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CANTO PRIMO
Dante
II
III
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VIII
IX
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
II
Con la testa cinta dal turbante il superbo Seyd riposa nel palazzo,
Gli stanno intorno i suoi barbuti capitani.
Al levar delle mense, terminato il pilaff,
Osa brindar, così come si dice, col proibito liquor
Mentre alla scorta sua il frutto del più sobrio caffè
Versan gli schiavi come vuol di Allah la dura legge.
Densa è l'aria del fumo delle lunghe pipe
E intanto al suono di scomposte note van danzando le Almah.
Al sorgere dell'alba salperanno i capi,
Ché nell'oscurità l'onda è talvolta infida,
E chi nell'orgia le ore ha consumato
Più sicuro riposa su serici cuscini
Che sul flutto in tempesta.
Chi può, alla festa si attardi, né combatta finché il momento non è giunto,
E più confidi nel Corano che nelle armi sue,
Seppur consentan le numerose e forti schiere
Di sperar più di quanto non ambisca il Pascià.
III
IV
VII
VIII
IX
XII
XIII
XIV
XV
XVI
CANTO TERZO
II
Questa non è materia del mio canto, perché mai a te si volge il mio pensiero?
Oh bella Atene! Chi può solcare il tuo nativo mare
Senza indugiare sul tuo nome (qualche che sia la storia),
La cui magia è tale da prevaler su tutto?
E chi quel sole ha visto su di te tramontar,
Come scordar potrebbe il tuo volto nella sera?
A colui che né tempo né distanza posson scioglier
Dall'incanto che alle fitte Cicladi ancor lo tiene avvinto,
Non sembra certo estraneo al suo racconto l'omaggio che ti deve.
L'isola del suo Corsaro fu un tempo di dominio tuo:
Volesse il cielo che al ritornar di libertà Tornasse ancora tua!
III
Nella stanza segreta del Serraglio Siede il fiero Seyd e ancor sta meditando
Sulla sorte che tocca al Prigioniero;
Il suo pensier s'attarda or con l'amore ora con l'odio,
Ora è lì con Guinare, or nella cella del Corsaro.
Ai suoi piedi vede giacer l'amata schiava,
Ch'è del suo turbato spirito il conforto,
Gli occhi di lei scuri e profondi
Vanno ansiosi cercando un benevolo segno sul volto del Pascià.
Invano! Egli par tutto intento soltanto ai grani del rosario;
Sta meditando, invece, nel suo cuore
I più crudeli modi per torturar quell'infelice.
"Pascià, questo per te è giorno di vittoria,
E il trionfo corona la tua fronte;
Giace in catene Conrad e tutti gli altri suoi sono caduti!
Segnata è la sua sorte: egli morrà,
E bene ha meritato un tal destino;
E tuttavia mi par che troppo indegna cosa
Per la vendetta tua sarebbe la sua morte.
Una breve libertà in cambio di tutti i suoi tesori
Sarebbe, ne son certa, un accorto mercato.
Grande è la fama intorno ai suoi bottini di pirata
E io vorrei che ne fosse signore il mio Pascià!
Ingannato, stroncato dal fatale scontro,
Preso di mira, stretto dappresso,
Sarebbe per te facile preda;
Ma quando fosse morto, il resto della banda
Tutti gli averi imbarcherebbe
Per far vela su un lido più sicuro".
VI
VII
IX
XI
XII
Ella batte le palme e per il loggiato
Giungon, pronti alla fuga, i suoi fedeli, Greci e Mori.
Taciti e lesti si chinan per scioglier le catene del Corsaro:
Le membra sue libere son di nuovo come vento montano!
Ma il suo cuor tanto gravato è di mestizia
Come se avesse assunto delle catene il ferreo peso.
Tacciono entrambi: a un cenno di Guinare
S'apre una porta ch'è passaggio segreto verso il lido.
Già la città è lontana; essi raggiungono veloci
Le onde che scherzano danzando sulla bionda spiaggia;
Conrad obbedisce con gli altri ai cenni suoi,
Né più si cura se può dirsi in salvo per davvero;
Oppure se è ingannato;
Opporsi ora inutile sarebbe, pur se Seyd vivesse ancora
Per assister alla condanna che la sua stessa ira ha decretato.
XIII
Imbarcati son già, dispiegata è la vela,
Lieve soffia la brezza
E quante immagini si destan nel cuore del Corsaro!
Siede egli assorto finché non vede il luogo
Dove ancorato aveva il suo vascello,
E quello scoglio che s'erge in tutta la sua mole.
Ah, da quella fatal notte, sia pure in breve tempo,
S'è consumata un'era di terrore, di pena, di delitti.
E quando l'ombra del promontorio oscura la sua barca,
Egli si copre il volto e affranto ripensa al suo passato;
A tutti pensa: a Gonsalvo e agli altri suoi corsari,
Al trionfo fugace e all'error della sua mano;
Pensa alla sua lontana e dolce sposa:
D'improvviso si volge e vede lei, Gulnare, l'assassina!
XIV
XV
XVI
XVII
XVII
XIX
Alta splende la luce sulla torre del faro e sulle rocche tutte;
Cerca fra queste Conrad la torre di Medora, e cerca invano.
E cosa strana, eppure balza agli occhi,
Solo la torre di Medora è spenta!
Strano davver, mai quel lume in passato mancò di salutano:
Forse spento non è, è soltanto velato.
Con il primo battello si dirige rapido alla spiaggia
E mal sopporta il troppo fiacco remo.
Ah, che cosa mai il Corsaro non darebbe
Per aver ali più veloci del falco,
Per volar come una freccia al sommo della rocca!
Appena i rematori sostano un poco per concedersi riposo,
Egli più non aspetta, e più non guarda,
Si getta in mar, lotta coi flutti, supera la spiaggia
E sale quel sentiero a lui ben noto.
XX
XXII
XXIII
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