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]s'ingannano a ogni modo coloro i quali stimano essere nata primieramente l'infelicit umana dall'iniquit e dalle cose commesse contro agli Dei; ma per lo contrario non d'altronde ebbe principio la malvagit degli uomini che dalle loro calamit.[1]

Composta a Recanati, tra il 19 gennaio e il 7 febbraio 1824.[2] Leopardi inizia le sue Operette con una favola sulla storia dell'umanit e ci narra come tutti gli uomini in origine, fossero creati per ogni dove e a un medesimo tempo e tutti bambini e nutricati da api, capre e colombe. La Terra pi piccola, il cielo senza stelle e ci sono meno meraviglie di oggi, ma nonostante tutto cresce negli uomini un'idea d'infinit e di bellezza, che li riempie di numerose aspettative e speranze, giudicando quel posto il migliore dei mondi possibili. Quando dalla fanciullezza gli uomini passano alla prima adolescenza, hanno origine i primi dissapori. Le illusioni tardano ad avverarsi, l'abitudine alla vita quotidiana, spinge alcuni a conoscere meglio il mondo, esplorandolo in lungo e in largo. Con sorpresa, i confini non appaiono pi cos vasti, il mondo privo di variet,salvo poche differenze, tutti gli esseri umani sono simili d'aspetto e di et. Cos sul declinare degli anni, convertita la saziet in odio cominciano a privarsi della vita. Gli Dei si dolgono di questo fatto; credono che l'infelicit umana sia il segno della loro imperfezione. Il rifiuto della vita, distingue gli esseri umani dagli altri esseri viventi, contravvenendo alle leggi naturali. Per migliorare le condizioni del mondo, i celesti allargano i confini, riempiono il cielo di stelle, creano pi variet di forme; diversificano le et e rendono pi difficili i contatti con altri esseri umani: montagne, colline, fiumi e laghi divideranno le popolazioni. Per aumentare l'idea d'infinito che tanto piace agli uomini, favoriscono l'immaginazione, creando il popolo dei sogni, fabbricatori di quelle immagini perplesse, impossibili da realizzare nel mondo reale. Questa seconda era dura di pi della prima. La tristezza della vecchiaia consolata dalle speranze della giovent, ma quando sopraggiunge di nuovo la stanchezza e il tedio della vita, tornano anche le vecchie situazioni. Nasce in questa era il culto dei morti, con feste che celebrano e ricordano l'estinto. Quando gli uomini si abbandonano ad ogni sorta di crimine, Giove decide di annegarli tutti, salvando solo i due pi meritevoli, Deucalione e Pirra, col compito di ripopolare la Terra. La terza epoca segnata dalla lotta alla passata oziosit. Giove crea nuovi desideri negli uomini e li mette nelle condizioni di lavorare per ottenerli. In ogni luogo stabilisce delle particolarit, comanda Mercurio di creare le citt e li distingue in popoli e nazioni. Fatto questo da all'esistenza degli uomini dei problemi veri e dei mali veri. Chi prima non aveva patito alcuna malattia ora tormentato da ogni sorta di morbo, dal clima avverso, dalle tempeste e dai

terremoti ecc. sapendo che i timori e i presenti pericoli riconcilierebbero con la vita. Per contro diffonde le arti e dei fantasmi (Gloria, Virt, Amore, Coraggio ecc.) col compito di tirar fuori il meglio dall'uomo nelle situazioni difficili. I poeti cominceranno a narrare di vite sacrificate in nome di imprese belle e gloriose. L'umanit portata a credere che l'esistenza, sebbene mediocre, sia almeno tollerabile. Il mondo cos concepito dura pi lungo di tutti gli altri ma l'eterna abitudine alla vita riporta anche l'abbandono e la noia. Per la prima volta fa la sua comparsa un fantasma chiamato Sapienza, dalle qualit neutre. Ha facolt di creare una certa aspettativa negli uomini e cio il conseguimento della verit, condizione che li avrebbe resi simili agli Dei. Tuttavia, mentre nei signori dell'Olimpo la sapienza celebra e sancisce la loro grandezza, negli uomini realizza la consapevolezza della loro miseria. l'inizio della quarta era: gli uomini arrivano a bestemmiare gli Dei, custodi gelosi di un sommo bene e rei di considerare l'umanit non degna di tale dono. Pressato dalle insistenze del genere umano, Giove delibera di far scendere, non occasionalmente, la verit nel mondo, dandole perpetua dimora tra gli uomini, contro la preoccupazione manifesta della altre divinit. Sar lo stesso Giove a tranquillizzare i fratelli, anticipando quali saranno le conseguenze. La verit render ancora pi amara la vita degli uomini, che vedranno vana qualsiasi speranza consolatoria. L'arido vero non risparmier nulla, neanche quei positivi fantasmi, da alcuni tenuti in gran rispetto e considerazione. Venendo meno tutti i valori, l'uomo avr rispetto solo per s stesso, rinunciando in modo vile a privarsi della vita. Verificata questa terribile condizione, Giove, mosso da piet e in accordo con gli altri Dei, invia sulla Terra Cupido, un Amore diverso per natura e opere dal precedente, in grado di accendere la passione tra due individui, unico rimedio passeggero all'infelicit, capace di far tornare l'uomo al tempo della fanciullezza: rinverdisce l'infinita speranza, le belle e care immagini degli anni teneri. Composto a Recanati tra il 15 e il 18 febbraio, 1824.[2] Dialogo che cita e celebra Francesco Petrarca e i suoi Trionfi.[11] La Moda, dopo essersi presentata come sua sorella, in quanto figlie della Caducit, spiega ad una frettolosa ed impegnatissima Morte in cosa del tutto simile a lei. La Moda fornisce un elenco di usanze che in suo nome gli esseri umani di ogni epoca compiono, realizzando nello stesso tempo le aspettative della Morte. Si parte dalle indicibili sofferenze per rispettare consuetudini sociali, fino agli esercizi per mantenere in salute il corpo e l'anima perch ormai decaduti quei valori antichi di sobriet ed equilibrio (tutte cose che in definitiva accorciano la vita ecc.); tanto che ormai l'immortalit cercata dagli uomini, in memoria

dell'eroe defunto, tenuta in bassissima considerazione e per amor suo, spento ogni desiderio di gloria. A trionfare, quindi, poich tutto passeggero e incostante sulla terra sar sempre lei, sua sorella maggiore, la triste Mietitrice. Riconosciuta la parentela, grazie a queste credenziali, Moda e Morte s'accordano per meglio operare e consultarsi sulle migliori soluzioni da adottare per trarre entrambe miglior partito da ogni situazione. Dialogo cinico come il Dialogo della Natura e di un'Anima e il Dialogo della Natura e di un Islandese. Oltre a Petrarca si cita Ippocrate in un passo che parla delle usanze dei popoli barbari nel trasfigurare le teste dei neonati. Sebbene la Morte sia rappresentata nei modi dell'iconografia classica, evinta dalla battuta sull'impossibilit di portare gli occhiali ( l'immagine del teschio classico), il personaggio pi originale la Moda, figura non molto diversa nell'agire dalla sorella, ma sicuramente pi elegante nel sostenere l'ipocrisia umana.

Composto a Recanati, tra l'1 e il 10 giugno, 1824.[48] Ha subito delle modifiche nelle edizioni successive
Accorato dialogo in cui l'autore rinnova la sua incondizionata reverenza [50] nei confronti del suo poeta preferito, sentito vicino, nel dramma della vita privata, [51] alla sua condizione personale di infelicit. Il tono pacato, i ragionamenti pazienti e dimessi riproducono l'immagine del sogno[52] condizione principe che mette l'essere umano nelle condizioni di rivivere sentimenti profondi e vicini all'assoluto. [53] L'immagine della donna amata[54] sublimata nel ricordo, nelle visioni vaghe e incerte della memoria, a differenza del mondo reale in cui vive l'oggetto del desiderio e della passione. Solo la speranza di rivedere un giorno l'amata sono per Tasso, l'unico piacere concessogli dal suo stato di prigionia. Il fantasma, come un caro vecchio amico, lo consola:

[...] Sappi che dal vero al sognato, non corre altra differenza, se non che questo pu qualche volta essere molto pi bello e pi dolce, che quello non pu mai. (Ibidem) La struttura tripartita del Dialogo simmetricamente scandita da tre domande specifiche che sul piano filosofico individuano tre concetti importanti del pensiero leopardiano: 1)Che cosa il vero?[55] 2) Che cos' il piacere? 3) Che cos' la noia? La riflessione sul ricordo/sogno risponde alla prima domanda in favore dell'immaginazione che supera comunque e sempre l'arido vero. Il sogno incomparabilmente pi bello e pi emozionante. Tasso stesso lo testimonia quando racconta che la sua donna sembra una dea e non una semplice bella donna quando dorme e la sogna.[56]

Il piacere non una cosa reale ma solo oggetto di speculazione; un desiderio e non un fatto, perch impossibile da conseguire in vita; un pensiero che l'uomo concepisce ma non prova. Ritornano le pagine dello Zibaldone [57] con tante immagini sull'oggetto del piacere reale e del piacere immaginato. La noia non altro che il desiderio puro della felicit che occupa tutti gli intervalli di tempo tra il piacere (fievolissimo, provato soltanto rare volte in sogno) e il dispiacere (la totalit del tempo) e quindi il dolore, rimedio alla noia.
Le considerazioni finali riguardano l'assuefazione alla prigionia che rendono l'uomo pi forte per affrontare la societ.

[...] l'uomo,[...] chiarito e disamorato delle cose umane per l'esperienza; a poco a poco assuefacendosi di nuovo a mirarle da lungi, donde elle paiono molto pi belle e pi degne che da vicino, si dimentica della loro vanit e miseria; torna a formarsi e quasi crearsi il mondo a suo modo; [...] e desiderare la vita; delle cui speranze, [...], si va nutrendo e dilettando, come egli soleva suoi primi anni. [...] e rimette in opera l'immaginazione, [...] (Ibidem)
Capitolo primo Seconda operetta divisa in capitoli dopo il Parini, che narra in stile biografico la vita di Filippo Ottonieri, filosofo vissuto in un periodo coevo rispetto al tempo narrativo del testo. Questo personaggio, che in vita non ha mai criticato i suoi simili e le loro usanze, stato sempre tenuto in scarsa considerazione dai suoi amici per il poco amore mostrato verso le consuetudini della vita incivilita. Dopo una serie di ritratti di filosofi antichi famosi, apprendiamo che l'Ottonieri si professava epicureo nella vita, mentre nella filosofia diceva di seguire l'esempio di Socrate, colui che ha fatto scendere la filosofia dal cielo, secondo Cicerone, esempio di massima coerenza nei costumi e nel pensiero; del maestro di Platone apprezza il parlare ironico e dissimulato e i particolari della sua vita: nato per amare, dal cuore delicato e fervido, fu dalla natura condannato per la forma del corpo e vissuto in un ambiente deditissimo a motteggiare. Il primo capitolo si conclude con una felice metafora sui libri e la lettura:

[...] il leggere un conversare, che si fa con chi scrisse. Ora, come nelle feste e nei sollazzi pubblici, quelli che [...] non credono di esser parte dello spettacolo, prestissimo si annoiano; cos nella conversazione pi grato generalmente il parlare che l'ascoltare. Ma i libri per necessit sono come quelle persone che stando cogli altri, parlano sempre esse, e non ascoltano mai. Per tanto di bisogno che il libro dica molto buone e belle cose, e dicale molto bene; acciocch dai lettori gli sia perdonato quel parlar sempre. Altrimenti forza che cos venga in odio qualunque libro, come ogni parlatore insaziabile. (ibidem)

Capitolo secondo Nel secondo capitolo si continua l'analisi del pensiero ottonieriano/leopardiano, vi si trova in finale del capito un'interessante critica sintetica della pretesa che

la volont umana sia libera e l'uomo sia, secondo alcuni filosofi, padrone del suo destino. Composto a Recanati, tra il 19 e il 25 ottobre, 1824.[48]
Durante la traversata dell'Atlantico,[75] stanchi della lunga navigazione e preoccupati per la sorte avversa, Colombo e Gutierrez[76] si confidano speranze e convinzioni. Il capitano non pi certo del viaggio ma l'occupazione della navigazione lo distoglie dal pensiero dell'inutilit della vita. In un clima di esaltazione dell' attivismo come mezzo per scacciare la noia e il dolore, il dialogo pone al centro il concetto di quanto l'uomo abbia cara la vita, quando, incorrendo nei pericoli, teme per essa.

Scrivono gli antichi, [...] che gli amanti infelici, gittandosi dal sasso di Santa Maura (che allora si diceva di Leucade[77]) gi nella marina, e scampandone; restavano, per grazia di Apollo, liberi dalla passione amorosa. Io [...] so bene che, usciti di quel pericolo, avranno per un poco di tempo, [...] avuta cara la vita che prima avevano in odio; o pure avuta pi cara e pi pregiata che innanzi. Ciascuna navigazione e, per giudizio mio, quasi un salto dalla rupe di Leucade [...] Il semplice fatto di non possedere qualcosa come la terra ferma, per i naviganti motivo sufficiente per essere straordinariamente felici quando la avvistano da lungi. Presente anche una dotta citazione classica che ricorda Annone (V secolo a.C.), navigatore cartaginese, che esplor le coste occidentali dell'Africa fino alla Guinea, lasciandoci una descrizione dei suoi viaggi (Periplo).

Composto a Recanati, tra 29 ottobre e il 5 novembre, 1824.[2] Leopardi immagina il filosofo Gentiliano, detto Amelio (privo di preoccupazioni) intento in una bella giornata a scrivere un elogio alle creature pi sorridenti del creato. Gli uccelli appunto. Gli Uccelli cinguettano di continuo, segno di felicit e sorriso, cosa che agli uomini circoscritta solo a determinate occasioni. Ma siccome solo uccelli e uomini possono ridere allora forse l'uomo non andrebbe categorizzato come animale intellettivo ma come animale risibile. Gli uccelli sono migliori in quanto durante la tempesta l'uomo la subisce e l'uccello se ne scappa, nell'alto dei cieli, sopra la bufera. Gli uccelli a differenza degli uomini si tengono in forma, non stanno mai fermi e hanno una corporatura tonica ed allenata, gli uccelli non sono sottoposti alla noia; l'uomo e tutti gli altri animali se non per procacciarsi il cibo non fanno che oziare, gli uccelli invece non stanno mai fermi e usano il volare come sollazzo, di conseguenza sono di animo forte e puro. Gli uccelli sono quindi le creature pi perfette, tendono al moto piuttosto che alla quiete (e il moto pi vivo della quiete), hanno l'udito e la vista (i sensi pi nobili) pi sviluppati e se ci non bastasse a dichiararli le creature perfette si consideri, come gi detto prima a proposito della tempesta, che sono abituati a cambiare clima molto in fretta

(dal caldo vicino alla terra al freddo vicino al cielo), abilit molto utile e nobile per conseguire felicit (come nel caso dell'islandese sopracitato). In conclusione, come Anacreonte voleva tramutarsi in specchio per essere ammirato, Amelio vorrebbe essere tramutato in uccello in modo da poter provare anche solo per un momento quelle contentezza e letizia che provano tali creature.

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