Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
1 1
2 2
3 3
4 4
5 5
6 6
7 7
8 8
9 9
10 10
11 11
12 12
13 13
14 14
15 15
16 16
17 17
18 18
19 19
20 20
21 21
22 22
23 23
24 24
25 25
26 26
27 27
28 28
29 29
30 30
31 31
32 32
33 33
34 34
35 35
36 36
37 37
38 38
39 39
40 40
41 41
L’EDIZIONE DI TESTI CINQUE-SEICENTESCHI 3
esempio, cōposta per composta, bē per ben, ū per un, īstrumento per instrumen-
to. In altri casi, una p con l’asta discendente dotata di un segno aggiuntivo o at-
traversata da un trattino segnala la soppressione delle lettere ro oppure er, cosic-
ché le notazioni ~pprio e p si scioglieranno rispettivamente in proprio e per. Si-
milmente la d con l’asta incrociata da un trattino segnala la sopressione di una
vocale: per esempio, đ per de. Frequente anche l’abbreviatura consistente nel
soprassegnare la lettera q: per esempio, ¯qsto per questo e ¯qlle per quelle.
Caratteristici del peso esercitato dal latino nella formazione della nostra lingua
volgare sono gli arcaismi rappresentati dai gruppi -tio(-) e -tia(-), come in «altera-
tione» di linea 19 e «consonantia, & dissonantia» di linea 37. Le pronunce sup-
poste sono alterazione e consonanzia.
Alla linea 30 si legge «[va-]rij giudicij», dove la j costituisce il raddoppio della i
che la precede per la formazione del plurale (vario giudicio < varii giudicii). In tanti
casi i e j possono essere impiegati scambievolmente, come in Jacopo o Iacopo, e
in altri la i può essere rimpiazzata dalla y (un caso tipico di interesse musicale è
rappresentato dalla alternativa allografica lira o lyra).
Nel tratto di testo oggetto di questo breve scrutinio, l’uso delle lettere maiu-
scole a inizio di parola non è troppo difforme dalle consuetudini dei nostri tempi.
Si noterà tuttavia che i nomi degli strumenti musicali — nomi comuni, naturalmen-
te — recano sempre la maiuscola (linee 9, 10, 15-17). Questa è chiamata anche
a enunciare il titolo di alcuni noti trattati di autori greci e latini, come la «Musica»,
ovvero il De musica, di Boezio (linea 14) e gli «Elementi Armonici» di Aristosseno
(linea 32): all’epoca non vigevano norme di citazione bibliografica paragonabili a
quelle attuali. In altre opere coeve potrà spesso accadere di rilevare una maggio-
re insistenza nella adozione delle iniziali maiuscole, non rispondente di necessità
a criteri di coerenza o al proposito di trasmettere una significazione speciale.
La lettura attenta della pagina riprodotta in facsimile farà avvertire con un cer-
to disagio l’effetto combinato di una sintassi non proprio cristallina e di una pun-
teggiatura inconsueta, per taluni aspetti aleatoria e che comunque impiega i se-
gni con funzioni diverse da quelle che un lettore odierno è portato a ravvisarvi.
Proprio questi fattori, congiuntamente al dispiegamento di un lessico dal significa-
to non sempre perspicuo, possono rendere dubbiosa o equivoca l’interpretazione
di alcuni passi.
L’EDIZIONE DI TESTI CINQUE-SEICENTESCHI 7
al quale sono imposte scelte che potranno anche non apparire univoche, ma che
sono possibili solo a partire da un’interpretazione convincente del testo. D’altra
parte qualsiasi cultore della filologia testuale è oggi consapevole che la pretesa di
poter eliminare ogni dubbio e arbitrio facendo affidamento sulla supposta equiva-
lenza di grafia e pronuncia è una mera illusione. Così come è chiaro che anche
gli interventi sull’interpunzione, soprattutto qualora i testimoni dei quali ci si avva-
le non denuncino un criterio ben definito in assunzione di una logica stringente,
difficilmente potranno stabilire una corrispondenza perfetta con i segni originali ai
quali vanno a sostituirsi.
Da parte loro, ormai da tempo, gli studi di linguistica strutturale hanno dimo-
strato che fra sistema grafico e sistema fonematico (quello legato alla parola con-
siderata nel suo versante acustico) vige un’autonomia irriducibile. I fonemi (le uni-
tà minime di articolazione vocale della parola), infatti, non sono segni e pertanto
sono definibili nella sola funzione distintiva o, se si vuole, nella loro caratteristica
essenza sonora. I grafemi (i tratti elementari dello scrivere), per contro, denotano
un duplice valore: quello significante, corrispondente al simbolo di puro tracciato
grafico, e quello significato, consistente nel contenuto fonico.
Questo importa, per attenerci a un solo caso, che a un determinato livello di
approfondimento potrebbe essere proficuo distinguere tra allografi denotativi,
vale a dire quelli che non dispiegano un valore aggiunto in termini di rilevanza
culturale o stilistica (per esempio, anchora o ancora, chosa o cosa), da quelli
connotativi, nei quali la variazione può istituirsi a indice di diversi livelli culturali,
stilistici, di gusto letterario o di caratterizzazione regionale, pur non influendo in
alcun modo sulla pronuncia, come per esempio in philosophia o filosofia e lyra o
lira, dove le prime scrizioni di ciascuna coppia denunciano una chiara ascenden-
za culta. (Un esempio che forse può aiutare a comprendere meglio la questione è
quello delle convenzioni invalse nella scrittura degli SMS, nei quali, per motivi in
parte di brevità e in parte di scelta stilistica o di appartenenza culturale quando
non anche generazionale, prevalgono soluzioni grafiche non approvate nella co-
municazione formale, quali xché = perché, nn = non, ki = chi, + = più, e così via.)
È proprio in accoglimento di queste riserve, espresse con veemenza dagli
studiosi dei decenni a noi più vicini, che l’atteggiamento ora prevalente è quello di
un cauto conservazionismo, contrapposto alla tendenza marcatamente emenda-
tiva incarnata dagli editori dei secoli passati. Un eccesso di normalizzazione, se
anche potesse avere l’effetto di avvicinare un numero di lettori più ampio, non
mancherebbe di stemperare e forse azzerare il colorito linguistico e il tratto stili-
L’EDIZIONE DI TESTI CINQUE-SEICENTESCHI 9
Alemanno. Poi che mi stringete à dire quello, ch’ io ne sento: dirò quanto io
ne hò vdito dire da huomini esperti, et quanto io ne hò imparato da graui scrit-
tori: Et cercarò di sodisfarui al meglio, ch io potrò. Et se voi non haurete lo in-
tiero, vi contentarete dal mio buono animo. [Discordanza d’ onde possa na-
scere. Poca diligenza nell’ accordare gli strumenti musicali. Strumenti Musicali
anchora che di vna medesima specie portano difficoltà nell’ accordarli bene
insieme. in marg.] Io vi hò già detto, che questa discordanza può nascere dal
male accordo de gli strumenti, ciò è, che non vi sia stata posta quella diligen-
za; che si può vsare in accordare gli strumenti insieme; la onde non possono
fare buona concordanza: Ma per un’ altra ragione anchora, et è questa, che
hauendomi voi detto, che ui era una gran quantità de Viuole: ui dico, che ui fa
bisogno di grande industria à fare, che quelle Viuole, quantunque siano d’ uno
medesimo corpo, siano bene d’ accordo insieme; anchora che ui sia la dili-
genza del buono accordatore, ne ce ne potiamo fidare: [Corde de gli strumenti
Musicali non hauer molta stabilità. in marg.] et questo nasce dalle corde, che
non hanno molta ferma stabilità, come ne habbiamo testimonianza da Boethio
nella sua Musica: et da Tolomeo ne’ suoi Armonici: [Capitolo 10. del primo li-
bro Capitolo 8. del primo libro. in marg.] et il simile auuiene ne’ Lauti. Et per-
che anchora mi hauete detto: che ui erano vn Clauacembalo graude, et una
Spinetta grande; dirò, che anchora quì può nascere qualche disordine: [Corde
di metallo patiscono meno la instabilità delle corde de intestini in marg.] ma
non tanto per essere le corde loro di Metallo; lequali non patiscono tanta alte-
ratione, come quelle d’ intestini: ma può bene essere, che non siano frà loro in
quel perfetto accordo, che si desiderarebbe: ma voi mi potreste rispondere,
come già m’ hauete detto, et dire, che essendo questi strumenti in mano di
huomini giudiciosi; che ogn’ uno terra bene ad ordine, et accordato il suo. Voi
direste bene, quando non ui nascesse un’ altro disordine; [Sonatori, et cantori
esser di parere diuerso molte volte nell' udito. in marg.] il qual’ è, che tutti que-
sti uirtuosi (come uoi non mi negarete) non sono di un medesimo giudicio, et
di un medesimo orecchio et questo si vede assai volte, che ad uno sonatore
L’EDIZIONE DI TESTI CINQUE-SEICENTESCHI 11
pare, che una uoce, ò suono di una corda di uno strumento sia rimessa, ò
bassa, et ad un’ altro sonatore pare, che sia tesa, ouer alta, talche come que-
sta cosa si uiene à mescolare con uarie orecchie, et uarij giudicij presto presto
si dà in una confusione, però è necessario, che un solo sia, il quale accordi
ogni cosa: [Accordo di uarij strumenti musicali douer esser fatto da un solo
buono accordatore. in marg.] Ma bisogna, che habbia come dice Aristosseno
ne’ suoi elementi Armonici, et ci afferma Gaudentio nella sua Institutione Ar-
monica. [Capitolo 1. in marg.] Bisogna (dice egli) à colui il qual desidera prin-
cipalmente di posseder le ragioni di queste cose, che egli sopra tutto habbia
gli orecchi usati alla esperientia, et bene essercitati: et che intenda giustamen-
te i suoni: che conoscagli interualli, et che finalmente sappia ciò, che sia con-
sonantia, et disonantia con ciò, che segue sin’ al fine del suo proemio. Euui un
altra cosa di non poca importanza; le qual’ è, che trà questi strumenti; che mi
hauete nominato ve ne sono di varie sorti; [Varie sorti di strumenti Armonici.
varie specie di strumenti Armonici. in marg.] percioche ne ne sono de gli al
tutto stabili, et de gli stabili, ma alterabili; et oltre ciò ue ne sono di varie spe-
cie.
L’EDIZIONE DI TESTI CINQUE-SEICENTESCHI 12
11. Distinguere u da v. Esempi: nuouo = nuovo; douere = dovere; vno = uno; vdi-
re = udire.
12. Regolarizzare le alternanze i / j e i / y. Esempi: ajuto = aiuto; principij = princi-
pii o principî; syrena = sirena.
13. Dopo c e g palatali e dopo i nessi gn ed sc eliminare le i che nella grafia mo-
derna risultano superflue. Esempi: dolcie = dolce; giente = gente; sognio =
sogno.
14. Dopo c e g palatali e dopo i nessi gn ed sc introdurre le i che nella grafia mo-
derna si rendono necessarie. Esempio: celo = cielo.
15. Introdurre la i diacritica dopo gl e c, g palatali che precedono a, o, u. Esempi:
vogla = voglia; guoco = giuoco.
16. Eliminare l’h superflua negli allografi ch, gh, th e nei casi determinati dall’eti-
mologia. Esempi: pocho = poco; labirintho = labirinto; hora = ora; haveva =
aveva.
17. Introdurre l’h per distinguere le voci del verbo avere e a contrassegnare le in-
teriezioni. Esempi: o = ha, ò = ho; a = ha; ai = ahi; de = deh.
18. Regolarizzare l’alternanza m / n davanti a labiale e, se occorre, davanti q ed
s. Esempi: canpare = campare; dumque = dunque; pemsare = pensare.
19. Regolarizzare l’uso di c / q. Esempi: cuando = quando; alquno = alcuno.
10. Rendere con -zi- il nesso -ti-. Esempi: gratia = grazia; oratione = orazione.
11. Rendere et e & con e o eventualmente ed per evitare la sinalefe. Esempi: et
altri = e altri; & egli = ed egli.
12. Ridurre le geminate superflue dopo liquida (r o l) e m, n. Esempi: apersse =
aperse; falsso = falso; temppo = tempo; chanttare = cantare.
13. Eliminare gli ipercultismi in genere dovuti a pseudoetimologia. Esempi: faelice
= felice; hedificio = edificio.
14. Ricondurre alle regole odierne l’uso delle maiuscole e delle minuscole.
Esempi: buon Augurio = buon augurio; tre Flauti = tre flauti.
15 Regolarizzare la punteggiatura secondo l’uso odierno, tenendo presente il
mutamento di significato dei segni di interpunzione intervenuto nel tempo.
16. Al di fuori dei casi contemplati sopra, non alterare la grafia di parole oggi cor-
rentemente scritte in modo diverso, nemmeno per sanare alternanze nel me-
desimo testo di allografie quali, per esempio, strumento, stromento, istrumen-
to, istromento.
L’EDIZIONE DI TESTI CINQUE-SEICENTESCHI 13
sin al fine del suo proemio. Èvvi un’altra cosa di non poca importanza, la qual
è che tra questi strumenti che mi avete nominato ve ne sono di varie sorti,
percioché ve ne sono degli al tutto stabili e degli stabili, ma alterabili, e oltre
ciò ve ne sono di varie specie.
L’EDIZIONE DI TESTI CINQUE-SEICENTESCHI 15
8. Certo, si può fare di più. Per esempio, si può predisporre un’edizione criti-
ca. Questa impone di riunire tutti i testimoni di un’opera e di metterli a confronto
per soppesarne la rispettiva autorità in termini di correlazione con le intenzioni
dell’autore e, di conseguenza, stabilire fin dove possibile il testo autentico. In ef-
fetti non è superfluo sapere che il trattato del teorico bolognese qui al centro del
nostro interesse è apparso a stampa anche in un’edizione precedente (Venezia:
Ricciardo Amadino, 1594, con attribuzione ad Alemanno Benelli) e in una suc-
cessiva (Milano: Stampatori Archiepiscopali, 1601, con attribuzione ad Annibale
Meloni).
Devo però dire che la scelta di un’edizione critica richiederebbe competenze e
tempi di lavoro dei quali i musicisti perlopiù non dispongono. Essa renderebbe
necessario il confronto con i numerosi altri scritti dell’autore, anche di argomento
non musicale, in parte conservati manoscritti e in parte apparsi a stampa durante
la sua vita: questo sia per accertare meglio il suo stile e la costanza o meno di
taluni suoi usi scrittòri, sia per una più rotonda e avvertita esegesi del suo pensie-
ro. Il saggio introduttivo che in genere precede una tale edizione, affidandosi ai
ragionamenti della filologia, dovrebbe infine mirare alla più esauriente interpreta-
zione del testo stesso e a calarlo nella collocazione storico-culturale nativa.
Come dire che, per il tramite della filologia, si giunge alla più piena considera-
zione storica di un testo e del suo contesto. Il continuo andirivieni fra testo e con-
testo (e fra passato e presente) è infatti l’unica possibilità che ci si offre per tenta-
re di sciogliere dubbi e rispondere a domande posti dal testo stesso. Così, per
limitarci al brano di Bottrigari, solo col conforto della futura ricerca documentaria e
organologica sarà possibile comprendere con sicurezza a quali varietà strumen-
tali l’autore intendesse riferirsi in effetti col parlare di «Clauacembalo grande» e
«Spinetta grande», e solo assumendo conoscenze più vaste è possibile (in parte
già ora) qualificare in concreto, per esempio, le corde armoniche «di Metallo» o
«d’intestini» che egli nomina.
Un’ultima precisazione non può essere omessa. Su qualunque tipo di edizio-
ne cada la scelta, mai dovrà mancare un apparato critico nel quale l’editore ren-
derà puntualmente conto del suo operato, annotando ogni variazione nel testo da
lui costituito rispetto a quello o a quelli tràditi dalle fonti. Insomma l’apparato criti-
co dovrà rendere possibile la ricostruzione delle lezioni esemplate da ogni singolo
testimone collazionato (cioè posto criticamente a confronto) in vista dell’edizione.
L’EDIZIONE DI TESTI CINQUE-SEICENTESCHI 16