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IL SOFISTA DI PLATONE *

1. Il prologo del dialogo Il dialogo si apre con lincontro tra Socrate, Teodoro e Teeteto, precedentemente fissato. Infatti, sebbene nel Teeteto, a cui si fa riferimento, non sia stato preannunciato, ora Teodoro afferma di essere venuto da Socrate con il giovane Teeteto conformemente al nostro accordo di ieri.1 In questo modo, veniamo a sapere per ci che il Sofista posteriore al Teeteto, anche se quellieri copre un periodo di pi anni. Analogo sar del resto il rapporto tra il Timeo e la Politeia, con una finzione di continuit temporale scandita da un solo giorno.2 La presentazione dellincontro permette a Platone di porre un prologo al dialogo, che ha la sua importanza. Si dice infatti che Teodoro ha condotto con s non solo Teeteto e un altro giovane, come si verr a sapere di l a poco, ma soprattutto uno straniero, di cui egli dice che viene da Elea, sua patria, [e] appartiene alla cerchia dei discepoli di Parmenide e di Zenone ed proprio un filosofo.3 La presentazione dello straniero di Elea, protagonista del Sofista e poi del Politico, il personaggio che toglie a Socrate la funzione di rappresentare Platone, ha lo scopo di legare il dialogo al Parmenide, nel quale i due grandi eleati, di cui discepolo lo straniero, sono posti a fianco di un Socrate ancora molto giovane.4 Il rapporto tra Sofista e Parmenide viene maggiormente sottolineato pi avanti da Socrate con questa sua dichiarazione: Da giovane, io ebbi modo di assistere allopera di Parmenide, il quale, allora gi molto avanzato in et, usando anchegli questultimo metodo [il metodo dialogico], disse cose meravigliose.5 fondamentale per ci alla comprensione di entrambi i dialoghi stabilire subito il nesso che vi tra essi, e come il Sofista, scritto diversi anni dopo il Parmenide, serva di chiarimento a questultimo.6 Cogliere questo stretto rapporto significa infatti aprirsi la strada alla comprensione di quanto lo straniero andr dicendo mentre discute con Teeteto, e di come sia scongiurato il rischio di parricidio nei confronti del filosofo dellessere, a cui accenner ad un certo punto, poich Platone, nel lungo e faticoso gioco dialettico affidato a Parmenide nel dialogo a lui intitolato, ha messo al sicuro la teoria del Parmenide storico: lessere, che e non pu non essere, uno e unico come pensava lEleate, e il non essere non , come non negher lo straniero, ma occorrer pensarli entrambi in modo radicalmente diverso da come li aveva pensati lEleate, e come vengono interpretati comunemente. Se Platone aveva affidato a Parmenide, come vedremo di riflesso, il compito di risolvere la dicotomia tra il filosofo di Elea che la dea conduce sul cocchio alla Verit, e gli uomini a due teste,7 ora affida allo straniero, appartenente alla cerchia dei discepoli di Parmenide e Zenone, quello di puntualizzare alcune cose ancora poco comprensibili del discorso svolto, come aveva messo in rilievo Socrate nel Teeteto. Alla presentazione che Teodoro fa dello straniero, fanno riscontro le parole di Socrate in risposta: E se, Teodoro, non fosse uno straniero colui che ci conduci, ma un dio e tu ti ingannassi su di lui, secondo quanto detto in Omero? Omero dice come gli di si accompagnino agli uomini che coltivino in s la dovuta modestia e specialmente il dio degli ospiti, egli pure per osservare le azioni umane che violano o rispettano le giuste regole. Forse anche te potrebbe ora seguire uno degli esseri superiori, per esaminarci, noi che non siamo corretti nel discorso, e confutarci, essendo proprio un dio che si dedica alla confutazione.8 Alla risposta che Teodoro d, non trattarsi di un dio, ma di un uomo divino perch tutti i filosofi sono tali, Socrate fa una precisazione che la presentazione dei temi che saranno trattati e un avvertimento per la stessa lettura del dialogo: Comunque anche questo genere duomini pu darsi non sia, se cos si pu dire, molto pi facile a ravvisare del genere stesso degli di; sotto sembianze dogni sorta infatti, quali allignoranza degli altri appaiono, vanno intorno di citt in citt, i filosofi veri, dico, non quelli tali per finzione, e dallalto osservano la vita di chi in basso vive, e mentre agli uni sembrano privi di ogni valore, agli altri sembrano dogni valore ricolmi, ed ora appaiono politici, ora sofisti e pu anche accadere che ad alcuno ingenerino la opinione di essere completamente folli.9 Di fronte al capovolgimento che sembrer effettuare in rapporto alla concezione eleatica, lo straniero infatti si scuser di apparire un insensato, un pazzo che, da un momento allaltro, fa una giravolta completa.10 Ma intanto, in questo modo, Socrate ha introdotto i temi che saranno oggetto dellindagine dello straniero, e nello stesso tempo ha alluso alla difficolt di comprensione del discorso che verr fatto.11 Il prologo annuncia dunque i seguenti punti: 1. i temi che verranno trattati;
* Tutte le citazioni sono tratte da Platone: Opere complete, Laterza 1971; fanno eccezione quelle del Parmenide, tratte da Dialoghi filosofici di Platone, UTET 1981, traduzione di Giuseppe Cambiano. 1 Soph. 216 a. 2 Tim. 17 a. 3 Soph. 16 a. 4 Com noto, Socrate il protagonista di quasi tutti i dialoghi platonici: fanno eccezione il Parmenide, in cui compare soltanto come interlocutore, sia pure importante, di Parmenide, il Sofista, il Politico, il Clitofonte, il Timeo e il Crizia, nei quali semplice ascoltatore, le Leggi e lEpinomide, nei quali non pi presente. 5 Soph. 217 c. 6 Tra il Parmenide e il Sofista vanno posti alcuni dialoghi: Teeteto, Fedro, Cratilo, Filebo. Nel Teeteto troviamo un riferimento al Parmenide nelle parole di Socrate: Ecco: di fronte a Melisso e agli altri, i quali dicono che luniverso ununica cosa immobile, per quanto io abbia un certo ritegno di trattar la questione grossolanamente, ne ho pur sempre meno che di fronte al solo Parmnide. Parmnide mi pare che sia come direbbe Omero, venerando e insieme terribile. Io mi trovai con lui che gi era molto vecchio, e io ero molto giovane; e mi par chegli avesse una sua profondit di pensiero veramente nobile e maestosa. Io temo dunque che il suo linguaggio noi non si capisca, e molto pi ci sfugga il senso di ci che disse (Theaet. 183 e-184 a). Nel Fedro troviamo ancora un velato riferimento allo stesso dialogo in un complesso gioco di allusioni, in cui Platone accenna al tempo e al luogo della composizione di una parte almeno del Parmenide, indicati con lespressione nelle ore dozio a Troia, intendendo riferirsi al suo secondo soggiorno a Siracusa (Phaedr. 261 b-262 d). Nel Filebo, in fine, si fa riferimento a dottrine che non sono ancora di pubblico dominio (Phil. 14 e), che avvalora la supposizione che il Parmenide a quel tempo non fosse ancora stato letto pubblicamente allinterno dellAccademia. Si ricordi che Aristotele non lo cita mai. V. R. Li Volsi, Cronologia dei dialoghi platonici, in Giornale di Metafisica, Nuova Serie, XXIV 2001 n. 2. 7 I Presocratici. Testimonianze e frammenti, Laterza, 1969; vol. I p. 269 ss. V. R. Li Volsi, Il sentiero platonico della verit e dellEssere; in Giornale di Metafisica, Nuova Serie, XXII 2000 n. 3; XXIII 2001 n. 1. 8 Soph. 216 a-b. 9 Soph. 216 c-d. 10 Soph. 242 a. 11 I tre temi affidati allo straniero riguardano le definizioni di sofista, politico, filosofo. Com noto, sono stati svolti i primi due temi nel Sofista e nel Politico, mentre per il terzo Platone non ha scritto alcun dialogo. V. R. Li Volsi, Cronologia dei dialoghi platonici.

2. lemarginazione di Socrate rispetto alla sua precedente posizione di protagonista assoluto; 3. limportanza della figura dello straniero di Elea; 4. il suo essere della Scuola di Parmenide e di Zenone; 5. il rapporto che deve essere tenuto presente tra il discorso che far lo straniero e le cose meravigliose che Socrate ha udito dal vecchio Parmenide. E unultima cosa. Perch il nuovo protagonista anonimo? Perch uno straniero? Forse possibile rispondere alle due domande ricordando che il protagonista delle Leggi e dellEpinomide, nei quali Socrate non neppure ricordato, un Ateniese, sotto il quale anonimato Platone ha voluto celarsi. E lAteniese, che discute con due suoi coetanei, un cretese e uno spartano, percorre un sentiero che li condurr nellantro di Zeus, metafora dellingresso allal di l, poich egli si trova a Creta, in terra straniera. In modo analogo, il personaggio di Elea condotto da Teodoro uno straniero in Atene, ove presenta una verit che deriva da Elea, presentata anni addietro, nella finzione platonica, da Parmenide e Zenone che discutono con un Socrate giovane; ma soprattutto Platone stesso, straniero rispetto a quella caverna, di cui aveva parlato Socrate nella Politeia, e da cui era da tempo uscito e in cui era tornato per cercare di liberare gli uomini incatenati alle ombre.12

2. Le prime definizioni di sofista Stabilito il metodo dialogico per lanalisi degli argomenti proposti, piuttosto che quello trattatistico, lo straniero inizia la discussione con il giovane Teeteto proponendo la ricerca della definizione di sofista. Questa prima parte delle argomentazioni caratterizzata dal metodo danalisi diairetica:13 procedimento che divide in due parti il concetto, simile allarte del bravo macellaio che separa le membra dellanimale secondo le loro giunture, come dice Socrate in qualche dialogo, per lasciare una delle due parti e trattenere laltra. Si procede quindi ad una successiva divisione della parte trattenuta, affinch, come dice lo straniero, n il sofista n chiunque altro ad altro genere appartenga, assolutamente, mai abbia modo di vantarsi di essere sfuggito al metodo di chi sa cos bene inseguire qualche cosa, per ciascuno e per tutti i casi per cui ci possa avvenire.14 Si tratta di quella parte del metodo che nel Cratilo viene attribuito al dialettico: larte del corretto tagliare (analisi), integrata da quella del tessere (sintesi).15 Di questo metodo aveva parlato anche nel Filebo, distinguendolo da quello proprio degli eristi.
Non bisogna riferire dice ivi Socrate il carattere di infinit alla molteplicit prima che si sia vista tutta la complessiva struttura numerica di questa, struttura che sta nellintervallo fra la sua unit e la sua infinit. Solo a questo punto possiamo ormai lasciare che ciascuna unit, fra tutte quelle che sono, si moltiplichi per suddivisione allinfinito. Cos gli di, ci che ho detto, affidarono a noi uomini il compito di condurre questo tipo di analisi, di imparare in tal modo, di istruirci lun laltro in base ai suoi risultati. Ma gli uomini dotti del nostro tempo unificano come capita e cos moltiplicano, in modo pi rapido o pi lento del dovuto, anzi subito dopo aver unificato moltiplicano improvvisamente allinfinito. A loro sfugge per ci che sta in mezzo fra luno e linfinito, proprio ci per cui si distinguono i due modi, dialettico e, ci che 16 il contrario, eristico, del condurre i nostri discorsi fra di noi.

Si tratta in definitiva di procedere per passaggi successivi, senza salti, secondo i nessi della struttura intellegibile delle cose.17 Lo straniero, per mostrare a Teeteto il procedimento diairetico che intende adottare per la definizione di sofista, ne d una dimostrazione per la definizione del pescatore con lenza, cominciando con il distinguere chi procede con arte rispetto a chi procede senza, ma semplicemente dotato di qualche altra capacit.18 Egli quindi divide in due il complesso di tutte le arti: dellacquisire e del fare; e quella dellacquisire, ancora in due: una, larte degli scambi che avvengono fra due parti per volont di ambedue per mezzo di donazioni, per mezzo del pagamento di salario e per mezzo della compravendita; laltra che in complesso riguarda limpadronirsi di qualche cosa sia con lazione che con il discorso, quella appunto dellimpadronirsi.19 Questultima poi viene nuovamente divisa nellarte della lotta e in quella della caccia; e questa, distinta in caccia agli esseri inanimati da quella agli esseri animati.20 Si passa quindi a dividere la caccia agli animali terrestri da quella agli animali che nuotano nellaria e nellacqua; e nella caccia agli animali nellacqua si distinguono la caccia per chiusura e quella a percussione: pesca con lamo, divisa infine a seconda del metodo di colpire dallalto al basso o dal basso allalto. Questultima appunto quella del pescatore con lenza. Fatta lesemplificazione del metodo da seguire, si inizia ora la ricerca della definizione di sofista; ma la meta non sar immediatamente raggiunta, anzi si proceder a diverse definizioni, poich, come esclama ad un certo punto lo straniero, il sofista sfugge facilmente alla presa: Vedi dunque quanto vero che questa fiera multiforme e, come si suol dire, non si pu afferrare con una sola mano? TEET. Bisogna dunque prenderla con ambedue. LO STR. Bisogna proprio, e bisogna farlo almeno per quanto lo permettono le nostre forze.21 Le definizioni provvisoriamente formulate in questa parte sono le seguenti: 1. il sofista come cacciatore (218 b-221 c) 2. il sofista come produttore e commerciante (223 b-224 e) 3. il sofista come atleta (224 e-226 a)
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Resp. VII 514 a ss. Soph. 235 b. Soph. 235 c. 15 Crat. 387 d-e. 16 Phil. 16 d-17 a. 17 Per i passaggi per gradi o per salti, v. Theaet. 190 a; per i nessi, v. Theaet. 201 d-202 b. 18 Soph. 219 d. 19 Soph. 219 d. 20 Soph. 219 e. 21 Soph. 226 a.

4. il sofista come purificatore (226 a-231 c) 5. il sofista come imitatore (231 c-236 d) Il sofista, che ormai apparso come un uomo che possiede una scienza apparente su tutto, ma privo della verit,22 prende allamo lo sprovveduto ascoltatore, e si fa per di pi pagare, mediante larte di imitare, applicata allarte di fare discorsi. Bench tuttavia lo straniero si dimostri insoddisfatto anche della quinta definizione, e affermi che il sofista proprio un uomo strano, difficilissimo a scorgersi; [e che] anche ora proprio in modo abile ed astuto ci sfuggito, andando a rifugiarsi in una specie [(limmagine)] che offre estrema difficolt a chi la vuole investigare,23 - ragion per cui intraprender la trattazione di gran lunga pi importante del dialogo, - pure non sono di poco conto le cose che ha avuto occasione di dire. La domanda centrale, attorno a cui ruoter tutto il dialogo, la seguente: com possibile limmagine? In altre parole, se esiste la verit, com possibile il falso, linganno? Se esiste lessere, com possibile il non essere? Ovvero anche: se esistono le cose, perch esistono anche le loro immagini? La quarta definizione aveva presentato un sofista positivo, legato alla verit e allessere. Un primo orientamento verso la risposta alle domande poste, labbiamo appunto nella discussione che sfocia nel riconoscimento di una nobile sofistica, di contro a quella su cui si sta facendo lindagine e che non altro che una forma di imitazione. In questo quarto tentativo di definizione, partendo dallarte del separare, lo straniero distingue da una parte il distaccare il peggiore dal migliore, dallaltra il simile dal simile,24 e chiama purificazione la prima forma, aggiungendo che ci sono due specie di purificazione, luna per lanima, laltra, ben distinta, per il corpo.25 Sebbene Platone in diversi dialoghi non trascuri di parlare di purificazione del corpo, chiaro che il suo interesse va a quella dellanima, e ora in modo particolare.
Dobbiamo dire chiede lo straniero a Teeteto che la cattiveria che nellanima qualcosa di diverso dalla virt. TEET. E come no? LO STR. E purificazione dicevamo essere lo scacciare quanto v di cattivo lasciando il resto. TEET. Appunto. LO STR. E allora ci esprimeremo correttamente dicendo purificazione dellanima tutto ci che vedremo essere estrazione di vizio dellanima? TEET. Proprio cos. LO STR. Bisogna affermare due specie di vizio per lanima. TEET. Quali? LO STR. Luna che vi si ingenera appunto come la malattia nel corpo, laltra come la bruttezza. TEET. Non arrivo a capire. LO STR. Forse non pensi che siano identica cosa la malattia e la rivolta? TEET. Io non so che cosa devo rispondere neppure a ci. LO STR. Perch, forse tu non ritieni che la rivolta non sia altro se non la corruzione che si determina per una qualche discordia di ci che per natura unito e congenere? TEET. Nientaltro. LO STR. E la bruttezza, altro la pensi essere se non cosa che rientra nella unit del genere della mancanza di armonia di misure, che deformit ovunque sia? TEET. Nientaltro. LO STR. E allora? Non sappiamo forse che nellanima degli uomini cattivi le opinioni sono in discordia coi desideri, i generosi impulsi coi piaceri, il discorso della ragione colle angosce, tutte queste cose fra di loro? TEET. In maniera acuta. LO STR. Necessariamente tutte queste ultime cose enumerate sono congeneri. TEET. Come no? LO STR. Dunque diremo bene affermando che la cattiveria una rivolta e una malattia dellanima. TEET. Benissimo. LO STR. E poi? tutto ci che partecipando di un moto ed essendosi proposto un certo obiettivo ogni qualvolta si prova a raggiungerlo ad ogni tentativo ne resta discosto e lo manca, diremo che subisce ci a causa della simmetrica armonia di misure ch fra esso e lobiettivo o al contrario a causa della reciproca asimmetria? TEET. evidente che ne causa lasimmetria. LO STR. Noi sappiamo per che ogni anima tutto ci che ignora, lo ignora senza intenzione dignorarlo. TEET. Certissimamente. LO STR. Lignorare si verifica quando lanima si slancia verso la verit e resta lontana dal congiungersi con questa, e ci 26 non altro che demenza.

Va sottolineata limmagine creata da Platone con le ultime parole dello straniero: quella del percorso dellanima lungo un segmento gi tracciato, che ha come punto estremo la verit. Nel caso che essa la raggiunga, si ha simmetria e conoscenza, nel caso che fallisca la meta, asimmetria e ignoranza (mancanza di mente). Questa immagine ricorda limmagine della linea che Socrate propone nella Politeia, lungo la quale dispone le facolt umane: immaginazione, credenza, ragione discorsiva, intelletto.27 Si tratta di facolt divise in due sezioni, secondo la distinzione di opinione (immaginazione e credenza) e conoscenza (ragione e intelletto), i cui oggetti sono la specie visibile (immagini sensibili e cose) e la specie intellegibile (scienze ipotetiche e principio). Lo slancio dellanima va per ci dallimmaginazione, mediante la quale percepiamo le immagini sensibili, fino al principio, se giunge ad esso; e se attua questa simmetria, si ncora al principio, e non demente. Questo processo conoscitivo, proprio delluomo, ci per cui lanima un pensiero pensante, capace cio di riflettere su di s mediante latto del conoscere le cose conosciute; tanto quanto, di contro, le cose (i corpi) si presentano prive di pensiero, incapaci di riflessione: semplici pensieri pensati.28 Lanima, fornita com di questa capacit di giungere al principio mediante la possibilit del riflettere in s, quasi in uno specchio, lintellegibile che riceve dalle sensazioni, ha in questo modo anche la capacit di insegnare ad unaltra anima che sia affetta da ignoranza. Poich vi sono poi due specie di ignoranza: quella a cui si accompagna la coscienza, e quella di credere di sapere non sapendo,29 sar necessario procedere nei confronti di questultima esercitando la confutazione [che] riduca alla vergogna di s il confutato,

Soph. 233 c. Soph. 236 c-d. 24 Soph. 226 d. 25 Soph. 227 c. 26 Soph. 227 d-228 d. 27 Resp. VI 509 d ss. 28 Alla proposta fatta da Socrate nel dialogo dedicato a Parmenide, che le forme separate forse non siano altro che pensieri, E allora, continu Parmenide, in base a quella necessit per la quale dici che le altre cose partecipano delle idee, non sei del parere che o ciascuna cosa consiste di pensieri e tutte pensano oppure esse, pur essendo pensieri, sono prive di pensiero? Parm. 132 c. In questo dialogo, Platone intende mostrare non solo come sia vera la concezione socratica, attestata da Aristotele, che le idee siano negli uomini dei concetti, ma anche anime e cose sensibili siano intellegibili: le prime come pensieri pensanti, le seconde come pensieri pensati. Dobbiamo in definitiva distinguere due specie di intellegibili: quelli capaci di una riflessione su di s (anime) e quelli che ne sono incapaci (corpi). Ma di ci parleremo pi avanti. 29 Soph. 229 c.
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togliendo di mezzo le opinioni che sbarrano la via alle cognizioni e lo faccia risultare totalmente purificato e tale da ritener di sapere soltanto ci che sa e niente pi.30 Lo straniero pu per ci concludere cos: Poniamo dunque larte del purificare come una parte dellarte del separare, e di quella distinguiamo la parte relativa allanima, di cui una parte larte dinsegnare; di questa ancora una parte larte delleducazione. E quella parte delleducazione che proprio il confutare la falsa opinione di sapienza, come risult inaspettatamente nel nostro discorso attuale, affermiamo che non altro per noi se non larte sofistica, quella nobile.31 Vi dunque una nobile sofistica, propria del filosofo, arte della confutazione in vista della purificazione dellanima dallignoranza presuntuosa, cio dalle opinioni che sono dimpedimento alla acquisizione delle cognizioni.32 Ma il filosofo, tale atleta della lotta fatta col discorso,33 non certo il sofista di cui si va in cerca, anche se proprio colui che, solo, potr stanarlo dal suo nascondiglio. Notiamo che, se qui si fa riferimento alle opinioni che sono dimpedimento alla acquisizione delle cognizioni, perch si sottintende la distinzione, riportata in pi dialoghi, tra opinione vera e conoscenza: la prima, immagine dellintellegibile, e per ci non propriamente essere; la seconda, vero intellegibile, e per ci essere.34 Cos pure si sottintendono confutate le negazioni gorgiane (non ; e se anche fosse, non sarebbe pensabile; e se anche fosse pensabile, non sarebbe esprimibile), perch nel Parmenide era gi stata presentata la soluzione alle difficolt.35 Ma il Sofista, pi che confutare le negazioni di Gorgia rivolte alla concezione di Parmenide, intende confutare il principio di Eutidemo che, appoggiandosi a quello dellEleate, afferma che, se lEssere e in non essere non , non vi allora neppure il falso e linganno. Questo sar il problema da affrontare.

3. Il problema del non essere. Dice lo straniero a Teeteto, dando inizio al discorso sul non essere:
Mio caro, ci troviamo veramente nel corso di una ricerca piena di difficolt. Il fatto che una cosa appaia e sembri in qualche modo, ma non sia, che si dica qualche cosa e non sia cosa vera, tutto questo comporta difficolt innumerevoli, e ci sempre nel passato e ci oggi ancora. Come debba uno che parla affermare e pensare che il falso veramente sia, senza cadere cos in una contraddizione, questo, Teeteto, assolutamente difficile da indicare. TEET. Perch? LO STR. Perch quel discorso osa fondarsi sullipotesi che ci che non . Non altrimenti che su questa base infatti sarebbe il falso, se fosse. Il grande Parmenide, figlio mio, dal principio alla fine della sua opera questo ha testimoniato per noi che allora eravamo bambini, cos dicendo ogni volta in prosa e pure in versi: Mai tu constringerai ad essere ci che non , tu invece da questa via, nel tuo cercare, tieni lontano il pensiero. Egli ci d questa testimonianza. Ma pi di ogni altra cosa il discorso stesso, se giustamente analizzato, che ci potrebbe rivelare ci.36

Siamo cos entrati nel problema del non essere, e in qualche modo nel cuore della concezione eleatica, poich il non essere non , e non pu essere. Dimmi: chiede lo straniero dobbiamo osare di pronunciare queste parole: ci che assolutamente non ?37 Com possibile pronunciare ci che non ? Com possibile dare nome al non essere? Com possibile pensare che esista ci che non ? E ancora:
A ci che potrebbe in qualche modo unirsi unaltra cosa che ? TEET. Come no? LO STR. E diremo possibile invece che a qualche cosa che non sia si unisca mai qualche cosa che ? TEET. E come? LO STR. Il numero inteso come complesso di tutti i numeri naturali, noi lo consideriamo fra le cose che sono. TEET. S, se infatti vogliamo considerare come una cosa che anche qualche altra cosa. LO STR. Non proviamo neppure dunque a riferire a ci che non , il numero uno o gli altri numeri. TEET. Non sarebbe un giusto tentativo, come pare e come il discorso nostro vuole. LO STR. Ma come potrebbe un uomo proferirne dalle sue labbra la denominazione o col suo pensiero senzaltro afferrare le cose che non sono o ci che non , cos senza il numero? TEET. Di tu come. LO STR. Daltra parte quando noi diciamo che non sono, non si deve ammettere che noi tentiamo in tal caso di attribuire a quelle lessere numericamente molteplice? TEET. Certo. LO STR. E quando diciamo che non , non attribuiamo invece ad esso, ci che non , lunit? TEET. Chiaro. LO STR. Ma noi affermiamo che non n giusto n corretto voler adattare qualcosa che a ci che non sia. TEET. Questo che dici assolutamente vero. LO STR. Comprendi allora con me che di ci che non non possibile pronunciare n dire la denominazione e nemmeno pensarlo, ci che non , senza errore, per s solo, in senso assoluto, e che anzi impensabile, e la sua denominazione indicibile, impronunciabile, che esso al di fuori di ogni discorso? TEET. Assolutamente cos. LO STR. Dunque non ebbi a mentire io poco fa dicendo che stavo per enunciare la pi grande difficolt su questo problema, avendone invece qualche altra pi grande da dire? TEET. E quale? LO STR. O straordinario amico, non capisci, e proprio da quanto si detto, che ci che non mette in difficolt anche chi ne confuta la nozione e la denominazione, cosicch quando uno si prova a farne la confutazione costretto a dire di esso cose che nel suo discorso stanno in reciproca opposizione? TEET. Come dici? Sii ancora pi chiaro. LO STR. Non bisogna per nulla cercarla in me la maggior chiarezza. Io, nel porre come premessa che ci che non non deve partecipare n delluno n dei molti, poco fa e pure ora sono venuto a dirlo uno: dico infatti ci che non . Tu mi comprendi. TEET. S. LO STR. E daltra parte anche poco fa dicevo ci che non essere tale che non se ne pu pronunciare n dire la denominazione, n pu trovar posto nel discorso. Segui? TEET. Seguo. Hai ragione. LO STR. Dunque non dicevo cose in opposizione a quelle dette in precedenza, provando ad attribuire ad esso lessere? TEET. Pare di s. LO STR. Proprio in quanto attribuivo ad esso lessere non mi rivolgevo verso ci che non come verso una unit? TEET. S. LO STR. E senza dubbio anche nel dire che ci che non ci di cui non si pu far discorso, che la sua denominazione indicibile ed impronunciabile, dirigevo su di esso il discorso come su di una unit. TEET. Come no? LO STR. Ma noi affermiamo che se uno vuole parlare correttamente non deve definirlo, n come unit n come
Soph. 230 d. Soph. 231 b. 32 Soph. 231 e. 33 Soph. 231 e. 34 Nella Lettera VII si afferma che lintellezione ci che pi vicino, e quasi sullo stesso piano, della cosa in s, dellintellegibile. Epist. VII 342 c-d. Sulla distinzione di opinione e conoscenza, ad ogni modo, torneremo. 35 Parm. 135 a-b. 36 Soph. 236 d-237 b. 37 Soph. 237 b.
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molteplicit, e neppure indicarlo con il lo, assolutamente, infatti anche questa denominazione ad esso verrebbe data sulla base dellunit. 38 TEET. Giustissimo.

Il non essere dunque non , ch se fosse, parteciperebbe del numero e si presenterebbe o come uno o come molteplice. Daltra parte, proprio limpossibilit di pensarlo e denominarlo senza numero, che gli attribuirebbe lessere, mette in imbarazzo chi voglia negarlo. Tuttavia, occorre notare il prevalere dei richiami dello straniero allunit del non essere, rispetto alla molteplicit, che deve essere assunto dal lettore del Sofista come un campanello che segnala lindicazione contenuta nelle sue parole. Se noi infatti andiamo alla seconda ipotesi del Parmenide, quella che tratta delluno che rispetto agli altri, scopriamo che questo uno lessere intellegibile a cui si possono attribuire tutti gli opposti possibili, per cui apparir come avente ogni determinazione, poich di esso pu esserci scienza e opinione e sensazione, dato che anche ora noi stiamo compiendo nei suoi confronti tutte queste operazioni. [] E per esso c anche un nome e un discorso ed esso denominato e enunciato.39 Si tratta infatti delluno che , dellEssere che uno, non per delluno in s, oggetto della prima ipotesi. Questo uno che non infatti propriamente uno, ma una diade, come viene affermato, essendo composto di uno e di essere, ciascuna parte a sua volta ancora duplice, perch composto di uno ed essere.40 Esso contiene linfinito dei numeri: uno e molti, ma questo uno non lUno assoluto, senza il quale luno che non sarebbe uno.41 Daltra parte, la prima ipotesi del Parmenide presenta un uno che non intellegibile, come non molteplicit, n gli si pu attribuire nulla: la formula dialettica di questo uno n n, come quella delluno che della seconda ipotesi e e. E mentre luno che perch partecipa delluno in s, questo, non partecipando dellessere, appare n esistere n essere uno.42 Ben pi avanti rispetto al punto in cui siamo, lo straniero dir la stessa cosa da una angolazione diversa, in questi termini:
Nulla impedisce che ci che diviso in parti abbia come affezione luno come unit di tutte le sue parti, e cos, ci che essendo tutto e anche il tutto di quelle parti, nulla impedisce che sia uno. TEET. Come no? LO STR. Ma non impossibile che ci che si trova in questa condizione sia proprio luno come tale? TEET. Perch? LO STR. Perch luno in quanto uno, in quanto vero uno, secondo quanto vuole la correttezza del discorso, deve certo dirsi assolutamente indivisibile in parti. TEET. Senza dubbio. LO STR. E ad un uno come quello, che risulta da una molteplicit di parti, non potr applicarsi senza contraddizione questultimo discorso. TEET. Comprendo. LO STR. Diremo dunque che ci che si trova affetto dalluno, e quindi sar uno e anche un tutto, oppure dobbiamo assolutamente negare che sia un tutto? TEET. Mi proponi una difficile scelta. LO STR. Hai certo pienamente ragione. Infatti se ci che si trova affetto dalluno, in qualche modo, non risulter essere identico alluno, e, cos, complessivamente sar pi che uno. TEET. S. LO STR. Ma certamente se ci che non un tutto, come sarebbe in base al suo essere affetto dalluno, ma poi il tutto come tale sia, ci che risulta privo di se stesso. TEET. Certamente. LO STR. E per questa ragione ci che , privato di se stesso, non sar qualche cosa che . TEET. Senza dubbio, cos. LO STR. E ancora, dallaltro punto di vista, ci di cui parliamo verrebbe ad essere in complesso pi di uno, perch ci che e il tutto hanno una loro natura particolare a ciascuno di essi due, ciascuno per parte sua. TEET. S. LO STR. Ma ammettendo che il tutto non sia assolutamente, lo stesso non essere consegue a ci che , e cos oltre a non essere non potr mai venire ad essere qualche cosa che . TEET. Come mai? LO STR. Ci che viene ad essere, sempre viene allessere come tutto; cosicch non si pu dire n dellessere n del divenire escludendo dalle cose che 43 sono luno o il tutto.

Dunque, luno in quanto uno, in quanto vero uno, [] deve certo dirsi assolutamente indivisibile in parti. Questo era il carattere proprio delluno in s della prima ipotesi del Parmenide. Mentre, ad un uno come quello che risulta da una molteplicit di parti, non potr applicarsi senza contraddizione questultimo discorso. A riguardo, possiamo dunque concludere intanto cos: la

Soph. 238 a-239 a. Parm. 155 d. Parm. 142 b-143 a. 41 Dice Parmenide allinizio della seconda ipotesi, quella che verte sulluno che rispetto agli altri: Quando allora si dice riassuntivamente che luno , questa espressione vuol forse significare altro se non che luno partecipa di essere? - Proprio cos. - Diciamo allora di nuovo, se luno , che cosa ne conseguir. Osserva se non necessario che questa ipotesi significhi che luno tale da avere parti. - Come? - Cos: se lespressione si dice delluno che e lespressione uno dellessere che uno e lessere e luno non sono la stessa cosa, ma appartengono a quella stessa cosa che abbiamo posto come ipotesi, ossia alluno che , non forse necessario che questuno che sia lintero e che luno e lessere diventino sue parti? - necessario. - E ciascuna di queste due parti la chiameremo soltanto parte o la parte deve essere chiamata parte dellintero? - Dellintero. - Dunque ci che uno un intero e ha parti. - Certo. - E allora? Ciascuna di queste due parti delluno che , ossia luno e lessere, manca forse allaltra, o luno della parte essere o lessere della parte uno? - Non sarebbe possibile. - Di nuovo allora anche ciascuna delle due parti possiede luno e lessere ed anche la parte minima viene ad essere costituita a sua volta di due parti e cos sempre per la stessa ragione, qualsiasi parte ne risulti possiede sempre queste due parti: infatti luno possiede sempre lessere e lessere luno, sicch necessario che, venendo sempre ad essere due, non sia mai uno. - Proprio cos. - E cos luno che sar di illimitata molteplicit? Sembra. - Avanti allora, anche per questa via ancora. - Per quale? - Noi diciamo che luno partecipa di essere e perci ? - S. - Ed per questo che luno che ci apparso molti. - E cos. - E allora? Luno in s, che diciamo appunto partecipe di essere, se col pensiero lo cogliamo da solo in s e per s, senza questo di cui lo diciamo partecipe, ci apparir forse soltanto uno o anche molti questuno in s? - Uno, io credo almeno. - Vediamo allora: necessario che luno in s e il suo essere siano qualcosa di diverso, se luno non appunto essere, ma in quanto uno partecipa di essere. - necessario. - Dunque, se altro lessere e altro invece luno, non in quanto uno luno diverso dallessere n in quanto essere lessere altro dalluno, ma sono diversi luno dallaltro in quanto diversi e altri. Certo. - Sicch il diverso non identico n alluno n allessere. - Come potrebbe, infatti? - E allora? Se tra essi scegliamo, se vuoi, lessere e il diverso o lessere e luno o luno e il diverso, in ciascuna scelta non scegliamo forse una determinata coppia che corretto chiamare entrambi? - Come? - Cos: possibile dire essere? possibile, - E poi dire uno? - Anche questo. - E non si forse detto luno e laltro di loro due? - S. - Ma quando dico essere e uno, non li dico forse entrambi? Certo. - Dunque anche se dico essere e diverso o diverso e uno, anche cos in ciascun caso non li dico in ogni modo entrambi? - S. - E questi che sono designati correttamente come entrambi, forse possibile che siano entrambi, ma non due? - Non possibile. - E a proposito di essi che sono due c un espediente per far s che ciascuno di essi non sia uno? - Non ce n nessuno. - Parm. 142 c-143 d. Luno che dunque una diade formata di uno e di essere, dei quali lessere, bench sempre uno, non mai luno, e luno, bench sempre essere, non mai lessere. Cos, luno che , come intero e in ogni sua parte, sempre una diade, che tale a causa delluno in s, che di necessit lo precede, e che non perch non lessere, cio non ha la natura dellintellegibile. Poich poi per Platone lintellegibile la causa dellesistere di ogni cosa, possiamo affermare che luno in s il padre della causa, secondo lespressione della Lettera VI: [] giuratelo in nome del dio ch guida di tutte le cose presenti e future, e del padre signore della guida e della causa. Epist. VI 323 d. 42 In nessun modo allora luno partecipa dell'essere. - Sembra di no. - In nessun modo allora luno . - Pare di no. - Dunque non neppure tale da essere uno, perch sarebbe gi essente e partecipe di essere. A quanto sembra, invece, luno n uno n , se bisogna dar credito a questo ragionamento.- Parm. 141 e. 43 Soph. 245 a-d.
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molteplicit sensibile del divenire, ma il divenire non pu sorgere se non esiste la molteplicit intellegibile implicita nelluno che , n luno che pu esistere senza luno in s. Si pone allora la domanda: esiste soltanto il divenire e lEssere (che uno ed essere), o esiste anche, sia pure in un suo modo particolare, luno in s?44 Nel Sofista non troviamo una risposta esplicita, oltre al brano che abbiamo riportato; ma vi pi di un rimando alla soluzione che era stata data nel Parmenide. Ma noi dobbiamo prendere ancora in considerazione il discorso fatto dallo straniero sul non essere, a cui, diceva, non si pu attribuire n luno n i molti. Esso infatti presenta un insistere pi sulla sua eventuale unicit che sulla molteplicit; e questo ci spinge a supporre che Platone voglia indicarci che il non essere, lungi dal non essere, invece quelluno in s di cui nulla si pu dire n predicare: n la pluralit n lunit; e che tuttavia il principio stesso delluno che : dellessere. Occorre per questo passare alla trattazione relativa allessere.

4. Primo intermezzo: il sofista cieco e il parricidio platonico Tra la discussione sul non essere e quella sullessere vi un intermezzo che non possiamo tralasciare. Si tratta di una sosta di riflessione in cui Platone, come spesso fa, d indicazioni di lettura del testo, come quelle che abbiamo indicato. La prima data dalle seguenti parole dello straniero: E allora perch parlare ancora di me? Infatti tanto di gran lunga prima di adesso quanto ora mi si potrebbe trovare in fallo nella confutazione dellespressione ci che non . Non esaminiamo pertanto, come dissi, nelle mie parole il modo corretto di parlare di ci che non , ma invece, avanti, cominciamo ora a osservarlo nelle tue.45 Poich Teeteto protesta la propria incapacit ad affrontare il problema lo straniero conclude: E allora, se vuoi cos, lasciamo perdere sia la tua che la mia persona; finch non ci imbatteremo in qualcuno capace di assolvere a simile compito, fino ad allora dobbiamo continuare a dire che il sofista s eclissato in un luogo inaccessibile usando una abilit superiore ad ogni altro.46 Le espressioni dello straniero non esprimono lincapacit di Platone di risolvere il problema del non essere: esse stanno piuttosto ad indicare il mantenimento del livello in cui svolge il proprio ruolo questo discepolo di Parmenide di Elea, ruolo inferiore e non di massima elevatezza, rispetto a quello assegnato da Platone al proprio Parmenide.47 Che poi il non essere faccia parte del principio cosa a cui allude lo straniero, come ad esempio quando dice: Non dirlo troppo forte; difficolt, uomo beato, ce ne sono ancora, e anzi rimane, fra queste, la difficolt principale, la pi grande. Essa verte infatti sul principio stesso di ci di cui parliamo.48 Ad ogni modo, lo straniero continuer la propria discussione con Teeteto, ma lo far attraverso unapprossimazione razionale alla meta, ma non in forma dialettica; e cio, senza attraversare a nuoto [] un tale e cos ampio mare di discorsi, come dice Parmenide, invitato a dare dimostrazione del metodo dialettico.49 Ma intanto esprime qualche considerazione.
Se diremo infatti chegli possiede una certa arte dellapparenza, facilmente egli capovolger i nostri discorsi muovendo, per obiettarci, dalluso stesso del discorso che noi avremo fatto, e cio, quando noi lo diremo fabbricatore dimmagini, ci domander che cosa intendiamo dire, in generale, con immagine. Comunque, o Teeteto, bisogna vedere che cosa si potr rispondere a questa domanda del nostro giovane. TEET. evidente che diremo che intendiamo le immagini che riflette lacqua, che riflettono gli specchi ed inoltre quelle dipinte, quelle 50 modellate e tutte le altre simili che ci sono.

E di seguito, lo straniero gli fa osservare lingenuit di una tale risposta:


chiaro, Teeteto, che non hai mai visto un sofista. TEET. E perch? LO STR. Ti apparir come uno che ha gli occhi chiusi o addirittura del tutto privo degli occhi. TEET. Come dici? LO STR. Quando tu gli risponderai cos, se gli indicherai cio le immagini riflesse dagli specchi e le immagini modellate, si metter a ridere delle tue parole, da te rivolte a lui come ad uno che vede e finger di non conoscere n specchi n 51 acqua, nemmeno la vista ed invece egli interrogher te senza uscire da ci che risulta dai soli termini del discorso.

La forza del sofista sta nella parola, tanto pi se egli non si appoggia al principio protagoreo, per il quale rimaneva importante (e vulnerabile) lappello al soggettivismo sensoriale (relativismo soggettivistico). Ma qui siamo di fronte ad un erista, la cui forza consiste nel non uscire da ci che risulta dai soli termini del discorso. Egli cio non solo non fa riferimento ai sensi, per i quali luomo misura delle cose, ma neppure accetta che lorganicit dei discorsi debba avere necessariamente per fondamento un principio avente in s, unificati, il positivo e il negativo, laffermazione e la negazione: lessere e il non essere. Per lui, il discorso
Questo uno in s appunto il non essere di cui si trattato: esso non , perch non lEssere, n intellegibile, perch privo di parti; eppure in qualche modo esiste ugualmente, perch lEssere, che un Intero di parti, non potrebbe essere senza luno in s che gli d lunit. In altri termini, luno in s anteriore allEssere; e, non partecipando delle condizioni dellesistenza e dellintellegibilit, si configura in qualche modo come non essere. 45 Soph. 239 b. 46 Soph. 239 c-d. 47 da ricordare che sia Socrate sia Timeo, accennando al principio assoluto, si rifiutano di presentarlo ai loro ascoltatori, non perch non lo conoscano o non siano in grado di farlo, ma il primo perch ritiene i suoi ascoltatori impreparati a seguirlo (Resp. VI 506 d-e), il secondo perch ritiene inadeguato il metodo da lui scelto per descrivere la genesi del Cosmo (Tim. 48 c). In proposito, non pare del tutto infondato supporre che il progettato Filosofo, dopo il Sofista e il Politico, si sarebbe svolto attraverso il dialogo tra lo straniero e Socrate, in modo che le due figure dessero un intero (Platone), come Teeteto e Socrate il Giovane, il primo somigliante a Socrate, il secondo con il suo stesso nome, formano un intero (Socrate). Dice infatti Socrate nel Politico: E c proprio il caso, straniero, che ambedue abbiano da qualche parte un rapporto di parentela con me, che siano del mio stesso genere. Comunque, uno lo dite voi stessi che mi somiglia nel volto, per laltro, essendo il suo nome uguale al mio, luso di questo nome crea fra lui e me unaria di famiglia: noi dobbiamo essere sempre pronti a riconoscere quelli che appartengono allo stesso genere, durante i discorsi. Polit. 257 d-258 a. 48 Soph. 238 a. 49 Parm. 137 a. Sono note le metafore platoniche dellattraversamento del mare a nuoto e con imbarcazione (prima e seconda navigazione), che si incontrano in alcuni dialoghi. 50 Soph. 239 c-d. 51 Soph. 239 e-240 a.
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solo positivo: essere, perch il non essere non . I termini linguistici sono ipostasi del pensiero, e il pensiero unipostasi dellEssere parmenideo (oggettivit assoluta); e n immagini, n inganno, n falsit o errore esistono. Se il discorso verte sullimmagine in generale, da tener presente che per Platone la realt sensibile non altro che immagine della realt intellegibile. Ma non ancora il momento di affrontare tale argomento; piuttosto diciamo che questo suo carattere di essere un qualcosa, diverso dalla cosa di cui immagine, fa s che limmagine sia e non sia: sia per un verso, ma non per un altro, tanto da far dire ai due interlocutori: TEET. Pu darsi che ci che non sia intrecciato a ci che in un simile intreccio, e tutto ci assurdo. LO STR. E come infatti non assurdo? Non vedi almeno questo, che cio anche ora con questo incrocio il sofista, dalle cento teste, ci ha costretti ad ammettere contro nostra volont, che ci che non in qualche modo ?52 Tra cosa e immagine della cosa, come ad esempio tra Cratilo e il suo ritratto, c sempre una differenza che differenza dessere, ch se il ritratto fosse in tutto identico al modello avremmo Cratilo e limmagine di Cratilo, o addirittura due Cratili?53 La diversit necessaria allesistenza di una cosa e a quella della sua immagine; ma questo fa tornare in ballo la necessit del non essere nelle cose che sono, e questo non essere, che il discorso di Parmenide di Elaea esclude, insito nella stessa forza della dialettica. Le stesse divisioni fatte dallo straniero per la definizione del sofista mostrano, se ce ne fosse bisogno, che il corretto uso della ragione necessita del non essere come dellessere, del tagliare con il coltello come del tessere con la spola.54
Quando noi diremo afferma lo straniero che egli ci inganna con lapparenza e che larte sua unarte degli inganni, ammetteremo in tal caso che lanima nostra opina il falso sotto lazione dellarte sua stessa, o che cosa mai dovremo dire? TEET. Questo, che cosa mai infatti potremmo dire? LO STR. Falsa sar daltra parte lopinione che opina in opposizione alle cose che sono, o non vero? TEET. Appunto, in opposizione. LO STR. Ammetti dunque che lopinione falsa opina le cose che non sono? TEET. Necessariamente. LO STR. Opinando che le cose che non sono non siano, oppure che siano in qualche modo le cose che non sono per nulla? TEET. Se mai uno si inganna, anche minimamente, deve certo opinare che in qualche modo siano le cose che non sono. LO STR. Ebbene? Chi si inganna non opina pure che non siano per niente le cose invece che senza alcun dubbio sono? TEET. S. LO STR. Non vi il falso anche qui? TEET. Anche qui. LO STR. Penso che cos analogamente il discorso sar da ritenersi falso quando dir che le cose che sono non sono e quando dir che sono invece quelle che non sono. TEET. Come potrebbe riuscire falso altrimenti? LO STR. Direi in nessun altro modo; ma il sofista non ammetter tutto questo, a meno che tu non conosca una qualche via per cui uno di costoro che sanno ben ragionare possa accettarlo, anche se ci su cui in precedenza ci accordammo sia cosa di cui, secondo il nostro stesso accordo precedente, la denominazione impronunciabile, indicibile, cosa che non pu essere oggetto n di discorso, n di pensiero. Comprendiamo ora, Teeteto, ci che il sofista ci vuol dire? TEET. Come infatti non capire che egli affermer che noi diciamo cose opposte a quelle dette poco fa, osando noi ammettere che esiste il falso nelle opinioni e nei discorsi? Dir che per questa ammissione pi volte siamo costretti ad attribuire ci che a ci che non , proprio noi che poco fa abbiamo 55 convenuto che questo lassolutamente impossibile.

Pi di quanto aveva fatto Socrate, Platone costantemente impegnato nella lotta contro la Sofistica in tutte le sue forme; e si pu dire che non ci sia dialogo che non rinnovi questa lotta o non la sottintenda. Per quel che ora il nostro oggetto, lEutidemo e il Cratilo si presentano in particolare come impegnati nel mostrare gli aspetti comici del linguaggio eristico nel primo, e la duplice natura del linguaggio umano nel secondo. 56 Quello che il sofista eristico non ammette appunto questa duplice natura di cui dotato il linguaggio: esso infatti, per un verso, per natura, come sostiene Cratilo, per un altro, per convenzione, come afferma Ermogene.57 Nulla vieta infatti, come sosterr Socrate, che si possano cambiare tutti i termini linguistici, perch fanno parte del linguaggio esteriore, ma non gli elementi del pensiero, cio del linguaggio interiore, anche se dobbiamo tener presente la distinzione tra opinione (vera o falsa) e conoscenza. Nella posizione di chi nega la doppia natura del linguaggio, Platone riconosce non quella di Gorgia da Leontini, quanto appunto quella di Eutidemo, il quale, facendo proprio il principio di Parmenide, pu affermare che, poich il non essere non , non esistono n le immagini n il falso n lerrore, perch il linguaggio esprime sempre lessere, e dunque non mai falso. Dimostrare, ad ogni modo, che il non essere in qualche modo non impossibile, bench sia tanto difficile quanto dimostrare lesistenza della specie intellegibile, come viene affermato nel Parmenide.58 In altri termini, sia la strada dellessere sia quella del non essere sono percorribili dalla ragione umana, bench comportino passaggi dialettici di grande difficolt, fatti ad altitudini in cui laria molto rarefatta.59 Lo straniero non condurr il giovane interlocutore a tali altezze; e chiede venia prima di intraprendere lanalisi dellessere.
Sarai dunque indulgente gli dice e, come hai appena detto, ti accontenterai se in qualche modo, e anche se per poco, ce la caveremo da un discorso cos duro? TEET. Come non essere indulgente? LO STR. Allora di questo io ti voglio pregare ancora con maggiore insistenza. TEET. Di che cosa? LO STR. Non credere che io divenga quasi un parricida. TEET. E perch mai? LO STR. Perch, per difenderci, sar

Soph. 240 b-c. Crat. 432 c. 54 Crat. 387 d ss. 55 Soph 240 d-241 b. Il sofista non ammetter n che si possa opinare che in qualche modo siano le cose che non sono, n che non siano per niente le cose invece che senza alcun dubbio sono. Ma egli sarebbe costretto ad ammettere le due possibilit soltanto se potesse comprendere che ci, la cui denominazione impronunciabile, indicibile, cosa che non pu essere oggetto n di discorso, n di pensiero, necessario al discorso e al pensiero, ed intrinseco ad essi: il non essere. 56 Un solo esempio tratto dallEutidemo pu far comprendere i giochi linguistici degli eristi. Dimmi: possiedi un cane? - E feroce, rispose Ctesippo. E ha cagnolini? - S, e identici a lui, rispose. - Loro padre , dunque, il cane? - Senza dubbio: io stesso lho visto, disse, coprire la cagna. - E non tuo il cane? - Proprio cos, rispose. - dunque padre essendo tuo, onde il cane diviene tuo padre e tu fratello dei canini! Euthyd. 298 d-e. 57 Crat. 383 a ss. 58 Parm. 135 a-b. 59 bello e divino, sappilo bene, dice Parmenide a Socrate nel dialogo dedicato allEleate limpeto con cui ti slanci verso i ragionamenti; ma finch sei ancora giovane, trascina piuttosto te stesso ad allenarti per mezzo di quellesercizio che pare inutile ed chiamato dai pi una vuota chiacchiera. Parm. 136 d-e. E pi avanti Zenone precisa: Se fossimo pi numerosi, non varrebbe la pena pregarlo [Parmenide], perch inopportuno parlare di argomenti simili davanti a molti, soprattutto per un uomo della sua et. I pi, infatti, ignorano che, senza questo procedere peregrinando attraverso tutte le vie, impossibile, imbattendosi nella verit, averne intendimento. Parm. 135 d.
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necessario che noi sottoponiamo a esame il discorso del nostro padre Parmenide, e dovremo sostenere con forza che ci che non , in certo 60 senso, esso pure e che ci che , a sua volta in certo senso non .

E poco dopo, memore certo dellespressione usata da Socrate durante la sua presentazione, cos confessa: Ho dunque paura delle cose che ho appena dette, ho paura di apparirti per esse un insensato, un pazzo che, da un momento allaltro, fa una giravolta completa.61 Ma come non potr diventare quasi un parricida il discepolo di Parmenide affermando lesistenza del non essere? E come non apparir un insensato e un folle se, affermando il non essere, vorr continuare a ritenersi suo discepolo? Perch infatti continua per farti piacere affronteremo la confutazione del discorso parmenido, se pure riusciremo a confutarlo.62 Qui si gioca tutto il pensiero di Platone, anzi qui si gioca, potremmo dire, il pensiero umano. Sar veramente possibile percorrere la via del non essere, quella di cui aveva parlato lo straniero? Egli infatti aveva detto a Teeteto: [] a meno che tu non conosca una qualche via per cui uno di costoro che sanno ben ragionare possa accettarlo, anche se ci su cui in precedenza ci accordammo sia cosa di cui, secondo il nostro stesso accordo precedente, la denominazione impronunciabile, indicibile, cosa che non pu essere oggetto n di discorso, n di pensiero.63 Daltra parte, per quanto riguarda la via dellessere, se qualcuno aveva detto Parmenide a Socrate avendo notate tutte le difficolt di poco fa e altre simili, non consentir che ci siano idee degli enti e non distinguer una determinata idea per ciascun oggetto singolo, non avr neppure un punto a cui indirizzare il suo pensiero, in quanto non concede che ci sia unidea sempre identica di ciascuno degli enti, e in tal modo distrugger completamente il potere della dialettica.64 Sar possibile dunque dire: lessere , ma pu non essere e il non essere non , ma pu essere, senza diventare parricidi nei confronti del padre Parmenide? E se daltra parte non potremo avere conoscenza n delluno n dellaltro, per qualunque via noi saremo capaci di farlo nel modo pi opportuno noi sospingeremo il nostro discorso fino a farlo passare fra tutti e due insieme.65 Questo dir lo straniero, dopo aver trattato anche dellessere, ma noi lo abbiamo anticipato per mostrare cosa nasconde Platone sotto le parole di questo quasi parricida. Si tratter infatti di cogliere tangenzialmente con il pensiero, facendone oggetto di discorso, ci che non pu essere oggetto n di discorso, n di pensiero; si tratter di far passare il discorso fra tutti e due insieme: lessere e il non essere, e afferrare il sofista con ambedue le mani

5. Il problema dellessere Avanti allora, di dove iniziare il nostro temerario discorso?66 E il discorso ben temerario, se si volge a confutare quel principio da cui deriva la coerenza del discorso stesso.67 Ad ogni modo, lo straniero inizia la trattazione sullessere elencando le principali concezioni raggruppate in tre classi: dei trialisti, dei dualisti, dei monisti. Platone, mentre fa dire al protagonista del dialogo che i filosofi che hanno trattato dellessere pare abbiano raccontato delle favole, ironizzando, si avvale di esse per esporre il proprio pensiero.
Mi pare che Parmenide dice lo straniero tratti con noi usando certa bonariet e cos chiunque si sia avventato ad enunciare un giudizio che definisca quantitativamente e qualitativamente lessere in quanto tale. TEET. Come? LO STR. Ciascuno di questi mi pare ci racconti una favola, quasi fossimo bambini; uno dice che lessere in quanto tale tre cose e talvolta alcune di queste combattono fra loro in qualche modo, talaltra divengono amiche e fanno nozze, generano figli ed altro che sia ai figli di nutrimento; un altro afferma che due cose, lumido e il secco oppure il caldo ed il freddo, e queste fa coabitare insieme ed unisce in matrimonio. Da noi invece la gente eleatica, che discende da Senofane e anche da pi lontano, racconta le sue favole, partendo dallipotesi che ci che si indica comunemente con tutte le cose non sia che una cosa sola. Certe Muse di Jonia e pi recentemente di Sicilia hanno pensato che via pi sicura di tutte era fondere le due concezioni e dire che ci che , molteplice e uno, e, per amore e per odio sta insieme. Le pi intonate di queste Muse dicono che nel disaccordo sempre concorda; quelle invece meno rigide allentarono la necessit di questo sempre esser cos dicendo che, con alterna vicenda, ora il tutto uno 68 e amico a se stesso per opera dAfrodite, ora molteplice ed a se stesso nemico per lazione di una certa discordia.

Sono state in questo modo presentate le posizioni di coloro che hanno concepito lessere come uno o come molteplice. Per tutti costoro lessere in una delle seguenti condizioni: 1. tre cose 2. due cose (Archelao di Atene?) 3. una cosa (Eleati) 4. uno e molteplice 1- in concorde discordia (Eraclito) 2- in alternanza (Empedocle) Lanalisi che lo straniero conduce inizia dalla concezione dualistica, che confuta facilmente, perch o lessere un terzo elemento rispetto al freddo e al caldo, o uno dei due, ma allora laltro non ; e cos, la concezione dualistica si risolve o in quella

Soph. 241 c-d. Soph. 242 a-b. 62 Soph. 242 b. 63 Soph. 241 a. 64 Parm. 135 b-c. 65 Soph. 250 e-251 a. 66 Soph. 242 b. 67 Tuttavia, Socrate, disse Parmenide, se qualcuno avendo notate tutte le difficolt di poco fa e altre simili, non consentir che ci siano idee degli enti e non distinguer una determinata idea per ciascun oggetto singolo, non avr neppure un punto a cui indirizzare il suo pensiero, in quanto non concede che ci sia unidea sempre identica di ciascuno degli enti, e in tal modo distrugger completamente il potere della dialettica. Ma di una cosa del genere mi pare che tu ti sia reso fin troppo conto. - vero ci che dici, disse. - Che farai allora a proposito della filosofia? Dove ti volgerai, se queste cose restano ignorate? Parm. 135 b-c. 68 Soph. 242 c-243 a.
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trialistica o in quella monistica. Ma egli, come non ha iniziato la requisitoria con i trialisti, cos anche ora li tralascia, passando a trattare dei monisti.
Ebbene? continua lo straniero Non giusto cerchiamo, per quanto possibile, di sapere anche da quelli che affermano che il tutto uno, che cosa mai intendono per ci che ? TEET. Come no? LO STR. Rispondano dunque a questa domanda: Affermate, in qualche modo, che v solamente una cosa?, Lo affermiamo, diranno. Non vero? TEET. S. LO STR. E allora? Vi qualche cosa che voi chiamate ente?. TEET. S. LO STR. questa nullaltro che quelluna cosa, e cos date due denominazioni alla stessa, o come intendete invece?. TEET. Quale sar, straniero, la loro risposta a ci? LO STR. chiaro, Teeteto, che per chi ha assunto una simile ipotesi non la cosa pi facile rispondere alla nostra domanda e neppure a qualsiasi altra. TEET. Come? LO STR. cosa che fa ridere, in certo senso, ammettere che ci siano due nomi senza porre altro che una sola cosa. TEET. Come no? LO STR. Ed anche sarebbe senza senso accettare senzaltro che uno affermi che vi un qualche nome. TEET. Perch? LO STR. Ponendo il nome della cosa diverso dalla cosa, uno parla, comunque, di due cose. TEET. vero. LO STR. E se sostiene che il nome identico a ci di cui nome, o sar costretto a dire che il nome 69 di niente, oppure, se dir che nome di qualche cosa, ne conseguir che il nome tale solo del nome e di niente altro. TEET. Giusto. LO 70 STR. E cos per luno, il quale uno solo delluno, ed anche luno del nome. TEET. necessario. LO STR. Ebbene? Diranno quelli che il tutto diverso da ci che uno od identico ad esso? TEET. E come potrebbero dire ora e in avvenire che non identico? LO STR. Se dunque un tutto come anche Parmenide dice, dogni parte somigliante alla massa duna sfera perfetta, e dal centro in ogni direzione ugualmente estesa, poich infatti non possibile chesso sia di qua e di l pi grande o pi piccolo, se dunque, cos ci che , ha un centro ed ha estremit e quindi, per stretta necessit, ha parti. Non vero? TEET. Vero. LO STR. Nulla impedisce che ci che diviso in parti abbia come affezione luno come unit di tutte le sue parti, e cos, ci che essendo tutto e anche il tutto di quelle parti, nulla impedisce che sia uno.71 TEET. Come no? LO STR. Ma non impossibile che ci che si trova in questa condizione sia proprio luno come tale? TEET. Perch? LO STR. Perch luno in quanto uno, in quanto vero uno, secondo quanto vuole la correttezza del discorso, deve certo dirsi assolutamente indivisibile in parti.72 TEET. Senza dubbio. LO STR. E ad un uno come quello, che risulta da una molteplicit di parti, non potr applicarsi senza contraddizione questultimo discorso. TEET. Comprendo. LO STR. Diremo dunque che ci che si trova affetto dalluno, e quindi sar uno e anche un tutto, oppure dobbiamo assolutamente negare che sia un tutto? TEET. Mi proponi una difficile scelta. LO STR. Hai certo pienamente ragione. Infatti se ci che si trova affetto dalluno, in qualche modo, non risulter essere identico alluno, e, cos, complessivamente sar pi che uno. TEET. S. LO STR. Ma certamente se ci che non un tutto, come sarebbe in base al suo essere affetto dalluno, ma poi il tutto come tale sia, ci che risulta privo di se stesso. TEET. Certamente. LO STR. E per questa ragione ci che , privato di se stesso, non sar qualche cosa che . TEET. Senza dubbio, cos. LO STR. E ancora, dallaltro punto di vista, ci di cui parliamo verrebbe ad essere in complesso pi di uno, perch ci che e il tutto hanno una loro natura particolare a ciascuno di essi due, ciascuno per parte sua. TEET. S. LO STR. Ma ammettendo che il tutto non sia assolutamente, lo stesso non essere consegue a ci che , e cos oltre a non essere non potr mai venire ad essere qualche cosa che . TEET. Come mai? LO STR. Ci che viene ad essere, sempre viene allessere come tutto; cosicch non si pu dire n dellessere n del divenire escludendo dalle cose che sono luno o il tutto. TEET. Pare non esservi alcun dubbio che come dici. LO STR. E certo ci che non un tutto non pu neppure essere in qualche modo determinato quantitativamente; ci che infatti di una certa quantit, sar tutto di quantit tale quale quella certa quantit, necessariamente. TEET. Sicuro. LO STR. E cos infiniti altri problemi appariranno ciascuno comportando difficolt innumerevoli per chi afferma che ci che si riduce ad una sola cosa oppure ad una qualche coppia di elementi. TEET. Io direi che ci provato gi anche da quanto sin qui ci si 73 mostrato; una difficolt si lega allaltra, portando sempre pi vasta e pi grave incertezza sulle cose di cui prima si detto.

Lo straniero, accomunando le due ultime concezioni moniste, fa alcune considerazioni molto importanti relativamente alluno, al tutto, al divenire. Brevemente, si pu dire che il divenire non pu venire ad essere senza che vi sia lessere, n lessere pu esistere se non come tutto. Se per lessere un tutto, non sar identico alluno, e sar per ci pi di uno. Tuttavia, essendo un tutto, sar tale perch affetto dalluno; mentre luno sar altra cosa dallessere. Conclusa la requisitoria, lo straniero ammette di non aver analizzato tutte le concezioni: Senza dubbio noi non abbiamo esaminato tutti quelli che con sottigliezza particolare hanno trattato di ci che e di ci che non , pure possiamo ritenere di aver fatto abbastanza per questi che abbiamo trattato.74 Noi tuttavia dobbiamo soffermarci a chiarire le sue parola a proposito dei trialisti, che ha soltanto presentato allinizio. Le espressioni che egli aveva usato, schematizzate e gi interpretate, sono le seguenti: [] uno dice che lessere in quanto tale tre cose (Uno in s, Uno Essere, Uno Bene)75
69 Occorre fare attenzione al passo relativo al nome dellEssere a cui lo straniero accenna per mostrare la contradizione dei monisti: lEssere e il suo nome sono due cose, a meno che non sia nome di nulla o nome di nome. Vi qui sotto un necessario gioco platonico, poich per Platone il nome espressione del pensiero, e il pensiero di ordine intellegibile, come lo lEssere di Parmenide di Elea. Ne viene che lEssere o nome del non essere o di se stesso. Poich per il non essere (che sia o che non sia) non pu essere oggetto n di discorso, n di pensiero, n nominabile, resta che lEssere Nome di s, cio intellegibile di per s: lIntellegibile. Questa infatti la posizione del filosofo di Elea, per il quale lEssere di ordine intellegibile. 70 Anche in queste parole dello straniero possiamo cogliere un altro gioco platonico: mentre prima il riferimento andava al termine ente, ora va a quello di uno. Cos, luno, in quanto uno, uno soltanto di se stesso, mentre poi anche ci che d unit allIntellegibile (il nome), il quale, essendo un tutto, come dir tra poco, esiste soltanto perch si trova affetto dalluno. 71 questa la condizione delluno che della seconda ipotesi del Parmenide. Parm. 142 a ss. 72 Questa la condizione delluno in s della prima ipotesi del Parmenide. Parm. 137 c ss. 73 Soph. 244 b-245 e. 74 Soph. 245 e. 75 da considerare che luno in s e luno che delle due prime ipotesi del Parmenide, il primo dei quali rifiuta ogni determinazione, mentre il secondo le accoglie tutte, sono unificati nellistante, come espressamente afferma Parmenide dopo le due trattazioni. Non sar superfluo leggere lintera conclusione delle due ipotesi. - Diciamo ancora per la terza volta. Se luno quale abbiamo esposto, non forse necessario che esso, essendo uno e molti [condizione delluno che ] e n uno n molti [condizione delluno in s] e partecipando del tempo, in quanto uno, in un certo momento partecipi dellessere e in un altro momento, invece, in quanto non , non partecipi dellessere? - necessario. - Potr dunque, nel momento stesso in cui partecipa, non partecipare e nel momento stesso in cui non partecipa, partecipare? - Non potr. - Dunque in un certo tempo partecipa e in un altro non partecipa, perch soltanto in questo modo pu partecipare e non partecipare della medesima cosa. - Esattamente. - Dunque c anche il tempo in cui viene ad assumere lessere e quello in cui lo abbandona? O come sar possibile che ora lo abbia e ora non lo abbia, se non c mai un momento in cui lo assuma e lo lasci? - In nessun modo sar possibile. - E il venire ad assumere lessere non lo chiami forse nascere? Io s. - E labbandonare lessere non lo chiami forse perire? - Certo. Luno allora, a quanto sembra, assumendo e lasciando lessere, nasce e perisce. - Necessariamente. - Ma essendo uno e molti e nascendo e perendo, quando diventa uno, non perisce forse il suo essere molti e quando diventa molti, non perisce forse il suo essere uno? -

1. e talvolta alcune di queste combattono fra loro in qualche modo, (Uno in s e Uno Essere) 2. talaltra divengono amiche e fanno nozze, (lUno in s e lUno Essere uniti dallUno Bene) 3. generano figli (anime) 4. ed altro che sia ai figli di nutrimento (corpi). Per comprendere come la posizione trialista sia quella di Platone e sia di estrema difficolt coglierla e insegnarla, occorre tornare a ricordare che sia Socrate sia Timeo si rifiutano di parlare del principio di tutte le cose; ma occorre inoltre portare almeno alcune testimonianze tratte dagli stessi scritti platonici. Che il principio sia il Bene, in termini generali, lo deduciamo dalla Politeia, l dove appunto Socrate si rifiuta di parlarne: S, benedetti amici, lasciamo stare per il momento che cosa sia mai il bene in s: mi sembra una cosa troppo alta perch possiamo raggiungere ora, con lo slancio presente, il concetto che ne ho io.76 Quando poi nel Filebo egli lo prende a oggetto di definizione, desiste dal tentativo di proporlo nella sua unit, e conclude che sar opportuno coglierlo con tre termini: Se dunque noi non possiamo cogliere ed esaurire il bene in una sola nota caratteristica, comprendendolo sotto tre di queste, bellezza, proporzione e verit, affermiamo che a tutto ci come a una sola unit possiamo con massima correttezza attribuire la causa di ci che avviene nella mescolanza e che questultima per virt di tale unit, che noi conosciamo come bene, risulta quella che .77 Che il Bene sia da considerarsi come ci che unisce e contiene le cose unite, lo veniamo sapere da Socrate nel Fedone, con queste parole: [] e ci che il bene, che ci che lega ogni cosa al suo fine, non pensano affatto n che veramente colleghi cosa veruna n che la contenga.78 Nel Liside poi era stato presentato da Socrate come Primo amico, nella sua natura di fine delle cose: dunque necessario che o noi ci stanchiamo ad andare avanti in questo modo o giungiamo ad un principio primo che non si riporter ad un altro amico, ma giunger a ci che lamico primo, a causa del quale diciamo che tutte le altre cose sono amiche tra loro. [] Per tutte quelle cose che ci sono amiche in modo relativo, evidentemente noi usiamo un termine improprio: in realt mi sembra che sia vero amico ci a cui fanno capo tutte le cosiddette cose amiche. [] Dunque, ci che il vero amico, lo in senso assoluto. [] Questo dunque stato chiarito, che il primo amico amico in assoluto. Ma questo amico si identifica col bene? A me sembra di s.79 In rapporto alla natura traidica dellAssoluto, vanno anche poste le altre realt di cui parla Platone, per le quali egli ha creato la metafora del padrone e dello schiavo. Secondo questa metafora, vi un Padrone in s e uno Schiavo in s, di cui parteciperebbero il padrone umano e lo schiavo umano. Dello Schiavo in s (gli di) troppo poco sappiamo per tentare di individuarne la struttura essenziale, ma per il padrone umano e per lo schiavo umano possediamo gli elementi per farlo. Infatti, lanima umana (padrone umano) formata da diverso, identico e misto; mentre ci che corporeo (schiavo umano) risulta da un elemento infinito, da elementi finiti e dagli aspetti qualitativi che ne derivano come sintesi.80 Non difficile comprendere che essi derivano rispettivamente dallUno in s, dallUno Essere e dal Bene: difficile sar invece mostrare come ci avvenga. Ma intanto entriamo in un nuovo intermezzo della discussione.

6. Secondo intermezzo: la gigantomachia del pensiero La presentazione sommaria fatta delle varie concezioni ha dietro di s una lunga storia di teorie con le quali grandi pensatori si sono fronteggiati.
E par proprio che fra loro commenta lo straniero sia quasi una battaglia di giganti svolgentesi attraverso il dibattito sullessere, dibattito che fra gli uni e gli altri avviene.81 TEET. Come? LO STR. Gli uni dal cielo e dallinvisibile tutto trascinano a terra quasi si trattasse di rocce e querce ed essi le afferrassero proprio con le loro mani. E, infatti, attaccandosi a tutte le cose simili a queste, con forza sostengono che soltanto ci che offre qualche possibilit di essere afferrato e toccato, ed identificano nella loro definizione lessere al corpo, e, se qualcuno afferma che qualche altra cosa ed senza corpo, essi lo spregiano da ogni punto di vista e non vogliono per nulla ascoltare altro da lui.
Certo. - Ma divenendo uno e molti, non forse necessario che si disgreghi e si aggreghi? - molto necessario. - E quando diventi dissimile e simile, che si assimili e si diversifichi? - S. - E quando diventi maggiore e minore e uguale, che si accresca e diminuisca e si eguagli? - cosi. - Ma quando, essendo in moto, si fermi e quando, essendo fermo, si muti in direzione del movimento, bisogna certamente che esso non sia in nessun tempo. - E come? - Star fermo prima e successivamente muoversi e muoversi prima e successivamente fermarsi, queste cose sar impossibile che esso le subisca senza mutare. - Come potrebbe, infatti? - Ma non c nessun tempo in cui sia possibile che qualcosa contemporaneamente n si muova n stia fermo. - Non c, infatti. - Ma neppure muta senza il mutare. - Non verosimile. - E allora quando muta? Infatti non muta n quando sta fermo n quando si muove n quando nel tempo - No, infatti. - Esiste allora questa cosa stupefacente, nella quale esso sia nel momento in cui muta? - Quale cosa? Listante. Listante infatti sembra significare qualcosa di questo genere: ci a partire da cui muta passando nelluna o nellaltra di due condizioni. Infatti non muta a partire dallo star fermo quando ancora fermo n muta a partire dal movimento quand ancora in movimento; anzi questa natura un po stupefacente dellistante si situa tra il movimento e la quiete, senza essere in alcun tempo, e procedendo dalluno in direzione dellaltro ci che si muove muta passando nello star fermo e ci che sta fermo passando nel muoversi. C il rischio. - Anche luno allora, se appunto sta fermo e si muove, muter passando nelluna o nellaltra condizione, perch solo cos potr fare luna e laltra cosa, ma mutando muta istantaneamente e quando muta, non pu essere in alcun tempo e in quellistante n si muover n star fermo. - No, infatti. - E non forse cos anche per gli altri mutamenti? Quando dallessere muta passando al perire o dal non essere al nascere, in quellistante viene ad essere tra determinati movimenti e stati di quiete e allora n n non , n nasce n perisce? - Almeno sembra. - Stando allo stesso ragionamento, allora, anche nel passare da uno a molti e da molti a uno, non n uno n molti, n si disgrega n si aggrega. Ed anche nel passare da simile a dissimile e da dissimile a simile, non n simile n dissimile, n si assimila n si diversifica. E cos nel passare da piccolo a grande e a uguale e viceversa, non n piccolo n grande n uguale, n si accresce n diminuisce n si eguaglia. - Sembra di no. - Tutte queste affezioni allora si trover a subire luno, se . - Come no? Parm. 155 e-157 b. Siamo davanti alla pagina filosofica pi profonda che sia mai stata scritta: Platone ha indicato nellistante, che si situa tra il movimento e la quiete, senza essere in alcun tempo, la condizione del Bene, la cui natura sta al di l della negazione di tutte le possibili attribuzioni (prima ipotesi), come sta al di l dellaffermazione delle stesse (seconda ipotesi), mostrato in una trascendenza e in una perfezione che sconcerta la mente. Inoltre, vengono qui confutate tutte le posizioni presentate nel Sofista: quella dualistica, perch il principio uno; quella monistica eleatica, perch il principio trino; quella monistica delle Muse della Jonia e della Sicilia, perch il principio uno e trino, non tale n per concorde discordia n per alterna vicenda, ma sta fuori dele tempo: nelleterno. Sul tempo, come immagine mobile delleterno, v. Tim. 37 d. Possiamo ripetere le parole di Socrate: Io temo dunque che il suo linguaggio noi non si capisca, e molto pi ci sfugga il senso di ci che disse. 76 Resp. VI 506 d-e. 77 Phil. 64 e-65 a. 78 Phaed. 99 c. 79 Lys. 219 c-d; 220 b. 80 Phil. 27 b ss. 81 Analoghe espressioni troviamo in altri dialoghi: Theaet. 179 d; Phil. 49 b.

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TEET. Tu parli davvero duomini terribili; anchio infatti ho gi avuto occasione di incontrarne un grande numero. LO STR. Perci quelli che nel dibattito si oppongono loro molto prudentemente si difendono appoggiandosi alle regioni superiori, a certa zona dellinvisibile e con pertinacia il vero essere riducono a certe forme pensabili e incorporee. Quanto ai corpi dei primi, quanto alla verit dai primi affermata, questi frantumano tutto ci in minutissimi pezzi nei loro discorsi, e invece di essere, essi definiscono tale realt un mobile divenire. Nello 82 spazio che li separa, su questi problemi, da sempre, o Teeteto, c stata una battaglia implacabile dei due gruppi avversari.

Platone ha ora contrapposto, semplificando, materialisti a idealisti; i primi presentati come i veramente nati dalla terra, i secondi come gli amici delle forme, come li chiamer tra poco.83 Lo straniero riprende per ci il discorso da un altro punto di vista: quello da cui poter cercare di vedere se possibile risalire dal piano dei materialisti a quello degli idealisti. Si tratta di scoprire se i primi, resi pi mansueti, possono concedere qualcosa che non sia pura e semplice materia, come ad esempio la giustizia; qualcosa che non sia afferrabile con le mani.
Poniamo egli dice dunque a loro delle nuove domande: se infatti essi vogliono concedere lincorporeit anche di una, una piccola cosa, fra le cose che sono, gi sufficiente. Ci che connaturale a queste realt cos come a quelle altre che hanno corpo, ci a cui guardando essi dicono, delle une e delle altre cose, che sono, questo ci di cui essi ci debbono parlare. Essi forse saranno in difficolt. E ammesso appunto che siano in questa situazione, vedi bene, se, proponendolo noi, vorrebbero accettare e riconoscere che ci che questo. TEET. Che cosa? Dillo e noi lo verremo a sapere. LO STR. Io dico allora che ci che possiede una potenza, quale si sia, o di fare unaltra cosa qualsiasi, o di subire anche la pi piccola azione da parte dellagente meno importante, anche se solo per una volta sola, ci, in ogni caso, 84 una cosa che realmente . Infatti io pongo come definizione delle cose che sono, questa: le cose che sono non sono altro che potenza.

Lo straniero cerca un punto dincontro tra materialisti e idealisti in qualcosa che connaturale a queste realt cos come a quelle altre che hanno corpo: qualcosa che faccia da tramite tra il piano intellegibile e quello delle cose sensibili. Questo qualcosa di intermedio viene presentato come potenza. Rivolgendosi quindi agli amici delle forme, dei quali ora si fa portavoce Teeteto, lo straniero domanda: Voi parlate del divenire e dellessere distinguendoli e separandoli in qualche modo, non cos? TEET. S. LO STR. E col corpo, per mezzo delle sensazioni, noi comunichiamo col divenire, con lanima, per mezzo del ragionamento, noi comunichiamo con lessere vero, che voi dite essere sempre identico a se stesso, mentre il divenire sarebbe diverso da un momento ad un altro del tempo.85 E dagli amici delle forme riceve lammissione che ci che sta tra lintellegibile (lessere vero) e il corporeo (il divenire) duplice: lanima e il corpo umano. Ma certamente essi ammetteranno anche quello che Platone gi nellAlcibiade I aveva determinato, e cio che il corpo uno strumento dellanima, e che luomo non altro che anima.86 Seppure non detto espressamente, da qui consegue che essi devono considerare lanima ci che sta tra lessere vero e il divenire. Lanima infatti quellente che ha una duplice potenza: di agire e di patire; e dunque risulta che idealisti e materialisti devono porre lanima come qualcosa di comune da cui partire.87 Sulla base dellinvito delfico (Conosci te stesso), Socrate aveva intrapreso la sua attivit di ricerca speculativa; sulla base del riconoscimento che quel te stesso un ente metafisico diverso da ci che corporeo, che chiamiamo anima, Platone costruisce una concezione filosofica che riesce ad abbracciare i poli estremi del sensibile e dellintellegibile. Nel libro decimo delle Leggi, egli dir che proprio dellanima il primo dei dieci movimenti che elenca: quello che muove s ed altro.88 Ma prima, nel Timeo, aveva mostrato il rapporto genetico tra quiete e moto, affermando che nelluniformit non pu mai esistere movimento. E in verit, che vi sia una cosa mossa senza un motore, o un motore senza una cosa mossa, difficile o piuttosto impossibile. Ma, se questi mancano, non vi movimento, e che essi siano uniformi impossibile: bisogna dunque riferire sempre la quiete alluniformit, e il movimento alla diversit.89 In questo modo, Platone sostiene che il pi vecchio dei movimenti deriva da un essere che sta al di l del movimento; e dal Sofista veniamo a sapere che questo essere ha il moto, la vita, lanima, lintelligenza, come lo straniero dir tra poco.
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Soph. 246 a-c. Soph. 248 a. Questi amici delle forme devono essere considerati i rappresentanti del pensiero di Platone quale conosciuto in generale nellAccademia, ma che non costituisce il suo vertice. probabile infatti che lAccademia avesse fatto proprio il pensiero del maestro soltanto dei limiti della lettura dei dialoghi e delle discussioni relative che sorgevano; ma da dubitare che Platone, anche ai pi capaci dei suoi ascoltatori, rivelasse esplicitamente i risultati pi elevati della sua speculazione. A Platone interessava che i suoi ascoltatori arrivassero con le proprie forze alla verit, perch non fosse una comprensione della sola ragione, ma una conquista dellintelletto, come afferma nella Lettera VII: Perch non , questa mia, una scienza come le altre: essa non si pu in alcun modo comunicare, ma come fiamma saccende da fuoco che balza: nasce dimprovviso nellanima dopo un lungo periodo di discussioni sullargomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di se medesima. Questo tuttavia io so, che, se ne scrivessi o ne parlassi io stesso, queste cose le direi cos come nessun altro saprebbe, e so anche che se fossero scritte male, molto me ne affliggerei. Se invece credessi che si dovessero scrivere e render note ai pi in modo adeguato e si potessero comunicare, che cosa avrei potuto fare di pi bello nella mia vita, che scriver queste cose utilissime per gli uomini, traendo alla luce per tutti la natura? Ma io non penso che tale occupazione, come si dice, sia giovevole a tutti; giova soltanto a quei pochi che da soli, dopo qualche indicazione, possono progredire fino in fondo alla ricerca: gli altri ne trarrebbero soltanto un ingiustificato disprezzo o una sciocca e superba presunzione, quasi avessero appreso qualche cosa di augusto. Epist. VII 341 c-342 a. 84 Soph. 247 c-e. 85 Soph. 248 a-b. 86 Alc. I 129 a ss. 87 Analoga necessit di qualcosa in comune tra due che discutono espressa da Socrate nel Gorgia, quando deve intraprendere la discussione sul tiranno con Callicle, e ritiene di poter confutare la tesi dellinterlocutore sulla base di quanto condividono. Gorg. 481 c-d. 88 E allora porremo il moto, uno di questi due, che sempre muove altro e da altro viene modificato, come nona specie di moto, e quello che muove se stesso e gli altri e che si conf a tutto ci che vien fatto e subto, e si chiama veramente modificazione e moto di tutte le cose che sono, questo moto diremo che costituisce, possiamo dirlo, la decima specie. Leg. X 894 c. Il principio quindi di tutti i moti, il primo moto che venuto ad essere sia nelle cose in quiete sia nelle cose in moto, il moto che muove se stesso, diremo che necessariamente il pi vecchio e il pi potente di tutti i mutamenti, e che quello la cui modificazione dipende da altro, e che muove altro, viene dopo il primo. Leg. X 895 b. Quale la definizione di ci che ha nome anima? Ce n unaltra, che noi abbiamo da dire, oltre a quella che stata data or ora, il moto che pu muovere se stesso? Leg. X 896 a. 89 Tim. 57 e. Il movimento dato cio da una diversit, da uno scarto tra due elementi, come appunto dellanima, la quale, costituita da un misto di identico e diverso (descritto nel Timeo come un doppio cerchio semovente, Tim. 36 c), necessariamente muove uno dei due elementi verso laltro. Secondo le intenzioni del Demiurgo, il diverso deve volgersi verso lidentico: in questo modo lAnima del mondo genera la realt sensibile, e lanima umana va verso la conoscenza e il bene; mentre, se la direzione invertita, il Cosmo va verso la propria distruzione (verso il mare infinito della dissomiglianza, Polit. 273 d), e luomo verso la condizione del dannato descritta nel Gorgia (Gorg. 492 e ss).

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Gli amici delle forme potranno per ci condurre fino a questo vertice i figli della terra; non solo: essi soltanto potranno mostrare a questi ultimi quale sia la realt del corporeo a cui sono abbarbicati, e come essa non sia altro che una immagine dellintellegibile, creata da Dio.90 Qui Platone mostra il limite della bella scienza delle idee, di cui parla nella Lettera VI,91 per fare intravedere il passo successivo da compiere per poter comprendere il principio assoluto. Lo straniero, interpretando il pensiero degli amici delle forme, dice:
Essi obiettano pertanto che mentre al divenire appartiene la potenza di fare o di subire, allessere non si addice la potenza n delluna n dellaltra cosa. TEET. E ha senso questo che dicono? LO STR. una cosa per cui noi dobbiamo dire che abbiamo bisogno di conoscere da loro ancora pi chiaramente se ammettono che lanima conosca e che lessere sia conosciuto. TEET. Questo almeno lo ammettono. LO STR. Ebbene? Dite voi che il conoscere o lessere conosciuto unazione fatta, oppure subta, oppure ciascuno di essi luno e laltro? Oppure ancora uno di essi azione subta, laltro azione fatta? Oppure nessuno di essi due partecipa per nulla di ci che azione fatta e azione subta? TEET. chiaro che vale questultimo caso; altrimenti ammetterebbero cose opposte a quanto dicevano prima. LO STR. Comprendo. Dicono questo: Se il conoscere ha da essere un fare, per necessit consegue che ci che viene conosciuto subisca. E cos lessere, appunto per questa ragione, essendo esso conosciuto dalla conoscenza, per tanto, per quanto conosciuto, si muove perch subisce unazione, la qual cosa noi affermiamo non poter accadere per ci che sta in quiete. TEET. Giusto. LO STR. E allora per Zeus? Ci faremo persuadere cos facilmente che in realt il moto, la vita, lanima, lintelligenza non ineriscono a ci che assolutamente , chesso n vive n pensa, ma invece venerabile e santo, senza intelletto, se ne sta fermo, immoto? TEET. Straniero, noi accetteremmo un discorso che senza dubbio gravissimo. LO STR. Ma dobbiamo dire che ha intelletto ma non ha vita? TEET. E come potremmo? LO STR. Allora noi ammettiamo che ambedue queste cose ineriscano ad esso; non diremo chesso le possiede in quanto risiedono nellanima? TEET. E in quale altro modo le potrebbe avere? LO STR. per possibile che avendo intelletto, vita, anima, stia assolutamente immobile, pur essendo appunto animato? TEET. Mi pare che tutto ci sia assurdo. LO STR. Dobbiamo dunque ammettere che anche ci che si muove e il moto stesso sono cose che sono? TEET. E come no? LO STR. Ne consegue dunque, Teeteto, che per le cose che sono immobili, non vi in nessuna, in nessun luogo, intelletto assolutamente. TEET. Certamente. LO STR. E, daltra parte, se noi ammettiamo che tutte le cose si spostino, si muovano, per questo stesso discorso noi verremo ad escludere ancora per le cose che sono, la stessa cosa, lintelletto. TEET. E come? LO STR. Forse ti pare che potrebbe mai venire ad essere in altro modo che in quiete lessere secondo le identiche condizioni, nello identico modo, in relazione allidentico oggetto? TEET. In nessun altro modo. LO STR. E allora? Forse tu riesci a vedere che in un qualche luogo, mai, lintelletto sia o sia stato senza questa condizione nel suo oggetto? TEET. Per nulla. LO STR. Ora certo che bisogna che noi rivolgiamo ogni nostro discorso a combattere chi, in qualunque modo lo faccia, si sforzi di annullare la scienza, lintelligenza, o lintelletto, in relazione a qualche oggetto. TEET. Sicuramente. LO STR. Per chi filosofo dunque, ed onora questi valori sopra ogni altro, evidentemente vha stretta necessit, per quanto s visto, di non accettare il tutto immobile di quelli che sostengono lunit di esso o di quegli altri che affermano la molteplicit delle forme, e daltra parte neppure ascoltare, assolutamente, coloro che muovono da tutti i punti di vista ci che , ma, come la preghiera dei fanciulli vuole che quanto immobile anche si muova, bisogna dire che ci che ed il tutto sono immobili ed in movimento. 92 TEET. Verissimo.

Dunque, il moto, la vita, lanima, lintelligenza [] ineriscono a ci che assolutamente , allEssere assoluto: Egli possiede intelletto perch possiede vita, e possiede vita perch ha unanima: in lui presente un moto vitale; e occorre dissentire da chi afferma che venerabile e santo, senza intelletto, se ne sta fermo, immobile. Gi nel Filebo Socrate aveva affermato che Sapienza e mente senza lanima non sarebbero mai. [Per cui] dirai cos che nella natura di Zeus si ingenera unanima regale e cos una mente regale per virt della causa, causa che era stata definita poco prima come totale e multiforme sapienza.93 Intelligente, vivo, animato, ha in s un moto statico, secondo lespressione che user lo straniero pi avanti. Si avvera, con questa mescolanza di contrari, la speranza espressa da Socrate nel Parmenide, che qualcuno riesca a dimostrare come i contrari si possano trovare uniti: Se uno invece, a proposito delle cose che dicevo poco fa, in primo luogo divide le idee in s e per s separandole luna dallaltra, come per esempio somiglianza e dissomiglianza, molteplicit e unit, quiete e moto e tutte le altre di questo genere, e poi mostri che tra loro stesse queste idee hanno la possibilit di mescolarsi e separarsi, allora sarei straordinariamente lieto, Zenone.94 Per Platone dunque, come ha affermato lo straniero, lEssere assoluto subisce la conoscenza delluomo e persino la sua azione. Quellelemento intermedio tra il corporeo e lintellegibile, individuato nellanima, giunge fino a Dio e, per cos dire, lo tocca.95 LAssoluto descritto dallo straniero potrebbe rappresentare il livello massimo del pensiero platonico, se non avessimo altri elementi per farcelo considerare inferiore a quello che ce la mostra non solo Dio unico e sommo su tutto ci che ha generato, ma anche uno e trino, la cui natura data dal non poter esistere lEssere senza lUno, n lUno e lEssere senza il Bene, ciascuno a s e in essenziale relazione con gli altri; per cui si delinea come Tre nello stesso momento che sono Uno.96 Per questo vertice che la mente scopre, Platone, oltre ai termini di Bellezza, Verit e Bene, che spesso ricorrono nei dialoghi, ha espressioni diverse che presentiamo in questo schema. 1. Bellezza, Sapienza, Bont (Phaedr. 246 e) 2. Bellezza, Giustizia, Bont (Euthyphr. 7 d) 3. Bellezza, Verit, Proporzione (Phil. 65 a) 4. Mente, Sapienza, Anima (Phil. 30 c-d)
V. R. Li Volsi, Il sentiero platonico della verit e dellEssere. Epist. VI 322 d. Soph. 248 c-249 d. 93 Phil. 30 c-d; 30 b. 94 Parm. 129 d-e. Ricordiamo che nel Parmenide questa unione di contrari avviene nellistante, cio in quella condizione fuori del tempo che delleterno. Parm. 156 c-d. 95 V. il passo del Parmenide relativo al padrone e allo schiavo. Parm. 133 c ss. 96 Dice Platone per bocca di Timeo: Perch quando di tre numeri o masse o potenze quali si vogliano, il medio sta allultimo come il primo al medio, e daltra parte ancora il medio sta al primo, come lultimo al medio, allora il medio divenendo primo e ultimo, e lultimo e il primo divenendo a lor volta medi ambedue, cos di necessit accadr che tutti siano gli stessi, e divenuti gli stessi fra loro, saranno tutti una cosa sola. Tim. 31 c-32 a.
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5. Vita, Pensiero, Anima (Soph. 248 e-249 a) 6. Ci da cui deriva la Mente, Mente, Vivere (Crat. 396 a-c) 7. Padre della Guida e della Causa, Causa, Guida (Epist. VI 323 d) 8. Primo Re, Secondo Re, Terzo Re (Epist. II 312 d-313 a) 9. Uno in s, Uno che , Uno risultante nellIstante (Parm. 137 c-157 b) Ma necessario intanto seguire lanalisi dello straniero, di questo personaggio totalmente straniero rispetto al modo comune di pensare.

7. Il legame e i generi sommi Per introdurre il discorso sui generi sommi, ritenuto generalmente dagli studiosi la parte pi importante e quella risolutiva del dialogo, lo straniero propone al suo giovane interlocutore di prendere le parti di coloro che dicevano essere il tutto composto di caldo e di freddo, e rispondere per loro. Dice cos:
[] prover anzi a far questo interrogando te nello stesso modo in cui noi allora interrogavamo quelli, affinch insieme facciamo anche qualche passo innanzi. TEET. Hai ragione. LO STR. Bene; il moto e la quiete non li dici opposti fra loro al massimo grado? TEET. Come no, infatti? LO STR. E certo tu affermi parimenti che tutti e due sono ed pure sia luno che laltro dei due. TEET. Lo affermo infatti. LO STR. Ma intendi tu dire che tutti e due si muovono e che pure sia luno che laltro dei due si muove, nellammettere che sono? TEET. Per nulla. LO STR. Dunque dicendo che tutti e due sono, intendi dire che tutti e due stanno? TEET. E come? LO STR. Oltre a questi dunque tu ammetti, nel tuo pensiero, una terza cosa, ci che , quasi che da questo la quiete e il moto siano circondati, e avendo raccolto questi ultimi insieme, e passando ad osservare che essi hanno in comune lessere, proprio per questo tu hai detto che ambedue sono? TEET. S, ogni volta 97 che noi diciamo che il moto e la quiete sono, probabile che ci che venga supposto nel nostro discorso veramente come una terza cosa.

Come inizialmente aveva obbiettato ai dualisti che caldo e freddo o si riconducono allunico essere o sono tre con esso, cos ora devono affermare che tre sono anche moto, quiete ed essere Ma intanto le obiezioni incalzano. E cos ci che , dice lo straniero in quanto ci che , n sta n si muove. TEET. Direi. LO STR. E dove deve ancora volgere il pensiero chi vuole fondare entro di s una chiara conoscenza dellessere? TEET. Dove dunque? LO STR. Io penso che ormai non sia facile volgersi ad alcun luogo. Se infatti qualche cosa non si muove, come non sta? O se qualche cosa non sta, in nessun modo, come daltra parte non si muove? Ma ci che ora ci si rivelato estraneo sia alla quiete che al moto; dunque una cosa possibile questa? TEET. la meno possibile di tutte.98 Lanalisi condotta nel Parmenide sulluno aveva portato alla affermazione che luno in s non affetto n da quiete n da moto, come da nessun altro contrario, mentre luno che affetto da tutti i contrari. Dunque, nellAssoluto quiete e moto sono presenti nellEssere, ma non nellUno in s, e questa presenza e questa assenza sono, per cos dire, sublimate dal Bene, che unifica Uno ed Essere. Cos che, a ci che non estraneo n la quiete e n il moto; ch se dicessimo il contrario, sarebbe la cosa meno possibile di tutte. Daltra parte, abbiamo visto che lAssoluto ha moto, vita, anima e intelligenza. Poco dopo, lo straniero pone la necessit di una scelta tra tre possibilit:
Dobbiamo forse rinunciare a congiungere lessere al moto e alla quiete e pure ogni altra cosa ad ogni altra, e cos nei nostri discorsi affermare che tali sono, non fusibili insieme, e che impossibile che luna partecipi dellaltra, o invece tali cose tutte riuniremo insieme in quanto passibili di comunicarsi reciprocamente? Oppure diremo che ci vale per le une e non per le altre? Di queste soluzioni, Teeteto, secondo noi quale che quelli preferirebbero? TEET. Io non ho nulla da rispondere a queste domande in loro vece. Perch dunque non rispondi tu a ciascuna di esse e non esamini ci che ognuna di esse comporta come sue conseguenze? LO STR. Benissimo. Poniamo allora, se non ti spiace, che essi dicano prima di tutto che nulla ha con nulla nessuna capacit di comunione sotto nessun rapporto. Dunque il moto e la quiete per nessuna via parteciperanno dellessere, non vero? TEET. Per nessuna. LO STR. Ma come? Uno di questi due sar mai senza aver parte allessere? TEET. Non sar. LO STR. Una volta fatta questa ammissione, immediatamente, evidente, si rovescia ogni opinione, sia di quelli che vedono il tutto in movimento sia di quelli che lo pongono come una unit immobile, e lo stesso per quanti affermano che le cose che sono, sono in quanto forme eternamente identiche a se stesse; tutti questi infatti operano il collegamento dellessere al moto e alla quiete, gli 99 uni dicendo che in tanto in quanto si muove, gli altri che in tanto in quanto sta fermo. TEET. Perfettamente. LO STR. E certo anche quelli che in un momento fanno che le cose siano tutte insieme, in un altro distinte, sia che le concentrino nelluno e che dalluno le traggano in numero infinito, sia che le distinguano in un numero limitato di elementi e successivamente le riuniscano in un composto di questi, tutti costoro sia che affermino che ci avviene volta a volta, sia pure anche se dicono che ci avviene continuamente, tutto ci che dicono non 100 avrebbe nessun senso, se non si desse alcuna mescolanza possibile. TEET. Giusto. LO STR. Ma certo fanno ancora il discorso pi ridicolo
Soph. 250 a-c. Soph. 250 c-d. 99 La distinzione ora proposta tra coloro 1. che vedono il tutto in movimento (Eraclito e seguaci); 2. coloro che lo pongono come unit inamovibile (Parmenide e seguaci); 3. coloro che affermano che le cose che sono, sono in quanto forme eternamente identiche a se stesse (gli amici delle forme: gli Accademici non in possesso del vertice del pensiero platonico). In riferimento a questultima posizione, da dire che tuttora si legge Platone attribuendogli una teoria delle idee, per cos dire, eristica, considerando cio le idee come ipostatizzate in una loro distinzione ontologica. Contro tale tipo di interpretazione, basti pensare allesempio della spola fatto da Socrate nel Cratilo: il falegname costruisce una spola guardando allidea di spola, mentre il tessitore verifica la riuscita del lavoro essendo lesperto dellarte del tessere (Crat. 389 b-c). Ma la spola, al di fuori del telaio e del complesso dello strumento del tessere, non nulla; n avrebbe alcuna funzione senza larte del tessere. Allo stesso modo, lidea di spola non esiste se non allinterno di quella di tessitura, e questa in quella di azione con arte, come abbiamo sentito dallo straniero nella sua ricerca di definire il sofista, n questa, se non allinterno della potenza di agire e patire. Occorre per ci comprendere, come si sta tentando di fare, che gli intellegibili, distinti sul piano sensibile e su quello del pensiero, formano in realt in s un unico intero: lIntellegibile, lUno che , lEssere. Che non esista, come ha equivocato Aristotele, lidea di cavallo (la cavallinit), si pu sufficientemente comprendere prendendo in considerazione, ad esempio, il passo del libro decimo delle Leggi, in cui Platone mostra che la realt sensibile si genera per un passaggio del moto ad un centro a quello a due e poi a tre centri, finch, giunto cos alle tre dimensioni, acquista la capacit di fornire sensazioni di s a tutti quelli che sono dotati della sensibilit. (Leg. X 894 a) evidente lemergere contemporaneo di ci che di ordine fisico e di ci che di ordine intellegibile: da uno a due a tre; dal rettilineo al circolare allo sferico. A cui possiamo aggiungere le molecole del Timeo che costituiscono i quattro elementi, ai quattro elementi stessi, e da questi ai composti, e dai composti, uniti alle anime, ai corpi organici e agli individui viventi. 100 Si tratta delle posizioni di Eraclito e di Empedocle.
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di tutti coloro i quali non vogliono che una cosa riceva denominazione da unaltra sulla base della sua partecipazione ad una affezione 101 dipendente da questa altra.

Stabilito che resta possibile soltanto la terza via, quella che alcune cose si possano mescolare tra loro e altre non lo possono fare, lo straniero ne verifica la tenuta mettendola alla prova con lesempio delle lettere dellalfabeto.102
Poich noi abbiamo convenuto sul fatto che anche i generi si mescolano fra loro secondo lo stesso principio, non forse ora necessario che svolga il suo discorso sulla via segnata da una qualche scienza chi vuole dimostrare con precisione e correttamente quali sono i generi che si accordano con altri determinati e quali invece fra loro non ammettono di collegarsi? E cos vedere se ce ne sono alcuni che mantengono la loro continuit attraverso tutti gli altri, in modo che questi possano mescolarsi e poi invece, dove vi separazione, vedere se ci sono altri generi cause della suddivisione fra complesso e complesso appunto di generi? TEET. E come non v bisogno infatti di una scienza, e direi, forse, della scienza pi importante? LO STR. Come dunque denomineremo questaltra scienza, Teeteto? Forse che, per Zeus, noi inavvertitamente siamo venuti a cadere nella scienza degli uomini liberi e vha probabilit che ora, mentre stiamo cercando il sofista, prima 103 del sofista abbiamo gi scoperto il filosofo?

Platone pone qui, quasi di sfuggita, una delle domande pi importanti in rapporto al suo pensiero: qual la causa dellunione, e quale quella della divisione? Abbiamo visto che la dialettica, la scienza degli uomini liberi, si avvale dei due processi di analisi e di sintesi, e come i tentativi di dare una definizione di sofista siano stati condotti sulla base del procedimento dicotomico. Ora, per quel che riguarda la causa dellunione, sappiamo che essa il bene, il quale unifica e abbraccia quanto unifica; resta per ci da vedere se possibile comprendere quale sia la causa della divisione. Nel Filebo, Protarco, mentre Socrate sta cercando la causa della commistione, fa questa domanda: E non avrai bisogno anche di un quinto il quale abbia il potere di distinguere?104 Inoltre, tra poco, lo straniero sosterr che ci che divide il non essere, e che il non essere il diverso. Ma per Platone, il termine diverso ha due significati: uno in rapporto alla diversit che una cosa ha rispetto alle altre, laltro in rapporto a ci che rende diverse le cose. La distinzione fatta nel Parmenide, quando si parla delluno in s, e il filosofo di Elea afferma che luno non sar diverso da altro, finch sia uno, perch non alluno compete di essere diverso da qualcosa, ma soltanto a ci che diverso da altro e a nientaltro. [] Dunque, in quanto uno, non sar diverso. [] Ma se non lo per questo, non lo sar neppure per se stesso e se non lo per se stesso, non lo sar neppure esso stesso. Ma non essendo esso stesso diverso in nessun modo, non sar diverso da nulla.105 Il discorso sembra dire il contrario di ci che ho appena affermato, ma in realt quello che qui Parmenide vuol mostrare che luno in s quelluno che fa s che ciascuna cosa sia una; ed essa, come abbiamo visto, sempre un intero di parti che riceve lunit dalluno in se stesso. Se una cosa diversa da unaltra, lo prima di tutto per diversa essenza; ma se anche lessenza identica, essa differisce dallaltra per la sua singolarit. Cos, suono e colore sono diversi per essenza, ma due colori, identici in quanto colori, sono diversi per la loro singolarit. Il loro esser uno li rende diversi tra loro, ma chi d loro questa unicit luno, che non diverso da nulla. La causa delle divisione sta dunque in questo uno presente in tutto e inafferrabile; che divide ciascuna cosa dalle altre, ma prima ancora divide lEssere nella partecipazione per lintero e per la parte, come cercheremo di mostrare: divide cio lIntellegibile da s per le anime, e in s per i corpi, in una divisione che andrebbe allinfinito se non fosse bloccata dal Bene, che determina lunione delluno in s con un determinato intellegibile.106 Se dunque guardiamo allEssere assoluto, come Platone lha concepito, possiamo dire che proprio dellUno intellegibile lessere diviso, dellUno in s dividerlo, dellUno Bene unire le parti divise. Con il Sofista intanto siamo giunti ad un passo che quasi necessariamente induce al fraintendimento, ma che, conoscendo il modo allusivo di Platone di presentare qualcosa, possiamo tentare di leggere secondo lintenzione del filosofo. Per ottenere questo risultato necessario innanzi tutto proporre una traduzione diversa da quelle che sono in genere state date finora. Lo straniero, parlando del dialettico, dice di lui: Dunque colui, che invero capace di fare ci, distingue sufficientemente, del tutto distesa, ununica forma frapposta a molte, ciascuna giacente come una a parte; e molte diverse tra loro da unica esteriormente circondate; e ununica daltra parte in una congiunta attraverso molti interi; e molte a parte del tutto separate.107
101 Soph. 251 d-252 c. Si tratta della posizione di coloro che si oppongono alla concezione platonica, come lerista del dialogo. Costoro nonaccettano che una cosa riceva la denominazione da parte delluomo sulla base della partecipazione della cosa stessa ad una affezione che dipende appunto dalluomo. Il rapporto di affezione di cui si parla dato dal fatto che cosa e anima sono entrambi intellegibili: questa, pensiero pensante; laltra, pensiero pensato. Luomo, possedendo lintellegibile della cosa come linguaggio interiore (nome per natura), pu esprimerlo in quello esteriore (nome per convenzione), come ci ha mostrato il Cratilo. 102 Lesempio della combinazione delle lettere dellalfabeto si trova anche in Theaet. 203 e ss. 103 Soph. 253 b-c. 104 Phil. 23 d. 105 Parm. 139 c. 106 In realt, se questo arresto immediato per lanima, che riceve lidentico dellintero Intellegibile, per le cose sensibili non si ha un arresto immediato, ma esse si generano progressivamente attraverso una serie di passaggi di movimenti che generano differenti essenze, come abbiamo cercato di mostrare. Quella che chiamiamo idea platonica di una cosa non per ci un intellegibile assoluto, irrelato rispetto agli altri intellegibili, ma fa parte di un complesso di elementi intellegibili che in parte si uniscono, in parte restano separati. Un accenno a questa combinazione labbiamo ancora una volta nel Parmenide, in cui troviamo alcuni esempi di cose che partecipano delle forme separate: 1. uomo, fuoco, acqua; 2. capello, fango, sudiciume (Parm. 130 b-c). Come abbiamo ricordato, uomo sta per anima, e fuoco e acqua per i quattro elementi . Cos, lunione di anima e dei quattro elementi d luogo al corpo umano (capello), mentre acqua e terra danno luogo al fango; e corpo e fango, a sporcizia o altro di assai spregiato. 107 Soph. 253 d. Riporto qui la traduzione assieme al testo platonico. Ou\kou%n o| ge tou%to dunatov dra%n Dunque colui che invero ci [] capace di fare 1. mian i\dean dia pollw%n, unica forma frapposta a molte, e|nov e|kastou keimenou cwriv, una ciascuna giacente a parte, panth diatetamenhn i|kanw%v diaisqanetai, del tutto distesa sufficientemente distingue, 2. kai pollav e|terav a\llhlwn u|po e molte diverse tra loro da

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chiaro che si tratta di quattro proposizioni il cui complemento oggetto di volta in volta : 1. ununica forma frapposta a molte; 2. molte forme, diverse tra loro, ma abbracciate da ununica; 3. ununica forma congiunta in se stessa attraverso molti interi; 4. molte forme, diverse, del tutto separate. Non si pu non notare prima di tutto la somiglianza di queste unit e di queste molteplicit rispetto ai i quattro soggetti delle ipotesi del Parmenide, e cio 1. luno che ; 2. gli altri che sono; 3. luno che non ; 4. gli altri che non sono. Non appare per ci lettura forzata quella di vedere il passo del Sofista come un richiamo alla lunga trattazione fatta sulluno e sugli altri nel Parmenide. Abbiamo gi mostrato come luno in s e luno che delle prime due ipotesi si unificano nellistante (eterno) a formare un terzo uno che li tiene uniti. Ora, lespressione usata dallo straniero allude a questo, se intendiamo la frase ununica forma frapposta a molte, ciascuna giacente come una a parte come ununica forma posta tra due, ciascuna opposta allaltra. Cos interpretando, diviene chiaro che si tratta del Bene che unisce lUno in s e lUno che , ciascuno dei quali veramente come uno a parte rispetto allaltro per i loro caratteri totalmente diversi. Linterpretazione viene avvalorata indirettamente dalla seconda espressione, perch le molte diverse tra loro da unica esteriormente circondate si presentano con la stessa configurazione degli altri che sono del Parmenide, dei quali si dice: Gli altri dalluno debbono essere quindi un tutto uno, compiuto, dotato di parti, come abbracciato da ununica forma.108 Anche quellunica poi che si congiunge a se stessa attraverso una molteplicit di interi non pare possa significare altro che luno che non , ma che diviene; e cio, lanima che si realizza mediante lacquisizione di una molteplicit di intellegibili. In fine, le molte forme del tutto separate non sembrano indicare altro che la molteplicit degli intellegibili quali modelli delle cose sensibili. In altre parole, lo straniero indica nel dialettico colui che, per mezzo della sua arte, sa cogliere i quattro piani della realt e le loro connessioni. Tra i generi dunque, continua lo straniero i pi importanti sono quelli di cui noi abbiamo trattato poco fa, ci che , in quanto tale, la quiete e il moto,109 a cui ora aggiunge lidentico e il diverso. giunto in questo modo ad individuare cinque generi sommi, due dei quali, lidentico e il diverso, erano stati messi in evidenza in modo particolare nel Parmenide assieme allintero e alle parti.110 Lo straniero svolge il proprio discorso soprattutto sul diverso, poich ciascuno diverso dagli altri, ma nessuno il diverso se non il solo diverso. Cos, di contro, ciascuno identico a s, ma nessuno lidentico se non il solo identico. Ma lidentico e il diverso dellanima da dove ricevono la loro natura? Noi abbiamo gi ricordato che nel Timeo lidentico e il diverso sono presentati come i due elementi costitutivi dellanima; e un accenno a definire lanima come identico lo troviamo gi nel giovanile Alcibiade I.111 lidentico dellanima che fa cogliere ci che identico nelle cose, mentre con il diverso che si coglie il loro reciproco essere diverse.112 Ma, se lidentico dellanima scopre lidentit tra due cose perch prima di tutto identico a se stesso, da dove gli deriva questo carattere? Ora, nel Timeo si afferma che lidentico partecipa dellessenza indivisibile,113 cio dellIntellegibile, ed di natura intellegibile: cio pensiero pensante. Inoltre, in un passo del Teeteto lanima presentata come idea, in cui si trovano tutte le facolt.114 Non dobbiamo per affrettarci a concludere che dunque lanima partecipa dellidea dellidentico, quanto piuttosto prendere in considerazione la teoria della partecipazione esposta nel Parmenide, con la quale tocchiamo un punto fondamentale del pensiero platonico. In questo dialogo, lEleate afferma che non ci possono essere altro che due forme di partecipazione: per lintera forma separata (intellegibile), e per la sua parte.115 per fuorviante prendere alla lettera gli esempi proposti dallEleate al giovane Socrate, poich essi sono allusivi della concezione che Platone vuole presentare indirettamente.116 In realt, le due forme di partecipazione riguardano lintero Intellegibile e una sua parte; e infatti la partecipazione ad una particolare idea (es. grandezza) una partecipazione per la parte, essendo essa un qualsiasi intellegibile, sempre parte dellintero Intellegibile. Occorre per ci vedere se queste due forme di partecipazione si riferiscono a due generi del tutto diversi di enti. Le indicazioni non mancano infatti nel Parmenide:
mia%v e\xwqen periecomenav, unica esteriormente circondate, 3. kai mian au% di \ o|lwn e unica daltra parte attraverso interi pollw%n e\n e|ni sunhmmenhn, molti in una congiunta, 4. kai pollav cwriv painth diwrismenav. e molte a parte del tutto separate. 108 Parm. 157 e. Ricordiamo inoltre che nel Timeo, parlando della generazione del Cosmo, il protagonista afferma che esso stato fatto a somiglianza del cosmo intellegibile: Perch quello ha dentro di s compresi tutti gli animali intellegibili, come questo nostro mondo contiene noi e tutti gli altri animali visibili. Tim. 30 c-d. 109 Soph. 254 d. 110 Parm. 146 b. 111 Alc. I 129 b, 130 d. 112 Theaet. 184 e ss. 113 Tim. 34 c. 114 Theaet. 184 d. 115 Ora, ciascun oggetto che partecipa partecipa dellintera idea o di una parte? O sarebbe possibile qualche altro modo di partecipare al di fuori di questi? Parm. 131 a. 116 I tre esempi sono relativi alle idee di grandezza, uguaglianza e piccolezza, e alla lettera mostrano limpossibilit di una partecipazione per lintero e per la parte di ciascuno di loro. La soluzione di queste particolari partecipazioni viene presentata nella seconda ipotesi. Parm. 149 d ss.

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1. in precedenza, erano stati proposti quattro esempi di possibili enti soggetti alla partecipazione,117 tra cui lanima e i quattro elementi di Empedocle; 2. in seguito, si parla del possibile rapporto tra cose e intellegibili in termini o di pensieri pensanti o di pensieri pensati, come abbiamo gi anticipato; 3. e inoltre, o come di note caratteristiche delle cose o come di modelli in rapporto a copie.118 Poich Parmenide parla poi di divisione dellintellegibile partecipato, possiamo trarre queste conclusioni: 1. la partecipazione per lintero Intellegibile avviene quando lanima che ne partecipa, ricevendone lidentico, di cui risulta composta: si tratta di una nota caratteristica che fa s che essa diventi pensiero pensante. In questo caso lIntellegibile si divide da se stesso, e lanima si presenta come un intero tanto quanto lIntellegibile; 2. la partecipazione per la parte dellIntellegibile avviene quando la realt sensibile che ne partecipa, copiando il modello intellegibile, che diviene una serie di pensieri pensati. In questo caso lIntellegibile si divide in se stesso (non per realmente), e la cosa si presenta come parte dellintero Cosmo. Vi sono per ci due tipi di realt strettamente legate tra loro: lanima, capace di sentire, e la realt corporea, capace di essere sentita. Senza entrare in modo approfondito nel problema, diciamo semplicemente che tra lanima umana e i corpi vi il rapporto essenziale di intero e parti, nel senso che ogni elemento conoscitivo (idea di una cosa) sempre una parte dellanima, di questa forma che si presenta come ununica [forma ] in una congiunta attraverso molti interi, come aveva detto lo straniero.119 Ogni corpo, in se stesso, invece parte del Cosmo, il quale, nella sua interezza, partecipa anche esso dellintero Intellegibile: lEsemplare di cui parla Timeo.120 Per quel che riguarda i generi sommi, poich il problema ci appare ridimensionato, aggiungiamo poche cose alle gi dette. Moto e quiete sono opposti come lo sono identico e diverso; e ciascuno identico a s e diverso dagli altri, come pure lo lessere. Inoltre, gli altri dallessere non sono lessere, ma sono essere. Tuttavia, essendo diversi dallessere, sono anche non essere: non il non essere in senso assoluto, il quale non , ma in quello relativo di essere un misto di essere e di non essere, nel quale misto, la parte di essere data dallintellegibile dellEssere, la parte di non essere data dallUno in s in quanto diverso.

8. Il problema del discorso e la definizione di sofista Terminata la discussione sui generi sommi, lo straniero riprende il discorso interrotto da tanto lunga trattazione per vedere se ci che non , e cio il diverso si unisca alla opinione e al discorso.121 Infatti, se questa unione possibile, sar anche possibile definire il sofista; se invece non vi fosse nessuna unione di nessuna cosa con nessuna,122 egli continuerebbe a sfuggire alla presa. Come abbiamo gi accennato, la posizione di chi non ammette nessuna unione di nessuna cosa con nessuna propria di quella parte della sofistica che leristica; e abbiamo ricordato la figura platonica di Eutidemo. Il principio di questo giocoliere della parola presentato nel Cratilo,123 mentre egli ne fa abbondante uso nel dialogo a lui intitolato. la posizione di colui che apparir come uno che ha gli occhi chiusi o addirittura del tutto privo degli occhi, pur di negare la possibilit del falso; e abbiamo visto che la base della sua premessa sta nella verit parmenidea. Storicamente, vanno riconosciute due discendenze eterodosse della verit eleatica: quella fisica di Democrito, per il quale gli atomi sono il vero essere, e il non essere il semplice vuoto; e quella linguistica di Eutidemo, per il quale qualsiasi cosa si dica sempre vera, perch sempre qualcosa che : infatti, il non essere non . Non siamo per ci davanti alle negazioni di Gorgia, con il radicale capovolgimento della posizione parmenidea. Eutidemo invece laccoglie totalmente, pur nel pluralismo implicito che dovrebbe essere negato: lessere , pensabile ed dicibile, quale che sia la sua forma assunta, e per ci il non essere non entra nel discorso, e dunque neppure il falso e linganno. La parola una ipostasi del pensiero, il quale una ipostasi dellEssere; e lEssere la Verit, e la Verit non ha un contrario, poich il contrario corrisponderebbe al non essere. Dunque n il pensiero n il discorso possono essere falsi. Il principio eristico chiaramente indicato nellEutidemo stesso, mescolato ai tanti giochi dei due fratelli provenienti da Turi, e confutato dal punto di vista pratico da Socrate.
Ctesippo rimase in silenzio, ma io, meravigliato per quel suo discorso, dissi: - Cosa dici, Dionisodoro? Codesto tipo di discorso, non nuovo, che gi da molti e spesso ho ascoltato, mi ha sempre meravigliato (i seguaci di Protagora ne facevano largo uso ed anche altri in epoca pi antica; a me personalmente desta sempre meraviglia, ch, mi sembra, butta in aria non solo gli altri ragionamenti, ma anche se stesso); ora, credo che da nessuno meglio che da te potr sapere la verit. In altri termini, insomma: dire il falso non esiste? questa la sostanza del discorso, non cos? In definitiva, dunque, quando si parla si dice la verit o non si dice nulla? Acconsent. - Pu darsi, invece, che non esista dire il falso, ma opinare il falso? - Neppure opinare il falso, rispose. - E allora, aggiunsi, neppure esiste opinione falsa? - No!, rispose. Neppure, dunque, ignoranza e uomini ignoranti; o lignoranza, se ci fosse, non altro sarebbe appunto che lingannarsi sulle cose? - Sicuro!, disse. - Ma questo non [possibile], aggiunsi. - No!, rispose. - Ma tu, Dionisodoro, dici cos per dire, per assurdo, o veramente credi che
117 I quattro esempi sono relativi a tre termini ciascuno: 1. somiglianza, uno, molteplicit 2. giusto, bello, bene 3. uomo, fuoco, acqua 4. capello, fango, sudiciume (Parm. 130 b-c) chiaro che fuoco e acqua rappresentano i quattro elementi empedoclei; inoltre si deve anche tenere presente che uomo significa per Platone anima. V. Alc. I 129 b ss. 118 Parm. 132 a-d. 119 V. R. Li Volsi, Il sentiero platonico della verit e dellEssere. 120 Tim. 28 a-b. 121 Soph. 260 b. 122 Soph. 260 b. 123 Senonch, neppur seguendo Eutidemo, penso, dice Socrate a Ermogene a te sembra che tutte le cose siano allo stesso modo, insieme e sempre. Crat. 386 d-e.

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nessun uomo sia ignorante? - E tu, confutami!, rispose. - Ma, secondo il tuo ragionamento, mai possibile confutare se nessuno singanna? Impossibile, rispose Eutidemo. - E allora, aggiunsi, neppure Dionisodoro mincitava ora a confutarlo? - E chi potrebbe incitare a cosa che non esiste? Forse tu inviti a questo? - Caro Eutidemo, dissi, un fatto che in codesti vostri virtuosismi, anche in quelli che sono bene impostati, io non ci capisco un gran che; poco agile il mio intelletto! Ti far, dunque, una domanda forse un po troppo grossolana, ma perdonami. Vedi un po: se non esiste n lingannarsi, n lopinare falsamente, n lessere ignorante, non sar neppure possibile sbagliare quando si faccia una qualsiasi cosa, ch non possibile che facendo quel che si fa si sbagli: non dite cos? - Certo, rispose. - Ed ecco, dissi io, la mia grossolana domanda: se non erriamo, n operando n parlando n ragionando, se cos , voi, per Zeus, cosa mai ci venite a insegnare? O non dichiaravate prima che meglio di tutti sapevate insegnare la virt a chi la desideri apprendere?124

Certamente nessuno dei personaggi platonici accetta questa tesi eristica, salvo i giovani entusiasti di Eutidemo e del fratello Dionisodoro; ma chi la volesse teoreticamente difendere si troverebbe in una condizione di grande vantaggio, e quasi di inconfutabilit, a meno che non si tentasse di afferrarlo con entrambe le mani, come suggeriva lo straniero: con quella dellessere e con quella del non essere, dopo aver dimostrato quindi che anche il non essere necessariamente , poich quel diverso che rende diverse tutte le cose; e questo non essere si unisce sia allopinione sia al discorso. Poich per gi stato ammesso che il non essere e si mescola ad alcuni generi, sar necessario vedere se si unisce anche allopinione e al discorso. La confutazione che ora lo straniero avanza, egli la esprime in questi termini:
Ci che non appariva a noi essere uno tra gli altri generi e diffuso in tutte le cose che sono. TEET. vero. LO STR. Allora, dopo di ci, noi dobbiamo vedere se si unisce alla opinione e al discorso. TEET. Perch? LO STR. Perch qualora non si unisca ad essi, allora necessario che tutti i discorsi e le opinioni siano veri, ma se vi si unisce sia lopinione che il discorso diventano falsi. Opinare o discorrere delle cose che non sono, questo , direi, il falso nel pensiero e nei discorsi. TEET. Giusto. LO STR. Se vi falsit vi inganno. TEET. S. LO STR. E se vi inganno, dove esso , per necessit tutto per ci stesso pieno di immagini, di rappresentazioni e di apparenze. TEET. Come no, infatti? LO STR. Noi dicevamo che il sofista si rifugiato in un simile rifugio, negando per egli assolutamente che ci sia il falso: ci che non non si pu pensare n dire, ci che non non partecipa in nessun modo, per nulla, dellessere. TEET. Dicevamo cos. LO STR. Ma invece questo, ci che non , ci apparso or ora partecipe di ci che , cosicch da questa parte io direi che quello non potrebbe opporci pi resistenza. Forse egli potrebbe dire, invece, che dei generi delle cose alcuni partecipano di ci che non , altri no e che il discorso e lopinione sono di questi ultimi, dimodoch egli potrebbe sostenere ancora vigorosamente che larte del creare immagini ed apparenze, arte alla quale noi diciamo che appartiene la sua, assolutamente non , appunto perch lopinione e il discorso non si uniscono a ci che non . Non avendo luogo infatti questa unione non esiste assolutamente il falso. Perci dunque necessario ricercare che cosa mai il discorso, prima di tutto, e poi lopinione, e lapparenza, affinch, quando queste cose siano state chiarite, noi riusciamo anche a vedere come si uniscono a ci che non , e avendo visto ci dimostriamo che il falso , e avendo dimostrato che questo , noi possiamo legarvi solidamente il sofista, se appunto egli reo di questo delitto, oppure una volta proscioltolo, possiamo poi cercarlo in un altro genere di cose. TEET. Pare, straniero, che sia esattamente vero quanto allinizio si disse del sofista, che cio apparteneva ad un genere di fatti difficilissimi da cacciare. Ci si rivela infatti colmo di difese, e, come egli ne abbia messa innanzi qualcuna, necessario debellare questa prima di giungere sopra di lui. Poco fa infatti noi avevamo appena superata la sua difesa, costituita dalla proposizione: ci che non , non , che da lui ci era stata opposta, ed ora egli ci oppone unaltra difesa; bisogna cio che noi dimostriamo che pu esserci il falso sia nel discorso che nellopinione. Quando avremo fatto questo, forse egli ce ne metter innanzi unaltra, e dopo unaltra ancora. E mi pare che non arriveremo 125 mai alla fine. LO STR. Bisogna avere coraggio, Teeteto, una volta che si pu anche di poco avanzare con continuit.

Il punto debole del sofista appare chiaro: se il discorso fosse espressione di un pensiero che fosse conoscenza, sarebbe sempre vero, perch la conoscenza sempre vera, non potendo presentare direttamente il non essere; ma essendo espressione anche di opinione, esso pu esserlo anche di opinione falsa, poich lopinione, a differenza delle conoscenza, pu essere sia vera sia falsa. Ma come possiamo affermare che conoscenza e opinione sono forme diverse di pensiero? Tutto il Teeteto scritto in funzione di questa distinzione, come anche di quella tra conoscenza e sensazione. Non ostante la conclusione negativa del dialogo, quello che da esso possiamo trarre la concezione che la conoscenza non sensazione, n opinione vera, ma si genera quando dalla prima si passa alla seconda, e da questa allopinione unita a ragione. Questultima, che viene formalmente negata come conoscenza in ciascuno dei suoi tre significati, in realt proprio conoscenza se li comprende tutti, dando luogo a 1. unespressione del pensiero, 2. di una totalit di elementi, 3. ciascuno definito in s.126 Il fatto che questa forma di opinione sia legata alla radice stessa del pensiero (principio dellintelletto) fa s che sia una conoscenza e non una semplice opinione vera, la quale invece sempre ancorata al sensibile. Occorre inoltre ricordare che opinione e conoscenza riguardano facolt diverse: lopinione nasce dal rapporto tra immaginazione e credenza, mentre la conoscenza dal rapporto tra ragione discorsiva e intelletto. Si ricorder che la prima delle quattro facolt ha come oggetti le immagini (dei sensi); la seconda, le cose; la terza, le scienze ipotetiche; la quarta, il principio. Per ci, non vero affermare che anche nelle scienze vi pu essere errore, perch in questo caso per Platone non si pu parlare veramente di scienze e di conoscenza, in quanto la conoscenza coglie sempre la verit. Di contro, la credenza che abbiamo delle cose pu essere vera o falsa, senza che per questo ci che pensiamo non sia opinione. Insomma, la conoscenza sempre vera; lopinione pu essere vera o falsa. Del resto, Platone insister sempre sulla loro differenza.127 Quanto al discorso, esso esprime sempre il pensiero in entrambe le forme; quindi tanto allopinione quanto al discorso pu unirsi il non essere.
E allora? Il pensiero e lopinione e lapparenza non ormai evidente che sono tutte cose, queste, che si producono nelle nostre anime ora false, ora vere? TEET. Come? LO STR. Lo capirai pi facilmente se prima tu comprenderai che cosa esse sono e in che cosa ciascuna differisce dalle altre. TEET. Non hai che da dirmelo tu. LO STR. Il pensiero dunque e il discorso sono la stessa cosa, con la sola differenza
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Euthyd. 286 b-287 b. Soph. 260 b-261 b. Theaet. 206 c ss. 127 Della differenza tra opinione vera e conoscenza Platone parla in diversi dialoghi; v. per tutti Tim. 51 d.

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che quel discorso che avviene allinterno dellanima, fatto dallanima con se stessa, senza voce, proprio questo fu denominato da noi pensiero. Va bene? TEET. Benissimo. LO STR. Non si chiamato discorso invece il flusso che dallanima esce attraverso la bocca e si accompagna al suono della voce? TEET. vero. LO STR. E daltra parte, noi per certo sappiamo che nei discorsi c TEET. Che cosa? LO STR. Laffermazione e la negazione. TEET. Lo sappiamo. LO STR. E quando ci si realizza nellanima, come pensiero, in silenzio, sai tu come chiamare questo fatto altrimenti che opinione? TEET. E come se non cos? LO STR. E quando tale affezione si verifica, in qualcuno, non pi per s ma sulla base della sensazione possibile chiamarla senza errore altrimenti che apparenza? TEET. Non possibile. LO STR. Poich dunque abbiamo visto che il discorso vero e falso, e poich, fra i discorsi, il pensiero noi vedemmo che una conversazione che lanima fa con se stessa, e poi lopinione la conclusione del pensiero e vedemmo pure che quando diciamo la parola appare v una mescolanza di sensazione e di opinione, certo necessario anche ammettere che essendo le apparenze congeneri al discorso, alcune di esse e 128 qualche volta siano false.

Bisogna dunque fare un passo ulteriore, poich il sofista si nasconde dietro limmagine, e le immagini sono di vario genere: quelle proprie dellimmaginazione, siano esse quelle dei sensi siano quelle della fantasia poetica;129 e quelle che sono dellintelletto, e che chiamiamo idee o intellegibili. Mentre le prime dipendono dalla realt sensibile, e presentano le sue qualit,130 le seconde dipendono dalle forme separate o intellegibili in senso ontologico, e presentano le essenze delle cose. Anche la molteplicit degli intellegibili comporta il non essere, poich le molteplicit la negazione dellunit e dellunicit dellEssere parmenideo. Come abbiamo gi avvertito, lo straniero non si pone sul piano pi elevato di trattazione, che compete al filosofo di Elea: qui dunque non si d una completa confutazione delleristica. Ma si deve tuttavia tenere presente che la molteplicit di intellegibili nelluomo e nelle cose, come quello dello Schiavo in s (gli di), dipende dallintero Intellegibile che lEssere. LEssere intellegibile ha in s una molteplicit, una infinita ricchezza, presentata nella seconda ipotesi del Parmenide come linfinito dei numeri e di tutti i contrari; ma questa molteplicit non determinata e distinta, perch lUno in s non lo divide ad intra. La divisione che lUno opera nellEssere avviene ad extra quando vengono generati gli altri piani di realt: di, anime, corpi. LEssere di Parmenide di Elea rimane uno e unico anche per Platone, a fianco del quale la molteplicit in qualche modo soltanto apparenza. A questo punto, lo straniero, che intende mostrare la presenza del non essere nelle immagini, alla divisione dicotomica verticale aggiunge una divisione orizzontale: se possibile dividere in due parti larte del fare dal punto di vista del contenuto, possibile dividerla pure da quello di chi la pratica. Abbiamo cos, nel primo caso larte di fare cose e di fare immagini; nel secondo, larte divina e quella umana. Come Dio crea le cose e le loro immagini, cos fa anche luomo. Ma quali sono le cose create da Dio, e quali le loro immagini? Dal Timeo sappiamo che Dio il padre degli di, che d ad essi il seme per la generazione delluomo (lanima);131 mentre le cose sensibili vengono allessere dopo la formazione dellAnima cosmica e dentro di lei.132 evidente che le immagini sono le cose sensibili, mentre le cose sono gli enti intellegibili. Sappiamo infatti che i corpi imitano quei modelli che sono appunto gli intellegibili; e sappiamo del resto che le cose sensibili vengono apprese dalle sensazioni, cio dallimmaginazione.133 Quanto alle cose e alle immagini generate dalluomo, possiamo dire qualcosa di analogo per quanto riguarda lanima, e cio che in essa uno scrivano scrive le prime, e un pittore dipinge le seconde, come dice Socrate nel Filebo, cio lo scrivano scrive la conoscenza, mentre il pittore dipinge lopinione.134 Torna ad ogni modo il discorso dellintero Intellegibile (Padrone in s) e delle parti che sono i molteplici intellegibili (Schiavo in s), dellintero che lanima (padrone umano) e delle parti della realt sensibile (schiavo umano). Il dialettico, afferrando con entrambe le mani il sofista lo costringe per ci ad affermare che, sebbene il non essere non sia nel vero Essere, per come diverso negli esseri degli altri livelli; e che lEssere non viene diviso realmente dallUno in s che tutto divide, ma che le cose che genera, generate per partecipazione per lintero e per la parte, sono sempre composte di essere e non essere. Cos per noi ci che , per quanti sono gli altri generi, per tante volte non ; esso infatti non essendo quegli altri generi uno, come tale, ma daltra parte non questi altri che sono infiniti di numero.135 E pi sotto, conclude: Anche ci che non , per la stessa ragione, vedemmo essere, ed non essendo, ed un genere da annoverare fra i molti altri che sono.136 In altri termini, i piani del reale in cui presente la molteplicit (di, anime, corpi) presente il non essere; ma in essi occorre fare una distinzione tra quelli in cui gli intellegibili hanno un rapporto metessico (di, anime) e quelli in cui il loro rapporto mimetico (pensiero umano e corpi). nellimitazione, come aveva precisato fin dallinizio lo straniero che insorgono lerrore, il falso e linganno: essi consistono nellerrato rapporto tra cosa e immagine, quando si attribuisce unimmagine ad una cosa di cui non immagine. Avviandosi ormai verso la conclusione, lo straniero torna ad accennare al problema del non essere in senso assoluto.
E noi invece non solo abbiamo dimostrato che sono le cose che non sono, ma siamo giunti persino a scoprire quel genere che proprio di ci che non . Dimostrando infatti che la natura del diverso ed distribuita a tutte quelle cose che sono e che hanno rapporti reciproci, noi
Soph. 263 d-264 b. Lo straniero aveva posto in precedenza la distinzione tra arte icastica e arte fantastica: la prima riproducente la realt, nelle sue proporzioni; la seconda, alterandole secondo le esigenze della prospettiva. Soph. 235 c-236 a. 130 V. Epist. VII 343 a. 131 Tim. 41 a-d. 132 Tim. 36 d-e. 133 V. lipotesi settima del Parmenide, in cui gli altri che non sono appaiono, ma non sono realmente: Ma ciascun gruppo di essi, a quanto sembra, illimitatamente molteplice e, anche se si prende quello che pare il pi piccolo, istantaneamente, come un sogno nel sonno, invece di uno come pareva, appare molti e, invece che piccolissimo, immenso in relazione alle parti che risultano dal suo spezzettamento. - giustissimo. - Dunque per gruppi del genere che gli altri saranno reciprocamente altri, se pur non essendoci luno, essi sono altri. - Precisamente. - Ci saranno allora molti gruppi, ciascuno dei quali apparir, ma non sar uno, se appunto non ci sar uno? - cos. - E sembrer che di essi ci sia numero, se ciascuno sembrer anche uno ed essi sono molti. - Certo. - [] - Un oggetto del genere, dunque, se lo si guarda da lontano e con vista debole, appare necessariamente uno, ma se lo si intende da vicino e con acutezza dintelletto, ciascuno singolarmente appare illimitatamente molteplice, se appunto privato delluno che non ? - del tutto necessario. Parm. 164 c-165 c. 134 Phil. 38 e-39b. 135 Soph. 257 a. 136 Soph. 258 c.
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osammo affermare che ciascuna parte di questa natura del diverso in quanto contrapposta a una parte di ci che , proprio essa realmente ci che non . TEET. Ed io, straniero, penso che noi abbiamo detto il vero, assolutamente. LO STR. Ma nessuno dica di noi che, indicando in ci che non lopposto di ci che , osiamo sostenere che esso in tal senso . Noi infatti gi gran tempo che diciamo di non occuparci di un opposto di ci che , se o non , se si tratta di cosa che ammetta dessere oggetto di un di scorso, o che ogni discorso rifiuti. Quanto a quello invece che noi ora abbiamo detto essere ci che non , o uno confutatici ci convincer che sbagliamo, oppure, fino a che non sappia far ci, anchesso dovr dire, come diciamo noi, e che i generi si mescolano fra loro, e che ci che e il diverso a tutti i generi si estendono e pure luno allaltro, e che il diverso in quanto partecipa di ci che , proprio per questa partecipazione, e non ci di cui lo dicemmo partecipare, ma ne diverso, ed essendo diverso da ci che , per necessit evidentissimamente deve essere non essere; ci che , a sua volta partecipando del diverso, sar diverso da tutti gli altri generi, ed essendo diverso da tutti questi non ciascuno di essi, e neppure tutti questi meno lui stesso, cosicch ci che , senza alcun dubbio, innumerevoli volte non , in innumerevoli circostanze, e cos 137 gli altri generi, uno per uno e tutti insieme analogamente, in mille modi sono, e in mille modi non sono.

, potremmo dire, il trionfo del non essere, il trionfo del diverso, delluno in s; di questo diverso che lo straniero aveva detto: A me pare che la natura del diverso si spezzetti come la scienza;138 e nel Parmenide lEleate aveva affermato che luno in s accompagna sempre luno che nella sua divisione: Dunque molti non solo luno che , ma necessario che sia molti anche luno in s, che viene distribuito ad opera dellessere.139 il trionfo dellUno quale principio dellEssere e del Bene, padre di entrambi, come dice Platone nella lettera citata: [] giuratelo in nome del dio ch guida di tutte le cose presenti e future, e del padre signore della guida e della causa. il trionfo di ci che sta al di l dellEssere di Parmenide, il quale Essere intellegibile fondamento di ogni realt e principio del conoscere, ma non lUno apofatico, che lo fonda e lo precede, e bench apofatico presso ogni forma di esistenza e di conoscenza, in quanto sempre una. un trionfo espresso da un straniero, da Platone, che ha saputo figgere lo sguardo oltre lEssere di Parmenide per abbracciare anche lpeiron di Anassimandro. Ma si avvicina ormai la possibilit di afferrare il sofista attraverso la sua definizione.
Noi dobbiamo ora ricordare che dellarte di creare immagini dovevano esserci due aspetti, quello relativo alle rappresentazioni e quello relativo alle apparenze se appunto il falso fosse esistito realmente come falso e fosse per natura una delle cose che sono. TEET. Abbiamo detto appunto cos prima. LO STR. Dato che a noi risulta cos del falso ora, senza dubbio alcuno, non possiamo forse contare quelle due come due specie di quellarte? TEET. S. LO STR. Dividiamo in due a sua volta la specie del creare apparenze. TEET. Come? LO STR. V ci che si realizza attraverso strumenti e ci che si realizza quando chi produce lapparenza esso stesso fornisce se stesso come strumento. TEET. Come dici? LO STR. Ci avviene, io credo, quando uno mima la tua figura e il tuo atteggiamento col suo proprio corpo, o la tua voce con la sua voce, e questo aspetto del creare apparenze ci che si chiama, direi, per eccellenza, mimsi. TEET. S. LO STR. Mettiamoci da parte questa specie dellarte di produrre apparenze chiamandola mimetica. [] Ora quale distinzione pi importante di quella che fra conoscenza e non conoscenza potremo porre qui? TEET. Nessuna. LO STR. Limitazione citata poco fa era dunque imitazione fatta da chi conosce? Uno imiter te e la tua figura ed il tuo atteggiamento a patto di conoscerti e di conoscerla. TEET. Come no? LO STR. E per i comportamenti secondo giustizia e secondo la virt nel suo complesso? Non vero che ignorandole, e in qualche modo avendone una opinione, i molti si sforzano e tentano di far apparire presente in se stessi ci che ad essi pare che una virt sia, imitandola pi che possono con le opere e i discorsi? TEET. Certamente, molti. LO STR. E succede forse che tutti riescono male nello sforzo di sembrare giusti, non essendolo per nulla? Oppure vero lopposto? TEET. Tutto lopposto. LO STR. E allora io penso che bisogna dire che questo imitatore 140 diverso dallaltro, quello che ignora da quello che conosce. TEET. Certo.

E limitatore non certamente il solo erista, ma appunto anche colui che finge la virt o la pratica per motivi che non sono quelli pi nobili e veri, come ci ricorda Diotma nel suo discorso fatto a Socrate, da questi riferito nel Convivio: O non pensi che solo qui, mirando la bellezza per mezzo di ci per cui visibile, [colui che giunge a contemplare la Bellezza] potr produrre non simulacri di virt, in quanto non a contatto di un simulacro, ma virt vera, perch a contatto col vero; e che avendo dato alla luce e coltivato vera virt, potr essere caro agli di e, se mai altro uomo lo divenne, immortale?141 Costui non produce immagini dentro di s, ma essere, perch la conoscenza essere, mentre lignoranza non essere, come ci dice Socrate nella Politeia.142
Comunque anche se averlo detto parr troppo audace, per distinguere una cosa dallaltra diciamo imitazione doxomimetica quella che avviene sulla base della opinione, e imitazione conoscitiva, quella che avviene sulla base della scienza. TEET. Sta bene. LO STR. Noi dobbiamo servirci di una sola di queste due; infatti il sofista non deve essere compreso fra coloro che sanno, cos dicemmo, ma fra coloro che imitano soltanto. TEET. Senza dubbio. LO STR. Esaminiamo limitazione doxomimetica come faremmo di un pezzo di ferro per vedere se sano oppure se in s ha anche qualche frattura. TEET. Vediamo. LO STR. Ce ne sono s distinzioni, e numerose; c infatti lo sciocco, il quale crede di avere conoscenza vera di tutto ci di cui ha una opinione; e c la figura dellaltro, caratterizzata dal fatto di avere molta sospettosa apprensione e paura, per la sua pratica dei discorsi, paura di ignorare ci che rispetto agli altri si d laria di conoscere. TEET. Ci sono infatti i generi cui appartengono luno e laltro uomo di cui hai parlato. LO STR. E allora luno diremo che un imitatore semplice, e laltro imitatore simulatore? TEET. Questi nomi si avvicinano alla realt della cosa. LO STR. E daltra parte di questo ultimo diremo che vha un solo genere o due? TEET. Vedi tu. LO STR. Sto guardando: e me ne appaiono due; vedo che vha chi sa praticare quella simulazione in pubblico, e con lunghi discorsi, di fronte alla folla, e chi in privato e con discorsi brevi, costringe il suo interlocutore a contraddire se stesso. TEET. verissimo quello che dici. LO STR. Chi diremo dunque che quello dei lunghi discorsi? Politico o oratore pubblico? TEET. Oratore pubblico. LO STR. E laltro invece? Lo diremo sapiente o sofista? TEET. impossibile dirlo comunque sapiente, se abbiamo appunto affermato che non sa; ma essendo un imitatore del sapiente chiaro che avr un nome derivato da questo; io posso dire ormai daver capito che costui devessere chiamato, con rispondenza esatta alla realt, proprio col nome di colui che realmente ed assolutamente sofista. LO STR. E cos salderemo, come prima facemmo, insieme raccogliendole e collegandole dalla fine al principio, le
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Soph. 258 d-259 b. Soph. 257 c. 139 Parm. 145 e. 140 Soph. 266 d-267 d. 141 Symp. 212 a. 142 Resp. IX 585 a-d.

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determinazioni del suo nome? TEET. Certo. LO STR. La specie mimetica dellarte, in quanto sia relativa allarte di mettere in contraddizione, arte che fa parte della sezione simulatrice dellarte di creare imitazioni sulla base di opinioni, la specie cio che risultata avere a s riservata larte di far giochi di prestigio nei discorsi la quale appartiene a quella di creare apparenze, e questa a sua volta dipende da quella di far immagini, la specie dunque di cui dicevo, che riguarda la parte umana e non la divina dellarte di fare, proprio a tale specie, a 143 tale stirpe, a tal sangue chi dir che il vero sofista appartiene, dir lassoluta verit, come risulta chiaro. TEET. La assoluta verit.

Platone ha in questo modo mostrato la vicinanza di filosofo e sofista, della nobile sofistica e della sofistica ignobile; vicinanza che quasi imparenta il lupo al cane,144 ma pi ancora la loro enorme distanza: il filosofo, nascosto nella luce dellessere della conoscenza, il sofista, quando lanima si slancia verso la verit e resta lontana dal congiungersi con questa, nella tenebra del non essere dellignoranza.

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Soph. 267 d-261 b. Infatti il lupo assomiglia al cane, lanimale pi selvaggio a quello pi domestico. Soph. 131 a.

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