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Cronaca Nera It Mostro Di Firenze
Cronaca Nera It Mostro Di Firenze
cronaca-
nera.it
Autori: Paolo Cochi Alessandro Feri Master Evo
Mostro di Firenze
le zone d'ombra
Mostro di Firenze
la scena primaria
Bisogna tornare a quella notte del 1968, nella campagna di Signa, dove
tutto cominciato. Il delitto del 1968 ai danni di Barbara Locci e
Antonio Lo Bianco, avvenuto a Castelletti di Signa (FI), dove, come
abbiamo visto nel capitolo precedente, la famigerata Beretta cal. 22 inizia
ad uccidere con il medesimo munizionamento utilizzato nei successivi
delitti. Nelle aule di giustizia il termine regina viene riservato a quelle
tra le prove che si arrogano da sole il diritto di dimostrare la colpa al di
l dell'arbitrio umano, e tra queste, all'arma omicida si attribuisce il
massimo privilegio. E' seguendo a ritroso i passi di tale lugubre e
sfuggenteregina, le cui impronte inequivocabili furono lasciate sui
bossoli ritrovati ogni volta, che si approda nella nostra storia sulle
sponde di un fiume che nell'estate del 1968 scorreva tra le campagne nei
dintorni di Castelletti di Signa.
La notte del 21 Agosto 1968 fu linizio della lunga ed inestricabile
catena di omicidi durata 17 anni, dove Natalino Mele, il bimbo
testimone , unico e solo sopravvissuto alla famigerata calibro 22, si
materializzo' impaurito e spossato sotto le finestre di un palazzo distante
piu' di 2 chilometri dalla scena del crimine, raccontando di essere fuggito
da solo da quella che era diventata una bara di metallo, la giulietta di
Antonio Lo Bianco, al cui interno verranno ritrovati il di lui cadavere e
quello di Barbara Locci, la madre del piccolo Natalino, freddati entrambi
con 8 colpi di calibro 22.
Le ore 2 in punto, riferi' il signor De Felice in merito all'orario della
"materializzazione", precisamente le ore 2, poiche' lo scampanellio a
quell'ora lo aveva allarmato non poco, ed essendo sveglio per altri motivi
gli fu naturale guardare all'impronta l'orologio.
Il piccolo Natalino dira' poi all'uomo e a sua moglie di essersi svegliato
solo a cose fatte e di non aver visto nessuno, di essere giunto fin l
camminando lungo il viottolo nonostante avesse i soli calzini ai piedi (le
scarpe verranno ritrovate nella macchina), di essere stato guidato da un
certo punto in poi dalla luce accesa nell'abitazione del De Felice e di aver
suonato il primo campanello a cui era riuscito ad arrivare. Tutto giusto, si
sarebbe detto in un primo momento, poiche' quella del De Felice era in
effetti l'unica abitazione illuminata e il campanello era il primo
raggiungibile dal bambino, fatto poi comprovato dagli stessi. Ma quando
il 24 Agosto si ritorno' con Natalino su quella stradina per ricostruire
assieme a lui gli accadimenti del 21, i Carabinieri realizzarono le
difficolta' che avrebbe dovuto superare in quella notte senza luna per
raggiungere la casa sulla via del Vingone, e ripensarono ai dubbi che,
nell'immediatezza del fatto, gia' avevano avuto sulla compatibilita' dello
stato dei piedi e dei calzini a causa del lungo tragitto accidentato.
Quando proposero a Natalino, ancora arroccato nella sua versione
originaria, di ripercorrere al buio la stessa strada sterrata per dimostrare
che davvero ne fosse stato capace, questo cedette ammettendo di essere
stato accompagnato dal padre... "a cavalluccio, si, ma solo fino al
ponticino, poi sono andato da solo!".
Il padre, Stefano Mele, nel frattempo aveva gia' confessato e in parte
ritrattato, chiamando in correita' Salvatore Vinci, ex amante della moglie e
ritrattato la ritrattazione accusando non piu' Salvatore ma Francesco Vinci,
fratello di questo e ultimo amante di Barbara prima di Antonio Lo Bianco.
Un turbillon di dichiarazioni da far girare la testa anche al piu' smaliziato
degli investigatori. La nuova versione del bambino divenne allora un
punto fermo per mettere Stefano Mele di fronte all'inevitabile ammissione
di essere stato il solo vero assassino, l'unico che poteva rischiare cos
tanto portando via il bambino da quella orribile situazione, il solo,
oltretutto, che potesse accettare di lasciare vivo il testimone oculare di un
duplice omicidio. Quei calzini "puliti", come venivano indicati nel
rapporto conclusivo, avrebbero dovuto dimostrare l'accompagnamento del
bambino , ma non potevano farlo in modo oggettivo poiche' gli stessi
testimoni che prestarono i primi soccorsi al bambino, ovvero il De Felice,
sua moglie e il loro vicino di casa avevano sostenuto nei rispettivi verbali
altre valutazioni, sicuramente altrettanto soggettive ma opposte a quelle
indicate nel rapporto, descrivendo i calzini come: "sporchi", "logori e
strappati", "sporchi ed impolverati".
Dubbi non ci sono invece per un altro elemento, riferito sempre allo
stesso modo da tutti i testimoni e che forse a posteriori rappresenta uno dei
pochi fatti oggettivi, ossia l'indicatore di direzione destro rimasto acceso
dal momento dell'omicidio... Quel lampeggiante, costituiva gi un
riscontro alla confessione del Mele, che durante la ricostruzione del delitto
fatta il 23 sera, abbass per errore la leva della freccia mentre mostrava
come secondo lui fossero stati risistemati i cadaveri e disse che la stessa
cosa si era verificata la notte del delitto (anche se in realta' quella notte la
leva fu alzata e non abbassata). Di quella "lucciolona" persa nel buio della
campagna ne aveva pero' parlato il bambino ancor prima del ritrovamento
della giulietta, bambino che la sera del 22, il giorno precedente la
confessione del Mele, tornera' a casa con il babbo per rimanervi fino al 23
mattina.
Indipendentemente dal fatto che quel particolare possa essere passato
allora dal figlio al padre, nessuno si chiese perche' un assassino che
doveva perdere in prossimita' del luogo del delitto un paio d'ore per
accompagnare Natalino non si fosse preoccupato di spegnere quella luce
che, come un insegna al neon, richiamava efficacemente l'attenzione sul
misfatto. Se pure l'omicida avesse potuto riparare in un luogo sicuro nelle
vicinanze, ipotesi che diventera' reale quando si scoprira' che un
conoscente di uno dei sospettati abitava proprio in prossimita'
dell'abitazione del De Felice, costui, o peggio ancora costoro, avrebbe\ro
comunque dovuto rimanere sufficientemente a lungo sul luogo per capire
che era assolutamente necessario spegnere quella dannata luce
intermittente.
Ma Stefano Mele, considerato oramai come unico responsabile, era stato
per dichiarato seminfermo di mente in seguito all'esito di una perizia
psichiatrica, perche' mai i suoi comportamenti avrebbero dovuto essere
logici?
Che pero' non fosse lui l'autore di quel delitto, e che invece a queste
domande si sarebbe dovuto dare un a risposta sensata nel processo,
diventera' evidente dopo il secondo passo della sciagurata pistola, questa
volta un passo in avanti di sei anni, fino al 1974 quando il padre di
Natalino ancora soggiornava nelle patrie galere.
Natalino Mele, in unintervista rilasciata molto tempo dopo al giornalista
Mario Spezi , confesser che nel corso degli anni sub dalla sua famiglia
un vero e proprio lavaggio del cervello su cosa accadde quella notte.
Ci che certo che nell ambiente dei sardi stato ampliamente
investigato durante tutti gli anni 80, portando in carcere falsi mostri,
scarcerati solo dallintrovabile calibro 22, che implacabile tornava a
colpire ogni anno nella stagione estiva, puntuale come un orologio
svizzero.
Ecco dunque che sul delitto di Signa, pi che su ogni altro successivo
delitto del mostro, necessario tenere sempre presente il monito
brechtiano di lode del dubbio.
Natalino andato via da solo da luogo del delitto?
I sardi sono estranei a questo omicidio?
Il delitto di Signa maniacale ed ha la stessa mano di quelli successivi?
Per la giustizia il colpevole di quellomicidio era Stefano Mele, persona
riconosciuta oligofrenica e assolutamente non in grado di sparare senza
sbagliare un colpo. Un mistero non risolto neanche dalle sentenze, come ci
conferma Pier Luigi Vigna , il quale segu tutte le indagini a partire dai
delitti degli anni 80, convinto sostenitore della tesi ufficiale che vuole
Pacciani e i compagni di merende come autori degli omicidi.
Lex-sostituto Procuratore della Repubblica di Firenze a distanza di tanti
anni sempre piu convinto della colpevolezza di Pietro Pacciani e
dellinesistenza dei cosidetti mandanti a volto coperto, come ci
conferma in una recentissima intervista.
Ma se cosi fosse, come sarebbe passata nelle mani del Pacciani la pistola
mai ritrovata ed il relativo munizionamento?
Mostro di Firenze
Il delitto di Borgo
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la pista sarda
Mostro di Firenze:
un incubo amaro
Mostro di Firenze
il mostro a mille teste
Intanto, proprio nel gennaio 84, un altro delitto, nel comune di Lucca
(quartiere SantAlessio), alimentava la paura del mostro. Due giovani
amanti erano stati uccisi all'interno della loro auto di notte in prossimit di
un corso d'acqua chiamato Serchio. La pistola era una calibro 22, ma i
bossoli (non di marca Winchester serie H) non erano stati sparati
dallarma del mostro; inoltre non cera stato alcun vilipendio sui cadaveri.
Lassassino di Lucca, mai individuato, aveva preso il borsellino nella
borsa della vittima femminile, particolare rilevante che farebbe pensare
che il movente dellomicidio fosse economico e non maniacale. Questo
delitto era poi avvenuto in inverno, stagione nella quale il mostro non ha
mai ucciso nel territorio fiorentino. Tuttavia, nonostante questo omicidio
presentasse queste importanti differenze con i delitti classici del mostro,
sarebbe sbagliato liquidare a priori il delitto di Lucca come sicuramente
non commesso dal mostro di Firenze.
Innanzitutto la dinamica del delitto di SantAlessio rispecchia il modus
operandi del mostro nellaggressione delle vittime: lassassino di Lucca
spara da un vetro anteriore, facendo centro su entrambi i ragazzi appartati
con buona mira. Il possibile movente di denaro per una somma non
elevata (per quanto pi che plausibile) mal si concilia con una dinamica
omicidiaria di questo tipo. Lavvocato-scrittore Nino Filast, indiscutibile
figura di riferimento per chiunque tratti di mostro di Firenze, ritiene che il
delitto di Lucca fu commesso dalla solita persona che uccise le coppiette
nell hinterland campagnolo fiorentino. Perch allora il mostro
ucciderebbe fuori stagione, fuori Firenze, senza escindere e con unaltra
arma? Per dare un messaggio ben preciso, secondo Filast. A Lucca infatti
il mostro ucciderebbe appositamente il 21 gennaio 1984, 5 giorni prima
dellarresto di G.Mele Mucciarini come coppia di mostri di Firenze. Il
serial killer fiorentino, che secondo Filast un personaggio in divisa in
grado persino di conoscere gli sviluppi investigativi sul caso prima della
stampa, vorrebbe dunque dare un segnale di presenza, comunicando agli
inquirenti un messaggio di questo tipo: E me che dovete prendere, non i
sardi che conoscevano le vittime del 68, n tantomeno un fornaio senese
come Mucciarini. Conosco le vostre mosse, posso uccidere anche con
unaltra arma, dunque non vi utile accanirvi nella ricerca di una calibro
22 che i sardi non hanno neanche mai avuto.
Ecco perch il mostro ucciderebbe fuori stagione, ecco perch userebbe
unaltra pistola. Come spiegazione alternativa, la scelta dellarma diversa
potrebbe poi anche significare una volont del killer di non firmarsi come
mostro di Firenze, se vero che per lui la territorialit dei suoi delitti
importantissima, forse parte integrante della sua firma. Oppure un
caso che gli otto duplici omicidi del mostro avvengono tutti nella
provincia di Firenze, molti a pochi kilometri di distanza, ma ciascuno in
un comune diverso?
Lipotesi di Filast sul delitto di Lucca poderosa e ben congeniata, ma
propone forse un mostro troppo criptico ed enigmatico. Davvero poi, nel
gennaio 1984 a Lucca, il mostro si sarebbe lasciato sfuggire unoccasione
cos propizia per compiere le escissioni dopo i fallimenti (chiss se pi o
meno voluti) del 1982 e del 1983? Insomma, il dibattito sullattribuire il
delitto di Lucca al mostro o meno rimane aperto e come di consueto sta al
lettore scegliere quale ipotesi sposare.
Ad ogni modo, nonostante serpeggiasse la paura e l'incertezza anche tra
gli inquirenti, il delitto di Lucca venne presto messo da parte e chi
indagava sul mostro, continu ancora sulla stessa pista, ovvero quella dei
sardi che orbitavano attorno al delitto di Signa del 1968. Il giudice
istruttore Mario Rotella, che da poco tempo aveva sostituito Vincenzo
Tricomi, pens che il delitto dei ragazzi tedeschi del 1983, per il quale
cera Francesco Vinci in carcere, fosse stato compiuto da uno o pi
complici per scagionarlo, e che "l'errore" dei due ragazzi maschi servisse
per evitare che il complice dovesse eseguire quelle operazioni mostruose
inconcepibili per un criminale "normale". Lidea del complice che vuole
scarcerare Francesco Vinci cadr inesorabilmente con lomicidio di
Vicchio dell84, poich costui si trovava in carcere anche per quel
successivo delitto. Per la procura il discorso era pi semplice: il mostro
aveva davvero confuso la capigliatura bionda di Rush per quella di una
ragazza; i bossoli mancanti probabilmente erano finiti tra i souvenir di
qualche sciacallo e non era praticabile lipotesi che a Giogoli avessero
sparato due pistole invece che una, teoria gi allora in voga ma che non
trova alcun riscontro oggettivo.
Anche se Francesco Vinci era in procinto di venire scagionato dallaccusa
di essere il mostro, il giudice Rotella non si diede per vinto ma non riusc
ad identificare qualcuno che potesse calarsi nei panni del possibile
complice n tra i compagni di scorribande del sardo, n tra i familiari che
del resto, a parte il giovane nipote Antonio, con l'uomo non avevano
rapporti poi cos stretti ed affettuosi. Rotella torn quindi a bussare alla
porta di Stefano Mele per vedere se questi gli potesse fornire qualche
nuovo indizio. Sebbene dalle parole dell'ometto non venne fuori nulla di
sensato, qualcosa di prezioso sembr invece sbucare dalle sue tasche, o
almeno cos credette il giudice. Durante quel colloquio dal portafogli del
Mele era saltato fuori un bigliettino scritto in un pessimo italiano, da cui
traspariva uno strano interessamento per le dichiarazione di Stefano Mele
sul delitto di Signa. Il bigliettino recitava cosi':
RIFERIMENTO DI NATALE riguaRDO
LO ZIO PIETO
Che avesti FATO il nome doppo
SCONTATA LA PENA
COME RisulTA DA ESAME Ballistico
dei colpi sparati
Quell'italiano sgangherato, scritto alternando maiuscole e minuscole, era
stato compilato dalla mano di Giovanni Mele, fratello di Stefano,
probabilmente il giorno in cui sui giornali dell'82 era apparsa la clamorosa
notizia del collegamento col delitto del '68. Evidentemente l'uomo aveva
voluto ricordare al fratello cosa dire per evitare che i sospetti prendessero
la direzione del clan, e in particolare si era preoccupato di togliere le
castagne dal fuoco al cognato, Piero Mucciarini, il cui nome era comparso
durante una delle innumerevoli audizioni del piccolo Natalino Mele.
E in effetti Stefano Mele quell'indicazione l'aveva data, anche
correttamente visto che rifer di 8 colpi pur sbagliando il finestrino da cui
erano stati sparati. Quel bigliettino, insieme ad alcune intercettazioni
telefoniche ed ambientali, convinse il magistrato che a commettere
l'omicidio del68 fosse stato il clan dei Mele. La famiglia Mele avrebbe
pertanto agito poich stufa dei continui colpi di testa della Locci
(spendacciona e dai facili costumi) e delle continue umiliazioni a cui la
famiglia era sottoposta a causa del suo modo di trattare il marito.
Durante la conferenza stampa in cui si annunciava la scarcerazione di
Francesco Vinci, il dottor Rotella sorprese tutta la platea di giornalisti
dichiarando che da quel momento erano formalmente indagati per i delitti
Giovanni Mele e Piero Mucciarini. I mostri quindi erano due. Per
sostenere il mandato d'arresto furono anche illustrate le risultanze di una
perquisizione al Giovanni Mele, sulla cui auto, una fiat 128, era stato
trovato quello che fu definito un vero e proprio kit da Mostro, composto
da coltelli, corde, stracci e liquido per detergersi le mani. A dire il vero
nulla di quegli oggetti recava la minima traccia dell'uso in uno dei delitti,
ma fu sufficiente perch i giornalisti per il momento non si facessero
troppe domande.
Mostro di Firenze
atroce destino
Mostro di Firenze
la sfida del mostro