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All’origine del pensiero femminista c’è un’opera pubblicata a Londra nel 1792, Rivendicazione dei
diritti della donna di Mary Wollstonecraft (A Vindication of the Rights of Woman)
Mary Wollstonecraft (1759 – 1797) fu nota per la sua vita considerata scandalosa secondo i criteri
di valutazione morale di condotta femminile dominanti nei pudibondi decenni vittoriani. Quelli che
a noi oggi appaiono come semplici dati relativi alla sua vita vennero ritenuti, per oltre un secolo, un
marchio infamante che accompagnò la sua notorietà di scrittrice, considerata alla stregua di una
donna perduta; tale marchio rese difficile, anche presso molte donne impegnate nel movimento
per la conquista dei propri diritti, rendere il giusto merito alla figura e all’opera di Mary
Wollstonecraft.
Nonostante le umili origini familiari, riesce comunque a farsi una cultura e prova in tutti i modi
a rendersi indipendente. Trova aiuto e protezione presso l’editore londinese Joseph Johnson
Periodo della Rivoluzione Francese
Nella Francia rivoluzionaria anche le donne si erano mosse, a cominciare dalla marcia per il
pane a Versailles del 5 ottobre 1789 fino alla creazione di organizzazioni più o meno
avanzate. Le donne rivoluzionarie sostengono istanze distinte; generalizzando, si può
individuare un filone repubblicano e un altro meno radicale che credeva in un futuro
monarchico della Rivoluzione. In questa seconda corrente si situa Olympe de Gouges, che
nel 1791 aveva pubblicato una Dichiarazione dei diritti delle donne, dedicandola alla regina
Maria Antonietta, odiata dal fronte repubblicano sia maschile che femminile; viene quindi
arrestata su denuncia delle donne repubblicane nel 1792 e l’anno seguente finisce sulla
ghigliottina
Vive a Parigi per due anni. Non grandi contatti con la Rivoluzione, ma relazione con Gilbert
Imlay: convivono senza sposarsi, hanno una figlia che si suicida, tenta lei stessa il suicidio
Torna a Londra. Relazione con William Godwin, hanno una figlia nel 1797, Mary, futura autrice
nel 1819 di Frankenstein e moglie di Percy Bysshe Shelley. Muore dopo il parto.
A parte a quello di lettori progressisti, la sua opera si rivolge esplicitamente a un pubblico di lettrici
molto ristretto, quello delle donne della classe media che abbiano una cultura e un interesse per le
problematiche morali, sociali e politiche
Non nutre alcuna fiducia nelle donne delle classi alte, che contribuiscono a perpetuare
l’immagine della donna come inferiore e subordinata all’uomo
non ha alcuna speranza nelle donne delle classi oppresse, nonostante ne ammiri gli sforzi
quotidiani nel gestire matrimonio e famiglia
Non ha molta fiducia negli uomini, nemmeno in quelli più illuminati (critiche a Rousseau
riguardo la subordinazione della donna)
Si rende conto che l’oppressione cui sono sottoposte le donne non è un fatto di natura ma di
educazione, dipende cioè dall’organizzazione della società imposta dagli uomini
Ritiene che la società nel suo complesso potrebbe migliorare se alle donne venissero
riconosciuti i diritti considerati naturali e quindi universali, senza distinzione di sesso. Vi sarà
l’avvento di una società migliore solo se alle donne sarà assicurato il tipo di educazione e di
formazione culturali alle quali ora possono accedere soltanto gli uomini (ma ancora è troppo
presto perché parli di diritto di voto, metà XVIII secolo).
Educazione sottintende il fatto che questi diritti sono sia conquistabili dalle donne stesse
(alcune delle quali hanno la colpa di assecondare e riprodurre la logica della propria
subordinazione) sia assicurabili dall’iniziativa degli uomini politicamente progressisti
1.2 L’uguaglianza con gli uomini, obiettivo principale del primo femminismo (1848 – 1918)
1.4 La differenza sessuale al centro della seconda ondata del femminismo (1968 – 1980)
1.5 Il moltiplicarsi del pensiero femminista: diritti, sesso, classe, razza, omofobia, identità (1980 – 1998)
Maschi ed eguali
Altro tema fondamentale del pensiero femminista è quello dell’uguaglianza e a riguardo la
complessa vicenda teorica del femminismo, più che discordare sui dettagli, si spezza in due
tronconi
A due secoli dalla spinta egualitaria della Rivoluzione Francese, l’uguaglianza formale fra uomini e
donne, pur sancita nel diritto, non corrisponde a un’uguaglianza sostanziale e su questo concorda
tutto il pensiero femminista. Il dissenso riguarda l’interpretazione del fenomeno
Per alcune si tratta di un’ingiustizia alla quale si potrebbe porre rimedio, mentre per altre si
tratta di un effetto irrimediabile del paradosso logico del principio di uguaglianza: sin dalla sua
prima formulazione, il modello egualitario, pur dichiarando nulle le differenze fra gli uomini,
non dichiara affatto nulla la differenza sessuale. È un principio di uguaglianza tra uomini, intesi
non come essere umani, ma come maschi
Detto altrimenti, il principio di uguaglianza è estremamente rivoluzionario per quanto
riguarda gli uomini e radicalmente conservatore per quanto riguarda le donne. È
rivoluzionario perché sovverte la sfera pubblica cancellando il precedente sistema di
dominio basato su differenze di poteri, diritti e doveri; è conservatore perché non tocca la
vecchia distinzione fra una sfera pubblica riservata agli uomini e una sfera domestica
riservata alle donne
Pensato per eliminare le differenze fra uomini più che per escludere esplicitamente le
donne, il principio di uguaglianza di fatto non le prende nemmeno in considerazione, ossia
non le contempla nel suo immaginario politico. Le donne sono già assenti dalla sfera
pubblica perché appartengono naturalmente a quella privata.
Fra esclusione e omologazione
A parole (quindi nelle costituzioni odierne), il principio di uguaglianza modifica la sua forma e
comprende anche le donne. Tale comprensione consiste in un’omologazione delle donne al
paradigma maschile che modella il principio, prescindendo dal fatto che sono donne e non uomini;
la differenza sessuale femminile viene di fatto cancellata
Rinunciando alla sua coerenza, l’esclusività maschile che sta sin dall’inizio a fondamento del
principio egualitario si traduce in un paradosso
L’uguaglianza formale non corrisponde a un’uguaglianza sostanziale. Le donne, infatti, restano
donne e non uomini, sia nel dato evidente della differenza sessuale sia nel senso di un ordine
simbolico che continua a rappresentarle come naturalmente domestiche e impolitiche
Le donne si trovano quindi costrette a decidere fra queste due possibilità identitarie
schizofreniche: fare carriera nel mondo dei poteri uniformandosi al paradigma di
comportamento modellato sull’identità maschile o aderire al naturale ruolo femminile nel
mondo domestico
La stessa proposta di Mary Wollstonecraft si colloca all’interno di questo paradosso, poiché tenta di
salvare al contempo l’uguaglianza e la differenza. Vuole infatti che anche alle donne sia
riconosciuto lo statuto di soggetti autonomi e razionali e tuttavia insiste su una naturale specificità
del ruolo femminile
Questo paradosso finisce per spingere il femminismo emancipazionista verso posizioni che tentano
di risolverlo abbracciando senza indecisione il supposto universalismo del principio formale di
uguaglianza che dichiara nulla la differenza sessuale. Tale principio afferma che prima e al di là di
essere donne o uomini, gli essere umani sono persone che in tale paradigma asessuato fondano la
loro uguaglianza
2.4 Oltre il soggetto