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Nm. 8/9, 2003/2004, ISSN 1135-9730

La ricerca della norma nei dialletti italiani


e nelle lingue minoritarie
La recerca de la norma en els dialectes italians
i en les llenges minoritries

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

269-270

NORME TIPOGRAFICHE E CRITERI EDITORIALI


Tutti i contributi che verranno proposti alla redazione dovranno pervenire per
mail oppure in copia cartacea e su supporto elettronico in dischetto 3 1/2 per
PC con documento in formato Word 6.0 o 7.0 per Windows (o comunque
facilmente convertibile).
Se non previamente concordato, il testo non dovr superare le 40.000 battute (note a pi di pagina comprese). Si prega di usare il carattere Times New
Roman o il Courier New in corpo 12 con interlinea 1,5. I margini del documento saranno tutti di 2 cm. (in alto, in basso, a destra e sinistra). Il titolo
andr in maiuscolo mentre il nome e il cognome dellestensore saranno riportati in corsivo e seguiti nella riga successiva dal nome delluniversit o dellente di appartenenza e, a discrezione dellautore, dallindirizzo di posta elettronica.
Insieme al testo si dovr consegnare (in un file diverso) un abstract dellarticolo
e alcune parole-chiave (non pi di 5).
CITAZIONI
Le citazioni interne al testo, se brevi, saranno inserite fra virgolette caporali ();
se lunghe, andranno in corpo minore (10) con interlinea 1 e rientro di 1 cm.
Le virgolette alte () si useranno per le citazioni interne ad altre citazioni.
I titoli delle poesie andranno sempre in corsivo, come pure i termini stranieri non accettati in italiano.
Lesponente del rinvio per le note a pi di pagina verr inserito dopo la punteggiatura e le parentesi ma preceder sempre la lineetta, come nei seguenti
esempi:
Ne parleremo in seguito.1
Non serve aggiungere (e sia detto tra parentesi)2 nientaltro.
Non necessario tranne in pochissimi casi3 specificare ulteriormente la questione.

I riferimenti bibliografici andranno esplicitati in nota, segnalando per esteso


nome e cognome (questultimo in maiuscoletto) dellautore, luogo di edizione, anno, pagina/-e (p.). Si prega di riportare integralmente il numero delle
pagine: p. 345-347 e non 345-47. Se si fa riferimento ad unedizione successiva
alla prima sar bene indicarlo aggiungendo un esponente allanno di pubblicazione e riportando fra parentesi quadre la prima edizione. Ci si pu basare sul
seguente modello:
Francesco ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino: Einaudi,
19873 [1973], p. 130-131.

270 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

I titoli degli articoli vanno inseriti fra virgolette caporali mentre i titoli delle
riviste andranno sempre in corsivo come nellesempio:
Cesare SEGRE, La critica semiologica in Italia, Quaderns dItali, n. 1, 1996,
p. 21-28.

Nel caso di volume collettivo si dovr specificare il nome del curatore seguito, senza virgola interposta, dalla formula: (a cura di). Per la citazione di un
singolo articolo ci si atterr a questo criterio:
Giorgio BRBERI SQUAROTTI, Il simbolo dellartifex, in Emilio MARIANO (a cura
di), DAnnunzio e il simbolismo europeo. Atti del convegno di studio Gardone Riviera (14-15-16 settembre 1973), Milano: Il Saggiatore, 1976, p. 163-196.

Si cercher sempre di evitare la formula AA.VV.


ALTRI SEGNI DIACRITICI
Si eviter sempre luso delle sottolineature.
Si eviter sempre di usare lapostrofo al posto dellaccento con le lettere maiuscole (per cui si scriver e non E, ecc.).
Si cercher di differenziare graficamente il trattino dalla lineetta. Es.:
Facendo attenzione a questi segni per quanto possibile si eviteranno ulteriori problemi.

dizionario italiano-spagnolo.
ABREVIAZIONI E SIMBOLI
Cfr. (evitare v. o vd.)
n. = numero/-i
fasc. = fascicolo
ibid. = stesso testo (con ulteriore specificazione di pagina)
ID. = stesso autore
op. cit. / cit.
vol. = volume/-i
p. = pagina/-e
passim

ndex
Quaderns dItali
Nm. 8/9, p. 1-270, 2003/2004, ISSN 1135-9730

Dossier
7-8

Presentaci

9-10

Premessa

11-26

Paola Beninc
Dialetti dItalia e dialetti dEuropa

27-37

Fiorenzo Toso
Prestigio culturale ed esigenze normative nelle tradizioni linguistiche regionali italiane. Unesperienza di ricerca

39-50

Stefano Magni
Il friulano: storia e usi letterari

51-66

Giuseppe Polimeni
I volgari municipali e laffioramento di una scripta nel medioevo
lombardo

67-90

Riccardo Drusi, Piermario Vescovo


Prima e dopo la letteratura. Il veneziano e il fantasma della grammatica

91-104

Gabriella Gavagnin
Il dialetto napoletano si deve scrivere come si parla? Polemiche ottocentesche sullortografia del napoletano

105-121 Oscar Diaz Fouces


La codificaci del gallec o el pndol que no satura
123-132 Gabriella Gavagnin, Piero Dal Bon con la collaborazione di
Pietro Benzoni, Giulia Calligaro e Sebastiano Gatto
Gli scrittori e la norma: interviste a Raffaello Baldini, Pierluigi
Cappello, Luciano Cecchinel, Amedeo Giacomini e Ida Vallerugo

4 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

ndex

133-137 Raffaele Pinto


La legge per la tutela delle minoranze linguistiche. A proposito
degli Atti di un Convegno
Traduccions
141-152 Jordi Domnech
Poesia dialectal dItlia
Articles
155-166 Claudio Marazzini
Litaliano nellepoca della globalizzazione
167-193 Emilio DAgostino
Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno e la menzogna in italiano
195-208 Francesco Ardolino
Vita Nuova, XIX. Intorno a una traduzione di Joan Maragall
209-222 Rossend Arqus
Roma, ciutat absent (o quasi) en lobra de Josep Pla
223-248 Pietro Benzoni
Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia
Notes
251-256 Ennio Bispuri
Leterno presente nella poesia di Giorgio Brberi Squarotti
Ressenyes
257-259 Guido Gozzano. Poemas (Elitza Popova)
259-261 Giorgio Manganelli. Encomio del Tirano escrito con la nica finalidad de hacer dinero (Albert Fuentes)
262-263 Francesco Petrarca. Triunfos (Luigi Giuliani)
264-267 Cristina Barbolani. Virtuosa guerra di verit. Primi studi su Alfieri
in Spagna (Franco Vazzoler)

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

11-26

Dialetti dItalia e dialetti dEuropa


Paola Beninc
Universit di Padova

Abstract
Prendendo spunto da un incontro fra linguisti e dialettologi europei che progettano atlanti sintattici dei dialetti dei loro paesi, il lavoro presenta alcune riflessioni sullo statuto dei
dialetti nei diversi paesi dEuropa. Esaminando le situazioni di alcuni paesi a confronto
con quella italiana, si sostiene che per render conto delle differenze nello sviluppo degli
studi grammaticali riguardo ai dialetti si debbano valutare sia le ragioni sociolinguistiche,
che hanno origini storiche e politiche, sia la tradizione degli studi grammaticali nei diversi paesi. Questi fattori interagiscono nel far s che un dialetto sia percepito o meno come
una lingua, sia studiato e si conservi nella sua area di variazione.
Parole chiave: dialetti Italiani, dialetti Europei, sintassi, atlanti dialettali.
Abstract
Starting from the encounter between European linguists and dialectologists projecting a
syntactic atlas of the dialects within their countries, the article presents certain reflections
on the status of dialects in a number of European countries. Examining the situation of certain countries with respect to that in Italy, the article puts forward the view that, in order to
inform on the difference in the development of the grammatical studies with reference to
dialects, it is essential to evaluate those sociolinguistic reasons having historical and political origins, as well as the tradition of grammatical studies within various countries. These factors can be seen interacting in the ways in which a dialect is or is not perceived as a language,
affecting whether it is studied and whether it is conserved within its own area of variation.
Key words: Italian dialects, European dialects, syntax, dialect atlas.

1. Atlanti sintattici dei dialetti dEuropa


Si svolto recentemente a Padova un workshop esplorativo1 che potrebbe preludere a una rete di attivit coordinate, promosse dalla European Science Foundation: si trattato di un incontro in cui venivano presentati, confrontati e
1. European Dialect Syntax, Exploratory Workshop of the European Science Foundation, Standing Committee for the Humanities, Universit di Padova/CNR, 11-13 settembre 2003.

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Paola Beninc

discussi progetti di ricerca per la costruzione di atlanti in cui rappresentare


la variazione sintattica dei dialetti parlati allinterno dei vari stati nazionali
dEuropa.
Risulta dai progetti presentati e dai risultati di alcuni di questi che le modalit della raccolta e della registrazione, pur collegandosi idealmente ai tradizionali atlanti dialettali, fanno ricorso a tutte le risorse informatiche che
permettono di risparmiare tempo e denaro e di mettere a disposizione degli
studiosi i materiali raccolti e analizzati, con un accesso che consente ricerche
anche incrociate, molto difficoltose con gli atlanti tradizionali.
Il metodo della ricerca sintattica ha caratteristiche talmente diverse da quello della fonologia e della morfologia, essendo diversa cos la base di dati come
il formato delle ipotesi teoriche e delle conclusioni descrittive, che inevitabilmente le modalit della raccolta e del trasferimento dei risultati hanno caratteristiche diverse da quelle tradizionali utilizzate finora. Una raccolta sintattica
pu sfruttare al meglio e in modo pi immediato le possibilit tecnologiche
attualmente disponibili, ma non si vuol sostenere con questo che la sintassi
avesse bisogno di queste tecnologie per essere documentata e comparata. un
dato di fatto che i dati sintattici sono presenti negli atlanti dialettali esistenti solo
in modo marginale, con dati in genere raccolti pi o meno casualmente, allo
scopo per esempio di presentare il contesto di fenomeni fonologici, o di ottenere paradigmi morfologici, o per arricchire la documentazione di tipi lessicali specifici.2 Non perch fosse tecnicamente pi difficile, ma perch non si
sapeva bene che cosa cercare. Mentre la variazione fonologica, morfologica,
lessicale, si proiettava su teorie dei diversi livelli chiare, discusse, ricche di correlati empirici, la sintassi poteva solo rifarsi alla grammatica tradizionale, come
cornice teorica, e non poteva vedere uno scopo chiaro nel documentare la
variazione.
La raccolta di dati sintattici pu risultare per molti aspetti pi semplice
che la raccolta di dati pertinenti per fonologia, morfologia e lessico; non
necessario infatti utilizzare trascrizioni fonetiche sofisticate, n cercare informatori con particolari caratteristiche di purezza linguistica, per cui, almeno
in presenza di determinate situazioni sociolinguistiche, possono essere utilizzati
questionari scritti che vengono riempiti dallinformatore autonomamente.
Se si tengono presenti alcuni rischi possibili e se la situazione generale perI promotori dellincontro erano Bernd Kortmann, Freiburg, Elvira Glaser, Zrich, Cecilia
Poletto, Padova, Hans Bennis e Sjef Barbiers, Amsterdam. Il sito internet del Meertens
Instituut di Amsterdam metter a disposizione i collegamenti internet con i vari progetti
e le loro banche-dati.
2. Una sezione specificatamente dedicata a frasi da tradurre si trova nel questionario della
Carta dei Dialetti Italiani, promossa e diretta da Oronzo Parlangli. I dati raccolti non sono
mai stati pubblicati; sono in corso di trasferimento da nastro magnetico (inchieste sonore)
a CD-rom, presso la sezione di Dialettologia dellex Istituto di Fonetica e Dialettologia del
CNR, Universit di Padova. Molte delle frasi proposte per la traduzione avevano in realt
lo scopo di ottenere dati lessicali, oppure morfologici, ma alcune strutture sintattiche erano
effettivamente mirate (accanto ai 3 tipi di periodo ipotetico, si trovano, ad esempio, qualche frase interrogativa e due frasi relative restrittive).

Dialetti dItalia e dialetti dEuropa

Quaderns dItali 8, 2004 13

mette di neutralizzarli, il questionario scritto pu essere anzi il miglior modo


di raccogliere dati dialettali, quello che d il massimo di informazioni utili sullarticolazione lessicale e morfologica della sequenza e sulle intuizioni sintattiche del parlante.
Quindi, non sono difficolt tecniche quelle che hanno ritardato la documentazione sistematica della sintassi dialettale, ma difficolt teoriche: per essere visti e descritti, i fenomeni devono essere rilevanti rispetto a una qualche
teoria.
Tuttavia, la sintassi dei dialetti italiani stata pi studiata rispetto ai dialetti di altre nazioni europee, e un progetto di atlante sintattico stato avviato vari anni fa e ha prodotto una raccolta sistematica di dati pi ricchi che altre
nazioni. Vorrei qui cercare di individuare alcune delle ragioni che spiegano
questo netto e visibile divario: esse saranno da un lato da ricercare nelle caratteristiche sociolinguistiche dei dialetti italiani, dallaltro anche nella storia della
ricerca nei diversi paesi.
2. Dialetti e ricerca in Europa
Lincontro di Padova stato molto interessante e fruttuoso da vari punti di
vista; in particolare il confronto fra le diverse esperienze ha messo in luce, pi
ancora di quanto gi non si sapesse, le differenze fra i diversi paesi, per quanto riguarda sia larticolazione e la stratificazione delle lingue nelle diverse situazioni sia lorganizzazione della ricerca.
Gi con uno sguardo al programma si potevano notare lacune su cui riflettere. Nessuno ha portato infatti esperienze o progetti dalla Francia; dalla Spagna si parlato di un progetto per la Catalogna (Gemma Rigau); per la Gran
Bretagna hanno parlato ricercatori tedeschi (Bernd Kortmann e Lieselotte
Anderwald) e un anglista scandinavo (Juhani Klemola).3
Ricche presentazioni di progetti accompagnate da analisi teoriche della
variazione hanno riguardato le variet germaniche occidentali (dOlanda e Belgio e della Germania settentrionale), le variet tedesche di Baviera e Svizzera,
le variet nordiche della Scandinavia, il portoghese, litaliano.
Il materiale preparatorio, fatto circolare in precedenza fra i partecipanti
da parte degli organizzatori, presentava la situazione di vari progetti esistenti in Europa: dei cinque progetti, il pi antico di gran lunga il progetto italiano, sulla sintassi dei dialetti dellItalia settentrionale (ASIS), che da qualche
anno sta affrontando anche la sintassi dei dialetti centro meridionali (ASIM).
Mentre gli altri quattro progetti risultano iniziati fra il 2000 (dialetti nederlandesi, inglesi, tedeschi della Svizzera) e il 2001 (dialetti dei Rom dEuropa), il progetto italiano risulta in questa documentazione attivo dal 1992. In
realt, la prima notizia del progetto del 1989, e la prima relazione a un con3. Era in realt prevista la partecipazione di due studiose della Gran Bretagna, Karen Corrigan
e Jenny Cheshire, che non poterono partecipare allincontro; esse non si occupano tuttavia di sintassi dialettale.

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Paola Beninc

vegno del 1991.4 Si potrebbe anche sostenere che lASIS ha ispirato le iniziative successive, ma sicuramente ha ispirato il progetto di un atlante sintattico dei dialetti inglesi in una regione americana, quella dei monti Appalachi.
Che lispirazione per questa impresa sia venuta dallASIS lo ha dichiarato in
un recente convegno Christina Tortora5 (CSI, New York), che con Raffaella
Zanuttini (Georgetown, Washington) e Marcel den Dikken (CUNY, New
York) e Judy Bernstein (W. Paterson Univ.) lha ideata e la dirige. I nomi di
questi studiosi di pi o meno recente origine europea fanno pensare che
anche la loro cultura nativa abbia avuto un peso nellispirare il loro progetto.
Le aree che risultano pi nettamente scoperte rispetto a questo tipo di indagine sono la Francia, la Gran Bretagna e la Spagna castigliana, e non sembra
azzardato supporre che queste aree siano radicalmente diverse per quanto riguarda lo statuto che le parlate diverse dalla lingua standard hanno in questi paesi,
sia dal punto di vista sociolinguistico, sia pi in generale sullauto-percezione
che i parlanti hanno delle variet linguistiche. Penso che su tutto questo abbia
influito non solo la storia politica e sociale ma anche il modo in cui si sviluppata la ricerca linguistica nei diversi paesi, e che i due aspetti siano in relazione dialettica reciprocamente.
Un paese come la Catalogna , ad esempio, unarea in cui c stata una storia linguistica ricca di esperienze importanti e un processo politico che ha portato a riflessioni e prese di posizione aperte ed esplicite, con un riconoscimento
formale e processi di standardizzazione. Accanto a questo, si avuta una continua riflessione linguistica, che ha mantenuto viva la percezione dellunitariet dellarea e dellimportanza delle variet per una migliore comprensione
dei fenomeni grammaticali di tutti i livelli. C il rischio a volte che i processi di standardizzazione si configurino come sta accadendo in Friuli e nelle
aree dolomitiche come forme di normativismo, da cui deriva insicurezza
nei parlanti dialetto e un livellamento, se non sparizione, delle peculiarit dialettali. Ho limpressione che questo in Catalogna non sia avvenuto e che la
costruzione di uno standard unitario sia andato di pari passo con lattenzione
e la cura per mantenere vive le differenze.
La Scandinavia unita, oltre che da vicende storiche, dallobiettiva vicinanza grammaticale fra le diverse lingue; inoltre, la ricerca linguistica su questarea fin dallinizio si dedicata alla ricostruzione razionale delle relazioni fra
4. Cfr. P. BENINC, Per un atlante dialettale sintattico, in G. BORGATO e A. ZAMBONI (a
cura di), Dialettologia e varia linguistica per Manlio Cortelazzo, Padova: Unipress, 1989,
p. 11-17; P. BENINC e C. POLETTO, Il modello generativo e la dialettologia: unindagine
sintattica, Rivista Italiana di Dialettologia, n. 15, 1991, p. 77-97; P. BENINC, Geolinguistica e sintassi, in Giovanni RUFFINO (a cura di), Atlanti linguistici italiani e romanzi: esperienze a confronto. Atti del Congresso internazionale (Palermo, 3-7 ottobre 1990), Palermo:
Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1992, p. 29-41. Rimando a questi lavori per
informazioni sul progetto e sulla sua metodologia.
5. Ch. TORTORA, La variazione sintattica e i dialetti appalachiani, relazione presentata al
convegno su I dialetti e la montagna, Sappada, luglio 2003, in stampa negli Atti, a cura di
G. Marcato, Padova: Unipress, 1993.

Dialetti dItalia e dialetti dEuropa

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le diverse lingue, a cominciare dallevoluzione fonologica; impossibile distinguere chiaramente in questo caso le cause dagli effetti, ma sta di fatto che nelleducazione linguistica anche scolastica dei singoli paesi scandinavi si propone
un modello comparativo che tratta la lingua dei singoli paesi come una variazione allinterno di un sistema linguistico unitario.6
Nel caso della Germania, larea bavarese ha una sua tradizionale individualit, ma credo che non sia privo di importanza il fatto che su questarea
sono stati fatti alcuni primissimi lavori di sintassi teorica che prendeva come
oggetto variet dialettali.7 I dialetti basso tedeschi dellarea nord-occidentale
si appoggiano alle variet nederlandesi dOlanda e del Belgio, lingue nazionali, e anche qui si avuta ricerca linguistica mirata a utilizzare la variazione per
una migliore comprensione dei fenomeni.8
Rispetto ad aree come quelle citate, la peculiarit dellItalia consiste nel
fatto che le situazioni favorevoli alla vitalit e visibilit dei dialetti sono qui
molto pi estese nel territorio e molto pi profondamente radicate. Tutta lItalia non tanto unarea dialettale quanto piuttosto un insieme di aree dialettali, perch non ha avuto mai un centro sufficientemente stabile e forte dal
punto di vista economico e culturale, ma sempre una pluralit di centri influenti, pi o meno equilibrati per prestigio e forza; questo ha permesso la sopravvivenza nei secoli di tante piccole lingue, a loro volta centri di aree di variazione
dialettale. La fisionomia di queste aree varia, in relazione alle caratteristiche
della loro storia e della loro organizzazione economica e sociale; esse hanno
assunto al nord una fisionomia piuttosto di ambito regionale, al centro e al
sud di ambiti pi circoscritti. Fra le regioni settentrionali, per esempio, Lombardia, Veneto, Piemonte, costituiscono ampie aree dialettali unitarie, per il
fatto che i loro centri Milano, Venezia, Torino erano abbastanza forti e
prestigiosi da esercitare uninfluenza unificatrice su unarea regionale e controbilanciare contemporaneamente linflusso dei centri regionali vicini. NellItalia meridionale e centrale la situazione molto pi frammentata: ad esempio,
in Campania, Abruzzo, Puglia e Calabria si possono invece osservare microa6. Ho ricavato queste informazioni da una conversazione con il linguista norvegese Oystein
Vangsnes. Per alcuni fra i primi lavori di sintassi scandinava si veda, fra altri, L. HELLAN e
K. K. CHIRSTENSEN (a cura di), Topics in Scandinavian Syntax, Dordrecht: Reidel, 1986.
7. Penso in particolare ai lavori di Joseph Bayer, fra cui ricordo COMP in Bavarian syntax,
The Linguistic Review, n. 3, 1984, p. 209-274; J. BAYER, What Bavarian negative concord
reveals about the syntactic structure of German, in J. MASCAR e M. NESPOR (a cura di),
Grammar in Progress, Dordrecht: Foris, 1990, p. 13-23.
8. Gli studi di dialettologia nederlandese hanno una lunga tradizione, anche per la sintassi (
del 1938 il lavoro di J. van Ginneken sui prefissi nei dialetti olandesi). Fra gli esempi
recenti si veda L. HAEGEMAN, Theory and description in generative grammar. A case study
in West Flemish, Cambridge: CUP, 1992; E. HOEKSTRA e C. SMITS, Vervoegde voegwoorden in de Nederlandse dialecten, in E. HOEKSTRA e C. SMITS (a cura di), Vervoegde
Voegwoorden, Amsterdam: Cahiers van het P.J. Meertensinstituut, 1997; J. VAN DER AUWERA, Dutch verbal prefixes. Meaning and form, grammaticalization and lexicalization, in
L. MEREU (a cura di), Boundaries of morphology and syntax, Amsterdam: Benjamins, 1999,
p. 121-135.

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Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Paola Beninc

ree dialettali, pi piccole delle regioni storiche, a cui si sovrappone linflusso


di un centro come Napoli, che si estende al di l dei confini regionali.
Questo ha prodotto la costituzione di gruppi dialettali come sistemi alquanto solidi e resistenti allinflusso della lingua standard, nonostante si continui
a temerne ormai da secoli limminente scomparsa.9 Si potrebbero citare molti lavori, teorici e empirici, che hanno analizzato da vari punti di vista tutto
questo: mi limiter a citarne due, non recenti ma tuttora illuminanti. John
Trumper present nel 1975 a un convegno della Societ di Linguistica Italiana10 unanalisi della situazione sociolinguistica italiana con la quale identific
due tipi basilari di diglossia, la micro- e la macrodiglossia, che distinguono le
regioni italiane: la microdiglossia tipica delle regioni in cui si hanno aree dialettali molto circoscritte, a volte limitate al paese o al villaggio, dove i parlanti possono usare o il dialetto locale o la variet di italiano regionale, talvolta
litaliano standard. Una regione caratterizzata da macrodiglossia dove un dialetto locale non isolato di fronte allitaliano standard, ma sorretto da una
variet anche non stabile e fissata di variet regionale o comunque di
ambito pi ampio, che gli permette di comunicare al di fuori dellambiente
locale senza dover passare allitaliano. In regioni come il Veneto o la Campania, questa strutturazione molto ricca di stratificazioni, per cui si hanno anche
tre livelli di dialetto: un valligiano dellarea bellunese avr competenza del dialetto strettamente locale del villaggio, di un dialetto di ambito meno ristretto
per comunicare nella provincia, pi o meno, e di un livello ancora pi ampio
che tiene in considerazione la regione. Allestremo opposto Trumper aveva
individuato lEmilia-Romagna; qui i dialetti locali non hanno a disposizione una
variet dialettale di ambito pi ampio, ma si alternano soltanto con litaliano
(pi o meno connotato da tratti regionali). In regioni come questa il dialetto
veramente in pericolo, tende a sopravvivere in parole isolate e ad essere usato
in occasioni molto limitate. Ma le regioni come lEmilia-Romagna sono pochissime; molte, pur non raggiungendo la stabile e articolata struttura del Veneto, hanno situazioni macrodiglossiche che coprono aree pi ristrette della
regione, ma pi ampie del villaggio.
A questo lavoro di Trumper si pu accostare utilmente la riflessione complementare di Alberto Mioni sulla specificit della diglossia italiana (1989);11
9. Sono interessanti i dati ISTAT sulluso del dialetto e della lingua in Italia, da cui si ricava che
fra il 1996 e il 2000, mentre leggermente aumentata la percentuale di coloro che parlano
in casa solo italiano, aumentata anche e di pi la percentuale di chi parla in casa
sia italiano che dialetto; in alcune regioni, come il Piemonte, il Veneto, il Friuli, il Lazio,
la Campania, laumento della percentuale di chi parla in casa ambedue le lingue compensa ampiamente il calo nelle percentuali di chi parla solo dialetto (vedi anche M. M. caps
Parry, The Challenges to Multilingualism Today, in A. L. LEPSCHY e A. TOSI (a cura di),
Multilingual Italy, Oxford: Legenda, 2003, p. 47-59).
10. J. TRUMPER, Ricostruzione nellItalia settentrionale: sistemi consonantici, relazione presentata al convegno della SLI, Pavia 1975. In R. SIMONE e U. VIGNUZZI (a cura di), Problemi
della ricostruzione in linguistica, Roma: Bulzoni, 1977, p. 250-310.
11. Si veda in particolare A. MIONI, Osservazioni sui repertori linguistici in Italia, in G. BORGATO e A. ZAMBONI (a cura di) Dialettologia e varia linguistica per Manlio Cortelazzo, Pado-

Dialetti dItalia e dialetti dEuropa

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mentre in altre situazioni la diglossia comporta una specializzazione funzionale dei diversi codici, con una scala di relativa altezza di stile, nella diglossia italiana, per le ragioni che abbiamo brevemente indicato, le funzioni dei
due (o pi) codici si sovrappongono in buona parte. Le stesse funzioni stilistiche (escluso in certi casi lo stile pi alto e quello pi basso) sono ricoperte sia dal dialetto sia dalla lingua: la scelta fra i due codici dipende dal luogo
geografico da cui proviene linterlocutore. Ne deriva che i dialetti sono parlati (in linea di principio) da una gamma estesa di strati sociali e non sono
ristretti, come ad esempio in Francia o in Inghilterra, agli strati sociali pi
bassi. Anche questo uno dei fattori che, combinati insieme, hanno permesso
prima di tutto ai dialetti delle aree con macrodiglossia di evolversi in modo
naturale, resistendo allinflusso dellitaliano pi o meno comune, ma direi
che hanno dato anche un sostegno ideologico agli altri dialetti, che pur pi
scoperti nel confronto con la lingua nazionale, hanno potuto tuttavia sopravvivere bene fino ad oggi e conservare molte delle loro distintive caratteristiche
grammaticali.
La variet regionale o sub-regionale prodotta dalla macrodiglossia si avvicina al concetto di koin, quella variet che si forma spontaneamente per sottrazione di peculiarit locali e si colloca al di sopra di un insieme di lingue poco
differenziate. E da sottolineare infatti che in queste variet sopra-locali vengono eliminati tutti i tratti peculiari, propri di una sola localit, compreso il
centro di prestigio intorno a cui si organizza larea linguistica. Si pu sostenere con buoni argomenti, ad esempio, che litaliano la continuazione del fiorentino;12 tuttavia, in italiano non sono entrati i tratti linguistici propri della
variet di Firenze, che non sono mai stati tratti prestigiosi. Nel Veneto, la cui
situazione linguistica a me pi familiare, evidente che non sono i tratti
distintivi del veneziano quelli che caratterizzano la koin regionale. Su processi di ripulitura e livellamento di questo tipo, che eliminano anche i tratti
tipici della variet di prestigio, si fonda la formazione di una lingua, che perde
caratteri locali man mano che si estende ad aree pi ampie.13

va: Unipress, 1989, p. 421-429. Il lavoro riprendeva e utilizzava per litaliano una ricerca pi
generale, Standardization processes and linguistic repertoires in Africa and Europe: some
comparative remarks, in P. AUER a A. DI LUZIO, Variation and Convergences, Berlino: De
Gruyter, 1988, p. 294-320.
12. Si veda L. RENZI, ItalAnt: come e perch una grammatica dellitaliano antico, Lingua
e Stile, n. 35, 4 , 2000, p. 717-729.
13. Per processi simili, ma pi recenti, di creazione spontanea di koin in epoca moderna si
veda il dettagliato e complesso studio condotto sullarea del Limburgo belga da Frans Hinskens nella sua tesi di dottorato, Dialect Levelling in Limburg, Universit Cattolica di Nimega, 1992.
Un aspetto su cui si potrebbe ulteriormente indagare quello che riguarda la presenza
in una koin di strutture facoltative: sembra di poter dire che strutture che si presentano
diverse nelle variet su cui insiste una koin entrano a far parte della lingua comune come
scelte facoltative.

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Paola Beninc

3. Dialetti e ricerca in Italia


Lesistenza in Italia di una variet di sistemi linguistici differenziati, condivisi
in linea di principio da tutte le classi sociali, ha prodotto una consapevolezza
molto particolare per quanto riguarda la loro osservazione e descrizione, una
profondit nella comprensione dei fenomeni che non ha molti paragoni in
altre aree linguistiche. Si pu supporre che questa situazione abbia avuto conseguenze anche sullevoluzione della ricerca linguistica.
Per fare un esempio, andiamo a uno dei primi lavori italiani di riflessione
sociolinguistica, che ha avuto un notevole ruolo paradigmatico14 per la sua
limpidezza e concretezza, costituendo in un certo senso la premessa empirica
dei lavori citati sopra; dovuto a Giovan Battista Pellegrini e comparve per la
prima volta nel 1960.15 Pellegrini notava come in uno stesso parlante frequentemente coesistono quattro variet linguistiche di cui ha competenza attiva o passiva: il dialetto locale, il dialetto regionale, litaliano regionale, litaliano
comune. Si tratta di idealizzazioni, come dice Pellegrini stesso, notando come
solo i due estremi, litaliano comune e pi ancora il dialetto locale siano sistemi in qualche modo stabili e uniformemente presenti nei parlanti, mentre le altre
due entit sono alquanto variabili. Tuttavia esistono, e spesso uno stesso parlante passa dalluno allaltro a seconda delle circostanze. Per documentare lassunto, Pellegrini presenta e commenta dal punto di vista morfologico,
fonologico, lessicale quattro traduzioni della Parabola del Figliol Prodigo nei
quattro registri disponibili per un parlante del Veneto settentrionale (area di
macrodiglossia, diremmo con John Trumper). Non credo che sia mai stato
sottolineato il fatto che Pellegrini, per esemplificare questa stratificazione di
competenze allinterno del parlante, non ha ricavato i dati da testi scritti o da
inchieste registrate, non ha consultato banche dati n percorso vallate e strade
cittadine cercando di cogliere dal vivo frasi da confrontare. Come via daccesso pi naturale ai dati che gli interessavano ha scelto istintivamente lintrospezione, immaginando se stesso nelle diverse situazioni e trascrivendo le frasi
nelle forme lessicali, morfologiche e sintattiche dei diversi registri. Pur essendo un dialettologo tradizionale con grande rispetto per lautenticit del dato
linguistico, ha usato quel procedimento, lintrospezione del linguista, variamente discusso e a volte violentemente criticato, che da sempre il caratteristico procedimento dei sintatticisti generativi.
Accanto a Pellegrini possiamo collocare Giulio Lepschy, che fra gli anni
70 e gli anni 80 present interessanti e singolari lavori di descrizione grammaticale dellitaliano e del veneziano, in qualche caso con una comparazione
14. Si veda ad esempio lapplicazione che ne hanno elaborato Giulio C. LEPSCHY e A. L. LEPSCHY,
in The Italian Language Today, Londra: Hutchinson, 1977 (in italiano: La lingua: storia,
varieta delluso, grammatica, Milano: Bompiani, 1981).
15. G. B. PELLEGRINI, Tra lingua e dialetto in Italia, comunicazione presentata alla 47 riunione della Societ Italiana per il Progresso delle Scienze (Trieste, 1959), Studi Mediolatini
e Volgari, n. 8, 1960, p. 137-53 (poi in ID., Saggi di linguistica italiana, Torino: Boringhieri,
1975, p. 11-35).

Dialetti dItalia e dialetti dEuropa

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 19

fra le due grammatiche, anche in questo caso ricorrendo fondamentalmente


allintrospezione. Pur essendo, com noto, un profondo conoscitore delle teorie linguistiche pi attuali, Lepschy non le utilizza nei suoi lavori se non indirettamente, e mostra quindi come la grammatica tradizionale, se usata come una
teoria empirica, sia un quadro teorico pi che sufficiente per produrre lavori
descrittivi molto sofisticati e in grado di porre problemi teorici che talvolta
attendono ancora di essere risolti.16
Gli esempi diversi di Giovan Battista Pellegrini e di Giulio Lepschy ci portano a valutare un altro aspetto peculiare dei dialetti italiani, forse non unico
in Europa ma certo in nessun paese diffuso come in Italia, cio il fatto che,
essendo i dialetti presenti e vivi in ogni strato sociale, molto facile incontrare linguisti dialettofoni.
Questi esempi mostrano anche come la riflessione sintattica dovrebbe essere proprio il campo di elezione per la dialettologia italiana: e con questo siamo
tornati al punto di partenza, al fatto che in Italia un progetto di rilevamento sistematico di dati sintattici dialettali si sviluppato prima che in altre aree dEuropa, bench i primi lavori di sintassi condotti con un quadro teorico venissero
dedicati a dialetti pressa poco intorno agli stessi anni cio nei primi anni 80
sia in Italia sia in altri paesi Europei.17
importante sottolineare che, come si detto indirettamente, il nostro
progetto iniziato e si sviluppato in questi 10 anni prendendo in considerazione, di proposito, solo dialetti dellItalia settentrionale.
La ragione che sembra pi evidente il fatto che essi formano una sorta di
macro-sistema dialettale, con caratteristiche che li uniscono e li separano dagli
altri dialetti italiani. Ma avr un peso anche il fatto che le indagini scientifiche sui dialetti italiani, nate intorno alla fonologia, prima diacronica e poi
anche sincronica, hanno avuto uno sviluppo disuguale nelle due parti dItalia, in particolare nella fase iniziale (Ottocentesca) di fondazione della disciplina; fenomeni sintattici dei dialetti settentrionali (inclusa larea svizzera)
sono stati notati e descritti gi dai dialettologi dellOttocento, cosa che non
avvenuta nella stessa misura per lItalia meridionale; inoltre, va sottolineato
che il lavoro enorme che la linguistica ha fatto per la determinazione delle
relazioni etimologiche illumina la morfologia e la struttura delle forme, chiarendo anche la sintassi, in particolare tutto quello che coinvolge gli elemen16. Sono lavori comparsi fra gli anni 70 e 80, poi riuniti nei volumi dello stesso Lepschy, Saggi
di Linguistica Italiana (1978), Mutamenti di prospettiva nella linguistica (1981) e Nuovi
Saggi di Linguistica Italiana (1989), tutti usciti a Bologna, presso Il Mulino. Lepschy prende sul serio, di nuovo in tutta la sua potenzialit empirica, anche la storia della linguistica
come storia della ricerca, un continuo di osservazioni, intuizioni, generalizzazioni, che
utile conoscere e su cui ancora possibile e produttivo tornare per costruire con strumenti teorici attuali: si veda, per un esempio, Larticolo indeterminativo. Note per la storia
della grammatica italiana (1987), ripubblicato in Nuovi Saggi, cit., p. 143-151.
17. Si noti che non compaiono fra questi primi lavori di sintassi che abbiamo esemplificato sopra in nota n dialetti inglesi, n francesi (di Francia), n spagnoli: e questa assenza persiste tuttora, come dicevamo.

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ti funzionali. Questo lavoro di fonologia diacronica stato condotto in maniera pi sistematica nellItalia settentrionale che per le variet dellItalia centro
meridionale.
Accanto a questi motivi, forse stato importante anche il fatto che alcuni
dei fenomeni che caratterizzano i dialetti settentrionali e sono assenti nel resto
dItalia, sono presenti in francese con differenze interessanti, e quindi hanno trovato nelle teorie elaborate per il francese dalla linguistica teorica un punto di
partenza e di confronto stimolante. Mi riferisco in particolare al fenomeno dei
clitici soggetto, che caratterizza questarea in tutte le sue variet e alcuni dialetti
toscani (fra cui il dialetto di Firenze).18 I dialetti settentrionali richiedono,
come il francese, che il soggetto sia espresso, se necessario con un pronome
clitico, ma il paradigma dei clitici e i contesti che li richiedono presentano
rispetto al francese interessanti differenze fra le persone del verbo. Lo sviluppo
della teoria sintattica che alla fine degli anni 70 con i lavori di Kayne affrontava le caratteristiche sintattiche del francese ha creato una sorta di ponte fra le
conclusioni dellanalisi teorica e le peculiarit dialettali dellItalia settentrionale. In questo momento si inserisce il lavoro di Lorenzo Renzi e Laura Vanelli,19 che pu essere visto come un embrione di Atlante linguistico relativo a
un fenomeno sintattico e un esempio di elaborazione dei dati per giungere a
generalizzazioni descrittive. Mentre il francese ha un paradigma completo di clitici soggetto che compaiono obbligatoriamente con un soggetto lessicale, i dialetti settentrionali hanno paradigmi in genere incompleti di clitici, i quali
inoltre in molte variet accompagnano un soggetto lessicale, facoltativamente
o obbligatoriamente. Lindagine di Renzi e Vanelli (1983) mirava a dare una
forma a questo apparente caos di paradigmi irregolari e irregolarit sintattica,
e lha fatto cercando delle generalizzazioni e delle implicazioni fra sistemi. Lo
studio giunge a conclusioni come le seguenti:
se una variet settentrionale ha un clitico soggetto, questo il clitico di 2.
singolare;
se una variet ha un paradigma con due clitici soggetto, questi sono la 2.
singolare e la 3. singolare;
18. Il fenomeno era notato gi negli schizzi grammaticali dellOttocento, essendo un fenomeno che interessa anche la morfologia verbale. Per le prime descrizioni teoricamente inquadrate vedi P. BENINC, Il clitico a nel dialetto padovano, in Scritti linguistici in onore di
Giovan Battista Pellegrini, Pisa: Pacini, 1983, p. 25-35; BRACCO, BRANDI e CORDIN, Sulla
posizione di soggetto in italiano e in alcuni dialetti, in A. FRANCHI DE BELLIS e Leonardo
SAVOIA, Sintassi e morfologia della lingua italiana duso, Roma: Bulzoni, 1985, p. 185-209:
L. RIZZI, On the status of subject clitics in Romance, in O. JAEGGLI e C. SILVA-CORVALN (a cura di) Studies in Romance Linguistics, Dordrecht: Foris, 1986. Il lavoro pi sistematico, che tratta la fenomenologia nel suo complesso e nei particolari, il libro che Cecilia
Poletto ha ricavato dalla sua tesi di dottorato: The Higher Functional Field: Evidence from
Northern Italian Dialects, Nova York-Oxford: OUP, 2000.
19. L. RENZI e L. VANELLI, I pronomi soggetto in alcune variet romanze, in Scritti linguistici in onore di Giovan Battista Pellegrini, cit., p. 121-145 (ora anche in L. VANELLI, I dialetti italiani settentrionali nel panorama romanzo, Roma: Bulzoni, 1998).

Dialetti dItalia e dialetti dEuropa

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se il clitico soggetto non obbligatorio in ogni caso, il primo contesto sintattico che esclude la presenza di un clitico soggetto quello in cui il soggetto un pronome interrogativo o il quantificatore negativo nessuno;
la frase interrogativa diretta pu comportare lenclisi del pronome soggetto: i pronomi soggetto enclitici formano un insieme che non necessariamente coincide con quello dei proclitici, ma comunque lo include.
Le generalizzazioni permettono di escludere come possibili spiegazioni del
fenomeno tutte quelle che fanno ricorso a pretese debolezze della flessione: si
pu infatti confrontare ogni singola persona e concludere che la persona pi stabile nel richiedere il clitico la seconda singolare (che ha un clitico praticamente in tutte le variet settentrionali); la 2. singolare , insieme alla 1. e 2.
plurale, la persona che ha le distinzioni meglio conservate nella flessione del
verbo. Le conclusioni indicano anche in un certo senso la direzione delle spiegazioni, che sembra puntare verso la linguistica generale: sembra chiaro infatti che le persone che non coinvolgono il parlante sono quelle che richiedono
una marca esplicita.
I dati di Renzi e Vanelli (1983) sono stati in qualche caso ricavati da descrizioni grammaticali esistenti, ma in gran parte ottenuti con un questionario
appositamente costruito, inviato per posta spesso a colleghi linguisti o dialettologi e da questi riempito autonomamente da soli.
Da questo questionario sono state elaborate da Laura Vanelli e me due altre
versioni destinate ad esplorare ulteriormente alcune aree del Veneto e del Friuli rispetto a fenomeni pi circoscritti relativi sempre alluso dei pronomi soggetto, sia per una pi precisa caratterizzazione di queste due aree linguistiche,
sia per una migliore comprensione di altre strutture sintattiche. Ad esempio, il
fatto che il pronome di 3. singolare mostrasse di essere sensibile alla natura del
soggetto lessicale, diventando incompatibile con un quantificatore, suggeriva
di utilizzare il suo comportamento iniseme a quello dei clitici complemento
ndash come indizio per poter classificare come operatori altri tipi di soggetti,
come i soggetti focalizzati o relativizzati; si pu vedere che alcuni dialetti veneti distinguono pi chiaramente dellitaliano la relativa restrittiva dallappositiva, attribuendo allargomento relativizzato lo statuto di operatore solo nella
restrittiva (con il soggetto clitico impossibile) ma non nella appositiva (in cui
il soggetto clitico facoltativo).
Il quadro descrittivo raggiunto ha permesso di indagare poi levoluzione
diacronica di questi sistemi, stabilendo il punto in cui intorno al XV secolo si passa dal sistema medievale, con pronomi soggetto non clitici, al sistema moderno,20 e fissando anche un punto successivo (fra il XIX e XX secolo)
20. Cfr. L. VANELLI, I pronomi soggetto nei dialetti settentrionali dal Medio Evo a oggi,
Medioevo Romanzo, n. 12, 1987, p. 173-211 (ora anche in VANELLI, I dialetti italiani settentrionali, cit.); C. POLETTO, The diachronic development of subject clitics in north
eastern Italian dialects, in A. BATTYE e I. ROBERTS, Clause Structure and Language Change, Nova York-Oxford: OUP, 1995, p. 295-324.

22

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in cui alcuni sistemi passano ad avere i pronomi clitici sempre obbligatori nella
frase assertiva, quindi elementi puramente funzionali di complemento dellaccordo verbale.21 Queste questioni hanno prodotto le domande che abbiamo inserito nel primo questionario che abbiamo steso per lAtlante Sintattico
dellItalia Settentrionale, Laura Vanelli, Cecilia Paletto, Richard Kayne ed io,
ciascuno portando il contributo di questioni sorte dalla nostra ricerca e da
quella di altri.
Levoluzione della teoria sintattica che si svolta parallelamente a queste
prime indagini ha portato ad individuare altre aree della grammatica su cui la
variazione dei dialetti italiani poteva contribuire a far luce o aprire questioni
importanti. Si pu pensare ad esempio alla sintassi degli ausiliari, allaccordo
del participio passato, alla negazione, alla sintassi della complementazione in
relazione alluso dei modi, la presenza di complementatori, tipologia delle relative, ecc. La sintassi della negazione, per esempio, di nuovo presenta nei sistemi dellItalia settentrionale un fenomeno assente in italiano e presente in
francese, cio la negazione discontinua. Sulla sintassi della negazione gi Otto
Jespersen22 aveva individuato, da una comparazione universale, uno schema
di evoluzione, riconoscendo un ordine diacronico fra i diversi sistemi, noto
come ciclo di Jespersen: nelle lingue si parte da una negazione preverbale,
passando attraverso uno stadio in cui la negazione viene duplicata da un elemento postverbale, che allinizio condizionato da particolari valori pragmatici che si estendono sempre pi fino a che lelemento postverbale accompagna
obbligatoriamente la negazione; lo stadio finale vede la sparizione dellelemento postverbale e tutta la funzione spostata sullelemento a sinistra. Un
esempio facilmente accessibile di questo ciclo osservabile nella storia del francese, passato dal francese antico con ne preverbale, al francese pi recente con
nepas al francese parlato che appare sul punto di perdere completamente ne
e lasciare a pas postverbale lintera funzione negativa. Questo stesso processo
osservabile in molte variet settentrionali, in particolare del Piemonte, della
Lombardia, dellEmilia Romagna, e appare in queste variet a diversi stadi
della sua evoluzione. Non solo in questi dialetti la sincronia riassume la diacronia, ma di molte variet abbiamo attestazioni antiche, che in alcuni casi
comprendono testi importanti del XIII o XIV secolo.23
21. molto probabile che rilevamenti sintattici sulle parlate dialettali (o anche solo regionali)
della Francia porterebbero a rilevare sistemi molto simili a quelli dellItalia settentrionale: a
questo fa pensare lindagine di Lorenzo Renzi (I pronomi soggetto in due variet substandard; fiorentino e franais avanc, Zetschrift fr romanische Philologie, n. 108, 1-2,
1992, p. 72-98), dalla quale emerge che gi il francese colloquiale ha somiglianze molto
interessanti con alcuni sistemi settentrionali.
22. O. JESPERSEN, Negation in English and Other Languages, Copenhagen: Host, 1917.
23. Cfr. M. M. PARRY, Preverbal negation and clitic ordering, with particular reference to a
group of North-West Italian dialects, Zeitschrift fr Romanische Philologie, n. 113, 2, 1997,
p. 243-270; R. ZANUTTINI, Negation and Clausal Structure: A Comparative Study of Romance Languages, Nova York-Oxford: OUP, 1997; sulla diacronia di questi sistemi osservata
nella storia del milanese si veda M. VAI, Per una storia della negazione in milanese in comparazione con altre variet altoitaliane, ACME, n. 49, 1, 1996, p. 57-98. Sui rapporti fra

Dialetti dItalia e dialetti dEuropa

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La riflessione e lelaborazione di analisi teoriche su questi e altri argomenti24 hanno suggerito le domande per i nostri questionari successivi, il secondo e il terzo. Ma se la negazione discontinua, come i clitici soggetto, sono
fenomeni limitati allItalia settentrionale, per luso dellausiliare, laccordo del
participio, la subordinazione, ecc., tutti i dialetti italiani diventano ugualmente
rilevanti. Tuttavia, il progetto di Atlante non si immediatamente esteso allItalia meridionale. Solo recentemente abbiamo preparato con limportante
collaborazione dei dottorandi, alcuni dei quali sono inoltre originari del Sud Italia un primo questionario per i dialetti meridionali che abbiamo somministrato ad alcuni soggetti sperimentali, fra cui alcuni colleghi linguisti che
hanno potuto fungere o direttamente da informatori, o da intermediari con
informatori di loro scelta. Anche questo un punto su cui riflettere: Nicola
Munaro, collaboratore dellASIS a cui stata affidata listruzione dellASIM,
come pure Cecilia Poletto ed io, in quanto parlanti di variet settentrionali, ci
muoviamo con pi sicurezza con i dati delle parlate settentrionali, anche se le
variet di altre regioni sono molto diverse dalle nostre parlate native e lanalisi dei dati richiede a volte riflessioni complesse e indagini laboriose. Per affrontare le parlate centro-meridionali abbiamo fatto un lento percorso di
avvicinamento, studiando le grammatiche e le analisi grammaticali esistenti.
Sottolineo questo aspetto per ribadire come lo studio della sintassi sia favorito quando si tratta della propria lingua nativa o di lingue ad essa vicine. I dati
rilevanti per comprendere un dato fenomeno possono trovarsi in aree della
grammatica che solo il parlante di una lingua pu andare ad esplorare guidato dalla sua intuizione. Il fatto che la competenza di un dialetto sia cos diffusa in Italia fa s che sia singolarmente comune il caso di linguisti che sono
parlanti di un dialetto.
Accanto al ciclo della negazione individuato da Jespersen, abbiamo individuato altri cicli evolutivi che mostrano con questo interessanti somiglianze,
ad un certo livello di astrazione, sulla base di una teoria della sintassi che contempla una struttura gerarchica, regole di movimento degli elementi sintattici e una classificazione delle categorie lessicali e funzionali sulla base della loro
struttura interna. Questo schema teorico, per esempio, permette di vedere
anche alcune forme di interrogative che caratterizzano i dialetti settentrionali
come progressiva riduzione del movimento del verbo: le fasi pi antiche mostrano salita del verbo fino a superare la posizione del soggetto, dando luogo alla
cosiddetta inversione interrogativa; in un momento successivo, intorno al XVIXVII secolo linversione possibile solo con un soggetto clitico; infine, fra il XX
negazione e clitici in molti dialetti italiani si veda M. R. MANZINI e L. SAVOIA, Negation
parameters and their interaction in Italian dialects, Quaderni di lavoro dellASIS, n. 2,
1998, p. 39-60.
24. Unarea che abbiamo iniziato a indagare di recente la sintassi del sintagma nominale, in
seguito anche a lavori di Nicoletta Penello (si pu vedere ora la tesi di dottorato, Capitoli di
morfologia e sintassi del dialetto di Carmignano di Brenta, Padova, 2003), nei quali ha affrontato interessanti fenomeni di variet venete relativi alla sintassi dei possessivi in rapporto
alle classi nominali.

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e il XXI sec., molte variet permettono linversione con un clitico solo se il V


un ausiliare; infine, alcune variet perdono completamente linversione interrogativa, il che significa nei nostri termini che riducono ulteriormente il movimento del verbo.
Linversione del verbo con un soggetto clitico si verifica nei dialetti non
solo nella frase interrogativa ma anche in altre costruzioni marcate, come lottativa (fossi tu in grado di farlo!), la negativa disgiuntiva (sia egli o non sia egli
in grado di farlo), lesclamativa con negazione espletiva (non -egli partito lo
stesso!). Indagando su unarea dialettale la microvariazione riguardo a queste
strutture con inversione, Nicola Munaro,25 ha potuto costruire delle implicazioni molto chiare, che mostrano da un lato che la struttura ha posizioni dedicate alla codificazione di queste frasi marcate, dallaltra che i dialetti tendono
a ridurre il movimento del verbo, perdendo linversione a partire dalla posizione codificata pi in alto e man mano quelle pi basse.
4. Alcune riflessioni finali
Lidea che ho cercato di chiarire in queste pagine, prima di tutto a me stessa,
che il gioco fra status sociale e ricerca linguistica di una parlata un insieme
complesso di relazioni e di reciproco nutrimento. Vorrei sostenere che anche i
linguisti italiani meno inclini a divulgare i risultati delle proprie ricerche nel
campo della dialettologia hanno indirettamente fornito argomenti perch
potesse formarsi di un dialetto unimmagine mentale ed emotiva, ein Bild in der
Seele, perch un dialetto qualsiasi potesse essere considerato degno di rispetto
quanto una qualsiasi lingua.
Ho let per poter ricordare le tappe attraverso cui passata, in Italia, limmagine del dialetto nella societ, in particolare nella scuola, negli ultimi cinquantanni. Nel dopoguerra, la scuola aveva pensato che si potesse concludere
in breve e vittoriosamente la guerra contro i dialetti e contro le tracce dialettali
nella lingua.26 La repressione contro i bambini che si esprimevano in dialetto
25. N. MUNARO, I correlati interpretativi dellinversione tra verbo e soggetto, in G. MARCATO (a cura di), I confini del dialetto, Padova: Unipress, 2001, p. 167-176; N. MUNARO,
Computational puzzles of conditional clause preposing, in stampa in A. M. DI SCIULLO
(a cura di), UG and the External Systems, Amsterdam: Benjamins.
26. Lopposizione ai dialetti tuttavia non deve essere pensata come un atteggiamento compatto e ottuso; cera qualche bella eccezione, come una sorprendente grammatica italiana, La parola e le sue leggi, pubblicata da Principato in terza edizione nel 1943, di cui
sono autori F. Palazzi e A.R. Ferrarin. A p. 15, fra le Curiosit si trova un capitoletto Dialetto in cui si legge: Sarebbe errore credere che il dialetto sia nato dalla corruzione della
lingua letteraria []. E vero anzi proprio il contrario []. Il dialetto la forma spontanea
e naturale del linguaggio. [] esso che ha formato la lingua, e dai dialetti la lingua
attinge continuamente gli elementi della sua vita. Segue un capitoletto su I vari dialetti
dItalia in cui sono riportati passi paralleli della Novella del re di Cipro di Boccaccio in alcune delle traduzioni dialettali raccolte da Giovanni Papanti nel 1875. Ringrazio Cecilia Poletto che mi ha fatto vedere questa grammatica, che era usata dalla sua mamma, maestra
elementare.

Dialetti dItalia e dialetti dEuropa

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 25

era dura e improntata al disprezzo. Accanto ai linguisti che indirettamente con


le loro analisi di dialetti e variet non standard27 mostravano di trattare queste
variet esattamente alla stessa stregua delle altre lingue, stato molto importante
lattivit di Tullio De Mauro, che, con le armi della linguistica e del suo ideale progressista, ha guidato unazione intensa e generosa in difesa di ogni lingua nativa e del diritto di vederla rispettata, promovendo una didattica pi
efficace e informata su questi aspetti.28 Oggi credo che siano molto pochi in Italia gli insegnanti a cui possa venire in mente di parlare del dialetto come di
una lingua sbagliata, primitiva, come di una rozza deformazione dellitaliano. grazie anche a questi cambiamenti se i dialetti hanno potuto sopravvivere
accanto allitaliano, e si sono mantenuti senza ostacolare la sua diffusione.
Certo i dialetti sono cambiati e cambiano, ma questo succede a ogni lingua,
e succedeva anche al tempo di Dante: ce lo dice lui stesso, quando immagina
che gli antichi pavesi possano rinascere, e cos scoprire, parlando con i pavesi
del suo tempo, di parlare lingue diverse.29
Penso quindi che sia la combinazione di una particolare situazione sociolinguistica e di una ricerca linguistica ricca di esperienze in tutta la sua storia
che ha prodotto in Italia la situazione favorevole per lo studio della variazione grammaticale nei dialetti, per cui si potuto pensare qui prima che in altri
paesi a un atlante sintattico.
La competenza dialettale , in Italia, molto diffusa e consapevole, anche se
con certe differenze fra le varie regioni; per le nostre ricerche, che hanno lo
scopo di disegnare porzioni di grammatiche relativamente alla sintassi, non
inoltre necessario che la variet sia particolarmente conservativa, basta che sia
coerente. Un potenziale problema trovare parlanti che distinguano chiaramente nellautoriflessione quello che compete allitaliano e quello che compete al dialetto e ai suoi diversi stili.30 Questa capacit una dote del buon
informatore, che deve essere esercitata per in situazioni che possono essere
pi o meno favorevoli. In certi casi, come dicevamo sopra, quando viene imposta una standardizzazione del dialetto, il confine pu diventare difficile da trac27. Va ricordato almeno il dibattito teorico sullitaliano popolare, e la descrizione di questo
livello linguistico (dato che non si pu vederlo propriamente di una variet) che ne fece
Manlio Cortelazzo nel volume Lineamenti di italiano popolare, Pisa: Pacini, 1972.
28. Si deve a De Mauro limpulso a creare il Gruppo di Intervento e di Studio nel campo
dellEducazione Linguistica (GISCEL), un gruppo tuttora molto attivo nella didattica.
29. Cfr. Dante ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, I, IX. evidente che le variet locali hanno
avuto fin dallinizio a che fare con linfluenza di un variegato volgare di prestigio pi alto.
Per il periodo rinascimentale sono interessantissime le ricerche di archivio condotte da Sandro Bianconi, che sfatano il mito di secoli di monolinguismo dialettale e mostrano come
litaliano comune sia molto precedente allunit politica e abbia percorso strade proprie e in
certa misura spontanee. Si veda ad esempio, S. BIANCONI, Fonti per lo studio della diffusione della norma nellitaliano non letterario tra fine 500 e inizio 600, Studi linguistici
italiani, n. 17, 1991, p. 39-54.
30. Su questo problema specifico si pu vedere C. POLETTO, Confini allinterno del parlante: linterferenza fra la grammatica dialettale e quella italiana, in G. MARCATO (a cura di),
I confini del dialetto, cit., p.159-166.

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ciare, ma il caso pi diffuso quello in cui linformatore dialettofono sa scegliere


con grande sicurezza il livello linguistico pertinente.31
Paesi come la Germania hanno una situazione sociolinguistica non molto
diversa da quella italiana, anche per vicende storiche abbastanza simili; le variet
regionali sono ben individuate e i dialetti sono abbastanza presenti nella lingua
viva. Forse lItalia ha avuto una storia letteraria in dialetto particolarmente
ricca: poeti come Andrea Zanzotto o Virgilio Giotti, o narratori come Luigi
Meneghello, per citare solo esempi un po casuali, fanno uso del dialetto come
strumento di espressione, e i massimi autori del teatro italiano sono autori dialettali. Forse, daltro lato, in Germania i linguisti storici non si sono occupati
di dialetti tedeschi quanto di dialetti italiani e romanzi, inserendosi in una tradizione italiana ricca e solida, che si pu dire affonda le sue radici in una riflessione grammaticale e descrittiva secolare, che dal Medio Evo fino allOttocento
ha prodotto grammatiche e trattati ricchi di spunti empirici.32 I linguisti storici di lingua tedesca si dedicarono moltissimo anche ai dialetti francesi, ma
in Francia la linguistica ha privilegiato tradizionalmente la riflessione generale e filosofica. Qui i dialetti non hanno conquistato una rappresentazione condivisa nel sentire comune, a parte il provenzale, che ha una collocazione simile
a quella che ha in Spagna il catalano. In Inghilterra, per concludere lesemplificazione, tutti i fattori che potrebbero favorire la vita dei dialetti sono assenti e quelli sfavorevoli presenti: da una parte, con una fortissima lingua nazionale
stratificata in modo molto preciso quanto al prestigio, le variet regionali e
locali sono collocate a livelli pi o meno bassi della scala sociale; la scarsit di
riflessione grammaticale morfologica o fonologica nella tradizione linguistica
ha limitato la loro classificazione in aree linguistiche sistematiche; questo effetto congiunto stato cos forte da limitare fortemente la riflessione anche su
aree relativamente individuate e autonome, come la Scozia o i dialetti del Nord,
per non parlare dei dialetti del Galles.
Gli argomenti che ho cos velocemente toccato in queste poche pagine
avrebbero naturalmente bisogno di essere appoggiati da studi approfonditi
specifici, mentre sono stati presentati anche sotto forma di semplici intuizioni: spero di aver almeno suggerito alcuni spunti di riflessione, che qualcuno
potrebbe voler approfondire.
31. La nostra procedura prevede che, dopo aver esaminato il questionario scritto, passiamo sia
a questionari, sempre scritti, su un argomento grammaticale specifico di cui indagare caratteristiche pi sottili, sia a una inchiesta diretta, in cui chiediamo la possibilit di connotazioni stilistiche o di varianti pi o meno facoltative di determinate strutture.
Il problema della sicurezza del parlante nei giudizi sulla sua lingua esiste del resto anche
per lingue nazionali, come il portoghese brasiliano, che soffre di un complesso nei riguardi del portoghese dEuropa, per cui i parlanti brasiliani non sono sempre sicuri della loro competenza linguistica, ritenendo di parlare un portoghese imperfetto.
32. Per il ruolo di modello che la grammatica italiana del Rinascimento ha avuto per tutta lEuropa si veda il ricco saggio storico e filologico di J. TRUMPER, Riflessioni comparative sulla
Questione della lingua, in Laurea honoris causa a Carlo Dionisotti, Dipartimento di Linguistica, Universit della Calabria, 1997.

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27-37

Prestigio culturale ed esigenze normative


nelle tradizioni linguistiche regionali italiane
Unesperienza di ricerca
Fiorenzo Toso
Centro Internazionale sul Plurilinguismo
Universit di Udine

Abstract
Il saggio ricostruisce le tappe del percorso storico-linguistico attraverso il quale il genovese si propone costantemente, a partire dalla seconda met del sec. XII, come elemento costitutivo nel disegno complessivo di una specificit culturale ligure assunta a simbolo e
motivazione di un quadro socio-politico marcato, nella percezione interna ed esterna, da una
consapevolezza forte di alterit. Il caso specifico ha valore soprattutto se inquadrato in una
visione olicentrica della cultura italiana, nella quale le differenti storie linguistiche regionali
non vengano viste esclusivamente come conseguenza di una tensione centripeta uniforme,
ma anche come frutto di dinamiche di volta in volta originali nel rapporto fra tradizione
linguistica locale dotata o meno di un proprio autonomo prestigio e orizzonte idiomatico soprarregionale.
Parole chiave: genovese, storia linguistica della Liguria, letterature regionali, letteratura
genovese, plurilinguismo.
Abstract
This essay reconstructs the halting historico-linguistic journey through which Genovese
has constantly been deemed, from the second half of the C. XII onwards, a constitutive
element in the general design of a Ligurian cultural specificity considered both symbol of
and motivation for a marked socio-political framework, within an internal and external
perception, of a strong consciousness of alterity. This specific case has the additional value
of being framed within a polycentric vision of Italian culture, in which the differing regional linguistic histories are not perceived exclusively as the consequence of a uniform, centripetal
tension, but also as the outcome of original dynamics in the relation between local linguistic tradition provided at least with its own, autonomous prestige and the supraregional idiomatic horizon.
Key words: Genovese, the linguistic history of Liguria, regional literature, Genovese literature, plurilingualism.

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Fiorenzo Toso

Una rilettura della storia linguistica italiana organizzata per regioni stata tentata di recente nel lavoro collettivo diretto da Francesco Bruni,1 che ha rappresentato indubbiamente, insieme ad altre pubblicazioni di questi ultimi anni,
un progresso notevole verso una percezione policentrica della cultura linguistica
del paese, sul solco di una tradizione illustre che dopo gli antesignani ottocenteschi, dal Ferrari in poi, aveva gi offerto risultati significativi in alcuni
aurei contributi dinsieme di Carlo Dionisotti, Mario Sansone e altri. innegabile tuttavia che la prospettiva adottata in questo genere di studi rimane di
preferenza quella di unanalisi delle modalit di italianizzazione delle singole regioni, come denuncia il titolo stesso dellopera (Litaliano nelle regioni) e la
ricostruzione di volta in volta proposta delle diverse modalit attraverso le quali
le differenti realt culturali regionali approdano, nel corso di processi secolari
di adeguamento, a una loro collocazione allinterno del panorama linguisticoletterario nazionale.
Allattivo di questa e di altre esperienze di ricerca va senzaltro ascritta la
presa datto che i processi di adeguamento alla prospettiva linguistica nazionale si verificarono secondo tempi e modalit profondamente diversi a seconda delle singole aree: il che potrebbe sembrare unosservazione di per s banale,
ma che non lo affatto se si tiene conto dei pesanti retaggi della visione storico-linguistica italiana pi divulgata fino allaltro ieri. Ci che manca in genere piuttosto la percezione di unautonomia delle singole storie linguistiche
regionali, e soprattutto delle singole storie della lingua che si potrebbero elaborare per le diverse variet destinate a confrontarsi con litaliano nel corso di
un processo plurisecolare di convergenza: mentre si ammette la pluralit delle
esperienze dellitaliano nelle varie regioni non si pone a sufficienza laccento, a
mio parere, sulle diverse modalit dellinterrelazione che, nel corso di questo processo, si attua tra litaliano e gli attori locali, percepiti, questi ultimi, come
modalit linguistiche invariabilmente collocate sullo stesso piano nel loro rapporto con la lingua nazionale e i suoi progressi. La banalizzazione del rapporto lingua-dialetto ed stata pi volte osservata linsufficienza dellopposizione
terminologica, poich se litaliano uno, sotto il concetto di dialetto si pongono invece realt estremamente diversificate, non soltanto sul piano diatopico implica infatti un appiattimento delle condizioni di partenza e degli
sviluppi dei processi storico-linguistici, mentre invece proprio i tempi e le
modalit diverse di italianizzazione delle singole regioni dovrebbero suggerire
lesigenza di verificare, tra le altre concause, la capacit reattiva di dialettalit
variamente collocate dal punto di vista diastratico, da quello percettivo, da
quello della funzionalit come strumento di comunicazione non meno che di
(auto)riconoscimento: evidente che la storia linguistica regionale del Piemonte diversa da quella dellAbruzzo, ad esempio, non solo per le modalit
diverse dellinterrelazione tra fattori idiomatici e realt socio-economica: que1. Francesco BRUNI (a cura di), Litaliano nelle regioni. Lingua nazionale e identit regionali,
Torino: UTET, 1992, col successivo volume dello stesso Francesco BRUNI (a cura di), Litaliano nelle regioni. Testi e documenti, Torino: UTET, 1994.

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stultima ha variamente condizionato, prima e contemporaneamente alle modalit di assunzione dellitaliano, il prestigio del piemontese e dellabruzzese.
Non tutte le variet regionali italiane a prescindere dalla maggiore o
minore distanza tipologica dallo standard si collocano quindi sullo stesso
piano e si mostrano dotate di analogo prestigio; inoltre, fatto non meno significativo, non tutte le variet dialettali italiane entrano storicamente in gioco
nella costruzione di una identit culturale di lunga durata, tale da disegnare
lipotesi di una appartenenza che si configuri almeno in parte come altra
rispetto allorizzonte nazionale: quando ci avviene, la lettura della storia linguistica regionale propone variabili importanti, e suggerisce la possibilit di una
prospettiva di lettura diversa rispetto a quella che si propone semplicemente di
ricostruire i processi di affermazione dellitaliano nella regione in questione.
Alla storia linguistica della Liguria e alla storia del genovese ho dedicato da
alcuni anni a questa parte una serie di contributi, sia visioni dinsieme che
approfondimenti di singoli aspetti: lesemplarit e al tempo stesso la tipicit
del caso meritavano di essere messi nella giusta evidenza anche in prospettiva
metodologica, per fare emergere non tanto la presunzione di unoriginalit,
quanto la possibilit, a partire da uno specifico esempio, di fornire chiavi di
lettura valide anche per altre realt regionali, in modo da suggerire uninterpretazione storico-linguistica spostata sulle differenti storie delle lingue locali. Il
quadro dinsieme che emerge da questo tentativo abbastanza indicativo, infatti, delle prospettive di lettura e di interpretazione che si aprono grazie al rovesciamento del punto di vista, che si ottiene riformulando i termini del confronto
linguistico tra italiano e genovese (veneto, piemontese, siciliano) invece che tra
italiano e dialetto in Liguria. Allinterno poi di questa prospettiva, la storia della
costruzione di una immagine del genovese, a sua volta intimamente legata
alla costruzione di una determinata immagine della genovesit, laspetto
che meglio determina le modalit del rapporto con litaliano, attribuendo continuit e coerenza a un disegno storico che, lungi dallessere radicalmente opposto a quello tradizionale sulle modalit dellitalianizzazione linguistica della
regione, ne offre nondimeno una lettura profondamente originale.
Il sunto che offro in questa sede col costante riferimento, per eventuali approfondimenti e ulteriori rimandi bibliografici, ai saggi e ai contributi nei
quali ha trovato via via sistemazione la ricostruzione storica promossa un
primo tentativo di sintesi organica, ed ha principalmente lo scopo di fare emergere per induzione alcune implicazioni generali sul problema storico, non
meno che attuale, del policentrismo culturale italiano, e sullesigenza di una
rinnovata attenzione nei confronti di esso.
Gi la tradizione linguistica medievale genovese e ligure prefigura le condizioni di una specificit non meno affermata e coscientemente ribadita che
effettivamente instaurata: essa si svolge allinsegna di un sostanziale disimpegno
rispetto alle esperienze di koin padana,2 verso le quali le convergenze si veri2. Sintesi della storia linguistica regionale in Fiorenzo TOSO, Liguria, in Manlio CORTELAZZO, Carla MARCATO, Nicola DE BLASI, Gianrenzo P. CLIVIO (a cura di), I dialetti ita-

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ficheranno solo in maniera episodica e tardiva. Dante, accreditando attraverso la sua visione geolinguistica un netto distacco del volgare ligure rispetto al
contesto settentrionale, sembra cogliere il rapporto che Genova instaura autonomamente verso larea galloromanza da un lato e verso quella toscana dallaltro, allintersezione di correnti culturali e linguistiche che, dopo linstaurazione
di unautonoma tradizione letteraria con lAnonimo Genovese, alla fine del
Duecento, attraverso i volgarizzamenti trecenteschi inseriscono la citt in un
meccanismo di assunzione e ridistribuzione di testi variamente marcati, per
quanto attiene alla loro fruizione, sullasse diastratico.
La percezione di questa specificit linguistica chiara nel poeta duecentesco
per il quale lo nostro latin volgar (156, 15) fondamentale strumento di
fissazione e promozione dellideologia comunale elaborata da Iacopo da Varagine nel suo manuale di politica cittadina, la Chronica civitatis Ianuensis. La
traduzione in lingua nostra3 di testi provenzali di devozione non denuncia
del resto unadesione neppure formale alla tradizione occitanica, con la quale
restano palesi, quando denuncia [] le vanitae / e le canzon chi son trovae
/ chi parlan de van amor / e de bexicii con error (144, 189-192) le incolmabili distanze culturali gi evidenziate del resto, e trasferite a livello parodistico, da Rambaut de Vaqueiras nel suo contrasto bilingue. Rafforzato
nellaffermazione come lingua commerciale e diplomatica, nel corso del Trecento il volgare genovese aspira decisamente a mantenere e potenziare le prerogative di autonoma grammaticalit conseguite con lopera del poeta
duecentesco, sebbene sia sempre pi chiara lapertura culturale verso larea
centro-italiana: lesigenza stessa di tradurre testi di devozione provenienti
dallarea toscana il sintomo pi evidente di un mancato raccordo sul piano
linguistico. Alla met del secolo, i frammenti di una grammatica volgare e di
un glossario testimoniano lesigenza di una fissazione che faccia fronte, almeno in prospettiva didattica, al degrado di una relativa compattezza e allaffermarsi di tradizioni grafiche diverse e spesso contrastanti, in una serie
pressoch infinita di episodi individuali, dove i diversi ingredienti culturali
possono entrare in combinazione in maniera estremamente varia.4 lepoca del resto in cui le prime riflessioni metalinguistiche sul volgare fanno capolino nelle rielaborazioni di palinsesti latini, francesi, catalani e toscani ad opera
di autori locali: per Girolamo da Bavari, ad esempio, che scrive per comuliani. Storia struttura uso, Torino: UTET, 2002, p. 196-225. Sulle origini del volgare e il
periodo medievale: Fiorenzo TOSO, Storia linguistica della Liguria, I. Dalle origini al 1528,
Recco: Le Mani, 1995. Per la storia della letteratura in genovese: Fiorenzo TOSO, La letteratura in genovese. Ottocento anni di storia, arte, cultura e lingua in Liguria, Recco: Le Mani,
1999-2001.
3. Per la traduzione di testi giullareschi provenzali a carattere devoto da parte dellAnonimo si
veda Aurelio RONCAGLIA, De quibusdam provincialibus translatis in lingua nostra, in
AA.VV., Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, Roma: Bulzoni, 1985, vol.
II, p. 1-36; Paola ALLEGRETTI, Modelli provenzali dellAnonimo Genovese, Medioevo
romanzo, n. 22, 3, 1998, p. 3-15.
4. Gianfranco FOLENA, Nota linguistica, in CASSIANO DA LANGASCO e Paolo ROTONDI, La
consorta deli foresteri a Genova, Genova: Sigla Effe, 1957, p. 101.

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na hutilitae de li homi e de le femene coss como de quilli chi sam letera como
de quilli chi no la sam, evidente la difficolt di trasferire in genovese il messaggio originario, in quanto queste vertue no p miga bem lomo in romam
s propriamenti anomar, como lentendimento de questa parola lo dixe in
latim.5 A sua volta, lanonimo volgarizzatore della Cronaca di Martin Polono esplicita le proprie istanze puristiche in un brano che contiene tra laltro la
prima attestazione del glottonimo genovese: le storie sono infatti tradotte de
profunda gramayga in jairo vorg enoeyse (chiaro volgare genovese), et no
sena grandissima breyga. Et se per aventura in tuta questa opera [] se ge trovasse arcuny vocaboli gasmureschi (stranieri), prego che alo scritor e alo translataor sea perdonao.6
Resta dimostrato come durante il Quattrocento i processi di adeguamento a una norma sopralocale, promossi da alcuni esponenti della modesta temperie umanistica locale, vengano deliberatamente ritardati e risultino addirittura
osteggiati a livello istituzionale, nel tentativo di mantenere al genovese cancelleresco margini significativi di prestigio rispetto al volgare dimpronta settentrionale e allo stesso toscano.7 Il perseguimento di una via locale alla
dialettalit riflessa, precocemente promosso dal pi prestigioso cenacolo umanistico ligure attorno al 1430, si scontra cos con le palesi esigenze di affermazione di una specificit linguistica che da considerare un riflesso delle
frustrazioni politiche di una classe dirigente divisa tra una precaria gestione
diretta del potere e lappoggio tattico a signorie straniere.8
Lesigenza di instaurare un rapporto fra identit culturale (in senso lato)
e identit linguistica tale, che nel progressivo degrado della grammaticalit
locale dai tersi nitori dellAnonimo, da quella scripta salda e perspicua e, si
direbbe, superbamente equilibrata fra tradizione e innovazione9 fino a un
livello di convergenza ampia verso il toscano, scandito dallopera di autori
come Andreolo Giustiniani Banca e Bartolomeo Falamonica Gentile, si finir
per attribuire a una lingua italam nostram, ossia alla facies locale di un volgare italiano con tracce pi o meno vistose di inflessione locale il ruolo di
materna lingua, come far in particolare ai primi del Cinquecento un intellettuale di prestigio continentale quale Agostino Giustiniani, che scrive le
5. Girolamo da Bavari, vissuto nella prima met del Trecento da considerare lautore, e non
il semplice volgarizzatore, di un Tratao de li VII peccai mortali e di un Libro de la misera
humanna cundiciom editi da Claudio MARCHIORI, Antichi volgarizzamenti genovesi da San
Gerolamo, Genova: Tilgher, 1989, che qui si riprende da vol. I, p.175.
6. Cfr. Anna CORNAGLIOTTI, Una storia biblica in antico genovese: preliminari per una edizione, in AA.VV., Miscellanea di studi offerti a Giuliano Gasca Queirazza, Alessandria: Edizioni dellOrso, 1988, p. 181-216.
7. Su questo tema, cfr. in particolare Fiorenzo TOSO, Per una storia del volgare a Genova tra
Quattro e Cinquecento, Verbum. Analecta neolatina, n. 5, 1, 2003, p. 167-201.
8. Sulle posizioni linguistiche dei primi umanisti genovesi cfr. Fiorenzo TOSO, Il volgare a
Genova tra Umanesimo e Rinascimento: inflessione locale e modelli soprarregionali da
Iacopo Bracelli a Paolo Foglietta, La parola del testo, n. 4, 1, 2000, p. 95-129.
9. Marzio PORRO, in Dialogo de Sam Gregorio composito in vorg, Firenze: Accademia della
Crusca, 1979.

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sue opere non curandomi punto essere reputato toscano, sendo nato Genovese.10
La posizione del Giustiniani, sostenitore dellibridismo linguistico di impronta quattrocentesca, si scontra ben presto con pi motivate istanze di normalizzazione, che sono il riflesso locale dellaffermazione della teoria linguistica
rinascimentale e di una Questione della lingua che si sviluppa a livello continentale. Le riforme istituzionali imposte da Andrea Doria nel 1528 suggeriscono esigenze nuove di rappresentazione simbolica delloriginale esperienza
politico-istituzionale genovese, attraverso la ricerca di elementi in grado di
motivarle e di dar loro legittimazione nel quadro politico-istituzionale europeo.11 Nasce allora una retorica destinata a condizionare nel tempo limmagine stessa di Genova e dei Genovesi, che recupera da un lato, aggiornandolo,
il concetto varaginiano della perfezione dellesperienza politica locale, insistendo dallaltro sul concetto di elaborazione, a partire da condizioni ambientali, geografiche, socioeconomiche proibitive, di un sistema genovese, di una
morada de vida fortemente marcata dalla propria peculiarit. naturale allora che tali esigenze di autocelebrazione si incontrino con quelle legate alla ricerca di una norma linguistica che, ripudiando le esperienze tardo-quattrocentesche
di volgare regionale, punti a una doppia depurazione del materiale idiomatico
disponibile: in prospettiva soprarregionale, con la difesa del latino e ladesione
a un italiano sprovincializzato e ricondotto al modello bembiano; in prospettiva interna, attraverso la promozione di un genovese a sua volta ricondotto a
una purezza che eluda la convergenza verso una lingua che ormai sentita
come nettamente altra.
Le motivazioni ideologiche sottese alla promozione del genovese sono quindi decisamente pi complesse del meccanico affermarsi di una percezione riflessa della dialettalit:12 esse hanno origine in un progetto complessivo di
ridiscussione del ruolo politico della classe dirigente, nella ricollocazione della
Repubblica allinterno del sistema spagnolo, nellaffermazione della union e
10. La definizione di lingua italam nostram nostro peculiare volgare italico ricorre nella
traduzione di un documento ufficiale francese del 1499 ad opera di Stefano Bracelli figlio
di Iacopo. Per la posizione del Giustiniani e la sua definizione di materna lingua cfr. Fiorenzo TOSO, Il volgare a Genova, cit., da cui tratta anche la citazione dai Castigatissimi
Annali della Repubblica di Genova (da p. 120).
11. Per un commento sulle problematiche istituzionali legate alla riforma costituzionale del
1528 cfr. in particolare Claudio COSTANTINI, La Repubblica di Genova, Torino: UTET,
1986; per la storia linguistica di Genova e della Liguria nel Cinquecento, Fiorenzo TOSO,
Un modello di plurilinguismo urbano rinascimentale. Presupposti ideologici e risvolti culturali delle polemiche linguistiche nella Genova cinquecentesca, in corso di stampa in Atti
del Convegno di Studi Le citt plurilingui (Udine 2002).
12. Per la critica alla concezione crociana di dialettalit riflessa e allopinione ricorrente della
sua origine nel Cinquecento, cfr. Fiorenzo TOSO, Diversi livelli di plurilinguismo. Lineamenti per un approccio comparativo al tema delle regionalit letterarie europee, in Furio
BRUGNOLO e Vincenzo ORIOLES (a cura di), Eteroglossia e plurilinguismo letterario. II, Plurilinguismo e letteratura. Atti del XXVIII Convegno interuniversitario di Bressanone (6-9 luglio
2000), Roma: Il Calamo, 2002, p. 459-490.

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della libert dei cittadini come presupposti ideologici della sovranit genovese. Le stesse polemiche antidialettali di Benedetto Varchi, per il quale il genovese una lingua barbara, da tutte laltre diversa, che scrivere e dichiarare con
lettere non si pu forniscono validi argomenti agli intellettuali locali coinvolti
nella sua promozione, che rovesciano il giudizio dello scrittore toscano affermando leccellenza di una lingua la cui diversit un pregio, e la cui barbarie
originaria stata superata grazie alle capacit dei suoi autori. La promozione del
genovese frutta a Paolo Foglietta e ai suoi seguaci le lodi del Tasso, e la fortunata operazione editoriale delle Rime diverse in lengua zeneize scandisce, attraverso le numerose edizioni susseguitesi dal 1575 al 1612 il prestigio non soltanto
locale di una poesia alla genovese lontanissima per scelta dai toni medi del dettato dialettale, come dimostra, oltre alle linee tematiche affrontate dagli autori
raccolti e alla connotazione politica che vi soggiace, il polemico raffronto proposto con la poesia alla veneziana, questa s francamente dialettale, del Venier.13
Ma la promozione del genovese verso la fine del Cinquecento solo in
parte il risultato di una polemica aperta rispetto al toscano, lingua osteggiata
pi nei toni accesi di alcune poesie e lettere del Foglietta che in una realt nella
quale si prende atto dellesigenza di un utilizzo dellitaliano per la stessa esportazione del modello politico ligure. Paolo tradurr in genovese unopera di
ampio respiro celebrativo come la Genuensium Historia di suo fratello Oberto
(1596), ma la versione a stampa destinata a circolare allesterno sar quella in
toscano di Francesco Serdonati. Questo bilinguismo di fatto, che coinvolge la
classe dirigente non meno dei ceti intellettuali, attraverso un uso alto del
genovese nella prassi politico-istituzionale, salva quindi la funzione simbolica
e rappresentativa della lingua locale e assicura al tempo stesso alle esigenze di
comunicazione extraregionale una fruizione diffusa del toscano. Questultimo
dato non significa per la rinuncia alla ricerca di unautonoma normativit,
come testimoniano opere grammaticali e apologetiche quali i Paradossi sopra
la lingua toscana e genovese di Francesco Buzenga (1596) e la stessa fissazione di
un modello di lingua letteraria destinata ad accentuare la propria divergenza
dalluso parlato nel corso del Seicento.
In quellepoca, il genovese di Giangiacomo Cavalli e di altri autori direttamente implicati nelle esigenze autocelebrative e rappresentative della classe dirigente presenta quindi marche fonetiche, morfologiche e lessicali
arcaizzanti, che lo distinguono nettamente non solo dai dialetti provinciali
presso i rari autori che ne fanno uso il genovese diventa non a caso, col latino e litaliano, sinonimo di lingua letteraria artificiosamente elaborata14
13. Sulla polemica contrapposizione tra i modelli antidialettali della poesia in genovese del
Cinquecento e quelli dialettali in veneziano, cfr. Fiorenzo Toso, Edizioni cinquecentesche
della Strazzosa di Maffio Venier. Per un approccio al tema delle relazioni interdialettali in et
rinascimentali, Atti dellIstituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, n. 158, 1999-2000,
p. 121-152.
14. Sulla contrapposizione tra il genovese lingua alta a fianco del latino e dellitaliano e i dialetti locali come espressione di una poetica della naturalezza, cfr. Fiorenzo TOSO, Polemiche linguistiche nella Taggia del sec. XVII, Intemelion, n. 4, 1998, p. 91-105.

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ma anche dalla parlata popolare della capitale, nella quale si esprimono filoni pur corposi di poesia e di teatro dialettale che vivono quindi in una condizione doppiamente riflessa, rispetto al genovese letterario e allitaliano.15
alla lingua del Cavalli, lodata dal Chiabrera ed esportata nei circoli letterari italiani che pensa quindi Andrea Spinola quando raccomanda luso del
genovese in polemica con quello dellitaliano e dello spagnolo persino
nelle riunioni accademiche, ed alla poesia di questo autore in particolare
che si deve pi che ad altri il recupero di importanti agganci con la tradizione medievale da un lato, e la fissazione dallaltro di un canone letterario su registri alti, la cui influenza sar destinata a condizionare notevolmente,
fino allOttocento e poi oltre, la percezione del genovese come lingua e della
sua letteratura come portatrice di istanze e modalit spiccatamente antidialettali.
La frattura tra il genovese polito e la parlata popolare si ricomporr parzialmente un secolo dopo, sia per il convergere di alcuni esiti fonetici marcati fino ad allora in senso diastratico, sia, soprattutto, per laffermarsi di un
disegno politico che intorno a Stefano De Franchi e ad altri autori illuminati ridisegna e aggiorna la funzione simbolica dellidioma. Linteresse per il
genovese, cresciuto ai tempi dellorgogliosa resistenza al bombardamento francese del 1684 aveva gi prodotto, nel clima preromantico di generalizzato interesse per le culture e le lingue popolari la riedizione dellopera maggiore del
Cavalli, la formalizzazione di un sistema ortografico aggiornato allevoluzione fonetica del genovese e linsorgere delle prime preoccupazioni lessicografiche, quando la sollevazione popolare del 1746-1747 contro gli occupanti
austro-piemontesi ripropose con prepotenza lesigenza di una ridiscussione
delle modalit di delega del potere da parte del popolo alloligarchia, e di un
recupero di elementi simbolici in grado di cementare intorno a un programma
di riforme gestite dallalto il consenso delle classi popolari, della borghesia e
dellaristocrazia, nel segno di una rinnovata unit nazionale di tutti ri boin
cittn amanti dra patria, dra libert e dra so lengua naturale.16 Il richiamo
palesemente ideologico alla lingua come fattore aggregante trova riflesso nella
letteratura del periodo, con un susseguirsi di poemi, poesie, canzoni e lezendie di contenuto patriottico, dal quale non saranno esenti neppure la traduzione non parodica della Gerusalemme liberata (1755) e la rifondazione del
teatro genovese a opera del De Franchi stesso con le sue fortunate riduzioni
da Molire.
15. Sui due livelli del genovese scritto secentesco (variet alta e variet bassa) si veda la Nota
linguistica in Francesco Maria MARINI, Il fazzoletto, tragicommedia inedita del sec. XVII,
a cura di Fiorenzo TOSO e Roberto TROVATO, Bologna: Commissione per i testi di lingua,
1997. Sul teatro in genovese del sec. XVII, Fiorenzo TOSO, Lutilizzo ideologico del plurilinguismo teatrale nella Genova barocca, in Vincenzo ORIOLES (a cura di), Documenti letterari del plurilinguismo, Roma: Il Calamo, 2000, p. 67-84.
16. Sulle esigenze di normalizzazione e sul rilancio del genovese come lengua dra naion cfr.
Fiorenzo TOSO, Lessicografia genovese del sec. XVIII, Bollettino dellAtlante Linguistico Italiano, III Serie, n. 22, 1998, p. 93-119.

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Sulla precettistica del 1745 e sul manifesto della nuova letteratura pubblicato nel 1772 da De Franchi come prefazione alla sua raccolta di poesie si basa
quindi il programma settecentesco di dfense et illustration del genovese, articolato tra laltro nella promozione degli usi pubblici, nellelaborazione di una
letteratura sempre pi aperta alla fruizione popolare, nella replica pacata alle obiezioni dei letterati toscaneggianti, nel riconoscimento della variazione interna
come elemento di arricchimento della lingua. Un programma cos efficace da
essere esportato persino in Piemonte, regione nella quale solo allora andava
irrobustendosi un modesto filone di letteratura vernacola,17 e da costituire la
base per lutilizzo ideologico del genovese in unottica politica per molti
aspetti contrapposta a quella defranchiana durante il periodo delleffimera Repubblica Ligure Democratica, nata allombra della Francia rivoluzionaria
nel 1797 e destinata ad esserne assorbita nel 1805.18
La successiva annessione al Regno di Sardegna di fatto quindi alla monarchia sabauda piemontese nel 1851, decisa dimperio dal Congresso di Vienna, ridimensioner brutalmente il ruolo del genovese come lingua di prestigio.
Il Piemonte aveva adottato a livello ufficiale litaliano gi nel 1563, e una prassi radicata, che escludeva di fatto luso alto delle variet locali negli stati sabaudi (con parziali eccezioni in Sardegna) fu cos estesa anche alla Liguria.
Allitaliano percepito come lingua dei Piemontesi, visti come occupanti illegittimi e come espressione di un regime decisamente pi retrivo e illiberale di
quello della vecchia Repubblica, si associava peraltro la consapevolezza mentre andava avviandosi il processo risorgimentale italiano, nel quale tanti repubblicani genovesi avranno un ruolo determinante che la definitiva adesione
alla cultura e alla lingua italiana rappresentava un imprescindibile momento
di convergenza nei confronti del pi vasto orizzonte peninsulare e, attraverso
di esso, europeo. Si verifica quindi, da un lato, un potenziamento del ruolo
simbolico del genovese scritto ormai adeguato, dopo i rivolgimenti del
1797, alle modalit dellespressione popolare dallaltro la ricerca di unadesione alla cultura italiana che eluda per il raccordo con lambiente subalpino, considerato pi arretrato e dal quale gli intellettuali genovesi si sentivano
per lo pi divisi da acute divergenze di ordine ideologico.
Nella prima met del secolo, mentre la riscoperta delle rime duecentesche si configura, in unepoca di generale rivalutazione (e persino di mistificazione) a livello continentale delle tradizioni medievali, come una conferma
17. Sulla dipendenza delle prime precettistiche piemontesi dal modello ideologico defranchiano cfr. Fiorenzo Toso, Letteratura piemontese e letteratura ligure tra Sette e Ottocento.
Convergenze ideologiche e tematiche, interrelazioni e suggestioni reciproche (da De Franchi a Pipino, da Calvo a Piaggio), in Gianrenzo P. CLIVIO, Dario PASERO e Censin PICH (a
cura di), XIV e XV Rscontr antrnassional d studi an sla lenga e la literatura piemontisa (Quinsn, 10-11 magg 1997 e 9-10 magg 1998), Ivreja: La Slira, 2002, p. 59-80.
18. Sulla storia linguistica della Liguria in et moderna, e in particolare sullOttocento, cfr. Fiorenzo TOSO, Per una storia dellidentit linguistica ligure in et moderna, in Fiorenzo
TOSO e William PIASTRA (a cura di), Bibliografia dialettale ligure. Aggiornamento 19791993, Genova: A Compagna, 1994, p. 1-44.

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delleccellenza dellantico Comune anche in un campo come quello letterario,


nel quale i Genovesi avevano sempre goduto di scarso credito, si moltiplicano cos le riedizioni dei classici, le raccolte lessicali, le precettistiche ortografiche e grammaticali: i Genovesi, dopo il fallimento del tentativo secessionista del
1849 e le aperture di Cavour, aspirano cos ad entrare nella futura Italia unita
come portatori di un primato culturale e politico che passa anche attraverso
la nobilitazione della loro lingua: se nessuno pretende pi, ormai, di contrapporla funzionalmente allitaliano, le prove della sua eccellenza e del suo
valore simbolico identitario si ricercano ad esempio (attraverso unestremizzazione e distorsione dei metodi recentemente impostisi della linguistica
scientifica) nella presunzione di unantichit remotissima, che farebbe del genovese addirittura lantenato dello stesso latino;19 se il Nigra, ministro sabaudo
prima che glottologo, suggerir allAscoli uninterpretazione oggi meritevole
di revisione sul rapporto tra genovese e dialetti settentrionali, alla ricerca di
una motivazione storico-culturale alla ritrovata unit dintenti tra Liguri e Piemontesi, le posizioni del Diez e di altri linguisti, che vedono nel tipo ligure
una variet di transizione tra le variet italiane settentrionali e quelle centro-meridionali forniranno nuova linfa allimmagine di una diversit del genovese,20
che non tarder a essere proposta anche a livello letterario: la ventata rinascenziale che interessa nel corso dellOttocento le culture regionali e minoritarie
europee avr epigoni anche in Liguria unica regione italiana interessata al
fenomeno soprattutto con la pubblicazione, nel 1870, del poema epico A
Colombade di Luigi Michele Pedevilla, le cui assonanze tematiche e ideologiche con lAtlntida del Verdaguer (1877) si inseriscono nel clima di un interscambio culturale ligure-catalano destinato a protrarsi nei primi anni del
Novecento.21
Di fatto per lesperienza pedevilliana, cos come quella dei periodici in
genovese che si pubblicheranno a partire dal 1868 giunge in ritardo rispetto
alle scelte linguistiche di una borghesia imprenditoriale che, ormai in stretta
compromissione politica con la monarchia, si colloca ai vertici, con le sue compagnie commerciali e con le industrie di stato, della gestione economica del
neonato stato unitario. Litalianizzazione delle classi alte (dalla quale restano
esclusi peraltro gran parte dellaristocrazia e il clero arroccato sulla difesa di
valori che si ritengono minacciati dal nuovo stato liberale) sollecita quella dei
ceti inferiori e pu appoggiarsi, malgrado il ruolo comunicativo forte di un
19. Sulle opinioni locali relative al genovese nel corso dellOttocento cfr. Fiorenzo TOSO, La
dialettologia prescientifica in Liguria. Antologia di testi, Genova: A Compagna, 2002.
20. Cfr. Graziadio Isaia ASCOLI, Del posto che spetta al ligure nel sistema dei dialetti italiani, Archivio Glottologico Italiano, n. 2, 1876, p. 111-160. Si tratta del primo studio nel
quale il ligure viene collocato tra le variet galloitaliche e di conseguenza settentrionali, in
polemica con le posizioni del Diez e di altri glottologi dellepoca.
21. Sul significato dellopera di Pedevilla come episodio di contatto tra la cultura regionale ligure e i movimenti rinascenziali europei, cfr. Fiorenzo TOSO, Diversi livelli, cit., p. 483490; per le relazioni culturali catalano-liguri tra Otto e Novecento, Fiorenzo TOSO, La
Grammatica catalana di Gaetano Frisoni, Estudis romnics, n. 25, 2003, p. 317-325.

Prestigio culturale ed esigenze normative nelle tradizioni

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 37

idioma ancora duso corrente come lingua commerciale, ad esempio, in vari


porti del Mediterraneo e dellAmerica meridionale, su agenzie efficaci quali la
scuola, la burocrazia, la coscrizione obbligatoria. Questo processo di adeguamento linguistico ha come conseguenza, tra laltro, il sorgere di una vera e propria letteratura dialettale che segna con Niccol Bacigalupo in particolare il
confluire della tradizione locale nelle modalit vernacolari di espressione scritta variamente affermatesi in altre regioni italiane come conseguenza dellulteriore appiattimento verso il basso di tradizioni linguistiche e culturali molto
diversificate tra loro. La reazione a questo dato di fatto, appoggiandosi alla
produzione scientifica, a opere di larga divulgazione, a nuove sistemazioni lessicali, si manifesta soprattutto nella figura e nellopera di Angelico Federico
Gazzo, autore di studi grammaticali e ortografici, di una traduzione integrale
della Divina Commedia (1909) e di altre versioni rimaste manoscritte dai classici europei, volte a dimostrare come il genovese sia una lingua romanza o
neolatina come e quanto le altre, svoltasi secondo la propria indole e vivente di
vita propria.22
Al tentativo del Gazzo si riallacciano idealmente la ripresa, con Edoardo
Firpo tra gli altri, di una lirica in genovese condotta su registri alti, ma di
fatto orientata, ormai, su un filone di letteratura neodialettale comune anche
ad altre tradizioni linguistiche regionali italiane, e la nascita di un modesto
associazionismo culturale che, tollerato dal fascismo (che vide tra laltro nel
genovese uno strumento per la legittimazione delle rivendicazioni irredentistiche sul Nizzardo e sulla Corsica, ove sopravvivono isole linguistiche liguri),
ha continuato sino ad oggi a divulgare una immagine sostanzialmente arretrata ed edulcorata della realt regionale, nutrita del culto di nostalgie dialettali
che si riflettono in una modesta tradizione teatrale incentrata sulla maschera
di una genovesit improbabile e retrospettiva portata al successo dallattore
Gilberto Govi.
Il rinnovato interesse scientifico privo purtroppo di un sostanziale punto
di riferimento nellateneo genovese, dove perdura una forte ostilit nei confronti delle problematiche linguistiche regionali e la crescita qualitativa e
quantitativa della produzione artistica in genovese (con episodi di ampia circolazione, come la nuova canzone nata dal successo delle esperienze musicali
di Fabrizio De Andr), la crescita dellattenzione e della curiosit dellopinione pubblica nei confronti del genovese e delle variet dialettali liguri, hanno
portato a diverse iniziative recenti di promozione e recupero anche se la legislazione regionale in merito alla valorizzazione e rivitalizzazione del patrimonio linguistico si presenta ancora con gravi lacune rispetto ad altri contesti
italiani ed europei.
22. Sulla figura e lopera del Gazzo, cfr. Fiorenzo TOSO, Versioni genovesi della Divina Commedia. Interpretazioni letterarie e sociolinguistiche, A Compagna, N.s., 13, n. 1, 1991,
p. 9-11 e 2, p. 6-8. Sulla letteratura in genovese del Novecento, oltre al vol. III di La letteratura in genovese rimando allantologia Emigranti do re. Poeti in genovese del Novecento
a cura di Fiorenzo TOSO, numero speciale della Rivista in forma di parole, serie IV, 19, n. 2,
1999.

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39-50

Il friulano: storia e usi letterari


Stefano Magni

Abstract
Larticolo parla della formazione del friulano ed esamina i suoi usi linguistici e letterari.
Per comprendere il processo di caratterizzazione linguistica si partiti da una puntualizzazione storico-geografica, completata da unanalisi storico-linguisitca. Si accennato ai
problemi dellunit interna del friulano, dellappartenenza al gruppo retoromanzo, del
rapporto con le lingue limitrofe. Per concludere si presentato il panorama letterario friulano, il suo rapporto con la cultura locale e allopposto il tentativo di emancipazione artistica.
Parole chiave: Storia del Friuli, identit del friulano, usi letterari del friulano.
Abstract
The article refers to the formation of Friulano and examines its linguistic and literary use.
In order to understand the process of linguistic characterisation, the essay starts with an
historico-geographical description, completed with an historico-linguistic analysis. Mention is made of the problems of the internal unity of Friulano, of its pertaining to the
retoromanzo group, of its relationship with limitroph languages. In conclusion, the article sets out the literary panorama for Friulano, its relationship with the local culture and,
in contrast to this, the attempts at artistic emancipation.
Key words: The history of Friuli, the identity of Friulano, the literary.

Fontana di aga dal me pas.


A no aga p fres-cia che tal me pas.
Fontana di rustic amur.
P. P. Pasolini

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Stefano Magni

Xavier Lamuela nel suo Catal, occit, fril: llenges subordinades i planificaci lingstica, si esprime sul friulano in questi termini:
El ciutad catal de cultura mitjana ha sentit a parlar del reto-romnic com
duna de les llenges romniques i sol tenir una vaga idea que s parlat a Sussa i que all s objecte duna consideraci especial: vet aqu tot. Aqu no s el
lloc dentrar en la qesti [] de la unitat del reto-romnic. Ens bastar saber
que [] el fril s, amb gran diferncia, la unitat major pel que fa a la base
demogrfica ms de mig mili de parlants []1

Partendo da questa citazione posso provare a chiarire lidentit geografica


e storica del Friuli, la sua complessit linguistica e la relazione che intrattiene
con il retoromanzo, il latino, litaliano e le altre lingue geograficamene limitrofe, presentandone la diffusione e gli usi artistici, soprattutto recenti.
Il Friuli2 occupa lestremo Nord Est dellItalia, confinando a Nord con
lAustria, a Est con la Slovenia, a Ovest con il Veneto e lambendo a Sud il mare
Adriatico. Al centro la regione attraversata dal fiume Tagliamento che crea
la divisione interna di qua dallacqua e di l dallacqua che si manifesta anche
in due grandi variet linguistiche.
Il primo insediamento stabile in Friuli si pu attestare con una certa sicurezza tra il V e il III secolo a.C., in seguito allimmigrazione della trib celtica
dei Carnunti, proveniente dalla Francia, che occup la regione tra il Livenza e
il Carso, dando il nome alla Carnia, alla Carinzia (in Austria), alla Carniola
(in Slovenia). In precedenza attestato il passaggio dei Veneti, anche se poco
si sa del loro stanziamento.
La comparsa della latinit in Friuli risale al 181 a.C., con la fondazione
della colonia di Aquileia. La posizione avanzata della colonia ne indic subito
la funzione di baluardo e questa sar per lungo tempo la sua destinazione. I
ricchi coloni romani occupavano una vasta fascia di terreno nella pianura pi
prossima al mare, coabitando con la massa pi numerosa dei celto-carni e mettendo le basi della cultura romano-celtica che dar lavvio allidentit della
regione. Importante da questo punto di vista la persistenza in tutta la zona
della lingua celtica anche in epoca romana.
Con il diffondersi della cristianit, Aquileia divent sede vescovile e limportanza del centro religioso marcher la storia futura della regione, facendo gravitare intorno a s per secoli la vita culturale, politica e amministrativa.
Contemporaneamente assunse importanza il Forum Julii, cos chiamato in
onore di Giulio Cesare, localit che cambier il suo nome in Cividale e da cui
deriver il nome Friuli. La sorte di Aquileia e della regione intera decadde con
1. Xavier LAMUELA, Catal, occit, fril: llenges subordinades i planificaci lingstica, Barcelona: Quaderns Crema, 1987, p. 175.
2. Come principali riferimenti bibliografici per una storia del Friuli si veda: Giuseppe FRANCESCATO, Fulvio SALIMBENI, Storia, lingua e societ in Friuli, Udine, 1976; Gian Carlo
MENIS, Storia del Friuli, Udine, 1969; Pio PASCHINI, Storia del Friuli, Udine, 1936; Pier
Silverio LEICHT, Breve storia del Friuli, Udine, 1923.

Il friulano: storia e usi letterari

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 41

quella dellImpero Romano; dopo il 476 d.C. si successero le invasioni barbariche che trovarono facile accesso alla penisola passando attraverso le dolci
colline che marcano a Est il confine con la Slovenia. Solo nel 568 d.C. i Longobardi, di stirpe germanica, entrarono non con soli fini di razzia, ma per realizzare un solido insediamento che si integrer con le realt preesistenti.
Dopo i Longobardi fu Carlo Magno nel 776 a prendere possesso dei territori
in nome dei Franchi fino a quando una serie di invasioni ungare nella prima
met del 900 mise in ginocchio la regione. Il lungo periodo di instabilit fu
concluso con linizio della dominazione germanica della famiglia di Sassonia.
Di fronte a questi cambiamenti di potere, lunica realt che mantenne una
certa consistenza fu il patriarcato di Aquileia che appar anche agli stessi imperatori sassoni come il riferimento politico pi sicuro della zona. Grazie a ci,
da questo momento il Friuli visse la sua massima esperienza autonomistica e,
isolato dal resto dellItalia, pot conservare per secoli la sua lingua originale,
ponendo le basi della sua identit.
Nel 1420 Venezia ebbe la meglio sulle truppe imperiali e pose termine allesperienza del patriarcato, occupando la quasi interezza della regione, ma lasciando comunque anchessa una certa indipendenza ai buoni e fedeli friulani.
Con larrivo di Venezia, a livello sociologico e linguistico, importante
segnalare la venetizzazione dei centri pi importanti che passarono dalla parlata friulana ad una veneta, retaggio che stato tramandato fino ad oggi.
Venezia, per, non riusc ad annettere Trieste e Gorizia che restarono in
area germanica e che ritorneranno italiane solo alla fine della Prima Guerra
Mondiale. Comunque lunit linguistica fu mantenuta anche al di l del confine. Gorizia linguisticamente parte dellarea friulana, Trieste lo fu fino allinizio del XIX secolo.
Nei secoli XVI-XVIII la cultura friulana orbitava intorno ai due grossi centri:
da un lato larea germanica e dallaltro quella veneta, nettamente fratturate,
fino a quando, nel 1797, furono le armate di Bonaparte ad annettere la regione, per farne subito terra di scambio, ovvero rendendola lo stesso anno allAustria in cambio della Lombardia e di parte dei Paesi Bassi con quel trattato di
Campoformio che indign molti nazionalisti italiani tra i quali Foscolo. Fino
al 1813 il Friuli fu palleggiato tra le due potenze e solo con la Restaurazione fu
annesso allAustria per restarvi fino al 1866 quando, attraverso i moti del Risorgimento che portarono alla formazione dellItalia contemporanea, torn ad
essere italiano, con leccezione, come detto, di Gorizia e Trieste.
In epoca contemporanea la regione ebbe a soffrire il peso maggiore del
primo conflitto mondiale che si combatt lungo i suoi confini orientali e visse
tragicamente la disfatta di Caporetto dellottobre 17 con un anno di nuova
sudditanza austriaca. Pesante fu la sorte anche durante la Seconda Guerra
Mondiale, soprattutto dopo l8 settembre 43, con lannessione diretta al Terzo
Reich come provincia adriatica (Adriatisches Knstenland) e con lultima
invasione, quella dei Cosacchi, alleati di Hitler, cui fu promessa la regione
(Kosakenland) in cambio del controllo della particolarmente vigorosa lotta
partigiana.

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Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Stefano Magni

Nel dopoguerra la posizione di confine con il comunismo (Jugoslavia) fece


del Friuli un luogo massicciamente militarizzato. Nel pordenonese tuttora
stanziata la base americana pi grande dEuropa e nella stessa zona, a testimoniare lo sfruttamento del territorio e delle risorse di una regione di tradizione povera, si consum nel 1963 la catastrofe della diga del Vajont. Nello
stesso anno venne per accordato lo statuto di Regione Autonoma e il capoluogo
fu stabilito a Trieste. Lultimo episodio saliente fu, nel 1976, il devastante terremoto che rase al suolo interi villaggi segnando una frattura con la vecchia
cultura e minacciandone la sopravvivenza stessa.3
Queste determinazioni storiche ci servono per identificare il popolo friulano,
determinarne la sua individualit in rapporto allItalia. Il sentimento della
Patria friulana, che risiede nella lunga esperienza del patriarcato di Aquileia e
nellautoctona mescolanza di cultura celtica, latina, longobarda, d come immagine del popolo friulano un risultato piuttosto eclettico che pare emergere chiaramente anche a livello linguistico. Gi dal 500, infatti, si parla di sermo
varius, di una parlata che risuona [] quasi di tutte le lingue straniere (Marcantonio Sabellico, De Vetustate Aquileiae) e di una lingua in cui hanno corso
le parlate di quasi tutto luniverso, il che non toccato a nessunaltra lingua
(Antonio Franceschinis, De Carnica Regione illustratio). Il giudizio quantomeno
sorprendente: il friulano visto come prototipo ed emblema di mescolanza,
come lapice raggiunto dalle possibilit combinatorie della linguistica.
Un giudizio particolarmante indovinato mi pare quello di Paul Fabre (Le
patrimoine de lglise romaine dans les Alpes Cottiennes, XIX sec.) Il Friuli una
regione a s, distinta dalle altre regioni nominate in precedenza perch non
parla la lingua latina, n la slava, n la tedesca, ma possiede un suo idioma
peculiare. Partecipa tuttavia pi della lingua latina che di qualunque altra lingua vicina.4
Come primo elemento deduciamo una unicit del Friuli rispetto alle regioni confinanti. In secondo luogo i termini dellidentificazione sono linguistici.
La parlata locale diversa da tutte quelle confinanti, pur essendo sicuramente neolatina piuttosto che germanica o slava.5
3. Questa tendenza, probabilmente insita nel corso storico stesso, stata violentemente accelerata dal cataclisma. In quel momento finisce in Friuli la millenaria civilt contadina che
per molti secoli aveva caratterizzato la cultura della popolazione e che, rispetto ad altre
regioni italiane, soprattutto del Nord Italia, si era conservata pi a lungo. Questo elemento ci sar utile per comprendere la produzione artistica e letteraria attuale della regione, che
ha giocato continuamente su un confronto reiterato e a volte patetico con la tradizione.
4. Per un riassunto delle differenti posizioni si veda: Rienzo PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura: per una storia degli usi scritti del friulano, Udine: Casamassima, 1987, p. 24-27 e
p. 111-112.
5. I confini dettagliati del friulano sono delineati nellimponente Atlante Storico-Linguistico-Etnografico-Friulano (ASLEF) che in modo sistematico analizza parlate e toponimi della regione. I confini generali dati per delimitare larea linguistica sono: il fiume Livenza ad Occidente,
ad Oriente ben noto che il friulano o una sua variet si estendeva sino a Trieste ed a
Muggia. LASLEF suddivide inoltre questo territorio in quattro grandi aree, corrispondenti alle variet: 1) centrale, 2) orientale, 3) occidentale e 4) carnica; ma [] divisione

Il friulano: storia e usi letterari

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 43

Allinterno della regione, comunque, lespressione grafico-linguistica presenta una situazione molto variegata. Le ragioni dello smembramento sono
molte: di ordine storico, geografico e sociologico. Linfluenza del veneto, per
esempio, agisce bilateralmente. Da un lato c una sua forte influenza sui dialetti della campagna, maggiore quanto pi ci si avvicina al confine occidentale. Da un altro lato Venezia irruppe linguisticamente nei centri principali della
regione creando quella frattura citt-campagna cui ho gi accennato e su cui si
sono espressi molti friulanisti.
G.B. Pellegrini ha avuto modo di notare come nei secoli XI-XIV [] Il
veneto diviene via via il linguaggio quotidiano delle classi borghesi, dei nobili e delle famiglie pi abbienti e cittadine [] sinsinua nei centri cittadini e si
affianca al friulano per eliminare totalmente questultimo [].6
I caratteri delineati sono evidenti: il veneto assunto come prima lingua
da borghesi e nobili e nel contesto cittadino (ma Udine ader a questa convenzione solo nel XX secolo); il friulano ridotto a idioma familiare, limitato
ad un ambito ristretto geograficamente (la regione) e socialmente (famiglia,
popolo e campagna). Questo fenomeno crea a tuttoggi nella regione delle aree
venetofone e non-friulanofone. Una dinamica simile avviene lungo il confine
orientale, infatti, come ricorda G.B. Pellegrini, ben noto che la regione di
Trieste con Muggia (e forse [] ivi compresa Capodistria), rappresentava ancora alla met del secolo passato una propaggine dellarea linguistica friulana in
terra giuliana in via di totale assorbimento ad opera del dialetto veneto.7
Il glottologo bellunese identifica un idioma antico, il tergestino che possiamo equiparare al friulano, rimpiazzato da uno di tipo veneto, il triestino.
Il vorticoso aumento della popolazione a Trieste e lestendersi dellabitato, specie dopo la proclamazione della cittadina a porto franco, laffluenza dei forestieri da ogni paese dItalia e dEuropa, il formarsi di una coscienza nazionale
molto sentita, rese assolutamente inefficiente ed insufficiente luso del vecchio
dialetto tergestino che venne via via ripudiato e ritenuto di rango inferiore
soprattutto nelle classi dei borghesi e dei numerosi commercianti, e, in un
essenziale quella che riconosce due variet fondamentali [] e cio: 1) il friulano aquileiese
[] sulla sinistra del Tagliamento e il friulano concordiese sulla destra []. Pellegrini
parla di varianti pi importanti. Allinterno di queste si pu ipotizzare una complessa
mappa piuttosto maculata di varianti inferiori la cui forza centrifuga non distrugge per la
realt della stessa matrice celto-romanica e lunit complessiva rispetto alle zone limitrofe
(Austria, Slovenia, Italia); tanto che Pellegrini accetta una unit linguistica friulana che
ricopre grosso modo lattuale Regione Friuli-Venezia Giulia. Cfr. Giovanni Battista PELLEGRINI, ASLEF, ragioni dellopera e programma, in Introduzione allatlante storico-linguistico-etnografico-friulano (ASLEF), Udine: Istituto di glottologia dellUniversit di Padova/
Istituto di Filologia Romanza della Facolt di Lingue e Letterature Straniere di Trieste con
sede a Udine, 1972, p. 13-15.
6. Giovanni Battista PELLEGRINI, ASLEF, ragioni dellopera e programma, op. cit., p. 19-20.
Si veda inoltre Giuseppe FRANCESCATO, Il dialetto veneto di Udine. Schizzo storico-fonetico, in Atti dellAccademia di Udine, serie 6, vol. 13, 1954-1957.
7. Giovanni Battista PELLEGRINI, Tra friulano e veneto a Trieste, in Saggi sul ladino dolomitico e sul friulano, Bari: Adriatica editrice, 1972, p. 406.

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Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Stefano Magni

secondo tempo, anche tra il popolo e tra le poche famiglie nobili, in questo
caso singolarmente attaccate alla tradizione avita.8

Il friulano, dunque, in primo luogo inefficiente in una comunit espansa, poich incomprensibile dai forestieri; dallaltro sentito come lingua povera, evidentemente legata al semplice mondo contadino, rifiutata per questo
dalla nuova borghesia commerciale.9
Anche storicamente sul friulano pesa il giudizio di lingua popolare, spesso
descritta come poco piacevole alludito. Questa etichetta compare gi dal primo
riconoscimento dellindividualit del friulano. Nel De vulgari eloquentia, Dante
usa termini piuttosto critici per descriverlo: Post hos aquilegienses et Ystrianos cribremus, qui Ces fas-tu ? crudeliter accentuando eructuant. Cumque
hiis montanina omnes et rusticanas loquelas eicimus [].10
In quel crudeliter si racchiude molta della considerazione che uno straniero
doveva avere della parlata friulana.11 Nonostante i giudizi di gusto, comunque, c il riconoscimento di un idioma indipendente dal latino, dal veneto e
dal toscano e poi dallitaliano, come anche dalle lingue doltre confine. Per il cittadino friulano questa individualit un fatto culturalmente importante, come
ricorda G.B. Pellegrini: [] sempre di attualit, specie per i friulani, non
certo per gli scienziati [] un giudizio a proposito della loro parlata, se cio essa
debba essere considerata una lingua o un dialetto.12 Il tono dello studioso piuttosto polemico: lappartenenza del friulano al sistema delle lingue
piuttosto che a quello dei dialetti questione che interessa i friulani, non gli
scienziati. Forse perch, come ha sottolineao Tito Maniacco, poter parlare di
lingua pu voler dire riconoscersi in una patria, altra rispetto allItalia. E il cit8. Ibid., p. 410.
9. Il Pellegrini osserva anche come la formazione del triestino abbia dovuto procedere per
ipercaratterizzazione nel rifiuto, ovvero formandosi per opposto allidioma precedente. Lo
studioso nota infatti come nel triestino manchi linversione soggetto verbo nelle domande, tratto comune al friulano come a tutti i dialetti veneti.
10. Dante ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, I, XI, introduzione, traduzione e note di Vittorio
Coletti, Milano: Garzanti, 1995 [1991], p. 30-31. Trad.: Quindi setacciamo Aquileiesi e
Istriani che Ces fas-tu? eruttano con pronuncia crudissima e con loro sbattiamo via tutte le
parlate montanare e campagnole []
11. Anche altri pareri, tra i quali quelli del Sabellico e del Capretto segnalavano nel friulano
delle sonorit spiacevoli, dure e poco musicali.
12. Giovanni Battista PELLEGRINI, ASLEF, ragioni dellopera e programma, op. cit., p. 16.
Anche alcuni scrittori locali hanno espresso i loro pareri, tra essi Pasolini e Sgorlon. Pasolini ha detto del friulano ancora negli anni 40: Non un dialetto italiano, ma neanche una
lingua; l, il nostro friulano, a mezza strada, e forse spera ancora che qualcuno dei suoi
figli lo innalzi e gli dia quella dignit che gli spetta in Pier Paolo PASOLINI, Dialetto, lingua, stile, in LAcademiuta friulana e le sue riviste, a cura di Nico NALDINI, Vicenza: Neri
Pozza, 1994, p. 12. Pi recentemente Sgorlon propende piuttosto per un declassamento
del friulano: Quando si scriveranno romanzi moderni in cui si parler di aerei, di calcolatori elettronici, ecc. allora sar pi disposto a credere che il friulano sia una lingua, ma
credo che questo non accadr mai. Perci il friulano un linguaggio dialettale (Liana NISSIM, Sgorlon teste insolente: materiali per unermeneutica e una dichiarazione poetica di Carlo
Sgorlon, Udine: I quaderni del Gamajun, 1985, p. 141-142).

Il friulano: storia e usi letterari

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 45

tadino friulano vive in questa situazione ambivalente, per cui storicamente e


linguisticamente sente unindipendenza, ma sempre sotto legida di un potere
pi forte, emanato spesso dalla penisola italiana.
Il fatto stesso di rivendicare unautonomia dipende forse dal fatto che essa
costantemente messa in dubbio da molteplici fattori: il sempre minor numero di parlanti friulano, litalianizzazione anche delle aree agresti, unindipendenza politica limitata.
Lindipendenza linguistica del friulano fu studiata dal glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli che, nel 1873, pubblicava i Saggi Ladini con cui individuava su base tipologica un complesso di parlate marginali neolatine
caratterizzate da un insieme di tratti che conferivano loro una determinata specificit allinterno della Romnia.
Allora il termine ladino13 veniva ufficialmente ad identificare una fascia
(discontinua) di parlate alpine che da alcuni territori della Rezia, attraverso
larea dolomitica, raggiungeva il Friuli e lIstria.14 Ma il vero senso di questa
classificazione, lomogeneit dellarea, i rapporti tra le tre parlate sono stati
spesso discussi e definiti in modi differenti. Le obiezioni allunit sono sostanzialmente di natura storica, lessicale e a volte si rifanno alla evidente incomprensione tra i parlanti di queste aree.15
Il friulano, comunque, come ricordava X. Lamuela, tra queste lingue lidioma pi parlato. Si aggiunga anche che quello con la tradizione letteraria
pi antica.
13. Il termine ladino, introdotto nel 1832 da Haller, stato ripreso dallAscoli; la voce retoromanzo risale invece al Gartner.
14. Si veda la Relazione della commissione esaminatrice sulla Memoria di Giovanni Battista
Pellegrini e Paola Barbierato dal titolo Comparazioni lessicali retoromanze: complemento ai
saggi ladini di G.I. Ascoli in Giovanni Battista PELLEGRINI e Paola BARBIERATO, Comparazioni
lessicali retoromanze: complemento ai saggi ladini di G.I. Ascoli, Venezia: Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti, 1999.
15. A questo punto potrebbe risultare interessante una scorsa rapida alle caratteristiche linguistiche del friulano, per cercare di identificarlo in rapporto alle altre lingue, presentando i
rapporti di continuit con le lingue latine o con quelle celtiche.
In comune con le parlate latine presenta: una maggioranza di voci provenienti dal lessico latino medievale; una struttura morfologica analoga a quella latina, ma semplificata
dalle flessioni; una sintassi legata a quella latina nella sua forma pi popolare.
In comune con le lingue celto-latine, soprattutto oltremontane, presenta: un largo sistema di troncamenti desinenziali, con uscite consonantiche; la conservazione della s finale nei plurali e nelle seconde persone dei verbi; la conservazione dei gruppi consonantici
formati da una muta pi la liquida l ( gl, bl, cl, pl, fl ); un certo numero di voci derivanti
dallantico celtico.
Ma, a differenza della maggior parte delle lingue celto-romane ignora i suoni vocalici
intermedi fra i e u () e fra o e e ; conserva la a tonica dei verbi di prima
coniugazione; accoglie numerose voci dorigine germanica e qualche centinaio di provenienza slava.
A livello consonantico, uno dei tratti pi salienti, la pronuncia prepalatale (o mediopalatale) di c e g, che danno c e g.
A livello vocalico terrei soprattutto conto della distinzione quantitativa delle vocali e
della ricchezza di forme dittongate.

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Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Stefano Magni

La sede non mi permette di tracciare una storia della letteratura friulana, per
cui vorrei concentrarmi su alcuni fenomeni della sua tradizione scritta per finalizzarli in unottica precisa. Mi pare punto interessante di discrimine, infatti,
lambivalenza del friulano che da un lato vive di una realt e di una tradizione
fortemente agresti che ne interpretano il sapore pi genuino della lingua, dallaltro aspira a unelevazione universalmente poetica. Come ho detto, infatti, il
friulano non ha avuto mai la dignit di linguaggio burocratico e politico,
stato emarginato dalle aree cittadine nobili e borghesi ed restato marginalizzato nelle aree agricole. Lo scrittore che consapevolemente ne ha fatto uso,
quindi, si confrontato con una duplice dimensione, cercando da un lato di
esprimere tutto quello che il friulano portava in s in modo intrinseco, quindi una patina rurale e spontanea, dallaltro di farne strumento per ottenere i
risultati artistici del modello toscano-italiano. Gi la prima attestazione scritta del friulano, cos antica da essere motivo di nobilitazione linguistica, esprime un certo sapore agreste. La ballata Piru myo do16 (1380) evoca allusioni
villerecce, poich di primo acchito al paragone floreale della bella, tipico
della lirica cortese, sostituito il pi carnoso riferimento al frutto del pero. La
seconda ballata di cui si ha menzione Biello dumlo di valor (1416), appartiene al repertorio giullaresco. Il Soneto furlan (sec. XIV), pubblicato solo nel dopoguerra, a causa della sua ardimentosa metafora, rusticamente licenzioso
offrendo uno scoperto parallelismo tra i lavori della campagna e latto sessuale.
Con questa tradizione alle spalle, Pietro Capretto si trov, nel 1484, a tradurre le Costituzioni della Patria del Friuli. interessante notare come lautore
scelga per il volgarizamento non il friulano, ma il trevigiano, da intendere sicuramente in modo lato come veneto e in cui R. Pellegrini constata come si innesti una buona dose di tratti linguistici toscani.17 E significativo, comunque, che
a questo periodo di sostanziale autonomia politica, nel momento di massimo
splendore del patriarcato di Aquileia, risalgano i primi manoscritti in friulano.
16. Anche in questo caso bisognerebbe aprire una lunga parentesi per riassumere le varie ipotesi interpretative. Sinteticamente e in modo molto semplicistico, ignorando per esempio
che piru maschile, e che al maschile accorda laggettivo, possiamo frettolosamente ipotizzare
una traduzione del tipo Peruccia mia dolce. Per unesaustiva trattazione si veda Rienzo
PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura, op. cit., p. 56-62, in cui si ipotizzano le pertinenti alternative per cui piru sarebbe meglio il frutto del biancospino e che allo stesso tempo la parola giocherebbe sul diminutivo del nome Pietruccia. Il dubbio relativo ad una certa
identificazione piru=pera sta nel linguaggio alto del componimento, anche se lambiguit
potrebbe essere cosciente per lautore.
17. Ibid., p. 99. In una epistola che funge da premessa alla traduzione, il Capretto spiega la sua
rinuncia alla lingua toscana, perch oscura ai friulani, ma anche allidioma friulano, perch
non universale in tutto il Friuli e perch poco diffuso. Un buon compromesso gli pare,
appunto, la lingua trevigiana. Il rifiuto del friulano pare tecnico, ovvero consiste nella mancanza di una tradizione scritta e che ove ce labbia risulta piuttosto popolare e a tratti giullarescoscabrosa, quindi inadatta allalto scopo. Per ci che concerne il tema dellincomprensibilit
del friulano allinterno degli stessi confini regionali, sono state avanzate ipotesi secondo cui
questa lacuna non fosse geografica, ma socio-linguistica. Nel momento in cui il Capretto
volgarizza le Costituzioni si pu ipotizzare una forte componente di famiglie venetofone,
sicuramente in corrispondenza dei borghi maggiori e delle classi pi agiate.

Il friulano: storia e usi letterari

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 47

In ogni caso il volgarizzamento del Capretto una sorta di atto mancato. La scelta, che abbiamo visto essere attentamente meditata, pertanto simbolicamente un atto di rinuncia, un giudizio che colloca o forse costringe il
friulano in ambito marginale e solo con unipotesi fantastica e assolutamente
poco scientifica potremmo congetturare i possibili sviluppi della parlata davanti al gesto coraggioso di un traduttore che dal latino avesse intrapreso la soluzione pi popolare.
Ma intanto il friulano, in letteratura, si forma poco a poco limmagine di
lingua dello scherzo spontaneo, del gioco paesano e semplice, attraverso un
percorso che tocca i minori, ma che soprattutto coinvolge le due voci pi rappresentative. Massimo esponente del 600 Ermes di Colloredo, poeta in cui
non esclusiva, ma prevale la tematica rusticale18 alle volte traslata in una visione un po edulcorata, in un mito bucolico della vita semplice e gradevole del contadino che pu profittare dei piaceri della natura. I temi sono spesso satirici e
fanno largo uso dellobscenitas e la funzione spesso sociale del testo (creato sempre per unoccasione specifica, con un uditorio individuato) favoriscono il
gioco, lo sberleffo, la satira.
La vena comico-satirica raccolta dallo Zorutti (1792-1867) che forse il
pi fulgido esempio di poesia friulana vista come gioco, lazzo, witz. Zorutti, che
canonizza nelluso letterario la variante del friulano centrale, diventa un paradigma linguistico.19 Ma la sua grande fortuna a livello letterario stata pi volte
messa in dubbio, proprio perch legata ad una facile vena ridente e ciarliera, interpretata con ottimo spirito dal personaggio-autore di cui si tramanda la battuta
sagace e lo spirito acuto. Basti citare il severo giudizio di Domenico Del Bianco:
18. Rienzo PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura, op. cit., p. 196.
19. Altro dibattito aperto e acceso quello tra sostenitori e detrattori della koin e non pu
essere sviluppato in questa sede con il necessario rispetto per tutte le opinioni; pare importante comunque ricordare che esso riguarda gli usi scritti, poich [] il friulano scritto si
sviluppato generalmente sulla base delle variet centrali, facenti capo a Udine, centro
politico, amministrativo e culturale della regione: e, come ovvio, molti degli studi sul friulano si sono limitati a prendere in esame appunto la variet rappresentata, in linea culturale di massima, dal friulano scritto (il quale aveva tra laltro lappoggio culturale e di prestigio
della Societ Filologica Friulana) (Giuseppe FRANCESCATO, La dittongazione friulana
[1959, p. 14-21], in Studi linguistici sul friulano, Firenze: Loescher, 1970, p. 15).
Francescato aggiunge poi che in ogni momento dello sviluppo della letteratura friulana gli
pare di poter constatare un contrasto essenziale fra le tendenze unificatrici, variamente rappresentate, e la resistenza opposta dallindividualismo di vari scrittori che trovano la miglior
espressione della loro vena poetica nella parlata nativa e particolare. Secondo Francescato nessuna autorit letteraria e linguistica nel corso dei secoli riuscita mai a travolgere ogni resistenza locale e a imporre un modello di koin adottato sullintero territorio: Possiamo tuttal
pi parlare di una lingua letteraria che in certi periodi storici ha dominato pi o meno il
campo, mai interamente (Giuseppe FRANCESCATO, Per una storia del friulano letterario
[1959, p. 163-174], in Studi linguistici sul friulano, op. cit., p. 173). Il problema verte soprattutto sullidentificazione della koin intorno agli scritti di Ermes di Colloredo e Pietro Zorutti che hanno raggiunto grande notoriet usando la stessa variet linguistica.
Al contrario, a sostegno di una koin friulana, si veda soprattutto Giuseppe MARCHETTI, La koin friulana attraverso i secoli, Ce Fastu, n. 26, 1950, p. 4-9 e Per una
koin friulana, Sot la nape, n. 5, 2, 1955, p. 3-5.

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Stefano Magni

Zorutti [] pi ammirato per le sue barzellette, per le sue pi volgari corbellerie, che per le sue cose migliori. Non del tutto a torto stato accusato di
avere corrotto il buon gusto dei friulani. Essi sono da tanto tempo abituati a
leggere nel loro dialetto poesiette facili, scorrevoli, frivole, satiriche ed umoristiche, che non domandano di meglio ai loro poeti.20

Zorutti riprende inoltre la stilizzazione arcadica che era stata anche del Colloredo, offrendoci quel modello di letteratura che comincia ad avere il sapore
di friulano, sospeso tra leggerezza, satira e mito della semplicit contadina.
Limmagine della campagna come idillico quadretto lussureggiante perde
consistenza con Caterina Percoto (1812-1887), ma il mondo rurale resta fulcro della pagina letteraria, mito di vita moralmente sana, anche se viene descritto con pi corpo, con pi realismo.
Poeta contadino stato definito anche Celso Cescutti (1877-1966), ma
anche in lui c un approfondimento di temi e mezzi espressivi che lo elevano
verso lassoluto. Fino ad arrivare alla reazione contro questa deleteria21 pratica
poetica zoruttiana che venne promossa verso la fine del secolo da Pietro Bonini (1844-1905), il quale si sforz di conferire al friulano un certo prestigio letterario, traducendo, tra laltro, dalla Divina Commedia.
Lesperienza forse pi importante del XX secolo quella di Pasolini che
mette il suo spirito creativo e innovatore al servizio della lingua materna.22
Pasolini crea quella frattura culturale che getta le basi per una letteratura moderna in Friuli, battendosi contro la poetica della stucchevole tradizione, del focolare, della polenta, contro limmoto mercato udinese:
Non badare ai cruscaioli friulani sono ignoranti e faziosi, e vogliono ridurre
lessico e sintassi friulani a documenti di un cretino, campanilistico moralismo.
Vogliono che polenta rappresenti la morale della polenta, con questo bel sottinteso sociale: il friulano contento di mangiar polenta, non chiede di meglio
che mangiar polenta.23

La riscoperta vernacolare di Pasolini arriva alla morte del fascismo diventando


gesto politico e sociale, contro le fissazioni accentratrici del regime che aveva
ostacolato la pratica dei dialetti. Soprattutto, poi, luso del friulano come linguaggio letterario non nasce pi dalla vena scherzosa, ma dalla sentita necessit
di espressione e dallorgogliosa affermazione della propria storicit linguistico-dialettale.
In seguito, in letteratura, la poesia friulana conta eccellenti firme, prestigiosi risultati artistici, anche se forse non ha mai raggiunto la sperimentazione
che si conosciuta negli anni 60-70 in italiano o in altre lingue. Ma non si pu
20. Domenico DEL BIANCO, Pagine Friulane, XVI, 1905-1906, p. 85.
21. Cos Bonini stesso.
22. A proposito di Pasolini si parla di lingua materna in modo improprio, essendo la lingua
della madre, appresa nei suoi soggiorni giovanili a Casarsa.
23. Pier Paolo PASOLINI, LAcademiuta friulana e le sue riviste, op. cit., p. 24-25.

Il friulano: storia e usi letterari

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leggere la progressione del friulano come uneterea ascesa verso lOlimpo artistico. In realt
I forti finanziamenti che arrivano dallamministrazione regionale per la poesia,
hanno creato una massa di letterati che si affermano solo nel contesto regionale
senza riuscire e volere confrontarsi con le realt nazionali e internazionali. Questi poeti scrivono in dialetto friulano (lunica lingua a essere realmente finanziata), rimanendo ancorati a un mondo ormai scomparso, che tentano di
ricreare attraverso affabulazioni idillico-nostalgiche oppure stilemi sotto-ermetici, in sostanza per mezzo di una vaghezza del sentire molto spesso stucchevole.24

Se quindi a livello letterario il Friuli non riuscito a liberarsi del tutto dalla
poetica della polenta e anzi parte dellespressione letteraria (e artistica in
genere) ricade pesantemente in questo topos usatissimo e stantio, pur vero
che soprattutto negli ultimissimi anni lo standard di qualit della produzione
artistica (e di rimando poetica) si notevolmente emancipato dal giogo della
tradizione contadina. A livello linguistico, poi,
[] si cercato nel Friuli un mezzo espressivo che non coincidesse con il friulano classico o standard, ritenuto, magari a torto, troppo logoro a causa dei
trascorsi letterari leggeri e fatui. Questa ricerca espressiva [] ha generato nel
Friuli una situazione linguistica assai complessa, con un friulano lingua contornato dai dialetti friulani, o almeno venato di dialettismi. Pertanto, nel Friuli oggi i dialetti sono in sottordine rispetto a un friulano scritto sopradialettale
(arealmente centrale, si potrebbe dire), non facendo certo capo allitaliano n
quelli, n questo; e possono quelli prestarsi, a loro volta, a prove letterarie.25

Ancora una volta la tradizione offre dallartista un mezzo troppo compromesso con il fatuo sberleffo grassoccio e cerca una lingua paradossalmente artificiale per esprimere un sentimento poetico universale. Se in poesia, comunque,
si sono avute molte esperienze interessanti, non altrettanto si pu dire per la
prosa, la cui produzione significativamente assente, tanto vero che se esistono
antologie, raccolte e critiche della poesia friulana contemporanea di lingua
ladina, nessun accenno si fa mai alla narrativa.26
I narratori friulani esistono, sono conosciuti ben al di l dei confini regionali, ma hanno scelto litaliano per esprimersi.27 Anche parlando di argomenti locali questi autori hanno optato per la lingua nazionale. Sul tipo di scelta si
24. Alberto GARLINI, Sulla poesia in Friuli, Perimmagine, anno XV, n. 1-2, inverno 20022003, p. 40-41.
25. Walter BELARDI e Giorgio FAGGIN, La poesia friulana del Novecento, Roma: Bonacci editore,
1987, p. 13.
26. Spesso anche i concorsi letterari regionali prevedono una sezione per la poesia in friulano,
ma al contrario unaltra sezione per la prosa in lingua italiana. per di questanno la prima
edizione del Premio Letterario Renato Appi, per la narrativa in friulano.
27. Tra i nomi pi celebri ricordo Carlo Sgorlon, Elio Bartolini, Paolo Maurensig.

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Stefano Magni

esprime, con opinioni non sempre condividibili, Carlo Sgorlon che prima spiega come scrivere in friulano vorrebbe dire essere letto solo da poche centinaia
di persone e poi aggiunge:
Ci sono scrittori che hanno questo destino, di essere letti soltanto dai friulani,
ma i friulani conoscono gi benissimo il Friuli, quindi gli scrittori in friulano
sono superflui. Caso mai il mio compito un altro, quello di far conoscere
il Friuli fuori dal Friuli, cio agli italiani, e possibilmente anche allestero. Il
problema era questo: far conoscere il Friuli, la sua storia, i suoi costumi, i suoi
miti, le sue leggende, la sua mentalit.28

Il risultato che oggigiorno non si pu parlare di unesperienza narrativa friulana, se non a livelli veramente provinciali e amatoriali. Daltronde anche lo
stesso Pasolini ci ha lasciato un testo teatrale in friulano (I Turcs tal Fril), ma
la stagione romanzesca lo vide sperimentare con la lingua delle borgate romane, abbandonando quella materna.
In conclusione, il friulano dunque ancora una lingua viva, con una produzione letteraria soddisfacente?
Sulla quarta di copertina di Contribution par une bibliografie (1945-1997),29
opera che raccoglie oltre mezzo secolo di pubblicazioni in lingua friulana, si
legge con un certo orgoglio:
Oltre mezzo secolo di pubblicazioni, 1460 titoli, pi di 400 scrittori: la lingua friulana offre pienamente la sua presenza di lingua di popolo, lingua di
una identit che nel frattempo cerca nuove strade per mostrarsi.

Certo, la frase odora un po di propaganda, tanto che allinterno i toni sono


un po pi moderati e soprattutto nellintroduzione (jentrade) si sottolinea il
parallelo tra richiesta e offerta libraria, per cui, senza un reale mercato, la produzione libraria non arriva alle soglie del costoso mondo editoriale ufficiale.30
Ma, almeno da questo punto di vista, i finanziamenti per la salvaguardia delle
lingue minoritarie dovrebbero incentivare la produzione. Si auspicano quindi autori di buona qualit che vogliano mettere il loro genio al servizio di una
collettivit linguistica fragilmente autonoma.

28. Liana NISSIM, Sgorlon teste insolente, op. cit., p. 136-137.


29. Contribution par une bibliografie (1945-1997), Udine: Forum Editrice Universitaria Udinese,
1998.
30. Contribution par une bibliografie, op. cit., p. 9-10: Leditorie e va in cubie cu la lenghe: se
no si un marcjt che al domande cun inxistence un prodot [] lis publications a cirin
une vie mancul ufficil di ch de cjase editore; [] .

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I volgari municipali e laffioramento di una scripta


nel medioevo lombardo
Giuseppe Polimeni

Abstract
Larticolo si propone di motivare come nella storia linguistica delle citt lombarde lingua/dialetto non siano sistemi contrapposti, ma registri strettamente legati. Le indicazioni manzoniane in apertura invitano a osservare gli statuti cittadini del medioevo come
luogo di contatto e di scambio tra due sistemi linguistici, latino e volgare.
Senza varcare di proposito la soglia di alcuni dei pi antichi manoscritti lombardi, larticolo cerca di rilevare nelle testimonianze delloriginaria diglossia una ben pi complessa
sintonia di affioramenti e di successivi strappi, osservando nella lente della scrittura un
passaggio di testimone, quello tra latino e volgare, che le opposizioni scolastiche al pari dei
facili fraintendimenti terminologici non aiutano a sciogliere.
Parole chiave: latino medievale, rete della grafia, uso lessicale specifico, uso riflesso, ricezione e circolazione di lingue.
Abstract
The article aims at assessing the motives for which, in the linguistic history of the Lombardian cities, lingua/dialetto (language/dialect) are not contraposed systems, but are instead
highly interlinked registers. The Manzonian information given at the beginning of the
article invites us to consider the medieval city statutes as a point of contact and exchange
between two linguistic systems, Latin and the vulgate.
Without expressly crossing the threshold of some of the oldest Lombardian manuscripts,
the article attempts to underline, within the evidence provided by the original digloss, a
complex awareness both of growth and of successive breakings, observing, through the lens
of writing, a passage of testimony between Latin and the vulgate, which scholastic opposition, just as with facile terminological misunderstandings, does not help to clarify.
Key words: Medieval Latin, graphic network, specific lexical use, reflexive use, reception and
circulation of languages.

Nel cuore di Milano, allangolo tra via Morone e piazza Belgioioso, Alessandro Manzoni concludeva nellottobre 1843 il primo capitolo del libro Della
lingua italiana. Postillatore attento del dizionario di Cherubini e lettore partecipe
del Porta, non poteva sfuggirgli che una lingua non altro che un mezzo din-

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Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Giuseppe Polimeni

tendersi uomini con uomini1 e che di conseguenza, anche quando il lapsus


calami sembra per un attimo mescolare le carte in tavola, tra quelli che si chiamano dialetti, e quelle che si chiamano lingue corre una differenza reale.2
[] se dicessimo che, essendoci in Italia una quantit didiomi pi o meno
diversi, sha bisogno duna lingua comune, per non esser ridotti, o a non aver
che con pochi una agevole, piena, sicura comunion di linguaggio, o a spender la vita in imparar linguaggi; se dicessimo che questo lunico mezzo per noi
di mettere insieme il lavoro di molte intelligenze, di partecipare immediatamente tutti del lavoro dalcuni; che da questo avere o non avere una lingua
comune dipende per noi lessere una nazione, o una moltitudine di trib, lesser riuniti in una civilizzazione comune, o divisi in non so quante barbarie;
troverebbero stravaganza il creder necessario di dir cose tali, ingiuria il dirle a
loro.3

Dai precordi della cultura milanese, che del Maggi e di Parini come dei
Verri e di Beccaria, era germogliata e approdava a formulazione teorica la ricerca di uno strumento comunicativo e espressivo che rispondesse alle esigenze
di unintera societ. La scelta del toscano prima e, dallOttocento, dellitaliano,
lingue di cultura in apparente pressione sullidioma di natura, scaturisce
da una storia e da una riflessione che fatti diversi concorrono a definire cittadine ed europee.
Cos lavvicinamento a un ideale di lingua nazionale e sovranazionale pu
trovare unutile chiave di lettura proprio nelle vicende della cultura dialettale
di una regione, che verso quellideale chiamata a convergere perch, fin dalle
origini, mosaico variegato di punti e di identit linguistiche.
Una pluralit di parlate, i cui confini corrono sulle mura delle singole citt e
lungo i corsi dacqua del contado, Manzoni ascoltava nella latinit babilonesca trasmessa dagli statuti scritti nella seconda met, dir cos, del medio evo.
Il guazzabuglio dei linguaggi pareva infatti gi ben definito e pericoloso l dove si trattava di prescrivere, di proibire, di permettere, di regolar le
azioni e le relazioni degli uomini.4 A chi aveva un po frugato nelle opere
buone e triste dei varii tempi della letteratura italiana,5 ogni citt e ogni cen1. Alessandro MANZONI, Scritti linguistici inediti, a cura di Angelo STELLA e Maurizio VITALE, premessa di Giovanni NENCIONI, Milano: Centro nazionale Studi manzoniani, 2000,
vol. XVII dellEdizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni, t. I, p. 345.
2. [] bisognerebbe esaminare se i dialetti siano o non siano lingue; o in altri termini, se tra
quelli che si chiamano dialetti, e quelle che si chiamano lingue ci sia una differenza reale, e
se consista nellessenza della cosa, o sia puramente accidentale, ibid., p. 355-356; [la lingua francese] Non ha, come noi, unaltra lingua oh! scusate: m scappata questa parola,
non rammentandomi che un punto in questione se il milanese e gli altri che chiamiam
dialetti, siano o non siano lingue; non ha, dir dunque, come noi, un altro mezzo col quale
nomini quelle cose, e le senta nominare, ibid., p. 365.
3. Ibid., p. 343-344.
4. Ibid., p. 374.
5. Alessandro MANZONI, Seconda Introduzione al Fermo e Lucia, in Scritti linguistici inediti,
cit., t. I, p. 21, 17.

I volgari municipali e laffioramento di una scripta

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tro offrivano loccasione per osservare le differenze e le peculiarit, che inducevano a parlare di latino dunque, ma latino di Milano [] latino di Modena [] latino di Genova [] latino di Bergamo [] latino di Firenze []
latino di Parma,6 segnalando poi lo specifico lessicale dei documenti di Venezia, Ferrara, Torino, Napoli, Pavia, Bologna, Lodi e Cremona, Padova e Feltre, Ivrea, Novara.
Suggerito, agli albori di una storia linguistica nazionale, il dialogo sotterraneo
che, tra latino e volgare, ha messo in atto per secoli le convergenze di una diplomazia non ufficiale, largomentazione manzoniana invita a leggere sotto lapparente frizione tra gli idiomi una scala di registri e di situazioni comunicative,
su cui dal Cinquecento e con pi chiarezza nel teatro si disporranno
gradatamente toscano/italiano e dialetto. Lattribuzione dei ruoli e la scelta dei
propositi, spesso apertamente dichiarati ma non altrettanto sistematicamente
perseguiti, trovano forse origine nella percezione di unidentit grafica e lessicale, quando non anche fonetica, che ha le sue basi nella scripta latina e poi
volgare del medioevo.
Sulla traccia indicata dalla riflessione di Manzoni e cinquantanni dopo
dalla ricerca dialettologica di Carlo Salvioni,7 questo lavoro cerca pi modestamente di considerare alcuni problemi teorici emersi dallanalisi della grafia
dei documenti latini del tardo medioevo e dei sincroni testi volgari, dove
dato di misurare ladesione progressiva a un codice, in primo luogo grafico,
comune.
Senza varcare di proposito la soglia di alcuni dei pi antichi manoscritti
lombardi, il tentativo di rilevare nelle testimonianze delloriginaria diglossia
una ben pi complessa sintonia di affioramenti e di successivi strappi vuole
prefigurare la direzione futura del contatto e dello scambio tra idiomi, osservando
nella lente della scrittura un passaggio di testimone che le opposizioni scolastiche
al pari dei facili fraintendimenti terminologici evitano di sciogliere.
Proprio il latino medievale, con la sua superficiale omogeneit e unit normalizzante, oggi testimonianza superstite della specificit linguistica dei singoli centri nellarea che ci proponiamo di considerare, ma soprattutto
indicazione di una tappa in cui il volgare gradualmente cerca codificazione,
oltre che attestazione scritta, fino a ritagliarsi anche attraverso la grafia usi e
destinatari propri.8
6. Ibid., p. 374-379.
7. Carlo SALVIONI, Lelemento volgare negli statuti latini di Brissago, Intragna e Malesco,
in Bollettino storico della Svizzera Italiana, XIX, 1897, p. 133-170.
8. Nel Trecento, l dove il volgare ha raggiunto piena maturit grafica, il latino lascia il campo
a un nuovo codice scritto, in cui trova pi trasparente codificazione, giuridica e linguistica,
la vita quotidiana; cfr. Gli statuti delle strade e delle acque del contado di Milano, a cura di
Angelo STELLA e di Luciano F. FARINA, con la collaborazione di Giovanna BALESTRERI, contributi di Pierluigi TOZZI e Massimiliano DAVID, Milano: LED, 1992. Non solo un mutamento di destinatario, ma un contesto politico diverso animano ladozione del volgare
presso la cancelleria visconteo-sforzesca: cfr. Maurizio VITALE, La lingua volgare della Cancelleria Visconteo-Sforzesca nel Quattrocento, con una premessa di Antonio VISCARDI, Milano: Cisalpino, 1953.

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Giuseppe Polimeni

Nel documento notarile, come nello statuto, la parte fissa, e comune a una
societ dalle esigenze diversamente globali, pare a tutti gli effetti senza tempo,
predisposta ad assegnare levento e i protagonisti a quelleternit non corruttibile, che il latino soltanto, come Dante anticipava nel Convivio,9 poteva garantire.
L dove invece le cose e il mondo materiale si affacciano alla pagina dello
statuto o dellatto, il vetro della gramatica si increspa e lascia leggere preziose testimonianze della lingua duso, quella con cui nella quotidianit si nominano i luoghi e gli oggetti e che, come tale, va citata con precisione, anche
quando sembra contraddire la morfologia della lingua ospite. Era questa la
parte mobile, sensibile del documento, volta per volta adattata da notai di cultura diversa, e alloccorrenza letta e tradotta per i contraenti o per i loro eredi.10
Insieme al lessico, riporta a unarea precisa la fonetica, quella che affiora
dalle smagliature grafiche dellimprecisione o da una correzione che aggiorna
e normalizza la forma di un toponimo caduta per errore o per abitudine dalla
penna di un funzionario meno sorvegliato.
Il 30 settembre 1098, Otto notarius, redigendo lo strumento con cui
Ermengarda, badessa del monastero di San Salvatore e Santa Giulia di Brescia,
cede due sorti a Walcoso e Pietro, figlio del fu Giovanni di Montegalda, attua
una correzione singolare, ma indicativa:
[] datis et consignatis predictis dennariis et cera per iam dictos Walcosus et
Petrus suosque heredes vel eorum miso in suprascripto monasterio Sanctae
Iurie (? Iulie) ad suprascriptam abbatisam vel eius successori aut suo miso allia
superi(m)posita eis non fiad.11
9. Dante ALIGHIERI, Convivio, in Opere minori, a cura di Cesare VASOLI e Domenico DE ROBERTIS, Milano-Napoli: Ricciardi, 1988, t. I, parte II, p. 33-34: Per nobilit, perch lo latino
perpetuo e non corruttibile, e lo volgare non stabile e corruttibile. Onde vedemo ne le
scritture antiche de le comedie e tragedie latine, che non si possono transmutare, quello
medesimo che oggi avemo; che non avviene del volgare, lo quale a piacimento artificiato si
transmuta. Onde vedemo ne le cittadi dItalia, se bene volemo agguardare, da cinquanta
anni in qua molti vocabuli essere spenti e nati e variati; onde se l picciol tempo cos transmuta, molto pi transmuta lo maggiore. S chio dico, che se coloro che partiron desta vita
gi sono mille anni tornassero a le loro cittadi, crederebbero la loro cittade essere occupata da
gente strana, per la lingua da loro discordante; sul mutamento diatopico e diacronico cui
soggetto il volgare si veda De vulgari eloquentia I, IX, 4-11 e il rimando, individuato da Maria
CORTI, a RESTORO DAREZZO, La composizione del mondo, a cura di Alberto MORINO, Milano-Parma: Fondazione Pietro Bembo-Ugo Guanda, 1997, II.7.4 (24-25), p. 294-295.
10. Valgono per i documenti tardomedievali le indicazioni che Francesco Sabatini ricava per
la tradizione di lingua scritta intermedia dellalto medioevo: Francesco SABATINI, Dalla
scripta latina rustica alle scriptae romanze, in ID., Italia linguistica delle origini, saggi editi
dal 1956 al 1996 raccolti da Vittorio COLETTI, Rosario COLUCCIA, Paolo DACHILLE, Nicola DE BLASI, Livio PETRUCCI, Lecce: Argo, 1996, p. 119-265, articolo apparso in Studi
medievali, s. III, IX, 1968, p. 320-358; in particolare si segnala, alle p. 222-225, il riferimento ai canali indiretti individuati da Ldtke: Protokoll (registrazione scritta di un discorso orale) e Vorlesen (presentazione orale di un testo scritto); cfr. Helmut LDTKE, Die
Entstehung romanischer Schriftsprachen, in Vox Romanica, XXIII, 1964, p. 3-21.
11. Diana VECCHIO, Le pergamene del Codice Diplomatico Bresciano (secc. XI-XII): Carte private, comunali, vescovili. Saggio di edizione, Tesi di laurea in Paleografia, Relatore Antonio

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Con lincerta concordanza e articolazione dei casi latini, il notaio affidava


alla pergamena la testimonianza di una fase arcaica della lingua, di cui non
restano per larea bresciana attestazioni nei documenti volgari: lipotesi, del
resto sin qui non altrimenti dimostrabile, che il rotacismo potesse con ogni
probabilit essere attestato in origine anche di l dellAdda,12 utile se non
altro a ricordarci quelloriginaria unit e distribuzione di fenomeni fono-morfologici, le cui tracce superstiti Carlo Salvioni aveva ritrovato nellarea della Lombardia medievale.13
Anche su altri versanti i documenti notarili riservano indicazioni significative di una lingua che, muovendo i primi passi sulla strada della maturit grafica, ancora debitrice al latino in primo luogo della grammatica: lantico plurale
in -ora, che avr sporadiche sopravvivenze settentrionali,14 resta ad esempio
nelle maglie dalle carte bresciane nel toponimo Campora, localit sita nel territorio di Nuvolera,15 come nella consuetudine testimoniata dal discorso diretto di Lanfrancus iudex, dove tra le propriet del monastero di Santa Giulia di
Brescia si annoverano vites et camporas que regitur per Laurenzo masario.16
Indizi preziosi vengono, come si vede, dai toponimi e in genere dallonomastica, che in forme ormai pressoch cristallizzate permette, se non di ricostruire, almeno di ipotizzare una situazione anteriore a quella che si riscontra
nei manoscritti trecenteschi in volgare.17 Le pergamene del Codice Diplomatico Bresciano aprono inoltre unaltra finestra sulla nascita dei cognomi: accanto ai patronimici e allindicazione di provenienza, si registrano tra XII e XIII
secolo professioni (Teudoldus qui dicitur Malgarita atque etiam Mauruntus
qui dicitur Canevarius,18 Girbellinus Pistor de Leno)19 e soprannomi, raramente purgati della loro marca di oralit (Oddo qui dicitur Lisignolus, Andreottus Cagapistus, Guao Pesacarnem, magistrum Albertum Quatercapellum, pre
Sechafeno, dominus Lanfrancus Buccadelucius).
Nella descrizione di luoghi e cose, come detto, il ductus latino chiamato
a ospitare il parlato, con formule che rispecchiano non solo il nome proprio,
ma anche la disposizione di persone e oggetti: quella spaziale (da una parte

12.

13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.

CIARALLI, Correlatore Ezio BARBIERI, Universit degli Studi di Verona, Facolt di Lettere
e Filosofia, a.a. 2001-2002, p. 30-31; atto rogato a Brescia il 30 settembre 1098, dove
appunto -l- risulta corretta su -r-.
Il rotacismo, ampiamente testimoniato nei coevi testi pavesi-milanesi dellabbazia di Morimondo, sar localizzato nel secolo successivo in unarea che ha come vertice Bellinzona e per
base la Liguria: cfr. Angelo STELLA, Lombardia, in Luca SERIANNI e Pietro TRIFONE (a cura
di), Storia della lingua italiana, vol. III, Le altre lingue, Torino: Einaudi, 1994, p. 153-212.
Carlo SALVIONI, Ladinia e Italia, Milano: Tipografia Padoan, 1938, p. 19-29.
Cfr. Gerhard ROHLFS, Toponomastica italiana (origini, aspetti e problemi), in ID., Studi e
ricerche su lingua e dialetti dItalia, Firenze: Sansoni, 1972, p. 52.
Diana VECCHIO, Le pergamene, cit., p. 8; atto rogato il 31 maggio 1041.
Ibid., p. 13; atto rogato il 26 maggio 1050.
Sullapporto della toponomastica allo studio storico del volgare, con riscontro sulle voci e
sulle sopravvivenze municipali, cfr. Angelo STELLA, Lombardia, cit., p. 154-155.
Diana VECCHIO, Le pergamene, cit., p. 38; atto rogato il 20 maggio 1126.
Ibid., p. 123; atto rogato il 17 ottobre 1194.

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Petro cum suis consortes, da alia parte Burningus,20 in curte maiore subtus
laubia frascata)21 come quella temporale (de hinc in antea).22 I casi latini e
lincertezza in una morfologia non pi delluso possono forse nascondere insidie per la chiarezza dellatto notarile; ecco allora entrare in gioco laffermata
consuetudine preposizionale del volgare, a definire pecias de terra vidates,
peciam de terra aratoria, pecia una de terra in parte aratoria, in parte bosco.
Se la veste grafica quella offerta, pi che imposta, dal latino, in luoghi
diversi i documenti presentano impercettibili variazioni, che torneranno utili alla
lettura dei volgari,23 sia sul versante pi complesso dei digrammi (acolochus,
Pachana) che nelle forme destinate a persistere sin dentro i pi antichi codici di
Bonvesin de la Riva: si pensi a k per locclusiva velare sorda gi nella seconda met
dell XI secolo e poi con maggiore frequenza dalla fine del XII (ad memoriam
karitati vestre,24 Iacobus Rogerii Franceski,25 Markisius Ballius,26 de
Kerbo27), a x per il fonema sibilante sonoro (trex, quadrageximo, Dixentiano,
Angoxola, Turrexella), e si rilevino nel Codice Diplomatico Bresciano le prime
occorrenze del digramma -th- per la dentale ormai in fase di lenizione, con
netto valore fricativo (Carpenetholo, Prathal, Patherno, Cavethani), che Gianfranco Contini avrebbe riscontrato negli antichi testi bresciani.28 Da segnalare a proposito loscillazione grafica nella resa del tratto tenue delle dentali finali
(fiad, licead, placuid accanto a quicquit, aliquit), a dimostrazione dellavvenuto processo di indebolimento e delle ormai diffuse forme di correzione.29
Con gradualit, ma solo a partire dallultimo decennio del XII secolo, si fa
strada nei documenti notarili il grafema per laffricata dentale (dominus Geo
de Albertus uche, Iohaninus filius Iohannis de elario, Iohanni de Peardo), proprio negli anni in cui dato di registrare sulla scala diastratica loscillazione tra palatale e dentale (Sancti Genesii / Sancti Zenesii,30 ma anche Caciago / Cazago31).
Nella parte intermedia del documento, dove leternit del latino e dellarchivio si misura con la mutevolezza del volgare e della vita, anche la grafia
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.

Ibid., p. 2; atto rogato a Brescia il 9 marzo 1015.


Ibid., p. 12; atto rogato il 26 maggio 1050.
Ibid., p. 44; atto rogato l11 aprile 1134.
A proposito degli statuti di Brissago, Intragna e Malesco, datati tra XIII e XVI secolo, Salvioni fa rilevare che gli spedienti grafici sono gli stessi che sincontrano ne testi contemporanei di volgare lombardo (Carlo SALVIONI, Lelemento volgare, cit., p. 135).
Diana VECCHIO, Le pergamene, cit., p. 106; atto rogato con ogni probabilit nel 1189.
Ibid., p. 113; atto rogato il 4 novembre 1191.
Ibid., p. 123; atto rogato il 17 ottobre 1194.
Ibid., p. 151; atto rogato il 16 maggio 1196.
Angelo STELLA, Lombardia, cit., p. 170-174 (Indizi per un canone del bresciano trecentesco).
Cfr. inoltre Giuseppe BONELLI, Gianfranco CONTINI (a cura di), Antichi testi bresciani,
in LItalia dialettale, XI, 1935, p. 115-152; sulla grafia -th- si vedano p. 139 e p. 146.
Diana VECCHIO, Le pergamene, cit., p. 1-2: atto rogato il 9 marzo 1015; cfr. anche Giuseppe BONELLI, Gianfranco CONTINI (a cura di), Antichi testi bresciani, cit., p. 146.
Diana VECCHIO, Le pergamene, cit., p. 139; atto rogato tra il 17 ottobre 1194 e il 9 febbraio 1195; per il fenomeno Giuseppe BONELLI, Gianfranco CONTINI (a cura di), Antichi testi bresciani, cit., p. 144.
Diana VECCHIO, Le pergamene, cit., p. 125; atto rogato il 17 ottobre 1194.

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diventa strumento sensibile per assegnare voce inconfondibile alle cose e ai


luoghi: nel sintagma ecclesie Sancti Desciderii32 un nuovo digramma registra ad esempio per larea bresciana lintacco palatale della sibilante, cos come
in altre pergamene, gi nel corso del XII secolo, la gramatica perde sillabe e
fonemi atoni, segnale di una fase matura del processo di apocope vocalica
distintivo del parlato settentrionale (Domafol / Domafollus, pre Albertus).
Certo il latino sopravvissuto a noi come grafia, rispettando le attese che
alla sua eternit affidava luomo medievale, ma in un bilancio steso a margine di questi rilievi lecito domandarsi quale fosse leffettiva lettura che il notaio
avrebbe dato di quellatto, con quale fonetica avrebbe interpretato la scrittura
immortale della gramatica, cosa del suono di quel mondo non rimasto impigliato nella rete della grafia.
Otto e i suoi colleghi bresciani, come i notai che in quel secolo operavano nelle
citt lombarde e italiane, offrono comunque, per cultura ma pi spesso per necessit, la prima occasione storica per rilevare quella trasparenza che Manzoni segnalava, a margine del manoscritto dellAnonimo, in pi tarde carte darchivio:
Quando luomo che parla abitualmente un dialetto si pone a scrivere in una lingua, il dialetto di cui egli s servito nelle occasioni pi attive della vita, per
lespressione pi immediata e spontanea dei suoi sentimenti, gli si affaccia da
tutte le parti, sattacca alle sue idee, se ne impadronisce, anzi talvolta gli somministra le idee in una formola; gli cola dalla penna e se egli non ha fatto uno
studio particolare della lingua, far il fondo del suo scritto.33

La possibilit di argomentare dallo stile la patria dello scrittore indicazione che va estesa, come si visto, anche ai documenti latini del Medioevo,
che interrogati e confrontati sistematicamente su pi vasto raggio, aiuterebbero a ritrovare o a tracciare le singole isoglosse fino a ipotizzare il movimento dei confini di ciascuna area e a chiarire il rapporto che, proprio dalla tarda
et di mezzo, lega i centri di irradiazione alla periferia.
Lembi estremi, per molti aspetti pi conservativi, dellarea lombarda si dimostrerebbero le isole linguistiche, che allinterno di sistemi diversi hanno conosciuto unevoluzione indipendente delloriginaria parlata: si pensi ai lombardi di
Sicilia, che, giunti a Corleone e nellisola in diverse ondate migratorie tra la met
del Due e il Quattrocento, chiedono a pi riprese di vivere more Tusce et Lombardie. La vicenda storica degli oppida Lombardorum oggi riportata alla
luce dal lavoro del gruppo di ricerca coordinato da Ezio Barbieri,34 attraverso
ledizione dei documenti dellArchivio di Stato di Palermo, sezione di S. Maria
32. Ibid., p. 149; 4 marzo 1195; cfr. anche sine conscilio, p. 145; atto rogato tra il 17 ottobre 1194 e il 9 febbraio 1195.
33. Alessandro MANZONI, Seconda Introduzione al Fermo e Lucia, cit., p. 21, 14.
34. Ezio BARBIERI, Lombardi in Sicilia. Osservazioni diplomatistiche sui loro documenti (secc.
XIII-XVI), in Marzio DALLACQUA (a cura di), Documenta 93, Parma: Archivio di StatoScuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica, biennio 1991-1993, p. 73-83; si fa riferimento ai documenti notarili del monastero di S. Maria del Bosco di Calatamauro.

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della Catena: di queste generazioni periferiche, forse vere e proprie colonie,


bisogner tenere conto, nella prospettiva gi indicata anche da Salvioni,35 per
riportare indicazioni sulla lingua e sulla cultura volgare della regione di origine.
Dal latino, registro delle cronache e dellapologia colta, pi ancora che dai
manoscritti in volgare, scaturisce per tutto il Duecento anche limmagine della
citt come centro di localizzazione di una forma linguistica in grado di identificare una comunit di parlanti: la gramatica fa spazio con nuova consapevolezza a tessere lessicali delluso e attribuisce alla parola il merito di unire e
distinguere, riconoscibile com a distanza, in luoghi e da parlanti diversi.36
Con la descrizione di Milano, Bonvesin de la Riva accoglie e per primo
giustifica nel De magnalibus la parlata della sua civitas, annotandone con scrupolo il vocabolario dentro la morfologia latina:
Tecta vicinis platearum earum comunia, que vulgo coperta vocantur,.LX. fere
numeri culmen ascendunt (II.2).
Porte quoque civitatis principales fortissime sunt, que numerum complent
senarium. Secundarie vero sunt decem, que vocantur pusterle, in quibus omnibus mirabilis muri mirabile cernitur undique fundamentum [] (II.4).
Quando fit universalis exercitus, currus publice oculis humanis mirandum
spectaculum prestans, qui vulgo carrocerum dicitur, scarlatu circumquaque
opertus et decenter ornatus (V.24).

Annotazione puntuale di un uso, la cronaca, al pari del documento, registra di proposito la forma depurata della voce, ma a differenza dellatto spesso ne ristabilisce la prospettiva storica, suggerendo uninterpretazione che
recupera o echeggia i repertori lessicografici del medioevo:
35. Carlo SALVIONI, Ladinia e Italia, cit.; p. 27-28: Per la Lombardia, una prova capitale viene
dalla Sicilia, e ce la fornisce la storia. Sono laggi, a S. Fratello, Piazza Armerina, Novara e
in qualche altro comune, delle popolazioni che i siciliani chiamano lombarde attribuendo certo a questo patronimico il suo senso medievale di italiano cisappennino, ma che
noi potrem chiamare lombarde anche nel senso attuale della parola. Sono genti nostre emigrate verso lEtna in et medievale non certa, ma anteriore senza dubbio di qualche secolo
al primo apparire duna letteratura lombarda. Parlano un linguaggio gallo-italico, cio lombardo nel senso antico, che prima, male interpretati certi passi degli storici o tratte da questi illazioni eccessive, si credeva monferrino, ma che poi, ridotta la questione, in mancanza
daltri elementi, a un puro problema linguistico, stato identificato, soprattutto per la
variet di S. Fratello, col dialetto lombardo, e pi precisamente con quello di un settore
alpino che corrisponderebbe allalto novarese e al ticinese doccidente. [] Ora, S. Fratello
altera la formola ca secondo il vezzo latino. E se il Meyer-Lbke, quando ancora credeva
allorigine monferrina dei lombardi dellisola, non esitava a decidere che il kja di S. Fratello
provava per un kja dellantico Monferrato, collo stesso diritto sentenzieremo noi ora che
esso provi per un kja (ca) lombardo molto diffuso gi oltre i suoi limiti attuali.
36. BONVESIN DE LA RIVA, De magnalibus Mediolani, testo critico, traduzione e note a cura di
Paolo CHIESA, Milano: Libri Scheiwiller, 1998, cap. III: Sicut eorum idioma facilius alio
loquitur in linguarum diversitate intelligiturque vice conversa, sic etiam inter omnes gentium (facie sola) in omnibus dinoscuntur.

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Unum tantum, etsi cetera omnia sileantur, annuntio, quoniam tam in civitate quam extra ingentis est nobilitatis quantitas numerosa virorum, quorum
quidem pars magna valvasores dicuntur a valvis. Quoniam, cum Romanorum
imperatores in Ambroxiano pritorio morarentur, hec erat eorum dignitas, quia
erant imperatorie curie portenarii. Alii vero maioris nobilitatis capitanei nuncupantur a capite: fuerant enim plebium capita (III. 34).

La generazione successiva, per intendersi quella di Galvano Fiamma che


scrive tra gli archi del convento di SantEustorgio di Milano dentro le mura
della cittadella viscontea, potr attingere al vocabolario messo a punto da Bonvesin, con la certezza che esso sia ormai testato e codificato.
Alle soglie del secolo XIII ciascun cronista, nellatto di collocare la citt al
centro (e per la precisione in medio) delluniverso, vuole marcare e quasi garantirne luso lessicale specifico, proprio appoggiandosi alla percezione contrastiva tra la lingua eterna e la lingua che muta, di punto in punto e nel tempo.37
Non diversamente da Bonvesin, ma ventanni dopo dalla specola avignonese,
Opicino de Canistris evoca, con le immagini, le parole della natia Ticinum,
proposte e salvate nella lingua che sola pu garantire il prestigio e la permanenza, anche nella distanza spaziale:
Docti sunt enim valde tam in aqua, quam in terra pugnare, facientes, cum
necesse fuerit, in navibus machinas et in terris, ac naves acutas, cursuque veloces, quas scancerias vocant, ad pugnandum in aqua.
Cum ad solempnem et generalem procedunt exercitum, secum aliquando
ducunt plaustrum trahentibus pluribus paribus boum panno rubeo coopertorum, quod plaustrum vulgo Carochium dicitur.
[] singulis diebus dominicis atque festis et in die Carnis Privii cum quinta
feria precedenti, quedam spectacula faciunt, que vulgo bataliole, set latine convenientius bellicula nuncupantur.
Omnes homines unius artis collegium faciunt, quod paraticum vocant [].
Hauriunt autem aquam non solum ligneis situlis, set etiam aereis, que sitelle
dicuntur, quibus quasi omnes habendant, ministrantes aquam capidibus ereis
[]. Habent etiam sub utroque latere ignis instrumenta ferrea, pluribus necessitatibus apta, que, quia sub igne ponuntur, grece ypopiria, vulgariter autem ibi
brandalia nuncupatur (cap. XIII).38

37. Cfr. De vulgari eloquentia, cit., p. 76, I.IX.7: Quapropter audacter testamur quod si vetustissimi Papienses nunc resurgerent, sermone vario vel diverso cum modernis Papiensibus
loquerentur.
38. ANONYMI TICINENSIS, Liber de laudibus civitatis Ticinensis, a cura di Rodolfo MAIOCCHI e
Ferruccio QUINTAVALLE, Rerum Italicarum Scriptores, XXXIV, Citt di Castello: Lapi, 1903;
cfr. anche Angelo STELLA, Cesare REPOSSI, Fabio PUSTERLA, Lombardia, Brescia: La Scuola, 1990, p. 122.

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Raffrontata a quella dellanalogo passo del De magnalibus, la forma Carochium, che nel digramma lascia trasparire il suono palatale, sembra aver acquisito nuova specificit rispetto alleffettiva pronuncia, cos come sitella segna
rispetto a situlus unescursione lessicale che in controluce si ipotizza anche fonetica, in un esito che, sulla scorta dei rilievi di Carlo Salvioni,39 potr dirsi tratto distintivo rispetto alla vicina Milano e nella cronaca sinopia per letimologia
di testi pi tardi.40
Difficile risulterebbe attraversare la mappa linguistica dellItalia medievale
e ritrovarvi posizione e confini di un volgare, e nello specifico di quelli lombardi, se non venisse in soccorso la venatio del De vulgari eloquentia, che non
traccia linee di demarcazione, ma applica i principi di una linguistica areale,
fondata sullascolto e sulla percezione contrastiva delle zone di influenza.
Lesilio di Dante misura i confini della Lombardia, che si spalanca superata la Marca trevigiana e la Romagna a ovest e sud-ovest, in una sostanziale
coincidenza con larea geolinguistica che Giovan Battista Pellegrini avrebbe
assegnato nel 1979 ai dialetti gallo-italici.41
Pi dei confini precisi, interessa qui il criterio con cui delimitata la zona
lombarda, che affiora, quasi per contrasto rispetto alla dolcezza propria degli
Imolesi, quando si ascolta la parlata bolognese:
Accipiunt enim prefati cives ab Ymolensibus lenitatem atque mollitiem, a Ferrarensibus vero et Mutinensibus aliqualem garrulitatem que proprie Lombardorum est: hanc ex commixtione advenarum Longobardorum terrigenis
credimus remansisse.42

La geografia si intreccia e diviene tuttuno con la storia, nella lingua come


nella politica: lo ricordano allesule fiorentino i suoi autori, in particolare le
etimologie/analogie dei glossari enciclopedici di Isidoro, Papias, Uguccione.
Cos nella garrulitas dei lombardi/longobardi43 si ascolta tutta lasprezza delloltraggio subito:
E quando il dente longobardo morse
la Santa Chiesa, sotto le sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.44
39. Carlo SALVIONI, Dellantico dialetto pavese, Bollettino della Societ pavese di storia patria,
1902, p. 193-251; indicazioni pi dettagliate riguardo allesito localizzante -ELLU(M) > si
ricavano alle p. 201-202.
40. Angelo STELLA, Lombardia, cit., p. 155.
41. Giovan Battista PELLEGRINI, Carta dei dialetti dItalia, Pisa: Pacini, 1977.
42. Dante ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di Pier Vincenzo MENGALDO, in ID., Opere
minori, tomo II, De vulgari eloquentia, Monarchia, Epistole, Egloghe, Questio de aqua et terra, a
cura di Pier Vincenzo MENGALDO, Bruno NARDI, Arsenio FURGONI, Giorgio BRUGNOLI, Enzo
CECCHINI, Francesco MAZZONI, Milano-Napoli: Ricciardi, 1979, p. 118-121, I.XIV.2-3.
43. Non si dimentichi il rimando a Pone, sanguis Longobardorum, coaductam barbariem a indicare i riottosi signori lombardi nellepistola V 11, portato alla luce da Pier Vincenzo Mengaldo.
44. Paradiso VI 94-96.

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Lindicazione traccia lasciata cadere sul sentiero di unipotesi di ricerca e


di lettura, che lega Dante agli storici, i cronisti coevi come la generazione di
Ludovico Antonio Muratori, impegnati nel tentativo di risolvere il nodo delle
invasioni barbariche e degli influssi linguistici delle migrazioni sulloriginaria
unit della cultura e della lingua, di Roma e dItalia.
Al di l di facili ritorni alla radice longobarda, larea su cui si concentra
la nostra attenzione pu essere definita dallinflusso di elementi germanici,45 oggi
quasi del tutto assorbiti, su cui molto pu dire o suggerire la toponomastica, pur
con le riserve che gli storici pi attenti sollevano,46 e lonomastica: si consideri nei documenti latini del Codice Diplomatico Bresciano la sopravvivenza di
Braida, accanto ai nomi di contraenti e proprietari, tra i quali la gi citata
badessa Ermengarda, a testimoniare unepoca prima che una provenienza.
Dalla silva dei volgari italiani, dopo lidioma dei Romani, degli abitanti
della Marca Anconitana e degli Spoletini, tocca alla loglio lombardo di venire
estirpato:
Post quos Mediolanenses atque Pergameos eorumque finitmos eruncemus, in
quorum etiam improperium quendam cecinisse recolimus:
Enter lora del vesper, ci fu del mes dochiover.47

La localizzazione, quando non passa attraverso il livello mediocre, esemplifica lo specifico di unarea nellimproperium: a tutti gli effetti, in anticipo su
Lancino Curti e Luigi Pulci, la citazione dantesca pu a buon conto dirsi saggio
di un uso riflesso, che testimonia e stigmatizza i connotati salienti del volgare.
Pi ancora dellesito palatale del nesso latino -CT- (cui non si oppone la
grafia -chio-, in linea come visto con le abitudini grafiche dei testi del Duecento), nella citazione dantesca la caduta delle atone finali sembra precludere
alla lingua dei milanesi e dei bergamaschi laccesso al mondo regolato della
gramatica e del volgare illustre.
In questa direzione si erano misurati i primi passi del volgare letterario
lombardo, nella percezione di una perdita che sempre pi era stata percepita
come mancanza, ma al tempo stesso come elemento di specificit.
O gloria di Latin, disse, per cui
mostr ci che potea la lingua nostra,
o pregio etterno del loco ondio fui,
qual merito o qual grazia mi ti mostra.48
45. La lista proposta da Claudio BERETTA, Letteratura dialettale milanese, Milano: Hoepli, 2003,
p. 14-15, andrebbe forse rivista e letta in chiave storica sulla scorta delle indicazioni di Arrigo CASTELLANI, Grammatica storica della lingua italiana, vol. I, Introduzione, Bologna: Il
Mulino, 2000, in particolare Lelemento germanico, p. 29-94.
46. Aldo A. SETTIA, Tracce di Medioevo. Toponomastica, archeologia e antichi insediamenti nellItalia
del Nord, Cavallermaggiore: Gribaudo, 1996, in particolare il capitolo I nomi di luogo. Usi
e abusi, p. 21-24.
47. De vulgari eloquentia, cit., p. 94-95, I.XI.5.
48. Purgatorio VII 16-19.

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Il personaggio di Sordello, di patria mantovana, esce dal cono dombra


purgatoriale e si distacca dalla garrulitas lombarda nel segno di quella lingua
nostra che, superate le invasioni e le cadute, appare unica, continua dal tempo
di Virgilio a quello di Dante. Dolce, come altrove lo stilo, suonava infatti il nome della citt nellabbraccio dei due mantovani (e lun laltro abbracciava Purgatorio VII 75), nel cuore di quellinvettiva in cui, forse non a caso,
i denti rodevano con reminiscenza fonica della torre della Muda e leco delloltraggio antico di cui si erano macchiati i principi lombardi:
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
[]
e ora in te non stanno senza guerra
li vivi tuoi, e lun laltro si rode
di quei chun muro e una fossa serra.49

La vicenda, celeste e terrena, dellanima gentil riproduce in scala lesilio


di Dante: la vita dellaldil, dove Sordello non sembra avere dichiarata collocazione, chiamato com ad accompagnare il viaggio, pare a tutti gli effetti
specchio ultramondano dellesilio, che lo aveva fatto vagare di corte in corte,
e prefigurazione di unaltra storia terrena.50 Ecco allora acquisire profondit
la lode affidata al De vulgari eloquentia:
Dicimus ergo quod forte non male opinantur qui Bononienses asserunt pulcriori locutione loquentes, cum ab Ymolensibus, Ferrarensibus et Mutinensibus circunstantibus aliquid proprio vulgari asciscunt, sicut facere quoslibet a
finitimis suis conicimus, ut Sordellus de Mantua sua ostendit, Cremone, Brixie
atque Verone confini: qui, tantus eloquentie vir existens, non solum in poetando sed quomodocunque loquendo patrium vulgare deseruit.51

Il passo, come noto, ha avviato un lungo e non risolto dibattito sui volgari di
Sordello, che non sarebbero conservati se non in quel presunto sermone lombardesco, attribuitogli da Giulio Bertoni, con il successivo placet continiano.
Il corpus superstite delle sue poesie testimonia lestremo esempio di abbandono del patrium vulgare per un provenzale illustre, che, punteggiato degli
italianismi messi in luce da Marco Boni,52 lasciapassare nellItalia settentrionale, tra Mantova e la Marca, superando, attraverso uno degli idiomi della
joglaria, mura e fossati delle singole identit culturali.
Lesilio del giullare il segno, esistenziale e poetico, che ne caratterizza la lingua, e che nella scripta lombarda tra Due e Trecento permette di individuare una
49. Purgatorio VI 76, 82-84.
50. Cfr. La fortuna di Sordello fino al secolo XIX, in SORDELLO, Le poesie, nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario a cura di Marco BONI, Bologna:
Libreria antiquaria Palmaverde, 1954, p. CLXXXI-CCII.
51. De vulgari eloquentia, cit., p. 118-121, I, XV, 2.
52. SORDELLO, Le poesie, cit., p. CLXXVI.

I volgari municipali e laffioramento di una scripta

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vena attiva e produttiva tra corte e corte, pronta a ritrovare un pubblico, solo
diatopicamente eterogeneo, su un terreno comune di parole e di esiti.
Se, come ha ribadito Arrigo Castellani indicando una chiave interpretativa
per il Duecento italiano, i primi passi verso lunificazione linguistica italiana
sono stati fatti sulla strada della poesia lirica,53 la codificazione del volgare, nei
diversi centri di irradiazione di area lombarda, si muove in ambito letterario,
dove pu e deve misurarsi da subito con i limiti e gli strumenti offerti dal verso.
Almeno inizialmente, e nel codice giullaresco in particolare, la ricerca passa
per il conguaglio di elementi, certamente localizzabili, ma comunque fruibili:
accanto alla lingua del modello, che agisce da impronta per il calco non solo
semantico, e alle marche localizzanti gli editori registrano tracce di venetismi
e in generale di quei tratti settentrionali, di recente ravvisati anche nel Ritmo
laurenziano.54
Parlare di Lombardia, almeno per il Medioevo, significa pensare a un luogo
di ricezione e di circolazione di lingue, che non funzionano come agenti normalizzanti, ma come canale sistematicamente percorso e attivo per la poesia
lirica. Solo con il tardo Duecento, la coesistenza di elementi di diversa provenienza geografica andr ad allinearsi sotto il verticale potere di attrazione della
grammatica toscana, precocemente messa a punto dai poeti menzionati nel
De vulgari eloquentia.
La ricerca di un codice linguistico comune, che superasse le divisioni territoriali e politiche, sembra governare la tensione interna allarea lombarda,
per cui definire le norme del volgare, e in particolare le tendenze grafiche,
significa ritrovare tratti e tensioni condivise da una grammatica che alle origini risulta sostanzialmente complementare al latino.
In questa direzione si muovono gli inizi volgari, che in area lombarda non
sono affidati ai libri di conti o alle iscrizioni, come di altre regioni e in particolare della Toscana medievale, ma a testi letterari,55 primo in ordine di tempo
e di riflessi seriori il manoscritto Saibante-Hamilton 390, conservato alla Deutsche Staatsbibliothek di Berlino, che ha tramandato, pochi decenni dopo la
composizione, il Libro di Uguon de Laodho56 e lo Splanamento de li Proverbii de Salamone composto per Girardo Pateg da Cremona.57
Laffioramento grafico del volgare in Lombardia si attesta in quellarea del
documento, come della vita e della lingua, descritta gi dai documenti latini,
in cui possibile e deve, ormai necessariamente, avvenire la mediazione tra
due culture linguistiche, non pi affidata di volta in volta a un funzionario,
ma una volta per tutte incarnata dallautore.
53. Arrigo CASTELLANI, Grammatica storica della lingua italiana, vol. I, Introduzione, cit., in particolare il cap. VI, Cenni sulla formazione della lingua poetica, p. 459-536; la citazione a p. 462.
54. Ibid., p. 465-466.
55. Sulla questione cfr. Paolo BONGRANI, Silvia MORGANA, La Lombardia, in Francesco BRUNI
(a cura di), LItaliano nelle regioni. Lingua nazionale e identit regionali, Torino: UTET, 1992,
p. 84-142, in particolare Le prime testimonianze del volgare in Lombardia, p. 87-95.
56. Gianfranco CONTINI, Poeti del Duecento, Milano-Napoli: Ricciardi, 1960, t. I, p. 597-624.
57. Ibid., p. 557-588.

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Giuseppe Polimeni

Se i primi testi fiorentini si muovono sullasse orizzontale della famiglia,


di cui le organizzazioni affaristiche che sorgono nei secoli XII e XIII non sono
che estensioni e perfezionamenti,58 con lagilit e la naturalezza di un dialetto che linguaggio specialistico quando ormai non gergo, le attestazioni
dei volgari di area lombarda sembrano collocarsi sullasse verticale di un allontanamento dai tratti municipali e delladesione a una dottrina, semplificata e
esemplificata, da trasmettere a nuovi ascoltatori.
In Lombardia i primi passi del volgare si muovono nella direzione del volgarizzamento, dellesplanamento di una cultura che doveva trovare parole
ormai mutate per i medesimi referenti, non diversamente da quanto la cultura e il lessico scolastici suggerivano a chi apparecchiava il generale convivio.59
Ecco ben chiara fin dai primi distici di Gerardo Patecchio la distinzione tra
li savi [] qig sa ben qig d e quei comunal omini, qe no san ogna le
(v. 13-16), questi ultimi destinatari dellopera, non tanto per laffacciarsi di un
nuovo pubblico alla vita politica e culturale, ma per la scelta consapevole del
mediatore di una lingua, con compiti analoghi e ben pi vasti rispetto a quelli svolti da Otto notarius e dai suoi colleghi, di coinvolgere unintera societ intorno a un codice morale comune, a identificare una categoria di lettori e di uomini
cui illi vol si sia, ma pronti ad ascoltare e a mettere a frutto il messaggio (se
tuto l ben adovra / qeu voi dir e l mal lassa, no p far meior ovra v. 17-18).
Di qui passa, in anni non lontani, la ricerca di uno stile che appartenga a
una categoria di lettori e a un pubblico, che, di l del Po e del Reno, avr per
qualit e segno distintivo gentilea e cortesia. Comune ha da essere anche il
mezzo, oltre che il pubblico: entrambi vanno preparati, assemblati, anche l
dove la tendenza di ciascuna variet a dimostrarsi locale e lunicit di ciascun
contesto cittadino rimangono accentuate.
Il codice Saibante-Hamilton, come provato dai rilievi fonico-metrici di
Gianfranco Contini, fotografa una fase arcaica del volgare di area lombarda,
in cui per gi evidente la tendenza alla caduta delle finali diverse da a, decisamente conclusa allepoca in cui Dante registra il primo verso dellimproperium e il copista del codice Berlinese Ital. qu. 26 della Staatsbibliothek di
Berlino trascrive i volgari di Bonvesin.
Non diverso da quello di Cynus Pistoriensis et amicus eius60 il tentativo di Gerardo, o pi probabilmente del copista, di appoggiarsi a una gramatica, che non soltanto quella del latino (come vorrebbe il ripristino grafico di
AU, anche quando non latino, e dei nessi consonantici con L, segnalati da Contini), ma terreno espressivo in cui erano confluiti elementi grafico-fonetici
58. Arrigo CASTELLANI, Carattere dei testi. Cenni sui libri del dare e dellavere, in Nuovi testi
fiorentini del Dugento, con introduzione, trattazione linguistica e glossario a cura di Arrigo CASTELLANI, Firenze: Sansoni, 1952, t. I, p. 2-10; la citazione a p. 2.
59. Convivio, cit., p. 10, I.I.11.
60. De vulgari eloquentia, p. 84-87, I.x.2: primo quidem quod qui dulcius subtiliusque poetati
vulgariter sunt, hii familiares et domestici sui sunt, puta Cynus Pistoriensis et amicus eius;
secundo quia magis videntur initi gramatice que comunis est, quod rationabiliter inspicientibus videtur gravissimum argumentum.

I volgari municipali e laffioramento di una scripta

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codificati dagli antecedenti di area contigua, in primo luogo da quei Proverbia que dicuntur super natura feminarum, tramandati proprio dal SaibanteHamilton: le marche venete (forse attribuibili al copista), -mentre per gli avverbi
modali e la presenza dei dittonghi da e aperta,61 i tratti di una lenizione che
accompagner i primi passi del volgare (marcata dal digramma -dh-), a segnare anche nella grafia una linea di continuit, che andr gradualmente dissolvendosi nei manoscritti di Bonvesin de la Riva.
Ecco per che proprio la maggiore solidit delle vocali nel Libro di Uguccione da Lodi fa propendere per una datazione del testo in epoca precedente rispetto a Patecchio, fase intermedia rispetto a quella segnata dalla
trascrizione dei Proverbia. Loriginaria resistenza delle vocali finali e in genere delle atone, residuo della semplificazione naturale rispetto alla gramatica,
resta tratto grafico caratterizzante una scripta che vuole salvare, ancora nel
tardo Duecento, lappoggio di una lingua di riferimento, che sta lentamente cambiando referente.
Almeno agli esordi dellesperienza volgare, il sistema grafico, costruito sul
latino, non doveva apparire insufficiente, come oggi pu sembrare a chi affronti il problema della resa delle vocali turbate in area gallo-italica: in mancanza
di un adeguato simbolo, il copista del codice berlinese di Bonvesin trovava
ad esempio in o il solo possibile spediente62 per rendere la , dove si sarebbe
ravvisato limporsi della lettera al suono.63
Interrogare le scelte poetiche degli autori significa in prima istanza misurare
e ammettere le variazioni dei singoli copisti, affidarsi alla storicit della loro
lingua, evitando seriori interpolazioni e ricostruzioni fondate sul principio dellautonomia del dialetto. La ricerca delloriginale parola dellautore, ormai
nelle linee e negli strumenti ricostruita dalla silloge ricciardiana e dalle CLPIO,
andrebbe forse letta dal rovescio dellarazzo, interpretando lintervento normalizzante di ciascun copista, come tentativo di attualizzare e al contempo di
eternare la lingua del poeta e dello scrittore.
La rima core: amore, e in generale la consonanza di con , comune ai testi
settentrionali e siciliani, accanto ad altri indizi fonetici, ha suggerito la presenza di un sistema unitario anteriore ai pi antichi testi volgari della nostra
letteratura in versi,64 una sorta di koin che precede e che fonda in aree diverse la grammatica della lingua poetica.
61. Cfr. Piera TOMASONI, Veneto, in Luca SERIANNI e Pietro TRIFONE (a cura di), Storia della
lingua italiana, vol. III, Le altre lingue, cit., p. 212-240.
62. Carlo SALVIONI, Osservazioni sullantico vocalismo milanese desunte dal metro e dalla
rima del cod. Berlinese di Bonvesin da Riva, in Studi Letterari e Linguistici dedicati a Pio
Rajna nel quarantesimo anno del suo insegnamento, Milano: Hoepli, 1911, p. 367-388, la
citazione a p. 369.
63. ID., Fonetica del dialetto moderno della citt di Milano, Roma-Torino-Firenze: Loescher,
1884, Prefazione, p. 9.
64. Concordanze della lingua poetica italiana delle origini (CLPIO), vol. I, a cura di DArco Silvio AVALLE e con il concorso dellAccademia della Crusca, Milano-Napoli: Ricciardi, 1992,
p. CCXXIX-CCXXX.

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Giuseppe Polimeni

Alla luce di questa e di altre consonanze, di cui il Saibante-Hamilton e il berlinese di Bonvesin, come i testimoni toscani, si fanno portavoce, DArco Silvio Avalle poteva concludere che nella seconda met del Duecento, sulla base
omogenea di ricerca di un codice poetico, si sarebbe fatta avanti la Toscana,
con un ruolo di mediazione tra le spinte del Nord e quelle del Sud, armonizzandole in una spinta superiore.
Lo sforzo unitario che verr poi monopolizzato dalla cultura fiorentina attraverso una lenta opera di decantazione delle scorie municipali (si veda il caso
di Dante), il primo serio tentativo di fondare una grammatica generale (se
non altro competitiva nei confronti di quella del latino) da estendersi ad una
vasta area geopolitica ancora priva di un serio centro di coagulo linguistico.65

Punto di contatto e di frizione, oltre che membrana osmotica, la grafia,


intesa nella sua complessit di strumento concreto di trasmissione, testimonia
questo sforzo, mezzo e al contempo confine su cui sar dato di misurare anche
il rapporto tra la lingua e il dialetto.

65. Ibid., p. CCXXX.

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Prima e dopo la letteratura.


Il veneziano e il fantasma della grammatica1
Riccardo Drusi
Piermario Vescovo

Abstract
La secolare storia della letteratura in veneziano non conosce una riflessione o una sistemazione grammaticale fino ad oltre la caduta dello Stato Veneto, e la stessa sistemazione di
un vasto patrimonio linguistico attraverso lo strumento di un dizionario dopo alcuni
tentativi si realizza solo con lunit dItalia. Questo contributo affronta brevemente la questione e propone una serie di tracce per una ricognizione del problema (soprattutto in rapporto allo scarto rispetto alla lingua letteraria e alla sua grammatica) allinterno di questa
storia.
Parole chiave: Venezia, veneziano (dialetto), veneziana (letteratura), grammatica.
Abstract
Grammatical reflection or systemisation is wholly unknown in the secular history of literature in Venetian until after the downfall of the Venetian State; indeed, the very systemisation and this somewhat tentatively of a vast linguistic heritage through the
instrument of a dictionary comes about only with the unity of Italy. This article briefly
addresses the issue and puts forward a series of outlines by which to recognise more effectively the problem within this history (above all, as this relates to the very slight respect
shown towards literary language and to its grammar).
Key words: Venice, Venetian (dialect), Venetian (literature), grammar.

Pu apparire paradossale che alla precoce fortuna storica del veneziano non
corrisponda come succede del resto agli altri principali dialetti italiani
unaltrettanto precoce sistemazione grammaticale. Rischia insomma di sorprendere che la larga attestazione documentale di questa lingua gi fra Due e
1. Pur nella comune ideazione cui va ascritta lintroduttiva sezione 0 i paragrafi 1-2
appartengono a Riccardo Drusi, i paragrafi 3-4 a Piermario Vescovo. Gli autori fanno parte
del progetto di ricerca nazionale, cofinanziato dal MIUR, Vocabolario dei dialetti veneti
Testi veneti dalle origini al XIX secolo, al quale aderiscono le Universit di Pisa (Normale),
Padova, Udine e Venezia.

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Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Riccardo Drusi, Piermario Vescovo

Trecento e la sua espansione non solo nei territori limitrofi alle lagune, ma
come da tempo stato verificato2 anche nelle aree mediterranee interessate dallattivit commerciale di Venezia, e poi la sua secolare fortuna letteraria, su ampia scala, tra il Quattro e il Settecento, non abbiano prodotto la
ricerca di una norma che ratificasse su basi teoriche il consenso ormai acquisito
di fatto. Si veda lo stupore di un viaggiatore francese negli anni ottanta del
Settecento a proposito dellassenza di un siffatto strumento per soddisfare le
sue curiosit linguistiche:
Jai cherch dans plusieurs villes dItalie, une Grammaire et un Dictionnaire o
je pusse minstruire des principes de cette dialecte; il ma t impossible de
trouver nulle part, ni lune ni lautre; et lon ma assur, dans Venise mme,
quil nen existe pas.3

Per incontrare una prima grammatica positiva sembra si debba attendere il tardo, se non estremo o postumo, isolato, cauto e affatto privato esperimento
di Daniele Manin, per altro solo in anni a noi prossimi riemerso dalle sue carte.
Un disegno di grammatica rilevante ma di fatto abortito dovuto certo alla
sollecitazione del Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio (prima
edizione, 1829; seconda edizione aumentata e corretta, 1856), nella cui redazione Manin fu fattivamente coinvolto dallautore.4
Bench tutta ispirata a una volont di testimonianza e di reazione nel presente e da parte di una personalit politica (su cui gli storici discutono ancora) che tenter un anacronistico rilancio dello stato veneziano nella gloriosa
insurrezione antiaustriaca del 1848-49 , la piccola Grammatica del Manin,
insieme alla pi consistente fatica del Boerio, finiscono col rappresentare un
momento di passaggio in cui, come stato scritto, lerudita pietas locale prendeva in consegna un secolare patrimonio di lingua e letteratura e lo trasmetteva
integro alla filologia dellItalia unita.5

2. Cfr. G. FOLENA, Introduzione al veneziano de l da mar, in ID., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova: Editoriale Programma, 1990, p. 227-267, con bibliografia.
3. Il passo citato in A.L. MOMOGLIANO LEPSCHY, Un rudiment vnitien del Settecento,
in Atti dellIstituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Classe di scienze morali e lettere, CXXII,
1963-1964, p. 453-481: cfr. p. 476. Il viaggiatore francese che il saggio prova ad identificare si dedica ad alcune annotazioni sul dialetto veneziano, tuttavia di scarso, se non
nullo, interesse linguistico.
4. La Grammatica del dialetto veneziano stata esumata dal fondo Manin-Pellegrini della
Biblioteca del Civico Museo Correr di Venezia e pubblicata da Angela Caracciolo Aric in
Quaderni Veneti, n. 3, 1986, p. 11-39 (col corredo di una nota linguistica di Manlio
Cortelazzo); della stessa studiosa, sul fronte del coinvolgimento in rapporto al Dizionario
del Boerio, cfr. A. CARACCIOLO ARIC (a cura di), Daniele Manin editore. Carteggio Daniele Manin - Giuseppe Boerio, Roma: Bulzoni, 1984.
5. A. STUSSI, La letteratura in dialetto nel Veneto, in ID., Lingua, dialetto, letteratura, Torino: Einaudi, 1993, p. 64-106, p. 92.

Prima e dopo la letteratura. Il veneziano e il fantasma

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 69

1.
Per cogliere il clima in cui lopera del Boerio e, accanto ad essa, su piano
ben diverso, il breve tentativo di descrizione fonetico-morfologica del Manin
si inserisce, basti rammentare lesagerazione della retorica in domande come
queste, con le quali il lessicografo apriva la sua fatica:
Qual altro in fatti de dialetti italiani si mostr con pi facile riuscita rivale
nella forza e nelle grazie allantica sua madre? Grave e fecondo persuase nella
tribuna de comizi Veneti, e si ricordano con onore nella storia, tra mille altri,
i nomi illustri degli arringatori patrizii [].

Non senza abuso della storia, perch la filza di arringatori patrizii che
segue comprende nomi la cui pratica oratoria documentata nella sola lingua
di Roma o, eventualmente, nel toscano letterario della classicit volgare successiva alla codificazione del Bembo.
Ma lintento del Dizionario, che era poi quello di mostrare come e quanto un lessico regionale potesse contribuire allauspicata lingua nazionale,6 era
nobile a sufficienza per tollerare la forzatura, n le fortune delle scienze linguistiche in Italia erano tali da consentire un argine a questo o ad altri entusiasmi
patriottici.
Colpisce invece che anche dopo il Boerio, e nonostante i progressi intervenuti nei pertinenti ambiti disciplinari, le esagerazioni non venissero meno:
noto il pregiudizio di Giusto Grion e Adolfo Bartoli sulla totale veneticit (se
non persino venezianit) del manoscritto Saibante-Hamilton 390, lantica silloge di testi morali che, come dimostr lAscoli, tramanda nel suo complesso
una facies linguistica genericamente settentrionale, comunque priva di localismi marcati. Ancora nel 1891 Enrico Bertanza e Vittorio Lazzarini licenziavano
per le stampe una prima e pionieristica raccolta di documenti volgari intitolandola perentoriamente Il dialetto veneziano fino alla morte di Dante:7 nel regesto
vennero ammessi (sia pure con prese di distanza da parte dei curatori, e spesso
sotto la formula anodina della notizia bibliografica) reperti dubbi o chiaramente
estranei al contesto lagunare, ma utili ancor prima che allesaurimento della
bibliografia pregressa alla tesi di un veneziano come lingua della miglior
6. Lidea, palesemente informata alle dottrine di Melchiorre Cesarotti, meglio appariva nella
prefazione, rimasta inutilizzata, che per il Dizionario aveva compilato il gi ricordato Daniele Manin, del Boerio corrispondente e interlocutore elettivo in materia di lingua: Questa
Italia, la cui lingua deve servire a spiegare le idee di tutti i suoi abitanti, chiude in suo seno
molte province, le quali tutte sia per diversit di origine, sia per variet di politiche vicende hanno un dialetto particolare. Sar dunque onesto e profittevole che queste province,
siccome parti della comune patria, rechino in tributo quelle voci e quelle frasi di cui abbisogna la comune lingua; in A. CARACCIOLO ARIC (a cura di), Daniele Manin editore. Carteggio D. Manin - G. Boerio, cit., p. 215; cfr. anche ID., Daniele Manin editore, Quaderni
Veneti, n. 31-32, 2000, p. 199-209: p. 204.
7. E. BERTANZA e V. LAZZARINI, Il dialetto veneziano fino alla morte di Dante Alighieri 1321,
Venezia: Editrice di M. S. fra Compositori, 1891 (una ristampa anastatica ha procurato,
nel 1974, leditore Forni di Bologna).

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Riccardo Drusi, Piermario Vescovo

parte della popolazione, preservatasi ab immemorabili fino alla caduta della


Repubblica Veneta e simbolo eloquente della sua indipendenza politica.
Ora se si considera che Venezia, com detto nella famosa lettera di Cassiodoro ai Tribuni marittimi, trasse le sue origini precisamente dalla miglior parte di
questi veneti i quali al ruinare della potenza di Roma e nellimperversare
delle irruzioni barbariche cercarono rifugio fra queste lagune, e qui, per ben
quattordici secoli, non videro n patirono, etnicamente parlando, straniere
pervasioni come non si potr affermare, che il vernacolo di Venezia da
considerarsi ancora tra i pi schietti e genuini avanzi dellantichissima civilt
dItalia? [p. VIII].

Ovvio che ciascuna di queste posizioni aveva qualche fondamento nei fatti.
La possibilit di dipingere il veneziano di volta in volta come veicolo ufficiale dellamministrazione della Serenissima, come lingua formale dei pi antichi
statuti insulari, come idioma esclusivo del foro veneto richiede condizioni
sostanziali: e queste certo vi furono, anche se (e si torna con questo al problema sollevato allinizio) mai ebbero a verificarsi in misura tanto estrema da sottintendere quella precisa consapevolezza nelluso di un idioma che, sola, consente
e legittima la sua cristallizzazione in regole di grammatica. Leccellente lavoro
di Lorenzo Tomasin sul volgare nella prassi giuridica Repubblica Veneta ha
confermato che di una ufficialit del veneziano si pu parlare soltanto a partire
dal tardo Trecento, e con la significativa restrizione, allora e poi, entro il circuito
delloralit, le scritture continuando a prediligere il latino e, dal XV secolo, un
italiano sovraregionale.8 Come dire esasperando i termini della questione
che se il dibattito politico e giudiziario, importante ma per sua natura effimero, poteva valersi (con molti accorgimenti) della parlata quotidiana, la formulazione scritta della legge aveva invece esigenze di stabilit, durata e diffusione
cui solo luniversale latino o una lingua comune potevano corrispondere.9
Dunque, se di consapevolezza linguistica si pu parlare, facile definirla
piuttosto come un sentimento istintivo nei confronti dellidioma usuale: quello che si pu facilmente presumere avr permesso a un veneziano del
Duecento di riconoscere per veneziano o meno il suo interlocutore. Proprio
perch istintivo, questo sentimento aveva tuttavia scarse probabilit di convertirsi in una definizione linguistica positiva. Un pieno statuto linguistico
poteva, allepoca, competere unicamente al latino, cio a quello che appariva
come il modulo espressivo universale, incorruttibile, svincolato a differenza dei volgari dalle vicissutidini della storia e, in breve, il solo dotato di una
grammatica: anzi, esso stesso grammatica per definizione. E se proprio la struttura grammaticale costituiva il principio di individuazione del latino, ecco che
8. Cfr. L. TOMASIN, Il volgare e la legge. Storia linguistica del diritto veneziano (secoli XIII-XVIII),
Padova: Esedra editrice, 2001, p. 34-35.
9. Si veda al riguardo il puntuale intervento di M. CORTELAZZO, Il veneziano, lingua ufficiale della Repubblica?, in M. CORTELAZZO (a cura di), Guida ai dialetti veneti, IV, Padova: Cleup, 1982, p. 59-73, in particolare p. 73.

Prima e dopo la letteratura. Il veneziano e il fantasma

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 71

per contrario ogni possibile codificazione formale era preclusa alle lingue correnti gi in linea di principio, con, dunque, un ulteriore pregiudizio alla possibilit di definirne specificit e caratteri. Dando circolarit al ragionamento,
il volgare (qualsiasi volgare) non aveva identit precisa perch non aveva grammatica, e non aveva grammatica perch, ovviamente, non poteva competere
con il latino sotto alcun aspetto.
Con questa come dire? sensibilit attenuata verso la lingua usuale,
si comprende bene come un impiego formale del volgare, per il fatto stesso di
sconfinare dalla dimensione meramente istintiva delluso quotidiano verso
zone di applicazione riflessiva e ponderata (quelle sostanzialmente rivendicate
dal latino), richiedesse operazioni di adattamento compromissorie e nettamente snaturanti: e, per tornare alla questione pi sopra enunciata, i volgari
non tanto muovevano da una precisa identit per assumere nuove funzioni,
quanto piuttosto acquisivano uneffimera identit dalla funzione via via ricoperta. La circostanza stata evidenziata dagli addetti ai lavori con il concetto
di scripta, formulato a rimarcare lalterit della dimensione grafica del volgare
(specie dambito documentale) dalla sua base orale e delluso generale. Di questa dimensione sono sintomatici i fenomeni di generalizzazione che si segnalavano per i testi del codice Saibante e che, rispetto ai documenti notarili
veneziani, sono stati ottimamente evidenziati da Alfredo Stussi nei testi da lui
editi e analizzati. Per soprammercato, la Venezia medievale conosceva ulteriori ostacoli alla crescita di unidea forte di lingua. Si tratta di mancanze e di condizioni svantaggiose. Come ha notato ancora una volta Stussi,10 Venezia, che
dilata i propri mercati fino al Levante, priva in patria di qual si sia organismo suscettibile di divenire polo gravitazionale della lingua: manca una corte
signorile a promuovere la pratica letteraria in volgare, e manca uno studium
universitario che incroci esperienze culturali e solleciti la sperimentazione (la
sola universit veneziana sar quella di Padova, frutto delle conquiste quattrocentesche in terraferma: per calcolo prudenziale, i governanti non lavvicinarono mai alla capitale). Quanto agli svantaggi, significativa la presenza a
Venezia di una classe notarile costituita esclusivamente da religiosi, meno propensi dei loro omologhi laici, siciliani e toscani, a rivolgere lattenzione al volgare come possibile lingua letteraria; ma prima di tutto la vocazione mercantile
di Venezia a causare ritardi alla crescita linguistica, perch proprio lapertura
massima verso lesterno e, insieme, il quotidiano confronto con una pluralit
di idiomi inibiscono decisamente la formazione dun baricentro linguistico
locale. Prove della tolleranza verso le parlate dei forestieri che affollavano i fondaci veneziani si hanno nella scelta, da parte di Martino da Canal, del francese come lingua per redigere la sua cronaca duecentesca,11 e nel successo precoce
10. La letteratura in dialetto nel Veneto, cit., p. 65-66.
11. [] lengue franceise cort parmi le monde et est la plus delitable a lire et a or que nule
autre, MARTIN DA CANAL, Les estoires de Venise, I, 5 (a cura di A. LIMENTANI, Firenze:
Olschki, 1973). Cfr. anche F. BRUGNOLO, I toscani nel Veneto e le cerchie toscaneggianti, in AA. VV., Storia della Cultura veneta, 2, Il Trecento, Vicenza: Neri Pozza, 1976,
p. 369-439, p. 383-384.

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Riccardo Drusi, Piermario Vescovo

e travolgente della lirica toscana fra le lagune durante il Trecento; e se non


fosse che cos facendo si distorcerebbero reali presupposti e si ignorerebbero
comprovate cause culturali, verrebbe insomma da integrare a questa serie anche
la venezianit del Bembo, che grammatico fu non della propria, ma della lingua di Firenze.
Laver ricordato la cinquecentesca grammatica bembiana fa riflettere sul fatto
che solo dopo di essa, e dunque solo dopo la fissazione duna lingua per la prima
volta davvero italiana, si incontra quella letteratura riflessa, parodica del canone sancito dalla norma, che trova nei dialetti (e il veneziano primeggia fra gli
altri) il mezzo espressivo delezione. , anzi, questa la condizione che permette
di parlare davvero di dialetti e non pi di lingue locali: la realizzazione dun
sistema gerarchico anche nellambito del volgare segna infatti demarcazioni precise fra ci che nei testi letterari linguisticamente ammissibile e ci che non
lo pi, e tutelando il fiorentino trecentesco, ormai consacrato a lingua della
letteratura pi elevata, entro confini segnati con estrema precisione, delimita
spontaneamente ma con altrettanta nettezza anche le aree dialettali destinate a
rimanere esterne. Proprio perch definitivamente estromessi dagli spazi dellaulicit, i dialetti smettono ogni paludamento e, dai registri dimessi parodici, appunto che sono stati loro attribuiti, possono affacciarsi per la prima
volta nella loro spontanea naturalezza. Come un opportuno catalizzatore fa precipitare in cristalli solidi lelemento precedentemente dissolto nel liquido, cos
la grammatica bembiana ebbe la facolt di separare nelle scritture la lingua eletta, quella letteraria, dagli altri moduli idiomatici italiani, fino ad allora fluttuanti in mescidanze linguistiche che ne offuscavano la fisionomia. Per quanto
riguarda il veneziano, esiti della sua condensazione per effetto della grammatica del Bembo si misurano bene nella Ortografia delle voci della lingua nostra o
vero Dittionario volgare e latino che Francesco Sansovino il poligrafo ed editore figlio del pi noto Jacopo: toscano di nascita, ma veneziano dadozione
stampa a Venezia nel 1568. In questo lessico della lingua letteraria significativamente dichiarata, a titolo, nostra ai vocaboli toscani vengono frequentemente associati sinonimi veneziani, con un procedimento che risponde
anzitutto alla pratica esigenza di comprensibilit dei lemmi ma che, insieme,
fissa per iscritto molte voci vernacole altrimenti prive di attestazione:
Asse per s dop(pia)] Assi, Tabula, Tavola di legno. Tola dicono i Vinitiani.
Bando] Praeconium. La grida dicono i Vinitiani []
Basilico per s e c semp(lice)] Ocimum, [] Basig si dice a Venetia.
Bavero per r semp(lice)] [] Lista di panno o di seta che va attorno al collo.
Collaro lo dicono i Vinitiani.
Calcina] calx, quam sit, cal[c]e. Malta si dice a Venetia per muratori.
Cannone] Tubus, doccia, gorna a Venetia.
Cantina per n semp(lice)] Cellaria, volta, canova dicono a Venetia [].
Gheroni per r e n semp(lice)] quelle giunte delle vesti, che si chiamano ghedi a
Venetia, o scuetti.
Ruggine per g dop(pia) e n sem(plice)] Ferrugo, rubigo, ruzzene dicono a Venetia, nemica del ferro [].

Prima e dopo la letteratura. Il veneziano e il fantasma

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 73

Grembiale per l semplice] cincticulus, gremmiale, traversa si dice a Venetia


[]12

A verificarsi proprio la presa di coscienza della lingua locale nella sua interezza: quella consapevolezza linguistica cui si faceva cenno come al requisito
essenziale di ogni grammatica. La letteratura cinquecentesca in veneziano non
si limita infatti, n pu a limitarsi, a registrare servilmente il parlato. La funzione
espressivistica cui si assolve scrivendo in dialetto comporta infatti un rapporto dinamico con lelemento linguistico, che viene vagliato e selezionato accuratamente in rapporto agli obiettivi stilistici prefissati. Loperazione di resa
letteraria, come ogni azione che miri a uno scopo, non procede se non sulle
basi di un metodo, per quanto embrionale e limitato esso sia: con il che viene
da postulare provocatoriamente, ma fino a un certo punto una sorta di
grammatica implicita, un vaglio invisibile ma tramato di solide categorie lessicali, morfologiche, sintattiche e stilistiche, di cui lautore si serve per classificare
i materiali grezzi e discernere i pi rispondenti alla bisogna. Non si tratta pi
di modellare la lingua su elementi allotri, come era avvenuto nella prima stagione del veneziano scritto, fra Due e Trecento. Quello che si ricerca precisamente il contrario del volgare depurato, sovraregionale, coerente per quanto
possibile con lonnipresente modello di riferimento, il latino, e con altri volgari
limitrofi cui tendevano i duecenteschi Proverbia que dicuntur super natura feminarum (se sono veramente veneziani: la difficolt di collocarli esprime bene
lalto tenore di tratti interlinguistici di questo testo), i coevi volgarizzamenti
del Panfilo13 e del Cato,14 e poi i trecenteschi De regimine rectoris di Paolino
Minorita,15 lApollonio di Tiro,16 testi agiografici come il Santo Stady di Franceschino Grioni17 e lanonima Legenda de misier Sento Alban18 con gli altri
monumenti della letteratura veneziana medievale; nemmeno si aspira pi alla
lingua improntata ai formalismi giuridici degli atti studiati da Stussi, piatta e
uniforme, e solo casualmente pi vivace se il testo non passava per le mani del
notaio ( questo il caso del testamento, codicillo testamentario e conti autografi di Geremia Ghisi, dello scorcio del Duecento, nei quali si ha ben saldo
il dileguo delle dentali intervocaliche contraa, moo per contrada, modo
12. Si cita, modernizzando la grafia e sciogliendo le abbreviazioni, da C. MARAZZINI, Un editore del Cinquecento tra Bembo e il parlar popolare: F. Sansovino ed il vocabolario, Studi
di lessicografia italiana, n. 5, 1983, p. 193-208, p. 204-205.
13. Il Panfilo veneziano, edizione critica con introduzione e glossario a cura di H. HALLER,
Firenze: Olschki, 1982.
14. Edito dal Tobler, Die altvenezianische bersetzung der Sprche des Dyonysius Cato,
Abhandlungen der k. Preussischen Akademie der Wissenschaft zu Berlin, 1883, p. 1-87.
15. Se ne veda ledizione a cura del Mussafia, Tendler e Vieusseux, Vienna-Firenze, 1868.
16. La storia di Apollonio di Tiro, versione tosco veneziana della prima met del sec. XIV, edita da
C. SALVIONI, Nozze Solerti - Saggini, Bellinzona: Salvioni, 1889.
17. A. MONTEVERDI, La leggenda di Santo Stady di Franceschino Grioni, Studi Romanzi,
n. 20, 1930, p. 1-199.
18. Legenda de misier Sento Alban. Volgarizzamento veneziano in prosa del XIV secolo, edizione
critica a cura di E. BURGIO, Venezia: Marsilio, 1995.

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viceversa conservate nei testi letterari.19 Presenta andao, desprexiao anche un


documento del 1281 pubblicato da Belloni e Pozza:20 trattandosi di una scrittura privata,21 anche per essa si potr presumere una minore sorvegliatezza formale). Per i cinquecentisti, il tono giocoso e parodico convenzionalmente
vincolato alla letteratura in dialetto obbliga alla cernita di quanto pi si distacca dalla norma linguistica ufficiale: dunque, in opposizione al fiorentino letterario, degli elementi localmente pi connotati, dei vocaboli pi caratteristici,
delle forme idiomatiche di pi stretta pertinenza. Il lessico del Sansovino poco
sopra citato mostra quanta e quale fosse la disponibilit di tali elementi per un
professionista delle lettere di medio Cinquecento, anche se di origine non veneziana. Fra quanti, quali Calmo, Caravia, il Burchiella, Maffio Venier, nelle lagune erano nati, pi agevole riusciva impigliare voci, morfemi, costrutti e locuzioni
fra le maglie di un setaccio che, per corrispondere a tale scopo, doveva appunto essere tramato anche di categorie grammaticali. Era, in fondo, il medesimo
setaccio impiegato nelle soluzioni di coin che si son viste caratterizzare i testi
veneziani due e trecenteschi; ma impiegato per cos dire al contrario, cio al
diverso fine di lasciar fluire la parte sierosa la diafana sostanza comune ad
altri sistemi linguistici , e di raccogliere invece le scorie degli idiotismi.
2.
Testi riflessi in veneziano si hanno peraltro gi in epoca anteriore al Cinquecento, e di questi si cercher di dar conto come di altrettante emersioni
della grammatica implicita cui si accennava. La casistica, compresa fra il Tre
e il Quattrocento, ovviamente sporadica a causa dellassenza dellunificazione linguistica operata, come si visto, dal Bembo, ma di particolare interesse in quanto rappresentata essenzialmente da scriventi alloglotti, e come tali
non sospettabili di una mimesi spontanea della lingua. Lappropriazione di un
mezzo espressivo altrui comporta, anzi, che ciascuno di loro operasse secondo schemi linguistici razionalmente dedotti: che procedesse, in sostanza, ad
astrazioni formali di chiara impronta grammaticale, analizzando la massa bruta
dellidioma da riprodurre e raggruppandone lemmi, forme, costrutti in comparti categoriali utili quanto pi si rendevano di immediata riconoscibilit.
Scontatamente ma non sconveniente ricordarlo a potenzialit grammaticali siffatte manc qualsiasi eventualit di generalizzazione, sia per il carattere dimesso dei testi (fondamentalmente caricaturali, legati al genere del
vituperium contro i titolari della lingua usata: riflessi, appunto; o, in un paio
di casi, pertinenti alla sfera pratica della contabilit mercantile e del dispaccio
19. Cfr. A. STUSSI, Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, Pisa: Nistri-Lischi, 1965,
n. 4, 5, 6 e commento linguistico, p. LVII-LVIII.
20. G. BELLONI; M. POZZA, Sei testi veneti antichi, Roma: Jouvence, 1987. Il testo, che si legge
a p. 54, una demandaxon (petizione) alla Signoria veneziana in una controversia di
materia patrimoniale. Per i tratti qui evidenziati, si veda la Nota sulla lingua, p. 22.
21. Cfr. ibid., p. 46.

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Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 75

diplomatico), sia per lautonomia in cui gli scriventi operarono, senza che mai
e diversamente da quanto avverr appunto nel Cinquecento i rispettivi
prodotti si contagiassero a formare una tradizione: quanto dire che se si accetta, per essi, di parlare dun sottofondo grammaticale, questo fu comunque
fenomeno individuale, mai affrancato da istanze peculiari e, come tale, invariabilmente sterile rispetto alla conquista duna sensibilit linguistica comune.
2.1
Non si pu non cominciare da Dante, che catalogando nel De vulgari eloquentia (I, XIV)22 i linguaggi italiani non rispondenti al suo ideale di volgare letterario cita, a esempio del veneziano, quello che pare un verso (endecasillabo tronco?)
di un pi esteso componimento: Per le plaghe di Dio tu no verras; ovvero,
secondo la ricostruzione che Stussi ottiene adeguando la tradizione testuale a
plausibili coordinate fonetiche e paleografiche, Per le plage de Dio tu no veras.23
Ad onta della brevit del campione, i segni particolari della lingua di
Venezia sono abbondantemente rappresentati e, corrispondendo a quanto oggi
riesumato dai documenti coevi, ribadiscono le cognizioni di causa alla base
della scelta dantesca: la conservazione del nesso PL-, la -e protonica di de, in
contrasto al toscano di; soprattutto, luscita in -s per la seconda persona singolare in veras, tratto che separa il veneziano antico tanto dal toscano che dagli
altri dialetti veneti, nonch da una variet essa stessa pertinente al bacino lagunare qual era il dialetto di Lio Mazor.
2.2.
Fosse anche isolato, il luogo del De vulgari eloquentia sarebbe fondamentale
per capire su quali basi un orecchio genericamente italiano cogliesse, nel primo
Trecento, la venezianit di un ipotetico interlocutore; ma che Dante avesse
scelto per il meglio corroborato, come si anticipava, dai numerosi altri esempi che, autonomamente dal suo trattatello, stilizzano il veneziano su moduli
affini se non coincidenti.
il caso (per osservare un ordinamento cronologico) del sonetto designato come venetus nella tenzone tridialettale, in padovano, trevisano e, appunto, veneziano del trecentesco canzoniere Colombino del trevigiano Niccol
de Rossi. Importa ribadire che la tenzone , nel suo insieme, il Primo esempio in assoluto [] di una modalit letteraria destinata a grande fortuna, quella del dialetto come genere e come registro,24 e che per quanto pi
22. Si cita dalledizione curata da P. V. MENGALDO, Padova: Antenore, 1968, p. 24.
23. Cfr. A. STUSSI, Il dialetto veneziano al tempo di Dante, in Dante e la cultura veneta. Atti
del Convegno di Studi organizzato dalla Fondazione Cini, a cura di V. BRANCA E G. PADOAN,
Firenze: Olschki, 1967, p. 109-115: p. 110-111.
24. Cos F. BRUGNOLO, La tenzone tridialettale del Canzoniere Colombino di Nicol de Rossi.
Appunti di lettura, Quaderni Veneti, n. 3, 1986, p. 41-83, p. 41. La parte virgolettata, come
avverte lautore, citazione da C. SEGRE, La tradizione macaronica da Folengo a Gadda (e oltre).

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davvicino ci riguarda giusto il suo plurilinguismo garantisce la consapevole stilizzazione di ciascuno dei tre dialetti, onde garantirne la riconoscibilit:
quanto basta per non preoccuparsi se lautore sia leffettivamente veneziano
anin che trapela dalle repliche padovana e trevisana (forse il Giovanni Quirini imitatore di Dante a Venezia), ovvero lo stesso Niccol de Rossi (cui
andrebbe allora ascritto lintero trittico).25
La contingenza storica adombrata dalla tenzone parrebbe la guerra veneziana per Ferrara del 1308:26 a fronte della sospetta neutralit dei Padovani,
il veneziano anin rimprovera uno di loro, Guercio (Vero) da Montesanto, aggiungendo per soprammercato laccusa di disfattismo (sar tema ricorrente, come nota Brugnolo, anche nella frottola veneziana di Francesco di
Vannozzo): segue la replica di Guercio, e un intervento super partes del trevigiano Liberale da San Pelagio, con il che il confronto si chiude. Il senso, riassume Furio Brugnolo, benemerito studioso del trittico,27 che il padovano
Guercio pratica le sedi politiche (Rialto, dove stavano molte magistrature
veneziane) per diffondere con sicumera previsioni e pareri sullandamento e
la gestione della guerra; e non devono essere certo previsioni favorevoli ai
veneziani []. insomma un astrologo che predice sventura [], un disfattista.28
Lapostrofe diretta allinterlocutore strategica per largheggiare nelle seconde persone singolari, la cui uscita in -s si vista costituire un perfetto blasone
di venezianit e che qui la dislocazione in rima rende affatto appariscente: montis sali, quindi ti affatichi: nellattingere, innalzare acqua con la coclea,
(mi discosto un poco dallinterpretazione corrente) , tafrontis ti imbatti (in noi) , contis racconti tapontis ti vanti ; e ancora (fuori
di rima) pos (puoi), sis (sei, e sia, v. 10), avers (avrai), seras (sarai).
Larea del morfema, osserva la Corti,29 qui decisamente pi larga che in testi
letterari coevi: per esempio nellApoll[onio] di Tiro [] la -s risulta di norma
nelle forme ossitone, facoltativa nelle parossitone. Nei testi pubblicati da Stussi si incontrano il concordante toponimo Ferera, in un documento del 1253,30
25. Osserva Brugnolo, I toscani nel Veneto e le cerchie toscaneggianti, cit., p. 410, n. 146:
In realt la tenzone (che sembra proporsi come fine primario unartificiale vistosa caricatura dei tre dialetti utilizzati e che dunque potrebbe essere fittizia) meglio sinquadrerebbe
nella tendenza allo sperimentalismo linguistico e allespressionismo dorigine vernacolare
che distingue de Rossi.
26. Cfr. M. CORTI, Una tenzone poetica del sec. XIV in veneziano, padovano e trevisano, Lettere italiane, n. 18, 1966, p. 138-151 (poi anche in Dante e la cultura veneta, cit., p. 129142).
27. Cfr. F. BRUGNOLO, Per il testo della tenzone veneta del canzoniere Colombino di Nicol
de Rossi, in Scritti linguistici in onore di Giovan Battista Pellegrini, Pisa: Pacini, 1983, voll.
2: I, p. 371-380; ID. La tenzone tridialettale, cit.; ID., Ritornando sulla canzone di
Auliver e altre liriche dellet caminese. Precisazioni e proposte, Quaderni Veneti, n. 24,
1996, p. 9-25, p.17-18.
28. BRUGNOLO, La tenzone tridialettale, cit., p. 47-48.
29. Una tenzone poetica, cit., p. 145.
30. Cfr. STUSSI, Testi veneziani, cit., p. 3; CORTI, Una tenzone poetica, cit., p. 144-145.

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e, con oscillazioni, il passaggio di AL + dentale a ol qui offerto da olto (alto),


Riolto (Rialto), mesolto (misalto: carne di porco salata), oltri (altri).31
Il tratto, come vedremo, emerger anche successivamente nelluso letterario
riflesso, finendo, nel Cinquecento, per screziare larcaica lingua degli Epitaphii de molimenti antighi di Andrea Calmo.32 Anche Vero, dove v- sta per
il toscano gu-, da intendersi come localismo, posto che analogo passaggio si
riscontra nel veneziano Zibaldone da Canal, quaderno mercantile della met
del Trecento;33 altrettanto dicasi per ficio, forma aferetica per officio, carica istituzionale, presente esso pure nei Testi veneziani dello Stussi.
La struttura metrica esigua permette di riferire il sonetto per intero: si
segue il testo approntato da Brugnolo nellultimo dei suoi interventi al
riguardo.
Venetus
Vero, co tu sis struolego che montis
urir aqua cum verigola ad olto!
Pesse tristo, mo co no < tu > tafrontis
(e certo cus fas tu en Riolto)
mo stas tu coy signori, e s contis
che l dose col conseio stado molto,
e che tanto vadagnis, se tapontis,
che pos manar folege e mesolto.
Bestia bestia, co < tu > sis enganado!
Vstite ad oro e sis conparisente,
e v cum gloltri a loste de Ferera:
avers ficio e sers meritado.
Or oldi: no ti sgumentar nente,
cha, par Do, nu averemo la tera.

2.3
Definita dal moderno editore curiosa testimonianza di dialetto veneziano in
bocca toscana,34 la serie di appunti contabili che il mercante dorigine pisana
Pignol Zucchello redasse a Venezia, divenuta sua stabile base commerciale, nel
31. Cfr. STUSSI, Testi veneziani, cit., p. XLVI-XLVII, e CORTI, Una tenzone poetica, cit.,
p. 144.
32. Cfr. A. CALMO, Le bizzarre, faconde et ingegnose rime pescatorie, testo critico e commento
a cura di G. BELLONI, Venezia: Marsilio, 2003. Nellepigrafia fittizia del Calmo la serie si presenta sotto le specie olto, Riolto (epitaffio XVI) e oltro (ep. XXX): si veda anche il glossario
allestito da Belloni in appendice alledizione.
33. Cfr. Zibaldone Da Canal. Manoscritto mercantile del sec. XIV, a cura di A. STUSSI, con studi
di F. C. Lane, TH. Marston, O. Ore, Venezia: Comitato per la pubblicazione delle fonti
relative alla Storia di Venezia, 1967: Note introduttive, p. XIII, n. 10.
34. Lettere di mercanti a Pignol Zucchello (1336-1350), a cura di R. MOROZZO DELLA ROCCA,
Venezia: Comitato per la pubblicazione delle fonti relative alla Storia di Venezia, 1957,
p. VII; il testo alle p. 71-2.

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1347, offre un colore decisamente pi sbiadito che nelle testimonianze test


considerate, e linterferenza del sistema dorigine affiora talvolta, come ad es.
nella preposizione di (il veneziano predilige de). La scialbatura non per tale
da obliterare lintenzione del menante di aderire al sistema ospite, riproducendone (con alterna efficacia) gli elementi di maggior convenienza. Cos, oltre
a generici tratti grafico-fonetici settentrionali, quali la lenizione della labiale -p- in avril e della dentale intervocalica -t- in dado e laffricata dentale in
luogo della palatale toscana (fao, Franzescho), si osserva v- per il toscano gu(varda), che si visto peculiare alla imitazione veneziana del sonetto test esaminato. Nel vocalismo si osservano il dittongamento in di (< DEBET) e il passaggio ARI(US) > er in deneri, fenomeni presenti (specie il secondo) nella scripta
veneziana;35 anche in Moriio si ha un passaggio AU > -o- non insolito (ancorch qui sia in protonia) nei testi due-trecenteschi (si veda, per contrasto, la
grafia latineggiante Maurocenus per Morosini, cognome di famiglia patrizia,
nei Testi veneziani di Stussi: commento linguistico, p. XLVI). Lapertura di e
protonica in a di fanestra ripropone identico campione di un testo del 1305.36
Nella morfologia, il pronome personale soggetto di prima persona singolare
mi, con poca concorrenza, segna un netto stacco dalla scripta documentale
coeva dove prevale eo di diretta derivazione latina a tutto vantaggio di un
tratto spiccatamente usuale.
1347, d.VI. di avril.
Memoria fao mi Pignol Zuchello chomo io s mandado a pagar en Handia a ser Franzescho Bartollamei per mi soldi .IIII. de grosso.
Li qual deneri die aver per mio nome Marcho Ramella fio di Felipo Ramella
e a salvameli a mia posta.
Anchora dado mi Pignol si mi deneri propi a ser Felipo Ramella di Santo
Moriio ducati .LVIII. doro, li qual deneri ello me die a mandar en Chandia a
so fio Marcho Ramella.
S che llo dito Marcho avir del mio duchati .C. doro.
Li qual deneri mi Pignol s mandadi a pro e dano de Vanino e Fazino e de mi
Pignol.
1347, d .VI. di avril.
Memoria fao chomo mi pignol Zuchello die dar a frar Paxino di Noara lire
.IIII. soldi .IIII. di grossi quando io saver che Franzescho Bartolamei aver
dado a Marcho Ramella per mi libre .IIII. soldi .IIII. di grossi en Handia.
Memoria fao homo ser Franzeschin da Halle me die dar soldi .XX. di grossi
delle masari ch en lla stao e volta che sta, sta mo Zane, e no fome rasonade a mi tanto.
Dieme dar per uno charatelio di vino soldi .XI. de grossi.
Memoria fao homo Bortolamio favro di SantAponal a chasa soa una mia fanestra granda enferada la qual fo della fanestra che varda sovra la mia chorte. [].
lo Zafior
lle sene.
35. Cfr. STUSSI, Testi veneziani, cit., p. XXXIX.
36. Cfr. STUSSI, Testi veneziani, cit., p. 43 fanestre et balko; e commento linguistico, p. XLVIII.

Prima e dopo la letteratura. Il veneziano e il fantasma

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La chaxa. []
Ave a sto d chen Iachomello Habriel libre .IIII. soldi .III. grossi. V lavano
ave di borsa.37

2.4.
La guerra fra Venezia e Genova che, cominciata nel 1378, vede i genovesi invadere Chioggia e minacciare gli avversari in casa propria, conosce una svolta decisiva nel luglio 1380, con la riconquista di lembi meridionali della Laguna (il
Castello delle Bebbe) e il contrattacco veneziano che riuscir infine vittorioso. La
circostanza viene presa a spunto dal rimatore (di norma in lingua toscana) Francesco di Vannozzo, padovano di nascita (1340 ca.) ma di stirpe aretina, per allestire i versi di una lunga frottola in veneziano. Qui limitazione linguistica serve
davvero a restituire il colore locale, posto che dalleco bellica iniziale presto si
passa alla celebrazione, nel centralissimo campo di San Polo, del matrimonio
fra Affenido Malipiero e Rebosa Moro, rampolli di case patrizie rivali. Collocabile dunque alle origini del genere del mariazo, che ampio sviluppo avr nei due
secoli seguenti, il testo sfuma la parvenza conciliativa del suo contenuto in sottili allusioni alla rissosit dei veneziani (oltre al contrasto fra le famiglie Malipiero e Moro, la cerimonia stessa turbata dai ceffoni che il novello sposo allunga,
per futili motivi, alla consorte): forse un elemento caricaturale ormai passato a
stereotipo, se si ritorna alle bellicose profferte del sonetto di anin pi sopra
considerato, e comunque comprensibile in un autore di Padova, citt che durante la Guerra di Chioggia sera alleata ai nemici di Venezia.
Pur non potendosi ipotizzare una conoscenza diretta, da parte del Vannozzo, del sonetto venetus, la tecnica di riproduzione del vernacolo si dimostra rispetto ad esso costante, e con esso condivide la tendenza a stabilizzare
quelle forme che appaiono minoritarie nella scripta documentale coeva e nei
testi non riflessi: dunque lintera serie olto (v. 73), solto (74), Riolto (75), oltri
(69), oltrier (127) per alto, salto, Rialto ecc. (si noti che in un volgarizzamento veneziano come il gi citato SentAlban, che pure appartiene alla
seconda met del Trecento, la sola forma attestata altro, altra, altre).38 Idem
per oldire (161), oldido (45), old (275), loldato (299), con AU>ol, nonch
anenti (68), fenti (69), danenti (99), con -an-> -en-. In Carrera, Carrara
(19: S larme del signor da Carera) si osserva la medesima chiusura vocalica di Ferera nel sonetto. Esiti identici anche al testo di Pignol Zucchello
per quanto riguarda la labiovelare sonora: gu- > v- in vagnele (toscano guagnele,
vangeli), vera (guerra), vardare, varenta (guarenta), varnazze (guarnazze, guarnacche: soprabiti). Scarsamente rappresentata, nonostante la
struttura dialogica del componimento, luscita in verbale in -s delle seconde persone singolari: a differenza del sonetto si offre solo nella cristallizzata
37. Si decurta di minime porzioni la cit. edizione del Morozzo Della Rocca, rispettandone la grafia ancorch poco coerente con le successive soluzioni dello STUSSI, Testi veneziani, cit.
38. Cfr. Legenda de misier Sento Alban, cit., p. 45.

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(e unica) forma interrogativa, distu (84, Co distu, come dici?). Maggiore interesse offre il lessico, spesso legato alla quotidianit e destinato talvolta a sopravvivere fino a oggi : vignali (8: vigne), panada (25: minestra
di pane), gotto (63: bicchiere; gotti anche a v. 80), tresso (v. 103, 181: traverso, in costrutti avverbiali, avere e guardare di t.). Infine, non forse
privo di significato che lincipit presenti un imprecazione blasfema (a le
vagnele) vicina alla testimonianza dantesca, e che ancor pi prossima interiezione (S, a le plaghe de Dio) si abbia anche nel corpo del componimento (71).
A differenza di altri testi fin qui proposti, la frottola del Vannozzo ha tradizione plurima: per quanto detto sinora e nellesempio che si fornisce (v. 1
sg.) si segue ledizione del Corsi,39 che si imposta su di un codice padovano
della fine del Trecento (Padova, Biblioteca del Seminario, 59) emendandolo con il Laurenziano Conventi Soppressi, SS. Annunziata, 122, della prima
met del XV sec. Il testo concorda sostanzialmente con quello gi fornito dal
Medin nella sua edizione complessiva delle rime del Vannozzo;40 merita
segnalazione che, dallapparato del Medin, le varianti del cod. laurenziano
offrano pi larghi elementi di venezianit. Sistematico o quasi, ad es., il dileguo delle dentali sorde intervocaliche, secondo una tendenza ingenua
riscontrabile nei documenti duecenteschi sopra ricordati: Laurenziano: pecchao, (sier) Storlao, (sier zan) Sanuo (Padova, seminario 59: Storlado, Sanudo), vegnuo, drio (Padova: driedo ), zittae beneeta (Padova: terra benedetta),
ecc.; e anche nella lezione quel verzo abissado, il verzo del Laurenziano concorda pi con il sonetto della tenzone che con il testo del cod. padovano
(quel tristo abissado).
Se Die maide, a le vagnele, compar,
a dir ci che me par,
i gran paura:
se l no nde vien ventura,
nu perderemo lambladura
e difaremo foza.
Zenovesi sta in Cloza:
entro per quei vignali
li fase tutti i mali;
lo s un peccado!
Marco Storlado
End pur vignudo
E sier Zan Sanudo con esso,
e enghe stadi appresso a un trar di piera:
li ha vezudo una bandiera granda
con una blanca banda
e non se che vermeio.
39. Rimatori del Trecento, a cura di G. CORSI, Torino: Utet, 1969, p. 480-495.
40. Le rime di Francesco di Vannozzo, a cura di A. MEDIN, Bologna: Commissione per i Testi
di Lingua, 1928, p. 100-114.

Prima e dopo la letteratura. Il veneziano e il fantasma

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Per Sen Baseio, se la rende splendor!


S larme del signor de Carrera
Chendha fatto sta vera
Con so traditi enganni.
El fu gi pluxor anni
Che s questa bugada:
esso s lha menada
e mo nde d panada senza pan
Dis mo pur plan;
Per Sen casian,
driedo ancuo vien doman:
lass pur andar.
Mo diseme, compar,
chende pu li far?
Inde pu rubar.Mo a che partido?
Non seremo nu a Lido?
No x infortido l porto?
Mo x Sen Marco morto?
Vu se gran desconforto a la citade:
che Dio ve dianfirmitade,
lengua maledetta.
Lighve meio la vetta,
e tollm z la beretta
di andar a saccomanno.
Che sun garzon dun anno
Vavesse oldido,
vu saresse schernido
e vituperado [].

2.5.
Raggiungiamo finalmente il Quattrocento con il fiorentino Burchiello, la cui
musa bizzarra ricorre pi duna volta anche alla parodia dialettale. Sonetto del
Burchiello quandera a Vinegia e Sonetto di Burchiello alla veneziana la rubrica che due manoscritti, fra i molti della tradizione, attribuiscono a un testo
costruito per intero di tessere veneziane.41 Di mosaico, infatti, si tratta, pi
che di organica simulazione linguistica, e non solo per via della accozzaglia
incoerente di termini che tipica della produzione alla burchia. Piuttosto,
lautore dimostra di non aver saputo controllare il sostrato dorigine, che riaffiora inospitamente a mettere in crisi limpianto stesso dellimitazione: versi
come un grosso gli vendien quella della vin, o e negotta si bagna stando in
molle finiscono per avere, di veneziano, soltanto una voce ciascuno (vin con
caduta di -o, e negotta per nulla: fenomeno e termine, fra laltro, di larga dif41. Lo si legge in I sonetti del Burchiello. Edizione critica della vulgata quattrocentesca a cura di
M. ZACCARELLO, Bologna: Commissione per i testi di Lingua, 2000, p. 98.

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fusione in tutto il settentrione dItalia), mentre nel contesto pu stare il puro


fiorentinismo vendien (vendevano), in buona compagnia con i vari gli, di,
diesi, si (i documenti veneziani preferiscono ge, de, diese, se) e ched (con consonante eufonica) degli altri versi. La scarsit cromatica della tavolozza dialettale comporta che lautore si dovesse attenere pi rigidamente a pochi colori
di base; ed allora interessante verificare come detti colori siano in definitiva
gli stessi che campivano gli esempi precedenti, a sanzionare una stereotipia
della lingua lagunare ormai abbastanza stabile. Si ripropongono dunque, anche
nella sede privilegiata della rima, al > ol con coldo (4) e (vero stendardo di venezianit) Riolto (4), nonch la caduta di dentale in buel (5: budello), vel (11:
< vedel, con chiusura della protonica in iato secondario,42 vitello), miolle (12:
midolla, qui per molliche). Di notevole interesse sono i dittonghi in vocale tonica siei (1: sei), miedisi (9: medici), zievoli (11: cefali), grieve
(12: gravi, pesanti) , che da un lato contraddicono, per frequenza, le
sporadiche emersioni precedenti43 (ma si noti che il sonetto Venetus summenzionato ha struolego, e che il medesimo termine struoligo, per la verit
offre la frottola del Vannozzo, v. 155; il veneziano odierno dice strolego),
dallaltro rientrano perfettamente nello sviluppo che, come ha mostrato la Sattin, il fenomeno conobbe giusto nel Quattrocento.44
Demo a Viniesa siei capuzzi al soldo
un boccal dacqua per un bagatttin,
un grosso gli vendien quella del vin,
perz chedel z dogni tempo coldo;
un buel di tri braza di biroldo
che val diesi dinari o un soldin
e nu lavemo masie da matin
perz chel va per Riolto il manioldo.
I miedisi han ducati per condutta
e da Mestri che vien ai e zivolle
e zievoli e l vel che se [ne] butta.
El pane ha dure e grieve le miolle
e mollisin e la suo crosta tutta
e negotta si bagna stando in molle.
Odi contrariet di gente folle:
Vinegia in acqua, come voi sapete,
e non che loro, e can muoion di sete.

2.6.
A conclusione di questa rassegna si propone un campione nemmeno pi relativo al dialetto nella sua generalit, quanto invece pertinente ad una espres42. Fenomeno attestato nei documenti quattrocenteschi studiati da A. SATTIN, Ricerche sul veneziano del sec. XV (con edizione di testi), LItalia Dialettale, n. 49, 1986, p. 1-159, p. 68.
43. Cfr. STUSSI, Testi veneziani, cit., p. XXXIX s.
44. Cfr. SATTIN, Ricerche sul veneziano del secolo XV, cit., p. 62-65.

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Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 83

sione individuale di esso, a un vero e proprio idioletto. Tale infatti deve o,


per meglio dire, dovrebbe considerarsi quello che Gentile Becchi, fiduciario di Lorenzo de Medici presso la Santa Sede, raccoglie dalla viva voce di papa
Paolo II, il veneziano Pietro Barbo, e verbalizza in una lettera diplomatica al
Magnifico, in data 1 marzo 1471.45 Preoccupato di offrire con puntualit le
parole del pontefice a chi, miglior politico di lui, ne avrebbe saputo cogliere
sfumature e sottintesi (Io dissi contulisse me omnia in corde, et scrivervi questo
ultimo suo precepto, acenando degli altri ragionamenti, che non ho facto nulla,
ma scriptovi tutto per lasciare interpretare a voi. [] Se io mi sentissi meglio
in gambe, di giudicio o pratica, non vi straccherei in scrivervi ogni parolina,
ma meglio fatica che errore),46 il Becchi tenta di rendere le risposte avute
dal papa tal quali le ha udite: ed esse per ci che il testo stesso permette di
giudicare furono pronunciate in un veneziano parzialmente corretto con
elementi di coin.
Ad onta del registro palesemente colloquiale (che si coglie, ad es., nella
negazione ripetuta circolarmente, Non stemo perz chos male chol Re, no),
non si tratta, con ogni probabilit, di una trascrizione fedele. Anche a trascurare le illazioni sulle effettive capacit mnemoniche del Becchi risultano soprattutto sospetti alcuni elementi di difficile localizzazione, probabilmente da
ricondurre alleccessivo zelo caratterizzante dellestensore. Complessivamente
bene, dunque ancorch generalizzabili a quel volgare comune che caratterizza lItalia settentrionale del Quattrocento ze (ci), Zentile, zettava, z,
zerto ecc., rasone; pi decisamente veneziani meior, voia, mia, tiono (migliore, voglia, miglia, togliono) con passaggio -LJ- > j,47 imbasadore (il Becchi di suo scrive imbasciadore), bem, som (sono), entenziom (con passaggio
di -n a -m),48 le forme verbali fasemo, z, tegn (imp.) e linterrogativa con enclisi del pronome personale havivu. Sembrano invece eccessivi par per pare
(padre), amizizia, uzi (ci si aspetterebbe oxelli:49 uccelli).
Ma con tutto ci, e appunto per il fatto di essere, prima che meccanica riproduzione, rappresentazione artificiosa di una lingua altrui, questo testo bene si colloca nella nostra serie, sottintendendo una percezione dellidioma lagunare fatta
di dati convenzionali e, insomma, di tratti dotati di qualche regolarit.
45. Il testo stato rinvenuto e pubblicato da R. FUBINI, Gentile Becchi tra servizio mediceo e
aspirazioni cardinalizie, e una sua intervista bilingue a Papa Paolo II (1 marzo 1471), ora
in ID., Quattrocento fiorentino. Politica diplomazia cultura, Pisa: Pacini, 1996, p. 333-354 (ledizione alle p. 350-354). Si segue qui la lezione fornita dal Fubini, diminuita di quasi tutte
le parti che, nel dialogo, spettano al Becchi (ma si lascia, a titolo esemplificativo della variet
linguistica, un breve segmento introduttivo) e con minimi ritocchi grafici; al saggio di Fubini si rinvia per il contesto storico della lettera.
46. Nella cit. ed. del Fubini, p. 354.
47. Per il quale Cfr. SATTIN, Ricerche sul veneziano del secolo XV, cit., p. 86.
48. Relativamente raro nelle pi antiche attestazioni del veneziano (cfr. STUSSI, Testi veneziani,
cit., p. LIX), se ne incontrano esempi epigrafici in ambito ormai cinquecentesco: per la iuridiciom di barbacani ancora si legge su mensola in pietra (destinata a regolare la costruzione
di sporti murari, i barbacani appunto) nella realtina Calle de la Madonna, a Venezia.
49. Forme dei documenti editi da Stussi: cfr. Testi veneziani, cit., p. 236.

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Riccardo Drusi, Piermario Vescovo

[]Lorenzo, Beatissime Pater, si raccomanda humilmente a piedi di Vostra


Beatitudine. Ha intese le parole amorevoli et benigne che Vostra Sanctit ha di
lui usate con questo imbasciadore ducale; sa nisuna lettera o testificazione
potere exprimere lanimo suo; pure me ha adiritta questa, et commesso quello chio posso, io faccia a boccha; il resto spera che la experientia et conditione de presenti tempi dimosterr meglio. Lesse la lettera, poi rispuse: Nui
lhavemo dicto adesso a questo imbasadore: Lorenzo ze par meior che so par,
pi discreto et pi moderato; Piero se zettava troppo et alterava. Rispusi: La
Sanctit Vostra suole predire le cose; non so se ha perduta la sua divinatione,
che giudica hora s da presso et chosa s chiara. Rise et segu: Pure me ha
con lo imbasadore venetiano che l morso a questi zorni, che contribuisco
poco et lento []. Disse: E credo bem che l sia vero, che fasemo pi che non
possiamo. Messer Zentile, nui vhavemo dicto altra fiada che per Fiorentini
non z pi conforme n pi stabile amicitia che questa della Chiesa. Tutte le
altre, et sia chi se voia, sono meno durabile et pi rapaze. Vu dir: O la Chiesa per la morte dei pontefici non varia ella?. Digho che nella terra de Zieghi
Argo chi zha uno ochio. [] Hor a proposito pi stabile questa che nisuna altra amizizia, et non rapase, chome siria di Vinesia, che bench durabile, perz mala compagna. Et chos questaltri tutti voriano deventare pi
grandi. Som uzi de rapto. [] La Chiesa dismi confina choi Fiorentini pi de 40 mia; chome e disse adesso al vostro embasciadore, halla
mai tolto niente del vostro? Non havivu pi presto del so?. [] Riprese: non
dis chos. Pi zha inzuri il Duca che l Re. Se l se dimostr pi a Rimino,
tanto pecca chi tiene quanto chi che scortica, et la prohibitiom dise consilium
et consensum, []. Ma quando ze volavamo collegare chol Re et Venitiani,
non ze preg il Duca per Nicodemo del contrario, dandoze entenziom, et po
per s medesimo senza nostra saputa fe la lega particulare, et vu le prozessioni, con molti capitoli de diretto contro di nui? Non stemo perz chos male
chol Re, no. La rasone, il tempo, la experientia lo ha bene aconzo [].

3.
Lintera storia del veneziano scritto attraversata da abitudini grafiche di sostanziale appoggio a quelle della lingua, che si definiscono gi nel XVI secolo e si
mantengono sostanzialmente operative per un lungo arco secolare. Non questa la sede per offrire, nemmeno in termini elementari, un panorama di una
tradizione letteraria straordinariamente ricca, che si definisce tanto nella pratica della scrittura di un veneziano civil centrale, cittadino e dominante
quanto nel rigoglio connotativo ed espressivo delle sue varianti, con insistenza sui caratteri di perifericit ed arcaicit. La precoce registrazione quattrocentesca del siciliano Caio Caloiro Ponzio nota gi la desinenza pronominale
in o (portao, donao, contro alla riduzione di port, don ecc. del centro) come
spiacevole e caratteristica dei quartieri periferici. Non un caso che proprio
questa marca diventi il carattere privilegiato della figura del vecchio veneziano
da commedia, che si fossilizza poi nella maschera di Pantalone. Se tra Quattrocento e Cinquecento il veneziano tocca tutti i generi ascendendo dalla liri-

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ca di intonazione popolaresca al canzoniere organico, fissando altres la tradizione di una prosa epistolare sono i fasti del secolo della letteratura dialettale riflessa, in operazioni di grande cimento (si pensi alla traduzione dei
primi poemi, come per esempio La Gerusalemme liberata), a testimoniare la
ricchezza inesauribile e la possibilit di infinita ricezione delle ricche miniere
del veneziano.
Una pagina di grande interesse costituita dalla prefazione che Carlo Goldoni scrive per i suoi Rusteghi, andati in scena nel carnevale 1760 e pubblicati nel terzo tomo delledizione Pasquali (1762), dove lannotazione certo
occasionale riflette una svolta epocale.50 Goldoni torna qui, anzitutto, a discutere la questione da lui a lungo dibattuta fin dalla prima scelta di pubblicare le sue commedie in veneziano accanto a quelle in lingua dellofferta
sulla pagina a un pubblico interamente italiano di lettori ci che era stato pensato originalmente per la pi ridotta offerta a una platea cittadina di spettatori. Non qui in questione quella ricchezza e modulazione che permette la
restituzione di una variata tavolozza di espressioni letterarie che in uno spazio plurisecolare aveva anzi privilegiato inflessioni arcaiche, gergali e variamente
coloristiche quanto la pretesa che una lingua e una dimensione del quotidiano
da essa espressa quella che lautore definisce il suo sapore dei sentimenti
risultino comprensibili su pi larga scala. La questione stata, a questa altezza,
discussa pi volte da Goldoni a partire dalla prefazione a La putta onorata (nel
secondo volume delledizione Bettinelli, 1751). Una preoccupazione che poteva, dieci anni dopo, ritenersi sostanzialmente superata dal successo e dalla diffusione della drammaturgia in dialetto accanto a quella in lingua, cementati
anzich ostacolati dal passaggio dalla scena alla pagina. Ed appunto nella prefazione ai Rusteghi nel passaggio dalla piazza allinterno domestico e dalla
lingua atmosferica del popolo a quella chiusa di borghesi minimi che Goldoni spende alcune riflessioni sulla scrittura del veneziano.
Goldoni aveva gi dovuto precedentemente, sul campo, farsi glossatore di
s stesso, offrendo ai lettori non veneti delle annotazioni sostanzialmente di
carattere lessicale o di illuminazione fraseologica (Ho data la spiegazione a
tutti quei termini, e a quelle frasi, che non possono dagli stranieri rinvenirsi
nei vocabolari italiani), arrivando a pi riprese a promettere un vero e proprio Dizionario del veneziano, o, almeno, del suo veneziano di autore. Questo strumento per la prima volta abbozzato in forma minima nel glossario
che faceva seguito alla pubblicazione postuma delle satire veneziane di Dario
Varotari (Il vespaio stuzzicato, 1671) non trover realizzazione e limpresa
su basi tuttaltre sar tentata dalla fatica tardo-settecentesca del Patriarchi e rimasto manoscritto laltro progetto del Muazzo51 compiutamente realizzata dal Dizionario del Boerio. Goldoni intravede per, anche solo per
50. Il testo si cita dalledizione a cura di Giuseppe Ortolani di Tutte le opere, Milano: Mondadori, VII, 1946 (19734), p. 625-626.
51. Cfr. Paolo ZOLLI, La Raccolta de proverbi, detti, sentenze, parole e frasi veneziane di
F. Z. Muazzo, in Studi Veneziani, n. 11, 1969, p. 537-582.

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Riccardo Drusi, Piermario Vescovo

unistante, un ordine di preoccupazioni che supera il piano del lessico per entrare in quello della grammatica:
Per esempio, le coniugazioni de verbi sono alquanto diverse, ma si capiscono
facilmente: farave per farei; son and per sono andato; se savessi in luogo di se
sapeste, non sono modi s strani che abbiano bisogno di spiegazione, n basterebbe il dizionario a spiegarli, ma vi vorrebbe ancor la grammatica.

Liquidato cos lapidariamente il problema, lultima parte della prefazione


si sofferma sulla questione forse capitale, quella di una ortografia, che emerge
come evidentemente disattesa, e nonostante oggi si pu dire, dopo debiti
approfondimenti filologici la tuttaltro che occasionale applicazione di Goldoni alla propria scrittura:
Anche lortografia veneziana altera talvolta il significato, ma chi vi abbada lintende, ed lortografia regolata secondo il suono della pronuncia. Noi, per
esempio, non diciam bello, ma belo, non perfetto, ma perfeto; e per regola generale quasi tutte le consonanti doppie da noi si pronunciano semplici. Per in
alcune voci le lettere semplici da noi si raddoppiano, come in luogo di cosa
noi diciam cossa, ma queste son pochissime.

evidente che lortografia regolata secondo il suono della pronuncia resti


un criterio enunciato come di riferimento ma sostanzialmente evaso nella scrittura effettiva, a partire dalla tolleranza nellintera opera goldoniana in veneziano a proposito del caso pi semplice, quella dello scempiamento delle
consonanti tra grafe fonetiche e grafe italianeggianti, per oscillazione delluso da parte dello stesso autore e per indifferenza dei responsabili della composizione tipografica.
N questa volont ci che forse pi sorprende fu realizzata dagli editori goldoniani, quando, non certo mossi da criteri di conservativit a scopo di
documentazione, essi desiderarono conferire una maggiore uniformit di scelte
grafiche, ma imboccando decisamente la strada opposta. Il maggiore studioso
goldoniano della prima met del Novecento, Giuseppe Ortolani, realizz infatti unedizione dellintera opera scegliendo infatti per lallestimento della sua grande fatica la via gi perfettamente visibile nelle edizioni tardosettecentesche e
in particolare nella prima davvero completa, la veneziana Zatta di una prevalente riconduzione alla grafa italianeggiante, per esempio con sistematica preferenza del raddoppiamento rispetto allo scempiamento consonantico.
Nella pagina goldoniana che si citata la riflessione linguistica viene offerta al lettore non attraverso categorizzazioni, ma tramite una breve, e tutto sommato casuale, scelta di esempi. Daltra parte il criterio che guida lautore di
fronte a testi da leggere (sono del tutto vuote e retrospettive le idee che Goldoni potesse porsi il problema di una intonazione ad alta voce della sua lingua teatrale da parte del lettore comune, posta la separata e non discutibile
competenza dei comici) non quello della corretta dizione ma della distinzione dallitaliano. Dal che consegue che ci che assomiglia allitaliano o

Prima e dopo la letteratura. Il veneziano e il fantasma

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 87

che con esso rischia, nellindistinzione, di confondersi conta meno di ci


che non gli assomiglia, e che quindi ha bisogno di essere chiarito. Non sono
fonetica e morfologia categorie, dunque, forti in questo ordine di preoccupazioni, ma lo semplicemente come era sempre fin l apparso alla tradizione il lessico. Ed il problema non muta sostanzialmente anche se
completamente diversa e per certi versi opposta la coscienza culturale che
illumina la questione dalla percezione della cosiddetta letteratura dialettale riflessa. Quella si era definita e beata dalla complessit e particolarit, e tanto
pi dalla difficolt, lateralit, espressivit, di un patrimonio lessicale e fraseologico, questa si poneva lobiettivo della chiarezza e della traducibilit: una
strada nuova che come si brevemente visto conduce tuttavia allipotesi del dizionario come strumento dilluminazione delle differenze rispetto
allitaliano parlato della comune conversazione, non della grammatica.
4.
Le righe dichiarative, con cui la breve Grammatica del Manin comincia,
offrono, con evidenza un secondo e importante punto di osservazione, laddove la questione di una definizione grafico-fonetica, prima ancora che morfologica, definisce tale istanza dellilluminazione della scrittura del veneziano,
ma in una prospettiva sostanzialmente disinteressata alla letteratura e, dunque, alla sua convenzionale e secolarmente codificata serie di abitudini scrittorie. Scrive Manin:
I pochi scrittori che abbiamo nel viniziano dialetto usarono diversa ortografia e quella scelsero che pi loro attalentava e pi si avvicinava alla toscana. Io
allo ncontro mi studier di scrivere in modo che senza fatica colui che non
della veneta pronunzia perito possa dare alle parole quel suono che i viniziani
stessi loro attribuiscono.

La scarsa considerazione e forse la scarsa conoscenza del reale patrimonio letterario veneziano ( del 1832 la fondamentale ricognizione storica attraverso il catalogo bibliografico tentata dallerudito Bartolomeo Gamba con la Serie
degli scritti impressi in dialetto veneziano) che emerge dal riferimento ai
pochi scrittori, insieme alla riduzione a una sorta di libert di comodo di
norme in realt implicite (quella scelsero che pi loro attalentava), mostra
come il progetto prescindesse dalla volont di una documentazione storica.
Cos lo stesso, assai pi esatto, riferimento allappiattimento sulla grafia del
toscano letterario tenendo anche presente ci che Manin non sapeva o non
considerava, a proposito del ruolo primario di Venezia e del Veneto nella cinquecentesca grammaticalizzazione dellitaliano mostrava una sostanziale
indifferenza alla storia della tradizione scrittoria. In una diversa prospettiva
invece proprio questo tratto principale e caratterizzante lungo i secoli a
definire attraverso la letteratura in veneziano, e certo non pochi scrittori, la
codificazione di fatto della sua scrittura.

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Riccardo Drusi, Piermario Vescovo

Possiamo citare, a titolo desempio, alcuni tratti che definiscono le fondamentali abitudini scrittorie, che distanziano, in un arco come si detto secolare, la rappresentazione fonetica attraverso la riconduzione alla grafia italiana.
Anzitutto la rinuncia alla rappresentazione del tipico tratto della l intervocalica
evanescente (solo, e saltuariamente, registrata in testi che implicano la caricatura linguistica del veneziano isolano, dove quel tratto appariva evidentemente pi forte, come in un dialogo tra pescatori della seconda met del 500 in cui
leggiamo non gi balo per ballo ma addirittura bao:52 appartengono, del resto,
solo a una (laterale) pratica recente e alla scrittura dei semicolti alcuni tentativi per altri versi ovviamente fuorvianti, di rappresentazione fonetica soprattutto in iscrizioni e graffiti della l evanescente intervocalica con e o i, per
esempio di solo come soeo o soio). O ancora la rappresentazione con chi + vocale tanto di chi- velare che di ci palatale, per cui Checca o cheba risultano
indistinti da chiave o chiapar (che si pronunciano ciave e ciapar), giungendo
addirittura a scritture aberranti come ciacole > chiacole (ma curiosamente lo
stesso fenomeno di attrazione della grafia italiana non si d per sempre per ghi/gi-, dove, per esempio, si possono incontrare soprattutto in testi del Cinque
e del Seicento grafie come giazzo e non ghiazzo, giozza e non ghiozza ecc.).
Il cenno che abbiamo gi visto in Goldoni al raddoppiamento di s dallitaliano cosa a cossa, tocca, in realt, per via approssimativa, lessenziale questione della rappresentazione della sorda e della sonora nel veneziano scritto. La
medesima questione che implica la messa in campo del grafema speciale x per
il consistente impiego in rapporto alla terza persona singolare dellindicativo del
verbo essere e il saltuario, ma comunque rilevante, utilizzo per forme del verbo
dire, come dice > dixe, nellassenza nella scrittura dei secoli XV-XVIII delluso
distintivo della cediglia, o ancora nella tipica forma Venexia. Questione pi
rilevante e controversa a cui gli ultimi esempi ci avvicinano quella del
valore fonetico del grafema z (e, di conseguenza, di , non pi usufruito nei
secoli XVI-XVIII e introdotto a scopo modernamente, a scopo diacritico, in alcune edizioni di testi cinque-settecenteschi). Il Discorso preliminare del Boerio al
suo Dizionario dichiara addirittura un vezzo o un mendo, contratto fin
dalla fanciulezza per lignoranza o linavvertenza di chi insegna a parlare
(non solo la plebe veneziana, ma molte altre persone) la pronunciare di cc
e ci ed anche la z aspra, come se fossero una s dolce: Dicono per esempio
sinque per cinque, sinquesento per cinquecento, seola per ceola, ecc. E questa testimonianza ha fondato, addirittura, una supposta pronuncia arcaica
rispetto a quella del veneziano odierno (che sarebbe, cos, da intendersi quella della corruzione plebea indicata da Boerio). Mentre tale alternanza
oggi come nella memoria storica dei parlanti veneziano quella tra un
piano pi genuinamente dialettale e linnalzamento verso una fonetica appoggiata allitaliano, bisognerebbe pure fare qualche debita tara a una simile affermazione. Considerare, dunque, con la dovuta attenzione, da una parte, la scarsa
credibilit storica dellimputazione a un fenomeno corruttivo per malcostu52. Cfr. STUSSI, La letteratura in dialetto nel Veneto, cit., p. 69.

Prima e dopo la letteratura. Il veneziano e il fantasma

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me linguistico di chi insegna. Com sostenibile, infatti, lidea che il popolo, o


la plebe veneziana possa essere stata traviata in un uso diffuso e Boerio
dice di pi: pressoch generalizzato come chi apprendesse da un cattivo
maestro una lingua straniera? Dallaltra osservare lo scarso credito della prova
storica addotta per la pronuncia ritenuta corretta, che , appunto, un rinvio
al sistema grafico anfibio della pratica scritta del veneziano: Non troverassi
alcun autore veneziano antico o moderno, comunque egli stesso cos parlasse,
che siasi pensato di scrivere in cotal guisa, come se il sistema grafico poniamo di Carlo Goldoni non riflettesse semplicemente le abitudini scrittorie
dell italiano, comunque, appunto, Goldoni parlasse.
Questi problemi si rendono meglio evidenti se si passa, per esempio, in
rapporto a Goldoni (per il quale non disponiamo peraltro di autografi) alle
abitudini grafiche del maggiore scrittore di teatro veneziano dellOttocento,
Giacinto Gallina, in unepoca in cui agiscono pi visibilmente le spinte opposte della registrazione del colore dialettale spesso con eccesso di pittoresco
e di una pi forte istanza di grammaticalizzazione. Il sistema di scrittura di
Gallina anche a partire dalla possibilit di confronto dei testi a stampa con
i manoscritti presenta una casistica pi ampia ma anche evidenti segni dellimporsi di un grado maggiore di resa grafica della pronuncia rispetto al
modello goldoniano.53
Lalternanza tra forme fonetiche e forme grafiche offre certo unindicazione preziosa in questo senso, nelle oscillazioni tra forme quali sucaro e zucaro, sate e zate, sigo e zigo, suca e zuca, ecc. e, quindi, per esempio, insucar a
inzucar. Ci tenuto conto che luso di z semplice ha significato davvero distintivo, di indicazione almeno sommariamente fonetica, nel veneziano laddove
essa segnala diverso naturalmente da z italiana lesito J + vocale, e dunque zogo (gioco), zogia (gioia), za (gi). Allinterno di parola la pronuncia veneta -azo, -aza e simili produce (anche nei manoscritti autografi)
lalternanza di grafe fonetiche con ss e di grafie stereotipa con z, o addirittura
con zz, procedenti, la prima, dalla grafia italiana venetizzata collindicazione
di scempia e di sibilante sorda semplice (per esempio palasso e palazo, piaza e
piassa) e la seconda da mera sovrapposizione dellabitudine grafica italiana.
Loscillazione nel sistema di Gallina offre non gi la prova dellemergere,
proprio allora, del malcostume plebeo o della sua registrazione saltuaria e
indifferente in commedia quanto, piuttosto, lincrinarsi di un sistema grafico
convenzionale, proprio in virt di una doppia, parallela, influenza di quelle
istanze di riforma ortografica cos vigorosamente respinte dal lessicografo Boerio: Ho sentito qualche zelante dellortografia ad opinare che cos dunque si
dovesse scrivere come la maggior parte pronuncia. Lunico movente davvero
fondato e davvero ragionevole delle scuse di Boerio restava e resta quello di non alterare anzi capovolgere lordine alfabetico di migliaia di voci.
53. La questione qui brevemente ripresa dalla discussione nella nota al testo alledizione da
me recentemente curata di Tutto il teatro di Gallina, Venezia: Marsilio, 2000-2003, cfr. il vol.
IV, p. 382-389.

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Riccardo Drusi, Piermario Vescovo

Ora proprio su questo punto parallelamente allemergere delle grafe


che preferiscono quantitativamente s a z nella registrazione del parlato galliniana che interviene la prova fornita dalla Grammatica di Daniele Manin,
che sembra appunto contraddire il criterio che abbiamo sospettato mosso da
preoccupazioni di lessicografo del peraltro non veneziano Boerio:
La colla virgoletta ha il suono di un s aspro o vogliam dire del c francese
innanzi alle vocali e, i: p. e. nto, cento, mbalo, gravicembalo.
[]
Li viniziani non fanno mai sentire alcuna consonante doppia, appoggiandovi fortemente la voce: laonde riesce superfluo allo scrittore lo addoppiarle;
eccettuata soltanto la s che in tal caso, non acquistando peraltro alcuna vibratezza, assume il suono di una s forte o vogliamo dire dun sigma greco.
Questa s addoppiata si usa nelle voci che scrivendo italianamente dovrebbero
avere una s doppia od un zeta aspro: p. e. adsso, adesso, aflissin, afflizione,
Venessia, Venezia.

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Il dialetto napoletano si deve scrivere come si parla?


Polemiche ottocentesche sullortografia del napoletano
Gabriella Gavagnin
Universitat de Barcelona

Abstract
Larticolo ricostruisce le diverse fasi di una polemica linguistica ottocentesca fra promotori di una riforma ortografica del napoletano basata sul parlato contemporaneo e difensori
della norma grafica derivata dai classici della tradizione dialettale scritta. Si cerca inoltre
di individuare le ragioni extralinguistiche che influenzano le posizioni dei diversi schieramenti e le implicazioni fra tale dibattito e le nuove prospettive che si aprono per litaliano
e i dialetti allindomani dellunificazione politica.
Parole chiave: storia linguistica del napoletano, dialetto scritto e dialetto parlato, Vittorio
Imbriani.
Abstract
The article reconstructs the diverse phases of a 19th century linguistic controversy between
the promoters of an orthographic reformation of Napolitan based on contemporary speech,
and the defenders of the rules of writing, derived from the classics, pertaining to the tradition
of written dialect. It also attempts to individualise the extra-linguistic reasons that influence
the position of the many and varied groups opposed to one another, as well as the implications of this debate and the new perspective that it opened up both for Italian and for the
dialects, once political unification had taken place.
Key words: the linguistic history of Napolitan, written and spoken dialect, Vittorio Imbriani

Nella seconda met dellOttocento, a distanza di un secolo dalle riflessioni e


dalle polemiche provocate dal trattatello storico-linguistico di Ferdinando
Galiani, nuovi e svariati fattori concorsero alla nascita di un dibattito nella
cultura napoletana sullopportunit e sui modi di riformare e fissare una norma
grafica (e linguistica) del dialetto. Gli interventi si susseguirono per un paio
di decenni in prefazioni, opuscoli, discorsi accademici e, soprattutto, sulle pagine di pubblicazioni periodiche come il Giambattista Basile e il San Carlino,
stimolando peraltro una crescente attivit grammaticale e lessicografica che si
tradusse sia in articoli eruditi che in manuali di ortografia e grammatica e in

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Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Gabriella Gavagnin

vocabolari bilingui. Nelle pagine che seguono cercher di ripercorrere i momenti salienti delle discussioni che accanirono letterati e grammatici negli anni
postunitari allo scopo di scorgere, dietro le concrete proposte linguistiche, le prospettive teoriche da cui muovevano le diverse posizioni e di capire fino a che
punto le polemiche scaturivano da un tentativo di ridefinizione dei rapporti
fra dialetto e lingua.
La questione fu sollevata, inizialmente senza spirito polemico, dallesigenza degli studiosi di demologia di fissare una serie di norme ortografiche
atte a trascrivere il patrimonio di letteratura popolare orale che venivano raccogliendo nella loro attivit di ricerca sul territorio. In particolare, Vittorio
Imbriani, principale propulsore di questi studi nellarea meridionale, affronta per la prima volta il problema nel dare alle stampe, nel 1871, i Canti popolari delle provincie meridionali, raccolti insieme al pugliese Antonio Casetti
nel decennio precedente.1 Il sistema ortografico tramandato dalla letteratura colta gli si rivela del tutto inadeguato alla trascrizione di una serie di parlate dialettali che, oltre a presentare notevoli variazioni diatopiche, avevano
ormai raggiunto, a seguito di un naturale processo evolutivo che aveva colpito tratti fonetici e morfosintattici caratterizzanti, un grado di sviluppo che
le allontanava dal modello linguistico su cui si era basata la letteratura colta
secentesca e settecentesca. Per questo, Imbriani stabilisce una serie di criteri decisamente innovativi, che manterr nel complesso invariati in edizioni posteriori di altra letteratura orale, malgrado i dissensi e le aspre critiche che la sua
riforma scaten. Occorre notare che nella scelta dei criteri di trascrizione pesarono due fattori strettamente correlati: da una parte, la volont di riprodurre, senza attenuazioni o ricreazioni di nessun tipo, modi ed espressioni
linguistiche dellinformatore, di assumere insomma, con la fedelt diplomatica dovuta ai documenti storici, la parlata popolare, quale voce autentica e
spontanea, depositaria di una cultura antica e pregiata; dallaltra, lintento
di collocare tale cultura, tanto nella lingua quanto nei contenuti, nel quadro di
una cultura sovraregionale, nazionale, come parte integrante e funzionale
di essa. Quanto al primo punto, pi che esplicita la seguente dichiarazione di
principio, appartenente a uno scritto del 1866:
Il seguire esattamente collortografia le menome inflessioni del linguaggio parlato; il non mutare nemmanco una parola; lindicare la patria di chi canta la poesia; il soggiungere quanti pi chiarimenti si pu sulle allusioni in essa contenute,
son cose che gi sintendono per s.2

1. Una visione dinsieme dellattivit di demologo dImbriani data da Alberto Mario CIRESE, Imbriani demopsicologo, in R. FRANZESE e E. GIAMMATTEI (a cura di), Studi su Vittorio Imbriani. Atti del Primo Convegno su Vittorio Imbriani nel Centenario della morte,
Napoli: Guida, 1990, p. 165-197; sulle implicazioni filologiche e linguistiche di tale attivit, si veda, nel medesimo volume di Atti, il contributo di Patricia BIANCHI, Imbriani
editore di letteratura orale, p. 465-476.
2. V. IMBRIANI, Mucchietto di gemme, Napoli: s.t., 1866, p. 21 (cit. da BIANCHI, op. cit., p. 467).

Il dialetto napoletano si deve scrivere come si parla?

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Quanto al secondo, va ricordato innanzitutto che, nel suo atteggiamento nei


confronti della questione della lingua prevalgono, in consonanza con le tendenze marcatamente espressioniste della sua prosa narrativa, posizioni antipuriste e antimanzoniane, in una sorta di liberismo di stampo ascoliano,3 il
che riflette una visione della cultura nazionale fondata sulla forte saldatura di
tutte le componenti regionali. In questa prospettiva, appare chiaro che le culture dialettali sono prive di qualsiasi autonomia e possono, anzi devono, essere valorate e recuperate solo nella loro funzione di costruzione di una pi
organica cultura italiana. Particolarmente significative al riguardo sono le affermazioni contenute nel saggio Dellorganismo poetico e della poesia popolare italiana, risultato delle lezioni del corso accademico 1862-1863:
Le letterature de nostri dialetti, ricche spesso di opere meravigliose [] non
costituiscono un tutto compiuto, organico; perch lingegno delle singole parti
dItalia non giunto mai ad affermarsi come qualcosa dindipendente, come
negazione della mente nazionale; e quindi gli autori che adoperano il dialetto
sono [] Italiani in fondo allanima.

La militanza patriottica di queste dichiarazioni, per quanto esse arrivino


in un particolare clima politico, quello degli anni immediatamente successivi
allunificazione, definisce senza equivoci il ruolo vicario assegnato alla letteratura dialettale sia nel presente che nel passato. In coerenza con tale posizione,
Imbriani non a caso sottolinea, fra le novit adottate nel suo sistema di trascrizione, luso dellapostrofo con valore diacritico e, soprattutto, come indicatore
dello statuto subalterno del dialetto nei confronti dellitaliano. La motivazione, gi addotta nellavvertenza al primo volume dei Canti popolari meridionali, ribadita senza titubanze nella prefazione ai XII Conti pomiglianesi del 1876:
Considerando quindi ogni vocabolo vernacolo come alterazione della voce etimologicamente corrispondente nello Italiano aulico, indico con un apostrofo
ogni aferesi ed ogni apocope, ancorch il vocabolo nel dialetto esista solo in
quella forma apocopata od aferizzata. Mi sembra, che, in tal modo, ne sia facilitata lintelligenza al lettore e si ottenga di distinguere parole, che suonano
pressa poco identicamente, sebbene diversissime di significato, esempligrazia
no (uno, articolo indeterminato) no (no) e no (non); sse (queste) e sse (s);
st (questa) e st (stare) eccetera.

Il sistema grafico di Imbriani pensato per un dialetto e non per una lingua: quindi si propone anche di evidenziare la distanza fra dialetto e lingua,
allo scopo (niente affatto scontato)4 di renderlo pi trasparente al lettore avvez3. Luca SERIANNI, La lingua di Vittorio Imbriani, in R. FRANZESE e E. GIAMMATTEI (a cura
di), Studi su Vittorio Imbriani, cit., p. 40.
4. Cos contestava le ragioni di Imbriani il giovane demologo irpino Giulio Capone, editore
di XL Canti popolari inediti di Montella (Napoli: Giannini, 1881): Luso degli apostrofi
poggia tutto su un principio etimologico molto discutibile. Glottologicamente parlando,
non giusto far rimontare la forma vernacola alla forma aulica, perch questa non pree-

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zo allitaliano. Di qui nasce lassunzione di un consistente apparato di apostrofi e di accenti. In questo, come su altri aspetti, lo segue il suo discepolo
Gaetano Amalfi, il quale, anzi, ne accentua maggiormente luso.5
Una delle prime risposte polemiche alla proposta di Imbriani contenuta
nel Vocabolario di Raffaele DAmbra.6 Nella prefazione, dopo aver asserito che
la lingua del popolo napolitano, che il vocabolario si propone di contribuire a standardizzare, poco varia dalla lingua del popolo toscano, salvo alcuni
pochi accidenti regionali che si voglion dire etnici (il che vale a dire implicitamente che essa pu vantare unanaloga dignit di lingua), DAmbra esprime il suo netto dissenso nei confronti di coloro che per lesagerazione di
significar graficamente il suono nonch per una certa frenesia di render singolare il dialetto, sono stati spinti a raddoppiar consonanti, a scambiarle tra
loro, a moltiplicare le forme dellaferesi, dellapocope, della paragoge, a costrignere e contorcere parole comuni e forestiere, allontanandosi dalla sincera e
genuina scrittura de lor progenitori. Linsofferenza mostrata davanti alla riforma ortografica di Imbriani e dei suoi seguaci deriva dal fatto che in essa individuata una sorta di degradazione del napoletano, nella misura in cui sancisce
come unica realt linguistica possibile quella del parlato popolare, accogliendo tutti i fenomeni evolutivi pi recenti nella loro multiforme variazione diatopica e diastratica. Non a caso, gli preme ricordare che se si scrivessero anche
le lingue note cos come sode a pronunziare, ne tornerebbero lingue da selvaggi, irte, fere e bestiali. Era questa, dunque, limmagine del napoletano che
la lettura dei canti popolari, trascritti appunto con uno spirito di estremo rispetto filologico verso il parlato e le sue oscillazioni, poteva suscitare.
La risposta di Imbriani non si fa attendere molto. Nei XII Conti pomiglianesi del 1876, glossa la distinzione che DAmbra aveva fatto a proposito delle
due varianti dellarticolo (La, in luogo dellarticolo la, si tollera nel dialetto
parlato; ma un errore nella scrittura, dove si ha a segnare tutto intero) con
una squalifica dellargomentazione di fondo che non lascia alcuno spiraglio a
repliche:
Ci avevamo la lingua scritta e la parlata: ora, il DAmbra ci vuol regalare anche
il dialetto scritto ed il parlato, tanto per aumentar la confusione. Questo diasistente, ma coesistente, anzi in molti casi posteriore. Lintelligenza della parola vernacola non
gran che facilitata dallapostrofo; e lo stesso fine si raggiunge con note, lessici, traduzioni
ecc. Quanto alla pronunzia, chiaro che lapostrofo non lagevola, non fa anzi che imbrogliarla. Si aggiunga inoltre, che luso di quel benedetto apostrofo spesso incerto, dipendendo dal criterio etimologico dello scrittore (Lortografia del dialetto napoletano,
Giambattista Basile, II, n. 5, 15 maggio 1884, p. 1).
5. La sua proposta (riassunta in G. AMALFI, Lortografia del dialetto napoletano, Giambattista Basile, II, n. 1, 15 gennaio 1884, p. 3-5), oltre ad affrontare i problemi relativi a raddoppiamenti consonantici iniziali, aferesi e apocopi, gi ristrutturati da Imbriani, avanza
anche unipotesi di trascrizione della vocale neutra finale consistente in una e con un puntino sopra.
6. Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, Napoli: ed. a spese dellautore,
1873 (rist. anastatica Bologna: Forni, 1969).

Il dialetto napoletano si deve scrivere come si parla?

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letto scritto, diverso dal parlato, non altro sarebbe se non un gergo convenzionale: e tale pur troppo; giacch piace al pi gli scrittori vernacoli di storpiar del pari la lingua aulica e lo idioma domestico.

Prima di cogliere le implicazioni di queste affermazioni, giova precisare


che, nel corso di tutta la polemica che si snoder durante lultimo quarto di
secolo, si intrecciano due risvolti fondamentali, attorno ai quali poi sono raggruppabili una serie di disquisizioni su aspetti concreti: da un lato si dibatte
sullopportunit e sulla maniera di riformare il sistema ortografico seguendo
criteri pi o meno foneticisti; dallaltro, ci che si mette in discussione la
legittimit dellesistenza e della ricerca di uno standard. In tal senso, il caso
cos controverso dellarticolo riunisce emblematicamente le due facce del problema: un conto , infatti, la disputa fra quelli che ritengono conveniente luso
dellapostrofo (o, a) di fronte a quelli che preferirebbero prescinderne (o, a),
un altro conto, invece, lacuta e sostanziale divergenza fra i fautori della forma
tradizionale (lo, la) e quelli della forma affermatasi nel parlato contemporaneo, ridotta allunico fonema vocalico. Consapevole delle diverse implicazioni di queste posizioni, uno dei protagonisti, Giulio Capone, schieratosi fra le
file dei riformatori bench critico nei confronti di Imbriani, deline con molta
approssimazione la dinamica del dibattito in uno scritto che rimase inedito e
che stato recentemente riportato alla luce:
Prima di tutto, bisogna dividere in due classi ben distinte coloro che hanno
trattato dellOrtografia napoletana: da una parte stanno i tradizionalisti i quali
non si vogliono allontanare dagli scrittori classici napoletani, e pei quali esiste un dialetto scritto e un dialetto parlato; dallaltra parte ci sono i novatori,
i quali stabiliscono il principio che il dialetto si deve scrivere come si parla. I
tradizionalisti son tutti daccordo, i novatori invece vanno suddivisi in pi
scuole, secondo che accettano o rifiutano alcuni criteri ortografici.7

Se effettivamente il conflitto pi profondo consisteva nel definire il rapporto fra scritto e parlato, dalle dichiarazioni finora riportate appare gi con
evidenza che tale rapporto non si pone solo in termini diacronici di scelta fra
un modello arcaizzante e un modello aderente al linguaggio vivo e attuale, ma
coinvolge anche altri livelli di variazione. In pratica, la contrapposizione fra
tradizionalisti e novatori il risultato di una distanza ideologica che comporta anche una diversa concezione del dialetto e della sua funzione storica e sociale. Tornando alla chiosa di Imbriani a DAmbra citata pi sopra, possiamo
dire che essa deriva da una visione del dialetto diastraticamente monolitica: al
dialetto negata qualsiasi escursione di registro verso lalto, non solo nella sua
7. G. CAPONE, Scritti inediti sui dialetti napoletano e irpino, introduzione di Antonio Brescia,
Avellino: Edizioni La Ginestra, 1997, p. 31. Si tratta della versione integra dellarticolo
pubblicato sul Giambattista Basile nel 1884 che ho citato in una nota precedente. La parte
rimasta inedita si sofferma a controbattere le posizioni di coloro che difendevano il modello linguistico della tradizione scritta.

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prospettiva presente e futura, quanto addirittura nella sua realt storica. La


lingua usata nella letteratura dialettale (e si badi che ci si riferisce a una tradizione letteraria imponente, che nel Seicento era stata capace di articolarsi nei
tre generi della poesia, della prosa e del teatro) non riconducibile a un unico
sistema linguistico che comprenda la variet parlata. Quella lingua, il dialetto scritto da Basile e da Cortese , alla stregua di un linguaggio maccaronico,
una contaminazione fra dialetto e italiano, e pertanto una corruzione di entrambi. Lidea ripresa ripetutamente in diversi interventi pubblicati sulla principale piattaforma dei demologi, il Giambattista Basile, rivista dedicata agli studi
sulla letteratura popolare e diretta da Luigi Molinaro del Chiaro. Giulio Capone vi scriveva: con quale dritto si pu parlare di un dialetto scritto e polito
contrapposto a un dialetto parlato e rude, mentre a Napoli non esiste che
un dialetto solo, parlato dal popolo e alterato dagli scrittori?,8 mentre Gaetano Amalfi sottolinea il carattere eccentrico della letteratura dialettale barocca degli scrittori napoletani, nata da un peculiare loro ghiribizzo, e lamenta
che, poich si trovavano in una posizione psicologicamente ingiustificabile ed
essendo impossibil ripetere lingenuit del popolo, preferirono, a torto, trasformare il dialetto, sicch ne usc un sermone mescidato.9 Ancora, quando Vincenzo Arabia, Raffaele Della Campa e Guglielmo Mry si accingono a
ricostruire a caldo le diverse posizioni e proposte in una serie di articoli pubblicati nel 1887 sulla medesima rivista e poi raccolti nel volume Lortografia
del dialetto napolitano, si adoperano fra laltro per censire stranierismi, italianismi
e neologismi presenti nei classici napoletani allo scopo di dimostrare che non
usarono il vero e solo vernacolo napolitano10 poich non scrissero la parlata della plebe di Napoli,11 per la qual cosa non possono formar testo n autorit in fatto di purezza e di ortografia.12 Va anche detto che la fallace
contrapposizione fra un dialetto vero e unico e un dialetto falso, alterato e corrotto che vediamo emergere da queste polemiche linguistiche a proposito del
dialetto scritto fin per estendersi significativamente nellambito della critica
letteraria. Essa serv per classificare, in modo riduttivo e fuorviante, due diversi usi stilistici nei maggiori scrittori contemporanei, Ferdinando Russo e Salvatore
Di Giacomo, i quali si rivolgevano al dialetto partendo da due poetiche differenziate e da due diversi atteggiamenti nei confronti della realt. Tale semplificazione ricaduta negativamente soprattutto su Di Giacomo, la cui ricerca
stilistica lo spingeva al di l dellorizzonte mimetico del realismo bozzettistico
conquistando territori inediti per la poesia in dialetto. In un saggio recente
Nicola De Blasi, correggendo questi pregiudizi prevalsi a lungo nella storia
della critica, ha chiarito i termini dellequivoco:
8. Ibid., p. 26.
9. G. AMALFI, Come va scritto il vernacolo partenopeo?, Giambattista Basile, V, n. 6, 15
giugno 1887, p. 41-45, citazioni p. 41-42.
10. V. ARABIA, R. DELLA CAMPA e G. MRY, Lortografia del dialetto napolitano. Appunti, osservazioni e proposte, Napoli: Pierro, 1887, p. 89.
11. Ibid., p. 45.
12. Ibid., p. 44.

Il dialetto napoletano si deve scrivere come si parla?

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La lingua digiacomiana nel confronto con quella di Russo ha rischiato di essere


fraintesa, in quanto non immediatamente riconducibile alluso popolare informale. Ma dal momento che nel dialetto, come nella lingua , convivono
variet e registri diversi, la differenza tra due modi di scrivere non si deve ridurre allopposizione dialetto vero/ dialetto falso, quasi che il dialetto vero
fosse uno solo, ma deve essere valutata in un altro modo. Di fatto il distacco dal
mimetismo comporta in Di Giacomo ladozione di uno stile poetico; egli, cio,
per ricorrere a una tautologia chiarificatrice, scrivendo testi poetici in napoletano usa un napoletano letterario, che non n falso, n italianizzato.13

La necessit di ribadire unidea come questultima, che dovrebbe essere ovvia,


si spiega in fondo perch essa assunta come naturale solo per la letteratura in
lingua, mentre per la letteratura in dialetto pesa fortemente nel corso del Novecento, specie fino a met secolo, la tendenza a rilegarla automaticamente in
ambiti non concorrenziali, come luniverso del comico e il realismo bozzettistico o documentale. Erano questi, in sintesi, gli usi letterari scritti che i riformatori degli anni postunitari erano disposti ad assumere e a riservare per il dialetto.
Tornando alle diverse fasi del dibattito linguistico, va detto che il polo
intorno a cui si articola lopposizione alla riforma costituito dallAccademia
dei Filopatridi. Alcuni anni prima degli articoli finora citati di Amalfi e di
Capone, apparsi nel 1884 sul Giambattista Basile, essa intervenne ad accendere la disputa con un libriccino, Il dialetto napolitano si deve scrivere come si
parla?, dove si stampava, insieme alla delibera delladunanza degli accademici
del 30 giugno 1878 dedicata a tale questione, i discorsi letti in quella sede dal
presidente, Emmanuele Rocco, e da Giacomo Bugni, e uno scritto di Ferdinando Taglioni inerente le implicazioni che la riforma comportava nel linguaggio musicale. Un primo elemento che occorre tener presente che
lAccademia appare estranea e riluttante nei confronti degli studi storici positivisti e delle poetiche veriste e naturaliste che avevano trasformato la vita e la
cultura popolare in oggetto di studio e in materia letteraria. In rapporto a tale
atteggiamento, essa esprime, sul piano pi strettamente linguistico, la tradizionale reazione del classicismo di fronte alle rivendicazioni delluso parlato
della gente incolta, applicando al napoletano principi e dinamiche linguistiche che erano serviti per combattere un determinato modello ditaliano. Nel
discorso letto da Emanuele Rocco si riscontrano, per esempio, espliciti richiami alle polemiche antifiorentiniste:
Lo stesso sta succedendo pel nostro dialetto, ed alcuni gi ci sono che vanno gridando doversi scrivere come si parla, e non doverci essere differenza alcuna fra
dialetto parlato e dialetto scritto, ed i nostri maestri in ci dover essere i trecconi e i barulli del Mercato, linfima plebe del Mandracchio e del Lavinaro.14
13. N. DE BLASI, Le letterature dialettali. Salvatore Di Giacomo, in Enrico MALATO (dir.),
Storia della letteratura italiana, Roma: Salerno, VIII, 1999, p. 850-851.
14. Il dialetto napolitano si deve scrivere come si parla? Discorsi due di Emmanuele Rocco e di Giacomo Bugni con una lettera del cav. Ferdinando Taglioni concernente la questione per la con-

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superfluo osservare che era ben lungi da Imbriani, peraltro dideologia


tuttaltro che progressista, rinvenire nei parlanti dialettofoni alcun tipo di
modello imitabile. Occorre anche dire, per, che in questo passo si svolge
una polemica immediata contro Mandracchio vennecato, un volumetto di
versi e prose preceduti da una prefazione dal tono provocatorio, in cui lautore,
il sacerdote Gennaro Santaniello, aveva scelto (persino nel testo introduttivo) il registro pi basso e popolare.15 Come riportano Arabia, Della Campa
e Mry, lirriverenza del tono e del linguaggio suscitarono una santa indignazione16 fra gli accademici, che si arroccarono in difesa dei valori della
tradizione. Ma il discorso di Rocco e la delibera dellAccademia sulla controversia rispondono non solo al Mandracchio, interpretato come unulteriore manifestazione di una pratica che si andava consolidando, ma anche a
Imbriani, che finiva per essere accoppiato a Santaniello come se si trattasse
di un fronte omogeneo. LAccademia, costituitasi sul modello cruscante allo
scopo di studiare ed illustrare gli scrittori del nostro dialetto, stabilire le regole dellortografia e rendere morale il teatro,17 davanti alle proposte di riforma ortografica di chi considerava come unica realt dialettale il parlato
rigorosamente contemporaneo, nella sua magmatica frammentazione geografica, decide di liquidare il problema sostenendo che il modello dialettale
scritto pu essere concepito solo in un rapporto di continuit con la tradizione letteraria e di indipendenza dal parlato: quantunque la plebe, parlando aferizzi gli articoli e le preposizioni, nello scrivere si debba seguir lesempio
degli autori che ci precedettero.18
Va osservato che in ambedue gli schieramenti si avverte in modo pi o
meno esplicito leco di certe affermazioni del trattatello di Galiani Del dialetto napoletano (1779),19 il precedente teorico di maggior spessore che aveva,
fra le altre cose, affrontato anche gli aspetti ortografici. Sul versante dei tradizionalisti, per esempio, DAmbra, come si osserva nellintroduzione al

15.

16.

17.
18.
19.

venienza musicale, Napoli: Livigni, 1879, p. 11. Il discorso di Rocco (Dialetto scritto e dialetto parlato) riprodotto alle p. 11-14, quello di Giacomo Bugni (Osservazioni sul discorso del prof. Emmanuele Rocco) alle p. 15-27.
Mandracchio vennecato, lbretiello sfruculijatore e ncucciuso che ncnzia, pitta e ghiangha
comme ricpita scritto ca vera lengu Napole e prubbecato gne qunnece juorne ra G. Santaniello, Napoli: Stamparija lla ccarmia riale r scinzie, ucchijata ra Michele de Rubertis,
1877.
V. ARABIA, R. DELLA CAMPA e G. MRY, op. cit., p. 29. Va precisato che Guglielmo Mry,
prima di assumere una posizione critica nei confronti dellAccademia dei Filopatridi, ne
era stato segretario, ed aveva firmato pertanto, accanto a Emmanuele Rocco, la delibera
pubblicata nel libriccino del 1879.
Il dialetto napolitano si deve scrivere come si parla?, cit., p. 7.
Ibid., p. 8-9.
Sulla proposta linguistica di Galiani che auspica un uso scritto colto del dialetto simile a
quello che il patriotico zelo de Veneziani sul loro niente pi armonioso dialetto riuscito di fare, e sul suo significato storico di recupero di prestigio linguistico nel quadro di
una rinascita culturale del regno, si rinvia alla prefazione di Enrico Malato alla sua edizione del saggio galianeo (F. GALIANI, Del dialetto napoletano, Roma: Bulzoni, 1970, p. IXXXIII).

Il dialetto napoletano si deve scrivere come si parla?

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suo vocabolario sopra citata, ne recupera la tesi centrale secondo la quale


esiste un volgare illustre napoletano, distinto dal sermo plebeius, che poco
si discosta dalla lingua italiana colta; analogamente, Rocco sostiene che la raffinatezza che distingue lo scritto dal parlato fu dai classici scrittori del
nostro dialetto fatta consistere giustamente nel profferire quegli articoli e
quelle preposizioni nel modo che pi si avvicina alla lingua comune, non
cessando di essere proprio al dialetto,20 mentre Achille Torelli raccomanda di scegliere, fra le varie forme di una parola dialettale, quella che pi si
approssima alla lingua, rassicurando, comunque, che [n]on si tratta di
uscire dalla parlata popolare, ma di restarci.21 Daltro canto, sono proprio
i riformatori ad appellarsi in modo pi esplicito allautorit di Galiani: la
dura condanna che questi aveva espresso nei confronti dei classici secenteschi (includendovi gli usi grafici) perch avrebbero tradito quella tradizione colta e seria del dialetto, rivive, indipendentemente dalle motivazioni
addotte dallabate, in Imbriani e nei suoi discepoli. Naturalmente, il quadro
profondamente mutato e il discorso degli uni e degli altri, influenzato
piuttosto dalle coordinate del lungo dibattito ottocentesco sulla norma linguistica dellitaliano, appare decisamente lontano da come Galiani laveva
impostato nel suo saggio.
Le argomentazioni degli accademici, come ho accennato, sono ricalcate su
quelle che aveva esibito una lunga tradizione classicistica, di cui si ribadiscono
innanzitutto il principio della ineluttabile differenza fra scritto e parlato (Niuno
potr negare che ogni linguaggio scritto si differisce in alcuna cosa dal medesimo linguaggio parlato),22 carattere riconoscibile anche nel napoletano e in
tutti gli altri dialetti che si parlano e si scrivono nella nostra carissima penisola;23 e il principio dellindiscussa autorit delluso scritto, del primato dellArte sulla Natura (gli scrittori classici sollevarono il dialetto dal trivio ai
portici di Chiaia,24 perch la scrittura nobilita la lingua parlata). Dal classicismo
deriva pure una moderata apertura verso i neologismi, purch realizzata nel
rispetto della tradizione: LAccademia accoglier nuovi vocaboli, perch la
scienza fa tuttogiorno nuove scoperte. Dabiturque licentia sumpta pudenter.
Come nella lingua, cos nel dialetto.25
Tuttavia, a differenza dei classicisti del primo Ottocento, e a prova che il
romanticismo non passato invano, il dialetto non affatto considerato un
parlare da ignoranti o da oche. Al contrario, il dialetto rivalutato nella sua
facolt di veicolare contenuti culturali seri e razionali e non puri istinti o sentimenti primari:
20. Il dialetto napolitano si deve scrivere come si parla?, cit., p. 13.
21. A. TORELLI, La quistione dellOrtografia, Piedigrotta, 1888 (numero unico), cit. in V. ARABIA, R. DELLA CAMPA e G. MRY, op. cit.
22. Il dialetto napolitano si deve scrivere come si parla?, cit., p. 13.
23. Ibid., p. 8.
24. Ibid., p. 24.
25. Ibid., p. 23-24.

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Tanto una lingua quanto un dialetto sono lespressione fonetica di un pensiero. [] Un dialetto diventa una lingua nella lingua; mi si conceda questespressione, quando sattiene alluso, quando ha specchiati esempi, e quando
ragionevolmente sa comportarsi. Avendo in non cale luso, non consultando i
buoni autori, ed operando a capriccio la lingua diventa gergo, ed il dialetto
un geroglifico.26

La considerazione del dialetto che emerge da tali affermazioni colloca il


discorso su un piano antitetico a quello di Imbriani. Se questi ricacciava nella
subalternit del comico la letteratura dialettale, gli accademici rivendicano lorgoglio di una tradizione letteraria dialettale alta, degna di figurare senza complessi accanto a quella in lingua, ed avvertono il rischio che comporta la
deliberata rottura nei confronti delleredit linguistica che essa fornisce:
Ora il dialetto napolitano ha comecchessia la sua Grammatica e parecchi vocabolari: in quella e in questi si trovano consacrate regole ed esempi da quali
non lecito discostarsi, a meno che non si volesse avere per iscopo la totale
demolizione della letteratura vernacola.27
Quando una lingua o un dialetto ha una ricca collezione di classici prosatori
e poeti, ci forma un patrimonio intangibile. E guai a chi lo tocca! Noi dobbiamo e vogliamo attenerci allesempio di que nostri rispettabili maestri.28

A prescindere dalle ragioni di natura pi strettamente linguistica (etimologiche e grammaticali) addotte dai due schieramenti in suffragio delluna o laltra tesi, ragioni che vanno interpretate comunque nel quadro delle conoscenze
storico-linguistiche dellepoca, importa qui ribadire che la divergenza di fondo,
difficile da conciliare, riguardava questa diversa considerazione del dialetto. Il
nuovo accendersi della questione nel 1887, grazie a uninchiesta del giornale
San Carlino29 e alla pubblicazione del volume gi citato di Arabia, Della Campa
e Mry, mette definitivamente a nudo questa netta divaricazione. Fra i motivi
pi interessanti della discussione emerge il riconoscimento, da parte dei fautori del modello classico, della presenza di variet dialettali napoletane diastratiche e diatopiche come lopposizione fra il parlato rozzo e il parlato civile,30
o la distinzione della pronuncia cittadina da quella dei comuni di provincia.31
Ibid., p. 23.
Ibid., p. 16.
Ibid., p. 24.
Sotto la rubrica La quistione del nostro dialetto furono pubblicati diversi interventi da gennaio fino a luglio del 1887, fra cui una polemica tra Emanuele Rocco e Michelangelo Tancredi. Questultimo fu autore di un Saggio grammaticale sulla pronunzia e sullOrtografia del
dialetto napolitano, Napoli: Pierro, 1902.
30. Vi accenna Raffaele Capozzoli in un articolo sul San Carlino, IV, n. 19, cit. in V. ARABIA,
R. DELLA CAMPA e G. MRY, op. cit., p. 68-69. Capozzoli pubblic una Grammatica del
dialetto napoletano (Napoli: Chiurazzi, 1889), basata sulla lingua degli scrittori classici.
31. Cfr. Osservazioni del prof. Emanuele Rocco sul libro intitolato Lortografia del dialetto napoletano, 1888.
26.
27.
28.
29.

Il dialetto napoletano si deve scrivere come si parla?

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I riformatori, dal canto loro, negano la prima, considerando il dialetto italianizzato delle persone colte un bastardume ridicolissimo32 mentre, pur prendendo atto della seconda, non attribuiscono alcun primato alle forme meno
evolute delle variet rustiche. In realt, lo sviluppo del dibattito distorto dalla
profonda diversit degli scopi. In risposta agli articoli apparsi sul San Carlino,
Gaetano Amalfi, squalificando gli avversari per aver impostato male la questione, centra a pieno il motivo reale e sostanziale della discordia. Per i riformatori non pu esistere analogia fra questione della lingua e questione del
dialetto perch un dialetto tuttaltro. Perfezionato, diventa lingua, come un
popolo incivilito nello stretto senso non pi del popolo.33 Sulla base
di questa premessa teorica, espressione di un giudizio inequivoco sul ruolo
assegnato al dialetto, si intende che negli obiettivi della riforma ortografica
propugnata non rientra affatto la ricerca di uno standard linguistico che faccia
da contrappunto alla realt frammentaria del parlato dialettale: lunico scopo
perseguito la definizione di un sistema di trascrizione adeguato a registrare,
nella sua proteiforme realt linguistica, la letteratura orale che ancora sopravvive. pi che esplicito Giulio Capone quando ritiene un grave errore giudicare
un dialetto e la sua grafia con criteri ricavati dalle lingue, perch i rapporti che
passano tra una lingua e la sua ortografia e un dialetto e la sua trascrizione
sono differentissimi.34 Se essi non avvertivano lesigenza di uno standard era
perch, secondo la loro percezione, lo scrivere in dialetto [] oggi, un puro
esercizio dilettantesco; ed un vano sogno laspirare ad una futura letteratura
dialettale e lo scribacchiare in vernacolo ha uno scopo, molto, molto secondario.35 Simili affermazioni possono sembrare oggi sorprendenti se si pensa
che ladozione del dialetto nella letteratura postunitaria di tutta lItalia, e di
Napoli non meno che di altri centri, diventa, come scrive De Blasi, fenomeno pi vistoso di quanto non fosse stato in precedenza, quasi che giungesse
una generale legittimazione per un esercizio prima praticato da pochi e solo
in circostanze particolari.36 Ma non stupiscono se le interpretiamo non tanto
come una constatazione di fatto quanto come una dichiarazione dintenzioni. In realt, Emmanuele Rocco aveva capito che dietro le ragioni linguistiche
della riforma di Imbriani si manifestava un atteggiamento di chiusura nei confronti della letteratura dialettale: si sottovalutava il patrimonio del passato e si
guardava con diffidenza e disinteresse ai suoi possibili sviluppi presenti e futuri. In un articolo pubblicato sul San Carlino cos conclude lintervento:
Per chiarire alcune cose dette mi resta a dire che di queste novit fu caposcuola
Vittorio Imbriani, forte ingegno, che sapea molte cose ma che spesso cadeva
nello strano e nel paradosso. Egli nelle sue pubblicazioni, raccogliendo canti
32. V. ARABIA, R. DELLA CAMPA e G. MRY, op. cit., p. 69.
33. G. AMALFI, Come va scritto il vernacolo partenopeo?, Giambattista Basile, V, n. 6, 15
giugno 1887, p. 41.
34. G. CAPONE, Scritti inediti sui dialetti napoletano e irpino, cit., p. 25.
35. Ibid., p. 42.
36. N. DE BLASI, op. cit., p. 833.

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Gabriella Gavagnin

popolari, racconti e leggende, volle mettere in voga il dialetto parlato anzich


lo scritto, rinnegando in tal modo tutta la nostra letteratura dialettale. 37

Comunque sia, di fronte alla contundenza degli interventi dei demologi, il


discorso di quelli che difendono a spada tratta la lingua della tradizione letteraria dialettale si rivela sul piano teorico pi debole e confuso. Gli accademici, pur riuscendo a controbattere pericolose generalizzazioni con intuizioni
pregevoli, rifiutando per esempio lappiattimento del dialetto sullunico registro del parlato popolare, bastiscono le loro teorie su vecchi clich e non si
sforzano per aggiornare metodi e linguaggio. Naturalmente, anche il fronte
dei riformatori presenta significative contraddizioni e ambiguit, perch raccoglie
adesioni da coloro che, a differenza di Imbriani e Amalfi, non escludono n
biasimano nuove attivit creative, anzi mostrano un marcato interesse per la
letteratura dialettale colta contemporanea. Ci li porta ad auspicare interventi normativi, non immediatamente conciliabili con il principio di obiettivit e
di non interferenza che spinge i demologi nelle loro proposte di trascrizione
linguistica. Per esempio, Arabia, Della Campa e Mry, nella serie di articoli
raccolti nel volume gi citato, dopo aver passato in rassegna le diverse convenzioni grafiche usate in passato e in presente, si soffermano sui modernissimi, cio su autori come Russo e Di Giacomo, rilevando ambiguit e
incoerenze nelle scelte adottate nei loro scritti letterari e sostenendo, di conseguenza, la necessit di porvi rimedio. E c addirittura chi auspica la compilazione di una grammatica del dialetto napoletano parlato sulla base di un
testo scritto in napoletano che dovrebbe essere redatto previamente e che
dovrebbe trattare, in prosa e nel linguaggio corrente, argomenti accessibili
alle menti volgari, ritraendo con verit la vita reale del popolo.38 Questa
sorta di testo di lingua confezionato ad hoc dovrebbe servire peraltro anche a
colmare il gran vuoto che si avverte nella moderna letteratura del nostro dialetto, vale a dire lassenza di una prosa moderna in napoletano. Per quanto
eccentrico, questappello, lanciato da un redattore del Giambattista Basile,
Ernesto Palumbo, sintomo di un modo dimpostare il problema in cui, invece di dare per inesorabile il pi o meno rapido assorbimento del dialetto nella
lingua, ci si preoccupa di consolidare gli strumenti per una ripresa quantitativa e qualitativa della letteratura dialettale. Latteggiamento di Palumbo si
muove in direzione contraria a quella di Amalfi che, nella recensione al Vocabolario napoletano-italiano di Raffaele Andreoli (1888), avvertiva che bisognava cercare di abbassare il predominio dei dialetti o lingue particolari a
favore dellitaliano e si auspicava che de dialetti si facesse un pochino, come
del limone: spremiamo lasprigno generoso e gittiamo via la buccia, bench
questa esclusione sia difficile, finch vi sar volgo, cio sempre. Lasprigno
generoso, cio la parte migliore e vitale doveva passare a poco a poco, nella
37. E. ROCCO, Osservazioni intorno al dialetto napoletano, San Carlino, 2 gennaio 1887.
38. Ernesto PALUMBO, Un desiderio ed una proposta, Giambattista Basile, VII, n. 3, 15 marzo
1889, p. 19-20.

Il dialetto napoletano si deve scrivere come si parla?

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

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lingua comune, rinsanguandola, vivificandola, accrescendole forza e leggiadria.39 Daltronde, ben noto che, nel corso della lunga questione della lingua, i dialetti avevano subito attacchi da molteplici fronti, fino ad essere additati
come uno dei maggiori intralci nel processo di unificazione linguistica. In tale
contesto, si comprende che lo sforzo degli accademici fosse rivolto a mettere al
riparo, attraverso la lingua della tradizione scritta, il patrimonio letterario dialettale e la sua memoria storica di fronte al processo di rapida decadenza che sembrava dipanarsi nella realt postunitaria. Nel contestare la riforma di Imbriani,
Giacomo Bugni aveva osservato a questo proposito:
Che se si dovesse avverare il manzoniano vaticino, che la lingua italiana debba
prevalere, unificandosi in tutta la nostra penisola, noi del dialetto conserveremo
almeno lillustre cadavere intatto, e tale da scorgervi quale e quanto era vivente; cos che non pervenga a posteri inesplicabile come le tavole eugubine.40

A questo punto, possiamo tentare di formulare alcune conclusioni riguardo sia alla portata e alle ragioni di questi fermenti teorici intorno al napoletano sia ai fattori che li propiziarono. In primo luogo, abbiamo visto come la
questione dellortografia del napoletano, bench sorta come un problema quasi
esclusivamente tecnico di trascrizione di testi orali, si trasforma in una questione di pi ampio respiro, che sconfina in aspetti sostanziali quali la ricerca
di una norma linguistica e le funzioni assegnate al dialetto. In secondo luogo,
dietro laccanita difesa di unarticolazione del dialetto sui due piani dello scritto e del parlato si scorge la volont di respingere il tentativo di riduzione del dialetto a mero registro basso destinato a scomparire, contrapponendovi una realt
in cui il dialetto mantiene vivacit e forza creativa, aspirando a essere uno strumento di usi colti e scritti in una sorta di bilinguismo letterario italiano-napoletano. In terzo luogo, lintensa attivit grammaticale e lessicografica che,
almeno sul piano quantitativo, non aveva precedenti, testimonia linteresse per
una ricerca finalizzata non solo a facilitare un uso passivo del dialetto o a favorire lapprendimento dellitaliano (come succede con la proliferazione dei dizionari bilingui), ma rivolta anche, attraverso la compilazione di grammatiche
che descrivono i caratteri morfologici e sintattici del napoletano, a fornire gli
strumenti per un uso attivo pi consapevole e disciplinato.
Tra i fattori che condizionano e danno impulso a questo dibattito credo
che ci siano almeno tre elementi importanti di cui occorre tener conto. Innanzitutto, leredit delle lunghe e svariate discussioni ottocentesche sulla questione della lingua che, da un lato, fornivano gli strumenti teorici e, dallaltro,
avevano creato una forte sensibilit nei confronti di problemi quali la codificazione linguistica o il rapporto fra scritto e parlato. In secondo luogo, laffermazione di indirizzi positivisti negli studi eruditi e di poetiche veriste e
39. G. AMALFI, Un altro vocabolario napolitano, Giambattista Basile, VI, n. 8, 15 agosto 1888,
p. 59.
40. Il dialetto napolitano si deve scrivere come si parla?, cit., p. 26.

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Gabriella Gavagnin

naturaliste, che aveva indotto scrittori e intellettuali a fare i conti con la realt
dialettale dei ceti popolari. Infine, le nuove prospettive sociolinguistiche, che
delineavano, a breve o a lungo termine, una diffusione capillare dellitaliano
in tutti i domini destinata ad alterare i tradizionali equilibri esistenti fra lingua e dialetto. Sembra quanto mai verosimile, dunque, che davanti alle spinte verso litalianizzazione del nuovo stato unitario e davanti a una politica
linguistica che scelse ben presto la via del monolinguismo manzoniano di contro alle indicazioni ascoliane che consigliavano una maggiore disponibilit nei
confronti dei dialetti, si manifesti, per contraccolpo, un interesse rinnovato
per la letteratura dialettale. Tale interesse contiene chiari elementi di rivendicazione, nella misura in cui risponde a un tentativo di preservare gli usi letterari alti del napoletano da una liquidazione affrettata: nella difesa della dignit
linguistica del dialetto si esprime in ultima istanza la difesa della dignit della
propria cultura.

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105-121

La codificaci del gallec o el pndol que no satura1


Oscar Diaz Fouces
Universitat de Vigo

Resum
Lautor presenta alguns dels elements ms significatius de la polmica per la codificaci
ortogrfica de la llengua gallegoportuguesa a Galcia, com tamb alguns instruments terics per analitzar aquesta mena de processos, especialment quan afecten les minories exoglssiques.
Paraules clau: planificaci lingstica, codificaci ortogrfica, gallec.
Abstract
The author sets out some of the most significant elements within the controversy of the
orthographical codification of the Galician-Portuguese language in Galicia, as well as certain theoretical instruments used in analysing these types of processes, particularly when they
affect exoglossic minorities.
Key words: linguistic planning, orthographic codification, Galician.

1. Presentaci
Al llarg dels ltims trenta anys, el debat sobre la codificaci del gallec ha estat,
sens dubte, un tema de reflexi extraordinriament frtil. Segurament, no s gaire
agosarat afirmar que la hipertrfia en linters per qualsevol tpic sociolingstic s smptoma habitual dalguna mena de desajustament que hi t a veure.
El carcter aplicat que s consubstancial a la disciplina de la planificaci lingstica significa, precisament, una renncia als apriorismes i una preferncia
per la recerca de solucions argumentades als problemes de caire prctic. De
manera que la concentraci de treballs acadmics al voltant dun tema determinat tot sovint s un bon indicador de la seva magnitud real i, tamb, del fet
1. Agram al doctor Jos Enrique Gargallo Gil la seva lectura daquest treball i els seus comentaris, sempre tils i encertats.

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Oscar Diaz Fouces

que encara no hagi rebut una resposta prou convincent o prou consensuada. El
cas que ens ocupa ns, precisament, un exemple magnfic.
Per tal destalviar als lectors els detalls ms prolixos de la histria del debat
sobre la codificaci del gallec, ens limitarem a reproduir alguns dels trets ms
significatius de les principals propostes normatives, den de 1973 fins a lestiu de 2003, en qu la Reial Acadmia Gallega ha aprovat, per majoria, una
nova proposta de modificaci de les seves normes ortogrfiques i morfolgiques. Per a la nostra exposici hem triat, precisament, alguns elements que hi
han estat revisats. A continuaci, presentarem les lnies bsiques daquesta nova
normativa i clourem el nostre treball desenvolupant alguns conceptes que considerem que valdria la pena tenir en compte en el moment de valorar-les totes.
Per a aix, hem seguit el llistat de criteris de codificaci proposat per X. Lamuela,2 amb algun mats que nosaltres suggerim a partir de lanlisi daquest cas
especfic.
2. Cinc cntims dhistria
Per resumir, doncs, direm que les diferents propostes normatives que han anat
apareixent a Galcia al llarg dels ltims anys poden classificar-se dacord amb
llur situaci de proximitat o dallunyament, pel que fa a dos pols datracci
oposats. En primer lloc, les propostes allacionistes parteixen de lopini que
la distncia lingstica entre el gallec i la resta de varietats histriques amb les
quals est relacionat s tan gran que, en realitat, seria legtim considerar-les
llenges diferents. En conseqncia, adopten models de codificaci i delaboraci lingstica que incideixen en lautonomia del gallec envers les varietats
conegudes internacionalment com a llengua portuguesa, sense rebutjar, per,
la influncia de la llengua espanyola, entesa com un factor inevitable, en levoluci recent del gallec. Els seus defensors sestimen ms danomenar autonomista aquesta filosofia, que troba el referent fonamental en les Normas
ortogrficas e morfolxicas do idioma galego, elaborades conjuntament el 1982 per
la Reial Acadmia Gallega (RAG) i un organisme interuniversitari, lInstitut
de la Llengua Gallega (ILG). Com que van ser oficialitzades per decret del parlament autonmic gallec (173/1982, de normativitzaci de la llengua gallega), podem dir que tenim el suport i patrocini institucional.
Tanmateix, existeix a Galcia un sector de lingistes, professors, escriptors
i collectius cvics per als quals lactual distncia entre les varietats gallegues i portugueses del primitiu roman gallegoportugus obeeix, en all ms substancial, a la intromissi de la llengua espanyola. En conseqncia, afirmen els
anomenats reintegracionistes, la feina que correspon a una activitat de planificaci lingstica efica s depurar la llengua dinterferncies espries i mantenir com a referent per a la codificaci i lelaboraci la resta de varietats que
han pogut evolucionar lliurement. El referent teric ms elaborat daquesta
2. Cfr. X. LAMUELA, Criteris de codificaci i de compleci lingstica, Els Marges, nm. 53,
1995, p. 15-30.

La codificaci del gallec o el pndol que no satura

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proposta sn lEstudo crtico (1983) i el Pronturio ortogrfico (1985) de lAssociaci Gallega de la Llengua (AGAL).3
En una situaci de relativa equidistncia entre totes dues postures se situa
una mena de tercera via, coneguda popularment com els mnims, que representa, efectivament, uns mnims reintegracionistes aplicats sobre la proposta
institucional.4 Encara que no disposi duna argumentaci terica gaire elaborada, aquesta proposta ha arribat a gaudir dun cert predicament, en haver
estat patrocinada per importants sectors del nacionalisme gallec, histricament compromesos amb la promoci de la llengua, que tenen com a referents principals el Bloc Nacionalista Gallec (BNG) i la Confederaci Intersindical
Gallega (CIG).
Al llarg daquests ltims trenta anys han anat apareixent tot un munt de
propostes que matisaven alguna de les anteriors, forant-la o reconduint-la. Per
exemple, hi ha en aquest moment a Galcia algun collectiu que defensa ladopci pura i simple de les convencions ortogrfiques, morfosintctiques, lexicals i estilstiques del portugus europeu; daltres que segueixen les pautes de
lacord ortogrfic que els pasos de llengua oficial portuguesa, amb lassistncia
duna delegaci (extraoficial) dobservadors de Galcia, van signar a Lisboa lany
1990;5 daltres que propugnen ls de la normativa institucional, matisant-la
amb una srie de tries sistemtiques que la forcen al mxim, per sense abandonar-la; daltres que van elaborar uns mnims avanats;6 daltres que proposen que sadopti un patr estricte dortografia fonemtica C. lvarez
Cccamo i M. Herrero Valeiro,7 potser amb un cert punt dexageraci, han
arribat a allar fins a dotze varietats ortogrfiques gallegues, en un continuum
que aniria des de lespanyol estndard fins al portugus de lAcordo de Lisboa
(que no s usual ni de molt a cap pas lusfon). Lexageraci a qu alludim t
a veure amb el fet evident que la presncia social de tots aquests models s fora
diversa. A la prctica, ja s suficient distingir entre grafies allacionistes i reintegracionistes, segons la nostra opini, per lefecte prototpic que els confereix
la seva adscripci a concepcions lingstiques prou ntides i, paradoxalment,
coincidents en certa mesura: la voluntat dautonomia de la llengua sense rebutjar la influncia de lespanyol, en un cas; i la voluntat dautonomia de la llengua
(o, millor, de la varietat de llengua), per en el si dun sistema policntric gallegoportugus, en laltre. Ms endavant tornarem sobre aquestes qestions.
3. Cfr. ASSOCIAOM GALEGA DA LNGUA, COMISSOM LINGSTICA, Estudo crtico das Normas ortogrficas e morfolxicas do idioma galego (ILG-RAG) 1982, la Corunya: AGAL, 1983,
i ASSOCIAOM GALEGA DA LNGUA, COMISSOM LINGSTICA, Pronturio ortogrfico galego,
la Corunya: AGAL, 1985.
4. Cfr. ASOCIAON SCIO-PEDAGGICA GALEGA, Orientans para a escrita do noso idioma,
Santiago: Xistral, 1980.
5. Cfr. Diari Oficial de la Repblica Portuguesa, nm. 193, 23 dagost de 1991, p. 4370.
6. Cfr. ASOCIAOM SCIO-PEDAGGICA GALEGA, Orientans para a escrita do noso idioma,
Ourense: Galiza Editora, 1982.
7. C. LVAREZ CCCAMO i M. J. HERRERO VALEIRO, O continuum da escrita na Galiza: Entre
o espanhol e o portugus, Aglia. Revista Internacional da Associaom Galega da Lngua,
nm. 46, 1996, p. 143-156.

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Oscar Diaz Fouces

Com es pot veure, doncs, es tracta dun panorama certament complicat,


que la recent proposta de modificaci de la normativa RAG-ILG a qu ms
amunt hem fet referncia pretendria clarificar, amb la intenci probable datreure
cap a la posici oficial una bona part dels dissidents. Les reunions que van
menar a la reforma van ser patrocinades per un collectiu vinculat al nacionalisme gallec i els mnims, lAssociaci Sociopedaggica Gallega (AS-PG). Hi
van participar alguns professors de lrea de filologia gallega de les tres universitats del pas i representants de lILG. No hi va ser convidat cap representant del sector reintegracionista.8 Lacord va ser rebutjat en una primera votaci,
el novembre de 2002, per la RAG, una part dels membres de la qual no ha
dubtat mai a titllar-lo de portuguesitzant,9 i va ser aprovat finalment el juliol
denguany, com ms amunt havem avanat. Val a dir que no es tractava de la
primera modificaci substancial de les normes institucionals. Lany 1995 la
RAG va donar el vistiplau en sessi extraordinria a una proposta de modificaci aprovada pel Consell Cientfic de lILG l11 de novembre de 1994, que
recull la dotzena edici de les Normes RAG-ILG10 i que, tot i que introdua
algunes modificacions prou importants, va passar fora ms desapercebuda,
segurament perqu no deixava albirar la possibilitat, que ara s que existeix,
datreure cap a les posicions oficialistes els usuaris dels mnims. Cal advertir
tamb que la proposta codificadora institucional larrodoneix tot un reguitzell
de referents complementaris, com sn una gramtica gallega elaborada per destacats membres de lILG,11 aix com diversos diccionaris de rang paraoficial,
com el Xerais (1994) o directament oficials, com els diccionaris de la llengua gallega (RAG-ILG 1990 i RAG 1997),12 especialment per no solament pel que fa a les tries lexicals.
Segurament, la persona que llegeix trobar que, a hores dara, seria un bon
moment per comprovar en qu es tradueixen a la prctica totes aquestes filosofies de fons que hem anat presentant. Ens nocuparem a lapartat segent,
8. Com que lacord encara no ha estat assumit a dia davui (11-9-2003) pel govern autonmic, noms disposem de les informacions que ens forneixen els mitjans de comunicaci
(v. per exemple ledici de 13.07.03 del diari Galicia Hoxe), aix com alguna font virtual
(trobareu una presentaci de caire institucional, el text que va distribuir el Centre de Documentaci Sociolingstica de Galcia, a la pgina web del Consell de la Cultura Gallega, a
<http://www.consellodacultura.org/arquivos/cdsg/docs/normativa.pdf> [consulta 11.09.
2003]). s molt poc probable que les institucions del govern autonmic rebutgin lacord,
un cop acceptat per la RAG. En tot cas, aquest article ha estat redactat amb la voluntat
dillustrar suficientment els elements fonamentals del debat, fins i tot encara que es produs aquest hipottic rebuig institucional.
9. Cfr., sobre la gnesi de lacord, F. FERNNDEZ REI, A proposta de acordo normativo do
2001. Notas e documentos sobre a questione della lingua galega, A Trabe de Ouro, nm. 48,
2001, p. 529-552.
10. REAL ACADEMIA GALEGA - INSTITUTO DA LINGUA GALEGA, Normas ortogrficas e morfolxicas do idioma galego, Vigo: Real Academia Galega - Instituto da Lingua Galega, 1995.
11. R. LVAREZ, X.L. REGUEIRA i H. MONTEAGUDO, Gramtica Galega, Vigo: Galaxia, 1986.
12. C. GARCA (dir.) Diccionario da Lingua Galega. Real Academia Galega - Instituto da Lingua
Galega. s.l.: Real Academia Galega, 1990 i C. GARCA i M. GONZLEZ (dir.) Diccionario
da Real Academia Galega. Vigo: Real Academia Galega, 1997.

La codificaci del gallec o el pndol que no satura

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sempre amb les limitacions de profunditat que vol un treball daquestes caracterstiques.
3. Les lletres de la discrdia
Encara que ms amunt ens havem referit a la possibilitat de simplificar tot el
ventall de diferents propostes normatives en dues de ms referencials, allacionistes i reintegracionistes, en aquest apartat ens referirem a tres normes
gallegues (mnims de lAS-PG de 1980, normes oficialitzades RAG-ILG de
1982 i normes AGAL de 1985). Aix ens donar loportunitat, per acabar
aquest epgraf, de contextualitzar adequadament la recent proposta de modificaci de la normativa de la Real Acadmia Gallega. Cal que tingueu sempre
presents com a (contra)referents les convencions de les varietats europees de
lespanyol i del portugus.
Quant als continguts, ens ocuparem fonamentalment dels aspectes ms
evidents de la codificaci lingstica: lortografia i ms tangencialment la
morfologia i el lxic. No presentarem ac tots els detalls de cada una de les propostes, sin que ens limitarem a comparar algunes de les solucions divergents
que resulten ms significatives, tenint sempre present lltima reforma normativa que han impulsat els sectors oficialistes. Per facilitar les consultes, hem
numerat els pargrafs que segueixen.
3.1.1. La norma RAG-ILG utilitza els grups c/z (representant /2/) i c/q
(representant /k/) en les mateixes condicions que el castell (cero, catorce, cinco,
cuarto); prescindeix de ls de j/g per representar /+/, argumentant que la distinci no t cap rendiment fontic ni fonolgic, i els simplifica en x (que tamb
representa /ks/), com en Xon, seixo, peixe, xido; aquesta normativa accepta
com a legtim ls de i ll per representar // i /r/, com ho fa lespanyol (Espaa, coller); pel que fa a b/v, encara que tampoc no t cap correlat fontic (totes
dues grafies representen sempre [b] o [$]), aquesta norma opta per seguir criteris etimolgics (autombil, marabilla, varrer).
3.1.2. Quant a laccentuaci, el sistema proposat a la norma RAG-ILG
est clarament inspirat en les convencions de lespanyol: sutilitza un nic tipus
daccent (); saccentuen les paraules oxtones acabades en vocal o en vocal + n
/ s / ns i no els monosllabs ni les paraules que acaben en all que els seus
patrocinadors consideren diftongs creixents (consonant + ia / ie / io / ua /
ue / uo); no saccentuen les paroxtones acabades en cap de les combinacions
anteriors; saccentuen totes les proparoxtones. Dacord amb aix, saccentuen
paraules com Mara o librera.
3.1.3. La norma RAG-ILG prescindeix de ls del guionet (-) entre els verbs
i els pronoms (comelo, partilo), per lutilitza per lligar els infinitius amb lanomenada segona forma de larticle, un tret dialectal particular que aparentment es vol privilegiar (come-lo caldo, lava-las orellas). Pel que fa als punts
dinterrogaci (?) i dexclamaci (!), sen prescriu ls a comenament i final
de les frases, com fa lespanyol.

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Oscar Diaz Fouces

3.1.4. Ens interessa parar esment en el tractament dalguns grups cultes,


especialment significatius perqu han estat objecte de revisi posterior. Es tracta de -cc- i -ct-, que aquesta normativa proposa de mantenir, en general, permetent (per advertint que no s recomanable) que se simplifiquin quan sn
precedits de i o u: correccin, dictado, lectura, prctica. Es recorda lexistncia
de semicultismes amb vocalitzaci de la consonant implosiva en i o u: doutor,
doutoramento, doutrina, suxeitar i suxeito. A la prctica, el diccionari de la RAG
(1990) proscriu la simplificaci dels grups -cc- i -ct-, tret de casos molt puntuals en qu s que ho permet (com ara delicto/delito).
3.1.5. Aquesta normativa mant algunes posicions particulars quant als
noms de les lletres. Aix, q = cu o h = hache. Aquesta segona lletra, que no representa cap fonema (//), sutilitza al comenament o a linterior de paraula,
dacord amb criteris etimolgics (home, harmonia, inhspito), i tamb per representar la nasalitat velar (//), al costat de n en el dgraf nh, en algunes paraules concretes (unha, algunha, nengunha).
3.1.6. Les normes RAG-ILG de 1982 consideraven lletres i no pas dgrafs
ch i ll, dacord amb lespanyol (amb els consegents efectes, a lhora dordenar
alfabticament els textos), i hi donaven el nom de che i elle, respectivament.
La dotzena versi de 1995, corregida, ja els considerava dgrafs, per encara
mantenia els mateixos noms.13
13. La norma RAG-ILG, malgrat el seu carcter institucional, ha estat objecte dinteressants
mutacions al llarg dels anys, no noms entre les edicions de 1982 i 1995. Aquests petits
canvis sn especialment significatius perqu han fet collidir la normativa ortogrfica i morfolgica institucional amb la gramtica o els repertoris lexicogrfics que han estat investits
del mateix carcter, i aquests entre ells. Per illustrar aix, oferim a continuaci un llistat
breu amb alguns exemples ms, relacionats amb qestions dortofonia, ms casos dortografia, el paradigma dels relatius, la formaci dels plurals o el lxic. Agram les seves interessants
informacions al professor Jorge Rodrigues Gomes, que sha dedicat a estudiar meticulosament les contnues vacillacions de la norma oficialitzada al llarg dels ltims anys. Les dades
corresponen a les Normes RAG-ILG de 1982, les de 1995, la gramtica gallega de 1986
citada abans, que signen com a membres de la Secci de Gramtica de lILG lvarez, Regueira i Monteagudo, el diccionari ILG-RAG de 1990, el diccionari RAG de 1997, la segona edici del diccionari Xerais de 1988 (G. NAVAZA i X.L. MURVAIS [coord.], Diccionario Xerais da
Lingua. Vigo: Xerais, 1986 [2a ed. corr. 1988]) i el Gran Diccionari Xerais de 2000 (X.M.
CARBALLEIRA ANILLO [coord.], Gran Dicionario Xerais da Lingua, Vigo: Xerais, 2000). Nom
de la lletra Z. 1982: ceta; 1995: zeta; 1997: ceta; 2000: ceta/zeta. Plural de control. 1982:
controis; 1986: controles; 1995: controis. Plural de aval. 1982: avais; 1986: avales; 1995:
avais. s del relatiu cuxo. 1982: ; 1986: cuxo (adms); 1995: ; 2000: cuxo (adms). Pronunciaci/ortografia de f(/u)tbol. 1982: ftbol; 1990: futbol; 1997: ftbol. Ortografia de
e(s/x)trao. 1982: extrao; 1990: estrao; 1995: estrao. Lxic normatiu tiburn/quenlla.
1988: tiburn; 1990: quenlla; 2000: tiburn. Lxic normatiu sacristn/sancristn. 1990:
sacristn; 1995: sancristn/-ana; 1997: sacristn/sancristn; 2000: sancristn. Lxic normatiu Rumano/rumans. 1982: rumano; 1995 rumans/-esa. Lxic normatiu marroqu/marroquino.
1986: marroquino; 1997: marroqu. Lxic normatiu champ/xamp. 1990: champ; 1995:
xamp; 1997: xamp. Gnere de fraude. 1990: fraude (masc.); 1997: fraude (fem.) Gnere
de eclipse. 1990: eclipse (masc.); 1997: eclipse (fem.). Gnere dacedume. 1990: acedume
(fem.); 1997: acedume (masc.) Gnere de personaxe. 1986: personaxe (masc. fem.); 1990:
personaxe (masc.); 1997: personaxe (masc. fem.)

La codificaci del gallec o el pndol que no satura

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3.2.1. En general, la norma AGAL-1985 segueix les convencions del portugus estndard, adaptant-les, si escau, al gallec. Aix: zero, cinco (cinc, per
zinco, zinc), catorze, quinze, quarto; Jom, seijo, peixe, xido; Espanha, colher;
automvel, maravilha, varrer i tamb povo, haver. AGAL-1985 introdueix ls
de amb valor de // (o de /s/ en algunes rees dialectals), no noms entre
vocals (naom, pao), sin tamb a comenament de paraula en alguns casos
(apataria, ora), recuperant una convenci histrica (i, en aquest sentit, reconeix tamb la possibilitat de fer la mateixa adaptaci que practica la covarietat portuguesa: sapataria, sora en portugus estndard, sura). s lnica de
les tres que utilitza tamb s/ss amb la mateixa distribuci que en portugus
estndard (assembleia, assassino, risonho), utilitzant com a argument la coherncia diasistemtica (tamb per al cas de b/v, c/z/q i j/g/x, al costat dels criteris
historicoetimolgics en els dos ltims casos) i el fet que el sistema de sibillants
medievals encara es conservi en algunes rees gallegues (tot i que molt redudes), que distingeixen a la pronncia [z] de [s]. RAG-ILG i AS-PG prescindeixen daquesta distinci s/ss, per considerar que no t cap correlat fontic
significatiu.
3.2.2. Pel que fa al sistema daccentuaci, la norma AGAL-85 parteix de la
constataci que el gallec disposa dun sistema heptavoclic (i no pas pentavoclic, com lespanyol), per la qual cosa laccent hauria de permetre marcar no
noms la tonicitat sin tamb el timbre voclic (/g/ i /e/, /:/ i /o/). Dacord
amb aix, sadopta en general el sistema portugus, amb tres tipus daccent ()
(^) i (`), el primer i el segon per marcar la tonicitat i lobertura () o el tancament
(^) de les vocals e i o, i el segon per indicar determinades contraccions usuals
(a prep. + a[s] art. = [s]). Cal destacar tamb que, a efectes daccentuaci, es
consideren proparoxtones les paraules que acaben en consonant + ia / ie / io /
ua / ue / uo (p.ex. independncia, histria), que la norma RAG-ILG considera
paroxtones, segurament per una aplicaci mimtica dels patrons ortofnics
castellans.14 No saccentuen, per tant, paraules com Maria o livraria.
3.2.3. La norma AGAL-85 utilitza el guionet (-) entre el verb i els pronoms, per no pas amb els articles: com-lo, per comer o caldo. Quant als punts
dinterrogaci i dexclamaci, en prescriu ls noms a final de frase i excepcionalment a comenament, quan pugui existir confusi.
3.2.4. A propsit dels grups -cc- i -ct-, AGAL-85 proposa leliminaci
sistemtica de la primera consonant desprs de i i u (conduta, ditado, dicionrio), aix com ladaptaci dels semicultismes com ho fa el portugus (incloent-hi a la llista perfeito, efeito, respeito, leitor, reitor, eleiom). Pel que fa als
noms de les lletres, q s anomenada qu (harmonitzant amb el portugus
estndard, i tamb amb la srie b, c, d, g, p) i h ag (etimolgicament
ms adequat, que harmonitza amb el portugus i evita el gallicisme hache
14. Lexistncia freqent de vacillacions en la pronncia (i tamb en la representaci grfica) de
formes com *historea, *lingoa (=histria, lngua) seria, probablement, un bon indicador de
loportunitat de considerar que s si ms no discutible parlar sempre de diftongs creixents
en aquests casos, com ho fa la norma allacionista.

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introdut a partir de lespanyol). La representaci de la nasalitat velar es fa


amb el dgraf mh, en comptes de nh, que es reserva per representar //, dacord amb lortografia histrica gallega i solidriament amb el portugus
modern, de la mateixa manera que lh representa /r/, tot evitant les grafies
espanyoles i ll.
3.3.1. Les normes AS-PG 1980 coincideixen amb les normes RAG-ILG
en els casos de ls de i ll, aix com j/g/x i c/z/q (i no utilitzen );15 quant a la
distinci b/v, se situen a mig cam entre els usos portuguesos i espanyols (levaba, louvvel, haber); i prescindeixen del doblet s/ss. La nasalitat velar es representa a lortografia de mnims amb nh, tamb com a la norma RAG-ILG.
3.3.2. Pel que fa al sistema daccentuaci, no es considera lexistncia de
diftongs creixents a final de paraula, de manera que saccentuen formes com
ara histria o independncia, fent servir laccent agut () i reservant el greu (`)
per a les contraccions (s). No saccentuen les formes del tipus Maria o libraria. Els mnims utilitzen tamb el guionet (-) entre els verbs i els pronoms, per
no pas amb els articles: com-lo, comer o caldo.
3.3.3. Quant als punts dinterrogaci i dexclamaci, en prescriuen ls
noms a final de frase i excepcionalment a comenament, quan pugui existir
confusi, com fa la norma AGAL-85. Pel que fa al tractament dels grups -cci -ct-, segueix en general els mateixos criteris de simplificaci i dadaptaci de
semicultismes que aquesta ltima proposta.
3.4. Pel que fa a les terminacions -ancia/-ncia, -encia/-ncia, -cin i -cia,
les normes RAG-ILG opten, en alguns casos, per la convergncia amb el portugus (avareza, cansazo, doenza, pertenza) i en uns altres amb el castell (aprecio, diferencia, precio, Galicia, servicio). Les normes AGAL-85 sn coincidents
amb les solucions portugueses (avarea, cansao, doena, pertena, apreo, diferena, preo, Galiza, servio). Els mnims coincideixen amb les solucions dAGAL-85, per utilitzen de vegades una grafia diferent: avareza, cansazo, doenza,
pertenza, aprezo, diferenza, Galiza, servizo. El resultat tamb s semblant pel
que fa a les terminacions -cin/-om i -sin/-som. RAG-ILG-82 tria sistemticament les formes coincidents amb lespanyol (nacin, corazn, divisin); AGAL85 adopta les solucions histriques (coraom, divisom); i AS-PG-80 utilitza una
soluci mixta (nazn, corazn, per divisin).
3.5. Quant als grups -era/-aria i -ble/-vel(/-bel), RAG-ILG-82 opta sempre per la forma ms semblant a lespanyol (estable, librera), encara que accepti en teoria les alternatives (estbel, librara), tot i que les considera no
recomanables. AGAL-85 coincideix amb el portugus (estvel, livraria) i ASPG-80 tamb hi coincideix (encara que de vegades sutilitzi -bel per -vel).
3.6. En una lnia semblant, RAG-ILG-82 admet la formaci dels plurals
de les paraules acabades en -l afegint -es, com ho fa lespanyol, a les paroxtones (fcil-fciles, til-tiles), mentre que proposa que es formi amb -is noms en
el cas de les paraules oxtones de ms duna sllaba (espaol-espaois, azul-azuis,
15. S que ho feia una edici posterior de les normes AS-PG (1982), que va tenir un ress social
molt minvat, segurament perqu la distncia amb la normativa AGAL 1985 era molt minsa.

La codificaci del gallec o el pndol que no satura

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per cal-cales, tal-tales, sol-soles). AGAL-85 generalitza la soluci coincident


amb el portugus: espanhol-espanhis, azul-azuis, qual-quais, tal-tais, sol-sis.
AS-PG-80 tampoc no admet les solucions coincidents amb lespanyol.
3.7. La vacillaci de les normes RAG-ILG entre la coincidncia amb lespanyol i el portugus s palesa en la distribuci de les terminacions en -tade i
-dade. Aix, maxestade, vontade, facultade, dificultade, per liberdade per harmonia amb la srie verdade, herdade. AGAL-85 proposa que tamb sapliqui el principi danalogia que es reclama per justificar liberdade a formes com faculdade,
dificuldade o puberdade. Novament, AS-PG-80 coincideix amb aquest parer.
3.8. Pel que fa als pronoms demostratius, RAG-ILG admet esto, eso, aquelo per
a les formes neutres (al costat de isto, iso, aquilo). AGAL-85 rebutja aquesta
soluci harmnica amb lespanyol, en favor de les formes niques isto, isso,
aquilo, que coincideixen amb el portugus. AS-PG-80 tamb tria aquesta soluci, amb la prpia grafia (isto, iso, aquilo).
La premsa escrita (especialment aquella que combrega amb les tesis oficialistes) sha afanyat a intentar presentar lacord recent de reforma de la codificaci
institucional com unes normes de concrdia que haurien de venir a posar
pau en el conflicte que es viu a Galcia. Si heu anat seguint fins ara la nostra
exposici, ja teniu suficients arguments per imaginar que s realment difcil
que sigui aix, tant per la distncia que presenten les alternatives, com perqu
una bona part dels participants en la discussi van restar exclosos de les negociacions des de bon comenament. Amb tot i aix, val la pena de fer justcia a
la nova proposta de reforma i per aix caldr presentar algunes de les noves
solucions i relacionar-les amb all que fins ara hem anat exposant.
Pel que fa als noms de les lletres, el de q passa a ser que. Es mant hache
(cfr. supra 3.1.5 i 3.2.4). Es limita ls dels punts dinterrogaci i dadmiraci
al final de lenunciat, tret dels casos dambigitat, en els quals es recomana que
sutilitzin tamb al comenament (cfr. supra 3.1.3, 3.2.3 i 3.2.3). Se suprimeix
la primera consonant dels grups -ct- i -cc- quan els precedeixen les vocals i o
u (conflito, conducin). La consonant implosiva vocalitza en i en els casos de
reitor (reitora, reitorado) i seita (per sectario) (cfr. supra 3.1.4, 3.2.4 i 3.3.3).
Es mant Galicia com a designaci oficial del pas, encara que saccepta com a
legtima Galiza (cfr. supra 3.4). Sadmeten -bel i -ble (en el text sutilitza -ble)
(cfr. supra 3.5). Sincorpora puberdade al grup de paraules en -dade (cfr. supra
3.7). Es dna preferncia a -ara, tot i que tamb sadmet -era (cfr. supra 3.5).
La representaci escrita de lallomorf -lo passa a ser obligatria noms a continuaci de la preposici por i de ladverbi u, i noms sutilitza en aquests casos
en el nou text de les Normes (cfr. supra 3.1.3). Seliminen esto, eso, aquelo com
a formes neutres dels pronoms demostratius (cfr. supra 3.8).
Al costat de totes les propostes que podem reconixer, en contrastar-les amb
all que havem exposat prviament, encara podem destacar-ne algunes altres
que ac no havem presentat, com ara la legitimaci de ls de la contracci ao
(a prep. + o art.) per (el text de les noves normes tria la primera soluci, que
s la del portugus estndard, AGAL-85 i els mnims); la deglutinaci dels numerals entre vint i trenta (vinte e un); laglutinaci de les locucions apenas o deva-

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gar; ladmissi de preposicions i locucions prepositives com aln de, aps, aqun
de, at, no entanto, porn (comuns amb el portugus, encara que shi mantingui lortografia espanyola); o la supressi dunes altres, barbarismes palesos, com
ara anque, sen embargo o entonces. Hem dinsistir en el fet que la nostra exposici no s ni pot ser exhaustiva. Nogensmenys, no volem deixar de subratllar lacostament, simblic i efectiu, que destillen les noves propostes, en relaci amb
els mnims (i per tant, dalguna manera, amb les posicions reintegracionistes).
Aquesta reforma es concentra, alhora, en all que resultava ms difcil dassumir o directament inassumible per part dalguns sectors que havien manifestat una actitud fora crtica amb la normativa oficialitzada encara que
lacatessin, pel que volia dir de dependncia excessiva i injustificada del model
espanyol.16 Laproximaci als mnims, amb tot, s molt menys apreciable del
que es pugui pensar en una lectura superficial, ja que sha prescindit delements
especialment significatius, com ara ls del guionet entre els verbs i els pronoms,
o dun sistema daccentuaci ms adequat al sistema voclic gallec. Tot plegat, deixant de banda levidncia que la reforma implica, en all ms substancial, una srie
dalternatives a ls que fins ara havia estat habitual. Dit duna altra manera, no
hi ha res que impedeixi continuar fent servir les convencions anteriors: simplement sassenyalen com a legtimes alternatives que a les edicions de 1982 i 1997
de les normes RAG-ILG ja existien, per que es consideraven menys recomanables (com ls de -bel o -ara) o es proscrivien (com la forma Galiza). I cal fer
notar, s clar, que no sha tocat ni una sola coma pel que fa a ls de les pautes
ortogrfiques amb un valor simblic ms gran i que representen, sens dubte, la
pedra de toc que marca les distncies entre les dues normes prototpiques a qu
ens havem referit: allacionisme i reintegracionisme. Aix, continua essent prescrit ls de i ll; no es modifiquen els criteris de ls de c/z/s, c/q, b/v; continua
utilitzant-se h en posici interior de paraula; no es modifiquen els criteris per
fer servir s/ss o j/g/x; pel que fa a les terminacions -cin/-om continua essent normativa noms la primera; no ha canviat la consideraci de lexistncia de diftongs
creixents a final de paraula a lefecte daccentuaci. Certament, no sembla pas
que puguem parlar duna reforma revolucionria.
4. Com podem valorar les propostes? Alguns arguments per a la reflexi
Els treballs sobre planificaci lingstica han tingut sempre com a tema estrella les qestions relacionades amb la codificaci i lestandarditzaci, que sn, aparentment, les que a nosaltres ens ocupen. Entenem per codificaci, com s
habitual, la tasca delaborar un model de normativa lingstica, que t com a
resultat ortografies prescriptives, gramtiques i diccionaris normatius. Lestandarditzaci, en canvi, implicaria que una forma de llengua codificada esdevingus referencial al llarg del temps per a una comunitat humana determinada.
En principi, totes dues definicions resulten prou transparents quan fem refern16. Cfr. X.R. FREIXEIRO MATO, Lngua galega: normalidade e conflito, Santiago de Compostella: Laiovento, 1997.

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cia a llenges el carcter unitari de les quals no est sotms a discussi. Per a
aquests casos, un bon llistat dels criteris que cal tenir presents en les tasques
de codificaci s el que proposa X. Lamuela,17 que incorpora diverses aportacions de la sociolingstica occitana:
Diasistematicitat, entesa com la preferncia per les formes que poden explicar les seves homlogues daltres varietats.
Historicitat, o preferncia per les formes amb ms tradici ds.
Regularitat, o preferncia per les formes gramaticalment regulars, que implica la tendncia a reduir lallomorfisme (unitat morfemtica) i lhomonmia (distintivitat), b com a unificar els paradigmes (homogenetat).
Regularitat evolutiva, o preferncia per les formes que presenten una evoluci diacrnica ms regular.
Coherncia estructural, o rebuig de les formes que no segueixen les regles
generals de formaci de paraules.
Funcionalitat, o preferncia per les formes que poden tenir ms valor funcional.
Difusi, o preferncia per les formes ms difoses, perqu ja tenen ms valor
funcional.
Intelligibilitat, o preferncia per les formes que, encara que no siguin utilitzades, sn fcilment assimilables per aquells que les han dusar.
Simplicitat, o preferncia per les formes que plantegen menys problemes
daprenentatge, mantenint la mxima intelligibilitat.
Acceptabilitat, o preferncia per les formes que no tenen aspecte inhabitual
o connotacions incmodes.
Autonomia, o preferncia per les formes que marquen distncies respecte a
la llengua dominant.
Genunitat, o exclusi de les formes que sexpliquen per la interferncia de
la llengua dominant.
Especificitat, o preferncia per les formes que augmenten la distncia envers
unes altres llenges i especialment la llengua dominant.
Analogia amb altres llenges, o preferncia per les formes que presenten analogies amb les dunes altres llenges que han estat preses com a referent.
El llistat anterior, que t un inters innegable en el cas de la codificaci de
llenges subordinades (no podem oblidar que el gallec ns un exemple palmari), presenta, segons el nostre paper, una important limitaci quan es vol
utilitzar com a marc analtic per estudiar les propostes codificadores elaborades
per a varietats els lmits de les quals encara estan en discussi. En efecte, cada
cop que es fa referncia a alguna mena de forma lingstica caldria comenar
per discernir si all que saccepta com a corpus global s un diasistema ms
extens o un altre de ms redut, en el cas que ens ocupa el mn lusfon o el
gallec estricte. En realitat, la situaci del catal i la de loccit (per separat) no
17. Cfr. X. LAMUELA, Criteris de codificaci, op. cit.

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sn homologables a la del gallec, des del moment que, en aquest ltim cas, els
agents codificadors poden definir la varietat que s objecte de codificaci com
una minoria exoglssica (com ho fan els reintegracionistes). Fem servir ac el
terme exoglssia en el sentit matisat que hi dna Baeres:18 latribut dels grups
lingstics que satisfan el doble requisit de ser minoritaris en un(s) Estat(s) i
alhora majoritaris en un(s) altre(s). Dacord amb el mateix autor, aquests grups
es podrien beneficiar selectivament dels avantatges que comporta la seva situaci: laval de la codificaci, pel que fa al corpus, i la pressi que representa sobre
lEstat on viu la minoria el fet que existeixi un focus dirradiaci cultural i
econmica que hi compet. Val a dir que fins i tot els terics allacionistes accepten que, des dun punt de vista estrictament lingstic, gallec i portugus sn
el mateix idioma.19 A la prctica, per, lallacionisme renuncia a explorar
aquesta possibilitat, tot argumentant que els gallecs no necessiten eixamplar
el seu mercat cultural i comunicatiu perqu ja disposen duna llengua dabast
internacional, lespanyol,20 i que all que cal fer s dissenyar una norma fcil
dinterioritzar per a la poblaci. Com que sassumeix que tots els gallecs coneixen les convencions normatives de lespanyol, la conclusi bvia s que la
norma gallega shi ha dacostar.21 El resultat de tot plegat seria la gnesi duna
llengua nova, per elaboraci. A propsit daix, els terics allacionistes han

seguit en els ltims anys els ensenyaments del romanista Zarko


Muljacic, pel
que fa a la distinci entre llenges per distncia (Abstandsprachen) i llenges per elaboraci (Ausbausprachen). Les primeres serien aquelles varietats a
les quals ning no discutiria la independncia, perqu presenten una distncia estructural suficient amb la resta de llenges; les segones, en canvi, serien
aquelles que, tot i no presentar aquesta distncia, han estat objecte dun procs delaboraci socialment determinat que les ha dut a esdevenir quelcom de
diferent. Lallacionisme assumeix que el gallec s, bviament, una llengua per
elaboraci (i no pas per distncia), pel que fa a la seva relaci amb el portugus. I defensa que s precisament aquesta estratgia la que ms conv al procs de normalitzaci de la llengua.22
Desprs daquest excursus a propsit de la convenincia de considerar un
criteri previ relacionat amb lautonomia de la varietat que es vol codificar,
intentarem analitzar les propostes normatives gallegues a la llum de la resta de
18. Cfr. J. BAERES, Els correlats macrosocials del multilingisme igualitari. Assaig exploratori, dins Diversos autors, Nous reptes en lensenyament de la llengua, Barcelona: Eumo, 1991.
19. Cfr. F. FERNNDEZ REI, Dialectoloxa da lingua galega, Vigo: Xerais, 1990.
20. Cfr. H. MONTEAGUDO, Sobre a polmica da Normativa do Galego, Grial, nm. 107,
1990, p. 294-316.
21. Cfr. A. SANTAMARINA, Galegisch: Sprachnormierung und Standardsprache. Norma y estndar, dins G. HOLTUS, M. METZELTIN i C. SCHMITT (ed.), Lexikon der Romanistischen Linguistik, VI, nm. 2, 1994, p. 66-79.
22. Una bona compilaci de treballs allacionistes daquestes caracterstiques s la de H. MONTEAGUDO (ed.), Estudios de sociolingstica galega. Sobre a norma do galego culto, Vigo: Galaxia, 1995. A O. DIAZ FOUCES, O conceito de lngua por elaboraom. A propsito de
Ausbausprachen. Aglia. Revista Internacional da Associaom Galega da Lngua, nm. 41,
1995, p. 5-18, hem analitzat amb ms detall aquesta mena darguments.

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criteris que havem citat, sobre els quals tornarem ms avall. Abans que res,
volem fer notar que, desprs de la presentaci anterior, ja resultar evident que
la proposta dels mnims no respon a una filosofia lingstica especfica si
ms no de la mateixa manera que les posicions allacionistes i reintegracionistes, sin que es tracta ms aviat duna proposta tcnica, per la qual cosa ens
limitarem a analitzar les dues primeres.
La norma allacionista de 1982 i 1995 ha privilegiat el criteri de difusi,
el de simplicitat i el dacceptabilitat, entesos com la voluntat dacceptar com
a legtimes les convencions ortogrfiques, morfolgiques (i, en certa mesura, lexicals) de la llengua dominant, ja que eren les ms conegudes per la poblaci,
tot argumentant la voluntat de facilitar la socialitzaci lingstica dels usuaris.
Aix podria explicar la decisi antieconmica dutilitzar dos grafemes per a un
nic fonema (c/z, c/q, b/v), perqu tamb ho fa aix la llengua dominant. En
canvi, la simplificaci duns altres grups (com j/g/x), contradictria amb la
soluci anterior, es justificaria a partir del criteri dhistoricitat i el despecificitat (envers lespanyol), units al de simplicitat. Laplicaci conseqent dels criteris de simplicitat i despecificitat (traduts en la maximitzaci del principi un
fonema = un grafema) hauria pogut donar lloc a solucions semblants a les del
basc: kasa (o qasa), zirko, serbizio; i tamb, evidentment, a la supressi de grafemes que noms tenen una explicaci historicoetimolgica (com h): umano,
armona, idruliko. Amb tot plegat, resulta difcil de justificar ls del dgraf
gu davant de e i i per representar /(/, com es fa en aquesta mateixa normativa.
Posat que g mai no pot representar /X/, haurem desperar formes com gerra,
Gillerme, etc.
Els criteris dautonomia i de genunitat han tingut com a referent principal
no pas la llengua dominant, sin la llengua portuguesa. El criteri danalogia
amb unes altres llenges ha tingut com a referent principal la llengua dominant, en canvi. Aix explicaria la preferncia per la tria de i ll en comptes de
nh i lh; la renncia a ls de s/ss, que tamb es justificaria pel criteri de simplicitat,
com en el cas de c/q i c/z/, encara que tots ells violarien el criteri dhistoricitat,
pel que fa a la referncia a la llengua medieval; el mimetisme en la tria dun sistema daccentuaci subsidiari de lespanyol, en comptes del portugus; la preferncia per les formes en -ble i -era; la voluntat de no simplificar els grups -cci -ct-; la construcci de plurals de paraules acabades en -l amb -es, etc.
En aquest context, la proposta recent de reforma de la normativa institucional matisa dalguna manera laplicaci dels criteris, en legitimar determinades solucions, sense modificar-la substancialment, com hem pogut veure.
Podem dir que, en realitat, es tracta duna reforma tcnica que tindria lobjectiu datreure una bona part dels usuaris duna proposta que en essncia
tamb ho s, els mnims, aix com la voluntat poc dissimulada de marginar el
sector reintegracionista. Tot plegat contribuiria, aparentment, a clarificar el
panorama sociolingstic gallec. Com que la planificaci lingstica no s cap
mena de cincia exacta, les conseqncies reals sn, tanmateix, imprevisibles.
La norma reintegracionista dAGAL 1985 privilegia, evidentment, el criteri de diasistematicitat o, si es vol, danalogia amb unes altres varietats ja codi-

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ficades. El referent s, en aquest cas, el portugus estndard.23 Daquesta manera, les tries ortogrfiques, morfolgiques i lexicals obeeixen a una voluntat
declarada de convergir-hi, sempre respectant les caracterstiques prpies del
gallec. En realitat, el reintegracionisme pretn codificar un segment de llengua dun sistema que ja s policntric ms avall tornarem sobre aquest concepte, respectant les caracterstiques prpies de la mateixa manera que ho fan
les altres varietats, portuguesa, brasilera i africanes. Resulta fora significatiu que
els autors de lEstudo Crtico (1983) esmentin com a referent el cas valenci i
les Normes de Castell. El criteri dautonomia t com a contrareferent la llengua dominant, lespanyol, aix com el criteri de genunitat. El criteri dhistoricitat es refereix a la llengua medieval, fonamentalment, posat que entre els
segles XVI i XIX la llengua prpia prcticament va deixar de ser conreada per
escrit a Galcia. Aparentment, la simplicitat de la normativa allacionista s
superior (sempre que es parteixi dun ensinistrament previ en la norma espanyola), per en realitat una bona part de les convencions reintegracionistes
tenen un s sistemtic: ls de nh i lh en comptes de i ll no sembla gens problemtic; tampoc ls de -m a final de paraula, dels sufixos -vel, -aria o -om;
el de g/j/x, b/v, c/z/ o c/q no presenta ms dificultats que les que pugui tenir en
unes altres llenges romniques. El mateix espanyol utilitza una bona part
dels grups esmentats, sense que tinguin cap mena de rendiment fonolgic, ni
tan sols fontic. Ls del guionet entre els verbs i els pronoms (com a unes
altres llenges, com el catal), en comptes de ser una dificultat, s ms aviat
un mecanisme que permet guanyar claredat en la representaci grfica (cfr.
en norma RAG-ILG levaroncheme a carteira, en mnims o en norma AGAL
levarom-che-me a carteira).
s interessant de destacar, amb tot, la voluntat de la norma AGAL per
mantenir una certa autonomia en la codificaci, dins dels lmits que marca
el respecte a les caracterstiques prpies de la llengua. Una mostra emblemtica seria la continutat en la representaci de la nasalitat velar (//) amb
mh, malgrat que aquest dgraf i la pronunciaci que representa no existeixin en portugus estndard, i fins i tot a desgrat de lescs rendiment que t
en gallec (est limitat a les paraules umha, algumha, nengumha i a les seves
contraccions amb preposicions). Un altre exemple, encara ms significatiu,
t a veure amb ls de la marca de nasalitat, que el Pronturio Ortogrfico de
1985 de lAGAL deixa oberta. Un dictamen de 1989 de la Comissi Lingstica de lAGAL matisar aquest s, fent-lo potestatiu en algunes ocasions
(irmo, irmos, capites, coraes) per no pas en unes altres (capito, nao,
23. Ms concretament, el portugus europeu, encara que no es renuncia a ls dalgunes solucions prpies del portugus del Brasil, quan sadiuen ms b a les caracterstiques estructurals o, fins i tot, als condicionaments del marc sociolingstic del gallec. Un bon exemple
s ls de la diresi sobre la vocal u () + i/e, que no es coneix a Portugal per s al Brasil. En
aquest cas, sargumenta el valor propedutic daquesta tria per facilitar la tasca de lectura
dels usuaris gallecs, els hbits dels quals estan interferits per lortofonia del castell. Aix,
per exemple, formes com tranqilidade o qinqnio fan notar que cal pronunciar la u en
aquests casos en qu el castell no ho fa.

La codificaci del gallec o el pndol que no satura

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

119

me).24 Sargumenta que determinades convencions grfiques poden representar de manera suficient les diverses realitzacions orals possibles, per daltres presenten un grau dallunyament que, a la prctica, implicaria una lectura
gaireb logogrfica i significaria importants entrebancs en la fixaci duna
norma oral. Aix, a la forma irmao, podrien correspondre-hi les pronunciacions irmao, irmm o dues de menys freqents, irmo, irm. La representaci grfica irmo permetria deduir-les duna manera relativament fcil. Ara
b, la forma capito no admet ms que una pronunciaci possible (capitm,
i no *capitao), i altres paraules, com nao noms nadmeten una de diferent
(naom [nacin, per als allacionistes]). Ms encara, acceptar com a normatives formes de plural com capites (per pronunciar capitns) entra en conflicte
amb la pronunciaci dunes altres com ara me mare (que es pronuncia
mai que coexisteix amb la forma nai, i no mm, que a ms es confondria amb la de mo m). Segurament, lexplicaci ja s prou indicativa de
lactitud dels codificadors de la norma AGAL i representa, com havem anticipat en els primers pargrafs daquest paper, un interessant punt de connexi amb la filosofia allacionista: la voluntat de generar una norma autnoma
per al gallec, tot i que, en aquest cas, inserida en el seu diasistema histric
per treure profit dels avantatges de la condici exoglssica.
5. Un balan i algunes propostes
Ms amunt ens havem referit a la convenincia de revisar el llistat de criteris
proposat per X. Lamuela per tal daugmentar-ne leficcia en el moment danalitzar situacions com la del gallec. Direm, per comenar, que en aquesta
mena de context sociolingstic, cal tenir present, a ms de la dialctica conflictiva general que protagonitzen la comunitat de llengua dominant i la de
llengua subordinada, les tensions particulars que sestableixen entre les forces
individuadores i les forces reintegradores. Com hem pogut verificar, a partir
de lestudi daquesta situaci, el criteri despecificitat, el criteri de genunitat i
el criteri dautonomia poden fer referncia a la llengua dominant, per tamb
a uns altres segments del mateix sistema lingstic. El criteri de diasistematicitat, el criteri de regularitat (evolutiva) i el criteri dhistoricitat poden fer
referncia al corpus que es vol codificar, per tamb a un altre de ms extens, del
qual forma part. En general, ens sembla oport, a falta duna designaci ms
adequada, parlar dun macrocriteri dadscripci, que matisaria tots els criteris
del llistat, i que es glossaria com la preferncia (o el rebuig) per adoptar les
convencions daltres segments del mateix sistema lingstic quan disposen de
codificacions consolidades i, doncs, dun estndard operatiu. Aquest procs pot
tenir com a resultat la constituci destndards policntrics,25 per tamb la
24. Cfr. ASSOCIAOM GALEGA DA LNGUA, COMISSOM LINGSTICA, Sobre o til de nasalidade,
Aglia. Revista Internacional da Associaom Galega da Lngua, nm. 19, 1989, p. 365-370.
25. Cfr. A. N. BAXTER, Portuguese as a pluricentric language, dins M. CLYNE, Pluricentric
Languages. Differing Norms in Different Nations, Berln-Nova York: Mouton de Gruyter,

120 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Oscar Diaz Fouces

gnesi de llenges noves. El mats que volem introduir ens sembla oport, perqu lobservaci dels comportaments dels codificadors a propsit de la manera com interpreten aquest criteri podria constituir una bona base per analitzar
les tries exoglssiques i les tries endoglssiques ms coincidents amb els patrons
de la llengua dominant. Aix, doncs, servirien per explorar la illaboraci lingstica (Abbausprache) de qu parlen Lamuela i Murgades,26 el secessionisme
lingstic i els processos de reincorporaci a sistemes lingstics ms extensos.
Noteu que els criteris dacceptabilitat, dintelligibilitat i de difusi guanyen
una nova perspectiva, fora interessant, des del punt de vista daquest macrocriteri: les formes que promogui la codificaci hauran de resultar acceptables
i intelligibles tamb per als usuaris de la resta del diasistema. Alhora, caldr
privilegiar les formes que gaudeixin de la condici de ms difoses en el conjunt
del diasistema, sempre que es pretengui accedir als avantatges de la condici
exoglssica.
En un sentit complementari, a propsit dels criteris dacceptabilitat, de
simplicitat i de difusi, volem recordar ara que les cincies socials consideren
axiomtica la tendncia a la persistncia i la regularitat, i no pas al canvi, en
els comportaments humans. Dit duna altra manera, i en all que a nosaltres
ens interessa, aquelles propostes que no alteren de manera substancial els patrons
normatius que operen per defecte a la varietat que s objecte de codificaci
tenen, en principi, ms possibilitats de no provocar rebuig i de difondres de
manera efica i econmica i, per tant, de reeixir que aquelles altres que
s que ho fan. Tot plegat podria glossar un nou criteri de compatibilitat, amb
la norma lingstica que opera per defecte a la comunitat. Ara b, en el cas de
les comunitats subordinades, el lloc privilegiat de norma per defecte locupa,
linterfereix, o el contamina, gaireb per definici, la llengua dominant. En
bona lgica, aquelles pautes normatives que ms shi acostin tindran molt de
guanyat. Paradoxalment, els usuaris poden arribar a percebre menys acceptables o menys intelligibles les formes que sn habituals dunes altres contrades
del seu propi sistema lingstic que no pas les formes prpies de la llengua
dominant (amb la consegent relativitzaci del criteri dautonomia).
Amb aquestes matisacions, ens sembla que lanlisi del conflicte normatiu
que afecta el gallec pot guanyar en claredat. s evident que la interpretaci
dallacionistes i reintegracionistes del macrocriteri dadscripci s substancialment diferent. Tanmateix, s erroni pensar que noms hi ha dues eleccions
possibles, la reintegraci o la independncia lingstica. Existeix, a la prctica,
un ventall immens de possibilitats. La independncia pot tenir com a referent
la resta del diasistema i la gnesi duna llengua nova, per tamb pot implicar
(com sembla evident en el cas del gallec) un procs de convergncia amb la
llengua dominant (dillaboraci) a cpia dadoptar-la com a model per a la
1992 i O. DIAZ FOUCES, Codificaci ortogrfica: el cas gallec, entre el portugus i lespanyol, Els Marges, nm. 57, 1996, p. 104-114, per al cas gallegoportugus.
26. Cfr. X. LAMUELA i J. MURGADES, Teoria de la llengua literria segons Fabra, Barcelona: Quaderns Crema, 1984.

La codificaci del gallec o el pndol que no satura

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codificaci, maximitzant-ne el criteri de compatibilitat. En realitat, ladopci


tcnica duna part de les solucions dels mnims per part dels codificadors oficials hauria matisat aquesta inrcia perillosa que noms podia menar a la dialectalitzaci.
Daltra banda, tamb la reintegraci admet un munt de matisos. En realitat, la proposta dAGAL 1985 implica una renncia a la postura maximalista, que consisteix a adoptar directament les convencions del portugus estndard.
En certa manera, en el continuum de les propostes normatives que es poden
registrar a Galcia, amb la previsible desaparici del sector que ocupava el (privilegiat) espai central, els mnims, les dues postures que havem qualificat de
prototpiques podrien acabar convergint a mitj termini (en realitat, ja ho fan),
potser no en la forma duna tercera norma de sntesi, sin en la simple convivncia de totes dues, permetent que sigui la prpia dinmica socioeconmica i cultural la que vagi decantant les normes i les posicions dels agents
codificadors, desprs dun perode de convivncia menys conflictiva del que
ho ha estat fins aquest moment.27 Ara com ara, per, noms podem deixar
que passi el temps.
Abreviatures
AS-PG: Asociacin Scio-Pedagxica Galega
AGAL: Associaom Galega da Lngua, Comissom Lingstica
RAG-ILG: Real Academia Galega - Instituto da Lingua Galega

27. Donades les caracterstiques de la publicaci que lacull, hem redut deliberadament en
aquest treball les consideracions sociolgiques en benefici de les lingstiques (si s que
s possible de separar-les). Trobareu una bona panormica introductria, que aprofundeix
ms en les primeres qestions, en el treball recent de M. . PRADILLA, El gallec: un cas
dindividuaci lingstica en un context de minoritzaci, dins M. . PRADILLA (ed.), Identitat lingstica i estandarditzaci, Valls: Cossetnia, 2003, p. 135-165, i una reflexi ms
extensa en el llibre de V. RODRIGUES FAGIM, O galego (im)possvel, Santiago de Compostella: Laiovento, 2001.

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

123-132

Gli scrittori e la norma: interviste


a Raffaello Baldini, Pierluigi Cappello,
Luciano Cecchinel, Amedeo Giacomini
e Ida Vallerugo
A cura di Gabriella Gavagnin e Piero Dal Bon, con la collaborazione
di Pietro Benzoni, Giulia Calligaro e Sebastiano Gatto

Abstract
In queste interviste alcuni poeti italiani parlano del loro rapporto con la scrittura dialettale sottolineando il significato e limportanza che hanno nella loro esperienza la scelta del
dialetto, losservazione del linguaggio vivo, la continuit o la rottura nei confronti delle
specifiche tradizioni dialettali e ladozione e/o la ricerca di una norma scritta.
Parole chiave: poesia italiana e dialetto, Baldini, Cappello, Cecchinel, Giacomini, Vallerugo.
Abstract
In these interviews, a number of Italian poets speak of their relation with dialect writings,
underlining the significance and importance, within their experience, of the choice of
dialect, observations of living language, continuity or breakdown in relation to specific
dialect traditions and the adoption and/or search for a written standard.
Key words: Italian and dialect poetry, Baldini, Cappello, Cecchinel, Giacomini, Vallerugo.

1. Raffaello Baldini
Nato nel 1924 a Santarcangelo di Romagna, dal 1955 vive a Milano dove ha
lavorato come copy-writer e quindi come giornalista, coordinando le rubriche
di informazione culturale del settimanale Panorama. Ha pubblicato sei raccolte di poesie in dialetto romagnolo: E solitri (Galeati 1976); La niva (Einaudi 1982); Furistr (Einaudi 1988); Ad nta (Mondadori 1995); La Niva,
Furistr, Cicri (Einaudi 2000); e, infine, Intercity (Einaudi 2003). Considerato dalla critica pi autorevole (Mengaldo, Isella, Loi, Brevini) come uno dei
maggiori poeti italiani contemporanei, Baldini al tempo stesso, caso pi unico
che raro, un poeta popolare. inoltre autore di una raccolta di prose satiriche, Autotem (Bompiani 1967), e di tre monologhi teatrali, Zitti tutti, Carta
canta, In fondo a destra (Einaudi 1998). Di recente stato pubblicato il volu-

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Gabriella Gavagnin, Piero Dal Bon

me Lei capisce il dialetto? Raffaello Baldini fra poesia e teatro, a cura di G. Bellosi e M. Ricci (Longo 2003), in cui, oltre ad alcune interviste, sono raccolti tutti
i principali contributi critici sulla produzione baldiniana.
Qual il dialetto pi disponibile a uno scrittore: quello parlato o quello della tradizione scritta?
Per me, quello parlato.
Fino a che punto le sono serviti lesperienza e il modello linguistico di altri scrittori
dialettali?
C uno scrittore dialettale romagnolo che mi sempre stato caro: Olindo
Guerrini. E poi c Tonino Guerra, che per gli scrittori romagnoli stato un
discrimine. Dopo di lui non si poteva pi scrivere come si scriveva prima di
lui. Io dico sempre che Tonino Guerra stato per la letteratura romagnola quel
che Roberto Rossellini stato per il cinema italiano.
Esistevano unortografia e una grammatica pi o meno codificate o ha dovuto di volta
in volta cercare delle soluzioni personali?
Del dialetto romagnolo del mio paese, in cui ho scritto io, non esistevano
n una grammatica, n unortografia codificate. Per il semplice fatto che non
esisteva una scrittura. Il dialetto del mio paese stato messo su carta solo
nel 1946, con la prima raccolta poetica di Tonino Guerra: I scarabcc (Gli
scarabocchi). Quanto allortografia (e qui parlo non solo del mio, ma dei
vari dialetti di Romagna) ognuno di volta in volta ha cercato delle soluzioni personali: sicch si pu dire che il romagnolo non ha tuttora unortografia codificata. Di grammatiche non ho notizia, ma non escludo che ce ne
siano.
La mancanza di una norma scritta rende pi faticosa la scrittura o consente una
maggiore autonomia e libert?
Una maggiore autonomia e libert, non direi. Certo scrivere in una lingua che
non conosce o conosce appena la scrittura, , almeno ortograficamente, pi
impegnativo.
Anche il dialetto evolve; lei, nei suoi testi pi recenti, fino a che punto ha cercato
di assecondare i mutamenti del santarcangiolese?
Quanto pi possibile. Se si parte dallidea che il dialetto un animale orale,
chi scrive in dialetto oggi deve scrivere, il pi possibile, come parla la gente
oggi.

Gli scrittori e la norma

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

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Lei stesso traduce in italiano i suoi testi in dialetto; come opera?


Le mie traduzioni sono un semplice calco italiano del dialetto. Sono traduzioni di servizio. Tant vero che sono collocate al piede della pagina, in un
carattere molto pi piccolo di quello del testo.
Comunque, quando le sue traduzioni di servizio le sembrano pi lontane dalloriginale? In cosa cio il suo dialetto le sembra pi intraducibile?
Faccio un solo esempio. Nel mio dialetto ttt un pronome indeclinabile che
significa tutto e anche tutti. In certi casi ttt significa effettivamente tutto
e tutti, ma tradurlo tutto e tutti rischia di essere un po retorico, e si traduce
semplicemente tutto. Ma si perde qualcosa.
Spesso nei monologhi in dialetto dei suoi personaggi affiorano frasi ed espressioni
in italiano. Questo certo risponde ad unesigenza di realismo, ma mi sembra che,
nel contempo, ci sia anche una ricerca di precisi effetti stilistici, di cozzi significativi. cos?
Beh, la miscela del dialetto con litaliano non una novit n nella realt quotidiana n nella letteratura dialettale. Sempre i dialettanti si sono trovati, poniamo quando parlavano col dottore o col maresciallo dei carabinieri, a esprimersi
nel loro povero italiano. Non solo. Nel dialettante cera anche talvolta il bisogno di sottolineare certe affermazioni in dialetto traducendole nel pi autorevole, anche se non impeccabile, italiano. Io posso solo aggiungere che sul
risultato stilistico, quando questa miscela viene espressa in versi, il giudizio
tocca al lettore.
Perch dice dialettante?
Perch dialettofono non mi piace, mi fa pensare al grammofono. E poi dialettante contiene un po dironia, e, se riferito non tanto ai parlanti quanto
agli scriventi in dialetto, pu contenere un po dautoironia. Che non fa mai
male.
2. Luciano Cecchinel
nato a Revine-Lago, in provincia di Treviso, nel 1947. Laureatosi in lettere
moderne presso lUniversit di Padova, insegna materie letterarie nella scuola
media. stato uno dei curatori della pubblicazione Fiabe popolari venete raccolte nellalto trevigiano, manoscritto inedito di Luigi Marson, e ha pubblicato
vari articoli su argomenti di cultura popolare. Ha inoltre pubblicato le raccolte di poesie in dialetto veneto Al trgol jrt (1988), Senc (1992) e Testamenti
(1997). Si segnalano gli interventi su di lui di Zanzotto e Brevini.

126 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Gabriella Gavagnin, Piero Dal Bon

Qual il dialetto pi disponibile ad uno scrittore: quello parlato o quello della


tradizione scritta?
Sulla base della mia esperienza, probabimente analoga a quella di altri, penso
sia innanzi tutto il dialetto parlato dallo stesso scrivente nelle varie fasi o in
una certa fase della sua vita e, se in un periodo che abbia visto cambiamenti
marcati, quello appreso nei suoi primi anni: si innesca in questultimo caso,
pi o meno inevitabilmente, un percorso a ritroso verso il livello sincronico
della lingua dimprinting, in questo caso pi arcaica rispetto a quella al momento parlata.
Essendo poi una peculiarit del dialetto la differenziazione anche dai tipi contigui, si tende allinizio di solito a procedere empiricamente, pensando che il proprio richieda degli accorgimenti diversi che per gli altri. Solo in un secondo
tempo, dopo che intervenuta una apprezzabile sedimentazione di scritti, ogni
dialetto presenta il vero conto di una trascrizione ortografico-fonetica coerente, oltre che al proprio interno, con quanto gi registrato dalla tradizione scritta, conto che risulta tanto pi oneroso quanto pi il codice marginale e quindi
maggiormente conservativo.
Fino a che punto pu servire lesperienza o il modello linguistico di altri scrittori dialettali?
La commisurazione con la tradizione scritta da sbito feconda, ove si incontrino degli esemplari vicini al dialetto usato. In presenza di modelli nobili
il problema presto semplificato. Per quanto mi riguarda, ho avuto la fortuna di poter fruire in parte di questa possibilit, avendo a disposizione lopera in dialetto del mio grande conterraneo Andrea Zanzotto, che mi ha fatto
per alcuni aspetti autorevolmente da scia. Ho detto in parte perch essendo il mio un dialetto pi arcaico, quanto relativamente protetto da alcune
demarcazioni montane, mi sono trovato alle prese con la resa di molti suoni
peculiari della mia zona, soprattutto di quelli interdentali, assai frequenti e
marcati.
Per linterdentale z (come in zest, cesto o zera, cera) che si concretizzava in ragione etimologica, loperazione risultava automatica; non altrettanto
avveniva per linterdentale d che aveva vigore non solo per ragioni di etimologia (come per roda, ruota o seda, seta) ma anche di omofonia: nelle stesse preposizioni de, del, dal la d, quando situata in posizione intervocalica,
assumeva il suono interdentale; il dal preposizione veniva cos ad allinearsi
come contenitore di significato al dal (giallo) di ragione etimologica.
Per me arrivare a individuare questo fenomeno non stato facile ed avvenuto sulla base dellesperienza e non solo individuale giacch se si procede alla verifica della pronuncia per conto proprio, si finisce per indurre i
suoni in base allidea che si ha in quel momento in mente.
necessario pertanto confrontarsi con un altro parlante lo stesso codice e
ascoltarsi pazientemente a vicenda al di fuori di un intento dimostrativo diret-

Gli scrittori e la norma

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

127

to: solo cos pu emergere la regola generale, che si potr poi verificare attraverso le eccezioni che la confermano. In questo senso, con laiuto di un mio
ex-collega di insegnamento, ho potuto appurare che il suono interdentale d
risulta inibito quando preceduto dalla dentale t, dalla nasale n, dalla liquida l e dalla s, sia sorda che sonora: se ne forniscono qui nellordine alcuni
esempi (fat de / in do / sol de / fas de / sdefa).
Certo questo tipo di ricerca, anche se condotta allinterno della poesia in cui
i suoni fanno la loro parte, ha finito per sapere di pedanteria provinciale; ma
mi ha infine consentito, al di fuori di una competenza glottologica specifica, di
isolare alcune costanti della pronuncia del dialetto alto-trevigiano (o bassobellunese).
E tale pedanteria sa di masochistico in poesia perch non tutte le editrici,
come i programmi di scrittura, hanno a disposizione i simboli scelti. In generale solo quelle specializzate sui dialetti ne offrono una larga disponibilit. E
questo per la poesia pone dei problemi per i curatori delle antologie e, di conseguenza, anche per gli estensori dei testi. E qui si pone il dilemma: rispettare
del tutto i suoni del dialetto o procedere ad una resa media che ne agevoli
una trascrizione quanto pi vasta? Che poi vorrebbe dire sacrificare se stessi
sullaltare del codice o viceversa?
Esiste una ortografia o una pronuncia pi o meno standard o bisogna di volta in
volta cercarne una nuova?
Esistono certo dei manuali e delle riviste che coprono molte delle possibilit
di trascrizione del dialetto veneto, completi dei vari segni diacritici. Pur sulla
loro scorta, per certi dialetti marginali si tende comunque a prendere qualche
propria via.
Per portare dei miei esempi, mentre, ad esempio, in certi dialetti della
bassa si usa accentare le parole troncate in ragione del loro numero ridotto,
nella mia parlata la loro netta preponderanza nei termini maschili d loro il
crisma di regola implicita per cui pare non conveniente accentarli tutti, dato che
la collocazione dellaccento dovrebbe indicare leccezione di pronuncia rispetto ad un fenomeno diverso di portata pi generale. Fatta questa scelta, si pone
la necessit di accentare le parole troncate piane (zcol, pcol) per non ingenerare
confusione rispetto alla pronuncia di queste parole troncate in cui laccento
non cade sullultima sillaba rispetto a quelle ossitone come fienil (fienile) o
fierun (minuzzame).
Per non dover distinguere poi fra tutte le e e le o aperte e chiuse tramite loro sistematica accentazione si indotti a scegliere se collocare solo gli
accenti chiusi o quelli aperti lasciando come convenzione che tali vocali, se
prive di accento, andranno pronunciate nel modo opposto di quelle che lo
recano.
Per quanto mi riguarda, lopzione stata per laccentazione delle vocali
aperte e mi ha portato ad accentare alcune parole troncate ossitone, in contravvenzione della norma generale pre-enunciata per queste ultime: solr, stralt.

128 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Gabriella Gavagnin, Piero Dal Bon

Molti autori seguono poi per la s aspra la resa con la doppia (ss) ma la
comune pronuncia in italiano di tale doppio segno induce meccanicamente
ad una conforme lettura; cos, non pronunciandosi le doppie nella maggior
parte dei dialetti veneti, sembra pi opportuno usare la s singola per la pronuncia aspra e rendere di converso la sonora con la s con sopra un puntino.
Il fatto di dover affrontare il problema della norma scritta rende pi faticosa la
scrittura dialettale o consente una maggiore autonomia o libert?
Ove non si possa fare preliminarmente aggio o lo si possa solo in misura
parziale su modelli nobili, si prova certo dapprima un senso di spaesamento,
misto peraltro al compiacimento di procedere a una trascrizione diversificata
dalle precedenti; e tanto pi se si tratta di poesia, ove la proposizione di suoni
inusitati ha un ruolo del tutto particolare. Faticoso si presenta in un secondo
tempo fare i conti con un canone che dia coerenza interna ad un tutto ormai
consistente: e si talora costretti a variazioni di portata generale in ordine ad
un problema mal risolto.
Ma ci potr essere infine la soddisfazione di aver trovato un sistema calzante per il proprio codice e nello stesso tempo vicino ai canoni condivisi. E questa sar tanto maggiore quanto il codice sar stato pi soggetto ad erosione: la
trascrizione elaborata render in tal caso anche degli aspetti fonetici desueti;
altrettanto, purtroppo, non si potr mai dire per le costruzioni sintattiche, di
cui non si potr, in mancanza di congrua documentazione scritta, procedere a
un complessivo recupero. E della portata di tale perdita si ha talvolta la dimensione sentendo qualche racconto registrato da persone in et avanzata o, a suo
tempo, da altre che non ci sono pi.
3. Pierluigi Cappello
Nato a Gemona nel 1967, ha fondato e diretto la rivista La barca di Babele,
raccolta di voci in poesia friuliana. Ha pubblicato i volumi La Nebbia nel 1994,
Il m donzel, Amrs, Dentro Gerico, tra la seconda met degli anni Novanta e il
Duemila, alternando lingua e dialetto. Si sono occupati dei suoi versi Giovanni Tesio, Alessandro Fo, Giulia Calligaro e Anna de Simone. La rivista Poesia ha dedicato a Dentro Gerico un servizio in qualit di libro del mese nel
settembre del 2002.
Qual il dialetto pi disponibile ad uno scrittore: quello parlato o quello della
tradizione scritta?
Senzaltro, per me, il dialetto parlato il pi disponibile, anche se qui in Friuli una tradizione esiste, e forte. Dal Cinquecento. Ma a me interessa poco tutto
quanto precede Pasolini. Lui conta molto, per me, come conta il fatto di essere nato a Chiusaforte in cui vive linguisticamente una variante contadina di
slavo e carnico. E allora per aiutarmi uso una variante centrale della koin,

Gli scrittori e la norma

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

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muovendola, screziandola con apporti diversi, eterogenei. S, nel mio fare c


molta consapevolezza della eccentricit del dialetto. Per me una lingua del
sogno, del non-luogo, magico evocativa. Un mezzo per suscitare presenze mitiche, a partire dal crollo, dal collasso dei significati della civilt contadina.
un friuliano parlato che interiorizzo, ecco un parlato interiore. Se impiego
parole esistenti le combino o le illumino con un taglio di luce molto particolare. Magari gioco con una sintassi che reinventa, o ricostrusco parole, creo
neologismi. Per sganciarmi dalla realt, per entrare nella dizione del sogno.
Pasolini un maestro in questo senso.
Il fatto di dover affrontare il problema della norma scritta rende pi faticosa la
scrittura dialettale o consente una maggiore autonomia o libert?
Nella parola dialettale avverto un abbandono ad una sensualit dolce, ad un
erotismo naturale che in italiano dire mi sarebbe pi difficile, proprio per le
stratificazioni di una tradizione. Il dialetto pi leggero meno corposo meno
denso:
Inni
E cuan che tu sars gi muart, ma muart
chs tantis voltis dentri une vite
cha si di mur, alore slargje ben i tiei vi
a la cjavece dal sium
e clame cun te ogni bielece cha ti bisugne
e intal rispr di chel mont, met dentri il to:
cjamine pr cun pts lizrs e sporcs
come chei di chel che sivilant al va par strade
ma tant che cjaminant su un fl di lame fine
e al indul che tu i domandis
lui, ridint, a ti rispuint
cence principi o pinsr di fin:
Jo? Jo o voi discol viers inni,
i siei vi il celest, piturt di un bambin.

linfanzia, la sua lingua anche, nella sua musica almeno, nella libert fantastica e onirica delle combinazioni. Per questo mi sento molto libero a tutti i
livelli della scrittura. Lo scrivere in italiano, invece, che affianco a quello dialettale, unaltra cosa. come se mi sdoppiassi: e in dialetto dessi fiato alla
grazia di un surrealismo che evoca i paesi dellinnocenza, ad una sete di volo,
mentre in italiano, con litaliano, fronteggiassi la realt maggiormente, con
volont, muscolarmente.

130 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Gabriella Gavagnin, Piero Dal Bon

4. Amedeo Giacomini
nato a Varmo nel 1940. Per lunghi anni ha insegnato Filologia romanza
presso la Facolt di Lingue e letterature straniere allUniversit di Udine. La
nomina allinsegnamento di Lingua e letteratura friulana recente e significativa. Tra le sue prime opere si segnalano il romanzo sperimentale Manovre del
1968 e il trattatello venatorio Larte dellandar per uccelli con vischio del 1969.
Successivamente escono i versi italiani di Incostanza di Narciso e La vita artificiale.
Le sue prime opere poetiche in friulano Tiare pesante (poi confluita in Vr) e
Sfuejs vengono pubblicate tra il 1977 e il 1981. Nel 1987 esce il nuovo volume di versi friuliani Presumut unvir. Tra i contributi dedicati alla sua opera
spiccano quelli di Maria Corti, Dante Isella e Franco Brevini.
Qual il dialetto pi disponibile ad uno scrittore: quello parlato o quello della
tradizione scritta?
Quello parlato, senzaltro. Quello scritto un invenzione aleatoria e cervellotica. Per questo i ricercatori di dialetti letterari contano poco. Ma tutte le normativizzazioni interessano solo i politici, sono arbitrarie. Pasolini? Pasolini
operava non filologicamente come si vuole far credere. Saccheggiava un parlato
diretto, simmergeva in un vissuto, e poi si faceva aiutare a tradurre dalla gente
semplice, dai suoi ragazzi. Insomma il suo era un linguaggio parlato vocale.
Certo che poi lavorava di vocabolario... Io lavoro da dentro, con un altro dialetto, con varianti notevoli nella fonetica. Da dentro, senza letteratura, senza estetizzazioni bellettristiche. Le mie parole vengono dalla vita, dalle osterie, dalle
strade. A me la tradizione serve poco. Solo Pasolini un modello, ma negativo. Un idolo polemico. Senza di lui io non esisterei come poeta. Ma detesto
tutti quei suoi teatrini, quelle sue mitizzazioni del friulano sano bello innocente angelico. Menzogne. A me interessano i ragazzi veri, quelli che subivano
il lavoro e la religione come unimposizione, e si ubriacavano per disperazione.
Fino a che punto pu servire lesperienza o il modello linguistico di altri scrittori dialettali?
Ho iniziato tardi a scrivere in dialetto, dopo il terremoto che ha rappresentato una vera frattura storica, un passaggio traumatico da una storia ad unaltra,
una caduta brusca nella modernit. Ed ho iniziato per rabbia, ho scritto con rabbia. Anche le mie cose pi letterarie, i rifacimenti di pezzi di una tradizione
non solo italiana, anche russa, e penso a Esenin, Achmatova, o francese, volevano dire prendere dei significati dati e fargli dire qualcosaltro.
Esiste una ortografia o una pronuncia pi o meno standard o bisogna di volta in
volta cercarne una nuova?
Mi chiedi se esiste unortografia, unortodossia ortografica, e se mi baso su di
essa? No, decisamente no. Io mattengo allitaliano e tutte queste proposte,

Gli scrittori e la norma

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

131

queste regole e regoline di acccentine mi paiono robe dellaltro mondo. Ma ci


credi che mi hanno trasformato i versi, pubblicando, in Belgio, un edizione
corretta secondo principi che non condivido e stravolgendo pure il mio nome.
Amedeu? Amedei? Pausilins? Robe da matti. Sono dei leghisti secessionisti con
degli interessi economico-politici che non approvo.
5. Ida Vallerugo
Nata a Meduno, ha cominciato a pubblicare in italiano nella rivista LOsservatore politico letterario. Successivamente escono i primi libri: La porta dipinta
(1968) e Interrogatorio (1972). Dopo un lungo periodo di silenzio, fu un evento traumatico a riportarla alla scrittura: la morte della nonna nel 1979, la Maa
(mari, madre), affettuosamente chiamata Onda, con la quale viveva. Nasce
cos la sua prima opera poetica in friulano, Maa Onda (pubblicata per motivi
personali solo nel 1997, presso leditore locale, I quaderni del Menocchio). La
sua seconda raccolta di poesie friulane Figurae, una plaquette edita nel 2001
dalla collana La Barca di Babele, che un po provocatoriamente ha preso sede
proprio a Meduno, presso il Circolo culturale, con lintenzione di fare unistantanea della migliore produzione poetica regionale, sotto la direzione di
Pierluigi Cappello prima e di Amedeo Giacomini poi.
Qual il dialetto pi disponibile a uno scrittore: quello parlato o quello della tradizione scritta?
Per me sicuramente quello parlato, anche per il rapporto intimo che si instaurato tra la mia poesia e il dialetto. una specie di lingua del sangue, degli affetti. E in questo insostituibile. Ci sono suoni e evocazioni intraducibili dal dialetto
allitaliano. La parola luce, per esempio, bella; ma quanto di pi c in ls, e
cos in vous (voce), ts (taci). Ecco, con queste parole mi si aprono mondi completamente diversi rispetto a quelli della mia poesia in italiano.
Fino a che punto pu servire lesperienza e il modello linguistico di altri scrittori dialettali?
Io ho cominciato a scrivere in dialetto per caso. Me lo sono trovato dentro e mi
sono sorpresa che questo mio amante strano che la poesia potesse anche prendere la voce dialettale. Allora non sapevo neppure chi fossero gli autori friulani. Qualcuno era un nome e basta, qualcuno neppure quello. Certo, cera stata
la lettura di Pasolini in casarsese, ma non lo avevo considerato come battistrada di una via che avrei percorso anchio. Insomma, come poeta non mi
sentivo precisamente friulana, non se questo significava tracciare dei confini
linguistici o formativi. Scrivevo poesia e basta.
Esiste unortografia e una grammatica pi o meno standard o bisogna di volta in
volta cercarne una nuova? E il fatto di dovere affrontare il problema della norma

132 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Gabriella Gavagnin, Piero Dal Bon

scritta rende pi faticoso la scrittura dialettale o consente una maggiore autonomia e libert?
In Friuli la ricerca, ma bisognerebbe quasi dire limposizione, di una grammatica linguistica regolata da norme stata coeva al periodo in cui ho pubblicato Maa Onda, perci ho dovuto ritornare sopra i testi e aggiungere alcune
forme regolate, anche perch questo era il vincolo per la pubblicazione. Ma in
origine avevo seguito un po la fonetica e un po un dizionario friulano. S,
forse il soffermarmi troppo sul come scrivere avrebbe potuto ostacolare il
cosa dire. Comunque, per rispondere, in Friuli fin troppo presente questa
norma, tanto da snaturalizzare le varie parlate locali, molto diverse una dallaltra e difficilmente omologabili in una medesima grammatica.

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

133-137

La legge per la tutela delle minoranze linguistiche


A proposito degli Atti di un Convegno
Raffaele Pinto
Universitat de Barcelona

Abstract
La legge 482/1999 sulle minoranze linguistiche crea le condizioni per un radicale mutamento della cultura linguistica italiana, non solo nelle aree geografiche direttamente interessate dal provvedimento ma anche nel resto del paese, dove la secolare diglossia lingua/
dialetto potrebbe essere messa in discussione da una sensibilit linguistica pi attenta alla
realt plurilingue italiana.
Parole chiave: minoranze linguistiche, italiano e dialetti.
Abstract
Law 482/1999 concerning linguistic minorities establishes the conditions for radical change
within Italian linguistic culture, not only in the geographical area directly concerned by
the provisions of this law, but also throughout the rest of the country, where the age-old language/dialect diglossia may be giving way to the discussion of a linguistic sensibility that is
now more attentive to the plurilingual reality of Italy.
Key words: Linguistic minority, Italian and dialect.

I saggi che compongono il volume La legislazione nazionale sulle minoranze


linguistiche. Problemi, Applicazioni, Prospettive (numero monografico di Plurilinguismo. Contatti di lingue e culture, a cura di Vincenzo Orioles), in cui
sono raccolti gli Atti del Convegno di Studi tenuto a Udine nei giorni 30
novembre e 1 dicembre 2001, sono, nel loro assieme, una utilissima riflessione sulla legge 482/1999 e sul nuovo scenario che la sua applicazione viene a
creare nella realt linguistica italiana. Daccordo con la succinta sintesi svolta
nella Presentazione da Vincenzo Orioles, curatore del libro, gli interventi sono
stati raggruppati in 6 sezioni. La prima dedicata agli interventi istituzionali,
la seconda al contesto culturale allinterno del quale la legge 482 maturata, la
terza a temi centrali nel dibattito sulle minoranze linguistiche (come il concetto di identit, il problema della standardizzazione, lidea di cultura linguistica soggiacente al testo della legge), la quarta a lingue specifiche (il friulano

134 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Raffaele Pinto

Raimondo Strassoldo e Giovanni Frau, lo sloveno Emidio Sussi, il tedesco e il ladino Augusto Carli, lalbanese Francesco Altimari, il sardo
Giulio Paulis e Emilia Calaresu, il tabarchino Fiorenzo Toso), la quinta a questioni ancora irrisolte (lingue minoritarie diffuse, le nuove minoranze degli
immigrati, litaliano in Croazia), la sesta ai documenti (indicazioni di carattere sociolinguistico che gli studiosi intervenuti al Convegno propongono allattenzione di quanti sono coinvolti nella applicazione della legislazione sulle
minoranze linguistiche e una riflessione sul ruolo dellUniversit nella attuazione della legge 482).
Il nucleo politico della 482 (e delle successive leggi integrative e applicative) consiste, come noto, nella tutela di alcune lingue diverse dallitaliano utilizzate nel territorio dello stato. Nel suo articolo 2, citato da Valeria Piergigli (Le
minoranze linguistiche nellordinamento italiano, p. 53), la legge
impegna la repubblica alla tutela della lingua e cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, loccitano e il sardo.

La stessa studiosa osserva poi che


in linea con un atteggiamento che non mai venuto meno alla consapevolezza della opportunit di legare il tema della identit linguistica e culturale a
quello del decentramento territoriale, lart. 3 rende protagoniste le popolazioni e le istituzioni locali del procedimento di delimitazione degli ambiti
territoriali cui applicare le misure di protezione. Tuttavia, diversamente dai
precedenti progetti di legge, in luogo della autorit regionale ora il consiglio provinciale il soggetto incaricato di provvedere a siffatta operazione, previo parere dei comuni interessati; inoltre, liniziativa popolare o di una
minoranza consiliare ovvero qualora nessuna delle indicate condizioni si
verifichi lesito favorevole della consultazione della popolazione residente prescinde dal requisito della appartenenza individuale alla identit minoritaria, il cui rafforzamento risulta pertanto conseguente ad una scelta
imputabile alla maturit e consapevolezza dei cittadini residenti ed iscritti
nelle liste elettorali dei comuni che ospitano le minoranze linguistiche individuate dalla legge.

Lalto grado di discrezionalit che la legge attribuisce agli enti locali nella decisione relativa alla ascrizione del territorio alla lingua tutelata, viene inteso come
rischio di strumentalizzazione politica dei benefici derivanti dalla legge stessa
da Vincenzo Orioles (p. 21):
Una volta soddisfatti i requisiti meramente formali delle delibere di zonizzazione assunte dalle Amministrazioni provinciali, non c nessun modo di precludere laccesso alla tutela a comunit che per motivi populistici o anche solo
opportunistici abbiano proclamato la loro appartenenza a uno dei dodici ceppi
linguistici minoritari contemplati dalla legge.

La legge per la tutela delle minoranze linguistiche

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

135

Al riguardo, per, vale anche una considerazione di segno opposto, e cio che
gli enti locali divengono detentori di strumenti di politica linguistica che, investendo i processi primari della coscienza identitaria, li rendono per la prima volta
protagonisti di scelte culturali di grande portata, che non potranno non influire
sulla vita nazionale complessiva. Ed senzaltro un arricchimento e un approfondimento della democrazia nel nostro paese il fatto che vengano mobilitate la
maturit e consapevolezza dei cittadini residenti ed iscritti nelle liste elettorali dei
comuni che ospitano le minoranze linguistiche individuate dalla legge.
Bench arrivi in grande ritardo rispetto al dettato costituzionale, che prevede tale tutela nel suo aricolo 6, e nonostante alcune discutibili omissioni
nella descrizione delle lingue da tutelare e nelle funzioni in cui tale tutela viene
esplicitata, non c dubbio che la legge apre una epoca nuova nella cultura linguistica italiana, poich mette al centro della attenzione dei cittadini e degli
studiosi un problema che era stato sempre esorcizzato nel dibattito pubblico,
e cio il plurilinguismo costitutivo ed essenziale della societ italiana. Come
lucidamente osserva Fabrizio Cigolot (Assessore alla cultura della provincia di
Udine, p. 28), la 482 significa
il riconoscimento di una pluralit linguistica allinterno dello Stato italiano,
in contrasto con la concezione risorgimentale che identificava nellomogeneit
culturale uno dei principali fattori di legittimit del processo di unificazione
nazionale, e dunque di stabilit interna delle istituzioni (p. 27).

Al di l delle concrete iniziative di tutela, che in alcuni casi sono gi in


corso di attuazione, la nuova legislazione d finalmente forma giuridica al principio per il quale fra le libert individuali e collettive sancite dalla Dichiarazione
Universale dei diritti delluomo deve essere inclusa anche la libert di lingua
(principio che la Unione Europea venuta progressivamente assumendo nella
sua legislazione):
La libert di manifestazione del pensiero e luguaglianza delle persone dipende in ultima analisi dalla possibilit di esercitare liberamente uno specifico patrimonio di tratti culturali e di prerogative naturali. In questo caso, il ricorso alla
lingua materna uno dei modi per garantire a chi fa parte di una minoranza
linguistica la piena espressione delle proprie capacit intellettuali. Inoltre poich luso di una lingua rappresenta un fattore di identificazione simbolica e di
appartenenza al gruppo sociale, il diritto ad usare la propria lingua pertiene per
sua natura ad una collettivit riconoscibile oltre che al singolo (Leonardo Savoia,
Componenti ideologiche nel dibattito sulle leggi di tutela linguistica, p. 86).

Leonardo Savoia insiste giustamente sul fatto che lintervento legislativo


deve essere il punto di partenza per una sensibilizzazione collettiva sulla realt
linguistica del paese che rappresenti un capovolgimento dello schema rinascimentale e risorgimentale basato sulla lingua unica rispetto alla quale tutte le
altre (e nessun paese europeo ne ha tante, di diverse da quella ufficiale) sarebbero di rango e prestigio inferiore, e che consideri finalmente lalterit lingui-

136 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Raffaele Pinto

stica come ci che essa : elemento naturale e necessario del linguaggio, nella
cui reale dinamica sociale il dialogo fra lingue diverse tanto essenziale quanto lo il dialogo interpersonale fra soggetti individuali (p. 86):
fondamentale che le leggi di tutela linguistica, come la 482, si inseriscano in
un processo di progressiva sensibilizzazione della societ, per cui la diversit linguistica sia percepita come un valore non solo allinterno dei sistemi legislativi,
ma prima di tutto negli atteggiamenti e nella coscienza delle persone.

Il coro di resistenze ideologiche che tanto da destra quanto da sinistra lapprovazione della legge ha suscitato, mostra quanto sia difficile sradicare dalla
mentalit degli italiani il pregiudizio relativo alla inferiorit (comunque intesa o motivata) delle lingue minoritarie. Latteggiamento sospettoso, se non
ostile, alla tutela di queste da parte di personalit di indubbio profilo progressista come Cesare Segre (p. 109-110) e Raffaele Simone (p. 110) rivela
anzi che tale pregiudizio sedimentato negli strati pi profondi della cultura
intellettuale italiana. Il carattere regressivo (cio anacronisticamente autoritario) di tali pregiudizi per evidente soprattutto in un argomento che spesso
li accompagna: e cio il fatto che gli sforzi destinati a tutelare le lingue altre
dovrebbero essere indirizzati a diffondere la conoscenza dellinglese. Si tratta
in realt di uno stesso atteggiamento di totalitarismo linguistico, che impone
una lingua unica sia sul piano nazionale (litaliano) che su quello internazionale
(linglese), conculcando in un caso e nellaltro il diritto alla diversit e la sua
tutela. ancora Leonardo Savoia che denuncia con lucidit il perverso nesso
ideologico-politico che lega i due atteggiamenti (p. 111):
Non sembra un caso che le pressioni a favore dellinglese presenti sui grandi
quotidiani dinformazione come nelle prese di posizione di giornalisti e intellettuali, vadano daccordo con la riforma della scuola del governo di destra che
prevede un primo contatto con linglese sin dal primo anno delle elementari (Corriere della sera del 30/7/2002), aderendo fra laltro a una precisa
esternazione del presidente del consiglio. In altre parole, le pressioni verso
forme di globalizzazione linguistica sono complementari con lopposizione al
riconoscimento dei diritti di libert, linguistici e pi generalmente sociali, e
in ultima analisi alla differenziazione culturale. In particolare nei sistemi democratici occidentali moderni hanno assunto un ruolo fondamentale nellindirizzare le scelte politiche quelle che Chomsky chiama entit legali
collettivistiche. Secondo Chomsky le teorie elaborate a giustificazione delle
entit legali collettivistiche, come ad esempio le societ transnazionali, si
basano su presupposti di tipo fascista o bolscevico, visto che riconoscono a tali
entit diritti superiori a quelli delle persone, e che esse sono insieme i controllori e gli strumenti dei governi e detengono un controllo reale sulleconomia e sui sistemi informativi e dottrinari.

Daltra parte, come osserva R. Gusmani (I perch di una posizione critica,


p. 118), gi Tullio De Mauro aveva sostenuto che la politica linguistica con-

La legge per la tutela delle minoranze linguistiche

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

137

temporanea doveva compiere un radicale mutamento di prospettiva, mettendo al centro della propria azione non la lingua che i cittadini devono usare ma
le lingue che essi vogliono usare:
La questione non pi quella di decidere a tavolino quale lingua debbono parlare gli abitanti di un luogo per la salvezza della loro stirpe [] La domanda
[] diventa: quale lingua o quali lingue vogliono parlare gli abitanti di un luogo?
E dunque, pi in concreto, quale il reale, effettivo insieme-lingua in cui localmente si ritrovano e comunicano? E ci sono e, se s, quali sono altri insiemelingua che ritengono utili alla loro vita o che gi effettivamente usano?1

appunto alla luce di questa nuova prospettiva ideologica che emerge il


significato profondamente democratico di quella mobilitazione degli enti locali a cui fa appello la legge, il cui difetto semmai quello di conceprie restrittivamente lambito linguistico della sua applicazione, cio di non generalizzare,
come osserva Gusmani,
le norme di tutela a tutti i patrimoni linguistici regionali e locali, alle letterature regionali e ad ogni forma di espressione culturale che affondi le proprie
radici nel tessuto storico-sociale delle regioni di appartenenza, evitando con
ci discriminazioni scientificamente infondate (p. 118).

Il problema quello della esclusione dalle norme di tutela innanzitutto di lingue sociologicamente affini a quelle previste dalla 482 (cio il tabarchino, la
lingua delle popolazioni zingare, o Rom, e il galloitalico parlato in Sicilia). Ma
poi anche delle lingue regionali (o dialetti), che solo per una artificiale convenzione nominalista possono essere distinte dalle lingue minoritarie, trattandosi di sistemi paralleli allitaliano e forniti di ininterrotta tradizione sia scritta
che parlata. Chi vorr negare al veneziano o al napoletano un valore simbolicamente identitario, sul piano soggettivo e collettivo, comparabile non solo con
le lingue minoritarie ma anche con la stessa lingua nazionale? Largomento della
loro non utilizzazione scolastica, che si adduce spesso, come marchio di inferiorit, per teorizzare il rango subordinato dei dialetti, deve essere rovesciato nel
controargomento della necessit della loro utilizzazione nelle scuole e nelle universit, poich il sistema educativo che deve adattarsi alla cultura linguistica delle
cittadinanze, e non viceversa (una volta ammesso, con Tullio de Mauro, il diritto soggettivo dei cittadini a decidere quali lingue usare ed imparare). Del resto,
la reazione a catena delle rivendicazioni linguistiche locali messa in moto dalla
482 gi iniziata (con la richiesta di estensione delle norme di tutela ai dialetti), e, come insegna lesperienza di altri paesi europei, per esempio la Spagna,
si tratta di un processo irreversibile, nei confronti del quale gli intellettuali e gli
operatori scolastici dovranno rassegnarsi stando a guardare, se non vogliono
partecipare attivamente al suo svolgimento.
1. T. DE MAURO, LItalia delle Italie, Roma, 1987, p. 34.

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

141-152

Poesia dialectal dItlia1


Jordi Domnech
Poeta

1. Els primers
Les cometes: lnic refugi per expressar la confusi amb qu ells usen la paraula dialetto. I demanar perd pel fet de veurem tan obligat a simplificar les coses.
Les poesies (literatures en general?) dialectals italianes sn tan velles com el
dialecte neollat tosc-itali. Per van anar abandonant de mica en mica el sentit de la modernitat (ms encara desprs de la formaci de lEstat Itali), recloent-se, amb totes les excepcions que vulgueu, en el particularisme. Sembla que
els italians inventen / reforcen la seva italianitat lingstica amb les guerres (per
aix deuen haver participat en tantes?). Les novetats potiques de desprs de la
Gran Guerra, sobretot el prefeixista futurisme, es fan, que jo spiga, noms en
itali. I desprs de la Mundial, el dirigisme cultural de lesquerra (lnic que
els van permetre) es fa al voltant del mite de la resistncia i les novetats de primera i segona hora es fan, un cop ms, en itali. I passa que, amb el temps,
1. [N. de la r.] Aquestes versions de poesia dialectal italiana que Jordi Domnech (Sabadell
1941-2003) ens havia lliurat poc abans de morir, han estat realitzades al llarg dalguns anys
(les darreres sn del 2003) en els quals ha demostrat una gran sensibilitat, tamb terica, per
aquest fenmen no gaire considerat fins i tot dins la mateixa Itlia. Malauradament no les
ha pogut veure publicades en el context daquest nmero dedicat a les llenges minoritries
i als dialectes italians (per b que ja havien aparegut en forma de plaquettes que ell enviava als
amics, i tamb a la revista electrnica Barcelona Review). Aquesta publicaci voldrem que
fos, a ms dun record afectuosssim, un reconeixement del deute intellectual que el dileg
amb les cultures minoritries t amb ell. Jordi Domnech Soteras va nixer a Sabadell lany
1941. Fou un bon coneixedor de les llenges i de les literatures portuguesa, gallega, italiana i dels diferents dialectes de la geografia itlica. Va publicar els llibres segents de poesia: Un
poema en dez anacos. Galego/cataln. Dun homenaxe a Joan Oliver (tradut al gallec per Basilio Losada, la Corunya: Edicis do Castro, 1974); En comptes de la revoluci (Barcelona: Llibres del Mall, 1984); La llei del parntesi (o tota precauci s poca) (Barcelona: caf Central,
1994); Histria de larquitectura (Barcelona: caf Central, 1995); Alba Pratalia. Relectures de
poesia sabadellenca (Sabadell: Fundaci Amics de les Arts i les Lletres, 1995); Vine, Venusvencia, a laigua, (amb pintures dAlbert Novellon) (Terrassa, 2001) i Amb sense (Palma:
Editorial Moll, 2002). Entre les seves traduccions cal esmentar: Herba aqu o all, dlvaro
Cunqueiro (Barcelona: Edicions 62, 1993), Senilitat, dItalo Svevo (Barcelona: Proa, 1987),
LAlegria, de Giuseppe Ungaretti (Barcelona: Edicions del Mall, 1985).

142 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Jordi Domnech

sorgeix una mena dacadmia formada pels epgons de segona i tercera generaci
de lhermetisme i de les neoavantguardes.
Simultniament, per, comencen a aparixer noms de perifrics del sistema (dialectals) que abandonen els particularismes, fent un tipus descriptura molt independent i amb moltes novetats. El panorama actual (ple tamb,
sha de dir tot, denganys i abusos) s esplndid i es tracta danar-ne parlant
mentre pugui interessar.
Cergoly i Calzavara van ser dos dels primers i val la pena dedicar-los la primera entrega.
Carolus Luigi Cergoly
Carolus Luigi Cergoly va nixer a Trieste lany 1908 i hi va morir el 1987. Va
escriure en itali i en la varietat vneta de la seva ciutat (amb un fort exercici multilingstic). Era periodista. Va fer de soldat contra lURSS i desprs va ser partis. La seva obra ms significativa s Latitudine Nord.
Arone Pakitz
Arone Pakitz
jueu amb rnxols
del gueto de Cracvia
un saltamart
import export
mort a Varsvia
el seu fill Simon
cirurgi a Viena
nomenat bar
per ordre del Kaiser
mort a Gorzia
Paola la seva filla
cantant dopereta
feta sab
per ordre del Fhrer
morta a Mathausen.
Arone Pakitz
Arone Pakitz / ebreo coi rizzi / del ghetto de Cracovia un misirizzi / import
export / morto a Varsavia // suo fio Simon / chirurgo a Vienna / fatto baron / per
ordine del Kaiser / morto a Gorizia // Paola sua fia / cantante doperetta / fatta
savon / per ordine del Fhrer / morta a Mathausen.
Beatrice Lukovic
Beatrice Lukovic
del Drama de Zagreb
esplndida actriu
especialista en Brecht

Poesia dialectal dItlia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 143

el cartell informa
avui Mutter Courage
aplaudiments sis sortides
grcies per les flors
tota frescor sexy
gens afectada
en els jocs damor
borinot amors
li agradava fer aix
per ofegar lavorriment
embarassada avortava
Mutter Courage
de res no li servia
la transfusi de sang
sota una llosa petita
la Beatrice Lukovic
de nou torna a ser terra
el cartell informa
avui Mutter Courage
de Bertold Brecht
protagonista: Olga Pohota.
Lukovic Beatrice
Lukovic Beatrice / del Drama de Zagravia / splendida attrice / specializzada in Brecht // la locandina avvisa / oggi Mutter Courage // applausi sei chiamate
/ grazie dei fiori / tutta frescura sexy / sensa ombra di posa / a far zoghi damor / calabrona amorosa / ghe piasseva cuss / strangola noia / incinta labortiva Mutter
Courage / a niente no serviva / sangue trafuso // sotto una piccia piera / la Lukovic Beatrice / torna de novo tera // la locandina avvisa // oggi Mutter Courage /
di Bertold Brech / protagonista: Olga Pohota.

Ernesto Calzavara
Ernesto Calzavara va nixer a Treviso lany 1907 i ha mort recentment a Mil, on
ha viscut gran part de la seva vida exercint ladvocacia. Va escriure gaireb tota lobra potica partint dun vnet molt central. El llibre que recull tota la seva obra
s Ombre sui veri. Ha escrit pgines teriques molt brillants sobre la seva opci
lingstica en breus assaigs, com ara Perch una poesia sperimentale in dialetto?
Paraules boges
Rames que remen que respiren de ram rosat
rama rem rimes roma ruma
per tot arreu ferralla que cau
damunt el coll de la Mort de les arracades daram.
I busco vaig no s per on
per quina ra no veig no s
per runes arran de runes
runa hores de sol

144 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Jordi Domnech

en aiges negres que fregeixen pescadors i peixos


en la creu de desprs.
Maraori rua quicaribo
ara ja ms amors ara ja resten
paraules boges.
Resteu no us moriu
no sem moriu a les mans
resteu resteu paraules.
Parole mate
Rame che rema che respira de ua rosa / rama remo rime roma ruma / rotami
dapartuto che casca / sul colo dea Morte dai recni de rame. // E mi erco mi vago
no so par dove / par che rason no vedo no so / ma rovine rente rovine / rovinassi
ore de sol / su aque nere che frise pescaori e pessi / in crose di po. // Maraori rua
chicaribo / romai amori pi romai resta / parole mate. / Rest no morir / no morme in man / rest rest parole.
La demanda
La porta del Ministeri
Lescala del Ministeri
La sala mil noranta
Els papers de m en m
La taula de la Comissi
amb cinc persones al voltant
i les burilles dun cendrer.
Saixeca el Primer Membre.
Judici objectiu, diu.
Saixequen els altres Membres.
Judici objectiu repeteixen.
A seure i que tanquin la porta.
Els caps que bullen
Els caps que sespremen
Els caps que degoten.
Drets i que obrin la porta.
La demanda ha estat rebutjada.
La sala mil noranta
Lescala del Ministeri
La porta del Ministeri
La llosa del cementiri.
La domanda
La porta del Ministero / Le scale del Ministero/ La cmara milenovanta / Le
carte di man in man / La tla dea Comission / co inque persone torno / e le ciche
dun portaenere. // Se drissa el Primo Membro. / Giudizio obbiettivo el dise. /
Se drissa i altri Membri./ Giudizio obbiettivo i ripete. / Sentarse e che sis serada la porta. // La teste che boie / La teste che struca / Le teste che sgiossa. // Alzare
e che la porta sia verta. / La domanda stata respinta. / / La cmara milenovanta / Le scale del Ministero / La porta del Ministero // La piera del imitero.

Poesia dialectal dItlia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 145

2.
La confusi a Itlia sobre qu vol dir dialectal s tan gran que els dos autors
davui, que escriuen en dos sistemes que cap lingista decent dubtaria a qualificar de llenges de ple dret, el frils (Zannier) i el sard (de Logu), apareixen sempre amb la qualificaci de dialectals. Cal no ser innocents i
tmer que es tracta duna confusi perfectament calculada pel sistema predominant, cultural o poltic, per intentar ficar-ho tot en un mateix sac, rebaixant-ho a una cultura de segona. Potser un dia sadonaran (els de la lingua)
que aquesta pressi sels ha girat en contra i ha ajudat a crear la brillant
expansi actual de la poesia perifrica a Itlia, sorgida, entre altres raons,
possiblement per sortir dun cert academicisme (encara que vestit, sovint,
de novetat).
Luciano Zannier
Luciano Zannier viu a Spilimbrc. s un dels principals terics sobre poesia
dialectal italiana: en sn exemples els lcids estudis Il rosa del tramonto i Poetiche dialettali. Obra en frils: Pale Maer, Pale da la Gialne i Pale dal Noglr.
En catal hi ha una plaquette, Conversa al Caff Pedrocchi, compartida amb el
poeta vnet Cesare Ruffato.
VEIG fonts esbarzers horts closes pujades
artigues graves canals feixes cellers
veig castlans podadors garbelladors
trepitjadors fusters capatassos pastors
gaiters capellans cambrers
veig corbs degans desnerits petits pagans
esquirols guenyos alemanys esquilats i guerrers
mal llamp em mati noms veig un belluguet noms veig
treballs sovint la mort
O VIT agarnes barz centes clves / frtes glries res rncs zelrs / o vit ciastelns cimadrs crivelrs / foladars maramgns mstris pastrs / pividrs prdis scalcs // o vit crovz dens mcui pitns pagns / schirz sguerzis todscs tosz
e ures // flc mi trai no vit che un cact o vit sal / fadiis disps e murt
fbrica de mort el teu inici de segle per aix tu ets amb mi
generosa de cor no vols canalla a les processons noms
dones dhomes esvanits tesmento un petit cosac uns
silencis que parlen al meu cor arronses les espatlles no
es tracta pas daix
frbiche de murtn ti inizi scul par chst cun me tu ss
largie di cr no tu vuelis canaents prucisions sal
femines duming smamz e ti dis dun cosac pitinn di
cidinaminz ca favelin al gn cr tu strenzis les espales e no
son prpit cs

146 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Jordi Domnech

Innassiu de Logu
Innassiu de Logu o Ignazio Delogu va nixer a lAlguer lany 1928. Viu a Ssser. Catedrtic de llengua catalana i espanyola. Va lluitar per la caiguda del
franquisme. De la seva producci italiana hi ha tradut el llibre Improbabile
viola2 i la plaquette, Elegia corporale.
Usini sant Usini borratxo
Usini sant Usini borratxo
els carrers sn de fang
amb pedres de suor.
Billia sest al llindar
amb un fal a la m.
Aquest vespre torna Totoi
el miner de Canaglia.
Una cornada ha mort
el fill del ferrer.
Dels ganxos de lescorxador
fa tres dies que en penja
el bou Carabella.
Plora Maria Marchesi
que ha fugit del bordell.
Usini santu Usini imbreagone
Usini santu Usini imbreagone / sas carreras son de ludu / cun pedras de suore.
/ Billia es frimmu in su giannile / cun duna istrale in manu. / Istasero torna Totoi
/ su minadore dae Canaglia. / Unincorrada ha mosthu / su fizzu e su frailarzu. /
A soa ganzos de masellu / tres dies estappiccaddu / su oe Carabella. / Pianghet
Maria Marchesi / fuida dae su burdellu.
Terra meva
Amb lull de lovella
et miro amb lull
blanc i viola de lovella
amb lull blanc i cec
de lovella a lull
cec de lovella hi
planto una alzina un
coscoll i una morera
en aquell ull hi planto
una flor de lliri groc
com la llimona verda com
lherba que creix a la primavera.
Amb lull de lovella et
miro i amb lull de lastor
2. [N. de la r.] Ignacio DELOGU, Improbable vida, traducci de Jordi Domnech, Barcelona:
Columna, 1995.

Poesia dialectal dItlia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 147

de la guineu i del senglar


i de la mostela
amb lull de la font
obert dia i nit amb lull
de la rosada que es tanca
quan ve el mat
i lherba neix muda
amb la boca tancada daquelles
pedres serrades com dents
cobertes de pols i de cal.
Amb lull de cada pedra
de cada flor i de cada animal
i de totes les coses que hi ha
dins lull de lovella
et miro terra meva
per estimar-te i cantar
una can de bressol.
Terra meva
Cun soju de sarveghe / tabbaido cun soju / biancu e biaittu de sarveghe / cun
soju biancu e zegu / de sarveghe in soju / zegu de sarveghe bi / pianto un chercu
unu / elighe e una morighessa / bi pianto in cuddoju / unu fiore e lizzu grogu / che
limone bisde comente / serva chi creschede in beranu. / Cun soju de sarveghe ti /
miro e cun soju e sastore / de su grodde e de sirvone / e de sa tana e muru / cun
soju de sa fontana / abesthu die e notte cun soju / e su lentore chi serrada / a parte
e manzanu / ei serva naschende muda / a buca serrada dae cuddas / pedras istrintas che dentes / covacadas de piubare e calchina. / Cun soju de ogni pedra / de ogni
fiore e de ogni animale / e de ogni atera cosa chistada / in soju e sarveghe / tabbaido terra meva / pro tistimare e cantare / unu cantu e anninnia.

3.
Cosa impensable entre nosaltres, hi ha una abundant literatura sobre els perqu de lopci lingstica entre els poetes dialectals italians. Em sembla molt
significatiu. I potser val la pena saber quina s la visi daquesta qesti que
tenen alguns dels que hem esmentat.
Dues respostes dErnesto Calzavara a les seves preguntes Perch il dialetto?
i Perch una poesia sperimentale in dialetto? He triat el dialecte per necessitat
expressiva. El primer llenguatge que vaig aprendre desprs de nixer va ser el dialecte, el de Treviso que, tot i que fa tants anys que jo parlo habitualment en
itali, quasi sha fet connatural amb la meva estructura psicofsica. Per a mi,
lanomenat experimentalisme no s, i no pot ser res ms que una adequaci
natural i espontnia a les necessitats expressives, determinades per les noves
maneres de viure, de comunicar i dexpressar-se del mn modern.
Magnfic, Zannier: Voler aclarir les raons per les quals sescriu en dialecte s com voler comprendre les raons duna vida. Per qu no se li demanen les mateixes raons a qui escriu en itali?

148 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Jordi Domnech

Una llarga consideraci de Delogu: Jo sc, ms que bilinge, trilinge


(sard-catal de lAlguer-itali), amb una forta i natural propensi per una quarta llengua, el castell, que a Sardenya ha estat de casa. Tres, quatre llenges sn
altres tantes cultures. Em sorprn el fet dhaver estat tant de temps, literriament,
poticament monolinge. Fins que mhe adonat que, sufocant la llengua natural o axial, corria el risc de tornar-me bablic o afsic. La vida, ladhesi al meu
poble, a la seva llengua, a la seva histria, lassumpci de responsabilitats a la
qual aquestes coses mhan obligat, mhan indut a lescriptura potica en llengua sarda que, de deb, no sabria definir com a dialectal.
O, finalment, la rotunditat de Civitareale: No ho s dir.
Opinions diverses, contrries o coincidents, molt reveladores de lexcepcional complexitat lingstica de lEstat itali.
Achille Serrao
Achille Serrao va nixer lany 1936. Evoluciona de lescriptura potica en itali a lescriptura en dialecte de la Campnia, des del primer Coordinata polare
fins a lencara indit Cantalsia, al qual pertanyen els dos poemes traduts. s
editor de diverses revistes de poesia i autor dimportants estudis sobre poesia (dialectal o no), entre els quals destaca lutilssim Presunto inverno-Poesia dialettale
(e dintorni) negli anni novanta.
Abans que pugi la lluna
Abans que pugi la lluna
calam un cistell de paraules
infectes, paraules trenades amb vmets
una de lleugera una darrodonida, aire i aire, el cel
els ulls duna mort jove
quan la fosca s ms fosca
calam paraules per a les xacres
daquest mn
Amb una mica de fortuna
que est pujant la lluna.
Primma ca saglie a luna
Primma ca saglie a luna / aclame na sporta e parole / mmescate, parole e vinghie ntrezzate / una lggia nata tunnullla, aria e aria, o cielo / lluocchie e na
morte piccerella / quanno o nniro chi niro / aclame e pparole pscippacentrlle / e chistu munno // Cu nu poco e fortuna / ca sta saglienno a luna.
Hi va haver un temps
Hi va haver un temps en qu les paraules
no canviaven laire, don jo sc
es fregien amb loli
de la murrieria retingudes darrere la boca
per por, per convenincia, jo qu s

Poesia dialectal dItlia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 149

una obsessi aquest silenci Nhi havia prou


amb una ullada, una estreta de mans i ja ho tens:
una altra forma de parlar. Noms arran
del llit del mort sencenia
una baralla de veus un bellugueig
com docells nus per unes
quantes molles de pa.
Nu tiempo c stato
Nu tiempo c stato che pparole / nun cagnavano llaria, addu nuje / frivano
cu lluoglio / da iacuvella arto a vocca attenute / peppaura, cummeninza che
ssaccio / nu chiuovo stu silenzio Abbastava / na guardata, astrenta de mmane e
ttcchete / nata manra e parl. Sulo vicino / lietto do muorto succedeva / nappcceco e voce nu vtta / vtta comme daucille annude / pe quacche presa e pane.

Pietro Civitareale
Pietro Civitareale va nixer a Vittorito (LAquila) lany 1934. Viu a Florncia
i escriu en itali, en el dialecte dels Abruzzi i en la variant del seu poble natal.
s traductor de poesia en castell. Carlos Vitale va traduir el llibre titulat Alegoras de la memoria i, molt ms recentment, Antoni Claps ha tradut Metamorfosi del silenci. Els poemes traduts pertanyen al llibre Vecchie parole, 1990.
Velles paraules
Llavors, cap altra via
per tornar-se a sentir vius: noms
aquest sender de campanya, on
no arriba el sol i les branques
dels arbres sn fetes de rosada.
De lesp, el mar, se nobre
la flor; del vent, el mat.
Velles paraules damor
em tornen a la ment, mentre
a travs dels vidres miro el vespre
i la neu de la muntanya.
Vecchie parole
Allure, nesciunutra vejje /pe resentirse vive: sulamente /sta viarelle de
campagne, add / ju sole ne jogne i de uazze / s fette i renme de le piante. /
Dajju spine, a marze, scoppe / ju fiore, dajju viente la matine. / Vecchie parole damure / me reviue mmente, mentre / da i vetre uarde la sire / i la neve alla
muntagne.
Un fil dor
Es lleva el dia sota un llenol
de nvols bruts i de sobte

150 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Jordi Domnech

sobre una llarga esquerda lluminosa,


sorgeix una flor tnue de foc.
Un fil dor, un calfred de llum
entre les ombres fosques i ms amunt
platges de nvols rossos, pous
serens i profunds datzur.
Un file dore
Abbote ju juorne sotta nu lenzule / de nvele sporche, i allampruvvise / sapre na longa pertuse lucente, / scoppe nu suttile fiore de fiuche. // Nu file dore,
nu freilicce de luce / mmiezzallombre schiure; i ammonte / spiagge de nvele
bionde, puzze / cujjete e fenniute dazzurre.

4.
El mn de la poesia dialectal italiana es va enriquint, no solament amb ms (i
millor) producci (que deu ser la part indispensable), sin tamb amb la multiplicaci dun sistema de relacions transversals a fi, suposo, de crear un efecte xarxa que doni coherncia a una realitat que, vista des daqu, sovint pot
aparixer (per qu no dir-ho?) massa fragmentada. Galeusca amunt, Galeusca avall, cadascuna de les literatures no espanyoles de lEstat sempre ha prets
(o ho ha fet veure) que era com qualsevol literatura normal. Possiblement a
Itlia els calgui construir-se lenfortiment per mitj de la coneixena dels problemes i les potencialitats comunes.
Un exemple daquesta manera de fer transversal pot ser el Convegno Internazionale sui Sistemi Linguistici Minori que va tenir lloc a Riva del Garda
(Trentino) a comenaments doctubre del 2003, on hi parlaren Giose Rimanelli:
Letteratura come autobiografia; Marco Gal: Il mondo franco-provenzale
attuale; Cesare Ruffato: Poetare in dialetto, oggi; Elio Fox: La poesia dialettale trentina; Marcello Graiff: La parlata nonesa; Luciano Zannier: Il
Friuli: problemi sociolinguistici ed attivit letteraria; Roland Verra: Movimenti nella letteratura ladina contemporanea; Fiorenzo Niccolusi Castellan:
La parlata cimbra i Leo Toller: La parlata mchena. Hi va haver, tamb,
una comunicaci sobre La realt linguistica catalana. Nespero bones notcies,
ms coneixements i poder-ne fer de corretja de transmissi.
Cesare Ruffato
Cesare Ruffato va nixer a Pdua lany 1924. s metge i ha estat catedrtic de
Radiologia i Radiobiologia a la Universitat daquesta ciutat. Sel pot considerar un dels majors poetes vnets actuals. Gran part de la seva obra potica dialectal ha estat aplegada a Scribendi licentia, Marsilio, 1998. Ha estat tradut a
moltes llenges, entre les quals el castell: Poesas escogidas (Huerga i Fierro
editores, 2000). Fa un treball crtic i editorial important. Els poemes triats pertanyen al llibre Diaboleria, 1993.

Poesia dialectal dItlia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 151

Aquesta plana el nostre mn


En aquesta plana arracono la lluna
i la boira darrere els arbres
a fi que les cases siguin clares
en el cor de la flama que adorm
les ombres en els murs i les contalles.
A lhora ms freda del dia
quan la terra desprn aquella mica
de calor que ha absorbit del sol
pels recs i els camps resplendeix
una calitja baixa que recorda
un respir de llibertat
i alguns crits sn la nostra conscincia
en cerca de llibertat.
Sta pianura nostro mondo
Su sta pianura incantono la luna / e le nebie drio i alberi / perch le case staga
ciare / in cuore de fiama che indormensa / le ombre sui muri e i fil. / Nel momento pi freddo del giorno / co la tera d fora quel poco / de caldo sorbio al sole / pei
fossi e i campi slsega / un caligheto basso che sa / respiro de libert / e qualche sigo
xe la nostra cossiensa / in cerca de verit.
La mina del cor sescampa
La mina del cor sescampa
tranquilla pels ossos envellits
que shan tornat vmets entre els grans sospirs
de totes les coses mentre
bufem damunt les llars de foc atordits
mandrosos i els ulls ens couen pel fum
de les tises i la polenta
i els vells en un rac passen
el rosari. Els neons de la ciutat
insulten aquestes penombres!
Em panseixo amb lolor del foc
que sapaga, una process declina.
Lhivern damunt aquesta plana
s ben b una pres.
La mina del cuore se spande
La mina del cuore se spande / chieta sui ossi inveciai / ramai strope fra i gran
sospiri / de tute le robe, intanto / se supia sui fogolari intontii / pigroni e i oci sbrusa al fumo / dei stissi e de la polenta / e i veci nel canton sgrana / la corona. El
neon de sit / insulta ste penombre! / Minfiapo a lodore del fogo / che se stua, na
procession tramonta. / Linverno su sta pianura / xe dassn na presosn.

152 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Jordi Domnech

Edoardo Zuccato
Edoardo Zuccato va nixer a Cassano Magnano lany 1963. Ha publicat els
llibres Tropicu da Vissvar, 1996 i La vita in tram, 2001 i en nombroses revistes i volums collectius. s redactor en cap de limprescindible Testo a Fronte,
semestral de teoria i prctica de la traducci literria. s professor de literatura anglesa a la Univeritat IULM de Mil. Els poemes triats sn del llibre Tropicu da Vissvar.
De la via abandonada al llarg del riu
De la via abandonada al llarg del riu
en resten les travesses encara en fila, deslligades,
espina dorsal dalguna bestiassa
desapareguda no se sap ben b com.
Per damunt dels rails carregats de sol
hi passen llestes les sargantanes.
Daa feruvia bandun dr al fimm
Daa feruvia bandun dr al fimm / ghinn i traversinn anm in fila schinchgn, / resca o firn dun quaj bestion / spar sa sa ben no cum. // In si binari,
carighi da su, / passan via di lisert.
Les paraules sn antigues
Les paraules sn antigues
desgastades pels anys i joves com laigua
i te les trobes
com els pescadors
el riu que sho emporta tot
i quan i on vol
retorna els morts ofegats.
I parol hinn antigh
I parol hinn antigh / consm di ann, e giinn m lacqua, / i te i trat l / cum
i pescadur / ul fimm chal mena via tscss / e quand e du al vr l / al d indr
i mort neg.

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

155-166

Litaliano nellepoca della globalizzazione1


Claudio Marazzini
Universit del Piemonte Orientale A. Avogadro, Vercelli

Abstract
Larticolo cerca di fare il punto sulla situazione reale dellitaliano nella situazione attuale, nel
momento in cui esso rischia di essere preso in una pericolosa tenaglia: da una parte linglese
afferma sempre di pi il suo primato, dallaltra si manifestano forti spinte regionalistiche,
vengono varate leggi per la protezione delle minoranze, altre lingue locali premono per avere
uno status protetto dalla legge rubando spazio alla lingua nazionale. Intanto, per, la partita
decisiva di questo capitolo della questione della lingua non si gioca in casa, in Italia, ma in
Europa, dove si stanno per scegliere le cosiddette lingue di lavoro comunitarie. Di fronte a
tutto ci, c chi vanta i successi internazionali dellitaliano e si compiace delle magnifiche
sorti progressive. In realt meglio essere molto pi cauti nel valutare la situazione in corso.
Parole chiave: Lingua italiana, XXI secolo, lingua nazionale, anglicizzazione, lingue minoritarie.
Abstract
The article attempts to provide an account of the real situation faced by Italian in its current circumstances, at the moment in which there is a clear risk of it finding itself, as it
were, between the devil and the deep blue sea: on the one hand, English is constantly
reasserting its primacy, and on the other, there are strong regional impulses; the approving of laws aimed at protecting minorities; and other local languages pushing for a legally protected status that, in effect, rob space from the national language. Meanwhile, however,
the decisive game in this chapter on the questione della lingua is not being played at
home in Italy, but away in Europe, where the so-called working language of the community is about to be chosen. In light of all this, there are those who nevertheless make
great show of the international successes of Italian, and are delighted with its magnifiche
sorti progressive (magnificent, progressive fortune). In reality, it would be far better to
show greater caution in evaluating the current situation.
Key words: Italian language, twenty-first century, national language, anglicization, minority language.
1. Il presente articolo la versione riveduta di una conferenza tenuta il 23 ottobre 2003 a
Parigi, presso lIstituto italiano di cultura, nel corso delle attivit connesse alla Giornata
della lingua italiana organizzata dal Ministero degli Esteri.

156 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Claudio Marazzini

Come sta la lingua italiana? Dati statistici alla mano, i linguisti ci dicono che
litaliano non mai stato cos bene. In tutta la sua storia non ha mai avuto un
cos grande numero di parlanti: quasi 60 milioni di abitanti di ogni ceto sociale sono in grado di esprimersi quotidianamente in italiano, perch litaliano
diventato finalmente lingua di massa, lingua di tutti, cosicch sono persino
cambiate certe sue regole. Francesco Sabatini ha tenuto a battesimo quello che
ha chiamato litaliano delluso medio, caratterizzato da una serie di fenomeni prima confinati nel parlato, nella colloquialit, oppure semplicemente
messi a margine dalla presunzione dei grammatici, fenomeni che ora sono
diventati assolutamente normali, assimilabili allo standard.2 Articoli giornalistici ci assicurano che litaliano attraversa una nuova primavera, anche allestero. Molti si danno da fare per studiarlo, in varie parti del mondo. Da una
ricerca condotta dallUniversit La Sapienza di Roma e dallUniversit per
stranieri di Siena dal titolo Italiano 2000 (una sintesi stata pubblicata in
Internet: http://www.esteri.it/polestera/dgrc/ital2000.pdf ) emerso che litaliano tra le lingue pi studiate e che lattenzione dedicatagli allestero in
crescita. Nel 2000 il numero di studenti che ha frequentato i corsi organizzati dagli Istituti italiani di cultura aumentato del 38,2% rispetto al 1995. La
spiegazione sembra consistere dicono gli estensori del lavoro in un nesso
fra la tradizionale forza di attrazione della nostra lingua e i nuovi fattori economico-sociali-culturali: tale nesso fa s che lItalia e litaliano siano sempre
pi presenti come punti di riferimento nelle scelte che gli stranieri fanno circa
gli investimenti formativi nel campo linguistico. Si potrebbe tuttavia osservare che la crescita degli studenti di italiano piuttosto diversa a seconda delle
varie realt nelle differenti zone del mondo. Gli avanzamenti maggiori si hanno
in Asia e nel Sud America e Messico, mentre altrove, dove pure c una presenza storica di immigrati italiani, si hanno incrementi assai modesti. Va
per considerato che lelaborazione di dati relativi ai soli Istituti di Cultura
fornisce indicazioni parziali, perch sono corsi in genere finanziati dallItalia.
Il costo minore o ridotto a zero certamente un incentivo per lutente. Si tratta infatti di uno strumento che pu essere usato con sapienza per diffondere
politicamente la nostra lingua. Per sarebbe interessante sapere come vanno
le cose quando gli stranieri organizzano da soli i propri corsi e li finanziano:
questa indicazione renderebbe forse meglio limmagine di un libero mercato in
cui si rivela il reale prestigio di un idioma ed emerge la necessit o limportanza che i discenti attribuiscono a questa o quella lingua.
Quanto alle motivazioni per le quali si studia litaliano, la ricerca citata le
riconduce in buona misura al prestigio culturale del nostro Paese, secondo una
casistica largamente nota, gi emersa in una ricerca analoga del 1981.3 Ai temi
2. Cfr. Francesco SABATINI, Litaliano delluso medio: una realt tra le variet linguistiche italiane, in Gnter HOLTUS e Edgar RADTKE (a cura di), Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tbingen: Narr, 1985, p. 154-184.
3. Cfr. Indagine sulle motivazioni allapprendimento della lingua italiana nel mondo, Roma:
Ministero degli Affari Esteri - Istituto dellEnciclopedia Italiana, 1981.

Litaliano nellepoca della globalizzazione

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 157

della cultura letteraria e artistica si lega linteresse turistico. Sembra per acquistare importanza maggiore di un tempo la motivazione economica. Spesso si studia litaliano con la speranza di trovar lavoro in Italia. Probabilmente
limmigrazione dallAsia e dallEuropa dellest uno degli stimoli forti per la crescita dei corsi. Infine risulta che gli adulti sono indirizzati allapprendimento del
linguaggio settoriale delleconomia, dellarte, della musica, ma che lutenza pi
numerosa si concentra sul linguaggio della cucina. Se cos, forse i produttori di Brunello o di Barolo, o lArci Gola e la Fiera del tartufo di Alba potranno fare di pi, in futuro, per la lingua italiana di tanti scrittori o professori
universitari. Aggiungiamo che in tutto il bacino del Mediterraneo si guarda la
nostra televisione, la quale sia nella sua forma pubblica, sia nella forma privata e commerciale, propone migliaia di ore di conversazione, con una netta prevalenza del parlato informale nel suo aspetto quotidiano, dallitaliano delluso
medio in gi, appunto, il parlato-parlato, non solo lo scritto-parlato del Giornale radio o delle trasmissioni culturali.
Se si confronta la diffusione odierna dellitaliano con i dati che ci sono forniti dagli studiosi che si sono occupati del passato, non si pu non essere ottimisti. Secondo il celebre calcolo di Tullio De Mauro, al momento dellUnit
italiana (1861) erano in grado di sostenere una conversazione in lingua pochissimi connazionali, circa 600.000 su di una popolazione di 25 milioni di abitanti, cio una percentuale stupefacente per la sua modestia quantitativa, del
2,5%.4 vero che Arrigo Castellani ha rivisto il calcolo di De Mauro, ma le sue
stime sono riuscite ad alzare la percentuale non oltre il 10% circa, e nella nuova
percentuale pesa molto quella che i linguisti definiscono lItalia mediana,
cio una zona geograficamente limitata.5 Verosimilmente nessuno azzarder
mai stime che superino questo tetto del 10%. NellItalia di 150 anni fa, dunque, i dialetti dominavano la comunicazione, erano lunico strumento per il
90% circa dei cittadini, mentre oggi i dialetti ancora esistono, non sono morti
affatto, per nostra fortuna, ma non dominano pi il parlato in maniera esclusiva. La vittoria dellitaliano stata dunque totale, da questo punto di vista.
Gli italiani parlano italiano, gli immigrati imparano litaliano, gli stranieri studiano litaliano, lUnione Europea traduce i documenti in italiano, almeno per
ora. Che cosa chiedere di pi?
Dato tutto questo, ha senso parlare di pericoli per la nostra lingua, anche
di fronte alla inesorabile supremazia dellinglese? Sostanzialmente tutti i linguisti concordano sul fatto che i prestiti non sono nocivi. I calcoli compiuti, ad
esempio dalla redazione dello Zingarelli, tendono addirittura a minimizzare
la percentuale dei forestierismi in italiano.6 La tesi condivisibile, anche se
personalmente ho avuto modo di rivolgere qualche osservazione critica a un
4. Cfr. Tullio DE MAURO, Storia linguistica dellItalia unita, Bari: Laterza, 19723 [1963],
p. 36-45.
5. Cfr. Arrigo CASTELLANI, Quanti erano glitalofoni nel 1861?, Studi Linguistici italiani,
VIII, 1982, p. 3-26.
6. Cfr. la presentazione a Le parole straniere dello Zingarelli, Bologna: Zanichelli, 1996, p. 3:
i forestierismi sono qui calcolati come il 2,5% del totale delle parole registrate nel dizionario.

158 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Claudio Marazzini

calcolo che includeva tra i forestierismi i termini inglesi escludendo i derivati:


in questo modo entrava nel conto una parola come computer (che litaliano ha
adottato come prestito integrale, a differenza di altre lingue europee: vedi il
francese ordinateur e lo spagnolo computador), ma non entrava computerizzare, che pure produce la medesima violazione delle norme di pronuncia dellitaliano, in quanto il grafema u viene letto iu. Eppure, a parte questi dettagli
di poco peso, in un quadro generale di soddisfazione, qualche ombra pur si
affaccia allorizzonte. Ad esempio, nellUnione Europea quale lingua destinata a prendere il sopravvento? A garantirci, fino ad ora, ci sono stati i diritti
rigorosamente fissati in maniera egualitaria per le lingue dellUnione: tutte
pari, tutte rigorosamente protette, tanto vero che i documenti dellUE vengono tradotti con spesa ingente e con enorme consumo di energie, tanto pi
che si discute a volte su ogni singola traduzione in lingua nazionale con lo stesso impegno, moltiplicando le occasioni di conflittualit. Ma quanto durer
questa parit costosa e complessa? Tra le lingue europee, tra le lingue degli stati
dellUnione, quella inglese pu e forse deve assumere una funzione superiore,
anzi la sta assumendo, non tanto in virt dei meriti dello stato europeo che
lha come naturale, ma per la forza di una nazione potentissima esterna allUnione Europea, in qualche misura ad essa concorrente. Oggi ci si pu dunque
chiedere quale sar la lingua corrispondente allEuro, e si deve ammettere che
difficile non sia linglese. Non so dunque se potr continuare la fittizia parit,
specialmente se si aggiungono nuovi stati allUnione.
La crescita ulteriore del Circolo dellEuropa far venire al pettine il problema. Nel Trattato di Roma (25 marzo 1957), atto costitutivo dellallora
Comunit diventata poi Unione Europea (7 febbraio 1992: Trattato di
Maastricht), stabilito che tutte le lingue nazionali dei Paesi aderenti siano
considerate lingue ufficiali dellUnione stessa, con parit di diritti e di effetti. Ciascun cittadino dei Paesi membri ha in teoria il diritto di rivolgersi nella
propria lingua a qualsiasi istituzione comunitaria e di riceverne risposta nella
medesima lingua (ma gi ora non sempre cos). Inizialmente cerano le quattro lingue dei cinque Paesi fondatori (francese, italiano, nederlandese, tedesco): successivamente si sono aggiunte le lingue degli altri Paesi aderenti (danese,
finlandese, greco, inglese, irlandese, portoghese, spagnolo, svedese). A partire
dal 1 gennaio 2004, con lingresso di dieci nuovi Paesi, sar riconosciuta questa condizione alle lingue di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria. Presso i vari organismi
comunitari lavora attualmente una legione di traduttori e interpreti. Nellattivit
di numerosi organismi ristretti e negli uffici, per, le lingue di lavoro si riducono di fatto a tre (nella maggioranza dei casi linglese, al quale segue il francese e in minor misura il tedesco, questultimo grazie a una ottima politica
promozionale messa in atto da quel paese, che si accollato lonere di troduttori simultanei per far s che i propri rappresentanti potessero usare largamente
il tedesco: una politica che certo non stata seguita dallItalia). Insomma,
molto probabile, anzi certo, che possano mantenere un regime di parit protetta non tutte le lingue comunitarie, ma solo alcune di esse, quelle che dimo-

Litaliano nellepoca della globalizzazione

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 159

streranno di avere pi vigore, o magari un maggior numero di parlanti. C,


in proposito, una proposta italiana, che ha incontrato qualche consenso.
stata avanzata nel 2003 dai Francesco Sabatini e Carla Marello. La proposta, sulla
quale proseguir le discussione nelle sedi istituzionali, prevede che, se si riconosce definitivamente la necessit di ridurre fortemente il numero delle lingue di lavoro, si dia tale status a 5 lingue scelte tra quelle degli attuali Paesi
membri. La scelta dovrebbe avvenire secondo criteri opportunamente ponderati, compensando il privilegio accordato alle lingue di lavoro con programmi,
sostenuti finanziariamente dai Paesi di riferimento di tali lingue, intesi a promuovere la diffusione delle altre lingue fuori dei rispettivi Paesi (finanziamenti
per ricerche, istituzione di corsi scolastici negli altri Paesi dellUnione, formazione di traduttori e interpreti, soggiorni di docenti e studenti, ecc.).
Oltre allitaliano, anche altre lingue di antica e diffusa tradizione culturale,
come il castigliano, il portoghese, il polacco, lungherese, aspirano o possono
aspirare a diventare lingue di lavoro. Secondo la proposta Sabatini-Marello, si
tratta di orientarsi verso le lingue che soddisfino linsieme dei seguenti requisiti: 1) presenza del Paese interessato tra i fondatori dellUnione; 2) notevole
entit demografica del Paese (requisito che contribuisce a ridurre il numero dei
cittadini europei linguisticamente non rappresentati nella quotidianit dei
dibattiti); 3) gi apprezzabile diffusione della lingua al di fuori del Paese di
appartenenza nei diversi Paesi dellUnione; 4) entit del contributo del Paese
al bilancio comunitario; 5) antica ed estesa ricezione della cultura di quel
Paese nel tessuto culturale europeo. Come si vede, siamo ormai ad una battaglia
per la sopravvivenza, perch chiaro che non stare tra le lingue di lavoro dellUnione comporta gravissime conseguenze. In sostanza, queste stesse discussioni sono il segno di una debolezza dellitaliano. Sicuramente i punti deboli
emergono spesso, anche nella nostra esperienza quotidiana. Citer un caso
tipico: tempo fa un illustre collega, con il quale organizzavo un convegno
sulla storia della sintassi, pretendeva che nel convegno medesimo le comunicazioni fossero stabilite per tutti e senza distinzione in inglese, bandendo litaliano. Poich un mio allievo doveva parlare sullopera linguistica di uno
studioso del Settecento, il filosofo e grammatico Francesco Soave, e poich
questa materia entra nel campo dellitalianistica, ho difeso la possibilit di
avere anche relazioni in italiano. Forse per la prima volta mi sono trovato
invischiato direttamente nella questione della lingua, dopo averla studiata
a lungo in riferimento ai secoli passati. In Francia, il diritto di parlare in francese, in un caso come quello citato, sarebbe persino protetto dalla legge. Del
resto, sempre per rimanere nel mio campo di studi, evitando di far riferimento alla situazione delle scienze dure, in cui le cose vanno molto peggio,
posso ricordare che la Rivista di linguistica di Pier Marco Bertinetto (in
passato anchio sono stato membro del Consiglio Scientifico: ne porto dunque un po di responsabilit) praticamente tutta scritta in inglese. Da Bologna, il collega Scalise, illustre linguista, continua a inviare ai colleghi italiani
comunicati in inglese. Qualche anno fa, uno studioso del calibro di Alfredo
Stussi ha affermato:

160 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Claudio Marazzini

Quanto allinglese, a parte effimeri eccessi, inutile perder tempo a discutere


sulluso di singole parole che designano prodotti culturali, industriali ecc. che
cos sono stati battezzati allorigine: non si vede ragione di tradurle, tanto pi
che spesso si tratterebbe di sostituire un monosillabo inglese con unespressione italiana pi lunga e spesso vagamente ridicola perch dotta, letteraria,
artificiosa. Il punto per oggi un altro: non si tratta di parole, ma globalmente della lingua inglese di cui sempre pi ci serviamo e sempre pi si servono
soprattutto le generazioni di studiosi dai quarantanni in gi, non per moda
o esibizionismo, ma per continuare a far parte della comunit scientifica. []
Poco tempo fa la trasmissione televisiva Un giorno in pretura mostrava imputati (spesso abbienti) di varie regioni, dal Veneto alla Campania, che riuscivano a esprimersi bene solo in dialetto. Mi chiedo allora se la lingua italiana non
corra il rischio di tornare ad essere, comera secondo Villari prima dellUnit,
la lingua di qualche milione di arcadi, mentre i ceti produttivi useranno, a
seconda del loro livello, o linglese o il dialetto.7

Non ci preoccupa dunque la penetrazione degli anglismi, ma molto ci spaventa leventuale perdita di dignit dellitaliano scientifico. Tale perdita ormai
un dato di fatto in molte discipline, ad esempio nella fisica. In passato hanno
scritto in italiano studiosi illustri di fisica, da Galileo a Fermi e Amaldi. La
saggistica di taglio umanistico, come ovvio, conserva la fiducia nellitaliano,
a parte le eccezioni delle discipline linguistiche prima citate. Ma pu una lingua di cultura rinunciare al linguaggio scientifico (nel campo delle scienze
dette dure, intendo), e reputarsi ancora, a tutti gli effetti, una lingua di cultura? Non gi questo un segno di crisi? E forse non sono segno di crisi anche
i provvedimenti legislativi che si stanno succedendo con una certa intensit
in campo linguistico, fino alla dichiarazione recente che litaliano lingua
ufficiale della Repubblica? Di tale dichiarazione non si era mai sentito prima
il bisogno. A prima vista potrebbe sembrare una dichiarazione dettata dalla
forza dellitaliano, o magari una tappa nella presunta sopraffazione delle lingue locali e regionali. Le cose non stanno cos, perch questa dichiarazione
contenuta in una legge, la 482 del 1999, che ha per scopo proprio la protezione delle lingue di minoranza. Semmai, si sentito in bisogno di rassicurare anche sul fronte della lingua nazionale, mentre si stabilivano nuovi diritti per
alcune lingue minoritarie. stata poi avanzata la proposta di inserire la stessa dichiarazione di principio (quella secondo la quale litaliano lingua ufficiale della Repubblica) anche nella carta costituzionale, dove litaliano non
era mai menzionato. I Costituenti, padri della Repubblica, avevano prestato
attenzione alle lingue minoritarie, essendo fresca la ferita della politica fascista contro il francese della Valle dAosta, lo sloveno del Friuli e della Venezia
Giulia, il tedesco dellAlto Adige, ma non avevano citato in nessun luogo e in
nessun modo la lingua nazionale, a differenza di quanto accade in altre costi7. Cito le parole di Stussi, in risposta a uninchiesta giornalistica del mensile Letture (a.LXII,
n. 533, gennaio 1997), da Claudio MARAZZINI, Da Dante alla lingua selvaggia, Roma:
Carocci, 1999, p. 226-227.

Litaliano nellepoca della globalizzazione

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 161

tuzioni, come la Portoghese, la Spagnola, la Francese. Illustri costituzioni di


paesi democratici menzionano la lingua nazionale; ma non voglio dire che il
silenzio dei nostri padri costituenti fosse dovuto a mancanza di rispetto o di interesse. Forse la precisazione era superflua nel 1948; oggi laffermazione non
pi lapalissiana, stretto com litaliano tra le necessit della internazionalizzazione e la pressione dei localismi: perch le lingue locali, le lingue minoritarie,
ma anche i dialetti, premono in maniera abbastanza forte, ora che spira il
vento del federalismo.
Se le cose stanno cos, se la crisi dellitaliano scientifico reale, se le spinte allinternazionalizzazione possono assecondare la tendenza ad adottare in
toto linglese per compiti elevati, come ora si fa soprattutto nel mondo dei dotti
e degli scienziati, il bilancio della storia dellitaliano allinizio del nuovo millennio
pu essere diverso da quello che si profila nella celebrazione delle magnifiche
sorti e progressive da parte di chi vede solo segni di un andamento positivo.
Ci consola il fatto (mal comune mezzo gaudio, recita un proverbio italiano) che dalla crisi sono investite in uguale maniera altre lingue europee, a
cominciare dal francese, ex idioma internazionale che ora si difende disperatamente, anche a suon di leggi, imponendo la traduzione di certi forestierismi
ed emanando vere e proprie norme di protezione alle quali si guarda con curiosit anche in Italia, incerti se seguire il vicino doltralpe su questa strada. Ecco
dunque profilarsi il paradosso caratteristico della nostra storia linguistica: litaliano ha mietuto i suoi successi internazionali pi grandi proprio nei secoli
in cui aveva pochi o pochissimi parlanti in casa propria. un paradosso che
non suona gradito alle nostre orecchie, molto assuefatte a problemi di sociolinguistica. Ma la storia appunto maestra di diversit. Si parla spesso della
diversit come di una lezione utile alla nostra coscienza e alla nostra completezza morale. Perch, allora non accettare anche di confrontarci con la diversit che sta in noi stessi, cio con gli aspetti della nostra storia che ci riesce
difficile comprendere? Si pensi alla situazione dellitaliano dalle sue origini fino
al secolo XIX. Era una lingua senza nazione, a causa del ritardo dellunificazione politica. Il popolo conosceva solo i dialetti. Litaliano era una lingua impopolare, riservata alle occasioni speciali. Tale situazione sfugge persino alla
definizione scientifica di diglossia elaborata dalla linguistica moderna, perch
anche i dotti, i quali sapevano scrivere in maniera eccellente litaliano, probabilmente lo parlavano malissimo o non lo parlavano per nulla. Eppure lEuropa imparava litaliano e traeva ispirazione dalla cultura italiana. La posizione
forte dei modelli italiani durava da secoli: si pensi al petrarchismo e alla sua
diffusione; si pensi alla diffusione del modello novellistico di Boccaccio; al
bembismo; al vocabolario della Crusca del 1612, che, prima di diventare il
grande impaccio della nostra cultura nazionale, fu il primo grande vocabolario
europeo, al quale guardarono le altre nazioni, dalla Francia alla Spagna. LItalia, con il primato del vocabolario, aveva mancato di poco il primato nella
grammatica, settore nel quale arriv prima la Spagna, con Nebrija. Alla corte
di Lorenzo il Magnifico, comunque, L. B. Alberti aveva gi compilato la grammatica del toscano, anche se lopera rimase inedita. Ma la grammatica di Pie-

162 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Claudio Marazzini

tro Bembo serv da modello a pi di un paese dEuropa. Nel 500 litaliano,


con pochi parlanti in casa, era in grado di fornire prestiti alle altre nazioni, nel
campo della letteratura (termini come sonetto, madrigale, maccheronico, diffusi in francese, spagnolo, inglese), dellarchitettura, persino dellarte militare,
anche se gli italiani erano militarmente deboli di fronte a eserciti forestieri
invasori. Migliorini ricorda che Carlo V sapeva litaliano, che Francesco I conversava in italiano con Benvenuto Cellini, che Elisabetta dInghilterra era in
grado di scrivere una lettera in italiano.8 Si pensi alla diffusione dellitaliano
nellInghilterra elisabettiana, dove lo studio della nostra lingua era diventato
quasi un esercizio mondano nella buona societ. Jane Grey, la britannica disgraziata regina dei nove giorni, aveva studiato italiano sotto la guida di Michelangelo Florio, padre del pi famoso John, autore del noto dizionario
italiano-inglese.9 Giordano Bruno, in Inghilterra, non ebbe certo bisogno di studiare linglese, n dovette parlare sempre in latino.10 Opere come quelle di
Sarpi e del Marino furono pubblicate allestero, in lingua italiana, rispettivamente
a Londra e a Parigi. Dallo splendido libro Litaliano in Europa di un maestro mai
abbastanza rimpianto come Gianfranco Folena possiamo ricavare molti dati
sulla presenza allestero dellitaliano. Magalotti, ad esempio, scriveva da Vienna nel 1675 dicendo che in quella capitale non c chi abbia viso e panni da
galantuomo, che non parli correntemente e perfettamente litaliano.11 Infatti a Vienna si form una tradizione italiana importantissima, che arriva fino
allinizio dellOttocento; vi entra anche la lettera di Metastasio sul miglior
modo di insegnare litaliano allarciduca Giuseppe, futuro imperatore Giuseppe II; vi rientrano le rappresentazioni in italiano delle opere di Metastasio,
i libretti di Da Ponte per Mozart. Lo stesso Folena dedicava appunto un capitolo del libro citato allitaliano di Mozart e allitaliano di Voltaire. Si pensi,
ancora, per la Francia, alla presenza di unopera italiana stabile a Parigi, unistituzione per la quale lavor anche Goldoni, il quale anzi and a Parigi proprio per collaborare con la Comdie Italienne.
Dal Settecento in poi, quando si afferm in maniera irrefrenabile il primato internazionale del francese, litaliano matur la sua crisi. Ma va ricordato almeno un settore nel quale ha mantenuto un prestigio difficile da
contrastare: litaliano ha tratto immenso vantaggio dalla sua tradizione lirica,
dal melodramma: i francesi, gi alla fine del Seicento, insinuavano che la nostra
era la lingua dellirrazionalit, lingua di attori e cantanti, non di filosofi. A
parte il pregiudizio che permetteva (talora permette ancora oggi) di irrigidire il giudizio in questi stereotipi, sta di fatto che molti si sono accostati alli8. Cfr. Bruno MIGLIORINI, Storia della lingua italiana, Firenze: Sansoni, 19785 [1960],
p. 379.
9. Cfr. Giuliano PELLEGRINI, Michelangelo Florio e le sue Regole de la lingua thoscana, Studi
di Filologia Italiana, XII (1954), p. 90-91.
10. Cfr. Claudio MARAZZINI, Il secondo Cinquecento e il Seicento, Bologna: il Mulino, 1993,
p. 29 nota; Giovanni AQUILECCHIA, Ladozione del volgare nei dialoghi londinesi di Giordano Bruno, Cultura neolatina, XII, 1953, p. 165-169.
11. Gianfranco FOLENA, Litaliano in Europa, Torino: Einaudi, 1983, p. 425 nota 29.

Litaliano nellepoca della globalizzazione

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 163

taliano attraverso autori minori di grande merito, librettisti quali Felice


Romani, F.M.Piave, Cammarano, Solera, Ghislanzoni, e ancora Giacosa e Illica, Leoncavallo, Boito. Non stupiamoci troppo, dunque, se, avendo imparato litaliano su testi che risentono al massimo grado di quella che si definisce
la crisi linguistica dellitaliano poetico ottocentesco, nella sua difficolt a
conciliare registi alti e referenti bassi (descritta mirabilmente gi da De Lollis
nel 1929, un francesista che era anche grande italianista, e che fu maestro di
Bruno Miglorini), non stupiamoci se, con alle spalle questo apprendimento,
qualche straniero frequentatore del mondo della lirica, al momento di sedersi a tavola nostro ospite in un buon ristorante, ci dovesse dire: nel pensier gi
delibo questo desco. Non sar peggio delluso medio, come lo chiamerebbe Sabatini: cho fame.
Litaliano, bench quintessenza di letterariet, o anzi proprio per questo,
fu dunque una lingua di grande prestigio internazionale, negli anni in cui la
sua cultura brillava piena di fascino agli occhi degli stranieri. Consultiamo ora
un documento curioso e poco noto anche agli addetti ai lavori, lAtlas Ethnographique du Globe ou classification des peuples anciens et modernes daprs leurs
langues di Adrien Balbi (Paris, Rey et Gravier, 1826). Questa, secondo lAtlas,
risulta la diffusione dellitaliano allinizio dellOttocento:
[Langue] ITALIENNE, [est parl] par les Italiens dans presque toute lItalie
et les les qui en dpendent, dans le canton du Tessin et en partie de ceux des
Grisons et du Valais en Suisse et dans une partie du Tyrol mridional; en outre
on parle en italien et illyrien dans les villes de lIstrie et de la Dalmatie, et italien et romeka dans celle des les Ioniennes et dans lle de Tine; litalien est aussi
trs commun Constantinople et dans quelques autres villes marchandes de
lempire Ottoman. []

Non mi soffermer sui prevedibili riferimenti alla presenza dellitaliano nel


Canton Ticino, nei Grigioni, o nel Tirolo meridionale, designazione che a
quellepoca indicava il Trentino (non, come oggi, la sola provincia di Bolzano). Mi paiono per molto interessanti i riferimenti internazionali in cui si
rivelano le ultime tracce linguistiche lasciate dallunica vera potenza internazionale della storia italiana, cio la Repubblica di Venezia. Linfluenza di Venezia qui rivelata dai residui linguistici italiani (meglio potremmo dire
veneto-italiani) sulle coste della Dalmazia, sulle isole Ioniche, nellisola di Tinos
nelle Cicladi, base veneziana fino al 1718, anno della conquista turca; ed
prezioso e curioso, infine, il riferimento alla diffusione dellitaliano a Costantinopoli e nelle citt mercantili dellimpero Ottomano. Balbi non cita Malta e
la Corsica, di cui parla altrove, e in cui litaliano era di casa. N si pu dire che
Balbi non si rendesse conto di quanto litaliano, nella sua forma elegante e letteraria, fosse una lingua assolutamente impopolare. Infatti scriveva: La langue crite, qui nest nulle part gnralement parle, est connue toutes les
personnes bien leves et diffre beaucoup de la langue vulgaire, qui se subdivise en un grand nombre de dialectes.

164 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Claudio Marazzini

Pi avanti si aggiunsero altri luoghi di espansione dellitaliano oltre i confini della madrepatria: le colonie di Libia, Somalia, Etiopia; si ebbe la diffusione dellitaliano nel Dodecaneso e anche la gran massa di emigranti in America
del Nord e del Sud. Siamo cos agli anni della grande emigrazione, e poi agli anni
dellImpero fascista, lultimo periodo in cui si concepirono ambizioni relativamente a un destino internazionale dellitaliano. Se ne trovano le tracce in
certi interventi non di Mussolini, ma del ministro Bottai,12 e anche nelle pieghe di un articolo sulla pronuncia dellitaliano, intitolato Lasse linguistico RomaFirenze uscito in una rivista scientifica come Lingua nostra, fondata da
Migliorini nel 1939.13 Tutto sommato, ci non molto, come espansione
imperiale e coloniale di una lingua. Quasi tutte le nazioni dEuropa avevano fatto
molto di pi. Ma vale a questo proposito losservazione di Raffaele Simone,
una di quelle che possono lasciare a bocca aperta: Parlando un po paradossalmente, scrive Simone una delle Grandi Colpe Storiche del nostro
paese consistita nel non aver avuto un impero nel vero senso della parola.14
Ma sar poi una vera colpa, come scrive Raffaele Simone con il suo gusto
per lanticonformismo e il paradosso, o piuttosto un merito non da poco? Va
preso atto che litaliano, nella maggior parte della sua storia, si diffuso grazie
al pacifico consenso della periferia. Questa verit va ribadita con forza di fronte a chi cerca di presentare lItalia come un paese di lingue tagliate e litaliano
come la lingua di un impero coloniale. Sul piano storico, facile dimostrare
che le cose non stanno cos, che questa presunta violenza non si verific, perch la crescita dellitaliano nei secoli fu determinata dal consenso delle classi
dirigenti delle varie regioni, non da forza politica o militare di un sopraffattore. La letteratura toscana accolta con ammirazione a Milano come a Napoli,
a Venezia come a Torino, stata lambasciatrice di una conquista alle spalle
della quale non cera (caso ben raro) uno stato potente, un esercito. nota la
battuta secondo la quale una lingua non altro che un dialetto con un esercito e una marina. Per lItalia, questo aforisma risulta pressoch senza senso.
Lo stato regionale che nellOttocento ebbe la forza di unificare lItalia e che
impose alla nazione le sue istituzioni, fu il Piemonte, e il Piemonte impose
anche litaliano, prima di tutto nella scuola. Ma facendo questa scelta, non
impose se non quanto chiunque avrebbe imposto allo stesso modo, e inoltre non
impose una cosa sua, non fossaltro perch, tra tutti gli stati italiani, quello in
cui il toscano era meno acclimatato, meno naturale, era proprio il Piemonte.
Il Piemonte, scegliendo litaliano, faceva forza prima di tutto su se stesso, si
costringeva a una disciplina, come avevano fatto quei principi piemontesi che
secoli prima avevano indicato la via dellItalia: non si dimentichi che Emanuele Filiberto di Savoia, il restauratore del Ducato sabaudo e del Principato di
12. Cfr. Claudio MARAZZINI, Bottai e la lingua italiana, Lingua Nostra, LVIII, fasc. 1-2, 1997,
p. 1-12.
13. Il saggio fu poi ripubblicato come introduzione a Giulio BERTONI e Francesco UGOLINI,
Prontuario di pronunzia e di ortografia, Torino: EIAR, 1939, p. 7-13.
14. Raffaele SIMONE, Litaliano doltremare, Premessa a Hermann W.HALLER, Una lingua
perduta e ritrovata. Litaliano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p. IX.

Litaliano nellepoca della globalizzazione

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 165

Piemonte, parlava con facilit lo spagnolo e il francese, cosa abbastanza naturale, questa, come annotava un ambasciatore veneto, essendo si pu dir quella la sua lingua naturale, perch tutti li duchi passati parlavano sempre francese,
cos come parla ora sua eccellenza quasi di continuo italiano.15 Emanuele Filiberto si era imposto di parlare italiano, si era imposto la lingua del Ducato di
Toscana, o, per meglio dire, di Dante, Petrarca e Boccaccio. Ma temo che la
forza trascinatrice di Dante e Boccaccio si sia ormai attenuata in un paese in cui
un recente tentativo di ritocco dei programmi scolastici ha cercato di imporre che in un solo anno si percorresse il lungo cammino dalle Origini e Dante
fino a Tasso, liquidando in un colpo tutta la letteratura italiana che pi ha
contato per lEuropa. Tale concentrazione aveva come obiettivo unesigenza
che a prima vista pare ineccepibile: far posto alla contemporaneit. Impegno
doveroso, ma che in questo caso comportava perdite troppo dolorose. Del
resto, per la prima volta un giovane storico della lingua italiana, Riccardo Tesi,
ha osato mettere in dubbio il luogo comune sempre ripetuto da tutti noi,
secondo il quale gli italiani sono privilegiati tra tutti gli Europei nella lettura dei
loro classici antichi, perch la lingua antica mantiene saldi legami con la moderna.16 Lo studioso afferma che ci non vero, e forse ha ragione, se si pensa a
quale litaliano delle giovani generazioni. Gli si pu rispondere, con Luca
Serianni e con Gian Luigi Beccaria, citando il dato di De Mauro, secondo il
quale litaliano fondamentale in larga parte gi stabilizzato negli scritti volgari
di Dante.17 Ma, di fatto, laffermazione controcorrente di Tesi, per quanto errata o esagerata, coglie (temo) qualche cosa di vero. Non si tratta soltanto del
legame con i classici della nostra letteratura. Mi colpisce, ad esempio, constatare che i giovani italiani non avvertano pi il legame romanzo che ci unisce ai
francesi e agli spagnoli, quel legame che nei convegni internazionali permetterebbe a un italiano e a uno spagnolo di conversare amabilmente usando ciascuno la propria lingua, appena moderando la velocit di esecuzione delle frasi.
I giovani, oggi, in analoghe condizioni, passano allinglese per comunicare con
il fratello romanzo, e non a torto, perch quella fratellanza era rinvigorita dal
possesso del linguaggio letterario e dal cultismo latineggiante. Se comprendo,
ad esempio, lo spagnolo che mi dice Mira, e capisco che mi sta dicendo
guarda, perch nella tradizione poetica italiana ci sono versi come Chi questa che vn, chognom la mira di Guido Cavalcanti, o mostrasi cos piacente a chi la mira di Dante, fino allanalogo impiego nei libretti di Verdi, fino a
Carducci, Pascoli e DAnnunzio, dove mira allotropo poetico sostanzialmente
15. Cito da MIGLIORINI, op. cit., p. 330-331.
16. Cfr. Riccardo TESI, Storia dellitaliano. La formazione della lingua comune dalle origini al
Rinascimento, Bari: Editori Laterza, 2001, p. V.
17. Cfr. Luca SERIANNI, Viaggiatori, musicisti, poeti. Saggi di storia della lingua italiana, Milano:
Garzanti, 2002, p. 14 nota. Il riferimento a De Mauro va riportato alla Postfazione al
GRADIT, il Grande dizionario italiano delluso, vol. VI, Torino: Utet, 1999, p. 1166. Quanto allaffermazione di Beccaria, concorde con quella di Serianni, stata fatta in una conferenza tenuta nel 2003 presso lUniversit del Piemonte Orientale, e di essa non esiste un
testo scritto.

166 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Claudio Marazzini

obbligatorio rispetto al prosastico guardare, allotropo che dura ancora in


moderni come Govoni, Corazzini, Gozzano, Moretti, Ungaretti, Saba, Montale.18
Perdere il senso della tradizione del linguaggio letterario pu comportare
anche questa diminuzione nel colloquio con i popoli romanzi, lasciandoci credere che lunica via di fratellanza sia linglese. Ci pu assecondare la crisi dellitaliano, pi che dello spagnolo, visto che lo spagnolo stesso la terza lingua
del mondo per numero di parlanti, avendo avuto un vero impero, come
noterebbe Raffaele Simone. Ma sappiamo che i parlanti non bastano. Evocavamo poco fa il numero dei parlanti italiani e il fascino dellitaliano su nuovi
parlanti, albanesi e nordafricani. Quel tipo di fascino, su masse povere e diseredate, non d prestigio internazionale alle lingue. Il numero, nelle lingue, non
si traduce necessariamente in potere. La lingua che ha pi parlanti nativi al
mondo non linglese, ma il cinese; eppure non credo che questo spinga molti
alla sua conoscenza. Lo spagnolo stesso ha oltre 250 milioni di parlanti, ma il
suo peso non proporzionato alla relativa vicinanza ai numeri dellinglese.
Quanto ai numeri, italiano viene oggi al 15 posto tra le lingue del mondo,
dopo il Giavanese ma prima del Coreano.19 Se ci limitiamo alle lingue dEuropa, e ci fondiamo ancora su dati quantitativi relativi al numero dei parlanti
in assoluto (anche fuori dellEuropa), litaliano viene dopo inglese, spagnolo,
portoghese, tedesco e francese. Ma una lingua, questo il punto su cui riflettere per agire, non si difende solo attraverso il parlato. Come ci insegnava Ascoli, ci vogliono i libri, ci vuole lagitarsi operoso delle penne dei dotti, che deve
tradursi in educazione intesa anche come valore civile. E gli obiettivi della difesa della lingua, soprattutto di quella scritta, restano tra i pi importanti di una
societ evoluta, anche nellera delloralit.

18. Cfr. Giuseppe SAVOCA, Vocabolario della poesia italiana del Novecento, Bologna: Zanichelli, 1995, p. 616.
19. Utilizzo i dati di David CRYSTAL, Encliclopedia Cambridge delle scienze del linguaggio, edizione
italiana a cura di Pier Marco BERTINETTO, Bologna: Zanichelli, 1993 (ed. inglese 1987),
p. 287.

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

167-195

Per una grammatica lessicalmente esaustiva


sullinganno e la menzogna in italiano
Emilio DAgostino
Universit degli Studi di Salerno

Abstract
Nel corso della propria vita, ognuno ha a che fare con emozioni, sensazioni, comportamenti e, quindi, pi in particolare, con le parole che lo mettono di fronte a ci che tanto
la propria cultura, quanto le rappresentazioni che da questa discendono classificano come
menzogna, verit, falsit, passione, ira, desiderio, inganno, bugia, sdegno, impulso, sentimento, emozione, odio ecc. A queste parole del vocabolario comune corrispondono, in
realt, dei costrutti mentali che ci appaiono come dei grandi apparati significanti. Per questo contributo, si scelto un tema tipico del discorso filosofico, letterario, psicologico,
antropologico, semiologico e sociologico: la menzogna. In realt, la linguistica si colloca, in
un certo senso, in una dimensione che costituisce un osservatorio particolare e privilegiato cui non possibile rinunciare. Essa, infatti, si trova in una condizione specialmente
favorita, poich possiede la strumentazione necessaria per descrivere minuziosamente quanto una lingua mette a disposizione dei parlanti quando questi, per i casi delle loro vite,
simbattono nelle nebbie della bugia, dellira, della passione amorosa, di quella politica ecc.
Cio quanto una lingua rende disponibile alluso comune.
Parole chiave: vocabolario, menzogna, cor duplex, operatori, lessico grammatica.
Abstract
Over the course of life, each and every one of us has a certain relation with emotions, sensations, behaviour and thus, in particular, with the words that each of us place in front of that
which both in the culture itself, as well as in the representations that come from these, are
classified as lies, truth, falsity, passion, ire, desire, trickery, untruths, indignation, impulse,
sentiment, emotion, hatred etc. These items of common vocabulary in reality correspond to
mental constructs that appear as the greater apparatus of meaning. This current article has
chosen a subject typical to the discourses of philosophy, literature, psychology, anthropology, semiotics and sociology: the lie. In fact, linguistics is situated, in a certain sense, within a
dimension that constitutes a most particular and privileged observatory, an opportunity that
should not be missed. Linguistics actually finds itself in an especially favoured condition, as
it possesses the instrumentation required to minutely describe that which a language places
at the disposal of its speakers when, in the normal course of their daily lives, they find themselves caught up in the mists of untruth, anger, amorous or political passion, etc. That is, it
can describe everything that a language makes available to common use.
Key words: vocabulary, lies, cor duplex, operators, grammatical lexis.

168 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Emilio DAgostino

a Maurice Gross

I
1.1. Verit, passioni, inganni
Nel corso della propria vita, ognuno ha a che fare con emozioni, sensazioni,
comportamenti e, quindi, pi in particolare, con le parole che lo mettono di
fronte a ci che tanto la propria cultura, quanto le rappresentazioni che da
questa discendono classificano come menzogna, verit, falsit, passione, ira,
desiderio, inganno, bugia, sdegno, impulso, sentimento, emozione, odio ecc. A
queste parole del vocabolario comune corrispondono, in realt, dei costrutti
mentali che ci appaiono come dei grandi apparati significanti.
Per questo contributo, la ricerca su verit, passioni e inganni cui qui faccio riferimento1 prende lo spunto, come accade in molti casi, dalle suggestioni sorte a seguito di letture che hanno la capacit di sollecitare in modo
significativo la riflessione e di farne, quindi, discendere altre a cascata. In particolare, in questo caso, penso a due volumi che solo in apparenza non hanno
nulla a che vedere fra loro: il primo, Storia delle passioni, curato da Silvia Vegetti Finzi,2 il secondo, Filosofia della bugia, di Andrea Tagliapietra.3 In un caso
come nellaltro, gli oggetti teorici analizzati sembrano riguardare delle nebulose
estranee agli oggetti tipicamente analizzati dalla scienza: la Passione, intesa qui
come iperonimo di una classe di sentimenti in qualche modo estremi, che
viene comunemente contrapposta, anche dal senso comune, alla Ragione e,
dallaltro lato, linganno e la menzogna che comunemente sono messi in contrapposizione alla Verit.
A ben guardare, c, per, come ponte tra i due oggetti una categoria che, in
un senso particolare, li unisce e li rende potenzialmente membri della stessa
classe, per lappunto la categoria della Verit. Se il mentire, lingannare, loccultare sono apparsi comunemente soltanto come semplici negazioni o manipolazioni interessate della Verit, allo stesso modo, la Ragione soltanto stata
ritenuta portatrice di Verit, mentre le varie passioni di cui luomo in bala,
invece, sono in genere sembrate allontanarlo da questa. In tal senso, Passioni e
Menzogne sembrerebbero far parte delluniverso negativo della Verit. Ma,
come al solito, oltrepassata la soglia dellovvio, esse possono rivelarsi in modo del
tutto diverso o, addirittura, rovesciato, quasi a suggerire che possano proprio
esse essere interpretate come costruzioni foriere di verit e conoscenze, se non uniche, certamente altrettanto profonde delle figure ad esse abitualmente contrapposte. Infatti, a tale proposito, alcune brevi annotazioni vanno fatte.
1. La ricerca finanziata dallUniversit degli Studi di Salerno sui fondi ex 60% per gli anni
acc. 2001-2003.
2. Cfr. S. VEGETTI FINZI (a cura di), Storia delle passioni, Bari: Laterza, 1995.
3. Cfr. A. TAGLIAPIETRA, Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero
occidentale, Milano: Mondadori, 2001.

Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

169

In primo luogo, la riflessione filosofica, come il mito e la letteratura, ha


mostrato a pi riprese come Verit e Menzogna siano strettamente intrecciate
in quella doppia relazione o quel rapporto di due rapporti cos come definiti da Janklvitch:
Quanti giudizi avviluppati in una semplice menzogna! La nozione del vero e
del suo contrario e la conoscenza della legge che regola il passaggio dalluno
allaltro, tutte queste complicazioni denunciano la coscienza di Ulisse, lo scaltro, malizioso saggio Ulisse polymechanos Odysseus.4

in una dimensione che presuppone come la possibilit della menzogna sia data
con la coscienza stessa, di cui misura di grandezza e bassezza:
E come la maturit simultaneamente la coscienza di s e della giovinezza, cos
la coscienza menzognera una coscienza a fortiori e doppiamente cosciente, dato
che essa comprende in s lingenuit superandola.5

Allo stesso modo, nella poliformit dei comportamenti e nelle parole degli
individui, esse, spesso, acquisiscono identica o, quantomeno, analoga funzione sociale. In tal senso, il riferimento iniziale, che si ritrova nel volume di Tagliapietra, a Socrate e a Jacob il bugiardo di per s del tutto trasparente. Lesercizio
della parresa lesser franco a costo della propria vita come quello sistematico della menzogna, finiscono, quindi, per assumere, in particolari condizioni
pari dignit. Daltronde se Ulisse non altri che un portavoce della divinit
nel senso di Foucault, e ci assicura autorevolezza al suo discorso, Socrate, analogamente, non che la voce attraverso cui si esprime il codice morale.
In secondo luogo, come ha ben dimostrato Michel Foucault,6 le successive
complesse e intricate operazioni di separazione allinterno delluniverso discorsivo sono sempre storicamente determinate e sono accompagnate da riorganizzazioni non solo e non tanto teoriche, ma realizzate nella pratica sociale
delle istituzioni originate: dunque, anche nella vita dei singoli individui e nel
loro uso linguistico. Basti pensare al cosiddetto grande internamento seguito alla scissione Follia/Ragione in epoca moderna.
In terzo luogo, non soltanto la filosofia contemporanea ha, per cos dire,
rivalutato lidea di passione, ma, soprattutto, lepistemologia e la sociologia
della scienza dellultimo quarto del secolo trascorso, come gli stessi sviluppi
delle scienze cognitive,7 hanno messo il luce lintreccio positivo tra emozione
4. V. JANKLVITCH, Du mensonge, Paris: Flammarion, 1998 (trad. it. La menzogna e il malinteso, Milano: R. Cortina ed., 2000, p. 7.
5. Ibid., p. 7.
6. Cfr. M. FOUCAULT, Lordre di discours, Paris: Gallimard, 1971 (trad. it. Lordine del discorso, Torino: Einuadi, 1978).
7. In relazione alla recente riscoperta della normale continuit tra la sfera emozionale e quella cognitiva si veda, in particolare, A. R. DAMASIO, Descartes Error. Emotion Reason and the
Human Brain, London: Papermac, 1994 (trad. it. Lerrore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Milano, Adelphi, 1995), e D. GOLEMAN, Emotional Intelligence, New York:

170 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Emilio DAgostino

e ragione, riflettendo sul legame tra la vita emozionale ed affettiva e quella di


ordine razionale e concettuale, quasi riprendendo il senso delle affermazioni
della sacerdotessa Diotima nel Simposio di Platone, per la quale non c filosofia (conoscenza) senza desiderio. Qui ricorder, come esempio particolare, che
il ruolo giocato dalle emozioni in relazione alla memoria stato sottolineato,
prima ancora che in epoca moderna, gi in epoca classica da Cicerone in relazione alle mnemo-tecniche. Nella Retorica ad Erennio, infatti, si pu leggere:
Imagines igitur nos in eo genere constituere oportebit quod genus in memoria
diutissime potest haerere. Id accidet si quam maxime notatas similitudines constituemus; si non multas nec vagas, sed aliquid agentes imagines ponemus8

Daltronde, allatto stesso di quella che stata pi volte riconosciuta come


lennesima ferita arrecata allauto-coscienza dellumanit, e cio allatto stesso
della scoperta freudiana dellinconscio, cio del rinvenimento di un nuovo
determinante vincolo alla pretesa libert degli individui, stata favorita la comprensione della limitatezza della pretesa autonomia dei piani della Ragione e della
Verit come categorie universali regolate unicamente da regole e confutazioni. In tal senso, quella che pu essere definita, a mio avviso, la creativa
spietatezza dellepistemologia deterministica di Feyerabend ricorda, a chi ha
come mestiere la pratica di una qualsiasi riflessione teorica, come la conoscenza
sia il frutto della partecipazione e che:
Il modo in cui i problemi scientifici vengono affrontati e risolti dipende dalle
circostanze in cui tali problemi sorgono, dai mezzi (formali, sperimentali, ideologici) disponibili e dai desideri di coloro che li affrontano. Non vi sono immutabili condizioni al contorno della ricerca scientifica.9

Comunemente temi come quelli scelti sembrano essere campi da gioco per
squadre composte da filosofi, letterati, psicologi, antropologi, semiologi e sociologi della comunicazione. In realt, i linguisti che, oltre che dal possesso di
tecniche vieppi elaborate e formalizzate, siano spinti da una vocazione intellettuale alla comprensione delle ragioni del loro mestiere e del senso complessivo del proprio oggetto di studio le lingue storico-naturali si
collocano, in un certo senso, in una dimensione che costituisce un osservatorio particolare e privilegiato cui non possibile rinunciare. Essi, infatti, si trovano in una condizione specialmente favorita, cio posseggono la strumentazione
necessaria per descrivere minuziosamente quanto una lingua mette a disposi-

8.
9.

Bantam, 1995 (trad. it. Lintelligenza emotiva, Milano: Rizzoli, 1996). Per una presentazione generale delle questioni correlate si veda anche C. BAZZANELLA e P. KOBAU (a cura
di), Passioni, emozioni affetti, Milano: Mc Graw-Hill, 2001.
CICERONE, Ad C. Herennium libri IV de ratione dicendi (Rhetorica ad Herennium), edizione Harvard Univ. Press 1968, L. III, XXII, 37.
P. K. FEYERABEND, Farewell to Reason, London-New York: Verso, 1997 (trad. it. Addio alla
ragione, Roma: Armando 1990, p. 300).

Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

171

zione dei parlanti quando questi, per i casi delle loro vite, simbattono nelle
nebbie della bugia, dellira, della passione amorosa, di quella politica ecc. Cio
quanto una lingua rende disponibile alluso comune. Infatti, se Sergio Moravia, nel saggio incluso nel volume citato della Vegetti Finzi, coglie nel segno
affermando:
Presto, assai presto, ci accorgiamo che la passione , in prima approssimazione, una parola, un concetto. , pi esattamente, un costrutto teorico, connesso a matrici e fini plurimi, che luomo applica ad una determinata area di
vissuto per evidenziarne certi tratti e dar loro un significato, una voce. Se ci si
riflette bene, questacquisizione tuttaltro sterile o banale. Dire che la passione una parola/concetto anzich una cosa implica lo spostamento della
nostra indagine dal piano dellontologia a quello dellermeneutica. Implica
sostituire la domanda che cosa la passione? con la domanda di cosa parla la
passione? [] Secondo questa prospettiva, la passione (beninteso non solo essa)
essenzialmente un grande apparato significante. anche, per riprendere una
metafora cara a Richard Rorty, un certo vocabolario. Un vocabolario, si badi,
che non viene considerato lunico in grado di descrivere o giudicare determinati referenti, e che non pretende alcuno statuto privilegiato. Ma purtuttavia
un vocabolario che, in determinate circostanze, viene preferito a quelli disponibili. Evidentemente il modo in cui esso dice la nostra esperienza appare
meglio rispondente ad esigenze e finalit per noi in quel momento pi rilevanti di altre. Un vocabolario, infine, che a sua volta si correla a ben precisi
presupposti esterni a quel lessico.10

allora, uno dei possibili compiti del linguista , allora, la definizione di tale
vocabolario operata a partire dalla propria scelta teorica e dalla batteria di
strumenti che questa gli attribuisce. Un vocabolario rortriano, dunque, tra
quelli possibili e in alternativa reciproca che si sostituito a quelli precedenti.11
1.2. La descrizione lessico-grammaticale
In questoccasione, quindi, si tratta di unoperazione descrittiva costruita sulle
premesse della grammatica in operatori e argomenti di Zelig S. Harris e dallopzione teorico-metodologica di Maurice Gross. Va allora chiarito come sintenda convertire lidea di Moravia di apparato significante e di vocabolario
di Rorty in termini harrisiani e in termini lessico-grammaticali.
Se con apparato significante sintende quellinsieme di strumenti aventi, in una lingua storico-naturale, la medesima funzione di manifestare, esprimere un dominio di significato omogeneo, una grammatica harrisiana
contempla, in questo caso, lindividuazione delle classi di operatori elementa10. S. MORAVIA, Emozione e passione, in S. VEGETTI FINZI (a cura di), Storia delle passioni,
cit., p. 4-5.
11. Il riferimento, in questo caso, a R. RORTY, Contingency Irony and Solidarity, Cambridge:
CUP, 1989 (trad. it. La filosofia dopo la filosofia. Contingenza ironia e solidariet, Bari: Laterza,
1989), in particolare alla Parte prima.

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Emilio DAgostino

ri e non elementari definite da tale campo e delle classi di equivalenze distribuzionali e parafrastiche ad essi associati, cio quelle classi di frasi possibili correlate in senso trasformazionale.
In tale direzione vale la pena ricordare che, se il problema di definizione
delle caratteristiche combinatorie generali di un qualsiasi linguaggio , in senso
formale, quello della separazione delle combinazioni di unit in esso contenute da quelle che non lo sono, allora, tale questione fondamentale si ritrova
anche nel caso di una lingua naturale, almeno per quella dimensione puramente calcolistica che in essa si riconosce. Ci significa che, per Harris, lindagine
sistematica sui vincoli operanti sulle combinazioni possibili particolarmente
significativa:
Tale centralit indicata dal fatto che ogni vincolo che contribuisce alla
struttura della frase offre insieme un contributo costante e definito al significato di quella frase, come pure dal fatto che il primo vincolo crea un ente
matematico formato non da concetti astratti, ma dalle reali occorrenze
di parole nelle frasi come struttura fondamentale delle frasi. Si pu osservare che, mentre il quadro della lingua presentato qui pu sembrare troppo
riduttivo, per il fatto che strutture complesse sono definite in termini di vincoli relativamente semplici, questa non una visione riduzionista come il
ritenere che un sistema sia costituito da nientaltro che dai suoi componenti. La frasalit non solo la scelta di parola, ma una relazione nuova dipendenza dalla dipendenza sulle parole; una frase singola esemplifica non
solo la frasalit, ma una relazione di verosimiglianza sulle singole parole
dipendenti.12

La teoria della sintassi di Harris, nel passaggio dalla fase strettamente distribuzionalista a quella successiva di tipo trasformazionalista, individua, per lappunto, nella nozione di trasformazione la relazione tra due sotto-insiemi di
frasi con costante variazione di forma ma in rapporto di parafrasi:
La trasformazione cos una funzione nella quale la variazione di forma opera
su ogni frase di un sotto-insieme per produrre (derivare) la corrispondente frase
(immagine) nellaltro. La frase e la sua immagine risultano approssimativamente parafrastiche.13
12. Z. S. HARRIS, Language and Information, Columbia University Press, 1988 (trad. it. a cura
di M. Martinelli, Linguaggio e informazione, Milano: Adelphi, 1995, p. 45).
13. Ibid., p. 23. In realt, se si applica con regolare sistematicit il principio strutturalista dellequivalenza distribuzionale, come quello dellequivalenza grammaticale, cos come definito da Harris (cfr. Z. S. HARRIS, Discourse Analisys [1952], in ID., Papers in Structural and
Transformational Linguistics Dordrecht: Reidel Publishing Co., 1970), a nostro avviso, ci
si rende conto come i termini utilizzati (produrre e derivare) si riferiscano, non tanto ad
una concezione della trasformazione come derivazione di una frase dallaltra, quanto piuttosto ad una relazione tra frasi che nel sistema sono strettamente equivalenti fra loro, cio
sono equi-probabili. Infatti, nel caso delle trasformazioni di tipo unario, ad esempio, nessuna considerazione sistemica consente di dire che le frasi che costituiscono una classe di
equivalenze distribuzionali e parafrastiche cio una classe di frasi siano tra loro in un

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Inoltre, va ricordato come lindagine di tipo harrisiano si concentri sui vincoli operanti sulla combinatoria linguistica e sulle restrizioni che influenzano
lequi-probabilit di occorrenza delle parole luna rispetto allaltra, individuando tre tipi di vincoli che veicolano ognuno un tipo di significato, in modo
tale che si possa ritenere che il significato di una frase sia determinato direttamente dalle parole e dai vincoli: un vincolo di ordine parziale, una distribuzione di probabilit non uniforme e una riduzione di forme fonemiche. In particolare,
il primo, quello di ordine parziale, organizza la struttura frasale, agendo tra
occorrenze di parole negli enunciati: si tratta di un ordine parziale sulle parole consistente in un ordinamento in cui alcune parole sono pi in alto o pi
in basso rispetto ad altre, mentre altre non sono n pi in alto n pi in basso
tra loro. In pratica, lordine parziale costituisce un vincolo sulle combinazioni
delle parole: esso dice che nella posizione argomento prossima ad un dato operatore la probabilit di certe parole quelle che non appartengono alla classe di argomenti per quelloperatore zero. In tal senso:
Ora, questa relazione di dipendenza ha una propriet importante. Se ci chiediamo cosa determina per ogni parola la classe di parole richieste come argomento, troviamo che queste sono identificate da ci che a loro volta richiedono.
Nel nostro campione di parole, parole come man, tree, earth per la maggior parte nomi concreti possono essere definite come nomi che richiedono zero, cio niente. Quindi sleep, fall cio per la maggior parte dei verbi che
potremmo definire come intransitivi concreti richiedono una parola di
quella classe, cio richiedono una parola che richiede zero. E wear, find
verbi transitivi concreti richiedono due parole che a loro volta richiedono
zero. E entail richiede due parole, ognuna delle quali deve necessariamente
richiedere qualche cosa (come assert o entail stesso). Vi sono quindi tre livelli
di richiesta che sono veramente indispensabili. Vi deve essere, nella lingua e
in ogni frase, almeno un argomento a livello zero che non richiede alcunch,
altrimenti non si potrebbe avere alcuna parola nella frase. Vi deve anche essere almeno un operatore di primo livello che richiede solo parole che richiedono zero, perch la semplice occorrenza di parole di livello zero non implica
la presenza di nientaltro nella frase: operatori di questo tipo sono sia sleep sia
wear. E vi dovrebbero essere operatori di secondo livello, tali che almeno una
delle loro richieste sia un operatore di primo livello, affinch vi siano frasi non
elementari. Questo il caso sia di assert sia di entail.14

Mentre il primo vincolo delinea limpalcatura della frase, il secondo quello della verosimiglianza di occorrenza illustra in che modo una particolare
parola entra a far parte di una frase e per quali motivi certe combinazioni sono
pi probabili di altre:
rapporto altro da quello stabilito per il loro essere membri della classe, cio varianti una
dellaltra. I membri di una classe di frasi, al pari dei membri di una classe fonologica gli
allofoni costituiscono semplicemente varianti sulle quali operano, naturalmente, vincoli di natura diversa.
14. Ibid., p. 30-31.

174 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Emilio DAgostino

Intendiamo qui, per verosimiglianza di una parola sotto un operatore (o per


un argomento), una stima della probabilit o della frequenza di quella parola
rispetto a un fissato numero di occorrenze di quelloperatore (o argomento)
Ogni parola esercita una selezione alquanto sfumata sulle altre parole che
occorrono nella posizione dei suoi argomenti vale a dire una selezione che
rende la distribuzione diversa da quanto ci si aspetterebbe se le occorrenze fossero casuali o con pari frequenza. Sotto sleep, questo vale per centinaia di parole come man e persino tree, in contrasto con earth, raro, oppure stone o universe,
ancora pi rari. Linsieme delle parole che hanno frequenza pi alta della media
chiamato la selezione. Il significato principale di una parola dato dal significato della selezione degli argomenti su cui opera o della selezione degli operatori di cui argomento Per esempio, nel caso dei pronomi indefiniti
something, someone, pressoch ogni operatore nella lingua accetter facilmente luno o laltro di questi come argomento. Quindi la loro verosimiglianza
totale alta Sotto and e but pi probabile che alcune parole in una data
posizione della seconda frase siano le stesse di quelle nella corrispondente posizione della prima frase rispetto alla possibilit che tutte le parole siano diverse.15

Infine, va ricordato come, in termini di analisi lessico-grammaticale, si tratti di individuare la relazione sistematica tra elementi lessicali e insieme delle
forme grammaticali di una lingua attraverso lanalisi dei vincoli, delle restrizioni, operanti su di essa, cio si tratti di costruire una grammatica lessicalmente esaustiva.
Tale lobiettivo descrittivo che lindagine cui questo contributo si riferisce si pone. Individuare cio la grammatica lessicalmente esaustiva dellitaliano associata alla tradizionale figura del male della Menzogna, descrivendo,
quindi, le classi di strumenti linguistici che litaliano comune rende disponibili
alluso dei parlanti grazie alla metodologia di rappresentazione impiegata, a
partire da Gross,16 nei lavori di Elia, Martinelli e DAgostino.17
1.3. La coscienza menzognera
Anche se una situazione di questo tipo non ha nulla di usuale, possibile
immaginare che due bastardini che non si conoscono, in un ascensore che va
verso il settimo piano, dopo qualche attimo di perplessit dovuto allambiente, inizierebbero a fiutarsi e a strusciarsi luno contro laltro e, alla fine del breve
viaggio, ognuno andrebbe per la sua strada. Se al loro posto, invece, si trovassero, come pi comune, due esemplari della specie umana, molto probabile
che, scartati normalmente per ovvie ragioni odorato e contatti fisici, almeno
uno dei due sconosciuti non riuscirebbe a resistere alla tentazione di aprir
bocca. In quei pochi secondi che separano il percorso pianoterra-settimo piano,
15. Ibid., p. 33-34.
16. Cfr. M. GROSS, Mthodes en syntaxe, Paris: Hermann, 1975.
17. Cfr. A. ELIA, M. MARTINELLI, E. DAGOSTINO, Lessico e strutture sintattiche. Introduzione
alla sintassi del verbo, Napoli: Liguori, 1981; e E. DAGOSTINO, Analisi del discorso. Metodi
descrittivi dellitaliano duso, Napoli: Loffredo, 1992.

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quella micro-conversazione priva di contenuto informativo reale manifesta il


fatto che luso del linguaggio verbale fondamentale modalit della socialit
umana, cio strumento a disposizione per avere una qualsivoglia forma di relazione con gli altri. Parliamo con tutti, indipendentemente dal grado di conoscenza e familiarit. Con i tassisti, le bariste, i compagni di treno o di
metropolitana, con la signora che attenta a osservare la stessa vetrina. E,
immediatamente dopo, ognuno per la propria strada, cos come i due bastardini. Infatti, quantomeno molto improbabile che, al termine di qualche
scambio di battute, prendano inizio impreviste avventure. Nella maggior parte
dei casi, cos, si parla tanto per parlare. Si potrebbe anche dire che ci serve alla
coesione sociale o di gruppo, ma sarebbe gi unaffermazione molto forte. Ma
sempre, comunque, inopportuno assolutizzare le affermazioni procedenti da
osservazioni empiriche e, infatti, lantropologia, la linguistica e la sociolinguistica hanno mostrato come esistano comunit nelle quali parlare, ad esempio,
sia a sconosciuti, come a persone ben note, in particolari circostanze, non sia
affatto ritenuto un comportamento autorizzato e legittimo, anzi possa essere del
tutto disdicevole. E non bisogna forzosamente richiamarsi a comunit indo-americane o per noi esotiche, basta recarsi in qualsiasi paesino dellItalia meridionale.18 Parliamo anche da soli, comunque, sia in situazioni legittimate sia in
situazioni che non lo sono affatto, o ci sentiamo in obbligo, dopo essere inciampati camminando, di far ripartire il sistema e di recuperare la nostra credibilit esclamando qualcosa, come ha rilevato Goffman.19 Naturalmente,
parliamo (o scriviamo), e con ci facciamo o agiamo, in una gamma di
situazioni e per una gamma di scopi estremamente ricca e articolata allinterno tale che, molto spesso, le relative sistematizzazioni e classificazioni appaiono semplificazioni e riduzioni adeguate soltanto alle filosofie e alle teorie che
le hanno generate. possibile, infatti, ritenere che domande come quando
parliamo (o scriviamo) che cosa facciamo?, oppure quando parliamo (o scriviamo) di cosa parliamo (o scriviamo)?, oppure ancora quando parliamo (o scriviamo) perch parliamo (o scriviamo)? non abbiano risposte soddisfacenti e
che, in realt, a tali interrogativi potrebbero rispondere soltanto i parlanti, a
condizione di essere in grado di osservarsi ironicamente. Non sembra affatto facile ed possibile che ci siano riusciti soltanto alcuni che, pi che in scritture
filosofiche o scientifiche, si siano impegnati in scritture letterarie. In ogni caso,
si potrebbe dire molto semplicemente che il parlare il nostro pane quotidiano.
Se restringiamo sufficientemente il campo dei perch e dei cosa, certamente possiamo pensare che, in qualche caso, si parli per affermare o difen18. Si veda a tale riguardo K. H. BASSO, To give up on words: silence in western Apache culture, Southwestern Journal of Antrhropology, XXVI, n. 3, 1970, p. 213-230 (trad. it. Il silenzio nella cultura degli Apache occidentali in P. P. GIGLIOLI (a cura di), Linguaggio e societ,
Bologna: il Mulino, 1972).
19. Si veda a tale proposito E. GOFFMAN, Forms of Talk, Philadelphia: Univ. of Pennsylvania, 1981
(trad. it. Forme del parlare, Bologna: il Mulino, 1987), in particolare il saggio Gridi di reazione.

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dere la/una verit oppure, allinverso, per occultarla, manipolarla, oppure, addirittura, per modificarla. Per tessere, attraverso grandi menzogne o piccole bugie,
inganni, tradimenti, cospirazioni, ribaltoni, truffe, giochi delle tre carte. Oppure, ancora, per adattare comodamente la verit alle nostre debolezze. Non tutti
sono Socrate e affermare la verit a costo della propria vita stata ed una
virt o un vizio certamente o fortunatamente raro.20 Oltretutto,
la prudenza insegna a diffidare sempre di coloro che affermano la propria incapacit a parlare se non in termini, con parole di verit.21
Se pur vero che non c bisogno delle parole per mostrarsi sinceri o insinceri e che, dunque, verit e menzogna ci parlano anche soltanto con gesti e
comportamenti e se pur vero anche che, in modo del tutto involontario, gesti,
comportamenti e parole possono indurre in inganno, come dimostrano frasi a
costruzione causativa del tipo:
il fatto che Eva non rispondesse (E + volontariamente + involontariamente) ha
tratto in inganno Luca
Eva ha ingannato Luca (E + volontariamente + involontariamente)

contraddistinte, in lingue come litaliano, da una duplicit di interpretazione


associata al tratto ( volontario); certamente altres vero che una parte cospicua del nostro parlare (e scrivere) volto coscientemente e volontariamente
alla manipolazione delle informazioni, o dei loro processi di acquisizione da
parte dei nostri interlocutori, cio: finalizzato alla menzogna. Cio alla produzione di enunciati che un osservatore esterno potrebbe classificare in forme
di frase come:
Ugo mente a Maria
Ugo un mentitore
Ugo menzognero
Che F una menzogna di Ugo22
20. Per la questione della franchezza e dellaffermazione della verit nella Grecia antica si veda
M. DETIENNE, Les matres de vrit dans la Grce arcaque, Paris: Maspero, 1967 (trad. it.
I maestri di verit nella Grecia antica, Bari: Laterza, 1977); e M. FOUCAULT, Discourse and
Truth. The Problematization of Parrhesia, Evanston: Nothstern University Press, 1985 (trad.
it. Discorso e verit nella Grecia antica, Roma: Donzelli ed., 1996).
21. Valga per tutti lesempio dellorazione di Antonio nel Giulio Cesare di Shakespeare che normalmente considerata un modello di retorica politica: Non son venuto, amici, a rapire per
me il vostro cuore; non sono un oratore come Bruto, sono mi conoscete un uomo semplice che amava Cesare con cuor sincero; e questo sanno bene anche coloro che mhan concesso il loro beneplacito a parlare di lui cos, in pubblico; perch io non posseggo n lingegno,
n la facondia, n labilit, n il gesto, n laccento, n la forza della parola adatta a riscaldare il sangue della gente: parlo come mi viene sulla bocca, vi dico ci che voi stessi sapete, vi mostro le ferite del buon Cesare, povere bocche mute, e chiedo a loro di parlar per
me. Sio fossi Bruto e Bruto fosse Antonio, allora s, che qui a parlare a voi vi sarebbe un
Antonio ben capace di riscaldare gli animi e di dar voce ad ogni sua ferita per trascinare a
Roma anche le pietre alla rivolta ed allinsurrezione! (atto III, sc. II).
22. F costituita da una soggettiva sulla quale non operano particolari restrizioni di selezione.

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che si prestano ad uninterpretazione per la quale a X si associa con maggiore


probabilit il tratto (+ volontario).
Come s detto, alle classi di equivalenze parafrastiche e distribuzionali
associate al campo della menzogna e dellinganno dedicato questo contributo. Non ci si occuper della secolare disputa sulla Verit o sulla natura e
sulle caratteristiche degli enunciati veri o falsi, ma di ci che litaliano duso
comune mette a disposizione dei parlanti quando si avvicinano al problema
della menzogna e dellinganno.
1.4. Un mondo di menzogne, inganni e sotterfugi
A quanto pare gli uomini e le donne mentono di continuo, con un grado maggiore o minore di consapevolezza e di sfrontataggine e con finalit molto diverse. Con Zani, Selleri e David,23 si ricorder che, nelluso comune e quotidiano
di una lingua, il numero degli enunciati che, per ragioni diverse, sono riconosciuti (dai loro stessi emittenti) come pienamente veritieri rappresentano
una percentuale relativamente limitata. Zani, Selleri e David citano la ricerca
di Adler e Towne,24 per i quali, con un campione di 130 soggetti, solo il 38,5%
delle frasi in situazione di conversazione rientrava in tale classe. Per una visione dinsieme delle teorie comunicazionali sulla menzogna rimando a Anolli,25
in particolare per lInformation Manipulation Theory e lInterpersonal Deception Theory.
Daltronde ci noto allesperienza comune. Dalle televendite, ai patti e
contratti in politica, alle promesse degli amanti, alle bugie a fin di bene,
alle piccole omissioni e distorsioni di quello che si ritiene essere la verit, il
nostro mondo apparso sempre in rapporto con la menzogna e linganno. Un
numero elevatissimo di enunciati e frasi, siano essi legati a previsioni improbabili
o impossibili sul futuro, o al gusto delliperbole che spessissimo ci contagia, o
siano decisamente votati alla falsit:
le automobili tedesche durano tutta la vita
ti amer sempre
creeremo tre milioni di posti di lavoro
questo sformato eccezionale
la sogliola freschissima
Saddam ha come bersaglio anche lItalia
i sondaggi continuano a darci al 49%

appaiono ad un normale osservatore disinteressato come potenzialmente pi o


meno menzogneri e capaci, a certe condizioni, di trarre in inganno chi li ascol23. Cfr. B. ZANI, P. SELLERI, D. DAVID, La comunicazione. Modelli Teorici e contesti sociali,
Roma: NIS, 1994.
24. Cfr. R. B. ADLER, N. TOWNE, Looking out Looking in, London: Holt Rinehart and Winston, 1990.
25. Cfr. L. ANOLLI (a cura di), Psicologia della comunicazione, Bologna: il Mulino, 2002.

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Emilio DAgostino

ta. Infatti, non certamente un caso che menzogna ed inganno siano anche
oggetto di una diffusa letteratura scientifica e di divulgazione: oggi non pi esclusivamente tema di filosofi dal paradosso del mentitore in poi o di teologi
e di Padri della Chiesa, ma anche di sociologi, psicologi ecc. ecc. ecc. Tema di
confine: dalla teoria della seduzione come apparenza quindi come inganno
a quella della creazione letteraria quindi come non-verit fattuale a
quella dellevoluzione del cervello umano e a quella dello sviluppo cognitivo.
In realt, tale ipertrofia della riflessione su menzogna e inganno si fonda, probabilmente, sulla coscienza che gli uomini vivono in un universo che per molti
aspetti manifesta di continuo un carattere ingannevole e che i luoghi della
menzogna sono molteplici. Se il Serpente ha ingannato Eva e, quindi, Adamo,
stando a quanto hanno rilevato naturalisti, etologi e socio-biologi, il regno
della Natura appare esso stesso contraddistinto dalla presenza di comportamenti e processi ingannevoli: camaleonti, lucciole, piante carnivore e fiori,
tutti, senza distinzione di sorta si servono di inganni, in una dimensione di
lotta per la vita e di evoluzione. Un dominio, questo naturale, dominato, dal
gene egoista di Dawkins.26 Sommer, nel ripercorrere la storia dei modelli di
interpretazione di questi comportamenti animali, elenca una lunga e, per certi
aspetti sorprendente, casistica di comportamenti ingannevoli registrati in natura che spingono a ritenere che siano proprio le bugie ad avere le gambe lunghe, tanto che si pu sostenere con lautore che:
la funzione naturale della comunicazione in sostanza non risiede affatto nel
trasmettere uninformazione veritiera.27

Se, nel campionato della bugia di scimmie e primati antropoidi, gli scimpanz e i bonobo, per altro strettamente imparentati filogeneticamente tra
loro, si collocano al primo posto, classificati meglio di gorilla, oranghi e gibboni,
e se, nello sviluppo delle varie fasi dellintelligenza senso-motoria nei bambini
un possibile, anche se sempre difficile, parallelismo tra bambini e piccoli di
scimmie di specie diverse registrabile solo in parte, per tempi e fasi raggiunte, comunque da mettere in evidenza che nel cosiddetto sesto stadio di sviluppo (dallanno e mezzo ai due anni) dei bambini ci sono tutte le condizioni
che caratterizzano il cosiddetto inganno tattico:
ci che conta raffigurarsi mentalmente un obiettivo, per poi riuscire a manipolare subito, fin dal primo tentativo, il destinatario di uninformazione al
fine di spingerlo nella direzione desiderata.28

26. Cfr. R. DAWKINS, The Selfish Gene, Oxford University Press, 1976 (trad. it. Il gene egoista,
Milano: A. Mondadori, 1989).
27. V. SOMMER, Lob der Lge. Tuschhung und Selbstbetrug bei Tier und Mensch, Mnchen:
Becks Verlag, 1992 (trad. it. Elogio della menzogna. Per una storia naturale dellinganno,
Torino: Bollati Boringhieri 1999, p. 65).
28. Ibid., p. 137.

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Ci implica, nonostante tutte le difficolt, che non solo uomini e primati


ingannino alla stessa stregua, ma, e ci pi importate, che menzogna ed inganno siano per definizione nello stesso patrimonio genetico degli uomini, cio
nascano in pratica con essi e accompagnino come specie. Lo stesso problema
della coscienza in uomini e specie animali potrebbe, in tal senso, essere ribaltato: non pi la serie di interrogativi del tipo hanno alcuni animali una forma
di coscienza equivalente a quella degli esseri umani?, ma piuttosto interrogativi
del tipo posti dinanzi alla scelta tra ingannare e non ingannare, gli uomini ed
alcuni animali hanno le stesse possibilit di optare per la seconda alternativa?.
In ogni caso, la consapevolezza, in questo caso, dello stretto legame tra il comportamento umano e comportamento animale, ci fa rileggere, sorridendo, il
testo di Da Ponte per Le nozze di Figaro mozartiano a proposito delle donne:
Aprite un po quegli occhi uomini incauti e sciocchi. Guardate queste femmine Guardate cosa son. Queste chiamate Dee. Dagli ingannati sensi, a cui
tributa incensi la debole ragion. Son streghe che incantano Per farci penar,
sirene che cantano per farci affogar; civette che allettano per trarci le piume,
comete che brillano per toglierci il lume. Son rose spinose, son volpi vezzose,
son orse benigne, colombe maligne, maestre dinganni. Amiche daffanni Che
fingono, mentono, che amore non sentono, non senton piet. Il resto nol dico,
gi ognuno lo sa. (atto IV)

Se la nostra vita ci ha visto attuare anche come ingannatori e bugiardi e se


ingannatori e bugiardi lo sono stati, lo sono e lo saranno tutti o quasi, certamente
alcuni hanno meritato una fama particolare, tanto da rimanere nella nostra memoria fondamentalmente come figure della menzogna e dellinganno. Ognuno di
loro con caratteri e con obiettivi diversi, con tratti che ci permettono di identificarli bene. Certamente Achille, il semidio, mente anchegli, ma non lo si ricorda per questo, ma per la sua epica collera o per il suo troppo umano tallone;
Ulisse, luomo, certamente anchegli un eroe epico, ma, per la sua metis, rientra
nella nostra mitologia come lingannatore e il mentitore per eccellenza. Alcuni pi di altri, dunque, hanno posseduto il carattere di tessitori di inganni. Se la
storia strictu sensu dellumanit inizia con linganno del serpente, mentiranno
Prometeo, Marco Antonio, Iago, Don Giovanni, Jakob. Dopo che il tradimento di Giuda, compiuto perch si compisse il disegno di Dio, ha mentito Simon
Pietro. Hanno mentito e continueranno a farlo gli scienziati.29 La coscienza di
ci render il mendacio il peccato di lingua pi importante e diffuso, secondo
soltanto al profferire il vero nome di Adoni, el Elom, o alla bestemmia:
Salmi, Libro I (1-41)
Salmo 4 Preghiera della sera
3 O uomini, fino a quando disprezzerete la mia gloria
amerete il nulla e cercherete la menzogna?
29. Si veda a tale riguardo F. DI TROCCHIO, Le bugie della scienza. Perch e come gli scienziati
imbrogliano, Milano: Mondadori, 1993.

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Emilio DAgostino

[]
Salmo 5 Preghiera del mattino
6/7 Tu respingi chi opera il male
fai perire i bugiardi,
luomo di violenza e dinganno
Adonai/YHWH lo detesta.
[]
nella loro bocca non c sincerit
il loro ventre delitto
la loro gola tomba divorante
la loro lingua seduce.30

1.5. Una definizione


A questo punto, per, appare necessario introdurre qualche definizione da cui
partire. In un normale dizionario duso dellitaliano, di menzogna viene fornita una definizione come questa:
affermazione contraria a ci che o si crede corrispondente a verit, pronunciata con lintenzione di ingannare e con fini malvagi o utilitaristici; volontaria deformazione, deliberato travisamento del vero: una menzogna ignobile,
sfacciata, spudorata; un discorso pieno di menzogne, menzogna pia, pietosa, detta
a fin di bene; letterario: avere faccia, sembianza di menzogna, presentarsi con i
tratti inconfondibili del falso: una verit che ha, troppo pi di quello che ella fu,
di menzogna sembianza (Boccaccio)31

mentre, in particolare, nella letteratura comunicazionale, menzogna ed inganno sono stati spesso etichettati come manifestazioni dei fallimenti della comunicazione umana e, molto spesso, collocati in una dimensione morale.32
Zani-Selleri-David (1994), ad esempio, sostengono:
30. Per quanto riguarda lAntico Testamento la questione della menzogna appare in vari contesti. La forma kzb indica primariamente la menzogna (verbale) ed possibile distinguere nel
contesto del diritto lo spergiuro, la falsa testimonianza e la calunnia, mentre nel contesto specificamente religioso si riferisce allinfedelt nei confronti di Dio, alla devozione agli idoli
ingannatori e nella falsa profezia. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento in Paolo si ritrova la forma del verbo greco psedomai ed il sostantivo pseudos che indica la condotta dellumanit peccatrice che ha scambiato la verit di Dio con la menzogna. A tale proposito si
veda il Grande lessico del Nuovo Testamento, Brescia: Paideia, 1988.
31. Cfr. Il grande dizionario della lingua italiana Paravia di De Mauro (2000).
32. Per questoccasione non si affronter la dimensione non morale, creativa, e della cosiddetta scoperta dellinutile, spesso invocata da diversi autori. Ci si limita, quindi, a rimandare, oltre al gi citato Tagliapietra, a F. NIETZSCHE, Su verit e menzogna in senso extra-morale
in ID., La filosofia nellepoca tragica dei Greci. E scritti 1870-1873, trad. it. a cura di G. Colli
e M. Montinari, Milano: Adelphi, 1991, a O. WILDE, The Decay of Lying, The Nineteenth Century, 1889, ripubblicato in ID., Intentions, 1891 (trad. it. La decadenza della menzogna, Milano: Mondadori, 1995) e a G. BATAILLE, La limite de lutile (fragments), Paris:
Gallimard, 1976 (trad. it. Il limite dellutile, Milano: Adelphi, 2000).

Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno

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181

In genere, si intende che la comunicazione problematica non sia voluta, ma


accada indipendentemente dalla volont esplicita dei partecipanti per una serie
di motivi diversi. Quando invece la miscommunication intenzionale, allora
si ha linganno.33

Sia nella prima come nella seconda definizione, dunque, appare come pertinente lintenzionalit e, dunque, il riferimento a quel tratto (+volontario)
associabile alle forme di frase in precedenza citate. Associata alla sua generalizzata condanna, la menzogna resta legata, nella dimensione morale, alla definizione di Agostino, nel De Mendacio (395):
Non enim qui falsum dicit mentitur si credit aut opinatur verum esse quod
dicit. [] Quisquis autem hoc enuntiat quod vel creditu manimo vel opinatum tenet, etiamsi falsum sit, non mentitur. Hoc enim debet enuntiationis
suae fidei ut illud per eam proferat quod animo tenet et sic habet ut profert. Nec
ideo tamen sine vitio est, quamvis non mentiatur, sit aut non credenda credit, aut quod ignorat nosse se putat, etiamsi verum sit; incognitum enim habet
pro cognito.
Quapropter ille mentitur qui aliud habet in animo et aliud verbis vel quibuslibet significationibus enuntiat. Unde enim duplex cor dicitur esse mentientis, id est, duplex cogitatio: una rei hujus quam veram esse vel scit vel putat
et non profert, altera ejus reiquam pro ista profert sciens falsam esse vel putans.34

Ladozione, anche in questoccasione, della definizione di Agostino riduce


ulteriormente loggetto dindagine linguistica in questione, poich esclude
tutte le manifestazioni altre da quelle che appartengono al dominio della
coscienza e della volontariet, del cor duplex e della voluntas fallendi. Restano
escluse, pertanto, non solo quelle menzogne della natura prima citate, ma
anche quelle che, per certi aspetti, parrebbero pur significative per loccasione, proprio perch mediate per definizione dal linguaggio. Il riferimento
naturalmente a quella classe di cortocircuiti della coscienza che si manifestano nella teoria freudiana del lapsus.35 Infatti, se per animali, piante e insetti, una discussione sulla coscienza non sembra giustificata e, per i soli
mammiferi comunque quantomeno assai problematica, nel caso dei classici
lapsus dellindagine freudiana, possibile ritenere che linganno, la menzogna,
consista nella realizzazione non controllata di un apparente inatteso per definizione sottostante al livello della coscienza.
33. ZANI, SELLERI e DAVID, op. cit., p. 113.
34. AGOSTINO, De mendacio (trad. it. a cura di M. Bettetini, Sulla Bugia, Milano: Bompiani,
2001, p. 31).
35. La definizione di Agostino legata alla volontariet, come tutte quelle da essa derivate, esclude di fatto dal campo della menzogna il cosiddetto auto-inganno e lo assimila al puro
errore, nel senso che linterpretazione fallace o forzata di segni frutto di non conoscenza, oppure di un pre-giudizio errato che la condizionano. Se, quindi, si abbandona il
campo ristretto dellerrore per non conoscenza, lauto-inganno appare collocabile piuttosto nella dimensione freudiana dellinconscio.

182 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Emilio DAgostino

In qualche misura, sia la prima (il Dizionario) come la seconda definizione (Agostino) forniscono una rappresentazione della miscommunication intenzionale come quella propria di Janklvitch che, a proposito della coscienza
menzognera parla, come s visto allinizio, di doppia relazione o rapporto di due rapporti. Janklvitch, dallinterno di una dimensione strettamente morale, sembra delineare i tratti caratteristici della coppia Menzogna-Inganno.
Oltre a quella che stata gi presentata come la doppia relazione, in quella
fenomenologia del quotidiano rappresentata dal breve saggio del 1998,
Janklvitch enumera i tratti della menzogna che appaiono definizionali. La
volontariet e la coscienza della infrazione alla regola, in primo luogo, poich il
mentitore sa bene quel che fa:
Ecco perch la premeditazione non solo non attenua la nostra responsabilit ma
ne una circostanza aggravante: il colpevole cosciente due volte colpevole, in
primo luogo come autore e in secondo luogo come cosciente, essendo la coscienza nel vizio un vizio in pi. In ogni caso, se il peccato a differenza dellerrore,
qualcosa che si commette a bella posta, la menzogna diviene per definizione
il peccato katexochen, non necessariamente il pi grave, ma il pi caratteristico; fa parte della quintessenza del peccato. Difatti non si mente mai senza
volerlo.36

Alla coscienza e volontariet si aggiunge il carattere di peccato fondamentale nella nostra tradizione vetero- e nuovo-testamentaria. In secondo luogo, il
carattere legato alla non necessaria identificabilit tra la menzogna e il dire la
non-verit:
ci che definisce la menzogna una disposizione di coscienza, e non il fatto
esteriore, epifenomenico, di dire la non-verit; animi sententia, come dice Agostino, e non rerun ipsarum veritas aut falsitas; il suo caso non differente da
quello dellintenzione comica, pornografica e umiliante, le quali diventano
impalpabili nel momento in cui si vuole assegnar loro un referente oggettivo.37

In terzo luogo, il suo essere obbligatoriamente correlata ad un tratto relazionale:


La ragion sufficiente che fa della menzogna un inganno, ossia uninduzione
in falsit, il contesto sociale o pi esattamente (dal momento che il due gi
un plurale elementare) la presenza dellAltro; basta la presenza di un io e di
un tu perch, senza influsso diretto, si sviluppi una certa corrente come risultato della sola compresenza. il testimone invisibile e virtuale, il cui sguardo
mi impone la prima tensione del faccia a faccia, il primo pudico imbarazzo
c qualcuno dietro questa tappezzeria; il bellimbusto indiscreto davanti al quale la civettuola si compone.38
36. V. JANKLVITCH, op. cit., p. 10.
37. Ibid., p. 11.
38. Ibid., p. 21.

Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno

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183

Al pari degli scimpanz e dei bonobo gi citati da Sommer, gli uomini vivono in uno scenario di fusione-fissione che finisce per definirli, per lappunto,
in termini puramente relazionali, cio sociali. Tale caratteristica, questione dellautoinganno a parte, appare come legata in modo fondante alla dimensione
comunicativa ed alla possibilit di trasmissione manipolata di informazioni e,
in tal senso, possibile ritenere che in una visione morale della menzogna questa rappresenti un delitto doppio: verso la Verit e lInnocenza e verso gli altri.
In quarto luogo, se il mondo in cui la menzogna vive un mondo di relazioni, questo non potr che avere come nuova caratteristica quella dellopacit.
Infatti, si pu dire che:
Non si pu ingannare colui che sonda le reni e il cuore. La menzogna trova
invece la sua ragion dessere in un mondo di creature parziali, opache, incomunicabili e segrete luna per laltra. Per dirla tutta, la menzogna una strategia
destinata a pacificare lalternativa. La sua vera origine consiste nella rivalit
competitiva, in altre parole nellincapacit delle persone a coesistere uno eodemque loco.39

Opacit e vincoli sulla possibilit di comprensione: il dubbio sistematico


dello scettico pu essere messo in discussione nuovamente e paradossalmente
proprio dalla coscienza della non-trasparenza e delle difficolt che essa mette in
atto. Ma se essere sinceri ha un costo e di Socrate sappiamo anche non
esserlo lo ha, poich, come quinta caratteristica, la menzogna presenta quella
dellinsonnia e della solitudine. Infatti in quinto luogo, si pu ritenere che:
La menzogna [] insonne e in stato dallerta: le sue costruzioni non esistono e quindi bisogna confermarle continuamente e difenderle contro le smentite del reale mediante unautentica creazione continua; un momento di
disattenzione ed ecco crollare il castello di carte [] La menzogna oberata non
solo dalla sua inerzia e precariet, ma anche dalla solitudine in cui si confina
da s. La vera punizione dei ciarlatani la perdita della loro ipseit: dal momento che essi non sono n ci che sono e che seppelliscono nel silenzio, n ci
che gli altri credono che essi siano e che in realt sono solo per truffa, bisogna
concludere che essi non sono pi niente.40

Infine, come altro carattere, in quinto luogo, la menzogna ha quello di associarsi ad un fantasma, ad una anima in pena:
La menzogna, che piega o devia la nostra fede verso i suoi fini interessati, consiste dunque letteralmente nel furto della fiducia; vuole suggerire o fra credere non ci che pensa ma, come la tautegoria, ci che dice. Ne deriva che non
c possibilit di comunione nella menzogna.41
39. Ibid., p. 22.
40. Ibid., p. 29-30.
41. Ibid. p. 33.

184 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Emilio DAgostino

Ancora una volta ed in modo conclusivo, la menzogna si definisce e sperimenta come negazione di ogni comunicazione: nulla, n il silenzio, n lassenza che comunque parlano di continuo, un antagonista tanto poderoso
della comunione, perch furto della fiducia, e si presenta come comunicazione
fasulla, mascherata. Attraverso un dire, testimonia il non-dire. Attraverso un atto
di comunicazione nega la comunicazione stessa. Janklvitch, non discostandosi da Agostino, in modo sintetico, stabilisce i confini della nostra discussione.42
In realt, quali che siano le ragione particolari di ogni mentire individuale, possibile ritenere che lo scopo fondamentale della menzogna sia quello
di condizionare il comportamento dei nostri possibili interlocutori, traendone
da ci un beneficio, ostacolando e manipolando la loro possibilit di accesso alle
informazioni. In tal senso, pu farsi rientrare la menzogna nei comportamenti volti al successo di cui parla Habermas, come comportamento opposto a
quello orientato allintesa:
possibile invece differenziare le azioni sociali a seconda che i partecipanti
assumano un atteggiamento orientato al successo oppure allintesa; e precisamente tali atteggiamenti devono risultare identificabili nelle circostanze adatte in base al sapere intuitivo degli stessi partecipanti. quindi anzitutto
necessaria unanalisi concettuale di entrambi gli atteggiamenti. Nel quadro di
una teoria dellazione ci non pu essere concepito come un compito psicologico. Non mi propongo come obiettivo di caratterizzare sul piano empirico
le disposizioni comportamentali, bens di cogliere strutture generali di processi di intesa dai quali si possono dedurre condizioni di partecipazione caratterizzabili formalmente. Per spiegare che cosa intendo per atteggiamento orientato
allintesa, devo analizzare il concetto di Verstndigung. Non si tratta dei predicati che un osservatore usa quando descrive processi di intesa, bens del sapere pre-teoretico di parlanti competenti che sono essi stessi in grado di distinguere
intuitivamente quando esercitano pressione su altri e quando si intendono con
essi e che sanno quando falliscono i loro tentativi.[] Verstndigung un processo di convergenza tra soggetti capaci di linguaggio e di azione.[] Unintesa raggiunta comunicativamente ha un fondamento razionale: non pu essere
imposta da nessuna parte, sia strumentalmente con lintervento diretto nella
situazione dazione, sia strategicamente, tramite linfluenza calcolata in vista
del successo sulle decisioni di un antagonista. Unintesa pu essere, certo, soggettivamente estorta; ma ci che accade visibilmente tramite uninfluenza esterna o il ricorso alla forza non pu contare soggettivamente come intesa.
42. C un solo punto sul quale si pu dissentire da Janklvitch, ma in qualche misura marginale: la questione dellesclusione della litote dalle manifestazioni della menzogna. Alla
sua affermazione per la quale la litote non menzognera, ma si propone, al contrario, di
indurci alla verit attraverso la via indiretta della simulazione (p. 5), in realt si pu obiettare che essa pu perfettamente essere, invece, strumento della manipolazione menzognera. Infatti, non a caso, lo stesso Iago, che alla fine riconosciuto come tessitore di inganni
e menzogne (Emilia: Hai detto una menzogna, una sporca,maledetta menzogna; sullanima mia, una menzogna, uninfame menzogna! Otello, Atto V, scena II), ha per lappunto tra
i suoi strumenti preferiti per lappunto la litote, ironia di dissimulazione per Lausberg.

Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno

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185

Questultima si fonda su convincimenti comuni. Latto linguistico delluno


riesce soltanto se laltro accetta lofferta in esso contenuta prendendo posizione (sia pure implicitamente) con un s o con un no su pretese di validit, criticabili in linea di principio.43

In tale prospettiva: la maggiore infrazione del dovere delluomo verso se stesso, per dirla con Kant,44 cio la menzogna, non legata esclusivamente ad
implicature convenzionali, legate cio al valore delle parole pronunciate dal
parlante, ma pu altres legarsi a quelle che Grice45 definisce implicature conversazionali dipendenti non dalle parole usate, ma da caratteristiche generali del discorso, ogni qualvolta si violi il principio di cooperazione, per volont
ingannatrice o per volont esplicita di non cooperazione. Se il principio griciano citato cos formulato:
il tuo contributo alla conversazione sia tale quale richiesto, allo stadio in cui
avviene, dallo scopo o orientamento accettato dello scambio linguistico in cui
sei impegnato

e ad esso si associano le note categorie di Quantit, Qualit, relazione e Modo,


allora, a quei discorsi che ad un osservatore esterno appaiano dichiaratamente menzogneri vanno aggiunti senza esitazione: omissioni, parziali verit e
silenzi.
II
2.1. La rappresentazione lessico-grammaticale dellingannare e del mentire
Se, con Rorty, il mondo non n vero n falso, mentre lo sono i discorsi sul
mondo:
Si deve distinguere tra laffermazione che il mondo l fuori e laffermazione che la verit l fuori. Dire che il mondo l fuori, che non una nostra
creazione, equivale a dire, con il senso comune, che la gran parte di ci che
nello spazio e nel tempo leffetto di cause che prescindono dagli stati mentali delluomo. Dire che la verit l fuori equivale a dire, semplicemente,
43. J. HABERMAS, Theorie des Kommunikativen Handelns Bd. I Handlungsrationalitt und geselleschaftliche Rationalisierung, Frankfurt am Main: Surhkamp, 1981 (trad. it. Teoria dellagire
comunicativo vol. I Razionalit nellazione e razionalizzazione sociale, Bologna: il Mulino
1997, p. 395-396).
44. Cfr. I. KANT, Die Metaphysik der Sitten, 1797 (trad. it. a cura di G. Vidari, La metafisica
dei costumi, Bari: Laterza, 2001).
45. Cfr. P. GRICE, Logic and Conversation, in P. COLE, J. L. MORGAN (a cura di), Syntax and
Semantics - Speech Acts, New York-London: Academic Press, 1975, p. 41-58 (trad. it. Logica e Conversazione in M. SBIS (a cura di), Gli atti Linguistici. Aspetti e problemi di filosofia del linguaggio, Milano: Feltrinelli, 1987, p. 199-219, ripubblicato in P. CASALEGNO
et alii, Filosofia del Linguaggio, Milano: R. Cortina, p. 221-244.

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Emilio DAgostino

che dove non ci sono enunciati non c verit, che gli enunciati sono componenti dei linguaggi umani, e che i linguaggi umani sono creazioni umane.
La verit non pu essere l fuori non pu esistere indipendentemente dalla
mente umana perch non lo possono gli enunciati, Il mondo l fuori,
ma le descrizioni del mondo non lo sono. Solo le descrizioni possono essere
vere o false. Il mondo di per s a prescindere dalle attivit descrittive degli
uomini.46

gli enunciati e i discorsi menzogneri non possono, per, essere individuati perch, come gi sapeva il dio della critica e dello scherno Momo, il cuore umano
non alla vista e, quindi, leventuale cor duplex di coloro che li pronunciano.
Per tale ragione, non possiamo costruire una grammatica della menzogna, ma
una grammatica sullinganno e sulla menzogna. possibile, cio, individuare
il lessico e la grammatica degli enunciati che parlano della menzogna, di ci
che disponibile alluso dei parlanti quanto si imbattono nei discorsi su di
essa.
La forma della rappresentazione quella definita in modo standard nella
letteratura lessico-grammaticale a partire da Gross (1975) e, per litaliano,
dai gi citati studi di Elia, Martinelli (1981) e DAgostino e di DAgostino
(1993). Dato il sotto-insieme delle forme lessicali L e il sotto-insieme delle
propriet di frase P, tale rappresentazione assume la forma di una tassonomia del tipo:
P1
L1
L2
L3

Ln

P2

P3

Pn

e, testando laccettabilit di ogni elemento P per ogni elemento L, si otterr


una tassonomia di tipo binario del tipo:
P1
L1
L2
L3

Ln

P2
+
+
-

P3
+
+
+

+
+
-

Pn
+
+

+
-

Per la natura ed il tipo delle propriet di forme di frase utilizzate sistematicamente nei lavori lessico-grammaticali sullitaliano si rimanda, in particolare, al saggio citato di DAgostino.
46. RORTY, op. cit., p. 11.

Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

187

In questoccasione stato selezionato un numero ridotto di entrate lessicali semplici e composte47 concernenti la coppia menzogna-inganno48 ed un
numero ridotto di propriet grammaticali che si commenteranno. Per le prime
sono presentate venti entrate lessicali e dodici propriet di frase ottenendo la classificazione presente in (2.3.).
stata altres indicata la presenza delle entrate lessicali nel Lessico di frequenza della lingua italiana contemporanea (L.I.F.) e nel Lessico di frequenza
dellitaliano parlato (L.I.P.)
2.2. Le propriet analizzate
Va ricordato che, nella classificazioni lessico-grammaticali, possibile attribuire al termine propriet (P) la comune accezione intuitiva di caratteristica di un elemento lessicale che fa s che questo appartenga ad un determinato
insieme, faccia cio parte di una classe, cio di una collezione di elementi considerata come un tutto. Allo stesso tempo, per noi, se ogni P si concretizza
nella possibilit, per un certo elemento lessicale, di realizzarsi in una data forma
di frase, propriet e forma di frase sono nozioni associate. Va precisato ancora
che, poich nella definizione di una classe normalmente intervengono pi propriet convergenti, per dire che una certa entrata verbale membro di una
certa classe di costruzioni, essa deve presentare pi di una P, quindi pi forme
di frase, pertinenti per quella classe, devono rivelarsi accettabili in relazione a
quella entrata. Nelle classificazioni di tale tipo, nella maggioranza dei casi, ogni
classe, come si detto, definita dalla contemporanea presenza di pi di una
P; naturalmente le varie propriet che convergono nella definizione di una
classe saranno tra loro di tipo diverso. In modo standard sono state applicate
comunemente:
1) propriet strutturali concernenti il numero e la posizione degli argomenti delloperatore, con lesclusione, ovviamente, dal calcolo dei cosiddetti
complementi non pertinenti o circostanziali e quelli di nome, fondamentalmente perch entrambi i tipi costituiscono, generalmente, riduzioni di altre frasi e in tal senso, sar possibile ritenere che le P strutturali
concernenti una determinata entrata saranno quelle che riguardano la
realizzazione sintattica della relazione che si stabilisce tra un operatore
ed i suoi argomenti, cos come essa si manifesta nella frase di base associata definizionalmente a quel determinato verbo o uso verbale. Quelle che
qui vengono definite propriet strutturali prevedono fondamentalmente
lanalisi delle varie posizioni complemento e, di riflesso, anche la considerazione distribuzionale delle preposizioni che si legano ad un complemento;
47. Per la distinzione tra forme lessicali semplici e forme lessicali composte si rimanda ancora
una volta al saggio citato di DAgostino (1983).
48. Le forme lessicali dellitaliano duso che riguardano tale coppia arrivano a circa 130 entrate.

188 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Emilio DAgostino

2) propriet distribuzionali concernenti i vincoli di selezione operanti sulle


posizioni occupate dai vari argomenti. Con P distribuzionali ci si vuole
riferire in modo pi specifico a quellinsieme di forme di frase che servono ad identificare i caratteri della selezione distribuzionale delle forme
nominali che co-occorrono con la specifica entrata verbale nelle varie posizioni previste e che coincidono con gli argomenti delloperatore. Caratteri che vedono realizzarsi nelle varie posizioni (soggetto e complementi)
membri di classi di N di tipo e consistenza variabili. Attraverso di esse si
concretizza la selezione operata dalloperatore e, in tal senso, le P distribuzionali procedono identificando classi di N che variamente si collocano lungo quel segmento che va da quello che si pu definire il polo della
minore restrizione a quello che si pu chiamare il polo della maggiore
restrizione;
3) propriet trasformazionali che costituiscono un insieme, complesso e estremamente differenziato al proprio interno, di forme di frase correlate sistematicamente in termini di rapporti parafrastici a quelle che vengono
individuate come frasi di base associate definizionalmente allentrata verbale
e, allo stesso tempo, frutto di manipolazioni di diversa natura e complessit.
Il termine trasformazionale impiegato non nellaccezione di tipo derivazionale per la quale il rapporto tra due frasi orientato da una base alla
sua trasformata (a b), ma piuttosto in unaccezione direttamente collegata alluso harrisiano della nozione di equivalenza come caso particolare
della pi generale variazione morfofonemica.49
In questa occasione, sono state analizzati tre tipi di propriet e cio: propriet
di restrizione di selezione, propriet strutturali, una propriet trasformazio49. Cfr. DAGOSTINO, op. cit., p. 197-198. A tale riguardo, ci si richiamava direttamente
allaffermazione harrisiana per la quale: En partant de lensemble des discours, cest--dire
de tout ce qui est dans la langue, nous dcouvrons quil existe une certaine relation dquivalence qui determine une partition des discours; les discours qui figurent dans une
mme classe dquivalence seront appels des transformes paraphrastiques (les unes des
autres). Pratiquement, la relation est constitue par le fait quun oprateur (ou un argument) peut prendre une parmi quelques variantes de forme phonmique (plus rarement
des variantes de position) lorsquil est cancatn avec son argument ou son oprateur.
Les variantes sont essentiellement des formes zro, des pro-mots (e.g. pronoms) et des
attachements (e.g. des suffixes)Partant des discours de stricte concatnation, nous
voyons que lorsquun oprateur se concatne ses arguments, ses arguments ou lui mme
peuvent prendre des variantes de formes (ou de position). Ces variantes sont en gnral
facultatives, de sorte que les discours de stricte concatnation ne sont pas remplacs par
celle-ci. Cependant, dans des nombreuses langues, certaines des variantes sont obligatoires lors de certaines concatnations, auquel cas le discours de concatnation non modifi nexixte pas, mais est remplac par la forme modifiLe changement de forme najoute
aucune information objective ces discours. Il ne modifie non plus aucune des relations
crs par lopration de concatnation, celles-ci sont uniquement les relations ordonnes
de contraintes entre oprateurs et arguments, et elles incluent lintroduction partiellement ordonn des oprateurs dans le discours (Z. S. HARRIS, Notes du cours de syntaxe,
Paris: Ed. du Seuil, 1976, p. 37-39).

Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

189

nale ed una propriet di correlazione morfo-fonemica. Per le prime si testata laccettabilit dellequivalenza distribuzionale tra sintagmi nominali e frasi,
ad esempio:
N0 V N1um obbl
Che F V N1um obbl

che si contrappongono in base alla possibilit di registare in posizione soggetto unicamente un sintagma nominale o una frase:
(*Che tu sia partito per Roma + Max) ha buggerato Maria
(Che tu sia partito per Roma + Max) ha ingannato Maria

Per le seconde si testata la possibilit di registrare la presenza di un sintagma nominale o di un sintagma preposizionale in posizione oggetto:
Max ha beffato Maria
Max si beffato di Maria

Come propriet di correlazione morfonemica si testata la possibilit di


una forma nominale associata (V-n), rintracciandola per tutte le forme lessicali semplici e per una composta:
ingannare inganno
buggerare buggeratura
fingere finta
mettere nel sacco *messa nel sacco
prendere in giro presa in giro

e collegando tale propriet alla propriet trasformazionale di nominalizzazione con i due Verbi supporto fare e dare:
Max si beffato di Maria Max si fatto beffe di Maria
Max ha fregato Maria Ma ha dato una fregatura a Maria

2.3. La tavola
Qui di seguito si presenta la tavola relativa agli esempi selezionati.

190 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Emilio DAgostino

C C N

N N N N P P N N V N V V L L

h h

0 0 0 0 r

e e
E
F F

0 0 n 0

u u P F

V V V V p p V V

V p p
s

N N N P d a C d

u F D

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p a

S R

N S E

D e

1 e

u r D

i N

m e

b 1

V E E

b D

b e V

V
W

V
n
+

ABBINDOLARE

+ + +

ARTEFARE

+ +

+ +

BEFFARE

+ + +

BEFFARSI

+ + + + +

+ +

BUBBOLARE

+ +

BUGGERARE

+ +

CONTRAFFARE

+ + +

DARE A VEDERE

+ +

DARE A INTENDERE

+ +

DEFORMARE

+ +

DISSIMULARE

+ + +

DISTORCERE

+ + + +

FALSIFICARE

+ + + +

Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno

191

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

C C N

N N N N P P N N V N V V L L

h h

0 0 0 0 r

V V V V p p V V

e e
F F

u u P F

V p p
s

S
V E E

N N N P d a C d

u F D

1 1 a

p a

e
p

N s

1 e D

u r

m e

r R
D e E

i N

b 1

u
t

b e N

b D V
l

0 0 n 0

V
W

n
W

V
n

FARSI CREDERE

FINGERE

+ + + + +

FINGERSI

+ + +

+ +

FREGARE

+ + + + + +

FRODARE

+ + +

+ +

IMBROGLIARE

+ +

INFINOCCHIARE

+ +

+ +

INGANNARE

+ + +

INVENTARE

+ + + + + + +

MENTIRE

+ + + + +

METTERE NEL SACCO

MILLANTARE

+ + + +

OMETTERE

+ + + + + +

PRENDERE IN GIRO

+ + +

RAGGIRARE

+ + +

192 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Emilio DAgostino

Dalla lettura della tavola si ricavano differenti informazioni concernenti


in primo luogo lo statuto di operatore elementare o non elementare degli operatori e lappartenenza di questi a classi diverse. Infatti si rileva la seguente
situazione:
(1) Operatori elementari Onn
abbindolare artefare contraffare deformare distorcere falsificare frodare imbrogliare infinocchiare mentire mettere nel sacco prendere in giro raggirare

tale tipologia di operatori si realizza in frasi che presentano una struttura come
le seguenti:
N0 V N1um obbl
Max ha imbrogliato Eva
N0 V N1
Max ha deformato il racconto di Eva
N0 V Prep N1
Max ha mentito a Maria
(2) Operatori non elementari Ono
beffarsi dare a vedere dare a intendere dissimulare fingere inventare millantare
omettere
N0 V Che F
Max ha finto che Maria era partita

cui si associa leventuale riduzione allinfinitiva con co-referenza del soggetto:


N0 V di Vinf0 W
Max ha finto di partire per la Tunisia
(3) operatori non elementari Oon
beffare bubbolare buggerare fregare ingannare
Che F V N1
Che Max fosse partito per la Tunisia ha ingannato Maria

Sempre a proposito dei soggetti di tipo frastico va notato che si registrano


anche costruzioni a supporto del tipo:
Che F Essere Det V-n
Che Max sia partito per la Tunisia stata una fregatura

Per una grammatica lessicalmente esaustiva sullinganno

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

193

Va notato inoltre che nel caso dei verbi farsi credere e fingersi le forme di
frase con in posizione N1 un attributo del soggetto:
Max (si fa credere + si finge) magistrato

siano riconducibili a una struttura di tipo causativo:


Max fa credere che magistrato
* Max fa credersi magistrato
Max si fa credere magistrato

Oppure di tipo completivo come;


Max finge che magistrato
Max finge di essere magistrato
Max si finge magistrato

Va registrata la possibilit di Vsup estensioni di essere come rivelarsi, dimostrarsi, costituire, rappresentare. Infine appare significativa la quasi totale assenza delle forme verbali in questione dai lessici di frequenza esaminati e la
contestuale registrazione in questi ultimi delle corrispondenti forme nominali associate come imbrogliare imbroglione.
Conclusioni
In questo contributo si tentato di mostrare come sia possibile convertire in
senso harrisiano le nozioni di apparato significante di origine greimasiana e
di vocabolario in senso rortriano in unanalisi linguistica fondata sulla grammatica harrisiana in operatori e argomenti e sulla procedura di rappresentazione lessico-grammaticale elaborata da Maurice Gross. Unindagine analoga
stata effettuata su una parte del vocabolario delle passioni, in particolare dellira e dellodio, e verr presentata in una prossima occasione.

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

195-208

Vita Nuova, XIX. Intorno a una traduzione


di Joan Maragall1
Francesco Ardolino
Universitat de Barcelona

Abstract
Il ritrovamento del manoscritto di una traduzione maragalliana della Canzone di Vita
Nuova, XIX getta una nuova luce sul dantismo di Maragall e aiuta a dipanare alcuni punti
oscuri su una versione pubblicata nella rivista Lletra e non raccolta nelle Obres Completes.
Nel presente studio si inquadrer la versione maragalliana allinterno del preraffaellitismo
catalano, si analizzeranno le soluzioni testuali proposte dalllo scrittore catalano e si generer una proposta di edizione.
Parole chiave: traduzione, ricezione, Dante e dantismo, Maragall, Catalogna.
Abstract
The rediscovery of the manuscript containing a translation by Maragall of Vita Nuova XIX
sheds new light on Maragalls Danteism and helps in clarifying certain obscure points in a
version published by the journal Lletra, which never formed part of the Obres Completes.
The current study places Maragalls version within the environment of the Catalan preRaphaelite movement, examines the textual solutions put forward by the Catalan writer
and sets out proposals for editing the work.
Key words: translation, reception, Dante and Danteism, Maragall, Catalonia.

1. Questarticolo rientra nel Proyecto de investigacin Boscn, BFF 2002-01860, Bibliografa textual aplicada a las traducciones espaolas de la literatura italiana (catlogo automatizado de las traducciones literarias en castellano y cataln: 1400-1939), coordinato dalla
Prof.ssa Mara de las Nieves Muiz Muiz. In particolare, si tratta della versione italiana
dellultimo capitolo di un lavoro dal titolo (provvisorio) Prosa, poesia potica i traducci:
Dante a lobra de Joan Maragall. Con le sigle OC I e OC II si indicheranno i due volumi
di Joan MARAGALL, Obres Completes, Barcellona: Selecta, 1981 [1960 e 1961], dedicati,
rispettivamente, alla produzione in lingua catalana e a quella in spagnolo.

196 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Francesco Ardolino

1. Presentazione
In una copia della traduzione catalana della Vita Nuova ad opera di Manuel
de Montoliu conservata nella Biblioteca di Filologia dellUniversitat de Barcelona, si possono leggere ai margini vari appunti, con ogni probabilit risalenti alla mano del curatore, sparsi lungo tutto il testo.2 Il chiosatore si sfoga,
in particolare, intorno alla canzone Oh dnes, que capiu o que Amor sia.3
Nel 1937, la versione di Montoliu verr sottoposta a normalizzazione ma non
saranno introdotte nelle note le idee segnate a penna su questa copia del libro.4
2. Dant ALLIGHIERI, La Vida Nova, Barcellona: Biblioteca Popular de LAven, 1903. La
notizia del ritrovamento di un esemplare con note autografe era gi stata annunciata da
Gabriella GAVAGNIN, La letteratura italiana nella cultura catalana (1918-1936), tesi di dottorato, Universitat de Barcelona, p. 244 e 247. La firma a mo di ex libris che Montoliu
lascia nella prima di copertina combacia almeno nellanalisi di un principiante assoluto
in perizie calligrafiche, come lautore di questarticolo con la scrittura usata negli appunti interni al libro.
3. La traduzione occupa le pagine 47-49 (rispettivamente v. 1-23, 24-51 e 52-70). Alla fine dellinvocazione dellAngelo al Signore, nella seconda strofa, c un rimando a nota dove si
pu leggere La terra no es digna de Beatriu. V. Influencias Platnicas. Alla fine della terza
strofa (I encar li ha Du major merc donat, / che no pot mal morir qui li ha parlat), con
un altro rimando si enuncia Recort del culte la Verge Maria. Poco pi sotto (v. 43-44),
la domanda dAmore, Com es que mortal cosa / tant ornada pot esser i tant pura?, glossata come una conferma di quanto detto sopra: Igual. La pagina 48 percorsa verticalmente da due scritte: nella parte pi esterna si legge Personificacions de la bontat divina
e, in quella interna, El Dant posa en Beatriu una sintesi de totes les virtuts secretes y miraculoses que l Cristianisme atribueix als seus sants.
4. Dante ALLIGHIERI, La Vida Nova, Barcellona: Edicions de la Rosa dels Vents, 1937. Non
va, invece, presa in considerazione la nuova edizione DANTE, Vida nova, Barcellona:
Quaderns Crema, 1999 curata (si fa per dire) da Jaume Vallcorba. Leditore, infatti,
impone di suo pugno la revisi, presentaci i notes complementries seguendo un bizzarro criterio di rispetto dellintentio auctoris: autoritzat per la nota a ledici de 1937,
segons la qual Manuel de Montoliu va suggerir una revisi i regularitzaci de loriginal a
favor de lexpressi normal del catal literari viu, he passat a perifrstiques les primeres persones del pretrit perfect dels textos en prosa, i he substitut unes quantes molt poques
paraules; cfr. Jaume VALLCORBA, Nota editorial, ibid., p. 15-16 (cit., p. 15). Non male,
per unedizione in cui 1) la Nota editorial del 1937 non appare poich, se apparisse, i
nodi verrebbero subito al pettine. Eccola qui: N. de la D.: Hem volgut trascriure ntegrament aquest prleg, a desgrat del seu parcial desplaament cal recordar que del 1903
en la nostra llengua ha arribat a un recobrament absolut perqu lestudi que shi fa de
lobra traduda illustrar bellament el lector. Ens cal afegir, noms, que, volent honorar la
confiana que deposit en nosaltres el senyor de Montoliu, autoritzant-nos a revisar i a normalitzar loriginal, ens hem limitat a una correcci estrictament ortogrfica, i en alguns
casos, en els versos, a resoldrels donant a lexpressi literria la forma ms aproximada a
lexpressi del catal viu. In cui 2) mentre nella Nota editorial vallcorbiana si annuncia
que el text que avui presentem reprodueix en part el daquesta reimpressi [de 1937] esmenat a la vista de la primera, al qual shan fet correccions i addicions tenint al davant ledici
crtica de Michele Barbi (cit., p. 15), nella quarta di copertina si afferma tutto il contrario:
per la present edici hem recuperat la traducci catalana que en va fer Manuel de Montoliu
[] el 1903, revisada a la vista de les ms solvents edicions modernes. Ma si vedano solo
le varianti relative al primo paragrafo nelle tre edizioni (si elimina il rimando a nota e si
risaltano le divergenze in grassetto): MONTOLIU 1903: En aquella part del llibre de la meva
memria, abans de la qual poc shi podria llegir, shi troba una rbrica, la qual diu: Incipit

Vita Nuova, XIX. Intorno a una traduzione di Joan Maragall

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 197

Linteresse per la Vita Nuova, da parte del preraffaellismo catalano a cavallo


tra i due secoli, vivissimo e il fatto che Montoliu acconsentisse alla correzione della grammatica e dellortografia del suo testo per farlo entrare in sintonia con i tempi, pi che comprensibile; piuttosto, sar da riconoscere limpegno
profuso dallo studioso, nellarco di almeno quattro decenni, nellesegesi del
testo.5
al centro di questo entusiasmo da cui era stato catturato non solo
Montoliu ma tutto un gruppo di intellettuali catalani, Modernisti e Noucentisti che va collocato il tentativo di traduzione operato da Maragall della
canzone qui in esame.
Prima di dedicare la nostra attenzione alla versione di Maragall, varr la
pena affrontare due questioni di fondo, che potranno sembrare opposte ma
che, in un discorso critico globale, diventano complementari. La prima linteresse del Poeta verso le traduzioni in catalano; la seconda riguarda la mancata conoscenza e il successivo disinteresse dimostrato dagli studiosi maragalliani
nei confronti di questa traduzione.
Per quanto concerne il primo punto, il Nostro non vacilla mai nelle sue
affermazioni e mantiene legato il concetto di amore per la lingua (catalana) a
Vita Nova. Sota la qual rbrica, jo trobo escrites les paraules que tinc el pensament de retreure en aquest llibret; i, si no totes, al menys la llur significana; MONTOLIU 1937: [] poc
es podria llegir, es troba una rbrica que diu: Incipit Vita Nova. Sota la qual trobo escrites
les paraules [] al menys la seva significana; VALLCORBA-MONTOLIU 1999: [] poc
shi podria llegir, hi ha una rbrica que diu: Incipit vita nova. Sota aquesta rbrica trobo
escrites les paraules [] almenys la seva significana. Si dia la parola alledizione Barbi,
chiamata in causa da Vallcorba, come appare riprodotta nellAppendice dellEnciclopedia
dantesca: In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo
scritte le parole le quali mio intendimento dassemplare in questo libello; e, se non tutte,
almeno la loro sentenza. Quindi, Vallcorba recupera la parola rbrica, presumibilmente sfogliando il testo italiano, ma non la ripetizione dantesca del verbo trovare, forse perch non la trovava abbastanza elegante. Infine, siamo di fronte a unedizione in cui 3) anche
il titolo stato cambiato, visto che larticolo la era presente sia nelledizione del 1903 che
in quella del 1937, ma la decapitazione avviene impietosamente sotto la scure dei Quaderns Crema. Vallcorba non nuovo a operazioni di questo genere, che potremmo battezzare come nuovo approccio filologico basato sul principio Lauteur, cest () moi: ne d
fede anche in una polemica, riguardante ledizione delle opere foixiane, con Veny-Mesquida nelle pagine della rivista Els Marges; cfr. Joan Ramon VENY-MESQUIDA, Sobre ledici
crtica de textos, Els Marges, n. 67, ottobre 2000, p. 75-107; J. VALLCORBA, Sobre ledici de textos: a propsit duna nota de Veny-Mesquida i les edicions de Foix, Els Marges,
n. 68, dicembre 2000, p. 117-121; J. R. VENY-MESQUIDA, Encara sobre els textos de J. V.
Foix publicats a Quaderns Crema. (Resposta a leditor Jaume Vallcorba), Els Marges, n. 69,
gennaio 2001, p. 96-111. Su un aspetto che ci tocca pi da vicino, bisogner aspettare uno
studioso che, pazientemente, controlli i cambiamenti imposti dal Modernizzatore alla nuova
edizione della traduzione di Sagarra della Divina Commedia.
5. Gavagnin analizza in modo particolareggiatissimo le operazioni culturali condotte in Catalogna nellambito del sesto centenario della morte di Dante. Tra esse, c un ulteriore intervento di Montoliu ma, malgrado i mutamenti ideologici dellautore messi in luce da
Gavagnin, non si trovano modifiche sostanziali alla linea che aveva pi volte sostenuto nel
primo decennio del Novecento; cfr. G. GAVAGNIN, op. cit., p. 244-248.

198 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Francesco Ardolino

quello del rafforzamento culturale di essa attraverso lincorporamento degli


altri testi letterari mediante le traduzioni. Vediamone un paio di esempi:
I una llengua que, tenint prou fora assimiladora, se troba en les condicions
que avui se troba la catalana, jo crec que tamb es pot aprofitar molt dun altre
element de correu que s la traducci de les grans obres literries estrangeres.
El treball de traducci, quan s fet amb calor artstic, suggereix formes noves;
fa descobrir riqueses de lidioma desconegudes, li dna tremp i flexibilitat, el
dignifica per laltura de lo tradut, i en gran part li supleix la falta duna tradici literria prpia i seguida. De ms, el posa en contacte amb lesperit hum
universal i li fa seguir la marxa amb ell.6
As al lado de la resurrecin de nuestros clsicos debemos espaciarnos en la
traduccin de las mejores obras de las literaturas extranjeras adaptndolas
a nuestra expresin, que es como adaptar sta a lo universal del espritu humano.7

Insomma, la traduzione rappresenta un preciso percorso politico-culturale per ledificazione di una Catalogna nazionale o regionale che sia. Il despert
entre adormits lungimirante e, dando uno sguardo alla sua produzione, non
lo si pu certo accusare di predicare bene e razzolare male.
Cal atorgar a Maragall el mrit dhaver reconegut la importncia que tenia per
al desenvolupament del catal el contacte amb les altres literatures. El seu impetus i juvenil contacte amb lobra de Goethe fou el comenament dun cam
ric de conseqncies per a la seva formaci literria i per a lenriquiment del seu
estil i simultniament de la llengua catalana en general.8

Passando in rassegna le versioni di Maragall, si scoprono sistematicamente gli altarini dei suoi autori prediletti: per questo che il rinvenimento di una
traduzione di Dante avrebbe potuto contribuire a spostare il baricentro degli
interessi maragalliani in una zona finora poco o punto esplorata dai critici. Il
documento che si riproduce nelle pagine seguenti la prova del nove di quella funzione-Dante che, in altro luogo, si ipotizzava come possibile.
Questultima osservazione si lega alla seconda ragione di fondo. La versione maragalliana non inedita: il testo venne pubblicato nel primo numero
della rivista Lletres di Girona ma, nelle Obres Completes, nei vari saggi critici
su Maragall, persino nelle bibliografie specializzate non se ne faceva menzione.
quindi con giusto risalto che Fulcar, in uno studio sul modernismo gerundino, riporta la traduzione della canzone con un sopratitolo altisonante, Un
text desconegut de Joan Maragall, e segnala, in nota, che laparici dun text
indit de Joan Maragall a les pgines de Lletres s un fet indicatiu de la quali6. El catalanisme en el llenguatge. Fragments dun discurs (1893), in OC I, p. 789.
7. Traducciones, Diario de Barcelona, 5-12-1901, in OC II, p. 166.
8. Cfr. Jaume TUR, Maragall i Goethe. Les traduccions del Faust, Departament de Filologia Catalana de la Universitat de Barcelona, 1974, p. 57.

Vita Nuova, XIX. Intorno a una traduzione di Joan Maragall

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 199

tat de la publicaci.9 La rivista, che aveva visto la luce nellaprile del 1907,
arriv fino al numero nove, rispettando per lo pi la scadenza mensile e chiudendo definitivamente i battenti a novembre dello stesso anno.10 Anche Joaquim Molas, autore del prologo al libro di Fulcar, si rende conto del valore
della scoperta e, nel momento di tessere le lodi allo studio che segue, avverte che
vi si troveranno degli apporti decisivi e che lautrice dna a conixer, per exemple, una traducci maragalliana desconeguda duna de les obres centrals del
Modernisme i fins del Noucentisme: la Vita nuova.11
Fin qui tutto rientrerebbe nei termini di un ritrovamento seguito a una
perdita per distrazione e il dato non susciterebbe alcuno scalpore. Il fatto ,
per, che la traduzione in questione di nuovo caduta nelloblio e gli specialisti maragalliani non la citano e, forse, neppure la conoscono. Dallaltra parte,
non che le cose vadano tanto meglio ed sintomatico che Rossend Arqus,
che nel suo saggio sul dantismo catalano dedica alcune pagine intuitive di
unintuizione valida e proficua a Maragall, non ne faccia menzione.12
Eppure, lo stesso Maragall a ringraziare epistolarmente Carles Rahola
della rivista appena ricevuta e a chiamare in causa il proprio contributo; tra
laltro, in una lettera precedente aveva accolto possibilisticamente lidea di partecipare con qualcosa di suo pur senza specificarne le caratteristiche.13 Certo,
non indicava titoli n nomi, ma dava tutte le informazioni per reperire un
documento che sembrava scritto per loccasione e che, perci, aveva tutte le
carte in regola per far sospettare della sua originalit.
Non ancora finita. NellArxiu Maragall si trova infatti conservato un foglio
di dimensioni ridotte (24,5 15 cm) scritto sulle due facciate con il testo a
uno stadio molto simile a quello della traduzione pubblicata nella rivista.14
Qui di seguito, si offre la versione apparsa in Lletres, con le varianti del manoscritto e le relative correzioni autografe. Il testo italiano a fronte , invece, quello contenuto nel volume di Fraticelli presente nella biblioteca privata di
9. Cfr. Maria Dolors FULCAR I TORROELLA, Girona i el modernisme, Girona: Instituto de
Estudios Gerundenses, 1976, p. 169.
10. La rivista consultabile presso la Biblioteca Pblica di Girona. Per una descrizione esaustiva, cfr. ancora M. Dolors FULCAR I TORROELLA, op. cit., p. 76-81.
11. Joaquim MOLAS, Prleg, in M. Dolors FULCAR I TORROELLA, op. cit., p. VIII.
12. Cfr. Rossend ARQUS, El rastro de la pantera perfumada (Dante en las poticas de la modernidad), Tenzone, n. 1, 2000, p. 179-214. Ora in catalano con il titolo El rastre de la pantera perfumada (Dante en les potiques de la modernitat), Quaderns de la Fundaci Maragall,
n. 53, 2000 [febbraio 2001], p. 23-53. La notizia invece raccolta da Assumpta CAMPS,
El Dante de La vita nova en catal, Revista de Catalunya, n. 122, ottobre 1997, p. 89102 (97) e, successivamente, sviluppata in A. CAMPS, De una cancin de La Vita Nova de
Dante Alighieri traducida por Joan Maragall, Voz y Letra, tomo VIII, vol. 1, 1997, p. 5-12;
ne dimostra la conoscenza anche Llus QUINTANA TRIAS, La veu misteriosa, Barcellona:
Publicacions de lAbadia de Montserrat, p. 321.
13. Le lettere, la prima dell1-3-1907 e laltra senza data, si trovano in OC I, p. 1076-1077. Il
riferimento naturalmente gi stato indicato sia da Fulcar che da Camps.
14. Attraverso il foglio molto sottile si legge in filigrana il numero 4800. Il documento era
stato catalogato con un errore di trascrizione nello schedario manuale dove risulta lintestazione Diuen que haveu enteniment damor.

200 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Francesco Ardolino

Maragall.15 Si lasciano quindi in coda ledizione critica del testo e il commento


relativo.
2. Il testo pubblicato e le varianti autografe16
Duna cans de la Vida Nova del Dante Alighieri
(fragments traduhits per J. Maragall)
v. 1-8

v. 1-14

Dones que haveu enteniment damor


Vull ab vosaltres de la meva dir
No perque crega sua llahor finir
Sino parlar per desfog el meu cor.
Vos dir que pensant el seu valor
Amor se m f tant dolament sentir
Que si no fos llavors mon defallir
Parlant fara enamorar tot cor

Donne chavete intelletto damore,


Io vo con voi della mia donna dire;
Non perchio creda sua laude finire,
Ma ragionar per isfogar la mente.
Io dico che pensando il suo valore,
Amor s dolce mi si fa sentire,
Che, sio allora non perdessi ardire,
Farei, parlando, innamorar la gente:
Ed io non vo parlar s altamente,
Chio divenissi per temenza vile;
Ma tratter del suo stato gentile
A rispetto di lei leggeramente,
Donne e donzelle amorose con vui,
Ch non cosa da parlare altrui.

....................................................................................

2) Ms: dela. 3) Ms: llaor. 4) Ms: Mes raonar per desfogar el meu cor; CMs:
desfog. 6) Ms: f. 8) Ms: faria.
v. 9-22

v. 15-28

Un ngel clama ab divinal clamor


Y diu: Senyor, al mon s hi esdev
Una gran meravella que prov
D esprit que fins aqu llena claror.
Y tot el cel, al qui no manca r
Sino haverlo, demnal al Seny,
Y tots els Sants ne volen la merc:

Angelo clama in divino intelletto


E dice: Sire, nel mondo si vede
Meraviglia nellatto, che procede
Da unanima, che fin quass risplende:
Lo Cielo che non have altro difetto
Che daver lei, al suo Signor la chiede;
E ciascun santo ne grida mercede.

15. Dante ALIGHIERI, Opere minori, a cura di Pietro FRATICELLI, Napoli: Francesco Rossi-Romano, 1855.
16. Legenda: Ms = testo base del manoscritto; CMs = correzioni successive sul manoscritto. Il
testo base quello pubblicato nella rivista Lletres.

Vita Nuova, XIX. Intorno a una traduzione di Joan Maragall

No mes pietat ens dona la rah.


Que Deu ohint que s parla d ella: Amats
Diu ne ls sants no vos despacientu,
Que all ont ella es hi h alg que quan
l haureu
Al infern anir d als condemnats:
Jo he vist la esperana dels benaventurats
Ma dona es desitjada dalt del cel!

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 201

Sola piet nostra parte difende;


Ch parla Iddio, che di madonna intende:
Diletti miei, or sofferite in pace,
Che vostra speme sia quanto mi piace
L ov alcun che perder lei sattende
E che dir nello inferno a malnati:
Io vidi la speranza de beati.

9) Ms: on [?] dur el; CMs: ab divinal clamor. 13) Ms: Y tot el Cel que sols
trova mancana; CMs: al qui no manca res; CMs2: r. 14) Ms: Daquest esprit;
CMs: Sino haverlo. Ms: Senyor. 17) Ms: della diu:; CMs: della: Amats: 18)
Ms: Estimats; CMs: Diu nels Sants. Ms: despacienteu. 19) Ms: alla.
que la perdra; CMs: quan lhaureu. 19bis) Ms: Quem plau que ont es hi ha alg
que quan lhaureu [cassato in blu]. 20) Ms: que al infern anira ; CMs: al
infern podr an ; 21) Ms: Jo h vist a [?] esperana [cassato in blu]; CMs:
Jo he vist la esperana. 22) Ms: .
v. 23-34

v. 29-42

Ara os dir quina es la sua virtut:


Dna que vulla apendre gentilesa,
Que vaja ab ella, que quan v fent va
En els homes grollers posa una feresa
Que aquell que baixament la mirara
Oen seria ennoblit s morira.
Mes quan ne troba algn que digne sa
De mirarla, en aquell t tal virtut
Que se sent molt mellor de lo que s pensa,
Y tant humil, que oblida tota ofensa.
Y encara major gracia Deu li h dat:
Que no pot mal finir qui li h parlat

Madonna desiata in sommo cielo:


Or vo di sua virt farvi sapere:
Dico: qual vuol gentil donna sapere
Vada con lei, che quando va per via,
Gitta ne cor villani Amore un gelo
Per che ogni lor pensiero agghiaccia e pere:
E qual soffrisse di starla a vedere
Diverria nobil cosa, o si morria:
E quando trova alcun che degno sia
Di veder lei, quei prova sua virtute,
Ch gli addivien ci che gli d salute
E s lumilia, che ogni offesa obla
Ancor le ha Dio per maggior grazia dato
Che non pu mal finir chi le ha parlato.

24) Ms: Dona. 25) Ms: v fent va. 26) Ms: En els cors. CMs: En els homes.
Ms: posa feresa; CMs: posa una feresa. 27) Ms: miraria. 29) Ms: en seria
s moriria. 29) Ms: algun. 33) Ms: li h dat. 34) Ms: li h parlat.

202 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Francesco Ardolino

v. 35-44

v. 43-56

....................................................................................

Dice di lei Amor: cosa mortale


Come esser pu s adorna e s pura?
Poi la riguarda, e fra s stesso giura
Che Dio ne intende di far cosa nova.
Color di perla quasi informe, quale
Conviene a donna aver non fuor misura:
Ella quanto di ben pu far natura;
Per esempio di lei belt si prova.
Degli occhi suoi, comecchella gli muove,
Escono spirti damore infiammati
Che fieron gli occhi a qual, che allor gli
guati,
E passan s che l cor ciascun ritrova:
Voi le vedete Amor pinto nel viso,
Ove non puote alcun mirarla fiso.

Color de perla, que bell rostre escau,


Es el seu; esblaymat, pero no massa;
Es tot lo b que puga fer natura
Y d humana bellesa la mesura.
Y dels ulls vn sortintli mentres passa
Uns esperits d amor tots inflamats
Que fereixen els ulls del qui la mira
Y van de dret al cor; y d estragit
Amor meteix al rostre: tal el gira
Que no pot pas mirarse fit fit.
....................................................................................
....................................................................................

35) Ms: que bell; CMs: que un bell. 36) Ms: Es del; CMs: Es el seu. 39) Ms:
van. 42) Ms: vn - d. 43) Ms: aixs es dit; CMs: tal el gira.

3. Proposta dedizione17
Dones que haveu enteniment damor
Vull amb vosaltres de la meva dir
No perqu crega sua llaor finir
Sin parlar per desfogar el meu cor.
Vos dir que pensant el seu valor
Amor sem fa tan dolament sentir
Que si no fos llavors mon defallir
Parlant faria enamorar tot cor.
.................................................................................

Un ngel clama amb divinal clamor


I diu: Senyor, al mon shi esdev
17. Per quanto riguarda i criteri di edizione, si sono volute rispettare la maggior parte delle
norme sistematizzate da Glria Casals nella sua edizione critica dei libri di poesia pubblicati
in vita da Maragall; cfr. Glria CASALS, Criteris dedici, in J. MARAGALL, Poesia, Barcellona: La Magrana, 1997, p. 61-65. Pertanto, si modernizzato luso degli accenti e di alcune forme grafiche concomitanti (i per y); si adeguata la punteggiatura nel modo pi
conservativo possibile; si sono risolte in amb e in on le forme ab e ont maragalliane oltre
alla riduzione a tan della forma tant con efelcistica davanti ad avverbio e aggettivo; si sono
mantenute le elisioni del pronome es in posizione atona ed enclitica preceduta da vocale;
si sempre restituita la -r elisa, anche quando segnalava evidentemente una sinalefe (d
estragit) comunque facilmente interpretabile, prendendo le distanze in questo specifico caso
da quanto proposto da Casals per evitare un surplus di accentazioni grafiche. Si mantenuta
invece lalternanza tra le forme esprit/esperit, facilmente spiegabile per ritmo e computo
metrico, ma anche quella alg/algun, e non si proceduto allapostrofazione quando implicava unelisione di vocale (la esperana).

Vita Nuova, XIX. Intorno a una traduzione di Joan Maragall

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 203

Una gran meravella que prov


Desprit que fins aqu llena claror.
I tot el cel, al qui no manca re
Sin haver-lo, demanal al Senyor,
I tots els Sants ne volen la merc:
Noms pietat ens dna la ra.
Que Deu oint ques parla della: Amats
Diu an els sants no vos despacienteu,
Que all on ella s hi ha alg que quan lhaureu
A linfern anir a dir als condemnats:
Jo he vist la esperana dels benaventurats.
Ma dona s desitjada a dalt del cel!
Ara os dir quina s la sua virtut:
Dona que vulla apendre gentilesa,
Que vaja amb ella, que quan va fent via
En els homes grollers posa una feresa
Que aquell que baixament la miraria
O en seria ennoblit os moriria.
Mes quan ne troba algun que digne sia
De mirar-la, en aquell t tal virtut
Que se sent molt mellor de lo ques pensa,
I tan humil, que oblida tota ofensa.
I encara major gracia Du li ha dat:
Que no pot mal finir qui li ha parlat.
.................................................................................

Color de perla, que a bell rostre escau,


s el seu; esblaimat, per no massa;
s tot lo b que puga fer natura
I dhumana bellesa la mesura.
I dels ulls van sortint-li mentres passa
Uns esperits damor tots inflamats
Que fereixen els ulls del qui la mira
I van de dret al cor; i dur estragit
Amor meteix al rostre: tal el gira
Que no pot pas mirar-se fit a fit.
.................................................................................
.................................................................................

4. Analisi della traduzione


La versione di Maragall sembra scritta precipitosamente, a far un piacere allamico Rahola e agli altri membri della rivista. Per cui, il Poeta non si perita,
dopo un dubbioso tentativo iniziale nel frammento della prima strofa, di riprodurre lo schema metrico delloriginale (ABBC ABBC, CDD CEE), ma d alla
traduzione una struttura rimica eccentrica non riconducibile ad alcuna regola fissa. Dubbioso si detto, in quanto anche nei primi versi c un bisticcio
di rime allocchio -r, -ir, -ir-, r; r, -ir, -ir, r. Oltretutto, a chiudere il fram-

204 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Francesco Ardolino

mento , nella sirma, la stessa parola, cor, che era alla fine della fronte, senza spostamento di significato.18 In questa fase, tranne per lultimo sintagma in rima,
la versione quasi calcata alloriginale.
Ma nei versi successivi Maragall si discosta dal testo dantesco, manifestando una certa insofferenza. Si va dalla rima, che trova soluzioni bizzarre, fino al
computo sillabico che, pur mantenendo la base endecasillabica delloriginale, si
deforma alla fine della seconda strofa in un verso ipermetro (v. 21); del resto,
se non sospettoso anchesso dipermetria, quantomeno appesantito da sineresi
e sinalefi il v. 19. In questo caso, giustificare i difetti giocando a rimpiattino
dietro il concetto della parola viva operazione che va senzaltro scartata. Lo
dimostra, proprio nella strofa in esame, una svista di Maragall che, di fronte
ai v. 24-25 di Dante, si confonde durante la stesura per cui, scrivendo il secondo emistichio dellultimo verso ripete il precedente e infine, consapevolmente
o meno, li riaccorpora in un unico verso. In ultimo, la rima ra di questa strofa potrebbe aver condizionato, retrospettivamente, la sostituzione del primo
emistichio del v. 4 della precedente, dove era stato piazzato inizialmente un
raonar; ma, in quel caso, bisognerebbe ammettere che lAutore non si sia accorto che, cos facendo, raddoppiava, invece, il parlar nella stessa strofa.19
18. Secondo Camps, il testo di Maragall produce 5 estrofas irregulares de 8, 8, 6, 12 y 10 versos
cada una, con una cierta regularidad de rima que no alcanza, ni de lejos, la rotundidad de la
cancin de Dante. As, en la primera, hallamos: ABBAABBA; en la segunda: ACCACACA;
en la tercera: DEEDDE; en la cuarta: FGHGHHHFIIJJ; y en la quinta y ltima: KLMMLDNONO, de tal modo que se recupera una rima anterior de la tercera estrofa en -ats; cfr. A.
CAMPS, De una cancin de La Vita Nova, op. cit., p. 10. Lasciando perdere ogni altra
considerazione, tra cui anche il computo delle strofe per cui si rimanda alla nota seguente, ci
si concentri sulla lettura dello schema metrico della prima stanza. Camps sostiene la riduzione di -r e -r a un unico elemento. In epoca prefabriana, si sa, era un espediente generalmente accettato e si potrebbero addurre a dimostrazione anche esempi verdagueriani. Tuttavia,
qui diverrebbe inutilmente azzardato allontanare la traduzione dalloriginale quando, proprio
in questa prima strofa, riscontrabile senza forzature una perfetta corrispondenza.
19. Nel testo riprodotto da Fulcar lerrore pi grave di trascrizione allaltezza di questo finale di
strofa. Fulcar salta un verso e mantiene nella stessa stanza, come pubblicato nella rivista, quello che era in realt il primo verso della strofa seguente, producendo un effetto quasi comico:
Al infern anir d als condemnats: / Ma dona es desitjada dalt del cel!. Camps, invece,
recupera il v. 21, Jo he vist la esperana dels benaventurats, ma giustifica la collocazione
anticipata del v. 22, aggiungendovi peraltro una congiunzione (I ma dna). Se questultimo errore pu essere considerato come un semplice refuso, Camps toglie, con il suo commento, ogni dubbio riguardante lintenzionalit del resto della sua trascrizione: los sutiles cambios
en la puntuacin y, muy especialmente, en la distribucin estrfica, por ejemplo el traslado del
verso 28 inicio de la estrofa 4 en Dante y conclusin de la 3 en Maragall sugieren una
acentuacin diferente de la cancin de Dante. Acentuacin que se incremente con ese cel!
exclamativo en posicin final que remata la estrofa 3 de un modo muy fuerte; cfr. A. CAMPS,
De una cancin de La Vita Nova, op. cit., p. 10. Infatti, 1) non si sa sullappoggio di quali
basi, Camps sdoppia la seconda stanza generandone una nuova che comincia con Que Du
ohint; 2) tutta la pomposa prolusione centrata sulla parola cel in esclamazione cade di fronte alla restituzione del verso in questione alla sua legittima strofa. vero che nel manoscrito c
uno spazio piuttosto esteso tra questo verso e il seguente, ma da questa constatazione allidea
di una divisione strofica oltretutto collegando il verso a inizio pagina con quello finale della
pagina precedente c lo stesso passaggio che porta dalla congettura allillazione.

Vita Nuova, XIX. Intorno a una traduzione di Joan Maragall

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 205

Anche nella terza strofa c un risparmio per assimilazione di contenuti,


per cui il secondo piede della fronte si riduce a tre versi. Si perde la specificazione che il qual del distico finale della fronte rappresenta rispetto ai cor
villani (un piccolo gruppo ritagliato allinterno di un insieme pi vasto di
persone), per cui la relazione fra gli homes grollers e lexemplum segnato da que
aquell que divenuta in catalano un rapporto di comparazione e il primo que
va letto con il senso di tanto che, al punto che. Loen che principia il v. 28,
va inteso, naturalmente e alla luce del manoscritto, come un semplice refuso.
Difficile stabilire se sia da collegare a questa parola o alla collocazione anticipata del v. 22, il seguente commento spassionato di Maragall, evidentemente
in risposta a delle scuse precedenti:
Jo estic molt content de que mhagin volgut a tan bona companyia. Em sembla que no cal donar fe de lerrada tipogrfica: de sentit natural sesmena tota
sola, em sembla. De tots modos vosts facin com els sembli millor.20

La quarta strofa della Canzone lultimo brano tradotto, frammentariamente, da Maragall, che ricusa quindi lo sforzo di cimentarsi con il congedo.
Viene ovviamente da pensare ma impossibile provarlo che le ragioni
siano ideologiche, data la tipicizzazione della formula. In questo caso, la versione
catalana presenta una duplicazione con uno scambio di posizioni rispetto alloriginale. Se Maragall ha un colpo dorgoglio che fa risplendere il suo primo
verso (poi erroneamente anticipato, come si gi detto), cade nella ridondanza
con quellesblaymat, per no massa che sembra pi che altro una glossa per facilitare la spiegazione, mentre linversione del rapporto misura/natura si presenta come unilluminazione molto pi felice. Quindi, Maragall evita il verso,
forse per lui troppo dottrinale, per esempio di lei belt si prova: sar del tutto
casuale, ma ancora una volta il secondo piede della fronte ad essere ridotto a
tre versi.
Particolarmente interessante per il risultato dellultimo sforzo maragalliano. Il movimento degli occhi del testo italiano viene inserito in un contesto di movimento globale della persona. Un d estragit viene infine attribuito
a unazione dAmore, pensato come immagine quasi immobile nelloriginale
e anche limpossibilit di guardare applicata a un oggetto in movimento di cui
non chiara la natura: tal el gira, infatti, pu essere retto o da Amore o dalla persona di lei e non ci aiuta la prima versione del manoscritto che riportava
un aixs es dit che fungeva chiaramente da riempitivo.
5. Conclusioni
Letta nella sua globalit, la versione piuttosto irregolare e raffazzonata, anche
se risplende in alcuni punti di luce propria specialmente se si predisposti ad accettare certe forzature dautore. Le varianti del manoscritto sono poche
20. Lettera a Carles Rahola non datata [aprile 1907] in OC I, p. 1076-1077.

206 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Francesco Ardolino

e il testo sembra essere stato steso di getto. Si obietter che le brutte copie di
Maragall sono sempre molto pulite e quasi definitive, ma resta il sospetto di
unintepretazione forzata basata su testi che non possono essere definiti come
abbozzi. E, forse, in fondo, aveva ragione Garcs quando replicava:
Lesmena, el retoc, la tria dels mots, lobedincia a una memria i una msica
pregones, sn normals en el moment de la creaci del poema. Tothom sap que
fins en aquells autors ms senzills i entenendors com, posem per cas, Verdaguer, o en els ms obstinats fidels de la paraula viva i a llur davant Maragall,
trobarem els manuscrits plens deliminacions i dafegits successius, palpitant
de dubte que ens mostren quins viaranys abruptes han calgut seguir a remolc
de la inspiraci []21

Daltra parte, limpegno di Maragall sul piano concettuale, sin dalla corrispondenza intelletto/enteniment, sembra essersi profuso in un rispetto delloriginale dietro il quale fa capolino la devozione del Modernismo verso il
testo della Vita Nuova.22
Non si insister ora sugli aspetti pi complessi che legano Maragall allopera
di Dante. invece il caso di sottolineare, una volta per tutte, limportanza di
questa traduzione dantesca pubblicata in vita: in unottica al tempo stesso specifica e generale sar giocoforza ammettere il rapporto che le traduzioni in
catalano di Maragall mantengono con il suo percorso di ricerca letteraria. Dal
Faust alle Elegie romane, dagli Inni omerici alla Prima Olimpica di Pindaro, dal
Cos parl Zarathustra al Tristano e Isotta di Wagner, passando per lEnrico di
Ofterdingen di Novalis, le versioni vengono intraprese in base a una serie di
scelte strategiche e estetiche che evidenziano le influenze pi profonde e varie
che si stratificano nellopera di Maragall. Ma il Nostro ha la straordinaria capacit di tesserle minuziosamente insieme, di adattarle e di inglobarle nella propria poetica, impedendo quel corto circuito che sarebbe logico aspettarsi da
risultati e programmi cos eterogenei.23

21. Cfr. Toms GARCS, El rigor potic de Josep Carner, in ID., Sobre Salvat-Papasseit i altres
escrits, Barcellona: Selecta, 1972. Ora in ID., Prosa completa II, a cura dlex SUSANNA, Barcellona: Columna, 1991, p. 327.
22. Cfr. almeno Maria-ngela CERD I SURROCA, Els pre-rafaelites a Catalunya. Una literatura
i uns smbols, Barcellona: Curial, 1981.
23. doveroso ringraziare la bibliotecaria responsabile dellArxiu Maragall, Dol Nom de Maria
Tormo i Ballester, che si prodigata in utilissimi aiuti, consigli e suggerimenti.

Vita Nuova, XIX. Intorno a una traduzione di Joan Maragall

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 207

Manoscritto autografo della traduzione di Maragall della Vita Nuova. Arxiu Maragall.

208 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Francesco Ardolino

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

209-222

Roma, ciutat absent


(o quasi) en lobra de Josep Pla
Rossend Arqus
Universitat Autnoma de Barcelona

Resum
Aquest article, que forma part duna recerca sobre les relacions de Josep Pla amb Itlia,
pretn indagar per qu la ciutat de Roma ocupa un lloc relativament tan poc important
en la seva obra periodstica i creativa. En aquest estudi com en tota la srie de treballs
dedicats a les esmentades relacions es parteix del primer i, en aquest cas, nic paper
que lescriptor empordans dedic a la Ciutat Eterna, en qu es condensa lactitud i el sentiment envers ella que es mantindran gaireb inalterables al llarg de la seva vida.
Paraules clau: Josep Pla i Itlia, Literatura de Viatges, Roma.
Abstract
This article, forming part of a research project into relations between Josep Pla and Italy,
aims to determine why the city of Rome occupies a relatively unimportant position within his journalistic and creative work. The study as in the entire series of work dedicted
to the relations mentioned above starts with the first and, in this case, the only
paper in which the Catalan writer focussed on the Eternal City, and which condenses both
his attitudes and feeling towards it, almost unalterably maintained throughout his life.
Key words: Josep Pla and Italy, Travels literature, Rome.

Neque nunc ego romanas prosequor laudes:


maior res est quam ut possit a transcurrente tractari
Petrarca, Familiares II, 9

1.
s impossible pensar en una mirada innocent, primignia, no contaminada ni
pervertida. Tothom quan mira, ho fa des del seu punt de vista. I hem de dar
a aquest seu un valor inconscient, i potser ni tan sols individual, per b que
no gosaria dir collectiu, sin ms aviat filtrat i fet de mil i un condicionaments

210 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Rossend Arqus

i codis que sn u i la mateixa cosa amb la nostra manera de representar-nos el


mn, s a dir, el que acostumem a anomenar realitat. Mirar s interpretar, i
nosaltres interpretem duna manera sui generis, com ja ens havia dit Toms
dAquino. s a dir, que cada u porta dins seu la misria i la grandesa prpies,
i all amb qu un es topa sencarrega de fer emergir ara luna ara laltra, a voltes alternativament, altres contempornia.
Lintens lligam, gaireb mtic, i per damunt de tot mitificat, de Pla amb Itlia passa tamb, i no s si dir bviament, per Roma, sin fos que la Ciutat Eterna apareix molt poc en lobra completa de lescriptor de Palafrugell. Tal vegada
perqu constitua un nus de sensacions que mai no va tenir prou temps, ganes
o capacitat per descabdellar. Per tant, no la ciutat dinters arqueolgic de Les antiquits de Rome de Du Bellay, del Voyage en Italie de Chateaubriand (el qual la considerava el museu ms meravells de la terra) o de Promenades de Rome de
Stendhal (a qui produa una emoci tan forta i incomunicable noms comparable a la msica de Cimarosa), ni lurbs creada i ordenada per lart descrita per
Goethe en el seu Viatge a Itlia o la dels turistes que a final del segle XIX comenaven a ser legi, ni la Roma revisitada que no respira sin tristesa, runes i mort
de la Corinne ou de lItalie de Madame de Stal, ni fins i tot la ciutat enrunada
que, malgrat tot, encara podia ser centre espiritual i intrpret del mn de qu
ens parla George Eliot a la novella Middelmarch (1872); autors, tots ells, prou
coneguts de Pla.1 No. La seva relaci, problemtica i complexa, amb la ciutat es
mou entre el silenci del rebuig i de la incomprensi (per la inefabilitat de lobjecte) i ladmiraci preocupada pels excessius estrats. Respondre al perqu de la
gaireb total absncia de Roma en lobra completa i, sobretot, al llibre Cartes
meridionals (1929) i al posterior Cartes dItlia (1955) s lobjecte daquest paper.
2.
Com sempre es fa dificilssim, gaireb impossible, establir les etapes de les estades de Pla a Roma. Lescriptor empordans declara en un dels llibres ms confosos i inversemblants de la seva producci (Obra completa [OC] 37) que hi
va viure a lpoca de la Monarquia, del feixisme i de la Repblica.2 Tot sembla indicar que shi estigu uns pocs dies del mes de juliol de lany 1922 en un
1. Pel que fa a la bibliografia general sobre el viatge a Itlia i a Roma vegeu, per exemple,
Marie-Madeleine MARTINET, Le voyage dItalie dans les littratures europennes, Pars: PUF,
1996, especialment p. 179-190, dedicades a analitzar Middelmarch de George ELIOT; Attilio BRILLI, Il viaggio in Italia, Mil: Silvana, 1987; Jean-Claude SIMON, Voyage en Italie,
Pars: Latts, 1994; Attilio BRILLI, Il viaggiatore immaginario. LItalia degli itinerari perduti,
Bolonya: Il Mulino, 1997; Marc FUMAROLI, Roma dans limagination et la mmoire de
lEurope, Lettere italiane, XLVIII, 3, p. 345-360. Pel que fa, en canvi, a les lectures especfiques
de Pla sobre Itlia, vegeu N. GAROLERA, Lescriptura itinerant. Verdaguer, Pla i la literatura
de viatges, Lleida: Pags, 1998, p. 143-156. Podrem, a ms, comparar la Roma planiana
amb la verdagueriana, vegeu el meu Roma, dins el dossier Les ciutats de Verdaguer
publicat per lAvui (23 dabril 2002). Referent a la biblioteca planiana de viatges, s a dir,
a les seves possibles lectures, vegeu Narcs GAROLERA, Op. cit.
2. OC 37, p. 358.

Roma, ciutat absent (o quasi) en lobra de Josep Pla

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

211

periple per la Itlia centremeridional que el port tamb a Npols, com ho testimonien els articles que public a La Veu de Catalunya aquest mateix mes.
Pla havia arribat a Itlia per cobrir la informaci de la Conferncia de Pau
que tingu lloc a Gnova lany 1922 i desprs es qued a Itlia com a corresponsal de La Publicidad (posteriorment La Publicitat) i de La Veu de Catalunya fins a lagost del mateix any. Torn ms tard a Florncia, de bell nou a
la pensi Balestri, en el mes doctubre, per informar els lectors catalans i espanyols (grcies a les seves collaboracions al diari madrileny El Sol)3 sobre laixecament del feixisme. Ser en aquests dos perodes de temps que, estant-se a
Florncia, on vivien tamb altres persones catalanes, far grans esforos per
entendre el sistema de vida itali en la seva diversitat, cosa a la qual lajudava,
sens dubte, el fet de ser catal. Els seus articles demostren una gran capacitat de
reflexi i un seris intent danalitzar i de cercar dentendre els orgens, els actes
i els homes que van crear i estendre a Itlia el moviment feixista, que precisament en el mes doctubre daquell any havia desembocat en lanomenada
marxa de Roma, arran de la qual el feixisme es consolid al poder. En aquests
mesos va fer tamb una volta per les ciutats ms importants de la Itlia central, on va descobrir la importncia de lart itali gtico-renaixentista (Cimabue, Giotto, Simone Martini, Signorelli, Paolo Uccello, Donatello, Fra Angelico,
Piero della Francesca, etc.) i sobretot de lart umbro-tosc i, en particular, Gozzoli, al qual dedic diverses pgines.4 Retorn a Itlia, per no a Roma, lany
1928, quan va escriure per al diari El Sol de Madrid unes interessantssimes
crniques sobre el feixisme ja consolidat, i que avui podem llegir grcies a ledici que nha fet Narcs Garolera.5 Cal desmentir, en aquest sentit, la informaci
que, amb laparena de crnica-record, dna Pla de la seva participaci directa en la marxa sobre Roma en la nota homnima dins Notes disperses (OC 12:
p. 308-325):
aquesta famosa marxa sobre Roma, jo lhe viscuda com a periodista i viscuda,
fsicament viscuda, i per afegir, de seguida, que aquest fenomen poltic ha estat
un dels ms reeixits que he presenciat en el curs de la meva vida.

En realitat, en el moment concret de la marxa ell era a Barcelona. El comentari de la marxa el cobr a les pgines de La Publicitat, des de Barcelona, Rovira i Virgili amb els articles La amenaa feixista (13.10.1922), La marxa sobre
Roma (27.10.1922) i Els feixistes en el poder (31.10.1922). Per tant, el dia
28 doctubre, en qu se sol situar lpex daquest esdeveniment histric itali,
3. Cfr. J. M. de SAGARRA i J. PLA, Cartas europeas. Crnicas en El Sol, 1920-1928, a cura de
N. Garolera, Barcelona: Destino, 2001, p. 189-296.
4. La Veu de Catalunya, 22 de juny de 1922, a larticle El Papa i el rei; a La Publicitat, 2 de
gener de 1923, Introducci al pintor Gozzoli, on feia una descripci del debat artstic
que mantenia amb els seus collegues catalans de la pensi, amb els quals viatjava per les
ciutats umbrotoscanes, s a dir, larquitecte Rfols i Llus Llimona. Vegeu larticle San
Giminiano delle alte torri, en el llibre Cartes dItlia.
5. Op. cit.

212 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Rossend Arqus

Josep Pla no era a Itlia. De fet, aquest mateix dia arrib a la costa de la Ligria, des don dict a la redacci daquest mateix diari el primer article.6 De manera que caldr donar un pes relatiu en la lnia dels molts, moltssims, altres
llocs de la seva obra, fins i tot periodstica, on Pla inventa, fa autoficci a la
presumpta participaci a la marxa, com es desprn, en canvi, de les pgines de
Notes disperses.7 Aix, que s prou indicatiu des del punt de vista estilstic i de la
concepci general de lescriptura per part de Pla, no implica cap mena de desinters per la situaci italiana. En tot cas, s prou evident que, en aquests dies,
lempordans no an a Roma, sin que va firmar els seus articles des de Mil.
Tot seguit tornar a la Ciutat Eterna diverses vegades, com es pot deduir
de les mltiples si b catiques indicacions que dna al llarg dels 47
volums de la seva OC, per resulta difcil precisar les dates exactes de les estades. En el llibre Notes disperses (OC 12) escriu:
Desprs dels meus quatre primers viatges a Roma (1935), haig de declarar,
per, que el millor document que ha caigut fins ara a les meves mans sobre
aquesta ciutat sn les Promenades dans Roma de Stendhal (p. 410).8

A ms, ja sabem, per b que no ha estat del tot explorat, que shi va estar des
de lestiu del 1937 fins a la primavera del 1938, quan, tornant a Espaa, passar a la zona franquista.9 En el dubts volum 37 de lObra completa, titulat
Itlia i el Mediterrani, llegim tamb altres dades, per b que molt vagues:
6. Hem atravesat la Cte dAzur un demat de diumenge plujs, la mar plena de grisos fins
i de ressonncies llunyanes, la terra de color de mel i de vinagre. Hem arribat a Ventimiglia a primeres hores de la tarda. Aprofita aquest article, a ms, per fer una mica de teoria
general sobre Itlia, a partir de les opinions que acabava de publicar Chesterton a la Illustrated
London News, i per telegrafiar les darreres informacions de la situaci italiana grcies, cal
suposar, a les informacions que va poder extreure dels diaris.
7. OC 12, p. 315-325: Acabat el meu desdejuni (ms aviat magre) de la Pensione Balestri,
vaig treure el cap a Piazza Mentano [de Florncia]. Era negra de gent, la concentraci humana era molt espessa. Cantaven lhimne feixista. El Giovinezza. [] Vaig sortir del creixent
embafament patritic de Piazza Mentana i vaig dirigir-me al centre de la ciutat. [] Lendem comenaren a arribar feixistes a Florncia. Narribaren molts. [] Prop de lestaci
terminal vaig veure un cotxe que portava una pancarta que deia: Presse. Mhi vaig acostar.
[] Era un periodista dans, que havia conegut a Pars. [] Li vaig dir que, en veure un
autombil que deia Presse, havia pres la decisi de seguir la marxa fins a Roma, fos com
fos. [] Macceptaren en el seu viatge cap a Roma. Havent sopat Chianti abundant anaren a telegrafiar. Jo vaig arribar amb treballs a la Piazza Mentana per recollir una serviette.
Del llit sobrer de la meva habitaci, el feixista que hi dormia havia desaparegut; un altre
uniformat ocupava el seu lloc i dormia profundament com el primer. [] Arribrem a
Roma havent dinat i prcticament morts de fam. El primer que frem en arribar a la capital fou anar a loficina estatal de premsa. Pel que fa a lautoficci, vegeu Xavier PLA, Josep Pla,
ficci autobiogrfica i veritat literria, Barcelona: Quaderns Crema, 1997.
8. En les notes de En mar trobem aquesta pgina que dna una altra dada sobre les seves estades a Itlia, per b que no diu res de Roma: la darrera vegada que hi vaig ser [a Gnova]
(1947) era un desori impressionant (p. 36-39).
9. Cfr. Cristina BADOSA, Josep Pla. El difcil equilibri entre literatura i poltica (1927-1939), Barcelona: Curial, 1994, ID., Josep Pla. Biografia dun solitari, Barcelona: Edicions 62, 1996,

Roma, ciutat absent (o quasi) en lobra de Josep Pla

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Era lany 1969. La tardor era avanada i un dia ens trobrem a Vencia uns
quants, pocs, amics del pas, excellents persones (p. 161);
De tota manera, aquests ltims anys daquesta postguerra, la pennsula i
les illes adjacents han millorat molt (p. 467);
A la meva edat, Roma em fa tremolar. Hi ha massa gent, massa animaci
humana, un trnsit fenomenal. Aquesta vida, hi ha gent a qui agrada. A mi,
gens [] no tinc ni esma darribar al Caf Greco per saludar els propietaris, que
estimo tant, i recordar els vells amics que hi vaig tenir, en temps passats, a la tertlia catalano-sardo-clerical que shi munt. [] Tot sha acabat. (p. 678)

Malgrat que, comptat i debatut, totes aquestes paraules fan ms pinta duna
presa de posici global contra la modernitat, que afecta bviament tamb Roma
i que, malgrat el temps verbal, no hauria dimplicar, per fora, un nou viatge a
la Ciutat Eterna; amb tot, s significatiu que persisteixi encara en el seu esperit
limpacte que la ciutat va fer-li el primer cop que va estar-shi, lany 1922, quan
es fix en ell una idea dItlia i de les gents, regions i ciutats diverses, que romandr
constant fins als ltims anys de la seva vida, sense experimentar gaireb cap mena
de variaci, malgrat que en alguns papers i declaracions ms tardans demostri
apreciar lart i els carrers romans o b el Vatic (que tant havia criticat en la seva
fase ms anticlerical). Ell mateix reconeix, als vuitanta anys, que aquell primer viatge va constituir la clau de volta de les seves relacions futures amb el Bell Pas:
Aquest primer viatge, amb persones amb les quals el vaig fer i el contacte real
que vaig tenir amb Itlia, no solament em produ molta satisfacci, sin que hi
vaig aprendre moltssim. s gaireb segur que linters que he tingut sempre per
Itlia prov essencialment de les converses que vaig tenir a Gnova amb Josep
Carner i el viatge que frem a Asss, a travs del qual vaig comenar a veure la
Itlia real i autntica.10
p. 58-67 i 224-228, Vinyet PANYELLA, Lhome de Camb. Una lectura de Camb. Materials per a una histria daquests ltims anys, a Xavier PLA (ed.), La diablica mania descriure, Barcelona: Fundaci Pla / Ed. Destino, 1997, p. 60-67 i Borja de RIQUER, Camb i
Pla, El mecenes i el convers, dins Glria GRANELL i Xavier PLA (eds.), Josep Pla, memria
i escriptura. Actes del colloqui de lany Pla. Universitat de Girona (octubre de 1977), Girona:
Universitat de Girona, 2001. Aquest ltim escriu ibid, p. 175: Fou durant la seva estada a
Itlia quan va rebre de Francesc Camb lencrrec de redactar un llibre sobre la Segona Repblica []. Josep Pla accept lencrrec de Camb de fer una crnica poltica sobre el rgim
republic espanyol que defenss aquesta visi antiliberal i ultraconservadora. A canvi daix,
lgicament, el mecenes es feia crrec del manteniment de Pla i, a ms, oferia a la seva companya, Adi Enberg, treball com a traductora a la seva oficina particular. Recordem, a ms,
que Josep Pla havia passat fora mesos a Marsella, on havia participat en les tasques dinformaci a favor dels militars revoltats que eren promogudes pel Servicio de Informacin de la
Frontera del Nordeste de Espaa, organitzaci creada i dirigida per Josep Bertran i Musitu.
(Ibid., p. 173). En ser descoberta la xarxa del SIFNE per la policia francesa, Pla fug a Pars i,
mesos ms tard, es dirig a Itlia. No es tenen dades que a Roma continus la seva labor dinformaci, per tampoc no es pot excloure. Vegeu, a ms, Borja de RIQUER, Lltim Camb
(1936-1947). La dreta catalanista a la Guerra Civil i el primer franquisme, Vic: Eumo, 1996.
10. OC 37, p. 270. Per b que ho pugui semblar, Pla, com se sap, no fu el viatge de qu parla
amb la companyia de Carner sin de Llimona.

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Rossend Arqus

La seva estada a Roma, en aquest mateix any, que qued reflectida en dos
articles a La Veu, constituir, en gran part, el paradigma de la relaci complexa i problemtica que tindr amb aquesta ciutat.
3. Roma, en lOC, entre realitat i ficci
3.1. Moments de la vida romana: la tertlia del caf Greco
Roma, amb tot, s present a molts nivells i en molts moments a la seva obra.
Per exemple quan parla del caf i dels cafs. No hi ha dubte que un dels periscopis des dels quals aquest autor mira la realitat sn les osterie, els restaurants,
les trattorie i els cafs. Si fssim un clcul del temps que ha passat en aquesta
mena de locals, ben segur que el percentatge seria increblement alt. En ells
ha paladejat els plaers de la taula, ha trobat persones interessants i originals i,
sobretot, ha pogut exercir lofici per al qual confessa haver nascut molt ben
predisposat, s a dir, xerrar. I s indubtable que el millor lloc per fer-ho, en la
seva poca, si ms no, era el caf davant duna bona tassa despresso o dun got
de whisky. De cafs i de restaurants, Pla nha conegut dall ms a tots els pasos que ha visitat, per certament els italians han estat els seus preferits. I dels
cafs romans, al nostre periodista no li va caldre consultar cap Baedecker per
saber que era el caf Greco, de via Condotti, no gaire lluny de lAmbaixada
dEspanya, all on hauria trobat lambient adequat per practicar all que tant
li agradava. El meu caf a Roma sempre ha estat el caf Greco, via Condotti.
s un caf pacfic, recollit, amb una clientela sobretot a certes hores habituada a fer la ms petita quantitat de soroll possible. En aquest sentit sembla un
caf del nord dEuropa, i si fos possible veure-hi ms sovint riellar la pluja als
vidres del carrer, la illusi seria perfecta. Per la Roma de les fresques aquarelles no s pas corrent. Hi abunden ms els Piranesi. (OC 6, p. 533).
En temps de la guerra civil, quan estipendiat per Camb, treballava per la
reacci o, si ms no, contra una certa idea de repblica,11 anava sovint a la
biblioteca de lAmbaixada dEspanya (piazza di Spagna), una biblioteca que
ha estat uns quants anys una de les manies de la meva vida, com ho recorda a
Notes disperses:12 Molts dies, havent dinat, baixant les escales de la Piazza, vaig
11. Cfr. nota 9. Cal afegir, a ms, que, segons el mateix Pla va dir diverses vegades, al seu exili
a Roma va participar activament en la redacci del llibre Spagna. Grandezza e destino di un
impero, signat per Antonio de Logotete, llibre que, com afirma Cristina BADOSA (Josep Pla.
Biografia dun solitari, op. cit., p. 225-226): va ser confeccionat sobre els marbres del Caf
Greco [] Com el dAbadal i els dAuns, el llibre comena amb les Corts de Cadis el
1810 i, a diferncia dels anteriors, acaba a loctubre de 1938. El contingut ideolgic s ms
proper al discurs franquista que no pas els llibres anteriors. [] Un altre llibre de letapa
romana de Pla seria el primer volum de la Historia de la Segunda Repblica Espaola, que
li havia encarregat Francesc Camb. Badosa afirma que en aquest perode va collaborar
tamb al Corriere della Sera amb articles dopini sobre els esdeveniments de la Guerra Civil
espanyola i sobre ciutats del mn, inspirats aquests darrers descaradament en la pgines del
Baedecker, per fins ara no sha fet cap estudi que confirmi la veridicitat de la notcia.
12. OC 12, 1969, p. 260.

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deliberar sobre si havia de fer cap a la Biblioteca o al caf Greco, que hi s molt
a prop. Sempre em vaig decidir pel caf del Greco, propietat de la senyora
Antonella Gullinelli, vdua de Grimaldi. En aquest caf shi havia installat una
tertlia catalana amb la presncia dels senyors Soldevila, Manuel Brunet, J. B.
Solervicens, el comte de Logotete (que ms tard trobarem a Lafer de la Pensione
Fiorentina, a Roma), Salvio Valenti, a ms daltres elements espordics com
Pere Rahola, el doctor Vilardell, Ramon dAbadal i els algueresos Sim Mossa,
Manca i Ferigno. Pla explica en larticle Records del caf Greco, del 1968,
que la mestressa daquest caf li havia enviat una fotocpia de retrats dalguns
membres de la tertlia, tot recordant-li, amb agrament, que aquells clients eren
els que des de lpoca de Goethe fins aleshores havien passat ms hores en lestabliment. Roma era un caf, el record dun caf, on uns catalans catlics, ms
o menys liberals i anticomunistes (dun anticomunisme prou curis que abraava lentera histria de la maoneria, tot incloent-hi Goethe), alguns dells establerts a Itlia, en una mena dexili ms o menys daurat, passaven lestona just quan
a Barcelona es mataven pels carrers. Una Roma interior, indiferent gaireb al
moviment del carrer, a la histria de lart i de la cultura romana.
3.2. Roma, espai literari
Roma s, en lOC, poc ms que lmbit de la biblioteca de lAmbaixada espanyola de la Piazza Spagna (durant la guerra civil, OC 12), de la tertlia del
caf Greco (OC 36) i de lespai literari en qu tenen lloc els fets de lextraordinria narraci anomenada Lafer de la Pensione Fiorentina, a Roma.13
La Roma daquesta ltima narraci s sobretot una ciutat interior, crepuscular, repartida entre la dispesa i els dispesers i el caf Greco, i una mica exterior, per poc solar, i limitada gaireb al Foro, que es troba a lesquerra de
lanomenat Altar de la ptria de lactual plaa Vencia i, en general, a la passeggiata archeologica. Aquest relat, molt ben orquestrat i travat, representa, per
damunt de tot, el temps duns personatges fora desarrelats en una Itlia, en
una Ciutat Eterna, miserable, per entranyable, que est fent els primers passos per deixar enrere el segle XIX.
La narraci sinicia amb una notaci gaireb musical dels sorolls habituals
del pati enorme al qual sabocava la finestra de la seva habitaci, en qu, de
tant en tant, esclatava un xivarri les proporcions del qual anaven creixent fins
a arribar al paroxisme, moment en qu intervenia el so dun clarinet tocat amb
tota la fora dels pulmons i que no parava fins que emmudia el rebombori.
Era laplicaci comenta, irnic, Pla del similia similibus curantur de la
farmacopea macarrnica a les desavinences conjugals sorolloses. Daquesta
ciutat, vivim ms aviat els sorolls dun pati interior i de portes que sobren per
trobar un moment desbarjo i conversa de les criades amb el client; sorolls nocturns, somorts i allusius que porten a la intriga que t com a protagonista una
dama vienesa; converses erudites, escptiques i lentes de Logotete amb el narra13. Ara a OC 6, La vida amarga, Barcelona: Destino, p. 523-557.

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dor al si del caf o en els passeigs mig arqueolgics mig zoolgics (ja que es
parla de gats, i de gats romans mig burocratitzats, al servei del municipi, i de sargantanes un xic espanta-turistes) pel Foro rom, en la descripci i evocaci de
les quals sesmuny la fina ironia del narrador (Per aquells gats del servei arqueolgic tenien un humor molt canviant i divers, i, sovint, malgrat que les rates
es veien a simple vista i pujaven a tocar les reixes, es negaven a complir la missi de qu havien estat investits Sn com els burcrates deia don Antoni, enriolat; avui no volen anar a loficina.). La Roma exterior que hi apareix,
de fet, es concreta en aquesta rpida visita darqueologia instructiva el parc
arqueolgic on arriben gavadals de turistes, preparadssims, armats de Baedecker, amb els comentaris pertinents, molt superficials sobre el parc arqueolgic rom, als quals fa de contrapunt, en canvi, una llarga digressi sobre la
quantitat de sargantanes i de lluerts que feien empallidir les senyores nrdiques a qui cap Baedecker les havia avisat daquesta presncia. El punt dobservaci s ms aviat el dun ull irnic que es mou entre la indiferncia pel passat
indiferncia que el narrador atribueix als mateixos romans i la insistncia
sobre els detalls que semblen voler sobreposar-se a la dificultat dexplicar la ciutat, de la qual, amb tot, destaca, en un fragment dextraordinria factura planiana,
un element metereolgic, la importncia del qual veurem ms tard:
Roma, que a lhivern s una ciutat plena de color, de qualitats saboroses i fines,
esdev a lestiu, durant el dia, una explosi de llum blanca agrisada duna
monotonia i duna implacabilitat aclaparadores. La llum sembla xuclar el color
de les venerables pedres, que es cobreixen duna crosta lumnica de qualitat de
sorra fina. s una llum trista, enlluernadora, explosiva, que la seva mateixa
blancor malenconitza. El cel fins i tot els dies de vent del sud s dun blau
evaporat, esvat, dun blau que mor en un blanc incandescent. La soledat, la
buidor del cel, s constant: tot intent de nuvolositat queda absorbit en la
immensa volta blanca, guspirejant de metlliques puntes de llum, com un
formigueig de llussor de mica. (OC 36: 540-541)

Al marge daquests apunts, lespai de la narraci s el de la Pensione Fiorentina, on t lloc, el dia 14 doctubre, un misteris esdeveniment, amb revlvers, trets
i corredisses compresos, que implica una misteriosa senyora vienesa (que, naturalment, comenta irnic el narrador estava malalta). El conte, que en un primer moment havia tingut com a eix la descripci i la intervenci ms o menys
directa dalguns personatges de la pensi (sobretot, lamo, un alemany, i dues
cambreres, que eren com la nit i el dia), cap al final, en canvi, es transforma en
una mena de novella concentrada de lladres i serenos, que podria molt b recordar alguns moments de la Roma interior de Quer brutto pasticciaccio di via Merulana de Carlo Emilio Gadda (publicada lany 1957), per b que lacci daquesta
darrera novella passa durant la primera etapa del feixisme. A la complexitat i a
la ironia del mn gaddi ens portarien no noms lunivers bigarrat dels personatges planians, sin fins i tot latzar, que en tots dos casos forma part de la narraci, si s que podem anomenar atzar, en el cas de Pla, la descurana del porter
que, en comptes de ser al lloc que li corresponia, shavia absentat (A Itlia i a

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tot arreu aix s natural! escriu Pla), fet que dna lloc a all que en un primer moment sembla un furt i que, ms tard, es descobrir que es tractava ms aviat
dun triangle amors atpic (una escena damor una mica complicada, excessivament melodramtica). Atpic perqu el galant, autntica sangonera de dames
riques, en descobrir que havia estat substitut, sadon alhora que, de fet, estava
enamorat de la dama, daqu la seva set de revenja criminal.
4. Sensacions romanes
4.1. La meteorologia de la misria
Roma insisteixo s un problema costerut per a Pla. Sintueix per la manera com en parla gaireb arreu on la seva ploma toca el tema, per sobretot al llibre Cartes meridionals (publicat lany 1929), que aplega alguns dels articles
publicats en els diaris esmentats i apunts del seu diari; llibre que, ms tard i
molt transformat, trobar una ubicaci definitiva al volum 13 de lOC, amb el
ttol de Cartes dItlia (1955). En aquestes dues obres no hi ha cap pgina sobre
Roma, encara que aquesta ciutat, per ser francs, apareix de passada al prleg i
al comenament de les cartes de Tvoli i de Frascati. Fins i tot aquell que no
conegui els escrits de Pla com a corresponsal dItlia pot sentir la mancana
duna carta semblant, perqu, en un text genric sobre Itlia, sembla molt
estrany que no hi hagi cap paper dedicat a recordar-ne la capital. I per a aquells
que en coneixen lobra periodstica pot semblar fins i tot absurd, perqu sabem
que ell va escriure sobre aquesta ciutat, de la qual tenia, com de gaireb tot,
una prpia teoria i de la qual conservava un conjunt dinstantnies mentals
que reapareixeran, com ja hem vist, al llarg de tota la seva obra. De fet, les
referncies que hi fa al prleg de Cartes dItlia sn prou indicatives:
En aquest llibre no es parla especficament de Roma. Shauria allargat massa.
Roma s una cosa a part i ha dsser vista potser com una cosa a part.14

Silenci prou eloqent pel que fa a la relaci Pla-Roma, perqu em sembla


evident que Roma era per a lescriptor un problema no pas fcil de resoldre i
un jeroglfic dificilssim de desxifrar i dentendre. Tamb en larticle Records
del caf Greco (OC 36, p. 418) aclarir de passada quines eren les sensacions
que aleshores li provocava Roma:
Hi havia llavors a Roma, per, tres coses decisives el clima, el barroc i el
collegi cardenalici que pesaven sobre el meu cos, ja molt pesant i lentssim.

Sensacions que, tret del lleuger anticlericalisme que sura en aquesta frase i
que, ms tard, lautor deixar de banda,15 es mantindran fins als darrers dies
de la seva existncia.
14. Josep PLA, Cartes dItlia, Barcelona: Destino, 1983 (1955), p. 9.
15. Cfr. R. ARQUS, Josep Pla: Itlia com a mirall, Quaderns dItali, n. 7, 2002, p. 192.

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Rossend Arqus

Intentem comprendren el perqu partint del primer text documentat en


qu en parla i que porta per ttol Sensacions de Roma, no incls a lOC.16
No hi ha dubte que la primera sensaci duna cosa, com del primer amor,
incideix fortament en el concepte que della romandr en nosaltres. s possible que, des daquest punt de vista, Pla no hagi estat gaire afortunat, perqu
la seva primera visita fou a lestiu, que s lpoca en qu, si hem de donar
pes a les seves paraules, la llum i la calor excessives li treuen tants dels seus
atractius, perqu Roma, com en general tot Itlia, s un pas autumnal o primaveral. Ni tan sols lhivern hauria estat un moment oport perqu hi plou
massa. El fet s que Roma, en aquest perode de lany, li recorda Madrid,
encara que sadona que, malgrat laplanament general dels colors i de les sensacions visuals, olfactives i tctils, causat per lestaci, Roma pot ser tot el
contrari, una ciutat plena de color, de qualitats riqussimes, de tons de vida
i descalf.
La meteorologia s tamb la responsable duna relaxaci de lexercici de
lautoritat municipal, que fa que els barris elegants sentin la influncia dels
barris perifrics, especialment pel que fa a la higiene. Per s la misria i la
pobresa humanes la dada que ms el colpeix:
Els barris de Roma sn tan enormement i definitivament miserables! Hi
ha poques coses a Europa tan dramtiques i desesperades com la misria
romana.

Misria que es reflecteix tant en els jardins, de qu ning t cura, que es converteixen en la viva imatge de laband, com en el fet que com a Madrid
no hi ha soluci de continutat entre els ltims edificis dels suburbis i els primers camps desolats, estrils, sense arbres, trgics, intils.17 Un passeig per
aquests camps com per la perifria madrilenya predisposa a la malenconia ms negra. La misria s, em sembla, una de les raons que lallunyaren de
Roma, perqu aquesta li recordava massa de prop la misria seca, callada, pesada i mortal de la qual provenia i, en concret, de la capital de la Meseta, tan
diversa, si voleu, de la misria tan o ms profunda, per molt ms alegre, frissosa i vital de Npols, que el mateix Pla compara amb la de Barcelona.18

16. La Veu de Catalunya, 18 de juliol de 1922.


17. Aquest mateix concepte el repetir ms tard a les Conversaciones con Josep Pla. Josep Pla a
fondo, de Joaqun SOLER SERRANO, Barcelona: Destino, p. 36: A m me gusta Roma, es
decir, me gustan sus tejados, sus calles, la ciudad romana, el Vaticano Los alrededores de
Roma son, en cambio, absolutamente siniestros. Eso de ver el paisaje con puestas de sol en
clara de huevo, y luego esas ruinas de ciudades en salsa de tomate, es algo que no produce
buena impresin.
18. La Veu de Catalunya, 23 de juliol de 1922: I aquests camps daqu, sn com els de Madrid:
desolats, erms, sense arbres, trgics, intils. Un passeig pels encontorns de Roma s poc
recomanable. Com a Madrid, predisposa aquest suburbi als estats cids, a la malenconia,
a la depressi cardaca.

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4.2. Roma i la religi


Tal vegada va ser la calor, per el fet s que tamb la descripci que ens fa del
Vatic es troba sota el signe del dimoni de migdia: una mena dallucinaci
que el porta a escriure aquestes paraules:
la guardia sussa es passeja lnguidament per la porta del Vatic, virolada com
un assassinat. El cel s tot obscur de ratlles dels falziots i de les orenetes. De
vegades es destaca de la columnada algun frare francisc o algun abat francs
o algun sacerdot amb una gran barba, que deu sser grec, i travessant la plaa
guanya les portes de Sant Pere. De vegades s un vol de capellanets novells,
vestits de color de caf amb llet o de color morat que arriba a les grans portes.
De vegades s un autombil luxosssim, amb un cardenal com una casa.

Cal dir que les comparacions (com un assassinat, cardenal com una casa),
les metfores (vol de capellans),19 els parallelismes (vol / grup de frares) tenen
ms relaci amb una vaga ideologia o, millor dit, amb una actitud anticlerical
que ell exhibeix contra un determinat clergat i que sovinteja en els seus escrits
daquests anys fins a les proximitats de la guerra civil espanyola.20 La narraci
de les sensacions experimentades en la visita a linterior de la baslica de Sant
Pere s una ocasi ms per advertir la distncia que separa la religi intensa,
entesa com a sentiment ntim, de la pura demostraci de majestuositat, poder
i riquesa, que no sols no excita cap mena de febre religiosa, sin que dins la
qual ell sent que li seria molt difcil trobar ni que fos un instant de recolliment, un daquells moments en qu sembla que al cor li hagin sortit ales.
Adverteix, per, que la culpa s decididament seva (nostra) perqu en ell encara no sha realitzat aquell canvi que el portaria a passar dun cristianisme senyorial i sentimental a una religi dirigida ms al cor que a la intelligncia, a
causa de la qual al llarg de les deu hores passades dins lesglsia es va sentir
amb el gla al cor i amb la intelligncia plena didees generals.
Pla reprn aquest mateix tema seixanta anys ms tard, gaireb al final de
la seva vida, escairant-ne bviament el to anticlerical i llevant-ne la contradicci interna que havia advertit molts anys abans entre sentiment religis i fredor i enormitat arquitectnica: Aix arribrem a la Plaa de Sant Pere, davant
mateix de lenorme baslica del Vatic, amb la prodigiosa cpula de dalt. Ms
que sorprs, vaig quedar aclaparat []. Vols creure li vaig dir que daquest banc, daquesta plaa, ja no em mouria ms? s un lloc que em fascina,
que mentusiasma Tho dir en la intimitat: perqu em trobo davant dun luxe
prodigis, com potser mai no nhavia conegut cap altre de semblant, per dun
luxe entenimentat, donada la significaci daquestes arquitectures, del seu simbolisme tan vast i dilatat.
19. Imatge que recorda algunes de les millors fotografies del fotgraf itali Mario Giacomelli.
20. Recordem, per exemple, els comentaris sobre els sants, els capellans i sobre la poesia franciscana en larticle dedicat a Asss, inserit en el llibre Cartes meridionals, que desprs desapareixen
en ledici definitiva publicada amb el ttol de Cartes dItlia. Cfr. tamb R. ARQUS, op. cit.

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Rossend Arqus

Pel que fa al Vatic, recordar, a ms, que les romanes i els romans sn
seguidors del Papa, ja que, tot seguint all que passava fa anys amb la monarquia anglesa, a Roma ning no parla malament del Papa, vist que senten per
ell un respecte total i afectus.21
4.3. Roma i el barroc
Una altra causa, per, del seu malestar davant de Sant Pere, de la seva no acceptaci daquella arquitectura, la podem copsar tamb en un petit comentari de
larticle que analitzem i que fa de guia de la nostra anlisi sobre la Roma de
Pla. En el mateix pargraf en qu parla de Sant Pere llegim: Les esttues barroques ens cauen sobre. El que hauria pogut ser una frase allada, sense ms
importncia, es convertir, en canvi, en un dels elements principals dall que
hem anomenat el problema que Pla tindr amb Roma. Lexplicaci de la frase
comena a larticle successiu que el nostre corresponsal publica a les pgines
de La Veu (18 de juliol de 1922), un article sobre lescultor Canova, en ocasi
del centenari de la seva mort, en qu parla, entre altres coses, de la relaci daquest amb el seu amic Stendhal i de la importncia de lesttica neoclssica en
els gustos italians, sota la influncia i el poder de Napole. En aquest article
compara Canova, Alfieri, Monti i Foscolo amb Chnier i David i pren una
posici decidida respecte al barroc en general i al barroc rom en particular:
A Roma, Canova fa una gran impressi, si es t la bona fe de situar-lo. Si hom,
sortint de Michelangelo, t la mala pensada dembrancar-se per aquest sis cents
i, sobretot, per aquest set cents barroc que a Roma s insuportable, larribada
de Canova fa lefecte del desembarcament a terra desprs dhaver passat el mal
de mar. Deixar lestaturia religiosa barroca i trobar-se davant de les venus de
Canova, donar un tomb per Sant Pere comenant per lala dreta i acabar en
el sepulcre dels ltims Stuards que s a la banda esquerra, entrant per la porta
principal, fa el mateix efecte que el vers fams, el darrer de linfern: e quindi uscimmo a riveder le Stelle.

Per s sobretot en una narraci de la seva experincia florentina i romana


daquells anys on trobem un aprofundiment major daquesta seva actitud en relaci amb lart barroc. Em refereixo a la narraci Record de Florncia, del llibre La vida amarga,22 amb qu Pla intentava apropar-se a la literatura com un
pintor holands que vol plasmar sobre la tela les diverses cares de la vida. En
aquell exercici literari, recorda precisament el moment en qu Rfols, Llimona i ell van arribar a Roma, amb aquests termes:
Quan arribrem a Roma per primera vegada, la nostra desillusi fou total.
Ens caigu lnima als peus. Ens sentrem desplaats de la vida autntica, rodejats dun formalisme, dun retoricisme grandis, per indiferent, sense plpit
21. OC 37, p. 357.
22. 1966, p. 489-522.

Roma, ciutat absent (o quasi) en lobra de Josep Pla

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

221

cordial. Tot ens sembl massa solemne, massa ric i massa espectacular. [] El
barroc, amb linsuportable Bernini, ens produ un embafament de dolor insuportable, una mena de saturaci de confiteria, de sacarina apegalosa i insoluble. La joventut s limitada i impertinent, per en aquest punt per a mi no
han passat els anys: no he pogut mai digerir el barroc, que considero lessncia
de la superflutat ms tpica, ms esbravada, ms pretenciosa, ms limftica. []
El barroc s lnica forma despeculaci artstica indiferent a la sensibilitat
humana. Si el barroc no hagus existit, Europa tindria ms pes, ms gravetat,
ms grcia, seria molt menys sofisticada.

Davant daquesta realitat, Pla i els seus amics no poden fer altra cosa que
rebutjar la superficialitat aclaparadora que els esparvera, i que els fa girar la
mirada cap a la ciutat de la qual provenien (Florncia) o b encaminar-se cap
a la primera porta de sortida per adrear els seus passos cap a Npols a la recerca del Museu Grec, on alliberar-se de lmfasi insuportable del barroc rom.
Fins i tot en aquest cas, Pla ens confessa lorigen daquest seu fstic per lart
barroc. I ho fa en un dels capitolets (Passejant per Roma i Npols amb Llus
Llimona) de lapartat Notes sobre Itlia del llibre Itlia i el Mediterani, en el
qual torna a recordar aquella excursi:
En alguns carrers daquest espai veirem algunes obres escultriques de lescultor barroc Bernini. Aquelles marededus ploriquejants, o amb els ulls en
blanc, no magradaren gens. Les obres del barroc mhan engavanyat sempre.
He hagut de resistir les del meu pas perqu en definitiva, en lespai don jo
provinc, no hi havia res ms. [] Ara a Itlia el barroc s una altra cosa. Em
costa dempassar-mho. Ho trobo irreal, fictici. El Bernini El Bernini de
Roma, aquests grups escultrics dun sentimentalisme fals i grotesc! [] Aix
no vol pas dir que anys ms tard daquest primer viatge, la font del Bernini
que hi ha a la Piazza Barberini no magrads.23

Com havem ja observat en el cas de la misria, tamb aqu la seva actitud


depn de lexperincia esttica negativa feta en les esglsies barroques del pas
del qual prov, i que es projecta sobre alguns artistes catalans que ell identifica amb aquell art repudiat dels segles XVII-XVIII. s el cas, per exemple, de
Gaud, larquitectura del qual ell considera tan abominable com la de Bernini.24
23. OC 37, p. 296. Una Roma, a ms, ms vista des de les lectures dels viatgers (en poc ms
de set fulls sn constants les referncies llibresques) que des de lexperincia duna persona
que visita per primer cop la Ciutat Eterna. Amb tot, deixa anar algun comentari crtic:
Encara hi havia moltes rates i tot era abandonat. En aquest mateix volum trobem un altre
article titulat Desencant de Leopardi a Roma, en el qual lescriptor empordans sembla
emmirallar-se amb la decepci del poeta en el seu primer viatge a la ciutat del Tber.
24. Cartes dItlia, op. cit., p. 77-78: A Itlia, si Vencia es resol tota ella en plaer i Roma en
majestat, Pisa es resol en grcia. I aix, encara, com que el plaer de Vencia i la majestat de Roma
tenen un relleu tan deseixit i separat que s impossible no sentir-ho com una cosa gaireb
sobrehumana, a Pisa, la grcia se sent tamb una mica deshumanitzada. [] Aquesta Pisa
de marbre s un dels grans esforos que shan fet per esqueixar una forma arquitectnica del
mn informe de la vida csmica. En aquest sentit, Gaud s un antpoda de Pisa.

222 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Rossend Arqus

Roma s (quasi) absent de la seva obra, no noms perqu escriure sobre


ella hauria requerit a lescriptor empordans un gran esfor (Roma no sacaba mai Ja has sentit Papini escriu a OC 37: 295) destudi per copsar-ne
els mltiples estrats culturals (encara que larqueologia no era precisament un
dels interessos principals de Pla), sin tamb perqu, de fet, hi era massa present, nanava massa ple: comprendre-la hauria estat com analitzar-se en profunditat, entendre la prpia misria i la del propi pas, i no sempre un hom
en t temps i, sobretot, ganes, sense descurar el fet que tal vegada mai cap editor no li va encarregar un llibre sobre la Ciutat Eterna.

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

223-248

Chiuse poetiche e senso della fine.


Spunti per una tipologia
Pietro Benzoni
Universit di Padova

Abstract
Ricordata la sfuggente polisemia del concetto di fine, lo studio (che privilegia lanalisi delle
strutture formali, con rilievi di stilistica e metrica) tratta due questioni di carattere generale:
quando un testo possa dirsi compiuto e cosa rafforzi una chiusa. Dapprima viene fissata,
anche attraverso unanalisi contrastiva, la differenza tra compiutezza e scarto conclusivo,
tra effetti di saturazione ed effetti pi propriamente clausolari; quindi vengono definite,
cercando di valutarne la portata, alcune tra le principali tecniche di intensificazione della
chiusa poetica; tecniche sostanzialmente riconducibili a tre ordini di fenomeni: 1) chiuse
intensificate da sottolineature tematiche e suggestioni iconiche; 2) chiuse scandite attraverso figure di ricorrenza e variazione; 3) chiuse rilevate da una strategica distribuzione
delle informazioni, attraverso dinamiche di attesa e sorpresa, di tensione e soluzione. La
varia casistica illustrata con esempi tratti principalmente, ma non solo, dalla letteratura
italiana (e in particolare dalla poesia del Novecento), senza per circoscrivere preliminarmente un corpus omogeneo, collintento di mettere in luce come meccanismi conclusivi
analoghi ritornino in testi diversissimi per genere ed epoca.
Parole chiave: chiuse poetiche, il senso della fine.
Abstract
Reviewing the ever-fugitive concept of fine, the study (which prioritises the analysis of formal
structures, with particular emphasis being given to stylistics and metrics) deals with two questions of a general character: when can a text can be said to be complete, and what elements
reinforce a closure? First, also through contrastive analysis, the article sets out the difference
between completion and discarded conclusion, between effects of saturation and effects that
more properly form part of closure. Thus the author, in an effort to evaluate the scope of this,
defines some of the main techniques of the intensification of poetic closure, techniques that are
substantially aimed at analysing three types of phenomenon: 1) closures that intensify thematic emphasis and iconic suggestion; 2) closures articulated through figures of recurrence
and variation; 3) closures that highlight a strategic distribution of information, through the
dynamics of expectation and surprise, of tension and solution. The various types are illustrated with examples taken largely, though not exclusively, from Italian literature (and, in particular, the poetry of the Novecento), without, however, circumscribing an essentially
homogenous corpus. The intention is to shed light on the ways in which analogous mechanisms
of conclusion recur in the most diverse of texts, throughout different genres and periods.
Key words: poetic closure, the sense of an ending.

224 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Pietro Benzoni

Ora ogni fronda muta


compatto il guscio di oblio
perfetto il cerchio.
Vittorio SERENI, chiusa di Solo vera lestate

1.
Prima di entrare nel vivo del discorso, una breve avvertenza. Questo uno studio sincronico e non diacronico, condotto per affondi ed esemplificazioni, e
non con unindagine a tappeto su un corpus omogeneo: uno studio che vuole,
fissate alcune distinzioni teoriche, illustrare tecniche e procedimenti di chiusura,
affrontando, sostanzialmente, due questioni: quando un testo possa dirsi compiuto e cosa rafforzi un finale. A tal fine si scelto di concentrare lattenzione
sulle chiuse dei testi poetici (con esempi tratti principalmente, ma non solo,
dalla letteratura italiana) perch, sebbene molti dei meccanismi conclusivi qui
individuati non siano solo della poesia, tuttavia le pi formalizzate strutture
poetiche consentono di coglierli con una certa nitidezza e immediatezza, e, al
limite, di ricavare dei modelli descrittivi efficaci; come qui si voluto suggerire
attraverso i frequenti rinvii a tipologie testuali diverse.
Iniziamo dunque tale percorso sottolineando lintrinseca suggestione del
tema, la fine, attraverso le parole di Leopardi:
Tutto ci che finito, tutto ci che ultimo, desta sempre naturalmente nelluomo un sentimento di dolore e di melanconia. Nel tempo stesso eccita un
sentimento piacevole, e piacevole nel medesimo dolore, e ci a causa dellinfinit
dellidea che si contiene in queste parole finito, ultimo, ec. (le quali sono di lor
natura, e saranno sempre poeticissime, per usuali e volgari che sieno, in qualunque lingua e stile) 13 dic. 1821 [2251]1

Ma se ho richiamato questa nota dello Zibaldone, chiaramente inscrivibile nella leopardiana teoria del piacere, anche per chiosare il titolo, in cui compare unespressione, il senso della fine, che volendo usare un lessico e una
distinzione leopardiani appare vaga, suggestivamente vaga, proprio perch
composta non da termini che definiscono la cosa da tutte le parti, bens da
parole indeterminate, capaci di destare idee vaste e indefinite, e di suscitare
immagini accessorie.2 Levocativit del sintagma, dunque, scaturisce da una
densa polisemia che per ora opportuno sciogliere. Infatti, da un lato senso consente qui una triplice accezione, il significato, la sensazione, la direzione della
fine; dallaltro la fine un concetto molle, multiplo e sfuggente che, a sua
volta comporta almeno tre distinzioni fondamentali:
1. Si cita, con la numerazione dellautografo, da Giacomo LEOPARDI, Zibaldone di pensieri,
ed. a cura di Giuseppe PACELLA, Milano: Garzanti, 1991, vol. I, p. 1231, corsivi originali.
2. Ibid., vol. I [109-110], p. 123: Le parole [] non presentano la sola idea delloggetto significato, ma, quando pi quando meno, immagini accessorie. Ed pregio sommo della lingua laver di queste parole. Le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tale
oggetto, e perci si chiamano termini perch determinano e definiscono la cosa da tutte le parti.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

225

I. fine come estremit materiale, come ultima parte, la cui estensione pu essere variamente considerata ( la questione del dove inizia la fine?), ma
che sempre, assieme allinizio, delimita, de-finisce il testo;
II. fine come esito logico-cronologico di un processo che pu essere pi o meno
coincidente con lo sviluppo del testo; come conclusione che non necessariamente si colloca in posizione terminale, non necessariamente c, non
necessariamente una sola;
III. fine come tlos, come scopo, come mta cui un processo tende; quindi
come finalismo, come principio diffuso che, quando c, pu informare
il testo pi o meno pervasivamente.
Ovviamente queste diverse accezioni di fine sono connesse tra loro, e spesso sono compresenti; ma era importante fissarle subito perch, in linea di massima, possiamo dire che tanto pi esse tenderanno a sovrapporsi e mescolarsi,
ossia quanto pi, in un testo, la fine materiale coincider con un esito logicocronologico, quanto pi il finale chiuder il processo testuale confermandone
coerenza e finalismo, tanto pi potremo parlare di compiutezza. E, daltra parte,
quanto pi il finale si staglier per contrasto e sar stilisticamente accentuato
e rifinito, tanto pi potremo parlare di finale forte. Dico daltra parte perch,
come tra breve cercher di mostrare attraverso unanalisi contrastiva, un conto
il senso della fine veicolato da una chiusa che, con un effetto di conformit,
in qualche modo satura, esaurisce il testo confermandone un qualche principio generativo (ossia un finalismo), un altro il senso della fine delegato ad
una chiusa che, con un effetto di frattura pi propriamente clausolare, presenta
un imprevedibile scarto conclusivo. Nel primo caso sar pi opportuno parlare di senso del compiuto, nel secondo di senso della chiusura o dello stacco.
Verifichiamo dunque questa distinzione, confrontando Nella mia vita ho
gi visto le giacche (dalla raccolta Cataletto) di Sanguineti con Tant de sueur
humaine (da Linstant fatal ) di Queneau:
nella mia vita ho gi visto le giacche, i coleotteri, un inferno stravolto da un
Dor, il colera, i colori, il mare, i marmi: e una piazza di Oslo, e il Grand
Htel des Palmes, le buste, i busti:
ho gi visto il settemmezzo, gli anagrammi, gli ettogrammi, i panettoni, i corsari, i casini, i monumenti a Mazzini, i pulcini, i bambini, Ridolini:
ho gi visto i fucilati del 3 maggio (ma riprodotti appena in bianco e
nero), i torturati di giugno, i massacrati di settembre, gli impiccati di marzo,
di dicembre: e il sesso di mio padre e di mia madre: e il vuoto, e il vero, e il
verme inerme, e le terme:
ho gi visto il neutrino, il neutrone, con il fotone, con lelettrone (in rappresentazione grafica, schematica): con il pentamerone, con lesamerone: e il sole, e il sale, e il cancro, e Patty Pravo: e Venere, e la cenere:
con il mascarpone (o mascherpone), con il mascherone, con il mozzocannone: e il mascarpio (lat.), a *manuscarpere:
ma adesso che ti ho visto, vita mia, spegnimi gli occhi con due dita, e basta:3
3. Cfr. Edoardo SANGUINETI, (dicembre 1981) in Segnalibro. Poesie 1951-1981, Milano: Feltrinelli, 1982, p. 345.

226 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

v. 20

Pietro Benzoni

Tant de sueur humaine


tant de sang gt
tant de mains uses
tant de chanes
tant de dents brises
tant de haines
tant dyeux berlus
tant de faridondaines
tant de faridonds
tant de turlutaines
tant de curs
tant de guerres et de paix
tant de diplomates et tant de capitaines
tant de rois et tant de reines
tant das et tant de valets
tant de pleurs et tant de regrets
tant de malheurs et tant de peines
tant de vie perdre haleine
tant de roues tant de gibets
tant de supplices dlects
tant de roues tant de gibets
tant de vie perdre haleine
tant de malheurs et tant de peines
tant de pleurs et tant de regrets
tant das et tant de valets
tant de rois et tant de reines
tant de diplomates et tant de capitaines
tant de guerres et de paix
tant de curs
tant de turlutaines
tant de faridonds
tant de faridondaines
tant dyeux berlus
tant de haines
tant de dents brises
tant de chanes
tant de mains uses
tant de sang gt
tant de sueur humaine.4

Entrambi i testi si sviluppano attraverso modalit iterative e presentano un


uso spinto dellenumerazione; ma, mentre Sanguineti enumera caoticamente
lasciando che siano soprattutto le omofonie ad inanellare gli addendi di una
lista teoricamente infinita, Queneau invece costruisce un testo perfettamente
speculare, in cui, una volta stabilito il punto di rifrazione (ossia il verso centrale tant de supplices dlects, lunico verso che non si ripete), il seguito e la
4. Cfr. Raymond QUENEAU, Pomes, Paris: Gallimard, 1948, p. 60.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

227

fine sono predeterminati. Tant de sueur humaine presenta cos una struttura
alla cui compiutezza ogni parte del testo necessaria, e in cui ad essere particolarmente rilevato non il finale (luogo del compimento ma anche della massima prevedibilit), ma il verso centrale, perno attorno al quale ruota il testo.
Dove per andr sottolineato lintimo contrasto tra la simmetria della struttura e lincompiutezza logico-grammaticale del discorso: non c infatti alcuna frase di senso compiuto, nessun verbo reggente; lenumerazione dei temi
resta sospesa.
Nella mia vita ho gi visto le giacche, invece, presenta un finale marcato che,
nonostante la punteggiatura anticonclusiva (i due punti finali che si affacciano sullextratesto), riesce comunque a concludere e compattare il componimento, spezzando il meccanismo enumerativo con degli scarti semantici e
stilistici significativi.
Ma prima di vedere nel dettaglio quali mi sembra interessante notare come
questa strategia conclusiva per certi versi ossimorica (con i due punti finali
che, contraddicendo una chiusa altrimenti perentoria, tendono a fare del silenzio post-testuale una continuazione del testo) sia un vero e proprio stilema di
Sanguineti.5 Il quale, forse a significare larbitrariet di ogni interruzione, spesso costruisce finali marcati da formule e/o tematiche conclusive, ma, nel contempo, aperti dai due punti di fine testo. Qualche esempio tratto da Segnalibro.
Poesie 1951-1981, cit.: Postkarten 67 adesso, che potrei dire / tutto, proprio, non essendo pi vivo davvero, non ho pi niente da dire, ecco: che
chiusa del singolo testo e dellintera raccolta; Purgatorio de lInferno 8 (noi)
dobbiamo morire: ; Purgatorio de lInferno 10 ma se volti il foglio, Alessandro, non ci vedi niente: ; Purgatorio de lInferno 14 e dicevo, nel buio,
ma immobile: ma non succede niente: ; Postkarten 2 buona notte): ;
Postkarten 7 had a good night: ; Postkarten 50 vi lascio cinque parole e
addio: non ho creduto in niente: ; Postkarten 61 e allora, caro Sciascia,
passo e chiudo: ; etc.6
5. Uno stilema di per s interessante, ma il cui effetto, nellinsieme, mi sembra annacquato
dalluso che Sanguineti fa dei due punti, i quali non solo chiudono sistematicamente le sue
poesie, ma anche le pervadono e segmentano quasi compulsivamente (un po come i tre
punti la prosa di Cline).
6. E colgo loccasione da questultimo es., in cui una formula della ricetrasmissione (passo e
chiudo) funge da chiusa poetica, per aprire una piccola digressione. Soprattutto allinterno dei generi, le chiuse, come gli inizi, hanno conosciuto moltissime forme di codificazione e ritualizzazione; e il fatto che ci siano conclusioni stereotipate, formule e modelli
tradizionali di finale, fa s che la fine del testo sia un luogo privilegiato per esporre segnali
di riconoscimento e creare effetti di intertestualit. Ora, riprendendo, con esempi nostri,
due tipologie fissate da Hamon in un contributo fondamentale Philippe HAMON, Clausules, Potique, n. 24, 1975, p. 495-526 , la chiusa stereotipata di un dato genere pu
essere rinnovata pur restando riconoscibile (ad es.: E vissero infelici e scontenti, n mai
ebbero un figlio, Le sbatto in muso i miei pi rancorosi saluti, La favola non insegna un
bel niente); oppure, come sopra nel caso di passo e chiudo, una formula conclusiva pu
essere recuperata, presa in prestito da altri linguaggi, generi o contesti, con effetto pi o
meno straniante o parodico (ad es.: il Game over dei videogiochi, alla fine di una tragedia;
Amen alla fine di un testo licenzioso; il Rien ne va plus del gioco della roulette, alla fine

228 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Pietro Benzoni

Dunque, dicevamo, la chiusa di Nella mia vita ho gi visto le giacche (che


anche chiusa dellintera raccolta Cataletto) si staglia per pi di un motivo, o
meglio, per pi di un effetto di contrasto. Infatti, lultimo verso lunico che
presenta una minima articolazione sintattica e un cambio di soggetto (non
pi lio enumerante ma la sua vita invocata), con uno stacco allocutivo che
pu ricordare quello dei congedi tradizionali. Il tutto sottolineato dalla scansione prosodica; infatti qui (dopo il gradino) sono ravvisabili due endecasillabi canonici: ma adesso che ti ho visto, vita mia (con accenti di 2a 6a 8a e 10a),
e spegnimi gli occhi con due dita, e basta (1a 4a 8a e 10a), entrambi con un
secondo emistichio in cui si addensano allitterazioni e assonanze (VsTo, VTA
mA - Due DiTA, e basTA). Dove per sarebbe falsante parlare di un forte
scarto prosodico della chiusa dal momento che, tutto il testo, sotto lapparente informalit dei versi lunghi, in realt contesto di endecasillabi. Semmai quel che va sottolineato come tale scansione prosodica assecondi il ritmo
della sintassi. Infatti qui, nello spazio breve della chiusa, si delinea un tempo
di sospensione (ma adesso che) e uno di soluzione (spegnimi) con un procedimento che uno dei pi efficaci e universali per rilevare ritmicamente la
chiusa facendone una cellula di senso compiuto.7 Lultimo verso, inoltre,
lunico che presenta un cambio del tempo e del modo del verbo reggente,
con limperativo presente spegnimi che interrompe la serie anaforica di passati prossimi (gli ho visto dei versi 3, 5, 8 e 12) su cui imperniato il testo.
Dove andr notato anche il forte effetto conclusivo del finale con arrivo al
presente dellenunciazione: un meccanismo di chiusura tipicamente narrativo che, soprattutto quando chiude una narrazione al passato, garantisce un
effetto di convergenza perch, come ha osservato Genette, la stessa durata
di un trattato filosofico), ma comunque con efficace sottolineatura della funzione demarcativa. Meno genericamente, nella storia letteraria italiana, un buon esempio di richiamo intertestuale strategico costituito dalla fortuna del verso clausolare dellEneide, Vitaque cum
gemitu fugit indignata sub umbras, richiamato sottilmente nella chiusa dellOrlando Furioso: Alle squallide ripe dAcheronte / [] Bestemmiando fugg lalma sdegnosa, / Che fu s
altiera al mondo e s orgogliosa (in corsivo le riprese lessicali pi puntuali) e citato, pari
pari, con esplicita ironia, alla fine della 1 redazione (1517) del Baldus di Folengo che,
appunto, si chiudeva con la morte della strega Pandraga, uccisa per, a differenza di Turno
e Rodomonte, non in un duello ortodosso, bens con un gran calcione. Ossia, in sintesi: la
clausola del poema epico sottesa in chiusa al poema cavalleresco e parodicamente riproposta in clausola a quello maccheronico.
7. Tre ess. volutamente tratti da autori tra loro lontani. 1. Boiardo, chiusa del sonetto proemiale
degli Amorum libri: Ma certo chi nel fior de soi primi anni / sanza caldo de amore il tempo
passa, / se in vista vivo, vivo sanza core, con un verso clausolare che risulta memorabile e lapidario, non solo per via delle varie figure di ripetizione (lanadiplosi in chiasmo
nel centro del verso, lallitterazione della sillaba vi che ritorna nelle sedi ritmiche-chiave di
2a 6a 8a), ma anche, appunto, per questo effetto di tensione e risoluzione, con protasi e
apodosi (significativamente Boiardo riutilizzer questo verso in chiusa dottava, in Orlando
innamorato, I, 18, 46). 2. Ciro di Pers, ultimo verso del sonetto Mobile ordigno di dentate rote:
E perch sapra ognor bussa alla tomba. 3. Montale, chiusa ipoteticamente perentoria del
mottetto Il saliscendi bianco e nero: Se il chiarore una tregua, / la tua cara minaccia la
consuma. Ma, sui fenomeni di tensione e soluzione sintattica, v. poi il punto 5.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

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della storia diminuisce progressivamente la distanza dal momento della narrazione.8 Tutti questi scarti stilistici sono corroborati poi dalla coordinazione avversativa ma, dalluso di un concetto superordinato (vita mia si pone
come iperonimo di tutti gli addendi dellenumerazione) e da suggestioni tematiche conclusive: spegnimento, fine della visione (spegnimi gli occhi) e il performativo basta, proprio nel momento in cui anche il testo sta per finire. Allo
stesso tempo, la chiusura di questo testo uniperiodale ottenuta anche attraverso un effetto cornice, con gli evidenti richiami lessicali (una epanadiplosi
con poliptoto) tra lincipit (nella mia vita ho gi visto) e lexplicit (ma adesso che ti ho visto, vita mia).
Dunque, tirando le somme del confronto: mentre Sanguineti chiude con
un finale marcato, perentorio e performativo, un processo daccumulo gratuito, Queneau invece porta a compimento lo schema generativo proposto dal
testo stesso nel suo dispiegarsi, senza sorprese, con una chiusa prevedibile e
quindi, dal punto di vista della teoria dellinformazione, debole.9
2.
Ma i due principi, saturazione e variazione conclusiva, possono anche coesistere, cospirare; come illustra limpidamente la forma perfetta (da perficere
compiere, per e fcere fare fino in fondo) per antonomasia: la sestina lirica.
8. Cfr. Grard GENETTE, Figure III. Discorso del racconto [1972], Torino: Einaudi, 1976, p. 268;
ma v. anche Armine KOTIN MORTIMER, La clture narrative, Mayenne: Jos Corti, 1985,
p. 22-23, e Guy LARROUX, Le mot de la fin, Paris: Nathan, 1995, p. 143-145. Quanto agli
esempi, si pu richiamare la chiusa di Madame Bovary (Il [Homais] vient de recevoir la
croix dhonneur) e, pi in generale, evidenziare come gli epiloghi narrativi pi tradizionali siano spesso caratterizzati non solo da una accelerazione del movimento narrativo, ma
anche, appunto, da questo cambio di prospettiva in virt del quale la narrazione prima
condotta al passato, nel finale simula un arrivo al presente.
9. Tant de sueur humaine di Queneau, dunque, per noi un campione dimostrativo privilegiato
del meccanismo speculare, ma, volendo formulare un giudizio di valore, esso ci pare vittima
della propria prevedibile, claustrofobica esaustivit. Pi convincenti ci sembrano invece
quei testi che configurano strutture speculari compiute, senza per che anche il percorso
semantico ne resti imprigionato. Penso, ad es., a Ballata scritta in una clinica (La Bufera)
di Montale, Le Memnonidi (Poemi conviviali) di Pascoli e Djinns (Orientales) di Victor
Hugo. Nella Ballata scritta in una clinica la specularit riguarda il numero dei versi che
compongono ciascuna strofa, dapprima crescente, poi raggiunta la strofa perno, decrescente;
cos: 1 v. / 2 v. / 3 v. / 4 v. / 5 v. / 6 v. / 7 v. / 6 v. / 5 v. / 4 v. / 3 v. / 2 v. / 1 v. Analogamente, nel poemetto Le Memnonidi, ogni sezione cambia la lunghezza delle sue strofe cos:
distici - terzine - quartine - strofe pentastiche - quartine - terzine - distici. Ma qui, inoltre,
con mirabile effetto di specularit nella specularit, anche il numero delle strofe che compongono ciascuna sezione varia secondo un meccanismo di rifrazioni simmetriche; cos: 1
distico introduttivo - 6 distici - 6 terzine - 4 quartine - 4 strofe pentastiche - 4 quartine - 6
terzine - 6 distici - 1 distico clausolare. In Djinns le strofe sono tutte ottave e a variare, invece, la misura del verso; cos: 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 9 - 8 - 7 - 6 - 5 - 4 - 3. Quindi,
se in Tant de sueur humaine la struttura simmetrica in qualche modo predeterminava forma
e contenuto oltre il verso-perno, in questi tre testi invece essa tuttal pi rende prevedibile
lestensione del testo.

230 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Pietro Benzoni

Dove, com noto, dapprima vi un ciclo che pu dirsi compiuto alla fine
della sesta strofa (se, fermo restando il principio della retrogadatio, ce ne fosse
una settima, il suo schema sarebbe identico a quello della prima; cos ad es.
nella sestina doppia di Petrarca, Mia benigna fortuna e l viver lieto, Rvf 332),
e quindi vi un congedo che suggella tale ciclo mutando il gioco della permutazione: stipando, con effetto daccelerazione riepilogante, le sei parolerima non pi in sei ma in tre versi (tre in rima e tre allinterno del verso).
Uninteressante variazione sul meccanismo della sestina offerto poi dalla
petrarchesca Sil dissi mai, chi vegna in odio a quella, Rvf 206; canzone unissonans che permuta le sue tre rime ogni due stanze secondo il principio della
retrogradatio, esaurendo cos, nelle sei stanze di cui consta il componimento, il
meccanismo combinatorio: lo schema ABBA AcccA delle prime due stanze
diviene BCCB BaaaB nella IIIa e IVa e CAAC CbbbC nelle ultime due (segue
un congedo con schema Cbb(a5)C). Ma, allo stesso tempo, lo sviluppo di questa canzone scandito da anafore strutturanti (la formula base Si l dissi, amplificata in Si l dissi mai allinizio della Ia e IIIa stanza, apre tutte le prime quattro
stanze dove si ripresenta anche ad apertura di piede e di sirma), le cui variazioni pi significative (Ma sio nol dissi e I nol dissi gi mai) aprono, rispettivamente, lultima e penultima stanza. Ossia, in sintesi, un forte scarto conclusivo
in due tempi affianca (e corrobora) il compiersi di uno schema metrico ferreo
ed esaustivo.
Ma la sestina anche un oggetto teorico privilegiato sul cui meccanismo,
imprigionante e incantatorio, non a caso, si soffermato, tra gli altri, uno dei
fondatori e teorizzatori dellOuLiPo, Jacques Roubaud.10 Dico non a caso, perch soprattutto nella letteratura a contraintes, e quindi nella produzione dei
membri dellOuLiPo (la contrainte est la fois principe de lcriture du texte,
son mcanisme de dveloppement, en mme temps que son sens [] le seul
texte admissible, pour la mtodhe oulipienne, est celui qui formule la contrainte et, de ce fait mme, lpuise),11 che si possono trovare alcuni dei pi
ingegnosi esempi di testi compiuti attraverso la saturazione di griglie e schemi prefissati. Si pensi ai sistemi di rotazioni combinatorie che regolano la partitura de Le citt invisibili e de Il castello dei destini incrociati di Calvino,12 o a
quello che forse lesempio-principe, La vie mode demploi di Perec, col suo
disegno sterminato e insieme compiuto (Calvino), su cui ora vale la pena
soffermarsi brevemente.
10. Oltre a Jacques ROUBAUD, La sextine de Dante et dArnaut Daniel, Change, n. 2, 1969,
p. 9-38, segnalo Aurelio RONCAGLIA, Linvenzione della sestina, Metrica, II, 1981, p. 3-41,
e Gabriele FRASCA, La furia della sintassi. La sestina in Italia, Napoli: Bibliopolis, 1992 (cui
si rinvia per ulteriore bibliografia).
11. Cfr. Jacques ROUBAUD, Les mathmatiques dans la mthode de Raymond Queneau, Critique, aprile 1977, p. 402 e 407.
12. Sul rigoroso e chiuso caleidoscopio di combinazioni finite de Le citt invisibili si veda Pier
Vincenzo MENGALDO, Larco e le pietre (Calvino, Le citt invisibili), in ID., La tradizione del
Novecento. Prima serie, Torino: Bollati Boringhieri, 19962 [1975], p. 433-435; su Il castello
dei destini incrociati, Maria CORTI, Il viaggio testuale, Torino: Einaudi, 1978, p. 169-184.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

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Ne La vie mode demploi, la tensione al compimento forma e contenuto


insieme. Lidea di sfuggire allarbitrariet dellesistenza attraverso regole arbitrariamente scelte ma irriducibilmente perseguite, e quindi lossessione del
progetto da portare a compimento, il demone dellesaustivit, non sono solo
dellautore; sono anche dei suoi due personaggi pi rilevanti: Bartlebooth, e il
pittore Valne. Ora, sia luno che laltro muoiono contemplando il fallimento del proprio progetto: Barthlebooth muore davanti al suo puzzle incompiuto e, oltretutto tenendo in mano la tessera sbagliata, Valne accanto alla
sua tela praticamente vergine. Ebbene, quel che qui interessa notare come
questo avvenga proprio nelle due ultime estremit del racconto (rispettivamente: fine del 99 capitolo e fine dellEpilogo), in due chiuse simili (entrambe fissano fotograficamente, con gelida oggettivit, la scena della morte) che
si richiamano e rinforzano vicendevolmente con un procedimento che, a grandi linee, pu anche essere letto come lequivalente, nella struttura tematiconarrativa del romanzo, di una delle pi archetipiche demarcazioni metriche: la
clausola con rima baciata.13
La duplice rappresentazione del fallimento, dunque, suggella drammaticamente un testo ultracompiuto. Ultracompiuto s, nel complesso, ma con
una piccola intenzionale lacuna. Infatti nella struttura del romanzo (che, come
si sa, modellata sullo spaccato di un immobile parigino con cento vani ad
ognuno dei quali corrisponde un capitolo: una sorta di scacchiera sulla quale
lautore si muove come il cavallo degli scacchi, ricoprendo tutte le caselle senza
13. La clausola con rima baciata (gi consigliata da Dante nel De vulgari eloquentia, II, XIII,
7-8: Pulcerrime tamen se habent ultimorum carminum desinentiae, si cum rithmo in
silentio cadunt: E tuttavia la disposizione pi bella che assumono le terminazioni dei versi
finali, quando scivolano nel silenzio accompagnate dalla rima) definisce alcune delle pi
tradizionali forme metriche. Ricordo infatti che: nella canzone antica molto frequente
la chiusura della stanza con un distico a rima baciata (la combinatio); nell ottava narrativa, ad una sequenza di due rime alternate si oppone una terza rima baciata (schema
ABABABCC); nel sonetto ritornellato, alla consueta struttura del sonetto, viene aggiunto un verso che rima con lultimo verso del sonetto stesso, oppure un distico a rima baciata, con rima diversa da quelle impiegate nel sonetto (ad es. Cavalcanti usa lo schema
ABBA ABBA CDE DCE FF); nel sonetto caudato generalmente la coda formata da
un settenario in rima con lultimo verso del sonetto e da un distico di endecasillabi a
rima baciata, con una rima nuova (schema ABBA ABBA CDC DCD dEE); nel sonetto
elisabettiano le quartine di rime alternate sono chiuse da un distico con diversa rima
baciata (schema ABABCDCDEFEFGG); e, in maniera per certi versi simile, nelloneginskaya, la strofa di 14 tetrapodie giambiche inventata da Puskin per lEvgeniy Onegin,
un distico con diversa rima baciata chiude una sequenza di versi in cui la quartina viene
ricomposta tre volte secondo le diverse possibilit rimiche, rime alterne, baciate, incrociate
(schema abab ccdd ef f e gg; dove lapice indica la rima maschile); nei melodrammi una
rima, per lo pi baciata, suole chiudere, prima di unaria, il recitativo in endecasillabi e settenari sciolti; etc. In linea di principio, naturalmente, la funzione demarcativa della rima
baciata sar tanto pi forte quanto pi essa si staglier per contrasto: per intenderci, un
conto la rima baciata che chiude un componimento privo di rime (del tipo ABCDEFGHILM ZZ), un altro quella posta alla fine di una successione uniforme di rime
baciate (del tipo AA BB CC XX) la cui funzione demarcativa, naturalmente, sar pressoch nulla.

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Pietro Benzoni

mai calcare le stesse)14 c un vano, uno solo, lo scantinato in basso a sinistra, che, nonostante la mossa del cavallo sia prevista, non viene visitato. Perec
lascia cio il meccanismo sullorlo del proprio compimento, lo contempla.
Con una piccola sprezzatura dellesaustivit che, stato detto, rappresenta una
sorta di clinamen, di errore che d vitalit al sistema; e che a me sembra possa
richiamare da un lato un aforisma di Kraus, Per essere perfetta le mancava un
difetto, dallaltro una riflessione di Cecchi, colpito da unusanza delle tessitrici Navajo:
Quando una donna Navajo sta per finire uno [dei suoi] tessuti, lascia nella
trama e nel disegno una piccola frattura, una menda: affinch lanima non
le resti prigioniera dentro al lavoro. Questa mi sembra una profonda lezione darte: vietarsi, deliberatamente, una perfezione troppo aritmetica e bloccata.15

Ma dopo questa digressione su compiutezza e perfezione, concetti che in


qualche modo investono lintera struttura testuale, torniamo ad occuparci delle
chiuse poetiche in senso stretto. Con una drastica schematizzazione, che in
qualche modo strutturer il seguito del mio scritto, diciamo che la chiusa pu
essere intensificata sia con sottolineature tematiche, sia con rifiniture formali
quali, in particolare, le figure di ripetizione, sia con una strategica distribuzione delle informazioni, attraverso dinamiche di annuncio e sorpresa, di tensione e soluzione.
3. Fenomeni di enfasi tematica e di iconicit della chiusa
Ci sono dei temi e dei motivi che, se collocati in chiusa, per una sorta di metalinguaggio implicito, sembrano avvalorare la sensazione e lesperienza della
fine, perch ne richiamano, in maniera pi o meno evidente, lidea, il semema. Inevitabile pensare innanzitutto alla morte, evento naturalmente percepito come definitivo e irreversibile. Ma anche al matrimonio, evento
convenzionalmente definitivo che, assieme alla morte, forse la tematica conclusiva universalmente pi attestata in narrativa. Forse perch la calma della
felicit sancita dal matrimonio (lE vissero felici e contenti) e la calma della
morte sono, da un punto di vista narratologico, finali-scioglimento equivalenti: entrambi segnano nettamente, luno disforicamente, laltro euforicamente, la fine del conflitto, la fine del divenire, quindi la fine dellinteresse
narrativo; come ha detto chiaramente Balzac in Splendori e miserie delle cortigiane: la felicit non ha storia e gli scrittori di tutto il mondo lhanno capito
14. Per un approfondimento della ben pi complessa meccanica del testo cfr. lo stesso Georges PEREC in Entretien avec Jean-Marie Le Sidaner, LArc, n. 76, 1979, p. 3-10 (trad. it.
di Elio Grazioli in Riga, n. 4, Milano: Marcos e Marcos, 1993, p. 90-97) e Odile MARTINEZ, La vie mode demploi: la contrainte come fine, in Monique STREIFF-MORETTI (a
cura di), La fine del racconto, Napoli: Ed. scientifiche italiane, 1991, p. 215-233.
15. Cfr. Emilio CECCHI, Messico [1930], Milano: Adelphi, 1985, p. 51.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

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cos bene che la frase: furono felici termina tutte le storie damore;16 e come
Tolstoj lascia trasparire collocando nellincipit di Anna Karenina questa senteziosa affermazione: Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice infelice a suo modo.17
Ma, anche indipendentemente dalla trama e dalla topicit del tema conclusivo, la sensazione della fine nel finale pu essere comunicata attraverso sottolineature tematiche pi mediate, implicite o allusive. Temi come il silenzio,
loscurit, il sonno, limmobilit, lal di l (la soglia da attraversare), la cancellazione, lirrigidimento, la sparizione etc., sono tutti riconducibili allidea della
morte e quindi della fine. E innumerevoli poi sono le loro possibili declinazioni e varianti; perch non esistono temi isolati, ma costellazioni, grappoli di
temi e motivi. Il procedimento intuitivo ed noto;18 per cui, senza insistere oltre, mi concentro sugli esempi.
Dapprima un es. fittizio per sottolineare come, essendo la chiusa uno spazio variamente circoscrivibile e articolabile, anche parlando di suggestioni tematiche in chiusa, sia importante distinguere i fenomeni di carattere puntuale da
quelli protratti e, soprattutto, da quelli dotati di una progressione. Si consideri dunque il motivo potenzialmente mimetico della chiusura di un serramento, poniamo una saracinesca: ebbene un conto chiudere il testo dicendo
e la saracinesca cal (dove comunque la parola tronca su vocale aggiungerebbe un effetto di clausolarit fonica); un altro scandire tutto il finale con una
descrizione di come la saracinesca cali, svolgendo a poco a poco le sue lamiere ondulate, facendo cigolare vieppi il rullo, scorrendo sempre pi velocemente lungo le guide laterali, sino a quando, in clausola, non urti con fragore
metallico il suolo; dunque con progressione ottica, cinetica e acustica che naturalmente intensificherebbe il senso della fine. Ed ora tre ess. letterari.
La chiusa come luogo dellavvenuta consumazione. La Bougie di Ponge un
componimento che non si limita a descrivere il proprio oggetto bens tende
ad identificarsi con esso (con unoperazione che lesatto contrario del ceci
nest pas une pipe di Magritte); per cui, come accade anche in altri testi della
raccolta Le parti pris des choses, la fine del testo qui viene determinata dalla
natura delloggetto descritto, fingendo una sorta di necessaria simultaneit
(cito lultimo capoverso):
[] Cependant la bougie, par le vacillement des clarts sur le livre au brusque
dgagement des fumes originales encourage le lecteur, puis sincline sur
son assiette et se noie dans son aliment.19
16. Cfr. Honor de BALZAC, Splendori e miserie delle cortigiane [1847], Torino: Einaudi, 1991, p. 75.
17. Cfr. Lev TOLSTOJ, Anna Karenina [1877], Torino: Einaudi, 1945, p. 1.
18. Si vedano Barbara HERRNSTEIN SMITH, Poetic Closure. A Study of How Poems End, Chicago: Chicago U. Press, 1968, p. 172-182; Philippe HAMON, Clausules, cit., p. 516; Vittorio
COLETTI, Dallinizio alla fine [1980], in ID., Italiano dautore, Genova: Marietti, 1989,
p. 150-155; e Marco KUNZ, El final de la novela, Madrid: Gredos, 1997, p. 163-186.
19. Cfr. Francis PONGE, Le parti pris des choses, Paris: Gallimard, 1942, p. 16; ibid. un analogo
effetto di simultaneit caratterizza le chiuse di Le Pain, Mais brisons-la: car le pain doit
tre dans notre bouche moins objet de respect que de consommation, Le Pr: Voici donc,

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Pietro Benzoni

Qui, dunque, la descrizione, reificatasi, si spegne nel finale con il suo oggetto: la candela che affoga nella cera liquefatta, dans son aliment, come si dice in
clausola a sottolineare linquietante trasformazione del mezzo di sostentamento
in strumento di morte.
La chiusa come caduta nel non-testo. Propongo una lettura iconica di due
chiuse celebri.
La prima quella de Le got du nant di Baudelaire
v. 15

Avalanche, veux-tu memporter dans ta chute?

dove lidea della fine come caduta avvalorata, da un lato, dal fatto che tale
immagine in francese anche lessicalizzata,20 dallaltro, da un effetto iconico
specifico del mezzo: infatti, la visione della valanga dalla cui chute il poeta vorrebbe essere trascinato, e quella, di poco precedente, del corpo congelato
inghiottito da una neve immensa (v. 11-12: Et le Temps mengloutit minute
par minute, / Comme la neige immense un corps pris de roideur) sembrano
anticipare e amplificare limminente sprofondamento nel bianco tipografico
che generalmente caratterizza la fine del testo nei libri. Bianco che daltra parte,
in quanto non-colore, o colore al margine dello spettro dei colori, non diversamente dal nero, riconducibile ad una simbologia della fine.
Laltro esempio dato dalla chiusa perentoria (ma non assoluta: segue il tornar della mente del canto successivo) del quinto canto dellInferno dantesco:

v. 142

Mentre che luno spirto questo disse,


laltro pianga; s che di pietade
io venni men cos comio morisse.
E caddi come corpo morto cade.

dove, ad acuire il senso della fine, contribuiscono pi elementi di natura diversa: la metaconclusivit delle tematiche (caduta, allusione alla morte e svenimento di Dante al venir meno del canto), la progressione narrativa che fa di
questo svenimento una conclusione quasi fisiologica dellepisodio (la piet di
Dante qui ha raggiunto il suo acme) e le ri-finiture formali con, in particolare, i due poliptoti: morissemorto a concatenare penultimo e ultimo periodo
e, soprattutto, caddicade a stringere le due estremit di un verso clausolare sintatticamente autonomo la cui tensione chiusa corroborata anche dalla fitta
sur ce pr, loccasion, / Prmaturement, den finir, e Les Mres, Sans beaucoup dautres qualites, mres, parfaitement elles sont mres comme aussi ce pome est fait; solo che
qui ottenuto altrimenti: con un gioco di parole che collega il piano dellenunciazione a
quello dellenunciato (cfr. Philippe HAMON, Clausules, cit., p. 516).
20. In francese chute pu significare sia fine inattesa (ad es. la chute dune histoire; proverbiali poi le chutes di Maupassant), sia estremit (ad es. la chute dun toit lorlo di un tetto),
sia cadenza (ad es., la chute dune phrase). Viene in mente poi Spitzer quando, analizzando uno stratificato periodo proustiano, osservava come la chute deau clausolare creasse una
splendida chute de la phrase (cfr. Leo SPITZER, Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna, Torino: Einaudi, 1959, p. 236).

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

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trama di allitterazioni; con una concentrazione di ripetizioni lessicali e foniche che, come ha scritto Spitzer, sembra rafforzare limpressione di uninerzia imposta dalle leggi fisiche.21 E sulla scia di queste notazioni stilistiche sulle
figure di ripetizione, passiamo al punto seguente.
4. Chiuse rilevate e scandite attraverso fenomeni di ricorrenza e variazione
Cinque sono i meccanismi, basilari, che qui voglio schematicamente fissare e
sinteticamente illustrare, cercando di valutarne gli effetti.22
I.
Nello spazio breve della chiusa sono ricompattati elementi prima disseminati
lungo un porzione di testo pi ampia (schema ABCD ABCD), con
un effetto di accelerazione riepilogante o condensazione che naturalmente sar
pi o meno forte a seconda delle modalit di ripresa (bisogner cio tener
conto di variabili quali lentit e la natura della porzioni di testo interessate,
lo spazio che intercorre tra le occorrenze, la loro successione, etc.).
Tale procedimento riassemblante, che alla base di alcune delle pi codificate forme di chiusura nei generi pi diversi (quali la ricapitolazione dei temi
trattati nella perorazione classica, le conclusioni riepiloganti di tanta saggistica, il congedo della sestina lirica di cui s detto, il finalissimo delle opere musicali in cui tutti gli attori si radunano sulla scena cantando insieme, lesibizione
collettiva al termine degli spettacoli circensi, il gran finale dei fuochi dartificio in cui conflagrano insieme tutte le figurazioni prima susseguitesi in sequenze distinte, il quinto tempo di un quartetto darchi, la panoramica finale di
tanti film,23 etc.), tale procedimento, dicevo, in poesia, stato descritto sia da
Dmaso Alonso, il quale ha parlato di recoleccin, sia da Curtius, il quale ha
usato la definizione di Summationsschema (schema sommatorio), e ha cercato
21. Cfr. Leo SPITZER, Il canto XIII dellInferno, in ID., Studi italiani, Milano: Vita e Pensiero,
1976, p. 166.
22. Tali meccanismi, che possono anche coesistere in uno stesso testo, di per s, sono noti (se
non archetipici); il nostro apporto dunque soprattutto nel taglio e nella sinteticit della sistemazione, nel percorso esemplificativo e in qualche osservazione teorica. Per un approfondimento cfr. comunque il pi ampio, ma non sempre convincente (v. poi), Barbara
HERRNSTEIN SMITH, Poetic Closure, cit., alla voce repetition.
23. Un finale che coniuga le modalit riassemblanti del finalissimo delle opere musicali con quelle tragiche dei film apocalittici, si trova in un film di Altman, Nashville (1975). Qui, infatti, c
una struttura narrativa ramificata, a montaggio alternato, con molte storie che si sfiorano e
raramente si intrecciano, ma che solo nella grande scena finale, destinata a rivelarsi tragica,
trovano un punto di convergenza collettivo. Pi precisamente, nellultima scena, ambientata
nel parco cittadino, e dominata da uno scenario che imita il Partenone, ha luogo lo spettacolo a sostegno della campagna elettorale di Hal Philip Walker (ai cui preparativi si era assistito
gi nella prima scena; quindi con un effetto incorniciante entro la scena ricollezionante): un grande show che richiama, sul palco o tra il pubblico, tutti i principali personaggi del film; tra i
quali il giovane Kenny che poi uccider con un colpo di pistola la star della canzone Barbara.

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di tratteggiarne la storia individuando in un componimento di Tiberiano la


prima attestazione e nellet barocca il momento di massima fortuna.24
E, appunto, per un primo es. canonico, si veda un sonetto di Lope de Vega,
che (come evidenziano i corsivi) ricolleziona i temi trattati nelle quartine,
addensandoli, ma con diversa sequenza, nel verso clausolare:
El humo que form cuerpo fingido,
que cuando est ms denso para en nada;
el viento que pas con fuerza airada
y que no pudo ser en red cogido;
el polvo en la regin desvanecido
de la primera nube dilatada;
la sombra que, la forma al cuerpo hurtada,
dej de ser habindose partido,
son las palabras de mujer. Si viene
cualquiera novedad, tanto le asombra,
que ni lealtad ni amor ni fe mantiene.
Mudanza ya, que no mujer se nombra,
pues, cuando ms segura, quien la tiene,
tiene humo, polvo, nada, viento y sombra.25

Ne LAvenir di Apollinaire, invece, la ricollezione investe tutta lultima strofa la quale riprende, ordinatamente, elementi sparsi nelle altre strofe del componimento:
Soulevons la paille
Regardons la neige
crivons des lettres
Attendons des ordres
Fumons la pipe
En songeant lamour
Les gabions sont l
Regardons la rose
La fontaine na pas tari
Pas plus que lor de la paille ne sest terni
Regardons labeille
Et ne songeons pas lavenir
Regardons nos mains
Qui sont la neige
la rose et labeille
ainsi que lavenir 26
24. Cfr. Dmaso ALONSO, Saggio di metodi e limiti stilistici [1950], Bologna: il Mulino 1965,
p. 218-230, e Ernst CURTIUS, Letteratura europea e Medio Evo latino [1948], Firenze: La
Nuova Italia, 1992, p. 319-322.
25. Cfr. Lope de VEGA, Poesa lrica, Madrid: Espasa-Calpe, 1941, vol. I, p. 188.
26. Si cita da G. APOLLINAIRE, Poesie, Milano: Rizzoli, 1979, p. 220.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

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Anche, ne Lora granda (da Snere colde) di Biagio Marin, tutta lultima
strofa contesta di elementi ricollezionati, ma con variazioni (1 speciera > 17
specio; 12 l so ben > 18 el sovo ben) anche vistose (cfr. i v. 13-14 con gli ultimi
due):
Xe ferme laque che le par speciera:
drento le ha l siel co garghe nuvoleta:
l sui rzini alti fa lerbeta
che l silensio valisa a so maniera.
Lontan, de l de le marine e i dossi,
un respir del mar solene e largo;
un svolo a lorizonte, a mar, de ciossi
e pi lontan un bastimento cargo.
El sol va in alto: laqua xe un brilante
co foghi virdi e sangue de rubini
e svola in sielo lrdola a scalini
per d l so ben al dolse amor distante.
v. 13

Desso l silensio drento laria trema


e la zogia fa mve i fili derba:
adesso la mantina xe superba
de la luse che duta la diadema.
E me son laqua che fa specio terso
e lrdola che canta el sovo ben,
e me son laria e son el canto perso
che fa trem fin lerba sul teren.27

Ancora: come forme di condensazione finale, possono essere considerate


le riprese che scandiscono la chiusa del Canto notturno di Leopardi e quella
del mottetto Al primo chiaro di Montale. Il Canto notturno di un pastore
errante dellAsia presenta infatti unultima strofa (uno pseudocongedo, come
ha evidenziato Blasucci),28 in cui due vocativi che si erano avvicendati nel corso
della lirica, greggia e luna, ritornano in posizione contigua, in punta di verso
entro due versi stretti (con un procedimento del tipo II) da anafora e parallelismo sintattico: v. 137-138 Pi felice sarei, dolce mia greggia, / Pi felice
sarei, candida luna. Il mottetto Al primo chiaro invece un testo bipartito in
due strofe, i cui rispettivi incipit (Al primo chiaro v. 8 al primo buio) sono
sinteticamente ripresi nellattacco del penultimo verso, l dove il componimento, che formato da un solo periodo, trova anche il proprio compimento
27. Si cita dallantologia Poeti italiani del Novecento, a c. di Pier Vincenzo MENGALDO, Milano:
Mondadori, 1978, cfr. p. 509.
28. Cfr. Luigi BLASUCCI, Partizioni e chiusure nelle prime canzoni libere (con alcune prospezioni sulle successive) [1992], in ID., I tempi dei Canti, Torino: Einaudi, 1996, p. 115.

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sintattico (una reggente con sintassi nominale): v. 13-14 al chiaro e al buio, soste
ancora umane / se tu a intrecciarle col tuo refe insisti.
In narrativa, certo, pi difficile imbattersi in schemi sommatori altrettanto nitidi, ma, volendo trovarne qualcuno, credo sia soprattutto negli intrecci di natura teatrale che si debba cercare.29 Altrimenti, mi sembra che le forme
di riepilogo narrativo pi interessanti poggino su moduli pi impliciti ed allusivi; come pu mostrare il noto passo dellultimo capitolo dei Promessi Sposi
in cui hanno luogo le nozze tra Renzo e Lucia:
Venne la dispensa, venne lassolutoria, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trionfale, proprio a quella chiesa, dove, proprio
per bocca di Don Abbondio, furono sposi. Un altro trionfo, e ben pi singolare, fu landare a quel palazzotto; e vi lascio pensare che cose dovessero passar
loro per la mente, in far quella salita, allentrare in quella porta; e che discorsi dovessero fare, ognuno secondo il suo naturale. [] Dopo i due pranzi, fu
steso il contratto per mano di un dottore, il quale non fu lAzzeccagarbugli
[cap. XXXVIII, 45-47]

passo magistralmente cadenzato dalle anafore (venne venne venne proprio proprio etc.) il cui vertiginoso effetto riepilogante poggia sulle rapide e ammiccanti sottolineature enfatiche (il quale non fu lAzzeccagarbugli)
con, in particolare, i deittici anaforici (quel benedetto giorno proprio a quella chiesa proprio per bocca di Don Abbondio quel palazzotto quella salita quella porta) che nellinsieme, danno vita ad una trama di allusioni capace
di rievocare efficacemente antefatti analoghi e diversissimi insieme insomma la storia.
II.
La chiusa scandita da figure di ripetizione o da forme di parallelismo, con
sottolineatura della funzione clausolare-definitoria, con effetti di memorabilit e sentenziosit. Effetti tanto pi forti quanto pi la chiusa autonoma
(perch isolata tipograficamente o sintatticamente indipendente), quanto pi
essa tende a stagliarsi a mo di epifonema (perch caratterizzata da stilemi della
perentoriet quali il presente gnomico, gli avverbi mai, sempre, un lessico asso29. Tra i quali propongo di considerare Il giovane Moncada (1972) di Lernet-Holenia, racconto sfociante in una scena corale con tanto di applausi finali (narrativi e metanarrativi insieme): un ironico e caricaturale lieto fine che vede la formazione di pi coppie e il
tornaconto di tutti. Dove, tra laltro, si potr osservare lemblematicit di una chiusa in
cui (a ricordare come il denaro sia motore e fine di tutto il vorticoso intreccio) torna per
lultima volta un motivo ricorrente lungo tutto il testo: quello dello zampillo di fontana
che cadendo sulla superficie dellacqua risuona come una cascata di pesetas (con un procedimento che pu essere considerato lequivalente in narrativa della chiusa con versorefrain di cui poi al punto V). Oppure si veda come nellultimo capitolo di Corazn tan
blanco (1992) di Javier Maras siano stipati, in forme raggrumate, alcuni dei motivi prima
diffusamente sviluppati.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

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lutizzante, etc.), quanto pi la sua elaborazione retorica al di sopra di quella del resto del testo.30 Tre esempi brevemente commentati.
Nella chiusa de La quiete dopo la tempesta di Leopardi
v. 50

Umana
prole cara agli eterni! assai felice
se respirar ti lice
dalcun dolor: beata
se te dogni dolor morte risana.

.....................

le figure di ripetizione assecondano un effetto di progressione. Pi precisamente, lepigrafe clausolare, beata / se te dogni dolor morte risana, risulta ancor
pi solenne perch si pone come secondo gradino di una climax scandita da
ripetizioni sintattiche (felice se beata se, con lo stesso soggetto) e lessicali
(lanafora di dolor; il poliptoto ti te): una sorta di approdo alla assolutezza
e perentoriet attraverso lintensificazione semantica e leliminazione di quanto modulava il primo enunciato (assai felice > beata; respirar da alcun > risanar ogni), complice la comparsa del tema, naturalmente definitivo, della morte.
Montale, invece, scandisce la chiusa dellArno a Rovezzano (da Satura) con
una anafora e una figura etimologica con diffrazione semantica:
v. 17

Altro comfort fa per noi ora, altro


sconforto.

E, significativamente, lo fa coniugando un effetto di simmetria con una sua


sprezzatura. Infatti, se da un lato lanafora (Altro altro) incornicia lendecasillabo, dallaltro, il forte enjambement (altro / sconforto) spezza la cornice pi
ampia che cinge tutto lenunciato, quella tra i sintagmi Altro comfort altro /
sconforto; il che corrobora iconicamente la desolazione della stretta finale, con la
parola sconforto che resta sola nel verso pi breve di tutto il testo, davvero sullorlo della fine. Quanto alla figura etimologica, con densa equivocit, il comfort,
contrariamente a quanto potrebbe suggerire letimo, qui non solo non d conforto, ma sembra porsi come una causa, unaggravante dello sconforto.31 Come,
30. Chiuse con simili caratteristiche spesso sono accostabili (se non coincidenti; cfr. Paul
ZUMTHOR, Lpiphonme proverbial, Revue de sciences humaines, n. 163, 1976, p. 313-328)
a forme concise e sapienziali del ragionamento come gli aforismi e i proverbi; il che ci suggerisce lidea che un florilegio di chiuse retoricamente calibrate (estrapolabili, sia pure meno
agevolmente, anche dai testi in prosa), possa essere una lettura gradevole e interessante (per
un modello da evitare, si veda la acritica trascrizione di finali di Roberto SCHWAMENTHAL
e Michele STRANIERO, Il Corsaro Nero piange. 365 modi per finire un romanzo, Milano: Baldini e Castoldi, 1996).
31. E vengono in mente le parole che Montale pronunci ricevendo il Nobel: fa impressione il fatto che una sorta di generale millenarismo si accompagni a un sempre pi diffuso comfort, il fatto che il benessere (l dove esiste, cio in limitati spazi della terra) abbia i
lividi connotati della disperazione (Cfr. Eugenio MONTALE, ancora possibile la poesia
[1975], in ID. Sulla poesia, a c. di Giorgio ZAMPA, Milano: Mondadori, 1976, p. 8).

240 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Pietro Benzoni

daltra parte, suggerisce anche la tuttaltro che agevole prosodia: lendecasillabo con due dialefi (noi v ora v altro) e accenti ribattuti di 7a e 8a (ni ra) che,
soprattutto se si legge cmfort allinglese, risulta alquanto accidentato.
Infine, riporto integralmente una poesia di Giudici, Tanto giovane (da La
vita in versi), affinch si possa valutare lo scarto stilistico della chiusa nellinsieme:
Tanto giovane e tanto puttana:
cii la nomina e forse non
colpa tua la maglia di lana
nera e stretta che sparla di te.
E la bocca ride agra:
ma come ti morde il cuore
sa chi tha vista magra
farti le trecce per fare lamore.32

Qui, gli unici due versi bimembri, perfettamente bilanciati dalle ripetizioni (a loro volta rilevate prosodicamente), sono il decasillabo dellincipit, con
anafora, e lendecasillabo dellexplicit, con poliptoto; dove dunque le demarcazioni retoriche della chiusa trovano un corrispettivo in quelle dellinizio,
creando un effetto cornice; il che ci conduce alla seguente tipologia.
III.
La chiusa presenta una ripetizione che ricollega la fine allinizio, che incornicia il testo (o una sua parte). La figura retorica cui questo meccanismo pu
essere ricondotto lepanadiplosi (schema AA); figura che si ritrova in particolare in tutte le ballate con replicazione finale, e che, per definizione, caratterizza una forma tradizionale di poesia per musica come il rond. Pi
concretamente si potrebbero vedere, ad es. dallopera di Di Giacomo, poesie
come E matina, pe Tuleto, la cui quartina iniziale identica a quella finale; o
la deliziosa A Marechiare le cui strofe pentastiche sono tutte incorniciate da
uno stesso verso che per muta di strofa in strofa.33
32. Cfr. Giovanni GIUDICI, I versi della vita, Mondadori: Milano 2000, p. 28.
33. Il procedimento, daltra parte, frequente non solo in poesia, ma anche nella pi libere
strutture narrative. Si pensi alla complessa strategia incorniciante de La tregua (1963) di
Primo Levi, sulla cui soglia iniziale, a mo di epigrafe, posta una poesia che poi sar puntualmente richiamata, chiosata e rimodulata nel brano che chiude il romanzo; o a Lolita
(1955) di Nabokov che si chiude come era iniziato: nel nome di Lolita, invocando Lolita;
dove cio la stessa parola, Lolita, a dire anche formalmente lossessione dellio narrante
Humbert Humbert, titolo, incipit ed explicit di tutto il romanzo. Oppure si vedano le
chiuse de La certosa di Parma (1839) di Stendhal, di Cuore di tenebra (1902) di Conrad,
de Il fu Mattia Pascal (1904) di Pirandello, di Niente di nuovo sul fronte occidentale (1929)
di Remarque, de I fiori blu (1965) di Queneau, di Centanni di solitudine (1967) di Garca
Mrquez, di Se una notte dinverno un viaggiatore (1979) di Calvino o de Il nome della rosa
(1980) di Eco, che richiamano tutte, esplicitamente, il titolo e/o lincipit.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

241

Ora per, senza esemplificare, voglio solo sottolineare la natura ambigua


degli effetti di circolarit: lincorniciamento infatti sicuramente uno dei mezzi
pi efficaci e tradizionali per con-cludere, per rinserrare il testo, ma, daltro
canto, configurare delle strutture circolari, ad anello, pu essere un modo per
alludere ad una ciclicit che si rinnova senza fine.34
IV.
La chiusa presenta una variazione che interrompe una serie di ripetizioni invariate. Innumerevoli le possibili realizzazioni, soprattutto se si guarda nellopera di autori come Pascoli e Di Giacomo, i cui testi sono cos spesso imperniati
su strutture anaforiche. Si veda ad es. Notte dinverno di Pascoli, una poesia
formata da una collana di madrigali caudati e ritornellanti la cui variazione
pi significativa si trova appunto in clausola, l dove la chiusa-ritornello dei
primi tre madrigali, nelloscurit, sostituita da ci che se ne va:

v. 11

[]
squillando squillando
nelloscurit.

22

[]
tremando tremando
nelloscurit.

33

[]
gemendo gemendo
nelloscurit.

44

[]
piangendo piangendo
ci che se ne va.35

Ma leffetto conclusivo, ovviamente, sar pi o meno forte a seconda della


natura della serie iterativa e delle modalit di differenziazione della chiusa.
In particolare si potr distinguere tra variazioni finali che agiscono per semplice contrasto (del tipo XXX Y), come quella appena vista, e variazioni
finali che in qualche modo sono annunciate o predeterminate dalla serie iterativa (XXX > Y), come ad es. nella Guitare di Victor Hugo:

72

[]
Le vent qui vient travers la montagne
Me rendra fou

34. In particolare, lepanadiplosi sembra suggerire una ciclicit senza fine quando la ripresa
finale si presenta come una autocitazione interna ad un diverso livello di enunciazione,
ossia quando vi anche un effetto di mise en abyme (cfr. Marco KUNZ, El final de la novela, cit., cap. III).
35. Cfr. Giovanni PASCOLI, Poesie, Milano: Mondadori, 1956, p. 464.

242 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

80

[]
Le vent qui vient travers la montagne
Me rendra fou

88

[]
Le vent qui vient travers la montagne
Me rendra fou.36

Pietro Benzoni

Qui infatti, come ha sottolineato Hamon,37 la variazione clausolare avvalorata anche da un pi specificico effetto di compimento: quanto reiteratamente annunciato nel distico-refrain (che nelloriginale si ripete invariato, non
due, ma dieci volte), trova il suo avveramento in clausola. Il tutto corroborato poi da un piccolo ma significativo scarto fonetico: il suono aperto della a
di rendra si restringe in fine nella vocale in assoluto pi chiusa, la di rendu.
V.
La chiusa presenta una ripetizione che non introduce alcuna variazione, bens
conferma la regolarit della serie iterativa. Si osservi ad es., dalle Myricae di
Pascoli, Sera festiva: una poesia che presenta (con un hapax metrico nella produzione pascoliana) quattro strofe ognuna formata da una sequenza di sei novenari che sempre chiusa dal settenario onomatopeico din don dan, din don
dan; e questo settenario, a dilatare leffetto ritornellante, assuona sempre coi
due versi precedenti che, a loro volta, si richiamano tra loro, interstroficamente, per lanalogia dei moduli sintattici (cfr. il verso 6 col 20, e il 13 col
27), e per il riecheggiare delle stesse parole-rima; cos (cito gli ultimi tre versi
di ogni strofa):

v. 7

[]
Su gli occhi tu tieni le mani
Perch? non sai che domani
din don dan, din don dan.

14

[]
Tu tieni agli orecchi le mani
tu piangi; ed festa domani
din don dan, din don dan.

21

[]
allora perch son la campana
(perch? non pareva lontana?)
din don dan, din don dan.

36. Cfr. Victor HUGO, uvres potiques, Paris: Gallimard, vol. I, p. 1076.
37. Cfr. Philippe HAMON, Clausules, cit., p. 512.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

28

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

243

[]
con noi, nella piccola zana:
gridavi; e lass la campana
din don dan, din don dan.38

Se poi si scorre una raccolta come i Canti di Castelvecchio, c solo limbarazzo della scelta: La partenza del boscaiolo, Luccellino del freddo, Il brivido, La
voce, Per sempre, Il primo cantore, La capinera, La bicicletta, Primo canto, In
viaggio sono tutte poesie chiuse e scandite dal ritorno, con regolare frequenza, di un identico verso-refrain (per lo pi di carattere onomatopeico).
Questo per una rapida esemplificazione del fenomeno, ma la valutazione del
suo effetto problematica. Barbara Herrnstein Smith ha sostenuto che ripetizioni sistematiche di questo tipo producono un effetto anti-conclusivo, perch lultima occorrenza, confermando le precedenti, configurerebbe una
regolarit prolungabile ad libitum, per una sorta di forza inerziale.39 Ora, che
la loro conclusivit sia assai minore rispetto a quella delle chiuse con variazioni e contrasto del punto IV, evidente. Ma vederci unicamente un effetto di strascico e sospensione, a force for continuation, come fa la Smith,40 non cos
pacifico. Infatti, da un lato, come ha sottolineato Hamon la ripetizione sistematica potrebbe anche essere interpretata come un principio di prevedibilit,
dunque di arresto.41 Dallaltro, a me sembra che la forza propulsiva (anticonclusiva) individuata dalla Smith conviva e sia bilanciata da una forza di natura opposta: la forza regressiva insita in ogni ripetizione, che per essere
riconosciuta come tale deve richiamare una precedente occorrenza (riconoscere che un An clausolare lultima occorrenza di una serie regolare A1 A2 A3
An implica uno sguardo retrospettivo su tutta la serie, quindi un effetto di
chiusura). Senza dimenticare poi lintrinseca conclusivit di unultima occorrenza che, ontologicamente, sempre una variazione: An sempre altro da A1,
e questo a maggior ragione se An collocato in clausola (come pu suggerire
anche lesperienza pi comune: quando le campane suonano le ore, lultimo
rintocco, anche se di per s uguale agli altri, sembra pi intenso e protratto
solo perch riecheggia nel silenzio).
5.
La fine, in quanto termine della progressione lineare, indispensabile per cogliere il testo nella sua globalit, sempre un luogo strategico. Ma tale intrinseca
strategicit sar esaltata da quei testi che, attraverso una determinata distribuzione delle informazioni, fanno della fine il momento di massima intensit, o
perch particolarmente atteso, o perch particolarmente sorprendente, o per
entrambi i motivi.
38.
39.
40.
41.

Cfr. Giovanni PASCOLI, Poesie, cit., p. 19.


Cfr. Barbara HERRNSTEIN SMITH, Poetic Closure, cit. alla voce repetition systematic.
Ibid., p. 48 e p. 161.
Cfr. Philippe HAMON, Clausules, cit., p. 508.

244 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Pietro Benzoni

Generalmente si tratta di testi fortemente orientati che possiamo inquadrare entro due poli doscillazione: da un lato ci sono i testi continui che configurano un moto progressivo (a climax o anticlimax che sia), e in cui la fine,
dunque, tende a porsi come momento culminante, come punto ultimo semanticamente gravido perch gravato da tutto ci che venuto prima; dallaltro
i testi che avanzano apparentemente divagando o comunque nascondendo il
loro effettivo orientamento, per poi riservare alla fine lagnizione decisiva, il colpo
di scena, la rivelazione che rimette tutto in discussione. Il che poi significa
distinguere tra una strategicit della fine che agisce soprattutto in forma di
proiezione, con effetti di convergenza, e una che invece agisce soprattutto
retroattivamente, con effetti risemantizzanti. In entrambi i casi gli ess. sono pi
facilmente reperibili nei testi narrativi (soprattutto se si guarda, rispettivamente, entro generi come il romanzo di formazione e quello poliziesco), ma
i testi poetici mi sembra abbiano il vantaggio dellimmediatezza.
Per i finali-acme, basti ricordare la struttura progressiva della Divina Commedia, con il viaggio ultraterreno di Dante che appunto si conclude, nellultimo
canto del Paradiso, con la visione di Dio.
Per i finali rivelatori si veda invece, dallAlcyone di DAnnunzio, Londa, in
cui ad agire in chiusa un colpo di scena tematico che davvero getta una nuova
luce su tutto il testo:
Nella cala tranquilla
scintilla
[]
il Mare.
Sembra trascolorare.
Sargenta? Soscura?
A un tratto
come colpo dismaglia
larme, la forza
del vento lintacca.
Non dura.
Nasce londa fiacca,
sbito sammorza.
[]
Ma il vento riviene,
rincalza, ridonda.
Altra onda salza,
nel suo nascimento
pi lene
che ventre virginale!
Palpita, sale,
si gonfia, sincurva,
salluma, propende.
[]
Il vento la scavezza.
Londa si spezza,

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

v. 98

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

245

precipita nel cavo


del solco sonora;
Spumeggia, biancheggia,
[]
O sua favella!
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde
[]
E anchella [Aretusa] si gode
come londa, lasciutta
fura, quasi che tutta
la freschezza marina
a nembo
entro le giunga!
Musa, cantai la lode
della mia Strofe Lunga.

In questa chiusa rilevata dalla divisione strofica e da uno scarto allocutivo


che arieggia la funzione congedo, londa tematizzata dal titolo si converte dunque nellimmagine della Strofe Lunga dannunziana. Solo in fine cio capiamo
che, attraverso la lunga e scrosciante descrizione dellonda onda che, dapprima incerta nel suo crescere, dopo un apparente fiaccarsi, erompe vittoriosa
, la poesia ha cantato, iconicamente e metaforicamente, se stessa; o, meglio,
la propria forma; anchessa fluida, imprevedibile e rid-ondante, ora avvallantesi
nei versi pi brevi, ora allungata nei settenari (perch anchessa soggetta ai
venti, si vorrebbe aggiungere: in cauda venenum).42
Ma se concentrare in chiusa delle impreviste informazioni decisive un
modo per enfatizzare la fine, altrettanto efficace il procedimento, per certi
42. Simile, ma ben pi sottile, il meccanismo di rivelazione tematica utilizzato da Rimbaud ne
Le dormeur du val, la cui frase clausolare (sintatticamente autonoma), Il a deux trous rouges au ct droit, risulta decisiva per reinterpretare e decodificare come metafore o attributi
della morte i precedenti predicati; sia quelli isotopi: Le dormeur [] un soldat [] dort
[] il fait un somne [] dans son lit vert [] il dort [] il dort sia quelli meno marcati: ple, souriant comme un enfant malade, il a froid, les parfums ne font pas frissonner sa narine; lo evidenzia Hamon, il quale sottolinea anche come la rivelazione finale
fosse desumibile dalla stereotipia della metafora (il sonno della morte), nonch implicita
nel titolo dormeur = dort + meurt (cfr. Philippe HAMON, Clausules, cit., p. 512). Ma,
aggiungiamo noi, si dovr anche notare come il ritorno (con effetto incorniciante) della
parola trou in chiusa conferisca una connotazione meno innocente alla sua prima occorrenza nellincipit (Cest un trou de verdure).

246 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Pietro Benzoni

versi opposto, che fa della chiusa il luogo in cui si risolvono delle attese e delle
tensioni protratte lungo il resto del testo. Un procedimento che, nei testi poetici, trova forse la sua pi nitida illustrazione nei testi uniperiodali a detonazione finale;43 qual ad es. un sonetto di Petrarca, Gratie cha pochi il ciel largo
destina, Rvf 213, i cui primi tredici versi presentano unenumerazione di
temi sospesi, unaccumulatio che solo nellultimo verso viene risolta in una
frase di senso compiuto (v. 14 da questi magi transformato fui); qual Languilla di Montale, poesia che, com noto, consta di una sola interrogazione e
si articola per apposizioni, con uno schema sintattico (sostantivo + relativa
appositiva) che, a creare un effetto di accelerazione, si ripete in forme via via
abbreviate, sino a quando, in clausola, compaiono soggetto e verbo reggente
([languilla] puoi tu / non crederla sorella?); etc.44
In linea di principio ci si pu chiedere poi sino a che punto si possa efficacemente caricare un congegno testuale in vista della detonazione finale; perch, mi sembra, leccessiva o la troppo complicata dilazione possono anche
compromettere leffetto, un po come un elastico troppo teso pu spezzarsi
senza che lenergia accumulata venga indirizzata come si voleva.
Ma, lasciando la questione aperta, mi soffermer ora invece su un testo
breve (in dialetto romagnolo) di Baldini: un caso particolarmente interessante perch la dinamica tensione/scatto qui si avvale delle pi disorientanti movenze della lingua parlata a ritardare la comparsa, non del verbo reggente (come
avveniva nei due ess. appena visti), bens delloggetto stesso del discorso. Ecco
dunque La cambra schura, un percorso emotivo di accumulo, scoppio e quiete; un grumo narrativo rappreso in tre endecasillabi:
Che pu u m suzd da rd, e u n sint nisun,
tla cambra schura, ad stta, tra i pan sprch,
a cud la prta, e a rgg. Dp a stagh mi.45

Qui, nel giro di soli tre versi, messa in atto una strategia multipla che allo
stesso tempo ritarda e intensifica lazione liberatoria dellurlo; che al primo
verso sottintesa (ora come soggetto, ora come complemento oggetto), al
secondo circoscritta da ben tre incisi, al terzo inquadrata da unazione preliminare (a cud la prta), e infine (introdotta da una e con valore non copulativo, ma conclusivo, come rivela luso della virgola) enunciata; insomma
anche la sintassi sembra sfogarsi nella rgg. Con una convincente mimesi della
43. Di effetti di detonazione finale ha parlato Spitzer studiando il ritmo della frase proustiana
(cfr. Marcel Proust, cit., p. 243-246) e poi Renzi analizzando i sonetti uniperiodali di Petrarca (cfr. Lorenzo RENZI, La sintassi continua. I sonetti dun solo periodo: C, CCXIII, CCXXIV,
CCCLI, Lectura Petrarce, n. 8, 1988, p. 187-220).
44. Solo nellopera di Montale, i testi uniperiodali con forti effetti di detonazione finale sono
almeno altri quattro: Corno inglese, Al primo chiaro, Accelerato e Luce dinverno.
45. Cfr. Raffaello BALDINI, Furistr, Torino: Einaudi, 1988, p. 36. Traduzione (dellautore): La
camera cieca: Che poi mi succede di rado, e non sente nessuno, / nella camera cieca, di
sotto, tra i panni sporchi, / chiudo la porta, e urlo. Dopo sto meglio.

Chiuse poetiche e senso della fine. Spunti per una tipologia

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

247

lingua parlata che per qui, a ben vedere, ha qualcosa di paradossale perch
costituisce un estremo artificio letterario: infatti la poca coesione e il cambio di
progettualit (ossia loscillante finalismo) tipici del parlato sono qui riprodotti con un massimo dintenzionalit. Dp a stagh mi: lultimo emistichio, infine, asseconda la calma finale, suggerendo implicitamente lidea della fine del
testo come calo emotivo, come stasi, con un effetto di smorzamento che
tematico e iconico insieme.
A questo punto per bisogna sottolineare come, pur avvalendosi di strategie per certi versi opposte (luna avendo di mira leffetto sorprendente, laltra
poggiando su sospensioni e annunci preparatori), le due tipologie sopra esemplificate il finale rivelatore e quello con soluzione della tensione accumulata possono coesistere in uno stesso testo. Anche proficuamente; come
mostrano i migliori romanzi ad enigma che sanno creare aspettative e tensione per poi, alla fine scioglierle con soluzioni impreviste (ma non incoerenti).46
E come ora, pi dettagliatamente, si vedr attraverso lanalisi di La vie cest
comme une dent di Boris Vian (dalla raccolta postuma Je voudrais pas crever),
una poesia la cui strategia conclusiva imperniata su un piccolo, se possiamo
chiamarlo cos, colpo di scena logico-grammaticale, che esplode alla fine di
una gradatio, preparato da una certa tensione sintattica; dove, dunque, la chiusa al tempo stesso apice della progressione e sede di una rivelazione, attesa e
sorpendente insieme:
La vie cest comme une dent.
Dabord on y a pas pens
On sest content de mcher
Et puis a se gte soudain
a vous fait mal, et on y tient
Et on la soigne et les soucis,
Et pour quon soit vraiment guri
Il faut vous larracher, la vie.47

Il testo dunque si presenta come uno sviluppo graduale, con versi brevi
(schema a7 b8 b8 a8 a8 c8 c8 c8) che scandiscono, paratatticamente, lirreversibile aggravarsi della situazione: dallassenza di sintomi, alle prime avvisaglie,
ai tentativi di cura, sino alla extrema ratio: sino alla necessit di estirpare. Tale
progressione semantica, che muove dalla comparazione iniziale La vie cest
46. Limprevisto deve scaturire da una trama coerente (altrimenti la soluzione delude): da questo punto di vista, lideale estetico del romanzo ad enigma assimilabile a quello teorizzato da Aristotele per la tragedia, quando nella Poetica raccomanda che lintreccio sia annodato
in modo che i fatti sopravvengano par ten doxan contro ogni aspettativa e allo stesso
tempo, kat to anankaion o kat to eoikos, ossia concatenandosi attraverso rapporti di necessit o di verosimiglianza.
47. Cfr. Boris VIAN, uvres compltes, Paris: Fayard, 1999, vol. V, p. 234. Traduzione (mia):
La vita come un dente. / Dapprima non ci si pensato / Ci si contentati di masticare
/ E poi improvvisamente si guasta / Vi fa male, e ci si tiene / E si cercan le cure e che preoccupazioni! / Ma per essere davvero guariti / Bisogna estirparla, la vita.

248 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Pietro Benzoni

comme une dent, viene per sviluppata ambiguamente, giocando sulla intercambiabilit del referente, con pronomi che potrebbero riferirsi tanto a la dent
quanto a la vie (in francese, entrambi sono di genere femminile). Tra i due
vocaboli, per, la dent che, prima della fine, si impone allaspettativa del lettore come tema sottinteso, come soggetto psicologico:48 mcher, faire mal, soigner, arracher, sono infatti tutti verbi che, in senso proprio, presuppongono la
concretezza de la dent, piuttosto che un sostantivo astratto come la vie. Solo
che, invece, il referente tanto atteso per via della sintassi enfatica (la dislocazione a destra annunciata cataforicamente da ben cinque riprese pronominali), e ostentato solo in punta allultimo verso, come ultimo rintocco di una
triplice rima baciata, proprio la vie; termine che finisce col chiudere entro
una figura ciclica (una epanadiplosi: la vie, incipit ed explicit) un testo pure
cos progressivo. Con una rivelazione che non solo ha un fortissimo effetto di
retroazione globale, ma anche stilisticamente enfatizzata da uno scarto metrico-sintattico: nel distico finale si trovano infatti lunica frase subordinata e lunico enjambement del testo, ad assecondare il rapido bilanciamento tra un
tempo di sospensione (E pour quon soit) e uno di risoluzione (il faut).
Certo, non senza ragione si potrebbe dire che la rivelazione clausolare gi
insita nella similitudine iniziale, ma, a guardar bene, si vedrebbe che leffetto
sorprendente del finale comunque garantito da una sottile incoerenza logicoretorica: quella che era stata presentata come una comparazione, viene invece
sviluppata, ma lo capiamo solo in clausola, come una identificazione analogica; basterebbe togliere lavverbio comparativo comme del primo verso, e leffetto sorprendente della chiusa sarebbe compromesso.

48. Per soggetto psicologico intendo ci di cui parla lenunciato, ci che lemittente sembra
avere in mente nel momento in cui inizia a dare forma allenunciato; che non necessariamente
coincide col soggetto grammaticale (cfr. Raffaele SIMONE, Fondamenti di linguistica, RomaBari: Laterza, 19989 [1990], p. 377 e sg.).

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

251-256

Leterno presente
nella poesia di Giorgio Brberi Squarotti
Ennio Bispuri
Direttore dellIstituto Italiano di cultura di Barcellona

I versi di Giorgio Brberi Squarotti, contenuti nelle raccolte Trionfi dinverno


(Milano: Spirali, 2003); Le Vane nevi (Verona: Bonaccorso, 2002) e nel microscopico ma intenso Barista e altri versi (Bollate-Milano: Signum, s.d.) raccontano di una realt tutta interiore, lontana (per quanto possibile) dai rumori del
mondo esterno. I versi fluiscono come melodie che intendono celebrare soltanto le emozioni provocate da brevi immagini, quasi da istantanee che, come
vere e proprie folgorazioni, appaiono per pochi istanti, lasciando di esse una
scia luminosa, che proprio loggetto privilegiato di tale Poesia.
Sarebbe vano cercare nei versi di Brberi Squarotti un coinvolgimento o
solo un collegamento con la realt esterna, un impegno civile che tenti di rivelare il dolore della Storia. Anzi, la sua Poesia sembra essere il luogo privilegiato dove le accensioni del mondo esterno si trasformano e si metabolizzano
sistemandosi in emozioni.
Il timbro generale della Poesia di Brberi Squarotti infatti caratterizzato
da unintrospezione radicale e felice, spinta fino alle estreme conseguenze, dove
tutto il mondo si dissolve per ridursi a un puro fascio di emozioni, per lo pi
di natura visiva, su cui il Poeta, come un nuovo Montaigne privato del suo
impianto filosofico forte, riflette e si ausculta.
Luniverso, per Brberi Squarotti, non altro che unimmagine effimera,
su cui i Sensi e la Ragione, armoniosamente collegati e uniti, ricostruiscono
un frammento che si ripete. Il Poeta non sa dirci altro: i punti di riferimento
dellio sono la sua intrinseca assenza, il suo tentativo di esistere al di l delle
pure emozioni, della pura contemplazione di qualcosa che vibra nella luce e
che, dissolvendosi rapidamente, ci illude della continuit del nostro essere nel
tempo.
Ma gli stessi versi colpiscono anche per la particolare forza allusiva costruita su metri, scelte stilistiche e ascendenze arcaiche, che, ricordando con evidenza il tessuto poetico dei Lirici Greci, diventano echi di un mondo evocato
attraverso una raffinata elaborazione lessicale e una ricerca giocata su unaggettivazione misurata e coerente, non priva tuttavia di raffinate combinazioni (da Trionfi dinverno: la disperanza dellinverno, p. 40; prima che la notte si

252 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Ennio Bispuri

muioia, p. 51; la notte illune, p. 68; celate le Alpi nellocciduo sole, p. 137) su
allusioni e accenni, sulla pausa prolungata e su una evidente tendenza a costruire un verso leggero e fortemente connotato in senso musicale.
Lopera poetica di Brberi Squarotti accenna, evoca, fissa e scolpisce il frammento e dialetticamente frammenta lAssoluto, riconducendolo a vibrazioni
luminose e sensuali. I versi di queste raccolte, che per la loro incredibile dolcezza
sembrano talora essere la traduzione italiana dei frammenti di Archiloco, di
Saffo o di Mimnermo, si strutturano su una dimensione che vuole ignorare
lio e il tempo, il mondo esterno e il divenire della Storia. Nulla sembra trapelare infatti, nelle liriche cos volutamente frammentarie di Brberi Squarotti, della conflittualit e della drammaticit del mondo e dellangoscia con cui
luomo contemporaneo guarda al proprio futuro e allincerto futuro del mondo.
Quello (unico) che interessa il Poeta portare le proprie emozioni ad esercitare
una vera e propria dittatura allinterno del proprio io, trasferendole su un piano
di purezza assoluta fino a cancellare, al suo punto pi alto, lo stesso soggetto che
le prova.
Attraverso i suoi versi lAutore spinge le parole verso una sintesi radicale,
che, quasi privandole del loro valore semantico, le riduce a relitti segnici provenienti da unaltra dimensione, da uno spazio-tempo immobile ricostruito
attraverso il puro atto immaginativo: una sorta di eterno presente che sembra
preservarci dal Nulla.
in questa vocazione a superare il dato lessicale duso che risiede a mio
avviso la forza e la prima qualit della poesia di Brberi Squarotti, che si esprime in una costante tensione a svuotare del significato corrente le parole, per
inserirle nel linguaggio evocativo e allusivo dellInconscio.
I versi di Brberi Squarotti, che ci allontanano dallo scorrere impetuoso
della realt, sono immersi in un Divenire che tutto travolge: evocano, accennano, fissano e celebrano il frammento, ma non ci fanno mai vedere lIntero,
verso il quale tuttavia aspirano. Gli squarci visivi, da cui prende forma ogni
poesia (praticamente in ogni composizione compare limmagine di una ragazza intravista o immaginata, che accende, come in un delirio pudicamente controllato e misurato, la fantasia dellAutore) sono il motore e lo strato pi
profondo dellintima ispirazione di Brberi Squarotti, Poeta tanto riservato,
schivo e indisponibile a giudicare lumanit e ad esplorarne i grandi enigmi,
quanto generoso nel comunicarci le proprie emozioni, che, scivolando in una
tentatrice dimensione onirica, si risolvono quasi sempre in una sorta di autoseduzione, dove il Nulla e lEternit, pur nella loro logica opposizione, sembrano esprimere una medesima ed equivalente minaccia.
Gli squarci lirici sono come tagli o ferite inferte sulla pagina, come lampi
in sequenza, che illuminano loscurit e il magma dellInconscio e penetrano
per un attimo nellambigua dimensione del sogno.
Le emozioni sono cos portate ad uno stato di purezza assoluta, fin quasi ad
essere spogliate non solo di qualunque dato documentario che vada oltre il
singolo e minuscolo dettaglio, ma perfino private dello stesso soggetto che le
prova e le comunica. Lio, come il mondo che questo si rappresenta, sembra

Leterno presente nella poesia di Giorgio Brberi Squarotti

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 253

infatti aver smarrito per Brberi Squarotti il suo senso ultimo, di essere cio il
fondamento della soggettivit, come garanzia della razionalit del conoscere e
del sentire, per ridursi al succedersi di singoli e puntiformi istanti emozionali.
Come per Nietzsche, che definisce lio una seduzione della grammatica, il
soggetto, nella poesia di Brberi Squarotti si pone tra parentesi (cosa insolita per
la Poesia!) e si riduce alle sue stesse produzioni emotive espresse senza un coinvolgimento dichiarato. E cos si smarrisce o si nasconde.
Quello che dunque appare al lettore lisolamento definitivo e irreversibile dellio, sopraffatto dalla sua stessa esuberanza produttiva e da unattivit imaginifica e creativa che, privilegiando la scintilla su cui si accende la propria
attenzione, finisce per divorare quello che incessantemente genera.
I versi di Brberi Squarotti alludono continuamente a un mondo immobile,
arcaico, fisso nella Storia perch reso immutabile dallemozione istantanea: un
mondo appunto che sembra non essere soggetto al divenire. A leggere pi
attentamente ci si accorge per che proprio quel mondo non mai contemplato con nostalgico compiacimento, con la malinconia della rimembranza o
con lo sguardo rivolto ad unet delloro che non mai esistita.
Il centro della Poetica di Brberi Squarotti, il nucleo pi profondo e pi
nascosto della sua Poesia sembra essere dunque questo contrasto, questo confronto e questo collegamento costante tra un Essere senza tempo, seducente e
ammaliatore, che, lasciandosi contemplare solo attraverso singoli frammenti,
appare incontaminato nella sua fissit e un Divenire che il Poeta rinuncia a
descrivere e definire.
Forse per questo linsistenza esplicita su continue folgorazioni rende esplicita la poetica di Brberi Squarotti, che obbedisce senza eccezioni al metabolismo emozionale dellattenzione verso ci che di pi lo seduce: limmagine
della donna giovane e bella.
Si potrebbero citare decine e decine di versi, pi o meno costruiti sul tema
proustiano delle jeunes filles en fleur (da Trionfi dinverno: una ragazza sorride
alle ombre liete, p. 7; ed pi immaginaria la ragazza/ che ti visita in qualche
crepuscolo dinverno, p. 9; la ragazza che si spogliata/ tra gli arbusti e i fiori
ancora accesi, p. 17; la ragazzina sola, nella luce/ verde di arance acerbe e di limoni, p. 20; la ragazza con lombelico nudo,/ in corsa sulla riva dellaurora, p. 23;
la ragazza apparve agile/ nello sciame del buio, uscendo fuori/ dal fiume di luce
che eterno scorre, p. 24; una ragazza fresca/ davanti alla facciata dombra della
chiesa, p. 26; oh, la ragazza nuda, se compare/ dal salice e si allunga sopra lerba,
p. 33; Oh, al pi il tino/ spumoso di viola in altri tempi,/ dove prima timida,
poi sempre pi audace/ si potesse spogliare la ragazza/ qui giunta daltri luoghi,
p. 38; la ragazza/ un poco sorridendo, e lentamente/ si spogliava finch si affacci nuda/ dalla finestra, e dietro il vetro ironica, p. 41; lunica vera luce era il candore/ del corpo nudo, mollemente steso, p. 50; e la ragazza ora s nudi i fianchi/
nel gelo del Natale, p. 64; una ragazza sfiora la sua rosa/ ultima del tardo agosto, a lungo, p. 75; era seduta la ragazza/ ai piedi del campanile, forse l aspettando/ una musica virtuale, p. 76; entr, vestita di un festoso abito/ nero,
altissima la ragazza, p. 77; qualcuno/ chiam dallaltro ponte la ragazza/

254 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Ennio Bispuri

che remava sul fiume dolcemente, p. 84; nellansia del saluto alla ragazza/ si apr
limpermeabile e dolcemente/ apparve tutta nuda, p. 89; entr impudica la
ragazza, e rise, p. 90; ferma la voce, la ragazza bionda/ cantava nella chiesa, gli occhi
chiusi, p. 91; la ragazza/ bionda, distesa nuda sul divano, p. 92; lironia/ normale della candida ragazza/ uscita dalla doccia e ora rivolta/ sulla schiena, p. 121;
tiene le mani incrociate sul pube/ troppo pudica la ragazza, il volto/ piegato in
basso, p. 138; le spesse calze nere e nuda Monica/ pudicamente in piedi nella
stanza/ della biblioteca vuota, p. 153; si sdrai la ragazza, contemplando/ il
tenue cielo azzurro e lala lenta/ dun vento allegro, p. 161. Da Le vane nevi:
una ragazza bionda, alta, piegato/ un poco il fianco, come per leziosa/ noia o per
irridente pazienza, p. 11; e la ragazza che vol nellaria/ per sbaglio, p. 13;
la ragazza bruna, e quando/ arrivai primo della folla un poco/ folle dattesa, mi
sfid proterva, p. 33; come lamore/ che mi resta, sognato nel ricordo/ della
ragazza quasi nuda, p. 34; il vestito leggero e luminoso/ della ragazza, p.
37; lalta ragazza bruna, nel meriggio/ dagosto incerto fra ansia e afa, annoiata/
e pigra contemplava dalla via/ eterna di Alba il silenzio dubbioso, p. 38; una
ragazza dolce si era seduta su una panca, aveva/ strettissimo il vestito, nuda lanima/ abbronzata pi dogni altra ora vera, p. 39; e il cerchio nero appena della
gonna/ della ragazza esausta dellamore, p. 42; la ragazza castana con gli occhiali/ nervosa e accanita leggeva da ore/ un libro, p. 44; al miracolo la ragazza
volge/ incredula le spalle, p. 45; sulla via ancora vuota, sollev/ la ragazza bruna
la maglietta/ bianca sul petto nudo, p. 47; e la ragazza gi era/ bianca, confusa nel biancore fitto/ di troppa neve, p. 48; lisci i capelli, incertamente biondi,/ la ragazza alta, china sui ginocchi, p. 49; di colpo usc dal buco di un cortile/
illuminata tuttavia delloro/ delle foglie di un faggio, una ragazza/ bruna, lunghe
le gambe nei jeans stretti, p. 50; la ragazza/ timidamente un poco sorridendo/
si faceva toccare i fianchi nudi, p. 51; la ragazza/ ah forse non pi giovane, ma
intatta,/ la maglia azzurra, corta, i fianchi lucidi, p. 54; alla stazione, a Pisa, la
ragazza/ americana, folle di improvvise/ grida alterate e il volto troppo ilare/ e
arrossato, p. 62; la ragazza con la maglietta bianca/ troppo leggera, mentre soppesava/ indecisa le mele rosse, p. 69; sotto il puro candore della neve/ candido
il corpo nudo dellimmota/ ragazza, p. 72; la ragazza/ bruna, alta, in piedi,
nuda, esili un poco/ i fianchi, le mammelle leggere, ilari/ gli occhi e pure pudichi,
volti in basso, p. 79; lalta ragazza bruna/ ritta, insistentemente contemplava/
il nulla ombroso e irato dei capelli/ ricciuti nelleccelsa solitudine, p. 83; fumava
continuamente la ragazza/ bionda, con i capelli scossi e storti/ la schiena nuda,
dorata, p. 85; una ragazza coi capelli fulvi,/ alta, un po pingui i fianchi nudi,
esposte/ le mammelle allingannevole vento, p. 88; la ragazza coi capelli biondi,/ serrati nel fermaglio dametista/ e oro, p. 90; di corsa, trafelata, la ragazza/ un po
confusi gli occhi dellestate/ ancora, riusc a salire sul tram, p. 91; il corpo della
ragazza festosa/ nel tempo, entro lattesa che la fiamma/ le sia data del vino necessario, p. 103; una ragazza bionda chi sa mai/ chi aspettasse, se non cera nuvola/
sullorlo delle colline, p. 109; nel pi leggero fiato del tramonto/ apparve la
ragazza pura e timida, p. 115; si aggiunge dimprovviso la ragazza/ alta, bruna,
abbronzata, p. 122; la ragazza, allora, alta e robusta,/ bruna, di via Toledo,

Leterno presente nella poesia di Giorgio Brberi Squarotti

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004 255

nella luce/ dinfinita primavera e brezza, p. 127; la ragazzina saviamente nuda/


invece di recarsi a scuola, indugia, p. 128; una ragazza un po discinta,/ bruna,
porta ogni tanto il vino, p. 130; dallautobus discese la ragazza dolcissima e
alta, risoluta sciolse/ le chiome doro dal cappuccio bianco, p. 132; lasprigna/
ragazza bruna, con la maglia bianca/ e con i jeans stretti e brevi, i fianchi nudi,/
portava pesci oscenamente gonfi, p. 138; la ragazza dipinta, sola e intorno/ erano
troppi i gigli e i peschi e incongrue/ rose pallide, sollev il volto/ dubbioso e interrogante, p. 144; la ragazza, neri/ gli abiti stretti e solo lampia luce/ chiara
dei fianchi nudi, p. 158; una ragazza non attendeva il tempo/ n il nulla, p. 162;
si sdrai la ragazza, contemplando/ il tenue cielo azzurro e lala lenta/ di un vento
allegro, p. 164; la ragazza americana,/ corti i riccioli biondi, era seduta/ sul
pavimento sporco, indifferente, p. 166).
Poich sono sempre trasferite sul vissuto personale e al di fuori della Storia,
queste emozioni laceranti, come nella pittura di Balthus o nella Poesia di un
ipotetico Sandro Penna eterosessuale, tendono ad acquietarsi e a risolversi nel
mito, dove il mistero pi profondo e impenetrabile dalla ragione conclude la
rievocazione di gesti e dettagli che abbagliano e restano senza una spiegazione,
ossia di fatti solo contemplati, immobili nel tempo e pertanto eterni e misteriosi (i Francesi dicono le dtail qui tue, i Tedeschi, con Goethe, Gott ist im Detail).
La Poesia di Brberi Squarotti, che non contiene mai nostalgie o slanci
verso il passato o accensioni verso il futuro, costruita su un interno processo
emotivo, tratteggiato attraverso successive magie e incanti, con i quali e solo
con i quali pu nascere il Mito, costruito ai margini del vuoto, che sembra
minacciare con la sua pretesa di esistere.
Essa si risolve in una fissit arcana e intangibile, radicata in un presente
senza tempo, in una cristallizzazione luminosa senza prospettiva, in unarmoniosa descrizione di gesti e di immagini che acquisiscono quasi le tonalit della
trascendenza (il ricorso e il richiamo a Dio frequente e talora invocato quasi
a interrompere la descrizione del divenire emozionale).
Gli elementi mitologici, che sono molto frequenti in tutte le raccolte citate (solo alcuni esempi da Trionfi dinverno: osservi le acque ambigue da cui puoi/
attenderti il corpo di luce di Afrodite/ o il Pesce di smeraldo, p. 13; non altra
dea, ecco che Minerva sulla riva, p. 15; ritta in piedi,/ Venere nata dal mare
dellerba, p. 43; o quanto le onde invadono del mare/ in tempesta la roccia scabra
dEolo, p. 48; era Venere tremante fra dune/ ritorte, p. 55; la Menade quasi/
tuttavia infantile illumin, p. 147; la dea con labito lieve di pallido/ roseo e
giallo, il corpo candido,/ il deforme Vulcano, p. 148; la voce, che non sode, di
Afrodite, p. 150), sono sempre evocati come punti di riferimento che impediscono il naufragio, come livelli di fissit eterna, che, sia pure nella favola e nel
sogno o nella potenza trasfiguratrice dello sguardo, rendono il Divenire pi
bello e meno insensato.
La Natura per Brberi Squarotti non mai un dato esteriore-descrittivorealistico. Essa non esiste se non in quanto uno stato danimo, dove i colori,
le immagini, gli odori, i suoni ecc. non ritraggono veristicamente lesterno,
ma dipingono un paesaggio interiore, solo interiore, ossia lanima.

256 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Ennio Bispuri

Brberi Squarotti scrive con con una fluidit e una pregnanza semantica e
una perfetta incisivit, che sono forse laspetto stilistico pi vistoso della sua
ricerca poetica. Egli sembra trasmetterci, in definitiva, la sua convinzione pi
profonda: che la Storia, anche se si lascia accarezzare, rimane impenetrabile
dalla Ragione e che quindi tanto vale trascurarla. Oppure che la vera Storia
sono solo le nostre emozioni (Fellini diceva: il vero realista il visionario).
La poesia intesa da Brberi Squarotti (che corre felicemente e consapevolmente il rischio di sottrarsi alla modernit, fino a sfidarla) come il racconto dei propri sogni e dei propri miti, che si accendono e si esauriscono nel puro
atto contemplativo.
Brberi Squarotti immerge insomma il proprio io e i personaggi della sua
poesia in un vuoto che tale per eccesso di pieno, ma ci mostra anche il graduale distacco, ossia il processo di questa metamorfosi, il rumore che si fa silenzio e torna rumore, la vita che tramonta e muore e poi risorge, il dolore che si
muta in piacere per mutarsi ancora in dolore, in una sorta di corrente eraclitea
della psiche, che per solo apparente e che il Poeta si limita a contemplare
senza volerla spiegare, traducendola sempre in una sorta di implosione che
chiude il mondo e lo riduce ai palpiti brevi e intensi di uno stato danimo felice perch privato dalla minaccia del vuoto, che lo fa sembrare eterno.

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

257-267

Ressenyes

Guido GOZZANO
Poemas
trad. di Carlos Pujol, Granada: Comares, 2002
Al lettore spagnolo lopera di Guido Gozzano poeta e scrittore fra i pi emblematici e importanti del primo 900
italiano risulta forse poco conosciuta.
Della sua vasta produzione letteraria, in
cui poesia e prosa sinterpellano continuamente e a vicenda, in castigliano
stata resa solo una piccolissima parte dellopera in prosa: si tratta della traduzione de Laltare del passato una raccolta di
novelle scritte tra gli anni 1911 e 1914 e
apparse per la prima volta nel 1918 a titolo postumo pubblicata a Barcellona
dalla casa editrice Planeta Agostini nel
1999 in versin bilinge, abreviada y
simplificada. Linguisticamente inaccessibile per il pubblico spagnolo rimasto
invece il resto della prosa gozzaniana, di
cui vanno necessariamente menzionati i
cicli Lultima traccia, Altre novelle, Altre
fiabe, La principessa si sposa, la raccolta
Verso la cuna del mondo, i cui testi riflettono lesperienza vissuta dal poeta durante il suo viaggio in India, e il ricco
epistolario, dindubbio valore artistico.
Senza traduzione in spagnolo era rimasta
pure quella parte del corpus testuale di
Gozzano che testimonia un immediato
rapporto collarte dei versi: ne costituiscono lo spessore contenutistico-formale

le due raccolte poetiche La via del rifugio


ed I Colloqui, quella de Le farfalle Epistole entomologiche, ed anche le tante e
varie Poesie sparse, composte dal poeta
torinese nellarco della sua densa ma breve
attivit artistica, marcata dal segno della
malattia.
C pertanto da congratularsi con
Carlos Pujol per la decisione di rendere
finalmente accessibile in spagnolo testi
poetici gozzaniani, e di riunirli in una specie di raccolta intitolata Guido Gozzano
Poemas. un lavoro eseguito sotto la spinta di sensazioni percettive autoctone, sotto
il dettame di spiccate preferenze soggettive nei confronti dellopera poetica gozzaniana (trenta sono in totale i
componimenti che sono stati prediletti e
tradotti da Pujol, fra i quali nove appartengono alla prima raccolta del poeta, La
via del rifugio, quattordici alla seconda, I
colloqui, ed il resto alle cosiddette Poesie
sparse), e portato avanti probabilmente in
quanto aspirazione a sostanziare quel tipo
di rapporto che, virtualmente, pu esistere tra un lettore e un poeta. Ne fanno
prova tanto il criterio di selezione delle
poesie, tutte quante considerate ex professo nella loro singola capacit enunciativa e nella loro autosufficienza stilistica,

258 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

quanto il fatto che, in base a quello, esse


costituiscono sulle pagine del lavoro pujoliano una sorta di conglomerato contenutistico, la lettura semanticamente
consecutiva del quale, per il suo carattere
di progetto di percezione esterna, risulta
incomprensibile fuori dellimmaginario
operativo dellideatore. Forse in funzione di questa stessa libert operativa (funzione o conseguenza?) sta anche la
decisione di offrire la traduzione nella sua
intima purezza esecutiva, prescindendo
da qualsiasi nota dintroduzione o di spiegazione che possano metter luce sui problemi di anteriorit concettuale che
circoscrivono il modus operandi rispettato dal traduttore. A questi, comunque,
va attribuito il merito di aver ideato per
i versi gozzaniani lo spazio di un volume
autonomo, perch la traduzione di Pujol
realmente il primo tentativo di rendere
in castigliano versi gozzaniani in modo
formalmente compatto, mediante una
raccolta piuttosto che non unantologia;
come pure gli va riconosciuto lo sforzo di
realizzare il proprio lavoro allinsegna di
unedizione con testo a fronte, attraverso
la quale testo traslato e testo originale possono rispecchiarsi nella lettura mutuamente.
Eppure, c qualcosa di insidioso nella
natura di quello stesso criterio di selezione e ordinamento dei componimenti gozzaniani che veniva invocato nel paragrafo
anteriore. Ben lontano, infatti, dal superare loggettivit rappresentativa dei versi,
esso viene a sfavorire, oltre che a confutare, la pretesa di aprire una prospettiva
di mero individualismo interpretativo
allinterno di una poesia tutta impostata
sullimperativo di seguire una determinata modalit nella lettura. Ripiegata nellisolamento di un soggettivo punto di
vista, tale prospettiva ignora la necessit
di sottrarre la scrittura gozzaniana al suo
immediato contingente formale, e di arrivare cos allo sfondo contenutistico (nel
caso concreto invariabilmente autoreferenziale) che custodisce lintonazione par-

Ressenyes

ticolare dellautore, la sua ragione e


maniera di essere poetiche. Perch Gozzano, come scriveva Montale nel suo Gozzano, dopo trentanni, saggio del 1951
dedicato al poeta torinese, era nato per
essere un eccezionale narratore o prosatore in versi: impensabile concepire la
poesia di Gozzano prescindendo da questa contingenza (tutto ci che pu essere
e/o non essere, la vicenda narrata) di contenuto. La traduzione castigliana appare,
per questo, piuttosto incondita, perch
in essa lessenza artistica (la soggettivit
codificata nei versi: incentivo e ragione
di lettura) sta in funzione di quella intellettiva e non, com dovuto, viceversa. Vi
si scampano situazioni narrative e urgenze semantiche anteriori rispetto alla
percezione esterna a discarico di possibili divagazioni di argomento; vi emergono discernibili, per irriscattabili nella
veste di un nuovo ordinamento contenutistico, motivi e congruenze gozzaniani fatti emigrare dalla loro solita inerenza
locutiva; si scivola insomma verso una
tendenza a ri-costruire, a ri-cucire il corpus testuale delloriginale. Per esempio, i
due componimenti che aprono il volume
di Pujol sono, rispettivamente, lex
primo (I) e lex terzo (III) di un piccolo ciclo narrativo, I sonetti del ritorno,
appartenenti al pi vasto spazio testuale
della raccolta La via del rifugio di Gozzano, mentre il secondo componimento (II)
di questo stesso ciclo inserito (letteralmente sbuca fuori, esiliato tra vari altri
consorti componimenti gozzaniani) nella
parte conclusiva della traduzione (p. 126).
A rendere ulteriormente sconcertante la
loro collocazione (come se di camuffamento formale si trattasse, non di traduzione!), si aggiunge il fatto che gli stessi
componimenti, sia originali che tradotti,
nelledizione di Pujol non appaiono
numerati (come nel corpus di partenza),
ma intitolati, in modo tale che al componimento gozzaniano (I) corrisponde il
pujoliano [Sui gradini consunti, come
un povero]: [En gastados peldaos,

Ressenyes

como un pobre]; al (II), [Il profumo di


glicine disspi]: [Que se lleve el perfume de glicinas], e al (III), [O Nonno! E
tu non mi perdoneresti]: [Abuelo, no
podras perdonarme]. I titoli introdotti
dal traduttore corrispondono in realt ai
capoversi di ciascuno dei testi indicati, il
che per non attenua ma anzi ribadisce
il carattere fortemente interpretativo della
versione, tesa a carpire, quasi alla defurtiva, limmediato carico semantico dei
versi, desistente invece al momento di
concepire se stessa e la propria efficacia
operativa al di l della realt materiale dei
singoli componimenti. Si avverte insomma la mancanza di una concezione meno
pujoliana e pi gozzaniana dei versi, tale
da riscattare la pre-contenuta propensione narrativa. In ultima analisi, proporre

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

259

una lettura della poesia di Gozzano sfasata e priva dellurgenza configurativa che
lo stesso poeta le aveva voluto assegnare,
unoperazione, se non altro, poco comprensibile in mezzo a tanta oggettivit
rappresentativa, in mezzo a tanta intenzionalit di composizione. Si voluto
riscrivere la poesia di Gozzano a partire
da una lettura che, sebbene sul piano dellinterpretazione linguistica del testo non
pecchi di gravi sviste lessicali e incongruenze formali, nella sua impostazione
generale appare comunque troppo
vagheggiante e fantasiosa, non riuscendo
a conferire, come probabilmente aspira,
dignit artistica ad unesperienza poetica
ammirabile ed ammirata.
Elitza Popova

Giorgio MANGANELLI
Encomio del Tirano escrito con la nica finalidad de hacer dinero
trad. de Carlos Gumpert, Madrid: Siruela, 2003
Envuelta en un manto de sombras que
amanecen, la figura pseudnima y amenazante de Giorgio Manganelli emerge
del libro con una carcajada imprevisible,
accionada por un resorte que no atiende
a razones, cuando el crtico, obviando el
silencio que se instala entre dos latidos,
la duda, pretende tomarle el pulso a sus
textos. Su literatura geometra de la putrefaccin de cuantos discursos crticos
haya suplantado la postmodernidad
hibrida las fuentes porque conoce del agua
la renuencia a todo paradigma, siendo
como es el agua idntica de s y en algunos rincones cloaca. Tomar una instantnea de esta literatura que juega y divierte,
que fluye y remansa y se precipita en
cascadas enumerantes, taxonmicas y
rabelaisianas propicias al estropicio de los
estudios semnticos estructurales, es exponerse al negativo de un, es un decir, calamar con plumas estilogrficas por patas;
del mismo modo, nadie osara trazar el

mapa de un pulpo. Y sin embargo, en el


fondo de la mentira, cierto profeta submarino camina con los zapatos desatados
entre algas, medusas y anzuelos: si hubo
una respuesta, Manganelli la desfigura
con encas y manos hasta trocarla en pregunta de pescadores; si hubo una verdad,
ser pstuma o carcajada.
En ocasiones la literatura de Manganelli semeja un ejercicio contra la crtica
que oscurece y mistifica todos sus recursos
y registros histricos: engendrada en su
intimidad, deber finalizar nuevamente en
lo inverificable. Citado a duelo en un amanecer de landa que no termina, el crtico
puede elegir las armas, estudiar el percutor del revlver, comprobar el filo de la
espada con una pluma, sabedor del destino ineludible, de la carcajada que lo despertar del ensueo cuando intente, con armas
viejas, sonsacarle al texto lo que es del texto
y de su secreto, cuando descubra que la
carcajada ha tomado tambin sus labios.

260 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Manganelli, sin embargo, no limita


sus esfuerzos homicidas a la crtica justiciera y a sus cortesanos que enferman, los
confluye, a su vez, hacia la tradicin recibida y luego buscada, hacia aquellos de
los que se declara consangunea, aquellos
con los cuales ms que con ningn otro
querra sentarse a la mesa, en torno a una
breve felicidad de comida, y que a todos
con mis manos he matado, advierte
Manganelli en La noche. Matar con los
manos a Rabelais, Shakespeare, Maquiavelo, Agatha Christie y a Daniele Bartoli,
a Schubert, a Cervantes, Wilde, Kafka,
Manganelli, Hawthorne, Borges, Calvino y, por supuesto, tambin al Csar. T
tambin, Giorgio? No habr lluvia suficiente para estas manos manchadas de
sangre. Prxima a un apocalipsis laico, la
escritura deviene el ejercicio de un instante universalmente homicida.
El bosque relato integrante de La
noche, libro pstumo de Manganelli se
enfrenta, parablicamente, a la expresin
de este instante-escena de la escritura que
exige tanto las muertes propias como las
ajenas, paisaje y centro del cementerio
total, la arboleda de troncos truncados
que es, todava en las manos de Manganelli, la literatura. Escribir es entregarse
a la fascinacin de la ausencia de tiempo, escribe Blanchot en El espacio literario, y es en ella, en la fascinacin de esta
ausencia, donde Manganelli as lo
advierte en La literatura como mentira ensaya la bsqueda de cierta contemporaneidad metafsica, porque no
slo el escritor no es contemporneo con
los eventos que han conseguido procurarse una cronologa no incompatible con
su biografa, sino que tampoco es contemporneo con aquellos escritores con los
cuales convive, sino cuando tambin ellos
mismos estn de cualquier modo involucrados en el mismo lenguaje: condicin,
sta, metafsica y no histrica. La contemporaneidad metafsica es el lugar de
la cita, la biblioteca de la infinita disponibilidad y las voces sin cuerpo, que debe

Ressenyes

permitir al escritor encontrar el nico


objeto de su bsqueda, la definicin de
un lenguaje que nos d acceso a la literatura.
A principios de la dcada de los sesenta, cierto profesor universitario y estudioso de la literatura inglesa, desde cierta
intimidad con los discursos estructuralistas
franceses, con los que comparte la aversin al historicismo de los juicios crticos
en rebelda, Giorgio Manganelli, en fin,
publica sus primeros libros. Sin embargo, seala Italo Calvino tan pronto como
en 1965, Manganelli opone a la nocin
crtica de roman, hegemnica del momento, la riqusima tradicin inglesa de la
prosa, articolata in una gamma di generi sempre ibridi e polimorfi. Y en esta
oposicin encuentra el lugar para el relato truncado, lugar del desencuentro entre
la fbula y el texto. As, desde sus comienzos, los textos de Manganelli desafan la
novela convencional, la idea de acontecimiento, la construccin de historias que
puedan servir a la consecucin de los
mejores fines del hombre, declogo de la
caligrafa y el sentido, porque, como seala Blanchot, la idea de personaje, as
como la forma tradicional de la novela,
no es sino uno de los compromisos por
los que el escritor arrastrado fuera de
s por la literatura en busca de su esencia intenta salvar sus relaciones con el
mundo y con l mismo. Manganelli
deshoja la prosa y busca la fiesta verbal,
la glosolalia y la tanatoglosa, porque todo
lo que sucede en el texto le es propio al
lenguaje y debe encontrar sancin en el
universo lingstico: las historias distraen
de las palabras; las historias relatan hechos,
como si hubiera hechos; las historias tienen incluso personajes; algo que raya en
la inmoralidad, de cuan educativo es, as
Manganelli en Encomio del Tirano. Si la
ficcin cubre con un manto de clida satisfaccin la distancia entre el texto y el lector, separados por el silencio eterno de los
espacios infinitos, Manganelli prefiere
expresar la distancia helada en el placer

Ressenyes

del texto. Y expresarla es decirla porque


sus textos departen con el lector, con el
t perdido y ledo, imprecndolo, seducindolo con historias suspensivas, que
empiezan y no deben terminar, lastradas
por el peso de las palabras, del estilo, del
juego.
Jauss encuentra el cumplimiento de
la profeca postmoderna, su paradigma
literario, en Se una notte dinverno un viaggiatore, texto que acepta la proclamada
muerte del sujeto como el reto de volver
a encontrar el t perdido en caminos
intransitados. De este modo, Se una
notte conseguira no slo evidenciar que
el paradigma esttico de la modernidad
se haba cerrado, sino tambin articular
un horizonte normativo de expectativas
plenamente desarrollado, as Jauss en Las
transformaciones de lo moderno. Encomio
del tiranno, publicado en 1990, scritto
allunico scopo di fare dei soldi, traducido
ahora al castellano, supone el texto de Calvino, lo reconoce en su centralidad. Sin
embargo, oscurece el programa y difumina las categoras en un torrente verbal
de pullas, alusiones y elisiones que erosionan el paisaje hasta la cinaga.
Monlogo impreciso, voz del bufn,
rastro del escritor, destinado en primera
instancia a un egregio editor que se concreta en la figura del tirano que, a su vez,
se desvanece en la sombra de la literatura,
diosa silente y vengativa que exige el sacrificio de todos los textos, emanacin monstruosa de la comunidad lectora que
compra para olvidarse a tantos libros, realizada en tu lectura con el libro entre tus
manos, Encomio del tiranno, slo como
ejercicio abierto de garabateo cacgrafo,
puede ocurrir las metamorfosis del t.
Slo como espacio de la ambigedad
entre la lectura de la letra impresa y la voz

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

261

que el lector escucha, hiptesis de sociedad, una sociedad que no existe, utpica
integralmente, es decir, que no posee lugar
alguno puede enfrentarse al carcter institucional de la novela, desestabilizarlo con
una suerte de picaresca pardica del tratado pedaggico en la que cierto yo del
texto exige del lector, del tirano que desaprenda a leer historias y del crtico que
no cuestione a la esfinge.
Anagrama a mediados de los ochenta,
Muchnik en 1997 y Siruela en estos ltimos aos han ofrecido al pblico lector
hispano algunos de los libros de Manganelli. Es destacable que el esfuerzo editorial no haya encontrado, por el momento,
la justa repercusin en la prosa espaola
de estos aos. De hecho y a travs de Sterne, la lectura de Manganelli podra devolvernos a un Cervantes que la tradicin
literaria espaola generalmente ha obviado. En cualquier caso y salvando distancias insalvables los textos del italiano
son mquinas lingsticas y literarias
tal vez sea Vila-Matas quien, desde la
novela, tal vez hacia una nueva tipologa
del ensayo literario, se haya enfrentado
con mejor suerte al despropsito de contar historias, a la dictadura del sentido
que hoy como ayer caracteriza la prosa de
la floresta espaola de la pertinaz sequa.
Sin embargo su obra, como esta notcula,
es prolija en referencias literarias explcitas, algo que Manganelli evita con elegancia bufonesca. Al apocalipsis de
Encomio del Tirano slo sobreviven tres
nombres: Agatha Christie, Schubert y
Tiberio, los tres clavos que sujetan al tirano en la tabla de la civilizacin occidental,
figura retrica, carcajada, enftica acotacin de la nada.
Albert Fuentes

262 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Ressenyes

Francesco PETRARCA
Triunfos
Edicin bilinge de Guido M. Cappelli, Letras Universales, Madrid: Ctedra,
2003
Linclusione di un nuovo titolo (soprattutto se si tratta di un classico) in un
catalogo editoriale sempre unoccasione per riflettere sulla vexata quaestio del
canone letterario. Infatti, se da una parte
la decisione di pubblicare pu essere il
riflesso di una richiesta del mercato, dallaltra ogni nuova pubblicazione aspira a
influire sui gusti del lettore e ad aprire o
confermare il canone. La pubblicazione
in Spagna di una nuova edizione annotata dei Trionfi di Petrarca, a cura di Guido
M. Cappelli, con testo originale a fronte,
va letta indubbiamente in questa duplice prospettiva, e ci porta a cercare i motivi che hanno spinto la casa editrice
Ctedra a presentare in una collana di
grande diffusione come Letras Universales un testo petrarchesco sicuramente
meno conosciuto nellattualit e dunque
meno letto (meno canonico?) rispetto al
Canzoniere.
Tali motivi, a mio avviso, vanno
ricercati sostanzialmente allinterno degli
interessi e delle recenti ricerche della
filologia ispanica, pi che negli sviluppi
dellitalianistica spagnola. C infatti da
registrare negli ultimi anni lapparizione
di studi sulla cultura quattrocentesca
della Penisola Iberica apparsi anche
grazie al lavoro seminale di studiosi come Francisco Rico o Pedro Ctedra ,
che hanno rinnovato lapproccio allannoso problema dellumanesimo tanto
castigliano quanto catalano alla luce precisamente di una conoscenza effettiva
dellesperienza culturale tre e quattrocentesca italiana, dalla produzione latina del Petrarca al fiorire della civilt
umanistica italiana nel suo insieme.
Penso ad esempio a studi come quelli di
Gonzalo Pontn (Correspondencias. Los
orgenes del arte epistolar en Espaa,

Madrid: Biblioteca Nueva, 2002) o


dello stesso Guido Cappelli (El humanismo romance de Juan de Lucena, Bellaterra: Universitat Autnoma de
Barcelona, 2002). in questo quadro,
credo, che va collocata ledizione di cui
qui ci occupiamo, unedizione che, sulla
scia di questo rinnovato interesse per le
relazioni ispano-italiane nellambito dellumanesimo, pu permettere anche ad
un pubblico pi ampio la conoscenza
diretta in Spagna dei testi fondamentali di quella civilt, soprattutto di quelli
che, come accaduto e accade ai Trionfi, sono scivolati via inesorabilmente dal
favore dei lettori, accantonati ai margini del canone.
Sui Trionfi grava da sempre lombra
di due monumenti letterari della cultura non solo italiana, ma occidentale,
la Comedia e il Canzoniere, testi con cui
volenti o nolenti sia Petrarca che il
lettore si vedono obbligati a dialogare in
continuazione. Ma se per Petrarca il rapporto con la Commedia deriva dallaver
scelto questa come modello generico e
nellaver attivato dunque quella che
Bloom ha chiamato langoscia delle
influenze, il discorso sul rapporto Trionfi Canzoniere investe la questione
della natura stessa del linguaggio poetico petrarchesco, delle valenze e funzionalit di un codice espressivo ed una
lingua costruiti allinterno della dimensione lirica. La lingua del Canzoniere si
rivela duttile nel gioco continuo della
variatio entro limiti ben precisi, nellattenta selectio del vocabolario, nellessere
tessuto di una macrostruttura il cui principio narrativo la paratassi, la cesura,
laccostamento analogico, mentre nei
Trionfi tale lingua sembra fallire appunto la prova della narrazione, della sin-

Ressenyes

tassi dellargomento, della progressione


insita in ogni diegesi. Certo, i frammenti
dellAfrica o lessere i Trionfi stessi unopera no inacabada, pero s incompleta
(come appunta Cappelli, p. 24), stanno
l a testimoniare se non le difficolt del
poeta, quanto meno il travaglio che suppone per Petrarca uscire dallimmobilit
della lirica. E tuttavia il problema dellapprezzamento dei Trionfi oggi soprattutto, ancora una volta, un problema di
canone. Perch nella misura in cui il lettore moderno (dal Cinquecento in poi)
pu dirsi petrachista, possessore dunque
di un codice genetico costruito sullaver
ascoltato delle rime sparse il suono
(suono poi magnificamente ripetuto,
variato, amplificato, metabolizzato da
secoli di tradizione lirica), sar per lui
inevitabile cercare invano il Canzoniere nei versi dei Trionfi. Non questo, ovviamente, il cammino indicato al
lettore dalleccellente introduzione di
Cappelli al volume, chiara nella sua struttura, precisa nei riferimenti, utile come
guida di lettura nel suo farsi eco della
notevole quantit e variet degli apporti della critica. Nelle pagine di Cappelli
leggiamo quindi i Trionfi alla luce del
rapporto conflittuale con la Comedia,
della scelta di Petrarca di adottare linnovativo modello allegorico del trionfo
romano, di distribuire la scansione dei
dodici capitoli in base a precisi valori
allegorici e simbolici di ogni triumphus.
Allo stesso tempo lopera viene letta
allinterno dellideologia petrarchesca,
nella visione di unantichit considerata
come maestra di vita che ha i propri
punti di riferimento in Platone e Cicerone. In questottica Cappelli non trascura di risaltare quella che era per
Petrarca la centralit della cultura italia-

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

263

na nel suo tentativo di ripristino degli


antichi valori (tentativo che sottintende
qui ed altrove il malcelato nazionalismo del poeta) e non manca di mettere in relazione tale discorso (e gli stessi
Trionfi e la produzione tutta di Petrarca) alla volont del poeta di costruire
per s un profilo pubblico, unimmagine
modulata nel tempo di filologo e
filosofo, sulla falsariga di quanto indicato e riassunto da tempo da Francisco
Rico nel fortunato sintagma Vida u obra
de Francesco Petrarca. Lintroduzione, ben
condotta nel suo insieme, si conclude
con una sezione dedicata allinfluenza
dei Trionfi nelle lettere spagnole dei secoli XV e XVI. Nei riferimenti bibliografici
il curatore ha poi preferito a ragione
operare una selezione degli interventi critici da offrire al lettore, indicandone i
principali (verso i quali riconosce il proprio debito soprattutto per quanto
riguarda il lavoro dannotazione, in primis verso ledizione di V. Pacca e L. Paolino: Trionfi, Rime estravaganti, Codice
degli abbozzi, Mondadori: Milano, 1996)
e omettendone eloquentemente i meno
felici. Il testo italiano quello stabilito
da Pacca e Paolino, mentre per la traduzione spagnola quella di M. Carrera e
J. Cortines (Editora Nacional, 1983).
Per concludere, va detto che ledizione di Cappelli ha il merito di rivolgersi s
ad un vasto pubblico, ma senza disdegnare il rigore filologico, senza cercare
scorciatoie che banalizzino la presentazione del testo, fornendo un chiaro esempio di come lattivit di divulgazione
pu (e dovrebbe sempre) essere svolta
mantenendo la seriet e lalto livello che
richiede il lavoro di ricerca.
Luigi Giuliani

264 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

Ressenyes

Cristina BARBOLANI
Virtuosa guerra di verit. Primi studi su Alfieri in Spagna
Modena: Mucchi editore, 2003
Sotto un titolo ricavato da una citazione
da Del Principe e delle Lettere (III, 4), che
designa la lotta compiuta dai pochi
uomini cui il destino avrebbe concesso
di servirsi della lor penna per soccorrere alle vacillanti pubbliche virt e
felicemente combattere il vizio smascherandolo, Cristina Barbolani raccoglie in un volume della collana Studi
e documenti diretta da Marziano Guglielminetti per il Centro Nazionale di Studi
alfieriani quattordici saggi scritti fra il
1986 e il 2002 (dieci gi pubblicati in
riviste, miscellanee e atti di convegni e
quattro inediti) variamente dedicati alla
presenza di Alfieri nella cultura spagnola
fra Sette e Ottocento.
Dalla scelta del titolo traspare gi il
ruolo svolto dalla penetrazione alfieriana
presso gli intellettuali spagnoli, in un periodo complesso soprattutto dal punto di vista
storico-politico: il rapporto con la Francia
napoleonica durante il governo di Giuseppe Bonaparte, la reazione al bonapartismo
e il ripristino della monarchia borbonica,
il difficile e precario affermarsi dei principi
del costituzionalismo e del liberalismo.
I saggi vengono qui pubblicati in
ordine di composizione, a testimonianza
del percorso di ricerca dellautrice, che
accanto ad altri studi sui classici italiani (e sulla loro fortuna in Spagna) da
Petrarca a Leopardi venuto precisandosi ed arricchendosi negli anni, ed
hanno la loro origine nei saggi su
Cabanyes del 1989 (qui contrassegnati
dai n. 2 e 3: p. 15-35), trovando un primo
punto di riferimento nel saggio del 1999:
En torno a las traducciones de Alfieri en
Espana (qui alle p. 37-51), saggio che delineava un panorama complessivo indubbiamente ricco e indicava gi gli snodi
fondamentali e le implicazioni metodologiche: il rapporto delle traduzioni con

la personalit dei traduttori e la loro posizione nelle vicende storiche spagnole, il


concentrasi dellattenzione sulle tragedie
di libert, la destinazione delle traduzioni per la pagina o per la scena, la differenza fra traduzioni e adattamenti e
quindi il rapporto con la tradizione del
teatro spagnolo e levoluzione del gusto e
dellideologia del pubblico.
Nei due saggi su Cabanyes, autore delle
prime traduzioni, la Barbolani si sofferma
soprattutto sulla Mirra (del 1831) di
cui ha curato anche una edizione con a
fronte il testo originale alfieriano (Madrid:
Ctedra, 1991) dando rilievo alla atipicit in Spagna di un dramma esistenziale, nel quale trova posto langoscia di
fronte ai limiti della realt e nel quale il
desiderio ineluttabile di trasgressione si
manifesta liricamente attraverso il mito
(p. 15-16). Secondo la studiosa, Cabanyes
coglie perfettamente il lirismo di Alfieri
che corrisponderebbe alla poetica implicita del traduttore, alla cui definizione
dedicata una particolare attenzione, per
cui lautore catalano, con una operazione di
depurazione del linguaggio, compirebbe una appropriazione del testo alfieriano. E di questa appropriazione che al
tempo stesso fedelt intima alloriginale
messa in evidenza la resa emozionale in
un contesto che non soltanto letterario,
ma anche scenico, per cui alcune espressioni rivelatrici o ambivalenze e
oscillazioni linguistiche, o alcune determinazioni avverbiali o aggettivali soppresse
da Cabanyes, sarebbero affidate ad un
altro codice (gestuale, iconico, ecc) proprio del teatro (p. 33), in cui la dimensione descrittivo-lirica dello stato danimo
stata sostituita dallindicazione situazionale della scena (p. 35).
Il regesto delle presenze di Mirra sulla
scena spagnola si arricchisce poi, grazie ai

Ressenyes

ritrovamenti della Barbolani nelle biblioteche spagnole, di unaltra traduzione, quella di Roca y Cornet (Teneri accenti e languidi
sospiri. Su una traduzione inedita della Mirra:
p. 119-148), ormai segnata fortemente dal
romanticismo, spostando chiaramente linteresse sullemotivit, attraverso un incremento del patetismo e trascinando il lettore
nellingorgo emozionale che consente la
riscoperta di Alfieri non pi come poeta
della libert, ma come poeta delle passioni (p. 140-141). E proprio in questa chiave riveste un estremo interesse lObservacin
preliminar del traduttore, opportunamente pubblicata in appendice, che si sofferma
sulle pasiones siempre dulces, sulla mortal amargura, sullespantosa tristezza di
Mirra.
Totalmente intorno alle tragedie di
libert ruota invece limpegno di traduttore di Savin (Timoleone, Antigone, Sofonisba, Polinice, Bruto primo, ma con il titolo
di Roma libera; e gli attribuita la traduzione della Virginia), cui sono dedicati due
saggi (il quinto e il sesto, alle p. 53-102),
ricostruendone la complessa personalit
intellettuale e lattivit letteraria (in cui la
cultura italiana Metastasio e Casti
ha un particolare rilievo). Il ritrovamento
di alcune sue traduzioni rimaste manoscritte, consente (ponendole accanto alle
traduzioni delle rielaborazioni shakespeariane di Ducis) di ampliare il quadro della
sua attivit per la scena e gettano nuova
luce sul suo alfierismo (che si combina
con gli influssi dellilluminismo francese,
secondo le caratteristiche tipiche della ricezione alfieriana in Spagna), non limitabile
a quella sorta di identificazione con Alfieri che caratterizza il suo impegno politico
liberale e antiassolutistico. Anzi, limpegno di traduttore di Alfieri corrisponde
ad una svolta decisiva nel suo impegno
politico, inteso come intensa partecipazione ai movimenti antinapoleonici, ma
anche come persistenza dellutopia nella
delusione (p. 85).
Particolare interesse, allora, riveste lanomala (realmente singolare) Sofonisba

Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

265

(p. 87-102). In questa traduzione, che


tende a una dizione pi eloquente e
sostenuta, pi neoclassica, la Barbolani
mette in evidenza le infedelt dellultimo atto (lintroduzione di uninvettiva di
Sofonisba contro i romani e le diverse
modalit della morte di Sofonisba) che
dnno maggior risalto alleroismo della
protagonista, infondendole qualcosa della
fermezza della quale fa sfoggio nellopera di Voltaire, quasi volesse seguire i suggerimenti marcati dallo stesso Alfieri o
per lo meno derivati dalla sua insoddisfazione per il risultato finale della tragedia espresso nel Parere.
In questo modo, la traduzione adattamento di Savin si distanzierebbe dallomonima tragedia di Mara Jos
Rodriguez Mazuelo (1784), considerata
dalla Barbolani un caso di non traduzione da Alfieri (nel saggio alle p. 103117), tragedia in cui prevaleva il tono
larmoyant, tipico del dramma sentimentale borghese, anche attraverso la tematizzazione del pianto allinterno delle stesse
battute della protagonista. Se la Barbolani forse esagera nel porsi il problema della
conoscenza da parte di Mazuelo della tragedia di Alfieri, che in quel momento, nel
1784, era ancora allo stato di abbozzo
sullo scrittoio di Alfieri (per cui quel
mancato risulta un po eccessivo), tuttavia il quadro comparatistico (nella triangolazione fra la Sofonisba italiana di Alfieri,
quella francese di Voltaire e quelle spagnole) che offre di estremo interesse,
tanto pi che verr ulteriormente arricchito (in un saggio di cui parleremo pi
avanti) dai riferimenti ad una possibile
imitazione della Sofonisba alfieriana nel
Pelayo di Quintana (p. 236).
I saggi di cui fin qui si parlato gettano nuova luce su autori ben noti. In
altri saggi, invece, il tema della ricezione
alfieriana consente di scoprire zone nascoste della cultura spagnola e personalit
fino ad ora sconosciute. il caso del saggio su Antonio Gabaldn (Un gesuita
espulso traduttore di Monti e di Alfieri:

266 Quaderns dItali 8/9, 2003/2004

p. 149-172), di cui la Barbolani ricostruisce linteressante profilo, tenacemente


inseguito attraverso repertori, fondi bibliotecari ed archivi. Il Gabaldn scrive fluentemente in italiano e traduce, oltre che
Agamennone e Oreste di Alfieri anche due
tragedie di Monti (Aristodemo e Caio
Gracco), le Notti romane di Alessandro
Verri, rivelandosi particolarmente attento
alle novit italiane di fine secolo, per cui
il suo interesse per Alfieri si colloca allinterno dellinteresse pi vasto per la cultura italiana neoclassica, che giustamente
la studiosa collega allambiente romano
della corte di Pio VI Braschi: Non sappiamo se Gabaldn sia stato a Roma proprio in questepoca; per lambiente
romano viene riflesso in qualche modo
nelle sue opzioni di traduttore (p. 160).
Quasi altrettanto sconosciuto Francisco Rodrigo de Ledesma, anchegli traduttore delle Notti romane e autore di una
Lucrezia Pazzi, pubblicata con altre imitazioni alfieriane nelledizione delle Poesas
dramaticas nel 1805, a cui dedicato il
saggio Alfieri stravolto: su una Congiura de
Pazzi spagnola (p. 173-217). Il Ledesma,
rispetto alla Congiura alfieriana, che pure
conosce, sposta lasse del conflitto dal
piano politico a quello amoroso (p. 189),
denunciando il proprio interesse per il sentimentalismo e il patetismo, quasi cercasse non tanto una antitesi, ma piuttosto
un modello alternativo il quale conservasse ancora assai forte limpronta del glorioso teatro nazionale (p. 198) di cui
recupera i temi della gelosia e dellonore
femminile (p. 202). Cos il Ledesma privilegiava come protagonista proprio il personaggio femminile, Lucrezia (la Bianca
alfieriana) non sposa, ma giovane innamorata; ed proprio nello sviluppo del
nucleo patetico del modello alfieriano il
principale interesse di questa tragedia:
Lucrezia diventa personaggio eroico per la
sua chiaroveggenza lucida sulla forza
opposta alla lealt e alla verit (p. 209210), confermando una tendenza gi rivelata in Mazuelo e in Roca y Cornet.

Ressenyes

La collocazione fra neoclassicismo e


romanticismo risulta la pi appropriata
per La viuda de Padilla, prima tragedia
(1812) di Martnez de la Rosa, personaggio questa volta ben conosciuto ed
autore della Conjuracin de Venecia
(1834), considerata linizio del teatro
romantico in Spagna (cui dedicato uno
dei saggi inediti: p. 251-273). Se lAdvertencia iniziale come nota la Barbolani pone questa tragedia sotto il segno
di Alfieri (p. 258) e se in essa possibile rintracciare calchi anche molto precisi
delle tragedie dellastigiano (interessante
e pregnante losservazione della Barbolani a proposito delleloquenza del silenzio: p. 259 s.), il de la Rosa diventa
esemplare per il percorso che compie dall
iniziale adesione ai modi tragici alfieriani
verso un teatro che ne temperi le durezze, segno di una progressiva insoddisfazione per il giovanile modello. La presa
di distanza da Alfieri da parte di Martnez de la Rosa viene ribadita a proposito
della Conjuration de Venecia in cui Alfieri pu permanere in frasi e situazioni
isolate [], non per nellimpianto strutturale dellopera (p. 279), nel saggio La
tempesta romantica. Intorno alla Blanca de
Borbn di Esponceda: (p. 275-299).
In questo saggio il ruolo della ricezione alfieriana nel decennio 1834-44
viene cos utilizzata proprio per misurare non tanto le affinit quanto le distanze che i romantici spagnoli presero da
Alfieri, un Alfieri considerato come sedimento recente, settecentesco, come avviene, appunto con la tragedia di Jos de
Espronceda in cui Alfieri riscritto e in
parte tradito in chiave romantica.
Il tema della libera rielaborazione di
spunti e modelli alfieriani sviluppato
soprattutto in due saggi anchessi inediti.
Il primo (p. 219-249) esplora pi da
vicino il gi riconosciuto alfierismo di
Manuel Jos Quintana. Dopo aver documentato la conoscenza, da parte di Quintana, della Lettera al Calzabigi (p. 223-224)
e gli echi della Tirannide nellode El

Ressenyes

Panthen del Escurial (1805), si concentra sulla tragedia Pelayo, in cui mette in
evidenza la presenza alfieriana nella lucida analisi delloperare del tiranno e dellaccettazione della tirannide da parte dei
sudditi (p. 236) e rintraccia gli indizi
[] di una forte presenza di tutto il repertorio tragico di Alfieri, ben al di l di ogni
occasionale e pragmatica strumentalizzazione (p. 243) in lacerti testuali che si
ritrovano come incastonati nel tessuto
della tragedia. Particolarmente interessanti sono le presenze del linguaggio di
Mirra nel personaggio di Hormesinda,
che non sono solo ornamentali, ma conferiscono un determinato spessore al testo
(p. 240-242).
Il secondo, e ultimo del volume (p.
301-322), invece dedicato al personaggio Alfieri, da un lato oggetto di
mitizzazione (affiancato ad altre grandi
personalit quali Goethe e Byron), ma
dallaltro parodizzato (si veda in particolare linedita farsa La Monia sacrlega y el
amante sangriento, tragedia pantommica
de Alfieri, pubblicata in Appendice),
secondo una tendenza popolaresca e dissacrante (p. 312) che segna anche linattualit di Alfieri nel mondo edonista
e non pi eroico della borghesia di pieno
Ottocento.
Ed a conferma di questa conclusione
del percorso tracciato dalla Barbolani si
potr ricordare allora, traendola dalle sue
stesse pagine, la testimonianza di Juan
Valera che, di fronte alla Ristori interprete di Mirra a Madrid nel 1857
questa, nel ricco panorama di lettori, di
traduttori per la scena o per la lettura,
di adattatori offerto dalla Barbolani, la
voce di uno spettatore riconosce che
pochi immaginavano che la tragedia
classica potesse essere oggi di tanto gradimento per il pubblico spagnolo, ma
attribuisce il successo al carisma della
grande attrice che fa s che la maggioranza sopporta e addirittura applaude
un genere che non di suo gradimento
(p. 49 nota 27).

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Dal libro della Barbolani esce un complesso quadro degli anni fra neoclassicismo
e romanticismo in cui la tradizione spagnola si incontra con le innovazioni europee giustamente la Barbolani mette in
evidenza in due letterati di cultura europea come Roca y Cornet e Ledesma la
consapevolezza della relazione fra sublime
e terribile indicato dalla Enquiry di Edmund
Burke (p. 129) dando vita naturalmente alla pratica delladattamento, ma
condizionando anche quelle opere che si
presentano soprattutto come traduzioni.
I singoli saggi che compongono il volume sono ricchi di informazioni, di vere e
proprie scoperte sul piano filologico, di
discussioni con la bibliografia precedente, di
analisi puntuali di cui si potuto qui dare
conto solo sommariamente, anche perch
pertengono spesso il dominio dellispanistica. Dal punto di vista di un italianista,
che quello di chi scrive in questo caso,
per, i contributi della Barbolani (che ha
volutamente escluso i suoi numerosi saggi
pi specificamente dedicati ad Alfieri)
appaiono particolarmente interessanti, sia
nelle notazioni che riguardano alcuni aspetti importanti del teatro alfieriano (come il
tentativo di tragedie storiche di soggetto
moderno, la tentazione del patetico, che
Alfieri esorcizza nel Parere, ma che costituisce invece un reale problema della sua
drammaturgia), sia per quanto si pu ricavare, in conclusione, dallanalisi della sua
ricezione spagnola. Attraverso questa, Alfieri, infatti, non appare un gigante isolato,
ma viene ulteriormente rafforzata, al di l
di quelle che possono apparire come affinit generazionali (con Cabanyes, con
Savin, con Quintana), limmagine di un
autore in sintonia con la cultura europea,
in grado di esercitare una influenza che va
ben al di l del suo soddisfare, in un certo
momento, ad alcune esigenze del giacobinismo italiano (e poi del risorgimento) e
non, prima di essere assunto, in Spagna
come in Italia, a mito romantico.
Franco Vazzoler

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