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Nel sesto anno dell’era Taisho (“della grande rettitudine”) il Giappone prende parte alla
prima guerra mondiale contro Cina e Germania per accrescere la propria potenza
economica e geografica. È nell’ultimo anno di quest’era che nasce Kimitake Hiraoka,
meglio conosciuto come Yukio Mishima, precisamente il 16 gennaio 1925.
L’anno dopo sale al trono imperiale Hiroito che porta il Giappone a un decennio intenso
per via delle numerose guerre intraprese, ultima delle quali il secondo conflitto
mondiale.
Mishima è impegnato nello studio, ma mai si perdonerà di non avervi preso parte.
Lo Yamato esce sconfitto dallo scontro e si trova a pagare come l’Italia e la Germania
un fio estremamente pesante. I vincitori impongono infatti una nuova Costituzione
modellata sul tipo di quelle esistenti nelle democrazie parlamentari occidentali abolendo
il carattere sacro dell’imperatore e imponendo «la rinuncia per il popolo giapponese per
sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia dell’uso della
forza, aspirando a una pace fondata sulla giustizia e sull’ordine», come recita l’articolo
9 della Costituzione imposta dal generale Mc Arthur.
È il 1947. Nello stesso anno Mishima vince un difficile concorso con il quale entra al
Ministero delle Finanze per rimanervi effettivamente soltanto un anno, preferendo
mantenersi solamente con i proventi della sua opera di scrittore; opera che inaugura con
la pubblicazione del romanzo “Le confessioni di una maschera” a sfondo finemente
autobiografico nel quale il narratore descrive le fantasie omosessuali e
sadomasochistiche di un giovane della sua generazione. Sarà questo libro a valergli
l’appellativo di “D’Annunzio d’Oriente”, nonché la sua grande fertilità di scrittore.
Questo non è altro infatti che il primo dei quaranta romanzi da lui scritti e pubblicati tra
il ‘49 e il ‘70.
Nel 1968 egli fonda l’“Associazione degli Scudi” (Tatenokai), una sorta di milizia
personale composta da non più di cento membri che non possiede armi ed è «il più
piccolo esercito del mondo» di cui egli è capitano. Indubbiamente, e per sua stessa
ammissione, per la creazione di questa e per le sue finalità, l’autore trae spunto da un
episodio della storia Giapponese che trova riportato nel libro di Tsunamori Yamao, “La
lega del Vento Divino”: questo fa riferimento alla rivolta dei Samurai del 1873
scoppiata in seguito all’emanazione di un decreto imperiale ritenuto infamante che
vietava il porto della Katana (la tradizionale spada giapponese) e il caratteristico taglio
di capelli; non è che l’ultimo provvedimento teso a mortificare l’onore di guerrieri
estremamente attaccati alla tradizione in favore di un più redditizio occidentalismo.
Composta per lo più da studenti universitari, l’Associazione è un «esercito sempre in
allarme, fatto da persone rivolte verso i valori dello spirito con muscoli ben temprati».
L’Associazione, dunque, così come la Lega del Vento Divino (il manipolo di Samurai
rivoltosi), è creata in risposta a quel Giappone senz’anima e valori se non quelli del
denaro, del consumo e del piacere.
Il Giappone di Mishima è invece terra di tradizione, di valori di patria, spirito, fedeltà e
amore, non quello della corruzione, del materialismo e della cultura esterofila
occidentalizzante come nemmeno quello dei partiti, siano essi di destra o di sinistra.
Egli non si occuperà mai, pur non essendo estraneo al dibattito nel mondo giovanile, di
politica. In questo Giappone dalla gioventù effeminata sostiene ancora «l’importanza di
versare il sangue per le idee in cui si crede, sangue che lavi anche la debolezza, la
decadenza e dia colore ad un universo sbiancato». Sta ai nuovi giovani Samurai
preservare quel patrimonio ideale che la “Terra degli dèi” possiede.
«... quando le nostre esigenze saranno ascoltate, tutta la terra sotto il cielo,
cominciando dalla corte degli eredi degli dèi, si troverà libera da ogni
corruzione. Come i venti del cielo disperdono le spesse nubi e la brezza del
mattino e della notte dissipa la bassa nebbia dell’aurora e del tramonto; come
una grande nave ancorata in un ampio porto si libera delle sue gomene a prora
e a poppa per navigare in acque profonde; come la falce forgiata dal fuoco
taglia i giovani steli così tutte le corruzioni saranno purgate e purificheremo ...»
Sempre nell’introduzione alle finalità del Tatenokai, egli afferma che «con la prosperità
economica, la maggior parte dei giapponesi è divenuta mercante e i Bushi sono andati in
declino e sono scomparsi. L’idea di rischiare la propria vita per le proprie convinzioni è
ora fuori moda. Il pensiero è divenuto una difesa che assicura l’incolumità del corpo».
Ma per Mishima e per il Bushido stesso «il sapere senza l’azione è osceno».
Tutta la vita dell’autore è racchiudibile in questa frase. Le parole limitano l’azione che è
unione mistica fra corpo e spirito e questa non è concepibile senza uno scopo.
Il pensiero che lo individua deve inevitabilmente trasformarsi in azione.
« L’azione più pura ed essenziale riesce a cogliere i valori della vita e la questione
eterna dell’umanità con maggiore profondità di quanto sappia fare un impegno umile e
costante ».
« Oggi è da dare battaglia, forse domani non si sarà più. Per noi non vi sia tregua con
la grande Armata della morte. Solo chi vive così, lottando instancabilmente giorno e
notte, consegue la beatitudine ed è detto santo sapiente ».
(Buddha)
Nel 1970 Mishima, deluso dalla decadenza del Giappone contemporaneo, decide di
togliersi la vita in nome dell’imperatore e del “suo” Giappone, con il rituale del Seppuku
(il Samurai si sventra con la sua spada per venire poi decapitato dal commilitone che lo
assiste evitando così che il volto lasci trasparire il dolore). Sarà Morita, suo amico ed
amante ad assisterlo.
Ed è l’adesione coerente al Bushido (la via del guerriero) per lui l’unica via per
attraversare il “deserto spirituale” contemporaneo. Ma per cercare anche soltanto
« Nella limitatezza di ogni umana vita io scelgo la via dell’eternità in quanto non ho né
vita né morte: l’eterno è la mia vita e la mia morte ».
Non esiste morte vana o da “cani” e solo tramite questa il Bushi (guerriero) può arrivare
allo stato divino.
E’ importante anche solo accennare allo Shintoismo perché è in esso che l’antico popolo
dello Yamato (isola culla della cultura dell’arcipelago) trova l’elevazione - si esprime
così Evola - di un complesso culturale in parte legato ad uno stato primitivo e al cui
centro si trova l’idea imperiale con l’identificazione di tradizione imperiale con
tradizione divina. «Seguendo il comando, scendo dal cielo», dice nel Kojiki il
capostipite della dinastia.
Il sovrano discende dal cielo ed è divino e sacro. Su tale base l’atto del governare e del
dominare è tutt’uno con il culto e nel quadro dello Shintoismo il lealismo, la fedeltà
incondizionata al sovrano riveste un significato religioso e fa da fondamento ad ogni
etica: qualsiasi azione riprovevole, bassa o delittuosa, viene concepita non come
trasgressione di una norma astratta più o meno anodina e “sociale” bensì come un
tradimento, slealtà e ignominia: non vi sono dei “colpevoli”, ma piuttosto dei
“traditori”, degli esseri incapaci di onore.
Questi valori generali hanno avuto un particolare risalto nel Bushi o Samurai, la nobiltà
guerriera, e nella loro etica, il Bushido. L’orientamento della tradizione in Giappone è
essenzialmente attivo, anche guerriero, ma con la controparte di una formazione
interiore: l’etica dei Samurai ha un carattere tanto guerriero, quanto ascetico, con aspetti
sacrali e rituali; rassomiglia notevolmente a quanto fu proprio del Medioevo
cavalleresco e feudale Europeo.
La parola Shinto venne coniata soltanto dopo l’introduzione in Giappone del Buddhismo
nel 560 d.C. per distinguere ciò che era originario della cultura dell’isola da ciò che era
stato ultimamente introdotto dall’estero.
Fino a quel tempo non esisteva un nome per questa via degli dei: c’era semplicemente la
via. La meta dello shintoista è essere Kannagara cioè l’armonizzare il sistema di vita
con i processi della natura.
Lo Shinto non possiede dogmi sociali o etici: poggia sull’intuizione e il giudizio
individuale. È un culto animista come il Buddhismo, il Taoismo e il Confucianesimo.
Afferma l’originale purezza del cuore umano (là dove invece il Cristianesimo pone il
peccato originale), che si perde a causa di offese volontarie o involontarie alla divinità.
I tre simboli sacri dello Shinto nonché del potere imperiale sono la spada, lo specchio e
il gioiello o pietra preziosa.
Questa è la religione che i “liberatori”, i donatori di democrazia del 1945, proibiscono ai
giapponesi; anche la religione sacra per chi fa dei valori spirituali e della tradizione i
punti fermi sui quali basare la propria vita.
Conclusioni
Mishima era convinto che la Verità si potesse raggiungere soltanto se pensiero e azione
si ritrovassero uniti. Ed infatti tanto nella sua opera, quanto nella vita (che in
quest’ottica formano un tutt’uno) egli perseguì quasi con coerenza il tentativo di
ricomporre le proprie contraddizioni, di risolvere i propri dilemmi esistenziali …
Forse fu soltanto con il suo gesto estremo, nel subitaneo momento di quell’azione - il
Seppuku - che egli riuscì a realizzare il suo scopo e la sua via. Queste le parole che
pronunciò prima di togliersi la vita:
Pur non occupandosene mai attivamente, Mishima assegnava alla politica un ruolo
molto più importante di quello dell’arte, ritenendola più “reale”, più “concreta”, più
responsabile.
« Il problema dell’arte e della politica: a mio avviso, le esigenze a cui l’arte non ha
saputo dare risposta traboccano infine nella sfera dell’esistenza e soprattutto
nell’attività politica, che è l’azione più completa della vita umana. Un tempo l’attività
politica si esprimeva in un modo diverso, esistevano due forme di azione politica.
L’una, in ossequio ad una concezione mite e positiva, era sollecita dell’ordine civile,
tentava di conquistarsi la fiducia dei cittadini, di mantenere stabilmente un equilibrio, e
considerava tali obiettivi un dovere per ogni uomo politico che ritenesse necessario
emendare con clemenza i difetti del popolo, suscitare il consenso ed ascoltare le diverse
opinioni per rinnovare la società in un clima di quiete. L’altra forma di azione politica
è la rivoluzione: risolvere d’un colpo con metodi violenti tutti i problemi in cui il popolo
si dibatte a causa delle contraddizioni della società, sognare un ordine ideale, da
instaurare dopo la rivoluzione. Ma una simile passione rivoluzionaria esige
inequivocabilmente, quale premessa, l’esistenza di irrefrenabili tensioni vitali, di
miseria, di terribili contraddizioni sociali, di particolari condizioni contingenti.
Nei nostro tempo, entrambe le forme di azione politica hanno finito con lo svilirsi
reciprocamente. In realtà la figura di un uomo politico ligio al mantenimento
dell’ordine è degenerata nel simbolo di un tedioso e grigio conformismo, assolutamente
privo di alcuna attrattiva. D’altra parte la passione rivoluzionaria ha dato inizio ad
una azione violenta in un anarchismo caotico, non più supportato dalla necessaria
presenza di atroci contraddizioni sociali o di un effettiva miseria ».
« Com’è possibile definire “uomo d’azione” chi nel suo ufficio di presidente fa
centoventi telefonate al giorno per vincere la concorrenza? ed è forse un uomo d’azione
colui che viene osannato perché aumenta i guadagni della propria società viaggiando
nei paesi sottosviluppati e truffandone gli abitanti? Nella nostra epoca sono
generalmente questi ad essere giudicati uomini d’azione. I giovani sono costretti a
osservare con disgusto il vergognoso spettacolo del modello di eroe, che essi avevano
imparato a conoscere dai fumetti, implacabilmente sconfitto e lasciato a marcire dalla
società alla quale dovranno un giorno appartenere [...] Nelle società avanzate
s’impone ai giovani un’etica che così potremmo sintetizzare: “Se avanzerete con
moderazione e rispetterete l’ordine voluto dal mondo degli adulti, vi garantiremo una
vita felice: avrete una moglie attraente, dei bambini, un confortevole appartamento, ed
un giorno trasferiremo nelle vostre mani il privilegio di governare la società. Ma
dovrete attendere ancora trent’anni; dunque, per il momento, studiate con impegno e
non correte troppo velocemente”.
In generale, dunque, i tempi imposti dalla società esigono che le persone in grado di
correre procedano con lentezza e che, viceversa, chi ha la difficoltà ad avanzare
velocemente sia costretto a correre. [...] Non intendo tuttavia sostenere che tutti i
giovani siano dotati di splendide qualità. Intendo semplicemente affermare che dall’era
Meiji in poi, essi sono costretti a impegnarsi strenuamente. Ma tutti i loro sforzi non
sono serviti a spezzare le mura entro cui la società il ha rinchiusi ».
È comunque attorno alla ricerca di una sintesi tra pensiero ed azione, tra corpo e spirito
che ruota l’impegno esistenziale ed intellettuale di Mishima, come egli stesso ci
dimostra in numerosi esempi:
« Ho sempre avuto l’abitudine di meditare su azione e pensiero, sui problemi del corpo
e dello spirito. ».
« Più si affermerà la televisione, più le immagini umane verranno trasmesse e
assimilate in modo fulmineo e più il valore di un individuo sarà determinato
esclusivamente dal suo aspetto. Sarà la logica conclusione del culto del corpo che
trionfa ad esempio, in America: tutte le società finiranno per determinare il valore di un
essere umano dal suo aspetto, diverranno ineluttabilmente società materialiste.
Colui che possiede un fisico attraente non è necessariamente dotato anche di valori
spirituali. Un inesatta versione di una massima greca sentenzia: “Una mente sana
alberga in un corpo sano”. Dovrebbe essere invece così concepita: “Possa una mente
sana albergare in un corpo sano”. Ciò dimostra che dall’epoca dello splendore della
civiltà greca la contraddizione tra il corpo e lo spirito non ha mai cessato di tormentare
gli uomini. [...]
Attualmente ci troviamo in un punto equidistante tra due stereotipi estremi di due
diverse civiltà. Mentre nel nostro animo dimorano ancora tracce dello spiritualismo
giapponese che disprezza il corpo, si sta d’altra parte diffondendo l’edonismo
(Y. Mishima)