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La pelle tesa degli oggetti.

Sulla poesia di Adam Zagajewski


Di Valerio Cuccaroni
Adam Zagajewski, pi volte candidato al Premio Nobel per la letteratura, uno dei maggiori poeti
al mondo. Originario di Leopoli, citt polacca che oggi si trova in Ucraina, nel 1945 lautore lasci
con la famiglia la sua terra natale, a soli quattro mesi, a causa dello spostamento dei confini stabilito
dagli accordi di Jalta. Questo episodio, che ha segnato linfanzia del poeta, emblematico anche
della sua opera, tutta giocata sullattraversamento, sia materiale, che spirituale.
Cresciuto in Slesia, Zagajewski frequent lUniversit di Cracovia, dove entr a far parte della
Nowa Fala, la nouvelle vague dei poeti polacchi del Sessantotto, contraddistinta da una rivolta
contro le aberrazioni del regime sovietico. La prima fase della sua produzione quindi
caratterizzata da una poesia socialmente impegnata. La storia, proprio come nellinfanzia, segn
quindi gli inizi della carriera di questo grande poeta. Lo spostamento, invece, il viaggio,
lattraversamento di confini ne segn levoluzione.
Nel 1979 infatti Zagajewski si sposta a Berlino Ovest, dove resta fino al 1981, quindi si trasferisce a
Parigi, dove risiede fino al 2002, ma facendo la spola con gli Stati Uniti, dove dal 1988 insegna,
come docente universitario, fino ad oggi. Nel 2002 rientra a Cracovia. Lemigrazione provoca un
cambio di poetica, introducendo nelle composizioni del poeta il tema del viaggio, la mitizzazione
dei luoghi storici familiari, una maggiore valenza della metafisica: il soggetto passa cos dal noi
allio, seguendo quel processo di individualizzazione che ha contrassegnato la societ
tardocapitalista fino alla recente crisi. Lio di Zagajweski non per lio trionfante degli yuppies,
ma un io autoironico, come quello della tradizione modernista novecentesca, un io che piccolo e
invisibile come i grilli / ad agosto, un eterno fuggiasco (Io). Il viaggio diventa quindi per il
poeta la condizione della sua scrittura: scrivo viaggiando perch volevo vedere, / e non solo
sapere vedere chiaramente / incendi e scorci di quellunico mondo (Vedere).
Gli incendi e gli scorci che Zagajewski vuol vedere pullulano di oggetti e, in effetti, Dalla vita degli
oggetti il titolo dellantologia pubblicata in Italia da Adelphi, sulla base delloriginale Without end
e di qualche altra poesia sparsa. Tuttavia, gli oggetti di Zagajweski non solo sono visti ma, come gi
in Nerval, sono capaci di vedere: Case, onde, nuvole e ombre / (tetti blu scuro, mattoni bruni) /
infine siete diventate solo sguardo. // Quiete pupille degli oggetti, / indomite, rilucenti di nero.
(Veduta di Delft). Gli oggetti sono dunque i confini fra mondi distanti, che si toccano e si guardano
a vicenda: Siamo come palpebre, dicono le cose, / sfioriamo locchio e laria, loscurit / e la luce,
lIndia e lEuropa (Dalla vita degli oggetti). I quadri, soprattutto quelli di van Eyck, Veermer,
Modigliani, sono gli oggetti che meglio degli altri incarnano questa duplicit, che la duplicit
delle duplicit, in fondo, ovvero quella fra la vita e la morte, fra la vita rappresentata dal quadro,
nello specifico, e il suo essere sempre una natura morta, come nota nella postfazione allantologia la
curatrice Krystyna Jaworska, perch, aggiunge, animare gli oggetti uno dei tropi ricorrenti di
Zagajewski.
Oltre ai quadri anche la musica, soprattutto quella di Bach, Chopin, Schubert e Sostakovic,
rappresenta per il poeta una porta verso lo sconfinamento: E nella morte vivremo, / solo
diversamente, con delicata dolcezza, / dissolti nella musica (Senza fine); Solo la musica cresce /
ancora dopo la morte, la musica e le chiome degli alberi (Opera postuma). Perch il mondo si
percepisce con tutti i sensi e lincanto, sempre ricercato dal poeta, avviene sia attraverso lo sguardo,
che attraverso ludito: mi ascoltavano gli uccelli e le lucertole, / un sole bianco emerse dalle
nebbie, / mi trapass larpione acuminato dellincanto. (Crudele). Zagajewski ha una visione
panica, in cui, sulla scorta di Eraclito e Parmenide, pu affermare contemporaneamente: Tutto
perduto. Tanto incanto (Lava). una visione in cui perdersi: Dimentica te stesso, lasciati
abbagliare dallincanto, / dimentica tutto e forse torner una memoria / pi profonda e una pi
profonda fratellanza (Giardino dinverno). una visione paradossale, surreale: Sono l dov
lamicizia, / ma non gli amici, dove cresce / lincanto, ma senza incantesimi, / l dove ridono i
morti. (Houston, sei del pomeriggio). Eppure, il poeta moderno non pu abbandonarsi allincanto,

perch malato dironia: Oh, dimmi, come guarire dallironia, dallo sguardo / che vede senza
penetrare; dimmi come guarire / dal mio silenzio (Lunghi pomeriggi). Lironia del silenzio la fine
della musica, per cui nellincipit di una poesia si pu affermare, di slancio, La musica ascoltata con
te / rester sempre con noi, ma poi occorre concludere, malinconicamente: La musica ascoltata
con te / tacer insieme a noi. (La musica ascoltata con te).
In Zagajewski sincontra la consapevolezza del pensatore dialettico, per cui ogni tesi chiama la sua
antitesi, persino nella definizione della poesia stessa: La poesia chiama a una vita pi alta / ma
ci che basso ha la sua eloquenza (Houston, sei del pomeriggio). La poesia diventa allora una
forma di filosofia, di riflessione, di meditazione, sempre controcorrente: Ma cos il mio lavoro /
lunghe attese, immobile, / pagine sfogliate, riflessione paziente, / una passivit poca gradita / a un
giudice dal cupido sguardo. / Scrivo lentamente, come se potessi vivere duecento anni. (La
stanza). Al poeta, allartista occorre cos ammettere che deve farsi filosofo per conoscere: Non
nella musica, in quadri stupendi, / nelle azioni grandiose, nel coraggio / e neanche nellamore
dimora la saggezza, / ma soltanto nel tutto, / nella terra e nellaria, nel dolore e nel silenzio. (La
conchiglia). Cosa resta allora al poeta? Resta, come in Leopardi, la memoria. La poesia pu
trattenere leco della burrasca / come la conchiglia sfiorata / da Orfeo in fuga. Il tempo sottrae la
vita / e rid la memoria, dorata dalla fiamma, / annerita dalla vampa ardente. (ibidem).
In Italia lopera di Zagajewski ancora poco conosciuta. Da oggi, oltre ai versi sparsi, reperibili in
rete, allantologia Dalla vita degli oggetti e al volume di prose Tradimento, pubblicato anchesso da
Adelphi, si avranno a disposizione i versi inediti, che per gentile concessione dellautore e del
traduttore Marco Bruno pubblichiamo di seguito.

Di mia madre
Di mia madre nulla saprei dire
come ripeteva, rimpiangerai un giorno,
quando non ci sar pi, e come non credevo
n nel pi, n nel non ci sar,
come mi piaceva guardare, quando leggeva un romanzo alla moda,
sbirciando subito lultimo capitolo,
come in cucina, reputando che questo non per lei
il luogo adeguato, prepara il caff domenicale,
oppure, ancora peggio, i filetti di merluzzo,
come attende larrivo degli ospiti e si guarda allo specchio,
facendo quella faccia che la proteggeva efficacemente dal
vedere realmente se stessa (cosa che, pare,
ho ereditato da lei, insieme ad alcune altre debolezze),
come poi disinvoltamente disserta di cose
che non erano il suo forte, e come io scioccamente
la stuzzicavo, come in quella occasione in cui si
paragon a Beethoven facentesi sempre pi sordo,
e io dissi, crudelmente, ma sai, egli
aveva talento, e come tutto mi perdonava
e come io lo ricordo, e come volavo da Houston
al suo funerale e in aereo veniva proiettato
un film comico e come piangevo di riso
e di rimpianto, e come non ero in grado di dire nulla
e continuo a non esserlo.

Il martin pescatore
As kingfishers catch fire

G.M.Hopkins
Vidi il martin pescatore in volo proprio sul pelo del mare,
un volo retto come la vita di Euclide, retto e violento,
esplodere improvvisamente della pienezza dei colori, vedevo il selvaggio fuoco del mondo
abbracciare le sue ali, ma esso non uccideva bens faceva in modo
che quel proiettile iridescente tendesse in salvo
alla riva rocciosa, al nido l nascosto;
si scopre che la fiamma pu essere anche
riparo, abitazione, in cui
i pensieri ardono ma non vengono annichiliti,
una prigione che ci libera dallindifferenza,
dallosservazione estiva di un pomeriggio indolente,
un possente ossimoro,
a volte anche una poesia,
quasi un sonetto.

Rachmaninov
Un tempo, quando ascoltavo il terzo concerto,
non mi rendevo conto che per gli intenditori
si tratta di una musica troppo conservatrice (non sapevo allora
che nellarte al di l dellarte ci sono anche odii, fanatiche
dispute, condanne degne dellepoca delle guerre religiose),
udivo in esso la promessa di cose che dovevano sopraggiungere,
il preannuncio di una difficile felicit, dellamore, lo schizzo
di paesaggi che un giorno sarei venuto a conoscere,
il presentimento del purgatorio e del paradiso, del peregrinare e, alla fine,
forse anche di qualcosa che assomiglia al perdono.
Adesso, quando ascolto Martha Argerich eseguire
il concerto in re minore, ammiro la maestria della sua interpretazione,
la sua passione, lispirazione, e contemporaneamente il fanciullo
che un tempo fui cerca di comprendere, non senza difficolt,
cosa si realizzato e cosa si invece estinto. Cosa vivo.

Terra
Alcuni parlavano polacco, altri tedesco,
solo il pianto era cosmopolita.
Le ferite non si cicatrizzavano, serbavano lunga memoria.
Il carbone luccicava come sempre.
Nessuno voleva morire, ma la vita era pi dura.
Cera molta estraneit; lestraneit taceva.
Eravamo arrivati come turisti, colle valigie
restammo pi a lungo.
Non appartenevamo a quella terra,

ma magnanimamente ci accolse
vi accolse entrambi, uomo e donna.

Nondove
Era, quello, un giorno nondove appena tornato dal funerale di mio padre,
un giorno fra i continenti, smarrito camminavo per le strade
di Hyde Park ascoltando brandelli di voci americane
a nondove appartenevo, ero libero,
ma se questa libert, pensavo, allora preferirei forse
essere prigioniero di un buon re, di un affettuoso imperatore;
il flusso delle foglie si opponeva alla corrente del rosso autunno,
il vento sbadigliava a fauci spalancate come un cane da caccia,
la cassiera nel negozio di alimentari, in nessundove
(era intrigata dal mio accento), domand di dove io fossi,
ma avevo dimenticato, avevo voglia di raccontarle
della morte di mio padre, tuttavia pensai: sono ormai
un po troppo vecchio per lorfanit; abitavo
ad Hyde Park, nel nondove, where fun comes to die,
come dicevano non senza gelosia gli studenti di altre universit,
era, quello, un luned senza carattere, vigliacco,
senza forma, un giorno senza ispirazione, nondove, persino il rammarico
non assumeva un profilo radicale, mi sembra
che lo stesso Chopin in un giorno simile si sarebbe limitato,
nelle migliore delle ipotesi, a impartire lezioni
a facoltose, aristocratiche allieve;
tutta un tratto mi risovvenni di ci che aveva scritto di lui
il dottor Gottfried Benn, dermatologo berlinese,
in una delle mie poesie preferite:
Quando Delacroix esponeva le proprie teorie
si faceva inquieto, perch difatti egli
non sarebbe mai riuscito a giustificare i notturni,
questi versi, ironici e teneri al tempo stesso,
mi avevano sempre colmato di una felicit
quasi altrettanto grande quanto la musica di Chopin.
Una cosa sapevo: neanche la notte va
giustificata, n il dolore, in nessundove.

I miei poeti preferiti


I miei poeti preferiti
non si sono mai incontrati
Vivevano in paesi diversi
e in epoche diverse
Circondati assediati dalla mediocrit
da gente buona da gente malvagia
vivevano con parsimonia
come la mela nel pomario
Amavano le nuvole
levavano i capi

trascorreva su di loro
la grande armata
della luce e dellombra
si proiettava il film
che non ha fine
Glistanti damarezza
passavano in fretta
cos come i barlumi di beatitudine
A volte sapevano
che cosa il mondo
di che sostanza fatto
e scrivevano parole dure
su tenera carta
A volte non sapevano
ignoravano, altre volte
ed erano come bambini
su un campo scolare
quando cade
la prima goccia
di tiepida pioggia

Chaconne
per Jaume Vallcorby
Sappiamo, tutti sanno, che parlava col Signore
in innumerevoli cantate e nelle passioni, ma c anche
la chaconne dalla seconda partita per violino solo:
qui, soltanto forse in questo dove, in questo luogo, Bach parla della propria vita,
tutta un tratto, inaspettatamente, ci racconta di se stesso,
irruentemente butta fuori tristezza e gioia
(perch questo tutto ci che abbiamo), disperazione per la perdita di moglie e figli,
pena per il fatto che tutto devesserci sottratto dal tempo,
ma anche lestasi di ore interminabili,
quando nellaria ammuffita di una tenebrosa chiesa,
solo, solitario come il pilota di un vol de nuit che traghetti la posta
verso i lidi di paesi stranieri, suonava lorgano e la parte inferiore delle sue dita percepiva
di quellorgano la pneumatica cedevolezza, il rapimento, il fremito e il tremore,
o quando udiva luniforme possente voce del coro, come se
una volta per tutte si fossero estinti i tafferugli fra gli esseri umani
- non daltro, peraltro, sogniamo anche noi,
se non di poter finalmente dire il vero sulla nostra vita,
e non facciamo altro che tentare e ritentare, maladroits et honteux, the rest is not our business,
e non faremo altro che tentare e ritentare epper, epper, ciononostante, nondimanco dove
sono,
dove potranno essere mai le nostre cantate dimmi ti prego, ti prego dimmi,
dimmi dov lautre ct de la vie, the other side of the wind
dimmi cosa guarisce dal tacere.

Il faggio

Che le tue ricerche interminabili,


i tuoi sogni della vampa, del grande fuoco,
del momento in cui si schiuder locchio dellazzurro,
non siano che unillusione, un trompe-lil in pi,
una chimera come tante altre?
Sei nelle Planty di Cracovia,
ti stai avvicinando al castello dove abitano
re, sogni e sciocche colombe.
Vedi un magnifico faggio che sprofondato
senza scampo nellautismo autunnale.
I rami come ragnatela fanno da sipario alle torri della cattedrale,
la vecchia campana dorme il sonno dei giusti.
La pioggia leggera ha in s un pizzico dironia
come un commento dotto a un testo sacro.
risaputo che in questo quartiere finanche i bambini
parlano piano, come se temessero qualcosa
e il Battifredo del Ladro, solido e massiccio, ricorda
linevitabile scherno del mondo.
forse vero, forse questa non che una chimera, un inganno della mente,
nientaltro che una specie di pio raggiro?
Ma se questa vampa non c,
allora non c niente, assolutamente niente,
non c che la ricerca, il silenzio e la notte,
e la scura infinit della pioggia.

La giungla
S, vero, nientaltro che una pura casualit: una citt della Slesia,
discariche allorizzonte, per strada persone anziane
parlanti una lingua addotta dallEst,
in sguito la scoperta della musica, Brubeck, Charlie Parker,
il concerto di Rachmaninov e la Settima Sinfonia,
la scoperta che c qualcosa daltro, di totalmente altro,
una musica fin dal principio estranea e avvenente come Greta Garbo
in un film di spionaggio, in mezzo a figure bigie,
e le prime poesie che avevano qualcosa da dirmi,
la vetrina della libreria come unasta di buone maniere,
ma anche un grasso sacerdote in una tonaca imbrattata
e linsegnante di storia mendace dal duro volto davvoltoio,
i balli scolastici, in cui le nostre compagne, talmente ordinarie,
si trasformavano improvvisamente in esseri misteriosi,
la strada maestra (aveva per noi laspetto del frammento
duna grande metropoli) e i giardini suburbani, olezzanti
di gramigne, e, in autunno, del succoso fumo dei focolari.
Perch proprio questo curioso accostamento di nero
e di bianco, di verde e dazzurro era il nero a prevalere
- e non le idee, non la quiete del laboratorio del filosofo,

non il bozzetto dellingegnere, la stenografia di mio padre,


solo il caos, il caos delle macchie, dei suoni e degli odori,
la giungla, il mirabile caos, che dopo
per tutta la vita si cercher di comprendere, di disporre in un ordine,
senza profitto, perch manca sempre tempo,
manca sempre cura, e rimarr in questo stato, alla bene meglio, in una brutta copia
attraversata dalle sghembe linee del violetto,
in una brutta copia le cui copertine cartonate
si rattrappiscono come le ali del pipistrello, in un quaderno
che ingiallisce e svanisce nellabisso
del cassetto pi basso, svanisce, epper in sostanza di cose
immortale.

Mare del nord


Tale infatti nelle nostre rappresentazioni il sapere:
scuro, salmastro, limpido, in continuo movimento,
profondamente libero
Elizabeth Bishop
Ma forse facevamo soltanto finta di non sapere niente.
Forse cos era pi facile, di fronte allenormit dellesperienza,
di fronte alle sofferenze (sofferenze altrui, in generale).
Forse cera in questo addirittura un po di pigrizia
e un briciolo di indifferenza ostentata. Forse pensavamo:
meglio essere un tardo epigono di Socrate
piuttosto che riconoscere che qualcosa tuttavia sappiamo.
Forse nelle lunghe passeggiate, quando ci si disvelavano
la terra e gli alberi, quando cominciavamo a capire qualcosa,
avevamo paura del nostro coraggio.
Forse il nostro sapere amaro, troppo amaro,
come le grigie fredde onde del mare del nord,
che ha risucchiato gi cos tante navi,
ma continua ad essere affamato.

Manet
Lartista pensieroso fuma il sigaro,
forse non soddisfatto,
oggi nulla gli riesce.
, questa, una colazione nello studio,
il limone tagliato come negli Olandesi.
Ma osserva, il modello, un giovincello
in redingote nera, si sente benissimo:
appoggiato al tavolo ci guarda
con uno sguardo di sfida
come si confatto agli esseri felici,
il cui unico compito

apparire, brillare, e che


a parte questo non hanno nessuna preoccupazione.
Sanno che vivranno eternamente
- sebbene senza memoria.

Sappiamo cos larte


Sappiamo cos larte, conosciamo bene il sentimento di felicit
che ci d, a volte arduo, amaro, dolceamaro,
e a volte soltanto dolce, come una leccornia turca. Apprezziamo larte
perch vorremmo sapere cos la nostra vita.
Viviamo, ma non sempre sappiamo cosa ci significhi.
Quindi viaggiamo, o semplicemente in casa apriamo un libro.
Ricordiamo il momento dilluminazione quando stavamo fermi davanti a un quadro,
e forse ricordiamo anche che nuvole scorrevano allora nel cielo.
Tremiamo sentendo il violoncellista suonare
le suites di Bach, o ascoltando il pianoforte cantare.
Sappiamo cosa pu essere la grande poesia, un testo poetico
scritto tremila anni fa o ieri.
Eppure non comprendiamo perch a volte al concerto
ci avvolge lindifferenza. Non comprendiamo perch
alcuni libri sembrano offrirci il perdono, la remissione
mentre altri non nascondono la propria rabbia. Lo sappiamo, e poi lo dimentichiamo.
A stento riusciamo a figurarci la ragione per la quale cpita che le opere darte
si accartoccino, si raggomitolino, chiudano come un museo italiano in un giorno di strajk
(sciopero)1.
Il perch anche le nostre anime si accartoccino, si raggomitolino a volte e chiudano
come un museo italiano in un giorno di strajk (sciopero).
Il perch larte taccia, quando accadono cose orrende,
a stento riusciamo a figurarci la ragione per la quale dellarte in quei momenti non abbiamo bisogno
come se le cose orrende
ricolmassero il mondo totalmente, completamente, fino al tetto.
Non sappiamo cos larte.

In italiano nelloriginale

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