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All’inizio della quarta strofa viene descritta da Leopardi la vastità e l’infinità dell’Universo,
rispetto al quale l’uomo non è che un insignificante e minuscolo punto di luce fioca.
Vediamo infatti come osserva le stelle, cosi lontane da sembrare dei punti. Contempla con
grande efficacia la forza distruttrice della Natura, di fronte alla quale l’uomo non può nulla:
città, Imperi, famiglie vengono sovrastate dalla potenza cieca della matrigna degli uomini.
Nella quinta strofa c’è una lunga similitudine a proposito. Come un frutto cade da un
albero e distrugge un formicaio intero, così l’eruzione del Vesuvio risalente al 79 d.C. fece
con Pompei, Ercolano e Stabia, annientandole. La natura è indifferente, dunque, e per lei il
destino umano non ha più valore del destino delle formiche.
1- Come appare il tono dei versi? È diverso dalle precedenti strofe? Se sì, perché?
Rispetto alla strofa precedente, qui la visione dell’infelicità umana si allarga.
Dall’esperienza personale del poeta nasce una meditazione sull’universo e gli spazi
celesti. Il poeta, con tono sarcastico, non sa se ridere o avere compassione
dell’uomo, che si crede il centro dell’universo. Ciò è dovuto al fatto che con la
contemplazione della volta celeste, guardando questi spazi immensi, secondo
Leopardi, l’uomo sbaglia a credersi al centro dell’universo e quindi pecca di
superbia. Egli polemizza anche contro la religione che ha creato delle illusioni
perché ha spinto l’uomo a pensare che esso sia al centro dell’universo.