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Dialogo di un suicida e alcuni volontari

Volontario 1: «Telefono amico».


Suicida: «Pronto… Io-io ho bisogno di parlare con qualcuno».
Volontario 1: «Non c’è problema, amico, questo è il numero giusto. Come ti chiami?».
Suicida: «Il mio nome non è importante».
Volontario 1: «Capisco… Io comunque sono Federico, ma puoi chiamarmi Fede. Allora, dimmi,
cosa c’è che non va?».
Suicida: «Tutto».
Fede: «Spiegami meglio: che cosa ti è successo?».
Suicida: «Sono allo sbaraglio. Gli amici mi hanno abbandonato, ho perso la casa, la mia stessa
vita… È andato tutto a puttane, non mi rimane niente».
Fede: «Come mai i tuoi amici ti hanno lasciato?».
Suicida: «Non li merito, non li ho mai meritati. Le bugie e gli inganni, i soldi che mi hanno dato in
prestito e che non ho mai restituito, le litigate furiose… Volevano solo aiutarmi, volevano solo
salvarmi dalle fine… Che ora è vicina…».
Fede: «Amico, andiamo, non fare sciocchezze. Parliamone, prima. Dimmi: sei cristiano? Credi in
Dio? Preghi ogni tanto?».
Suicida: «Sono secoli che non vado a messa. Negli ultimi dieci anni sono entrato in chiesa solo per
rubare offerte o mangiare un piatto di minestra calda».
Fede: «Amico, non ti devi preoccupare. Dio conosce i tuoi peccati, ma saprà perdonarti.
L’importante è che tu ora ti ravveda, senza commettere atti di cui potresti pentirti. I suicidi sono
destinati all’Inferno, lo sai…».
Suicida: «E in che modo Dio potrebbe aiutarmi?».
Fede: «Dio può darti la forza di dire basta, di cambiare il tuo passato. Il Suo Amore è sterminato,
potrà aiutarti a risorgere e a cambiare vita».
Suicida: «Se Dio è così misericordioso, perché non mi ha mai aiutato prima?».
Fede: «Amico, il disegno divino è spesso misterioso. Bisogna crederci, bisogna avere fiducia e…».
Suicida: «Non credo che Dio si darà la pena di salvarmi. A essere onesto, non credo in Dio. Non ci
ho mai creduto. E poi, tutto ciò ora non ha più molta importanza…».
Fede: «Aspetta, non appendere. Ti faccio parlare con un’altra collaboratrice».
[Musichetta di sottofondo. Poi, una voce femminile appartenente a una donna di mezza età]
Volontaria 2: «Pronto?».
Suicida: «Pronto…».
Volontaria 2: «Figliolo, io sono Lara. Mi ha detto Fede che volevi parlare».
Suicida: «Credo di aver chiamato per trovare un motivo per cui vivere, ma mi sto rendendo conto
che forse tutto questo non ha alcun senso. Non ho il coraggio di compiere quest’ultimo gesto. Sono
un vigliacco, oltre che un perdente».
Lara: «Un senso ce l’ha, eccome. Te lo garantisco. Dimmi figliolo, tu hai famiglia?».
Suicida: «Sono figlio unico. I miei genitori abitano in una città a pochi chilometri da casa mia».
Lara: «Come mai non li chiami?».
Suicida: «Per dir loro cosa? Mi hanno ripudiato e cacciato di casa, ma non li biasimo: avevano tutte
le ragioni di farlo. Prima i CD, poi i DVD, infine le banconote sfilate dai borsellini e il televisore al
monte dei pegni; mia madre era convinta che ne sarei uscito, una banconota dopo l’altra. Ma i suoi
risparmi si assottigliavano, mentre la mia fame cresceva. È stato mio padre a dirmi di non farmi più
vedere. Con le valigie in mano, a pochi centimetri dalla porta di casa sbattuta alle mie spalle, potevo
sentire la sua voce strozzata consolare mia madre in lacrime. Il giorno dopo, la serratura era già
stata cambiata e dalla cassetta postale era stato cancellato il mio nome. Non mi rimaneva che
fuggire».
Lara: «E non hai fratelli, zie, cugini…?».
Suicida: «Sono la pecora nera della famiglia. Non posso contare sull’aiuto di nessun familiare, sono
stato bandito dall’intera cerchia dei parenti».
Lara: «Ma loro possono perdonarti se saprai dimostrar loro che sei cambiato, che la tua vita ora è
diversa…».
Suidica: «È impossibile. Ho giocato le mie carte di redenzione, e ora sono al verde. Non mi resta
che lasciare il tavolo e togliere il disturbo».
Lara: «Figliolo, attendi ancora un attimo. Voglio farti parlare con un’altra persona che potrà
aiutarti».
[Musichetta di sottofondo. Poi, una voce maschile calda e flautata]
Volontario 3: «Mi senti?».
Suicida: «Sì…».
Volontario 3: «Sono Eros. Lara mi ha detto che volevi fare una chiacchierata».
Suicida: «Be’…».
Eros: «So che il tuo cuore è colmo di tristezza e disperazione, ma dimmi: se dovessi ricercare in
questo mare oscuro una scintilla di luce, a cosa penseresti? Qual è stata l’ultima persona a farti
sentire una persona migliore?»
Suicida: «Lucilla…».
Eros: «Come scusa?».
Suicida: «Si chiamava Lucilla, l’ho conosciuta ieri in un pub del centro. Faceva la barista, mi
versava da bere e rideva. Era bella quando rideva…».
Eros: «E poi, cosa è successo? Ci hai parlato?».
Suicida: «Abbiamo parlato del più e del meno, ma quando è terminato il suo turno se ne è andata
via con delle amiche. Mi ha lasciato solo con un mezzo bicchiere di whiskey in mano e gli ultimi
spiccioli in tasca. Me li sono bevuti subito».
Eros: «Ma non ti ha lasciato nulla, prima di andarsene?».
Suicida: «È strano che tu me lo chieda, ma mi par di ricordare che abbia accennato a qualcosa… Un
pezzo di carta, se non sbaglio. Mi ha detto: “Se fossi in te, non dimenticherei lo scontrino prima di
andare via”».
Eros: «E quello scontrino, ce l’hai ancora?».
Suicida: «Ma, non credo proprio…».

Il suicida controlla le tasche, per poi estrarre un talloncino di carta arrotolata. Strabuzza gli occhi
notando sul retro del biglietto un numero di telefono, accompagnato da un semplice ma perentorio
“chiamami”.

Suicida: «Eros, non ci crederai mai ma… Eros? Eros, mi senti?»

La cornetta è muta. Il giovane, stupito, la riaggancia all’apparecchio telefonico. “Sarà caduta la


linea” pensa, tenendo tra le mani tremanti quel foglietto di carta che dà speranza e gioia di vivere. Il
giovane esce dalla cabina e si allontana; il peso dell’esistenza si fa più leggero, la dipendenza meno
opprimente: un’ombra di sorriso appare sul volto. Andando via non si accorge che il cavo della
linea telefonica, tranciato chissà quanto tempo prima e sfiorato dalla sua gamba, oscilla, oscilla e
poi si ferma.

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