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PREMESSA 2
CONCLUSIONI 27
BIBLIOGRAFIA 28
1
PREMESSA
Solone nasce ad Atene attorno al 640 a.C. ed è discendente di una delle famiglie più
antiche della città, quella dei Medontidi. Figura tra le più eminenti del mondo antico,
viene ricordato dalla tradizione soprattutto per tre aspetti della sua attività all’interno di
Atene: quella di legislatore in primis, quella di ‘saggio’ e quella di poeta. Il terzo
aspetto, ovvero quello legato all’attività letteraria, è stato oggetto di una grande
rivalutazione durante lo scorso secolo, soprattutto dopo il ritrovamento e la successiva
pubblicazione del P. Lond. 131 della Costituzione degli Ateniesi di Aristotele nel 1891.
Il ritrovamento di tale papiro ha dato infatti una rinnovata spinta agli studi linguistici su
Solone, dal momento che esso ha comportato il delinearsi di una nuova possibile lettura
del colorito dialettale, in questo caso attico piuttosto che ionico, di alcuni frammenti in
esso contenuti, tra cui il fr. 29b,30 e 31 G.-P.2.
Il lavoro è diviso in tre parti. Una tale disposizione del materiale segue il percorso della
ricerca svolta. La prima sezione nasce infatti dall’intenzione di prendere in esame
alcune delle ricorrenti formule tradizionali che Solone utilizza nella sua produzione
elegiaca, attinte da un patrimonio epico comune, evidenziando come egli adatti il lessico
e le immagini dell’epica a concetti e circostanze diversi, in modo particolare al contesto
politico e cittadino, con la più grande consapevolezza e abilità.
Il secondo parte ha l’obiettivo di mettere in risalto gli aspetti linguistici tipici della
poesia di Solone, in relazione al genere elegiaco, ponendo particolare attenzione alla
forte interdipendenza tra la lingua dell’elegia e la dizione epica. L’analisi si concentrerà
2
soprattutto sui tratti fonetici e morfologici che caratterizzano il dialetto ionico e su
alcune forme, invece, proprie dell’attico.
Nella terza parte si intende proporre un commento di uno tra i più famosi frammenti di
Solone, l’Eunomia (fr. 3 G.-P.). Tale commento proverà a declinare le prime due sezioni
della ricerca svolta, osservando come il poeta abbia modulato e coniugato ionismi,
atticismi, espressioni formulari, immagini tradizionali ed elementi di innovazione al fine
di fare della lingua uno strumento espressivo consono alla trasmissione dei valori e dei
messaggi politici ed etici al corpo civico dell’Atene di VI sec.
3
ELEMENTI FORMULARI TRADIZIONALI
1
Per il testo di Solone nel corso del lavoro ci si è serviti dell’edizione di NOUSSIA 2001
2
ALT 1979, p. 393; VOX 1983 pp. 517-9
4
Come commenta in modo assai efficace la studiosa Noussia nell’edizione dei
Frammenti del 2001, la preghiera per la buona reputazione doveva avere una
larga diffusione ancora nel periodo in cui opera Solone ed in contesti geografici
anche differenti: infatti l’espressione in oggetto ricorre in un’iscrizione di
Metaponto risalente al VI a.C. (CEG 396) che recita δὸς δὲ ϝ’ἰν ἀνθρόποις δόξαν
ἔχεν ἀγαθάν, ossia «concedigli di avere tra gli uomini buona fama».
La formula tradizionale impiegata da Solone ricorre in Omero in due passi dello
stesso libro nella variante col sostantivo αἰδώς, ossia in Od. 17.352; 374, in cui
si ribadisce l’importanza del disonore in abbinamento al concetto della
καλοκαγαθία3. Nei due versi contigui dell’Odissea si esprime infatti, dapprima
da parte di Telemaco, e poi da parte del porcaro Eumeo, il concetto per cui
all’uomo indigente (si tratta di Odisseo mendico) non si addice il ritegno e
dunque l’ αἰδώς ἀγαθή: da entrambi i personaggi, infatti, Odisseo viene invitato
a chiedere l’elemosina a tutti i pretendenti dell’isola.
Come osserva la Noussia a p. 193 della sua edizione, il termine δόξα ricorreva
in Omero solo due volte, nell’espressione avverbiale οὐδ’ἀπὸ δόξης, ossia “non
diversamente da come ci si aspetta”, poiché l’idea della reputazione presso gli
altri era intesa come l’equivalente del kleos, ossia della gloria, che spesso si
conquistava mettendo a rischio la propria vita e determinando la fama presso i
posteri.
3
DODDS 2009
5
chiarissima del padre degli dei e di tutti gli dei immortali. È possibile, in questo
contesto, stabilire un parallelo con il famoso verso di Il. 6.448 in cui Ettore fa
riferimento alla distruzione di Troia: al contrario Atene è destinata a vita e fama
imperiture. Tale espressione, dunque, attinta da un patrimonio tradizionale
comune, vuole porre in rilievo la fiducia in un costante ed inesauribile sostegno
divino di cui Solone si fa portavoce, proponendosi come statista fondamentale
per ciò che concerne l’Eunomia della polis.
Di certo la sicurezza dell’aiuto divino e il riferimento alla volontà dei numi
proprio all’inizio dell’elegia si inseriscono nella tradizione innodica e dei
componimenti a sfondo religioso, come suggerisce anche Noussia (p. 237),
laddove parla di una formula di invocazione tradizionale della preghiera e cita Il.
3.2984 e 3.308.
4
Tuttavia nel riferimento a Il. 3.298 è il dio Apollo che, riferendosi a Tidide, non esprime una preghiera
ma piuttosto un avvertimento, suggerendogli di mettere da parte il proprio atteggiamento improntato alla
hybris.
5
Da notare in particolare l’uso di un verbo diverso dall’ἔρχομαι di Solone, mai impiegato nei poemi per
esprimere l’idea di “scendere nell’Ade”.
6
Le espressioni presenti nel testo di Solone e Teognide sono chiaramente di ascendenza omerica, perché
nei poemi, dopo ἐς, è usato sempre il genitivo, con espresso o sottinteso δόμον.
6
figura i Greci costruirono e modellarono una personalità leggendaria. Tale
epitafio sottolineava come egli stesso, pur avendo regnato a lungo su Ninive,
avesse dovuto abbandonare tutti i grandi beni una volta morto.7
Del tutto fuorviante sarebbe la lettura, nel frammento in questione,
dell’edonismo tipico della poesia lirica, un edonismo come topos letterario del
carpe diem, molto frequente in altri autori (in particolare Simonide o
Mimnermo). Il messaggio soloniano non è quello di un individualismo
dirompente, ma va letto nell’ottica delle frequenti critiche alla sopravvalutazione
della ricchezza. Così la Noussia: «Solone attua l’operazione linguistica […] che
tradisce i suoi interessi specifici: proclama infatti che il piacere fisico è la vera
‘ricchezza’, animato com’è dall’intento di svalutare la piacevolezza del possesso
di ingenti ricchezze».8
7
NOUSSIA 2001, p. 301
8
NOUSSIA 2001, p. 306
9
UNTERSTEINER 2008, p. 128
10
«Zeus versa pioggia, quando sdegnato si adira con gli uomini, che con prepotenza in piazza danno
sentenze inique, perseguitando la giustizia, non curando lo sguardo degli dei». Ci si è serviti della
traduzione di CERRI 2011
7
24.259,11 Od. 10.306 e 16.196; HHom. 19.33) sia di Esiodo (Th. 967) sempre
volti a sottolineare la differenza tra la natura o la condizione umana e divina.
11
In particolare nell’Iliade viene messo in risalto, come discrimine, il fattore fisico della forza e della
discendenza divina piuttosto che quello della saggezza e della capacità di discernimento, contrariamente
alla posizione assunta da Solone. Ciò probabilmente deriva da una semplice diversità di preponderanza di
ciascuna caratteristica all’interno delle due opere, e non fa che confermare il sapiente ‘riuso’ che Solone
adopera degli stilemi omerici, conferendo loro un nuovo significato.
12
Cfr. Hom., Od. 6.184s.; Sapph., fr. 5.6; Archil., 23.14 ecc.
13
GIANNINI 2004, p.18
8
il verso omerico di Il. 17.645s. Ζεῦ πάτερ […] ἰδέσθαι «Zeus padre, […]
fa’ sì che con gli occhi vediamo!»14.
14
A proposito della nebbia miracolosa mandata da Zeus in aiuto dei difensori del corpo di Patroclo.
15
L’uso irregolare delle diatesi attiva e media nell’infinito limitativo è caratteristica di Omero (cfr. P.
CHANTRAINE, 1953, pp. 300-302).
16
Interessante è il confronto con il frammento 128 West2 di Archiloco, in cui l’espressione μὴ λίην
testimonia come il concetto di μηδὲν ἄγαν (‘nulla di troppo’) sia una delle eredità più costanti e pregnanti
del pensiero greco arcaico.
17
Μήτ’ἂναρκτον βίον || μήτε δεσποτούμενον || αἰνέσῃς‧ παντὶμέσῳ τὸ κράτος θεὸς || ὤπασεν «Possa tu
lodare un modo di vivere che non sia né privo di comando né soggetto a despotismo. In ogni occasione il
dio dà la supremazia a tutto ciò che sta nel mezzo». BATTEZZATO-PATTONI 2012.
18
Τὸ μήτ’ἂναρχον μήτε δεσποτούμενον || ἀστοῖς περιστέλλουσι βουλεύω σέβειν «Ciò che non è né privo
di comando né soggetto a dispotismo: questo consiglio ai cittadini di curare». BATTEZZATO-PATTONI
2012
9
volte negli Inni omerici (Hymn. Cer. 467). Da notare, contestualmente al
frammento 8, l’utilizzo peculiare del termine κόρος, cui viene attribuito un
valore inedito rispetto a quello della tradizione (sia in Omero sia in Esiodo è
sempre legato fortemente alla ricchezza e al potere, e specialmente nel primo
assume sempre un deciso sapore proverbiale19), dal momento che Solone si
rivolge non solo all’aristocrazia, ma soprattutto ai membri del demos, venuti a
disporre di nuovi beni ma manchevoli di grande discernimento.
Questo emistichio ha, alle spalle, vari paralleli propri della tradizione
epica, in modo particolare Omero, Il. 13.602 μοῖρα κακὴ θανάτοιο
analogamente nel secondo emistichio e Od. 2.100, 3.238, 17.326, 24.135.
19
TOSI 2011, pp. 18-19
20
BURZACCHINI 1995, pp. 69-124
10
Il sintagma ricorre anche negli Inni omerici (Hymn. Aphr. 269) ed in
Esiodo, fr. 35.4.
21
NOUSSIA 2001, p. 7
11
OSSERVAZIONI SULLA LINGUA DI SOLONE
In questo capitolo si intende presentare i tratti salienti del linguaggio elegiaco di Solone.
Come anticipato, la mistione dei dialetti all’interno dell’elegia comincia ad apparire già
nel VI/V secolo, soprattutto in ambiente attico, ed ha spesso motivazioni contingenti,
come il luogo d’origine dell’autore o del suo uditorio, ma in molti casi «la mistione
sembra avere una vera e propria motivazione stilistica».23 A tal proposito, uno dei
problemi fondamentali circa la lingua di Solone viene messo in luce dal ritrovamento
del papiro (P. Lond. 131) dell’Ἀθηναίων πολιτεία, dove sono riportati, tra gli altri, i
frammenti 34, 36 e 37 W. (29b, 30 e 31 G.-P.2). Questi stessi frammenti erano giunti a
noi unicamente da manoscritti e da un papiro berlinese (P. Berol. 5009), in cui
rivestivano, per lo più, una facies ionica. Tuttavia, il ritrovamento del papiro londinese
ha comportato il delinearsi di una nuova possibile lettura del colorito dialettale dei
frammenti in questione, dal momento che esso presenta, di solito, la variante attica di
diverse forme contemplate.
22
PASSA in CASSIO 2008, p. 212
23
PALUMBO STRACCA 1987, pp. 429-434
12
Qui di seguito si proporranno i tratti linguistici salienti documentati dal P. Lond. 131 ed
evidenziati dall’analisi condotta dalla Kaczko24 e da Adrados25:
Si nota la presenza di [a:] originario dopo [e], [i], [r] in ἀφνεάν (fr. 29b G.-P.2, v.
1), βία (scil. βίᾳ) (fr. 29b G.-P.2, v. 9), βίαν (fr. 30 G.-P.2, v. 16; fr. 31 G.-P.2, v.
4), πιεί[.]ας (scil. πιεί[ρ]ας) (fr. 29b G.-P.2, v. 9), ἰσομοιρίαν (fr. 29b G.-P.2, v.
10), ἐλευθέρα (fr. 30 G.-P.2, v. 7), di contro alla lezione dei manoscritti con
fonologia ionica in [e:] (<η>).
Sono presenti, nel papiro, due dativi plurali in –αισι in ἁρπαγαῖσιν (fr. 29b G.-
P.2, v. 1) e πολλαῖσιν (fr. 30 G.-P.2, v. 27), invece che ἁρπαγῇσιν e πολλῇσιν dei
manoscritti che presentano la versione ionica.
Si riscontrano varie contrazioni che hanno luogo in attico, come δεσποτῶν (fr.
30 G.-P.2, v. 14), ποιούμενος (fr. 30 G.-P.2, v. 26), ]υν, integrato in κἀδόκουν
(fr. 29b G.-P.2, v. 2), al posto della facies ionica di δεσποτέων, ποιεόμενος in
sinizesi o, probabilmente, ποιούμενος.
Il papiro londinese, tuttavia, manca di coerenza per quanto riguarda invece la coloritura
attica di altre forme, come ci si sarebbe aspettati dalla lettura dei casi precedenti. Esso
attesta, infatti, forme chiaramente ioniche come ἀναγκαίης (fr. 30 G.-P.2, v. 10),
δουλίην (fr. 30 G.-P.2, v. 13), τρομευμένους (fr. 30 G.-P.2, v. 14): a questo punto, «il
problema è dunque se ritenere affidabile il papiro e ammettere la presenza di tratti attici
nei componimenti soloniani – e in questo caso, dati i casi di incoerenza del papiro,
comprendere se fosse lo stesso Solone a non essere coerente – oppure se, al contrario,
interpretare i tratti attici come frutto di una banalizzazione di chi ha copiato il testo». 26
Martin West 1993 tende a mantenere sempre le forme ioniche, siano esse ἀφνεήν, βίῃ,
βίην ἐλευθέρη, ἁρπαγῇσιν e πολλῇσιν27, ma anche le forme con [eo] in sinizesi come
ποιεόμενος e κἀδόκ[ε]ον.
24
KACZKO in CASSIO 2008, p. 240
25
ADRADOS 1956
26
KACZKO in CASSIO 2008, p.
27
Si tenga presente che il P. Lond. 131 appartiene ad un’epoca (79-125 d.C.) in cui la forma normale dei
dativi plurali era quella della koiné in –αις e nonostante la forma –αισι fosse più vicina, a livello
13
Altri studiosi, tuttavia, come Debrunner-Scherer 1969, poi ancora Hiersche 1970 e
Adrados 1999, sostengono che la facies principale della lingua di Solone sia
sostanzialmente attica, ed i vari ionismi siano giustificabili volta per volta da più
motivazioni. Tra questi si sottolineano i seguenti fenomeni:28
ἀναγκαίης ὑπὸ || χρειοῦς (fr. 30 G.-P.2, vv. 10-11), che riecheggerebbe χρειοῖ
ἀναγκαίῃ di Il. 8, 57.
τοὺς δ’ἐνθάδ’αὐτοῦ δουλίην ἀεικέα || ἔχοντας, ἤθη δεσποτῶν τρομευμένους ||
ἐλευθέρους ἔθηκα (fr. 30 G.-P.2, vv. 13-15) con [a:] che diventa [e:] dopo [i] e la
contrazione <ευ> sarebbe la citazione di un giambografo ionico.29
Le forme appena menzionate vanno a sommarsi ad altri ionismi e riprese dall’epica che
costituiscono l’opera di Solone, assieme ad esempio a μοῦνος, νόος, δήϊος.30
fonologico, all’attico e alla suddetta koiné, non sembra si possa trattare di un’ovvia banalizzazione di chi
ha copiato il testo.
28
KACZKO in CASSIO 2008, p. 240
29
In questo quadro, come suggerisce la Kaczko, δεσποτῶν andrebbe forse più coerentemente interpretato
e stampato, come fa infatti West, con –εων in sinizesi contro -ῶν contratto del papiro.
30
KACZKO in CASSIO 2008, p. 241
14
il dativo plurale ionico ἀεικελίοισι per l’attico ἀεικελίοις, da ἀεικέλιος, forma
epica per ἀεικής (v. 25)
il dativo singolare ἡσυχίῃ forma ionica per l’attico ἡσυχίᾳ (v. 10)
il participio ἐών, forma comune ionica, dorica ed epica, che ricorre sia al v. 1 sia
al v. 18
il participio ἀεξομένων in luogo dell’attico αὐξανομένων (v. 5)
il genitivo singolare χροιῆς, forma con vocalismo ionico in [e:] dopo [i] (v. 6)
l’accusativo singolare ionico γενεήν, laddove in attico ci si sarebbe aspettati
γενεάν (v. 10)
la forma non contratta νόος in luogo del contratto νοῦς (v. 11)
l’uscita ionica in [e:] dopo [i] nel nominativo σοφίη in luogo dell’attico σοφία
con [a:] originario.
3. ALTRE OSSERVAZIONI
La forte interdipendenza tra la lingua dell’elegia e la dizione epica conferisce alla prima
un’impressione di «maggiore conservatorismo»31 rispetto, ad esempio, al giambo, dal
momento che è impossibile, come sottolinea Passa, «aggirare la presenza di forme
omeriche se esse sono garantite dal metro e quindi non sostituibili con gli equivalenti
31
PASSA in CASSIO 2008, p. 212
15
ionici»: si pensi infatti, nell’opera di Solone, ai numerosi genitivi singolari in –οιο,
alcuni dei quali messi in evidenza sopra. Tuttavia, è bene sottolineare come la grande
influenza del patrimonio espressivo epico non abbia ridotto l’elegia ad una mera
imitazione o compilazione, ma anzi le abbia conferito una certa ‘autonomia’ dal punto
di vista linguistico, che diventa evidente in alcuni aspetti in particolare: il termine ἔργον
è infatti letto come se avesse un ϝ ad inizio di parola ancora operante; si pensi al
sintagma καλὰ ἔργα presente in Sol. 13.21, mentre il ϝ era già caduto, in modo graduale
a seconda delle posizioni32, già nelle ultime fasi della tradizione orale che decretò la
veste definitiva del testo omerico. Tanta fu la pressione di tali epicismi che Solone
stesso coniò il termine non omerico ἔ(ϝ)ερδον, che però segue a tutti gli effetti le regole
della prosodia epica antica.33
I tratti epici e ionici sono dunque perfettamente comprensibili nel carattere dell’opera di
Solone, soprattutto perché essi sono il frutto di prestiti da quel bacino di elementi
tradizionali che caratterizza la produzione lirica arcaica del mondo greco.
32
La caduta del ϝ [w] nel dialetto ionico è stata per l’appunto graduale, infatti dapprima si perse [w] in
posizione intervocalica, poi [w] in posizione postconsonantica e in ultimo [w] ad inizio parola. A tale
proposito cfr. PASSA in CASSIO 2008, p. 120
33
PASSA in CASSIO 2008, p. 211
16
OSSERVAZIONI SULL’ ELEGIA DELL’ EUNOMIA
Nelle pagine seguenti si propone l’analisi di alcuni aspetti linguistici e lessicali peculiari
del fr. 3 G.-P., meglio noto come Eunomia. Si intende evidenziare come l’elegia in
questione si declini nei tratti prevalentemente ionici propri del genere letterario in cui la
si fa rientrare, e sviluppi immagini di sapore eminentemente politico sia attraverso un
lessico epico e tradizionale, sia tramite soluzioni innovative come l’uso originale di
alcuni verbi e termini inusuali nel contesto elegiaco.
1. UN’ANALISI LINGUISTICA
Dopo la celeberrima Elegia alle Muse (fr. 1 G.-P.), l’Eunomia (fr. 3 G.-P.) è il testo più
ampio di Solone, e di certo il più significativo ed emblematico della sua produzione
poetica, trattandosi di una testimonianza quanto mai esplicita del suo programma
politico. Essa rintraccia, infatti, gli effetti della hybris umana e della conseguente tisis
divina nel contesto cittadino, evidenziando come Solone stesso ponga la sua ideologia
«al servizio di una lucida volontà pratica, consapevole della sua capacità di modificare
le condizioni politiche».34 In questo paragrafo si intende mettere in luce i principali tratti
linguistici che caratterizzano il frammento, facendo riferimento all’analisi svolta da
Degani-Burzacchini 2005 e da Neri 2011.
34
MASARACCHIA 1958, p. 247
17
αἶσαν καὶ μακάρων θεῶν φρένας ἀθανάτων·
τοίη γὰρ μεγάθυμος ἐπίσκοπος ὀβριμοπάτρη
Παλλὰς Ἀθηναίη χεῖρας ὕπερθεν ἔχει·
αὐτοὶ δὲ φθείρειν μεγάλην πόλιν ἀφραδίῃσιν 5
ἀστοὶ βούλονται χρήμασι πειθόμενοι,
δήμου θ' ἡγεμόνων ἄδικος νόος, οἷσιν ἑτοῖμον
ὕβριος ἐκ μεγάλης ἄλγεα πολλὰ παθεῖν·
οὐ γὰρ ἐπίστανται κατέχειν κόρον οὐδὲ παρούσας
εὐφροσύνας κοσμεῖν δαιτὸς ἐν ἡσυχίῃ 10
*
πλουτέουσιν δ' ἀδίκοις ἔργμασι πειθόμενοι
*
οὔθ' ἱερῶν κτεάνων οὔτε τι δημοσίων
φειδόμενοι κλέπτουσιν ἀφαρπαγῇ ἄλλοθεν ἄλλος,
οὐδὲ φυλάσσονται σεμνὰ Δίκης θέμεθλα,
ἣ σιγῶσα σύνοιδε τὰ γιγνόμενα πρό τ' ἐόντα, 15
τῷ δὲ χρόνῳ πάντως ἦλθ' ἀποτεισομένη.
τοῦτ' ἤδη πάσῃ πόλει ἔρχεται ἕλκος ἄφυκτον,
ἐς δὲ κακὴν ταχέως ἤλυθε δουλοσύνην,
ἣ στάσιν ἔμφυλον πόλεμόν θ' εὕδοντ' ἐπεγείρει,
ὃς πολλῶν ἐρατὴν ὤλεσεν ἡλικίην· 20
ἐκ γὰρ δυσμενέων ταχέως πολυήρατον ἄστυ
τρύχεται ἐν συνόδοις τοῖς ἀδικέουσι φίλους.
ταῦτα μὲν ἐν δήμωι στρέφεται κακά· τῶν δὲ πενιχρῶν
ἱκνέονται πολλοὶ γαῖαν ἐς ἀλλοδαπὴν
πραθέντες δεσμοῖσί τ' ἀεικελίοισι δεθέντες 25
*
οὕτω δημόσιον κακὸν ἔρχεται οἴκαδ' ἑκάστωι,
αὔλειοι δ' ἔτ' ἔχειν οὐκ ἐθέλουσι θύραι,
18
ὑψηλὸν δ' ὑπὲρ ἕρκος ὑπέρθορεν, εὗρε δὲ πάντως,
εἰ καί τις φεύγων ἐν μυχῶι ᾖ θαλάμου.
ταῦτα διδάξαι θυμὸς Ἀθηναίους με κελεύει, 30
ὡς κακὰ πλεῖστα πόλει Δυσνομίη παρέχει·
Εὐνομίη δ’εὔκοσμα καὶ ἄρτια πάντ’ἀποφαίνει
καὶ θαμὰ τοῖς ἀδίκοις ἀμφιτίθησι πέδας·
τραχέα λειαίνει, παύει κόρον, ὕβριν ἀμαυροῖ,
αὑαίνει δ' ἄτης ἄνθεα φυόμενα, 35
εὐθύνει δὲ δίκας σκολιάς, ὑπερήφανά τ' ἔργα
πραΰνει· παύει δ' ἔργα διχοστασίης,
παύει δ' ἀργαλέης ἔριδος χόλον, ἔστι δ' ὑπ' αὐτῆς
πάντα κατ' ἀνθρώπους ἄρτια καὶ πινυτά.
19
non custodiscono gli altari sacri di Dike,
che silenziosa conosce le cose che sono e quelle che furono,
e col tempo giunge in ogni caso, a far pagare il fio.
Questa ferita inevitabile ormai giunge per tutta la città,
e velocemente è caduta in terribile schiavitù,
che ridesta la lotta interna e la guerra dormiente,
che distrugge di molti l’amabile giovinezza;
rapidamente infatti a causa dei nemici l’amata città
si sfalda nei conciliaboli grati agli ingiusti.
Questi mali serpeggiano tra il popolo: dei poveri
molti vanno in terra straniera
venduti e legati a ceppi non tollerabili.
*
Il male pubblico così penetra in casa di ciascuno
e le porte del cortile non sono più disposte a fermarlo,
salta oltre l’alto recinto e trova tutti,
anche se uno fugge nel recesso di un talamo.
Queste cose il cuore mi ordina di insegnare agli ateniesi,
che Dysnomia causa molte sciagure ad una città,
Eunomia invece mette in luce ogni cosa in buon ordine e ben fatta,
e spesso pone ceppi agli ingiusti,
leviga le asperità, pone fine all’insolenza, fiacca la tracotanza,
secca i germogli della rovina che nascono,
raddrizza le sentenze deviate, affievolisce le azioni superbe,
spegne il rancore di straziante contesa, è suo merito
che tutto tra gli uomini è convenienza e saviezza.
20
È interessante notare come due delle edizioni principali dell’opera di Solone, ovvero
West 1992 e Gentili-Prato 1988, delineino due differenti letture della facies dialettale
all’interno del frammento dell’Eunomia, la prima conservando gli ionismi, la seconda
preferendo una lettura attica di alcune forme. Qui di seguito verranno elencati
prevalentemente i tratti ionici dell’elegia, evidenziando, laddove presente, la
discordanza tra le due edizioni.
21
(Il. 10.38 e 342), dei pastori ‘guardiani’ del gregge (Hes. fr. 217.3) e inoltre degli dèi
in quanto testimoni e ‘garanti’ dei patti (Il. 22.255); ὀβριμοπάτρη «dal padre
possente», già noto in Omero ed in Esiodo, presenta la forma ionico-epica in [e:],
laddove in attico ci si sarebbe aspettati un’uscita in [a:]. Anche Ἀθηναίη (v. 4) è
forma ionica dell’attico arcaico Ἀθηναία, che dal IV sec. a. C. diventerà Ἀθηνᾶ. Il v.
4 si conclude con un ulteriore idioma tradizionale, χεῖρας ὕπερθεν (tenere le mani su
qualcosa o su qualcuno), che vuole indicare un atteggiamento di tutela e protezione
da parte della divinità: cfr. Hom., Il. 4.249, 9.416s., 9.686s, 5.433, ma anche Theogn.,
757, Eur., IA 916, Theod., Ant. Pal. 6.155.6, Epigr. Gr. 831.10 Kaibel (II sec. a.C.).39
5 s. Non sono gli dèi, ma gli stessi cittadini a voler distruggere la loro grande città
«per singoli atti di insensatezza» (v. 5), come sottolineato dal dativo plurale
concretizzante ἀφραδίῃσιν, forma ionica in luogo dell’attico in –ίαις. Il concetto è
peraltro anche omerico (Od. 1.32-4) e torna nel fr. 11 W.2 εἰ δὲ πεπόνθατε λυγρὰ
δι’ὑμετέρην κακότητα || μὴ θεοῖσιν τούτων μοῖραν ἐπαμφέρετε· «se avete subìto
miserie per la vostra dappocaggine, non attribuite agli dèi la causa di esse». Al v. 6 è
da notare la scelta di βούλονται «vogliono», che diversamente da altri verbi servili
volti a mettere in risalto un’idea di futuro, come ad esempio μέλλειν, mira ad
enfatizzare la deliberazione e l’immediatezza con cui i cittadini si apprestano a
rovinare la città. Nel secondo emistichio del verso è attestata, oltre a χρήμασι
πειθόμενοι, la variante ῥήμασι πειθόμενοι40, che richiamerebbe dal punto di vista
formale l’ultimo emistichio del fr. 5. Pare preferibile tuttavia, agli occhi della
Noussia, la forma χρήμασι πειθόμενοι, oltretutto in accordo con il parallelo
teognideo del v. 194.
7 s. A macchiarsi di ingiustizia sono i ‘capi del popolo’, forma che designa la classe
dirigente41, per la quale è già ἑτοῖμον «stabilita» la punizione a causa sia della loro
mente ingiusta, dove νόος «mente» è forma poetica non contratta in luogo del
contratto νοῦς, sia per la «tracotante arroganza» indicata genitivo singolare ὕβριος (v.
8), forma comune non attica, in alternativa all’attico ὕβρεως. È inevitabile, dunque,
39
NOUSSIA 2001, p. 239, DEGANI-BURZACCHINI 2005, p. 109
40
WILAMOWITZ, cfr. ora MASARACCHIA 1958, p. 255
41
FORTI-MESSINA 1956, p .233 ss.
22
che i capi del popolo, i suddetti ἡγεμόνες, debbano ἄλγεα πολλὰ παθεῖν, «soffrire
molti mali»; il neutro plurale ionico ἄλγεα (v. 8) è forma intermedia tra l’originario
*ἄλγεσα e l’attico ἄλγη.
42
NOUSSIA 2001, p. 243
43
DEGANI-BURZACCHINI 2005, p. 108
44
NOUSSIA 2001, p. 245
45
Il termine indicava in particolare le proprietà terriere. Cfr. MASARACCHIA 1958, pp. 246-72
46
Per esempi di questo valore di ἐπί + dativo cfr. MASARACCHIA 1958, p. 258
47
DEGANI-BURZACCHINI 2005, p. 108
23
uniformarsi alla forma di Solone 29b G.-P.2 ἐφ’ἀρπαγαῖσιν, considerando la
possibilità che ἀφαρπαγῇ sia un errore prolettico ἐφα- > ἀφα-.
14-15. L’attenzione di Solone si concentra ora sul ‘sacrilegio etico’ di chi viola le
norme basilari di Dike, tramite la cui citazione «il linguaggio del poeta acquista un
tono solenne e ieratico»48. Il termine θέμεθλα «fondamenta» non ricorre in senso
metaforico prima di Solone, e a tale proposito Masaracchia (1958, p. 258) sostiene
che esso sia vox Homerica e vada inteso nel senso di θέμις «legge». In questi versi,
dunque, «siamo davanti ad una rappresentazione grandiosa, il cui effetto di
sovrumana grandezza è accresciuto dall’efficacissimo silenzio della dea»49, che
conosce le cose che sono e quelle «che furono» (v. 14), dove il participio ἐόντα è
forma comune ionica, dorica ed epica.
21-25. Il termine πολυήρατος (v. 21) è presente in Omero riferito sia alla città di
Tebe in Od. 11.275, sia a ἥβη in Od. 15.366; ma anche in Bacchyl., 19.9s. riferito ad
48
MASARACCHIA 1958, p. 258-9
49
MASARACCHIA 1958, p. 258-9
50
ADKINS 1985, p. 118, ANHALT 1993, p.102
51
HENDERSON 2006, p. 3
24
Atene, e in Aristoph., Nub. 301., riferito all’Attica.52 La rovina dell’«amata città» è
introdotta dal complemento di causa ἐκ […] δυσμενέων «per via dei nemici», che si
presenta in forma non contratta, come anche la terza persona plurale ἀδικέουσι
«commettono ingiustizie» (v. 22), forma ionica non contratta in luogo dell’attico in -
κοῦσι. Nell’edizione di West 1992 manca la contrazione anche nella terza persona
plurale ἱκνέονται «giungono» (v. 24), mentre Gentili-Prato preferiscono leggere la
forma contratta attica ἱκνοῦνται. In Omero lo stesso verbo τρύχω costituiva, con
l’accusativo οἷκον «casa», una formula fissa per indicare la distruzione dei beni di
Odisseo da parte dei proci (τρύχουσι δὲ οἷκον, cfr. Od. 1.248, 16.125, 19.133).
Perciò, anche se sicuramente il verbo non era abbastanza specificamente collegato
all’Odissea da autorizzare certezze, è plausibile che Solone confronti implicitamente
il comportamento dei proci e quello dei nemici del bene pubblico (come voleva
Adkins 1985, 119, di cui va però respinta l’idea che per ‘nemici’ si intendano nemici
esterni).53 Osserviamo al v. 24 l’evidente epicismo di γαῖαν «terra», per l’attico γῆν,
e al verso successivo i dativi ‘lunghi’ δεσμοῖσι […] ἀεικελίοισι «da catene indegne»
che seguono la dizione epica. Πραθέντες è participio aoristo da πέρνημι.
27-30. Il male pubblico ora invade ogni casa della città, nonostante alte barriere e
recinti, fino a raggiungere l’angolo del talamo, tanto che le stesse porte non riescono
a trattererlo: οὐκ ἐθέλουσι del v. 27 va inteso come οὐκ δύνανται: questa particolare
accezione di (ἐ)θέλω è ristretta di norma alla forma negativa e ad esseri inanimati (in
questo caso le αὔλειοι θύραι «porte del cortile») ed è comune anche ad Hom., Il.
9.353, 21.366.54 Al v. 29 la Noussia preferisce leggere ᾖ congiuntivo del verbo
«essere» connesso al genitivo θαλάμου in luogo della congiunzione disgiuntiva
tràdita ἢ col dativo θαλάμῳ, che coordinerebbe μυχός «recesso» e θάλαμος
«talamo», avendo inoltre, il sintagma μυχός θαλάμου «penetrali del talamo», una
frequenza idiomatica nella tradizione epica e nella lingua poetica, tanto da essere
presente in Hom., Il. 17.36 e Od. 16.285, 22.180, 23.41; HHom., Dem. 143; Pind.,
Nem. 1.42; Sim., 26.17.
52
NOUSSIA 2001, p. 252
53
NOUSSIA 2001, p. 252
54
DEGANI-BURZACCHINI 2005, p. 110
25
31-33. Solone, attingendo al solito repertorio tradizionale (τά με θυμὸς ἐνὶ στήθεσσι
κελεύει è formula frequente, cfr. Il. 7.68, 7.349, 8. 6 ecc.) ed assumendo in questa
circostanza «il ruolo che presso Omero ed Esiodo è proprio del messaggero divino»55
riassume quanto detto nei vv. 17-29 ed introduce la parte finale della sua elegia, ossia
l’enumerazione dei benefici di Eunomia. I nomi di Dysnomia ed Eunomia, sono letti
da West Δυσνομίη (v. 31) ed Εὐνομίη (v. 32) con vocalismo ionico in [e:] dopo [i],
mentre in Gentili-Prato si trova la forma attica con [a:] (<α>) originario. Eunomia è
raffigurata apporre ceppi agli ingiusti, facendo cessare, di conseguenza, le loro azioni
crudeli. La metafora è anticipata alla lettera al v. 25, dove sono i poveri ad essere
mandati in terra straniera avendo perso la loro libertà a causa dei debiti.56
34s. Due metafore accompagnano l’elenco dei benefici di Eunomia: i germogli della
rovina, dove il neutro plurale ἄνθεα «germogli» (v. 35) è forma ionica per l’attico
ἄνθη, e il loro disseccare, espresso dal verbo αὐαίνω, di uso peculiare e piuttosto raro
in attico.57 Inoltre, il significato fondamentale di πραΰνω (v. 37) è quello di ‘calmare’
e riguarda uno stato fisico o psicologico. Potrebbe comunque essere inteso
metaforicamente nel senso di ‘addomesticare’ il male pubblico, considerato quasi di
58
natura ferina. Sullo stesso verso, il genitivo singolare διχοστασίης «di sedizione»
presenta nuovamente il con vocalismo ionico in [e:] dopo [i], come ionica è la forma
non contratta ἀργαλέης «della dolorosa» (v. 38), in luogo dell’attico ἀργαλῆς.
Con il commento proposto si intendeva mettere in risalto alcuni aspetti della poesia e
della lingua soloniana, spaziando dalle riflessioni morfologiche e fonologiche alle scelte
lessicali. In tale ottica, si è osservato come il poeta abbia impiegato numerosi ionismi
parallelamente ad alcuni atticismi, e come egli si sia servito di espressioni formulari ed
immagini tradizionali combinandole con altrettanti elementi di innovazione.
55
JAEGER 1966, p. 74
56
HENDERSON 2006, p.5
57
HENDERSON 2006, p.6
58
HENDERSON 2006, p.6
26
CONCLUSIONI
Quelli che seguono sono gli elementi più significativi emersi dalla ricerca svolta.
In ultimo abbiamo proposto un’analisi del fr. 3 G.-P., Eunomia, che cercasse di
verificare quanto emerso dalla parte precedente, riservando particolare
attenzione ai fenomeni linguistici più rilevanti, come gli ionismi, proponendo
riflessioni di natura lessicale e mettendo in luce i frequenti paralleli con la
tradizione poetica, condivisa non solo con Omero, ma anche con vari esponenti
della lirica arcaica.
27
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30