatamente riconosciuto, e chiunque gli chiedeva di difendere i
propri diritti o sostenere le proprie battaglie: associazioni di ogni tipo,
qualsiasi classe sociale. Anche per questo lui si sentì investito di
un’enorme responsabilità.
Con Albert Einstein la figura dello scienziato diventa un punto di
riferimento, un vero e proprio libero pensatore. Molto lontano da un
Newton o da un Maxwell, ma molto vicino ai modelli verso cui stiamo
andando di nuovo oggi. Dall’America e dall’Inghilterra, infatti, figure
come la sua stanno prendendo sempre più piede, e tornano a
essere molto ambite dai media e dalla stampa. Freeman Dyson mi
ha raccontato di questa nuova voglia di avere un fisico-pensatore nei
salotti televisivi, nelle redazioni dei giornali, nelle serate mondane
come special guest tra gli invitati. Pare proprio che il fisico-pensatore
sia il nuovo modello che i giovani vogliono seguire, e nel mondo
anglosassone è una tendenza sempre più in crescita.
Molto interessante. Fisici che si esprimono su ogni cosa, a
prescindere dagli argomenti, e che proprio perché fisici seguono un
ragionamento logico e scientifico di cui ormai non si può più fare a
meno.

In seguito alla scoperta dell’energia atomica, i politici, i militari e la


gente comune capirono che una nuova idea scientifica può
trasformarsi in poco tempo in qualcosa di potente e spaventoso, in
grado di cambiare le loro vite. All’inizio del XX secolo il ruolo dello
scienziato cambiò, e da puro e semplice investigatore dell’universo
si trovò a fare i conti con scelte morali che potevano influenzare la
vita di milioni di persone. E anche favorirne il progresso.
Einstein aveva capito prima di altri che scienza ed etica sono
legate fra loro, e uno scienziato è prima di tutto un cittadino del
mondo, con le proprie idee e posizioni politiche: deve fare delle
scelte, e avere delle opinioni. Contestò duramente il potere, e
impegnò una grande parte delle sue energie a criticare il sistema
scolastico, sempre troppo indietro rispetto ai ragazzi.
A parte la grande utilità pratica delle sue teorie, ciò che Einstein ci
ha lasciato è una visione nuova del mondo. Una visione aperta,
solare, suggestiva, e molto più calda dei freddi assi cartesiani di
Newton. L’universo di Einstein è tumultuoso, è un sali e scendi
continuo, è impeto, pancia, istinto, è passione inseguita fino allo
sfinimento. Come faceva con la fisica, e con le teorie che voleva
inseguire, alla stessa maniera faceva con i valori che voleva
diffondere.
Nella seconda parte della sua vita, come ho già accennato,
Einstein cambiò la sua idea di dio. Il dio che prima ripudiava divenne
un «Dio sottile ma non malizioso», un dio che ha steso davanti a noi
tutta la complessità dell’universo e di cui noi non possiamo che
ammirare il mistero. Einstein credeva nel mistero: la parola
«mistero» stimolava in lui nuovi pensieri, ma poi diceva che solo
usando l’intelligenza è possibile trovare le soluzioni, altrimenti tutto è
soltanto fine a se stesso, e questo terreno è buono solo per i filosofi.
Il fisico, diceva Einstein, è qualcosa di più di un filosofo. Un fisico
usa tutto, usa la filosofia, usa la matematica, e tira fuori qualcosa
che non esiste, con basi solide e mirate a comprendere il mondo.
Un’altra grande eredità che Einstein ci ha lasciato in dono è il
desiderio del gioco. Einstein giocava sempre. Era sempre indaffarato
in qualche attività ludica. Tra gli oggetti più interessanti che ho
potuto ammirare con estremo interesse a Princeton, nei due musei a
lui dedicati, ci sono i giocattoli con cui si dilettava e passava il tempo.
Anche da adulto, soprattutto da adulto.
Un oggetto fra tutti mi ha incuriosito: un oggetto di plastica
rotondo, con una vetrina trasparente, che si tiene anche con una
sola mano, con dentro un labirinto fatto di muretti di plastica, e una
pallina di metallo che deve trovare la strada da percorrere. Facendo
oscillare l’oggetto con il movimento della mano, la pallina procede
nel labirinto. Il gioco consiste nel farla partire da un estremo e farla
arrivare all’altro, trovando la strada giusta. Ecco, con un gioco così in
mano Albert Einstein era felice. Passava ore a giocarci. E mai smise
di farlo, fino alla morte. Sembra assurdo, vero? Eppure è così.
Alla stessa maniera, amava giocare con un Sistema solare in
miniatura, fatto con enormi palle rotanti: al centro naturalmente il
Sole, e via via negli orbitali esterni tutti i pianeti. Amava giocare con i
fiammiferi, li spargeva per terra e costruiva le forme più svariate,
passando da una a un’altra spostando solo un numero limitato di
fiammiferi, e invogliava chiunque a trovare la soluzione. Era sempre
alla ricerca di compagni di giochi. Quando conobbe Niels Bohr, il
fisico danese premio Nobel nel 1922, l’anno dopo il suo, non poteva
credere ai suoi occhi. Anche Bohr amava giocare, era il suo
compagno di giochi preferito. Einstein e Bohr litigavano, eccome se
litigavano. Hanno litigato anche per la creazione della fisica
quantistica, ma questa storia ve la racconterò più avanti.
Un altro ottimo compagno di giochi era il fisico olandese Paul
Ehrenfest, con cui Einstein passava ore a giocare a scacchi. Con
Mileva invece giocava a carte, e spesso costruivano castelli sul
pavimento – una volta costruirono un’intera citta dispiegata su più
stanze.
La libertà per Albert Einstein era anche questo. Secondo Einstein,
un uomo di scienza necessita prima di tutto di libertà interiore. Uno
scienziato deve affrancarsi dai pregiudizi, e deve costantemente
convincersi da capo, quando emergono fatti nuovi, e cambiare idea,
se quanto emerso dai fatti nuovi svela altre direzioni. In modo
comunque autorevole, ma con questa libertà interiore.
L’indipendenza intellettuale è l’esigenza fondamentale dello
scienziato. E la libertà politica e altresì straordinariamente
importante per il suo lavoro. Lo scienziato, secondo Einstein, deve
essere in grado di esprimere ciò che gli sembra vero senza
preoccuparsi delle accuse che gli possono essere mosse, o delle
critiche che eventualmente gli vengono fatte. La libertà assoluta è
una delle pretese che Albert Einstein ha sempre invocato per lo
scienziato. Il progresso della scienza sta anche nella sua diffusione,
e per Einstein la diffusione deve essere fatta in ogni luogo, senza
distinzione, e più si raggiungono le persone comuni, più alto è il
risultato.
Einstein pretendeva che i fisici fossero anche buoni comunicatori,
e che la loro visibilità non dipendesse da condizionamenti di alcun
tipo, ad esempio di sesso o di religione. Donne e uomini, buddhisti o
cristiani, tutti con la piena libertà e sulla stessa scala di merito,
quando si parla di scienza. Tant’è che Einstein trovò in Marie Curie
uno dei suoi più grandi interlocutori intellettuali, si innamorò di Mileva
Marić, la prima fisica donna che conobbe nella sua vita, ebbe a
cuore Emmy Noether, che definì la più grande matematica di tutti i
tempi. Il sostegno che Einstein diede alle scienziate è stato grande –
peccato che i biografi di Einstein siano stati tutti uomini (fino ad ora,
naturalmente).

Un’altra libertà di cui Einstein diffondeva il valore era la libertà di


comunicazione. Per lo sviluppo e l’avanzare del progresso pensava
che la comunicazione dovesse essere capillare, continua e su più
fronti. Incitava i fisici a tenere banco, a esporsi, e diceva che un
fisico è anche un ottimo attore teatrale, perché ha un mondo dentro,
e deve riuscire a tenere la scena con grande maestria su qualsiasi
palcoscenico.
E poi diceva che in primo luogo, in ogni paese del mondo, deve
essere garantita per legge la libertà di espressione. Ma le leggi da
sole non possono assicurare la libertà di espressione: affinché un
uomo possa esporre liberamente il proprio punto di vista ci deve
essere uno spirito di tolleranza in tutti i popoli. Un simile ideale di
libertà, diceva, non può essere ottenuto completamente, ma deve
essere perseguito senza indugio per far progredire il pensiero
scientifico, e in generale quello filosofico e creativo. Per garantire lo
sviluppo spirituale di tutti gli individui è necessario un secondo tipo di
libertà, una libertà «esterna». L’uomo non dovrebbe lavorare tanto
per soddisfare i propri bisogni, perché il lavoro gli ruba le forze e il
tempo per coltivare se stesso, per portare avanti le proprie attività
personali di crescita interiore. I progressi tecnologici potrebbero
creare le condizioni per questo tipo di libertà, senza la quale per
Einstein la libertà di espressione è inutile.
Lo sviluppo della scienza, e delle attività creative dello spirito in
generale, esige inoltre un ulteriore tipo di libertà, una sorta di libertà
interiore di livello maggiore. Si tratta di quella libertà dello spirito che
consiste nell’indipendenza del pensiero dalle restrizioni di pregiudizi
autoritari e sociali, così come dalla routine e dall’atteggiamento
antifilosofico in generale. Questa libertà interiore è un raro dono di
natura e un degno obiettivo per l’individuo. La comunità può fare
molto per favorirla, o almeno non interferire con il suo sviluppo. È ciò
che accade nelle scuole, che possono interferire con lo sviluppo
della libertà interiore imponendo ai giovani modelli dall’alto, oltre a
eccessivi carichi di lavoro. Allo stesso tempo, le scuole possono
favorire una tale libertà incoraggiando il libero pensiero. Solo se la
libertà esterna e quella interna vengono costantemente e
coscienziosamente perseguite, c’è possibilità di sviluppo e crescita,
di ciascuno di noi e della società in cui viviamo.

Extra capitolo γ – La musica


La segretaria di una vita di Albert Einstein fu Helen Dukas.
Scrisse che spesso si fermava a guardare Einstein quando era
incantato nell’ascolto di una musica proveniente dal grammofono di
casa. Era una delle poche volte in cui lo vedeva immobile.
Della sua musica e della sua fisica Albert Einstein diceva che
entrambe nascevano dalla stessa fonte ed erano complementari
l’una all’altra. La musica sembrava catalizzare il suo processo
creativo, diceva. Suonare calmava l’animo di Einstein e apriva la
strada verso il suo subconscio.
La sua velocità nell’apprendere e la sua mente inconscia
creavano dei legami fortissimi, delle associazioni a livello neurale.
Era come se il suo cervello fosse più attivo. Dukas ricorda quando lo
sentì suonare Brahms al violino, con il grammofono in sottofondo.
Era la Sonata n. 1 in sol maggiore per violino e pianoforte, una delle
preferite anche da Helen stessa.
Il ruolo di Helen fu fondamentale nella vita di Einstein: gli fu vicino
durante tutto il periodo americano, e visse con lui a Princeton
(quando c’era Elsa, la seconda signora Einstein, viveva con loro
due; era stata Elsa a sceglierla). Era la segretaria perfetta, compita,
rigorosa, silenziosa, mai una parola di troppo. Non commentava, non
diceva mai niente ad Einstein, mai un commento, mai una frase fuori
posto.
Coetanea di Einstein, morì molto anziana, nel 1982. Dopo la
morte di Einstein, nel 1955, Helen Dukas mise in ordine tutte le sue
carte all’Institute for Advanced Study, dove lo scienziato aveva avuto
lo studio per vent’anni. Fu lei a tenere in ordine l’archivio, fu lei a
dare aiuto per le ricerche: sapeva tutto, date, luoghi, argomenti,
esattamente dove erano collocati.
Durante le mie lunghe chiacchierate con Freeman Dyson, anche
lui con uno studio all’Institute for Advanced Study, il nome della
Dukas è stato citato sempre come quello di un angelo caduto dal
cielo che aveva dedicato una vita intera al servizio di Einstein,
rimanendo sempre nell’ombra, nell’anonimato. Una figura
importantissima. E molto amica di Freeman Dyson, tra l’altro.

Nel corso degli anni settanta Helen Dukas pubblicò due libri in cui
raccontava la sua vita al fianco di Albert Einstein. Consiglio a tutti di
leggerli. Uno dei passaggi che ho trovato gustosi, riguardo alla
musica che accompagnava le giornate di Einstein, è l’appuntamento
fisso che aveva con un quartetto d’archi, e sempre di mercoledì.
Questa cosa che Einstein aveva dei rituali mi fa impazzire. Mi piace
tantissimo. Spesso metteva in atto sempre gli stessi rituali,
percorreva la stessa strada per andare al ritrovo musicale, con la
stessa andatura, forse addirittura contando quanti passi gli
occorrevano per fare lo stesso percorso. Lei stessa lo accompagnò
alcune volte. La musica di Schumann, la Sonata n. 1 in la minore, e
Mozart, il Concerto n. 3 per violino in sol maggiore K216, sono tra i
ricordi più belli che ha condiviso nelle sue memorie.
k

Caro dottor Einstein,


I miei fratelli e io abbiamo discusso di una cosa. Uno ha 16 anni, l’altro 14 e io
ne ho 9.
Discutevamo sul fatto che sei un genio. Il mondo sa che sei un genio e anche
noi, ma tu pensi di esserlo?
Vorremmo tutti sapere se ti consideri un genio.
Distinti saluti,
Peter, San Diego, California

Caro Peter, so che Einstein ti ha già risposto, e la sua risposta ha


lasciato di stucco anche me. Ora siamo in due a saperlo. Ma
siccome ha chiesto di tenere il segreto, da parte mia sarà fatto. E mi
piace l’idea che lo faccia anche tu, così soltanto tu e io lo sapremo.
Per quel che riguarda il suo sentirsi un genio, c’è chi prima di tutti ha
pensato di riferirglielo. Quest’uomo fu Niels Bohr. Ora ti racconto il
loro legame intellettuale.
Niels Bohr ha vinto il premio Nobel per la fisica nel 1922; era
danese, e ha creato la cosiddetta scuola di Copenaghen che in poco
tempo è diventata il riferimento assoluto per molti giovani fisici
talentuosi del XX secolo.
Niels Bohr e Einstein erano amici fin dagli anni venti, e
quell’amicizia se la portarono dietro per tutta la vita. Bohr andava a
trovarlo spesso in America, perché aveva un disperato bisogno di
confrontarsi con lui.
Per Bohr il modo di ragionare di Einstein era geniale, e doveva
alimentarsene continuamente per continuare a crescere. La fisica
quantistica e le sue fondamenta nacquero proprio dalle loro
discussioni. Discussioni e litigate che non finirono mai, fino alla
morte di Einstein. Bohr era completamente sedotto dai pensieri di
Einstein e da tutto quello che poteva uscire dalla sua testa. Einstein
rappresentava ciò che lui non poteva essere. Vedeva in Einstein la
diversità. Era ossessionato da quello che Einstein poteva dire o non
dire, da quello che poteva tirare fuori o lasciare intendere.
Desiderava confrontarsi con lui più che con ogni altra persona al
mondo. Si scrivevano sempre. Einstein litigava con Niels, poi lo
cercava, poi discutevano, si azzuffavano, se le davano – a parole –
di santa ragione; Bohr non poteva fare a meno di lui, e lo cercava di
nuovo.
Per Niels Bohr l’opinione di Einstein era importante a prescindere
dall’argomento. Per dire, avrebbe chiesto il suo parere anche sul
modo migliore per cucinare una torta di ribes. Dopo la morte di
Einstein, Bohr ebbe una discussione animata con lui sulle questioni
aperte della meccanica quantistica, stando in piedi di fronte a un
muro per giorni. Immaginava che cosa Albert avrebbe potuto
rispondere, e allora ricreava dal nulla e da solo le discussioni con lui.
Einstein era l’interlocutore perfetto. Ma dopo aver passato una vita a
dargli addosso, a stuzzicarlo, a provocarlo per suscitare una
reazione e poi smettere di litigare, il giorno della sua morte scrisse
un articolo, pubblicato dalla stampa americana, in cui attribuiva ad
Einstein tutte le scoperte più importanti del secolo in corso e di
quello a venire.

I due avevano a cuore la nascita della teoria quantistica, ma i loro


punti di vista erano opposti. Einstein era il contrario di Bohr, come lo
yin e lo yang o lo zero e l’uno nel linguaggio binario. La carica
elettrica e la carica magnetica. Il Nord e il Sud. Insomma, due
opposti. Uno conosciuto in tutto il mondo fin dai tempi del Nobel nel
1921, l’altro che lo vinse l’anno seguente e non era mai uscito
dall’Europa (e a fatica anche solo da Copenaghen). Uno che si
beava tra donne che smaniavano per lui e giornalisti che lo
inseguivano per uno scatto inedito o una nuova intervista, l’altro che
non aveva mai vissuto niente del genere, se non in occasioni
sporadiche, scrupolosamente organizzate a Copenaghen. Uno che
usava la fantasia, il guizzo, la trovata geniale, l’altro che doveva
ponderare, riflettere per tutta la notte, pensare meticolosamente a
ogni cosa prima di arrivare a una conclusione. Uno che stava
sempre per conto suo, solitario per natura, e solo così riusciva a
creare, l’altro che aveva sempre bisogno di avere in casa e al lavoro
persone con cui confrontarsi, che ospitava almeno uno o due fisici
con cui parlare la mattina appena sveglio e prima di andare a
dormire, altrimenti non avrebbe concluso niente durante la giornata.
Bohr non era assediato dai giornalisti che volevano conoscere la sua
opinione su questioni sociali come il proibizionismo e la pena
capitale; non era mai stato tormentato dai fotografi dei cinegiornali
con la richiesta di lanciare il cappello in aria a favore di obiettivo.
Nemmeno era mai circondato da gruppi di belle ragazze che
volevano a tutti i costi chiacchierare con lui. Ma Niels Bohr difendeva
con forza il suo modo di essere, il suo snobismo nei confronti dei
fenomeni di massa era noto, e mai avrebbe scambiato la sua vita
per quella di Einstein. Molti fisici in Europa parlavano male di
Einstein proprio perché lui godeva appieno della sua fama, e c’era
chi lo disprezzava per il suo indulgere in atteggiamenti che
assecondavano il grande pubblico. Bohr e Einstein erano così
diversi che a vederli insieme la gente si schierava con decisione o
con uno o con l’altro. Una delle domande più in voga tra gli scienziati
era proprio questa: sei a favore o contro il modo di vivere di
Einstein? Se eri contro, prendevi a modello proprio Bohr. Ma a Bohr
queste cose non interessavano, lodava Einstein per il suo ingegno e
del resto non gli importava niente.

Negli anni del loro incontro, nella comunità scientifica si discuteva


ancora se gli atomi esistessero realmente: a quei tempi la loro
struttura poteva solo essere immaginata. Il nucleo atomico sarebbe
stato scoperto dopo, come anche le applicazioni pratiche
dell’energia atomica. Questi argomenti furono influenzati dalla vita di
Niels Bohr e dalla sua scuola di Copenaghen. Bohr è stato il primo a
intuire quali forze tengono insieme l’atomo, è stato il faro che ha
mostrato a tutti la nuova teoria del nucleo atomico, ed è stato il
padrino della medicina nucleare. Fu anche il primo, in seguito allo
sviluppo delle armi atomiche e dopo la seconda guerra mondiale, a
stimolare il dialogo tra Est e Ovest. Le leggi fisiche nate dalle
ricerche condotte mentre era in vita furono le più importanti di
sempre, e la presenza di Bohr è sottesa alla teoria ortodossa della
fisica quantistica. Niels Bohr fu fondamentale per l’approfondimento
filosofico della fisica, la comprensione dei fenomeni quantistici e la
descrizione moderna dell’atomo.
Sono entrata in contatto con la famiglia Bohr per approfondire il
legame tra lui e Einstein, e sono stata anche a Copenaghen, a
consultare gli archivi. È stato molto interessante. È anche grazie a
Niels Bohr che oggi conosciamo l’Einstein che ci è stato tramandato.
I loro incontri a Princeton furono molto proficui, per entrambi. La
teoria quantistica di Copenaghen era continuamente in subbuglio,
sembrava che avesse sempre bisogno di essere descritta meglio. E
Einstein contribuiva al dibattito. Suggeriva a Bohr altri punti di vista
per affrontare i problemi, punti di vista che erano sempre opposti ai
suoi. A Princeton i due facevano lunghe passeggiate nei boschi, e
poi si chiudevano per ore nello studio di Einstein, all’Institute for
Advaced Study. Stavano davanti alla lavagna per ore. Si
dimenticavano perfino di mangiare, quando erano insieme. Due volte
Einstein è andato a trovare Niels Bohr a Copenaghen, negli anni
venti.
Nel 1923 avvenne l’incontro più divertente tra i due, freschi
entrambi di Nobel e in piena crisi sulla definizione di quanto di
energia e sulle nuove nozioni che la meccanica quantistica portava
con sé. Successe questo: Niels Bohr andò a prendere Einstein alla
stazione di Copenaghen, e rimase due ore lungo i binari ad
aspettarlo.
Per ansia, per rispetto nei confronti dell’ospite tanto atteso, andò
alla stazione due ore prima dell’arrivo del treno. Il treno di Einstein
arrivò, lui scese, e si incontrarono. Subito iniziarono a discutere di
fisica quantistica, e si avviarono a prendere il tram che li avrebbe
portati a casa di Bohr. Ma le discussioni proseguirono così
animatamente che non fecero più caso al fatto di essere sul tram, e
si dimenticarono di scendere. Per sei ore la moglie di Bohr,
Margrethe, li aspettò a casa. Niels Bohr giustificò così quel ritardo:
«Abbiamo preso il tram numero 6 e abbiamo parlato così
animatamente di teoria dei quanti, che non ci siamo accorti del
tempo che passava. Non so quante volte siamo arrivati fino al
capolinea, per poi rifare il tragitto da capo. Forse qualcuno avrà
pensato che fossimo due matti, ma che importa. Aver avuto la
possibilità di parlare con Einstein per tutte quelle ore è stato un
privilegio».
Bohr amava raccontare spesso una storiella che descrive
splendidamente lo spirito dei due quando stavano insieme. Ci sono
tre fisici al bar: Werner Heisenberg, Niels Bohr e Albert Einstein.
Heisenberg dice: «Anche se è molto improbabile, mi chiedo se per
caso non siamo finiti in una barzelletta». Niels Bohr dice: «Se
fossimo fuori dalla barzelletta, lo sapremmo, ma poiché ci siamo
dentro, non abbiamo modo di determinare se siamo o non siamo in
una barzelletta. Le misurazioni di quanto sia una barzelletta o meno
cambiano la natura stessa della barzelletta». E Einstein risponde:
«Certo che è una barzelletta, ma voi la raccontate male!»
Racconta Bohr che Albert Einstein non fu mai particolarmente
infastidito dalla grande confusione che si creava intorno a lui.
Einstein invece prendeva in giro Bohr, quando lui gli parlava degli
elettroni come proiettili o quando parlava di spin, ogni argomento
che tirava fuori Bohr per Einstein era motivo di ilarità. La leggerezza
con cui Einstein trattava ogni cosa infastidiva parecchio Bohr. Ed era
su queste basi che avvenivano le loro scaramucce. Soprattutto se
l’argomento era la teoria dei quanti.
Prima che Einstein partisse per l’America, anche Paul Ehrenfest
si univa spesso ai loro incontri. Ehrenfest era un fisico austriaco, a
detta di tutti molto divertente, giocoso (raccontò alcuni dettagli
sfiziosi su Einstein: aveva le vene varicose e i piedi piatti, e di notte
russava – finalmente qualcosa di umano!). E solo Ehrenfest riusciva
a reggere la presenza dei due scienziati nello stesso luogo. Anzi, era
lui stesso che ne favoriva gli incontri, nei luoghi più disparati,
invitando entrambi a conferenze e dibattiti. Ehrenfest racconta, nelle
sue memorie, che organizzava quegli incontri perché solo da due
menti così, messe insieme, poteva nascere qualcosa di nuovo. E
non aveva tutti i torti, visto che oggi la fisica quantistica è alla base
della nostra vita di tutti i giorni.

Fu Niels Bohr, il giorno della morte di Einstein, a scrivere al «New


York Times» queste parole:

Grazie all’opera di Einstein, l’orizzonte dell’umanità è stato infinitamente


ampliato, e al tempo stesso la nostra immagine del mondo ha raggiunto
un’unità e un’armonia mai prima d’ora sognate. Le premesse per tali conquiste
erano state create dalle generazioni precedenti della comunità scientifica
mondiale, e le loro conseguenze saranno rivelate pienamente soltanto alle
generazioni future.

Extra capitolo k – La musica


Si racconta che quando Albert Einstein andò a trovare Niels Bohr
a Copenaghen si portò dietro il suo violino, e la sera deliziava tutti gli
ospiti di casa Bohr con la sua musica. Beethoven e Schubert erano i
suoi artisti preferiti per l’occasione. Ma ci fu un episodio clamoroso,
al quale assistette anche Ehrenfest. Tanto per cambiare, Einstein e
Bohr discutevano animatamente, e la musica faceva da sfondo. Sul
più bello della discussione, quando Bohr aveva riempito due lavagne
di calcoli e sembrava aver annientato per il momento ogni
ragionamento di Einstein, questi prese una spugna e cancellò tutto.
Poi si accese la pipa, e rimase a guardare Niels Bohr negli occhi.
Bohr fece allora la stessa cosa: si accese la pipa e si mise a fissare
Einstein. Dopo pochi minuti, Einstein si alzò e riempì a sua volta le
lavagne con nuove e articolate congetture. A quel punto Bohr chiese
a Ehrenfest di procurargli dei fogli: Ehrenfest andò a prenderli ma
impiegò troppo tempo, e quando tornò vide Bohr che ribatteva alle
nuove formulazioni di Einstein scrivendo direttamente sui muri, con
enormi frecce che partivano dalle lavagne e finivano sull’intonaco.
Dall’altra parte della stanza, invece, Einstein si era messo a suonare
il violino accompagnando le formule dell’amico con la musica di
Mozart, Concerto per violino n. 5 in la maggiore K 219. Rimasero
concentrati nelle loro occupazioni per ore.
g

Caro professor Einstein,


ho un problema che vorrei risolvere. Vorrei sapere come fa il colore a entrare
nelle piume degli uccelli. Ho molti bei parrocchetti, che hanno tanti bei colori
diversi. Ho chiesto a mio padre e lui mi ha detto di chiedere a te.
Cordiali saluti,
Anna Louise, Fall Church, Virginia

Cara Anna, so che il professor Einstein ti ha prontamente


risposto, e forse nella sua risposta non c’è tutto quello che avresti
voluto sentirti dire. Ti ha risposto solo con una breve battuta e quindi
capisco il tuo eventuale rammarico. Per questo, ora che sei
cresciuta, posso approfondire io l’argomento. Einstein nella battuta
che ti ha fatto ha richiamato alla mente il modo in cui i colori si
formano, ti ha parlato di arcobaleno, e ha chiaramente fatto
riferimento a chi lo ha spiegato per primo. Posso dirti che è stato
Isaac Newton ad avere dato una spiegazione dei colori
dell’arcobaleno, e che da lì si arriva dritti fino al grande dibattito che
ha fatto nascere la fisica quantistica.
Così, mi piace l’idea che in risposta alla tua lettera io ti racconti
come è nata la fisica quantistica, e il fatto che la teoria di Einstein sia
stata nella sua testa fino alla morte. Lo ha fatto scervellare molto, e
non gli ha dato mai pace. Ed questa è un’altra cosa che abbiamo
ereditato da lui.
Più di un secolo fa, un gruppo di scienziati ha creato qualcosa di
diverso, che prima nessuno aveva immaginato, e che soprattutto
non era scritto nei libri di scuola. Era un gruppo di scienziati
coraggiosi che non ha voluto adeguarsi al pensiero comune della
comunità scientifica. Hanno pensato a qualcosa di diverso, per
descrivere il mondo. In particolare, il mondo piccolissimo, quello
dell’infinitamente piccolo. Hanno creato un nuovo modo di vedere le
cose, hanno creato la fisica quantistica. La fisica quantistica è
importantissima, oggi ne tocchiamo con mano le conseguenze tutti i
giorni: quando usiamo i computer – i chip al silicio sono una delle
applicazioni della fisica quantistica – quando usiamo i telefonini,
quando facciamo una TAC, o quando usavamo i lettori CD e DVD. Ma
andiamo con ordine. Partiamo dall’inizio.
Il primo che, all’inizio di questa storia, disse una cosa diversa da
tutti, fuori dal coro, fu Max Planck, un fisico tedesco. Anche se forse
non era il più bravo, è stato il primo e il più rapido ad avere avuto
un’idea diversa. Planck parla di corpo nero e fa una nuova ipotesi.
Innanzitutto, cos’è un corpo nero? Un corpo nero è un oggetto limite,
un oggetto immaginario, che non esiste in natura. I fisici utilizzano
spesso oggetti al confine, con una certa densità, una certa
temperatura, per studiare i comportamenti della natura, e per poi
generalizzare e arrivare a oggetti di uso comune.
Secondo la definizione canonica, un corpo nero è un oggetto che
assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente senza mai
rifletterla. Se vogliamo visualizzarlo facilmente, il Sole con buona
approssimazione può essere considerato un corpo nero. Planck dice
però una cosa nuova: si limita a supporre che l’energia emessa da
un corpo nero corrisponda a multipli della frequenza, e questa sua
intuizione la riassume in una formula che prende appunto il nome di
costante di Planck. Ma nessuno lo ascolta. Nessuno della comunità
scientifica gli dà peso. E a dire la verità neanche lui ci crede tanto.
Butta lì questa sua pensata, e poi si mette a fare altro.
Ma c’è una persona che ci crede veramente, che prende in mano
i ragionamenti di Planck e li dà per buoni. Lui dice: prendiamo quello
che dice Planck per vero e facciamogli fare un passaggio
successivo. Questa persona è Albert Einstein. Einstein fu l’unico a
considerare la formula di Planck, e a portarla a un passo più in là.
Non la discute, dice «va bene, fingiamo sia vera», e va avanti.
Einstein veniva da un brutto periodo della sua vita, in cui sentiva
di non essere compreso, in cui tutti lo ignoravano, in cui doveva
cambiare qualcosa dentro se stesso per migliorarsi, in cui non
concludeva niente. E come fanno le aragoste, si ritirò in solitudine, si
isolò dal resto del mondo, e si mise a pensare qualcosa che lo
facesse svoltare. Cambiò la sua corazza, e ne uscì più forte. E dopo
settimane di studio, fece una nuova proposta. Disse: «consideriamo
la luce costituita di quanti di energia, oggi noti con il nome di fotoni, e
studiamola così». Di nuovo la comunità scientifica parve
disinteressarsi alla cosa. Nessuna reazione. Nessuno ascoltò
Einstein e Planck. Ora erano in due a non essere presi sul serio.

Nessuno, tranne una persona. Niels Bohr. Bohr era il più grande
studioso dell’atomo, e quelli erano gli anni giusti, perché non si
sapeva molto su come erano fatti gli atomi. Bohr era il fuoriclasse
assoluto, l’asso dell’infinitamente piccolo. Studiava il vecchio e
polveroso modello atomico di Rutherford (nucleo centrale denso e
all’esterno gli elettroni), e arrivò a un’altra conclusione: postulò che
l’energia degli atomi sia essa stessa quantizzata, e che gli elettroni
non siano liberi ma possano stare solo su certe orbite, dette
«discrete». Dice Bohr: quando un elettrone cade in un’orbita più in
basso (verso il nucleo), emette un fotone (cioè luce). Al contrario, se
sale lo assorbe.
A questo punto della storia della fisica, entra in scena Wolfgang
Pauli, un fisico austriaco, allievo di Bohr alla scuola di Copenaghen.
Pauli si mette a spiegare meglio la stabilità degli atomi, e dice: ogni
orbita può accomodare solo un certo numero di elettroni. E teorizza il
suo principio di esclusione. Grazie a questo contributo, Bohr riesce a
spiegare lo spettro atomico degli elementi. Bohr spiega l’arcobaleno:
rosso, arancione, giallo, verde, blu. Sempre gli stessi colori, sempre
nello stesso ordine. Ciascuno con la sua frequenza, ciascuno con la
sua energia (come diceva la costante di Planck).

Tutto questo discorso arriva alle orecchie di un fisico francese,


Louis de Broglie, che era anche un principe, un aristocratico e viveva
in un castello nei dintorni di Parigi. De Broglie dice: siccome Einstein
ha parlato di luce che può comportarsi come un fascio di particelle,
allora io suppongo che gli elettroni possano comportarsi,
specularmente, come onde. E su questo passaggio fondamentale
della fisica scrive la sua tesi di dottorato (il suo «padrino di
dottorato» fu Paul Langevin). De Broglie quindi dice che tutta questa
teoria può rientrare in una elegantissima simmetria della natura. In
questo momento della storia della fisica, la scena la prende un fisico
americano, Arthur Compton, uno che fa esperimenti con i raggi X.
E proprio in uno di questi esperimenti dimostra l’esistenza dei
fotoni. Quelli che Einstein aveva ipotizzato. Tutto sembra filare liscio
per questo gruppo di coraggiosi scienziati. Ma non finisce qui.
La storia della nascita della fisica quantistica è una storia
bellissima. Riassumo brevemente i fatti. Nel 1927 i fisici di cui ho
detto sopra si riunirono a Bruxelles, in occasione del quinto
Congresso Solvay. Niels Bohr scrisse la sua teoria (che chiamo
«ortodossa») della fisica quantistica, nata tra le mura della sua
scuola di Copenaghen, e la illustrò a tutti. Tutti lo applaudirono. Tutti,
tranne Albert Einstein. Einstein detestava il concetto di probabilità su
cui si basava la teoria di Bohr, e gli rispose con la famosa frase «Dio
non gioca a dadi».
Come è nata questa teoria di Bohr, che tanto turbava Einstein? La
teoria nacque nel febbraio del 1927, quando Bohr, in vacanza per
andare a sciare, si assentò dall’università per un lungo periodo. A
Copenaghen il suo allievo più perspicace era Werner Heisenberg, un
fisico tedesco molto arrembante. Proprio in quei giorni Heisenberg
teorizzò il principio di indeterminazione che lo rese famoso. Disse:
se a un dato istante si conosce con certezza la velocità di una
particella, allora la sua posizione risulta assolutamente
indeterminata; e viceversa. Rientrato dalla vacanza, Bohr analizzò i
risultati ottenuti in sua assenza da Heisenberg e si accorse che
l’articolo preparato dal giovane ricercatore era imperfetto e lo
corresse (con grande disappunto di Heisenberg). Lo migliorò e lo
mandò alle stampe, perché pensava fosse pronto per essere
sottoposto alla comunità scientifica. Bohr ragionò a partire dalla
relazione di Planck e da quella di de Broglie, e disse che la cosa
interessante di queste due formule erano le grandezze fisiche
coinvolte, che attenevano rispettivamente alla materia e alle onde e
stavano entrambe in un’unica formula. Energia e quantità di moto
sono tipiche delle particelle (materia), frequenza e lunghezza d’onda
sono tipiche delle onde (luce). La compresenza di queste due
nature, ovvero la loro complementarità, induce l’indeterminazione. E
la natura probabilistica della fisica quantistica è la conseguenza.
Bohr afferma:

Il principio di complementarità è alla base del principio di indeterminazione ed


è l’unico che possa chiarire il dualismo tra materia e luce. Non esiste una
realtà avulsa dall’osservazione. È ragionevole pensare che un elettrone cessi
di esistere non appena si smette di osservarlo. Come naturale conseguenza,
le leggi possono essere esclusivamente di natura probabilistica.

Einstein si rimboccò le maniche, e cercò di trovare l’esperimento


mentale giusto per rispondere all’amico. Il primo esperimento
mentale proposto da Einstein riguardava l’attraversamento di una
singola fenditura da parte di un fascio di elettroni, capace di
impressionare una lastra fotografica. Lo stesso esperimento venne
poi reso più affascinante considerando una doppia fenditura.
Einstein era convinto che una considerazione più approfondita della
situazione permettesse di risalire alla posizione e alla quantità di
moto di una particella, in aperto contrasto con il principio di
indeterminazione, cosa che equivaleva a provare l’incompletezza
della versione probabilistica della fisica quantistica. Pensava inoltre
che il collasso istantaneo della funzione d’onda associata alla
particella finisse per contraddire la sua teoria della relatività. Bohr
rimase colpito dalle osservazioni del suo rivale, ma non si perse
d’animo. Chiamò tutti a raccolta intorno a lui, e si mise a discutere.
Analizzò quello e i successivi ragionamenti di Einstein, e riuscì a
trovare un punto debole nelle sue argomentazioni, facendo crollare i
suoi esperimenti mentali, usando addirittura la sua relatività. Einstein
dichiarò la resa, sventolò il fazzoletto bianco. Ma lo fece con
un’eleganza da gran signore. Gli disse: «Va be’... Dio non gioca a
dadi, ma qualche volta può fare un’eccezione». Le discussioni tra i
due non si esaurirono lì, e continuarono nei giorni, nelle settimane,
nei mesi, negli anni seguenti.

Extra capitolo g – La musica


Su Albert Einstein tutti hanno sempre avuto qualcosa da dire. Tutti
avevano (e hanno tuttora) qualcosa da dire su di lui, o da criticare.
Proprio quello che Einstein detestava nelle persone, e che lui non
faceva nei confronti degli altri. Fra le tante critiche che gli venivano
mosse c’era il suo modo di suonare. Qualcuno sosteneva che non
fosse bravo, e la prova sarebbe in una delle foto che lo ritraggono
con il violino in mano. C’è una fotografia che mostra Einstein con lo
strumento che cade verso il basso, l’arco che incrocia le corde ad
angolo non perpendicolare: i violinisti sono insorti. Una leggenda che
gira a Princeton narra che quando Einstein fu invitato a fare
un’entrata in un quartetto, nel quale era presente anche Fritz
Kreisler, famoso violista e compositore austriaco, questi osservando
la sua titubanza gli chiese: «Cosa c’è, professore, non sa contare?»
Einstein naturalmente rise moltissimo, e se ne fregò. Suonarono in
quell’occasione diverse musiche di Bach, le Sonate e partite per
violino solo, catalogate come BWV 1001-1006.
α

Caro dottor Einstein, il mio amico preferito si chiama Nicola, vive nella mia
stessa via, e andiamo a scuola insieme. Lei ha un amico preferito?
Tommaso, 7 anni, di Milano

Caro Nicola, Albert Einstein faceva proprio come te, aveva un


amico che abitava poco distante da lui, ogni mattina lo incontrava, e
insieme andavano all’Institute for Advanced Study. Einstein era solito
aspettarlo anche per tornare a casa.
Diceva che quello americano era un periodo bello per lui proprio
perché adorava le passeggiate con il suo amico. Si chiamava Kurt
Gödel, era austriaco, ed era un matematico. Einstein grazie
all’amicizia con Gödel poté approfondire tanti aspetti della fisica che
aveva elaborato, e che altrimenti gli sarebbero sfuggiti.
Nei primi anni quaranta, quasi dieci anni dopo essersi trasferito a
Princeton, nel New Jersey, andò a vivere vicino a casa sua (al 112 di
Mercer Street) una coppia molto curiosa. Lei si chiamava Adele, e
aveva un passato da ballerina sui palchi dei teatri austriaci, lui si
chiamava Kurt Gödel, e gli era appena stata affidata una cattedra di
Matematica all’Institute for Advanced Study.
Kurt Gödel era originario di Brno, nell’allora impero
austroungarico, e soleva andare in giro con un abito bianco di lino.
Gödel aveva ventisette anni in meno di Einstein; aveva una mente
brillante, così dicevano tutti all’istituto: pareva avesse sovvertito
l’ordine concettuale della matematica e sapesse parlarne in maniera
astratta. Quando sentì parlare di lui, Einstein decise di appurare di
persona se quelle voci fossero vere.
Un giorno lo avvicinò, con la scusa di voler mantenere allenato il
suo tedesco, che in terra americana era difficile esercitare. Da quel
giorno per Einstein iniziò un nuovo amore intellettuale, fatto di
lunghe chiacchierate e battibecchi continui. Dopo Niels Bohr,
Einstein aveva trovato in Gödel il suo nuovo compagno di battute e
di gioco, ed era pure suo vicino di casa.
Gödel aveva tutt’altro carattere rispetto ad Einstein. Era chiuso,
introverso, astioso, pessimista e scontroso. Mai un sorriso, mai una
parola carica di sentimento, mai uno slancio verso qualcuno o
qualcosa. Aveva a cuore solo la sua matematica. Mostrava sempre
una certa solennità quando parlava con qualcuno, usando frasi fatte
e luoghi comuni. Diverso era quando parlava di matematica coi suoi
«pari» (così li definiva lui). Ma con Albert Einstein il suo
atteggiamento cambiò radicalmente. Einstein fu il solo che riuscì
nell’impresa di indurlo a lasciarsi andare.
Il film preferito di Gödel era Biancaneve e i sette nani di Walt
Disney; Gödel non sapeva suonare alcuno strumento musicale, e
non aveva particolari interessi. Aveva mille fissazioni, tra cui quella
di mangiare poco, e solo certi cibi. Praticava una dieta ipocalorica, a
base di burro, alimenti per neonati e lassativi. Temeva che qualcuno
potesse avvelenarlo, e aveva paura anche di sua moglie Adele, che
invece gli rimase al fianco per tutta la vita dedicandogli le sue
attenzioni, con devozione e cura. Gödel era paranoico, credeva nei
fantasmi, aveva il terrore dei gas del frigorifero, non stringeva la
mano a nessuno per paura dei germi e di contrarre qualche malattia.
All’istituto tutti erano sospettosi di lui, nessuno lo avvicinava: anche
per questo stava tremendamente simpatico ad Einstein.
Freeman Dyson mi ha raccontato che Gödel era il solo che
poteva stare tutto quel tempo con Einstein; e Einstein era il solo che
poteva stare tutto quel tempo con Gödel. Con Gödel, Einstein
parlava spesso della teoria quantistica e del punto di vista di Niels
Bohr: cercava in lui un alleato nella sua battaglia intellettuale con
l’altro amico di una vita. Gödel, in realtà, non lo rassicurò mai, anzi
gli diceva che la matematica di Werner Heisenberg, che era dietro la
meccanica quantistica, era molto interessante, mentre mal tollerava
la visione che i filosofi davano a questa teoria. D’altro canto anche
Einstein non sopportava i filosofi puri. Einstein e Gödel volevano
comprendere l’universo e accrescere il proprio intelletto, per questo
alimentavano a vicenda le chiacchiere, dall’istituto a casa e
viceversa, ogni giorno. «Non volevano parlare con nessuno,
volevano parlare solo tra di loro» mi ha detto Dyson. I due parlavano
anche di politica. Nel 1952 ci furono le elezioni presidenziali, e Gödel
sostenne il repubblicano Dwight Eisenhower, mentre Einstein votò
per il democratico Adlai Ewing Stevenson. Litigavano sui loro punti di
vista differenti. Quando Gödel decise di prendere la cittadinanza
americana, fu Einstein ad aiutarlo. Einstein aveva già fatto quel
percorso, e quindi gli diede qualche dritta. La cosa divertente
accadde il giorno della cerimonia: davanti al giudice, Gödel aveva
espresso il suo disappunto nel notare che il testo della Costituzione
americana conteneva degli errori concettuali, e con un escamotage
avrebbe potuto benissimo legittimare una dittatura. Fu Einstein a
intervenire per calmare l’amico e a condurlo via.
Gödel si mise a studiare la teoria della relatività. E la divisione
degli eventi tra passato e futuro fu un altro argomento di discussione
molto acceso tra i due. L’approfondimento di Gödel sulla teoria della
relatività generale diede vita a un nuovo modello di universo, che
non è in espansione ma in rotazione. Ma Einstein ascoltò questo
concetto in un momento della sua esistenza in cui aveva ormai la
testa da altre parti: stava creando la sua teoria della grande
unificazione, e nulla d’altro gli importava. Erano i suoi ultimi mesi di
vita.
Kurt Gödel morì ventitré anni dopo Albert Einstein, all’ospedale di
Princeton. Si lasciò morire. Semplicemente, smise di mangiare,
perché la paura di essere avvelenato aveva raggiunto livelli non
curabili, e aveva preso il sopravvento sulla ragione.

Extra capitolo α – La musica


Kurt Gödel scrisse una lettera in cui raccontava di ascoltare
spesso Einstein suonare il violino. Le sue parole furono: «Ci sono
molti musicisti con una tecnica decisamente migliore, ma credo che
non ci sia nessuno che tocchi più sinceramente o più profondamente
di Albert Einstein le corde di un violino».
In un’occasione si trovavano entrambi alla Princeton University
Orchestra, e Gödel sentì Einstein suonare insieme a un maestro di
violino, un certo William Rustel. Suonavano il Concerto per due
violini in re minore di Bach. Dal 1952 Einstein divenne il
vicepresidente della Symphony Orchestra di Princeton, e spesso lui
e Gödel andavano insieme ai concerti.
Fra i trascorsi musicali di Einstein, uno di quelli di cui andava più
fiero fu quando lui, Artur Schnabel, pianista e compositore, e Max
Planck, il fisico tedesco che lo accompagnò nella nascita della fisica
quantistica, improvvisarono delle suonate. Si racconta in particolare
di una serata in cui suonarono Mozart, forse la Sonata per violino e
pianoforte in mi minore n. 21 K 304. Anche Paul Michael, un
compositore d’avanguardia e violinista di successo, in occasione del
centoventicinquesimo anniversario della nascita di Albert Einstein,
nel 2004, invitato alla German Physical Society la suonò in suo
onore.
Sempre con Mozart Einstein si distrasse durante un duro
momento di incertezza dei suoi studi di fisica, rispondendo all’invito
del direttore d’orchestra Nicholas Harsanyi presso la North Carolina
School of the Arts. Einstein partì e si unì alla Piedmont Chamber
Orchestra, e insieme suonarono il Quartetto in sol maggiore n. 3 K
156 di Mozart. In seguito Harsanyi si trasferì anche lui a Princeton
dove ottenne la cattedra alla Westminster Choir School, e i due
occasionalmente si frequentarono, soprattutto durante le serate del
mercoledì in Mercer Street.
Una sera andò a casa di Einstein anche Valentine «Valya»
Bargmann, matematico e fisico teorico della Princeton University, e
tutti e tre si dedicarono allo studio di un brano che poi eseguirono in
pubblico alla Trenton and Madison Symphonies: era la Sonata in sol
maggiore K 301 di Mozart. A loro si unirono Eugene Ormandy, Fritz
Reiner, George Szell, Antal Doráti e Georg Solti. Quando Frank E.
Taplin e sua moglie li ascoltarono, vollero a tutti costi invitarli alla
Marlboro School of Music. Ci andarono.
t

Caro dottor Einstein, sono una bambina di nome Chiara, ho un cagnolino della
stessa mia età, in totale abbiamo 14 anni. Vorremmo chiederle come mai
viviamo attaccati al pavimento, e non sui muri.
Perché tutto va verso il basso? C’è una calamita sotto? Cosa ci tiene giù?
Grazie per la risposta, Chiara da Genova

Cara Chiara, il dottor Einstein è la persona più adatta a cui fare


questa domanda. Lui ha riflettuto a lungo sui meccanismi elementari
descritti da Newton (ricordi la mela che gli è caduta in testa?). E la
cosa che lo turbava, dopo aver esposto la sua teoria della relatività
ristretta, era di non essere riuscito a includere la gravità nei suoi
ragionamenti. Poi, grazie appunto alle sue riflessioni su quanto
Newton aveva descritto, ha incluso la gravità nella sua teoria
successiva, la teoria della relatività generale. La gravità può essere
vista come accelerazione verso il basso, come dici tu. O più in
generale la gravità è la forza di attrazione. Due corpi si attraggono, e
quello che si sposta verso l’altro è sempre quello dei due che ha la
massa minore. Nel tuo caso, tu e il tuo cagnolino avete massa
minore rispetto alla Terra, e quindi siete voi ad andare verso il centro
della Terra, e non il contrario. Ma la forza è in entrambi i sensi.
I ragionamenti di Einstein relativi alla gravità sono molto ampi. È
proprio il gravitone ad averlo turbato, e ad avergli fatto passare
nottate insonni. Un altro degli argomenti che fa parte dell’eredità di
Einstein e che oggi sono all’ordine del giorno. Ora ti racconto tutto.

Il problema più grande che la fisica sta affrontando da oltre un


secolo è l’incompatibilità tra le due più importanti teorie di sintesi,
due veri pilastri della conoscenza: una descrive il macrocosmo (la
teoria della gravitazione interpretata dalla relatività generale di
Einstein, che rivoluziona il pensiero di Newton) e l’altra il
microcosmo, il mondo delle particelle elementari (rappresentato dalla
meccanica quantistica), quest’ultimo inserito nel contesto di una
teoria, il cosiddetto «Modello standard», che prevede l’esistenza di
un vero e proprio zoo di tali particelle e le colloca in un quadro
coerente e autoconsistente.
Entrambe funzionano benissimo nel proprio campo di applicabilità
ma insieme non possono coesistere. Il Modello standard raccoglie e
in un certo senso unifica nella loro descrizione tre delle quattro
interazioni fondamentali della natura: la forza nucleare forte, che
rende stabile la materia, la forza elettromagnetica (responsabile
della radiazione elettromagnetica, come la luce) e la forza debole,
responsabile quest’ultima dei fenomeni che coinvolgono la
radioattività o che regolano la fusione termonucleare nel Sole. Resta
fuori la quarta, l’interazione gravitazionale, la più debole di tutte. Se
rapportata all’intensità di quella nucleare forte, essa è un millesimo
di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo più
debole. Ciascuna di tali interazioni è identificata dalla relativa
particella mediatrice, che viene denominata «bosone».
Ad esempio, nell’interazione elettromagnetica due elettroni
possono interagire fra loro scambiandosi un fotone, che rappresenta
il quanto fondamentale del campo corrispondente. Per l’interazione
forte, il bosone mediatore è il gluone e per quella debole i bosoni W
e Z. Se l’interazione gravitazionale (meglio chiamarla così perché il
concetto di forza in questo contesto rimanda a una concezione
troppo... classica) dovesse rientrare nel quadro coerente del Modello
standard, anch’essa dovrà essere descritta come le altre tre, ma si
può sperare di giungere a una sorta di unificazione fenomenologica
tra le quattro interazioni fondamentali. E il bosone mediatore cercato
in una ipotetica e auspicata teoria della gravità quantistica viene
chiamato «gravitone». Sono essenzialmente due i rami in cui si
sviluppa la ricerca in tal senso: uno è quello della cosiddetta gravità
quantistica a loop, una teoria sulla struttura intima dello spazio-
tempo, l’altro è quello della teoria delle stringhe, un modo
rivoluzionario di interpretare la suddivisione ultima in componenti
delle particelle elementari (modi di vibrazione di stringhe infinitesime,
che identificano le varie particelle).
La scoperta delle onde gravitazionali – ulteriore conferma delle
geniali intuizioni di Einstein – potrebbe in un certo senso facilitare lo
studio di una teoria quantistica della gravità in conformità con le
onde elettromagnetiche, identificate a livello quantistico dal fotone.
Ma si tratta solo di un’analogia al momento puramente speculativa.
Di fatto, una teoria quantistica della gravitazione non toglierebbe
alcun pregio al formidabile pensiero che sta dietro la gravitazione di
Einstein. Ne estenderebbe anzi il campo di applicazione alle
strutture più microscopiche (per esempio, nella definizione della
struttura infinitesima dello spazio-tempo) e la renderebbe
compatibile con la meccanica quantistica. Tutte le teorie fisiche di
sintesi in massima parte sono estensioni di altre teorie a campo più
ristretto. Pensiamo alla relatività speciale, che sacrifica il concetto di
tempo assoluto estendendo la fisica di Galilei e la meccanica nel suo
complesso a sistemi dotati di velocità confrontabili con quella della
luce; o alla stessa relatività generale, che amplia la fisica
gravitazionale newtoniana fino a comprendere corpi massivi che
hanno influenza sulla geometria dello spazio-tempo, dando inizio alla
cosmologia moderna. Oppure alla teoria dell’elettromagnetismo di
Maxwell, che unifica in una mirabile teoria matematica una miriade di
fenomeni legati all’elettricità e al magnetismo.
Nel caso della gravità quantistica, si arriverebbe a una delle più
grandi sintesi del pensiero mai immaginate e aprirebbe scenari di
indagine attualmente nemmeno ipotizzabili.
In realtà, si potrebbe ritenere che anche separate, le due teorie
fisiche mostrino comunque la loro efficacia: esisteranno poi davvero
campi in cui entrambe si fondono in un’unica grande teoria fisica
unificata? La risposta è affermativa. Ad esempio, in un buco nero, un
aspetto matematico della relatività generale di cui si intuiscono gli
effetti ma che fino a poco tempo fa non era pensabile poter
osservare, proprio per come esso è definito: un pozzo gravitazionale
talmente profondo e potente da non lasciar sfuggire nemmeno la
luce.
Nell’aprile del 2019 l’ombra di questo oggetto mostruoso finora
solamente immaginato è stata fotografata, a 55 milioni di anni luce di
distanza dalla Terra. E Einstein avrà sempre ragione, perché la
gravità non l’ha mai trascurata.
Torniamo allora ad Albert Einstein. Se oggi fosse in vita,
parlerebbe molto volentieri con gli scienziati che lavorano agli
acceleratori di particelle, me lo immagino già lì in piedi vicino all’LHC
di Ginevra con la sua pipa in mano a far domande.
Ai suoi tempi, una delle persone con cui Einstein discorreva di
gravità e accelerazione era Michele Besso, l’ingegnere suo amico
prediletto all’epoca del Politecnico di Zurigo. I due rimasero amici per
tutta la vita, e anche a distanza continuarono a discutere di gravità
tramite lunghissime lettere. Il giorno della morte di Besso, avvenuta
un mese prima della sua, Einstein scrisse alla moglie per fare le
condoglianze alla famiglia: «Ora ha lasciato questo strano mondo
prima di me. Non significa niente. Per noi fisici credenti, la
distinzione tra passato, presente e futuro non è che un’illusione
cocciuta e persistente».
Fu a Michele Besso che Einstein confessò di pensare alla gravità
anche negli ultimi anni della sua vita, e la cosa in parte lo appagava
e in parte lo tramortiva. È interessante questo passaggio di una delle
ultime lettere, indirizzata all’amico: «Sto ancora lottando con gli
stessi problemi di dieci anni fa. Ottengo buoni risultati nelle cose
piccole, ma la vera meta resta irraggiungibile, anche se a volte pare
quasi di poterla toccare. È un’impresa ardua ma gratificante: ardua
perché la meta è al di là delle mie forze, gratificante perché mi
distoglie dalle preoccupazioni della vita quotidiana».

Extra capitolo t – La musica


Elsa Einstein fu la seconda moglie di Einstein, nonché sua
cugina. Elsa scrisse in una testimonianza che, quando era ancora
bambina, si era innamorata di Albert Einstein perché lo aveva
ascoltato suonare una sonata di Mozart al violino in un modo
incantevole. Lo aveva sentito suonare Mozart, la Sonata per violino
n. 26 in mi maggiore K 378. E così, quando divennero marito e
moglie, nella loro casa di Princeton su Mercer Street gli chiedeva
spesso di suonare quella melodia per ricordare la loro infanzia.
Anche alla morte di Elsa, avvenuta tre anni dopo il trasferimento a
Princeton, nel 1936, Einstein la suonò.
c

Caro dottor Einstein,


il mio papà e io vogliamo costruirci un razzo per andare su Marte o Venere.
Speriamo che verrai anche tu. Abbiamo scelto te perché ci serve un bravo
scienziato e uno che sa guidare bene un razzo.
Ti dispiace se portiamo anche Mary? Ha due anni. È una bambina molto
simpatica.
Per il cibo ognuno dovrà pagare per sé, si capisce, perché se paghiamo tutto
noi andiamo in rovina!
Se vieni, spero proprio che farai un buon viaggio.
Con affetto,
John, Culver, Indiana

Caro John, so che Albert Einstein ti ha già risposto, e quindi non


posso che essere rassicurata del fatto che anche lui ti abbia
invogliato a costruire il tuo personalissimo razzo. Nel caso tu non ci
riesca, non ti preoccupare, c’è chi ne sta preparando uno molto
grande, per poterci salire sopra tutti insieme. A proposito del ritorno,
tranquillo, c’è già chi guida, al massimo faranno dei turni. Infine,
certo, l’affetto è corrisposto.
Per quel che riguarda Marte, la novità dei giorni nostri è che è un
obiettivo certamente raggiungibile nel breve termine. Mentre su
Venere non ci giurerei. Quindi, su Marte, ho pensato bene di dare
qualche informazione a riguardo, in questo capitolo.
Innanzitutto perché nel giro di poco tempo sarà una meta reale, e
poi perché per chi studia l’universo non può che essere interessante
sapere qualcosa in più di questo pianeta così suggestivo da
incuriosire chiunque. Anche in questo mio racconto c’è lo zampino di
Einstein.
Nel suo gioco preferito di quando era piccolo, un Sistema solare
grande come un televisore, e dotato di palle rotanti disposte su
orbite girevoli con al centro il Sole, Marte era il pianeta che lo
incuriosiva di più.
Quando sono stata alla NASA, in California, poco tempo fa, sono
entrata nell’enorme padiglione dedicato a Marte e ci sono rimasta
per quattro ore, completamente affascinata da quel viaggio su un
pianeta nuovo e inesplorato, come fossi realmente lì. Non trovo
strano, quindi, l’interesse diffuso per un imminente turismo spaziale
su Marte. Barack Obama aveva indicato il 2030 come limite
massimo per andarci. Elon Musk lo ha anticipato al 2024. Mancano
pochi anni, è bene essere preparati. Ecco la prima guida essenziale
per andare su Marte. Una sorta di Lonely Planet del pianeta rosso,
una innovativa Rough Guide on Mars.

Cosa sapere prima di partire – I tramonti su Marte non sono rossi,


ma azzurri. Le radiazioni emesse sono ancora in fase di studio. La
densità dell’atmosfera è un centesimo di quella terrestre, i venti che
si creano non possono essere potenti. L’acqua su Marte è evaporata
a causa dell’atmosfera rarefatta. Tre mesi per andare e tre per
tornare, tenete conto quindi di un anno.

Periodo migliore – Anche su Marte esistono Polo Nord e Polo


Sud. In inverno, il termometro precipita fino a –125 °C tanto che
l’anidride carbonica si condensa in ghiaccio, sulla superficie. Il
processo si inverte in estate, quando la CO2 sublima ritornando
nuovamente nell’atmosfera.

Cosa vedere – Fate visita all’enorme cratere Gale, del diametro di


circa 220 km, la cui base è frastagliata di canyon: è come essere in
Arizona. Salite sul monte Sharp, passando per Sulfate Bearing Unit,
un’area solforosa di grande impatto. Scendete nella Gediz Vallis,
entro cui scorre il canale originato dai depositi alluvionali. Esplorate
Greenheugh Pediment, un falsopiano dalle forme più strane. Non
perdetevi Noctis Labyrinthus, le dune fantasma. Dedicate un mese
alla salita sul Monte Olimpo, alto tre volte l’Everest, e largo da Roma
a Milano, facendovi largo tra una dozzina di altri vulcani, sempre
altissimi. Il motivo: la forza di gravitazione è più bassa rispetto alla
Terra.

Come vestirsi – La gravità su Marte è un terzo di quella della


Terra, è necessario avere una tuta con rinforzi strategici; attenzione
a non bucarla, si violerebbero i principi di conservazione dell’energia,
e vi trovereste a subire una spinta in direzioni imprevedibili.

Perché fare il viaggio – Per spirito di esplorazione, perché Marte è


lì, per essere tra i primi, per favorire il progresso tecnologico. Elon
Musk ha affermato che basterebbero 100 000 dollari a persona. Poi
però lì non si spende quasi niente. Continuate così, restate curiosi. È
quello che vuole Einstein.

Extra capitolo c – La musica


E ora è il momento di approfondire un po’ meglio questo legame
con la musica, con un po’ di aneddoti sparsi. Il legame con Marte ci
arriva direttamente da Einstein, che sosteneva che la musica è
universale, come la fisica, e così musica e fisica un giorno finiranno
anche su Marte, diceva. In un tempo pre-iTunes, Albert Einstein
combatteva la sua personalissima lotta per portare materialmente la
sua musica ovunque andasse. Per questo girava sempre con il suo
violino. Ora però devo svelare una cosa: non aveva un solo violino,
nella sua vita ne ha posseduti parecchi, ma quello che cambiava di
rado era la custodia. Raramente si è spostato per qualche viaggio
senza la sua vecchia custodia per violino. Non c’era dentro sempre
lo stesso strumento ma tutti li chiamava Lina, il piccolo violino.
Durante i suoi viaggi, portava Lina a suonare musica da camera
nelle serate e organizzava gruppi musicali in qualsiasi città si
trovasse.
Grazie alla musica si era fatto nuove amicizie, e con loro
suonava, suonava, e poi alla fine riprendeva sempre a raccontare la
sua fisica.

Aveva una sorta di avversione nei confronti della musica meno


organizzata e più emotiva della fine del XIX secolo, e un compositore
su tutti lo faceva imbestialire: Wagner. «La maggior parte delle volte,
odio sentirlo». Talvolta si rivolgeva direttamente a lui, per lanciargli i
suoi improperi. Come ho già raccontato, quando si stabilì a
Princeton, organizzava ogni mercoledì delle serate musicali. Einstein
evitava accuratamente di prendere impegni il mercoledì, e cercava di
tornare dai viaggi apposta per quelle serate.
Nelle notti di Halloween, usciva per strada per sorprendere i
bambini che andavano in giro per fare dolcetto o scherzetto, per
spaventarli con improvvise serenate di violino. Era un gioco tra lui e i
bambini che lo divertiva parecchio. A Natale, usciva in strada per
unirsi ai cori ambulanti, e si mescolava con la gente che cantava le
tipiche canzoni natalizie.
Una delle prime lettere che Einstein spedì a Mileva, prima ancora
che diventasse sua moglie, era sulla musica. A lei confidava i suoi
compositori preferiti, e in particolare si dilungava sulla sua passione
per Bach; riempiva pagine e pagine di lettere, solo per parlare di
Bach. La lettera si chiudeva con un Kyrie dalla Messa in si minore di
Bach, e il disegno sul pentagramma di come suonarla. In seguito,
una volta insieme, la suonarono realmente. Lui al violino, lei al
pianoforte.
Durante i tour e le conferenze in Giappone, Einstein era riuscito a
occupare il suo tempo libero chiedendo direttamente agli
organizzatori delle conferenze di trovargli di tappa in tappa nuovi
compagni musicisti per le sue esecuzioni serali. Divideva il suo
tempo tra i discorsi sulla fisica e suonare il violino. Un articolo uscito
sulla stampa giapponese racconta di una cena durante la quale
Einstein fu invitato a suonare, ma siccome aveva molta fame, si alzò
in piedi e continuò a mangiare pane mentre deliziava tutti con la sua
musica. Aveva scelto Beethoven: la Sonata violino e pianoforte n. 9,
la Sonata a Kreutzer.
Quando Einstein visitò Gerusalemme fu accolto a braccia aperte
in diverse scuole. La mattina teneva lezioni, anche tra i ragazzi
giovani. Uno di questi ha raccontato di una sera in cui Einstein si era
intrattenuto due ore con alcuni di loro per suonare un quintetto di
Mozart, il n. 4. Einstein ricordava questo quintetto per archi suonato
in terra israeliana come il suo preferito, e diceva che gli israeliani
avevano molto orecchio per la musica, più di tanti altri.
Quando Einstein cercava dei matematici che lo aiutassero con la
sua teoria della relatività generale, ne trovò due che gli diedero
consigli importanti: Richard Courant e David Hilbert, entrambi
tedeschi. Hilbert aveva una famiglia molto numerosa, e le cugine
erano abilissime suonatrici di archi. A una festa, quasi a conclusione
della scrittura della teoria della relatività, come forma di liberazione
dopo tanta fatica Einstein chiese che venisse suonata la musica che
preferiva in quel momento, e le cugine di Hilbert lo accontentarono.
Suonarono per tre ore con lui. In particolare, si racconta di un
momento molto toccante durante l’esecuzione del Quartetto per
pianoforte in mi bemolle maggiore di Beethoven.
Marian Anderson Serenades è stata una famosa cantante nera,
un contralto celebre in tutto il mondo. Marian Anderson subì una
serie di discriminazioni e atti di intollerabile razzismo, nonostante
fosse una delle voci più grandi del XX secolo in America e in tutta
Europa. Era una donna di colore, e malgrado la sua celebrità le
venne negato l’accesso a molti hotel americani, anche durante le
sue tournée. Albert Einstein si propose di ospitarla personalmente a
casa. E lei accettò in diverse occasioni, quando doveva suonare a
New York o dintorni. Il brano della Anderson che Einstein preferiva, e
che lei cantava in queste occasioni, era Il canto del cigno di
Schubert, un ciclo di quattordici lieder. Albert Einstein si metteva al
pianoforte per accompagnare la sua voce.
Tra le registrazione trovate all’Institute for Advanced Study di
Princeton e ancora lì custodite, perché messe in ordine da Helen
Dukas, ce ne sono alcune molto particolari. L’ascolto dei pezzi fa
presumere che fossero presenti uno o due strumenti, probabilmente
violino e pianoforte, in luoghi all’aperto. Ecco, nella Sonata per
violino in la minore n. 1 di Schumann, Einstein aveva messo molta
enfasi.
Tra i compositori preferiti da Einstein c’era, come ho detto, Bach.
Di lui amava il fatto che fosse il padre e il maestro della fuga. In una
lettera al suo secondo figlio Eduard, Einstein chiese di andarlo a
trovare in America e di portare con sé una raccolta di musiche di
Bach intitolata Piccolo libro di Anna Magdalena Bach, una sorta di
raccolta messa insieme da Bach per la seconda moglie. Einstein
voleva suonarla con Eduard.
La cosa non venne mai messa in pratica, ma il quaderno arrivò
comunque a destinazione.
e

Caro Albert Einstein, ho una domanda a cui non so dare risposta: uno
scienziato prega?
Grazie se me lo dice, Thomas da Trenton,
New Jersey

Caro Thomas, so che Albert Einstein ti ha risposto con una frase


che è ormai nella leggenda. Eppure... pensa che lui da ragazzo non
sopportava l’idea di un Dio personale, la riteneva una forma di
ingenuo antropomorfismo. Ma poi con il tempo si è ricreduto. Scrive
Max Born che dopo una visita ad Einstein nella sua casa di Mercer
Street, durante gli ultimi mesi della sua vita, lo vide cambiato, e lo
trovò «scemo». Scrive proprio così Born, «scemo». Il fatto è che lo
vide mentre credeva di parlare con Dio.
In età adulta, infatti, Einstein ebbe un ripensamento e ammise
l’esistenza di un Dio personale. Disse: «Chiunque faccia scienza si
convince che le leggi della natura manifestano uno spirito
immensamente superiore a quello umano, davanti a cui noi, con le
nostre modeste facoltà, non possiamo che essere umili». Einstein
pensava che se esiste qualcosa di divino nell’universo, deve farsi
strada tra di noi ed esprimersi tramite noi, e soprattutto senza che
noi facciamo niente. Einstein ha sempre creduto in tutto ciò che è
scientificamente provato, ma ha aperto una porta nei confronti di
qualcosa o qualcuno con cui poter parlare, al di sopra di tutto.
Diceva che se ipotizziamo l’esistenza di un essere intangibile,
questo non faciliterà la comprensione dell’ordine che troviamo nel
mondo tangibile.

Nella storia del pensiero, le parole di Albert Einstein


rappresentano uno di quei momenti critici che forniscono una nuova
visione del mondo. Einstein ha rivoluzionato il pensiero comune.
Diceva cose che nessuno pensava. E le disse per primo. Oggi molto
di quello che era il suo credo è entrato nel linguaggio comune, ed è
la cosa più bella che potesse succedergli.
Durante il periodo americano non ha smesso un attimo di
diffondere le sue convinzioni più profonde, in maniera pura, candida.
Con ogni mezzo. Alcune sono racchiuse in frasi che oggi troviamo
sui social network, o come fonte di ispirazione motivazionale.
Purtroppo a volte se ne appropria la politica, altre volte sono
inventate di sana pianta. Ciò che resta è una cosa bellissima: se ci
fate caso, non passa giorno che Einstein non venga citato da amici,
conoscenti, in televisione, ovunque.
A me piace andare a memoria, e ricordare le frasi che si sono
sedimentate dentro di me. Perché le sue parole restano, è questa la
sua potenza. Ho raccontato del suo percorso tormentato, del suo
essere come l’aragosta; c’è un pensiero tra tutti che racconta come
Einstein ha vissuto questa condizione in prima persona:

L’amaro e il dolce vengono dal di fuori, il difficile dall’interno, dai propri stessi
sforzi. Faccio perlopiù quello che sono spinto a fare dalla mia stessa natura. È
imbarazzante raccogliere in cambio tanto rispetto e amore. Anche contro di
me sono state scagliate frecce di odio; ma non mi hanno mai colpito, perché in
qualche modo appartenevano a un altro mondo, con il quale non ho niente da
spartire.
Vivo in quella solitudine che è dolorosa in gioventù, ma deliziosa negli anni
della maturità.

Nelle parole di Einstein c’è sempre stata una propensione a


guardare al futuro, all’andare oltre. Einstein consigliava di cercare, di
essere curiosi, voleva che tutti si facessero più domande. Se i grandi
del XX secolo avessero accettato solo quello che c’è scritto sui libri di
scuola, non avrebbero mai creato la fisica quantistica. Eppure in
quegli anni la fisica classica era la teoria che forniva la spiegazione
alle cose che ci circondando. Se Einstein non avesse preso per
buona la formula di Planck e non l’avesse ipotizzata per fare nuovi
pensieri, non si sarebbe arrivati alla creazione del chip al silicio, e
quindi dei computer. Eppure, ai suoi tempi, tutti dicevano che era
impossibile pensare diversamente dalla fisica classica. Ma lui non lo
sapeva. Cioè, lui non seguiva il pensiero dei più, o del resto della
comunità scientifica.

Un altro degli argomenti che più gli stavano a cuore era


l’istruzione scolastica. La scuola, il luogo per eccellenza dove le
menti si formano.
Einstein era molto critico nei confronti del sistema scolastico.
Quello che visse a Berlino stava al primo posto nella classifica delle
cose che non tollerava. Troppe regole, gente che non si poneva
domande, tutti che eseguivano a testa bassa. Einstein diceva che
per crescere i ragazzi devono avere bisogno esattamente del
contrario. «La scuola è sempre stata il mezzo più importante per
tramandare da una generazione all’altra la ricchezza della tradizione.
[...] La personalità non si forma con quello che si sente e si dice, ma
con l’applicazione e l’azione. La scuola però non deve produrre
soggetti passivi. [...] Basta dotare gli insegnanti del minor numero
possibile di strumenti coercitivi, in modo che per essi l’unica fonte di
rispetto da parte dell’alunno siano le loro qualità umane e
intellettive». Einstein sosteneva che nulla di quello che a scuola
viene imposto da mandare a memoria era utile, che le cose da
imparare a memoria si possono benissimo copiare o cercare in
un’enciclopedia, senza che nulla sedimenti dentro. Diceva:
«L’istruzione è cio che rimane dopo che si è dimenticato tutto ciò che
si è imparato a scuola». Era un grande sostenitore dell’apertura
verso più discipline. Diceva che non può esserci una formazione
specialistica dopo gli anni del liceo. Lui invogliava gli studenti a
seguire il proprio flusso, senza dover scegliere in giovane età un
indirizzo di studi. Se poi sceglievano la fisica, tanto meglio. Einstein
invogliava chiunque ad avvicinarla, a capirla, a studiarla per se
stesso. Diceva che al mondo è un’ingiustizia che tutti siano filosofi, e
i fisici siano pochissimi. Contrapponeva le due discipline. «Il fisico
non può semplicemente lasciare al filosofo la considerazione critica
dei fondamenti teorici; perché è proprio lui che sa meglio di tutti e
percepisce con maggiore precisione che cosa non vada». Diceva
che il fine della scienza – di questo concetto se ne sono appropriati i
filosofi – è da un lato la comprensione, il più completa possibile, del
rapporto tra le esperienze sensoriali nella loro totalità, e dall’altro il
conseguimento di questo fine mediante l’uso di una quantità minima
di concetti primari e relazioni.
La fisica è creatività, diceva Einstein, ed è un’altra cosa. «Vivevo
in solitudine in campagna e notai come la monotonia di una vita
quieta stimoli la mente creativa». Einstein consigliava la vita
monotona, la vita ripetitiva, anche per stimolare la creatività. Il suo
lavoro all’Ufficio brevetti di Berna era la dimostrazione della sua
teoria. E diceva: «L’immaginazione è più importante della
conoscenza».
Ma non solo. Diceva di più: «La più bella sensazione per un uomo
è il lato misterioso della vita. È il sentimento profondo che si trova
sempre nella culla della scienza pura e dell’arte. Chi non è più in
grado di provare stupore e sorpresa è morto; i suoi occhi sono
spenti». E poi spingeva tutti a cercare dentro se stessi la propria
strada, per il pieno appagamento personale, lontano dalle critiche o
da come la società ci vorrebbe. Diceva che chiunque creda solo
nella propria vita o in quella di altri che gli sono vicini, è un uomo
infelice. Sosteneva a gran voce ogni forma di appagamento
personale, senza dover rispondere a nessuna logica, solo alle
esperienze sensoriali.

Einstein diceva che la curiosità è una piantina delicata, che ha


bisogno, oltre che di stimoli, di libertà. «Il matrimonio è il tentativo
fallimentare di trasformare un caso in qualcosa di duraturo», ecco
una delle sue frasi definitive. Ma anche sugli altri legami si
esprimeva più o meno negli stessi termini. «Conosco ormai
l’incostanza di tutti i rapporti umani e ho imparato a isolarmi dal
freddo e dal caldo in modo da garantirmi comunque un buon
equilibrio termico».
Nel 1933, quando Einstein arrivò a Princeton, il suo primo
stipendio all’Institute for Advanced Study era di 15 000 dollari
all’anno e prevedeva una pensione annua di 5000 dollari. L’istituto ai
tempi si trovava all’interno del giardino dell’Università di Princeton, in
una zona chiamata Fine Hall, che oggi si chiama Jones Hall, e
attualmente è sede dell’Istituto per gli Studi sull’Estremo Oriente. Nel
1940 Einstein traslocò nella parte più rurale di Princeton, intorno non
c’era niente. L’edificio è ancora lì, ma nelle vicinanze c’è qualche
costruzione in più e i campi sono curati. In mezzo al verde dietro
all’Istituto, Einstein fece le sue più grandi riflessioni. Quando venne
assunto il direttore era Abraham Flexner, un uomo molto protettivo
nei suoi confronti, e questo lo infastidiva molto. Proprio l’idea di
essere protettivi verso qualcuno o qualcosa lo innervosiva. Così
come non tollerava l’uso del «noi», nelle frasi. Diceva che ognuno
doveva parlare per sé, e non poteva generalizzare anche per altri.
Una volta Flexner rispose a una lettera del presidente degli Stati
Uniti Roosevelt, assumendosi la responsabilità di dirgli che una sua
visita all’istituto avrebbe potuto nuocere a livello di sicurezza, visto
che Einstein era già per altri motivi subissato da richieste di
interviste, e inseguito dai fotografi. Quando Einstein venne a sapere
che Flexner aveva risposto a Roosevelt senza consultarlo, scrisse
personalmente al presidente dicendogli che per scusarsi sarebbe
andato lui a trovarlo alla Casa Bianca. Il viaggio lo fece e non si mise
i calzini. Quando qualcuno glielo fece notare, lui disse che faceva
quello che gli pareva senza dover dare conto a nessuno. Si
arrabbiava anche quando qualcuno voleva mettere mano ai suoi
scritti, per una revisione prima della pubblicazione. Non sopportava
alcuna forma di controllo, sotto qualsiasi forma. Non gli piaceva che i
suoi manoscritti venissero rivisti. Nell’estate del 1936 inviò una
memoria alla «Physical Review». Uno dei correttori di bozze gli
mandò una lettera contenente dieci pagine di commenti al suo
elaborato. Einstein pretese la restituzione della memoria e negò
qualsiasi tipo di pubblicazione.

Albert Einstein morì all’ospedale di Princeton, il 18 aprile del


1955. Dal suo corpo vennero asportati il cervello e gli occhi, e
conservati per studi successivi. Senza nessuna autorizzazione.
Furono Thomas Harvey e Henry Abrams, entrambi patologi, a
praticare questo scempio. Il corpo di Einstein venne cremato a
Trenton il giorno stesso della morte, e le sue ceneri disperse lungo il
fiume Delaware. L’ultima persona che lo vide fu l’infermiera
dell’ospedale, Alberta Rozsel, che dichiarò al «New York Times»:
«Trasse due respiri profondi e morì». Ma la parola «fine» la mise lui
stesso, con una delle frasi che rimarranno nella leggenda della sua
vita: «Con la fama divento sempre più stupido, un fenomeno molto
comune d’altronde. C’è una tale sproporzione tra quello che uno è e
quello che gli altri pensano che sia, o almeno quello che dicono di
pensare che sia. Bisogna però prendere tutto con il buonumore».

Extra capitolo e – La musica


Bohuslav Martinů è stato un compositore ceco, poi naturalizzato
statunitense, che ha scritto una vasta gamma di sinfonie, opere e
balletti. È conosciuto in tutto il mondo per la sua musica travolgente,
ma in pochi sanno che tra le sue composizioni ha dedicato le Five
Madrigal Stanzas proprio ad Albert Einstein. Sia Martinů sia Einstein
facevano lezione all’Università di Princeton negli anni quaranta, e
quando Martinů scoprì che Einstein era in grado di suonare alcune
sonate per violino di Mozart, scrisse questi cinque pezzi per lui. La
velocità dei madrigali è da lenta a moderata, e permetteva all’abilità
musicale di Einstein di esprimersi semplicemente. La parte per
pianoforte invece è ambiziosa – Martinů la scrisse perché il pianista
Robert Casadesus un giorno era presente ai loro ritrovi. Uno degli
aspetti più belli di questi brani è che chiunque può suonarli, anche
senza una competenza completa. E per stessa ammissione di
Einstein, questi madrigali furono un regalo molto gradito dalla sua
creatività.

Caro Einstein... questo gatto è giallo... la carta è marrone... e io spero che


questa mia cartolina illustrata la faccia sorridere un po’.
Pitt dal Kentucky

Caro Pitt, so che il dottor Einstein ti ha risposto, e so che la tua


lettera gli era arrivata nell’ultima parte della sua vita, un periodo
molto tormentato, quindi sicuramente ha sorriso grazie a te. In quel
periodo, sui giornali uscivano articoli che raccontavano il suo
insuccesso per la nuova teoria su cui stava lavorando, e in molti lo
volevano finito. Malgrado non venga raccontato, Einstein anche a
Princeton è stato prolifico. Il periodo americano di Einstein si chiude
con l’approfondimento di tre argomenti scientifici, e il fervore con cui
ha lavorato non è mai venuto meno.
La cartolina illustrata con il gatto che sorride, ti assicuro che l’ha
fatto molto divertire, se non altro perché gli faceva venire in mente il
gatto di Schrödinger.
Ora qui entro nel dettaglio di ciò che ha studiato per ultimo. Gli
studi scientifici su cui si è cimentato nell’ultima parte della sua vita, in
America. Tutte cose che non lo facevano per niente sorridere, anzi.
E con l’occasione qui racconto anche le cose che ho tralasciato nel
resto del libro, e che fanno parte della sua eredità scientifica, di cui
tutti oggi studiamo conseguenze e applicazioni.
Tra i lavori che Einstein ci ha lasciato, prima di tutto, c’è il moto
browniano. «Browniano» significa movimento disordinato di
particelle molto piccole (del diametro di un micron, circa) presenti nei
fluidi e che si possono guardare solo al microscopio. Einstein ha
modellizzato questo moto, in uno dei suoi articoli dell’annus mirabilis
1905 (in tutto sono stati sei, nel giro di sette mesi). Einstein ne ha
dato una spiegazione matematica – in questo consiste il modello – in
grado di poter descrivere efficacemente una classe più ampia di
fenomeni casuali. Avendo a cura la generalizzazione, Einstein
voleva sempre creare teorie più grandi che inglobassero tanti
fenomeni. La parola «fisica» deriva dal greco physis, che significa
«natura»: la fisica è quindi la scienza che studia i fenomeni naturali,
e tra i suoi scopi c’è quello di capire le relazioni tra i vari fenomeni
che si osservano (usando la matematica). Più si generalizza un
modello che contiene i vari casi, più si è vicini all’obiettivo di creare
una teoria che racconti le cose che vediamo, partendo da ipotesi e
osservazioni reali (questo è il metodo scientifico). Nel caso che ho
prima citato, la sua modellizzazione matematica è stata tra i grandi
successi che ancora oggi gli vengono riconosciuti. E le sue
applicazioni nella nostra vita di tutti i giorni sono tantissime.
Il desiderio di capire le molecole, e darne una definizione, portò
definitivamente Einstein alla scrittura della teoria sul moto browniano
che ancora oggi viene utilizzata. Di nuovo, Einstein si è fatto
domande che nessuno si era posto. Ha attribuito la causa degli urti
dei granuli di polline con le molecole d’acqua, mosse da agitazione
termica, a questo moto disordinato. Ma quello che sembrava solo
una trattazione matematica non lo era. La teoria di Einstein sul moto
browniano è stata ripresa dal matematico francese Louis Bachelier
per la sua tesi di dottorato, e ne ha ricavato l’andamento dei titoli
della Borsa di Parigi. E questo è solo uno dei tanti esempi che si
possono fare: lascio al lettore il gioco divertente di trovarne altri.

Poi c’è l’effetto fotoelettrico. Lo studio di questo fenomeno ha


permesso ad Einstein di vincere il premio Nobel per la fisica nel
1921. L’effetto fotoelettrico è un fenomeno che consiste
nell’emissione di elettroni da parte di una superficie di metallo,
quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica,
quindi da fotoni con una ben precisa lunghezza d’onda. Einstein nel
1905 partì da alcuni dati sperimentali (li aveva presi da un
esperimento del fisico Philipp von Lenard, tra i suoi più grandi
detrattori, oltre che nazista e per giunta maschilista – fu lui a
impedire a Mileva Marić di sostenere gli esami per diventare fisica
all’università di Heidelberg, in Germania, dove aveva la cattedra più
importante), e da questi dati sperimenti dedusse che la radiazione
incidente possiede energia quantizzata. E così si può dimostrare
l’esistenza dei quanti di energia (in seguito Arthur Compton
mediante un esperimento con i raggi X dimostrò l’esistenza dei
fotoni, e vinse il Nobel nel 1927). E tutto questo ha posto le basi per
la nascita della fisica quantistica. I fotoni che arrivano sul metallo
cedono energia agli elettroni dello strato più superficiale del solido;
gli elettroni acquisiscono così l’energia necessaria per rompere il
legame che li tiene uniti al metallo. In particolare, il fotone cede
all’elettrone (effetto fotoelettrico, appunto) tutta l’energia in suo
possesso. A questo punto l’elettrone spende parte dell’energia per
rompere il legame e parte per aumentare il suo livello di energia
cinetica e riuscire a uscire per abbandonare il metallo. E sono gli
elettroni eccitati più vicini alla superfice ad avere la velocità più alta
(maggiore energia cinetica). Una delle applicazioni dell’effetto
fotoelettrico sono le cellule fotoelettriche dei cancelli automatici: c’è
una radiazione che arriva su una superfice, si verifica l’effetto
fotoelettrico, e ci si trova ad avere energia cinetica disponibile per
azionare l’apparato meccanico. Altre applicazioni pensatele voi, per
gioco.

Facciamo un salto e arriviamo alla fine della vita di Einstein, per


poi tornare ancora indietro a ritroso. È stata la grande teoria del
campo unificato l’argomento che ha occupato la mente di Einstein
per la maggior parte del tempo del suo ultimo periodo americano, il
più proficuo dal punto di vista intellettuale. E prima ci sono le due
teorie meno conosciute: il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen
(EPR) e il ponte di Einstein-Rosen (ER).
Anche queste due teorie hanno occupato la mente di Einstein fino
alla fine dei suoi giorni. L’EPR è un esperimento mentale di Einstein
che ha dimostrato l’entanglement quantistico. Lui, Boris Podolsky e
Nathan Rosen dimostrarono che la teoria ortodossa di Niels Bohr
sulla fisica quantistica, quella nata tra le mura di Copenaghen, deriva
dal fenomeno dell’entanglement (entanglement significa «intreccio»).
Secondo Einstein questo fatto era paradossale perché ritenuto
incompatibile con la relatività ristretta e con il principio di località.
Einstein ipotizzò quindi la presenza di variabili nascoste, ma poi altre
teorie gli diedero torto. Bohr rispose a questo paradosso dopo poco
tempo; poi ci fu Schrödinger, che tirò fuori l’esperimento del gatto, e
in seguito arrivò David Bohm (nel 1951) con una riformulazione del
paradosso in termini più facilmente verificabili. Dopo ancora arrivò il
teorema di Bell e l’esperimento sulla correzione quantistica di
Aspect. Ma la questione non è ancora chiusa.
Il ponte di Einstein-Rosen invece, detto anche wormhole, è
un’ipotesi di conformazione dello spazio-tempo. C’è una scorciatoia,
dicono Albert Einstein e Nathan Rosen, che ci permette di andare da
un universo a un altro. E questo ci consentirebbe di viaggiare più
velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la stessa
distanza ma in uno spazio reale. Il termine wormhole, che
letteralmente significa «buco del verme», è stato coniato dal fisico
John Archibald Wheeler nel 1957 perché aveva immaginato
l’universo come una mela, con un verme che viaggia sulla sua
superfice. La distanza tra punti opposti della mela è pari alla metà
della sua circonferenza se il verme si muove sulla superfice della
mela, ma se invece scava un buco attraverso la mela la distanza che
deve percorrere per raggiungere un punto verso qualsiasi altra parte
diventa inferiore. E la galleria che il verme scava è il cunicolo
spaziotemporale di cui parla questa teoria. Ma è più suggestivo
immaginare lo spazio-tempo come un lenzuolo elastico a quadrettoni
e una palla di metallo che messa sopra ne deforma la struttura: in
questo caso, il diagramma incapsulato di un wormhole di
Schwarzschild è il più bello che si possa guardare. Per una più facile
comprensione: nel film Interstellar di Christopher Nolan, che ebbe tra
gli sceneggiatori il premio Nobel Kip Thorne, si vede benissimo
questa rappresentazione, meglio che in altri film di fantascienza che
l’hanno preceduto.
Oggi ci sono tanti studi che tentano di mettere insieme queste due
teorie. Einstein stesso ci aveva provato. Mettere insieme le due
teorie vuol dire unire la fisica quantistica con i buchi neri. Sono tanti i
gruppi scientifici attivi nella creazione di questa teoria che unisce i
due mondi all’apparenza così lontani, e tutte queste teorie a oggi
sono valide, finché non si farà un esperimento che ne invalidi una (la
fisica procede così, cercando errori, sbagliando). Vi ho accennato
del fisico Juan Maldacena, che lavora a Princeton, e che ho
incontrato: lui lavora in particolare a una di queste teorie. Quello che
fa Maldacena è cercare di unificare EPR con ER, e il suo lavoro è una
congettura. Lui afferma che le particelle entangled sono collegate da
un wormhole (o ponte Einstein-Rosen o ponte ER), e questa
congettura puo essere una base per unificare la relatività generale e
la meccanica quantistica in una grande teoria del tutto. La
congettura è stata proposta da Leonard Susskind e Juan Maldacena
nel 2013. I due hanno ipotizzato che un wormhole equivalga a una
coppia di buchi neri estremamente intrecciati tra di loro. In seguito ci
sono state delle prove sperimentali, e poi sono state usate delle
corrispondenze matematiche (chiamate AdS/CFT) per provare
ulteriormente questa costruzione teorica. Susskind e Maldacena
hanno immaginato di raccogliere tutte le particelle di Hawking e di
farle collassare in un buco nero. Gli autori hanno poi spinto
ulteriormente più avanti questa congettura pensando a qualsiasi
coppia entangled di particelle (includendo nei loro ragionamenti
anche le particelle che normalmente non sono considerate buchi neri
e coppie di particelle con masse o spin differenti, o con cariche che
non sono opposte) e le hanno messe in collegamento da un
wormhole (nella scala di Planck, quindi nell’infinitamente piccolo). La
loro congettura porta a una congettura più grande: la geometria dello
spazio, del tempo e della gravità è determinata dall’entanglement. E
qui mi fermo. Ora sta a voi proseguire con ulteriori approfondimenti,
se la vostra curiosità ve lo impone. Torno ad Einstein, e alla sua
eredità.

Nella sua teoria della relatività generale, Einstein sostiene che la


forza di gravità derivi da un campo gravitazionale. La materia dà
origine a un campo gravitazionale che a sua volta agisce su altri
corpi materiali, causando delle sollecitazioni di forze. Einstein aveva
preso in considerazione queste forze mediante la curvatura dello
spazio. Una situazione simile caratterizzava anche le particelle
cariche elettricamente: delle forze agivano tra loro, e si sarebbe
potuto considerarle pensando che la carica elettrica dà luogo a un
campo elettromagnetico, il quale a sua volta produce forze su altre
particelle cariche. In questo modo, la materia e il campo
gravitazionale sono esattamente analoghi alla carica elettrica e al
campo elettromagnetico. Per tale ragione Einstein voleva creare una
teoria unificatrice di tutte le forze. Una teoria che mettesse insieme
al campo elettromagnetico anche la gravità. Il significato di questa
teoria si comprende appieno solo quando ci si rende conto
dell’importanza di queste forze primordiali, da cui tutti i fenomeni
della natura dipendono. E di cui vi ho raccontato qualcosa nei primi
capitoli.
Einstein pensava di riuscire a creare una teoria dei quanti di luce,
cioè una teoria sui fotoni, più importante di quella di Niels Bohr, e più
completa. Da quella teoria avrebbe poi ricavato le leggi della realtà
fisica. Voleva generalizzare il più possibile quello che già si
conosceva, in modo da inglobare tutto all’interno della stessa teoria.
La teoria della relatività generale gli era andata bene, dal punto di
visto matematico, aveva trovato le chiavi giuste per raccontarla. Si
era messo a studiare Riemann, Levi-Civita e Ricci, e aveva capito i
tensori. Con i tensori aveva raccontato la matematica che c’era
dietro alla sua teoria della relatività generale. Quel metodo
geometrico si muoveva nello spazio quadrimensionale. Quello
spazio, oltre alla curvatura, poteva tenere conto anche degli effetti
gravitazionali. Tutto filava liscio. Ma poi gli vennero nuovi dubbi sulla
gravità messa a paragone con le altre forze fondamentali della
natura. E iniziò a tormentarsi, volendo unificare tutto. I giornalisti che
lo avvicinavano, oltre a cercare frasi a effetto su di lui per farci titoli di
giornali, gli ponevano domande sugli sviluppi di questa teoria
unificatrice. E lui su questo non dava alcuna informazione. Alcuni lo
prendevano in giro, addirittura. Ma lui continuò a lavorarci fino alla
fine dei suoi giorni.
Nel 1945 Einstein si dimise dal suo incarico come professore
all’Institute for Advanced Study, ma conservò l’ufficio di diritto, e lui ci
andava perlopiù per completare questa sua teoria. Ad aiutarlo nelle
ricerche c’era la sua fidata segretaria, Helen Dukas, sua figlia Maja,
e anche Margot, la figlia della seconda moglie Elsa. Tutti e quattro
vivevano nella casa di Mercer Street, e in particolare la Dukas
eseguiva per lui le ricerche più ostiche.
Mi piace l’idea di concludere il libro con il racconto di una vicina di
casa, che abitava anche lei in Mercer Street. La signora era madre
di una bambina di dieci anni, e questa bambina andava spesso a
trovare Einstein. Con lui passava tante ore delle sue giornate.
All’inizio, per non preoccupare la madre, la bambina le disse una
bugia: le disse che andava a giocare a casa di un’amica. Ma quando
la madre si accorse che la figlia non era dall’amica, la sera stessa la
sgridò e le chiese la verità.
La bambina ammise tutto: «Una volta non riuscivo a fare il mio
compito di aritmetica, la gente dice che al numero 112 della nostra
via vive un grande scienziato, che è anche un uomo molto buono, e
così sono andata da lui per farmi aiutare a finire i compiti. Lui si è
mostrato ben disposto e mi ha spiegato tutto molto bene. Quello che
mi diceva era molto più facile da capire di qualsiasi spiegazione dei
maestri a scuola. Mi disse anche che potevo andare da lui tutte le
volte che volevo, e quando trovavo un problema troppo difficile da
risolvere. E così io l’ho fatto. Tutto qui».
Dopo il racconto di come erano andate le cose, la signora si
precipitò fuori, e si mise a bussare alla porta di casa del grande
scienziato Albert Einstein. Bussò, si fece aprire, e gli chiese
immediatamente scusa per il disturbo che poteva avergli arrecato la
figlia, tutte le volte che si era presentata da lui.
Albert Einstein non accettò le sue scuse, la ringraziò e le disse:
«Non è il caso che si scusi, e non si deve preoccupare di niente. Ho
certamente imparato più io dalle conversazioni con la bambina di
quanto non abbia fatto lei con me».

Extra capitolo ∞ – La musica


Si racconta che Hans Albert, il primo figlio di Einstein, avesse con
lui una buona sintonia in fatto di musica. Hans Albert aveva orecchio
musicale, e i due si trovavano molto d’accordo anche sulle scelte dei
brani da suonare. Ricorda il figlio: «Ogni volta che sentiva di stare
per giungere alla fine di un percorso tortuoso senza aver trovato la
soluzione, o di una situazione difficile al lavoro da cui era impossibile
uscire vittoriosi, si rifugiava nella musica. Spesso mi chiamava e mi
chiedeva di suonare con lui, e dopo le nostre suonate riusciva a
risolvere tutte le sue difficoltà».
Quando partì per l’America, Einstein spedì una lettera a Hans
Albert in cui gli chiedeva di studiare con attenzione Giuseppe Tartini,
in particolare la sua celebre sonata in sol minore – Il trillo del diavolo
–, perché quando si sarebbero visti avrebbe avuto piacere di
suonarlo con lui. Hans Albert seguì con diligenza i consigli del padre,
e quando si incontrarono, infatti, era molto preparato su Tartini.
Suonarono la sua musica, e Hans Albert si prese tutti i complimenti
del padre per averla suonata con una perfezione impeccabile.

Einstein ha continuato a suonare quasi fino alla fine della sua vita.
Smise solo quando la sua mano non riuscì più a controllare
l’archetto, e solo allora ripose la sua Lina nella custodia e non la
toccò più. La lasciò in eredità al nipotino Bernhard.
La moglie del compositore Robert Casadesus, che di nome
faceva Gaby, era un’ottima pianista, e divenne molto amica di
Einstein negli ultimi mesi della sua vita. I due vivevano a Princeton, e
lo andavano a trovare spesso, soprattutto Gaby, da sola. I dialoghi
tra loro furono molto proficui, e Gaby riuscì nell’insolita missione di
tenerlo attivo mentalmente, con le sue continue domande. Fu Gaby
a convincerlo a partecipare all’American Friends Service Committee,
e quella fu l’ultima volta che Einstein fu visto suonare il violino in
pubblico.
Era un ritrovo di beneficenza e suonarono Bach, la Passione
secondo Matteo. Gaby racconta della sua profonda commozione
nell’ascoltare quella musica suonata dall’orchestra.

Pochi mesi dopo la morte di Einstein, in suo onore, la Princeton


University Orchestra, di cui era diventato vicepresidente dal 1952, si
esibì in sua memoria. Con Robert Casadesus al pianoforte,
suonarono per lui l’Actus Tragicus, cantata BWV 106 di Bach.
Einstein’s Music Box

Questa è la playlist di Albert Einstein, nella mia personalissima


ricerca sulle musiche che suonava con il suo violino. Mi piace l’idea
che anche voi, come faccio io, le possiate ascolare in cuffia durante
le vostre attività. Ogni musica è legata a un aneddoto raccontato nel
libro.

JOHANN SEBASTIAN BACH


Actus Tragicus, BWV 106.
Messa in si minore, Kyrie, BWV 232.
Passione secondo Matteo, BWV 244.
Sonate e partite per violino solo, BWV 1001-1006
Partita per violino solo n. 2 in re minore, BWV 1004.
Sonata per violino e clavicembalo n. 3 in mi maggiore, BWV 1016.
Concerto per due violini, archi e basso continuo in re minore,
BWV 1043.
Concerto per clavicembalo n. 1 in re minore, BWV 1052.

GIUSEPPE TARTINI
Sonata per violino in sol minore, Il trillo del diavolo.
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Sonata per violino e pianoforte n. 26 in si bemolle maggiore, K
378.
Concerto per violino e orchestra n. 3 in sol maggiore, K 216.
Concerto per violino e orchestra n. 5 in la maggiore, Turkisch, K
219.
Sonata per violino e pianoforte n. 21 in mi minore, K 304.
Sonata per violino n. 18 in sol maggiore, K 301.
Quartetto per archi n. 3 in sol maggiore, K 156.
Quintetto per archi n. 4 in sol minore, K 516.
LUDWIG VAN BEETHOVEN
Sonata per violino n. 5 in fa maggiore, Op. 24, La Primavera.
Quartetto per pianoforte in mi bemolle maggiore, Op. 16a.
Sonata per violino e pianoforte in la maggiore n. 6, Op. 30 n. 1.
Sonata per violino e pianoforte in la maggiore n. 9, Op. 47,
Sonata a Kreutzer.
FRANZ SCHUBERT
Il canto del cigno, D 957.

ROBERT SCHUMANN
Sonata per violino e pianoforte n. 1 in la minore, Op. 105.

JOHANNES BRAHMS
Sonata per violino e pianoforte n. 1 in sol maggiore, Op. 78.
BOHUSLAV MARTINŮ
Five Madrigal Stanzas, H 297.
Appendice

Questi che seguono sono i voti di Albert Einstein quando


frequentava il Politecnico di Zurigo.
C’è poco da aggiungere, se non rimanere a guardare queste
pagelle e immaginare la sua faccia quando le ha ricevute.
Note e ringraziamenti

Una buona storia ti dà la possibilità di capire meglio la vita di


qualcun altro. Può aiutarti a trovare un terreno comune. A volte
leggiamo delle storie per noi stessi, ci immedesimiamo e ci
ritroviamo nei personaggi raccontati. A me questo processo di
immedesimazione capita spesso, e mi è successo tante volte con i
fisici del XX secolo di cui divoro le vicende attingendo dagli archivi
dei centri di ricerca internazionali, dalle biografie ufficiali, dalle lettere
che si spedivano, andando a trovare e parlando direttamente con i
parenti e gli amici ancora in vita.
Quando per la prima volta ho scritto della vita di Albert Einstein
nel romanzo Einstein e io avevo delle certezze. Nel rileggere alcune
righe di quel romanzo provo ora due impressioni stranamente
contrastanti; quello che ho scritto è vero più che mai, nella sua
essenza, ma in qualche modo anche remoto e strano. E così ho
sentito l’esigenza di scrivere questo libro, per esprimere meglio la
mia devozione nei confronti di Albert Einstein. Con il tempo ho capito
nuove cose su di lui, e quel mio romanzo non bastava. Quando
decido di scrivere un libro è come se mi nascesse dentro uno
stimolo incontrollabile.
L’esigenza è nata in me quando Freeman Dyson mi ha fatto
soffermare su una affermazione di Einstein, che io stavo per dare
per scontata: «Non ho mai sentito la necessità di avvicinarmi agli
uomini e alla società in generale. Sono proprio un cavallo che vuol
tirare da solo; mai mi sono dato pienamente né allo Stato, né alla
terra natale, né agli amici e neppure ai congiunti più prossimi; anzi,
ho sempre avuto di fronte a questi legami la sensazione netta di
essere un estraneo e ho sempre sentito il bisogno di solitudine; e
questa sensazione non fa che aumentare con gli anni». Proprio in
quelle parole sono conservate le chiavi di accesso alle sue memorie,
e il legame tra il periodo europeo e quello americano. Gli altri fisici
stanno cercando di unificare le forze fondamentali della natura,
mentre io sto cercando di unificare quei suoi due periodi, così diversi
della vita di Einstein.
Ma torniamo a noi. Io credo che non si debba trascurare il senso
di affettuosa incombenza che si prova, a volte, nei riguardi dei nostri
predecessori. Una incombenza che fa cantare canzoni, girare film, e
scrivere, appunto, libri. Le incombenze emotive vanno sempre
assecondate. Se il nostro lavoro è pubblico, diventa di forte impatto
per la società, e soprattutto per i giovani. I libri lo sono, il teatro lo è,
e io di questo vivo. Il ricordo dei migliori del passato stimola chi è
benintenzionato nel presente a uno sforzo coraggioso.
Credo anche che sia dovere di chi viaggia e accumula esperienza
fare tutto questo. Perciò il mio modo di lavorare per scrivere un libro
è sempre lo stesso: vado sul posto, parlo con chi ne sa, mi faccio
domande, cerco sul posto le risposte, ci penso per mesi, o anni,
accumulo materiale, e poi scrivo.
Albert Einstein si è distinto in modo eminente per il suo contributo
allo sviluppo della vita culturale. Questo è il motivo per cui su di lui si
continueranno a scrivere libri, e il suo mito continuerà a crescere
ancora.
Questo viaggio nell’eredità di Albert Einstein è iniziato fin da
quando ero bambina. Parlavo con Einstein nella mia cameretta, con
il poster che lo raffigurava e che tenevo appeso alla parete; era il
mio amico immaginario numero uno (con il tempo è arrivata anche
Marie Curie). E ho deciso di laurearmi in fisica grazie a loro, e con
loro ho proseguito nel mio percorso fino a oggi.

Le mie ricerche in America sono state tante e molto fruttuose. Le


chiacchierate con Freeman Dyson sono state il motore da cui è
scaturita la scintilla per creare molto di questo libro. Prima delle
ricerche in America sono stata a Zurigo e a Berna, altri luoghi di
grande impatto, di fervore culturale, che hanno lasciato un segno su
di me. Prima ancora sono stata a Copenaghen, un’altra città con
archivi magnifici; la scuola di Copenaghen che ha creato Niels Bohr
è ricchezza pura: quanto tempo ho passato tra quei faldoni (la lettera
di Wolfgang Pauli viene da quelle mie ricerche, dalle quali è nato
anche il libro Hotel Copenaghen). E prima ancora ero stata a
Bruxelles dove ho attinto agli archivi Solvay, e tutto quello che, in
questo libro, fa riferimento a quegli incontri di fisici del XX secolo l’ho
preso da lì (i Congressi Solvay, in particolare il primo, avvenuto nel
1911, e il quinto, del 1927, quando c’è stato il più grande ritrovo di
cervelli della storia, da cui è nato il mio primo romanzo L’incredibile
cena dei fisici quantistici).
In questi luoghi ho attinto alle fonti primarie, dagli istituti di ricerca
scientifica del posto, e ho parlato con professori e parenti (dal nipote
di Niels Bohr al figlio di Werner Heisenberg, per citarne due).
Negli anni ho pubblicato diverse ricostruzioni di luoghi e scienziati
del XX secolo, e continuerò su questa via ancora per molto. Perché
quelli sono stati gli anni in cui i grandi fisici hanno creato il mondo nel
quale viviamo oggi.

I ringraziamenti per la ricerca di dati e informazioni messi insieme


negli anni partono da lontano. Devo ringraziare: Vincenzo Barone,
che ha scritto libri su Einstein che conosco ormai a memoria, e
quando lo incontro mi invoglia sempre a continuare sulla mia strada;
Eugenio Coccia, che sa parlare di spazio come un grande maestro;
ringrazio Brian Green, un grande affabulatore di scienza, e Brian
Cox, che mi permette di immaginare quello che avviene nello spazio-
tempo; la Princeton University; l’Institute for Advanced Study; la
Hebrew University; il Gran Sasso Science Institute; il negozio di lana
e la libreria di Nassau Street; Juan Martín Maldacena, che mi ha
aperto nuovi mondi raccontandomi la sua teoria; Lisa Randall, che
rappresenta un grande modello per me, e tutte le donne della
scienza, aver parlato con lei mi ha dato tantissimi stimoli e aperto
nuovi orizzonti. Ringrazio Roberto Car, Michele Parrinello, così
disponibile e gentile; Chiara Nappi, che in giro per Princeton mi ha
scortato come una principessa in una favola; ringrazio Luca
Bonzanigo per la sua dedizione nell’aiutarmi nelle traduzioni dal
tedesco; e naturalmente – l’ho nominato più e più volte – ringrazio
Freeman Dyson.
Tutte queste persone si sono rivelate fantastiche, mi hanno
inondato di stimoli, mi hanno invogliato a cercare, e mi hanno spinto
ad andare oltre. È grazie alle mie chiacchierate con loro che oggi ho
ancora più voglia di continuare a cercare, e nuove domande mi
assillano e aleggiano nella mia testa. Resta comunque il fatto che
tutti gli errori contenuti in questo libro sono miei.
Infine ringrazio la casa editrice e la mia agente.
Fonti delle citazioni e bibliografia delle opere
consultate

Opere di Albert Einstein

Il lato umano, a cura di H. Dukas e B. Hoffmann, trad.


it. di A. Gilberti, Einaudi, Torino 1980.

Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri,


Torino 1988.

Lettere d’amore (con Mileva Marić), a cura di J. Renn e


R. Schulmann, trad. it. di M. Premoli, Bollati
Boringhieri, Torino 1993.

Corrispondenza con Michele Besso (1903-1955), a


cura di G. Gimbello, trad. it. di M.F. Davì Trimarchi e G.
Gregorio, Guida, Napoli 1995.

Pensieri di un uomo curioso, a cura di A. Calaprice,


trad. it. di S. Coyaud, Mondadori, Milano 1999.

Caro professor Einstein. Il genio della fisica risponde


alle domande dei bambini, a cura di A. Calaprice, trad.
it. di G. Baglieri, Archinto, Milano 2005.
Einstein on Politics, a cura di D.E. Rowe e R.
Schulmann, Princeton University Press, Princeton
2007.

Albert Einstein. Il lato umano: spunti per un ritratto, a


cura di H. Dukas e B. Hoffman, trad. it. di A. Gilberti,
Einaudi, Torino 2005.

Gioventù felice in terra pavese. Le lettere di Albert


Einstein al Museo per la Storia dell’Università di Pavia,
a cura di L. Fregonese, Cisalpino, Milano 2005.

Relatività. Esposizione divulgativa, a cura di B.


Cermignani, trad. it. di V. Geymonat, Bollati Boringhieri,
Torino 2011.

L’evoluzione della fisica (con Leopold Infeld), trad. it. di


A. Graziadei, Bollati Boringhieri, Torino 2011.

The Ultimate Quotable Einstein, a cura di A. Calaprice,


Princeton University Press, Princeton 2011.

Pensieri degli anni difficili, trad. it. di L. Bianchi, Bollati


Boringhieri, Torino 2014.

Autobiografia scientifica, trad. it. di A. Gamba, Bollati


Boringhieri, Torino 2014.

Il significato della relatività, trad. it. di L.A. Radicati di


Bròzolo, Bollati Boringhieri, Torino 2014.
Le due relatività. Gli articoli originali del 1905 e 1916, a
cura di V. Barone, trad. it. di E. Saggittario e A.M.
Pratelli, Bollati Boringhieri, Torino 2015.

Scienza e vita. Lettere 1916-1955 (con Max Born), a


cura di M. Dorato, trad. it. di G. Scattone, Mimesis,
Milano 2015.

Come io vedo il mondo. La teoria della relatività, trad.


it. di R. Valori e A. Pratelli, Newton Compton, Roma
2018.

Pensieri, idee, opinioni, trad. it. di L. Angelini, Newton


Compton, Roma 2019.

Opere e articoli su Albert Einstein

V. Barone, Albert Einstein. Il costruttore di universi,


Laterza, Roma-Bari 2017.

– E = mc2. La formula più famosa, il Mulino, Bologna 2019.

J. Bernstein, Einstein, trad. it. di V. Ottonelli, il Mulino,


Bologna 2004.

D. Bodanis, E = mc². Biografia dell’equazione che ha


cambiato il mondo, trad. it. di M. Gramegna,
Mondadori, Milano 2013.
– Il più grande errore di Einstein. Vita di un genio imperfetto, trad.
it. di T. Cannillo, Mondadori, Milano 2017.
D. Brian, Einstein. A Life, Wiley, New York 1997.

R. W. Clark, Einstein. La vita pubblica e privata del più


grande scienziato del nostro tempo, trad. it. di L.
Magliano, Rizzoli, Milano 1976.

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«A Salutary Moral Influence», Oxford University Press,
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Y. Ezrahi, Einstein’s Unintended Legacy. The Critique


of Common-Sense Realism and Post-Modern Politics,
in P.L. Galison, G. Holton e S. S. Schweber (a cura di),
Einstein for the 21st Century. His Legacy in Science,
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Princeton 2008.

L. S. Feuer, Einstein e la sua generazione. Nascita e


sviluppo di teorie scientifiche, trad. it. di F. Ceccarelli, il
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A. Folsing, Albert Einstein. Eine Biographie,


Suhrkamp, Frankfurt am Main 1995.

J. Forrester, A Tale of Two Icons. «The Jews All Over


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P. Frank, Einstein. La sua vita e il suo tempo, trad. it. di


E. Vincenti, Garzanti, Milano 1949.

C. Galfard, L’universo a portata di mano. In viaggio


attraverso la fisica dello spazio e del tempo, trad. it. di
G. Olivero, Bollati Boringhieri, Torino 2016.

– Come capire E = mc2, trad. it. di S. Frediani, Bollati Boringhieri,


Torino 2019.

S. Gimbel, Einstein. His Space and Times, Yale


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J. Gribbin, Il capolavoro di Einstein. Il 1915 e la teoria


generale della relatività, trad. it. di S. Frediani, Bollati
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B. Hoffmann e H. Dukas, Albert Einstein creatore e


ribelle, trad. it. di M. Bianchi, Bompiani, Milano 1977.
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trad. it. di T. Cannillo, Mondadori, Milano 2008.

M. Kaku, Il cosmo di Einstein. Come la visione di


Einstein ha trasformato la nostra comprensione dello
spazio e del tempo, trad. it. di P. Bonini, Codice, Torino
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in «Social Studies of Science», 15, 2, 1985, pp. 267-
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S. Neiman, Subversive Einstein, in Galison, Holton e.


Schweber, Einstein for the 21st Century cit., pp. 59-71.

A. Pais, Einstein è vissuto qui, trad. it. di M. Bruno e D.


Mezzacapa, Bollati Boringhieri, Torino 1995.

– Ritratti di scienziati geneiali. I fisici del XX secolo, trad. it. di S.


Ravaioli, Bollati Boringhieri, Torino 2007.
– «Sottile è il Signore...». La scienza e la vita di Albert Einstein,
trad. it. di L. Belloni e T. Cannillo, Bollati Boringhieri, Torino 2012.

V. Palermo, La versione di Albert. Perché Einstein è un


genio, Hoepli, Milano 2015.

R. Panek, Il secolo invisibile. Einstein e Freud: la


ricerca degli universi nascosti, trad. it. di C. Capararo,
Ponte alle Grazie, Milano 2005.

M. Paterniti, A spasso con Mr Albert. In giro per


l’America con il cervello di Einstein, trad. it. di A.
Pezzotta, Bompiani, Milano 2001.

J. Plesch e P.H. Plesch, Some Reminiscences of


Albert Einstein, in «Notes and Records of the Royal
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J. Schwinger, L’eredità di Einstein. L’unità di spazio e


tempo, trad. it. di L. Serafini, Zanichelli, Bologna 1988.

K.S. Thorne, Buchi neri e salti temporali. L’eredità di


Einstein, trad. it. di D. Santoro, Castelvecchi, Roma
2015.

J. Weidman, The Night I Met Einstein, in «Reader’s


Digest», novembre 1955, ora disponibile online,
https://www.rd.com/true-stories/inspiring/the-night-
i-met-einstein/.
Altre opere

M. Guillen, Le 5 equazioni che hanno cambiato il


mondo. Potere e poesia della matematica, TEA, Milano
2018.

R. Monk, Robert Oppenheimer, L’uomo che inventò la


bomba atomica, Bompiani, Milano 2014.

R.J. Oppenheimer, Scienza e pensiero comune, trad.


it. di L. Bianchi e L. Terzi, Bollati Boringhieri, Torino
2016.

W. Pauli, Teoria della relatività, trad. it. di P. Gulmanelli,


Bollati Boringhieri, Torino 2008.

B. Russell, L’ABC della relatività, trad. it. L. Pavolini,


Longanesi, Milano 2017.
Cronologia di Albert Einstein

Il simbolo ~ indica un’incertezza di datazione non superiore all’anno


1879
14 marzo. Da Hermann Einstein (1847-1902) e Pauline Koch (1852-1920)
nasce a Ulma, nel Wurttemberg, il figlio primogenito Albert.
1880
21 giugno. Gli Einstein prendono la residenza a Monaco.
1881
18 novembre. Nasce la sorella di Einstein, Maria (Maja).
~1886
Albert frequenta la scuola pubblica a Monaco. In ossequio alle disposizioni di
legge relative all’educazione religiosa, gli vengono insegnati i rudimenti del
giudaismo a casa.
1888
Entra al Luitpold Gymnasium. L’educazione religiosa continua, questa volta a
scuola, dove Heinrich Friedmann lo prepara alla cerimonia del bar mitzvah.
1889
Max Talmud, studente in medicina, gli dà da leggere opere di divulgazione
scientifica di Aaron Bernstein, Kraft und Stoff (Forza e materia) di Büchner, la
Critica della ragion pura di Kant e altri libri. Talmud diviene un ospite fisso di
casa Einstein fino al 1894 durante tale periodo discute con Albert di questioni
scientifiche e filosofiche.
~1890
Fase religiosa, che dura circa un anno.
~1891-95
Albert si familiarizza con gli elementi della matematica superiore, compreso il
calcolo differenziale e integrale.
1894
La famiglia si trasferisce in Italia, prima a Milano, poi a Pavia, poi ancora a
Milano. Albert rimane a Monaco per finire gli studi.
1894 o 95
Manda allo zio Caesar Koch in Belgio uno scritto «sullo stato dell’etere in un
campo magnetico».
1895
Primavera. Einstein lascia il Luitpold Gymnasium senza aver terminato gli
studi e raggiunge la famiglia a Pavia. Autunno. Bocciato all’esame di
ammissione al Politecnico di Zurigo, si iscrive alla sezione industriale della
scuola cantonale di Aarau. Vive nella casa di «papà» Jost Winteler, uno dei
suoi insegnanti.
1896
28 gennaio. Rinuncia alla cittadinanza tedesca, rimanendo apolide per i cinque
anni successivi.
Autunno. Ottiene il diploma della scuola di Aarau, che lo abilita a iscriversi al
Politecnico di Zurigo.
Prende la residenza in tale città il 29 ottobre. Suoi compagni di studi sono
Marcel Grossmann e Mileva Marić (o Marity).
~1897
La conoscenza di Michele Angelo Besso segna l’inizio di un’amicizia destinata
a durare tutta la vita.
1900
28 luglio. Si diploma a pieni voti presso il Politecnico di Zurigo.
Autunno. Tenta senza successo di ottenere un posto di assistente al
Politecnico.
13 dicembre. Da Zurigo invia il suo primo lavoro alla rivista «Annalen der
Physik».
1901
21 febbraio. Diventa cittadino svizzero.
13 marzo. Viene dichiarato inabile al servizio militare. Marzo-aprile. Alla ricerca
di un impiego, si rivolge, senza successo, a Ostwald a Lipsia e a Kamerlingh
Onnes a Leida.
1902
21 febbraio. Arrivo a Berna. Nei primi tempi vive con un modesto mensile
inviatogli dalla famiglia e i compensi ricavati da lezioni private di matematica e
fisica.
16 giugno. Viene assunto all’Ufficio brevetti di Berna.
10 ottobre. Il padre muore a Milano.
1903
6 gennaio. Einstein sposa Mileva Marić.
Konrad Habicht, Maurice Solovine e Einstein fondano l’«Akademie Olympia».
5 dicembre. Einstein tiene, alla Naturforschende Gesellschaft di Berna, una
conferenza sulla teoria delle onde elettromagnetiche.
1904
14 maggio. Nascita del primo figlio, Hans Albert (morto nel 1973 a Berkeley).
1905
17 marzo. Einstein termina la memoria sull’ipotesi del quanto di luce, Über
einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden
heuristischen Gesichtspunkt (Un punto di vista euristico relativo alla
generazione e alla trasformazione della luce).
30 aprile. Completa la tesi di dottorato Eine neue Bestimmung der
Moleküldimensionen (Una nuova determinazione delle dimensioni
molecolari). La tesi, stampata a Berna e presentata all’Università di Zurigo,
viene accettata nel luglio. È dedicata «all’amico Marcel Grossmann».
11 maggio. Ricevuta (dagli «Annalen der Physik», come tutti i lavori del 1905)
la prima memoria sul moto browniano Die von der molekularkinetischen
Theorie der Wärme geforderte Bewegung von in ruhenden Flüssigkeiten
suspendierten Teilchen (Il moto delle particelle in sospensione nei fluidi in
quiete, come previsto dalla teoria cinetico-molecolare del calore).
30 giugno. Ricevuta la prima memoria sulla relatività ristretta, Elektrodynamik
bewegter Körper (Elettrodinamica dei corpi in movimento).
27 settembre. Ricevuta la seconda memoria sulla teoria della relatività
ristretta, Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energieinhalt abhängig?
(L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?). Contiene la
relazione E = mc2.
19 dicembre. Ricevuta una seconda memoria sul moto browniano, Zur Theorie
der Brownschen Bewegung (Teoria del moto browniano).
1906
Novembre. Completa un articolo sul calore specifico dei solidi, il primo che sia
mai stato scritto sulla teoria quantica dello stato solido: Die Plancksche
Theorie der Strahlung die Theorie der spezifischen Wärme (La teoria
planckiana della radiazione e la teoria dei calori specifici).
1907
«Il pensiero più felice della mia vita»: Einstein scopre il principio di equivalenza
per sistemi meccanici uniformemente accelerati. Estende il principio ai
fenomeni elettromagnetici, fornisce l’espressione corretta per lo spostamento
delle righe spettrali verso il rosso, e osserva che questa estensione comporta
anche una curvatura della luce che passa vicino a corpi massivi, ma ritiene
che quest’ultimo effetto sia troppo piccolo per poter essere rivelato.
1908
28 febbraio. Einstein viene nominato Privatdozent presso l’Università di Berna.
L’argomento della sua tesi di abilitazione, mai pubblicata, erano le
conseguenze per la costituzione della radiazione derivanti dalla legge di
distribuzione dell’energia per il corpo nero.
All’inizio dell’anno J.J. Laub diviene il primo collaboratore scientifico di
Einstein; insieme pubblicano due articoli.
1909
Marzo e ottobre. Einstein completa due memorie, Zum gegenwärtigen Stande
des Strahlungsproblems (Lo stato attuale del problema della radiazione) e
Entwicklung unserer Anschauungen über das Wesen und die Konstitution der
Strahlung (Evoluzione delle nostre concezioni sulla natura e la costituzione
della radiazione); ciascuna di esse contiene un’ipotesi sulla teoria della
radiazione di corpo nero. In termini moderni, queste due congetture sono la
complementarità e il principio di corrispondenza. La memoria dell’ottobre (la
seconda citata) viene presentata a un congresso a Salisburgo, il primo
congresso di fisica cui Einstein partecipa.
6 luglio. Einstein si dimette dall’Ufficio brevetti e lascia l’incarico di
Privatdozent.
8 luglio. Riceve la laurea honoris causa all’Università di Ginevra, la prima di
una lunga serie.
15 ottobre. Comincia a lavorare come professore associato all’Università di
Zurigo.
1910
Marzo. Maja sposa Paul Winteler, figlio di Jost Winteler.
28 luglio. Nascita del secondo figlio, Eduard (morto nel 1965).
Ottobre. Einstein termina un articolo sull’opalescenza critica, Theorie der
Opaleszenz von homogenen Flüssigkeiten und Flussigkeitsgemischen in der
Nähe des kritischen Zustandes (Teoria dell’opalescenza di fluidi omogenei e
di miscele fluide in prossimità della condizione critica); è il suo ultimo lavoro
importante nell’ambito della fisica statistica classica.
6 gennaio. Viene nominato professore ordinario all’Università Karl-Ferdinand
di Praga. Nel marzo si trasferisce in questa città.
Giugno. Accenna, nello scritto Einfluss der Schwerkraft auf die Ausbreitung
des Lichtes (L’effetto della gravitazione sulla propagazione della luce), a una
possibile verifica sperimentale – da effettuarsi nel corso di un’eclisse totale di
Sole – del fenomeno dell’incurvamento dei raggi luminosi ad opera dei campi
gravitazionali. Il valore da lui previsto per la deflessione di un raggio che,
provenendo da distanza «infinita», passi radente al Sole, è 0,83” (metà del
valore corretto).
30 ottobre - 3 novembre. Primo congresso Solvay; Einstein tiene la relazione
conclusiva sul tema: État actuel du problème des chaleurs spécifiques.
1912
Inizio di febbraio. Einstein è nominato professore al Politecnico di Zurigo, dove
si trasferisce nell’agosto.
1912-13
Collabora con Grossmann (divenuto nel frattempo professore di matematica al
Politecnico) sui fondamenti della teoria della relatività generale. Per la prima
volta la gravitazione viene descritta dal tensore metrico. I due ritengono di
aver dimostrato che le equazioni del campo gravitazionale non possono
essere generalmente covarianti.
1913
Primavera. Planck e Nernst, in visita da Einstein a Zurigo, sondano la sua
disponibilità a trasferirsi a Berlino offrendogli: un posto di ricercatore presso
l’Accademia prussiana delle Scienze, una cattedra all’Università di Berlino
senza obbligo di insegnamento, e la direzione dell’istituendo Kaiser-Wilhelm-
Institut für Physik.
3 luglio. Su proposta di Planck, Nernst, Rubens e Warburg, Einstein viene
nominato membro dell’Accademia prussiana.
7 dicembre. Einstein accetta il posto a Berlino.
1914
6 aprile. Si trasferisce a Berlino con la moglie e i figli. Poco tempo dopo gli
Einstein si separano. Mileva torna a Zurigo con i figli.
26 aprile. Sul quotidiano berlinese «Die Vossische Zeitung» appare
Relativitätsprinzip, il suo primo scritto divulgativo sulla teoria della relatività.
2 luglio. Einstein tiene la sua Antrittsrede (prolusione) all’Accademia
prussiana.
1915
All’inizio dell’anno, Einstein ha un incarico temporaneo alla Physikalisch-
Tecnische Reichsanstalt di Berlino, ove, insieme a de Haas, esegue
esperimenti giromagnetici.
È fra i firmatari di un «appello agli europei», per la costituzione di una lega che
operi a difesa dei valori culturali del Vecchio Continente: probabilmente il
primo documento politico al quale abbia prestato il proprio nome. Fine di
giugno-inizio di luglio. Tiene sei lezioni a Gottinga sulla teoria della relatività
generale («Con mia grandissima gioia sono riuscito a convincere Hilbert e
[Felix] Klein»).
4 novembre. Ritorna al requisito della covarianza generale per la relatività
generale, ma impone la restrizione che siano consentite solo le trasformazioni
unimodulari.
11 novembre. Sostituisce il vincolo dell’unimodularità con quello, ancor più
restrittivo, (–detgμν)1/2 = 1.
18 novembre. I primi risultati postnewtoniani. Einstein ottiene il valore di 43”
per secolo per la precessione del perielio di Mercurio. Scopre anche che la
deflessione della luce è doppia rispetto a quanto aveva pensato nel 1911.
20 novembre. David Hilbert presenta alla Accademia delle Scienze di Gottinga
una memoria che contiene la forma finale delle equazioni del campo
gravitazionale (unitamente a un’ipotesi superflua sulla struttura del tensore di
energia- quantità di moto).
25 novembre. Completamento della struttura logica della relatività generale.
Einstein comprende che può e deve fare a meno delle restrizioni introdotte il
4 e l’11 di quello stesso mese.
1916
20 marzo. Die Grundlagen der allgemeinen Relativitätstheorie, la prima
esposizione sistematica della relatività generale, perviene agli «Annalen der
Physik»; più tardi, in quello stesso anno, viene pubblicata in forma di libro, il
primo di Einstein.
5 maggio. Einstein succede a Planck nella carica di presidente della Società
tedesca di Fisica.
Giugno. Pubblica il suo primo lavoro sulle onde gravitazionali:
Näherungsweise Integration der Feldgleichungen der Gravitation
(Integrazione approssimata delle equazioni di campo della gravitazione).
Scopre che (detto in linguaggio moderno) un gravitone ha solo due stati di
polarizzazione.
Luglio. Einstein ritorna alla teoria quantica. Negli otto mesi seguenti,
pubblicherà tre scritti sull’argomento, che in parte si sovrappongono: la
memoria Strahlungs-emission und -absorption nach der Quantentheorie
(Emissione e assorbimento di radiazione secondo la teoria quantica) e due
articoli intitolati Quantentheorie der Strahlung (Teoria quantica della
radiazione). Vi tratta il coefficiente di emissione spontanea e indotta e quello
di assorbimento, nonché una nuova derivazione della legge di Planck; per la
prima volta, in una pubblicazione a stampa, afferma che un quanto di luce
con energia hv trasferisce una quantità di moto hν/c. Prime difficoltà con il
«caso» nella fisica quantica.
Dicembre. Termina Über die spezielle und die allgemeine Relativitätstheorie,
gemeinverständlich (Teoria della relatività ristretta e generale: esposizione
divulgativa), la sua opera più largamente conosciuta, tradotta in seguito in
molte lingue.
Dicembre. Viene nominato membro del consiglio direttivo della Physikalisch-
Technische Reichsanstalt, incarico che ricopre dal 1917 al 1933.
1917
Febbraio. Einstein apre un nuovo capitolo della fisica con le Kosmologische
Betrachtungen zur allgemeinen Relativitätstheorie (Considerazioni
cosmologiche sulla teoria della relatività generale), ove introduce il termine
cosmologico.
1° ottobre. Il Kaiser-Wilhelm-Institut inizia l’attività (sia sperimentale che
teorica) sotto la direzione di Einstein.
1918
Febbraio. Pubblicazione della seconda memoria sulle onde gravitazionali,
Gravitationswellen, contenente la formula del quadrupolo.
Novembre. Einstein rifiuta un’offerta congiunta dell’Università e del Politecnico
di Zurigo.
1919
Gennaio-giugno. Passa gran parte di questo periodo a Zurigo, dove tiene una
serie di conferenze all’Università.
14 febbraio. Divorzio da Mileva.
29 maggio. Un’eclisse totale di Sole dà modo di misurare la curvatura della
luce. Le misure vengono effettuate all’Isola del Principe, sotto la direzione di
Eddington, e nel Brasile settentrionale, sotto la direzione di Crommelin.
2 giugno. Einstein sposa la cugina Elsa Löwenthal (1874-1936), dal cui primo
matrimonio erano nate Ilse (1897-1934) e Margot (1899-).
22 settembre. Einstein riceve da Lorentz un telegramma che lo informa che
l’analisi preliminare dei dati dell’eclisse di maggio indica per la curvatura della
luce un valore compreso fra quello «di Newton» (0,86”) e quello «di Einstein
(1,73”).
6 novembre. Durante una riunione congiunta della Royal Society e della Royal
Astronomical Society a Londra, viene annunciato che le osservazioni di
maggio confermano le previsioni relativistiche. È l’inizio del mito Einstein,
anche presso il grande pubblico.
Dicembre. Einstein riceve la sua unica laurea onoraria tedesca: dottore in
medicina all’Università di Rostock.
Discussioni con Kurt Blumenfeld sul sionismo.
1920
12 febbraio. Durante una conferenza di Einstein all’Università di Berlino si
verificano contestazioni interpretabili come manifestazioni di antisemitismo.
Marzo. La madre di Einstein muore nella casa del figlio.
5 maggio. Einstein tiene una conferenza a Leida sull’etere e la teoria della
relatività.
Giugno. Einstein tiene conferenze in Norvegia e in Danimarca. Incontra per la
prima volta Bohr a Berlino. Viene nominato professore straordinario
all’Università di Leida.
24 agosto. L’Arbeitsgemeinschaft deutscher Naturforscher organizza a Berlino
una manifestazione contro la teoria della relatività generale. Einstein è
presente. Tre giorni più tardi appare una sua replica alquanto aspra sul
«Berliner Tageblatt». Laue, Nernst e Rubens, come anche il ministro della
Pubblica Istruzione Konrad Haenisch, gli esprimono pubblicamente la loro
solidarietà.
A partire da quest’anno ha inizio una serie di articoli di carattere non
strettamente scientifico.
2 aprile - 30 maggio. Prima visita negli Stati Uniti, insieme a Chaim Weizmann,
con lo scopo di raccogliere fondi per il progetto di un’università ebraica a
Gerusalemme. A Chicago, Boston e Princeton tiene quattro lezioni sulla
teoria della relatività, poi pubblicate con il titolo The Meaning of Relativity.
1922
Gennaio. Termina la prima memoria sulla teoria unitaria dei campi (scritta in
collaborazione con Jakob Grommer) intitolata Beweis der Nichtexistenz eines
liberali regulären zentrisch symmetrischen Feldes nach der Feldtheorie von
Kaluza (Dimostrazione della non-esistenza di un campo a simmetria centrale,
ovunque regolare, secondo la teoria dei campi di Kaluza).
Aprile. Einstein accetta l’invito a far parte del Comitato internazionale per la
Cooperazione intellettuale (CIC) della Società delle Nazioni.
24 giugno. Assassinio di Walther Rathenau, ministro degli Esteri tedesco e
amico di Einstein.
9 novembre. Gli viene assegnato il premio Nobel del 1921 per la fisica «per i
suoi contributi alla fisica teorica e specialmente per la scoperta della legge
dell’effetto fotoelettrico».
1923
Marzo. Deluso dell’inefficacia della Società delle Nazioni, ma fedele ai suoi
scopi, si dimette dal Comitato per la Cooperazione intellettuale.
Giugno-luglio. Partecipa alla fondazione dell’Associazione Amici della nuova
Russia e diviene membro del suo comitato esecutivo.
Luglio. A Göteborg tiene una conferenza sul tema Grundgedanken und
Probleme der Relativitätstheorie (Idee e problemi fondamentali della teoria
della relatività) in segno di ringraziamento per il premio Nobel.
La scoperta dell’effetto Compton pone termine all’annosa resistenza contro il
concetto di fotone.
Dicembre. Viene pubblicata la memoria Bietet die Feldtheorie Möglichkeiten
für die Lösung des Quantenproblems? (Offre la teoria di campo possibilità di
soluzione del problema quantico?) in cui per la prima volta Einstein avanza
l’ipotesi che gli effetti quantici possano derivare da una sovradeterminazione
delle equazioni di campo della relatività generale.
1924
Inizia l’attività l’Istituto Einstein di Potsdam, sistemato nella Einstein Turm. Lo
strumento principale è il telescopio Einstein.
Ilse Einstein sposa Rudolf Kayser.
Giugno. Einstein torna a far patte del Comitato internazionale per la
Cooperazione intellettuale.
Dicembre. L’ultima grande scoperta di Einstein: dall’analisi delle fluttuazioni
statistiche perviene a un argomento indipendente in favore dell’associazione
di onde con la materia. La condensazione di Bose-Einstein è anch’essa una
scoperta di questo periodo.
1925
Einstein firma (con Gandhi e altri) un manifesto contro il servizio militare
obbligatorio.
Diviene membro del consiglio di amministrazione dell’Università ebraica
(ricoprirà l’incarico fino al 1928).
1926
Riceve la medaglia d’oro della Royal Astronomical Society.
1927
Ottobre. Quinto Congresso Solvay. Inizio del dibattito tra Einstein e Bohr sui
fondamenti della meccanica quantica.
1929
28 giugno. Einstein riceve la prima medaglia Planck. In quest’occasione
definisce i suoi contributi alla fisica quantica «intuizioni occasionali»
presentatesi nel corso della «lotta infruttuosa con il problema principale».
1930
Maggio. Einstein firma il manifesto per il disarmo mondiale della Women’s
International League for Peace and Freedom.
11 dicembre - 4 marzo 1931. Secondo soggiorno di Einstein negli Stati Uniti,
principalmente al California Institute of Technology di Pasadena.
1931
Aprile. Einstein respinge il termine cosmologico come non necessario e
ingiustificato.
30 dicembre - 4 marzo 1932. Terzo soggiorno di Einstein negli Stati Uniti, di
nuovo al CalTech.
1932
Febbraio. Da Pasadena Einstein protesta contro la condanna per tradimento
del pacifista tedesco Cari von Ossietzky.
Aprile. Si dimette definitivamente dal CIC.
Ottobre. Gli viene offerta una cattedra all’Institute for Advanced Study di
Princeton.
10 dicembre. Einstein e la moglie partono per gli Stati Uniti (non rimetteranno
più piede in Germania).
1933
30 gennaio. I nazionalsocialisti salgono al potere.
20 marzo. In assenza di Einstein le SA perquisiscono la sua residenza estiva di
Caputh, con il pretesto di cercarvi armi nascoste dai comunisti.
28 marzo. Tornato in Europa, Einstein comunica le proprie dimissioni
all’Accademia prussiana delle Scienze. Con la moglie si stabilisce a Le Coq-
sur-Mer, sulla costa belga, ove viene raggiunto da Use, Margot, Helen Dukas
(sua segretaria dal 1928) e Walther Mayer (suo assistente dal 1930). Nel
frattempo Rudolf Kayser provvede a mettere in salvo le sue carte rimaste a
Berlino, spedendole al Quai d’Orsay tramite corriere diplomatico.
21 aprile. Einstein si dimette dall’Accademia bavarese delle Scienze.
Il carteggio tra Einstein e Freud viene pubblicato sotto forma di opuscolo, con
il titolo Warum Krieg? (Perché la guerra?).
10 giugno. Einstein tiene a Oxford la «Herbert Spencer Lecture» On the
Method of Theoretical Physics.
17 ottobre. Einstein, la moglie, Helen Dukas e Mayer arrivano negli Stati Uniti,
diretti alla volta di Princeton (Use e Margot restano in Europa).
1934
Morte di Ilse a Parigi. Poco dopo, Margot e il marito raggiungono la famiglia a
Princeton.
1935
Maggio. Einstein chiede formalmente la residenza negli Stati Uniti.
Riceve la medaglia Franklin.
1936
7 settembre. Morte di Marcel Grossmann.
20 dicembre. Morte di Elsa.
1939
2 agosto. Einstein scrive al presidente Roosevelt caldeggiando la costruzione
dell’arma atomica.
1940
1° ottobre. Einstein riceve la cittadinanza americana (conserva però anche
quella svizzera).
1943
31 maggio. Einstein sottoscrive un contratto di consulenza con la Marina
militare degli Stati Uniti.
1944
Una copia della memoria del 1905 sulla relatività ristretta, riscritta di pugno di
Einstein appositamente, viene venduta all’asta per sei milioni di dollari come
contributo allo sforzo bellico (il manoscritto si trova attualmente nella
biblioteca del Congresso).
1945
10 dicembre. Einstein tiene a New York un discorso sul tema della pace.
1946
Einstein viene nominato presidente dell’Emergency Committee for Atomic
Scientists.
Ottobre. Scrive una lettera aperta all’Assemblea generale delle Nazioni Unite,
sollecitando la formazione di un governo mondiale.
1948
4 agosto. Morte di Mileva a Zurigo.
1949
Pubblicazione del «necrologio», una sintesi retrospettiva essenzialmente
scientifica, intitolata Autobiographisches.
1950
18 marzo. Einstein firma e sigilla il suo testamento e le ultime volontà. Otto
Nathan è nominato esecutore testamentario unico. Nathan stesso e Helen
Dukas vengono nominati congiuntamente amministratori del suo lascito.
L’Università ebraica è scelta come sede definitiva per le sue lettere e i suoi
manoscritti.
1951
Giugno. Morte di Maja a Princeton.
1952
Luglio. Morte di Paul Winteler a Ginevra.
Novembre. Ad Einstein viene offerta la presidenza di Israele ma egli la rifiuta.
1954
14 aprile. La stampa riferisce una dichiarazione di Einstein in difesa di J.R.
Oppenheimer, inquisito per presunte attività antiamericane.
Ultimo incontro tra Einstein e Bohr (a Princeton).
1955
15 marzo. Morte di Besso.
11 aprile. Einstein si unisce all’appello di Bertrand Russell per la messa al
bando delle armi nucleari in tutto il mondo.
18 aprile. Einstein muore in seguito alla rottura di un aneurisma aortico.
Bibliografia di Albert Einstein

Questo elenco è da ritenersi completo per gli scritti di argomento scientifico.


Degli altri sono riportati soltanto quelli apparsi in edizione a sé, come volumi
(che sono tutti raccolte di saggi e articoli) o come opuscoli. Delle varie
traduzioni, oltre a quelle italiane, sono citate soltanto quelle che presentano
aggiunte o variazioni rispetto all’edizione originale. Una bibliografia
presumibilmente completa degli scritti sia scientifici che non scientifici,
aggiornata al maggio 1951, è stata redatta da Margaret C. Shields per il
volume, a cura di P.A. Schilpp, Albert Einstein: Philosopher-Scientist, Tudor,
New York, 2a ed., 1951, pp. 689-760, e ad essa si rimanda per ulteriori
informazioni.

I Collected Papers of Albert Einstein sono in corso di pubblicazione dal 1987,


con il patrocinio dell’Università ebraica di Gerusalemme, presso la Princeton
University Press (l’ultimo volume, The Berlin Years: Writings &
Correspondence, June 1925–May 1927, è apparso nel 2018) e disponibili sul
sito https://einsteinpapers.press.princeton.edu/.

1901
1. Folgerungen aus den Kapillaritätserscheinungen, in «Annalen der Physik»,
ser. 4, IV, pp. 513-23.

1902
2. Thermodynamische Theorie der Potentialdifferenz zwischen Metallen und
vollständig dissoziierten Lösungen ihrer Sake, und eine elektrische Methode
zur Erforschung der Molekularkräfte, in «Annalen der Physik», ser. 4, VIII, pp.
798-814.
3. Kinetische Theorie des Wärmegleichgewichtes und des zweiten
Hauptsatzes der Thermodynamik, ibid., IX, pp. 417-33.

1903
4. Theorie der Grundlagen der Thermodynamik, in «Annalen der Physik», ser.
4, XI, pp. 170-87.
1904
5. Allgemeine molekulare Theorie der Wärme, in «Annalen der Physik», ser. 4,
XIV, pp. 354-62.

1905
6. EINE NEUE BESTIMMUNG DER MOLEKULDIMENSIONEN, Wyss, Bern, 21 pp.
Dissertazione inaugurale tenuta all’Università di Zurigo. Pubblicata anche
negli «Annalen der Physik» (cfr. n. 11).
7. Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffen- den
heuristischen Gesichtspunkt, in «Annalen der Physik», ser. 4, XVII, pp. 132-
48.
In questo scritto e nel n. 13 appare l’equazione fotoelettrica fondamentale in
forma esplicita, benché espressa in modo diverso da quello solito.
Ufficialmente, è per questo lavoro che fu conferito ad Einstein il premio
Nobel. (Cfr. anche n. 45.)
Traduzione italiana di J. Hendrix e F. Marchetti: Emissione e trasformazione
della luce da un punto di vista euristico, in A. Einstein, La teoria dei quanti di
luce, a cura di A. Hermann, Newton Compton, Roma 1973, pp. 43-72.
8. Die von der molekularkinetischen Theorie der Wärme geforderte Bewegung
von in ruhenden Flüssigkeiten suspendierten Teilchen, in «Annalen der
Physik», ser. 4, XVII, pp. 549-60.
9. Elektrodynamik bewegter Körper, ibid., pp. 891-921.
È, questo, il primo scritto sulla relatività particolare.
Traduzione italiana di P. Straneo: Sull’elettrodinamica dei corpi in moto, in
Cinquant’anni di relatività, a cura di M. Pantaleo, Editrice Universitaria,
Firenze 1955; nuova ed., Giunti Barbera, Firenze 1980, pp. 479-504.
10. Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energieinhalt abhängig?, in
«Annalen der Physik», ser. 4, XVIII, pp. 639-41.
L’argomento dello scritto è strettamente collegato a quello del n. 9.
Traduzione italiana di P. Straneo: L’inerzia di un corpo è dipendente dal suo
contenuto di energia?, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 505-07.

1906
11. Eine neue Bestimmung der Molekuldimensionen, in «Annalen der Physik»,
ser. 4, XIX, pp. 289-306.
È la stessa dissertazione inaugurale del n. 6 con un breve Nachtrag.
12. Zur Theorie der Broumschen Bewegung, ibid., pp. 371-81.
13. Theorie der Lichterzeugungund Lichtabsorption, ibid., XX, pp. 199-206.
Cfr. nota al n. 7.
Traduzione italiana di J. Hendrix e F. Marchetti: Teoria dell’emissione e
dell’assorbimento della luce, in Einstein, Teoria dei quanti di luce cit. (n. 7),
pp. 73-84.
14. Prinzip von der Erhaltung der Schwerpunktsbewegung und die Trägbeit
der Energie, in «Annalen der Physik», ser. 4, XX, pp. 627-33.
15. Eine Methode zur Bestimmung des Verhdltnisses der transversalen und
longitudinalen Masse des Elektrons, ibid., XXI, pp. 583-86.

1907
16. Plancksche Theorie der Strahlung und die Theorie der spezifischen
Wärme, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXII, pp. 180-90, 800.
Traduzione italiana di J. Hendrix: La teoria della radiazione di Planck e la
teoria del calore specifico, in A. Einstein e altri, La teoria quantistica del
calore specifico, Newton Compton, Roma 1974, pp. 29-44.
17. Gültigkeitsgrenze des Satzes vom thermodynamischen Gleichgewicht und
die Möglichkeit einer neuen Bestimmung der Elementarquanta, in «Annalen
der Physik», ser. 4, XXII, pp. 569-72.
18. Möglichkeit einer neuen Prüfung des Relativitätsprinzips, ibid., XXIII, pp.
197 sg.
Analisi dell’effetto Doppler.
19. Bemerkung zur Notiz des Herrn P. Ebrenfest: Translation deformierbarer
Elektronen und der Fläcbensatz, ibid., pp. 206-08.
20. Die vom Relativitätsprinzip geforderte Trägheit der Energie, ibid., pp. 371-
84.
21. Relativitätsprinzip und die aus demselben gezogenen Folgerungen, in
«Jahrbuch der Radioaktivität», IV, pp. 411-62; V, pp. 98 sg.
A p. 443 appare, probabilmente per la prima volta, l’enunciazione esplicita
sia dell’equivalenza di massa inerziale e gravitazionale, sia dell’equazione
della massa in funzione dell’energia, che a partire dall’agosto 1945 è stata
messa in grande rilievo in tutte le descrizioni grafiche della liberazione
dell’energia atomica.
22. Theoretische Bemerkungen über die Brownsche Bewegung, in «Zeitschrift
fur Elektrochemie», XIII, pp. 41 sg.

1908
23. Elektromagnetische Grundgleichungen für bewegte Körper, con J. LAUB, in
«Annalen der Physik», ser. 4, XXVI, pp. 532-40; XXVII, p. 232.
Cfr. anche n. 27.
24. Die im elektromagnetischen Felde auf ruhende Körper ausgeübten
ponderomotorischen Kräfte, con J. LAUB, ibid., XXVI, pp. 541-50.
25. Neue elektrostatiscke Methode zur Messung kleiner Elektrizitätsmengen,
in «Physikalische Zeitschrift», IX, pp. 216 sg.
26. Elementare Theorie der Brownschen Bewegung, in «Zeitschrift fur
Elektrochemie», XIV, pp. 235-39.

1909
27. Bemerkungen zu unserer Arbeit: Elektromagnetische Grundgleichungen
für bewegte Körper, con J. LAUB, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXVIII, pp.
445-47.
28. Bemerkung zur Arbeit von Mirimanoff: Die Grundgleichungen, ibid., pp.
885-88.
Mette in evidenza il legame fra quest’opera e quella di Minkowski.
29. Zum gegenwärtigen Stande des Strahlungsproblems, in «Physikalische
Zeitschrift», X, pp. 185-93.
Ibid., pp. 323 sg., sotto lo stesso titolo si trova una chiarificazione del suo
punto di vista nei confronti di quello di W. Ritz.
30. Entwicklung unserer Anscbauungen tiber das Wesen und die Konstitution
der Strahlung, ibid., pp. 817-25.
Discorso alla 81a assemblea della Gesellschaft Deutscher Naturforscher,
Salisburgo 1909. Pubblicato anche in «Deutsche physikalische Gesellschaft,
Verhandlungen», XI, pp. 482-500.

1910
31. Über einen Satz der Wahrscheinlichkeitsrechnung und seine Anwendung
in der Strah lungs theorie, con L. HOPF, in «Annalen der Physik», ser. 4,
XXXIII, pp. 1096-104.
Per un’ulteriore discussione dell’argomento, cfr. n. 75.
32. Statistische Untersuchung der Bewegung eines Resonators in einem
Strahlungsfeld, con L. HOPF, ibid., pp. 1105-15.
33. Theorie der Opaleszenz von homogenen Flüssigkeiten und
Flüssigkeitsgemischen in der Nähe des kritischen Zustandes, ibid., pp. 1275-
98.
34. Principe de relativité et ses conséquences dans la physique moderne, in
«Archives des Sciences physiques et naturelles», ser. 4, XXIX, pp. 5-28, 125-
244.
La traduzione, di E. Guillaume, è di uno scritto originale, non del n. 21.
35. Théorìe des quantités lumineuses et la question de la localisation de
l’énergie électromagnetique, ibid., pp. 525-28.
36. Forces pondéromotrices qui agissent sur les conducteurs
ferromagnétiques disposés dans un champ magnétique et parcourus par un
courant, ibid., XXX, pp. 323 sg.
1911
37. Bemerkung zu dem Gesetz von Eötvös, in «Annalen der Physik», ser. 4,
XXXIV, pp. 165-69.
38. Beziehung zwischen dem elastischen Verhalten und der spezifischen
Wärme bei festen Körpern mit einatomigem Molekül, ibid., pp. 170-74, 590.
39. Bemerkungen zu den P. Hertzschen Arheiten: Mechanische Grundlagen
der Thermodynamik, ibid., pp. 175 sg.
40. Berichtigung zu meiner Arbeit: Bine neue Bestimmung der
Molekùldimensionen, ibid., pp. 591 sg.
Cfr. nn. 6 e 11.
41. Elementare Betrachtungen über die thermische Molekularbewegung in
festen Körpern, ibid., XXXV, pp. 679-94.
42. Einfluss der Schwerkraft auf die Ausbreitung des Lichtes, ibid., pp. 898-
908.
Lo scritto riprende le idee del n. 21, e deduce da esse per la prima volta la
necessità che i raggi delle stelle s’incurvino nel punto della loro traiettoria più
vicino al disco solare.
43. Relativitätstheorie, in «Naturforschende Gesellschaft, Zürich,
Vierteljahresschrift», LVI, pp. 1-14.
Discorso alla riunione della Società.
44. Zum Ehrenfestschen Paradoxon, in «Physikalische Zeitschrift», XII, pp.
509 sg.
Corregge un’errata interpretazione della contrazione di Lorentz.

1912
45. Thermodynamische Begrundung des photochemischen
Äquivalentgesetzes, in «Annalen der Physik», ser. 4, XXXVII, pp. 832-38;
XXXVIII, pp. 881-84.
46. Lichtgeschwindigkeit und Statik des Gravitationsfeldes, ibid., XXXVIII, pp.
355-69.
47. Theorie des statischen Gravitationsfeldes, ibid., pp. 443-58.
48. Antwort auf eine Bemerkung von J. Stark: Anwendung des Planckschen
Elementargesetzes, ibid., p. 888.
49. Relativität und Gravitation: Erwiderung auf eine Bemerkung von M.
Abraham, ibid., pp. 1059-64.
50. Bemerkung zu Abraham’s Auseinandersetzung: Nochmals Relativität und
Gravitation, ibid., XXXIX, p. 704.
51. État actuel du problème des chaleurs spécifiques, in La théorie du
rayonnement et les quanta, atti del 1° Congresso Solvay (Bruxelles 1911),
Gauthier-Villars, Paris, pp. 407-35.
Per il testo tedesco, cfr. n. 62.
52. Gibt es eine Gravitationswirkung die der elektrodynamischen
Indüktionswirkung analog ist?, in «Vierteljahrsschrift für gerichtliche Medizin»,
ser. 3, XLIV, pp. 37-40.

1913
53. ENTWURF EINER VERALLGEMEINERTEN RELATIVITÄTSTHEORIE UND EINE
THEORIE DER GRAVITATION: I. Physikalischer Teil von A. Einstein, II.
Mathematischer Teil von M. Grossmann, Teubner, Leipzig, 38 pp., estratto da
«Zeitschrift für Mathematik und Physik», LXII, pp. 225-61 (Physikalischer Teil,
pp. 225-44).
Questo scritto può dirsi una rielaborazione delle idee sviluppate nei nn. 21,
42, 46 e 47. Per il commento critico, cfr. n. 67.
54. Einige Argumente für die Annahme einer molekularen Agitation beim
absoluten Nullpunkt, con O. STERN, in «Annalen der Physik», ser. 4, XL, pp.
551-60.
55. Déduction thermodynamique de la loi de l’équivalence photochimique, in
«Journal de Physique», ser. 5, III, pp. 277-82.
Non è una traduzione del n. 45, ma una relazione presentata il 27 marzo alla
Societé française de Physique.
56. Physikalische Grundlagen einer Gravitationstheorie, in «Naturforschende
Gesellschaft, Zürich, Vierteljahrsschrift», LVIII, pp. 284-90.
Relazione presentata a questa società svizzera il 9 settembre.
57. Max Planckals Forscher, in «Naturwissenschaften», I, pp. 1077-79.
58. Zum gegenwärtigen Stande des Gravitationsproblems, in «Physikalische
Zeitschrift», XIV, pp. 1249-66.
Relazione presentata alla 85” Versammlung Deutscher Naturforscher,
Vienna, 21 settembre. Le pagine citate includono la libera discussione che
avvenne su di essa.

1914
59. Nordströmsche Gravitationstheorie vom Standpunkt des absoluten
Differentialkalkuls, con A. D. FOKKER, in «Annalen der Physik», ser. 4, XLIV,
pp. 321-28.
60. Bemerkung zu P. Harzers Abhandlung: Die Mitführung des Lichtes in Glas
und die Aberration, in «Astronomische Nachrichten», CIC, pp. 8-10.
61. Antwort auf eine Replik P. Harzers, ibid., pp. 47 sg.
62. Zum gegenwärtigen Stande des Problems der spezifischen Wärme, in
«Deutsche Bunsengesellschaft, Abhandlungen», 7, pp. 330-64.
Questo volume è l’edizione tedesca degli atti del 1° Congresso Solvay (cfr. n.
51). Le pp. 353-64 riportano le domande e le risposte della discussione
generale.
63. Beiträge zur Quantentheorie, in «Deutsche physikalische Gesellschaft,
Berichte» (oppure «Verhandlungen», XVI), pp. 820-28.
64. Zur Theorie der Gravitation, in «Naturforschende Gesellschaft, Zürich,
Vierteljahrsschrift», LIX, pp. 4-6.
65. Recensione a Das Relativitätsprinzip, eine Sammlung von Abhandlungen,
a cura di H. A. Lorentz, Teubner, Leipzig 1913, in «Naturwissenschaften», II,
p. 1018.
66. Nachträgliche Antwort auf eine Frage von Reissner, in «Physikalische
Zeitschrift», XV, pp. 108-10.
Sul problema della massa del campo gravitazionale.
67. Prinzipielles zur verallgemeinerten Relativitätstheorie und
Gravitationstheorie, ibid., pp. 176-80.
Risposta al commento di G. Mie sul rapporto fra il lavoro di Einstein, quale
appare dal n. 53, e quello di Minkowski.
68. Antrittsrede, in «Preussische Akademie der Wissenschaften,
Sitzungsberichte», pt. 2, pp. 739-42.
Sull’importanza relativa della fisica teorica e di quella sperimentale. Incluso
in Mein Weltbild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306). Traduzione italiana
di F. Fortini e C. Losurdo: Princìpi della fisica teorica, in Einstein, Idee e
opinioni cit. (n. 306), pp. 210-13.
69. Formale Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Preussische
Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 2, pp. 1030-85.
70. Zum Relativitätsproblem, in «Scientia» (Bologna), XV, pp. 337-48.
71. Relativitätsprinzip, in «Vossische Zeitung», 26 aprile 1914, pp. 33 sg.
Scritto di carattere divulgativo, abbastanza rigoroso e completo, non
identificabile con nessun altro.
72. Kovarianzeigenschaften der Feldgleichungen der auf die verallgemeinerte
Relativitätstheorie gegründeten Gravitationstheorie, con M. GROSSMANN, in
«Zeitschrift fur Mathematik und Physik», LXIII, pp. 215-25.

1915
73. Theoretische Atomistik, in Die Physik, a cura di E. Lecher, Teubner,
Leipzig, pp. 251-63.
Ebbe un’edizione riveduta (cfr. n. 166).
74. Relativitätstheorie, ibid., pp. 703-13.
Ebbe un’edizione riveduta (cfr. n. 167).
75. Antwort auf eine Abhandlung M. von Laues: Ein Satz der
Wahrscheinlichkeitsrechnung und seine Anwendung auf die
Strahlungstheorie, in «Annalen der Physik», ser. 4, XLVII, pp. 879-85.
La discussione è sull’argomento del n. 31.
76. Experimenteller Nachweis der Ampèreschen Molekularströme, con W.J. DE
HAAS, in «Deutsche physikalische Gesellschaft, Verhandlungen», XVII, pp.
152-70, 203.
A questo scritto si fa riferimento ibid., p. 420.
77. Experimenteller Nachweis der Ampèreschen Molekularströme, con W.J. DE
HAAS, in «Naturwissenschaften», III, pp. 237 sg.
Una nota preliminare sul n. 76.
78. Grundgedanken der allgemeinen Relativitätstheorie und Anwendung
dieser Theorie in der Astronomie, in «Preussische Akademie der
Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, p. 315.
Riassunto dei nn. 79 e 80.
79. Zur allgemeinen Relativitätstheorie, ibid., pt. 2, pp. 778-86, 799-801.
80. Erklärung der Perihelbewegung des Merkur aus der allgemeinen
Relativitätstheorie, ibid., pp. 831-39.
81. Feldgleichungen der Gravitation, ibid., pp. 844-47.

1916
82. DIE GRUNDLAGEN DER ALLGEMEINEN RELATIVITÄTSTHEORIE, Barth, Leipzig,
64 pp.
Estratto dagli «Annalen der Physik» (cfr. n. 84), con l’aggiunta di un Inhalt e
di una Einleitung. Ha avuto diverse ristampe.
Traduzione italiana di A. M. Pratelli: I fondamenti della teoria della relatività
generale, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 509-59; rist. in A.
Einstein, La teoria della relatività. Newton Compton, Roma 1976, nuova ed.
1980, pp. 3, 85.
83. Prefazione a E.F. FREUNDLICH, Grundlagen der Einsteinschen
Gravitationstheorie, Springer, Berlin.
84. Die Grundlagen der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Annalen der
Physik», ser. 4, XLIX, pp. 769-822.
È la prima esposizione completa di un’acuta generalizzazione della teoria
originale (cfr. n. 82).
85. Ober Fr. Kottlers Abhandlung: Einsteins Äquivalenzhypothese und die
Gravitation, ibid., LI, pp. 639-42.
86. Einfaches Experiment zum Nachweis der Ampèreschen Molekularströme,
in «Deutsche physikalische Gesellschaft, Verhandlungen», XVIII, pp. 173-77.
87. Strahlungs-emission und -absorption nach der Quantentheorie, ibid., pp.
318-23.
88. Quantentheorie der Strahlung, in «Physikalische Gesellschaft, Zürich,
Mitteilungen», XVI, pp. 47-62.
89. Recensione a H. A. Lorentz, Théories statistiques en thermodynamique, in
«Naturwissenschaften», IV, pp. 480 sg.
90. Elementare Theorie der Wasserwellen und des Fluges, ibid., pp. 509 sg.
91. Ernst Mach, in «Physikalische Zeitschrift», XVII, pp. 101-04.
92. Neue formale Deutung der Maxwellschen Feldgleichungen der
Elektrodynamik, in «Preussische Akademie der Wissenschaften,
Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 184-87.
93. Einige anschauliche Überlegungen aus dem Gebiete der
Relativitätstheorie, ibid., p. 423.
È un estratto che mostra come lo scritto considerasse il comportamento degli
orologi e il pendolo di Foucault. Non è mai stato pubblicato per intero.
94. Näherungsweise Integration der Feldgleichungen der Gravitation, in
«Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp.
688-96.
95. Gedächtnisrede auf Karl Schwarzschild, ibid., pp. 768-70.
96. Hamiltonsches Prinzip und allgemeine Relativitätstheorie, ibid., pt. 2, pp.
1111-16.
Traduzione italiana di A. M. Fratelli: Il principio di Hamilton e la teoria della
relatività generale, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 561-66; rist. in
Einstein, Teoria della relatività cit. (n. 82), pp. 86-94.

1917
97. ÜBER DIE SPEZIELLE UND DIE ALLGEMEINE RELATIVITÄTSTHEORIE
(GEMEINVERSTÄNDLICH), Vieweg, Braunschweig, 70 pp.
L’unica esposizione complessiva della sua stessa teoria compiuta da
Einstein; la sua opera più largamente conosciuta e tradotta. Cfr. nn, 105,
123, 124 e 296 per le altre edizioni.
Traduzione italiana di G. L, Calisse: Sulla teoria speciale e generale della
relatività (volgarizzazione), Zanichelli, Bologna
1921. Altra traduzione di V. Geymonat, dalla quindicesima edizione tedesca (n.
296): Relatività generale: esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1960,
nuova ed. 1967.
98. Zum Quantensatz von Sommerfeld uni Epstein, in «Deutsche
Physikalische Gesellschaft, Verhandlungen», XIX, pp. 82-92.
99. Recensione a H. VON HELMHOLTZ, Zwei Vorträge über Goethe, in
«Naturwissenschaften», V, p. 675.
100. Marian von Smoluchowski, ibid., pp. 737 sg.
101. Quantentheorie der Strahlung, in «Physikalische Zeitschrift», XVIII, pp.
121-28.
102. Kosmologische Betrachtungen zur allgemeinen Relativitätstheorie, in
«Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp.
142-52.
Traduzione italiana di A. M. Pratelli: Considerazioni cosmologiche sulla teoria
della relatività generale, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 567-76;
rist. in Einstein, Teoria della relatività cit. (n. 82), pp. 95-109.
103. Eine Ableitung des Theorems von Jacobi, in «Preussische Akademie der
Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 2, pp. 606-08.
104. Friedrich Adler als Physiker, in «Vossische Zeitung», Morgenausgabe, n.
259, 23 maggio, p. 2.

1918
105. ÜBER DIE SPEZIELLE UND DIE ALLGEMEINE RELATIVITÄTSTHEORIE
(GEMEINVERSTÄNDLICH), 3a edizione, Vieweg, Braunschweig, 83 pp.
Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 97. La terza edizione e le
successive fino alla nona (1918-20) portano due appendici: Einfache
Ableitung der Lorentz-transfomtation e Minkowskis vierdimensionale Welt.
Traduzione italiana delle appendici di V. Geymonat: Derivazione elementare
della trasformazione di Lorentz e L’universo quadridimensionale di
Minkowski, in Einstein, Relatività: esposizione divulgativa cit. (n. 97), pp. 68-
72 e 88 sg. (ed. 1967).
106. Motiv des Forschens, in Zu Max Plancks 60. Geburtstag: Ansprachen in
der Deutschen physikalischen Gesellschaft, Müller, Karlsruhe, pp. 29-32.
Ristampato in Mein Weltbild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306).
Traduzione italiana di R. Valori: I fondamenti della ricerca, in Einstein, Come
io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 32-36 (ed. 1988). Altra traduzione con
ugual titolo, di F. Fortini e C. Losurdo, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306),
pp. 213-15.
107. Prinzipielles zur allgemeinen Relativitätstheorie, in «Annalen der Physik»,
ser. 4, LV, pp. 241-44.
Sollecitato da vari commenti, Einstein si pone qui l’obiettivo «lediglich die
Grundgedanken herauszuheben wobei ich die Theorie als bekannt
voraussetze».
108. Lassen sich Brechungsexponenten der Körper für Rontgenstrahlen
experimentell ermitteln?, in «Deutsche Physikalische Gesellschaft,
Verhandlungen», XX, pp. 86 sg.
109. Bemerkung zu Gehrckes Notiz: Über den Äther, ibid., p. 261.
110. Recensione a H. WEYL, Raum, Zeit, Materie, in «Naturwissenschaften»,
VI, p. 373.
111. Dialog über Einwände gegen die Relativitätstheorie, ibid., pp. 697-702.
112. Notiz zu Schrödingers Arbeit: Energiekomponenten des
Gravitationsfeldes, in «Physikalische Zeitschrift», XIX, pp. 115 sg.
113. Bemerkung zu Schrödingers Notiz: Losungssystem der allgemein
kovarianten Gravitationsgleichungen, ibid., pp. 165 sg.
114. Gravitationswellen, in «Preussische Akademie der Wissenschaften,
Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 154-67.
115. Kritisches zu einer von Herrn de Sitter gegebenen Losung der
Gravitationsgleichungen, ibid., pp. 270-72.
116. Der Energiesatz in der allgemeinen Relativitätstheorie, ibid., pp. 448-59.

1919
117. Prufung der allgemeinen Relativitätstheorie, in «Naturwissenschaften»,
VII, p. 776.
Poche righe basate su un rapporto telegrafico dell’eclisse del 29 maggio
1919.
118. Spielen Gravitationsfelder im Aufbau der materiellen Elementarteilchen
eine wesentliche Rolle?, in «Preussische Akademie der Wissenschaften,
Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 349-56.
119. Bemerkungen über periodische Schwankungen der Mondlänge, welche
bisher nach der Newtonschen Mechanik nicht erklärbar schienen, ibid., pp.
433-36.
Le risposte di Einstein ai commenti su questo scritto si trovano ibid., pt. 2, p.
711.
120. Feldgleichungen der allgemeinen Relativitätstheorie vom Standpunkte
des kosmologischen Problems und des Problems der Konstitution der
Materie, ibid., pt. 1, p. 463.
Sostanzialmente è un rapporto sul n. 118.
121. My Theory, in «Times» (London), 28 novembre, p. 13.
Riprodotto col titolo Time, Space and Gravitation, in «Optician», LVIII, pp. 187
sg. Compreso anche, col nuovo titolo, in Out of My Later Years (n. 297).
Testo tedesco in Mein Weltbild (n. 250) sotto il titolo Was ist
Relativitätstheorie?.
Traduzione italiana di R. Valori: Cos’è la teoria della relatività?, in Einstein,
Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 74-79 (ed. 1988). Altra traduzione
con ugual titolo, di F. Fortini e C. Losurdo, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n.
306), pp. 216-20. Altra traduzione di L. Bianchi, con titolo Tempo, spazio e
gravitazione, in Einstein, Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297), pp. 212-16.
122. Leo Arons als Physiker, in «Sozialistische Monatshefte», LII, pt. 2, pp.
1055 sg.

1920
123. ÜBER DIE SPEZIELLE UND DIE ALLGEMEINE RELATIVITÄTSTHEORIE
(GEMEINVERSTÄNDLICH) 10a edizione, Vieweg, Braunschweig, 91 pp.
Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 97. Dalla decima edizione
è compresa una terza appendice: Die Rotverschiebung der Spektrallinien.
Per la traduzione italiana dell’appendice cfr. n. 296.
124. RELATIVITY: THE SPECIAL AND THE GENERAL THEORY - A POPULAR
EXPOSITION, traduzione di R.W. Lawson, Methuen, London, XIII + 138 pp.
Traduzione del n. 123. La terza appendice è molto ampliata e assume il
titolo: The Experimental Confirmation of the General Theory of Relativity.
Per la traduzione italiana dell’appendice cfr. n. 296.
125. ÄTHER UND RELATIVITÄTSTHEORIE: Rede gehalten am 5. Mai 1920 an der
Reichs-Universität zu Leiden, Springer, Berlin, 15 pp.
Traduzione italiana di R. Cantù e T. Bembo: L’etere e la teoria della relatività,
in A. Einstein, Prospettive relativistiche dell’etere e della geometria, Audace,
Milano 1922, pp. 5-25.
126. Bemerkung zur Abhandlung von W. R. Hess: Theorie der Viscosität
heterogener Systeme, in «Kolloidzeitschrift», XXVII, p. 137.
127. Inwiefern lassi sich die moderne Gravitations theorie ohne die Relativität
begründen?, in «Naturwissenschaften», VIII, pp. 1010 sg.
128. Trägheitsmoment des Wasserstoffmoleküls, in «Preussische Akademie
der Wissenschaften, Sitzungsberichte», p. 65.
Estratto da uno scritto che non fu mai pubblicato.
129. Schallausbreitung in teilweise dissoziierten Gasen, ibid., pp. 380-85.
130. Meine Antwort über die antirelativitätstheoretische G.m.b.H. [Gesellschaft
mit beschränkter Haftung], in «Berliner Tageblatt und Handelszeitung», n.
402, 17 agosto, pp. 1 sg.

1921
131. THE MEANING OF RELATIVITY: Four Lectures Delivered at Princeton
University, May, 1921, traduzione di E. P. Adams, Princeton University Press,
Princeton (N.J.), 123 pp.
Argomenti: 1. Spazio e tempo nella fisica prerelativistica. 2. Teoria della
relatività ristretta. 3. Teoria della relatività generale. Per le successive
edizioni cfr. nn. 278, 295, 299 e 308. Per il testo originale tedesco, cfr. n.
138.
Traduzione italiana di L. A. Radicati, dalla terza edizione tedesca (n. 138): Il
significato della relatività, Einaudi, Torino 1950; nuova ed., Boringhieri, Torino
1976.
132. GEOMETRIE UND ERFAHRUNG, erweiterte Fassung des Festvortrages
gehalten an der preussischen Akademie, Springer, Berlin, 20 pp.
Questo scritto era apparso poco prima in «Preussische Akademie der
Wissenschaften, Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 123-130. Traduzione italiana di
R. Cantù e T. Bembo: Geometria ed esperienza, in Einstein, Prospettive
relativistiche cit. (n. 125), pp. 26-54. Altra traduzione con ugual titolo, di F.
Fortini e C. Losurdo, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 220-32.
133. Einfache Anwendung des Newtonschen Gravitationsgesetzes auf die
kugelförmigen Sternhaufen, in Festschrift (...) zu ihrem zehnjährigen Jubiläum
della Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaft, Springer,
Berlin, pp. 50-52.
134. A Brief Outline of the Development of the Theory of Relativity, traduzione
di R.W. Lawson, in «Nature», CVI, pp. 782-84.
Scritto per un numero speciale di «Nature» dedicato alla relatività.
135. Eine naheliegende Ergänzung des Fundamentes der allgemeinen
Relativitätstheorie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften,
Sitzungsberichte», pt. 1, pp. 261-64.
136. Ein den Elementarprozess der Lichtemission betreffendes Experiment,
ibid., pt. 2, pp. 882 sg.
Sull’interpretazione dell’effetto Doppler data dalla teoria quantica. Non risulta
che l’esperimento proposto sia mai stato compiuto. Cfr., per lo scritto
collegato a questo, n. 176.
137. Lezione al Bang’s College sullo sviluppo e la posizione attuale della
relatività, con citazioni, in «Nation and Athenaeum», XXIX, pp. 431 sg.
Il testo tedesco è incluso in Metri Weltbild (n. 250). Lo scritto fu riportato
senza diretta citazione nel «Times» del 14 giugno, p. 8, e anche in «Nature»,
CVII, p. 504.
Traduzione italiana di R. Valori: Caratteri della teoria della relatività, in
Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 70-73 (ed. 1988). Altra
traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo Sulla teoria della relatività, in
Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 232-35.

1922
138. VIER VORLESUNGEN UBER RELATIVITÄTSTHEORIE, gehalten im Mai, 1921,
an der Universität Princeton, Vieweg, Braunschweig, 70 pp.
È il testo originale tedesco del n. 131. Nella terza edizione del 1956 prenderà
il titolo: Grundzüge der Relativitätstheorie, e avrà le appendici tradotte
dall’edizione americana (n. 308).
Per la traduzione italiana cfr. n. 131.
139. Theoretische Bemerkungen zur Supraleitung der Metalle, in Leyden
Rijksuniversiteit (...) Natuurkunding Laboratorium, Gedenkboek, a cura di H.
Kamerlingh Onnes, Ijdo, Leiden, pp. 429-35.
140. Bemerkung zur Seletyschen Arbeit: Beiträge zum kosmologischen
Problem, in «Annalen der Physik», ser. 4, LXIX, pp. 436-38.
141. Recensione a W. PAULI, Relativitätstheorie, in «Naturwissenschaften», X,
pp. 184 sg.
142. Emil Warburg als Forscher, ibid., pp. 823-28.
143. Theorie der Lichtfortpflanzung in dispergierenden Medien, in
«Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 18-22.
144. Bemerkung zu der Abhandlung von E. Trefftz: Statische Gravitationsfeld
zweier Massenpunkte..., ibid., pp. 448 sg.
145. Quantentheoretische Bemerkungen zum Experiment von Stern und
Gerlach, con P. EHRENFEST, in «Zeitschrift für Physik», XI, pp. 31-34.
146. Bemerkung zu der Arbeit von A. Friedmann: Über die Krümmung des
Raumes, ibid., p. 326.
La critica fu ritrattata in una nota successiva, ibid., XVI, p. 228.

1923
147. Grundgedanken und Probleme der Relativitätstheorie, Imprimerie royale,
Stockholm, 10 pp.
Discorso tenuto alla Nordische Naturforscherversammlung, Goteborg, in
ringraziamento del premio Nobel.
148. Bemerkung zu der Notiz von W. Anderson: Neue Erklärung des
kontinuierlichen Koronaspektrums, in «Astronomische Nachrichten», CCXIX,
p. 19.
149. Experimentelle Bestimmung der Kanalweite von Filtern, con H. MÜHSAM,
in «Deutsche medizinische Wochenschrift», XLIX, pp. 1012 sg.
150. Beweis der Nichtexislenz eines liberali regulären zentrisch
symmetrischen Feldes nach der Feldtheorie von Kaiuza, con J. Grommer, in
«Jerusalem University, Scripta», I, n. 7, 5 pp.
151. Theory of the Affine Field, in «Nature», CXII, pp. 448 sg.
È una trattazione relativamente non matematica nei campi elettromagnetici e
gravitazionali come geometria riemanniana generalizzata. Non è una
traduzione del n. 153.
152. Zur allgemeinen Relativitätstheorie, in «Preussische Akademie der
Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 32-38, 76 sg.
153. Zur affmen Feldtheorie, ibid., pp. 137-40.
154. Bietet die Feldtheorie Möglichkeiten für die Lösung des
Quantenproblems?, ibid., pp. 359-64.
155. Théorie de la relativité, in «Société franchise de Philosophic, Bulletin»,
XXII, pp. 97 sg., 101, 107, 111 sg.
È una discussione a cui Einstein contribuisce con due interventi sul rapporto
fra la sua teoria e quella di Kant e di Mach. Essi vengono citati per intero in
«Nature», CXII, p. 253.
156. Quantentheorie des Strahlungsgleichgewichts, con P. EHRENFEST, in
«Zeitschrift für Physik», XIX, pp. 301-06.
1924
157. Geleitwort, in LUCRETIUS, De rerum natura, a cura di H. Diels, Weidmann,
Berlin, vol. 2, p. VI, a-b.
158. Antwort auf eine Bemerkung von W. Anderson, in «Astronomische
Nachrichten», CCXXI, pp. 329 sg.
159. Das Comptonsche Experiment, in «Berliner Tageblatt», 20 aprile.
160. Zum hundertjährigen Gedenktag von Lord Kelvins Geburt, in
«Naturwissenschaften», XII, pp. 601 sg.
161. Quantentheorie des einalomigen idealen Gases, in «Preussische
Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 261-267.
Continua col n. 169.
Traduzione italiana di P. Bernardini: Teoria quantistica del gas ideale
monoatomico, in S. N. Bose, A. Einstein ed E. Schrödinger, La statistica
quantistica e le onde di materia, Bibliopolis, Napoli 1986, pp. 41-51.
162. Uber den Äther, in «Schweizerische naturforschende Gesellschaft,
Verhandlungen», CV, pt. 2, pp. 85-93.
È un resoconto storico sull’argomento.
163. Theorie der Radiometerkräfte, in «Zeitschrift fur Physik», XXVII, pp. 1-6.
164. Note aggiunte a una memoria di S.N. BOSE: Wärmegleichgewicht im
Strahlungsfeld bei Anwesenheit von Materie, ibid., pp. 392 sg.

1925
165. Anhang: Eddingtons Theorie und Hamiltonsches Prinzip, in A.S.
EDDINGTON, Relativitätstheorie in matematischer Behandlung, Springer,
Berlin, pp. 366-71.
Scritto appositamente per questa edizione tedesca del libro di Eddington.
166. Theoretische Atomistik, in Die Physik, a cura di E. Lecher, 2a edizione,
Teubner, Leipzig, pp. 281-94.
È una revisione del n. 73.
167. Relativitätstheorie, ivi, pp. 783-97.
È una revisione del n. 74.
168. Elektron und allgemeine Relativitätstheorie, in «Physica», V, pp. 330-34.
169. Quantentheorie des einatomigen idealen Gases. 2. Abhandlung, in
«Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 3-14.
È la continuazione del n. 161.
Traduzione italiana di P. Bernardini: Teoria quantistica del gas ideale
monoatomico: seconda parte, in Bose, Einstein e Schrödinger, Statistica
quantistica e onde di materia cit. (n. 161), pp. 55-71.
170. Quantentheorie des idealen Gases, ibid., pp. 18-25.
Dove si deduce una condizione generale che deve essere soddisfatta da
qualsiasi teoria di un gas perfetto.
171. Einheitlicbe Feldtheorie von Gravitation und Elektrizität, in «Preussische
Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 414-19.
172. Bemerkung zu P. Jordans Abhandlung: Theorie der Quantenstrahlung, in
«Zeitschrift für Physik», XXXI, pp. 784 sg.

1926
173. W.H. Julius, 1860-1925, in «Astrophysical Journal», LXIII, pp. 196-98.
174. Ursache der Mäanderbildung der Flussläufe und des sogenannten
Baerschen Gesetzes, in «Naturwissenschaften», XIV, pp. 223 sg.
Letto di fronte all’Accademia prussiana il 7 gennaio. Incluso in Mein Weltbild
(n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306),
Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: La causa delle formazioni dei
meandri nelle correnti liquide e la così detta legge di Baer, in Einstein, Idee e
opinioni cit. (n. 306), pp. 235-39.
175. Vorschlag zu einem die Natur des elementaren Strahlungs-
emissionsprozesses betreffenden Experiment, in «Naturwissenschaften», XIV,
pp. 300 sg.
È una nota preliminare al n. 176.
176. Interferenzeigenschaften des durch Kanalstrahlen emittierten Lichtes, in
«Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 334-40.
La previsione, qui fatta, che le radiazioni dei raggi canale si comportino come
i classici oscillatori hertziani fu verificata sperimentalmente da Rupp (ibid.,
pp. 341-51). Cfr. n. 136.
177. Geometria no euclidea y fisica, in «Revista matemàtica
hispanoamericana», ser. 2, I, pp. 72-76.

1927
178. Introduzione a T. SHALIT, Di spetsyele relativitets-teorye, edizione privata,
Berlin, 240 pp.
Comprende sia il testo tedesco che il testo yiddish.
179. Einfluss der Erdbewegung auf die Lichtgeschwindigkeit relativ zur Erde,
in «Forschungen und Fortschritte», III, pp. 36 sg.
180. Formale Beziehung des Riemannschen Krümmungstensors zu den
Feldgleichungen der Gravitation, in «Mathematische Annalen», XCVII, pp. 99-
103.
Letto di fronte all’Accademia prussiana, nel 1926, col titolo: Anwendungen
einer von Rainich gefundenen Spaltung des Riemannschen
Krümmungstensors.
181. Isaac Newton, in «Manchester Guardian Weekly», XVI, pp. 234 sg.
Anche in: «Manchester Guardian» del 19 marzo; «Observatory», L, pp. 146-
53; «Smithsonian Institution, Report», pp. 201-07.
182. Newtons Mechanik und ihr Einfluss auf die Gestaltung der theoretischen
Physik, in «Naturwissenschaften», XV, pp. 273-76.
Incluso in Mein Wellhild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306). Traduzione
italiana di R. Valori: Evoluzione della fisica: Kepler e Newton, in Einstein,
Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 52-63 (ed. 1988). Altra traduzione di
F. Fortini e C. Losurdo, con titolo La meccanica di Newton e la sua influenza
sullo sviluppo della fisica teorica, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp.
240-46.
183. Zu Newtons 200. Todestage, in «Nord und Süd», L, pp. 36-40.
184. Lettera alla Royal Society per il bicentenario di Newton, in «Nature»,
CXIX, p. 467; «Science», NS, LXV, pp. 347 sg.
185. Establishment of an International Bureau of Meteorology, in «Science»,
NS, LXV, pp. 415-17.
Relazione di un sottocomitato del Comitato internazionale per la
Cooperazione intellettuale, firmato anche da M. Curie e H.A. Lorentz.
186. Kaluzas Theorie des Zusammenhanges von Gravitation und Elektrizität,
in «Preussische Akademie der Wissenschäften, Sitzungsberichte», pp. 23-30.
187. Allgemeine Relativitätstheorie und Bewegungsgesetz (prima parte con J.
Grommer), ibid., pp. 2-13, 235-45.
188. Theoretisches und Experimentelles zur Froge der Lichtentstehung, in
«Zeitschrift fur angewandte Chemie», XL, p. 546.
Resoconto di una lezione tenuta alla Mathematisch-physikalische
Arbeitsgemeinschaft della Università di Berlino, 23 febbraio.

1928
189. H.A. Lorentz, in «Mathematisch-naturwissenschaftliche Blatter», XXII, pp.
24 sg.
Estratto da un discorso alla cerimonia commemorativa dell’Università di
Leida. Ristampato in Mein Welthild (n. 250).
190. Riemanngeometrie mit Aufrechterhaltung des Begriffes des Fern-
Parallelismus, in «Preussische Akademie der Wissenschaften,
Sitzungsberichte», pp. 217-21.
191. Neue Möglichkeit für eine einheitliche Feldtheorie von Gravitation und
Elektrizität, ibid., pp. 224-27.
192. À propos de «La déduction relativiste» de M. E. Meyerson, in «Revue
philosophique de la France», CV, pp. 161-66.

1929
193. Space-Time, in Encyclopedia Britannica, 14a ed., vol. 21, pp. 105-08.
194. Über den gegenwärtigen Stand der Feldtheorie, in Festschrift Prof. Dr. A.
Stodola überreicht, Füssli, Zürich, pp. 126-32.
È un’esposizione molto meno tecnica di quella del n. 209, con particolare
riguardo agli antecedenti della teoria.
195. Ansprache an Prof. Planck [ricevendo la medaglia Planck], in
«Forschungen und Fortschritte», V, pp. 248 sg.
196. Dall’intervista concessa al «Daily Chronicle» di Londra, 26 gennaio, che
anticipa il n. 199, in «Nature», CXXIII, p. 175.
197. Nota alla ristampa della conferenza di Arago su Thomas Young tenuta
all’Académie française, in «Naturwissenschaften», XVII, p. 363.
198. The New Field Theory, in «The Times», 4 febbraio.
Traduzione di L.L. Whyte. Anche in «Observatory», LII (1930), pp. 82-87,
114-18.
199. Einheitliche Feldtheorie, in «Preussische Akademie der Wissenschaften,
Sitzungsberichte», pp. 2-7.
Costituisce un nuovo, significativo sviluppo del problema.
200. Einheitliche Feldtheorie und Hamiltonsches Prinzip, ibid., pp. 156-59.
201. Sur la théorie synthétique des champs, con Th. de Donder, in «Revue
générale de l’Électricité», XXV, pp. 35-39.
202. Appreciation of Simon Newcomb, in «Science», NS, LXIX, p. 249.
Traduzione di una lettera alla figlia di Newcomb, datata 15 luglio 1926.
203. Sesión especial de la Academia, 16 abril 1925, in «Sociedad cientifica
Argentina, Anales», CVII, pp. 337-47.
Disputa con R.G. Loyarte sull’equivalenza di massa ed energia, e
discussione con H. Damianovich sull’importanza della relatività in
considerazione di un possibile «campo chimico».
204. GELEGENTLICHES (...) ZUM FÜNFZIGSTEN GEBURTSTAG (...) DARGERACHT
VON DER SONCINO-GESELLSCHAFT DER FREUNDE DES JÜDISCHEN BUCHES ZU
BERLIN, 32 pp.
Pubblicato in un’edizione limitata. Consiste di brevi frammenti: Über
Wissenschaft und Politik (compreso Motive des Forschens e Internationalität
der Wissenschaft), Judenfrage (frammenti vari), Vorrede zur hebräischen
Übersetzung der Relativitätstheorie, una poesia ad Alexander Moszkowski
ecc. I brani più scelti sono forse Neun Fragen über das eigene Schaffen
(nella forma concisa di domande e risposte), e Antwort auf neun Fragen über
das Erfmderwesen (sotto forma di enunciazioni più ampie). Questi brani non
si trovano in nessun altro luogo.

1930
205. Prefazione a D. Reichinstein, Grenzfläckenvorgänge in der unbelebten
und belebten Natur, Barth, Leipzig.
206. Über Kepler, in «Frankfurter Zeitung», 9 novembre, p. 16, coll. 3 sg.
Ristampato in Mein Weltbild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306).
Traduzione italiana di R. Valori: Evoluzione della fisica: Kepler e Newton, in
Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 48-52 (ed. 1988). Altra
traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo Giovanni Keplero, in Einstein,
Idee e opinioni cit. (n. 306) pp. 247-50.
207. Raum-, Feld- und Ätber-problem in der Physik, in «Second World Power
Conference, Berlin 1930, Transactions», vol. 19, pp. 1-5.
Un discorso d’invito, largamente riportato.
208. Raum-, Äther- und Feld in der Physik, in «Forum philosophicum», I, pp.
173-80.
L’argomento è analogo a quello del n. 207, ma il linguaggio è molto diverso.
Entrambi sono diversi, a loro volta, da Das Raum-, Äther- und Feld-problem
der Physik contenuto in Mein Weltbild (n. 250) (quest’ultimo scritto tradotto,
da R. Valori, con titolo Lo spazio, l’etere e il campo, in Einstein, Come io
vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 80-95 (ed. 1988), e da F. Fortini e C. Losurdo,
con titolo II problema dello spazio, dell’etere e del campo nella fisica, in
Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 259-67).
209. Théorie unitaire du champ physique, in «Institut H. Poincaré, Annales», I,
pp. 1-24.
Un’ampia esposizione del problema. Cfr. n. 194.
210. Auf die Riemann-Metrik und den Fernparallelismus gegründete
einheitliche Feldtheorie, in «Mathematische Annalen», CII, pp. 685-97.
211. Das Raum-Zeit Problem, in «Koralle», V, pp. 486-88.
Una rielaborazione molto semplificata e abbreviata del n. 193.
212. Recensione a S. WEINBERG, Erkenntnistheorie, in
«Naturwissenschaften», XVIII, p. 536.
213. Kompatibilität der Feldgleichungen in der einheitlichen Feldtheorie, in
«Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 18-23.
214. Zwei strenge statische Lösungen der Feldgleichungen der einheitlichen
Feldtheorie, con W. Mayer, ibid., pp. 110-20.
215. Theorie der Räume mit Riemannmetrik und Fernparallelismus, ibid., pp.
401 sg.
216. Address at University of Nottingham, traduzione di I.H. Brose, in
«Science», NS, LXXI, pp. 608-10.
Un breve quadro della relatività particolare e generale e della teoria del
campo.
217. Über den gegenwärtigen Stand der allgemeinen Relativitätstheorie, in
«Yale University Library, Gazette», VI, pp. 3-6.
218. ABOUT ZIONISM: SPEECHES AND LETTERS, tradotto e a cura di Sir Leon
Simon, Soncino Press, London, 68 pp.
Pubblicato anche con l’indicazione: New York, Macmillan 1931, 94 pp. Brani
tratti da «Manchester Guardian», «Jüdische Rundschau» (Berlino), «New
Palestine» (New York), «Jewish Chronicle» (Londra), «Jüdischer Almanach»
(Praga) ecc., tutti datati ma senza un preciso riferimento alla collocazione
dell’originale. Brani diversi sono raccolti sotto i seguenti titoli: Assimilation
and Nationalism, Jews in Palestine, Jew and Arab. Alcuni scritti sono
ristampati in Mein Weltbild (n. 250; cfr. nn. 251 e 306) e in Out of My Later
Years (n. 297).

1931
219. Prefazione a R. DE VILLAMIL, Newton, the Man, Knox, London, p.v.
220. Maxwell’s Influence on the Development of the Conception of Physical
Reality, in James Maxwell: A Commemoration Volume, University Press,
Cambridge, pp. 66-73.
L’originale tedesco si trova in Mein Weltbild (n. 250).
Traduzione italiana di R. Valori: Evoluzione del concetto di realtà fisica, in
Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 64-69 (ed. 1988). Altra
traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo L’influenza di Maxwell
nell’evoluzione del concetto di realtà fisica, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n.
306), pp. 251-53.
221. Prefazione a I. NEWTON, Optics, McGraw, New York, pp. VII sg.
222. THEORY OF RELATIVITY: ITS FORMAL CONTENT AND ITS PRESENT
PROBLEMS.
Lezioni tenute, in maggio, alla Università di Oxford. Le questioni trattate
erano ancora, secondo Einstein, «in uno stato troppo fluido» per essere
pubblicate, e quindi non lo furono. Il loro contenuto è brevemente descritto in
«Nature», CXXVII, pp. 765, 790, 826 sg.
223. Knowledge of Past and Future in Quantum Mechanics, con R.C. TOLMAN
e B. PODOLSKY, in «Physical Review», ser. 2, XXXVII, pp. 780 sg.
224. Zum kosmologischen Problem der allgemeinen Relativitätstheorie, in
«Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte», pp. 235-37.
225. Systematische Untersuchung über kompatible Feldgleichungen welche in
einem Riemannschen Raume mit Fernparallelismus gesetzt werden können,
con W. MAYER, ibid., pp. 257-65.
226. Einheitliche Theorie von Gravitation und Elektrizität, con W. MAYER, ibid.,
pp. 541-57.
Continua col n. 237.
227. Thomas Alva Edison, 1847-1931, in «Science», NS, LXXIV, pp. 404 sg.
228. Gravitational and Electrical Fields, ibid., pp. 438 sg.
229. Risposta all’omaggio rivoltogli a un pranzo organizzato dal California
Institute of Technology, 15 gennaio, ibid., LXXIII, p. 379.
Sottolinea l’aiuto dato al suo lavoro dai fisici sperimentali. Il testo degli altri
discorsi si trova nello stesso articolo.
230. Gedenkworte auf Albert A. Michelson, in «Zeitschrift für angewandte
Chemie», XLIV, p. 658.
231. COSMIC RELIGION, WITH OTHER OPINIONS AND APHORISMS, Covici-Friede,
New York, 109 pp.
Contiene una nota biografica preparata dagli editori e un giudizio di G.B.
Shaw. Comprende le seguenti sezioni: Pacifism, The Jews, Opinions and
Aphorisms, e The Jewish Homeland che riprende brani del n. 218. Alcuni
scritti sono compresi anche in Me in Weltbild (n. 250). Traduzione italiana, di
F. Fortini e C. Losurdo, dello scritto che dà titolo all’opuscolo: Religione e
scienza, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 47-50.

1932
232. Prologue a M. PLANCK, Where Is Science Going?, Norton, New York, pp.
7-12.
Mette in risalto le caratteristiche dell’opera di Planck e dei fisici teorici in
generale.
233. Epilogue: a Socratic Dialogue. Interlocutors, Einstein and Murphy, ivi, pp.
201-13.
«Un riassumo di resoconti stenografici fatti (...) in varie conversazioni». Verte
essenzialmente sulla base scientifica necessaria a una filosofia
deterministica.
234. On the Relation between the Expansion and the Mean Density of the
Universe, con W. DE SITTER, in «National Academy of Sciences,
Proceedings», XVIII, pp. 213 sg.
235. Zu Dr. Berliners siebzigstem Geburtstag, in «Naturwissenschaften», XX,
p. 913.
Ristampato in Mein Weltbild (n. 250) e Ideas and Opinions (n. 306).
Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: Nel settantesimo compleanno
di Arnold Berliner, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 76 sg.
236. Gegenwärtiger Stand der Relativitätstheorie, in «Pädagogischer Führer»,
LXXXII, pp. 440-42.
237. Einheitliche Theorie von Gravitation und Elektrizität, 2. Abhandlung, con
W. MAYER, in «Preussische Akademie der Wissenschaften, Sitzungsberichte»,
pp. 130-37.
Continuazione del n. 226.
238. Semi-Vektoren und Spinoren, con W. MAYER, ibid., pp. 522-550.
239. Unbestimmtheitsrelation, in «Zeitschrift far angewandte Chemie», XLV, p.
23.
Estratto da una lezione tenuta all’Università di Berlino il 4 novembre 1931.

1933
240. ON THE METHOD OF THEORETICAL PHYSICS. The Herbert Spencer Lecture
delivered at Oxford, June 10, 1933, Clarendon Press, Oxford, 15 pp.
Il testo tedesco è pubblicato in Mein Weltbild (n. 250).
Traduzione italiana di R. Valori: La questione del metodo, in Einstein, Come
io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 40-47 (ed. 1988). Altra traduzione di F.
Fortini e C. Losurdo, con titolo II metodo della fisica teorica, in Einstein, Idee
e opinioni cit. (n. 306), pp. 254-59.
241. ORIGINS OF THE GENERAL THEORY OF RELATIVITY. Lecture on the George
A. Gibson Foundation in the University of Glasgow, June 20th, 1933,
Jackson, Glasgow, 11 pp.
Il testo tedesco è contenuto in Mein Weltbild (n. 250).
Traduzione italiana di R. Valori: Origine della teoria della relatività
generalizzata, in Einstein, Come io vedo il mondo cit. (n. 251), pp. 96-101
(ed. 1988). Altra traduzione di F. Fortini e C. Losurdo, con titolo Note
sull’origine della teoria generale della relatività, in Einstein, Idee e opinioni
cit. (n. 306), pp. 268-71.
242. LES FONDEMENTS DE LA THÉORIE DE LA RELATIVITÉ GÉNÉRALE, traduzione
di M. Solovine, Hermann, Paris, 109 pp.
Tre saggi: i primi due sono traduzioni dei nn. 84 e 226 e il terzo, Sur la
structure cosmologique de l’espace (pp. 99-109), è stato scritto
appositamente per questo volume. Quest’ultimo è un’ampia trattazione
dell’universo in espansione (cfr. nn. 224 e 234), in cui l’argomento viene
anche situato nella sua prospettiva storica.
243. WARUM KRIEG? EIN BRIEFWECHSEL, ALBERT EINSTEIN UND SIGMUND
FREUD, Internationales Institut für geistige Zusammen- arbeit, Paris, 62 pp.
(Edizione numerata di circa 2000 esemplari.)
La lettera di Einstein è alle pp. 11-21.
Traduzione italiana di S. Candreva ed E. Sagittario: Perché la guerra?
(Carteggio Einstein-Freud), in Opere di Sigmund Freud, vol. 11, Boringhieri,
Torino 1979, pp. 289-303 (la lettera di Einstein è a pp. 289-92).
244. THE FIGHT AGAINST WAR, a cura di Alfred Lief, John Day, New York, 64
pp.
Brani scelti da scritti e discorsi di Einstein del periodo 1914-1932. Ognuno di
essi viene inquadrato storicamente, e dove è possibile viene dato un
riferimento specifico. Fra le cose non facilmente reperibili altrove, c’è il
Contromanifesto scritto da Einstein, Georg F. Nicolai e Wilhelm Foerster
nell’ottobre del 1914, per protesta contro il manifesto firmato da novantatré
intellettuali tedeschi. Oltre che in questo libro, il Contromanifesto è pubblicato
solo in Biologie des Krieges di Nicolai (Füssli, Zürich 1919). Vi è inoltre un
discorso a un Congresso internazionale degli avversari della guerra, tenuto a
Lione il 1° agosto 1931, col titolo Now is the Time, citato in parte nel «New
York Times» del 2 agosto 1931, p. 3, col. 5.

1934
245. Dirac Gleichungen für Semi-Vektoren, con W. MAYER, in «Akademie van
Wetenschappen, Amsterdam, Proceedings», XXXVI, pt. 2, pp. 615-19.
246. Spaltung der natürlichsten Feldgleichungen für Semi-Vektoren in Spinor-
Gleichungen vom Diracschen Typus, con W. MAYER, ibid., pp. 615-19.
247. Introduzione a L. INFELD, The World in Modern Science, Gollancz,
London, pp. 5 sg.
Scritto appositamente per questa traduzione inglese. Originale tedesco a p.
275.
248. Darstellung der Semi-Vektoren als gewöhnliche Vektoren von
besonderem Differentiationscharakter, con W. MAYER, in «Annals of
Mathematics», ser. 2, XXXV, pp. 104-10.
249. Recensione a R. TOLMAN, Relativity, Thermodynamics and Cosmology, in
«Science», NS, LXXX, p. 358.
250. MEIN WELTBILD, Querido, Amsterdam, 269 pp.
Einstein permise «all’amico J. H.» di fare «una scelta che desse un quadro
dell’uomo», composta di scritti relativi alla scienza, al giudaismo, alla politica,
al pacifismo. Alcuni dei brani qui raccolti sono citati nei diversi numeri di
questa bibliografia. Nel libro non vi è alcun riferimento ai luoghi in cui i brani
erano stati originariamente pubblicati: alcuni di essi potrebbero apparire qui
per la prima volta. Diversi scritti sono compresi anche in Out of My Later
Years (n. 297). Per le successive edizioni, traduzioni e rimaneggiamenti cfr.
nn. 251, 304 e 306.
251. THE WORLD AS I SEE IT, Covici-Friede, New York, 290 pp.
È la traduzione del n. 250, fatta da Alan Harris, ma l’ordine dei brani è
differente e vi sono aggiunte. Lo stesso testo è pubblicato anche da Lane,
London 1935, 214 pp. Queste edizioni portano una Prefazione di Einstein,
che non c’è nell’edizione tedesca. Traduzione italiana parziale di R. Valori:
Come io vedo il mondo, Giachini, Bologna 1955; nuova ed., Newton
Compton, Roma 1988.

1935
252. Elementary Derivation of the Equivalence of Mass and Energy, in
«American Mathematical Society, Bulletin», XLI, pp. 223-30.
Conferenza tenuta all’American Association for the Advancement of Science
il 28 dicembre 1934.
253. Can Quantum-Mechanical Description of Physical Reality Be Considered
Complete?, con B. PODOLSKY e N. ROSEN, in «Physical Review», ser. 2, XLVII,
pp. 777-80.
254. The Particle Problem in the General Theory of Relativity, con N. Rosen,
ibid., XLVIII, pp. 73-77.

1936
255. Physik und Realität, in «Franklin Institute, Journal», CCXXI, pp. 313-47.
Ristampato in Out of My Later Years (n. 297) e Ideas and Opinions (306).
Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: Fisica e realtà, in Einstein, Idee
e opinioni cit. (n. 306), pp. 271-302. Altra traduzione con ugual titolo, di L.
Bianchi, in Einstein, Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297), pp. 36-75.
256. Two-Body Problem in General Relativity Theory, con N. ROSEN, in
«Physical Review», ser. 2, XLIX, pp. 404 sg.
257. Lens-Like Action of a Star by Deviation of Light in the Gravitational Field,
in «Science», NS, LXXXIV, pp. 506 sg.

1937
258. On Gravitational Waves, con N. ROSEN, in «Franklin Institute, Journal»,
CCXXIII, pp. 43-54.

1938
259. THE EVOLUTION OF PHYSICS: THE GROWTH OF IDEAS FROM EARLY
CONCEPTS TO RELATIVITY AND QUANTA, con L. INFELD, Simon & Schuster,
New York, X-319 pp.
Come è spiegato nella prefazione, questo scritto non è «un’esposizione
sistematica degli elementi fenomenologici e teorici della fisica», ma si
propone «di dare un’idea dell’eterna lotta dello spirito inventivo dell’uomo per
ottenere una più piena comprensione delle leggi che presiedono ai fenomeni
fisici». Tratta del sorgere e tramontare del punto di vista meccanico, del
campo e della relatività, e dei quanti.
Traduzione italiana di A. Graziadei: L’evoluzione della fisica: sviluppo delle
idee dai concetti iniziati alla relatività e ai quanti, Einaudi, Torino 1948; nuova
ed., Boringhieri, Torino 1965.
260. DIE PHYSIK ALS ABENTEUER DER ERKENNTNIS, con L. INFELD, Sijthoff,
Leiden, VIII-222 pp.
Edizione tedesca del n. 259.
261. Gravitational Equations and the Problems of Motion, con L. INFELD e B.
HOFFMANN, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XXXIX, pp. 65-100.
Continua col n. 264.
262. Generalization of Kaluza’s Theory of Electricity, con P.G. BERGMANN, ibid.,
pp. 683-701.

1939
263. Stationary System with Spherical Symmetry Consisting of Many
Gravitating Masses, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XL, pp. 922-36.

1940
264. Gravitational Equations and the Problems of Motion. II, con L. INFELD, in
«Annals of Mathematics», ser. 2, XLI, pp. 455-64.
Continuazione del n. 261.
265. Considerations Concerning the Fundamentals of Theoretical Physics, in
«Science», NS, XCI, pp. 487-92.
Discorso tenuto in maggio all’8 American Scientific Congress, Washington.
Ristampato in Out of My Later Years (n. 297) e Ideas and Opinions (n. 306).
Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: I fondamenti della fisica teorica,
in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 302-12. Altra traduzione con
ugual titolo, di L. Bianchi, in Einstein, Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297),
pp. 114-27.
266. Science and Religion, in «New York Times», 11 settembre, p. 30, col. 2;
«Nature», CXLVI, pp. 605-07.

1941
267. Five-Dimensional Representation of Gravitation and Electricity, con V.
BARGMANN e P.G. BERGMANN, in Theodore von Karman Anniversary Volume,
California Institute of Technology, Pasadena, pp. 212-25.
268. Demonstration of the Non-Existence of Gravitational Fields with a Non-
Vanishing Total Mass Free of Singularities, in «Tucumän Universidad
Nacional, Revista», ser. A, II, pp. 11-16.
Si tratta di un discorso tenuto alle assemblee riunite dell’American Physical
Society e dell’American Association of Physics Teachers, a Princeton, il 29
dicembre, sotto il titolo: Solutions of Finite Mass of the Gravitational
Equations.

1942
269. Prefazione a P.G. BERGMANN, Introduction to the Theory of Relativity,
Prentice-Hall, New York, p. v.
270. The Work and Personality of Walter Nernst, in «Scientific Monthly», LIV,
pp. 195 sg.
Ristampato in Out o/My Later Years (n. 297).
Traduzione italiana di L. Bianchi: Ricordo di Walther Nemsl, in Einstein,
Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297), pp. 144-47.

1943
271. Non-Existence of Regular Stationary Solutions of Relativistic Field
Equations, con W. PAULI, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XLIV, pp. 131-37.

1944
272. Remarks on Bertrand Russell’s Theory of Knowledge, in The Phylosophy
of Bertrand Russell, a cura di P.A. Schilpp, «Library of Living Philosophers»,
Tudor, Evanston (Ill.), pp. 227-91.
Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: Osservazioni sulla teoria della
conoscenza di Bertrand Russell, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp.
28-34.
273. Bivector Fields. I, con V. BARGMANN, in «Annals of Mathematics», ser. 2,
XLV, pp. 1-14.
274. Bivector Fields. II, ibid., pp. 15-23.
275. LETTERA A B. CROCE E RISPOSTA DEL CROCE, Laterza, Bari, 7 pp.
La lettera di Einstein è alle pp. 1 sg.
276. TEST CASE FOR HUMANITY, Jewish Agency for Palestine, London, 7 pp.
Uno scritto polemico sulla questione palestinese, con citazioni del n. 218.
277. THE ARABS AND PALESTINE, con E. KAHLER, Christian Council on Palestine
and American Palestine Committee, New York, 16 pp.
Due articoli originariamente pubblicati sul «Princeton Herald» del 14 e 28
aprile.

1945
278. THE MEANING OF RELATIVITY, 2a edizione, Princeton University Press,
Princeton (N.J.), 135 pp.
Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 131. Vi è stata aggiunta
un’appendice che tratta: del problema cosmologico, dello spazio
quadridimensionale isotropico relativamente a tre dimensioni, delle equazioni
del campo, della curvatura dello spazio, della generalizzazione rispetto alla
materia ponderabile.
Traduzione italiana dell’appendice, di L. A. Radicati, in Einstein, Significato
della relatività cit. (n. 131), pp. 105-26 (ed. 1976).
279. Generalization of the Relativistic Theory of Gravitation, in «Annals of
Mathematics», ser. 2, XLVI, pp. 578-84.
280. Influence of the Expansion of Space on the Gravitation Fields
Surrounding the Individual Stars, con E.G. STRAUS, in «Reviews of Modern
Physics», XVII, pp. 120-24; correzioni e aggiunte, ibid., XVIII, pp. 148 sg.

1946
281. Generalization of the Relativistic Theory of Gravitation. II, con E. G.
Straus, in «Annals of Mathematics», ser. 2, XLVII, pp. 731-41.
282. Elementary Derivation of the Equivalence of Mass and Energy, in
«Technion Journal», V, pp. 16 sg.
Una derivazione, mai prima pubblicata, in cui viene usato il principio della
relatività ristretta, ma non nel suo meccanismo formale. Ristampato in Out of
My Later Years (n. 297).
Traduzione italiana di L, Bianchi: Una deduzione elementare dell’equivalenza
di massa ed energia, in Einstein, Pensieri degli anni difficili cit. (n. 297), pp.
165-68.
283. ONLY THEN SHALL WE FIND COURAGE, 8 pp.
Un opuscolo composto dalla ristampa dell’intervista con M. Attirine, che era
apparsa nel «New York Times Magazine» del 23 giugno, p. 7, col titolo The
Real Problem Is in the Hearts of Men, e da un articolo scritto in suo appoggio
da Christian Gauss, intitolato Is Einstein Right?, estratto da «The American
Scholar», XV, 496-76. L’opuscolo fu pubblicato dal Comitato di emergenza
degli scienziati atomici per dargli una larga diffusione nella campagna di
ricerca di fondi.

1948
284. Einstein’s Theory of Relativity, in Grolier Encyclopedia, Grolier Society,
New York 1947 (in realtà 1948), vol. 9, p. 19.
Einstein scrisse solo questa parte dell’articolo Relativity: Time, Space and
Matter.
285. Relativity: Essence of the Theory of Relativity, in American People’s
Encyclopedia, Spencer Press, Chicago, vol. 16, coll. 604-08. Ristampato in
Out of My Later Years (n. 297).
286. Quantenmechanik und Wirklichkett, in «Dialettica», II, pp. 320-24.
287. Generalized Theory of Gravitation, in «Reviews of Modern Physics», XX,
pp. 35-39.
«Una nuova esposizione (...) che costituisce un sicuro progresso, per la sua
chiarezza, rispetto a quelle precedenti», preparata per il numero in onore di
Robert A. Millikan.

1949
288. On the Motion of Particles in General Relativity Theory, con L. INFELD, in
«Canadian Journal of Mathematics», III, pp. 209-41.
289. Autobiographisches, in Albert Einstein: Philosopher-Scientist, a cura di P.
A. Schilpp, «Library of Living Philosophers», Tudor, Evanston (Ill.); testo
originale tedesco e traduzione inglese, pp. 2-95.
Traduzione italiana di A. Gamba: Note autobiografiche, in A. Einstein e altri,
Albert Einstein scienziato e filosofo, a cura di P. A. Schilpp, Boringhieri,
Torino 1958, pp. 3-49; quindi, con titolo Autobiografia scientifica, in A.
Einstein, Autobiografia scientifica, con interventi di Pauli, Born, Heitler, Bohr,
Margenau, Reichenbach e Godei, Boringhieri, Torino 1979, pp. 9-55.
290. Remarks Concerning the Essays Brought together in This Co-Operative
Volume, traduzione di P. A, Schilpp, ivi, pp. 665-88.
L’originale in tedesco: Bemerkungen zu den in diesem Bande vereinigten
Arbeiten, si trova nell’edizione tedesca del volume: Albert Einstein als
Philosoph und Naturforscber, Kohlhammer Verlag, Stuttgart 1955, pp. 493-
511.
Traduzione italiana di A. Gamba: Replica alle osservazioni dei vari autori, in
Einstein e altri, Einstein scienziato e filosofo cit. (n. 289), pp. 609-35; quindi
in Einstein, Autobiografia scientifica cit. (n. 289), pp. 207-33.

1950
291. Prefazione a P. FRANK, Relativity - A Richer Truth, Beacon Press, Boston.
292. Prefazione a S. HECHT, Explaining the Atom, Lindsay Drummond,
London.
293. The Bianchi Identities in the Generalized Theory of Gravitation, in
«Canadian Journal of Mathematics», II, pp. 120-28.
294. On the Generalized Theory of Gravitation, in «Scientific American»,
CLXXXII, pp. 13-17.
Traduzione italiana di F. Fortini e C. Losurdo: Sulla teoria generalizzata della
gravitazione, in Einstein, Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 318-31.
295. THE MEANING OF RELATIVITY, 3a edizione, Princeton University Press,
Princeton (N.J.), 162 pp.
Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 131. Contiene una
seconda appendice: Generalized Theory of Gravitation. Traduzione italiana
dell’appendice, di L. A. Radicati: Teoria generalizzata della gravitazione, in
Einstein, Significato della relatività cit. (n. 131), pp. 127-41 (ed. 1976).
296. ÜBER DIE SPEZIELLE UND ALLGEMEINE RELATIVITÄTSTHEORIE
(GEMEINVERSTÄNDLICH), 15a edizione, Vieweg, Braunschweig, 104 pp.
Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 97. Oltre la stesura
definitiva della terza appendice (cfr. n. 124), contiene una quarta e quinta
appendice, sul problema dello spazio.
Traduzione italiana delle appendici, di V. Geymonat: Conferma della teoria
della relatività generale da parte dell’esperienza, La struttura dello spazio
secondo la teoria della relatività generale e La relatività e il problema dello
spazio, in Einstein, Relatività: esposizione divulgativa cit. (n. 97), pp. 132-40,
130 sg. e 294-313 (ed. 1967). Altra traduzione, di F. Fortini e C. Losurdo,
della terza appendice: La relatività e il problema dello spazio, in Einstein,
Idee e opinioni cit. (n. 306), pp. 335-49.
297. OUT OF MY LATER YEARS, Philosophical Library, New York, 282 pp.
Raccolta di articoli e saggi scritti dal 1933 in poi, in parte pubblicati anche in
MeinWeltbild (n. 250) e nelle sue traduzioni (n. 251) e rimaneggiamenti (n.
306).
Traduzione italiana di L. Bianchi: Pensieri degli anni difficili, Boringhieri,
Torino 1965.

1953
298. Contributo, tradotto da A. George, a Louis de Broglie, physicien et
penseur, Albin Michel, Paris.
299. THE MEANING OF RELATIVITY, 4a edizione, Princeton University Press,
Princeton (N.J.).
Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 131. Contiene una nuova
stesura della seconda appendice (n. 293). Per un successivo supplemento a
questa appendice cfr. n. 303.
Traduzione italiana dell’appendice, di L. A. Radicati: Teoria generalizzata
della gravitazione, in Einstein, Significato della relatività cit. (n. 131), pp. 142-
75 (ed. 1976); anche in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 577-603.
300. Prefazione a GALILEO, Dialogue Concerning the Two Chief World
Systems, Ptolemaic and Copemican, traduzione di S. Drake, University of
California Press, Berkeley.
301. Reply to a Criticism of a Recent Unified Field Theory, in «Physical
Review», LXXXIX, p. 321.
302. Elementare Uberlegungen zur Interpretation der Grundlagen der
Quantenmechanik, in Scientific Papers Presented to Max Born, Oliver &
Boyd, London, pp. 33-40.
303. Supplemento di 8 pagine (pubblicato dalla Princeton University Press)
alla seconda appendice di cui al n. 299.
Traduzione italiana di A. M. Pratelli: Sulla generalizzazione della teoria della
gravitazione, in Cinquant’anni di relatività cit. (n. 9), pp. 605-11; quindi in
Einstein, Significato della relatività cit. (n. 131), pp. 176-83 (ed. 1976).
304. MEIN WELTBILD, nuova edizione a cura di C. Seelig, Europa, Zurich, 275
pp.
Edizione rivista e molto ampliata. Per la prima edizione cfr. n. 250.

1954
305. Algebraic Properties of the Field in the Relativistic Theory of the
Asymmetric Field, con B. KAUFMAN, in «Annals of Mathematics», LIX, pp. 230-
44.
306. Ideas and Opinions, a cura di C. Seelig, Crown, New York, 377 pp.
Traduzione, di S. Bargmann, del n. 304, con aggiunta di nuovi saggi. Diversi
brani compaiono anche in Out of My Later Years (n. 297). Traduzione italiana
di F. Fortini con la consulenza scientifica di C. Losurdo: Idee e opinioni,
Schwarz, Milano 1957.

1955
307. A New Form of the General Relativistic Field Equations, con B. KAUFMAN,
in «Annals of Mathematics», LXII, pp. 128-38.
308. THE MEANING OF RELATIVITY, 5a edizione, Princeton University Press,
Princeton (N.J.).
Per la prima edizione e la traduzione italiana cfr. n. 131. Contiene una
versione modificata della seconda appendice (nn. 295, 299, 303).
Traduzione italiana, di L. A. Radicati, della nuova versione della seconda
appendice: Teoria relativistica del campo non simmetrico, in Einstein,
Significato della relatività cit. (n. 131), pp. 184-215 (ed. 1976).
309. Prefazione a Cinquant’anni di relatività, a cura di M. Pantaleo, Editrice
Universitaria, Firenze; nuova ed., Giunti Barbera, Firenze, pp. XV-XX (testo
originale tedesco e traduzione italiana).
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