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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA – DIPARTIMENTO DI CHIMICA

A. Marini – CAPITOLO 10 – CHIMICA GENERALE e INORGANICA – Anno Accademico 2019/2020

Tubo di Crookes e L’esistenza degli elettroni fu dimostrata dai fisici mediante lo studio degli
Raggi catodici effetti dell’elettricità sui gas rarefatti.

Se si applica una differenza di potenziale (dell’ordine di 10000 V) tra due


elettrodi di un tubo chiuso contenente gas a bassa pressione (tubo di
Crookes), si osserva una scarica luminosa. Il potenziale elettrico applicato
strappa gli elettroni dagli atomi del gas e fa sì che gli elettroni migrino verso
l’anodo (polo positivo) mentre gli ioni positivi risultanti dalla perdita di elettroni
degli atomi neutri del gas migrano verso il catodo (polo negativo). Gli elettroni
in movimento verso l’anodo (raggi catodici) possono essere rivelati
osservando i lampi di luce su uno schermo di solfuro di zinco posto nel tubo. 1

Misura del rapporto e/m Se si pone una piastra metallica con una fenditura sottile di fronte al catodo,
E modello atomico di si ottiene un fascio collimato di raggi catodici. J. J. Thomson dimostrò che

1
uno schermo a solfuro di zinco è un esempio di contatore a scintillazione. Questo è basato sull’emissione di luce da parte di
opportuni materiali attraversati da particelle ionizzanti. Gli impulsi di luce rappresentano la radiazione di fluorescenza emessa dagli
atomi del materiale nel tornare al loro stato energetico fondamentale dopo essere stati ionizzati o eccitati dalle particelle cariche che
li attraversano.

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Thomson questo fascio è deviato da campi elettrici e magnetici in modo tale da indicare
che il fascio medesimo è costituito da particelle aventi carica negativa. Inoltre,
mentre la natura delle particelle positive (raggi anodici) dipende dal gas usato
nel tubo, i raggi catodici sono gli stessi per qualunque gas. J. J. Thomson
suggerì che i raggi catodici fossero costituiti da ELETTRONI e nel 1897,
misurando la deflessione subita da un fascio di raggi catodici in presenza di
campi elettrici e magnetici, determinò il rapporto carica/massa (e/m) delle
particelle costituenti i raggi catodici:

e
 1.76  108 coulombg-1
m
L’interpretazione in termini corpuscolari dei raggi catodici costituì la premessa
alla elaborazione di un modello meccanico dell’atomo, che fu proposto da J.
J. Thomson nel 1904 e secondo cui “gli atomi degli elementi consistono di un
numero di corpuscoli negativamente elettrizzati racchiusi in una sfera con
elettrificazione positiva uniforme”. Era questo il famoso modello senza nucleo
a cui si riferirono, nei primi anni del ventesimo secolo, le ricerche teoriche e
sperimentali che miravano ad un chiarimento della struttura atomica.

Lo spettrometro di massa Lo spettrometro di massa può essere considerato l’evoluzione moderna


dell’apparecchio con cui J. J. Thomson determinò il rapporto e/m
dell’elettrone. In uno spettrometro di massa, gli elettroni emessi da
un’opportuna sorgente (un filamento percorso da corrente elettrica)
bombardano il campione gassoso strappandogli elettroni e producendo quindi
ioni positivi. Questi vengono accelerati da un campo elettrico e fatti passare
attraverso opportune fenditure in modo da formare un fascio di ioni collimato.
Questo fascio di ioni viene prima deviato da un campo elettrico in modo da
imprimere traiettorie diverse a ioni dotati di velocità diverse, quindi inviato a
un analizzatore magnetico in cui gli ioni subiscono una deviazione tanto
maggiore quanto minore è la loro massa. Variando opportunamente il campo
elettrici e/o quello magnetico,è possibile far via via convergere nel rivelatore

e
tutti e soli gli ioni aventi un ben determinato rapporto .
m
Lo spettrometro di massa consente la misura diretta e assai precisa delle
masse atomiche nonché l’identificazione e la separazione di isotopi. Esso

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risulta pure di grande utilità in chimica organica in quanto consente di ricavare


informazioni sulla struttura molecolare delle sostanze dall’analisi delle masse
dei frammenti in cui le sostanze medesime possono essere spezzate dal
bombardamento elettronico che si verifica nello spettrometro.

e
La misura della carica Nonostante il rapporto fosse noto, come abbiamo visto, fin dal 1897,
m
fu
dell’elettrone (Millikan) soltanto nel 1911 che Robert Millikan, con un semplice e geniale esperimento,
riuscì a determinare la carica dell’elettrone. L’esperimento di Millikan
consisteva nell’irraggiare con raggi X delle piccolissime goccioline d’olio
spruzzate tra le piastre di un condensatore. I raggi X sono in grado di
ionizzare l’aria, di strappare cioè elettroni ai gas costituenti l’aria. Gli elettroni
così generati vengono catturati dalle goccioline d’olio, che acquistano in
questo modo una o più cariche negative. Millikan misurò dapprima la velocità
di caduta della gocciolina carica in assenza di campo elettrico tra le piastre
del condensatore. Imponendo un’opportuna d.d.p. alle piastre del
condensatore era possibile osservare la gocciolina muoversi verso l’alto,
mentre eliminando il campo elettrico la gocciolina cadeva nuovamente verso il
basso. Tuttavia, mentre la velocità di caduta (in assenza di campo elettrico

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applicato) era invariante, la velocità di salita variava. Ciò era coerente con
l’ipotesi secondo cui la gocciolina catturava alcune delle cariche presenti
nell’aria ionizzata. Dalla misura della d.d.p. necessaria per mantenere la
gocciolina sospesa tra le piastre, Millikan giunse alla conclusione che la
carica su qualunque goccia era sempre un multiplo intero di 1.602 1019
Coulomb e concluse che questa doveva essere la carica di un singolo
elettrone.

Determinazione del La conoscenza della carica dell’elettrone consente di determinare il numero di


Numero di Avogadro Avogadro (N). Sappiamo infatti dai nostri studi sull’elettrolisi che la riduzione
al catodo di una cella elettrolitica di una mole di ioni monovalenti positivi
richiede una quantità di elettricità pari a 96485 Coulomb (1 Faraday) e che il
processo di riduzione comporta la combinazione di un elettrone con ogni ione
monovalente positivo:

M  e  M

Risulta allora evidente che 96485 Coulomb è la quantità di carica associata a


una mole (un numero di Avogadro) di elettroni e che il numero di Avogadro
può essere ottenuto semplicemente dividendo la carica di una mole di
elettroni per la carica di un singolo elettrone:

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96485
N 19
 6.022 1023
1.6022 10

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Il modello atomico Abbiamo visto che il modello atomico di J. J. Thomson era un modello senza
di Rutherford nucleo: la massa e la carica positiva erano distribuite uniformemente in tutto
l’atomo e gli elettroni erano dispersi uniformemente in questo continuum in
modo da risultare quanto più possibile lontani gli uni dagli altri (repulsione
elettrostatica). Nel 1910 Ernest Rutherford dimostrò che il modello atomico di
J. J. Thomson era errato. In precedenza Rutherford aveva trovato che alcuni
elementi radioattivi (elementi dal nucleo instabile come, per esempio, l’uranio)
si decomponevano emettendo particelle cariche positivamente (particelle ) e
radiazioni elettromagnetiche (raggi ). Successivamente dimostrò che le
particelle  erano nuclei di elio, cioè atomi di elio che avevano perduto gli
elettroni. Emesse da nuclei instabili, esse hanno velocità molto elevate
(dell’ordine di 107 m s-1) e possono percorrere distanze dell’ordine dei
millesimi di millimetro nei solidi prima di essere fermate in seguito alle
collisioni con gli atomi costituenti il solido.
Rutherford e i suoi collaboratori si proponevano di ottenere informazioni sulla
struttura atomica analizzando le deviazioni subite dalle particelle 
nell’attraversare sottilissime lamine metalliche (spessore dell’ordine del
millesimo di millimetro) interposte sul loro cammino. Rutherford si aspettava,
sulla base del modello atomico di Thomson, che le particelle  avrebbero
subito una deflessione molto piccola nell’attraversare la lamina metallica.
Essendo cariche positivamente, le particelle  avrebbero dovuto essere
attratte dagli elettroni e respinte dalla massa atomica a distribuzione
omogenea di carica positiva. Gli elettroni, a causa della loro piccola massa,
non avrebbero dovuto esercitare nessuna apprezzabile influenza sulle
traiettorie delle particelle  , dotate di massa e velocità elevate, ma avrebbero
dovuto essi stessi essere spinti via dalla traiettoria delle particelle. La materia
a distribuzione uniforme di carica positiva avrebbe dovuto provocare solo
piccole deviazioni a causa della modesta densità della carica positiva.
I risultati sperimentali furono molto diversi e completamente inattesi: la
maggior parte delle particelle  attraversavano la lamina subendo deviazioni
piccole o nulle. Tuttavia, un numero consistente di particelle subiva grandi
deviazioni ed alcune addirittura rimbalzavano verso la sorgente.
Il modello atomico consistente con questi dati di diffrazione è quello di un
nucleo piccolo, carico positivamente, e contenente la quasi totalità della

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massa atomica, circondato da cariche negative (gli elettroni) che occupano


uno spazio pari a circa 10 5 volte quello del nucleo. Le traiettorie della
particelle  che attraversano la lamina metallica rimanendo lontane dai nuclei
(la gran parte, viste le dimensioni assai modeste, su scala atomica, dei nuclei
medesimi) risultano inalterate o assai modestamente deviate dall’interazione
con gli elettroni della lamina. Le particelle che transitano vicino a un nucleo
(grande massa e grande densità di carica) risultano sensibilmente deviate.

Secondo la fisica classica Quelle che urtano un nucleo, rimbalzano nella direzione di provenienza.
Il modello di Rutherford Il problema principale del modello atomico di Rutherford è che secondo la
è impossibile fisica classica esso è impossibile. Se infatti si considera che gli elettroni che
circondano il nucleo siano immobili, allora l’attrazione elettrostatica tra il
nucleo positivo e gli elettroni negativi dovrebbe provocare l’immediato
collasso dell’atomo. Se, d’altra parte, si pensa che gli elettroni si muovano su
orbite intorno al nucleo come i pianeti intorno al sole, si arriva comunque a un
risultato impossibile. Un nucleo positivo con uno o più elettroni in orbita
attorno ad esso, costituisce sostanzialmente un dipolo elettrico oscillante. Sia
le leggi della fisica classica, sia quelle della teoria elettromagnetica
prevedono che un dipolo oscillante debba emettere energia elettromagnetica.
L’emissione di energia da parte dell’atomo comporta tuttavia che l’elettrone
percorra via via orbite a minor energia, quindi più vicine al nucleo, con un
processo che ha termine solo quando l’elettrone cade sul nucleo.
In definitiva, la fisica classica riteneva impossibile ciò che l’esperienza
dimostrava vero. Il problema non era di poco conto.

Le radiazioni Il problema dell’atomo impossibile non era il solo con cui, in quel periodo,
elettromagnetiche si scontrava la fisica. Un altro serio problema era costituito dalla natura e dal
comportamento della luce. Per centinaia di anni filosofi e scienziati hanno
speculato sulla natura della luce, sul problema cioè se la luce fosse costituita
da onde o da particelle. Isaac Newton (1642 – 1727) sosteneva la teoria
corpuscolare della luce, riteneva cioè che la luce consistesse di un flusso di
particelle. Altri scienziati prima e dopo di lui ritenevano che la luce fosse un
fenomeno ondulatorio. La lunga disputa sulla natura della luce sembrò risolta
dagli studi del fisico J. C. Maxwell (1831 – 1879) che mostrò come tutte le

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proprietà della luce sino ad allora note potevano essere spiegate sulla
base di un insieme di equazioni fondate sull’ipotesi che la luce fosse
un’onda elettromagnetica.
Un’onda elettromagnetica consiste di campi elettrici e magnetici che vibrano
in direzioni perpendicolari tra loro e perpendicolari alla direzione di
propagazione dell’onda. Tutte le radiazioni elettromagnetiche, dalle onde
radio ai raggi , viaggiano – nel vuoto - alla stessa velocità
c  2.9979 1010 cms-1. Tutte le onde possono essere descritte mediante la
loro velocità, frequenza, lunghezza d’onda e ampiezza.


Grande lunghezza d’onda
Bassa frequenza
A

La lunghezza d’onda è più


Piccola; la frequenza è più
Grande

Grandezze caratteristiche La frequenza, abitualmente indicata con  , rappresenta il numero di picchi


delle onde elettromagnetiche che passano in un dato punto in un secondo. La frequenza ha le dimensioni
di tempo-1 e si misura in hertz (Hz):

1Hz  1s 1

La lunghezza d’onda, abitualmente indicata con  , rappresenta la distanza tra


due punti successivi in fase (per esempio tra due picchi successivi). La

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lunghezza d’onda ha evidentemente le dimensioni di una lunghezza e si


misura in metri (o in altre unità di lunghezza).
La velocità dell’onda, identica nel vuoto per tutte le radiazioni
elettromagnetiche, è data dal prodotto della lunghezza d’onda per la
frequenza:

c  λ ν (10.1)
Poiché c è costante, segue dalla (10.1) che frequenza e lunghezza d’onda
sono inversamente proporzionali: ad alti valori di frequenza corrispondono
bassi valori di lunghezza d’onda e viceversa.
Nella figura che segue sono riportate le lunghezze d’onda delle diverse
radiazioni che compongono lo spettro visibile.

7000 Å 6000 Å 5000 Å 4000 Å

IR UV
arancione
Rosso rosso verde blu indaco
Porpora giallo
Violetto

Spesso, per caratterizzare un’onda si usa il numero d’onda, indicato con ν


e definito come:
1
ν  (10.2)
λ
Il numero d’onda viene abitualmente misurato in cm -1.

Lo spettro Lo spettro visibile costituisce solo una piccola parte dell’intero spettro
elettromagnetico elettromagnetico che viene riportato, in scala logaritmica, nella figura che
segue.

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 (Hz) 
Raggi . Emesse da nuclei instabili.
Radiazioni fortemente penetranti.
31019 10-1 Å

31018 1Å
Raggi X. Elevato potere penetrante.
Importanti applicazioni mediche e
31017 scientifiche. 10 Å

31016 102 Å
Ultravioletto. Emesse dal sole. Provocano
scottature. Uccidono i batteri. Applicazioni importanti
31015 in ambito scientifico. 103 Å

31014 VISIBILE
104 Å  10-4 cm
Infrarosso. Sono in grado di eccitare i modi
vibrazionali e rotazionali delle molecole.
31013 Applicazioni importanti in ambito scientifico. 10-3 cm

31012 10-2 cm

Microonde. Sono in grado di eccitare i modi


31011 rotazionali delle molecole. 10-1 cm

31010 1 cm

3109 (3000 MHz) Onde Radar 101 cm

3108 (300 MHz) Onde TV 102 cm  1 m

3107 (30 MHz) Radio FM 10 m

3106 (3 MHz) Polizia 102 m

3105 (300 KHz) Navigazione Aerea 103 m  1 Km

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La radiazione del È ben noto che i solidi, quando vengono riscaldati, emettono radiazioni.
corpo nero La velocità di produzione dell’energia radiante da parte di una superficie calda
dipende, oltre che dalla temperatura e dall’area, anche dalla natura della
superficie. La superficie che, a parità di temperatura, irradia (ed assorbe) più
energia per unità di tempo è la superficie perfettamente nera. In altri termini,
l’emettitore (e l’assorbitore) perfetto di radiazione è costituito da un corpo
perfettamente nero. Questo è il motivo per cui, anche se tutti i solidi –
opportunamente riscaldati – emettono radiazioni, lo studio quantitativo della
dipendenza dell’energia radiante dalla temperatura deve riguardare la
radiazione del corpo nero. Naturalmente è impossibile costruire una superficie
perfettamente nera. Tuttavia, radiazioni praticamente identiche a quelle che si
otterrebbero da una tale superficie possono essere ottenute praticando un
piccolo foro su una delle pareti di un forno mantenuto a temperatura costante.
La radiazione emessa da una sorgente di questo tipo può essere
opportunamente dispersa e quindi rivelata (si può usare, come rivelatore, una
termocoppia). In questo modo è possibile analizzare la ripartizione
dell’energia tra le diverse lunghezze d’onda. Se si riporta in grafico l’energia
irradiata per unità di lunghezza d’onda, per unità di area e per unità di tempo
(E  ) contro la lunghezza d’onda  , si ottiene una dipendenza del tipo
mostrato in figura.

E


Radiazione del corpo nero
Curva sperimentale
Previsione secondo la fisica classica

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Come si può osservare, la curva sperimentale passa per un massimo e solo


una piccola parte dell’energia totale è emessa a lunghezze d’onda molto
piccole o molto grandi.
Ryleigh e Jeans tentarono di spiegare l’andamento osservato basandosi sulle
leggi della fisica classica. Analizzando i diversi modi di vibrazione delle onde
elettromagnetiche in uno spazio chiuso e ipotizzando che l’energia totale
fosse equamente distribuita tra questi modi, essi giunsero alla seguente
espressione:

C1 T
E λ  dλ    dλ (10.3)
C2 λ4

E λ  dλ rappresenta l’energia irradiata tra le lunghezze d’onda  e


  d ;
C1 e C2 sono costanti;
T è la temperatura assoluta.

È evidente dalla (10.3) che E d  aumenta al diminuire di  . In altri termini, la


(10.3) non prevede che il grafico dell’energia radiante in funzione della
lunghezza d’onda passi per un massimo. Sulla base della relazione (10.3) si
deve prevedere che la maggior parte dell’energia radiante debba essere
emessa a basse lunghezze d’onda: ciò comporta che tutti gli oggetti riscaldati
dovrebbero apparire blu. Questo è contrario all’esperienza: un corpo
riscaldato a temperature non troppo elevate appare rosso perché la maggior
parte dell’energia radiante è emessa nelle regioni del rosso (e dell’infrarosso).
Tuttavia, all’aumentare della temperatura il massimo dello spettro di
emissione si sposta verso frequenze più alte e il corpo passa dal rosso
all’arancione e al giallo. Infine, quando la temperatura è tanto alta da far sì
che vengano irradiate quantità sufficienti di energia nell’intero spettro visibile,
il corpo appare bianco.

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La teoria quantistica Il problema dello stridente disaccordo tra previsioni teoriche e osservazioni
Di Planck sperimentali relativi all’energia irradiata dai corpi caldi fu risolto nel 1900 da
Max Planck. L’importanza della teoria dei quanti da lui proposta va ben al
di là del problema costituito dall’energia irradiata dai corpi caldi, tanto che la
teoria dei quanti può essere considerata la base della chimica e della fisica
moderne. Lo straordinario merito di Planck sta nell’aver concepito una teoria
assolutamente rivoluzionaria, che ripudiava il fondamento stesso della
scienza dell’epoca, quello cioè secondo cui LA NATURA NON COMPIE SALTI .

Planck dimostrò che la natura compie salti e che quindi era errato l’assunto,
da tutta la scienza accettato, secondo cui le variabili in natura variano in
modo continuo.
Secondo la fisica classica veniva emessa luce di una certa frequenza perché
oggetti carichi (atomi o gruppi di atomi) oscillano in un solido con quella
frequenza. Poiché tutte le frequenze erano considerate possibili, l’energia
associata ad una particolare frequenza doveva dipendere solo dal numero
degli oscillatori che stavano vibrando con quella frequenza. In altri termini,
SECONDO LA TEORIA CLASSICA , GLI OSCILLATORI ELETTRICI ASSOCIATI ALLA

RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA POTEVANO AVERE VALORI DI ENERGIA

VARIABILI CON CONTINUITÀ DA ZERO A INFINITO .

Planck ipotizzò che l’energia degli oscillatori elettrici non potesse variare in
modo continuo ma solo per valori discreti detti “quanti”. In altri termini,
secondo Planck, l’energia degli oscillatori elettrici può avere solo valori ben
determinati detti quanti. L’energia di un quanto è proporzionale alla frequenza
della radiazione corrispondente:

E  h ν (10.4)

Gli oscillatori elettrici possono quindi avere energia 0, h , 2 h , . nh
dove  è la frequenza della radiazione emessa dall’oscillatore, h =
6.62610 -27 ergs è una costante universale (nota con il nome di costante di
Planck) e n è un intero. Segue che qualunque variazione di energia del
sistema oscillante può avvenire solo per valori discreti, cioè secondo uno o
più quanti.
Secondo la teoria di Planck, un gruppo di atomi oscillanti non può emettere
una piccola quantità di energia radiante ad elevata frequenza. Frequenze
elevate possono essere emesse solo da oscillatori dotati di alta energia, in

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accordo con la legge E = h . Se l’energia degli oscillatori è bassa, anche la


frequenza delle radiazioni emesse è bassa.
La teoria di Panck spiega la dipendenza osservata dell’energia radiante dalla
lunghezza d’onda e quindi perché un solido riscaldato diventa prima rosso e
quindi, al crescere della temperatura, bianco. La luce rossa è quella che ha la
frequenza più bassa tra le radiazioni visibili. Poiché la frequenza della
radiazione emessa è proporzionale all’energia dell’oscillatore che la emette,
la radiazione rossa è associata alla più bassa “energia visibile” degli
oscillatori. Questo è il motivo per cui la radiazione emessa da un solido
riscaldato solo fino al punto da emettere radiazioni visibili è rossa. Quando il
solido è riscaldato a temperature più elevate, l’energia media degli oscillatori
aumenta. Tuttavia, la probabilità di trovare oscillatori con energie molto grandi
è piccola e la curva dello spettro di emissione passa per un massimo per poi
decrescere all’ulteriore aumentare della frequenza. Anche a temperature
elevate esistono oscillatori dotati di energia piccola, che quindi continuano ad
emettere radiazione rossa. Tuttavia, al crescere della temperatura aumenta
considerevolmente l’intensità delle radiazioni emesse nell’intero spettro
visibile, con il risultato che il solido riscaldato appare bianco.
La teoria di Planck secondo cui un corpo riscaldato può emettere energia
radiante solo in pacchetti discreti, fu considerata all’inizio poco più che una
curiosità. Una dimostrazione indiretta e assai importante della sua validità fu
fornita, nel 1905, da Albert Einstein che, sulla base della teoria di Planck
riuscì a spiegare l’effetto fotoelettrico.

L’effetto fotoelettrico L’effetto fotoelettrico era un fenomeno che la fisica classica non riusciva a
spiegare. Esso consiste nell’emissione di elettroni da parte di certi
metalli colpiti da radiazioni elettromagnetiche. Le evidenze sperimentali
relative all’effetto fotoelettrico dimostravano che:
1. per ogni metallo esiste una frequenza della luce ( ν 0 , frequenza di
soglia) al di sotto della quale non si ha emissione di elettroni;
2. per frequenze ν  ν 0 , l’energia cinetica dei fotoelettroni è
direttamente proporzionale alla frequenza della radiazione;

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3. un aumento dell’intensità della radiazione incidente fa aumentare il


numero degli elettroni emessi ma non influenza in alcun modo la loro
energia cinetica.

 + + 

 + + 

Sorgente di f.e.m.
Batteria
Variabile

Nella figura di sinistra i fotoelettroni emessi dal metallo irraggiato sono attratti
dall’elettrodo positivo: la corrente generata è misurata dall’amperometro
inserito nel circuito.
Lo schema riportato sulla destra consente la misura dell’energia cinetica dei
fotoelettroni. La polarità degli elettrodi è invertita rispetto allo schema di
sinistra. L’elettrodo che prima attraeva gli elettroni ora li respinge. All’energia
cinetica dei fotoelettroni si risale dalla misura della d.d.p. che è necassario
stabilire tra i due elettrodi affinché i fotoelettroni non riescano a raggiungere
l’elettrodo negativo.
Le evidenze sperimentali sull’effetto fotoelettrico ponevano due ordini di
problemi insolubili per la fisica classica:
1. se la luce rappresenta una forma continua di energia, perché il
metallo non continua ad assorbire questa energia fino a che non ne ha
immagazzinata abbastanza da riuscire a vincere le forze che tengono
l’elettrone legato all’atomo?

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2. se la luce è un’onda, perché una variazione della sua intensità non


ha effetto sull’energia cinetica dei fotoelettroni? (Nella teoria
elettromagnetica classica l’energia è associata all’intensità, che è a sua
volta misurata dal quadrato dell’ampiezza dell’onda.

400 K Mg Zn Ni

300

Energia cinetica Pt
(Kj/mole)
200
Cs

100

5 10 15 20 25 30

ν  1014

Effetto fotoelettrico. Energia cinetica dei fotoelettroni in funzione della


frequenza della radiazione incidente per diversi metalli. L’intersezione di
ciascuna retta con l’asse delle ascisse fornisce la frequenza di soglia del
metallo cui la retta si riferisce.

Interpretazione di Einstein Einstein ipotizzò che le radiazioni elettromagnetiche consistessero di piccoli

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Dell’effetto fotoelettrico pacchetti di energia per i quali egli coniò il termine di FOTONI e che l’energia E

di un fotone fosse proporzionale alla sua frequenza  secondo la relazione:

E  h ν

dove h è la costante di Planck. La spiegazione dell’effetto fotoelettrico segue


direttamente da questa ipotesi corpuscolare sulla radiazione elettromagnetica
e dall’applicazione del principio di conservazione dell’energia.
La quantità minima di energia richiesta per rimuovere un elettrone dalla
superficie di un metallo viene abitualmente chiamata funzione lavoro di quel
metallo ed indicata con la lettera  (Phi). Perché un elettrone possa essere
strappato dal metallo, l’elettrone deve essere colpito da un fotone in grado di
trasmettergli almeno una quantità di energia pari a  . Poiché energia e
frequenza del fotone sono legate dalla relazione E  h  ν , è evidente che
all’energia minima che deve essere fornita (  ) corrisponde una frequenza
minima (cioè la frequenza di soglia  0 ). Avremo:

Φ  h ν 0 (10.5)

Se il fotone incidente possiede energia maggiore di quella necessaria a


strappare l’elettrone (quindi il fotone incidente ha frequenza    0 ), allora,
giusto il principio di conservazione dell’energia, l’eccesso di energia del
fotone deve comparire come energia cinetica dell’elettrone estratto. In altri
termini, indicando con E c l’energia cinetica, dovrà essere:

E c  h      h   h   0  h      0  (10.6)

La relazione (10.6) indica che, se si pone in grafico l’energia cinetica dei


fotoelettroni contro la frequenza dei fotoni incidenti, si ottiene una retta di
pendenza h (come verificato sperimentalmente e mostrato nella figura che
precede. Mediante la (10.6) Einstein ha spiegato con grande semplicità un
fenomeno complesso e fino ad allora incomprensibile come l’effetto
fotoelettrico.

La duplice natura Abbiamo visto che per spiegare l’effetto fotoelettrico è necessario considerare
della luce la luce come costituita da corpuscoli detti fotoni. D’altra parte, esistono diversi
fenomeni in cui la luce manifesta proprietà ondulatorie (per esempio,

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diffrazione e interferenza). Per quanto possa sembrare strano, l’antica disputa


sulla natura ondulatoria o corpuscolare della luce è risolto con la
considerazione che la luce possiede in pari tempo proprietà ondulatorie e
corpuscolari.
Ci si può chiedere come è possibile che un’onda si comporti come un flusso
di particelle o che, al contrario, un flusso di particelle si comporti come
un’onda. La risposta, sorprendente, è che a queste domande non c’è risposta
perché le domande sono poste in termini errati. Il problema sta nel fatto che
noi ci riferiamo con i termini “onda” e “particella” ad entità che mostrano
comportamenti diversi a livello macroscopico e implicitamente assumiamo
che le medesime differenze di comportamento debbano essere manifestate a
livello atomico. Questo assunto è errato perché al livello atomico lo stesso
oggetto può comportarsi come onda o come corpuscolo a seconda delle
condizioni. Ritorneremo su questo punto più avanti. Ora accenneremo
brevemente agli spettri atomici che, oltre a fornire una dimostrazione
lampante della quantizzazione dell’energia nei sistemi atomici, costituiscono
la base sperimentale con la quale ogni teoria sulla struttura atomica deve
misurarsi.

Assorbimento ed emissione Gli studi sull’assorbimento e sull’emissione di radiazioni elettromagnetiche


da
di radiazioni: parte delle sostanze forniscono informazioni importanti sulla struttura degli
spettroscopia atomica atomi e delle molecole. L’insieme delle frequenze emesse o assorbite da un
atomo è chiamato spettro atomico (di emissione o di assorbimento). Per
esempio, quando i metalli alcalini (o loro composti) sono portati ad alta
temperatura nella parte più calda di una fiamma, impartiscono alla fiamma
stessa colori caratteristici:

Litio  Cremisi (rosso vivo)


Sodio  Giallo
Potassio  Violetto
Rubidio  Rosso
Cesio  Blu
Se la luce emessa dalla fiamma viene opportunamente collimata e poi
dispersa (facendola passare attraverso un opportuno selezionatore di

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lunghezza d’onda), si ottiene uno spettro caratterizzato dalla presenza di


alcune linee ben definite. In altri termini, lo spettro di emissione di un metallo
alcalino non contiene tutte le frequenze della regione del visibile, ma soltanto
poche frequenze caratteristiche diverse per ogni metallo. Uno spettro di
emissione di questo tipo è uno spettro di emissione a righe.
Lo spettro nasce come conseguenza del fatto che quando il metallo alcalino è
portato ad alta temperatura nella fiamma, gli atomi raggiungono stati di alta
energia. Questi stati di alta energia sono definiti stati eccitati, mentre lo stato
non eccitato, normale, di un atomo è definito stato fondamentale. Quando
un atomo si trova in uno stato eccitato, uno o più dei suoi elettroni si trovano a
una distanza media dal nucleo maggiore rispetto a quella caratteristica dello
stato fondamentale. Un atomo eccitato è instabile e può perdere parte della
sua energia emettendo radiazioni elettromagnetiche. Queste radiazioni
costituiscono lo spettro dell’atomo.

Gli spettri atomici provano Il fatto che gli atomi eccitati emettano radiazioni solo di certe
frequenze
la quantizzazione della dimostra che gli elettroni negli atomi non possono avere
energie
energia nei sistemi atomici qualsiasi, ma solo energie ben definite . Se un elettrone in uno
stato
eccitato possiede energia E 2 mentre nello stato fondamentale ha energia E 1,
nel ritornare dallo stato eccitato a quello fondamentale l’elettrone emette
energia pari a E 2 - E 1 e detta energia viene emessa con un singolo fotone di
energia h  ν :

E 2  E1  h  ν (10.7)

Ciascuna frequenza emessa (e quindi ciascuna riga dello spettro) corrisponde


alla differenza tra le energie di due diversi stati elettronici.
Dallo studio degli spettri atomici si può concludere che ogni atomo ha un
insieme di livelli energetici definiti E 1, E 2, E 3 etc. Nessun elettrone può avere
un’energia che non corrisponda a quella di uno di questi livelli. Un sistema
che può avere solo certi valori definiti di energia si dice quantizzato. Tutti i
sistemi microscopici come gli atomi e le molecole sono quantizzati.

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E 3 stato eccitato

E2 stato eccitato

h  = E 3- E 1
h  = E 2- E 1

E1 stato fondamentale

Anche le energie dei sistemi macroscopici sono quantizzate ma le differenze


tra i diversi livelli energetici sono troppo piccole per poter essere osservate,
con la conseguenza che l’energia dei sistemi macroscopici può essere
trattata come un’entità continua.
Dunque ad ogni sistema microscopico è associato un numero definito di livelli
energetici E 1, E 2, E 3 etc. Gli strati elettronici del semplice modello a strati
corrispondono a diversi livelli energetici. Partendo dallo strato più vicino al
nucleo troviamo gli strati con n = 1, 2, 3 ….
Questi numeri sono chiamati numeri quantici.

Lo spettro di assorbimento Tutti gli atomi e le molecole assorbono radiazioni di certe frequenze
dell’idrogeno caratteristiche. Come abbiamo visto, l’insieme delle frequenze assorbite è
chiamato spettro di assorbimento ed è caratteristico di un particolare atomo
o molecola.
Lo spettro dell’atomo di idrogeno è stato studiato in grande dettaglio e gli
studi spettroscopici hanno svolto un ruolo di rilievo nella formulazione e nella
accettazione delle teorie sulla struttura atomica. Lo spettro di assorbimento
dell’idrogeno nella regione dell’ultravioletto è mostrato nella figura che segue.

Regione con molte righe ravvicinate


Limite
109678 105292 97492 82259
102823

110000 100000 90000 ν cm-1

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Spettro di assorbimento dell’idrogeno nella regione UV.


La scala è in numeri d’onda ν e l’unità di misura è cm-1 (si ricorda che
ν 1 λ ). Le linee dello spettro rappresentano le radiazioni assorbite dagli
atomi di idrogeno quando un campione di idrogeno gassoso viene irraggiato
con radiazioni policromatiche.

Lo spettro di emissione Abbiamo già discusso della genesi degli spettri di emissione. Nella figura che
dell’idrogeno segue è riportato lo schema di uno spettrometro atomico.

Schema di spettrometro atomico.


Quando si fa passare una scintilla attraverso il tubo di scarica, le molecole del
gas contenuto nel tubo (idrogeno nel nostro caso) si dissociano in atomi che
emettono radiazioni solo di determinate frequenze. Le radiazioni emesse,
opportunamente collimate mediante slitte, vengono fatte passare attraverso
un selezionatore di lunghezza d’onda ed inviate al rivelatore (una lastra

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fotografica). Il risultato è uno spettro di emissione a righe. Le lunghezze


d’onda delle righe presenti nello spettro dipendono evidentemente dal
particolare gas contenuto nel tubo di scarica.

Lo spettro di emissione dell’idrogeno è mostrato nella figura che segue


(naturalmente, le linee degli spettri di emissione e di assorbimento si trovano
agli stessi numeri d’onda). Nello spettro si possono distinguere tre diversi
gruppi di linee.
La serie di linee che inizia a 82259 cm -1 e continua fino a 109678 cm-1 è nota
come serie di Lyman e si trova nella regione ultravioletta dello spettro. La
serie che ha inizio a 15233 cm -1 e continua fino a 27420 cm -1 è detta serie di
Balmer e si trova nella regione visibile dello spettro (con un piccolo
sconfinamento nella regione ultravioletta). Infine, la serie che inizia a 5332
cm-1 e continua fino a 12186 cm-1 è chiamata serie di Paschen e cade nella
regione dell’infrarosso.

La scala è in numeri d’onda e l’unità di misura è cm -1 (si ricorda che ν  1 .λ)

Le linee dello spettro rappresentano le radiazioni assorbite dagli atomi di


idrogeno quando un campione di idrogeno gassoso viene irraggiato con
radiazioni policromatiche.

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J. J. Balmer provò nel 1885 che i numeri d’onda delle linee della serie nota
come serie di Balmer sono dati da una semplice relazione empirica:

 1 1 
  RH     (10.8)
2 2
n2 

con n  3 , 4 ,5.....
In seguito, J. Rydberg generalizzò questa relazione formulando
un’espressione in grado di dare la posizione di tutte le linee dello spettro
dell’atomo di idrogeno. Detta espressione, nota come equazione di Rydberg
è:

 1 1 
  R H    
 (10.9)
2 2
 n1 n 2 

Nella (10.9) n 1 ed n 2 sono interi con n 1 > n 2; R H è la costante di Rydberg,


il cui valore accurato è 109677.58 cm -1.
È facile verificare che si ottiene ν  R H  109678cm-1 ponendo nella (10.9)
n 1 = 1 ed n 2 = . 109678 cm-1 costituisce quindi il più alto numero d’onda
della serie di Lyman. I numeri d’onda delle altre linee della serie di Lyman si
ottengono mantenendo nella (10.9) n 1 = 1 e ponendo n 2 = 2, 3, 4 …..
I numeri d’onda delle linee della serie di Balmer si ottengono ponendo nella
(10.9) n 1 = 2 e n 2 = 3, 4, 5 …..
Analogamente, le linee della serie di Paschen corrispondono a n 1 = 3 e n 2 =
4, 5, 6 …..
Il modello atomico in grado di fornire la spiegazione dello spettro dell’atomo di
idrogeno fu proposto da Bohr nel 1913.
Con la sua teoria quantistica della radiazione, Planck aveva introdotto due
importanti concetti:
1. gli oscillatori elettrici responsabili dell’emissione delle radiazioni
possono avere soltanto quanti discreti di energia;
2. la radiazione viene emessa soltanto quando un oscillatore passa da
uno stato quantico ad un altro di più bassa energia.
Bohr adattò queste idee all’atomo di idrogeno e postulò che:
a) il movimento degli elettroni fosse limitato a un numero determinato di
orbite circolari discrete;

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b) che la radiazione venisse emessa solo in seguito al passaggio


dell’elettrone da un’orbita ad un’altra di più bassa energia e che l’energia
associata a questa radiazione fosse pari alla differenza tra le energie
delle orbite di provenienza (E 2) e di arrivo (E 1) dell’elettrone:

E 2  E1  h  ν (10.10)

E 2  E1
ν (10.10’)
h

Discuteremo tra poco del modello di Bohr. Prima è utile discutere il significato
della relazione di Rydberg e richiamare alcune considerazioni sulle unità di
energia e valutare l’ordine di grandezza dei quanti di energia.

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Il significato della L’equazione di Rydberg rende conto di una serie di fatti osservati riguardanti
Equazione di Rydbeg lo spettro atomico dell’idrogeno. Essa, in sostanza, stabilisce che il numero
d’onda di una linea spettrale è dato dalla differenza di due numeri, ciascuno
inversamente proporzionale al quadrato di un intero.
Se tracciamo delle linee orizzontali spaziate di R H/ n 2 a partire da una linea di
base con n = 1, risulta evidente che ciascuna linea spettrale delle diverse
serie dell’idrogeno corrisponde alla distanza tra due linee orizzontali del
diagramma.
Bohr propose che i livelli rappresentati in figura rappresentassero gli stati
possibili dell’energia dell’atomo di idrogeno e che la radiazione venisse
emessa solo in seguito al passaggio dell’elettrone da un livello a uno più
basso.

Unità di energia e 1Joule  1Nw  1m


loro conversione 1erg  1dina  1cm

1Joule  107 erg

1cal  4.184Joule

1eV  1.6021 1019 C  1V  1.6021 1019 Joule


 1.6021 1012 erg

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L’energia può essere espressa anche in unità di frequenza facendo uso della
relazione E  h  ν .
Di solito, le frequenze spettroscopiche sono espresse in termini di numero
d’onda:

1 ν
ν   Quindi: E  h  ν  c
λ c

h = 6.6255410 -27 ergs


c = 2.9979610 10 cms -1

E  6.62554 1027  erg  s   2.99796 1010  cm  s 1    cm 1 


 1.98629 1016  erg  cm    cm 1 

Ponendo ν  1cm 1 si ottiene E  1.98629 1016 erg . Dunque:

1cm 1  1.98629 1016 erg

Il fattore di conversione ricavato è naturalmente riferito all’emissione o


assorbimento di un quanto di energia da parte di un singolo atomo. È pure
evidente che:

1.98629 1016  erg   107  joule  erg 1 


1cm 1   1.2398 10 4  eV 
1.6021 10 19
 joule  eV 
1

Se ci si vuole riferire all’energia radiante emessa da una mole di atomi,


bisogna naturalmente moltiplicare per il numero di Avogadro:

1.98629 1016  erg   107  joule  erg 1 


1cm 1   6.022  1023  2.8591 cal  mole 1 
4.184 joule  cal 1

Si fa osservare che:

1.6021 1019  joule 


1eV   6.022 1023  23.0612 Kcal  mole 1 
4.184 joule  cal 1

E
 (Å) ν  cm 1 
Kcalmol -1 eV
10000 10000 28.591 1.2396
5000 20000 57.182 2.4796
2000 50000 142.955 6.1990

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Il modello atomico Abbiamo già accennato al fatto che nel 1913 Bohr adattò le idee di Planck al
di Bohr sistema costituito dall’atomo di idrogeno giungendo a proporre un modello
atomico che interpretava perfettamente le osservazioni sperimentali relative
allo spettro atomico dell’idrogeno.
Bohr introdusse il concetto di quantizzazione dell’energia nella struttura
atomica postulando che nell’atomo fossero permesse solo un numero limitato
di orbite (o stati stazionari) caratterizzate dalla condizione quantica:

h
m v  r  n  (10.11)

In altri termini, Bohr postulò che nell’atomo fossero permesse solo quelle
h
orbite il cui momento angolare  m  v  r  è un multiplo intero di . Nella

(10.11):
m = massa elettrone;
v = velocità angolare dell’elettrone;
r = raggio dell’orbita;
n = numero intero;
h = costante di Planck.

Bohr postulò inoltre che l’energia fosse emessa solo in seguito al passaggio
dell’elettrone da un’orbita ad un’altra di energia più bassa. Detto in altri
termini, se l’elettrone rimane in una determinata orbita, la sua rotazione su
questa orbita non comporta emissione di energia (ciò spiega, evidentemente,
la stabilità dell’atomo). Ciò comporta che la forza di attrazione Coulombiana
tra elettrone e nucleo (tendente ad avvicinare l’elettrone al nucleo) sia
perfettamente bilanciata dalla forza centrifuga (tendente ad allontanare
l’elettrone dal nucleo). Deve cioè essere:

e2 m v 2

r2 r
(10.12)

Ricavando v dalla (10.11) e sostituendolo nella (10.12) otteniamo:

e2 n2 h2

r 2 4π 2 m r 3
n2 h2
r (10.13)
4π 2 e2 m

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La relazione (10.13) fornisce il raggio delle orbite permesse. Come si può


osservare è r  n 2 . Se si indica con a 0 il raggio della prima orbita (quella
con n = 1), il raggio della seconda orbita sarà 4 a 0, quello della terza 9 a 0 e
così via. In altri termini, le orbite permesse non sono equamente spaziate: la
distanza tra due orbite successive cresce all’aumentare del numero
quantico n .
Il raggio della prima orbita può essere ottenuto facilmente dall’equazione
(10.13). Sostituendo in questa:
h = 6.621027 ergs
e = 4.81010 ues (statC)
m = 9.10911028 g
si ottiene:
r = a 0 = 5.28910 9 cm = 0.5289 Å
che rappresenta il raggio dell’orbita dello stato stabile dell’atomo di idrogeno.

L’energia totale dell’elettrone nella sua orbita sarà data dalla somma della sua
energia cinetica e della sua energia potenziale. Per definire l’energia
potenziale è necessario scegliere un livello di riferimento al quale assegnare
energia zero. Se scegliamo come livello zero dell’energia potenziale l’energia
posseduta dall’elettrone a distanza infinita dal nucleo, allora l’energia
potenziale V del sistema atomico sarà misurata dal lavoro compiuto per
portare l’elettrone da distanza infinita a distanza r dal nucleo:

dV  F  dr
r r

dV  V  
F  dr

(10.14)

e2
ma F  quindi:
r2

r e2 e2
V  

r2
 dr  
r
(10.15)

La (10.15) fornisce l’energia potenziale dell’atomo di idrogeno in funzione


della distanza dell’elettrone dal nucleo. Il segno negativo dell’energia
potenziale deriva dalla scelta del livello di zero. Con la scelta effettuata tutte le

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energie potenziali risultano negative e il livello di più bassa energia è quello


con il più alto valore assoluto dell’energia medesima.
L’energia cinetica dell’elettrone vale:

1
Ec  mv 2 (10.16)
2

Segue dalle (10.15) e (10.16) che l’energia totale dell’elettrone, somma delle
energie cinetica e potenziale, vale:

1 e2
E  Ec  V  mv 2  (10.17)
2 r

Dalla (10.12) è facile ottenere:

e2
mv 2  (10.18)
r

Che, sostituita nella (10.17), porta a :

1 e2 e2 e2
E    (10.19)
2 r r 2r

Sostituendo nella (10.19) il valore di r dato dalla (10.13) si ottiene:

e 2 4π 2 e 2 m 2π 2 me 4
E   (10.20)
2n 2 h 2 n 2h 2

La relazione (10.20) fornisce le energie delle orbite permesse. Come si

1
può osservare, l’energia risulta inversamente proporzionale a n 2: E  
n2
Ciò comporta che i livelli energetici delle diverse orbite non siano equamente
spaziati, ma che la differenza di energia tra due orbite successive diminuisca
all’aumentare del numero quantico n .

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Modello di Bohr e spettro Il secondo postulato di Bohr, più volte ricordato, comporta che la radiazione
dell’atomo di idrogeno venga emessa solo in seguito al passaggio dell’elettrone da un’orbita a
un’altra di più bassa energia e che l’energia associata alla radiazione sia pari
alla differenza tra le energie delle orbite coinvolte:

2 2 me 4  1 1 
E 2  E 1  h   
 n2 n2  (10.21)
h2  1 2 

1 ν
Ricordando che ν   otteniamo:
λ c

2 2 me 4  1 1 

hc    
 n2 n2 
h2  1 2 
(10.22)

2 2 me 4  1 1   1 1 
      RH   
h 3c  n2 n2   n2 n2 
 1 2   1 2 

(10.23)

2π 2 me 4
RH 
h 3c
(10.24)
Osserviamo che la (10.23) è identica alla (10.9) che, come abbiamo visto,
rende conto (empiricamente) delle linee dello spettro dell’idrogeno.
Sostituendo nella (10.24):
π  3.141592654
m  9.1091 1028 g
e  4.80246 1010 ues
h  6.6256 1027 ergs
c  2.997925 1010 cms1

si ottiene:

R H  109689.19 cm1

Il valore sperimentale  R H*  della costante di Rydberg è:


R H*  109678 cm1

Il valore della costante di Rydberg calcolato sulla base della teoria di Bohr
risulta praticamente identico al valore determinato sperimentalmente. La
rappresentazione grafica della relazione di Rydberg riportata in precedenza

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rappresenta quindi un diagramma di energia degli stati quantici possibili


dell’atomo di idrogeno.
Quando l’elettrone viene fatto passare (mediante energia radiante o energia
termica) ad un’orbita diversa da quella dello stato
fondamentale, l’atomo viene a trovarsi in uno stato eccitato ed emette energia
sotto forma di quanti di luce quando l’elettrone ritorna in un’orbita a energia
più bassa.
 La serie di Lyman comporta transizioni dai livelli con n = 2, 3, 4... allo
stato fondamentale (n = 1);
 La serie di Balmer riguarda transizioni dai livelli con n = 3, 4, 5…. al
livello n = 2;
 La serie di Paschen è relativa a transizioni da livelli con n = 4, 5, 6…. al
livello n = 3.

Grandezze relative delle prime 5 orbite dell’atomo di idrogeno secondo il


modello di Bohr. a 0 è il primo raggio di Bohr: a 0 = 0.529 Å.

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Gli spettri atomici Il grande merito della teoria di Bohr era che essa spiegava bene lo spettro
dei metalli alcalini dell’atomo di idrogeno. Tuttavia, si realizzò subito che un grande problema
della teoria era costituito dal fatto che essa spiegava solo lo spettro
dell’atomo di idrogeno.
Per esempio, per i metalli alcalini non esisteva accordo tra spettri atomici
misurati e teoria di Bohr. Le linee osservate nello spettro del litio si potevano
spiegare solo assumendo che ciascuno dei livelli di Bohr dopo il primo fosse
in realtà costituito da un insieme di livelli di energia diversa (vedi figura): due
livelli per n = 2; tre livelli per n = 3; quattro livelli per n = 4. I diversi livelli
furono indicati con delle lettere derivate da termini che descrivevano
l’apparenza spettroscopica dei livelli medesimi: s (sharp); p (principal); d
(diffuse); f (fundamental).

Livelli energetici necessari per spiegare lo spettro osservato del litio (a destra,
per confronto, i livelli energetici dello idrogeno). I livelli con n =1 sono fuori
scala. Per ogni valore di n vi sono livelli indicati con le lettere s, p, d, f.
I livelli all’estrema destra, per ciascun numero quantico, si avvicinano ai
corrispondenti livelli dell’idrogeno, mentre tutti gli altri livelli corrispondenti allo
stesso numero quantico sono più stabili. Questa stabilità fu giustificata da
Sommerfeld postulando l’esistenza di orbite ellittiche, con le orbite s
più ellittiche di quelle p, d, f (vedi figura successiva).

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Estensione della teoria Arnold Sommerfeld estese la teoria di Bohr nel tentativo di fornire una
di Bohr: le orbite interpretazione teorica degli spettri dei metalli alcalini. Egli suggerì che le
Ellittiche di Sommerfeld orbite potevano essere non solo circolari, come proposto da Bohr, ma anche
ellittiche. Per definire un’orbita ellittica è necessaria una condizione quantica
più complessa di quella utilizzata da Bohr: sono infatti necessari due numeri
quantici n e K , con n che può assumere valori interi e K che può assumere
valori da uno a n. Sommerfeld dimostrò che elettroni percorrenti orbite di
identico numero quantico n na aventi diverso valore di K hanno energie
leggermente diverse. Il rapporto n / K è uguale al rapporto tra il semiasse
maggiore e il semiasse minore dell’ellisse ( n = K corrisponde a un’orbita
circolare).
La differenza tra i livelli energetici di orbite con il medesimo valore di n veniva
spiegata da Sommerfeld sulla base della capacità delle orbite ellittiche di
portare l’elettrone più vicino al nucleo. Per un nucleo puntiforme di carica +1,
le energie di tutti i livelli con il medesimo n sarebbero identiche. Per un nucleo
di carica +3, schermato da due elettroni in orbite più interne, un elettrone in
un’orbita circolare più esterna risentirebbe dell’attrazione di una carica netta
+1, mentre un’orbita fortemente ellittica eviterebbe in parte l’azione di
schermo da parte dei due elettroni più interni e l’elettrone che la percorresse
risentirebbe, per una parte del suo spostamento, dell’attrazione di una carica
+3. In questo modo, le orbite ellittiche sarebbero più stabili di quelle circolari
con il medesimo valore di n .

Tutte le orbite corrispondenti allo stesso numero quantico principale n,


passanti per un nucleo puntiforme, hanno la stessa energia. Per un nucleo
circondato da una nuvola di elettroni, le orbite più ellittiche, che penetrano
questa nuvola, subiscono (per una parte del loro percorso) un’attrazione più
forte da parte del nucleo e sono più stabili.

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Il numero quantico K originariamente introdotto da Sommerfeld è legato al


numero quantico azimutale l della nuova teoria quantistica dalla
relazione l  K  1 .
In realtà, gli spettri atomici calcolati sulla base dei due numeri quantici sin qui
discussi prevdono un numero di linee assai più elevato di quello osservabile
sperimentalmente. Ciò ha condotto ad introdurre una regola di selezione che
limita le transizioni possibili tra livelli elettronici a quelle per le quali la
variazione di l è  1.

L’effeto di un campo Con l’introduzione di due numeri quantici e della regola di selezione è
Magnetico sugli spettri possibile spiegare le caratteristiche principali degli spettri di molti atomi.
Atomici: il numero Tuttavia, se gli atomi vengono sottoposti all’azione di un campo magnetico
Quantico magnetico esterno compaiono nuove linee spettrali (effetto Zeeman). Ciò è conseguenza
del fatto che il piano dell’orbita elettronica può assumere solo determinati
orientamenti rispetto alla direzione delle linee di forza del campo esterno.
Ciascuno di questi orientamenti è associato a un terzo numero quantico m
(numero quantico magnetico) che può assumere tutti i valori interi compresi
tra – l e + l . Dunque, mentre il numero quantico azimutale l definisce il
momento angolare dell’orbita (e quindi dà informazioni sulla forma dell’orbita),
il numero quantico magnetico m definisce l’orientazione dell’orbita
relativamente alla direzione di un campo magnetico esterno.
Neppure l’introduzione di tre numeri quantici consente tuttavia di spiegare
tutte le caratteristiche degli spettri atomici. Spettri raccolti ad alta risoluzione
mostrano una struttura fine (righe in apparenza singole ma in realtà costituite
da due righe molto ravvicinate) la cui spiegazione richiede l’introduzione di un
quarto numero quantico la cui esistenza deriva dalle proprietà magnetiche
dell’elettrone.

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Lo spin elettronico: La prima dimostrazione sperimentale delle proprietà magnetiche dello


dimostrazione elettrone (spin elettronico) fu fornita intorno al 1921 da O. Stern e W. Gerlac.
sperimentale Essi fecero passare un fascio di atomi di un metallo alcalino tra i poli di un
magnete tale da generare un campo fortemente non uniforme e notarono che
il fascio si divideva in due. Poiché gli atomi sono elettricamente neutri,
potevano essere deviati solo se si comportavano come magneti . Un
magnete posto in un campo magnetico non uniforme è sottoposto ad una
forza risultante che lo fa spostare. Ciò è dovuto al fatto che un polo si trova in
un campo magnetico più forte di quello in cui si trova l’altro polo. L’entità dello
spostamento di un magnete in movimento in un campo non uniforme dal suo
cammino originale dipende dall’orientamento del magnete. Quando il
magnete è allineato nella direzione in cui il campo ha la massima variazione
(massimo gradiente del campo) subisce la massima forza. Quando si trova ad
angolo retto rispetto a questa direzione (gradiente zero) non subisce alcuna
forza. Ora, se un fascio di piccoli magneti aventi orientazione casuale entra in
un campo magnetico non omogeneo, esso dovrebbe disperdersi in una
banda continua. Il fatto che un fascio di atomi di un metallo alcalino, anziché
disperdersi in una banda continua, si divida in due, indica non solo che gli
atomi si comportano come magneti, ma anche che i magneti atomici possono
avere solo due orientazioni rispetto al campo magnetico.
La spiegazione del comportamento magnetico di questi atomi fu data da due
fisici olandesi, G. Uhlenbeck e S. Goudsmit. Per spiegare la struttura fine
di certi spettri atomici essi proposero, nel 1925, che l’elettrone avesse uno
spin. Gli atomi dei metalli alcalini hanno un solo elettrone nello strato di
valenza. È proprio lo spin di questo elettrone spaiato che è responsabile delle
proprietà magnetiche di questi atomi.

Lo spin elettronico: Dunque, quando viene posto in un campo magnetico, l’elettrone si comporta
Interpretazione come un piccolo magnete. Le proprietà magnetiche dell’elettrone possono
essere comprese se lo consideriamo come una particella carica che ruota
attorno al proprio asse. Una carica che ruota genera un campo magnetico,
per cui l’elettrone si comporta come un magnete.
Un comune magnete può essere orientato in qualsiasi direzione in un campo
magnetico, ma lo stato di minore energia si ottiene quando è orientato nella

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direzione del campo, analogamente a quanto avviene per l’ago di una


bussola che, se è libero di ruotare, si orienta verso il polo magnetico.
L’elettrone, tuttavia, differisce da un comune magnete in quanto può
avere solo due orientazioni in un campo magnetico: in direzione del
campo o in direzione opposta. Quando l’asse di rotazione è rivolto nella
direzione del campo, l’elettrone ha energia minore rispetto a quando l’asse è
rivolto in direzione opposta al campo. In altri termini, in un campo magnetico
l’energia dell’elettrone è quantizzata e vi sono soltanto due livelli energetici
possibili. Quando l’elettrone passa dal più basso al più alto dei suoi due livelli
energetici, l’orientamento dell’asse di rotazione dell’elettrone si inverte (si
inverte il senso di rotazione dell’elettrone). La differenza di energia tra i due
livelli dell’elettrone nel campo magnetico è molto piccola: in un forte campo
magnetico la differenza di energia tra i due orientamenti dell’asse di rotazione
dell’elettrone è circa un milione di volte più piccola dell’energia di
ionizzazione.
Il quarto numero quantico, derivante dalle proprietà magnetiche dell’elettrone,
prende il nome di numero quantico di spin, viene indicato con m s e può

1
assumere i valori  .
2
Abbiamo fatto molta strada dall’originaria teoria di Bohr: ad ogni aumento
della complessità dello spettro osservato è stato necessario fare ricorso ad un
nuovo assunto che fosse in grado di interpretarla. Una situazione di questo
genere non è molto soddisfacente. Per di più, la teoria non fornisce buoni
risultati quando applicata a molecole anche semplici. Probabilmente, il punto
debole della teoria di Bohr sta nel tentativo di combinare teorie classiche e
teorie quantistiche e in particolare nel tentativo di applicare le leggi
soddisfatte da particelle macroscopiche alle particelle davvero assai piccole
che costituiscono gli atomi. L’esistenza di livelli energetici discreti dovrebbe, al
contrario e più soddisfacentemente, derivare direttamente da una teoria
generale. Contributi fondamentali a una tale teoria generale, basata sulla
meccanica ondulatoria e quantistica, sono stati forniti dai lavori di De Broglie,
Schrodinger, Heisemberg, Dirac.

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Un fascio di atomi è fatto passare attraverso un campo magnetico non


omogeneo ottenuto con magneti aventi poli di forma particolare.
b) comportamento atteso per magneti che possono assumere qualunque
orientamento rispetto al campo.
c) risultato ottenuto per atomi di metalli alcalini. Il fascio di atomi si divide in
due.

Un elettrone che ruota genera un campo magnetico e si comporta come un


piccolo magnete. A differenza dell’ago di una bussola si orienta solo in due
direzioni quando è posto in un campo magnetico. L’asse di rotazione può
dirigersi nella direzione del campo (senso orario di rotazione) o in direzione
opposta (senso antiorario di rotazione).

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