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Termini utilizzai per definire l’intervento nel patrimonio edilizio esistente:

 RESTAURO
 RECUPERO
 RIPRISTINO
 RIUSO
 CONSERVAZIONE

RESTAURO:
L’intervento prevede la sostituzione e la reintegrazione di parti della fabbrica reinterpretandole in funzione
del significato che si vuole attribuire all’oggetto architettonico. È di primaria importanza l’aspetto estetico
dell’opera a seguito dell’intervento.

RECUPERO:
L’intervento prevede la rifunzionalizzazione della fabbrica con principale riferimento all’aspetto economico
del bene architettonico.

RIPRISTINO:
L’intervento prevede la reintegrazione di parti della fabbrica realizzata “in stile”, cioè si reintegra quanto non
più esistente così come avrebbe fatto l’architetto che ha concepito l’opera.

RIUSO:
L’intervento prevede la possibilità di reintegrare il bene architettonico ponendo l’attenzione alle necessità di
riutilizzo dei volumi che costituiscono la fabbrica in funzione della nuova funzione che questa deve espletare.

CONSERVAZIONE:
L’intervento si pone in modo critico nei confronti della storia e considera l’aspetto storico prevalente su
quello estetico. Pertanto l’intervento prescinde dal risultato estetico ma pone l’accento sulla conservazione
delle tracce che manifestano significati e valori inverati nella fabbrica.

Differenza tra conservare e restaurare:

 CONSERVARE: preservare, salvare dal decadimento, dalla perdita, le risorse primarie e essenziali per
l’uomo con l’impego a tutelare, rispettare, proteggere e trasmettere un patrimonio collettivo o
personale di cui si reclama la permanenza.

 RESTAURARE: rimettere in efficienza come nuovo (presuppone sempre una manutenzione materiale
e morfologica).

Evoluzione del concetto di restauro:


 1612: rifare ad una cosa le parti che mancano (dizionario degli accademici della crusca)
 1781: rifare di parti, anche tutte, di un edificio degradato, così che si rimetta nella forma primitiva o
si aumenta o più si abbellisce (Diderot e D’alambert)
 1831: rifare le parti guaste o che mancano. L’architettura si compone di parti similari che possono
essere ricopiate o riprodotte mediante un’esatta osservazione delle misure (Quatremère de Quincy)
 1849: il restauro è la peggior forma di distruzione accompagnata dalla falsa descrizione della cosa
distrutta (John Ruskin)
 1869: restaurare un edificio non è conservarlo, ripararlo o rifarlo, è ripristinarlo secondo uno stato di
completezza che può non essere mai esistito in un determinato momento (Viollet Le Duc)
 1877: la tutela e la manutenzione in luogo del restauro e della manomissione (William Morris – SPAB)
 1883: i monumenti sono documenti che devono essere consolidati più che riparati, riparati più che
restaurati evitando le aggiunte e le rinnovazioni. Eventuali aggiunte devono essere riconoscibili
(Camillo Boito)
 1903: sistema dei valori inverati nei monumenti: valore dell’antico, valore di novità (Alois Riegl – Der
moderne Denkmalkultus)
 1932: nel restauro intervengono vari criteri di diverso ordine: ragioni storiche che non vogliono sia
falsata la materia, il concetto architettonico che vuole riportare il monumento alla funzione di arte e
ad una unità di linea, il sentimento dei cittadini, le necessità amministrative (Consiglio superiore per
l’antichità e le belle arti)
 1939: leggi di tutela

CARTE DEL RESTAURO


L’esigenza di tutelare i monumenti dalle distruzioni e alterazioni trovò i suoi primi interpreti alla fine del XVIII
secolo; nel 1883 un importante congresso tenutosi a Venezia riunì intorno ad un tavolo architetti ed ingegneri
per dibattere sui temi del restauro e trovare un punto di mediazione: dopo anni di sperimentazioni si giunse
ad enunciare alcuni principi che nella sostanza avrebbero dovuto garantire, insieme alla conservazione dei
monumenti, anche una loro corretta lettura. Ne derivò una complessa e graduale elaborazione di principi e
prescrizioni, in seguito codificati e incorporati in una serie di documenti diretti a guidare gli interventi, le
cosiddette “carte del restauro”.

 Carta di Atene (1931)


La prima carta del restauro venne scritta nel 1931 dalla Conferenza Internazionale degli Architetti riunita ad
Atene. Essa si compone di 10 punti che più che stabilire dei veri e propri principi, detta delle raccomandazioni
come curare il patrimonio architettonico, uniformare le legislazioni così da non far prevalere l’interesse
privato su quello pubblico, ampliare lo studio dell’arte così da insegnare nelle popolazioni l’amore e il rispetto
per il proprio patrimonio architettonico. Da un punto di vista tecnico la “Carta di Atene” auspica un restauro
di tipo filologico, rifiutando quello stilistico, ammette l’uso di materiali moderni per il consolidamento quali
il cemento armato, ammette nel caso del restauro archeologico solo l’anastilosi.

 Carta di Venezia (1964)


La seconda guerra mondiale, con tutte le distruzioni al patrimonio architettonico europeo, riportò di grande
attualità il problema del restauro architettonico. In questo frangente particolare, anche per gli effetti
psicologici di cancellare le distruzioni della guerra, si estese quasi sempre una pratica di ripristino,
ricostruendo il preesistente anche a rischio di commettere dei veri falsi storici. Esaurita la fase della
ricostruzione post-bellica la cultura architettonica internazionale si interrogò nuovamente sulle corrette
pratiche del restauro e, nel secondo congresso internazionale degli architetti e tecnici dei monumenti,
tenutosi a Venezia nel 1964, si definì una nuova carta del restauro definita “Carta di Venezia”, a cui diedero
un contributo fondamentale Roberto Pane, Pietro Gazzola e Cesare Brandi. La carta si compone di 16 articoli
e riassume in maniera mirabile i principi che possono essere considerati immutabili della metodologia del
restauro architettonico. Questa carta sottolinea soprattutto l’importanza dell’aspetto storico di un edificio,
e introduce per la prima volta il concetto di conservazione anche dell’ambiente urbano che circonda edifici
monumentali.

 Dichiarazione di Amsterdam (1975)


Il congresso di Amsterdam del 1975, composto da delegati proveniente da tutta Europa, approva la Carta
Europea del patrimonio architettonico che riconosce l’architettura singolare dell’Europa quale patrimonio
comune di tutti i popoli che la compongono ed afferma l’intensione degli Stati membri di cooperare fra di
loro e con gli altri Stati europei al fine di proteggerlo.
 Carta italiana del restauro (1932)
Nel 1932 il Consiglio Superiore per l’antichità e le belle arti, emanò una carta del restauro che può essere
considerata la pima direttiva ufficiale dello stato italiano in maniera di restauro; in essa si affermavano
principi analoghi a quelli della “Carta di Atene”, ma con in più la posizione espressa da Gustavo Giovannoni,
definita come “restauro scientifico”. Giovannoni fu il primo che suggerì che in ogni intervento bisogna
sfruttare tutte le più moderne tecnologie per poter giungere a interventi scientifici di restauro.

 Carta italiana del restauro (1972)


Nella carta italiana del restauro del 1972 si ha una relazione introduttiva e quattro allegati riguardanti
l’esecuzione di restauri archeologici, architettonici, pittorici e scultorei oltre che la tutela dei centri storici.
Sono dapprima definiti gli oggetti interessati da azioni di salvaguardia e restauro che si estendono dalle
singole opere d’arte ai complessi edifici di interesse monumentale, storico, ambientale, ai centri storici, ai
giardini e parchi. Con il termine “salvaguardia” viene inteso l’insieme di interventi conservativi attuabili non
direttamente sull’opera, mentre per “restauro” si intende qualsiasi intervento volto a mantenere in
efficienza, a facilitare la lettura e a trasmettere al futuro le opere oggetto di tutela.

Protagonisti del cambiamento in Italia:


 Camillo Boito
 Luca Beltrami
 Ambrogio Annoni
 Gustavo Giovannoni
 Roberto Pane
 Pietro Gazzola

CAMILLO BOITO:
I punti centrali della sua teoria, definita come “restauro filologico” sono: il rifiuto del restauro stilistico
considerato come un inganno per i contemporanei, ma ancor di più i posteri di una falsificazione del
monumento rendendo impossibile distinguere le parti originarie dalle successive modificate. Per Boito era
necessario rispettare e tutelare i valori artistici e storici del monumento ed inoltre dà importanza alla
conservazione dei segni lasciati dal tempo sulle superfici architettoniche tanto che definisce la patina
“splendido sudiciume del tempo”. Gerarchizza i possibili interventi del tempo e le aggiunte non devono
essere confuse con le parti, inoltre classifica le tecniche di restauro in: restauro archeologico, restauro
pittorico e restauro architettonico. Egli considera i monumenti architettonici del passato come documenti
essenzialissimi che servono a chiarire e a illustrare in tutte le sue parti la storia dei vari tempi e dei vari popoli
e dunque vanno rispettati in scrupolo religioso. Ogni modifica, anche lieve, la quale possa sembrare opera
originaria, tra in inganno.

LUCA BELTRAMI:
È considerato il capofila del cosiddetto “restauro storico” che non si differenziava molto da quello stilistico
di Viollet-le-Duc, ma ammetteva che eventuali integrazioni e aggiunte dovevano essere fatte non per un
astratto criterio di coerenza stilistica, ma in base a documentate fonti archivistiche e storiche.

ALOIS RIEGL:
Elabora la “teoria dei valori” e scrive “il culto moderno dei monumenti” dove vediamo l’evoluzione del
concetto di monumento, l’esegesi dei valori e il carattere socialista. Il progetto di Riegl non prende le mosse
da considerazioni di ordine storico-artistico ma dalla storia della ricezione. La moderna concezione storica è
basata sull’idea dello sviluppo, pertanto si rivolge l’attenzione a quelle testimonianze che rappresentano
tappe del processo evolutivo. Secondo Riegl il monumento è investito da diversi valori che influenzano il
restauratore e lo fanno agire in modi differenti: valori in quanto memoria (che comprendono il valore
dell’antico, il valore storico, il valore intenzionale in quanto memoria), e i valori contemporanei (che
comprendono il valore d’uso e il valore artistico che a sua volta comprende il valore di novità e il valore
artistico – relativo).

CESARE BRANDI:
Il restauro è concepito da Brandi come esercizio critico, attraverso la critica si possono trovare i parametri da
applicare al restauro. Una delle fonti del suo pensiero è quella del neoidealista italiano Benedetto Croce, da
cui deriva la separazione tra arti maggiori e arti minori. Scrive “la teoria del restauro” che si apre con il
tentativo di definire cosa sia il restauro. Punto di partenza è il momento del conoscimento dell’opera d’arte
come tale; l’attribuzione di valore è condizionato dal contesto storico e culturale nel quale esso si compie.
Un’opera d’arte è fatta di insieme di materiali (istanza estetica) e di un insieme di valori espressivi e di
significati (istanza storica). Da qui deriva la prima definizione di restauro: il restauro costituisce il momento
metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità
estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro. Discendono da questa frase i principi ai quali deve
ispirarsi l’intervento di restauro nella sua pratica di attuazione: la consistenza fisica dell’opera deve
necessariamente avere la precedenza perché rappresenta il luogo stesso della manifestazione dell’immagine,
assicura la trasmissione dell’immagine al futuro, ne garantisce quindi la ricezione nella coscienza umana.

Ne discendono due corollari


Primo e secondo assioma
Tema delle lacune pittoriche
Restauro secondo l’istanza estetica
Restauro preventivo
Falsificazione

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