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Lezioni ed esercitazioni di

Tecnica delle Costruzioni Meccaniche


Marco Beghini
1
24 ottobre 2011
1
Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Nucleare e della Produzione, Largo Lucio Lazzarino 2, 56126
Pisa, beghini@ing.unipi.it.
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Il presente documento e il suo contenuto `e distribuito con licenza
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alla memoria di mio padre, uomo del Novecento
Ringraziamenti
Questo testo non sarebbe stato scritto senza il sostegno e lincoraggiamento di Marilina, che
ben conosce quanto un impegno del genere sia gravoso. Gran parte del tempo dedicato alla
stesura del testo `e stato trovato nei ne settimana e quindi sottratto alla famiglia. Con non
pochi sensi di colpa, ringrazio per la pazienza e la comprensione Marilina, Enrico e Marianna.
Il materiale `e stato ricavato dalle lezioni e dalle esercitazioni da me svolte per il corso di
Tecnica delle Costruzioni Meccaniche del secondo anno di Ingegneria Meccanica dellUniversit`a
di Pisa. Le numerose discussioni avute negli ultimi anni accademici con vari allievi, nonche i
loro commenti e consigli, hanno costituto la base per la scelta dellimpostazione e delle modalit`a
di presentazione degli argomenti.
La realizzazione del volume nella forma attuale non sarebbe stata possibile senza limpiego
del L
A
T
E
X e il prezioso supporto del mio ex-allievo Lapo Filippo Mori il quale, dimostrando una
gentilezza pari alle sue qualit`a intellettuali, mi ha introdotto alluso del programma e ha curato
limpostazione tipograca del documento. Desidero inoltre ringraziare lex allievo Basilio Lenzo
e ancora Lapo Mori e per avermi segnalato vari refusi e anche qualche errore che erano presenti
nella precedente edizione e che spero di aver eliminato.
iii
Prefazione
Il testo contiene materiale didattico per il corso di Tecnica delle Costruzioni Meccaniche
che `e svolto nel secondo anno di Ingegneria Meccanica dellUniversit`a di Pisa. Si tratta di
una preliminare versione di una dispensa che, nelle mie intenzioni, dovrebbe coprire lintero
programma. Il progetto completo della dispensa si articola in quattro parti pi` u le Appendici,
secondo lo schema seguente:
parte I - Statica delle strutture
parte II - Meccanica dei solidi
parte III - Meccanica degli elementi mono-dimensionali
parte IV - Meccanica degli elementi bi-dimensionali
Appendici.
La presente edizione (A.A. 2011/2012) comprende le parti I, II, III e le Appendici. Per
ragioni pratiche la dispensa `e stata stampata in due volumi, il primo volume comprende le parti
I e II e il secondo volume la parte III e le appendici. La numerazione delle pagine e dei capitoli
`e per`o unica e progressiva per i due volumi.
La Statica delle strutture (parte I) presenta la base della disciplina e sviluppa gli elementi
concettuali e i metodi di analisi necessari per arontare gli argomenti successivi. La valenza
didattica della parte I, che peraltro copre gran parte del programma svolto nella prima met`a
del corso, `e stata la ragione che ha spinto alla pubblicazione della dispensa anche nelle forme
incomplete. I capitoli successivi sono stati aggiunti via via che sono stati completati. La Mec-
canica dei solidi (parte II) sviluppa un argomento fondamentale per il corso che dovrebbe essere
nuovo per il lettore in quanto aronta lestensione della Statica al continuo. Nella parte II sono
presentate e discusse le relazioni fondamentali della meccanica dei continui, ovvero le equazioni:
di equilibrio, di congruenza e costitutive. Nella Meccanica degli elementi mono-dimensionali
(parte III), attualmente completa, sono sviluppate le prime applicazioni della meccanica dei
corpi deformabili che conducono alle veriche di: resistenza, rigidezza e stabilit`a per le travi.
Le Appendici richiamano e sviluppano alcune nozioni fondamentali, prevalentemente di tipo
matematico, che sono diusamente impiegate nella soluzione dei problemi.
Sulla scorta di una chiara convinzione di tipo didattico, maturata in oltre dieci anni di
insegnamento dei fondamenti delle costruzioni meccaniche, ho evitato anche nella dispensa la
distinzione rigida tra lezioni ed esercitazioni o tra teoria e pratica. I numerosi esempi ed eser-
cizi, molti dei quali risolti numericamente e commentati, sono pertanto da considerarsi elementi
funzionali alla spiegazione, anche se sono tipogracamente distinguibili nel testo. Ho cercato
di presentare la disciplina sottolineandone le basi siche prima che la struttura matematico-
formale, partendo dai fenomeni e dai problemi pratici per ricavare le leggi e i procedimenti
generali, piuttosto che da assiomi che devono essere accettati acriticamente. Questa imposta-
zione `e motivata dalla consapevolezza che per un ingegnere meccanico, quando nella professione
v
deve applicare questi concetti, siano di gran lunga pi` u utili le abilit`a induttive, di interpreta-
zione e di modellazione, che le competenze di tipo deduttivo, di analisi o di calcolo. Le abilit`a
di calcolo, in particolare se potenziate dallimpiego di sistemi di elaborazione, possono essere
acquisite pi` u procuamente in corsi successivi, dopo che siano state chiarite le idee fondamentali
sui modelli sici e sulle relative grandezze.
Lattenzione che deve essere dedicata alla comprensione e quindi allimpostazione dei pro-
blemi non contrasta tuttavia con la necessit`a di acquisire il necessario rigore metodologico nella
soluzione dei problemi stessi. La dispensa, proprio perche intesa a sviluppare competenze ope-
rative di tipo professionale, propone quindi metodi pratici per ottenere soluzioni complete e
accurate anche dal punto di vista quantitativo e numerico. La soluzione numerica completa dei
problemi rappresenta infatti una forma di allenamento insostituibile per cominciare ad acquisire
conoscenze fondamentali sui fenomeni studiati. Il tecnico esperto di un settore si caratterizza
infatti per la capacit`a di farsi unidea chiara del problema che sta arontando in modo da
eliminare da subito gli aspetti quantitativamente marginali. Questa complessa abilit`a si rivela
fondamentale anche per la fase di impostazione e modellazione dei problemi.
Gli esempi, contrassegnati con il cerchio nero , sono problemi di riferimento il cui proce-
dimento di soluzione `e completamente sviluppato. Sono proposti anche alcuni esercizi (cerchio
bianco ) che si prevede siano arontati alla ne dello studio del paragrafo o del capitolo rela-
tivo. In certi casi lesercizio `e guidato (cerchio nero per met`a ) con alcuni suggerimenti utili
per limpostazione o la soluzione. I paragra e i problemi contrassegnati con lasterisco (*) sono
generalmente pi` u complessi o pi` u specici e possono essere tralasciati, specialmente nella prima
lettura, perche non strettamente necessari alla comprensione del seguito.
Il corso `e rivolto agli allievi ingegneri meccanici pertanto, nelle spiegazioni e negli esempi, le
dimensioni, le unit`a di misura, i materiali, le forme strutturali e i tipi di carico sono quelli tipici
dellingegneria industriale e della meccanica delle macchine. Sono pertanto evidenziati alcuni
aspetti che considero fondamentali per la preparazione di tipo strutturale di un ingegnere del
settore industriale, e che, per varie ragioni, sono generalmente trascurati, quando non del tutto
assenti, nei corsi di base di meccanica dei solidi e delle strutture. Mi riferisco, in particolare,
alla tridimensionalit`a dei modelli e alle forze dinerzia.
Consapevole che la dispensa contenga refusi e (mi auguro pochi!) errori, sar`o grato a chi
vorr`a segnalarmeli, possibilmente tramite posta elettronica (beghini@ing.unipi.it). Da questo
punto di vista sono meno collaudati i capitoli della parte III (dal 19 al 26, soprattutto lultimo
che `e inedito). Sono particolarmente graditi i commenti critici relativi ai contenuti e alle mo-
dalit`a di presentazione nonche ogni suggerimento utile per migliorare le prossime pi` u complete
edizioni.
Indice
I Statica delle strutture 1
1 La forza 3
1.1 Primo e secondo principio e denizione dinamica di forza . . . . . . . . . . . . . 3
1.2 La natura sica delle forze e il terzo principio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.2.1 Linterazione gravitazionale e il peso proprio . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2.2 Linterazione elettromagnetica, le forze di contatto e la coesione della
materia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.2.3 Applicazioni del terzo principio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.3 Le forze dinerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.4 La denizione statica di forza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.4.1 Le forze come cause di distorsione dei corpi . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.4.2 La misura della forza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
1.5 Le forze come vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.5.1 La natura vettoriale della forza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.5.2 La rappresentazione matematica delle forze . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.5.3 Lavoro e lavoro virtuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2 Statica del punto materiale 29
2.1 Il punto materiale come modello di corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.2 Equilibrio statico del punto materiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.2.1 La condizione di equilibrio statico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.2.2 Lesperimento dellequilibrio: funi ideali e pulegge ideali . . . . . . . . . . 31
2.2.3 Interpretazione dellesperimento e prima equazione cardinale della statica 33
2.3 Impostazione dei problemi di statica del punto materiale . . . . . . . . . . . . . . 34
2.4 Problemi piani con congurazione di equilibrio data ovvero del primo tipo . . . . 36
2.4.1 Alcune considerazioni generali sul trattamento delle forze incognite . . . . 41
2.4.2 La linearit`a del sistema risolvente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
2.5 Problemi piani del secondo tipo ovvero con congurazione di equilibrio incognita 43
2.5.1 La congurazione di equilibrio deve essere determinata con le equazioni
cardinali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.5.2 Considerazioni generali sui problemi del secondo tipo: stabilit`a dellequi-
librio (*) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
2.6 Problemi di statica del punto materiale nello spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
2.7 Problemi proposti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
3 Il corpo esteso e le azioni su di esso agenti 55
3.1 Corpo esteso come sistema di punti materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
3.2 Le forze come vettori applicati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.2.1 Forza applicata e momento di una forza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.2.2 Propriet`a del momento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
vii
INDICE
3.3 Sistemi di forze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
3.3.1 Caratteristiche complessive dei sistemi di forze . . . . . . . . . . . . . . . 60
3.3.2 Sistemi piani di forze e metodi per il calcolo delle componenti di momento 61
3.3.3 Sistemi di forze parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
3.3.4 Coppia di forze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
3.3.5 Sistemi di forze staticamente equivalenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
3.3.6 Lavoro fatto da un sistema di forze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.4 Forze interne e forze esterne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.4.1 Denizione di forze interne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.4.2 Propriet`a globali delle forze interne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
3.5 Il corpo esteso continuo e le sue principali propriet`a . . . . . . . . . . . . . . . . 69
3.5.1 Il materiale come continuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
3.5.2 Massa e densit`a media nei corpi continui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
3.5.3 Denizione di densit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
3.6 Forze sui corpi continui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
3.6.1 Forze di volume . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
3.6.2 Forze di supercie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
3.6.3 Forze concentrate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
3.7 Caratteristiche statiche equivalenti a distribuzioni di forze parallele . . . . . . . . 78
3.7.1 Distribuzione di forze parallele di supercie . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
3.7.2 Distribuzioni di forze parallele di volume . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
3.8 Momenti concentrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
3.8.1 La nozione di momento concentrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
3.8.2 Lavoro fatto dai momenti concentrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
3.9 Azioni statiche e generalizzazione del terzo principio . . . . . . . . . . . . . . . . 84
4 Il corpo rigido e i vincoli nel piano 87
4.1 Il corpo rigido e le condizioni di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
4.1.1 Il modello di corpo rigido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
4.1.2 Equilibrio e equazioni cardinali per un corpo rigido . . . . . . . . . . . . . 88
4.1.3 Osservazioni sulle condizioni di equilibrio del corpo rigido . . . . . . . . . 90
4.2 Gradi di libert`a per un corpo rigido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
4.2.1 La nozione di grado di libert`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
4.2.2 Calcolo dei gradi di libert`a per il corpo rigido . . . . . . . . . . . . . . . . 93
4.2.3 Gradi di libert`a per un corpo esteso non rigido . . . . . . . . . . . . . . . 94
4.3 Vincoli sul corpo rigido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
4.4 I vincoli ideali nel piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
4.4.1 Appoggio semplice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
4.4.2 Cerniera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
4.4.3 Incastro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
4.4.4 Bipendolo, doppio-pendolo o pattino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100
4.4.5 Doppio bipendolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
4.5 Alcune considerazioni sulla schematizzazione dei vincoli . . . . . . . . . . . . . . 102
4.5.1 Vincoli composti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
4.5.2 Bronzine lunghe e bronzine corte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
4.5.3 Cuscinetti di rotolamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
4.5.4 Contatti con attrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
5 Problemi di statica del corpo rigido nel piano 111
5.1 Problemi con corpi rigidi in quiete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
viii
INDICE
5.1.1 Problemi del primo tipo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
5.1.2 Problemi del secondo tipo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
5.1.3 Considerazioni sullequilibrio per i problemi di primo e di secondo tipo . . 117
5.2 Problemi con forze dinerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
5.3 Problemi con attrito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
6 Statica del corpo rigido nello spazio 127
6.1 Vincolo di appoggio semplice nello spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
6.2 Cerniere tridimensionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128
6.2.1 Cerniera piana nello spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128
6.2.2 Cerniera sferica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129
6.2.3 Cerniera completa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130
6.2.4 Cerniera completa assialmente libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
6.3 Slitta, pattino o guida prismatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
6.4 Incastro spaziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132
6.5 Giunto universale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132
6.6 Guida o vincolo elicoidale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
6.7 Problemi di statica del corpo rigido nello spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135
6.7.1 Problemi con le cerniere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135
6.7.2 Altri tipi di vincolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148
7 Statica delle strutture di corpi rigidi 155
7.1 Concetto di struttura e calcolo dei gradi di libert`a . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
7.1.1 Strutture e macchine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
7.1.2 Vincoli interni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157
7.1.3 Gradi di libert`a complessivi di una struttura . . . . . . . . . . . . . . . . 157
7.2 Impostazione di un problema di statica delle strutture . . . . . . . . . . . . . . . 158
7.2.1 Condizione di equilibrio per una struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158
7.2.2 Considerazioni sulle condizioni di equilibrio: metodo generale di soluzione 159
7.3 Scrittura del sistema risolvente e discussione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
7.3.1 Schema di corpo libero preliminare per una struttura . . . . . . . . . . . . 161
7.3.2 Forma del sistema risolvente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162
7.4 Classicazione dei problemi di statica delle strutture . . . . . . . . . . . . . . . . 163
7.4.1 Analisi del sistema risolvente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164
7.4.2 Problemi isostatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164
7.4.3 Problemi labili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
7.4.4 Problemi iperstatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166
7.5 Particolarit`a dei problemi isostatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167
7.5.1 Problemi isostatici in relazione al carico applicato . . . . . . . . . . . . . . 167
7.5.2 Strutture intrinsecamente isostatiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170
7.5.3 Riconoscimento di strutture intrinsecamente isostatiche . . . . . . . . . . 171
7.6 Alcune particolarit`a di problemi non isostatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172
7.6.1 Arco a tre cerniere allineate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172
7.6.2 Problemi iperstatici particolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
7.6.3 Errori di montaggio sulle strutture isostatiche . . . . . . . . . . . . . . . . 177
7.7 Il montaggio di alberi di trasmissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177
7.8 Esempi di strutture e loro classicazione statica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
7.9 Considerazioni generali sulla statica delle strutture . . . . . . . . . . . . . . . . . 183
8 Problemi di statica delle strutture 185
ix
INDICE
8.1 Strutture piane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185
8.2 Strutture reticolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 190
8.2.1 Arco a tre cerniere reticolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191
8.2.2 Strutture reticolari pi` u complesse: metodo dei nodi e delle sezioni . . . . 194
8.3 Strutture parzialmente o approssimativamente reticolari . . . . . . . . . . . . . . 199
8.4 Classicazione delle strutture reticolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203
8.5 Strutture reticolari nello spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 206
9 Il modello di trave e le caratteristiche di sollecitazione 209
9.1 Modelli geometrici degli elementi strutturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209
9.2 Solidi tri-dimensionali e bi-dimensionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210
9.2.1 Solidi bi-dimensionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210
9.2.2 Lastre o membrane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212
9.2.3 Piastre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212
9.2.4 Gusci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212
9.3 I solidi mono-dimensionali: le travi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213
9.4 Modello matematico di trave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
9.4.1 Travi a sezione costante o uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217
9.4.2 Travi a sezione variabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218
9.4.3 Classicazione delle travi in base alla forma dellasse . . . . . . . . . . . . 219
9.5 Sistema di riferimento locale della trave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219
9.6 Caratteristiche di sollecitazione per le travi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221
9.6.1 Azioni statiche trasmesse dalle sezioni di una trave e loro natura . . . . . 221
9.6.2 La denizione delle caratteristiche di sollecitazione . . . . . . . . . . . . . 225
9.6.3 Procedimento di calcolo delle caratteristiche di sollecitazione . . . . . . . 227
9.7 Eetti prodotti dalle caratteristiche di sollecitazione . . . . . . . . . . . . . . . . 229
9.7.1 Eetto della forza normale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 230
9.7.2 Eetto della forza di taglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231
9.7.3 Eetto del momento torcente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231
9.7.4 Eetto del momento ettente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232
9.8 Problemi piani di travi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233
9.9 Problemi tridimensionali di travi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 240
10 I diagrammi delle caratteristiche 243
10.1 Sezioni potenzialmente critiche e diagrammi delle caratteristiche . . . . . . . . . 243
10.2 Diagrammi delle caratteristiche nei casi piani: carichi concentrati . . . . . . . . . 244
10.2.1 Esempi elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 244
10.2.2 Asse ramicato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 250
10.2.3 Carico di momento concentrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252
10.3 Diagrammi con carichi concentrati: problemi proposti . . . . . . . . . . . . . . . 253
10.4 Diagrammi delle caratteristiche nei casi piani: carichi distribuiti . . . . . . . . . . 258
10.5 Relazioni dierenziali tra le caratteristiche e il carico . . . . . . . . . . . . . . . . 263
10.5.1 Carico generico sul concio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263
10.5.2 Equazioni indenite di equilibrio per il concio con asse rettilineo piano . . 264
10.6 Considerazioni sulle equazioni indenite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266
10.7 Applicazione delle equazioni indenite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 268
10.7.1 Espressioni analitiche delle caratteristiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 268
10.7.2 Determinazione delle caratteristiche di sollecitazione per via analitica . . . 273
10.8 Diagrammi delle caratteristiche nello spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274
10.9 Travi piane con asse curvo (*) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281
x
INDICE
10.9.1 Equazioni di equilibrio per lasse curvo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281
10.9.2 Esempi di travi con asse curvo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283
10.9.3 Travi curve nelle applicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 285
11 Statica dei corpi deformabili 289
11.1 La deformabilit`a delle strutture . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289
11.2 Eetti prodotti dalla variabilit`a temporale dei carichi . . . . . . . . . . . . . . . . 292
11.3 Soluzione dinamica per carichi a regime costanti (*) . . . . . . . . . . . . . . . . 292
11.3.1 Eetto delle forze dissipative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296
11.3.2 Sistemi con pi` u gradi di libert`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296
11.3.3 Come considerare gli eetti dinamici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 297
11.4 Soluzione dinamica per carichi continuamente variabili nel tempo (*) . . . . . . . 298
11.5 Eetti prodotti dal cambiamento della geometria sotto carico . . . . . . . . . . . 300
11.5.1 Tutti i problemi sono del secondo tipo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300
11.5.2 Soluzione approssimata per problemi del secondo tipo . . . . . . . . . . . 303
11.5.3 Ipotesi dei piccoli spostamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 306
11.5.4 Quando le distorsioni possono essere considerate piccole? . . . . . . . . . 308
11.6 Meccanica dei corpi poco deformabili sotto carichi quasi statici . . . . . . . . . . 309
II Meccanica dei solidi 317
12 Lo stato di tensione 319
12.1 Cosa misura la tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 319
12.1.1 La natura sica della tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 319
12.1.2 Le principali ipotesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 320
12.2 Il vettore tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 321
12.2.1 Condizione di riferimento e condizione sollecitata . . . . . . . . . . . . . . 321
12.2.2 Denizione di vettore tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 327
12.2.3 Le azioni di momento e i materiali semplici . . . . . . . . . . . . . . . . . 328
12.2.4 Componenti locali del vettore tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 329
12.2.5 Natura ed eetti delle componenti locali del vettore tensione . . . . . . . 332
12.3 Il modello matematico dello stato di tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 334
12.3.1 Lo stato di tensione non `e una grandezza vettoriale . . . . . . . . . . . . . 334
12.3.2 Il parallelepipedo elementare e il suo schema di corpo libero . . . . . . . 335
12.3.3 Componenti dei vettori tensione: matrice di Cauchy . . . . . . . . . . . . 336
12.3.4 Il tetraedro di Cauchy e le condizioni di equilibrio . . . . . . . . . . . . . 341
12.3.5 Le caratteristiche del vettore tensione ottenute dalla matrice di Cauchy . 345
12.4 Le propriet`a tensoriali dello stato di tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 347
12.4.1 Lo stato di tensione per un parallelepipedo ruotato . . . . . . . . . . . . . 347
12.4.2 Legge di trasformazione per rotazione e denizione di tensore . . . . . . . 351
12.4.3 Lo studio delle propriet`a di una grandezza tensoriale . . . . . . . . . . . . 354
12.4.4 Simboli nomi e convenzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 355
12.5 Altri modi di rappresentare i tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 357
12.5.1 Il tensore di Cauchy in coordinate non cartesiane . . . . . . . . . . . . . . 357
12.5.2 Notazione tensoriale con indici (*) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 359
13 Propriet`a dello stato di tensione 363
13.1 Lo studio degli autovalori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363
13.1.1 La ricerca degli invarianti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363
xi
INDICE
13.1.2 La soluzione algebrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 364
13.1.3 Tre autovalori distinti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 366
13.1.4 Due soli autovalori coincidenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 369
13.1.5 Tre autovalori coincidenti e stato di tensione idrostatico . . . . . . . . . . 370
13.2 Classicazione dello stato di tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372
13.3 Rappresentazione di Mohr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374
13.3.1 Tensione monoassiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374
13.3.2 Tensione biassiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 377
13.3.3 Tensione triassiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 381
13.4 Analisi degli stati di tensione con la rappresentazione di Mohr . . . . . . . . . . . 385
13.5 Altre rappresentazioni e propriet`a dello stato di tensione . . . . . . . . . . . . . . 389
13.5.1 Rappresentazione di Haigh-Westergaard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 389
13.5.2 Decomposizione dello stato di tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 390
13.6 Equazioni indenite di equilibrio dellelemento solido elementare . . . . . . . . . 393
14 La deformazione 397
14.1 Necessit`a dellanalisi deformativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 397
14.2 Il campo di spostamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 400
14.3 Le componenti del campo di spostamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 400
14.3.1 Propriet`a di regolarit`a del campo di spostamento . . . . . . . . . . . . . . 403
14.3.2 Un esempio monodimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 404
14.4 Trasformazioni ani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407
14.4.1 Denizione di trasformazione ane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407
14.4.2 Propriet`a delle trasformazioni ani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 409
14.5 Denizione di deformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412
14.5.1 Le componenti della deformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412
14.5.2 Signicato delle deformazioni e loro limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 416
14.5.3 La matrice delle deformazioni D dedotta dalla matrice A (*) . . . . . . . 421
14.6 Tensore delle piccole deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 424
14.6.1 Decomposizione dalla matrice A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 424
14.6.2 Rotazioni rigide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 426
14.6.3 Tensori di rotazione e di deformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 429
14.7 Trasformazioni non ani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433
14.8 Problema inverso e equazioni di congruenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 437
14.8.1 Il problema inverso (*) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 437
14.8.2 Equazioni di congruenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 440
15 Analisi di corpi deformati 443
15.1 Applicazioni delle piccole deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443
15.1.1 Deformazioni e direzioni principali dello stato di deformazione . . . . . . 444
15.1.2 Deformazioni di volume . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 446
15.1.3 Deformazioni di linee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 449
15.1.4 Deformazione di superci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453
15.2 Deformazione di un elemento che subisce un incurvamento . . . . . . . . . . . . . 456
15.3 Conservazione delle sezioni piane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 460
15.4 Trasformazioni deformative intense (*) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 463
15.4.1 Grandi spostamenti e piccole deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 464
15.4.2 Grandi deformazioni e piccoli spostamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 465
15.4.3 Grandi spostamenti e grandi deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 467
xii
INDICE
16 La legge costitutiva 469
16.1 Il lavoro delle forze agenti su corpi deformabili discreti . . . . . . . . . . . . . . . 469
16.1.1 Lavoro delle forze esterne e lavoro delle forze interne . . . . . . . . . . . . 469
16.1.2 Lavori fatti da forze interne dissipative e conservative in sistemi discreti . 471
16.2 Forze interne sui continui deformabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 476
16.2.1 Lavoro virtuale fatto delle tensioni sul parallelepipedo elementare . . . . . 476
16.2.2 Densit`a volumica del lavoro virtuale fatto delle tensioni . . . . . . . . . . 479
16.2.3 Densit`a del lavoro fatto dalle tensioni in una trasformazione nita . . . . 481
16.3 Lavoro complessivo fatto dalle forze per deformare un corpo esteso . . . . . . . . 484
16.3.1 Lavoro fatto dalle tensioni e lavoro fatto delle forze esterne . . . . . . . . 484
16.3.2 Considerazioni termodinamiche relative al lavoro fatto dalle tensioni . . . 487
16.4 Il materiale omogeneo isotropo elastico lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 489
16.4.1 Materiali costitutivamente omogenei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 489
16.4.2 Materiali isotropi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 490
16.4.3 Materiali elastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 491
16.4.4 Materiali elastici lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 496
16.5 Equazione costitutiva per un materiale elastico lineare . . . . . . . . . . . . . . . 497
16.5.1 Tensori di rigidezza e di deformabilit`a e loro rappresentazione matriciale . 497
16.5.2 Densit`a del lavoro fatto dalle tensioni e densit`a di energia elastica . . . . 499
16.5.3 Limiti di natura termodinamica ai valori delle costanti elastiche . . . . . . 503
16.6 La sovrapposizione degli eetti nella meccanica dei corpi elastici . . . . . . . . . 504
17 Il materiale elastico lineare omogeneo isotropo 509
17.1 La legge di Hooke per il materiale elastico lineare omogeneo e isotropo . . . . . . 509
17.1.1 Leetto dellisotropia sulle matrici elastiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 509
17.1.2 La prova di trazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 512
17.1.3 Misure nella prova di trazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 516
17.1.4 Costanti elastiche principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 517
17.1.5 La legge di Hooke . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 520
17.2 Densit`a di energia e interpretazione delle costanti elastiche . . . . . . . . . . . . . 524
17.2.1 Matrici di deformabilit`a e di rigidezza e densit`a di energia elastica . . . . 524
17.2.2 Limiti delle costanti elastiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 526
17.2.3 Costanti elastiche nei materiali comuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 527
17.3 Soluzione generale del problema elastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 529
17.4 Altre espressioni della legge di Hooke (*) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 535
17.5 Giusticazione delleetto Poisson per un modello elementare di reticolo (*) . . . 537
17.6 True stress vs engineering stress . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 540
18 Propriet`a di resistenza e veriche 543
18.1 Determinazione della resistenza allo snervamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 543
18.1.1 Completamento della prova di trazione no a rottura . . . . . . . . . . . . 543
18.1.2 Tensione di snervamento e tensione ammissibile per lo snervamento . . . . 545
18.2 Altre propriet`a di resistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 549
18.3 Lo snervamento in condizioni non monoassiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 552
18.4 Lo snervamento secondo Tresca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 556
18.4.1 Il criterio di snervamento di Tresca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 556
18.4.2 La tensione equivalente secondo Tresca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 558
18.5 Lo snervamento secondo von Mises . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 561
18.5.1 Il criterio di snervamento di von Mises . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 561
18.5.2 La tensione equivalente secondo von Mises . . . . . . . . . . . . . . . . . . 562
xiii
INDICE
18.6 Confronto tra i criteri di snervamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 564
18.7 La verica di resistenza e il coeciente di sicurezza . . . . . . . . . . . . . . . . . 568
III Meccanica degli elementi monodimensionali 573
19 Trave soggetta a forza normale 575
19.1 Il principio di De Saint Venant . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 575
19.2 La trave soggetta a forza normale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 577
19.3 Estensioni ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 582
19.3.1 Zone di estinzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 582
19.3.2 Sezioni gradualmente variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 585
19.3.3 Carichi applicati lungo lasse della trave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 587
19.4 Problemi iperstatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 590
19.4.1 Il metodo delle forze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 590
19.4.2 Metodo degli spostamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 594
19.5 Problemi proposti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 597
20 Trave soggetta a essione 601
20.1 Lesperimento della essione retta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 601
20.2 La formula base della essione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 604
20.3 Considerazioni sulla formula di Navier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 608
20.3.1 Veriche di resistenza in essione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 608
20.3.2 Veriche di rigidezza in essione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 611
20.3.3 Sezione di forma ottimale per la essione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 615
20.3.4 Considerazioni generali sulla verica a essione di travi . . . . . . . . . . 617
20.4 Analisi della deformazione complessiva di una trave inessa . . . . . . . . . . . . 622
20.5 Flessione retta e essione deviata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 624
20.5.1 Momento ettente nella direzione principale y . . . . . . . . . . . . . . . . 625
20.5.2 Applicazione di entrambi i momenti ettenti . . . . . . . . . . . . . . . . . 626
20.6 Carico normale eccentrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 633
20.6.1 Campo tensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 634
20.6.2 Reciprocit`a e nocciolo centrale dinerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 636
21 Trave soggetta a torsione 641
21.1 Torsione di tubo circolare di piccolo spessore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 641
21.1.1 Denizione della geometria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 642
21.1.2 Deduzione dello stato di tensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 643
21.1.3 Deformazione del tubo sottile in torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 649
21.1.4 Energia elastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 652
21.2 Trave assialsimmetrica in torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 655
21.2.1 Barra cilindrica piena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 655
21.2.2 Tubo cilindrico in torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 656
21.3 Considerazioni sulla torsione di un elemento assialsimmetrico . . . . . . . . . . . 658
21.4 Torsione per una sezione generica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 661
21.4.1 Il problema generale della torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 661
21.4.2 La soluzione per analogia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 663
21.5 Torsione per una sezione rettangolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 665
21.5.1 Soluzione approssimata generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 665
21.5.2 Casi asintotici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 668
xiv
INDICE
21.6 Torsione di travi riconducibili al caso della sezione rettangolare . . . . . . . . . . 669
21.6.1 Travi a parte sottile non rettilinea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 669
21.6.2 Travi composte di parti rettangolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 670
21.7 Travi tubolari non circolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 672
21.7.1 Teoria di Bredt per la resistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 673
21.7.2 Stima di Bredt della rigidezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 677
21.8 Applicazioni dellanalogia della membrana alle sezioni in parete sottile . . . . . . 681
21.8.1 Sezioni tubolari i parete sottile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 681
21.8.2 Sezioni aperte in parete sottile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 683
21.9 Eetti locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 686
22 Trave soggetta a taglio 693
22.1 La prova di taglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693
22.2 La sezione rettangolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 695
22.3 La teoria approssimata del taglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 701
22.3.1 Sezione circolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 701
22.3.2 Sezione circolare tubolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 704
22.4 La teoria approssimata del taglio per le sezioni in parete sottile . . . . . . . . . . 706
22.4.1 Taglio per una sezione a doppio T . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 706
22.4.2 Soluzione semplicata per la sezione a doppio T . . . . . . . . . . . . . . 709
22.4.3 Altre sezioni prolate simmetriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 711
22.5 Leetto deformativo dovuto al taglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 713
22.5.1 Analisi della deformazione dovuta al taglio . . . . . . . . . . . . . . . . . 713
22.5.2 Rigidezza a taglio della sezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 716
22.5.3 Quanticazione degli eetti deformativi dovuti al taglio . . . . . . . . . . 718
22.6 Comportamento a taglio di sezioni non simmetriche (*) . . . . . . . . . . . . . . 719
23 Verica di resistenza delle travi 725
23.1 Procedimento generale di verica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 725
23.2 Taglio e essione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 727
23.2.1 Sezioni di forma solida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 727
23.2.2 Sezioni a parete sottile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 730
23.3 Taglio e Torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 732
23.3.1 Sezioni tubolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 732
23.3.2 Sezioni aperte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 733
23.4 Flessione e torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 734
23.5 Tutte le caratteristiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 735
24 Rigidezza delle travi 737
24.1 Spostamenti e deformazioni nelle travi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 737
24.2 Equazione della linea elastica per spostamenti assiali . . . . . . . . . . . . . . . . 738
24.3 Equazione della linea elastica per spostamenti trasversali . . . . . . . . . . . . . . 742
24.4 Altre applicazioni della linea elastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 751
24.5 Il teorema di Castigliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 757
24.6 Applicazioni del teorema di Castigliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 761
24.7 Generalizzazione del teorema di Castigliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 766
24.8 Lintegrale di Mohr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 768
24.9 Lintegrale di Mohr come applicazione del principio dei lavori virtuali . . . . . . . 772
24.10Il teorema di Betti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 774
24.11Applicazioni dellintegrale di Mohr e del teorema di Betti . . . . . . . . . . . . . 778
xv
INDICE
25 Travature iperstatiche 783
25.1 Generalizzazione del metodo delle forze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 783
25.2 Equazioni di M uller-Breslau . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 784
25.3 Calcoli di deformabilit`a per strutture iperstatiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 794
25.4 Iperstatiche interne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 796
25.5 Errori di montaggio, forzamenti e tolleranze geometriche . . . . . . . . . . . . . . 800
25.6 Esempi di strutture iperstatiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 811
26 Stabilit`a 819
26.1 Concetti elementari sulla stabilit`a dellequilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 819
26.1.1 Denizione I: eetto della variazione di congurazione di equilibrio . . . . 821
26.1.2 Denizione II: eetto di un carico secondario . . . . . . . . . . . . . . . . 822
26.1.3 Denizione III: lavoro fatto dalle forze perturbanti . . . . . . . . . . . . . 824
26.1.4 Denizione IV: bilancio energetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 824
26.2 Campi di forza non uniformi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 826
26.3 Stabilit`a di sistemi rigidi con vincoli elastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 830
26.3.1 Soluzione con il metodo statico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 831
26.3.2 Soluzione con metodo energetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 834
26.3.3 Soluzione con modello linearizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 835
26.3.4 Considerazioni riassuntive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 836
26.4 Stabilit`a di sistemi rigidi con pi` u gradi di libert`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . 838
26.5 Il problema di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 841
26.5.1 Soluzione approssimata con modello discreto . . . . . . . . . . . . . . . . 842
26.5.2 Soluzione con il modello continuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 843
26.5.3 Considerazioni sul problema di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 847
26.6 Veriche di stabilit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 853
26.6.1 Linstabilit`a nelle strutture . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 853
26.6.2 La verica delle travi compresse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 855
26.6.3 Considerazioni sulla tridimensionalit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 856
26.7 Eetto dei carichi trasversali (*) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 860
26.8 Metodi approssimati per la determinazione del carico critico (*) . . . . . . . . . . 862
IV Appendici 871
A Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali 873
A.1 Sistemi cartesiani ortonormali destrorsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 873
A.2 Rappresentazione dei vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 875
A.3 Operazioni con i vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 876
A.3.1 Somma algebrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 876
A.3.2 Prodotto scalare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 877
A.3.3 Prodotto vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 878
A.3.4 Prodotto misto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 879
A.4 Versori e coseni direttori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 880
A.5 Sistemi di riferimento ruotati: matrice di trasformazione . . . . . . . . . . . . . . 881
A.6 Propriet`a della matrice di trasformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 882
A.7 Legge di trasformazione dei vettori per rotazione degli assi . . . . . . . . . . . . . 883
A.8 I tensori e la loro legge di trasformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 885
A.9 Invarianti e autovalori di un tensore simmetrico a componenti reali . . . . . . . . 887
A.10 Coordinate non cartesiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 888
xvi
INDICE
A.10.1 Coordinate cilindriche e coordinate curvilinee ortogonali . . . . . . . . . . 888
A.10.2 Coordinate sferiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 891
B Regole pratiche per il calcolo numerico 895
B.1 Limportanza delle valutazioni numeriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 895
B.2 Precisione, numero di cifre signicative e arrotondamenti . . . . . . . . . . . . . . 896
B.3 Scelta della precisione opportuna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 897
C Applicazioni del principio dei lavori virtuali 901
C.1 Il principio dei lavori virtuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 901
C.2 Equivalenza del P.L.V. con le equazioni cardinali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 903
C.3 Soluzione di problemi di Meccanica con il P.L.V. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 905
C.4 Ecacia del P.L.V. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 909
D Propriet`a geometriche delle sezioni 911
D.1 Denizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 911
D.2 Momenti statici e baricentro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 913
D.2.1 Denizione di momento statico e sue propriet`a . . . . . . . . . . . . . . . 913
D.2.2 Eetto del cambiamento del sistema di riferimento . . . . . . . . . . . . . 914
D.2.3 Denizione di baricentro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 915
D.3 Propriet`a del baricentro e calcolo del momento statico di gure complesse . . . . 916
D.3.1 Alcune propriet`a del baricentro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 916
D.3.2 Baricentro di gure composte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 919
D.4 Momenti dinerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 921
D.4.1 Denizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 921
D.4.2 Principali propriet`a dei momenti dinerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 922
D.5 Variazione dei momenti dinerzia per traslazione del sistema di riferimento . . . . 924
D.6 Variazione delle propriet`a dinerzia per rotazione del sistema di riferimento . . . 926
D.6.1 Formule di rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 926
D.6.2 Propriet`a tensoriali dei momenti dinerzia: momenti principali e assi
principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 928
D.6.3 Determinazione delle propriet`a centrali principali dinerzia . . . . . . . . . 930
D.7 Raggi dinerzia ed ellisse centrale dinerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 933
D.8 Caratteristiche dinerzia di gure complesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 935
D.9 Propriet`a di alcune gure elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 937
E Propriet`a dierenziali di linee e superci 941
E.1 Denizione e descrizione analitica di una linea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 941
E.1.1 Linee regolari nello spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 941
E.1.2 Versore tangente e retta tangente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 942
E.2 Approssimazione al secondo ordine delle linee piane . . . . . . . . . . . . . . . . . 945
E.2.1 Cerchio osculatore e curvatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 945
E.2.2 Il calcolo della curvatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 946
E.2.3 Calcolo della curvatura con parametrizzazione cartesiana . . . . . . . . . 948
E.2.4 Calcolo approssimato della curvatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 950
E.2.5 La curvatura con segno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 951
E.3 Curvatura per una linea nello spazio (*) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 952
E.4 Superci regolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 952
E.4.1 Notazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 952
E.4.2 Versore normale e piano tangente alla supercie . . . . . . . . . . . . . . . 953
xvii
INDICE
E.5 Approssimazione delle superci al secondo ordine . . . . . . . . . . . . . . . . . 955
E.5.1 Scostamento della supercie dal piano tangente . . . . . . . . . . . . . . . 955
E.5.2 Curvature normali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 955
E.5.3 Curvatura svergolante o svergolamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 957
E.5.4 Il tensore di curvatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 959
E.5.5 Classicazione locale delle superci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 960
E.5.6 Valori esatti delle curvature per superci con parametrizzazione cartesiana
(*) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 961
E.6 Superci di rivoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 962
E.6.1 Denizioni generali e sistema di riferimento locale . . . . . . . . . . . . . . 962
E.6.2 Curvature delle superci di rivoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 963
E.6.3 Relazioni tra quantit`a angolari e ascisse curvilinee per le superci di
rivoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 966
Glossario delle keywords 969
xviii
Parte I
Statica delle strutture
1
Capitolo 1
La forza
Questo capitolo `e dedicato allesame di una delle grandezze fondamentali della Meccanica:
la forza. La forza `e una grandezza ben nota e si suppone che il lettore ritrovi le nozioni apprese
nei precedenti studi di Fisica. Questo capitolo ha quindi lo scopo di:
discutere la denizione e la propriet`a fondamentali della forza e di alcune altre grandezze
fondamentali associate,
presentare gli strumenti matematici adatti a trattare la forza quantitativamente
attraverso lesame di esempi elementari cominciare a sviluppare metodi di analisi e di
soluzione dei problemi pi` u interessanti che saranno arontati nel seguito.
Se i contenuti dei primi capitoli del testo sembrano elementari, `e opportuno considerare che
i fondamenti sici della disciplina devono essere noti con la massima chiarezza per evitare che i
successivi concetti e procedimenti di calcolo, inevitabilmente pi` u complessi, appaiano astratti e
poco giusticabili. Al lettore che giustamente vuole entrare quanto prima nellambito specico
delle costruzioni meccaniche chiedo quindi di avere un po di pazienza e di assecondare il mio
tentativo di presentare la disciplina come una particolare branca della sica pi` u che una appli-
cazione della matematica applicata. Sono sicuro che questo sforzo sar`a ampiamente ripagato
con lacquisizione di competenze di interpretazione e di modellazione che sono professionalmente
molto pi` u utili di quelle di analisi o di calcolo. Se il tentativo riesce, anche le capacit`a di analisi
e di calcolo saranno acquisite in modo naturale.
1.1 Primo e secondo principio e denizione dinamica di forza
La forza (force) `e una delle grandezze fondamentali nella Meccanica classica. Se la forza
si associa alla sensazione siologica avvertibile quando si cerca di modicare il movimento
o la forma di un oggetto, possiamo senza dubbio aermare che luomo ne ha acquisito una
conoscenza empirica ancora prima di essere considerato homo sapiens. Per la Fisica tuttavia,
una grandezza `e tale solo se `e denita in modo operativo ovvero si ottiene alla ne di un
procedimento (convenzionalmente denito e universalmente accettato) che produce un valore
numerico. La denizione si identica pertanto con la misurazione della grandezza sica. In
questo senso, per la forza sono state proposte due denizioni operative basate su diversi eetti
che la forza produce sui corpi: la denizione dinamica e la denizione statica.
Nellambito del corso la nozione di operativit`a sar`a pi` u volte richiamata allo scopo di so-
stanziare il signicato sico delle varie grandezze che saranno introdotte e usate. Purtroppo
non sar`a mai praticamente possibile sviluppare eettivamente la procedura sperimentale, anche
se ci`o sarebbe molto istruttivo. In molti casi ricorreremo alla descrizione di esperimenti che
3
1. LA FORZA
potrebbero essere eettivamente eseguiti e solo in rari casi dovremo fare riferimento a esperi-
menti ideali ovvero realizzabili con strumenti e procedure di elevata sosticazione. In ogni caso,
per lintero corso loperativit`a si manifester`a in pratica nella possibilit`a di calcolare (almeno) le
grandezze di interesse, partendo da altre la cui denizione `e fortemente ancorata allesperimento
e alla misura.
Dai corsi di Fisica o di Meccanica Teorica, supponiamo note le grandezze fondamentali di
lunghezza (lenght), di tempo (time) assoluto e di massa (mass), assumendo la possibi-
lit`a di eseguire le relative misure con la precisione necessaria, rispettivamente tramite: metri
idealmente indeformabili, cronometri e bilance a piattelli. Con le nozioni di lunghezza (o di-
stanza) e di tempo si possono denire le quantit`a cinematiche del moto (traiettoria, velocit`a,
accelerazione, legge oraria, ecc. . . ). A stretto rigore, le grandezze cinematiche fondamentali
del movimento, ovvero velocit`a e accelerazione, richiedono il riposto concetto matematico di
limite (per t 0) sulla cui operativit`a si potrebbero sollevare vari dubbi, ma che non saranno
qui discussi. Consideriamo acquisite anche le nozioni di punto materiale (particle) ovvero
del corpo sico pi` u elementare (su questultimo concetto torneremo peraltro nel seguito) e di
osservatore inerziale ovvero solidale alle stelle sse, oppure in moto traslatorio rettilineo uni-
forme rispetto a queste. Per i fenomeni trattati nel presente corso, un osservatore solidale con
la supercie della Terra pu`o essere considerato inerziale con suciente approssimazione.
Secondo la Meccanica classica:
il moto rettilineo uniforme rappresenta la condizione cinematica naturale per un
punto materiale esaminato da un osservatore inerziale
come caso particolare il punto materiale pu`o stare fermo. Questo assunto, che si fa risalire a
Galileo Galilei (1564-1642), `e noto anche come principio dinerzia o primo principio della
dinamica.
Come conseguenza del primo principio, se un osservatore inerziale rileva una modica nel
moto rettilineo uniforme di un punto materiale avente massa m, concluder`a che, in quel preciso
istante, qualche agente perturbante sta intervenendo sul punto stesso ed esprimer`a questo fatto
aermando che sul punto `e applicata, oppure agisce, una forza. Dato che laccelerazione a `e una
misura completa della variazione nel tempo della velocit`a, la forza pu`o essere quindi denita
dalla relazione:

F = ma (1.1)
La relazione (1.1) `e lespressione simbolica del secondo principio della dinamica ed `e
attribuita a Isaac Newton (1643-1727):
una forza che agisce su un punto materiale produce su di esso una accelerazione
proporzionale alla forza stessa e inversamente proporzionale alla massa del punto.
La relazione (1.1) `e a tutti gli eetti una denizione operativa della forza perche massa e ac-
celerazione possono essere misurate, la prima con una bilancia a piattelli e la seconda, almeno
idealmente, tramite rilievi di spazio e di tempo, e da queste quantit`a la forza pu`o essere calco-
lata. Pi` u correttamente, la relazione (1.1) `e la denizione dinamica di forza, dato che richiede
la misura di propriet`a del moto del punto materiale.
Nella soluzione dei problemi di meccanica spesso la relazione (1.1) `e utilizzata in senso
inverso rispetto a quanto sopra riportato. Infatti, se la forza agente sul punto `e nota (sulla base
di altre considerazioni che vedremo), conoscendo la massa del punto, la relazione (1.1) permette
di valutare laccelerazione e da questa, per integrazione, il moto del punto materiale. Quando
la forza esercitata sul punto `e nota in ogni istante, la relazione (1.1) `e quindi da interpretarsi
come una equazione dierenziale la cui soluzione `e la posizione del punto in funzione del tempo.
Dalla denizione dinamica, si deduce che:
4
1.1. PRIMO E SECONDO PRINCIPIO E DEFINIZIONE DINAMICA DI FORZA
la forza `e una grandezza vettoriale (come laccelerazione) e pertanto `e rappresentata nel
caso generale tridimensionale da tre grandezze scalari indipendenti, solitamente le sue
componenti in un sistema cartesiano;
considerando un punto di massa unitaria (1 kg) soggetto a una accelerazione unitaria
(1 m/s
2
), la forza su di esso agente ha intensit`a unitaria.
Lunit`a di misura della forza nel Sistema Internazionale (SI) `e il newton (N) che rappre-
senta lintensit`a della forza necessaria per imprimere accelerazione unitaria (1 m/s
2
) a un punto
materiale di massa unitaria (1 kg). Nella tecnica, si incontrano altre unit`a di misura della forza
(nel mondo anglosassone per esempio `e ancora usata la libbra (pound) con simbolo lb), tut-
tavia, nel seguito useremo esclusivamente il newton (o i suoi multipli) in conformit`a alle norme
Europee sulle costruzioni meccaniche che prescrivono luso del Sistema Internazionale. In alcuni
testi o manuali di Ingegneria, in particolare quelli datati, si pu`o trovare anche il kg
peso
che pu`o
essere presentato come lunit`a di forza del sistema cos` detto tecnico o degli ingegneri. Per vari
motivi, di tipo sostanzialmente pratico, si consiglia di evitare queste unit`a, convertendole nel SI
(1 kg
peso
= 9.81 N, 1 lb = 4.448 N).
Una delle forze di cui pi` u comunemente si ha esperienza diretta `e rappresentata dal pe-
so (weight). Il peso di un punto materiale pu`o essere misurato applicando la denizione
dinamica di forza. Se lasciamo libero un punto materiale nei pressi della supercie terrestre
eliminando tutte le altre forme di disturbo (materializzate da contatti con altri corpi solidi o
uidi), si verica sperimentalmente che, indipendentemente dalla sua massa e dal suo moto, il
punto si muove con unaccelerazione costante e questa, con buona approssimazione, ha sempre
la direzione del lo a piombo, punta verso il terreno e la sua intensit`a `e pari a g = 9.81 m/s
2
(accelerazione di gravit`a). Da questa osservazione e dalla denizione dinamica, ricaviamo che su
un oggetto di massa m posto nei pressi della supercie terrestre agisce sempre una forza avente
modulo pari a:
P = mg
con direzione e verso uguali allaccelerazione di gravit`a. Poiche si verica che in uno dato luogo
laccelerazione di gravit`a `e la stessa per tutti i corpi, si conclude che il peso `e proporzionale alla
massa.
Esempio 1.1: Forze su un paracadutista
Un paracadutista avente massa di 80 kg si lancia da un elicottero fermo. Durante i primi
istanti della caduta il suo moto risulta uniformemente accelerato verso il suolo con una
accelerazione di circa 9.81 m/s
2
. Nellultima fase del volo, dopo lapertura del paracadute,
la sua velocit`a risulta praticamente costante e pari a 5 m/s. Trascurando il peso del
paracadute, quanto valgono le forze agenti sul paracadutista nei due istanti considerati?
Nella prima fase del lancio il paracadutista si muove con una accelerazione diretta verso
il basso pari a g, su di esso agisce quindi la sola forza peso che vale in modulo
P = 80 9.81 = 784.8 N
verticale diretta verso il basso. Alla ne del volo, il paracadutista si muove di moto retti-
lineo uniforme, pertanto considerato come punto materiale, non `e soggetto ad alcuna for-
za. Analizzando pi` u accuratamente il fenomeno, potremmo aermare che il paracadutista
subisce leetto combinato di due forze:
5
1. LA FORZA
il peso, che, se agisse da solo, lo accelererebbe verso il basso
la forza di resistenza aerodinamica dellaria (esaltata dalla forma del paracadute) che
agisce verso lalto.
Levidenza sperimentale, che mostra la costanza della velocit`a di caduta, permette di af-
fermare che le due forze si compensano esattamente, in quanto il loro eetto complessivo
produce una accelerazione nulla. La determinazione delle forze trasmesse dalle varie funi
del paracadute oppure dallimbracatura sulle varie parti anatomiche del paracadutista non
pu`o essere eettuata con il modello di punto materiale. Lanalisi di questi aspetti richiede
di costruire per il paracadutista un modello meccanico pi` u complesso, costituito di parti tra
loro connesse, in modo da discriminare le azioni agenti su ognuna di esse. La scomposizione
dei sistemi meccanici in parti allo scopo di evidenziare la natura e lentit`a delle forze agenti,
rappresenta lo schema concettuale tipico delle analisi che saranno sviluppate nel corso.
1.2 La natura sica delle forze e il terzo principio
Negli ultimi quattro secoli, osservando i molteplici fenomeni naturali, i sici hanno identi-
cato gli agenti perturbanti in grado di esercitare forze. Uno dei risultati pi` u signicativi di
queste analisi consiste nella constatazione che le forze si manifestano sempre come una intera-
zione tra corpi. Inoltre, in tutti gli esperimenti condotti, sono state (nora) individuate solo
quattro cause siche allorigine delle forze. In altri termini, quando un osservatore inerziale
rileva che su un punto materiale agisce una forza, egli deve concludere che tra il punto in esame
e qualche altro punto dellUniverso si sta manifestando una (almeno) delle seguenti interazioni:
gravitazionale
elettromagnetica
debole
forte
Per esemplicare le fondamentali conseguenze di questo fatto, `e conveniente considerare
linterazione tra due soli punti materiali, che rappresenta la situazione concettualmente pi` u
semplice. Purtroppo, per quanto tale fenomeno sia il pi` u facile da analizzare, lesperimento
che lo evidenzia non `e altrettanto facile da eseguirsi a causa della dicolt`a (si dovrebbe dire
limpossibilit`a) di isolare i due punti dalle interazioni con il resto dellUniverso. Lesame di
questo caso elementare `e per`o molto istruttivo perche, come vedremo, una interazione comunque
complessa pu`o sempre essere ricondotta a un insieme di interazioni elementari tra (generalmente
molte, talvolta anche innite) coppie di punti. Anche dal punto di vista semantico, il termine
interazione pregura una inuenza reciproca, quindi aermare che due punti interagiscono
sicamente implica che il primo punto esercita una forza sul secondo e il secondo sul primo.
Questa conclusione viene formalizzata nel principio di azione e reazione, o terzo principio
della dinamica generalmente formulato come segue:
a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Il terzo principio sar`a applicato sistematicamente nelle future analisi e impiegato nella so-
luzione di tutti i problemi del corso, pertanto la sua comprensione `e basilare. Per illustrare
6
1.2. LA NATURA FISICA DELLE FORZE E IL TERZO PRINCIPIO
il signicato e le implicazioni del terzo principio e il modo in cui usarlo ecacemente nella-
nalisi di situazioni siche, nei prossimi paragra sono discussi alcuni esempi di interazioni di
tipo gravitazionale ed elettromagnetico. Le interazioni debole e forte saranno ignorate perche
signicative solo su scala sub-atomica e quindi prive di eetti diretti sui fenomeni meccanici
macroscopici di nostro interesse.
1.2.1 Linterazione gravitazionale e il peso proprio
Linterazione gravitazionale `e descritta dalla legge di gravitazione universale, anchessa do-
vuta a Isaac Newton. Come illustrato nella gura 1.1, due punti materiali A e B, per il solo
fatto di avere massa, esercitano una attrazione reciproca con forze che agiscono lungo la retta
AB, ognuna delle forze ha intensit`a proporzionale al prodotto delle masse e inversamente pro-
porzionale al quadrato della distanza AB. Linterpretazione di tale fenomeno alla luce del terzo
principio della dinamica in questo caso `e evidente: il punto A attrae a se il punto B con una
forza che indichiamo con

F
AB
(forza che A esercita su B) e il corpo B attrae a se il corpo A
con una forza

F
BA
.
A B
BA
F
G
AB
F
G
Figura 1.1: Interazione gravitazionale tra due punti materiali
Lesame di questo semplice fenomeno permette di fare le seguenti considerazioni che possono
essere generalizzate a tutte le interazioni tra coppie di punti materiali, a prescindere dalla natura
dellinterazione stessa:
le due forze

F
AB
e

F
BA
sono inseparabili (non esiste luna senza laltra), ognuna di esse
essendo manifestazione della medesima interazione tra i due punti, non ha quindi senso
considerare, se non per motivi convenzionali, una delle forze la causa (o lazione) e laltra
leetto (o la reazione)
le due forze hanno la stessa retta dazione (che passa per i punti interagenti), la stessa
intensit`a e verso opposto
ognuna delle forze agisce su un corpo diverso
essendo applicate a corpi diversi, le due forze, per quanto uguali di intensit`a, generalmente
producono sui punti eetti diversi (se i punti non hanno la stessa massa subiranno in eetti
accelerazioni diverse anche in modulo)
la relazione vettoriale

F
AB
=

F
BA
`e universale quindi non dipende dal moto dei due
punti ne dal moto dellosservatore e dal suo sistema di riferimento (che pu`o anche essere
non inerziale).
Nei problemi di costruzioni meccaniche, linterazione gravitazionale si manifesta come peso
proprio, forza che, in taluni casi, costituisce un carico non trascurabile per strutture e macchine.
Il peso rappresenta la forza con cui la Terra attrae un corpo. La reazione della forza peso (nel
senso del terzo principio) consiste nellattrazione gravitazionale che il corpo esercita sulla Terra,
`e quindi una forza applicata alla Terra. Poiche il nostro studio `e generalmente nalizzato al
comportamento del componente di una macchina o di una struttura, siamo naturalmente indotti
7
1. LA FORZA
a considerare il peso come azione e leetto sulla Terra come reazione (del quale ci interessa
ben poco). Data la dierenza delle masse, leetto dellinterazione sulla Terra, per esempio in
termini di accelerazione, pu`o essere ovviamente trascurato. Tuttavia, un osservatore veramente
inerziale, se dotato di strumenti di misura sucientemente sensibili, descriverebbe la caduta
libera di un grave come un avvicinamento reciproco, in cui sia il grave sia la Terra subiscono
uno spostamento, per quanto di molti ordini di grandezza diversi. Una caratteristica peculiare
delle interazioni gravitazionali `e anche il fatto che non possono essere in alcun modo alterate.
La forza con cui due punti si attraggono gravitazionalmente non `e per esempio modicabile
dallinterposizione di qualsiasi elemento tra di essi. Non esiste quindi uno schermo per le azioni
gravitazionali.
Con riferimento alla gura 1.1, si pu`o osservare che la notazione usata per rappresentare le
forze di interazione `e piuttosto pesante a causa della presenza dei pedici che identicano i corpi
interagenti. Tale notazione `e per`o usata solo in questo capitolo allo scopo di chiarire il terzo
principio.
1.2.2 Linterazione elettromagnetica, le forze di contatto e la coesione della
materia
Linterazione gravitazionale `e dovuta alla propriet`a della materia di avere massa mentre lin-
terazione elettromagnetica `e connessa alla propriet`a della materia di possedere carica elettrica.
Le interazioni elettromagnetiche sono riconducibili alle forze coulombiane, in onore di Charles
Augustin de Coulomb (1736-1806), che si manifestano tra cariche ferme (per questo talvolta
chiamate forze elettrostatiche), e alle forze elettrodinamiche che si manifestano su cariche in
movimento con lintervento anche di eetti magnetici. Le forze elettromagnetiche sono descritte
dalla relazione unicata proposta da Hendric Lorentz (1853-1928). Anche per le interazioni
elettromagnetiche tra due (soli) punti materiali vale lo schema generale di gura 1.1 e soono
applicabili le relative considerazioni sulle caratteristiche delle forze agenti: le due forze

F
AB
e

F
BA
condividono il modulo e la retta dazione e hanno verso opposto.
Ci sono peraltro alcune peculiarit`a che le diversicano le interazioni elettromagnetiche da
quelle gravitazionali. in primo luogo, a causa del fatto che le cariche elettriche hanno un
segno, linterazione elettromagnetica pu`o essere attrattiva o repulsiva e pu`o essere anche nulla
se almeno uno dei corpi interagenti non ha carica o questa `e uniformemente bilanciata. Le forze
elettromagnetiche tra due cariche possono inoltre essere ridotte o anche eliminate interponendo
uno schermo opportuno, ovvero adottando la gabbia di Faraday, da Michael Faraday (1771-
1867). Queste caratteristiche hanno un eetto fondamentale sulla stabilit`a degli aggregati di
atomi perche consentono loro di mantenersi un equilibrio reciproco anche in condizioni di quiete.
Si noti che la stessa condizione non `e ottenibile con linterazione gravitazionale, il sistema solare
`e stabile solo in senso dinamico e collasserebbe se i pianeti non girassero attorno al Sole. Di tipo
elettromagnetico sono, infatti, le interazioni che determinano il legame chimico tra gli atomi
che formano una molecola e le interazioni che mantengono stabile nel tempo la struttura degli
aggregati cristallini, ovvero i materiali solidi, anche sotto leetto di azioni perturbanti. Le
interazioni elettromagnetiche sono quindi alla base delle propriet`a siche dei materiali: densit`a,
temperatura di fusione, resistenza meccanica, durezza, conducibilit`a termica ed elettrica, ecc. . . .
In Meccanica, spesso le interazioni elettromagnetiche producono le forze pi` u intense e quindi
le pi` u interessanti per i nostri scopi. In particolare, le forze di contatto sono manifestazioni
macroscopiche delle interazioni elettromagnetiche, essendo riconducibili alla mutua repulsione
che si manifesta tra gli strati superciali (nubi elettroniche) di due corpi quando vengono
avvicinati in modo notevole (tanto vicini che si considerano in contatto dal punto di vista
macroscopico). Forze di contatto molto studiate nel seguito sono quelle che i vincoli esercitano
sugli elementi di una struttura.
8
1.2. LA NATURA FISICA DELLE FORZE E IL TERZO PRINCIPIO
Di nostro specico e fondamentale interesse sono, inoltre, le interazioni elettromagnetiche
che si producono allinterno dei corpi quando qualche eetto tende a modicare la posizione
naturale degli atomi nel reticolo cristallino. Lesperienza mostra che tali interazioni elettroma-
gnetiche interne possono essere sopportate solo entro certi limiti dal materiale. Se tali limiti
sono raggiunti, intervengono infatti modiche nella struttura del cristallo che possono anche de-
terminare la rottura ovvero lallontanamento irreversibile tra piani atomici attigui. Sullecacia
di tali interazioni elettromagnetiche facciamo adamento quando impieghiamo componenti de-
stinati a essere sollecitati nelle condizioni di esercizio. Lo stato di tensione, che rappresenta il
quanticatore macroscopico delle interazioni elettromagnetiche interne della materia, `e forse la
grandezze sica pi` u caratteristica del presente corso e probabilmente la pi` u usata.
1.2.3 Applicazioni del terzo principio
In relazione al concetto di forza, vista come manifestazione di una interazione, esaminiamo
il seguente esempio elementare che illustra come impiegare il terzo principio per identicare
razionalmente le forze agenti.
Esempio 1.2: Identicazione delle forze su un punto materiale
Una gomma per cancellare avente massa di 15 g `e ferma sul piano orizzontale di un tavolo
(gura 1.2). Analizzare le forze agenti, identicarne la natura sica ed evidenziare le
coppie di azione-reazione di terzo principio.
Figura 1.2: Una gomma per cancellare appoggiata sul piano di un tavolo
Schematizziamo la gomma come un punto materiale prescindendo quindi da forma,
estensione e struttura. Come conseguenza dellinterazione gravitazionale con la Terra, sulla
gomma agisce il peso proprio, rappresentabile come una forza

P verticale diretta verso il
basso e avente intensit`a: P = mg = 0.147 N (vedi gura 1.3). A tale conclusione si perviene
immediatamente, in quanto:
la gomma cadrebbe con una accelerazione pari a g se fosse libera
la presenza del tavolo non modica la forza peso, dato che non esiste uno schermo
per le interazioni gravitazionali
il fatto che per noi la gomma abbia velocit`a nulla non inuisce sul peso poiche la
forza di gravit`a non dipende dal moto (e quindi dalla velocit`a) dei corpi su cui agisce.
9
1. LA FORZA
La reazione di terzo principio a

P `e una forza diretta verso la gomma agente sulla Terra e
avente intensit`a di 0.147 N. Essa rappresenta la forza di con cui la gomma attrae la Terra.
P
G
P
G

Figura 1.3: Azione e reazione nellinterazione gravitazionale tra gomma e


Terra
La gomma `e appoggiata sul tavolo, possiamo pertanto prevedere la presenza di una
interazione di contatto. Dal punto di vista sico tale forza `e di natura elettromagnetica
e si spiega dalla repulsione degli strati elettronici della supercie inferiore della gomma e
quelli della supercie superiore del tavolo (in corrispondenza della gomma). Indichiamo col
simbolo

F
TG
la forza che il tavolo T esercita sulla gomma G e la reazione di terzo principio

F
GT
la forza che la gomma esercita sul tavolo. Il terzo principio per questa interazione si
scrive come:

F
TG
=

F
GT
(1.2)
ed `e illustrato in gura 1.4.
A dierenza del peso, non possiamo conoscere a priori la forza

F
TG
. Nel caso in esame,
la semplicit`a del problema e le conoscenze precedenti ci consentono peraltro di prevedere
che:

F
TG
=

P (1.3)
in quanto constatiamo che la gomma `e ferma sul tavolo (la sua accelerazione `e nulla) e non
riteniamo che vi siano altre forze signicative agenti su di essa.
TG
F
G
GT
F
G
Figura 1.4: Azione e reazione del contatto tra gomma e tavolo. Si noti che i
due oggetti devono essere separati per consentire di evidenziare con chiarezza
e senza ambiguit`a linterazione
Con riferimento allesempio, `e importante osservare il diverso signicato che deve essere
attribuito alle uguaglianze (1.2) e (1.3). La relazione (1.2) `e la traduzione matematica del terzo
principio e quindi vale in qualunque circostanza (in ogni condizione di quiete o di moto del
corpo e dellosservatore), luguaglianza (1.3) invece `e conseguenza della osservata condizione di
10
1.2. LA NATURA FISICA DELLE FORZE E IL TERZO PRINCIPIO
quiete della gomma. In una situazione diversa, per esempio se il tavolo non fosse fermo (si pensi
allo stesso problema in caso di sisma), luguaglianza (1.2) rimane valida mentre luguaglianza
(1.3) potrebbe non essere soddisfatta.
Nella sua semplicit`a, lesempio precedente `e particolarmente signicativo perche pu`o essere
considerato il modello per la soluzione di ogni problema di statica. Le considerazioni che sono
state sviluppate per scrivere le relazioni esistenti tra le varie forze possono infatti essere gene-
ralizzate. Alcune delle forze agenti sui corpi risultano note a priori (nel caso in esame: il peso
della gomma), altre invece sono a priori incognite (nello specico la forza esercitata dal tavolo).
Una forza nota a priori, quindi che si conosce prima di imporre le equazioni della meccanica
del corpo, sar`a chiamata carico (load). Le forze a priori incognite sono generalmente di tipo
elettromagnetico e derivano dalla presenza di corpi che impediscono, limitano o contrastano, il
libero movimento del corpo in esame. Un elemento o uno strumento che realizza una limitazio-
ne al movimento di un corpo `e detto vincolo (constraint) o supporto (support) e la forza
che si manifesta per la presenza di un vincolo `e chiamata reazione vincolare (constraint
reaction).
Il termine reazione usato nella locuzione reazione vincolare pu`o generare confusione con lo
stesso termine reazione usato nel terzo principio.
`
E opportuno considerare che, in corrispon-
denza di un vincolo, si manifesta sempre una interazione tra il corpo vincolato e un corpo
vincolante, e reazione vincolare `e il nome convenzionalmente attribuito alle forze esercitate dal
corpo vincolante sul corpo in esame. Nellesempio, il corpo vincolante `e il tavolo e la reazione
vincolare la forza

F
TG
esercitata dal tavolo sulla gomma. In virt` u del terzo principio, il corpo
esercita sul corpo vincolante una forza uguale e contraria (

F
GT
). Considerata la situazione,
sarebbe forse pi` u appropriato indicare leetto del vincolo sul corpo come azione vincolare, ma
questo rigore non si riscontra nel linguaggio comune e nella letteratura tecnica e quindi siamo
costretti a non applicarlo.
Per evidenziare le reazioni vincolari `e necessario rimuovere (idealmente) linterazione tra il
corpo in esame e il corpo vincolante, come fatto nella gura 1.4, sostituendola con la coppia di
azione-reazione che, attraverso il vincolo, pu`o essere esercitata. Formano la coppia di azione-
reazione di terzo principio: la forza che agisce sul corpo in esame e la forza che il corpo esercita
sul corpo vincolante.
Le seguenti considerazioni hanno lo scopo di esaminare criticamente certe aermazioni che,
nella migliore delle ipotesi, sono conseguenza di scarso rigore linguistico (talvolta spiegabile con
lambiguit`a del termine reazione vincolare) ma che spesso rivelano una non adeguata compren-
sione del terzo principio. La forza che agisce sul tavolo `e

F
GT
, non `e corretto dire che sul tavolo
agisce la forza peso della gomma. La forza peso della gomma agisce sulla gomma! Possiamo al
pi` u aermare che la forza esercitata sul tavolo dipende dal peso della gomma ma pu`o dipendere
anche da altro (si consideri cosa succede in caso di sisma). La forza esercitata dal tavolo sulla
gomma

F
TG
non `e la reazione (di terzo principio) della forza peso della gomma e sono varie le
argomentazioni per dimostrarlo:
come osservato, possono vericarsi situazioni in cui

P e

F
TG
non sono uguali e contrarie
ma ci`o costituirebbe una violazione del terzo principio
forza peso

P e forza di contatto

F
TG
agiscono entrambe sulla gomma, mentre azione e
reazione di terzo principio devono agire su corpi distinti mutuamente interagenti
azione e reazione sono manifestazioni della medesima interazione e quindi devono avere la
stessa natura sica.
Come anticipato, per semplicare la notazione, nei prossimi capitoli, le forze di contatto saranno
indicate senza pedici, inoltre entrambe le componenti dellinterazione saranno identicate con il
11
1. LA FORZA
medesimo simbolo (tipicamente una lettera latina maiuscola). Il soddisfacimento del terzo prin-
cipio sar`a pertanto ottenuto in modo automatico, rappresentando negli schemi le componenti
dellinterazione (azione e reazione) con il verso opposto, ognuna applicata su uno dei due corpi
interagenti.
1.3 Le forze dinerzia
Con il termine forza dinerzia o forza apparente (inertia force) si indica una forza che
non ha origine sica, non essendo riconducibile ad alcuna delle quattro interazioni fondamentali
o a loro combinazioni. Le forze dinerzia non esistono infatti per gli osservatori inerziali. In
Meccanica, per`o, si impiegano frequentemente osservatori e sistemi di riferimento non inerziali.
Per esempio, allo scopo di analizzare il confort nei mezzi di trasporto (automobili, carrozze
ferroviarie, navi, aerei, ecc. . . ) `e necessario considerare le sensazioni provate dal passeggero,
per cui il sistema di riferimento pi` u naturale con cui eettuare queste valutazioni `e solidale con
il mezzo di trasporto. Quando il moto del mezzo di trasporto non `e rettilineo uniforme, per
esempio: in frenata, in curva o in presenza di irregolarit`a del percorso, losservatore solidale
pu`o continuare a utilizzare la relazione (1.1) per descrivere i fenomeni meccanici che osserva
(compresi quelli direttamente sperimentati dai suoi sensi) a patto che introduca, oltre alle forze
di natura sica, anche le forze dinerzia. Possiamo quindi considerare lintroduzione delle forze
dinerzia come un espediente che permette di estendere la relazione fondamentale (1.1), valida
solo per gli osservatori inerziali, a un osservatore generico.
Confrontiamo come il moto di uno stesso punto materiale P viene analizzato, e quindi
descritto in forma matematica, da un osservatore inerziale e da un osservatore non inerziale.
Pi` u specicamente, consideriamo due sistemi di riferimento (per comodit`a entrambi cartesiani
ortonormali destrorsi), uno solidale allosservatore inerziale e uno allosservatore non inerziale.
La descrizione cinematica del moto del punto P fatta dai due osservatori `e in generale diversa
(in termini di posizione, velocit`a e accelerazione), tuttavia, anche sia garantita loggettivit`a
sica, deve esserci una stretta relazione tra i due punti di vista. Come dimostrato nei corsi di
Meccanica teorica e applicata, tramite considerazioni di natura geometrico-cinematica, deve in
particolare valere la seguente relazione vettoriale:
a =a
r
+a
t
+a
co
(1.4)
in cui:
a, chiamata accelerazione assoluta, `e laccelerazione di P misurata dallosservatore
inerziale; laggettivo assoluta si giustica considerando che tutti gli osservatori inerziali
misurerebbero per P il medesimo valore a
a
r
, chiamata accelerazione relativa, rappresenta laccelerazione misurata dallosserva-
tore non inerziale che analizza il moto di P (le componenti di a
r
sono ottenibili derivando
due volte rispetto al tempo la posizione di P rilevata nel sistema di riferimento non
inerziale)
a
t
, chiamata accelerazione di trascinamento, misura laccelerazione assoluta del punto
Q del sistema non inerziale che, nellistante considerato, si sovrappone al punto P (dato
che il punto P in genere si muove anche per losseratore non inerziale, i punti P e Q hanno
diversa accelerazione assoluta)
a
co
,chiamata accelerazione complementare o accelerazione di Coriolis, da Gaspar
Gustave Coriolis (1792-1843), `e ottenibile dalla relazione:
a
co
= 2 v
r
(1.5)
12
1.3. LE FORZE DINERZIA
in cui v
r
`e la velocit`a relativa (ovvero la velocit`a di P misurata dallosservatore non
inerziale) e `e la velocit`a angolare assoluta posseduta nellistante considerato dal sistema
non inerziale. Si osservi che `e comune al sistema di riferimento non inerziale e non
dipende dalla posizione di P o dellosservatore non inerziale.
Pu`o essere utile ricordare che laccelerazione di trascinamento in genere non `e uguale allac-
celerazione assoluta dellosservatore non inerziale. Luguaglianza tra i due vettori si verica se i
due sistemi di riferimento mantengono sso lorientamento relativo dei loro assi, ovvero se = 0
e quindi se il sistema non inerziale ha un moto traslatorio, anche non rettilineo. Un sistema
di riferimento non inerziale con moto solo traslatorio conserva pertanto lorientamento degli
assi rispetto alle stelle sse. Si deve inne ricordare che la relazione (1.5) `e valida in termini
vettoriali, quando `e necessario esplicitarla in componenti bisogna adottare un unico sistema di
riferimento che pu`o essere quello assoluto, quello relativo ma anche qualunque altro.
In base alla relazione (1.4), il secondo principio della dinamica (1.1) pu`o essere riscritto
considerando il punto di vista dellosservatore non inerziale come:
ma
r
=

F ma
t
ma
co
relazione interpretabile nel modo seguente: un osservatore non inerziale che esamina il moto di
un punto materiale (evidentemente il moto relativo) pu`o avvalersi del secondo principio della
dinamica a condizione di aggiungere alle forze agenti che hanno natura sica

F le forze apparenti
di trascinamento

F
t
e di Coriolis

F
co
, rispettivamente denite dalle relazioni:

F
t
= ma
t

F
co
= ma
co
La forma generale della seconda legge della dinamica per un osservatore generico diventa quindi:
ma
r
=

F +

F
t
+

F
co
(1.6)
Nel seguito, troveremo varie situazioni in cui risulter`a opportuno ricorrere a sistemi di riferi-
mento non inerziali. Tipicamente, nello studio del comportamento strutturale di un elemento
di macchina in movimento (albero, biella, manovella, ruota dentata, camma, volano, ecc. . . ), se
si considera un sistema di riferimento solidale allelemento stesso (assunto non deformabile), la
velocit`a relativa di ogni suo punto `e necessariamente nulla v
r
= 0 per cui

F
co
= 0, inoltre, in tali
circostanze, anche a
r
= 0 e, quindi un problema di dinamica `e ridotto a un problema di statica
con un corpo fermo sul quale agiscono le forze siche e le sole forze dinerzia di trascinamento.
`
E evidente che in ogni caso, per poter valutare le forze dinerzia, il moto (assoluto) del sistema
di riferimento non inerziale deve essere completamente noto.
`
E opportuno osservare che le forze dinerzia non sono la manifestazione di alcuna interazione
di natura sica, tuttavia, possono costituire i carichi prevalenti e, di conseguenza, indurre forze
siche molto intense. Per esempio, nella biella di un veloce motore alternativo le forze dinerzia
sono vari ordini di grandezza superiori al peso proprio e costituiscono il carico prevalente che
determina il deterioramento dei cuscinetti di supporto. Se si fa ruotare il disco di una mola a
velocit`a eccessiva, le forze apparenti, in questo caso forze centrifughe, possono generare azioni
interne di tipo elettromagnetico cos` intense da produrre la rottura del materiale (scoppio della
mola). Un rotore veloce, come la girante di una turbina ma anche la ruota di unautomobile,
deve essere accuratamente bilanciato per minimizzare gli eetti delle forze dinerzia sui vincoli.
Dal punto di vista del terzo principio, la reazione a una forza apparente pu`o essere conside-
rata come una forza applicata al resto dellUniverso (solidale al sistema di riferimento inerziale)
il quale, ovviamente, non ne subisce alcun eetto misurabile.
13
1. LA FORZA
Esempio 1.3: Forze dinerzia
Analizzare le forze agenti sul passeggero di un treno (vedi gura 1.5) avente massa di
75 kg, seduto e rivolto nella direzione di marcia, sapendo che laccelerazione del treno alla
partenza `e 1.2 m/s
2
.
Schematizziamo il passeggero come un punto materiale e, trascurando la deformabilit`a
della poltrona, consideriamo che si muova solidalmente al treno.
Senso di marcia
a
G
Figura 1.5: Condizione di un passeggero solidale al vagone di un treno che
sta partendo verso destra
Problema risolto nel sistema di riferimento inerziale
Per un osservatore inerziale, per esempio il capostazione fermo sulla pensilina, le forze
signicative agenti sul passeggero sono (come mostrato in gura 1.6):
la forza peso

P (si tratta di un carico)
la forza che il treno esercita sul passeggero (linsieme delle interazioni di contatto con
la poltrona e il pavimento) indicata con il simbolo

F
TP
(forza esercitata dal treno sul
passeggero) che `e una reazione vincolare, infatti non `e nota a priori.
Applicando lequazione fondamentale della dinamica (1.1), losservatore inerziale
scriver`a la relazione:

P +

F
TP
= ma (1.7)
nella quale `e tutto noto tranne la forza di contatto che pertanto pu`o essere da questa
ricavata. Usando un sistema cartesiano (vedi appendice A), con asse x nella direzione del
moto e asse y diretto verso lalto, la relazione (1.7) pu`o essere scritta in forma matriciale
come:
_
0
735.8
_
+
_
X
Y
_
= 75
_
1.2
0
_
(1.8)
dove X e Y rappresentano le componenti cartesiane della forza di contatto incognita (valori
in N), come mostrato in gura 1.6. Risolvendo il sistema lineare, si ottiene:

F
TP
=
_
90
735.8
_
N (1.9)
Concludiamo che, per losservatore inerziale, il treno esercita sul passeggero una forza
inclinata rispetto alla verticale. La componente verticale di tale forza bilancia il peso
14
1.3. LE FORZE DINERZIA
(infatti il passeggero non ha alcuna accelerazione in direzione y), mentre la componente
orizzontale della forza di contatto `e positiva (infatti il capostazione vede il passeggero
muoversi con una accelerazione orizzontale positiva). Si osservi che non sono state usate le
forze dinerzia in quanto non esistono per il capostazione.
TP
F
G
P
G
x
y
X
Y
TP
F
G
Figura 1.6: Punto di vista dellosservatore inerziale: le forze agenti sul
passeggero hanno tutte natura sica, nel loro complesso esse producono
laccelerazione del passeggero
Problema risolto dal punto di vista del passeggero
Il passeggero `e un osservatore non inerziale. Ovviamente, egli deve avere questa consa-
pevolezza e deve conoscere il moto del sistema di riferimento a lui solidale rispetto a quello
inerziale. Trascurata la deformabilit`a della poltrona, consideriamo il passeggero (e il suo
sistema di riferimento) solidale al treno. Data levidente non inerzialit`a del suo sistema di
riferimento, oltre alle forze siche agenti, che sono ancora:
la forza peso

P
la forza di contatto

F
TP
il passeggero dovr`a considerare anche le forze dinerzia. Siccome sta esaminando il suo
stesso moto (quindi di un punto costantemente fermo nel sistema di riferimento relativo)
la forza di Coriolis `e nulla ( = 0 e v
r
= 0) e la forza dinerzia `e solo di trascinamento:

F
t
= m a
t
. Laccelerazione di trascinamento `e, in questo caso, pari alla accelerazione
assoluta a
t
= a. La forza dinerzia `e quindi diretta nel verso opposto al moto del treno
(come illustrato in gura 1.7). Prendendo un sistema di riferimento solidale al treno
e, nellistante considerato, con gli assi coincidenti a quelli precedenti, la relazione (1.6)
diventa:
_
0
0
_
=
_
0
735.8
_
+
_
X
Y
_
75
_
+1.2
0
_
(1.10)
che `e indistinguibile dalla relazione (1.8).
Il passeggero considerer`a quindi agire su di se: il peso, una forza (apparente!) che lo
spinge verso la coda del treno e una forza di contatto globalmente esercitata dal sedile e
dal pavimento.
Possiamo concludere che, per quanto i punti di vista siano diversi, le valutazioni dei due
osservatori portano a conclusioni coerenti, in particolare entrambi concordano sulla forza di
contatto treno-passeggero. Se i due osservatori avessero previsto valori diversi per la forza
di contatto (che `e di natura sica) una misura della stessa avrebbe consentito di vericare
chi avesse commesso lerrore.
15
1. LA FORZA
TP
F
G
P
G
x
y
a m
G

Figura 1.7: Punto di vista di un osservatore sul treno. Il passeggero `e fermo


ma il sistema di riferimento non `e inerziale, pertanto, oltre alle forze di natura
sica deve considerare anche le forze dinerzia
Esempio 1.4: Forze centrifughe
Lestremit`a di un lo di lunghezza 50 cm `e ssata a un perno posto sopra un tavolo oriz-
zontale liscio (come rappresentato in gura 1.8). Allaltra estremit`a del lo `e collegata una
sfera di massa 30 g che viene fatta muovere sul piano alla velocit`a di 18 m/s mantenendo
il lo teso. Trascurando la resistenza dellaria, analizzare le forze agenti sulla sfera nel
sistema di riferimento solidale al lo.
Consideriamo un sistema di riferimento solidale al lo (gura 1.8), con lorigine nel
perno, lasse x lungo il lo stesso diretto verso la sfera, e lasse y verticale verso lalto.
Convertiamo i dati di ingresso in m e kg in modo da ottenere le forze in N. Rispetto al
lo, la sfera `e ferma e risente delle seguenti forze siche (trascuriamo gli eetti prodotti
dallaria):
il peso proprio:

P =
_
0
0.294
_
N , completamente nota (quindi un carico)
la forza di contatto tavolo-sfera

F
TS
, a priori incognita (reazione vincolare)
la forza di contatto lo-sfera

F
FS
, a priori incognita (reazione vincolare)
x
y
Figura 1.8: Sfera in rotazione attorno a un perno tramite un lo
Rispetto al sistema non inerziale, la sfera `e ferma (v
r
= 0) e pertanto lunica forza apparente
risulta quella di trascinamento. Dalla cinematica `e noto che in un moto uniforme con
velocit`a periferica v su una traiettoria circolare di raggio R, laccelerazione `e diretta verso
16
1.4. LA DEFINIZIONE STATICA DI FORZA
il centro di rotazione (accelerazione centripeta) e ha intensit`a pari a v
2
/R. La forza di
trascinamento ha pertanto la direzione del lo ed `e diretta verso lesterno, pertanto `e
chiamata forza centrifuga. La forza centrifuga si ottiene quindi con la relazione:

F
t
=
_
19.44
0
_
N (1.11)
Essendo la sfera immobile nel sistema solidale al lo, vale la seguente equazione (dedotta
dalla relazione (1.6)):
_
0
0
_
=
_
0
0.294
_
+

F
TS
+

F
FS
+
_
19.44
0
_
(1.12)
t
F
G
P
G
TS
F
G
FS
F
G
Figura 1.9: Forze agenti sulla sfera nel sistema del lo
Diversamente dallesempio precedente, le equazioni che si ottengono dalla (1.12) non
sono sucienti per determinare il valore delle quattro componenti incognite che deniscono
le reazioni vincolari. In eetti, non sarebbe dicile determinare le reazioni vincolari con-
siderando altri aspetti del problema: la levigatezza del tavolo e il fatto che il lo `e teso.
Rimandiamo queste considerazioni ai capitoli che seguono, dove i procedimenti di soluzione
dei problemi di statica saranno diusamente sviluppati.
Al lettore `e lasciato il compito di eettuare lanalisi dal punto di vista dellosservatore
inerziale.
1.4 La denizione statica di forza
1.4.1 Le forze come cause di distorsione dei corpi
Oltre che accelerare i punti materiali sui quali sono esercitate, le forze si manifestano anche
perche alterano, in modo pi` u o meno evidente, la forma dei corpi sui quali agiscono. Per
illustrare questo fenomeno, analizziamo il seguente esperimento.
Esempio 1.5: Eetto deformativo delle forze
Un cilindro di gomma C avente diametro di 50 mm e altezza di 40 mm `e appoggiato sul
piano orizzontale di un tavolo T (gura 1.10). Sopra il cilindro viene collocato un blocco
di acciaio B avente forma cubica di spigolo 150 mm in modo che, con suciente precisione,
il centro del blocco passi per lasse del cilindro e quindi che il blocco, alla ne, raggiunga
lequilibrio senza inclinarsi. Analizzare le forze agenti sui vari elementi.
17
1. LA FORZA
B
C
T
Figura 1.10: Blocco di acciaio B in equilibrio su un cilindro di gomma C
posto sul piano orizzontale di un tavolo T
Appena appoggiato sul cilindro si osserva una debole oscillazione del blocco la cui
ampiezza dipende dalla modalit`a con cui il blocco `e lasciato sul cilindro di gomma. Tale
oscillazione si estingue rapidamente e, atteso un tempo suciente, tutti i corpi appariranno
eettivamente fermi. Per comprendere il comportamento del cilindro di gomma dopo che `e
stata raggiunta la condizione di quiete, evidenziamo le forze su di esso agenti. A tale scopo,
esaminiamo prima il blocco e successivamente il cilindro.
Per analogia con i precedenti esempi, sappiamo che sul blocco agisce il peso proprio

P
B
e sulla sua faccia inferiore la forza di contatto

F
CB
derivante dallinterazione elettroma-
gnetica cilindro-blocco che rappresenta una reazione vincolare. Constatato che il blocco ha
accelerazione nulla nel sistema inerziale, tale forza di contatto dovr`a, per la seconda legge
della dinamica, equilibrare la forza peso del blocco di acciaio, per cui:

F
CB
=

P
B
.
Considerando che la densit`a dellacciaio `e di 7.8 kg/dm
3
, si ricava che i moduli comuni
di tali forze valgono P
B
= F
CB
= 258 N. La reazione (di terzo principio)

F
BC
alla forza che
il cilindro esercita sul blocco, `e esercitata dal blocco sulla faccia superiore del cilindro di
gomma ed `e diretta verso il basso. Sul cilindro di gomma agisce anche il peso proprio

P
C
e sulla faccia inferiore la forza esercitata dal tavolo sul cilindro

F
TC
che, come di consueto,
`e a priori incognita. Essendo la densit`a della gomma 0.97 kg/dm
3
, il peso proprio del
cilindro risulta solo di P
C
= 0.747 N e, pertanto, `e una forza molto pi` u piccola della forza
di contatto

F
CB
. Possiamo quindi trascurare leetto prodotto dal peso proprio del cilindro
sul fenomeno in esame. Diremo che tale carico `e trascurabile e che il comportamento del
cilindro `e dominato dalle altre forze su di esso agenti che in questo caso, come spesso
accade, sono di contatto.
CB
F
G
BC
F
G
TC
F
G
B
C
P
B
G
P
C
G
Figura 1.11: Forze esercitate sul blocco di acciaio B e sul cilindro di gomma
C
18
1.4. LA DEFINIZIONE STATICA DI FORZA
Dalle precedenti considerazioni e dallimmobilit`a del cilindro, possiamo dedurre che:

F
TC
=

F
BC
(1.13)
e quindi concludere che le forze signicative agenti sul cilindro sono rappresentate nella
gura 1.12.
BC
F
G
TC
F
G
C C
258 N
258 N
Figura 1.12: Forze signicative esercitate sul cilindro di gomma
Le forze signicative agenti sul cilindro dellesempio precedente sono pertanto le interazioni
elettromagnetiche di contatto applicate alle basi. Si osservi che lintensit`a comune di queste
forze `e pari a quella che si otterrebbe nel contatto diretto tra cubo e tavolo. Nella congurazio-
ne scelta, `e consuetudine aermare che il cilindro trasmette o trasferisce al tavolo la forza che
riceve dal blocco. Si osserva inoltre che tale trasferimento avviene in modo che forza non sia
alterata dalla presenza del cilindro. Pu`o essere utile comunque considerare che nulla di mate-
riale `e eettivamente trasmesso o trasferito tra i due corpi separati dal cilindro di gomma ma
solo linterazione. Questa situazione pu`o essere anche descritta aermando che la congurazione
consente alla coppia azione-reazione del contatto tavolo-blocco di attraversare i cilindro solle-
citandolo in compressione. Questi concetti e questo modo di descriverli pu`o apparire strano,
tuttavia saranno ampiamente sviluppati nel seguito del corso, per ora `e opportuno cominciare
a identicarli e acquisire il modo corretto di interpretarli e descriverli.
Si verica sperimentalmente che, quando sollecitato in questo modo, il cilindro di gomma
cambia forma e dimensioni rispetto alla congurazione di partenza misurata prima dellespe-
rimento. Pi` u precisamente, si manifesta una riduzione di altezza pari a circa 2.6 mm e un
incremento del diametro nella zona centrale pari a circa 1.5 mm. Aumentando lintensit`a delle
forze che sollecitano il cilindro (per esempio disponendo un altro blocco di acciaio sopra il prece-
dente), la distorsione del cilindro aumenta. Avendo a disposizione una serie di pesi, `e possibile
tracciare gracamente i punti di una legge empirica che correla lintensit`a (comune) delle due
forze che sollecitano il cilindro e una grandezza geometrica caratteristica della sua variazione
di forma. A tale scopo conviene usare una quantit`a facilmente misurabile come, per esempio,
laumento di diametro della sezione centrale. Usando questa legge empirica nel senso inverso,
se necessario con opportune interpolazioni, si potrebbe quindi dedurre lintensit`a comune delle
forze che comprimono il cilindro misurando laumento di diametro con un calibro.
1.4.2 La misura della forza
Il procedimento di misura dellintensit`a comune delle forze che sollecitano il cilindro descritto
nel punto precedente non `e basato su considerazioni di tipo dinamico (ovvero sul moto di
un corpo) ma, come anticipato, sfrutta la caratteristica dei corpi di deformarsi quando sono
sottoposti a forze. In linea di principio, essendo una grandezza sica denita dallo stesso
19
1. LA FORZA
procedimento con cui `e misurata, la forza ottenuta attraverso la distorsione del cilindro, che
potremmo chiamare statica, `e a rigore diversa dalla forza denita dalla relazione (1.1) che
abbiamo chiamato dinamica. Tuttavia, non sono mai stati osservati fenomeni in cui questa
dierenza abbia portato a diverse interpretazioni o a contraddizioni. Pertanto, si ammette
che produrre accelerazioni su punti materiali e alterare la forma dei corpi siano manifestazioni
diverse di una stessa grandezza sica: la forza.
Essendo per`o molto pi` u agevole dal punto di vista sperimentale eseguire misure di distorsio-
ne piuttosto che misure di accelerazione, nella maggioranza dei casi pratici, le forze si ottengono
sfruttando la denizione statica. A tale scopo si costruiscono i dinamometri, che sono strumenti
dei quali il cilindro di gomma descritto nellesempio precedente rappresenta una grossolana ap-
plicazione. Infatti, il cilindro di gomma ha caratteristiche (forma, propriet`a siche del materiale
e modalit`a di rilevazione delle distorsioni) che non garantiscono una misura della forza che lo
sollecita precisa e ripetibile. Come si vedr`a nel seguito, esistono materiali e forme molto pi` u
adatte per realizzare dinamometri con caratteristiche metrologiche soddisfacenti. In particolare,
`e possibile ottenere unottima proporzionalit`a diretta nella legge empirica che correla la varia-
zione di forma rilevabile e la forza sollecitante. La relazione di proporzionalit`a `e infatti solo
grossolanamente realizzata nel caso del cilindro di gomma.
Lo schema del dinamometro, e il suo simbolo graco, `e rappresentato da una molla a
elica avente massa trascurabile che si allunga o si contrae in misura direttamente proporzionale
allintensit`a comune delle due forze (sempre uguali e contrarie) che la sollecitano. Se si escludono
applicazioni didattiche, a causa del notevole ingombro, anche i dinamometri con la forma di
una molla a elica si usano raramente. Nella pratica a questo scopo `e impiegata una cella di
carico (load cell), un oggetto avente forma e dimensioni pi` u adatte allimpiego e che fornisce
un segnale elettrico proporzionale alla sua variazione di forma. In ogni caso, il principio sico
che sfrutta la deformabilit`a dei corpi indotta dalle forze `e alla base del funzionamento delle celle
di carico come del cilindro di gomma e dei dinamometri a molla elicoidale.
Nel seguito, per chiarire il comportamento meccanico delle strutture sotto lazione di for-
ze, potremmo sfruttare la disponibilit`a di un dinamometro ideale, avente dimensioni e massa
trascurabili, che potremo interporre tra qualunque coppia di punti, con lorientamento voluto.
Il dinamometro ideale quindi `e uno strumento perfetto che non modica la congurazione geo-
metrica del fenomeno, permette la trasmissione delle interazioni di contatto senza modicarle e
fornisce una lettura fedele della componente della forza che lo attraversa nella direzione dellasse
della sua molla ideale.
Esercizio 1.1: Caratteristiche delle forze
Per valutare la nostra massa generalmente usiamo una bilancia pesa-persone che `e in
eetti un dinamometro. Sulla base delle considerazioni svolte, vericare la correttezza
delle aermazioni o rispondere ai quesiti di seguito riportati.
a) La bilancia non misura la nostra massa e nemmeno il nostro peso, ma lintensit`a della
forza di contatto tra la pianta dei piedi e il pavimento.
b) Il valore della nostra massa `e ricavata in modo indiretto dalla misura eettuata con la
bilancia, anche se la scala di lettura `e tarata in kg per indicare direttamente la massa.
c) La misura della massa che deriviamo dalla bilancia `e scorretta se non stiamo fermi sulla
bilancia.
d) Se saltiamo sulla bilancia, la lancetta raggiunge un livello maggiore del valore che segna
20
1.5. LE FORZE COME VETTORI
quando stiamo fermi. Come giusticare quantitativamente questo momentaneo picco
nella misura?
e) Cosa misurerebbe la bilancia se ci pesassimo stando correttamente fermi sulla bilancia
ma allinterno di un ascensore che accelera verso lalto con una accelerazione di 0.2 g?
f) Anche se la bilancia `e tarata in kg, cosa indicherebbe se ci pesassimo sullEverest? E se
la bilancia fosse stata usata da Neil Armstrong sulla Luna? E se avesse voluto usarla
mentre era in orbita libera attorno alla Terra?
g) Si considerino gli esperimenti condotti sullaereo dellESA per simulare le condizioni
degli astronauti. Comunemente si dice che in caduta libera, anche nei pressi della Terra,
si `e in assenza di gravit`a o, pi` u correttamente, in condizioni di microgravit`a. Possiamo
a rigore aermare che il peso viene annullato (o comunque ridotto) in tali condizioni?
1.5 Le forze come vettori
1.5.1 La natura vettoriale della forza
Dalla denizione dinamica (equazione (1.1)) abbiamo ricavato che la forza, essendo il pro-
dotto di uno scalare per un vettore, `e una grandezza vettoriale. Le caratteristiche vettoriali si
evincono per`o anche dalla sua denizione statica. Infatti lesperienza dimostra che la risposta
di un dinamometro ideale dipende:
da quanto `e intensa linterazione (modulo)
dallorientamento dellasse della molla (direzione) e
dal fatto che la molla si estenda o si contragga (verso).
`
E utile pertanto osservare che, se linterazione di contatto tra due corpi non `e nota, per misurarla
dovranno essere impiegati (almeno) tre dinamometri, disposti con assi le cui direzioni non
siano linearmente dipendenti. In questo modo si ottengono le componenti della forza nelle tre
direzioni. Nel caso in cui gli assi dei dinamometri siano a due a due ortogonali, tale misura
fornir`a direttamente le componenti cartesiane della forza (riferite a un sistema con assi paralleli
agli assi dei dinamometri).
Esempio 1.6: Misura di una forza con dinamometri
Un blocco di acciaio di 30 kg `e posto su una supercie orizzontale scabra. Nel tentativo di
muoverlo viene esercitata manualmente una spinta S in direzione orizzontale. Sapendo che
applicando S = 20 N il blocco non slitta, determinare in tali condizioni la forza di contatto
blocco-piano e proporre un metodo per misurarla disponendo di dinamometri ideali.
Si consideri un sistema di riferimento cartesiano, con lasse y normale alla supercie
verso lalto e lasse x orizzontale equiverso con la spinta (come in gura 1.13). In queste
condizioni le forze e il moto sono rappresentabili con vettori giacenti nel piano x y e
il problema `e ricondotto a due dimensioni (problema piano). Indicando con S = 20 N
21
1. LA FORZA
lintensit`a della spinta, con P = 294.3 N il peso e con X e Y le componenti della forza
di contatto esercitata dal piano sul blocco (

F
PB
= X

i + Y

j), dalla equazione (1.1) si


ottiene (valori in N):
_
20
0
_
+
_
0
294.3
_
+
_
X
Y
_
=
_
0
0
_
(1.14)
dalla quale si ricava il valore dellinterazione supercie-blocco: X = 20 N e Y = 294.3 N.
Per misurare linterazione supercie-blocco, un solo dinamometro non `e suciente. Il
sistema di misura deve infatti fornire due quantit`a scalari. Come schematizzato in gura
1.13, possiamo ricorrere a due dinamometri disposti in serie (uno attaccato allaltro) ma
orientati in modo diverso, per esempio il primo D
x
con lasse della molla orizzontale e il
secondo D
y
con lasse verticale.
x
y
D
x
D
y
S
G
P
G
Figura 1.13: Misura di una generica forza di contatto su una supercie scabra
con due dinamometri ideali
Lentit`a delle distorsioni dei dinamometri D
x
e D
y
forniranno rispettivamente le inten-
sit`a delle componenti X e Y , inoltre, dal tipo delle distorsioni (le molle sono compresse
nello schema rappresentato), si potranno ricavare i segni delle forze di contatto agenti sul
blocco.
Si pu`o inoltre osservare che la scelta di orientare i dinamometri nella direzione degli
assi x e y, per quanto appaia naturale e sia in questo caso conveniente, non `e necessaria.
Scegliendo per gli assi dei dinamometri altre direzioni tra loro ortogonali sarebbero state
misurate le componenti della forza di contatto in un sistema cartesiano ruotato. Questo
risultato pu`o essere ulteriormente generalizzato: nel caso piano, `e possibile scegliere per gli
assi delle molle due direzioni qualsiasi (a condizione che siano tra loro distinte e appartenen-
ti al piano), ottenendo le componenti del vettore forza di contatto nelle due direzioni. La
conoscenza di tali quantit`a scalari, unita alla conoscenza delle direzioni delle molle, `e con-
dizione necessaria e suciente per ottenere il vettore forza di contatto in qualsiasi sistema
di riferimento. Nel caso di un problema nello spazio, la misura di una forza completamente
incognita impone luso di tre dinamometri i cui assi non siano complanari.
1.5.2 La rappresentazione matematica delle forze
Le forze, in quanto grandezze vettoriali, possono essere rappresentate in forma geometrica
come segmenti orientati (o frecce) oppure in forma algebrica come collezione ordinata di quan-
tit`a scalari. Con la rappresentazione geometrica `e possibile risolvere problemi di Meccanica
tramite procedimenti graci che possono essere molto espressivi e didatticamente ecaci ma
22
1.5. LE FORZE COME VETTORI
1
F
G
F
G
2
F
G
Figura 1.14: Composizione di due forze in una che produce gli stessi eetti
risultano applicabili di fatto solo ai casi bidimensionali. Per risolvere problemi tridimensio-
nali i procedimenti graci diventano alquanto complessi e perdono la loro prerogativa legata
allimmediatezza dellinterpretazione. Il procedimento di soluzione algebrico, essendo di fatto
indipendente dalle dimensioni del problema, non presenta queste limitazioni e sar`a preferito nel
corso.
Per trattare le forze, e pi` u in generale le grandezze vettoriali, con i procedimenti algebrici
`e necessario introdurre un sistema di riferimento che permette di esprimere il vettore mediante
un insieme ordinato di quantit`a scalari su cui eseguire le operazioni matematiche. Ognuna di
tali grandezze scalari `e chiamata componente (component) del vettore nel sistema scelto.
Nel corso si far`a riferimento in modo quasi esclusivo a sistemi cartesiani ortogonali destrorsi e
a questi riconducibili. Tali sistemi e il loro uso nella rappresentazione dei vettori e delle loro
operazioni sono trattati nellappendice A.
Alcune semplici regole generali che derivano dalla natura vettoriale delle forze possono
essere vericate sperimentalmente utilizzando, secondo i casi, sia la denizione dinamica sia la
denizione statica. Consideriamo un punto materiale sul quale agiscono due forze

F
1
e

F
2
, `e
lecito chiedersi se esista una singola forza

F tale che applicata al punto produca il medesimo
eetto (lo stesso moto o la stessa distorsione).
Sappiamo che la risposta a tale fondamentale domanda `e positiva e anche che, sempre per
evidenza sperimentale, la forza richiesta

F si ottiene componendo

F
1
e

F
2
con la regola del
parallelogramma, come mostrato in gura 1.14. Leetto combinato di due forze agenti su un
punto materiale `e quindi equivalente a quello prodotto sul punto dalla loro somma vettoriale:

F =

F
1
+

F
2
.
`
E utile ricordare (vedi appendice A) che sommare due vettori secondo la regola del paral-
lelogramma equivale a eettuare la somma delle componenti omonime di due vettori espresse
nello stesso sistema di riferimento. Infatti, rappresentando i vettori in forma di componenti, il
risultato della somma `e il seguente:

F = F
x

i +F
y

j +F
z

k = F
1x

i +F
1y

j +F
1z

k +F
2x

i +F
2y

j +F
2z

k =
= (F
1x
+F
2x
)

i + (F
1y
+F
2y
)

j + (F
1z
+F
2z
)

k
(1.15)
Per operare algebricamente con un vettore la rappresentazione matriciale `e spesso pi` u conve-
niente rispetto alluso dei versori

i,

j e

k. Un vettore sar`a quindi generalmente considerato una
matrice colonna con tante righe quante sono le dimensioni: 2 per problemi piani, 3 per problemi
nello spazio. La somma di due forze pu`o infatti essere eettuata anche come somma matriciale:

F =
_
_
F
1x
F
1y
F
1z
_
_
+
_
_
F
2x
F
2y
F
2z
_
_
=
_
_
F
1x
+F
2x
F
1y
+F
2y
F
1z
+F
2z
_
_
(1.16)
23
1. LA FORZA
1.5.3 Lavoro e lavoro virtuale
Oltre alla somma, sono denite varie altre operazioni tra vettori che saranno introdotte nel
corso quando si renderanno necessarie. Una grandezza sica fondamentale connessa alla forza e
molto utile in Meccanica `e il lavoro (work) fatto da una forza.
Quando il punto materiale su cui agisce una forza per un osservatore si sposta, generalmente,
sempre per losservatore in esame, la forza compie un lavoro. Consideriamo per primo il caso
pi` u semplice in cui:
il moto del punto sia rettilineo denito da un vettore spostamento s (il vettore sposta-
mento `e il segmento orientato con coda nella posizione di partenza e punta nella posizione
di arrivo del punto che si muove)
la forza non modichi la sua intensit`a durante il moto del punto
il vettore forza si mantenga parallelo ed equiverso durante lo spostamento del punto,
il lavoro compiuto dalla forza `e denito dal prodotto scalare:
L =

F s (1.17)
Si ricordi che lo spostamento del punto non `e in genere conseguenza dalleetto prodotto sul
moto dalla sola forza di cui si sta calcolando il lavoro. Il lavoro `e una grandezza scalare. La sua
misura nel SI `e, in onore di James Prescott Joule (1818-1889), il joule (J) unit`a che rappresenta
il lavoro compiuto da una forza costante di 1 N che agisce su un punto quando questo si sposta
di 1 m nella direzione e nel verso della forza. Se le forze si misurano in N e gli spostamenti
in mm, lunit`a di lunghezza convenzionale del disegno meccanico, il lavoro risulter`a espresso in
N mm ovvero in mJ (millijoule = 10
3
J).
Dalle propriet`a del prodotto scalare (vedi appendice A) si ricava che, nelle condizioni in cui
vale la relazione (1.17), il lavoro fatto dalla forza `e:
positivo se langolo tra i vettori

F e s `e minore di 90

nullo se

F e s sono perpendicolari
negativo se langolo tra i vettori

F e s `e maggiore di 90

.
Questa denizione elementare si applica al lavoro fatto dalla forza peso per spostamenti ret-
tilinei. Generalmente, tuttavia, quando il punto si sposta, le forze su di esso agenti variano.
Inoltre, la traiettoria del punto pu`o essere non rettilinea. In questi casi la denizione (e quin-
di il calcolo) del lavoro si complica. Il procedimento generale consiste infatti nel dividere la
traiettoria del punto in tratti sucientemente piccoli in modo che:
i singoli tratti di traiettoria possano essere considerati rettilinei
le caratteristiche della forza agente non muti signicativamente quando il punto si sposta
nellambito del singolo tratto.
La suddivisione della traiettoria in piccoli tratti permette di valutare i lavori eettuati dalla
forza in ognuno di essi usando la relazione (1.17), successivamente tali contributi parziali sono
sommati algebricamente (col loro segno). Si osservi che tale procedimento `e coerente con la
denizione di lavoro del caso elementare nel quale la traiettoria del punto pu`o essere scomposta
come si vuole in parti e il risultato della somma non cambia. Il procedimento descritto, portato
24
1.5. LE FORZE COME VETTORI
al limite su tratti innitesimi di traiettoria, per lAnalisi Matematica rappresenta un integrale
di linea:
L =
_

F ds (1.18)
in cui `e la traiettoria percorsa dal punto P sul quale agisce la forza

F e ds un tratto
innitesimo di . In termini operativi, supponiamo che sia una curva regolare compresa tra i
punti A e B, come descritto nellappendice E, essa pu`o essere rappresentata per mezzo di una
funzione, che assumiamo sucientemente regolare, di un parametro scalare , con
A

B
e A = OP(
A
) e B = OP(
B
):
OP =
_
_
x
P
()
y
P
()
z
P
()
_
_
(1.19)
Nel caso, in eetti piuttosto frequente, in cui la forza dipenda solo dalla posizione del punto P
(e quindi solo da ), la relazione (1.18) si trasforma nel seguente integrale semplice (di R
1
):
L =

B
_

A
_
F
x
()
dx
P
()
d
+F
y
()
dy
P
()
d
+F
z
()
dz
P
()
d
_
d (1.20)
Per calcolare il lavoro globalmente compiuto da pi` u forze agenti sullo stesso punto materiale,
`e indierente eettuare prima la somma vettoriale delle forze e calcolarne il lavoro, oppure
calcolare separatamente i lavori fatti dalle single forze e eettuarne la somma algebrica. Dal
punto di vista formale tale uguaglianza `e una conseguenza della propriet`a distributiva del
prodotto scalare rispetto alla somma vettoriale.
Se su un punto materiale di massa m la forza complessiva agente compie lavoro, leetto si
manifesta con una variazione dellenergia cinetica del punto che, com`e noto, `e espressa dalla
relazione: K = 1/2mv
2
. In simboli si ha infatti:
L = K (1.21)
relazione nota come teorema delle forze vive o teorema dellenergia cinetica. Pertanto,
un lavoro positivo aumenta lenergia cinetica mentre per ridurre lenergia cinetica `e necessario
che le forze agenti facciano lavoro negativo. La validit`a del teorema delle forze vive `e del tutto
generale e non dipenda dalla natura delle forze agenti.
Quando le forze agenti su un punto sono funzioni della sola posizione, si dice talvolta che
il punto si muove in un campo di forze. Le forze

F di un campo sono dette conservative
se il lavoro che fanno quando il punto descrive una traiettoria chiusa qualunque (A B) `e
nullo. Da questa denizione se ne ricava unaltra del tutto equivalente: il lavoro fatto dalle forze
conservative nello spostamento di un punto da una posizione A a una posizione B non dipende
dal percorso ma solo dalle posizioni A e B. Il calcolo del lavoro fatto da forze conservative
pu`o essere notevolmente semplicato introducendo una opportuna funzione scalare, chiamata
energia potenziale, che dipende solo dalle posizioni iniziale e nale A e B della traiettoria.
Per ottenere lenergia potenziale si assume una generica posizione di partenza C (che conven-
zionalmente `e considerata a energia potenziale nulla) e si associa a ogni punto A dello spazio
uno scalare dato dallopposto del lavoro che le forze del campo fnno quando il punto si sposta
da C ad A. In termini operativi, si considera una traiettoria = OP() che congiunge il punto
di partenza C di coordinate OP(
C
) e il punto A di coordinate OP(
A
) e si calcola la seguente
espressione:
U
A
=

A
_

C
_
F
x
()
dx
P
()
d
+F
y
()
dy
P
()
d
+F
z
()
dz
P
()
d
_
d (1.22)
25
1. LA FORZA
Se confrontiamo le espressioni (1.20) e (1.22), lintroduzione dellenergia potenziale non
sembra produrre alcuna semplicazione pratica. In realt`a `e opportuno considerare che per le
forze conservative `e possibile scegliere a piacimento la traiettoria e ci`o pu`o rendere molto
agevole lintegrazione, inoltre, dato lo specico campo di forze, lintegrale pu`o essere calcolato
una volta per tutte e, quindi, per molte situazioni di pratico interesse (forze gravitazionali,
elettrostatiche, elastiche, ecc. . . ) il risultato `e gi`a disponibile. Nota lespressione dellenergia
potenziale, il lavoro fatto da una forza conservativa quando il punto si sposta da A a B si ottiene
immediatamente come dierenza tra il valore iniziale e il valore nale (attenzione allordine!)
dellenergia potenziale:
L = U
A
U
B
= U (1.23)
Si pu`o osservare che il lavoro fatto dalle forze del campo `e ottenuto sempre come variazione
di energia potenziale per cui la scelta della posizione C da cui `e stata denita la quantit`a U
risulta ininuente. Una modica del punto C produce infatti leetto di sommare una costante
a tutti i valori di energia potenziale del campo.
Nei casi in cui la forza agente sul punto sia conservativa, dalle reazioni (1.21) e (1.23) si
ricava:
U = K (1.24)
che si pu`o scrivere anche come:
(U +K) = 0 (1.25)
La relazione (1.25) esprime la circostanza che sotto lazione di sole forze conservative la
somma dellenergia cinetica e potenziale di un punto non varia nel suo moto. La quantit`a
K + U `e chiamata energia meccanica del punto e la relazione (1.25) `e nota come principio
di conservazione dellenergia meccanica. Nel caso in cui la forza agente sia non conser-
vativa `e necessario introdurre altri termini nel bilancio energetico (che includono fenomeni non
prettamente meccanici, in particolare il calore scambiato o lenergia termica) in modo che la
relazione (1.25) possa essere estesa nel pi` u generale principio di conservazione dellenergia totale
o primo principio della Termodinamica.
In alcuni problemi di Meccanica `e talvolta utile considerare piccoli movimenti o piccole va-
riazioni di congurazione. Lo spostamento di un punto materiale tale per cui le forze agenti
conservano lintensit`a e rimangono parallele ed equiverse, `e detto spostamento virtuale (vir-
tual displacement) e, comunemente, si rappresenta con il presso (delta minuscola). Il
lavoro virtuale (virtual work), che rappresenta il lavoro compiuto da una forza quando il
punto su cui `e applicata subisce uno spostamento virtuale, vale quindi per denizione:
L =

F s (1.26)
Solitamente, anche se non necessariamente, per essere virtuale uno spostamento deve essere
innitesimo per cui: s = ds.
Il lavoro compiuto da una forza costante nellunit`a di tempo `e numericamente pari alla
potenza (power). La potenza istantanea W prodotta da una forza

F che agisce su un punto
che si muove con velocit`a istantanea v `e data dal prodotto scalare:
W =

F v (1.27)
Nel SI la potenza si esprime in watt W (1 W = 1 J/1 s), in onore di James Watt (1736-1819).
Analogamente al lavoro, dalluso del newton come unit`a di forza e del mm come unit`a di
lunghezza consegue che la potenza sia espressa in mW = 10
3
W.
26
1.5. LE FORZE COME VETTORI
Esercizio 1.2: Lavoro e potenza
Un anello di massa 20 g viene lasciato fermo allestremo superiore di una guida elicoidale
che si avvolge attorno a un asse verticale e ha raggio 50 cm, passo 20 cm ed `e alta
complessivamente 40 cm. Vericare che:
a) il lavoro complessivamente fatto dalla forza peso quando il punto giunge allestremo
inferiore vale: 0.0785 J
b) in assenza di attrito, la velocit`a di arrivo vale: 2801 mm/s
c) in assenza di attrito, la potenza sviluppata dal peso nel momento dellarrivo vale:
0.035 W.
d) Determinare inoltre a quale altezza rispetto al piano inferiore si trova lanello quando la
sua velocit`a `e met`a del valore nale.
Esercizio 1.3: Lavoro di una forza elastica
Una sfera di massa 60 g posta su un piano orizzontale liscio `e collegata allestremo libero
di una molla ideale di costante elastica k = 5.5 N/mm che ha laltro estremo sso. Dato
che per ogni posizione in cui si trova la massa `e possibile determinare la forza che la
molla esercita, `e stato realizzato un campo di forze. Si tratta in eetti di un semplice
campo elastico. Considerando per semplicit`a che la sfera possa spostarsi solo lungo lasse
della molla, indicata con s lestensione della molla (quantit`a positiva quando la molla `e
allungata), vericare le seguenti aermazioni
a) il lavoro fatto dalla forza esercitata dalla molla sulla sfera quando questa `e portata dalla
posizione di molla a riposo a una posizione generica s vale 1/2ks
2
b) il segno meno precedentemente ottenuto `e valido sia per lestensione sia per la
contrazione della molla
c) se lestensione della molla `e prodotta da una forza esterna applicata alla sfera che istante
per istante equilibra la forza della molla, il lavoro fatto dalla forza esterna `e 1/2ks
2
d) se la sfera viene lasciata (ferma) in una posizione in cui la molla `e estesa di 4 mm, la
massima velocit`a che essa pu`o raggiungere `e 1.211 m/s
e) nel caso precedente, i moduli della massima forza che agisce sulla sfera e della sua
massima accelerazione valgono rispettivamente 22 N e 367 m/s
2
(pari a 37.4 g).
27
Capitolo 2
Statica del punto materiale
In questo capitolo sono discusse le applicazioni del secondo principio della dinamica nel caso
in cui il punto materiale `e fermo. La parte della Meccanica che studia le condizioni per cui si
verica uno stato di quiete, o equilibrio, `e chiamata Statica. I risultati e i metodi presentati
in questo capitolo sono sviluppati per studiare lequilibrio statico di corpi aventi caratteristiche
riconducibili a punti materiali. Nel paragrafo 2.1 `e discusso il punto materiale inteso come il
modello pi` u semplice di corpo sico utilizzato nel corso. Il paragrafo 2.2 descrive e interpreta
un esperimento ideale nel quale viene realizzato uno stato di quiete per un punto materiale. Le
conseguenti condizioni di equilibrio sono ottenute come evidenza sperimentale. Il paragrafo 2.3
illustra un procedimento generale adatto per risolvere i problemi di statica del punto materiale
che pu`o essere generalizzato allo studio di un ben pi` u ampio insieme di corpi sici. Il paragrafo
2.4 sviluppa lapplicazione del procedimento generale alla soluzione di problemi di statica nel
piano in cui la congurazione di equilibrio `e denita nei dati di ingresso. Nel paragrafo 2.5
`e analizzato il caso in cui la congurazione di equilibrio non `e nota a priori ma deve essere
ricavata dalla condizione di equilibrio. Nellultimo paragrafo sono arontati alcuni problemi di
statica del punto materiale nello spazio.
2.1 Il punto materiale come modello di corpo
Uno degli obiettivi principali del corso consiste nello sviluppo di metodi adatti a prevedere
se gli elementi che compongono macchine e strutture sono in grado di sopportare, senza dan-
neggiarsi o distorcersi eccessivamente, le sollecitazioni a cui sono sottoposti nel funzionamento.
Nella pratica, per eettuare questo tipo di verica si pu`o seguire la via sperimentale, realiz-
zando un prototipo ed eseguendo opportune misure. Il procedimento sperimentale, per quanto
in molti casi auspicabile e talvolta necessario, `e peraltro inapplicabile in modo sistematico per
evidenti motivi di costo e di tempo. Inoltre, gli stessi esperimenti spesso sono di non immediata
interpretazione e richiedono speciche analisi per essere compresi in modo che i risultati siano
procuamente impiegati.
`
E pertanto necessario sviluppare modelli matematici che consentano
di prevedere sulla carta, o nel computer, il comportamento del componente di macchina in
esercizio o nelle prove.
Per il corso, un modello `e un oggetto, oppure un procedimento, di tipo matematico in
grado di rappresentare alcuni aspetti del fenomeno sico in esame allo scopo di consentire la
previsione del valore di una, o pi` u, grandezze in assenza della misura diretta o a prescindere da
questa.
`
E opportuno chiarire che per uno stesso fenomeno pu`o essere lecito, e talvolta anche
opportuno, sviluppare modelli diversi. Possono esistere, infatti, modelli pi` u o meno accurati,
e modelli diversi possono essere sviluppati per descrivere uno stesso fenomeno allo scopo di
29
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
evidenziarne alcuni aspetti piuttosto di altri. Le caratteristiche che un modello deve possedere
per essere considerato valido sono riassunte nei punti seguenti:
1. coerenza con le leggi della Fisica: devono essere rispettati (almeno entro limiti ragione-
voli di approssimazione) i principi fondamentali come per esempio la conservazione della
massa e dellenergia, e le grandezze devono essere utilizzate coerentemente dal punto di
vista dimensionale e delle unit`a di misura
2. coerenza formale: il modello deve essere sviluppato in modo corretto nellelaborazione
delle relazioni matematiche, nella valutazione delle propriet`a geometriche, ecc. . .
3. semplicit`a: il modello deve richiedere il minimo numero di ipotesi, di parametri e di dati
in ingresso
4. ecacia: il modello deve essere nalizzato allottenimento dello scopo pressato con la
precisione opportuna (un eccesso di precisione non `e indice di qualit`a)
5. ecienza: il risultato dovrebbe essere ottenuto nel modo pi` u diretto possibile con
limpiego delle minime risorse di calcolo.
Un modello `e valido quando porta a previsioni utili sul fenomeno in esame, fatte salve le
caratteristiche di coerenza, la validit`a di un modello pu`o essere vericata soltanto a posteriori.
La capacit`a di realizzare modelli validi non si raggiunge facilmente e non sono disponibili regole
generali di comportamento. Si tratta di una abilit`a di tipo complesso che si apprende con la
pratica, sfruttando il buon senso, la cultura tecnica, lesperienza nella soluzione di problemi
simili, le capacit`a induttive e spesso anche la fantasia. Per sviluppare questo tipo di abilit`a,
che contraddistingue nella sostanza un buon tecnico, `e utile ricordare laforisma del grande
matematico John Von Neumann (1903-1957), uno dei padri dellinformatica: la matematica
non si capisce alla matematica ci si abitua. Lo stesso principio vale anche per le scienze siche
e, ancor di pi` u, per le discipline tecniche: non c`e modo migliore di imparare che quello di usare
i concetti per risolvere problemi.
Il punto materiale (particle) rappresenta un ottimo esempio di modello meccanico e,
nella sua essenzialit`a, permette di eettuare previsioni di tipo quantitativo anche di fenomeni
non banali. Il punto materiale `e infatti il pi` u semplice modello meccanico per un corpo sico in
quanto ne considera solo la posizione nello spazio e la ineliminabile caratteristica inerziale (la
massa). La denizione assiomatica `e la seguente:
un punto materiale `e un punto geometrico, pertanto privo di dimensioni, avente
massa costante.
Come tutte le denizioni assiomatiche, anche questa si presenta poco operativa e evidenzia
varie dicolt`a di applicazione. In eetti, nessun oggetto del mondo macroscopico potrebbe
essere a rigore considerato un punto materiale: tutti i corpi occupano un volume, hanno una
forma e sono separabili in parti, ovvero hanno una struttura. Tuttavia, lesperienza insegna
che il punto materiale pu`o essere un modello adeguato in molte circostanze: la Terra e il Sole
possono essere considerati punti materiali per lanalisi dellorbita terrestre e, in particolare,
per valutare il periodo di rivoluzione della Terra (durata dellanno). Peraltro, la Terra non
pu`o essere considerata un punto materiale per studiare i terremoti o la deriva dei continenti.
Possiamo quindi fornire una denizione pi` u operativa di punto materiale:
il punto materiale `e un modello adeguato per qualunque corpo quando le sue dimen-
sioni sono trascurabili rispetto alle dimensioni caratteristiche del problema e la sua
forma e la sua struttura non producono eetti signicativi per le valutazioni che
devono essere eettuate.
30
2.2. EQUILIBRIO STATICO DEL PUNTO MATERIALE
Per la previsione della durata dellanno, le dimensioni caratteristiche del problema sono rappre-
sentate dai semiassi dellorbita terreste nei confronti dei quali i diametri di Sole e Terra sono
eettivamente ordini di grandezza inferiori.
`
E presumibile che gli errori indotti nella stima della
durata dellanno introdotti dallaver trascurato le dimensioni di Sole e Terra siano di entit`a
comparabile o inferiore. Inoltre, fenomeni connessi alla struttura dei due corpi (come per esem-
pio: la perdita di massa del Sole per irraggiamento o i movimenti della Terra, come la rotazione
giornaliera, le maree, i terremoti, ecc. . . ) producono eetti marginali sulla durata dellanno.
A posteriori possiamo vericare la validit`a del modello poiche la durata dellanno pu`o essere
misurata e la previsione eettivamente riscontrata.
Se un modello non risulta adeguato, `e necessario predisporne un altro, generalmente pi` u
complesso.
2.2 Equilibrio statico del punto materiale
2.2.1 La condizione di equilibrio statico
Un corpo `e considerato in condizioni di quiete o di equilibrio statico rispetto a un
osservatore, o a un sistema di riferimento solidale a un osservatore, quando:
la velocit`a relativa di ogni punto del corpo `e nulla per un intervallo tempo, anche
breve, ma nito.
Dato che laccelerazione `e la derivata temporale della velocit`a, in condizioni di quiete anche
laccelerazione relativa di tutti i punti del corpo deve essere nulla (esclusi al pi` u gli istanti
iniziale e nale dellintervallo). La Statica, che rappresenta la branca della Meccanica che studia
le condizioni di equilibrio, pu`o pertanto essere considerata un caso particolare della Dinamica
perche prende in esame corpi caratterizati da moti con velocit`a e accelerazione relative entrambe
nulle.
2.2.2 Lesperimento dellequilibrio: funi ideali e pulegge ideali
Per analizzare le condizioni di equilibrio di un punto materiale, consideriamo un semplice
esperimento nel quale sia possibile esercitare varie forze su un piccolo oggetto. Lapparato
sperimentale, schematizzato in gura 2.1, `e composto di li o cavi (cables), avvolti su pu-
legge (pulleys), che sostengono alcuni pesi. Le altre estremit`a delle funi sono attaccate a
un piccolo anello, le cui dimensioni sono trascurabili rispetto alle dimensioni dellapparato. La
nostra attenzione `e rivolta al comportamento dellanello e in particolare al suo movimento. Per
interpretare lesperimento, `e utile analizzare preliminarmente il comportamento meccanico di
funi e pulegge. Osserviamo in primo luogo che si tratta necessariamente di corpi estesi e che
quindi non possono essere considerati punti materiali, per`o il loro comportamento meccanico `e
relativamente semplice e pu`o essere evidenziato con esperienze comuni.
Se ssiamo lestremit`a di una fune (per esempio la leghiamo a un gancio solidale a una
parete) ed esercitiamo sullaltra estremit`a una forza, dopo una fase di assestamento, la fune si
tende, ovvero diventa un segmento di retta. La retta assume la direzione della forza applicata.
Se tagliamo la fune in un punto qualunque e ristabiliamo la connessione tra le due parti inter-
ponendo un dinamometro in grado di misurare le tre componenti della forza mutua che sollecita
la connessione, possiamo inoltre vericare che:
la forza misurata `e indipendente dalla posizione del taglio
la direzione della forza coincide con quella della fune
31
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
x
y
z
Figura 2.1: Apparato sperimentale per lo studio dellequilibrio di un punto
materiale
le molle del dinamometro non sono mai contratte.
Per mezzo di un tratto rettilineo di fune `e pertanto possibile trasferire, o trasmettere, una forza
da un estremo allaltro mantenendo inalterate le caratteristiche (intensit`a, direzione e verso)
della forza stessa. La fune pu`o quindi essere ecacemente impiegata come strumento in grado
di modicare il punto di applicazione della forza. La fune inoltre non pu`o essere compressa.
Chiameremo tiro il modulo della forza trasmessa dalla fune.
La puleggia `e realizzata con un disco di forma cilindrica che pu`o ruotare attorno a un perno
centrale. La supercie esterna dela puleggia e conformata in modo da alloggiare una fune o un
elemento simile. In certe condizioni, che preciseremo tra poco, si verica sperimentalmente che
la puleggia permette di modicare la direzione della fune su di essa avvolta senza alterarne il
tiro.
A rigore, funi e pulegge con queste caratteristiche non esistono, ci si avvicina a tali condizioni
quando:
funi e pulegge hanno massa trascurabile
le funi sono perfettamente essibili (non `e richiesta una forza signicativa per incurvarle)
larea della sezione del lo `e trascurabile
le pulegge ruotano sul perno con cuscinetti aventi attrito trascurabile (per esempio con
cuscinetti a rotolamento)
In eetti, stiamo introducendo due nuovi modelli meccanici che potremmo chiamare:
fune ideale costituita da un elemento unidimensionale, privo di massa, inestensibile (di
lunghezza indipendente dal tiro) e perfettamente essibile
puleggia ideale un elemento cilindrico privo di massa che ruota senza attrito attorno a
un perno centrale.
32
2.2. EQUILIBRIO STATICO DEL PUNTO MATERIALE
Una fune ideale avvolta attorno a una puleggia ideale cambia direzione senza che il suo tiro sia
modicato e questo si verica sia in condizioni di quiete sia in movimento. Queste condizioni non
sono mai perfettamente realizzabili, tuttavia, possono essere adottati accorgimenti costruttivi
per consentire che il comportamento di funi e pulegge reali sia ragionevolmente vicino a quello
ideale. Elementi come catene (chain(s)) e cinghie (belt(s)) sono componenti meccanici che,
in molti casi, possono essere schematizzati come funi ideali.
2.2.3 Interpretazione dellesperimento e prima equazione cardinale della sta-
tica
Ritorniamo allesperimento di gura 2.1. Variando il numero di funi, lentit`a dei pesi e
la disposizione delle pulegge, `e possibile esercitare un generico insieme, o sistema, di forze
sullanello. Supponiamo di interporre un dinamometro ideale tra ogni fune e lanello. Dato che la
forza esercitata da ogni fune ha alcune caratteristiche note, `e suciente impiegare dinamometri
costituiti da ununica molla, disposta con lasse parallelo alla direzione della fune, come illustrato
schematicamente nella gura 2.2(a). Dalla lettura del dinamometro e dal rilievo della direzione
della fune `e quindi possibile determinare in modo completo le caratteristiche vettoriali della
specica forza esercitata sullanello.
Poiche interessa il comportamento dellanello, lo consideriamo idealmente separato, o scon-
nesso, dal resto dellUniverso (vedi gura 2.2(a)) e sostituiamo a ogni interazione eliminata, la
componente della coppia azione-reazione che agisce sullanello. In corrispondenza di ogni fune,
Separazione ideale
1
F
G
2
F
G
3
F
G
4
F
G
P
G
(a) (b)
Figura 2.2: Interpretazione del problema di gura 2.1: (a) identicazione
dellanello come elemento da analizzare e sua separazione dal resto dellUni-
verso interagente; (b) identicazione della forza che agisce sullanello per ogni
interazione eliminata
la sconnessione ideale elimina una interazione di tipo elettromagnetico. Identichiamo con lin-
dice i la generica fune (i = 1, .., n) e con

F
i
la forza esercitata dalla iesima fune sullanello. A
queste forze si deve aggiungere il peso proprio dellanello

P (che si manifesta avendo idealmente
eliminata anche linterazione gravitazionale), le forze dinerzia sono trascurabili in quanto le-
sperimento viene interpretato in un sistema di riferimento solidale a un laboratorio sso. Lo
schema dellanello idealmente isolato con tutte le forze su di esso agenti `e riportato nella gura
2.2(b).
Si verica sperimentalmente che se lanello `e in stato di quiete (o in equilibrio statico) vale
la seguente relazione:

P +

F
1
+

F
2
+... +

F
n
= 0 (2.1)
La somma vettoriale delle forze agenti su un corpo viene indicata con il termine risultan-
te (resultant). Posto:

R =

P +

F
1
+

F
2
+... +

F
n
(2.2)
33
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
la condizione (2.1) pu`o essere scritta pi` u sinteticamente come:

R = 0 (2.3)
Possiamo quindi concludere, come evidenza sperimentale, che:
in condizioni di equilibrio statico, la risultante di tutte le forze agenti su un punto
materiale `e un vettore nullo.
La relazione (2.3) illustrata dalla precedente aermazione `e chiamata prima equazione
cardinale della Statica.
`
E opportuno sottolineare che la condizione di annullamento della
risultante espressa dalla relazione (2.3) `e necessaria ma non suciente per lequilibrio
statico di un punto materiale. Come `e stato chiarito nel capitolo 1, infatti, il bilanciamento
delle forze produce un moto dinerzia, che per un punto materiale `e in genere rettilineo uniforme.
Se vogliamo che il punto sia eettivamente in equilibrio statico secondo la denizione data nel
paragrafo 2.2.1, `e necessario che il sistema di forze abbia risultante nulla e, inoltre, che il punto
sia anche fermo. Come vedremo studiando lequilibrio di sistemi pi` u complessi, la garanzia
dellequilibrio si ottiene con linserimento di opportuni vincoli.
2.3 Impostazione dei problemi di statica del punto materiale
Lequazione (2.3), anche se esprime una condizione solo necessaria per lequilibrio statico,
permette di ottenere fondamentali informazioni sullequilibrio dei punti materiali e viene usata
in molti casi per valutare lentit`a di alcune forze agenti che sono a priori incognite. Un generico
problema di statica del punto materiale pu`o infatti essere formulato in estrema sintesi come
segue:
un punto materiale `e in equilibrio sotto lazione di alcune forze note (carichi) e di
altre incognite (reazioni vincolari), determinare, se possibile, le forze incognite.
I passi da seguire per ottenere il risultato sono raccolti nella seguente procedura generale di
soluzione.
a) Identicazione dellelemento in equilibrio e sua modellazione
Questa fase della soluzione non appare, almeno per ora, particolarmente dicile perche
lelemento pu`o essere modellato solo come punto materiale. In seguito saranno sviluppati
modelli adatti per descrivere corpi pi` u complessi e lidenticazione potr`a essere pi` u inte-
ressante. Un aspetto comunque importante della modellazione `e la scelta della dimensione
del problema, in quanto da questa dipende il numero di equazioni scalari indipendenti
deducibili dalla relazione (2.3). In generale, per individuare la posizione di un punto sono
necessarie tre coordinate e, per rappresentare le forze agenti servono tre componenti. In
questo caso, il problema `e detto tridimensionale o nello spazio. Tuttavia, molti casi pos-
sono essere ragionevolmente semplicati costruendone modelli bidimensionali (problemi
piani). Si potrebbe obiettare che non esistono situazioni pratiche riconducibili in modo
esatto a problemi bidimensionali, poiche tutti i corpi hanno uno spessore. Tuttavia, quan-
do `e identicabile un piano di simmetria per la geometria e per le forze, la modellazione
bidimensionale del problema `e in genere sucientemente accurata. Usando modelli piani,
la complessit`a dei calcoli diminuisce, i problemi possono essere schematizzati su un fo-
glio e questo aiuta notevolmente la loro comprensione. Pertanto, quando si identica un
piano, comunque orientato, che contiene il punto in esame e le forze agenti, `e opportuno
ssare su tale piano un sistema di riferimento cartesiano a due assi con cui rappresentare
le grandezze geometriche e le forze. Per la soluzione dei problemi piani, sono disponibili
34
2.3. IMPOSTAZIONE DEI PROBLEMI DI STATICA DEL PUNTO MATERIALE
anche metodi graci che per`o non saranno trattati nel corso. Per le modellazioni nello
spazio `e invece conveniente adottare una impostazione e un procedimento di soluzione di
tipo analitico. Nei problemi tridimensionali lottenimento della soluzione `e in genere pi` u
laboriosa, a causa del pi` u elevato numero di equazioni e di incognite. Qualche dicolt`a
pu`o sorgere inoltre nella rappresentazione graca del problema e delle soluzioni. A questo
scopo sono utili le proiezioni ortogonali o lassonometria cavaliera, tipiche rappresentazioni
del disegno meccanico.
`
E peraltro opportuno che un futuro ingegnere meccanico aronti
subito questo tipo di dicolt`a e sviluppi schemi mentali e strumenti operativi adatti a
trattare gli aspetti tridimensionali delle strutture e degli organi meccanici.
b) Identicazione dei carichi e delle reazioni vincolari
Come visto nel paragrafo 2.2, questa fase richiede una ideale separazione del punto in
esame dal resto dellUniverso. Conseguentemente, risulteranno evidenziate le forze di
interazione agenti sul punto stesso. Le forze che in questa fase sono note, o possono essere
calcolate direttamente senza ricorrere a considerazioni di equilibrio (generalmente si tratta
di pesi o forze dinerzia), sono chiamate carichi. In genere saranno presenti anche altre
forze (a priori) incognite che, di solito, sono interazioni elettromagnetiche dovute alla
presenza di vincoli e per questo sono chiamate rezioni vincolari.
Nella pratica anche questa fase pu`o essere complessa e laboriosa. Talvolta, infatti, la
natura stessa dei carichi e spesso le caratteristiche dei carichi non sono completamente
prevedibili, si pensi per esempio ai carichi agenti su un veicolo, che dipendono dalla
condotta di guida, dal tipo di strada, dalle condizioni atmosferiche, ecc. . . . Anche le
forze esercitate dai vincoli possono essere incerte e non sempre facilmente schematizzabili.
Per questi motivi, `e spesso necessario ricorrere a ipotesi su come lelemento analizzato `e
caricato e vincolato.
Il risultato di questa fase si concretizza nel tracciamento dello schema o (diagramma
di corpo libero preliminare (preliminary free body diagram)). In tale schema
il corpo in equilibrio `e rappresentato libero dalle interazioni con il resto dellUniverso
e le interazioni sono sostituite dalle forze esercitate sul punto stesso. La caratteristica
preliminare `e dovuta al fatto che, in questa fase, solo alcune delle forze rappresentate nel
diagramma sono completamente note.
c) Imposizione delle condizioni di equilibrio
Partendo dalla conoscenza, o dallipotesi, che il corpo (per ora un punto materiale) `e
in equilibrio statico, si pu`o contare sulla validit`a delle relazioni deducibili dalla prima
cardinale (2.3). Pertanto `e possibile scrivere un certo numero di equazioni algebriche
indipendenti presumibilmente utili per ottenere informazioni sulle forze incognite. Nel caso
di un solo punto materale, le equazioni indipendenti derivabili dalla prima cardinale sono
due per un problema piano, in un problema nello spazio sono tre. Scritte le condizioni di
equilibrio, dal punto di vista sico il problema `e nito. Di solito, la parte pi` u impegnativa
della soluzione consiste nello svolgimento delle fasi a) e b), per la fase c) `e suciente
conoscere e applicare coerentemente i principi della Statica. Da ora in poi la soluzione `e
di tipo standard e pu`o essere pi` u facilmente formalizzata.
d) Discussione del sistema risolvente
A questo punto si dispone generalmente di un sistema di equazioni algebriche che rappre-
senta il fenomeno modellato in forma analitica. Prima di risolvere il sistema `e opportuno
esaminare alcuni aspetti di carattere matematico. In particolare, allo scopo di scegliere
un metodo di soluzione adatto, `e opportuno classicare il sistema (lineare, non lineare,
algebrico, trascendente, ecc. . . ) e, se possibile, valutarne la risolubilit`a stabilendo se sia:
35
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
determinato, indeterminato, impossibile, con soluzione unica, con soluzioni molteplici,
ecc. . . .
e) Risoluzione del sistema
Se il sistema `e giudicato risolvibile, usando con rigore le regole dellalgebra, si devono
ottenere i valori delle incognite che spesso consistono nelle componenti cartesiane delle
reazioni vincolari. Per quanto possibile conviene sviluppare i passaggi in forma letterale,
tuttavia alla ne, il risultato deve essere ottenuto in forma numerica, nelle unit`a di misura
del SI e rappresentato con ladeguata precisione (vedi lappendice B).
f ) Analisi critica dei risultati e loro presentazione
Giunti alla soluzione numerica, un esame critico del risultato `e sempre opportuno. Si
devono in particolare considerare: il segno, lordine di grandezza, la sua entit`a rispetto ai
dati di partenza e con altri casi simili gi`a arontati. Per quanto questo tipo di verica non
sia rigorosa e accurata, tuttavia in molti casi pu`o evidenziare errori grossolani. Lanalisi
critica dei risultati `e inoltre indispensabile per acquisire una personale sensibilit`a nei
confronti delle quantit`a tipiche dei fenomeni studiati, preziosa per sviluppare competenze
e abilit`a tecniche.
Il risultato del calcolo deve essere presentato in forma numerica e, quando opportuno,
anche in forma graca, cercando la massima chiarezza ed ecacia. Spesso `e richiesto il
tracciamento del diagramma di corpo libero denitivo o nale (nal free body
diagram) dei corpi analizzati. Anche in questa rappresentazione, il corpo `e disegnato
separato dal resto dellUniverso ma su di esso sono rappresentate tutte le forze agenti,
possibilmente in scala, con direzione e verso correttamente riportati e con lindicazione
numerica del modulo (si ricordi che il modulo `e una quantit`a non negativa). Lo schema di
corpo libero denitivo `e il presupposto per la successiva verica strutturale, e generalmente
costituisce il risultato dellanalisi statica. Quando si arriva allo schema di corpo libero
denitivo tutte le forze agenti sono note e da questo momento la distinzione tra carichi e
reazioni vincolari perde di signicato.
Nei prossimi paragra sono proposti alcuni semplici problemi di statica del punto materiale.
Vista la limitata disponibilit`a di modelli meccanici, sono considerati sistemi costituiti da corpi
puntiformi sui quali agiscono il peso proprio e forze esercitate tramite funi e pulegge, elementi
che considereremo sempre ideali. Lattenzione `e focalizzata non tanto ai problemi in se, che
sono stati scelti per questo di livello elementare, quanto al metodo di soluzione. Si ritiene,
infatti, che partendo dai casi semplici, sia pi` u agevole acquisire familiarit`a con il procedimento
generale di soluzione che potr`a essere successivamente applicato anche quando lintuizione non
consente di prevedere il risultato. Data la semplicit`a dei casi esaminati, talvolta alcuni dei passi
del procedimento generale di soluzione sono stati raggruppati, tuttavia, si pu`o vericare che la
procedura `e sempre applicata in modo completo e coerente.
2.4 Problemi piani con congurazione di equilibrio data ovvero
del primo tipo
In questo paragrafo sono trattati problemi di statica del punto materiale in cui la con-
gurazione geometrica `e imposta come dato di ingresso. La posizione occupata dai vari punti
risulta pertanto indipendente dalle forze agenti e pu`o essere determinata a priori, sulla base di
considerazioni di tipo geometrico, prescindendo dalle condizioni di equilibrio. Questi problemi
sono i pi` u semplici e, nel seguito, li identicheremo come problemi del primo tipo.
36
2.4. PROBLEMI PIANI CON CONFIGURAZIONE DI EQUILIBRIO DATA OVVERO DEL PRIMO TIPO
Esempio 2.1: Problema del primo tipo nel piano
Nello schema in gura 2.3, un corpo di massa M = 12 kg `e in equilibrio sospeso tramite la
fune c a un anello C, avente massa trascurabile, collegato ai due ganci A e D tramite le
due funi a e d. Sullanello inoltre `e ssata la fune e alla cui estremit`a libera, una persona
esercita una forza di 50 N.
1) Valutare le forze esercitate dalle funi sui ganci A e D.
2) Valutare la forza che la puleggia B esercita sul suo perno.
3) Rispondere alla prima domanda nel caso in cui la forza esercitata dalla persona sia di
80 N.
O
A
C
B
D
E
M
1m 2m 2m
3
m
2
m
1
.
5
m
x
y
a
e
d
c
Figura 2.3: Sistema di funi e pulegge per sostenere la massa M
Domanda 1)
a) Identicazione dellelemento in equilibrio e sua modellazione
Nello schema, vari corpi sono in equilibrio e possono essere schematizzati con i mo-
delli noti: le tre funi e la puleggia saranno considerate ideali, e i corpi M e C
assunti come punti materiali. Tutte le grandezze geometriche e le forze esercitate
sono rappresentabili sul piano del foglio quindi il problema pu`o essere considerato
bidimensionale. Tutti gli elementi che compongono il sistema sono in quiete. La
condizione di equilibrio potr`a quindi essere imposta su ognuno dei punti materiali del
problema.
b) Identicazione dei carichi e delle reazioni vincolari
Sono forze note e quindi carichi: il peso della massa M e la forza esercitata dalla per-
sona. Questultima forza viene trasmessa inalterata in intensit`a dalla fune e allanello.
Le altre funi, che svolgono la funzione di impedire il libero movimento della massa
M e dellanello C, sono vincoli e le forze da esse esercitate sui corpi (che dipendono
dai tiri incogniti) sono da considerarsi reazioni vincolari. Essendo la congurazione di
equilibrio nota, le direzioni delle funi possono essere ricavate da semplici considerazio-
ni geometriche o trigonometriche. Assumiamo il sistema di riferimento rappresentato
37
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
in gura 2.3, con lorigine nel vertice O. Eliminate idealmente le interazioni, i carichi
agenti sulla massa M sono il peso Mg e la reazione vincolare data dal tiro T
c
della
fune c. La situazione `e schematizzata nel diagramma di corpo libero preliminare del
corpo M riportato nella gura 2.4(a).
Data la semplicit`a del problema, possiamo considerare separatamente lequilibrio
della massa M e dellanello C.
Mg
T
c
118N
118N
(a) (b)
Figura 2.4: Schemi di corpo libero (a) preliminare e (b) denitivo del corpo
M
c,d,e) Imposizione delle condizioni di equilibrio, discussione e soluzione
Come faremo sistematicamente, indichiamo le incognite in forma scalare, quindi T
c
rappresenta la componente della forza esercita dalla fune c sulla massa M nella
direzione della fune e nel verso scelto nello schema di corpo libero preliminare. In
termini di componenti cartesiane nel sistema di riferimento scelto, le forze agenti
sono:

P =
_
0
Mg
_
e

T
c
=
_
0
T
c
_
La condizione di equilibrio per il corpo M si esprime in base alla prima cardinale
(2.3) come:

P +

T
c
= 0
che si riduce alla seguente: T
c
= Mg = 118 N. Concludiamo pertanto che il tiro della
fune c `e pari a 118 N. Possiamo tracciare lo schema di corpo libero denitivo per la
massa M (vedi gura 2.4(b)).
Consideriamo ora lequilibrio dellanello C. In gura 2.5(a) sono rappresentate le forze
agenti come schema di corpo libero preliminare. Si pu`o osservare che, conoscendo la
forza esercitata dalla persona, il tiro della fune e e le direzioni di tutte le funi, lo
schema contiene solo due quantit`a scalari incognite (T
a
e T
d
) che rappresentano le
forze rispettivamente esercitate delle funi a e d sullanello.
38
2.4. PROBLEMI PIANI CON CONFIGURAZIONE DI EQUILIBRIO DATA OVVERO DEL PRIMO TIPO
118 N
T
d
T
a
50 N
(a)
118 N
50 N
5.8 N
92 N
(b)
Figura 2.5: Schemi di corpo libero (a) preliminare e (b) denitivo dellanello
C
La condizione di equilibrio per lanello pu`o essere scritta in forma vettoriale come
segue:
_
1/

5
2/

5
_
T
a
+
_
1/

2
1/

2
_
50 +
_
1
0
_
T
d
+
_
0
1
_
118 = 0
relazione che rappresenta un sistema lineare di due equazioni in due incognite. Data la
semplicit`a del sistema, le (uniche) soluzioni si ottengono per sostituzione diretta: T
a
=
92 N e T
d
= 5.8 N. Come vedremo in seguito, in una situazione in cui intervengono
pi` u corpi, questa fase della soluzione pu`o essere pi` u complessa e laboriosa.
Possiamo a questo punto tracciare il diagramma di corpo libero denitivo dellanello
come rappresentato in gura 2.5(b)
f) Analisi critica dei risultati e loro presentazione.
La soluzione ottenuta `e compatibile con i modelli adottati per tutti gli elementi della
struttura. Lequilibrio pu`o essere garantito da funi ideali che risultano tutte tese. Dal
punto di vista pratico bisognerebbe vericare che le funi siano eettivamente in grado
di sopportare i tiri calcolati senza danneggiarsi.
Possiamo quindi accettare il risultato ottenuto, nei limiti di validit`a del modello.
A tale proposito `e sempre opportuno ricordare che abbiamo trascurato il peso di
tutti gli elementi escluso M, lattrito sulla puleggia nonche la spinta di Archimede,
inoltre abbiamo usato dati di ingresso approssimati e inne abbiamo eseguito i calcoli
introducendo ulteriori errori di arrotondamento. Queste considerazioni dovrebbero
indurre una doverosa cautela nel presentare il risultato con un numero eccessivo di
cifre decimali!
Per rispondere alla domanda 1), rappresentiamo le forze richieste in componenti nel
sistema cartesiano indicato in gura 2.3:
forza esercitata dal cavo sul gancio A:
_
41.2
82.4
_
N;
forza esercitata dal cavo sul gancio D:
_
5.8
0
_
N
In questa fase `e particolarmente importante fare attenzione ai segni delle forze e
allapplicazione corretta del principio di azione e reazione.
Nella gura 2.6 i risultati della domanda 1 sono presentati in forma graca.
39
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
A
26.5
92 N
5.8 N
D
(a) (b)
Figura 2.6: Forze esercitate: (a) sul gancio A e (b) sul gancio D
Domanda 2)
a,b) Identicazione dellelemento, dei carichi dei vincoli e loro modellazione
Consideriamo la puleggia come elemento in equilibrio. Separandola idealmente dal
resto, si osserva che essa riceve sulla regione del contorno esterno dove `e avvolto il
cavo, una complicata distribuzione di forze di contatto dovute alla presenza della fune.
Nel foro centrale sono invece applicate forze di contatto dovute al perno. Con questo
schema sarebbe necessario modellare le azioni esercitate dalla fune in tutti i punti
di contatto. Per rispondere alla domanda 2), peraltro, tale livello di dettaglio non
`e necessario, nulla vieta infatti di considerare come corpo in equilibrio un elemento
apparentemente pi` u complesso della sola puleggia, che comprende anche la parte di
fune in contatto con la puleggia, come schematizzato nella gura 2.7(a):
50 N
50 N
R
S
79.5 N
(a) (b)
7.6
Figura 2.7: (a) Schema di corpo libero preliminare dellelemento puleggia pi` u
tratto avvolto della fune. (b) Forza esercitata sul perno della puleggia
Avendo eseguito le sconnessioni ideali lungo le funi, per questo corpo `e possibile
rappresentare le interazioni eliminate in modo semplice e completo, riportando i
tiri della fune stessa. Al posto del perno `e inne necessario sostituire una generica
forza piana, individuata con due componenti cartesiane indipendenti, che deve essere
determinata.
c,d,e) Imposizione delle condizioni di equilibrio, discussione e soluzione
La condizione di equilibrio per il corpo puleggia pi` u tratto di fune avvolta `e la
seguente:
50
_
1/

2
1/

2
_
+ 50
_
0.496
- 0.868
_
+
_
R
S
_
= 0
40
2.4. PROBLEMI PIANI CON CONFIGURAZIONE DI EQUILIBRIO DATA OVVERO DEL PRIMO TIPO
La soluzione di questo sistema lineare di due equazioni in due incognite `e: S = 78.8 N
e R = 10.55 N.
f) Analisi critica dei risultati e loro presentazione
La forza esercitata sul perno dalla puleggia `e data da:
_
10.55
78.8
_
N ed `e
rappresentata gracamente nella gura 2.7(b).
Questo risultato potrebbe servire per analizzare il comportamento del sostegno della
puleggia durante il funzionamento.
Domanda 3)
Limpostazione `e identica alla domanda 1, si perviene in questo caso al seguente sistema
risolvente:
_
1/

5
2/

5
_
T
a
+
_
1/

2
1/

2
_
80 +
_
1
0
_
T
d
+
_
0
1
_
118 = 0
la cui soluzione `e: T
a
= 68.4 N e T
d
= 26.0 N.
f) Analisi critica dei risultati e loro presentazione
La soluzione ottenuta, per quanto corretta dal punto di vista matematico, non `e
accettabile dal punto di vista sico. Infatti, il segno negativo della T
d
indica che,
per garantire lequilibrio nella congurazione indicata, la fune d dovrebbe esercitare
sullanello unazione di segno opposto rispetto a quanto previsto nello schema di corpo
libero preliminare. La fune d dovrebbe pertanto spingere lanello e quindi risulterebbe
compressa, ma tale comportamento non `e ammissibile.
Tale risultato si interpreta concludendo che il sistema congurato come in gura 2.3
non `e in grado di mantenere lequilibrio. Questo fatto non implica che il sistema non
possa raggiungere una condizione di equilibrio sotto lazione di tali forze, tuttavia `e
sicuro che una eventuale congurazione di equilibrio non sarebbe quella rappresentata
nella gura 2.3.
2.4.1 Alcune considerazioni generali sul trattamento delle forze incognite
La soluzione del problema precedente consente di fare alcune considerazioni che possono
essere generalizzate.
`
E opportuno discutere la modalit`a con cui sono rappresentate le grandezze
incognite perche spesso costituisce causa di errori nella soluzione. Vi sono molti metodi per
identicare le forze incognite e assegnare loro il simbolo, quello usato nel presente corso `e molto
semplice e naturale e quindi `e fortemente consigliato.
Nel caso della domanda 2, per esempio, alcune propriet`a della forza incognita che il per-
no esercita sulla puleggia risultano note in partenza (ovvero prima di imporre le condizioni
di equilibrio). In particolare tale forza appartiene, come vettore, al piano del problema ed `e
applicata alla puleggia B. Da qualunque punto di vista si analizzi la questione, si conclude che
lindividuazione completa di tale forza incognita richiede lintroduzione di due quantit`a scalari
indipendenti. Vi sono molti modi per scegliere queste due quantit`a, per esempio: le compo-
nenti cartesiane della forza nel sistema cartesiano adottato, o in un altro sistema diversamente
41
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
denito, le componenti di due forze di cui sono date le direzioni (purche non parallele, non
necessariamente tra loro ortogonali), il modulo della forza e la sua direzione (per esempio la
coordinata angolare formata dal vettore e il semiasse x positivo), ecc. . . .
In circostanze di questo tipo, il procedimento consigliato `e esposto nei seguenti punti:
utilizzare componenti di forza tra loro ortogonali, preferibilmente nelle direzioni degli assi
del sistema cartesiano scelto
nello schema di corpo libero preliminare (gura 2.7(a)), ipotizzare un verso arbitrario per
ogni componente, non `e necessario che il verso sia concorde con quello del relativo asse
cartesiano, per quanto pu`o essere talvolta conveniente
considerare le incognite (nellesempio: S e R) quantit`a scalari con segno, ognuna di
esse rappresenta quindi la componente della forza incognita rispetto al verso scelto nello
schema di corpo libero preliminare
il risultato numerico nale si interpreta nel modo seguente: se il segno `e positivo il verso
arbitrariamente assunto si rivela a posteriori corretto, se il segno `e negativo la componente
eettivamente applicata `e controversa a quella ipotizzata
sul diagramma di corpo libero denitivo le forze sono rappresentate come frecce con il loro
verso eettivo (che alla ne sar`a noto) e su di esse le intensit`a devono essere riportate in
modulo, a prescindere da come sono stati assunti i versi delle incognite e quindi dal segno
del risultato algebrico.
`
E opportuno osservare che non si ottiene alcun vantaggio signicativo cercando di prevedere
il verso del risultato: se la componente di una forza `e incognita, il suo segno rappresenta
una caratteristica che comunque sar`a nota alla ne. Lo schema di corpo libero denitivo, che
riassume la soluzione, `e indipendentemente dal verso assunto per le incognite (per verica si
risolva la domanda 2 del problema precedente invertendo il verso della R nello schema di corpo
libero preliminare 2.7(a)). Nei problemi pi` u complessi, prevedere il verso della componente di
una reazione vincolare pu`o essere dicile e non `e opportuno sprecare tempo e risorse mentali
in questa attivit`a improduttiva.
2.4.2 La linearit`a del sistema risolvente
Il problema di statica appena discusso `e stato ricondotto alla soluzione di un sistema di
equazioni lineari. Questa circostanza `e da considerarsi molto vantaggiosa, poiche per i sistemi
lineari sono disponibili procedimenti generali di discussione e di soluzione.
Le propriet`a matematiche del sistema risolvente hanno uninterpretazione statica molto
importante, che denisce la natura dellequilibrio e fornisce indicazioni sul comportamento
generale della struttura. Un esame completo di questo aspetto sar`a sviluppato nei prossimi
capitoli, tuttavia, possiamo anticipare che la linearit`a del sistema implica la proporzionalit`a tra
i carichi e le reazioni vincolari. Se tutti i carichi sono moltiplicati per lo stesso fattore, anche le
reazioni vincolari subiranno una variazione relativa con lo stesso rapporto.
`
E opportuno sottolineare che la linearit`a del sistema deriva dal fatto che la congurazione
di equilibrio `e ssata e nota a priori. Nel prossimo paragrafo vedremo, infatti, come problemi in
cui la congurazione di equilibrio `e incognita conducono a sistemi risolventi generalmente non
lineari per i quali non `e in genere vero che raddoppiando i carichi raddoppiano anche le reazioni
vincolari.
42
2.5. PROBLEMI PIANI DEL SECONDO TIPO OVVERO CON CONFIGURAZIONE DI EQUILIBRIO
INCOGNITA
2.5 Problemi piani del secondo tipo ovvero con congurazione
di equilibrio incognita
2.5.1 La congurazione di equilibrio deve essere determinata con le equazioni
cardinali
Nel problema del paragrafo precedente i punti materiali erano in equilibrio in una congu-
razione geometrica denita. Anche in casi in cui un insieme di punti materiali pu`o muoversi
possono per`o essere utilizzati i principi della Statica per determinare se e in quali congurazioni
i punti possono essere in equilibrio. Un problema in cui la congurazione di equilibrio deve
essere individuata tramite le equazioni cardinali sar`a chiamato problema del secondo tipo.
Esempio 2.2: Problema del secondo tipo
Allanello C di massa trascurabile rappresentato in gura 2.8(a), sono collegate tre funi.
Sapendo che le masse valgono M
1
= 3 kg e M
2
= 5 kg e che la fune tra A e C `e lunga 1.6 m,
determinare la posizione dellanello allequilibrio e, in tale congurazione, il tiro delle funi.
M
2
g
M
1
g
T
A
C
B
M
2
M
1
4m
3
m

O x
y
(a)
(b)
Figura 2.8: (a) Sistema in cui la congurazione di equilibrio non `e nota a
priori. (b) Forze agenti sullanello C
a,b) Identicazione dellelemento, dei carichi dei vincoli e loro modellazione
Anche questo problema `e schematizzabile nel piano. La posizione dellanello C `e
denita da due quantit`a scalari indipendenti, per esempio le coordinate cartesiane
del punto C nel sistema di riferimento denito in gura 2.8(a). Se ipotizziamo che
le funi siano tese allequilibrio, essendo la fune tra A e C indeformabile, il punto C
dovr`a distare 1.6 m da A .
`
E pertanto suciente un solo parametro geometrico (una
sola coordinata lagrangiana) per denire la posizione di C e, conseguentemente, la
congurazione di tutto il sistema. A li tesi, infatti, il sistema pu`o essere considerato
un meccanismo piano con un grado di libert`a.
c) Imposizione delle condizioni di equilibrio
Se lanello C `e in quiete, tutto il sistema lo sar`a. Per cui imponiamo lequilibrio del
punto materiale C. Consideriamo come coordinata lagrangiana per la congurazione
geometrica la coordinata angolare denita in gura 2.8(a). Tutte le grandezze
geometriche possono essere espresse in funzione di . In particolare, le seguenti
relazioni esprimono le componenti cartesiane dei due vettori geometrici OC e CB nel
43
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
sistema indicato (lunghezze espresse in metri):
OC =
_
1.6 sin()
3 1.6 cos()
_
; CB =
_
4 1.6 sin()
1.6 cos()
_
Le solite considerazioni sullequilibrio delle masse M
1
e M
2
permettono di conoscere il
tiro delle funi a cui sono collegate. Chiamato T il tiro della fune AC, che `e incognito,
lo schema di corpo libero preliminare dellanello `e rappresentato in gura 2.8(b).
Si pu`o osservare che le incognite del problema sono due perche, oltre alla quantit`a
scalare T, deve essere determinato anche langolo . Lequazione cardinale (2.3) per
lanello C, considerato di massa trascurabile, diventa:
_
T sin() +M
2
g
CB
x
|CB|
= 0
T cos() +M
2
g
CB
y
|CB|
M
1
g = 0
(2.4)
in cui, per semplicit`a, sono state indicate in modo implicito le seguenti funzioni di :
CB
x
= 4 1.6 sin () ; CB
y
= 1.6 cos() ; [CB[ =
_
18.56 12.8 sin()
d,e) Discussione del sistema e soluzione
Il sistema (2.4) `e non lineare dato che le equazioni sono trascendenti. Come `e noto, in
questi casi, non esistono metodi generali per stabilire a priori esistenza e unicit`a della
soluzione e inoltre, il procedimento di soluzione pu`o richiedere tecniche numeriche o
grache. Si deve anche tener conto che la soluzione potrebbe non esistere o non essere
unica. Nel semplice caso in esame si pu`o peraltro ricavare T dalla prima equazione
e ottenere, per sostituzione nella seconda, la seguente equazione trigonometrica nella
sola incognita :
f() =
196.2
tan()
_
18.56 12.8 sin()
29.43 = 0
Questa equazione pu`o essere risolta per esempio facendo uno studio preliminare della
funzione f () nel dominio di interesse 0 < < e quindi determinare lunico zero:
= 68.9

da cui si ottiene anche il tiro: T = 51.2 N.


f) Analisi critica dei risultati e loro presentazione
I tiri dalle funi AC, CM
1
e CB valgono rispettivamente: 51.2 N, 29.43 N, 49.05 N. La
congurazione di equilibrio trovata ( = 68.9

) `e lunica ammissibile per il sistema


dato.
2.5.2 Considerazioni generali sui problemi del secondo tipo: stabilit`a delle-
quilibrio (*)
La non linearit`a dellequazione risolvente ottenuta nellesempio precedente `e tipica dei pro-
blemi del secondo tipo nei quali devono essere necessariamente imposte condizioni di tipo geo-
metrico. La determinazione della posizione dei punti `e spesso ottenuta con grandezze angolari
che introducono funzioni trigonometriche. Tuttavia `e facile vericare che anche la scelta di una
44
2.5. PROBLEMI PIANI DEL SECONDO TIPO OVVERO CON CONFIGURAZIONE DI EQUILIBRIO
INCOGNITA
coordinata cartesiana di posizione, come la x
C
nel caso esaminato, non avrebbe impedito al
sistema di essere non lineare. Come anticipato, la non linearit`a introduce dicolt`a di carattere
teorico e pratico, talvolta di non agevole superamento. Non esistono, infatti, regole generali
per stabilire esistenza e unicit`a della soluzione di equazioni non lineari e anche il procedimento
numerico per ottenere leventuale risultato pu`o essere delicato e laborioso. La convergenza del-
lalgoritmo stesso di soluzione numerica per una equazione non lineare pu`o essere talvolta lenta
e aetta da fenomeni di instabilit`a. Un problema del secondo tipo, inoltre, pu`o essere, come si
dice, mal condizionato ovvero avere un risultato che varia in modo notevole in conseguenza di
piccole modiche dei dati in ingresso.
Salvo casi particolari, nel presente corso ci occuperemo principalmente di problemi del primo
tipo, o di problemi a questi riconducibili, per i quali la discussione, la soluzione e lesame degli
eetti prodotti dalla variazione dei dati di ingresso sono attivit`a meno critiche. Tuttavia,
in vista dello studio dei corpi deformabili, per i quali la congurazione di equilibrio risulta
necessariamente incognita, il problema risolto nel precedente paragrafo ore lo spunto per un
primo assaggio dei problemi generali che si incontrano nella previsione del comportamento dei
sistemi meccanici deformabili, in particolare durante la fase di raggiungimento dellequilibrio.
Inevitabilmente i carichi per un componente di macchina variano nel tempo e anche nei casi
in cui, alla ne di stabilizzano, `e prevedibile una fase in cui devono essere applicati e quindi
crescono.
Per i problemi del primo tipo il fenomeno del raggiungimento della condizione di equilibrio `e
banale: la congurazione di equilibrio `e infatti per denizione ssata a priori indipendentemente
dai carichi. Se i carichi variano, per esempio se si considera il comportamento di una struttura
mentre si sta caricando, le reazioni vincolari istantaneamente si adeguano in modo tale che
la condizione denita dalla prima cardinale sia soddisfatta in ogni istante. Per i problemi
del secondo tipo, al contrario, il caricamento graduale comporta in genere la modica della
congurazione. Dato che le reazioni vincolari non sono proporzionali ai carichi, anche la fase
di raggiungimento della congurazione nale deve essere analizzata perche che pu`o essere di
notevole interesse.
Inoltre, i metodi della Statica consentono di prevedere che, anche in un problema del secondo
tipo, se un sistema viene lasciato nella congurazione di equilibrio con tutte le sue parti in quiete
e non intervengono modiche ai carichi, non si manifesta alcun movimento. Tuttavia, in un
problema del secondo tipo, il comportamento del sistema non `e prevedibile con la sola Statica
se questo viene lasciato in una posizione diversa, anche prossima a quella di equilibrio. Questo
aspetto `e molto importante perche, nella pratica, non si possono escludere piccole perturbazioni
che modicano leggermente la congurazione di un sistema che ha raggiunto lequilibrio.
Con riferimento allultimo problema esaminato, supponiamo di portare il sistema per esem-
pio a = 70

, e poi di lasciarlo libero. Si pu`o prevedere una fase in cui si manifesta un moto
oscillatorio durante il quale la posizione dei punti materiali e le forze applicate sono determi-
nabili con unanalisi dinamica non lineare. I problemi di dinamica sono presentati nei corsi di
Meccanica Applicata e non saranno specicamente analizzati nel presente corso. Per quanto
riguarda i nostri scopi, tuttavia, possiamo aermare che un sistema meccanico che ha almeno
un grado di libert`a, spostato di poco da una congurazione di equilibrio e successivamente la-
sciato libero, solitamente (e sperabilmente) manifesta oscillazioni smorzate che, dopo un certo
tempo, lo portano di nuovo a fermarsi in corrispondenza della condizione di equilibrio statico.
Come esempio si pu`o pensare al comportamento della corda di una chitarra dopo che sia stata
percossa dal plettro. Il movimento oscillatorio termina quando gli inevitabili fenomeni dissipa-
tivi (attriti, resistenza dellaria, smorzamento interno dei materiali, ecc. . . ) hanno trasformato
lenergia cinetica del sistema in energia termica. Quando un sistema ha questo comportamento,
la presenza di perturbazioni sucientemente piccole `e quindi tollerata.
45
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
Perche a seguito di una piccola perturbazione che sposta il sistema dallequilibrio si realizzi
unoscillazione smorzata che alla ne riporta il sistema nelle condizioni di equilibrio, `e necessario
che la condizione di equilibrio sia stabile (stable). Esistono denizioni rigorose di stabilit`a
sulle quali avremo modo di tornare, per il momento ci baster`a una denizione intuitiva:
una congurazione di equilibrio `e stabile se una qualunque forza, per alterare (di
poco) la congurazione del sistema, deve compiere un lavoro positivo.
La necessit`a di un lavoro positivo per ogni azione perturbante implica che, senza lintervento
di un signicativo agente esterno che faccia lavoro, il sistema non tender`a ad allontanarsi
dallequilibrio. Se il lavoro fatto per produrre la perturbazione fosse negativo (o al limite anche
nullo), una causa esterna per quanto piccola potrebbe innescare un movimento spontaneo di
allontanamento dallequilibrio. Si comprende come generalmente per le applicazioni strutturali,
questo tipo di comportamento non `e accettabile.
Lesempio classico di una congurazione di equilibrio stabile `e fornito da una sfera posta
sul fondo di una scodella: se si vuole spostarla, per esempio esercitando una forza orizzontale,
`e necessario spingere nel verso del movimento e quindi la forza esterna deve fare un lavoro
positivo. Una sfera posta sullapice di un dosso `e invece in equilibrio instabile (unstable).
Per mantenerla ferma in una congurazione leggermente diversa dallapice `e necessario applicare
una forza che ha verso opposto allo spostamento. In questo caso, una qualsiasi azione che
modicasse anche leggermente la posizione della sfera rispetto alla sommit`a ne determinerebbe
quindi lo spontaneo allontanamento, anche se lazione perturbante fosse esigua e agisse per un
tempo brevissimo.
La condizione di equilibrio, cos` detta indierente (neutral), esemplicata dalla sfera su
un piano orizzontale, rappresenta la congurazione di conne e ha un signicato pi` u matematico
che pratico. Nella tecnica non esiste una signicativa dierenza tra le condizioni di equilibrio
instabile e indierente: si cerca infatti di evitarle entrambe. Spesso si richiede infatti che la
condizione di equilibrio sia anche sucientemente stabile (scodella abbastanza profonda con
anchi ripidi) in modo che il lavoro che lazione perturbante deve esercitare per modicare
signicativamente la congurazione sia di notevole entit`a e quindi sia poco probabile che si
manifesti accidentalmente.
Da queste considerazioni si conclude che lo studio dei problemi del secondo tipo, per i quali la
congurazione di equilibrio non `e completamente imposta dai vincoli, oltre alla determinazione
delle congurazioni di equilibrio pu`o richiedere anche lesame della loro stabilit`a.
2.6 Problemi di statica del punto materiale nello spazio
Consideriamo un problema tridimensionale con congurazione di equilibrio data.
Esempio 2.3: Problema del primo tipo nello spazio
Come schematizzato in gura 2.9, un oggetto B di massa m = 20 kg `e sospeso al sotto
con la fune c e collegato alla parete verticale tramite le funi a e b. Sul corpo agisce anche
una forza orizzontale F = 300 N. Valutare il tiro delle funi.
46
2.6. PROBLEMI DI STATICA DEL PUNTO MATERIALE NELLO SPAZIO
3m
2
m
F
G
O
3
m
B
C
y
z
Vista di fianco
b
c
a
A
1
m
3
m
C B
O
A
x
y
Vista dallalto
F
G
b
a
30
Figura 2.9: Punto materiale soggetto a forze modellabili solo in tre
dimensioni
a,b) Identicazione dellelemento, dei carichi dei vincoli e loro modellazione
Si tratta di un problema di equilibrio di un punto materiale nello spazio. Non `e, in-
fatti, identicabile un piano che contenga tutti gli elementi geometrici della struttura
e le componenti delle forze agenti. I carichi sono il peso proprio del corpo B e la
forza F; il corpo B `e inoltre soggetto allazione di vincoli, materializzati dalle funi.
Sconnettendo idealmente il corpo B, si ottiene lo schema di corpo libero preliminare
rappresentato in assonometria in gura 2.10 nella quale i carichi sono indicati con il
loro valore numerico e il tiro di ogni fune identicato dal pedice.
Solo il modulo delle reazioni vincolari risulta incognito, in quanto la direzione `e fornita
con le quote del problema (problema del primo tipo). Nello schema di corpo libero
preliminare `e stato ipotizzato che ogni fune sia tesa e il verso delle incognite ssato
di conseguenza.
y
z
x 196.2 N
T
a
300 N
T
c
T
b
Figura 2.10: Schema di corpo libero preliminare del corpo B
c,d,e) Imposizione delle condizioni di equilibrio, discussione e soluzione
Trattandosi di un problema tridimensionale, `e opportuno rappresentare i vettori in
forma algebrica. A tale scopo `e introdotto il sistema di riferimento cartesiano ortogo-
nale destrorso mostrato nelle gure 2.9 e 2.10, con origine in O. Calcoliamo, a titolo
47
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
di esempio, le componenti cartesiane della forza T
a
:

T
a
= T
a

BA
[BA[
= T
a

OAOB
[BA[
= T
a

_
_
3
3
1
_
_

1

19
= T
a

_
_
0.688
0.688
0.229
_
_
Lequazione cardinale per B in termini vettoriali e in componenti diventa:

T
a
+

T
b
+

T
c
+

P +

F = 0
T
a
_
_
0.688
0.688
0.229
_
_
+T
b
_
_
0
0.6
0.8
_
_
+T
c
_
_
0
0
1
_
_
+ 192.2
_
_
0
0
1
_
_
+ 300
_
_
0.5
0.866
0
_
_
= 0
Si tratta di un sistema lineare di tre equazioni in altrettante incognite che pu`o essere
scritto in forma matriciale come segue:
_
_
0.688
0.688
0.229
0
0.6
0.8
0
0
1
_
_
_
_
T
a
T
b
T
c
_
_
=
_
_
150
259.8
196.2
_
_
(2.5)
La matrice del sistema (2.5) `e formata dalle componenti dei versori delle funi e
quindi `e di natura esclusivamente geometrica, il vettore dei termini noti dipende dal
carico. Un sistema risolvente (2.5), in cui la matrice dipende solo dalla geometria e i
termini noti dalla geometria e dai carichi, `e tipico dei problemi del primo tipo, come
vedremo anche in casi molto pi` u complessi. Il determinante della matrice del sistema
`e non nullo, per cui, essendo il sistema lineare quadrato, si avr`a una soluzione unica.
Risolto con qualunque tecnica (per esempio per sostituzione) si ottiene: T
a
= 217.9 N,
T
b
= 183.0 N e T
c
= 392.6 N.
f) Analisi critica dei risultati
Dal segno positivo delle incognite si deduce che la previsione sul comportamento dei
vincoli `e coerente con quanto previsto. Inoltre, trattandosi di funi e quindi di elementi
che possono essere solo tesi, il risultato conferma che il sistema dei vincoli `e in grado
di mantenere il corpo in equilibrio nella congurazione indicata (chiaramente se le
funi hanno una resistenza adeguata).
A commento di questultimo esempio si pu`o osservare che, come gi`a anticipato, i problemi
nello spazio non sono concettualmente pi` u dicili dei problemi piani. Nel caso tridimensionale
lapproccio matriciale nella rappresentazione delle forze e delle posizioni dei punti risulta pi` u
indicato rispetto al caso piano.
2.7 Problemi proposti
I seguenti problemi possono essere risolti con le nozioni sviluppate nei primi due capitoli.
In molti casi i punti materiali sono in quiete nel sistema di riferimento solidale allo schema
riportato. In alcuni problemi vi sono punti in movimento ma, il loro moto `e denito oppure
pu`o essere facilmente determinato. Per i punti in movimento `e consigliata ladozione di sistemi
48
2.7. PROBLEMI PROPOSTI
di riferimento (eventualmente non inerziali) a essi solidali, allo scopo di ricondurre il problema
nellambito della Statica.
Esercizio 2.1: Problema piano del primo tipo
Allanello C di massa trascurabile, ssato al muro tramite due funi (gura 2.11), `e collegata
anche la fune CD avente lunghezza l = 2 m che porta allestremo una massa m = 12 kg.
La posizione dei punti `e data nel sistema di riferimento indicato dalle coordinate (valori
espressi in metri): A(0, 5.50), B(5.00, 8.10), C(2.20, 3.60). In un primo tempo la massa
viene mantenuta nella posizione indicata in gura esercitando una forza orizzontale

F,
successivamente la forza viene eliminata e il corpo lasciato libero di muoversi.
A
C
B
D
O
x
y
25
Figura 2.11
Nel sistema di riferimento indicato:
1) vericare che la forza

F richiesta per lequilibrio vale (54.9, 0.0)
T
N
2) vericare che la forza che viene esercitata sul muro in A quando la massa liberata
raggiunge il punto pi` u basso della sua traiettoria vale (56.6, 48.9)
T
N
3) tracciare i diagrammi qualitativi quotati dei tiri dei tre cavi in funzione dellangolo
formato dal cavo CD con la verticale (vericando che i massimi tiri per CD , CA e CB
sono rispettivamente: 140.0 N, 94.9 N e 117.1 N, non nella stessa posizione angolare)
Esercizio 2.2: Problema piano del secondo tipo
Sul cavo AB (gura 2.12) che ha lunghezza 8.20 m pu`o scorrere la puleggia C alla quale `e
collegata una massa di 245 kg in D. In condizioni di equilibrio:
1) vericare che la distanza della puleggia dal muro dove `e ssato il gancio A vale 2115 mm
e dimostrare che gli angoli di inclinazione rispetto allorizzontale dei due tratti di cavo
AB sono uguali (valore comune 52.4

).
2) vericare che tiro della fune AB vale 1516 N.
49
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
Figura 2.12
Esercizio 2.3: Problema piano del secondo tipo
Un unico cavo, che parte dal centro della puleggia B (gura 2.13), si avvolge sulla puleggia
A, ssata al muro, e successivamente attorno alla B stessa. Alla puleggia B `e collegata
tramite un secondo cavo verticale una massa in C di 40 kg.
1) Determinare il tiro T e langolo in modo da avere lequilibrio nella congurazione
indicata in gura 2.13 (ris.: 167.2 N e 57.7

).
2) Determinare il valore minimo T
min
del tiro che deve essere applicato alla fune per
sostenere la massa (ris. 130.8 N) e i corrispondenti valori degli angoli di inclinazione
(rispetto alla verticale) dei tratti di fune (ris.: tutti nulli).
3) Tracciare il diagramma qualitativo quotato dellangolo di inclinazione in funzione del
tiro T.
A
C
B
T

25
Figura 2.13
Esercizio 2.4: Problema piano misto (alcune domande del primo altre del secondo tipo)
Largano in A (gura 2.14) viene impiegato per sollevare la massa in E di 460 kg. La
puleggia B `e ssata a terra mentre la puleggia in C e collegata a un muro tramite il cavo
50
2.7. PROBLEMI PROPOSTI
CD. Nella congurazione di equilibrio rappresentata in gura, dopo aver vericato che
linclinazione del cavo CD vale = 64.9

e il tiro minimo che largano deve produrre per


eettuare il sollevamento vale T
min
= 2.26 kN,
1) determinare il modulo della forza che la puleggia B esercita sul suo perno quando
largano esercita la forza T
min
(ris. 1536 N);
2) determinare il tiro del cavo CD nel caso in cui largano eserciti una forza costante pari
a 1.1T
min
(ris. 4.50 kN).
3) Nel caso indicato nel punto precedente, tracciare il graco della potenza che largano
deve sviluppare in funzione della posizione verticale della massa E (ris. si raggiunge
10 kW quando la massa `e sollevata di 2.07 m).
A
C
B
3 m

D
E
2
.
5

m
Figura 2.14
Esercizio 2.5: Problema piano di tipo misto
Tramite una ruspa D (gura 2.15) e un sistema di cavi si tenta di demolire un muro
esercitando una forza elevata in corrispondenza dellestremo A. Allanello B sono collegati
entrambi gli estremi del cavo BAB che si avvolge sulla puleggia A il cui perno `e ssato al
muro. I raggi della puleggia e dellanello sono trascurabili. Sullanello sono connessi anche
il cavo BD che termina nel gancio della ruspa e il cavo verticale BC, che allaltro estremo
`e solidale con una zavorra di massa 400 kg.
1) Determinare il tiro massimo T
max
del cavo BD prima che la zavorra si sollevi.
2) Se la ruspa sollecita il cavo BD con un tiro pari a 0.8T
max
, tracciare lo schema di corpo
libero per la zavorra e determinare la forza esercitata sul muro.
3) Se la ruspa imprime al cavo un tiro di 1.5T
max
, determinare di quanto la zavorra si
solleva da terra per avere lequilibrio e la corrispondente forza esercitata sul muro.
51
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
A
C
B
2 m
D
1
.
5

m
5

m
10 m
0
.
7
m
Figura 2.15
Esercizio 2.6: Problema tridimensionale del primo tipo
Tramite le tre funi a, b e c `e sostenuta la massa E di 22 kg (gura 2.16). Le funi b e c
sono orizzontali e parallele rispettivamente agli assi cartesiani y e x. Il cavo d di lunghezza
2m sostiene una massa in D di 12 kg. Il corpo D `e posto in rotazione a velocit`a costante
su una circonferenza avente raggio di 30 cm. Le coordinate dei punti nel sistema indicato
sono: A(0, 0, 4.5) e E(1.2, 1.5, 3.0) (valori in metri).
1) Determinare il modulo della velocit`a del corpo D e fornire, nel sistema indicato, la forza
esercitata sul muro in A quando il corpo D occupa la posizione pi` u vicina al piano xz
( = 3/2).
2) Tracciare il diagramma qualitativo quotato dei tiri delle funi a, b e c in funzione
dellangolo che individua la posizione del corpo D.
x
y
z
A
E
d
a
D
b
c

O
Figura 2.16
52
2.7. PROBLEMI PROPOSTI
Esercizio 2.7: Problema tridimensionale del primo tipo (*)
Una massa di 100 kg posta in D(2, 1, 3) `e sostenuta tramite le tre funi (gura 2.17) collegate
al muro nei punti A(0, 0, 5), B(3, 0, 6) e C(0, 6, 6) (valori in metri). Sulla massa D `e
possibile esercitare una forza

F.
x
y
z
A
C
D
B
O
F
G
Figura 2.17
1) Supponendo che la forza

F abbia direzione e verso del vettore DC, determinare il suo
massimo valore per mantenere lequilibrio del corpo nella congurazione indicata.
2) Supponendo che la forza

F sia orizzontale (parallela al piano x y), determinare dire-
zione e verso in modo che il suo modulo sia il minimo necessario per spostare il corpo
dallequilibrio.
3) Rispondere alla domanda precedente nel caso in cui sia possibile esercitare la forza

F in un qualunque verso nello spazio, determinando la forza



F minima (in assoluto)
necessaria per spostare il corpo D.
Esercizio 2.8: Problema piano del primo tipo (*)
Attorno a una puleggia ideale (gura 2.18) posta in D(1, 2) si avvolge il cavo AB (con
A(0, 3) e B(3, 4)) e al suo asse `e connesso il cavo CD, con C nellorigine (coordinate
geometriche in metri). I due cavi hanno la stessa sezione ed entrambi sopportano un tiro
massimo di 1.5 kN (sopra tale livello si rompono).
A
C
B
D
F
G
x
y
Figura 2.18
53
2. STATICA DEL PUNTO MATERIALE
1) Supponendo che

F abbia direzione x, determinare i valori estremi (per ognuno dei
versi) del modulo F della forza esercitabile sulla puleggia prima che si modichi la sua
congurazione di equilibrio.
2) Tracciare, in funzione dellangolo formato da

F con lasse x, il diagramma polare del
massimo modulo della forza esercitabile sulla puleggia compatibile con la congurazione
di equilibrio rappresentata.
54
Capitolo 3
Il corpo esteso e le azioni su di esso
agenti
In questo capitolo sono discussi alcuni modelli che permettono di analizzare il comporta-
mento meccanico di corpi che non possono essere ridotti a punti materiali. Chiameremo corpo
esteso il modello di un oggetto per il quale lestensione, la forma o la struttura inuenzano
signicativamente il comportamento meccanico e quindi, in particolare, il moto e le condizioni
di equilibrio. Un corpo esteso `e sempre riconducibile a un insieme, anche molto complesso, di
punti materiali.
Leetto prodotto da una forza su un corpo esteso, oltre che da intensit`a, direzione e verso,
dipende anche dalla posizione in cui la forza viene esercitata. Per considerare questa nuova
caratteristica, nella prima parte del capitolo, la forza `e denita come vettore applicato ed
`e introdotto il concetto associato di momento. Poiche su un corpo esteso possono agire
contemporaneamente pi` u forze applicate in punti diversi, sono discusse alcune propriet`a generali
dei sistemi di forze. Per lanalisi meccanica del corpo esteso `e inoltre fondamentale distinguere
le forze agenti sui punti che lo compongono in interne ed esterne.
Nella seconda parte del capitolo, sono presentate le principali caratteristiche delle grandezze
necessarie per descrivere le propriet`a siche dei corpi estesi continui e delle forze che su questi
corpi possono essere esercitate.
Nellultima parte `e introdotta la denizione di azione statica, grandezza che caratterizza
nel suo complesso un sistema di forze e permette di generalizzare il principio di azione e reazione
precedentemente denito per la sola interazione tra i singoli punti materiali allinterazione tra
corpi estesi.
3.1 Corpo esteso come sistema di punti materiali
Lesperienza empirica evidenzia che per modicare la posizione di una cassa appoggiata a
terra `e importante scegliere la zona della cassa sulla quale esercitare la spinta. Per esempio, si
pu`o prevedere che, spingendo in modo non centrato, la cassa subisce una rotazione oltre che
una traslazione. La rotazione `e inoltre pi` u marcata se la cassa viene spinta da dietro piuttosto
che tirata da davanti. Queste dierenze di comportamento non sono ovviamente prevedibili se
si adotta per la cassa il modello di punto materiale dato che lestensione, la forma e la struttura
del corpo sono propriet`a essenziali per prevedere tali caratteristiche del moto. Il modello di
corpo esteso permette di introdurre queste propriet`a nella denizione del corpo e quindi di
tenerne conto nella previsione del suo comportamento meccanico.
Lesempio della cassa illustra un fondamentale aspetto di tipo geometrico-cinematico che
dierenzia il corpo esteso dal punto materiale: la nozione di posizione angolare e di moto rota-
55
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
torio. La caratteristica geometrica di un punto materiale `e denita a prescindere da qualunque
sua congurazione angolare, mentre lo stesso non `e vero per il corpo esteso. La congurazione
geometrica della cassa, in particolare, non `e denita dalla sola posizione del suo centro. Di con-
seguenza il moto di un punto materiale, indipendentemente dalla forma della traiettoria e dalla
legge oraria, `e quindi una semplice traslazione mentre il movimento di un corpo esteso `e carat-
terizzato anche dalle componenti di rotazione (moto roto-traslatorio). Un eetto immediato di
questa dierenza si riscontra nella denizione dellenergia cinetica.
`
E sempre possibile, almeno in linea di principio, suddividere un corpo in parti sucien-
temente piccole e quindi tali che ognuna di esse possa essere considerata un punto materiale.
Qualunque corpo esteso `e pertanto riconducibile a un insieme (o sistema) di punti mate-
riali tra loro in qualche modo connessi. Per questo motivo, le equazioni che descrivono il moto
del punto materiale, discusse nel capitolo precedente, costituiscono la base per la soluzione di
qualunque problema di Meccanica.
Per alcuni corpi, lidenticazione dei punti materiali costituenti `e immediata e naturale, come
per esempio: il sistema solare nel suo complesso, con il Sole e i singoli pianeti come elementi
costituenti, oppure un sacchetto di biglie. In tali casi diremo che il corpo esteso `e schematizzato
(o schematizzabile) come un sistema discreto di punti materiali. Quando lidenticazione
dei punti costituenti non `e immediata (si pensi per esempio alla cassa) `e possibile passare al
modello di corpo continuo che richiede una analisi un po pi` u sosticata.
A causa della non evidente identicabilit`a dei punti materiali costituenti, per i corpi conti-
nui `e necessario ridenire molte grandezze e propriet`a meccaniche tramite lintroduzione delle
grandezze intensive associate. In particolare le forze agenti su un continuo devono essere ri-
considerate rispetto alla nozione di forza concentrata agente sul punto materiale introdotta nei
precedenti capitoli. Nella prima parte del presente capitolo, lanalisi delle forze agenti sui corpi
estesi `e riferita ai sistemi discreti di punti e successivamente estesa ai continui.
3.2 Le forze come vettori applicati
Per valutare gli eetti prodotti da una forza su un corpo esteso `e necessario che il modello
stesso di forza sia ampliato per contenere anche linformazione relativa alla posizione in cui la
forza agisce. Nel caso di un corpo discreto di punti materiali lestensione del modello `e naturale
in quanto consiste nellidenticazione del punto costituente su cui la forza in esame `e esercitata.
A tale scopo `e introdotta la nozione di vettore applicato.
Nel presente paragrafo e nel successivo sono presentate alcune propriet`a fondamentali delle
forze applicate e dei sistemi di forze applicate che saranno di notevole utilit`a nella soluzione
dei problemi di statica dei corpi estesi. Le dimostrazioni di queste propriet`a sono rimandate al
corso di Meccanica Razionale.
3.2.1 Forza applicata e momento di una forza
In un sistema di riferimento cartesiano nello spazio geometrico, ogni punto P `e denito da
un vettore posizione OP la cui freccia ha coda nellorigine O e punta in P. Se la forza

F `e
applicata in corrispondenza di P (come in gura 3.1), si denisce forza applicata linsieme
_
OP,

F
_
i cui elementi sono i vettori OP e

F. Un vettore per il quale il punto di applicazione
non `e denito (oppure non `e rilevante) `e chiamato vettore libero.
Sia data la forza applicata
_
OP,

F
_
e ssato un punto Q dello spazio (come in gura 3.2),
consideriamo il vettore geometrico QP, con coda in Q e punta in P dove `e applicata la forza, si
56
3.2. LE FORZE COME VETTORI APPLICATI
x
y
z
0
P
F
G
Figura 3.1: La forza

F come vettore applicato nel punto P
denisce momento (moment) della forza applicata rispetto a Q il prodotto vettoriale:

M
Q
= QP

F (3.1)
Il punto Q rispetto al quale viene calcolato il momento `e chiamato polo. Il momento di una
forza, da non tradurre con il termine simile per quantit`a di moto (momentum), `e denito
da un prodotto i cui fattori rappresentano la forza come vettore applicato. Si pu`o quindi
comprendere lutilit`a del momento nello studio della meccanica dei corpi estesi e il motivo per
cui non `e stato introdotto nello studio del punto materiale. Il vettore QP pu`o essere ottenuto
x
y
z
0
P
F
G
Q
r
Figura 3.2: Denizione di momento di una forza

F rispetto a un polo Q
come dierenza dei vettori posizione dei due punti P e Q, vale infatti la relazione:
OP = OQ+QP (3.2)
Le dimensioni del momento sono: [Forza] [Lunghezza]. Esprimendo le forze in N e le distanze
in mm, il momento risulta espresso in Nmm unit`a equivalente a 10
3
Nm. Dato che il momento
`e un prodotto vettoriale e in molti casi le sue componenti verranno ottenute algebricamente,
`e opportuno ricordare limportanza dellorientamento degli assi. In tutte le considerazioni che
seguono si far`a sempre riferimento a sistemi cartesiani destrorsi.
57
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
Esempio 3.1: Momento di una forza
Calcolare il momento della forza

F(10, 4, 5) applicata al punto P(1, 4, 6) rispetto al
polo Q(2, 3, 6) (le componenti della forza sono espresse in N e le posizioni in mm).
Il vettore QP si ottiene per dierenza come nella relazione (3.2):
QP =
_
_
1 2
4 3
6 6
_
_
=
_
_
1
1
12
_
_
mm
Il momento della forza

F rispetto al polo Q `e dato dalla denizione (3.1) e si ottiene dalle
regole del prodotto vettoriale in componenti:

M
Q
=

i

j

k
1 1 12
10 4 5

= 43

i 115

j 6

k =
_
_
43
115
6
_
_
Nmm
Come si vedr`a nel seguito, nei casi piani il calcolo del momento pu`o essere semplicato.
3.2.2 Propriet`a del momento
Dalla denizione appare evidente che il vettore momento dipende, oltre che dalle caratte-
ristiche della forza applicata
_
OP,

F
_
anche dalla posizione del polo Q. Pi` u precisamente, il
momento dipende dalla posizione del polo Q rispetto alla retta r a cui appartiene la forza

F
(vedi gura 3.2), detta retta di applicazione o retta dazione della forza.
In base alle propriet`a del prodotto vettoriale, si ricavano alcune utili propriet`a del momento
di una forza che saranno frequentemente utilizzate nei problemi di statica dei corpi estesi. Salvo
esplicite indicazioni contrarie, consideriamo il caso non banale in cui la forza non `e nulla.
Il vettore momento

M
Q
ha direzione normale al piano passante per Q e contenente la
retta r di applicazione della forza

F.
Il verso del momento pu`o essere determinato con la regola della mano destra: ponendo
il centro del palmo in Q e orientando le dita dallindice al mignolo (tra loro allineate) in
modo da inseguire

F, il pollice `e equiverso a

M
Q
.
Se il polo Q appartiene alla retta di applicazione della forza, il momento `e nullo (e solo in
questo caso), in simboli: Q r

M
Q
= 0.
Se il punto di applicazione della forza

F si sposta lungo la sua retta di applicazione, il
momento rispetto al polo Q non cambia: P r

M
Q
= cost.
Il momento di una forza non cambia se viene calcolato rispetto a un qualunque polo Q

che appartiene alla retta r

passante per Q e parallela a r. Ovvero se QQ

`e parallelo a

F
allora

M
Q
=

M
Q
, in simboli: QQ


F = 0

M
Q
=

M
Q
.
Il modulo del momento


M
Q

pu`o essere ottenuto moltiplicando il modulo della forza

per la distanza del polo Q dalla retta r di applicazione della forza; tale distanza `e detta
braccio (arm) della forza rispetto al polo. Nei problemi tridimensionali il calcolo del
58
3.3. SISTEMI DI FORZE
braccio pu`o non essere immediato, e quindi questa denizione non `e molto utile. Essa `e
invece usata nei problemi piani.
La propriet`a distributiva del prodotto vettoriale pu`o facilitare il calcolo del momento.
La forza pu`o infatti essere scomposta nelle sue componenti cartesiane, i momenti relativi
alle singole componenti possono essere facilmente calcolati e successivamente sommati
vettorialmente. Il vantaggio risiede nel fatto che la determinazione dei bracci delle singole
componenti `e pi` u semplice.
Osserviamo che il momento contiene nella sua denizione un certo grado di arbitrariet`a
che `e connesso con la scelta del polo Q. Questa indeterminazione, che a prima vista pu`o
disorientare, si rivela in pratica solo apparente poiche, come vedremo, le leggi che deniscono il
comportamento meccanico dei corpi estesi precisano il polo oppure sono indipendenti dalla scelta
del polo. In questi casi, inoltre, la possibilit`a di scegliere il polo si riveler`a un vantaggio pratico
poiche spesso consente di semplicare i calcoli e di facilitare la comprensione del comportamento
meccanico del corpo.
Esempio 3.2: Indipendenza dal polo
Con riferimento allesempio precedente, vericare luguaglianza dei momenti di
_
OP,

F
_
rispetto a Q e a Q

, sapendo che Q

appartiene alla retta per Q parallela a



F e dista da
esso 30 mm.
Vi sono due punti con le caratteristiche richieste per Q

. Verichiamo lindipendenza
del momento per uno di essi. Per determinarne le coordinate `e utile considerare che il
versore della retta di applicazione r coincide col versore di

F:

F =

F
[

F[
=
_
_
0.842
0.337
0.421
_
_
pertanto: OQ

= OQ+ 30

F =
_
_
27.3
7.11
18.6
_
_
mm e Q

P = OP OQ

=
_
_
26.3
11.1
24.6
_
_
mm e
quindi applicando la denizione:

M
Q
=

i

j

k
26.3 11.1 24.6
10 4 5

=
_
_
43
115
6
_
_
Nmm
3.3 Sistemi di forze
Su un corpo esteso possono agire pi` u forze che possono essere applicate in punti diversi, si
parla in questo caso di insieme o sistema di forze. In questo paragrafo sono denite alcune
quantit`a globali dei sistemi di forze che, pur non avendo generalmente un signicato sico,
non essendo sempre riconducibili a eettive interazioni, sono spesso usate per rappresentare in
forma sintetica il sistema di forze nel suo complesso allo scopo di facilitare la soluzione di alcuni
problemi. La sostituzione di un complesso sistema di forze con alcune sue quantit`a globali `e una
59
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
semplicazione simile a quella che si adotta quando la media dei voti `e assunta per rappresentare
il protto complessivo. Tale procedimento `e in molte circostanze ragionevole e comodo anche se
la media non `e in genere un voto (di solito non `e un numero intero e pu`o dierire da ognuno dei
voti veri). Per altro, come talvolta la sola media dei voti pu`o non rappresentare correttamente
la preparazione di uno studente, le caratteristiche globali dei sistemi di forze possono rivelarsi
inadeguate o insucienti per eettuare lo studio meccanico di un corpo esteso.
3.3.1 Caratteristiche complessive dei sistemi di forze
Consideriamo un sistema di n forze

F
1
,

F
2
, . . . ,

F
n
, applicate rispettivamente nei punti
P
1
, P
2
, . . . , P
n
generalmente distinti appartenenti a un corpo esteso, si denisce risultante del
sistema di forze il vettore (libero) ottenuto dalla somma vettoriale delle forze:

R =
n

i=1

F
i
(3.3)
Come anticipato, la risultante deriva da unoperazione algebrica eseguita sulle forze eettive
e, di conseguenza, pu`o non avere signicato sico. Il sistema pu`o infatti comprendere forze
di diversa natura e la risultante non `e in tal caso manifestazione di alcuna interazione sica.
Per un singolo punto materiale la validit`a della regola del parallelogramma, che ha permesso
di identicare la forza come vettore, `e riscontrabile sperimentalmente. Si verica infatti che
un punto materiale soggetto a pi` u forze si muove eettivamente nello stesso modo in cui si
muoverebbe se fosse soggetto alla risultante. Per un corpo esteso la situazione `e pi` u complicata.
Infatti, se le forze agiscono sullo stesso punto P del corpo esteso non c`e alcuna dicolt`a ad
applicare il principio di equivalenza e quindi sommare le forze vettorialmente applicando la
risultante a P stesso. Se invece le forze sono applicate in punti diversi pu`o essere interessante
rispondere alla domanda: dove si dovrebbe applicare leventuale loro somma vettoriale? Per
certi problemi questa domanda pu`o non avere alcun senso sico. Vedremo tuttavia casi in cui a
tale domanda `e possibile dare una risposta sensata.
Analogamente alla forza risultante, si denisce momento risultante del sistema di forze

F
i
applicate rispettivamente ai punti P
i
rispetto al polo Q il vettore:

M
QR
=
n

i=1

M
Qi
=
n

i=1
QP
i


F
i
(3.4)
ottenuto come somma vettoriale dei momenti delle singole forze del sistema calcolati rispetto al
medesimo polo Q.
Esempio 3.3: Risultante e momento risultante
`
E dato il seguente sistema di forze

F
i
(componenti in N) applicate ai punti P
i
(coordinate
cartesiane in mm):
i P
xi
P
yi
P
zi
1 2 6 5
2 5 20 16
3 50 4 17
4 40 0 33
5 50 40 60
60
3.3. SISTEMI DI FORZE
i F
xi
F
yi
F
zi
1 100 300 30
2 50 200 65
3 30 40 50
4 10 20 25
5 15 10 30
Calcolare la risultante e i momenti risultanti considerando come poli: lorigine O e il
punto Q(10, 20, 30).
La forza risultante vale:

R =
_
_
175
450
200
_
_
N
Per il momento risultante rispetto allorigine la tabella delle coordinate dei punti P
i
contiene gi`a i dati necessari per il calcolo:

M
OR
=
_
_
1.84
1.045
3.62
_
_
Nm
per il polo Q, alle coordinate dei punti P
i
devono essere sottratte quelle del polo:

M
QR
=
_
_
7.66
8.295
4.38
_
_
Nm
Come prevedibile, il momento risultante cambia, almeno in questo caso, se viene assunto
un polo diverso.
3.3.2 Sistemi piani di forze e metodi per il calcolo delle componenti di
momento
Quando tutte le forze

F
i
giacciono su uno stesso piano , al quale appartengono anche i
punti di applicazione P
i
, il sistema di forze si chiama piano o complanare. In questo caso `e
opportuno introdurre un sistema di riferimento con due assi (tipicamente x e y) appartenenti
al piano . Se anche il polo Q appartiene al piano , il calcolo dei momenti `e semplice. Come
spiegato nel capitolo 2, le propriet`a di questi sistemi di forze saranno utili nella soluzione dei
problemi piani. Si osserva che:
per una generica forza, il momento

M
Qi
`e normale al piano e ha quindi le componenti
x e y identicamente nulle qualunque sia il polo scelto (purche anchesso appartenente al
piano), questa caratteristica vale anche per il momento risultante;
nei problemi piani, il momento `e quindi completamente denito dalla sola componente z
e pertanto pu`o essere trattato come una grandezza scalare;
in un problema piano, il momento di una forza

F `e positivo se un osservatore che si trova
nel semispazio con le z positive vede la forza

F diretta in modo da ruotare attorno a
61
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
x
y
0
P
F
G
Q
r
H
Figura 3.3: Momento nel caso piano
Q in senso antiorario (counterclockwise) (come nellesempio illustrato in gura 3.3 in
cui il momento rispetto a Q `e equiverso allasse z);
il braccio della forza pu`o essere ottenuto semplicemente come distanza (nel piano) di Q
dalla retta di applicazione di

F (in gura 3.3 il braccio di

F rispetto a Q `e la lunghezza
del segmento QH);
il momento pu`o essere ottenuto anche sfruttando la propriet`a distributiva del prodotto
vettoriale, come illustrato in gura 3.4. Scomposta la forza nelle sue componenti cartesiane
(F
x
, F
y
), si valutano separatamente i momenti (per ciascuna delle componenti il relativo
braccio si ottiene immediatamente) e si sommano algebricamente i contributi:
M
Qz
= (x
P
x
Q
) F
y
(y
p
y
Q
) F
x
(3.5)
x
y
0
P
F
G
Q
r
x
y
0
P
Q
x
F
y
F
Figura 3.4: Scomposizione cartesiana delle forze nel piano per il calcolo
immediato della componente z del momento
Si pu`o notare che la regola della mano destra aiuta a ricordare il segno dei termini della
precedente somma algebrica. Con riferimento alla gura 3.4, ponendo la mano destra in Q con
il pollice nella direzione di z si vede che la componente F
y
della forza produce un momento
positivo se la dierenza di ascissa x
P
x
Q
`e positiva. Viceversa, la componente del momento
prodotta dalla componente F
x
`e negativa se la dierenza di ordinate y
P
y
Q
`e positiva.
La possibilit`a di ottenere il momento di una forza usando la propriet`a distributiva del
prodotto vettoriale e considerando separatamente le componenti cartesiane delle forze `e utile
nei problemi tridimensionali. A tale riguardo `e opportuno cominciare ad acquisire familiarit`a
con tale procedimento che `e descritto nellesempio 3.4.
62
3.3. SISTEMI DI FORZE
Esempio 3.4: Calcolo di una singola componente del momento
Con riferimento allesempio precedente, calcolare direttamente M
Qz
la componente z del
momento di

F = (10, 4, 5)
T
applicata al punto P(1, 4, 6) rispetto a Q(2, 3, 6) (forze in
N e distanze in mm), senza ricorrere allo sviluppo del determinante.
La propriet`a distributiva del prodotto vettoriale consente di estendere ai problemi tri-
dimensionali il procedimento appena visto per i casi piani. In particolare, notiamo che la
componente z del momento non dipende dalla componente z della forza e dalle coordinate z
del suo punto di applicazione e del polo. Questo signica che la componente z del momento
non cambia se tutti i vettori (forze e posizioni) sono proiettati su un piano normale a z.
Pertanto, in base alla relazione (3.5):
M
Qz
= (1 2) (4) (4 3) 10 = 6 Nmm
Esercizio 3.1: Calcolo delle componenti del momento
Applicare il procedimento proposto nellesempio 3.4 alle altre componenti del momento e
al calcolo di ognuna delle componenti dei momenti prodotti delle varie forze dellesempio
3.3.
Il procedimento proposto pu`o essere quindi applicato con i seguenti passi:
collocare il palmo della mano destra nel polo
orientare il pollice nel verso dellasse rispetto al quale deve essere valutata la componente
del momento
considerare le sole componenti della forza perpendicolari al pollice
calcolare il contributo di tali componenti tenendo conto del segno in relazione al verso
delle altre dita.
3.3.3 Sistemi di forze parallele
Molti sistemi di forze sono composti da forze aventi la stessa direzione, lesempio pi` u comune
`e il peso proprio di un sistema di punti materiali. Consideriamo in questo paragrafo il caso in cui
la risultante sia diversa da zero.
`
E frequente dover rispondere alla domanda: esiste un punto
in cui possiamo considerare applicata la risultante in modo che il momento prodotto dalla
risultante sia uguale al momento risultante? La risposta `e aermativa e si verica facilmente
che sono inniti i punti che hanno tale propriet`a. Esiste in eetti una (sola) retta su ogni punto
della quale si pu`o assumere applicata la risultante per ottenere un momento uguale al momento
risultante. Tale retta `e detta asse centrale del sistema di forze parallele.
Le seguenti propriet`a relative allasse centrale dei sistemi di forze parallele sono fornite senza
dimostrazione.
Lasse centrale `e una retta parallela alla risultante.
63
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
A
B
M
Figura 3.5: Asse centrale per forze parallele equiverse di uguale intensit`a
applicate a punti equispaziati su un segmento
La nozione di asse centrale pu`o essere estesa anche a sistemi di forze non parallele (con
risultante non nulla), tramite una denizione pi` u generale di quella fornita in questo
paragrafo. Tale estensione non `e utile nel corso in quanto non faremo uso dellasse centrale
per sistemi di forze non parallele.
Per determinare lasse centrale di un sistema di forze `e necessario introdurre un polo
Q per calcolare i momenti. Poiche si ottiene lo stesso risultato per ogni polo Q e per
ogni sistema di riferimento adottato per rappresentare i vettori, lasse centrale `e una
caratteristica intrinseca della distribuzione di forze.
Per simmetria, un sistema di forze parallele equiverse e aventi la stessa intensit`a, applicate
a punti equispaziati su un segmento di estremi A e B, ha lasse centrale che passa per il
punto medio M del segmento (gura 3.5).
Come esemplicato in gura 3.6, lo stesso asse centrale `e ottenuto se i punti di applicazione
delle singole forze (parallele, con la stessa intensit`a e con rette dazione equispaziate)
sono spostati lungo le relative rette dazione. Tale traslazione infatti non ha eetto sul
momento.
Figura 3.6: Asse centrale per forze parallele equiverse di uguale intensit`a con
rette dazione equidistanziate
Il caso generale di forze parallele genericamente distribuite sar`a trattato nel seguito.
3.3.4 Coppia di forze
Un caso interessante di sistema di forze parallele `e la coppia (couple) di forze, costituito
da due forze aventi la stessa intensit`a, la stessa direzione (le rette di applicazione sono parallele)
e verso opposto. La risultante di una coppia `e evidentemente nulla, mentre si verica che il
momento risultante, generalmente non nullo, `e indipendente dal polo.
64
3.3. SISTEMI DI FORZE
Esempio 3.5: Indipendenza dal momento risultante di una coppia dal polo
Sono dati i punti di applicazione P
1
(10, 20, 40) e P
2
(10, 30, 60) (valori in mm) di una
coppia di forze

F
1
e

F
2
ognuna avente modulo 100 N, direzione della trisettrice del primo
ottante e la prima con componenti positive. Calcolare il momento risultante rispetto
allorigine e vericare che `e uguale al valore calcolato rispetto a P
1
.
Calcoliamo le componenti delle forze:

F
1
=
100

3
_
_
1
1
1
_
_
e

F
2
=

F
1
Il momento risultante rispetto allorigine O:

M
OR
= OP
1


F
1
+OP
2


F
2
=
_
_
1.155
1.732
0.577
_
_
+
_
_
5.196
2.887
2.309
_
_
=
_
_
6.351
4.619
1.732
_
_
Nm
Per il momento rispetto a P
1
`e suciente calcolare il contributo della forza F
2
:

M
P
1
R
= P
1
P
2


F
2
=
_
_
20
10
100
_
_

_
_
57.735
57.735
57.735
_
_
=
_
_
6.351
4.619
1.732
_
_
Nm
La coppia di forze costituisce un particolare sistema piano le cui principali caratteristiche
sono di seguito riportate.
Il momento risultante (o momento della coppia) ha direzione normale al piano su cui le
forze agiscono. Se il momento non `e nullo tale piano `e unico.
Il verso del momento della coppia `e dato dal pollice della mano destra quando le altre dita
sono orientate in modo da seguire il senso di rotazione indicato dalle forze.
Il modulo del momento della coppia `e dato dal prodotto del modulo di una delle forze per
il braccio della coppia che rappresenta la distanza tra le rette di applicazione.
Si chiama coppia di braccio nullo una coppia le cui forze hanno la medesima retta di
applicazione.
Per la coppia di braccio nullo, risultante e momento risultante sono entrambi nulli. Esempi
di coppie di braccio nullo sono le coppie di azione-reazione e le forze che sollecitano il
dinamometro ideale descritte nel capitolo 1.
Lindipendenza dal polo del momento risultante vale non solo per le coppie, ma, in
generale, per tutti i sistemi di forze con risultante nulla.
3.3.5 Sistemi di forze staticamente equivalenti
Due sistemi di forze che hanno la stessa risultante e lo stesso momento risultante rispetto
a un polo Q, sono detti staticamente equivalenti. Per due sistemi staticamente equivalenti
luguaglianza dei momenti risultanti `e soddisfatta qualunque sia il polo. Si individua quindi
65
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
unaltra propriet`a del momento risultante che non `e condizionata dalla scelta del polo. Anche
se su questo aspetto si torner`a diusamente nel seguito, `e importante considerare che, in genere,
sistemi staticamente equivalenti possono avere eetti molto diversi quando applicati allo stesso
corpo esteso. Da ci`o segue che si deve usare cautela nella sostituzione di un sistema con uno
staticamente equivalente, anche se questa pratica `e utile e corretta in certi casi. In eetti, il
seguente teorema trova molte applicazioni nella soluzione dei problemi di statica dei corpi estesi:
dato un generico sistema di forze e un punto Q, `e sempre possibile trovare una forza
da applicare in Q e una coppia di forze avente un denito momento, in modo da
realizzare un sistema staticamente equivalente al sistema dato.
In particolare, si verica che:
la forza da applicare in Q `e la risultante del sistema di forze e il momento della
coppia `e pari al momento risultante del sistema di forze calcolato rispetto al polo Q.
Da ci`o consegue che:
un sistema di forze parallele con risultante non nulla equivale staticamente alla
risultante applicata in un qualunque punto dellasse centrale.
Un sistema di forze equivalente a una forza nulla e una coppia di momento nullo `e detto:
autoequilibrato (self-balanced). Evidentemente, la caratteristica di un sistema di forze
di essere autoequilibrato `e intrinseca, non dipendendo dal sistema di riferimento usato per
rappresentare i vettori e dal polo scelto per calcolare i momenti. Lesempio pi` u semplice di
sistema di forze autoequilibrato (che non sia quello banale con tutte le forze nulle) `e la coppia
di braccio nullo. Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, i sistemi autoequilibrati sono
molto interessanti e saranno molto studiati nel seguito del corso.
Esempio 3.6: Sistemi di forze staticamente equivalenti
Dato il sistema di forze dellesempio 3.3, determinare la forza da applicare nel punto
B(10, 20, 30) e il momento della coppia corrispondente in modo che sia staticamente
equivalente.
In B `e necessario applicare una forza pari alla risultante (gi`a calcolata nellesempio 3.3)

R =
_
_
175
450
200
_
_
N
Serve inoltre una coppia di forze che abbia un momento pari al momento risultante del
sistema calcolato rispetto a B:

M
BR
=
_
_
19.34
2.205
4.38
_
_
Nm
Il momento pu`o essere realizzato con innite coppie staticamente equivalenti. Tuttavia,
come vedremo, anche questa indeterminatezza non `e rilevante in quanto ci`o che conta
nel procedimento di riduzione (da n forze applicate a una sola forza applicata pi` u un
momento che `e un vettore libero) `e il valore comune del momento della coppia e non le
forze costituenti la coppia stessa.
`
E sempre opportuno ricordare che alla risultante e al
momento risultante non `e necessariamente attribuibile un signicato sico.
66
3.4. FORZE INTERNE E FORZE ESTERNE
3.3.6 Lavoro fatto da un sistema di forze
Per naturale estensione del lavoro fatto dalla singola forza, si denisce il lavoro comples-
sivamente fatto da un sistema di forze la somma algebrica dei lavori fatti dalle singole forze
costituenti il sistema. Poiche si tratta di forze applicate, non dovrebbero sussistere ambiguit`a
per stabilire lo spostamento che deve essere usato nel calcolo del lavoro di ogni singola forza.
Lo spostamento `e evidentemente quello del punto di applicazione della forza stessa. In modo
conseguente, si estendono le nozioni di lavoro virtuale totale e di potenza complessiva sviluppata
dal sistema di forze.
3.4 Forze interne e forze esterne
3.4.1 Denizione di forze interne
`
E utile classicare le forze agenti su un corpo esteso in relazione ai corpi che generano le
interazioni da cui esse hanno origine. Per ssare le idee, consideriamo il punto A di un corpo
esteso (schematizzato come sistema discreto di punti materiali), le forze agenti su A possono
essere leetto di interazioni tra il punto e:
altri punti del corpo stesso e per questo saranno chiamate forze interne
punti che appartengono ad altri corpi: forze esterne.
Solo per i corpi estesi, che sono composti da pi` u punti, ha senso parlare di forze interne, un
punto materiale pu`o essere soggetto solo a forze esterne.
Lidenticazione dei punti che appartengono al corpo inuenza lattribuzione della caratte-
ristica interna o esterna delle forze agenti. Si osservi che lappartenenza di un punto a un corpo
`e convenzionale in quanto nulla vieta di denire come corpo esteso, per esempio, una parte
di un corpo, ovvero un sottoinsieme dei suoi punti. Come conseguenza `e possibile identicare
alcune forze interne scambiate tra due parti del corpo come forze esterne esercitate sulla singola
parte. Nel presente corso, le forze interne e i loro eetti sono di prioritario interesse ed `e quindi
opportuno cominciare a indagarne le propriet`a generali.
Esempio 3.7: Forze interne ed esterne
Consideriamo un corpo esteso costituito da una pila di 3 monete A, B e C disposte su un
tavolo con la moneta A in alto: classicare le forze agenti sui punti del corpo in interne ed
esterne.
Sono trascurati gli eetti dellaria. Ognuna delle monete, che schematizziamo come
punto materiale, `e soggetta a forze esterne e interne. In particolare, la moneta centrale B
della pila, `e soggetta a:
una forza esterna, il peso proprio, dovuta allinterazione con la Terra (corpo che non
appartiene al corpo esteso in esame)
due forze interne: una forza di contatto esercitata sulla sua faccia superiore con-
seguenza dellinterazione con la moneta A, e una di contatto sulla faccia inferiore,
interazione con la moneta C (entrambe queste forze sono di natura elettromagnetica).
67
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
La moneta C alla base della pila `e soggetta a due forze esterne, il peso proprio e la
forza di contatto esercitata dal tavolo, e a una forza interna esercitata per contatto dalla
moneta B.
Notiamo che, essendo le monete elettricamente neutre e non magnetizzate, linterazione
interna coinvolge solo le singole coppie di monete in contatto. Per ovvie ragioni abbiamo
trascurato la debolissima forza interna di attrazione gravitazionale che si esercita tra le
monete.
Lesempio precedente illustra il procedimento generale con cui si possono evidenziare le forze
interne. Il corpo esteso `e diviso in parti in modo che alcune interazioni, che sono interne per il
corpo nel suo complesso, diventano esterne per qualcuna di tali parti. In particolare, le forze
di contatto che si scambiano le monete sono interne se si considera il corpo pila di monete,
mentre se si considera come corpo una singola moneta tali interazioni si manifestano come forze
esterne, insieme con le forze che sono esterne anche per il corpo esteso pila di monete nel suo
complesso (nel caso esaminato il peso). La separazione, anche solo ideale, di parti di un corpo
costituisce la base dei procedimenti per la determinazione teorica e numerica delle forze interne.
3.4.2 Propriet`a globali delle forze interne
Consideriamo il sistema costituito da tutte le forze interne agenti su un corpo esteso costi-
tuito da un insieme di punti materiali. Prendiamo in esame una generica coppia di punti del
corpo, A e B, se tra di essi vi `e interazione, per il terzo principio:

F
AB
=

F
BA
e le due forze
hanno in comune la retta di applicazione AB. Tali forze, interne per il corpo esteso, costituisco-
no pertanto una coppia di braccio nullo. Ripetendo il ragionamento per tutte le coppie di punti
del corpo, si conclude che:
il sistema di tutte le forze interne agenti su un corpo esteso `e autoequilibrato ovvero
ha risultante nulla e momento risultante nullo rispetto a qualunque polo.
`
E importante osservare che, essendo conseguenza diretta del principio di azione-reazione, la
propriet`a delle forze interne di essere un sistema autoequilibrato `e di validit`a universale, si
applica infatti a ogni corpo esteso (discreto o continuo, solido, liquido, gassoso, ecc. . . ) in
condizioni di quiete o in qualunque stato di moto e per tutti gli osservatori (inerziali e non).
Tale propriet`a ha notevoli conseguenze nella Meccanica dei corpi estesi ed `e sfruttata per la
soluzione dei problemi, ma non deve essere interpretata in modo scorretto. Il fatto di essere
un sistema globalmente autoequilibrato non implica infatti che le azioni interne non siano
signicative per il comportamento meccanico del corpo. Per convincersene bastano alcune
semplici considerazioni. Quando un oggetto si rompe, in qualche sua parte le azioni interne,
per quanto sempre autoequilibrate anche nel momento della rottura, hanno evidentemente
raggiunto livelli non sopportabili dal materiale. Inoltre, le forze interne svolgono generalmente
un ruolo fondamentale anche nei bilanci energetici. Se pensiamo lUniverso come un unico corpo
esteso, tutte le azioni sono interne ma, nonostante il generale autoequilibrio, le sue parti sono
in continuo movimento (noi stessi e tutti gli oggetti del nostro studio compresi). In generale
quindi, le forze interne, per quanto sempre autoequilibrate, possono fare lavoro e, in base al
teorema delle forze vive, concorrono a modicare lenergia cinetica e quindi le velocit`a dei punti
del corpo esteso.
Per illustrare questa circostanza, consideriamo il corpo esteso pi` u semplice sollecitato dalle
sole forze interne: una coppia di punti materiali A e B (gura 3.7) isolati dal resto dellUniverso.
Per ssare le idee supponiamo che linterazione sia di tipo repulsivo (per esempio A e B siano due
68
3.5. IL CORPO ESTESO CONTINUO E LE SUE PRINCIPALI PROPRIET
`
A
A
B
x
y
z
F
F
Figura 3.7: Due punti materiali sotto leetto della sola interazione mutua
(repulsiva)
cariche elettriche puntiformi di segno concorde) e indichiamo il modulo della forza di interazione
con F (F =

F
AB

F
BA

). Fissato un sistema di riferimento cartesiano comodo con lorigine


in A e lasse x sul segmento AB (come in gura 3.7), imponiamo al corpo una generica variazione
virtuale di congurazione spostando A di una quantit`a (
Ax
,
Ay
,
Az
) e B di (
Bx
,
By
,
Bz
).
In base alla denizione di spostamento virtuale, linterazione pu`o essere considerata costante
durante la variazione di congurazione, e quindi il lavoro virtuale complessivo fatto dalle forze
interne vale:
L = F
Ax
+F
Bx
= F (
Bx

Ax
) (3.6)
si pu`o osservare che le componenti y e z degli spostamenti virtuali non hanno eetto sul lavoro
virtuale (3.6) perche le forze di interazione non hanno componenti in tali direzioni.
Da relazione (3.6) si deduce che:
nel caso di interazione repulsiva, se i punti vengono allontanati (
Bx
>
Ax
), il lavoro delle
forze interne `e positivo, viceversa se i punti vengono avvicinati (
Bx
<
Ax
), il lavoro `e
negativo
se linterazione `e attrattiva, il segno del lavoro `e opposto al caso precedente (positivo per
un avvicinamento e negativo per un allontanamento)
se la variazione di congurazione del sistema `e tale da conservare la distanza relativa dei
punti, il lavoro `e nullo.
Questultima conclusione pu`o essere estesa a un generico sistema di punti materiali. Consi-
derate tutte le coppie di punti e tutte le possibili interazioni mutue come coppie di braccio nullo
(ovvero lintero sistema delle forze interne), si conclude che:
se in un sistema di punti materiali la distanza tra ogni coppia di punti non cambia,
le forze interne non fanno lavoro qualunque sia il movimento del sistema.
Un sistema di punti in cui le distanze mutue tra tutte le sue coppie di punti rimangono inalterate
`e detto innitamente rigido. Il modello di corpo esteso innitamente rigido sar`a trattato nei
prossimi capitoli. Per tutti i corpi estesi che non hanno questa propriet`a, ovvero per i corpi
estesi deformabili, il lavoro fatto dalle forze interne non pu`o essere in genere trascurato.
3.5 Il corpo esteso continuo e le sue principali propriet`a
3.5.1 Il materiale come continuo
Finora il corpo esteso `e stato considerato come un insieme discreto di punti materiali, per`o,
in molte circostanze si devono modellare corpi estesi per i quali i singoli punti costituenti non
69
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
sono di immediata identicazione. In questi casi `e necessario ricorrere al modello di corpo esteso
continuo (continuum).
La Scienza dei Materiali evidenzia che, a una opportuna scala dimensionale, la materia rive-
la una struttura di tipo discreto (molecole, atomi, particelle subatomiche,. . . ) che potrebbe, in
principio, prestarsi a una modellazione discreta di singoli punti materiali interagenti. Tuttavia,
i corpi di nostro interesse sono macroscopici e le loro dimensioni caratteristiche (le quote del di-
segno meccanico) sono al minimo dellordine del micron (1m = 10
3
mm), e quindi, per quanto
piccola si possa considerare una signicativa porzione del corpo, essa conterr`a un enorme nume-
ro di molecole. Per avere unidea degli ordini di grandezza, `e facile vericare che a temperatura
ambiente un cubetto di ferro con spigolo di 1m contiene 84 miliardi di atomi e che la distanza
interatomica media tra un atomo e suoi vicini nel reticolo cristallino `e di circa 2 10
4
m. Inol-
tre, `e stato vericato sperimentalmente che la distanza tra gli elementi costituenti un reticolo
cristallino `e dello stesso ordine di grandezza in tutti i solidi, indipendentemente dal tipo di
legame o di atomi aggregati.
Per il comportamento meccanico macroscopico, pertanto, la natura particellare non `e rile-
vante. Il modello di materiale continuo si basa quindi sullassunto che una porzione di materia,
per quanto piccola, purche di volume non nullo, individui comunque un corpo, con caratte-
ristiche geometriche e siche denite (il volume, larea della supercie esterna, la massa,. . . )
non nulle. Il modello continuo garantisce la possibilit`a di considerare come corpo una porzione
di materia di dimensioni piccole a piacere, e quindi in teoria anche innitesime, attorno a un
generico punto A. Lelemento innitesimo, o elementare, di materia, che adottando coordinate
cartesiane ha forma parallelepipeda con spigoli dx, dy, dz, svolge quindi il ruolo di punto ma-
teriale associato alla posizione A similmente a quanto visto nei corpi estesi discreti. La novit`a
fondamentale del continuo consiste nel fatto che i punti materiali hanno propriet`a siche e
geometriche innitesime e il loro numero non `e nito.
La denizione delle propriet`a meccaniche del corpo continuo e delle forze su di esso agenti
introduce alcune dicolt`a anche di carattere teorico. Per illustrarle, consideriamo il seguente
esempio in cui sono esaminate forze interne ed esterne agenti sul corpo esteso continuo acqua
contenuta in un bicchiere.
Esempio 3.8: Identicazione delle forze interne ed esterne in un corpo continuo
Per il corpo esteso costituito dallacqua contenuta in un bicchiere che consideriamo in
quiete, identicare le forze agenti distinguendo forze interne ed esterne in alcuni punti del
corpo stesso
Dividiamo lacqua in piccole porzioni parallelepipede di spigoli talmente piccoli (ideal-
mente innitesimi) che possano essere considerate porzioni puntiformi, come rappresen-
tato in gura 3.8. Dobbiamo peraltro ricordare che, nellipotesi di continuo, tali porzioni,
per quanto piccole a piacimento in senso macroscopico, contengono comunque un numero
elevato di molecole. Analizziamo le forze agenti sulla porzione A localizzata allinterno
del volume dacqua, non in corrispondenza della supercie e nemmeno in contatto con il
bicchiere. Come mostrato nel suo schema di corpo libero preliminare mostrato nella gura
3.8, sul punto A agisce il peso proprio, una forza esterna in quanto interazione con la
Terra, e le interazioni con le altre porzioni dacqua, che possiamo identicare come forze di
natura elettromagnetica. Tali interazioni elettromagnetiche sono evidentemente interne per
il corpo acqua contenuta nel bicchiere nel suo complesso. Data la neutralit`a elettrica delle
molecole dellacqua e la natura schermante della struttura atomica nei confronti dei campi
elettromagnetici, tali interazioni sono scambiate tra molecole adiacenti, e quindi agiscono
70
3.5. IL CORPO ESTESO CONTINUO E LE SUE PRINCIPALI PROPRIET
`
A
in corrispondenza della supercie della porzione A. Le forze interne sono quindi esercitate
sulle sei facce del parallelepipedo.
A
B
C
A
Figura 3.8: Porzioni puntiformi di acqua in un bicchiere con schema di
corpo libero della porzione A
La caratterizzazione sica di queste interazioni interne superciali di tipo elettromagne-
tico sar`a ampiamente discussa in seguito, tuttavia possiamo riconoscere in questa azione
interna la grandezza pressione idrostatica dellacqua, gi`a nota dalla Fisica. Essendo la
porzione dacqua A in equilibrio (lacqua `e in quiete per ipotesi), tutte le forze su di essa
agenti (esterne o interne per il corpo generale) devono avere risultante nulla in base alla
prima cardinale applicata al parallelepipedo. Lequilibro dellacqua in corrispondenza di
ogni suo punto impone pertanto un legame tra il peso proprio e la pressione (che `e la ben
nota legge di Stevino).
Per la porzione dacqua B, la cui faccia superiore `e in corrispondenza della supercie
superiore, tra le forze esterne, oltre al peso proprio deve essere considerata anche lintera-
zione elettromagnetica con laria sovrastante (eetto della pressione atmosferica). Le forze
interne si manifestano quindi solo sulle altre 5 facce. Per la porzione dacqua C posta a
ridosso della parete del bicchiere, oltre al solito peso vi `e anche una forza esterna prodotta
dallinterazione con le molecole del vetro.
Lesempio indica come in un corpo continuo la denizione delle forze `e condizionata dallar-
bitrariet`a con cui `e ssata la dimensione del parallelepipedo assunto come punto materiale. In
eetti il peso della porzione A cresce se si considera un volume pi` u grande, e conseguentemente
crescono anche le forze di interazione elettromagnetiche sulle sue facce. Per eliminare que-
sta arbitrariet`a e consentire la quanticazione delle forze agenti sui corpi continui, `e necessario
introdurre grandezze siche intensive, ovvero quantit`a riferite allunit`a di volume o di supercie.
3.5.2 Massa e densit`a media nei corpi continui
Per illustrare come giungere alla denizione delle grandezze intensive necessarie per i modelli
continui, prendiamo come esempio le caratteristiche essenziali di inerzialit`a comuni a tutti i
corpi. La massa totale di un corpo M
Tot
`e una grandezza misurabile perche con la bilancia
a piattelli (almeno idealmente) `e possibile eettuare il confronto con la massa campione (nel
presente paragrafo il pedice Tot indica totale e si riferisce a quantit`a relative allintero corpo).
La massa totale di un corpo ha caratteristiche estensive e additive. Questo signica che, denito
il materiale costituente, la massa totale `e una funzione non decrescente del volume del corpo
71
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
V
Tot
. Il rapporto tra la massa totale e il volume totale:
=
M
Tot
V
Tot
denisce operativamente la densit`a volumica media (mean volumetric density) del corpo,
grandezza che nel SI si esprime in Kg/m
3
(o pi` u frequentemente nella tecnica in Kg/dm
3
).
Attraverso una serie di misure di massa e di volume, eseguite su parti diverse del corpo,
possiamo vericare se il materiale che lo costituisce `e omogeneo (homogeneus) dal punto
di vista della massa. In questo caso lomogeneit`a esprime la caratteristica della massa di non
addensarsi preferenzialmente in alcune regioni. In termini operativi, in un corpo con massa
omogeneamente distribuita tutti i cubetti di uguale volume che possono essere estratti in zone
diverse hanno la stessa massa indipendentemente dalla loro posizione.
V
M
Banda di errore
sperimentale
V
Tot
M
Tot

Figura 3.9: Misura della densit`a per un materiale con massa uniformemente
distribuita
3.5.3 Denizione di densit`a
Esaminiamo come denire rigorosamente, ma in modo sico, la propriet`a di omogeneit`a di
massa per un corpo. Supponiamo di poter frantumare il corpo in parti, generalmente aventi
volumi diversi e, ovviamente, localizzate in posizioni diverse. Massa e volume di ogni parte
possono essere misurati e i corrispondenti valori riportati su un diagramma cartesiano. Se,
come in gura 3.9, anche in presenza delle incertezze sperimentali, i punti ottenuti si addensano
attorno a una retta passante dallorigine degli assi aermiamo che il corpo `e costituito da
materiale omogeneo dal punto di vista della massa. In questo caso, la massa di ogni parte del
corpo `e direttamente proporzionale al proprio volume e il rapporto tra le due grandezze, che
`e rappresentato sul diagramma cartesiano dal coeciente angolare della retta (tan in gura
3.9), denisce una grandezza intensiva:
=
M
V
detta densit`a volumica (volumetric density) del materiale. Per un materiale omogeneo, la
densit`a `e ottenibile calcolando il rapporto massa/volume di una parte qualunque del corpo e
quindi anche del corpo intero, pertanto la densit`a del materiale coincide con la densit`a media del
corpo. Si osservi per`o che la densit`a , a dierenza della densit`a media , pu`o essere considerata
una propriet`a puntuale del materiale e non dellintero corpo usato per misurarla. Nel modello
continuo, la massa di un materiale omogeneo `e quindi interpretabile come una distribuzione
uniforme di densit`a sul volume occupato dal corpo.
72
3.5. IL CORPO ESTESO CONTINUO E LE SUE PRINCIPALI PROPRIET
`
A
Molti materiali di interesse strutturale, come le leghe metalliche e le materie plastiche,
hanno massa omogeneamente distribuita con ottima approssimazione. Nella seguente tabella
sono riportate le densit`a delle principali classi di materiali usati nelle costruzioni meccaniche.
Classe di materiale Densit`a tipica (Kg/dm
3
)
Leghe di ferro (acciai) 7.8
Leghe di alluminio 2.7
Leghe di rame (bronzi, ottoni) 8.9
Materie plastiche (resine polimeriche) 0.91.2
Materiali plastici rinforzati (carbo-resine, vetro-resine) 1.82.4
Legname, materiale organico 0.951.05
Se si misura la densit`a media dei frammenti di corpi costituiti da altri materiali, come per
esempio il calcestruzzo (sabbia cemento e ghiaia), si osserva che i punti del graco si disperdono
in una fascia la cui ampiezza `e maggiore dellincertezza sperimentale (gura 3.10). Dovremmo
concludere che, in questo caso, il materiale ha massa non uniformemente distribuita e quindi
che non `e omogeneo dal punto di vista della massa.
V
M
V
Tot
M
Tot
Figura 3.10: Tipico diagramma sperimentale M V per un materiale con
massa non uniformemente distribuita (qualitativo)
La denizione di densit`a per un materiale non omogeneo risulta pi` u complicata. Consi-
deriamo un punto A e tracciamo il graco della massa in funzione del volume considerando
porzioni del corpo che contengono il punto A. Operativamente, possiamo partire da una porzio-
ne relativamente grande alla quale togliamo progressivamente materiale, mantenendo il punto
A allinterno. Si ottengono in questo modo i punti di una curva che rappresenta una funzione
non decrescente M (V ) che tende a zero quando il volume si riduce. Deniamo densit`a locale
nel punto A il seguente limite:
(x
A
, y
A
, z
A
) = lim
V 0
M (V )
V
(3.7)
che assumiamo esista e sia nito e non nullo.
Per quanto la denizione (3.7) non sia operativa, dato che loperazione di limite non `e
eseguibile sperimentalmente, possiamo tuttavia predisporre una procedura di estrapolazione di
rapporti massa-volume misurati su quantit`a sempre pi` u piccole, come illustrato in gura 3.11. A
rigore, quindi, il modello stesso di continuo `e basato sullassunzione dellesistenza di tale limite
nito e non nullo. Dal punto di vista dellAnalisi Matematica, la densit`a in A pu`o pertanto
73
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
V
M
V
Tot
M
Tot

0
Figura 3.11: Massa in funzione del volume per porzioni sempre pi` u ridotte
che contengono il punto A e denizione della densit`a locale: (x
A
, y
A
, z
A
) =
tan
0
essere considerata come il rapporto tra la massa e il volume di un elemento innitesimo di corpo
che contiene il punto A:
(x
A
, y
A
, z
A
) =
dM
dV
(3.8)
Lesistenza del limite (3.7) si pu`o anche interpretare come:
ogni corpo continuo `e uniformemente denso al limite
indicando che, se si considerano porzioni di corpo sucientemente piccole, le sue sottoparti
hanno massa direttamente proporzionale al relativo volume. In termini matematici, se un
materiale ha densit`a signica che la curva in gura 3.11 `e approssimabile nellintorno dellorigine
con una retta (a meno di innitesimi di ordine 2 o superiori) con coeciente angolare nito non
nullo (tan(
0
) in gura 3.11).
La densit`a `e quindi la grandezza intensiva associata alla massa e, in generale, `e una funzione
della posizione (o una distribuzione spaziale) (x, y, z) e rappresenta una propriet`a locale del
materiale. Per ottenere la massa totale M
Tot
di un corpo che occupa un volume denito
dalla gura solida , quando `e nota la distribuzione della sua densit`a, `e necessario eseguire il
procedimento inverso della denizione (3.8) ovvero lintegrazione:
M
Tot
=
_

(x, y, z) dV (3.9)
Esercizio 3.2: Densit`a di un corpo non omogeneo
Una lamiera avente dimensioni (250 mm 250 mm 6 mm) `e realizzata incollando sulla
supercie di massima estensione una lamina di acciaio e una di alluminio. Sapendo che il
peso complessivo `e 19.13 N, trascurando massa e volume della colla:
a) vericare che la densit`a media del corpo `e 5.2 kg/dm
3
b) vericare che lo spessore della lamina di acciaio `e 2.94 mm
c) tracciare su un diagramma M V del tipo in gura 3.10 i margini della regione dove si
collocherebbero i punti ottenuti da misure su porzioni del corpo.
74
3.6. FORZE SUI CORPI CONTINUI
3.6 Forze sui corpi continui
In questo paragrafo sono analizzate le forze agenti su un corpo continuo in relazione alle
caratteristiche geometriche delle zone su cui tali forze agiscono.
Le forze esercitabili su un punto materiale o su un insieme discreto di punti, sono di tipo
estensivo e concentrato, infatti, sono applicate al punto o ai punti costituenti il corpo discreto.
Le forze agenti sui corpi continui sono invece schematizzabili con altri modelli matematici
che, analogamente a quanto osservato per le propriet`a di massa, richiedono la denizione di
grandezze intensive associate. Prima di entrare nel merito di tali modelli, `e utile osservare che,
dal punto di vista geometrico, le forze esercitabili su un corpo continuo tridimensionale possono
essere solo di due tipi:
forze di volume, dette anche forze di massa
forze di supercie
qualunque altro modello di forza, come per esempio una forza concentrata (o puntiforme)
oppure una forza applicata su una linea, `e sicamente giusticabile solo in relazione a particolari
idealizzazioni della geometria del corpo in esame e non sono a rigore applicabili a corpi estesi
tridimensionali senza introdurre singolarit`a in alcune propriet`a della soluzione.
3.6.1 Forze di volume
Le forze di volume sono esercitabili su ogni porzione del corpo, per quanto possano essere
distribuite in modo non uniforme. Tipiche forze di volume sono: il peso proprio e le forze
dinerzia. Ogni atomo del corpo, sia esso collocato sulla supercie o allinterno, `e soggetto a
tali interazioni. Le forze di volume possono essere misurate nel loro complesso, per cui, quando
pesiamo un corpo, otteniamo di fatto il modulo della risultante delle forze peso. Analogamente
alla massa, la misura sperimentale del peso fornisce quindi una grandezza di tipo estensivo (in
questo caso la grandezza `e vettoriale).
Con un procedimento di limite analogo a quello con cui `e stata denita la densit`a di massa,
`e possibile ottenere la grandezza intensiva associata al peso chiamata peso per unit`a di
volume o peso specico. Il peso specico in un punto A (x
A
, y
A
, z
A
) si ottiene quindi tramite
il seguente limite che, come al solito, si assume esista nito:
p (x
A
, y
A
, z
A
) = lim
V 0

P ()
V
(3.10)
in cui

P () rappresenta il peso di una porzione di corpo avente volume V che contiene il
punto A. La grandezza p `e una quantit`a intensiva vettoriale e, similmente alla densit`a di massa,
pu`o essere considerata come il rapporto tra il peso di una porzione innitesima di materia che
contiene A e il suo volume. Analogamente si pu`o trattare qualunque altra forza di volume, per
esempio una forza dinerzia, denendo la corrispondente densit`a volumica.
Una densit`a volumica di forza `e dimensionalmente una [Forza]/[Volume] e quindi nel SI si
misura in N/m
3
o, pi` u frequentemente, in N/mm
3
. In genere, le distribuzioni di forza saranno
indicate con una lettera latina minuscola:

f, q, ecc. . . .
`
E opportuno riettere sulla circostanza che, come la densit`a di massa non `e la massa del
volume innitesimo, analogamente la densit`a volumica di forza non `e la forza applicata al
volume innitesimo. Tale aermazione `e infatti scorretta:
dal punto di vista dimensionale: la forza agente su un corpo si misura in N, indipenden-
temente dalle dimensioni, nite o innitesime, del corpo in esame
75
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
dal punto di vista quantitativo: la forza agente su un volume innitesimo `e una quantit`a
innitesima mentre la densit`a volumetrica di forza `e una quantit`a nita.
Su un elemento innitesimo di volume su cui agisce una densit`a volumica di forza pari a

f la
forza agente vale infatti:

dF =

f dV (3.11)
quantit`a che, come si pu`o immediatamente vericare, `e dimensionalmente equivalente a una
forza e ha intensit`a innitesima (generalmente dello stesso ordine del volume). Nel caso del
peso specico p, la densit`a volumica di forza `e diretta come laccelerazione di gravit`a ed `e
proporzionale alla densit`a di massa. Vale infatti la seguente relazione tra i moduli:
p = g (3.12)
Nel caso di densit`a volumica di forze dinerzia

f, per esempio di trascinamento, la relazione tra
moduli `e analogamente:
f = [ a
t
[ (3.13)
in cui a
t
indica laccelerazione di trascinamento nel punto considerato. Analoga formula vale
per la densit`a volumica di forza di Coriolis.
3.6.2 Forze di supercie
Sono considerate forze superciali o di supercie le forze di contatto che i corpi continui
si scambiano attraverso la porzione di contorno comune. Le forze di supercie sono intera-
zioni elettromagnetiche applicate agli atomi del corpo che si trovano in corrispondenza di una
parte del contorno. Esempi di forze di supercie sono: la spinta esercitata dallacqua sullo
scafo di una imbarcazione (spinta di Archimede), la forza esercitata dal gas sulla pala di una
turbina, la spinta esercitata dai piedi di un tuatore sul trampolino, le reazioni dei vincoli,
ecc. . . . Le forze appena richiamate sono quantit`a estensive, tuttavia anche per queste `e deni-
bile una grandezza intensiva associata, detta densit`a superciale di forza o forza per unit`a di
supercie (traction). Il termine tecnico anglosassone non deve essere tradotto con trazione.
Supponiamo che la supercie su cui agisce la distribuzione di forza sia regolare attorno a
un punto A e quindi che la sua espressione analitica abbia almeno le derivate prime. Sotto tali
condizioni di regolarit`a si pu`o denire in modo univoco il piano tangente in A alla supercie
e il suo versore normale. Consideriamo una porzione di supercie che contiene il punto A
avente area S, con il solito procedimento deniamo la grandezza intensiva associata, densit`a
superciale di forza, con il limite:

t (x
A
, y
A
, z
A
) = lim
S0

P ()
S
(3.14)
che supponiamo esista nito. Nella relazione (3.14) `e stata considerata una porzione di area
(sempre pi` u piccola) che contiene il punto A ed `e stata indicata con

P () la risultante delle
forze complessivamente agenti su di essa.
La quantit`a vettoriale

t, in genere variabile da punto a punto, ha le dimensioni di [For-
za]/[Area] quindi `e omogenea con la pressione dei uidi. Nel SI, lunit`a di misura della densit`a
superciale di forza `e il N/m
2
ed `e chiamata pascal (Pa), in onore di Blaise Pascal (1623-
1662). Se invece del m come unit`a di lunghezza si usa il mm, la densit`a superciale di forza
risulter`a espressa in N/mm
2
che equivale a 10
6
Pa oppure a 1 MPa lunit`a di misura che sar`a
generalmente usata nel seguito.
76
3.6. FORZE SUI CORPI CONTINUI
Esercizio 3.3: Forze e distribuzioni di forze
Un cilindro avente raggio di base 50 mm e altezza 300 mm `e in quiete appoggiato su un
piano orizzontale con la sua base. Il materiale `e ottenuto amalgamando uniformemente
volumi di rame, ferro e alluminio nelle proporzioni 5, 4, 2 rispettivamente. Vericare che:
a) le percentuali in massa (o in peso) dei costituenti sono nellordine: 54.8, 38.5 e 6.6.
b) la densit`a del materiale `e 7.37 kg/dm
3
c) il (modulo del) peso specico del cilindro `e 7.23 10
5
N/mm
3
d) la densit`a superciale media della forza di contatto sulla supercie di base `e 0.022 MPa
e) `e impossibile stabilire la composizione dellamalgama sulla base della sola conoscenza
della densit`a media, ma si possono calcolare i valori estremi delle frazioni in volume dei
tre costituenti.
3.6.3 Forze concentrate
Come gi`a osservato, nessun corpo continuo tridimensionale `e, a rigore, in grado di sopportare
forze che non siano di volume oppure di supercie. In eetti, una forza nita applicata su un
punto, o anche su una linea, produrrebbe, nella regione di applicazione di area nulla, una
densit`a superciale di forza di intensit`a innita. In eetti, il contatto sfera-piano o cilindro-
piano, tipico dei cuscinetti di rotolamento, si manifesta su una supercie di dimensioni nite
anche se relativamente contenute, che si estende attorno al punto, o al segmento, di teorico
contatto geometrico.
Pertanto, quando si assume che su corpo esteso sia applicata una forza concentrata, si
eettua una semplicazione che pu`o essere lecita per certi scopi e inadeguata per altri, come
illustra il seguente esempio.
Esempio 3.9: Forze concentrate
Valutare i modelli per rappresentare le forze che si applicano con le mani a una cesoia da
giardiniere per recidere un arbusto, come schematizzato nella gura 3.12.
F
F
Figura 3.12: Schema essenziale a forze concentrate dellazione esercitata con
le mani su una cesoia.
Trascurando il peso proprio, sulla cesoia sono applicate forze di supercie in corrispon-
denza delle zone delle lame in contatto con larbusto e delle impugnature in contatto con
77
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
le mani. Se lanalisi che dobbiamo eettuare si limita alla valutazione del valore della forza
complessiva F che ognuna delle mani deve esercitare (per esempio per stabilire se siamo
sucientemente allenati per recidere il ramo), `e lecito considerare le forze F come concen-
trate. In tale ipotesi, potremmo assumere ragionevolmente le forze F siano applicate in
corrispondenza del centro del palmo della mano. In certi casi pu`o essere pi` u opportuno con-
siderare le forze F applicate nelle zone di contatto estreme (pi` u vicine o pi` u lontane rispetto
al perno) allo scopo di ottenere, secondo il caso, previsioni ragionevolmente sottostimate
o sovrastimate sulla distanza dal perno dellasse centrale dalla eettiva distribuzione delle
forze di contatto.
Come sar`a dimostrato nei prossimi capitoli, il modello di forza concentrata permette
di risolvere in modo accurato diversi problemi relativi al funzionamento della cesoia. In
particolare, possono essere ottenute le forze agenti sul perno e pu`o essere analizzato con
suciente precisione leetto prodotto sul funzionamento dellattrezzo dalle distanze del
ramo e delle mani dal perno. Se il problema consiste invece nel vericare che loperazione
non produca danni alla mano, il modello di carico concentrato risulta completamente ina-
deguato. In particolare, dovendo progettare la forma dellimpugnatura, la forza di contatto
dovr`a essere analizzata nella sua caratteristica di forza distribuita perche solo in questo
modo il modello pu`o consentire di evidenziare la presenza di eventuali picchi di densit`a
superciale di forza. Possiamo gi`a da ora osservare che questo secondo problema `e molto
pi` u complesso e richiede necessariamente informazioni su come gli oggetti in contatto, in
particolare le mani, si deformano sotto carico.
Nei problemi piani, per i quali il corpo `e idealmente appiattito in due dimensioni x y,
le forze di volume sono modellate come forze di supercie e la corrispondente densit`a di forza
si esprime in N/mm
2
, mentre le forze di supercie diventano forze applicate su una linea e la
relativa densit`a si esprime in N/mm.
In importanti modelli geometrici, i corpi sono ulteriormente ridotti a continui unidimensio-
nali, un esempio gi`a noto `e il cavo ideale. Su tali corpi le forze di volume diventano distribuzioni
di forze di linea mentre le forze di supercie diventano di linea quando sono applicate sulla su-
percie laterale del corpo, o forze concentrate quando sono applicate sulla sezione corrente, si
pensi a tale proposito al tiro del lo che `e appunto applicato alla sua sezione. I continui uni-
dimensionali costituiscono un argomento fondamentale del corso, pertanto questi aspetti della
modellazione dei loro carichi saranno ripresi nel seguito.
3.7 Caratteristiche statiche equivalenti a distribuzioni di forze
parallele
Trattando corpi estesi continui sui quali agiscono forze distribuite nel volume o sulla super-
cie, `e spesso utile ridurre i sistemi complessi di forze a sistemi pi` u semplici che possono essere
costituiti da una sola forza, quanto possibile, o al pi` u da poche forze concentrate. Gli eetti
prodotti da sistemi di forze aventi propriet`a essenziali sono pi` u semplici da prevedere. Tuttavia,
come generalmente accade quando il modello subisce una semplicazione, tale riduzione pu`o
essere adatta per alcuni scopi ma non per tutti. A questo riguardo lesempio delle cesoie `e
particolarmente istruttivo.
78
3.7. CARATTERISTICHE STATICHE EQUIVALENTI A DISTRIBUZIONI DI FORZE PARALLELE
3.7.1 Distribuzione di forze parallele di supercie
In molti casi anche i carichi distribuiti sono di tipo parallelo (per esempio il peso proprio
o la pressione esercitata da un uido in quiete su una parete piana), oppure possono essere
scomposti in sottosistemi di forze parallele. In queste circostanze, come osservato, se il sistema
di forze ha risultante non nulla `e staticamente equivalente alla risultante stessa applicata a un
punto dellasse centrale.
Consideriamo, come in gura 3.13, una distribuzione di forze superciali parallele agenti su
una regione piana posta sul piano cartesiano x y avente contorno e area A. Supponiamo
che la distribuzione di densit`a superciale di forza sia denita da una funzione della posizione
tramite la relazione

f = f(x, y) m in cui m rappresenta un versore che, almeno in un primo
tempo, non appartiene al piano x y (quindi m
z
,= 0) anche se non `e necessariamente a esso
normale. La risultante della distribuzione si ottiene integrando la densit`a superciale di forza
x
y
z
m

Figura 3.13: Regione su cui agisce una distribuzione generica di forze di


supercie aventi direzione m
sul dominio di applicazione:

R = R
x

i +R
y

j +R
z

k =
_

f (x, y) dxdy m (3.15)


nel caso particolare di distribuzione uniforme f (x, y) = f
0
la risultante `e semplicemente:

R = f
0
A m (3.16)
Supponendo la risultante non nulla, per determinare il punto C(x
C
, y
C
) dellasse centrale appar-
tenente al piano x y, `e suciente considerare un qualunque polo e imporre luguaglianza tra
il momento risultante e il momento della risultante considerata applicata in C. La componente
x del momento risultante calcolato con polo lorigine (gura 3.14) vale:
M
Rx
=
_

f (x, y) m
z
ydxdy (3.17)
mentre la componente x del momento della risultante applicata in C vale: R
z
y
C
(R
z
`e chia-
ramente la componente z della risultante). Eguagliando le due espressioni e ripetendo lo stesso
ragionamento per la componente y del momento, si ottengono le coordinate di C:
x
C
=
_

x f (x, y) dxdy
_

f (x, y) dxdy
(3.18)
y
C
=
_

y f (x, y) dxdy
_

f (x, y) dxdy
(3.19)
Il punto C `e chiamato centro di spinta della distribuzione. Nel caso di una distribuzione
uniforme, C coincide con il baricentro di (vedi Appendice D).
79
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
x
y

O
Figura 3.14: Calcolo dellintegrale di supercie per valutare il momento
risultante della distribuzione piana
Se il versore m appartiene al piano xy, anche lasse centrale appartiene al piano. In questo
caso, lequazione dellasse centrale si pu`o ottenere imponendo luguaglianza tra le componenti z
del momento risultante e del momento della risultante:
x
C

f(x, y)m
y
dxdyy
C

f(x, y)m
x
dxdy =
_

(x f(x, y)m
y
y f(x, y)m
x
) dxdy (3.20)
Per forze uniformemente distribuite sul piano x y, lasse centrale `e la retta parallela a m
che passa per il baricentro di .
3.7.2 Distribuzioni di forze parallele di volume
Il procedimento sviluppato per le forze di supercie pu`o essere esteso alle forze di volume,
considerando integrali volumici e imponendo luguaglianza di tutte componenti del momento. Si
pu`o vericare che, in un corpo continuo di dimensioni molto inferiori al raggio della Terra (che
occupa quindi una regione in cui laccelerazione di gravit`a pu`o essere considerata uniforme):
lasse centrale della forza peso passa per il centro di massa del corpo.
Il punto dove si pu`o considerare idealmente applicato il peso totale in modo che sia staticamente
equivalente alla distribuzione volumica `e chiamato baricentro (centroid) sico del corpo.
Nelle nostre analisi, baricentro e centro di massa coincidono. Questa conclusione ci permette
talvolta di considerare il peso proprio di un corpo esteso come una forza concentrata applicata
nel suo centro di massa.
`
E tuttavia opportuno ricordare che questa semplicazione non `e
lecita per tutte le analisi data limpossibilit`a da parte dei corpi continui di sopportare carichi
concentrati.
Esercizio 3.4: Distribuzioni di forze piane parallele su un rettangolo
Con riferimento alla gura 3.13 (con m
z
,= 0), assumendo come dominio il rettangolo di
vertici lorigine e i punti A(20, 0), B(20, 50) e C(0, 50) (valori in mm), q
0
= 130 MPa e
m
z
,= 0, vericare che i moduli della risultanti (in kN) e le coordinate dei centri di spinta
delle seguenti distribuzioni superciali di forze parallele sono i valori indicati:
a) f(x, y) = q
0
: R = 130, C(10, 25)
b) f(x, y) = q
0
(x/20): R = 65, C(13.33, 25)
c) f(x, y) = q
0
(x/20)
2
: R = 43.3, C(15, 25)
d) f(x, y) = q
0
(x
3
/20
3
+y
2
/50
2
): R = 75.8, C(12.57, 32.14)
80
3.8. MOMENTI CONCENTRATI
Esercizio 3.5: Distribuzioni di forze piane parallele su un trapezio
Come lesercizio precedente, assumendo come dominio il trapezio di vertici lorigine e i
punti A(20, 0), B(20, 50) e C(10, 50):
a) f(x, y) = q
0
: R = 97.5, C(12.2, 22.2)
b) f(x, y) = q
0
(x/20) : R = 59.6, C(14.09, 23.9)
c) f(x, y) = q
0
(x/20)
2
: R = 42.0, C(15.29, 24.5)
d) f(x, y) = q
0
(x
3
/20
3
+y
2
/50
2
) : R = 59.2, C(14.97, 29.9)
3.8 Momenti concentrati
Consideriamo un corpo esteso sul quale `e applicata, in una zona di estensione contenuta
rispetto alle dimensioni complessive del corpo, una distribuzione di forze (normalmente di su-
percie) che abbia risultante nulla e momento risultante diverso da zero. In questo caso non
sono denibili un asse centrale o un centro di spinta per cui non risulta immediato fornire una
rappresentazione globale sintetica dellazione complessiva della distribuzione di forze. A tale
scopo si introduce la nozione di momento concentrato come spiegato nel seguito.
3.8.1 La nozione di momento concentrato
Supponiamo di serrare una vite su una angia utilizzando una chiave a tubo allestremit`a
della quale `e stato inserito un perno per facilitare loperazione (gura 3.15). Supponiamo che
lazione di serraggio sia eseguita con entrambe le mani in modo simmetrico: una spinge e laltra
tira con la stessa intensit`a: F. Come caratterizzare in modo complessivo il sistema di forze
trasmesse dalla chiave alla testa della vite?
F
F
A
Figura 3.15: Chiave a tubo usata per serrare una vite su una angia
Dal punto di vista sico, lazione trasmessa pu`o essere considerata una complessa distri-
buzione di forze superciali agenti sulle zone della testa della vite che sono in contatto con la
chiave. Anche disponendo di strumenti di calcolo non elementari, la valutazione di tale distri-
buzione non `e agevole. Il valore locale dipende infatti da varie grandezze (tra le quali: giochi
81
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
di accoppiamento, deformabilit`a delle parti, piccole inclinazioni dellattrezzo, tolleranze di for-
ma e dimensioni degli elementi accoppiati, ecc. . . ) tutte quantit`a rilevanti per il risultato ma
di dicile previsione o misura. Tuttavia se, come nellesempio della cesoia, non `e necessario
conoscere tale distribuzione nel dettaglio ma interessa solo il suo eetto complessivo sulla vite,
`e possibile denire una azione statica risultante, o complessiva, da applicare al punto A, testa
della vite, sul quale assumiamo agisca il sistema di forze. La risultante delle forze di contatto `e
per`o nulla, in eetti la chiave `e uno strumento che permette sicamente di trasferire la coppia
esercitata dalle mani alla testa della vite. Nella zona A, `e quindi applicato un sistema di forze
che equivale staticamente alla coppia esercitata con le mani o, pi` u correttamente, un sistema di
forze avente momento risultante pari al momento di tale coppia.
Nel linguaggio comune, lespressione applicare un sistema di forze a risultante nulla equiva-
lente a una coppia di momento dato `e resa nella pi` u concisa locuzione applicare un momento.
Questa semplicazione linguistica `e alla base di espressioni del tipo: momento di serraggio di
una vite, momento sviluppato dal motore, ecc. . . , usate frequentemente in ambito tecnico.
Per semplicit`a, useremo nel seguito questa locuzione semplicata per quanto contraddittoria
poiche suggerisce la possibilit`a di esercitare unazione di momento in un punto. In eetti non si
deve dimenticare che, dal punto di vista sico, per un corpo tridimensionale:
sono applicabili solo forze di volume o di supercie, rispettivamente su volumi e superci
di dimensioni nite
a rigore non `e possibile applicare un momento in un punto in quanto, anche si abbia
coppia (di momento non nullo) `e necessario un braccio e quindi la zona su cui le forze
agiscono deve necessariamente avere una estensione non nulla
la nozione di momento concentrato `e adeguata per rappresentare una distribuzione di
forze staticamente equivalente a una coppia se la regione in cui la distribuzione agisce ha
una estensione piccola rispetto alle dimensioni signicative del problema e inoltre non ha
interesse valutare le propriet`a della distribuzione di forze nel dettaglio.
Il momento concentrato, che si considera applicato nel punto A (testa della vite in gura
3.15), sar`a rappresentato con una doppia freccia oppure, alternativamente, con una freccia curva
come mostrato in gura 3.16. Disponendo la mano destra in modo da riprodurre lazione del
momento, la doppia freccia `e equiversa al pollice, mentre la freccia curva ha lorientamento e il
verso delle altre quattro dita allineate.
A A
(a) (b)
Figura 3.16: Rappresentazioni schematiche di un momento concentrato
esercitato sulla angia in corrispondenza della testa della vite in A: (a)
rappresentazione con la freccia curva; (b) rappresentazione con la doppia
freccia
82
3.8. MOMENTI CONCENTRATI
Nei problemi bidimensionali, rappresentati sul piano x y, il momento ha solo componente
M
z
e la freccia curva risulta la rappresentazione pi` u comoda e naturale per il momento con-
centrato perche giace sul piano di rappresentazione x y (mentre la doppia freccia `e normale).
Visto da z+, un momento con componente M
z
positiva `e rappresentato da una freccia curva
antioraria (un momento negativo ha la freccia curva oraria).
Nella rappresentazione assonometrica dei problemi tridimensionali, `e necessario rappresenta-
re la freccia curva come un nastro (come in gura 3.16) in modo da evidenziarne, oltre al verso,
anche la direzione (lasse del cilindro su cui si avvolge il nastro). Poiche la rappresentazione
come freccia a nastro non `e agevole da eettuarsi a mano libera, negli schemi tridimensionali
`e generalmente pi` u comodo usare la rappresentazione con doppia freccia. Per quanto possibile,
nel testo si cercher`a comunque di privilegiare la rappresentazione con la freccia curva, ritenuta
gracamente pi` u espressiva per caratterizzare un sistema localizzato di forze equivalente a un
momento.
3.8.2 Lavoro fatto dai momenti concentrati
Analogamente alle forze concentrate, si possono determinare le grandezze energetiche asso-
ciate ai momenti concentrati. Un momento

M applicato in un punto A in genere fa lavoro se la
parte di corpo limitrofa ad A subisce una rotazione.
Consideriamo il caso pi` u semplice di un problema piano nel quale in A agisca un (sistema
di forze equivalente a un) momento che si mantiene costante mentre la regione attorno ad A
subisce una rotazione nita (in radianti) attorno allasse z. Il lavoro complessivamente fatto
dal sistema di forze equivalenti al momento risulta essere:
L = M (3.21)
in cui `e stato assunto il segno delle rotazioni sulla base della mano destra e quindi coerente con
il momento.
Consideriamo la situazione pi` u generale di un corpo nello spazio e di un momento (anche
variabile nel tempo) applicato in un punto A. La rotazione innitesima della zona attorno ad
A pu`o essere rappresentata da un vettore d

denito come segue:


la direzione di d

coincide con la retta attorno alla quale avviene la rotazione (che in ogni
istante `e univocamente denita)
il verso di d

coincide con quello del pollice della mano destra disposta in modo che le
altre dita seguano la rotazione
il modulo di d

`e dato dal valore (innitesimo) dellangolo espresso in radianti.


Si verica che le rotazioni innitesime, a dierenza delle rotazioni nite, sono quantit`a vettoriali
dato che la loro somma si ottiene con la regola del parallelogramma.
`
E pertanto possibile
eettuare la scomposizione cartesiana di una rotazione innitesima:
d

= d
x

i +d
y

j +d
z

k (3.22)
Il lavoro innitesimo fatto dal momento vale pertanto:
dL =

M d

= M
x
d
x
+M
y
d
y
+M
z
d
z
(3.23)
Analogamente, indicando con

la rotazione virtuale, il lavoro virtuale fatto dal momento vale:


L =

M

= M
x

x
+M
y

y
+M
z

z
(3.24)
83
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
Indicando con = d

/dt la velocit`a angolare istantanea della zona attorno ad A, la potenza


sviluppata dal momento vale:
W =

M (3.25)
Le ultime relazioni mostrano che la rotazione `e la grandezza geometrica energeticamente
associata al momento, analogamente allo spostamento che `e la grandezza geometrica energeti-
camente associata alla forza.
Esercizio 3.6: Distribuzione di forze piane su un triangolo
Dato un triangolo di vertici lorigine e i punti A(a, 0) e B(0, b) e la distribuzione di forze:
f(x, y) m =
_
q
0
(
x
a

1
3
) +p
0
(
y
b

1
3
)
_
m
con m versore generico
a) vericare che per qualunque valore di p
0
e q
0
la distribuzione equivale a un momento
b) valutare il modulo del momento risultante per a = 50 mm, b = 100 mm, q
0
= 25 MPa e
p
0
= 10 MPa
3.9 Azioni statiche e generalizzazione del terzo principio
Sulla base di quanto `e stato sviluppato nel presente capitolo, `e possibile ricavare la seguente
considerazione che sar`a molto utile nella soluzione dei problemi di statica dei corpi estesi:
qualunque sistema di forze (discreto o continuo, di volume o di supercie, ecc. . . ),
agente in una regione di un corpo in corrispondenza di un punto A, pu`o sempre
essere ricondotto a un sistema staticamente equivalente costituito da una forza

F
pi`u un momento

M considerati applicati nel punto A
`e evidente che

F `e la risultante del sistema di forze mentre

M `e il momento risultante del
sistema di forze calcolato con polo A. Chiameremo

F e

M le azioni statiche complessive
esercitate in A della distribuzione. Come casi particolari, una delle azioni statiche pu`o essere
nulla e possono essere nulle anche entrambe, se il sistema di forze `e autoequilibrato.
Purtroppo, in Meccanica il termine azione `e attribuito anche a una diversa quantit`a. Si
denisce azione, infatti, anche lintegrale del lavoro nel tempo, da cui discende il principio di
minima azione utilizzato in Meccanica Analitica. Nel presente corso, tuttavia, questultima
nozione non `e impiegata e al termine azione, generalmente accompagnato dallaggettivo statica,
`e attribuito esclusivamente il signicato di caratteristica complessiva di un sistema di forze
agenti nei pressi di un punto, come denito nel presente paragrafo.
Il termine azione, nella nostra accezione, `e quello che viene comunemente riportato nelle-
nunciato classico del terzo principio:
a ogni azione (statica) corrisponde una reazione uguale e contraria.
Tale principio, introdotto del capitolo 1 per le sole forze scambiate tra punti materiali, pu`o in
eetti essere esteso alla pi` u generale interazione tra corpi estesi. La generale interazione tra
corpi estesi si manifesta infatti con lintervento di mutue azioni statiche.
84
3.9. AZIONI STATICHE E GENERALIZZAZIONE DEL TERZO PRINCIPIO
Esempio 3.10: Azioni statiche
Come mostrato nello schema di gura 3.17, la vite A di una ruota deve essere allentata tra-
mite una chiave ssa esercitando con la mano una forza verticale (verso lalto) complessiva
di 200 N a 250 mm di distanza dalla vite. Trascurando il peso proprio della chiave:
a) Tracciare lo schema di corpo libero della chiave.
b) Valutare e rappresentare le azioni statiche trasmesse complessivamente dalla chiave alla
ruota.
250
A
Figura 3.17: Schema del disassemblaggio di una ruota.
Per rispondere alla domanda a) `e opportuno considerare la chiave come un corpo
esteso che pu`o essere schematizzato nel piano. Lazione esercitata dalla mano (carico) pu`o
essere ridotta a una forza concentrata. La chiave `e vincolata alla testa della vite, possiamo
considerare che in tale punto il vincolo possa esercitare una distribuzione di forze di super-
cie riconducibile a una generica azione statica che, nel piano, `e caratterizzabile da una forza
piana e da un momento perpendicolare al piano. In gura 3.18 `e riportato lo schema di
corpo libero preliminare della chiave. Le grandezze U, V e W rappresentano le componenti
scalari delle caratteristiche statiche globali (risultante pi` u momento risultante) delle azioni
trasmesse dalla vite alla chiave. Se i dettagli della distribuzione di forze superciali non
interessano, consideriamo le azioni nel loro complesso e assumiamo che siano applicate al
punto A in corrispondenza dellestremit`a della chiave.
W
200N
U
V
Figura 3.18: Diagramma di corpo libero preliminare per la chiave
Come sar`a spiegato nei prossimi capitoli, considerazioni di equilibrio per la chiave
permettono di valutare tali azioni: V = 200 N, U = 0 N e W = 50 10
3
Nmm (= 50 Nm).
Lo schema di corpo libero denitivo `e riportato nella gura 3.19.
85
3. IL CORPO ESTESO E LE AZIONI SU DI ESSO AGENTI
200N
200N
50Nm
Figura 3.19: Schema di corpo libero denitivo della chiave considerando le
azioni agenti come concentrate (le unit`a di misura sono opportune dato che
nello schema compaiono quantit`a non omogenee)
Lazione statica complessiva esercitata dalla chiave sulla testa della vite, domanda b),
si ottiene dal risultato precedente applicando il terzo principio, e consiste in:
una forza di 200 N verso lalto
un momento di 50 Nm che agisce in senso antiorario (dal punto di vista della gura
3.17).
Come di consueto, quando sono state rappresentate le azioni esercitate dalla chiave (gura
3.20), la chiave `e stata eliminata dal disegno. Pu`o essere interessante osservare che mentre
il momento applicato alla testa della vite `e utile per eettuare loperazione richiesta la
componente di forza `e invece dannosa. Si tratta di una conseguenza delluso della chiave
ssa. Come si potrebbe ridurre o eliminare tale forza?
50Nm
200N
A
Figura 3.20: Schema delle azioni statiche esercitate dalla chiave sulla testa
della vite (considerate concentrate nel punto A)
86
Capitolo 4
Il corpo rigido e i vincoli nel piano
Nel presente capitolo `e introdotto il modello di corpo rigido che `e fondamentale per lo
studio del comportamento meccanico dei corpi estesi. La determinazione della posizione, e
quindi del moto, di un corpo rigido pu`o essere eettuata adottando un numero relativamente
ridotto di grandezze geometriche che sono indipendenti dalla estensione e dalla forma del corpo
stesso. Questa caratteristica `e comune a tutti i corpi rigidi sia discreti sia continui. I vantaggi del
modello rigido per il corpo continuo sono particolarmente evidenti, essendo questo composto da
un numero innito di punti materiali. Il corpo rigido `e pertanto il modello pi` u semplice per un
corpo esteso ma `e anche utile in quanto molti componenti meccanici possono essere considerati
corpi rigidi con suciente approssimazione.
Dopo la descrizione del modello di corpo rigido, sono analizzate le condizioni che ne determi-
nano lequilibrio statico. Nella seconda parte del capitolo, sono discussi i principali vincoli con
cui si possono limitare le possibilit`a di movimento di un corpo rigido. Per motivi didattici, sono
proposti prima i vincoli nel caso di problemi piani. I vincoli e i relativi problemi per il corpo
rigido nello spazio saranno discussi in un successivo capitolo, quando la pratica nella soluzione
degli esercizi nel caso piano li renderanno di pi` u agevole comprensione.
4.1 Il corpo rigido e le condizioni di equilibrio
4.1.1 Il modello di corpo rigido
Un corpo esteso, continuo o discreto, i cui punti rimangono a distanza mutua ssa `e detto
innitamente o perfettamente rigido (rigid). Spesso laggettivo innitamente `e omesso ed
`e usata la locuzione semplicata corpo rigido (rigid body).
Anche il corpo innitamente rigido `e un modello. A rigore infatti, non esistono in natura
sistemi di punti materiali che hanno questa propriet`a, poiche, come discusso nel capitolo 1, tutti
i corpi sottoposti ad azioni statiche manifestano variazioni di forma e di dimensioni. Tuttavia,
in molti casi di pratico interesse, le variazioni geometriche sono di entit`a esigua e risultano
ininuenti nella soluzione del problema. In questi casi il corpo esteso pu`o essere modellato come
innitamente rigido.
Il termine rigido (aggettivo) (sti) `e usato anche per indicare la propriet`a di un corpo di
deformarsi poco sotto lazione delle azioni statiche agenti. Si dice, per esempio, che una barra
di acciaio `e pi` u rigida (o meno deformabile) di una barra di gomma che ha la medesima forma
e le stesse dimensioni. In modo equivalente, si dice che la rigidezza (stiness) della barra
di acciaio `e maggiore di quella della barra di gomma. Con tali locuzioni si esprime levidenza
sperimentale che, se le due barre sono sottoposte alle stesse azioni (per esempio sono tese
entrambe con la medesima coppia di forze di braccio nullo applicate alle estremit`a), la barra di
87
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
acciaio si allunga meno di quella di gomma. Quando pu`o sorgere ambiguit`a di signicato tra
laggettivo e il sostantivo rigido, per questultimo `e opportuno usare la locuzione: innitamente
rigido.
4.1.2 Equilibrio e equazioni cardinali per un corpo rigido
La nozione di equilibrio statico per un corpo esteso `e ottenuta per diretta generalizzazione
da quella introdotta per il punto materiale. Per un osservatore
un corpo esteso (rigido o deformabile) `e in quiete (o in equilibrio statico) se ogni
suo punto `e fermo in un intervallo non nullo di tempo.
Allo scopo di determinare sperimentalmente in quali condizioni un corpo rigido `e in equilibrio,
si pu`o impiegare un apparato analogo a quello descritto nel capitolo 2 usato per studiare
lequilibrio del punto materiale. In questo caso `e necessario considerare, al posto di un piccolo
anello, un oggetto che abbia dimensioni confrontabili con quelle dellapparato sperimentale
e che sia realizzato con un materiale opportuno in modo che la forma del corpo non vari
signicativamente a causa dellapplicazione dei carichi.
Per ssare le idee, consideriamo un oggetto avente estensione non trascurabile rispetto alle
distanze tra le pulegge che possiamo ottenere, per esempio, ritagliando una forma comunque
complessa da una lamiera metallica. Lesperimento mostra chiaramente che il comportamento
del corpo dipende dalle le posizioni in cui le funi sono collegate e che, di conseguenza, il modello
di punto materiale non `e adeguato. A posteriori possiamo vericare che il corpo in esame pu`o
eettivamente essere considerato esteso, continuo e rigido in quanto non sono identicabili i
punti materiali costituenti e non si rilevano macroscopiche modiche della sua forma quando le
forze sono applicate. Le azioni agenti sono:
il peso: una distribuzione di forza uniformemente distribuita nel corpo (la densit`a `e
assunta costante); il peso complessivo (la risultante delle forze peso) pu`o essere misurato
con una bilancia. La distribuzione delle forze peso equivale staticamente al peso totale
applicato nel centro di massa
le forze esercitate dai li nei punti di attacco, che possono essere considerate concentrate
e le cui intensit`a (i tiri dei li) sono misurabili con dinamometri
le forze dinerzia sono assenti, in quanto allequilibrio il corpo assume una congurazione
di quiete nel sistema di riferimento inerziale del laboratorio
le forze interne nel corpo. Tali interazioni scambiate tra le varie parti della lamiera sono
di natura elettromagnetica e non sono di agevole determinazione sperimentale. Fortuna-
tamente la loro conoscenza non sar`a necessaria almeno in questa prima fase del corso,
tuttavia, vista lidealit`a dellesperimento, supponiamo di poterle misurare e quindi di
conoscerle.
Allequilibrio, il corpo, e quindi ogni suo punto, risulter`a fermo per un intervallo (non nullo)
di tempo. La misura delle forze agenti quando il corpo rigido assume la condizione di equilibrio
porta a constatare che:
per un corpo rigido in equilibrio statico, la risultante di tutte le forze su di esso
agenti `e nulla
Si noti che questa legge `e solo apparentemente uguale a quella valida per il punto materiale. In
questo caso infatti le varie forze sono applicate a punti diversi, e come sappiamo dal precedente
capitolo, la risultante non ha un eettivo signicato sico.
Sempre levidenza sperimentale permette inoltre di aermare che:
88
4.1. IL CORPO RIGIDO E LE CONDIZIONI DI EQUILIBRIO
per un corpo rigido in equilibrio statico il momento risultante di tutte le forze agenti
sui suoi punti `e nullo.
Poiche le forze interne sono in ogni circostanza (anche quando il corpo non `e rigido e non `e in
quiete) un sistema autoequilibrato, le precedenti leggi possono essere riformulate come:
per un corpo rigido in equilibrio statico, la risultante delle forze esterne `e nulla
in termini matematici:

R = 0 (4.1)
relazione nota come prima equazione cardinale della statica per il corpo rigido. Inoltre si
ha che:
per un corpo rigido in equilibrio statico, il momento risultante delle azioni esterne `e
nullo
in termini matematici:

M
R
= 0 (4.2)
relazione nota come seconda equazione cardinale della statica per il corpo rigido.
Le due aermazioni precedenti possono essere riassunte nella seguente:
per un corpo rigido in equilibrio statico le azioni esterne agenti sono un sistema
autoequilibrato.
Esempio 4.1: Equilibrio di un corpo rigido
Una barra rigida AB, lunga L = 1 m e avente massa uniformemente distribuita di 3 kg, `e
sostenuta da un giocoliere con una mano posta nellestremo inferiore A e laltra nel punto
C che dista 30 cm da A. Nellistante considerato, la barra `e su un piano verticale inclinata
di 45

rispetto alla direzione del lo a piombo.


a) Sapendo che con ognuna delle mani `e applicata alla barra una forza verticale diretta
verso lalto di 14.72 N, vericare che la barra non `e in equilibrio statico rispetto al
pavimento
b) Supponendo che il giocoliere voglia mantenere la barra in equilibrio ripetto al pavimento
esercitando una forza verticale in A, determinare le forze che deve esercitare con le due
mani.
c) Ripetere il calcolo richiesto nel punto precedente nellipotesi che il giocoliere voglia
esercitare in C una forza perpendicolare allasse della barra.

Risposta a) Usando un sistema di riferimento cartesiano con origine in A asse y


verticale diretto verso lalto e asse x (orizzontale) tale che lasse della barra sia contenuta
nel primo quadrante del piano x y, il problema `e piano. Supponiamo che la barra sia in
equilibrio, le uniche forze agenti nel sistema di riferimento inerziale sso a terra sono: il peso
(che possiamo considerare una distribuzione di forze parallele uniformemente distribuite
sullasse della barra) e le forze esercitate dalle mani. Un semplice calcolo mostra che la
prima cardinale `e soddisfatta (a meno di piccole dierenze di origine numerica). Poiche
89
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
la barra `e un corpo esteso (rigido), dobbiamo vericare che anche la seconda cardinale
sia soddisfatta. A tale scopo `e necessario calcolare il momento risultante rispetto a un
qualunque polo. Scegliendo come polo lestremo A, il momento della forza in C si ottiene
in modo elementare (3.123 Nm), per il momento del peso possiamo ricorrere alla denizione
(che comporta un integrale) oppure, pi` u convenientemente, ricorriamo ai teoremi discussi
nel capitolo precedente. In particolare, poiche sappiamo che la distribuzione delle forze
peso `e staticamente equivalente alla risultante applicata allasse centrale (che passa per il
centro di massa della barra), il calcolo del momento dovuto al peso `e: mg cos(/4)L/2 =
10.41 Nm. Da ci`o ricaviamo che il momento risultante `e 7.282 Nm. Tale valore `e dello
stesso ordine di grandezza del momento dovuto al peso proprio e quindi `e una quantit`a non
trascurabile per il problema in esame. Concludiamo che la barra non `e in equilibrio statico.
Risposta b) In questo caso vi sono tre incognite: la componente verticale della forza in
A e le due componenti della forza in C. Imponendo il rispetto delle condizioni che derivano
dalle cardinali (due equazioni per la prima e una per la seconda) si ottiene (valori in N):

F
A
= (0, 19.62)
T
e

F
C
= (0, 49.05)
T
Notare che con la mano in A deve essere esercitata una forza verso il basso.
Risposta c) Con lo stesso procedimento:

F
A
= (24.5, 4.91)
T
e

F
C
= (24.5, 24.5)
T
4.1.3 Osservazioni sulle condizioni di equilibrio del corpo rigido
`
E interessante analizzare le condizioni di equilibrio associate alle equazioni cardinali, perche
il corretto uso di tali equazioni permette di risolvere molti problemi di statica.
Nella seconda equazione cardinale non vi `e alcun riferimento al polo per il calcolo del
momento risultante. La precisazione del polo `e, infatti, superua, dato che allequilibrio il
sistema di forze deve avere anche risultante nulla (in virt` u della prima cardinale), e quindi, il
momento risultante `e indipendente dal polo.
Contrariamente a quanto avviene per il punto materiale, la condizione di risultante nulla
non `e suciente per caratterizzare lequilibrio di un corpo rigido esteso. Per rendersene conto
basta applicare a un corpo rigido una coppia di forze di braccio non nullo (sistema di forze non
applicabile a un punto materiale). Un esperimento mostra che, sotto lazione della coppia, il
corpo ha un atto di moto caratterizzato da una accelerazione angolare. Senza analizzare nel
dettaglio della relazione tra accelerazione angolare e momento della coppia (argomento trattato
nei corsi di Meccanica Applicata), in generale, possiamo associare allapplicazione di una coppia
su un corpo rigido (inizialmente fermo) una accelerazione angolare che determina una rotazione
attorno a un asse passante per il centro di massa. Dalla dinamica dei sistemi di punti materiali,
in particolare dal teorema del moto del centro di massa, sappiamo invece che laccelerazione del
centro di massa `e associata alla risultante. Pertanto se, per un intervallo non nullo di tempo,
il centro di massa ha velocit`a nulla (e quindi anche accelerazione nulla) la risultante `e nulla,
e se non vi `e rotazione attorno al centro di massa (e quindi nemmeno accelerazione angolare)
il momento risultante `e nullo. Si ottiene in questo modo la condizione di equilibrio statico del
corpo rigido come caso particolare delle equazioni della dinamica.
Come osservato per il punto materiale, anche per il corpo rigido le equazioni cardinali non
90
4.1. IL CORPO RIGIDO E LE CONDIZIONI DI EQUILIBRIO
esprimono una condizione suciente per lequilibrio statico. Infatti, se su un corpo rigido
agisce un sistema autoequilibrato, `e possibile prevedere solo che esso si muova dinerzia (non
necessariamento quindi che sia in quiete).
`
E opportuno ricordare che il moto dinerzia di un
corpo rigido `e ben pi` u complesso di quello di un punto materiale. Infatti esso `e, in generale,
caratterizzabile da un moto rettilineo uniforme del suo centro di massa (tre componenti di
velocit`a) e da tre moti rotatori attorno agli assi centrali principali dinerzia.
Consideriamo un corpo rigido su cui sia applicato un sistema di forze
(1)
con caratteristiche
statiche globali

R
(1)
e

M
(1)
R
. Consideriamo lo stesso corpo sotto leetto di un diverso sistema
di forze
(2)
ma con le stesse caratteristiche statiche globali

R
(2)
=

R
(1)
e

M
(2)
R
=

M
(1)
R
. Sulla
base delle equazioni cardinali, possiamo concludere che le condizioni di equilibrio non vengono
alterate dal cambiamento del sistema di forze, ovvero che:
un corpo rigido non cambia le sue condizioni di equilibrio, o pi`u in generale di moto,
se il sistema delle forze su di esso agenti `e sostituito da un sistema staticamente
equivalente.
Tale aermazione giustica il termine staticamente equivalenti per due sistemi di forze che
hanno le stesse caratteristiche statiche globali.
Nella soluzione di molti problemi, si ricorre alla sostituzione di sistemi di forze con altri
staticamente equivalenti (generalmente pi` u semplici) senza che questo pregiudichi lequilibrio
globale del corpo rigido e quindi la soluzione. Loperazione di sostituzione di un sistema di
forze con un altro staticamente equivalente pu`o essere anche parziale, cio`e eseguita solo su un
sottoinsieme delle forze agenti. In certi casi queste sostituzioni sono molto ecaci, tuttavia, `e
opportuno ricordare che loperazione `e lecita solo nellambito di un singolo corpo rigido e
ai ni della valutazione dellequilibrio globale. In generale, infatti, due sistemi staticamente
equivalenti possono produrre eetti molto diversi come mostrano i seguenti esempi.
Esempio 4.2: Equivalenza di sistemi di forze (1)
Analizzare il comportamento di un gessetto (gura 4.1) che teniamo fermo con le due mani
esercitando alle estremit`a due forze opposte nel tentativo di romperlo (trascurare il peso
proprio).
Figura 4.1: Gessetto tirato nel tentativo di romperlo: schema di corpo libero
Dato che il gessetto `e mantenuto fermo, il sistema di forze esterne `e autoequilibrato.
Il sistema di forze esercitate dalle mani `e infatti identicabile come una coppia di braccio
nullo. Se sostituiamo tale sistema con un altro equivalente (sempre autoequilibrato), per
esempio uno qualunque dei sistemi rappresentati nella gura 4.2, le condizioni di equilibrio
non sono alterate. In particolare, possiamo applicare un sistema completamente nullo (caso
c di gura 4.2), che ovviamente `e autoequilibrato. Tutti questi sistemi sono equivalenti dal
punto di vista dellequilibrio globale del gessetto (assunto innitamente rigido), tuttavia
essi sono molto diversi ai ni, per esempio, della possibilit`a di rompere il gessetto stesso.
Infatti, nelle tre condizioni rappresentate in gura 4.2, le forze eettivamente agenti sulle
varie parti del gessetto (ovvero le forze interne) sono qualitativamente e quantitativamente
diverse. Dovendo prevedere la resistenza del gessetto (in questo caso la forza richiesta per
romperlo) `e necessario distinguere tra le tre condizioni.
91
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
Figura 4.2: Alcuni modi di applicare un sistema di forze staticamente equi-
valente al sistema indicato in gura 4.1: (a) una coppia con forze di intensit`a
minore, (b) una coppia con forze opposte, (c) nessuna forza
Esempio 4.3: Equivalenza di sistemi di forze (2)
Per aerrare un oggetto con una pinza generalmente applichiamo una coppia di forze di
braccio nullo ognuna in modo che ognuna di tali forze agisca su un diverso braccio della
pinza. In questo modo `e possibile generare opportune azioni di contatto tra lattrezzo
e loggetto che li rende solidali. Supponiamo di far scorrere una delle due forze di
aerraggio sulla sua retta dazione modicandone il punto di applicazione in modo che
entrambe le forze siano applicate allo stesso braccio della pinza. Questa operazione non
altera le caratteristiche statiche del sistema di forze esercitate con le mani, tuttavia
modica completamente il funzionamento della pinza (con la quale non possiamo aerrare
alcunche). Come giusticare questo fatto?
C`e una ovvia spiegazione di questa apparente contraddizione: la pinza nel suo comples-
so non `e un corpo rigido. In eetti possiamo assumere che essa sia composta da (almeno)
due corpi rigidi collegati in modo che possano ruotare relativamente attorno allasse del per-
no. Pertanto, lo spostamento della forza da un braccio allaltro della pinza pu`o modicare
lequilibrio del corpo complessivo che non `e rigido.
4.2 Gradi di libert`a per un corpo rigido
4.2.1 La nozione di grado di libert`a
Per denire completamente la congurazione di un punto materiale P nel piano sono neces-
sarie e sucienti due grandezze geometriche scalari indipendenti. A tale scopo solitamente si
usano le componenti cartesiane del vettore posizione OP (con O lorigine degli assi), tuttavia
sono adatte anche altre coppie di grandezze scalari indipendenti come la distanza di P dallori-
gine e la coordinata angolare di OP rispetto al semiasse x positivo, ovvero le coordinate polari,
ecc. . . . Le grandezze scalari indipendenti (distanze, angoli, coordinate cartesiane o coordinate
angolari) utilizzate per denire la posizione di un punto, sono chiamate coordinate lagran-
giane. Il numero minimo di tali grandezze che sono necessarie per denire completamente la
posizione di un corpo `e detto numero di gradi di libert`a (degrees of freedom) del corpo,
spesso indicato con lacronimo GDL o in inglese DOF.
Il numero di gradi di libert`a di un punto materiale nel piano `e pertanto 2 e questo implica
che esistono
2
modi distinti per scegliere un punto su un piano. Un punto materiale nello
spazio ha 3 gradi di libert`a, vi sono infatti
3
punti nello spazio.
92
4.2. GRADI DI LIBERT
`
A PER UN CORPO RIGIDO
Se un punto materiale `e vincolato ad appartenere a una supercie oppure a una linea, il
numero di DOF si riduce, come mostra il seguente esempio.
Esempio 4.4: Gradi di libert`a di un punto su una supercie
Calcolare il numero di gradi di libert`a di un punto P appartenente al paraboloide di
equazione: z = x
2
+y
2

Essendo P un punto nello spazio, se fosse libero avrebbe 3 DOF, la sua posizione
sarebbe infatti denita da tre coordinate indipendenti: (x
P
, y
P
, z
P
). Tuttavia, dato che P
deve appartenere al paraboloide, se ssiamo due coordinate, per esempio x
P
e y
P
, la terza
non pu`o pi` u essere scelta arbitrariamente. Lappartenenza al paraboloide si esprime infatti
matematicamente come:
z
P
= x
2
P
+y
2
P
relazione che impone il valore della terza coordinata date le prime due. In tali condizioni il
punto P ha pertanto solo 2 DOF.
Il risultato ottenuto nellesempio, pu`o essere generalizzato a superci di forma qualunque:
un punto P dello spazio che deve appartenere a una supercie ha quindi due gradi di libert`a.
Pertanto, poiche una linea pu`o essere considerata come lintersezione di due superci e ,
un punto P appartenente a una linea ha un solo grado di libert`a. Infatti, dei tre DOF originari,
il primo `e eliminato dallappartenenza di P a e il secondo dallappartenenza di P a .
Osserviamo che il numero di gradi di libert`a del punto materiale `e uguale al numero di
equazioni scalari indipendenti che possono essere scritte utilizzando le equazioni cardinali della
statica: 2 nel piano e 3 nello spazio. Questa uguaglianza conserva la sua validit`a anche in
situazioni pi` u complesse e indica che, per ssare la posizione di un corpo, `e necessario imporre
alle azioni su di esso agenti almeno tante condizioni quanti sono i gradi di libert`a del corpo
stesso.
4.2.2 Calcolo dei gradi di libert`a per il corpo rigido
Valutiamo preliminarmente i gradi di libert`a di un sistema discreto non rigido composto di
n punti materiali nello spazio. Dato che per denire la congurazione del sistema `e necessario
stabilire la posizione di ciascun punto, la risposta `e immediata: 3n.
Pi` u dicile appare il problema di determinare i gradi di libert`a di un corpo rigido composto
di n punti nello spazio. Infatti, le coordinate dei singoli punti non possono essere scelte tutte
arbitrariamente perche, in tal modo, non `e garantito il rispetto della condizione di rigidezza che
impone che la distanza tra ogni coppia di punti sia denita e ssa. Possiamo quindi considerare
linnita rigidezza come un particolare tipo di vincolo che interviene tra le posizioni relative
dei punti (`e a rigore un vincolo interno). La conservazione delle distanze mutue tra i punti si
pu`o esprimere mediante un insieme di condizioni che devono rispettare le coordinate dei singoli
punti. Per ogni coppia di punti P
i
(x
i
, y
i
, z
i
) e P
j
(x
j
, y
j
, z
j
) (con i e j compresi tra 1 e n) deve
infatti essere vericata luguaglianza:
(x
i
x
j
)
2
+ (y
i
y
j
)
2
+ (z
i
z
j
)
2
= d
2
ij
(4.3)
dove d
ij
rappresenta la distanza (nota a priori) tra i due punti, modulo del vettore P
i
P
j
.
Linsieme delle relazioni (4.3) esprime matematicamente il vincolo di rigidezza.
Il numero di gradi di libert`a di un corpo rigido dovrebbe quindi essere dedotto sottraendo dai
3n DOF di tutti i punti considerati liberi, le condizioni indipendenti che derivano dallinsieme
93
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
delle relazioni (4.3). Tale analisi, non elementare per un insieme discreto di punti e a maggior
ragione, per un corpo continuo, pu`o essere evitata ragionando in modo diretto.
Per individuare la posizione di un corpo rigido, discreto o continuo, nello spazio `e suciente
denire la posizione di tre suoi punti ualunque A, B e C purche non allineati. A tale scopo `e
possibile adottare la seguente procedura.
Fissiamo la posizione del punto A: a questo scopo dobbiamo utilizzare 3 coordinate
lagrangiane e quindi impieghiamo 3 DOF. La congurazione del corpo non `e chiaramente
individuata in quanto il corpo pu`o subire una generica rotazione attorno ad A.
Consideriamo il punto B, che deve essere distinto da A e quindi dista da questo d
AB
> 0.
Avendo ssato A, il punto B deve necessariamente appartenere alla supercie sferica di
centro A e raggio d
AB
. Per denire la posizione di B dobbiamo quindi utilizzare altri due
DOF (sono
2
i punti della supercie sferica). Fissati A e B, al corpo rimane ancora la
possibilit`a di ruotare attorno alla retta AB e quindi la sua congurazione non `e ancora
denita.
Consideriamo un terzo punto C, che non pu`o non appartenente alla retta AB, e indichiamo
con H il punto (che `e unico) della retta AB pi` u vicino a C. Il punto C deve appartenere
alla circonferenza di centro H e raggio [CH[ (quantit`a strettamente positiva). Per ssare
C `e necessario denire il valore di una sola ulteriore coordinata lagrangiana. A questo
punto la posizione del corpo nello spazio `e completamente denita.
Possiamo quindi concludere che i gradi di libert`a di un corpo rigido libero nello spazio sono
3 +2+1 = 6. In modo analogo il lettore pu`o dimostrare che i gradi di libert`a di un corpo rigido
libero nel piano sono 3.
Come per il punto materiale, anche per il corpo rigido sussiste la corrispondenza tra numero
di gradi di libert`a e numero di equazioni scalari indipendenti derivabili dalle equazioni cardinali.
Esempio 4.5: Gradi di libert`a di un corpo rigido non completamente libero
Quanti sono i gradi di libert`a di un corpo rigido nello spazio che ha un punto A vincolato
a muoversi su una supercie?
Si pu`o ripetere il procedimento appena sviluppato per il corpo rigido libero partendo
dal punto A che, in questo caso, ha solo 2 DOF. Il risultato nale `e quindi: 2 + 2 + 1 = 5
DOF.
4.2.3 Gradi di libert`a per un corpo esteso non rigido
Un corpo esteso non innitamente rigido `e detto corpo deformabile. Abbiamo gi`a osser-
vato che un corpo deformabile discreto libero nello spazio composto da un numero nito n di
punti materiali tra loro non vincolati (per esempio il sistema solare in cui n `e 1, il Sole, pi` u
il numero dei pianeti orbitanti), ha 3n gradi di libert`a.
`
E interessante chiedersi: quanti sono i
gradi di libert`a di un corpo deformabile continuo? Dato che non vi `e limite superiore al numero
di parti in cui si pu`o suddividere un corpo continuo, dobbiamo concludere che tale modello ha
inniti gradi di libert`a. Questa conclusione giustica la pratica utilit`a del modello di corpo
rigido: per sapere dove si trovano gli inniti punti di un corpo rigido continuo sono sucienti 6
grandezze scalari nello spazio (3 nel piano), se il corpo `e deformabile ne occorrono teoricamente
innite.
94
4.3. VINCOLI SUL CORPO RIGIDO
Dal punto di vista matematico, la denizione della congurazione di equilibrio per un corpo
rigido comporta la determinazione di un numero nito di grandezze scalari e quindi, in generale,
la soluzione di un sistema di equazioni algebriche. Lequivalente problema per il corpo deforma-
bile ha come soluzione una quantit`a con innite incognite. Il procedimento per determinare tale
quantit`a, che solitamente `e espressa da una funzione della posizione, origina quindi equazioni di
tipo dierenziale.
4.3 Vincoli sul corpo rigido
Nel paragrafo precedente `e stato dimostrato che un corpo rigido libero nello spazio possiede
6 gradi di libert`a (3 nel piano). Generalmente `e necessario limitare alcune, talvolta tutte, le sue
possibilit`a di movimento attraverso lintroduzione di vincoli.
A tale scopo, si suppone che esista un elemento ideale, in Meccanica denominato tela-
io (frame), che modella un corpo innitamente rigido e resistente e di massa innita, general-
mente considerato in quiete o comunque avente un moto noto. Il telaio `e quindi un corpo rigido
ideale su cui `e possibile esercitare qualsiasi tipo di azione statica senza che si possa modicarne
il movimento, deformarlo o romperlo. Si tratta di un ulteriore modello che descrive il compor-
tamento di corpi aventi massa molto maggiore di quella dei corpi che si stanno esaminando. Per
esempio, nello studio di un pistone, il telaio `e costituito dalla testa del motore, per un ponte
il telaio `e rappresentato dal terreno su cui esso poggia, un muro costituisce il telaio per una
mensola, ecc. . . . Di norma, il comportamento meccanico del telaio non `e rilevante ai ni della
soluzione del problema. Le caratteristiche del telaio, in particolare le sue innita resistenza e
innita rigidezza, devono talvolta essere vericate a posteriori perche sia garantita ladeguatezza
del modello.
I vincoli sono elementi che consentono di collegare un corpo al telaio allo scopo di realizzare
qualche forma di impedimento al libero movimento del corpo rispetto al telaio stesso. Alcuni
vincoli, materializzati come funi o appoggi, sono gi`a stati introdotti per limitare i moto di punti
materiali, tuttavia, analogamente a quanto visto per i carichi nel capitolo precedente, anche i
tipi di vincolo per il corpo esteso sono molto pi` u numerosi.
I vincoli possono essere analizzati e classicati prendendo in esame le caratteristiche ci-
nematiche oppure le caratteristiche statiche. Per caratterizzare il vincolo cinematicamente,
si prende in esame il moto che il vincolo consente (oppure impedisce) al corpo rispetto al tela-
io. Dal punto di vista statico, il vincolo permette al telaio di esercitare sul corpo determinate
azioni statiche, chiamate reazioni vincolari. Lindividuazione del tipo di reazioni vincolari
scambiabili consente di caratterizzare il vincolo staticamente.
Per ottenere modelli calcolabili `e opportuno ricorrere a vincoli che consentono una rappre-
sentazione matematica semplice sia della cinematica sia della statica. Tali modelli sono talvolta
chiamati vincoli semplici, ideali o elementari. Le caratteristiche dei vincoli elementari sono
descritte in dettaglio nei prossimi paragra, tutti per`o hanno in comune la caratteristica geo-
metrica di essere puntiformi, ovvero di agire su un punto A di un corpo esteso. In eetti, come
visto per i carichi, forze e momenti concentrati non possono essere applicati su corpi estesi (bi-
dimensionali o tridimensionali) e quindi si assume che le reazioni vincolari siano eettivamente
esercitate su una zona di dimensioni trascurabili attorno al punto di vincolo A. Dal punto di
vista sico le azioni esercitate dai vincoli sono distribuzioni superciali di forze di contatto.
Nella pratica spesso i vincoli si presentano con forme complesse e soluzioni costruttive non
elementari, per cui individuarli e schematizzarli come vincoli semplici non `e sempre immediato.
Queste operazioni richiedono spesso di eettuare importanti semplicazioni e di trascurare
alcuni fenomeni (come per esempio lattrito) gli eetti dei quali sono talvolta dicilmente
valutabili a priori. In alcuni casi risulta pi` u agevole identicare il vincolo considerandone le
95
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
propriet`a cinematiche, in altri quelle statiche. Discuteremo problemi tipici di identicazione
negli esempi di questo capitolo e nella soluzione dei problemi proposti nel successivo.
Nel seguito sono presentati i principali vincoli elementari per i problemi piani. Particolare
attenzione `e dedicata alle caratteristiche dei supporti per gli alberi, che costituiscono tipici corpi
estesi nellanalisi della meccanica delle macchine.
4.4 I vincoli ideali nel piano
Per ssare le idee, supponiamo che il piano di rappresentazione contenga gli assi x e y. Nel
piano, il corpo esteso `e schematizzabile come un oggetto bidimensionale: il volume viene ridotto
a una supercie e la supercie esterna del corpo a una linea di contorno. Come conseguenza, le
azioni statiche esercitabili sono:
forze concentrate
distribuzioni di forze di volume che diventano di supercie
distribuzioni di forze di supercie che diventano di linea
momenti concentrati.
Le forze hanno due componenti: x e y, i momenti concentrati sono, di fatto, quantit`a scalari
avendo la sola componente signicativa in direzione z.
4.4.1 Appoggio semplice
Dal punto di vista cinematico, lappoggio semplice (simple support) vincola il punto
A di un corpo ad appartenere a una linea generalmente solidale al telaio. Se la linea non
`e retta, assumeremo che sia regolare in A (vedi Appendice E) in modo che in tal punto siano
univocamente denibili i versori della tangente

t e della normale n. Lappartenenza di A alla
linea vincola un solo grado di libert`a del corpo rigido, il quale pu`o traslare in A lungo e/o
ruotare attorno a un asse avente direzione z per A.
Dal punto di vista statico, attraverso un appoggio semplice, il telaio pu`o esercitare sul corpo
una azione statica equivalente a una forza con le seguenti caratteristiche: punto di applicazione
A e direzione n. La reazione vincolare `e quindi determinata da una sola grandezza scalare che
individua intensit`a e verso della forza rispetto al versore n.
La natura dellazione statica esercitabile dal telaio per mezzo del vincolo `e strettamente
connessa con le caratteristiche cinematiche del vincolo stesso. Osserviamo in particolare che
lazione statica (una forza) e il moto impedito (uno spostamento) sono quantit`a energeticamente
collegate (vedi il capitolo 3). Inoltre, la reazione vincolare ha proprio la direzione n in cui lo
spostamento `e impedito. Questo fatto comporta che la reazione vincolare non fa lavoro se il
corpo si muove in modo compatibile con il vincolo.
`
E stato cos` evidenziato il primo esempio di
dualit`a cinematico-statica che riscontreremo sistematicamente per tutti i vincoli semplici.
Si pu`o inoltre osservare luguaglianza tra il numero di gradi di libert`a che il vincolo toglie
al corpo (nel caso specico: 1), e il numero di quantit`a scalari indipendenti che caratterizzano
la reazione vincolare. Diremo, per questo, che lappoggio semplice ha molteplicit`a 1. Con
il termine molteplicit`a si indica pertanto il numero di gradi di libert`a che il vincolo toglie al
libero movimento del corpo, o, in modo equivalente, il numero di grandezze scalari indipendenti
necessarie per caratterizzare le reazioni vincolari staticamente.
Dal punto di vista costruttivo, molti elementi possono essere ragionevolmente schematizzati
come un vincolo di appoggio semplice. In particolare, un cuscinetto orientabile non bloccato
96
4.4. I VINCOLI IDEALI NEL PIANO
assialmente (se trascuriamo gli attriti) `e un appoggio semplice per un albero in uno schema
piano. Attraverso il cuscinetto, infatti, il telaio esercita una forza perpendicolare allasse del-
lalbero (che in questo caso `e la retta ). In molte applicazioni, lappoggio semplice `e realizzato
tramite il contatto, idealmente puntiforme, su una supercie liscia (sempre con attrito trascu-
rabile). A rigore, un vincolo di questo tipo `e unilatero (pu`o trasmettere forze solo in un verso)
mentre lappoggio semplice ideale `e bilatero (come il cuscinetto che pu`o trasmettere forze in
entrambi i versi). Per risolvere un problema in cui `e presente un contatto unilatero, il modo di
procedere sar`a il seguente: assumeremo preliminarmente il contatto come un appoggio semplice
(bilatero) e vericheremo a posteriori (dopo aver risolto il problema) che la reazione vincolare
abbia il verso consentito dal vincolo sico. Se questo si verica, il modello `e corretto, vicever-
sa dovremmo concludere che lequilibrio non `e garantito dai vincoli nella congurazione data.
Questa procedura `e stata attuata per i li (nel capitolo 2) quando `e stato vericato a posteriori
che fossero tesi. Ci`o non sorprende poiche anche i li sono realizzazioni pratiche di vincoli di
appoggio semplice unilatero.
Figura 4.3: Simboli per la rappresentazione convenzionale dellappoggio
semplice in A: (a) bielletta, (b) carrellino
Negli schemi statici, il vincolo di appoggio semplice viene rappresentato con i simboli conven-
zionali (bielletta o carrello) riportati nella gura 4.3. Nello schema di corpo libero preliminare,
al posto del simbolo del vincolo si rappresenta lazione statica esercitabile, che nel caso dellap-
poggio semplice `e una singola forza di cui si conoscono il punto di applicazione e la direzione.
Si ricorda che, in genere, il verso non deve essere previsto perche sar`a uno dei risultati del
calcolo. Per non ingenerare ambiguit`a tra lazione e la reazione (di terzo principio) che il corpo
scambia con il telaio attraverso lappoggio, `e opportuno evitare di sovrapporre la rappresenta-
zione della forza al simbolo del vincolo. In particolare, come si vede nella gura 4.4(a), S `e
inequivocabilmente la forza esercitata dal telaio sul corpo tramite lappoggio schematizzato in
gura 4.3. La forza esercitata dal corpo sul telaio `e invece rappresentata in gura 4.4(b) (anche
se generalmente non `e molto utile nella soluzione del problema).
Come vedremo nei prossimi capitoli, `e possibile che un vincolo connetta anche due corpi per
formare una struttura. In tali casi, la soluzione del problema richiede una particolare attenzione
per la corretta e coerente rappresentazione di entrambe le azioni esercitate attraverso il vincolo.
4.4.2 Cerniera
Dal punto di vista cinematico una cerniera (hinge) vincola un punto A ad assumere una
denita posizione nel piano, consentendo alla zona limitrofa (e quindi allintero corpo se assunto
rigido) solo la possibilit`a di ruotare liberamente attorno a un asse parallelo a z passante per
A. La caratterizzazione statica del vincolo consiste in una generica forza piana applicata in
A. Con una cerniera sono infatti eliminati due gradi di libert`a (ogni traslazione di A) a cui
97
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
Figura 4.4: Caratterizzazione statica dellappoggio semplice: (a) azione
esercitata sul corpo, (b) azione esercitata sul telaio
corrispondono due componenti scalari indipendenti di forza, tipicamente tra loro perpendicolari.
La cerniera ha quindi molteplicit`a 2 e non pu`o esercitare una azione di momento in A in quanto
non impedisce al corpo di ruotare in A attorno a z.
Figura 4.5: Rappresentazioni convenzionali per la cerniera
Costruttivamente, una cerniera pu`o essere realizzata con un cuscinetto, che ruota senza
attrito su un perno sso al telaio con lasse parallelo a z, come per esempio il cardine di una
porta. In uno schema bidimensionale, un cuscinetto orientabile bloccato assialmente vincola un
albero come una cerniera.
Con opportune precauzioni anche lappoggio su una supercie scabra (con attrito) in una
zona poco estesa pu`o essere in certi casi considerato una cerniera. In presenza di un contatto
con una supercie scabra, dopo aver risolto il problema, sar`a per`o necessario vericare che
il verso della componente normale alla supercie della forza scambiata sia compatibile con la
unilateralit`a del contatto e, inoltre, che la componente tangenziale sia esercitabile dallattrito
statico. A queste considerazioni `e dedicato lultimo paragrafo del presente capitolo.
Figura 4.6: Schematizzazione statica di una cerniera in A
Varie rappresentazioni convenzionali della cerniera sono riportate nella gura 4.5, mentre la
98
4.4. I VINCOLI IDEALI NEL PIANO
tipica caratterizzazione statica delle azioni esercitabili sul corpo in corrispondenza della cerniera
`e rappresentata nella gura 4.6.
Si pu`o osservare che due appoggi non paralleli, e quindi convergenti in un punto, equivalgono
a una cerniera collocata in tale punto (gura 4.7).
Figura 4.7: Una cerniera realizzata con due appoggi semplici non paralleli
concorrenti in un punto
4.4.3 Incastro
Tramite un incastro (xed constraint, built-in constraint) si impediscono tutti i mo-
vimenti di una zona limitrofa ad A e quindi allintero corpo se questo `e rigido. Le azioni statiche
esercitabili da un incastro sono pertanto: una forza piana generica e un momento in direzione
normale al piano. Tutte le azioni statiche sono considerate applicate in A, per quanto sicamen-
te si manifestano come distribuzioni di forze superciali in una zona di estensione limitata in
corrispondenza del punto A. Vi sono molte realizzazioni costruttive dellincastro, per esempio:
una saldatura, una imbullonatura, un incollaggio. Nella gura 4.8 `e rappresentato il simbolo
convenzionale dellincastro per una mensola e la corrispondente caratterizzazione statica.
Figura 4.8: Incastro: (a) rappresentazione convenzionale, (b) schema statico
delle azioni esercitabili dal telaio sul corpo incastrato
Lincastro ha molteplicit`a 3, toglie infatti tutti i gradi di libert`a di un corpo rigido nel piano
ed `e caratterizzabile staticamente da tre grandezze scalari indipendenti. Nel caso della gura
4.8(b), le componenti scalari delle reazioni vincolari R, S e W rappresentano sicamente le
caratteristiche statiche globali, riferite al punto A, del complesso sistema di interazioni elet-
tromagnetiche esercitate dal muro sulla mensola in corrispondenza della supercie in cui i due
corpi sono in contatto.
Oltre alle componenti di forza, che sono energeticamente collegate alle impedite traslazioni
della zona del corpo attorno ad A, nellincastro `e possibile anche una azione di momento,
energeticamente collegata alla locale impedita rotazione. Anche in questo caso, limpedita
rotazione e la corrispondente azione statica (momento di incastro) sono vettori paralleli avendo
entrambi direzione z.
`
E importante osservare che vincolare la rotazione in una zona, anche se
99
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
di estensione limitata, per un corpo rigido implica impedire la rotazione complessiva del corpo.
Questo non vale se il corpo `e deformabile.
In un modello piano, per un albero due cuscinetti obliqui contrapposti, con i centri non
coincidenti, se tra loro vicini in modo che lazione complessiva di vincolo possa essere localizzata
in una zona poco estesa rispetto alle dimensioni dellalbero, realizza un vincolo schematizzabile
come un incastro. In eetti, un tale montaggio determina la posizione dellalbero nel piano del
disegno in modo completo.
4.4.4 Bipendolo, doppio-pendolo o pattino
Il bipendolo, chiamato anche doppio-pendolo o pattino, denisce un vincolo che permet-
te alla zona limitrofa ad A di un corpo esteso solo di traslare in una denita direzione rispetto
al telaio. Se il corpo `e rigido, il moto di traslazione `e comune a tutti i suoi punti. Il pattino non
consente alla zona A di ruotare ne di spostarsi in direzione perpendicolare a quella di consentita
traslazione. Il pattino toglie pertanto al corpo rigido due gradi di libert`a (ha molteplicit`a 2) e
ai movimenti impediti corrispondono le duali azioni statiche, come al solito assunte applicate in
A: una componente di forza, nella direzione di impedita traslazione e un momento.
Dal punto di vista costruttivo il bipendolo `e spesso realizzato con una slitta, o guida pri-
smatica, come per esempio nel collegamento della contropunta sul tornio (quando questa non
`e bloccata). Perche una guida prismatica possa essere considerata un bipendolo, lattrito di
scorrimento deve essere trascurabile.
Figura 4.9: Rappresentazione convenzionale per il doppio-pendolo (a) e sua
caratterizzazione statica (b)
Come si pu`o notare dalla rappresentazione convenzionale (gura 4.9) e dal nome stesso, un
doppio pendolo pu`o essere realizzato, e anche schematizzato, con una coppia di appoggi semplici
aventi la stessa direzione e collocati in due punti distinti vicini ad A. La scelta di considerare
una coppia di appoggi vicini e paralleli un vincolo unico di bipendolo, invece di schematizzarli
separatamente, `e di carattere pratico, ma non ha conseguenze ai ni dellequilibrio complessivo
del corpo rigido. Ladozione di uno schema con due appoggi distinti pu`o essere talvolta motivata
dalla necessit`a di analizzare pi` u dettagliatamente le azioni statiche che si manifestano negli
elementi costruttivi che realizzano il vincolo, come nel seguente esempio.
100
4.4. I VINCOLI IDEALI NEL PIANO
Esempio 4.6: Bronzina lunga
Un albero `e vincolato al mozzo tramite con la bronzina lunga CB, illustrata in gura
4.10. Caratterizzare il vincolo nel piano del disegno.
Figura 4.10: Albero supportato da una bronzina lunga
La bronzina, considerata nel suo insieme, essendo lunga rispetto al diametro dellalbero
impedisce allalbero, considerato rigido, di spostarsi in direzione y e di ruotare attorno
allasse z. Trascurando lattrito, la bronzina consente allalbero solo di scorrere assialmente
in direzione x. Si tratta pertanto di un doppio pendolo da considerarsi localizzato nel punto
caratteristico centrale A della bronzina (gura 4.10(a)).
Come si vede dal disegno 4.10(b), il vincolo potrebbe essere interpretato anche come
una coppia di appoggi semplici, uno in C e laltro in B. Ai ni dello studio dellequili-
brio generale dellalbero, considerato rigido, assumere uno dei due schemi di gura 4.11 `e
indierente.
Figura 4.11: Schemi statici alternativi per la bronzina lunga e relativi
schemi di corpo libero preliminare
Se siamo interessati a valutare le azioni che albero e bronzina si scambiano, per esempio
allo scopo di stimare le pressioni sulle superci in contatto, il modello con due appoggi, che
contiene anche linformazione sullestensione assiale della bronzina, `e certamente pi` u utile.
4.4.5 Doppio bipendolo
Il doppio bipendolo, o doppio doppio-pendolo, schematizza un vincolo che impedisce
alla zona limitrofa ad A solo di ruotare attorno allasse z, consentendogli di traslare liberamente
nel piano. Come per gli altri casi esaminati, se il corpo `e rigido il moto della zona A `e comune
101
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
a tutti i punti del corpo. Lo schema convenzionale e la corrispondente caratterizzazione statica
sono mostrati in gura 4.12.
Figura 4.12: Rappresentazione convenzionale (a) e schema statico (b) del
doppio bipendolo
Il doppio bipendolo, spesso realizzato costruttivamente proprio con insiemi di biellette, ha
molteplicit`a 1 ed `e caratterizzato staticamente dal solo momento W, che rappresenta lunica
azione esercitabile sul corpo da parte del telaio. Un esempio ben noto di doppio bipendolo
`e costituito dal sistema che vincola le righe del tecnigrafo al tavolo da disegno. Il doppio
bipendolo del tecnigrafo `e generalmente realizzato o con due coppie di braccetti paralleli oppure
con due slitte che scorrono tra loro perpendicolarmente una collegata allaltra. In eetti, le
righe del tecnigrafo devono potersi spostare in qualunque punto del foglio conservando il loro
orientamento.
Come per il bipendolo, anche in questo caso, il vincolo pu`o essere scomposto in due pattini
o in quattro appoggi semplici.
4.5 Alcune considerazioni sulla schematizzazione dei vincoli
I vincoli ideali descritti nel paragrafo precedente non esauriscono i vincoli che possono essere
realizzati in pratica. Tuttavia `e possibile ricondursi a essi, o a loro combinazioni, in gran parte
delle situazioni.
4.5.1 Vincoli composti
Lidenticazione degli schemi statici di vincoli composti `e talvolta non immediata e, nei casi
dubbi, pu`o essere utile riferirsi sia alla caratterizzazione statica sia a quella cinematica, come
nel seguente esempio.
Esempio 4.7: Vincolo composto
Caratterizzare il vincolo rappresentato in gura 4.13, realizzato con un pattino su cui `e
collocata una cerniera.
102
4.5. ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA SCHEMATIZZAZIONE DEI VINCOLI
Figura 4.13: Vincolo composto con pattino e cerniera
Il vincolo pu`o essere schematizzato in modo immediato tramite una cerniera posta sopra
un bipendolo, come in gura 4.14(a). Questo modello riproduce la realizzazione costruttiva,
a meno degli attriti, ma in modo complesso. Se consideriamo linsieme pattino pi` u cerniera,
`e possibile osservare che lunica azione statica che pu`o essere trasmessa dal telaio al corpo
in A `e una forza normale alla direzione di scorrimento del pattino. Il vincolo composto non
pu`o infatti trasferire in A ne momento, per la presenza della cerniera, ne una forza verticale,
per la presenza del pattino. Allo stesso risultato si giunge con considerazioni cinematiche:
in A il corpo rigido pu`o ruotare per eetto della cerniera e pu`o traslare verticalmente per
eetto del pattino. Pertanto la combinazione pattino pi` u cerniera, se vicini, materializza
un appoggio semplice come illustrato nella gura 4.14(b).
Figura 4.14: Carrello pi` u cerniera come bipendolo e cerniera (a) o, pi` u
semplicemente, come appoggio semplice (b)
Si pu`o notare che la rappresentazione stessa dellappoggio come un carrellino (gura
4.14(b)) riproduce la forma costruttiva del pattino con cerniera.
4.5.2 Bronzine lunghe e bronzine corte
Nel paragrafo 4.4.4, la bronzina di gura 4.10 `e stata schematizzata come un coppia di
appoggi semplici. Questo risultato potrebbe sembrare in contraddizione con quanto aermato
nel paragrafo 4.4.1 nel quale un cuscinetto orientabile `e stato considerato un appoggio semplice
per un albero. Eettivamente, le sedi B e C in gura 4.10 possono essere singolarmente
considerate come due bronzine corte coassiali non orientabili.
103
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
La non orientabilit`a potrebbe suggerire lidea che ognuna delle due bronzine corte B e C
possa operare come un bipendolo, se si suppone che ognuna di esse sia in grado di determinare,
oltre alla posizione verticale dellasse dellalbero, anche la sua direzione. Tuttavia un esame pi` u
attento del problema indica che questa funzione pu`o essere esplicata solo se:
il collegamento tra albero e bronzina ha gioco radiale nullo
albero e bronzina sono innitamente rigidi.
Entrambe le condizioni non sono per`o realizzabili in pratica. In particolare, un gioco radiale,
seppur minimo, `e necessario per il funzionamento della bronzina. Come vedremo tra poco
questo comporta che lestensione assiale della bronzina rappresenta un parametro fondamentale
per stabilire se essa `e in grado di esercitare una eettiva azione di contrasto nei confronti
dellinclinazione dellalbero, ovvero una azione di vincolo alla rotazione attorno allasse z. Per
giusticare questa aermazione analizziamo leetto prodotto dal gioco, e qualitativamente
anche dalla deformabilit`a, del supporto ai ni di una verosimile schematizzazione della bronzina
come vincolo semplice.
Consideriamo una situazione realistica rappresentata in gura 4.15(a), in cui un albero di
diametro d `e accoppiato con un gioco diametrale g in corrispondenza del punto A con una
bronzina corta avente estensione assiale h. Evidenziamo la reazione vincolare esercitabile dalla
bronzina, analizzando le azioni statiche che essa oppone quando si cerca di spostare lalbero.
Consideriamo in un primo momento di traslare lalbero in direzione perpendicolare al suo asse
no al contatto, e successivamente di ruotarlo attorno allasse z . La sequenza `e esemplicata in
gura 4.15, nella quale `e stato considerato lo spostamento verso il basso e la rotazione antioraria
e il gioco radiale `e stato notevolmente ingrandito per ragioni di chiarezza graca.
Dal Disegno Meccanico, `e noto che il gioco di accoppiamento in un collegamento libero pu`o
essere espresso da una relazione generale del tipo:
g = k d
in cui k `e un fattore adimensionale dipendente dalle tolleranze degli elementi collegati e che, per
accoppiamenti liberi come le bronzine, `e dellordine di 10
4
. Per esempio nellaccoppiamento
tipico 60H7 g6 lintervallo di valori ammessi dal gioco comporta che sia 0.02 10
3
k
10
3
.
Allinizio (gura 4.15(a)), lalbero risulta completamente libero almeno nche tocca la bron-
zina su una generatrice (gura 4.15(b)). In questa congurazione la bronzina si comporta come
un appoggio, infatti, lalbero `e libero di traslare in direzione x (si trascura lattrito) e anche di
ruotare attorno a z in A
1
(gura 4.15(c)), almeno no a che il gioco radiale non viene recupe-
rato. In corrispondenza di un denito valore dellinclinazione dellasse, che sar`a indicato con

lim
, lalbero entra in contatto anche in A
2
e lazione complessiva del vincolo si manifesta con
due forze applicate in A
1
e A
2
rispettivamente. Solo con questa inclinazione la bronzina pu`o
trasferire allalbero anche una coppia (gura 4.15(d)) e comincia quindi a comportarsi come un
bipendolo. Tuttavia, per inclinazioni poco superiori a
lim
dove:

lim
=
g
h
= k
d
h
(4.4)
il momento eettivamente trasferibile risulta basso a causa della deformabilit`a degli elementi, in
particolare della bronzina, talvolta realizzata con materiali poco rigidi, anche non metallici. Lo
stesso braccio della coppia rimane di entit`a modesta, essendo h una quantit`a piccola per lipotesi
di bronzina corta. Pertanto perche la componente di momento sia signicativa `e necessario
che lalbero si inclini di un angolo maggiore di
lim
e che le forze esercitate dalle zone estreme
della bronzina siano molto intense.
104
4.5. ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA SCHEMATIZZAZIONE DEI VINCOLI
Figura 4.15: Un albero vincolato da una bronzina corta con gioco radiale in
varie congurazioni. Nella parte inferiore dello schema sono rappresentate le
reazioni vincolari esercitate sullalbero
Analizzando questo comportamento pi` u realistico della bronzina corta osserviamo quindi
che:
la bronzina, appena comincia a esercitare lazione di vincolo, si comporta come un
appoggio
la sua ecacia come appoggio non dipende dal gioco, appena lalbero giunge a contatto
su una generatrice, la reazione vincolare di appoggio pu`o manifestarsi in modo completo,
essendo limitata solo dalla resistenza della bronzina (in particolare la reazione non `e
inuenzata dalla deformabilit`a)
anche dopo il contatto su una generatrice, lalbero pu`o inclinarsi liberamente attorno a z
almeno no a
lim
solo per una inclinazione dellalbero maggiore di
lim
la bronzina comincia a operare
come un bipendolo, ma lintensit`a del momento che essa pu`o esercitare dipende in modo
sensibile dalla locale deformabilit`a delle parti. Perche entrambe le forze di contatto siano
signicative `e necessario che langolo di rotazione sia maggiore di
lim
e il momento
esercitabile `e comunque limitato dal basso valore del braccio della coppia.
Se, come generalmente accade, lalbero `e sostenuto anche da altri vincoli oltre la bronzina
corta, `e necessario vericare che linsieme dei vincoli consenta allalbero di inclinarsi in corri-
spondenza della bronzina di un angolo maggiore di
lim
. Se questa inclinazione non `e permessa,
la bronzina corta si comporter`a quindi come un appoggio, solo in caso contrario dovremmo
ipotizzare una azione di momento non nulla. Tuttavia nella seconda eventualit`a la bronzina
avrebbe un funzionamento anomalo e il suo materiale sarebbe eccessivamente sollecitato. Pos-
siamo anticipare quindi che, in questo caso, `e opportuno cambiare il progetto del supporto per
renderlo pi` u sicuro piuttosto che modicare lo schema statico per migliorare la modellazione del
problema.
La relazione (4.4) mostra che, ssato il diametro dellalbero d e, con la tolleranza di accop-
piamento, il fattore adimensionale k, lestensione assiale della bronzina h denisce langolo di
105
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
inclinazione minimo per avere reazione di momento. Acquista pertanto un signicato quanti-
tativo il termine corta: una bronzina `e corta quando la sua estensione assiale `e minore del
diametro dellalbero (o al pi` u le due grandezze sono simili).
Quando `e necessario che una bronzina ssi anche la direzione dellasse dellalbero, eserci-
tando unecace azione da bipendolo, si deve prevedere una lunghezza signicativa rispetto al
diametro dellalbero, ovvero h > d. Dal punto di vista costruttivo, per la bronzina lunga `e
opportuno adottare la soluzione rappresentata in gura 4.10, in cui lo scarico nel centro mate-
rializza una coppia di bronzine corte, disposte alla distanza di qualche diametro. La gura 4.16
illustra il meccanismo di vincolo prodotto da una bronzina lunga, quando si cerca di spostare
lalbero come nel caso precedente.
(a) (b)
A
A
(c)
B
C
B
C B C
A A
x
y
Figura 4.16: Schematizzazioni di una bronzina lunga
Lestensione assiale del supporto garantisce che ognuno dei due tratti B e C si comporti
singolarmente come un appoggio. Lazione combinata dei due appoggi B e C contrasta ecace-
mente linclinazione dellalbero impedendo che sia raggiunto il valore di
lim
su ognuno di essi.
In questo caso, linclinazione dellalbero necessaria perche si manifesti unazione complessiva di
momento risulta molto minore rispetto al caso della bronzina corta e, inoltre, lintensit`a del
momento trasmissibile pu`o essere signicativa da subito perche esso `e prodotto dalla pressione
su zone di ampia supercie e disposte a suciente distanza. Questa bronzina, nel suo insieme,
`e eettivamente un bipendolo.
4.5.3 Cuscinetti di rotolamento
Considerazioni analoghe a quelle svolte nel paragrafo precedente si applicano anche a sup-
porti realizzati con cuscinetti di rotolamento. Consideriamo la gura 4.17 che esemplica lo
schema del montaggio pi` u semplice di un albero su due cuscinetti radiali a sfere con A vincolato
assialmente e B assialmente libero.
Se i cuscinetti fossero orientabili, A e B sarebbero rispettivamente schematizzabili come
una cerniera e un appoggio semplice. Tuttavia, condando sulla rigidezza dellalbero e sulla
precisione di realizzazione delle sedi del mozzo e dellalbero, lo stesso schema statico pu`o essere
assunto anche per una coppia di cuscinetti radiali rigidi a sfere. In eetti, come si studier`a in
corsi successivi, i costruttori di cuscinetti indicano un angolo ammissibile
am
di inclinazione
(rotazione attorno a z) dellanello interno rispetto allanello esterno che pu`o essere tollerato
dal cuscinetto rigido radiale a sfere senza che ne sia pregiudicato il corretto funzionamento. In
altri termini, possiamo aermare che anche i cuscinetti rigidi radiali a sfere presentano un certa
106
4.5. ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA SCHEMATIZZAZIONE DEI VINCOLI
Figura 4.17: Montaggio tipico di albero su due cuscinetti radiali a sfere
orientabilit`a, per quanto limitata a frazioni di grado. Valori tipici di
am
sono infatti (2 10)

(primi di grado) equivalenti a (6 30) 10


4
radianti.
Un modo razionale di procedere per la modellazione statica dei supporti dellalbero di gura
4.17 pu`o quindi essere il seguente:
1. supporre che linclinazione relativa degli anelli di ognuno dei cuscinetti sia entro i limiti
ammissibili
2. ipotizzare una cerniera in A e un appoggio in B come in gura 4.18
3. vericare a posteriori che lipotesi 1 sia accettabile.
Figura 4.18: Schema statico per lalbero su due cuscinetti
Per eettuare la verica, `e necessario avere informazioni geometriche (tolleranze di realizza-
zione delle sedi dei cuscinetti e dellalbero) e disporre di metodi per valutare la deformabilit`a
dellalbero sotto carico che saranno sviluppati pi` u avanti nel corso. Queste considerazioni
permettono di calcolare langolo di inclinazione relativo degli anelli dei cuscinetti in modo sod-
disfacente. Se il punto 3 fornisce esito positivo, il modello statico di gura 4.18 potr`a essere
considerato corretto, viceversa, si dovr`a concludere che il modello dei vincoli non `e adeguato.
In questultimo caso, tuttavia, come gi`a visto per la bronzina, `e opportuno suggerire una mo-
dica dei supporti (per esempio limpiego di cuscinetti orientabili o montati su sedi orientabili)
oppure prevedere lirrigidimento dellalbero o la riduzione dei campi di tolleranza geometrica
delle sedi del mozzo. Osserviamo pertanto che, indipendentemente dallesito della verica 3,
la schematizzazione di gura 4.18 `e utile per giungere a una conclusione tecnica signicativa.
Quando, analogamente al caso della bronzina lunga, si desidera realizzare un supporto che
contrasti ecacemente linclinazione dellalbero attorno a z, `e necessario impiegare cuscinetti
assialmente estesi, per esempio a rullini o a doppia corona di sfere, oppure si possono aancare
due cuscinetti radiali a sfere.
107
4. IL CORPO RIGIDO E I VINCOLI NEL PIANO
4.5.4 Contatti con attrito
Una discussione specica merita la schematizzazione del contatto in presenza di attrito.
Le forze di attrito, infatti, sono state sistematicamente trascurate nella denizione dei vincoli
semplici, pur essendo sempre presenti nella realt`a. Considerando il contatto puntiforme (in una
zona poco estesa) tra due superci in presenza di attrito, `e necessario distinguere due situazioni:
1. lattrito `e sucientemente elevato da impedire lo scorrimento tra le superci in contatto,
come nel caso di una ruota che rotola
2. lattrito non impedisce il movimento relativo e le superci si muovono una rispetto
allaltra, come nel caso della pastiglia di un freno su un disco).
Nel primo caso, detto di attrito statico, la forza dattrito `e incognita e deve essere considerata
una reazione vincolare a tutti gli eetti. Il vincolo corrispondente, se il contatto si manifesta in
una regione di limitata estensione, pu`o essere schematizzato come una cerniera con due reazioni
statiche indipendenti. Ottenuta la reazione della cerniera, `e opportuno scomporla nelle sue
componenti: normale N e tangenziale T rispetto alla supercie di contatto. Successivamente, si
deve vericare che:
la forza normale sia compatibile con lunilateralit`a del contatto, e quindi produca azioni
di locale compressione
il coeciente di attrito statico, o di aderenza,
s
che dipende prevalentemente dai mate-
riali in contatto, sia sucientemente elevato da garantire il contatto senza strisciamento,
ovvero:

s

[T[
[N[
Se le condizioni sono entrambe soddisfatte, il modello di cerniera `e vericato a posteriori,
altrimenti si deve concludere che il vincolo non `e in grado di esercitare lazione di cerniera
e si dovr`a modicarlo di conseguenza. Viceversa, se sappiamo, o supponiamo, che il contatto
avviene in condizioni di scorrimento, attrito cinetico o attrito dinamico, `e necessario adottare un
diverso modello di vincolo. La forza di attrito

F
A
non `e infatti una grandezza indipendente dalla
forza normale di contatto N poiche alcune sue caratteristiche sono note a priori, in particolare:
la direzione, data dalla retta del piano tangente parallela alla velocit`a relativa dei punti
in contatto
il verso, tale da contrastare il moto relativo delle parti in contatto
lintensit`a, denita dalla relazione:
[

F
A
[ =
c
[N[
dove
c
indica il coeciente di attrito cinetico e N la componente normale della forza di
contatto, che al solito deve essere tale da indurre locale compressione.
Da queste considerazioni possiamo concludere che, nel piano, il contatto puntiforme stri-
sciante con attrito `e, di fatto, un vincolo con molteplicit`a 1, dato che, ottenuta la componente
normale della forza di contatto N, `e univocamente individuata anche la componente tangenzia-
le. Nello schema di corpo libero preliminare, quindi, il vincolo sar`a indicato con due componenti
N e
c
N tra loro dipendenti con direzione e verso individuate dalla geometria e dal moto rela-
tivo, che deve essere noto. Risolto il problema, nel caso di unilateralit`a del contatto, si dovr`a
108
4.5. ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA SCHEMATIZZAZIONE DEI VINCOLI
comunque vericare che leetto di N sia di locale compressione. Se la verica risulta positiva,
la soluzione ottenuta `e denitiva, nel caso contrario si dimostra che il contatto non pu`o manife-
starsi (almeno nella congurazione esaminata). Esempi di applicazione di queste considerazioni
sono discussi nel seguente esempio e nei prossimi capitoli.
Esempio 4.8: Dierenza tra attrito statico e cinetico
Analizzare la dierente schematizzazione delle condizioni di attrito, statico e cinetico, in
relazione al problema dei pneumatici.
Supponiamo unauto in partenza su una strada con lasfalto in buone condizioni. Se le
ruote motrici non slittano, ovvero non vi `e velocit`a relativa tra il punto di appoggio della
ruota e la strada, siamo in condizioni di attrito statico. In tal caso, la forza di trazione T,
che determina il movimento (laccelerazione) del veicolo, `e proprio la forza di aderenza, o
forza di attrito statico, sulle ruote motrici. Indicando con N la componente normale della
forza esercitata dal pneumatico sulla strada, la forza di attrito statico non `e determinata.
In eetti, `e possibile partire in modo pi` u o meno brusco, sfruttando tutto il campo della
forza di attrito statico dato dalla relazione:
0 T
s
N
Supponiamo che la strada sia ghiacciata e che, in partenza, le ruote motrici slittino. Le con-
dizioni di attrito sono pertanto di tipo cinetico e la forza motrice T non `e pi` u controllabile
dallautista perche assume il valore di:
T =
c
N
In queste circostanze, indipendentemente dal comando eettuato sullacceleratore, lauto
parte con la stessa accelerazione (presumibilmente piuttosto bassa).
Lo stesso fenomeno si manifesta in frenata con il segno delle forze di attrito opposto
rispetto al verso del moto. Quando si inchiodano le ruote, si realizza una condizione non
controllabile di frenatura, in quanto `e lasciato allattrito cinetico il compito di rallentare
il veicolo. Frenando in modo che le ruote continuino a rotolare `e invece possibile dosare
la frenata. Inoltre, visto che solitamente il coeciente di attrito statico `e maggiore di
quello cinetico, se si evita lo strisciamento, `e possibile ottenere una maggiore ecienza di
frenatura. Su questo principio sono basati i sistemi anti-pattinamento delle ruote, noti
come ABS per la fase di frenata e ARS per la fase di accelerazione. Nella discussione il
fenomeno sono stati trascurati molti aspetti tecnicamente rilevanti tra cui la deformabilit`a
del pneumatico e lestensione della zona di contatto.
109
Capitolo 5
Problemi di statica del corpo rigido
nel piano
Nel presente capitolo sono proposti alcuni problemi che possono essere risolti con le consi-
derazioni svolte nei capitoli precedenti. Si tratta di esempi in cui sono applicate le condizioni di
equilibrio del corpo rigido e la schematizzazione dei carichi e dei vincoli.
Nel primo paragrafo sono presentati problemi del primo e del secondo tipo con corpi in
quiete nel sistema di riferimento inerziale. Nel secondo paragrafo `e discusso un problema con
forze dinerzia e nel terzo sono arontati alcuni aspetti legati alla schematizzazione dellattrito.
Il capitolo tratta problemi piani e, come consuetudine, per tutti si considerano sistemi di
riferimento cartesiani a due assi x y disposti sul piano del problema e i poli per il calcolo dei
momenti sono scelti sul piano x y.
5.1 Problemi con corpi rigidi in quiete
5.1.1 Problemi del primo tipo
In molti casi il problema stesso indica, o consente di assumere, che il corpo da analizzare
si trova in equilibrio statico in una congurazione geometrica denita. Lesempio che segue
rappresenta un caso di problema del primo tipo per un corpo rigido.
Esempio 5.1: Lamiera in equilibrio
Una lamiera rettangolare di acciaio (spessore 50 mm) `e sospesa, come mostrato in gura
5.1, al sotto tramite tre funi: (a) e (b) sono verticali e (c) `e inclinata di 45

rispetto
alla verticale. Nellestremo C viene esercitata una forza orizzontale F di intensit`a pari a
0.8 kN. Tracciare lo schema di corpo libero della lamiera allequilibrio.
a) Identicazione dellelemento in equilibrio e sua modellazione
La lamiera pu`o essere assunta come un corpo rigido continuo nel piano.
b) Identicazione dei carichi e dei vincoli
Per quanto riguarda i carichi, oltre alla forza F data, che si pu`o assumere con-
centrata e applicata nel vertice C, `e da considerarsi il peso proprio. Il peso della
lamiera P = 1015 N non `e infatti trascurabile, essendo dello stesso ordine di grandez-
za dellunico altro carico agente. Sul corpo, che `e schematizzato come un continuo
111
5. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NEL PIANO
bidimensionale, agisce pertanto una densit`a uniforme di forza di supercie avente
intensit`a pari a 3.826 10
3
MPa. Tuttavia, poiche siamo interessati alle condizioni
di equilibrio globale del corpo rigido, `e lecito ridurre il peso a una forza concentrata
applicata nel centro di massa della lamiera.
A
F
B
C D
L=680
H
=
3
9
0
45
(a) (b)
(c)
Figura 5.1: Lamiera di acciaio sospesa con tre funi
Per quanto riguarda i vincoli, come abbiamo osservato nel capitolo precedente, le funi
rappresentano appoggi unilateri.
Riassumiamo questi risultati nello schema statico del problema (gura 5.2) dove
sono evidenti i modelli di carico e di vincolo adottati.
A
F
B
C D
P
Figura 5.2: Schema statico
A questo punto `e possibile caratterizzare staticamente i vincoli, sostituendoli con le
azioni che possono esercitare sul corpo, in modo da tracciare lo schema di corpo libero
preliminare (gura 5.3) nel quale compaiono le reazioni vincolari T
a
, T
b
e T
c
come
incognite.
c) Imposizione delle condizioni di equilibrio
Trattandosi di un corpo rigido nel piano, le cardinali forniscono tre equazioni scalari
indipendenti che le azioni agenti devono rispettare. Usando il sistema cartesiano
112
5.1. PROBLEMI CON CORPI RIGIDI IN QUIETE
rappresentato in gura 5.3, la scrittura delle equazioni di risultante `e immediata.
Per lequazione di momento possiamo scegliere il polo pi` u conveniente: usando B,
nellequazione di momento non compaiono le incognite T
b
e T
c
(hanno braccio nullo
rispetto a B):
F
C D
P
T
a
T
b
T
c
x
y
A
B
Figura 5.3: Schema di corpo libero preliminare
R
x
= 0 T
c

2
2
F = 0
R
y
= 0 T
a
+T
b
+T
c

2
2
P = 0
M
z
= 0 T
a
L +P
L
2
F H = 0
Osserviamo che il calcolo dei momenti `e facilitato dalluso della regola della mano
destra. Guardando il problema dalle z+ c0me in gura 5.3, le forze T
a
e F tendono
a far ruotare la lamiera in senso orario attorno a B e quindi contribuiscono con un
termine negativo al momento risultante, mentre il peso tende a produrre una rotazio-
ne antioraria fornendo un contributo positivo. I momenti sono calcolati direttamente
come prodotto della forza per il braccio.
d,e) Discussione del sistema risolvente e soluzione
Scritto in forma matriciale, il sistema risolvente si presenta come segue:
_
_
0 0

2/2
1 1

2/2
L 0 0
_
_
_
_
T
a
T
b
T
c
_
_
=
_
_
F
P
F H P L/2
_
_
e in forma numerica:
_
_
0 0

2/2
1 1

2/2
680 0 0
_
_
_
_
T
a
T
b
T
c
_
_
=
_
_
0.8
1.015
32.97
_
_
10
3
dove le forze sono espresse in N, le distanze in mm e, di conseguenza, i momenti in
Nmm.
113
5. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NEL PIANO
Il sistema risolvente ha la struttura tipica per i problemi del primo tipo: sistema
lineare non omogeneo con la matrice nota (composta dalle caratteristiche geometri-
che), le reazioni vincolari come incognite e il vettore dei termini noti denito dai
carichi e dalla posizione dei loro punti di applicazione.
Il sistema pu`o essere facilmente risolto per sostituzione diretta ottenendo lunica
soluzione:
T
a
= 48.5 N
T
b
= 166.1 N
T
c
= 1131 N
f ) Analisi critica dei risultati e loro presentazione
La soluzione ottenuta `e ammissibile dal punto di vista sico: tutte le funi, essendo
tese, sono in grado di esercitare le azioni di vincolo calcolate. Lo schema di corpo
libero denitivo, esplicita richiesta del problema, `e riportato nella gura 5.4.
48.5 N 166.1 N
1131 N
800 N
3.82610
3
N/mm
2
C
D
A
B
Figura 5.4: Schema di corpo libero denitivo
Nello schema di corpo libero denitivo, il peso proprio `e stato rappresentato co-
me eettivamente applicato: una distribuzione di forze di supercie uniformemente
applicata allintera lamiera.
Alcune considerazioni sono utili per estendere a casi pi` u complessi la procedura di soluzione
adottata.
Le tre equazioni di equilibrio utilizzate non solo le uniche valide. In eetti, si possono
scegliere altre coppie di assi cartesiani e altri poli rispetto ai quali imporre la condizione di
momento nullo. Tutte queste varianti sono generalmente lecite ma per usarle `e necessario
porre una certa attenzione. Infatti, le leggi della Statica garantiscono che le relazioni scritte,
essendo lapplicazione diretta delle equazioni cardinali, rappresentano condizioni necessarie e
indipendenti per le azioni agenti quando il corpo `e in equilibrio. Quando scriviamo queste
relazioni siamo quindi certi che tutte e sole le informazioni ricavabili dalla Statica del corpo
rigido sono state utilizzate. Conseguentemente, se alla ne il sistema non fosse risolvibile,
la causa non dovr`a essere ricercata in una impostazione incompleta o incoerente ma in pi` u
profonde ragioni di tipo sico.
Inoltre, non si ottiene alcun vantaggio inserendo nel sistema una ulteriore equazione, per
esempio lannullamento del momento rispetto a un altro polo. Per convincersene `e suciente
114
5.1. PROBLEMI CON CORPI RIGIDI IN QUIETE
ricordare che in un sistema di azioni con risultante nulla, come deve essere quello che si sta
cercando dato che il corpo `e in equilibrio, il momento risultante non dipende dal polo. Pertanto
se il momento risultante `e nullo per un polo lo `e per ogni altro. Dal punto di vista algebrico,
in eetti, lulteriore equazione potrebbe essere ottenuta come combinazione lineare di quelle
suggerite.
In certi casi la scelta di condizioni di equilibrio leggermente diverse da quelle standard
potrebbe sembrare vantaggiosa. Nellesempio, il sistema risolvente potrebbe essere ottenuto
anche con:
una equazione di risultante in direzione x
una equazione di momento con polo in B
una equazione di momento con polo nellintersezione delle rette dazione delle reazioni T
a
e T
c
.
Il lettore pu`o vericare che il nuovo sistema `e composto da equazioni disaccoppiate (la sua
matrice `e diagonale) e pertanto `e di immediata soluzione. Ricorrere a questo tipo di espedienti
`e per`o generalmente sconsigliato, soprattutto quando si arontano problemi nuovi o complessi.
Avere la garanzia di scrivere un sistema completo e coerente `e pi` u importante del vantaggio
di saltare qualche passaggio algebrico correndo il rischio di dimenticare qualche condizione
fondamentale. Per questo motivo, non saranno sviluppate speciche considerazioni nalizzate
a ottenere sistemi risolventi algebricamente pi` u semplici al solo scopo di agevolare la soluzione
manuale.
5.1.2 Problemi del secondo tipo
Una semplice modica dei carichi rende il problema precedente del secondo tipo.
Esempio 5.2: Lamiera in equilibrio in congurazione da determinarsi
Risolvere il problema dellesempio 5.1 nel caso in cui la forza F abbia verso opposto.
Partiamo come di consueto dallipotesi che il corpo sia in equilibrio nella congurazione
data. I punti a,b,c,d del procedimento di soluzione sono identici allesempio precedente.
e) Soluzione del sistema
Con i nuovi carichi la soluzione diventa:
T
a
= 966 N
T
b
= 848 N
T
c
= 1131 N
f ) Analisi critica dei risultati e loro presentazione
La soluzione non `e accettabile dal punto di vista sico: per esercitare lazione di
vincolo necessaria allequilibrio nella congurazione data la fune (c) dovrebbe esse-
re compressa. Concludiamo quindi che il corpo non pu`o stare in equilibrio nella
congurazione data con i carichi e i vincoli previsti.
Questa conclusione non esclude peraltro che si possa ottenere lequilibrio in con-
gurazioni diverse. Arontiamo pertanto il problema considerandolo del secondo
tipo.
115
5. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NEL PIANO
b) Identicazione dei carichi e dei vincoli
Se la fune c tende a comprimersi sotto lazione del carico, possiamo supporre che si
incurvi e non eserciti alcuna azione sulla lamiera e quindi la eliminiamo dallo schema
statico, almeno no a prova contraria. La mancanza della fune (c) modica quindi le
condizioni di vincolo del corpo. Se esiste una condizione di equilibrio, che ovviamente
non pu`o essere quella data, `e da ricercarsi nella congurazione rappresentata in gura
5.5 con langolo incognito.
A
F
B
C
D
(a) (b) (c)

Figura 5.5: Possibile congurazione di equilibrio incognita nel caso di forza


orizzontale invertita con la la fune (c) lenta
Lo schema statico, non riportato per brevit`a, `e analogo a quello dellesercizio prece-
dente ma comprende solo gli appoggi corrispondenti alle funi (a) e (b). Lo schema di
corpo libero preliminare `e rappresentato in gura 5.6.
c) Imposizione delle condizioni di equilibrio
Usiamo le stesse equazioni dellesempio precedente per ottenere il sistema:
_
_
_
T
a
sin T
b
sin +F = 0
T
a
cos +T
b
cos P = 0
T
a
cos L +P L/2 +F H = 0
A
F
B
C D

P
T
a
T
b
x
y
Figura 5.6: Schema di corpo libero preliminare in cui la fune (c) non agisce
116
5.1. PROBLEMI CON CORPI RIGIDI IN QUIETE
d,e) Discussione del sistema risolvente e soluzione
Si tratta di un sistema non lineare nelle incognite , T
a
e T
b
. In questo caso, si pu`o
ricavare T
a
cos dalla terza equazione, da cui T
b
cos dalla seconda e, dividendo nella
prima per T
a
cos si ottiene unequazione in tan che porta allunica soluzione:
= 0.668 ( = 38.3

)
T
a
= 1230 N
T
b
= 61.8 N
f ) Analisi critica dei risultati
A questo punto, in una situazione reale, si dovrebbe vericare che B disti dal punto
in cui la fune (c) `e collegata al muro meno della lunghezza della fune (c) stessa.
Se, come rappresentato nella gura 5.1, le funi (b) e (c) sono vincolate alla stessa
quota, questa condizione `e senzaltro vericata. La lamiera pu`o quindi raggiungere
lequilibrio anche con la forza F diretta a destra ma in una congurazione diversa da
quella di partenza.
5.1.3 Considerazioni sullequilibrio per i problemi di primo e di secondo tipo
Il confronto tra gli esempi 5.1 e 5.2 `e utile per discutere la dierenza tra le condizioni di
equilibrio che si realizzano nei problemi di primo e di secondo tipo.
Nel primo caso, in cui linsieme dei vincoli ha complessivamente molteplicit`a 3 (tre appoggi
semplici ecaci ognuno con molteplicit`a 1), la congurazione di equilibrio data `e garantita
anche se il carico esterno (per esempio F) subisce modiche almeno entro certi limiti. A tale
proposito, il lettore pu`o vericare che, ssato il peso, qualunque valore di F compreso tra 0
e 884.5 N `e compatibile con lequilibrio della lamiera nella congurazione data. Inoltre tali
limiti sono connessi con la natura unilaterale degli appoggi. In eetti, se i tre vincoli fossero
appoggi ideali completi (bilateri), non sussisterebbero limiti ai carichi applicabili alla lamiera
per avere lequilibrio nella congurazione data, ovviamente prescindendo da considerazioni sulla
resistenza della lamiera e delle connessioni con il telaio.
Nel problema del secondo tipo, i vincoli attivi hanno molteplicit`a complessiva pari a 2, es-
sendo due appoggi semplici. Come conseguenza, la congurazione di equilibrio dipende dalle
caratteristiche del carico. La lamiera non `e in eetti completamente vincolata al telaio, poten-
dosi muovere nel piano, verso destra, con una traslazione non rettilinea. Dal punto di vista
cinematico potremmo in eetti classicarla come un meccanismo con un grado di libert`a (un
parallelogramma articolato). Si pu`o notare che dei tre gradi di libert`a della lamiera libera (cor-
po rigido nel piano), solo 2 sono vincolati. In molte situazioni pratiche questo tipo di soluzione
non `e soddisfacente. Spesso si richiede che i vincoli deniscano la congurazione del corpo per
carichi che assumono valori variabili in un intervallo. La ragione di questa necessit`a risiede
nel fatto che i carichi possono modicarsi nel funzionamento e spesso sono anche di incerta
previsione.
Ulteriori considerazioni sulle caratteristiche dellequilibrio saranno sviluppate nel capitolo 7.
117
5. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NEL PIANO
5.2 Problemi con forze dinerzia
Essendo lo scopo del corso eettuare lanalisi strutturale di componenti di macchine, che
sono generalmente organi in movimento, `e opportuno cominciare ad arontare problemi di
corpi estesi in cui sono signicative le forze dinerzia.
Esempio 5.3: Barra in rotazione
Una barra di sezione circolare (diametro D = 60 mm e lunghezza L = 970 mm) di lega
leggera (densit`a = 3.1 kg/dm
3
) `e saldata al manicotto M che, tramite due cuscinetti A e
B, con B bloccato assialmente, ruota a n = 110 giri/min attorno a un perno verticale sso
(gura 5.7). Nella congurazione data e relativamente al sistema di riferimento indicato:
1) tracciare lo schema di corpo libero della barra
2) determinare le azioni che la barra trasmette al manicotto
3) determinare le azioni che i singoli cuscinetti trasmettono al perno
L
=
9
7
0
D
=
6
0
M
=20
x
y
7
0
M
A
B
Figura 5.7: Barra in rotazione
a) Identicazione dellelemento in equilibrio e sua modellazione
Consideriamo la barra come un corpo rigido continuo. Dato che il diametro `e molto
minore della lunghezza possiamo considerare la barra un solido monodimensionale e
ridurla nel modello alla sua linea dasse. Assumendo il sistema di riferimento xy in
rotazione insieme con la barra (sistema non inerziale), il problema diventa di statica
nel piano.
b) Identicazione dei carichi e dei vincoli
Il manicotto pu`o essere considerato telaio, almeno per rispondere alla prima doman-
da, in quanto non ha possibilit`a di moto piano rispetto a questo. Il diametro del
manicotto non `e indicato nel disegno e si assume trascurabile rispetto alle dimensioni
signicative del problema. La saldatura tra barra e manicotto realizza una connes-
sione completa tra i due elementi, impedendo ogni componente di moto relativo,
pertanto `e schematizzabile come un incastro. La barra (la cui massa complessiva `e
118
5.2. PROBLEMI CON FORZE DINERZIA
8.50 kg) `e soggetta al peso proprio e alle forze dinerzia. In questo caso la barra `e
ferma nel sistema non inerziale in rotazione uniforme, per cui lunica forza dinerzia
agente `e di trascinamento ed `e centrifuga. Il peso proprio `e una forza di volume
uniformemente distribuita, mentre la forza centrifuga `e una forza di volume non uni-
forme. Lintensit`a della densit`a volumica di forza centrifuga in un punto della barra
aumenta, insieme con laccelerazione di trascinamento, in misura direttamente pro-
porzionale alla distanza del punto dallasse di rotazione. Assunto per la barra un
modello monodimensionale, i carichi di volume saranno schematizzati come distribu-
zioni lineari di forze applicate sulla linea dasse. Essendo il peso complessivo della
barra pari a 83.4 N, la corrispondente densit`a lineare vale: 0.086 N/mm, quantit`a nu-
mericamente uguale al peso di una fetta di barra avente 1 mm di spessore in direzione
assiale. Per determinare la distribuzione di forza centrifuga, si pu`o procedere come
segue.
s
d
s
r
Figura 5.8: Schema per il calcolo delle forze centrifughe
Considerato (gura 5.8) un elemento di barra di lunghezza ds posto a distanza s dal
manicotto (0 < s < L) e quindi a distanza r = s cos dallasse di rotazione, il
modulo della forza centrifuga su di esso agente dF
c
vale:
dF
c
= dm
2
r =
D
2
4
ds
2
s cos
in cui =
2n
60
`e la velocit`a angolare. La forza centrifuga per unit`a di lunghezza della
barra f
c
in tale punto `e pertanto:
f
c
=
dF
c
ds
=
dm
ds

2
s cos
dove
dm
ds
=
D
2
4
= 8.765 kg/m rappresenta la densit`a lineare di massa della barra.
Nelleettuare questa valutazione, che coinvolge le forze dinerzia, si deve prestare at-
tenzione alle unit`a di misura in modo che laccelerazione di trascinamento sia espressa
in m/s
2
per avere le forze espresse in N:
f
c
=
D
2
4

2
s cos = 3.1 10
3
kg/m
3
(60 10
3
)m
2
4
_
2n
60
_
2 _
s
1000
m
_
cos =
= 1.093 s N/m
dove s `e espresso in mm. Per avere lespressione in N e mm `e necessario eettuare
una ulteriore conversione:
f
c
= 1.093 10
3
s N/mm
119
5. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NEL PIANO
Lo schema statico della barra `e rappresentato nella gura 5.9.
0.5 N/mm
Figura 5.9: Schema statico della barra con la rappresentazione dei vincoli e
dei carichi (in scala)
Si pu`o osservare che la risultante delle forze centrifughe vale
F
c
=
1
2
1.093 10
3
L
2
= 514.2 N
ed equivale alla massa totale della barra moltiplicata per laccelerazione del centro di
massa della barra stessa (che si trova a L/2 dal manicotto). Questo risultato `e una
conseguenza del teorema del moto del centro di massa per i sistemi di punti materiali.
Per inciso, osserviamo che lasse centrale delle forze centrifughe non passa per il centro
di massa perche la distribuzione non `e uniforme. Applicando le relazioni sviluppate
nel capitolo 3, si pu`o vericare, che, trattandosi di una distribuzione triangolare,
lasse centrale delle forze dinerzia interseca lasse della barra in un punto che si dista
s = 2/3L dal manicotto.
Riducendo i carichi distribuiti a forze concentrate staticamente equivalenti e caratte-
rizzando lincastro con le reazioni vincolari esplicabili, si ottiene lo schema di corpo
libero preliminare di gura 5.10.
F
c
= 514.2 N
2
/3
L
L
/2
P= 83.4 N
T
S
W
x
y
Figura 5.10: Schema di corpo libero preliminare per la soluzione della
domanda 1
c,d,e) Imposizione delle condizioni di equilibrio, discussione del sistema
risolvente e soluzione
Le equazioni cardinali nel sistema indicato in gura 5.10 e con polo nel manicotto
sono le seguenti:
R
x
= 0 T +F
c
= 0
120
5.2. PROBLEMI CON FORZE DINERZIA
R
y
= 0 S P = 0
M
z
= 0 W P
Lcos
2
+F
c
2Lsin
3
= 0
Il sistema algebrico risultante ha lunica soluzione:
T = 514.2 N
S = 83.4 N
W = 75.7 10
3
Nmm
f ) Analisi critica dei risultati e presentazione
Il risultato ottenuto `e plausibile. I segni negativi indicano che la previsione sul verso di
alcune componenti dellazione esercitata sulla barra dalla saldatura non `e confermata
(ne terremo conto nello schema di corpo libero denitivo), ma sono compatibili con
la bilateralit`a del vincolo.
Risposta alla domanda 1)
83.4 N
514.2 N
75.7 Nm
1.09310
3
s N/mm
0.086 N/mm
1.06 N/mm
Figura 5.11: Schema di corpo libero denitivo
Nella schema di corpo libero denitivo di gura 5.11, le scale con cui sono rappresentate
le reazioni vincolari e i carichi non sono confrontabili. Le forze concentrate sono espresse
in N, le forze distribuite in N/mm e il momento in Nm, per chiarezza le relative frecce
sono state quindi disegnate con spessori diversi. Come di consueto, nello schema di corpo
libero denitivo le azioni sono rappresentate con il loro verso eettivo e sono accompagnate
dal modulo, in modo da mostrare in modo chiaro e completo linsieme delle azioni esterne
agenti sul corpo. Il complesso sistema di azioni statiche rappresentato nello schema di
corpo libero denitivo deve essere autoequilibrato (a meno che non sia stato commesso
qualche errore nella soluzione!).
Risposta alla domanda 2)
La corretta applicazione del terzo principio ai risultati ottenuti nella risposta precedente
permette di concludere che le azioni richieste sono:
una forza di componenti:
_
_
514.2
83.4
0
_
_
N e un momento di componenti:
_
_
0
0
75.7
_
_
Nm
Risposta alla domanda 3)
Il manicotto pu`o essere considerato un corpo rigido di massa trascurabile su cui agi-
scono, come carichi, le azioni dovute alla saldatura che sono state calcolate nella seconda
domanda. Il manicotto `e vincolato al telaio (il perno) da una cerniera (il cuscinetto B)
121
5. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NEL PIANO
e da un appoggio (il cuscinetto A). Le azioni prodotte dalla saldatura sono considerate
applicate in corrispondenza del centro del cuscinetto A punto a cui converge lasse della
barra. Questa semplicazione `e coerente con lipotesi di trascurare le dimensioni radiali del
manicotto. In presenza di una quotatura pi` u completa, sarebbe stato possibile localizzare
con maggiore precisione il centro della saldatura punto in cui `e pi` u corretto applicare i ca-
richi. Tuttavia, tale dettaglio non risulta importante ai ni della valutazione delle reazioni
sui cuscinetti se le dimensioni del disegno sono in scala e il raggio del manicotto `e eettiva-
mente piccolo rispetto alla lunghezza della barra. Lo schema statico `e rappresentato nella
gura 5.12(a) e il corrispondente schema di corpo libero preliminare nella gura 5.12(b).
83.4 N
514.2 N
75.7 Nm
(a)
83.4 N
514.2 N
Nm
H
U
V
(b)
x
y
75.7
Figura 5.12: Schema statico (a) e schema di corpo libero (b) del manicotto
considerato un corpo rigido di estensione radiale trascurabile
Le reazioni vincolari valgono: V = 567 N, U = 1082 N e H = 83.4 N. Lo schema di
corpo libero denitivo per il manicotto `e riportato in gura 5.13.
83.4 N
514.2 N
Nm
83.4 N
567 N
1082 N
75.7
Figura 5.13: Schema di corpo libero denitivo del manicotto con le forze
trasmesse dal perno attraverso i cuscinetti
Le forze trasmesse al perno dal cuscinetto superiore A e inferiore B sono pertanto (dal
terzo principio):

R
A
=
_
_
3406
0
0
_
_
N

R
B
=
_
_
3920
83.4
0
_
_
N
Nota. La forza trasmessa dai cuscinetti `e in buona parte dovuta al momento W e la
componente assiale della forza su B `e pi` u di un ordine di grandezza inferiore a quella
radiale, conclusione che giustica limpiego di un cuscinetto radiale (invece che misto) per
questa applicazione.
122
5.3. PROBLEMI CON ATTRITO
5.3 Problemi con attrito
In questo paragrafo sono analizzati alcuni problemi che richiedono la schematizzazione degli
eetti prodotti dallattrito. Come discusso nel capitolo precedente, la presenza di attrito richiede
di distinguere le condizioni di strisciamento, attrito cinetico, da quelle di adesione, attrito
statico, e impone una verica a posteriori delle ipotesi fatte.
Esercizio guidato 5.1: Corpo rigido con attrito statico
Un blocco di marmo (densit`a: = 1.9 kg/dm
3
) a forma di parallelepipedo (L = 2000 mm,
H = 550 mm, W = 700 mm `e appoggiato alle estremit`a come rappresentato in gura 5.14.
Attraverso un cavo avvolto su una puleggia che si trova allaltezza H
1
= 1200 mm dal
pavimento, si tenta di sollevarne lo spigolo in B. Determinare:
1) la forza minima T
min
da esercitare al cavo necessaria per il sollevamento
2) il coeciente di attrito statico minimo perche nellistante del sollevamento, con la forza
pari a T
min
, il blocco non scorra in A.
A B
L=2000
H
=
5
5
0

1
=50
H
1
=
1
2
0
0
Figura 5.14: Sollevamento di un blocco di marmo
`
E proposta solo una traccia dello svolgimento ma `e utile sviluppare compiutamente le
varie fasi della soluzione.
Supponendo che il piano su cui giace il cavo sia nella mezzeria dello spessore, il problema
pu`o essere considerato bidimensionale. Ai ni dellequilibrio globale, il peso del blocco
pu`o essere considerato come un carico concentrato di 14.35 kN applicato nel suo centro
di massa. La fune materializza un vincolo di appoggio unilatero. Qualche dicolt`a pu`o
sorgere nellidenticazione dei vincoli in A e B: ammettendo la presenza di contatti con
attrito (statico), si dovrebbe considerare in entrambi i punti una cerniera. Tuttavia, la
prima domanda richiede una condizione di distacco in B che si pu`o esplicitare imponendo
lannullamento delle relative reazioni vincolari: appena il blocco si stacca, viene meno la
forza normale mutua e di conseguenza anche la forza di attrito. Al distacco, lo schema
statico e lo schema di corpo libero preliminare risultano pertanto ragurati nella gura
5.15.
123
5. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NEL PIANO
P= 14350 N
T
min
R
S
(a) (b)
T
min
P= 14350 N
Figura 5.15: Schema statico (a) e schema di corpo libero preliminare (b) in
fase di incipiente distacco
Imponendo le equazioni cardinali, `e possibile ricavare le tre incognite scalari (T
min
=
12.18 kN, R = 5.02 kN e S = 7.83 kN) si risponde cos` alla prima domanda: il tiro
minimo richiesto al sollevamento in caso di non scorrimento in A `e di 12.18 kN.
La componente verticale R della reazione di contatto in A, che risulta positiva, `e ga-
rantita dallappoggio unilatero, la componente orizzontale deve essere prodotta dallattrito
statico. Anche questa componente possa essere esercitata `e necessario che il coeciente
di attrito
s
soddis la relazione:

s

7.83
5.02
= 1.56
Da ci`o si ottiene la risposta alla seconda domanda: il coeciente di attrito statico
minimo per evitare lo scorrimento di A `e 1.56. In eetti `e un valore piuttosto elevato
perche si possa eettivamente adarsi allattrito di contatto per ottenere tale condizione
di sollevamento.
Se, come prevedibile, il coeciente di attrito statico `e inferiore a 1.56, il sollevamento
cambia completamente e di conseguenza anche il modo di arontare il problema. Non risulta
infatti possibile eettuare il sollevamento nella congurazione data perche il blocco comincer`a
a scorrere sulla base in corrispondenza di un tiro della fune inferiore a T
min
. Il movimento
modica la posizione del blocco, e quindi langolo , prima delleventuale sollevamento di B,
come discusso nel prossimo esempio.
Esempio 5.4: Corpo rigido con attrito cinetico
Con gli stessi dati del problema precedente, assumendo un coeciente di attrito, sia statico
sia cinetico, in A e in B pari a = 0.4, calcolare:
1) il tiro della fune T
1
in corrispondenza del quale il blocco comincia a scorrere
2) langolo di inclinazione
2
della fune in corrispondenza del quale il blocco comincia a
sollevarsi in B e il corrispondente valore del tiro della fune T
2
3) il lavoro fatto dallargano che tira la fune per portare il blocco in condizioni di
sollevamento.

124
5.3. PROBLEMI CON ATTRITO
Si tratta di un problema che non pu`o essere a rigore denito statico nel sistema di
riferimento del pavimento, poiche il blocco `e in moto sotto lazione dei carichi agenti.
Tuttavia, assumeremo la velocit`a di scorrimento molto bassa e circa costante nel percorso,
in modo da poter trascurare leetto delle forze dinerzia anche nel sistema di riferimento
del blocco, sia nelle fasi iniziali del movimento sia durante lo scorrimento.
Unaltra semplicazione importante, concessa dal testo stesso, consiste nellassumere
luguaglianza tra i coecienti di attrito statico e cinetico. Come `e noto, il coeciente di
attrito statico `e generalmente pi` u elevato di quello cinetico. La dierenza tra i coecienti
comporta che nelle prime fasi del moto, appena superate le condizioni di aderenza, si
manifestano eetti dinamici solitamente non trascurabili, fenomeno cos` detto dello stick-
slip (termine inglese ma di uso comune, letteralmente: bloccato-scorrevole). Gli eetti
dello stick-slip possono essere rilevanti nella valutazione del comportamento di componenti
di macchina, ma un loro esame completo richiede modelli dinamici che vanno oltre i limiti
del corso.
Nella fase iniziale, quando il tiro `e inferiore a T
1
e il blocco non scorre, lo schema statico
del problema e il corrispondente schema di corpo libero preliminare sono riportati in gura
5.16:
T
R
S
(a)
T
(b)
U
V
0.013 N/mm
2
0.013 N/mm
2
Figura 5.16: Schema statico (a) e schema di corpo libero preliminare (b) per
un valore di T minore di quello necessario a produrre lo scorrimento
Si pu`o vericare che le reazioni vincolari non possono essere ottenute con il consueto
procedimento di soluzione, anche se `e dato il valore di T. In eetti, si hanno 4 incognite
(R, S, V , U) con tre equazioni indipendenti e il sistema lineare che si ottiene applicando
le cardinali risulta indeterminato. In termini sici si pu`o dire che il corpo `e vincolato in
modo ridondante: vi sono pi` u vincoli di quanti strettamente necessari per annullare i gradi
di libert`a del corpo rigido e garantirne equilibrio. Come vedremo, questa ridondanza di
vincoli non signica che manchi la soluzione, infatti, interponendo due doppi dinamometri
ideali nelle zone di appoggio del blocco, le reazioni vincolari potrebbero essere misurate.
Come vedremo pi` u avanti nel corso, le reazioni vincolari possono essere anche calcolate,
ma rinunciando allipotesi di innita rigidezza del blocco. Se il blocco non pu`o essere
considerato innitamente rigido non `e lecito concentrare il suo peso nel baricentro per
questo motivo in gura 5.16) il peso `e stato rappresentato come carico distribuito.
Rimandiamo ai prossimi capitoli le tecniche di soluzione per la statica dei corpi vincolati
in modo ridondante. In eetti, la soluzione nella condizione iniziale di gura 5.16 non `e
richiesta. Quando il blocco comincia a scorrere, infatti, in entrambi i contatti le componenti
di attrito non sono pi` u indipendenti dalle componenti normali perche:
hanno verso tale da opporsi al moto relativo
la loro intensit`a `e data da N dove N `e la corrispondente forza normale di contatto.
125
5. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NEL PIANO
Pertanto, in condizioni di scorrimento, le incognite scalari che deniscono completamente
le reazioni vincolari diventano una per ogni contatto da cui si pu`o tracciare lo schema di
corpo libero preliminare di gura 5.17 sulla base del quale si conclude che il problema pu`o
essere risolto anche in ipotesi di blocco innitamente rigido.
P
T
R
R
S
S

Figura 5.17: Schema di corpo libero del blocco che scorre (verso destra) sugli
appoggi in posizione generica
Risolvendo il sistema delle equazioni cardinali (ricordiamo che il blocco si muove a bassa
velocit`a assunta costante), si ottiene:
T () =
P
cos +sin
S () =
P
2
+T()
_
H
L
cos sin
_
R() =
P
2

H
L
T() cos
Alla prima domanda si risponde valutando il tiro della fune per =
1
= 50

. Nella
prima fase del movimento il tiro della fune vale quindi: T
1
= T(
1
) = 6048 N.
Per rispondere alla seconda domanda `e necessario risolvere lequazione trigonometrica
che si ottiene imponendo lannullamento della reazione dellappoggio B (condizione che
comincia a manifestarsi nellistante di incipiente sollevamento):
S(
2
) = 0
da cui
2
= 71.8

.
Il calcolo del lavoro richiede una integrazione, in quanto il tiro della fune e langolo
formato con la direzione del moto del punto di applicazione variano con . Chiamato s lo
spostamento orizzontale del punto B, si ricava che:
s = (H
1
H)
_
1
tan
1

1
tan
_
e quindi dierenziando:
ds =
H
1
H
sin
2

d
Per cui (terza domanda) il lavoro `e dato da:

2
_

1
T() cos
H
1
H
sin
2

d =1.114 kJ
Lintegrale pu`o essere calcolato con un metodo numerico, per esempio con la regola dei
trapezi, avvalendosi di un foglio elettronico.
126
Capitolo 6
Statica del corpo rigido nello spazio
Lo studio dei problemi tridimensionali di corpo rigido `e pi` u impegnativo di quello dei pro-
blemi piani. In primo luogo, la casistica dei vincoli, anche di quelli elementari, `e molto pi` u
vasta. In eetti, avendo un corpo rigido nello spazio ben 6 gradi di libert`a, sono possibili pi` u
modalit`a per limitarne il movimento. Nello spazio, inoltre, risulta meno agevole visualizzare e
rappresentare le congurazioni geometriche e i moti. Unaltra complicazione, per niente trascu-
rabile dal punto di vista operativo, consiste nella mancanza di una simbologia universalmente
accettata per indicare i vincoli elementari nello spazio. Questa carenza impone di tracciare il
diagramma di corpo libero preliminare, invece del consueto schema statico, come primo passo
per la soluzione del problema.
Nel capitolo sono presentati i principali vincoli elementari per il corpo esteso nei modelli
tridimensionali. Come nel caso piano, lattrito sar`a assunto generalmente trascurabile, a meno
di situazioni particolari in cui esso deve essere specicamente preso in esame. I vincoli discussi
non esauriscono le possibili realizzazioni pratiche. Tuttavia, un vincolo reale pu`o essere ragione-
volmente ricondotto a una opportuna combinazione dei vincoli elementari presentati. Per alcuni
vincoli elementari si riconosce la naturale estensione degli omonimi vincoli piani. In certi casi
lestensione `e meno diretta, in quanto nello spazio sono possibili diverse varianti. Vi sono inoltre
vincoli tipici dello spazio che non hanno equivalenti nei problemi piani.
Nellultima parte del capitolo alcuni esempi illustrano i metodi per arontare problemi
tridimensionali.
6.1 Vincolo di appoggio semplice nello spazio
Analogamente al caso piano, lappoggio semplice nello spazio vincola un punto A del corpo
ad appartenere a una supercie che ha in A una normale n univocamente denita. Spesso
la supercie `e un piano, ma questo non `e necessario. In ogni caso, lunivocit`a della normale
implica che la supercie abbia in A un (unico) piano tangente.
Lazione statica esercitata dallappoggio semplice sul corpo `e schematizzabile con una forza
applicata in A avente la direzione di n. Anche nello spazio, lappoggio semplice ha quindi
molteplicit`a 1. Nello schema di corpo libero preliminare, lappoggio semplice `e rappresentato
da una forza concentrata in A avente intensit`a S incognita (`e quindi incognito anche il verso).
Dal punto di vista cinematico, la zona del corpo in corrispondenza del punto A pu`o avere i
seguenti moti concessi dallappoggio semplice:
traslazione con direzione generica nel piano normale a n (2 DOF)
rotazione attorno a un generico asse passante per A (3 DOF).
127
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
Il vincolo di appoggio semplice nello spazio pu`o essere realizzato costruttivamente con una
bielletta tra due snodi sferici (vedi oltre). Il contatto puntiforme su una supercie regolare
senza attrito, per esempio il contatto tra i denti lubricati di alcuni tipi di ingranaggi, il colle-
gamento con una fune (oppure catena, cinghia, ecc. . . ) sono esempi di appoggi semplici anche
nello spazio, con la caratteristica dellunilateralit`a. Anche nello spazio, i contatti unilaterali
saranno considerati appoggi semplici a tutti gli eetti no alla soluzione del sistema, salvo
successivamente eliminarli, o modicarli, se non dovessero risultare ecaci.
Lo schema statico e il corrispondente schema di corpo libero per lappoggio semplice nello
spazio sono riportati nella gura 6.1.
A
(a) (b)
A
S
n
Figura 6.1: Appoggio semplice nello spazio: (a) schema statico con bielletta
tra due snodi sferici; (b) diagramma di corpo libero preliminare
6.2 Cerniere tridimensionali
Nello spazio si identicano vari vincoli a cui si attribuisce il nome di cerniera. Tutti i
tipi di cerniera tridimensionale hanno la caratteristica comune di impedire al punto A di un
corpo esteso di avere movimenti di traslazione (almeno) in un determinato piano . Tuttavia,
le varie cerniere tridimensionali possono impedire anche altre componenti di movimento e sono
conseguentemente distinte.
`
E necessario considerare che la classicazione usata nel presente
testo e la relativa nomenclatura non `e universalmente accettata.
6.2.1 Cerniera piana nello spazio
La cerniera piana nello spazio `e la cerniera con la molteplicit`a pi` u bassa tra tutte le cerniere
tridimensionali (`e la meno vincolante). Consideriamo il punto A di un corpo esteso e un piano
passante per A, una cerniera piana nello spazio agisce in modo da impedire solo il movimento
di traslazione di A in ogni direzione che giace sul piano . La zona del corpo attorno ad A pu`o
quindi:
traslare nella direzione normale al piano (1 DOF)
ruotare attorno a un qualunque asse passante per A (3 DOF).
Come per ogni caso ideale, il vincolo deve essere in grado di esercitare in A le azioni statiche
energeticamente associate ai moti impediti che consistono pertanto in due componenti di forza
(S e T) tra loro indipendenti giacenti sul piano . Nello schema statico preliminare, come
consuetudine, assumeremo tali forze mutuamente ortogonali. La cerniera piana nello spazio ha
quindi molteplicit`a 2 ed `e il vincolo tridimensionale pi` u simile alla cerniera del modello piano.
Dal punto di vista costruttivo, per un albero, una cerniera piana nello spazio pu`o essere
realizzata con un cuscinetto orientabile non assialmente bloccato. In questo caso, il piano
128
6.2. CERNIERE TRIDIMENSIONALI
ha come normale il versore n dellasse dellalbero in A e quindi le reazioni vincolari sono due
forze tra loro ortogonali applicate allalbero in direzione normale allasse dellalbero stesso, come
evidenziato in gura 6.2.
A
A

A
S
T
n
n n
(a) (b) (c)
Figura 6.2: Cerniera piana nello spazio: a) soluzione costruttiva, b) piano
su cui sono esercitate le reazioni vincolari, c) schema di corpo libero preliminare
Estendendo le considerazioni sviluppate nel capitolo 4, possiamo ragionevolmente assumere
come cerniere piane nello spazio anche i cuscinetti radiali a sfere (non orientabili) e le bronzine
corte, entrambi non assialmente bloccati, purche le inclinazioni dellalbero siano di piccola
entit`a.
6.2.2 Cerniera sferica
La cerniera sferica impone al punto A di assumere una posizione denita nello spazio. La
zona del corpo attorno ad A non pu`o avere pertanto alcun moto di traslazione ma non ha alcun
impedimento alla rotazione attorno a un asse qualunque passante per A. Per impedire i moti
traslatori, la cerniera sferica deve poter trasmettere al corpo una generica forza nello spazio
applicata in A. La reazione vincolare `e pertanto caratterizzabile da tre componenti scalari
indipendenti: S, T, V (solitamente assunte a due a due perpendicolari).
Sono esempi di realizzazioni pratiche di cerniere sferiche: menischi sferici (tipico `e il por-
tapenne del notaio) e snodi sferici da considerarsi con attrito trascurabile. Per gli alberi, una
cerniera sferica `e realizzabile con un cuscinetto orientabile assialmente bloccato. Valgono le
solite considerazioni per i cuscinetti a sfere e per le bronzine corte assialmente bloccate che
possono essere considerate cerniere sferiche quando linclinazione dellalbero `e contenuta.
A
A
S
T
(a) (b)
V
Figura 6.3: Esempio di realizzazione pratica di una cerniera sferica a) e
relativo schema di corpo libero preliminare b)
In biomeccanica, possono essere considerate con buona approssimazione cerniere sferiche
alcune importanti articolazioni del corpo umano, quali le connessioni del femore al bacino,
dellomero alla spalla e della testa al tronco.
129
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
Come anticipato, un elemento rigido di massa trascurabile tra due cerniere sferiche (non
concentriche) realizza la bielletta tridimensionale che `e usata come schema per lappoggio sem-
plice nello spazio. Infatti, essendo soggetta a due sole forze, la bielletta pu`o trasmettere solo
una coppia di braccio nullo le cui forze giacciono sulla retta congiungente i centri delle cerniere
sferiche.
6.2.3 Cerniera completa
Una cerniera completa `e un vincolo pi` u forte della cerniera sferica, oltre a limitare le tra-
slazioni della zona del corpo vicina ad A ne impedisce anche ogni componente di rotazione non
parallela a un asse passante per A di dato versore n. Alla zona limitrofa ad A `e quindi consenti-
to un solo grado di libert`a identicabile come la rotazione attorno allasse n. Tale moto `e lunico
che possiede lintero corpo esteso se considerato innitamente rigido. La cerniera completa ha
quindi molteplicit`a 5 in quanto pu`o esercitare le seguenti azioni statiche scalari indipendenti:
3 componenti di forza S, T e V , applicate al punto A (come la cerniera sferica)
2 componenti di momento W e H, considerate applicate in A e aventi direzioni perpendi-
colari allasse n
Per un albero, in uno schema tridimensionale, la cerniera completa `e materializzata dallin-
sieme dei suoi cuscinetti (se collocati in una zona di limitata estensione assiale) che in eetti gli
consentono la sola rotazione attorno allasse. Esempi costruttivi sono pertanto: una coppia di
cuscinetti obliqui contrapposti, una coppia di cuscinetti radiali di cui uno assialmente bloccato,
una bronzina lunga bloccata assialmente.
A
A
S
T
(a) (b)
V
W
H
n
A
S
T
(c)
V W
H
n
Figura 6.4: Esempio di realizzazione di una cerniera completa (a), diagramma
di corpo libero preliminare con le componenti di momento indicate con doppia
freccia (b) o con freccia a nastro(c)
La gura 6.5 mostra come una cerniera completa in A possa essere schematizzata anche
come linsieme di una cerniera sferica pi` u una cerniera piana nello spazio collocate in due
punti distinti A
1
e A
2
(purche vicini). Con tale schematizzazione, le reazioni vincolari sono
rappresentate da 5 componenti di forza (3 per la cerniera sferica in A
1
e 2 per la cerniera piana
nello spazio in A
2
). La scelta di questo schema di vincolo composto pu`o essere suggerita dalla
necessit`a di distinguere la sollecitazione a carico di ognuno dei cuscinetti. Per applicare questo
modello `e peraltro necessario conoscere la distanza A
1
A
2
.
Un esempio di cerniera completa in ambito biomeccanico `e costituito dallarticolazione del
ginocchio. La parte inferiore della gamba, infatti, pu`o ruotare attorno a un asse orizzontale
che `e approssimativamente perpendicolare alla direzione del moto quando si cammina in avanti.
In eetti, una piccola rotazione della parte inferiore della gamba attorno allasse del femore `e
consentita ma, come gli atleti sanno, non `e conveniente sfruttare tale grado di libert`a.
130
6.3. SLITTA, PATTINO O GUIDA PRISMATICA
1 A
S
T
(b)
V
Q
U
n
2 A
A
(a)
1 A 2 A
Figura 6.5: Cerniera completa schematizzata come cerniera sferica pi` u cer-
niera piana nello spazio. La distanza tra i cuscinetti A
1
A
2
deve essere nota
per discriminare le reazioni vincolari
6.2.4 Cerniera completa assialmente libera
La cerniera completa assialmente libera `e materializzata da una bronzina lunga senza spal-
lamenti o da una coppia di cuscinetti entrambi liberi assialmente. Tale vincolo ha molteplicit`a
4 e pu`o essere staticamente schematizzato con:
due componenti di forza T e S agenti in direzioni normali allasse
due componenti di momento W e H equiversi alle due forze.
Una cerniera completa assialmente libera pu`o essere considerata anche come una coppia di
cerniere piane nello spazio poste nelle vicinanze. Tale schema richiede in eetti sempre 4 le
reazioni vincolari indipendenti (in questo caso tutte componenti di forza). Questa equivalenza `e
la versione tridimensionale dellequivalenza tra bipendolo e coppia di appoggi semplici discussa
nel capitolo 4 (bronzina lunga assialmente libera).
1 A
S
T
(c)
Q
U
n
2 A
A
S
T
(b)
n
W
H
A
(a)
1 A 2 A
Figura 6.6: Cerniera completa libera assialmente: tipica realizzazione a),
schematizzata come vincolo in A b), oppure come coppia di cerniere piane
nello spazio c)
6.3 Slitta, pattino o guida prismatica
Il pattino, che pu`o essere considerato una estensione allo spazio del bipendolo, toglie alla
zona limitrofa ad A tutti i moti di rotazione pi` u due moti di traslazione, consentendone la sola
traslazione nella direzione n dellasse del pattino.
131
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
Come illustrato in gura 6.7, le azioni statiche esercitate dal pattino, vincolo che ha
molteplicit`a 5, sono:
due forze T e S perpendicolari allasse
tre componenti di momento W e H e K .
Esempi costruttivi per questo vincolo sono molto frequenti nelle macchine utensili: una guida
a coda di rondine 6.7(a), un manicotto lungo con linguetta, un prolo scanalato. Esistono
anche guide prismatiche con contatto di rotolamento (cuscinetti lineari a sfere) che realizzano
condizioni di vincolo slitta limitando ecacemente le forze di attrito tra gli elementi in moto
relativo.
A
n
A
S
T
W
H
K
(a) (b)
Figura 6.7: Guida prismatica nello spazio: a) soluzione costruttiva a coda di
rondine, b) corrispondente schema di corpo libero preliminare
6.4 Incastro spaziale
Lincastro spaziale `e la diretta estensione dellincastro piano, si tratta infatti di un vincolo
completo avente molteplicit`a 6 che quindi toglie tutti i gradi di libert`a di un corpo rigido,
potendo esercitare nella zona attorno ad A un generico sistema statico composto da:
tre forze mutuamente perpendicolari
tre momenti mutuamente perpendicolari.
Esempi pratici di incastro spaziale sono: saldature, incollaggi, imbullonamenti (come le an-
gie nelle tubazioni). Due tratti di albero realizzati con parti distinte possono essere rese solidali
per mezzo di un incastro materializzato da un giunto rigido. Vi sono molte soluzioni costrut-
tive per il giunto rigido (che saranno studiate nei successivi corsi di Costruzioni Meccaniche),
tuttavia, indipendentemente dai dettagli realizzativi, dal punto di vista statico, il giunto rigido
determina una connessione completa tra le estremit`a di due alberi, consentendo la trasmissione
di tutte le sei componenti delle azioni statiche.
6.5 Giunto universale
Frequentemente si presenta il problema di collegare un albero motore con un albero di
trasmissione parallelo. Se i due alberi sono supportati in modo indipendente (generalmente en-
trambi sono vincolati con cuscinetti che nel complesso realizzano due cerniere complete distinte)
`e possibile che gli assi di rotazione non siano coincidenti, come mostrato in gura 6.8(a). In
questi casi il ricorso a un giunto rigido non `e corretto.
132
6.6. GUIDA O VINCOLO ELICOIDALE
Per permettere la trasmissione del moto rotatorio tra gli alberi paralleli in presenza di un
(limitato) errore di coassialit`a, sono disponibili elementi di collegamento detti giunti univer-
sali. Indipendentemente dalle soluzioni costruttive (giunto di Holdam, giunto a denti, doppio
giunto cardanico, ecc. . . ) il giunto universale ideale determina la corrispondenza del solo moto
rotatorio dei due alberi attorno ai loro assi, ovvero lalbero condotto ruota dello stesso angolo
dellalbero motore. Dal punto di vista statico questo comporta la possibilit`a di esercitare una
azione mutua di momento avente la direzione comune degli assi degli alberi.
A
Motore
W
A
(a)
(b)
Figura 6.8: Giunto universale di collegamento tra due alberi coassiali:
a) schema statico e b) schema dellazione statica esercitata sullalbero di
trasmissione
Il giunto universale ha pertanto molteplicit`a 1, lo schema di corpo libero `e rappresentato
da una componente di momento applicato in A avente direzione dellasse dellalbero, come
mostrato in gura 6.8(b).
6.6 Guida o vincolo elicoidale
La guida o vincolo o coppia elicoidale, materializzato dal collegamento tra il dado e
la vite, sempre trascurando lattrito, `e un vincolo tipicamente tridimensionale. Elementi con
vincoli elicoidali si trovano in molti componenti di macchina, sia per realizzare collegamenti
smontabili sia per ottenere cinematismi in grado di convertire il moto rotatorio in traslatorio o
viceversa. Esempi tipici di collegamenti elicoidali sono viti, bulloni e prigionieri, mentre per le
applicazioni cinematiche basta ricordare il comando della morsa da banco e la vite madre del
tornio.
Per ssare le idee, consideriamo una vite che si accoppia in un foro lettato realizzato su un
elemento sso (che consideriamo telaio). Il movimento consentito alla vite dallaccoppiamento
`e caratterizzato da una rotazione e da una traslazione, entrambe le velocit`a, di traslazione e
di rotazione, sono quindi denite da vettori aventi la direzione dellasse del cilindro su cui si
avvolge lelica. Il movimento consentito dallaccoppiamento elicoidale `e quindi analogo a quello
permesso da una cerniera completa non assialmente bloccata con la notevole dierenza che,
nella guida elicoidale, i moti di traslazione e di rotazione non sono indipendenti. Considerato
un sistema cartesiano ortonormale con lasse z parallelo allasse del cilindro su cui si avvolge
lelica (con verso arbitrario), vale infatti la seguente relazione:

2
= (1)
k
s
np
(6.1)
i cui simboli indicano:
133
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
langolo (in radianti) di rotazione della vite attorno allasse, considerato positivo con la
regola della mano destra (il pollice `e equiverso a z),
s lo spostamento assiale della vite (positivo se equiverso con z),
p il passo della lettatura dato dalla distanza tra due creste successive del letto misurata
in direzione z (in generale si possono considerare due generici punti omologhi su anchi
successivi),
n il numero di principi, che indica di quanti passi avanza assialmente la vite quando ruota
di un angolo giro,
k lindice di forma (k = 0 vite destra, k = 1 vite sinistra).
Lindice di forma denisce il legame tra i versi dei moti di avanzamento e di rotazione.
Se la vite avanza nel senso del pollice della mano destra quando viene fatta ruotare nel verso
indicato dalle altre dita, allora `e chiamata vite destra o destrorsa (k = 0, gura 6.9(a)). Nel
caso contrario, si parla di vite sinistra o sinistrorsa (k = 1, gura 6.9(b)). Per le viti destre i
vettori velocit`a angolare della vite e velocit`a di traslazione dei punti dellasse sono equiversi.
Nella quasi totalit`a dei casi, gli accoppiamenti elicoidali sono realizzati con viti destre a un
principio (k = 0 e n = 1).
p
(a)
(b)
Figura 6.9: Schemi di viti a due principi: (a) vite destra k = 0; (b) vite
sinistra k = 1
Dalla descrizione cinematica si comprende che una vite rigida ha un solo grado di libert`a
e, quindi, che il vincolo elicoidale ha molteplicit`a 5. Per caratterizzare le reazioni vincolari
`e opportuno considerare che il vincolo pu`o esercitare in A le quattro azioni della equivalente
cerniera completa libera assialmente ovvero:
due forze normali allasse della vite (T e S)
due momenti normali allasse della vite (W e H)
pi` u una combinazione di: forza assiale F
z
e momento assiale M
z
, grandezze legate dalla
relazione:
M
z
2 + (1)
k
F
z
np = 0 (6.2)
in cui, per lidealit`a del vincolo, leetto dellattrito sui letti `e stato trascurato. Dal punto
di vista sico linsieme delle azioni statiche costituiscono leetto complessivo prodotto dalle
complesse distribuzioni di forze di supercie che si manifestano nelle parti elicoidali in contatto.
La caratterizzazione dettagliata (punto per punto) di tali distribuzioni `e impossibile da otte-
nersi senza una conoscenza completa della eettiva geometria delle eliche, delle tolleranze di
accoppiamento e prescindendo dalla deformabilit`a degli elementi in contatto. Questo livello di
dettaglio `e necessario se si analizzano problemi connessi con la verica o la progettazione degli
134
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
organi dellaccoppiamento (per esempio per il calcolo dellusura, del rendimento, ecc. . . ) ma
per fortuna non `e necessario per eettuare considerazioni di equilibrio complessivo, almeno se
lattrito `e trascurabile.
Lo schema di corpo libero dellaccoppiamento elicoidale, `e mostrato nella gura 6.10 in cui
`e evidenziato leetto dellindice di forma. Per tracciare lo schema di corpo libero preliminare,
`e opportuno infatti considerare che i versi delle componenti trasversali allasse z delle reazioni
vincolari (forze e momenti) possono essere scelti arbitrariamente mentre il verso di una sola
delle componenti assiali `e libero, essendo laltro conseguenza dellindice di forma. Pu`o essere
utile ricordare che nella vite destra i vettori delle reazioni vincolari forza assiale F
z
e momento
assiale M
z
sono discordi, mentre sono concordi nella vite sinistra. Si osservi che i versi sono
opposti a quelli dei relativi moti. Il fatto che il prodotto dei versori delle componenti assiali
sia discorde dal prodotto dei versori delle associate velocit`a consegue dalla propriet`a comune a
tutti i vincoli ideali che impedisce alle reazioni vicolari di fare lavoro quando il corpo di muove.
Con riferimento alla gura 6.10, tenendo conto del fattore di forma nello schema di corpo
libero preliminare con lopportuna scelta dei versi delle azioni assiali, la relazione 6.2 deve essere
usata con i moduli:
M
A
2 = F
A
np (6.3)
A
A
S
T
W
H
A
F
A
M
(a) (b) (c)
A
S
T
W
H
A
M
A
F
Figura 6.10: Accoppiamento elicoidale tra una vite e una piastra (telaio).
a) disegno convenzionale e schemi di corpo libero preliminari per la vite: b)
lettatura destra, c) lettatura sinistra
6.7 Problemi di statica del corpo rigido nello spazio
Nel seguito sono risolti e discussi alcuni problemi di statica del corpo rigido nello spazio con
particolare attenzione alla schematizzazione dei vincoli.
6.7.1 Problemi con le cerniere
Esempio 6.1: Barra tubolare quadrata
Una barra di acciaio (densit`a = 7.8 kg/dm
3
) avente sezione tubolare quadrata, lato
esterno a = 105 mm e spessore t = 8 mm, `e solidale a un perno che ruota attorno a un
asse orizzontale in A su due bronzine (A
1
e A
2
) e in C `e sostenuta dalla fune verticale t
1
collegata in corrispondenza del piano mediano della barra. In B, la barra sostiene il perno
135
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
di una puleggia attorno alla quale `e avvolta la fune t
2
( = 35

)che giace su un piano


parallelo a y

. Tutti gli attriti possono essere trascurati.


a) Determinare il massimo valore F
max
della forza F che pu`o essere esercitata sulla fune t
2
perche si abbia equilibrio nella congurazione data.
b) Considerando di applicare una forza F = F
max
/2, esprimere, nel sistema di riferimento
indicato, le azioni statiche complessivamente trasmette al telaio in A.

Si tratta di un problema di statica del corpo rigido nello spazio. Il corpo esteso rigido
continuo AC, che comprende il perno della puleggia B, `e soggetto ai carichi:
peso proprio (forza uniformemente distribuita) di intensit`a totale pari a P = 498.8 N,
che, ai ni dellequilibrio globale, `e schematizzabile come una forza concentrata
applicata nel centro di massa della barra;
tiro della fune che si riduce a due forze applicate nel centro della puleggia B di
intensit`a F (in eetti questo carico si ottiene considerando lequilibrio della puleggia,
procedimento pi` u volte attuato e che si considera noto).
Si osservi che il tiro del cavo `e da considerarsi un carico parametrico in quanto nella
varie fasi dellesercizio `e richiesto di analizzarne gli eetti. La barra AC `e vincolata con:
una cerniera spaziale completa in A
un appoggio semplice in C.
y
z
x
20a
2
.
2
a

C
a
A
1.5
0
.
5
a
B
t
2
t
1
a
y
z
x
F
A
2
A
1
6a
C
Figura 6.11: Disegno della barra
136
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
Lidenticazione del tipo di cerniera `e immediata sulla base di considerazioni cinematiche:
vincolata dal solo supporto in A, la barra potrebbe soltanto ruotare attorno allasse del
perno. Lo schema di corpo libero preliminare `e riportato in gura 6.12 che evidenzia le
incognite statiche: le componenti di forza S, V , U, T e le componenti di momento Q e W.
S
U
V
W
Q
T
y
z
x
F
F
P
Figura 6.12: Schema di corpo libero preliminare della barra
Le equazioni cardinali sono le seguenti (`e stato usato A come polo):
_

_
(R
x
= 0) S = 0
_
R
y
= 0
_
U +F sin = 0
(R
z
= 0) V +F (1 + cos ) P +T = 0
(M
x
= 0) F (1 + cos ) 6a P 10a +T 20a = 0
_
M
y
= 0
_
W F (1 + cos ) a = 0
(M
z
= 0) Q+F sin a = 0
in particolare, dalla quarta `e possibile ricavare T:
T =
P
2

3
10
F (1 + cos )
Poiche lappoggio in C `e unilatero, lazione di vincolo sar`a esercitabile solo se T risulter`a
positiva (concorde con il verso assunto). Dalla condizione T 0 si ricava la riposta a):
F
max
=
5P
3 (1 + cos )
= 457.0 N
Ponendo F = 228.5 N, la soluzione del sistema `e la seguente:
_

_
S = 0
U = F sin = 131.1 N
V = P F (1 + cos ) T = 41.57 N
T = 124.7 N
W = F (1 + cos ) a = 4.364 10
4
Nm
Q = F sin a = 1.376 10
4
Nm
da cui, lo schema di corpo libero denitivo:
137
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
124.7 N
228.5 N
228.5 N
0.238 N/mm
131.1 N
13760 Nmm
43640 Nmm
41.57 N
y
z
x
Figura 6.13: Schema di corpo libero denitivo della barra
nel quale il peso proprio `e stato rappresentato come carico uniformemente distribuito
sullasse della barra (trattandosi di un corpo esteso con una dimensione prevalente sulle
altre). Sulla base del terzo principio `e immediato fornire la risposta b): una forza di
componenti
_
_
0
131.1
41.57
_
_
N
e un momento di componenti:
_
_
0
4.364
1.376
_
_
10
4
Nmm
Nellesempio appena discusso, osserviamo che la cerniera completa non esplica completa-
mente la sua azione di vincolo, essendo nulla la componente della forza in direzione dellasse del
perno. Questo risultato `e dovuto al fatto che il carico agente sul corpo non ha componenti nella
direzione dellasse della cerniera.
Esempio 6.2: Portellone
La gura 6.14 illustra un portellone quadrato (a = 600 mm), avente massa M = 40 kg
uniformemente distribuita, che `e tenuto in posizione ( = 40

) dalla cordicella EB. Il


portellone `e vincolato al muro verticale da una coppia di cardini il cui dettaglio costruttivo
`e riportato nella gura. Dopo aver tracciato lo schema di corpo libero allequilibrio:
a) valutare la forza orizzontale minima F
min
che si deve applicare in C per chiudere il
portellone;
b) supponendo di esercitare la forza F
min
costantemente in C e sempre nella stessa
direzione no a chiusura, valutare la velocit`a con cui il punto C impatta sul muro.
138
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO

A
B C
D
E
E
a
a
a
0.12a
0.1a
y
z
x
y
z
x
Figura 6.14: Portellone aperto
Si tratta di un problema di corpo esteso, che assumiamo rigido, nello spazio. Il carico
`e rappresentato dal peso proprio che, per lanalisi di equilibrio complessivo, pu`o essere ri-
condotto a una forza concentrata P = 392.4 N applicata nel centro del quadrato. Laspetto
pi` u interessante della modellazione consiste nella schematizzazione dei vincoli. Nel punto
B `e immediato identicare un appoggio semplice (unilatero) materializzato dalla cordicella
attaccata al muro (telaio). Si pu`o notare che il versore del cavo n si ricava con semplici
passaggi partendo dalle quote del disegno:
n =
_
_
n
x
n
y
n
z
_
_
=
BE
[BE[
=
_
_
0.868
0.135
0.478
_
_
Anche i cardini A e D sono vincoli, in quanto impediscono al portellone di muoversi
liberamente nello spazio esercitando azioni statiche a priori incognite. Come tutti i vincoli
reali, `e necessario identicare i vincoli elementari pi` u ragionevoli per rappresentarli. I
due cardini, costruttivamente uguali, sono facilmente riconducibili a cerniere, il problema
si sposta quindi sullidenticazione del tipo di cerniera pi` u adatta. Sulla base della forma
del cardine (evidenziata dallingrandimento) si potrebbe azzardare il vincolo di cerniera
spaziale completa per entrambi. Tuttavia tale ipotesi, che prevede che ognuno dei cardini
sia in grado di denire non solo la posizione del centro del perno ma anche il suo asse, non
`e molto plausibile se si considera che:
in una applicazione del tipo considerato, il gioco del perno sulla sede del cardine `e
sicuramente signicativo,
lestensione assiale del vincolo, supposto rappresentato in scala nel disegno, `e piccola
rispetto alle dimensioni caratteristiche del problema dellordine di a
gli elementi costruttivi dei cardini non sono innitamente rigidi
il portellone sar`a costruito in modo che sia agevole il funzionamento e
presumibilmente anche il montaggio.
139
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
In eetti se, per esempio A fosse una cerniera completa, a parte la rotazione attorno
al perno, tale vincolo sarebbe da solo in grado di mantenere il portellone in equilibrio.
`
E da dubitare per`o che tale equilibrio possa eettivamente manifestarsi senza lintervento
dellaltro cardine D. In termini pratici, nessun installatore farebbe adamento, nemmeno
durante il montaggio, al solo cardine A, anche con il portellone verticale appoggiato al
muro. Possiamo infatti prevedere che leventuale azione di momento (avente direzione
x) che il cardine unico A dovrebbe esercitare, si manifesterebbe solo dopo il recupero
completo dei giochi, quindi con una sensibile inclinazione del portellone (attorno allasse x)
e producendo una forte sollecitazione degli elementi che costituiscono il cardine. Pertanto,
dato che in esercizio, ovvero con entrambi i cardini in posizione, tale inclinazione non
`e consentita, una signicativa componente x di momento non pu`o essere esercitata dal
vincolo A.
Possiamo concludere che entrambi i cardini agiscono in modo da mantenere i vertici
inferiori del portellone in posizione ma che nessuno dei due sarebbe ecace per determinare
lorientamento del perno e agisse da solo. Lasse attorno a cui il portellone pu`o ruotare `e
pertanto denito dallazione combinata dei due cardini. Da queste considerazioni ricaviamo
che in A e in D sono schematizzabili cerniere sferiche o cerniere piane nello spazio. Per
discriminarle, `e necessario ancora riferirsi allo schema costruttivo. Entrambi i cardini
sono in grado di esercitare forze generiche su un piano parallelo a x z. Tuttavia se
conseguentemente assumessimo per entrambi il vincolo di cerniera piana nello spazio, il
portellone sarebbe libero di traslare in direzione y. In eetti, i macroscopici giochi assiali sui
perni che si osservano nel dettaglio costruttivo indicano che tale movimento `e permesso. In
pratica per`o se sotto lazione di una spinta in direzione y il portellone scorresse assialmente,
uno dei perni raggiungerebbe il fondo corsa e il corrispondente cardine potrebbe esercitare
anche una forza in direzione y. Tale cardine quindi assumerebbe le caratteristiche di una
cerniera sferica.
Dal disegno non `e possibile stabilire in quale dei due perni si verica il contatto assiale.
Situazioni di questo tipo si presentano spesso in pratica, perche leettivo funzionamento
pu`o dipendere da quantit`a, spesso piccole, che non sono completamente denite in fase di
progetto o non sono controllabili in esercizio. In questi casi la soluzione pi` u ragionevole
consiste nel risolvere il problema tendo conto di tutte le possibilit`a ovvero, per il caso in
esame considerare in alternativa:
1. il cardine A una cerniera sferica e D una cerniera piana nello spazio
2. il cardine D una cerniera sferica e A una cerniera piana nello spazio.
Alla ne si dovr`a vericare che tutti i conseguenti modelli forniscano risultati tali da
garantire le condizioni di sicurezza.
Ci si pu`o chiedere: se lazione complessiva dei due cardini lascia al corpo rigido la so-
la rotazione attorno allasse AD, perche non considerarli entrambi come ununica cerniera
completa? Questo ragionamento ha la sua validit`a, in eetti per lequilibrio complessivo del
portellone, e per lanalisi del suo moto, lo schema statico con ununica cerniera completa
fornisce risultati coerenti con quelli ottenibili dai modelli di vincolo proposti. Tuttavia,
poiche tale cerniera completa `e costruttivamente realizzata con elementi la cui distanza (a)
`e una dimensione caratteristica del problema, non `e individuabile un punto, o meglio una
zona di dimensioni piccole, in cui le reazioni vincolari della cerniera completa sono appli-
cate. La situazione `e infatti diversa dal caso discusso nel paragrafo 6.2.3 dove la coppia di
140
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
cuscinetti occupava una zona di estensione assiale contenuta rispetto alle dimensioni signi-
cative del corpo (lunghezza dellalbero). Nel caso del portellone, la separazione dellazione
vincolare in due cerniere facilita la comprensione della sica del problema e permette di
valutare in modo pi` u accurato le azioni statiche scambiate tra portellone e telaio. La sche-
matizzazione con cerniera completa unica non consentirebbe, per esempio, di individuare
immediatamente quale dei due cardini `e pi` u sollecitato.
y
z
x
T
R
S
U
V
H
P
Figura 6.15: Schema di corpo libero preliminare con cerniera sferica in A
Sulla base dello schema di corpo libero preliminare di gura 6.15, in cui la cerniera
sferica `e stata posta in A, dalle equazioni cardinali si ottengono le seguenti relazioni (A
assunto come polo per il calcolo dei momenti):
_

_
(R
x
= 0) R +H +T n
x
= 0
(R
y
= 0) U +T n
y
= 0
(R
z
= 0) S +V +T n
z
P = 0
(M
x
= 0) V a T n
y
a cos P a/2 = 0
(M
y
= 0) T n
x
a cos T n
z
a sin +P a/2 sin = 0
(M
z
= 0) T n
y
a sin H a = 0
_

_
R = 123.9
S = 147.6
U = 17.52
V = 182.8
H = 11.3
T = 129.7
con i risultati espressi in N. Lo schema di corpo libero denitivo `e rappresentato in gura
6.16. E lasciata come esercizio la verica delle seguenti aermazioni.
Se si inverte il tipo di cerniera tra i due cardini A e D, la soluzione `e molto simile:
lunica dierenza consiste nel fatto che la componente y della reazione (sempre di
17.5 N) `e applicata in D invece che in A.
Il tiro del lo si trova correttamente anche assumendo un vincolo unico di cerniera
completa attorno allasse AD localizzata in qualunque punto dellasse di rotazione.
Assumendo come parametro di confronto il modulo della reazione vincolare, il car-
dine in A `e leggermente pi` u sollecitato del cardine in D (indipendentemente dalla
modellazione dei vincoli)
141
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
17.5
123.9
147.6
11.3
182.8
129.7
392.4
y
z
x
Figura 6.16: Schema di corpo libero denitivo con cerniera sferica in A,
forze in N (a rigore il peso proprio dovrebbe essere rappresentato come una
distribuzione uniforme applicata su tutto il portellone)
Per rispondere alla domanda a), `e necessario considerare che lapplicazione di una
forza orizzontale F in C permette lequilibrio nella congurazione data se il cavo rimane
teso. La forza minima per chiudere il portellone `e quindi determinata dalla condizione
di annullamento del tiro del cavo. Anche se non `e dicile dimostrarlo rigorosamente, si
intuisce che la forza orizzontale minima per chiudere il portellone deve essere esercitata in
direzione x (la componente y non sarebbe ecace). Per determinare la forza minima di
chiusura `e pertanto suciente ripetere il ragionamento svolto precedentemente, eliminando
il vincolo in B e assumendo in C una reazione di appoggio semplice avente direzione x. Si
ottiene in questo modo:
F
min
= 164.6 N
`
E lasciato al lettore il compito di vericare che la forza necessaria per mantenere il portel-
lone in equilibrio durante la fase di chiusura `e inferiore a F
min
e quindi che, se tale forza
`e mantenuta costante, una parte del lavoro da questa fatto sar`a trasformato in energia
cinetica del sistema. Il lavoro complessivamente svolto dalla forza se mantenuta costante
durante la chiusura (domanda b)) vale:
L = F
min
a sin = 63.48 J
Trascurando gli attriti, il lavoro `e convertito in variazione di energia potenziale e in energia
cinetica. Indicando con:
I =
1
3
M a
2
= 4.8 kgm
2
il momento dinerzia di massa del portellone rispetto allasse di rotazione, il bilancio
energetico nellistante della chiusura fornisce la relazione:
1
2
I
2
= L Mg
a
2
(1 cos )
la velocit`a angolare allimpatto vale quindi: = 3.87 rad/s a cui corrisponde una velocit`a
nale di C pari a:
v
C
= 2.32 m/s
142
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
Esempio 6.3: Freno
Lalbero rappresentato in gura 6.17, ruota a n = 2500 giri/min nel senso indicato, soste-
nuto da una coppia di cuscinetti radiali a sfere A e B, di cui A assialmente bloccato. Sulla
supercie esterna del disco D di raggio R
D
= 195 mm e massa m
D
= 12 kg agisce un freno
azionato da un attuatore idraulico che esercita sulla pastiglia una forza F. Allestremit`a,
lalbero porta un volano cilindrico V di massa m
V
= 30 kg e raggio R
V
= 245 mm. Albero
e dischi sono in acciaio. Il coeciente dattrito tra la pastiglia e il disco `e = 0.3.
Trascurando le forze peso, e sapendo che lalbero deve essere arrestato in t
0
= 3.5 s:
a) valutare il modulo della forza F che deve esercitare lattuatore;
b) valutare, nel sistema indicato, lazione statica esercitata dallalbero sul cuscinetto B
durante la frenatura;
c) disegnare lo schema di corpo libero denitivo del corpo composto dallalbero dal disco
del freno e dal volano.
y
z
x
150
36
A
250 60
B
D
V
40
E
E
Sez. E-E
F
y
z
x
Fig. 6n1
Figura 6.17: Albero frenato
Si tratta di un problema con parti in movimento e attrito cinetico. Consideriamo il sistema
di riferimento indicato solidale con lalbero e quindi non inerziale. Se la forza frenante F
`e costante nel tempo di frenatura, il moto rotatorio risulter`a uniformemente decelerato, da
cui, essendo la velocit`a angolare iniziale:
0
= 2n/60 = 261.8 rad/s si ricava il modulo
dellaccelerazione angolare: = /t
0
= 74.8 rad/s
2
.
La legge di moto permette di valutare le forze dinerzia che, trascurato il peso, sono
gli unici carichi agenti. Per chiarire la distribuzione dei carichi dinerzia, consideriamo
un generico istante durante la fase di frenatura. Ogni elemento innitesimo del volano
(volume dV ) `e soggetto a due componenti di forza dinerzia entrambe di trascinamento:
una componente radiale (centrifuga) e una componente tangenziale, che hanno moduli
rispettivamente:
df
c
= dm a
r
=
2
r dV
e
df
t
= dm a
t
= r dV
143
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
in cui r `e la distanza dellelemento innitesimo in esame dallasse di rotazione, la densit`a
del materiale e =
0
t la velocit`a angolare istantanea. Le componenti radiali e
tangenziali delle azioni inerziali distribuite sono schematizzate nella gura 6.18 in cui il
volano `e mostrato dalla parte negativa dellasse y

. Considerando le forze dinerzia come


distribuzioni volumiche, entrambe hanno andamento costante in direzione circonferenziale
e linearmente variabile in senso radiale. Si pu`o osservare che la distribuzione delle forze
centrifughe pu`o essere considerata come un insieme di coppie di braccio nullo e quindi
`e autoequilibrata. Ovviamente diverso sarebbe il caso in cui a ruotare fosse un oggetto
non circolare, oppure se il disco ruotasse attorno a un diverso asse. Pertanto, ai ni
dellequilibrio complessivo del disco, e quindi dellalbero con i dischi, le forze centrifughe
non sono, in questo caso, rilevanti e possono essere ignorate nel seguito.
Fig. 6n2
y
z
x
c
df
r
t
df

(a) (b)

Figura 6.18: Forze dinerzia distribuite sul disco: a) centrifughe e b)


tangenziali
Le forze dinerzia tangenziali (gura 6.18(b)) che non sono autoequilibrate, possono
essere considerate innite coppie di braccio non nullo che globalmente producono un mo-
mento risultante avente direzione parallela a y

. Il polo pi` u conveniente per il calcolo del


momento risultante M
V
`e il centro del disco:
M
V
=
_
V olano
rdf
t
=
_
V olano
r
2
dV = I
V

in cui I
V
indica il momento dinerzia di massa del volano rispetto al suo asse di rotazione:
I
V
=
1
2
m
V
R
2
V
= 0.9 kgm
2
da cui si ottiene:
M
V
= 67.35 Nm
In generale, il verso delle forze dinerzia deve essere valutato a priori. A tale proposito
`e utile vericarne il segno sia attraverso la denizione (il verso `e opposto alle rispettive
accelerazioni di trascinamento) sia attraverso considerazioni di tipo sico, basate sulla
circostanza che le azioni dinerzia tendono a opporsi alle modiche del moto inerziale del
corpo su cui agiscono. In questo caso infatti il momento delle forze dinerzia tende a
mantenere la velocit`a angolare costante.
144
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
Un analogo ragionamento vale per il disco del freno per il quale:
I
D
=
1
2
m
D
R
2
D
= 0.228 kgm
2
M
D
= 17.07 Nm
A rigore, anche lalbero, composto da due cilindri coassiali, ha un suo carico dinerzia
dello stesso tipo. Tuttavia, una semplice valutazione, lasciata come esercizio, mostra che il
valore del momento delle forze dinerzia dellalbero `e trascurabile rispetto a quello dei dischi,
Si osservi infatti la dipendenza del momento dinerzia di massa I dal raggio esterno del
disco. Possiamo a questo punto tracciare il diagramma di corpo libero preliminare, tenendo
conto che, essendo in condizioni di attrito cinetico, le azioni del contatto strisciante sono
denite a meno di ununica quantit`a scalare.
A
B
Q
y
z
x
V
R
S
T
U
F
0.3F
M
D
M
V
Fig. 6n3
Figura 6.19: Schema di corpo libero preliminare
I cuscinetti sono stati assunti orientabili, o almeno sucientemente orientabili, in modo
che A, che `e assialmente bloccato, sia schematizzabile come una cerniera sferica e B come
una cerniera piana nello spazio. I momenti delle forze dinerzia del disco del freno e
del volano sono stati rappresentati come momenti concentrati applicati ai rispettivi dischi.
Una valutazione immediata mostra luguaglianza tra il numero di incognite 6 e il numero di
equazioni indipendenti della statica per un corpo rigido nello spazio. Le equazioni cardinali,
per lequilibrio alla rotazione `e stato usato il polo A, permettono di ottenere il seguente
sistema risolvente, che ammette soluzione unica:
_

_
S +Q0.3F = 0
T = 0
R +U F = 0
F 150 +U 400 = 0
0.3F 195 +M
V
+M
D
= 0
0.3F 150 Q 400 = 0
con soluzione (valori in N):
_

_
F = 1443
Q = 162
R = 902
S = 271
T = 0
U = 541
Da ci`o otteniamo: la risposta a) F = 1443 N e la risposta b) una forza di modulo
565 N avente componenti nel sistema indicato:
_
_
162.3
0
541
_
_
N
(Attenzione al terzo principio!)
La gura 6.20 `e la risposta c):
145
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
A
B
V
162 N
271 N
67.35 Nm
17.07 Nm
433 N
1443 N
541 N
902 N Fig. 6n4
Figura 6.20: Schema di corpo libero denitivo
Con riferimento allesempio precedente sono opportuni alcuni chiarimenti sulla notazione e
sui simboli. Al termine momento dinerzia si attribuiscono in Meccanica almeno tre diversi
signicati che coesistono negli argomenti del presente corso.
La propriet`a inerziale di un corpo esteso rotante dovuta alla distribuzione spaziale della
massa, solitamente riferita allasse di rotazione, grandezza che ha come dimensioni [ML
2
]
e si misura generalmente in kgm
2
. Come nellesempio esaminato, indicheremo general-
mente questa quantit`a con la lettera I e, per evitare ambiguit`a, la chiameremo momento
dinerzia di massa.
La caratteristica geometrica delle sezioni che ha dimensioni [L
4
], grandezza che general-
mente si misura in mm
4
, che chiameremo momento dinerzia darea o di sezione
(vedi appendice D), indicata con la lettera J.
Sono solitamente indicati come momenti dinerzia anche le quantit`a M
V
e M
D
ottenute
nel precedente esempio che sono dimensionalmente momenti e si misurano in Nm (o pi` u
frequentemente Nmm). Per evitare confusione nel seguito saranno chiamati momenti
delle forze dinerzia.
Esempio 6.4: Albero di trasmissione con catene
Un albero di trasmissione ruota a velocit`a costante di 250 giri/min su due cuscinetti radiali
a sfere B e C (gura 6.21). La potenza di 10 kW `e fornita dalla catena in A e trasmessa
alla catena in D (a = 30 mm). Trascurando il peso proprio:
a) determinare nel sistema indicato le azioni statiche che lalbero trasmette al cuscinetto
B;
b) tracciare lo schema di corpo libero denitivo per lalbero pi` u le ruote di catena con una
rappresentazione in assonometria.

Nel normale funzionamento, il tiro del ramo lento di una catena pu`o essere solitamente
trascurato. Il carico sullalbero comprese le ruote di catena `e dato dal tiro T
0
della catena
in A, che pu`o essere ricavato dai dati di potenza: W = T
0
10a essendo = 2n/60
(attenzione alle unit`a di misura!), da cui si ottiene T
0
= 1273 N. Per quanto riguarda i
146
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
vincoli: il cuscinetto in B `e una cerniera sferica mentre il cuscinetto in C `e una cerniera
piana nello spazio. Non `e dicile prevedere quale dei rami della catena condotta eserciti
il tiro e collocare un appoggio in corrispondenza del relativo punto di inizio contatto con
la ruota. In assenza di tale previsione sarebbe necessario ipotizzare entrambe le possibilit`a
e vericare a posteriori che solo una di esse consente lequilibrio con la catena che esercita
unazione compatibile con il vincolo unilatero.
2
0

a
2a
2.6a
15a
10a
A
C
B
D
y
z
x
2
0

a
2
0

a
(a)
(b)
x
z
y
Figura 6.21: Albero di trasmissione: a) vista di anco, b) vista dallalto
Lo schema di corpo libero preliminare `e mostrato in gura 6.22 e le equazioni di
equilibrio sono le seguenti:
_

_
R
B1
+R
C1
T = 0
R
B3
+R
C3
+T
0
= 0
R
B2
= 0
T
0
10a T 15a = 0
R
B1
10a +T 10a = 0
R
B3
10a T
0
20a = 0
dalle quali si ottiene la risposta a):
_
_
848
0
2546
_
_
N
147
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
Fig 6n6
D
C
B
A
T
R
C3
R
B3
R
C1
R
B1
R
B2
T
0
=1273 N
x
z
y
D
C
B
A
Ramo teso
Ramo lento
Ramo teso
Ramo lento
(a)
(b)
Figura 6.22: Schema (a) di funzionamento dei rami delle catene e diagramma
(b) di corpo libero preliminare
Lo schema di corpo libero denitivo (risposta b) `e rappresentato in gura 6.23.
Fig 6n7
D
C
B
A
1273 N
1273 N
849 N
849 N
2546 N
1698 N
Figura 6.23: Schema di corpo libero denitivo
6.7.2 Altri tipi di vincolo
Nei prossimi esempi sono illustrati casi in cui compaiono anche altri vincoli tridimensionali.
Esempio 6.5: Chiave ssa
Un meccanico usa una chiave ssa (schema in gura 6.24) per serrare una vite destra che `e
gi`a a fondo corsa in A. Il piano x

`e orizzontale e, per il serraggio, il meccanico esercita


con la mano destra una forza verticale in D pari a P = 300 N. Nel sistema di riferimento
indicato, determinare:
a) lazione che il meccanico esercita in G con la mano sinistra;
148
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
b) il conseguente schema di corpo libero denitivo della chiave;
c) le azioni statiche che la chiave esercita sulla testa della vite.

Assunta la chiave ssa come un corpo rigido, consideriamo le interazioni con gli altri
elementi per identicare carichi e vincoli. Questo problema presenta le tipiche dicolt`a
di schematizzazione dei casi in cui `e necessario ricondurre a modelli ideali carichi e vincoli
reali, specialmente quando dovuti allintervento delloperatore umano. In questo caso,
`e ragionevole assumere che loperazione sia eseguita da un meccanico esperto che usa
lattrezzo in modo corretto e con ecienza. Questa ipotesi comporta che egli cercher`a
di minimizzare le forze che deve esercitare per ottenere il risultato voluto.
A
D
G
B
A
G
y
z
x
2
0
0
1
0
0
200
1
0
0
1
0
0
y
z
x
Fig 6n8
(a)
(b)
C
D
E
F
Figura 6.24: Chiave ssa: a) rappresentazione assonometrica dellattrezzo in
uso, b) vista dallalto
In corrispondenza del punto A potrebbe sembrare che agisca un vincolo di guida pri-
smatica. Tuttavia, il gioco tra la chiave e la testa della vite (presumibilmente vari decimi di
mm), necessario per limpiego pratico dellattrezzo, rende poco verosimile assumere che la
posizione dellasse della chiave sia determinata dal solo montaggio sulla testa della vite. Per
convincersene basta pensare alleetto che produrrebbe sullassetto della chiave anche il so-
lo peso proprio, che peraltro `e un carico trascurabile. La testa della vite impedisce in eetti
al punto A della chiave solo di spostarsi nello spazio e di ruotare attorno allasse della vite
(la vite `e gi`a a fondo corsa). Identichiamo quindi in A un vincolo di molteplicit`a 4, non
compreso nei vincoli elementari esaminati, che pu`o essere considerato la sovrapposizione di
una cerniera sferica e di un giunto universale con asse parallelo a y

.
Con la mano destra il meccanico esercita un carico che, con ragionevole approssima-
zione, pu`o essere rappresentato da una forza applicata in D avente direzione verticale e
verso opposto a z

. La mano sinistra, invece, svolge una funzione di vincolo perche viene


controllata in modo da mantenere lattrezzo nella corretta congurazione, indipendente-
mente dallentit`a delle azioni statiche che devono essere esercitate, almeno entro i limiti
siologici. Dal punto di vista del modello, lazione esercitata dalla mano sinistra `e pertanto
una reazione vincolare e quindi una incognita. Il vincolo pi` u semplice richiesto in G per
mantenere lassetto della chiave senza che intervengano reazioni non necessarie, o peggio
azioni che contrastano loperazione di serraggio, consiste in una cerniera piana nello spazio
avente asse parallelo a y

.
149
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
D
A
G
300 N
R
S
U
V Q W
180 N
D
A
G
300 N
120 N
60 Nm
Fig 6n9
(a)
(b)
Figura 6.25: Schemi di corpo libero: a) preliminare, b) denitivo
Nellipotesi di un comportamento razionale ed eciente delloperatore, lo schema di
corpo libero preliminare `e rappresentato in gura 6.25(a). Imponendo le sei equazioni
cardinali (polo nel punto A) si ottiene il sistema lineare:
_

_
R +U = 0
Q = 0
S +V P = 0
S 500 +P 300 = 0
P 200 W = 0
R 500 = 0
la cui soluzione (forze in N, momenti in Nm) `e:
_

_
R = 0
U = 0
Q = 0
S =
3
5
P = 180
V =
2
5
P = 120
W = 60
Risposta a): una forza di componenti
_
_
0
0
180
_
_
N
Lo schema di corpo libero denitivo `e riportato in gura 6.25b) (risposta b)
Lazione esercitata sulla testa della vite (risposta c) `e cmpessivamente data da una
forza e un momento con componenti rispettivamente:
_
_
0
0
120
_
_
N
_
_
0
60
0
_
_
Nm
Nota. Osserviamo che lazione statica esercitata sulla testa della vite ha una componente
utile (quella di momento) che `e responsabile dellazione di serraggio e una componente
inutile (la forza) che `e conseguenza dal tipo di attrezzo impiegato. Con una chiave a tubo
sulla quale `e esercitabile unazione di puro momento, tale reazione di forza poteva essere
eliminata.
150
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
La soluzione di molti problemi strutturali `e condizionata, spesso in misura determinante,
da come un operatore umano usa eettivamente la macchina o la struttura. Il comportamento
umano non `e sempre facilmente prevedibile e ci`o impone allanalista lobbligo di formulare ipo-
tesi, talvolta anche molto pesanti, per ottenere un modello calcolabile. Questa operazione non
`e facile e risulta spesso anche incerta e quindi discutibile. Per esempio, si pensi allanalisi di
elementi strutturali di veicoli per i quali le sollecitazioni sono fortemente dipendenti dallo stile
di guida che varia molto da un utilizzatore allaltro e, per lo spesso individuo, cambia secondo
le circostanze. In questi casi, soprattutto quando vi sono condizioni critiche per la sicurezza, il
metodo pi` u rigoroso consiste nel ricorre alla rilevazione diretta, che generalmente comporta one-
rose misure ed elaborazioni statistiche. Peraltro, anche in presenza di dati statistici esaurienti,
risulta necessaria una notevole dose di buon senso per denire il modello di calcolo, perche non
`e possibile, e talvolta nemmeno opportuno, modellare tutti i possibili comportamenti dellope-
ratore. Spesso, lanalista assume un atteggiamento cautelativo, ovvero si pone dalla parte della
sicurezza, esasperando i comportamenti delloperatore, adottando la cos` detta progettazione
a prova di stupido (fool-proof design). Tuttavia, anche tale strategia impone la necessi-
t`a di ssare limiti ragionevoli che non possono prevedere tutte le possibilit`a. Inevitabilmente
lo stupido ha sempre pi` u fantasia del progettista ed esisteranno sempre modalit`a di uso, o di
abuso, della macchina non previste in fase di progetto.
Nel caso della chiave, per esempio, nulla impedirebbe alloperatore di esercitare con la mano
sinistra anche una qualunque componente orizzontale di forza (nel verso delle y

positive), inoltre
molte altre azioni di forza o di momento (in varie direzioni) potrebbero essere esercitate con
ognuna delle mani, sfruttando lestensione della zona di contatto e lattrito, e producendo eetti
che facilitano o contrastano il serraggio della vite. Appare evidente quindi che la soluzione
ottenuta `e fortemente condizionata dalle varie ipotesi di uso razionale dellattrezzo che sono
state assunte contando su una suciente esperienza professionale delloperatore.
Esempio 6.6: Giunto elicoidale
La barra orizzontale EH in gura 6.26 avente massa 12 kg `e collegata in E a una vite
di manovra (elica destra, passo 5 mm, 1 principio) e in H al cavo HG. La vite pu`o
ruotare attorno ai cuscinetti orientabili A e B ed `e collegata al giunto universale D. Nella
congurazione indicata il sistema risulta in equilibrio. Trascurando il peso proprio della
vite e gli attriti:
a) tracciare lo schema di corpo libero della barra;
b) determinare il momento che il giunto D trasmette alla vite;
c) fornire nel sistema di riferimento indicato le azioni statiche che la vite esercita sui
cuscinetti.
151
6. STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
350
150
3
0
0
1
0
0
B
A
E
D
H
G
G
y
z
x
y
z
x
Fig 6n10
Figura 6.26: Braccio con accoppiamento elicoidale
Lo schema di corpo libero del braccio (gura 6.27(a)) `e tracciato tenendo conto che la
vite `e destra e quindi attribuendo alle reazioni assiali del vincolo elicoidale versi opposti.
Trattandosi di un unico corpo rigido, il peso proprio pu`o essere concentrato nel baricentro.
Si osservi che le incognite eettive sono 6 per il legame tra F
A
e M
A
, per cui le equazioni
cardinali sono potenzialmente sucienti a determinare la soluzione.
y z
x
H
T
F
A
M
A
S
R
W
Q
E
H
117.2 N
93.3 Nmm
0.266 N
0.596 N
20.41Nm
0.336 N/mm
Fig 6n11
(a) (b)
117.7 N
Figura 6.27: Schemi di corpo libero:(a) preliminare e (b) denitivo per il
braccio
Lo schema di corpo libero denitivo `e (risposta a) rappresentato in gura 6.27b). Si
pu`o osservare come alcune componenti delle reazioni vincolari sono relativamente piccole
(sono rappresentate fuori scala nel disegno). In eetti tali azioni potrebbero essere tra-
scurate in una situazione pratica e sono riportate per motivi didattici. Per la risposta
b) `e suciente considerare lequilibrio della vite che risulta nel suo complesso sollecitata
dalle azioni trasmesse dalla madrevite (che ora non sono pi` u incognite) ed `e vincolata da
una cerniera completa (linsieme dei due cuscinetti) pi` u il giunto universale. Lequilibrio
alla rotazione attorno allasse della vite permette di determinare la reazione di momento
richiesta:
_
_
0
0
93.26
_
_
Nmm
152
6.7. PROBLEMI DI STATICA DEL CORPO RIGIDO NELLO SPAZIO
Per rispondere alla domanda c, `e necessario separare i due cuscinetti nello schema sta-
tico. Poiche non ci sono ragioni per assumere che i cuscinetti siano forzati assialmente,
assumiamo che il montaggio assiale sia realizzato con un piccolo gioco di entit`a non rile-
vante. Pertanto uno dei due cuscienetti sar`a in contatto (cerniera sferica) mentre laltro
sar`a assialmente libero (cerniera piana nello spazio). Sulla base dei risultati ottenuti, non `e
dicile prevedere quale cuscinetto eserciti la funzione di cerniera sferica, tuttavia in situa-
zioni pi` u complicate pu`o essere necessario formulare una ipotesi e vericarla a posteriori,
considerando la natura unilaterale del contatto sullo spallamento.
A
1
A
2
B
1
B
2
B
3
93.3 Nmm
0.596 N
117.7 N
y z
x
Fig 6n12
Figura 6.28: Schema di corpo libero preliminare con la separazione dei
cuscinetti
Nella gura 6.28 `e mostrato lo schema di corpo libero preliminare in cui il cuscinetto B
`e stato assunto come cerniera sferica. Lequilibrio pu`o essere imposto sul corpo composto,
albero pi` u braccio, ottenendo una signicativa semplicazione dei calcoli. Il risultato A
1
=
0.067 N, A
2
= 51.0 N, B
1
= 0.2 N, B
2
= 51.0 N e B
3
= 117.2 N conferma la validit`a
dellipotesi sui vincoli. Indicando con

R
A
la forza in A e

R
B
la forza in B la risposta c `e
quindi:

R
A
=
_
_
0.067
51.0
0.0
_
_
N ;

R
B
=
_
_
0.2
51.0
117.2
_
_
N
153
Capitolo 7
Statica delle strutture di corpi rigidi
Nel presente capitolo i metodi sviluppati per lo studio dellequilibrio dei singoli corpi sono
estesi allo studio di insiemi di corpi: le strutture. La statica delle strutture non richiede nuovi
principi o metodi, tuttavia, la possibilit`a di collegare tra loro molti corpi con diversi vincoli rende
lanalisi statica un compito non sempre banale. Per questo motivo, sono presentati procedimenti
generali che facilitano la classicazione e la soluzione dei problemi. Nel capitolo sono discussi
vari esempi con particolare riferimento ai casi meno complessi di strutture composte da corpi
rigidi nel piano.
7.1 Concetto di struttura e calcolo dei gradi di libert`a
7.1.1 Strutture e macchine
Con il termine struttura (structure) si intende un insieme di corpi, generalmente estesi,
collegati tra loro e al telaio per mezzo di vincoli sui quali agiscono carichi. Poiche nora sono
stati sviluppati modelli meccanici per i punti materiali e per i corpi estesi innitamente rigidi,
salvo indicazioni contrarie, considereremo strutture di corpi rigidi connessi con vincoli ideali.
Un punto materiale o un corpo rigido che appartiene a una struttura `e generalmente chiamato
elemento della struttura. I carichi che gravano sulla struttura sono applicati a tutti o ad
alcuni degli elementi. Risolvere un problema di statica delle strutture implica, in generale,
determinare le reazioni vincolari in modo che sia garantito lequilibrio di ogni elemento.
La nozione di equilibrio si estende in modo naturale dal singolo elemento alla struttura
completa:
una struttura `e in equilibrio statico se lo sono tutti gli elementi che la compongono.
Ricordiamo che lequilibrio statico richiede che il corpo, in questo caso la struttura, e una sua
parte, sia fermo, rispetto a un denito sistema di riferimento, per un intervallo di tempo non
nullo.
Peraltro, i metodi della statica permettono di risolvere anche problemi di strutture che hanno
elementi in movimento, almeno quando il loro moto `e conosciuto. In questi casi si possono
adottare sistemi di riferimento, generalmente tra loro diversi, solidali ai corpi in movimento,
introducendo, quando necessario, le forze dinerzia in modo analogo a come `e stato fatto per
analizzare lequilibrio del punto materiale e del singolo corpo rigido.
Una struttura pu`o essere denita anche dal punto di vista funzionale, considerando il com-
pito che essa svolge. La funzione strutturale di un insieme di corpi tra loro connessi consiste
nel trasferire i carichi dai punti dove sono eettivamente applicati, al telaio. Consideriamo una
gru da cantiere, che esemplica una tipica struttura meccanica. Un carico signicativo consiste
155
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
nella forza applicata al gancio di sollevamento, che dipende dalla massa che la gru solleva e
dal suo moto. La struttura gru trasferisce questo carico, dal gancio al telaio, rappresentato dal
basamento di sostegno della gru stessa. Nello svolgimento della funzione strutturale gli elementi
che compongono la gru sono sollecitati secondo modalit`a e intensit`a che dipendono, oltre che
dal carico, dalla loro posizione e da come sono mutuamente connessi. Lobiettivo della statica
delle strutture consiste nella determinazione quantitativa di tali sollecitazioni, ovvero nella valu-
tazione delle azioni statiche applicate su ogni singolo elemento. Si comprende pertanto come lo
schema di corpo libero denitivo di ogni elemento, costituisca la soluzione completa dellanalisi
statica della struttura.
Oltre alla gru, sono esempi di strutture: un ponte, il portale di un carroponte, il telaio
di una pressa, il traliccio di una condotta elettrica, il carrello di atterraggio di un velivolo,
ecc. . . . Di norma, macchine complete o loro parti sono anche strutture. Una macchina `e un
insieme composto di elementi in moto relativo controllato che svolgono funzioni energetiche o
cinematiche. Tramite il moto dei suoi elementi, infatti, una macchina permette di convertire
lenergia. Il compito funzionale del sistema di propulsione di un veicolo (motore a combustione
interna pi` u trasmissioni) consiste nel trasformare lenergia termica della combustione in energia
cinetica, tuttavia esso svolge anche fondamentali funzioni strutturali. In esercizio, infatti molte
parti del motore sono sottoposte a carichi, per esempio la spinta sul pistone dovuta alla pressione
nel cilindro allo scoppio, che devono essere trasferiti al telaio, in questo caso la strada, per
consentire la trazione.
Le azioni che agiscono sugli elementi delle strutture sono tipicamente: forze di volume,
come il peso proprio e le forze dinerzia, e forze di supercie che sono interazioni elettro-
magnetiche di contatto con uidi o altri corpi solidi, spesso le forze di supercie sono dovute
ai vincoli. Nel caso dellanalisi strutturale delle macchine, una particolare considerazione deve
essere dedicata alle forze dinerzia, che spesso rappresentano i carichi di volume prevalenti. In
un motore alternativo, si pensi per esempio alle bielle, le elevate accelerazioni degli elementi in
movimento rendono le forze dinerzia un carico che pu`o superare di pi` u ordini di grandezza il
peso proprio. In varie circostanze, nello studio strutturale di un componente di macchina, il pe-
so proprio pu`o in eetti essere trascurato. Limportanza attribuita da un ingegnere industriale
al peso proprio come carico nellanalisi strutturale `e generalmente diversa da quella considerata
da un ingegnere civile. Per un edicio o un ponte, infatti, il peso proprio costituisce spesso il
carico dominante e quindi quello che determina le caratteristiche di forma e di dimensioni che
devono essere attribuite alla struttura. In eetti, uno dei principali compiti strutturali di una
costruzione civile consiste nel mantenere se stessa in equilibrio, per quanto possano essere im-
portanti anche carichi di contatto (esercitati dal vento e dalle persone e dagli oggetti sostenuti)
e i carichi dinerzia (dovuti al sisma o alle oscillazioni indotte dalla variabilit`a degli altri carichi).
Generalmente, invece, un componente meccanico `e realizzato per muoversi, spesso rapidamente
e con leggi talvolta complesse, e quindi per sopportare, come carichi prevalenti, forze di contatto
e forze dinerzia.
Come il singolo corpo, anche una intera struttura pu`o essere schematizzata con un modello
bidimensionale se esiste un piano sul quale si possono rappresentare la geometria di tutti i suoi
elementi e le forze agenti (carichi e reazioni vincolari). Come sempre, quando il modello piano `e
applicabile, si ottiene una notevole semplicazione nella rappresentazione del problema e nella
sua soluzione.
Sulla base di queste considerazioni, si pu`o constatare che la statica delle strutture `e una
diretta estensione della statica dei singoli corpi che la compongono. Non `e in eetti necessario
alcun nuovo principio sico nellanalisi. Tuttavia, appena il numero dei costituenti supera
qualche unit`a, soprattutto se il problema `e tridimensionale, lo studio si complica dal punto di
vista operativo, talvolta in modo considerevole. Come vedremo, il numero di incognite e, di
156
7.1. CONCETTO DI STRUTTURA E CALCOLO DEI GRADI DI LIBERT
`
A
conseguenza, il numero di equazioni di equilibrio, pu`o diventare elevato e questo impone un
particolare rigore nel procedimento di impostazione e di soluzione. I problemi di statica delle
strutture sono pertanto pi` u complessi, ma non pi` u dicili, di quelli nora arontati. Come pi` u
volte ricordato, le vere dicolt`a si trovano nella schematizzazione del problema (identicazione
di corpi, carichi e vincoli) pi` u che nel successivo procedimento di soluzione. Tuttavia, nel caso
delle strutture, proprio a causa della maggiore complessit`a, una tecnica razionale e codicata di
soluzione `e consigliata.
7.1.2 Vincoli interni
Lunico elemento di novit`a nello studio delle strutture consiste nella presenza dei vincoli
interni (internal contraints). Mentre un vincolo esterno, come quelli nora considerati,
connette un elemento della struttura con il telaio, un vincolo interno permette linterazione tra
due elementi che compongono la struttura.
Nella gura 7.1 `e schematizzata un struttura piana di impiego frequente, denominata arco
a tre cerniere, composta da due corpi estesi: (1) e (2), connessi tra loro da una cerniera B
(vincolo interno) e al telaio da altre due cerniere A e C (vincoli esterni).
A
B
C
F
1
2
Figura 7.1: Arco a tre cerniere nel piano
Come mostrato in gura 7.1, il carico `e costituito da una forza concentrata F applicata in un
punto del corpo (1). La struttura nel suo complesso consente di trasferire questo carico al telaio
in corrispondenza delle cerniere A e C. Anche si realizzi questa condizione di equilibrio, nella
struttura si manifesta un complesso insieme di azioni vincolari interne ed esterne che, insieme
con i carichi, sollecitano i due elementi.
7.1.3 Gradi di libert`a complessivi di una struttura
`
E utile denire il numero totale di gradi di libert`a dei corpi che compongono la strut-
tura. Tale quantit`a, che indicheremo con N, `e facilmente calcolabile quando gli elementi della
struttura sono rigidi. Il procedimento `e esemplicato nel caso dellarco a tre cerniere di gura
7.1:
la struttura deve essere scomposta nei suoi costituenti rigidi, eliminando idealmente tutti
i vincoli interni ed esterni, nellesempio si ottengono due corpi rigidi nel piano
il numero totale di gradi di libert`a N si ottiene sommando i gradi di libert`a di tutti gli
elementi rigidi liberi, nellesempio N = 3 + 3 = 6.
`
E utile ricordare che anche singoli punti materiali possono essere elementi di una struttura come
nellesempio seguente.
157
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
Esempio 7.1: Gradi di libert`a
Calcolare il numero totale di gradi di libert`a N per la struttura piana in gura 7.2.
F
Figura 7.2: Struttura piana
Si tratta di due corpi rigidi connessi a formare un arco a tre cerniere. Larco a tre
cerniere sostiene, tramite due funi, un anello su cui `e applicato il carico. Lanello `e un
punto materiale, le funi rappresentano vincoli interni alla struttura poiche connettono tra
loro elementi della stessa. La struttura `e pertanto composta da due corpi rigidi e un punto
materiale nel piano variamente connessi, pertanto avremo che:
N = 3 + 3 + 2 = 8.
7.2 Impostazione di un problema di statica delle strutture
7.2.1 Condizione di equilibrio per una struttura
A meno che non siano richieste valutazioni speciche, per esempio una particolare compo-
nente di una reazione vincolare, la conclusione di un problema di statica delle strutture consiste
nel tracciamento dello schema di corpo libero denitivo di ogni elemento della struttura. Il
compito dellanalisi consiste pertanto nella determinazione di tutte le reazioni vincolari interne
ed esterne. Per una ampia e importante classe di strutture di corpi estesi, questo risultato
pu`o essere ottenuto in modo relativamente semplice, applicando il modello di corpo rigido e le
equazioni cardinali.
Il procedimento di soluzione consegue direttamente dallapplicazione del principio di Eulero e
dalla imposizione delle condizioni di equilibrio dei singoli elementi rigidi costituenti. Il principio
formulato da Leonard Euler (1707-1783), gi`a di fatto usato per i sistemi di punti materiali, pu`o
essere esteso alle strutture:
una struttura `e in equilibrio se lo sono tutte le sue parti e quindi, in particolare, tutti
gli elementi che la compongono.
Sulla base di questo presupposto, se una struttura `e in equilibrio, lanalisi statica pu`o essere
eettuata seguendo la procedura di seguito descritta:
scomporre la struttura nei suoi elementi rigidi costituenti eliminando vincoli interni ed
esterni
158
7.2. IMPOSTAZIONE DI UN PROBLEMA DI STATICA DELLE STRUTTURE
sostituire ai vincoli eliminati, interni ed esterni, le azioni statiche che questi possono
esercitare ottenendo lo schema di corpo libero preliminare della struttura
imporre lequilibrio di ogni elemento rigido utilizzando le equazioni cardinali
discutere e risolvere il sistema ottenuto che, nel caso di problemi del primo tipo, `e lineare
e ha come incognite le reazioni vincolari interne ed esterne
Si pu`o osservare che `e stato riproposto il procedimento di soluzione sistematicamente appli-
cato nei casi pi` u semplici dei capitoli precedenti. Vi sono per`o alcune novit`a che `e opportuno
discutere prima di arontare la soluzione di alcuni problemi.
7.2.2 Considerazioni sulle condizioni di equilibrio: metodo generale di solu-
zione
Consideriamo in primo luogo la presenza dei vincoli interni. Nellanalisi dellequilibrio un
singolo corpo esteso, le azioni statiche dei vincoli sono necessariamente esercitate dal telaio sul
corpo e le reazioni di terzo principio a tali azioni statiche sono applicate al telaio. Dato che il
telaio `e in equilibrio statico per denizione, indipendentemente da come `e sollecitato, le azioni
su di esso agenti non sono rilevanti per la soluzione del problema e pertanto sono generalmente
ignorate nel procedimento di soluzione. In presenza di vincoli interni, al contrario, entrambe
le componenti della coppia di azione-reazione esercitate dal vincolo agiscono su elementi (ne-
cessariamente diversi) della struttura e quindi sono importanti per lequilibrio della struttura.
Pertanto `e ora fondamentale considerarle entrambe e, ovviamente, applicare il terzo principio
in modo corretto.
Un altro aspetto delicato dellimpostazione consiste nella selezione delle equazioni cardina-
li e nella denizione delle parti di struttura su cui imporre lequilibrio. Da questo punto di
vista, la procedura proposta non presenta ambiguit`a: la struttura deve essere scomposta nei
suoi elementi rigidi costituenti su ognuno dei quali devono essere imposte le equazioni cardi-
nali. Tuttavia, tale modo di procedere non `e lunico possibile e pu`o anche non essere il pi` u
conveniente. Infatti, in virt` u del principio di Eulero, nulla vieta di considerare, in aggiunta o
in alternativa, lequilibrio di parti della struttura costituite da pi` u elementi, talvolta chiamate
sottostrutture.
`
E lecito imporre le equazioni cardinali anche approppriato complesse e volendo
allintera struttura, considerata nel suo insieme come corpo esteso.
Laggregazione di pi` u elementi produce equazioni di equilibrio nelle quali alcune reazioni
vincolari interne non sono presenti. Consideriamo per esempio una sottostruttura composta da
due corpi rigidi incernierati tra loro. Le forze mutue scambiate in corrispondenza della cerniera
interna non compaiono nelle equazioni cardinali complessive di equilibrio della sottostruttura
in quanto, essendo azioni interne, costituiscono un sistema autoequilibrato (sono una coppia di
braccio nullo) e quindi non inuenzano risultante e momento risultante.
Considerando che un insieme composto da n elementi ha 2
n
1 sottoinsiemi distinti non
vuoti, si deduce che il numero di modi in cui `e possibile scomporre una struttura in parti diventa
molto grande appena il numero di elementi supera qualche unit`a. Nellanalisi di una struttura
complessa applicando il metodo dellaggregazione di parti in modo non appropriato, si corre il
rischio di dimenticare qualche condizione di equilibrio signicativa, oppure, di scrivere equazio-
ni di equilibrio, apparentemente diverse, ma sostanzialmente equivalenti, ovvero combinazioni
lineari di equazioni gi`a imposte. Queste insidie sono certamente da evitare, poiche il passo
successivo alla scrittura del sistema consiste nella valutazione della sua risolubilit`a, problema
talvolta di non facile soluzione se equazioni e incognite sono in numero signicativo. Per evitare
rischi di questo genere, nel seguito useremo il seguente metodo:
159
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
lequilibrio di sottostrutture pi`u essere considerato per ottenere un sistema risolvente
pi`u semplice se la struttura in esame ha un comportamento strutturale noto, di
fatto appartiene a una classe di strutture gi`a studiata, diversamente si adotter`a il
procedimento generale che prevede di imporre lequilibrio di ogni componente rigida.
Il sistema risolvente ottenuto dal procedimento generale ore infatti garanzie di:
indipendenza: le equazioni sono linearmente indipendenti a causa dallorigine sica delle
equazioni cardinali e del fatto che si applicano a corpi distinti
completezza: non esistono altre equazioni di equilibrio signicative, lequilibrio delle
parti rigide `e condizione suciente per lequilibrio della struttura.
La soluzione ottenuta dal procedimento generale fornisce inoltre tutto e solo quanto si possa
dedurre dalla Statica pertanto, quando il sistema pu`o essere risolto, il risultato produce tutte le
informazioni necessarie per tracciare lo schema di corpo libero di ogni elemento della struttura.
Le analisi di rigidezza e resistenza sviluppate nei prossimi capitoli, in genere, richiedono tutte
queste informazioni. Di fronte a problemi nuovi, come sono quasi tutti quelli arontati dallo
studente che inizia lo studio di questa disciplina, il procedimento generale rappresenta quindi la
via pi` u sicura anche se non sempre la pi` u rapida.
Il sistema che deriva dallapplicazione del procedimento generale contiene tutte le compo-
nenti delle reazioni vincolari interne ed esterne del problema e le equazioni del sistema risolvente
sono generalmente accoppiate (molte equazioni contengono pi` u incognite). Tuttavia, come os-
servato, la soluzione del sistema `e una questione di algebra elementare e chi lo risolve pu`o
tollerare qualche passaggio in pi` u se ha la garanzia che il sistema sia completo e coerente. Que-
sta sicurezza ha un valore ancora maggiore quando, come succede nella professione, la soluzione
algebrica `e demandata al computer.
Nella gura 7.3 `e mostrato lo schema di corpo libero preliminare dellarco a tre cerniere
mostrato in gura 7.1 per lapplicazione del metodo generale. Si osservi come il punto B sia
stato separato in due punti (chiamati B
1
e B
2
in relazione ai corpi di appartenenza) in modo
da separare le componenti di azione-reazione che in corrispondenza della cerniera interna i due
corpi si scambiano.
2
L
A
B
1
C
F
1
2
L L L
K
S
T
U
V V
W
W
B
2
y
x
Figura 7.3: Scomposizione della struttura di gura 7.1 nelle sue parti
elementari e schema di corpo libero preliminare
160
7.3. SCRITTURA DEL SISTEMA RISOLVENTE E DISCUSSIONE
7.3 Scrittura del sistema risolvente e discussione
Nel presente paragrafo `e mostrato come ottenere e discutere il sistema algebrico risolvente
per un problema generale di statica delle strutture. Larco a tre cerniere nello schema di corpo
libero di gura 7.3 `e utilizzato come esempio, ma i risultati sono generalizzabili a tutte le
strutture di corpi rigidi nel piano e nello spazio.
7.3.1 Schema di corpo libero preliminare per una struttura
Larco a tre cerniere pu`o essere considerato, almeno no a prova contraria, un problema di
statica del primo tipo, avendo una congurazione che assumiamo nota allequilibrio. I corpi
estesi componenti sono considerati rigidi. Dallesame dello schema di corpo libero preliminare
ottenuto con il procedimento generale e mostrato in gura 7.3, si possono fare le seguenti
considerazioni:
le cerniere in A e C (vincoli esterni) sono sostituite dalle reazioni vincolari agenti sui
relativi elementi della struttura (le azioni sul telaio non sono rilevanti)
la cerniera in B `e sostituita da due coppie di azione e reazione: V rappresenta il modulo
della azione mutua orizzontale e W quella verticale
per motivi di chiarezza graca, i punti di applicazione delle reazioni della cerniera B sono
distinti in B
1
e B
2
(punti appartenenti ai corpi 1 e 2 rispettivamente), in eetti, B
1
e B
2
pur appartenendo a corpi diversi occupano la stessa posizione geometrica (il punto B)
i vincoli sono eliminati dal disegno e sostituiti dalle relative reazioni
non ci sono ambiguit`a relativamente ai corpi su cui le varie azioni sono applicate
luso del terzo principio consente di modellare staticamente la cerniera interna B come
quelle esterne: `e caratterizzata da due incognite scalari indipendenti V e W
i versi delle reazioni sono scelti a caso; per semplicare il calcolo di risultanti e momenti
le direzioni sono fatte coincidere con quelle degli assi del sistema cartesiano di riferimento
adottato
per i vincoli interni larbitrariet`a `e limitata al verso di una delle componenti della coppia
di azione-reazione, laltra componente `e imposta dal terzo principio
alla ne del calcolo alcune delle reazioni incognite potrebbero risultare negative (o nulle),
ma di questo ci preoccuperemo nel tracciamento dello schema di corpo libero denitivo
come ormai pi` u volte vericato nei casi esaminati, non si ottiene alcun eettivo vantaggio
tentando di prevedere il verso eettivo delle reazioni vincolari in questa fase.
La struttura ha un numero totale di gradi di libert`a N = 6 (2 corpi rigidi liberi nel piano).
Data la corrispondenza che sussiste tra i gradi di libert`a di un corpo rigido e il numero di
equazioni scalari indipendenti di equilibrio, N rappresenta anche il numero massimo di equazioni
di equilibrio indipendenti che si possono imporre con il metodo generale. Introduciamo a questo
punto una nuova importante quantit`a: M, che individua il numero di componenti statiche
necessarie per caratterizzare tutti i vincoli, ovvero, il numero di incognite scalari indipendenti
del problema. Nel caso in esame M = 6.
Si riscontra una coincidenza tra il numero di equazioni indipendenti (N = 6) e il numero di
incognite (M = 6) che `e di buon auspicio per lesistenza e lunicit`a della soluzione del sistema.
161
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
Rileviamo che `e sempre opportuno confrontare N con M, peraltro entrambi sono facilmente
calcolabili, ma che, sfortunatamente, il confronto non `e conclusivo per stabilire le caratteristiche
del sistema, come ampiamente evidenziato nel seguito del capitolo.
7.3.2 Forma del sistema risolvente
A questo punto `e possibile scrivere le sei equazioni di equilibrio per i due corpi. Scegliamo
A come polo per (1) e C per (2):
_

_
(R
x
= 0) K V = 0
(R
y
= 0) S W F = 0
(M
z
= 0) V 2L W 2L F L = 0
_
_
_
corpo(1)
(R
x
= 0) V +T = 0
(R
y
= 0) U +W = 0
(M
z
= 0) V 2L W L = 0
_
_
_
corpo(2)
(7.1)
lasciando le sole incognite ai primi membri:
_

_
K V = 0
S W = F
V 2L W 2L = F L
V +T = 0
U +W = 0
V 2L W L = 0
(7.2)
otteniamo un sistema con la forma consueta dei problemi di statica del primo tipo che, scritto
in forma matriciale, diventa:
AX = P (7.3)
la matrice (incompleta) del sistema `e la seguente:
A =
_
_
_
_
_
_
_
_
1 0 1 0 0 0
0 1 0 1 0 0
0 0 2L 2L 0 0
0 0 1 0 1 0
0 0 0 1 0 1
0 0 2L L 0 0
_
_
_
_
_
_
_
_
(7.4)
ed `e composta di quantit`a costanti note, che rappresentano gli elementi geometrici del problema
stesso, il vettore delle incognite:
X =
_
_
_
_
_
_
_
_
K
S
V
W
T
U
_
_
_
_
_
_
_
_
(7.5)
raccoglie le reazioni vincolari mentre il vettore dei termini noti:
P =
_
_
_
_
_
_
_
_
0
F
F L
0
0
0
_
_
_
_
_
_
_
_
(7.6)
162
7.4. CLASSIFICAZIONE DEI PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
dipende dai carichi e dalla posizione dei loro punti di applicazione.
Data la semplicit`a del problema, si pu`o procedere direttamente alla soluzione del sistema
(7.1) per sostituzione, ottenendo la seguente unica soluzione:
_
_
_
_
_
_
_
_
K
S
V
W
T
U
_
_
_
_
_
_
_
_
=
_
_
_
_
_
_
_
_
1
4
1
2
1
2
_
_
_
_
_
_
_
_
F
6
(7.7)
Dal risultato (7.7) si procede al tracciamento dello schema di corpo libero denitivo del-
la struttura (gura 7.4) nel quale le reazioni vincolari delle cerniere sono state sommate
(vettorialmente) in modo da evidenziarne la risultante.
A
C
F
1
2
0.687F
0.373 F
0.373F
0.373F
75.9
63.4
y
x
B
1
B
2
Figura 7.4: Schema di corpo libero denitivo per la struttura (si osservi che
tutte le reazioni di modulo 0.373F hanno la stessa retta dazione BC)
La gura 7.4 mostra chiaramente come i vari elementi risultino sollecitati quando larco a
tre cerniere svolge la sua funzione strutturale, che consiste nel trasferire la forza F dal punto in
cui `e eettivamente applicata al telaio.
7.4 Classicazione dei problemi di statica delle strutture
Quando un problema di statica delle strutture `e tale che tutte le reazioni vincolari possono
essere ottenute in modo univoco risolvendo il sistema delle equazioni cardinali, diremo che il
problema `e isostatico. Il presso iso indica unuguaglianza tra i gradi di libert`a della struttura
e le condizioni eettive di vincolo. In un problema isostatico i vincoli sono necessari e sucienti
per garantire lequilibrio nella congurazione data sotto i carichi applicati.
La condizione di isostaticit`a, che spesso viene eettivamente cercata nella progettazione
delle strutture, non `e peraltro lunica possibile. In relazione alla geometria del sistema, al tipo
di carichi e di vincoli `e possibile infatti avere altre condizioni di staticit`a. Se le condizioni di
vincolo sono insucienti per lequilibrio, il problema `e classicato come labile o ipostatico.
Se, al contrario, linsieme dei vincoli `e ridondante rispetto alla condizione di isostaticit`a, il
problema `e detto iperstatico.
Le caratteristiche del problema che consentono di classicarlo in modo rigoroso sono dedu-
cibili dalle propriet`a algebriche del sistema risolvente.
163
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
7.4.1 Analisi del sistema risolvente
Come osservato, il sistema lineare non omogeneo (7.3) ottenuto nellesempio analizzato `e
tipico dei problemi di statica delle strutture del primo tipo. La matrice del sistema A `e in
genere N M dato che:
N `e il numero totale di gradi di libert`a della struttura equivalente al numero di equazioni
scalari ottenibili dalle cardinali e quindi al numero di righe della matrice
M `e il numero di componenti scalari incognite che deniscono linsieme delle reazioni
vincolari e quindi il numero di colonne della matrice
A =
M: reazioni vincolari
..
_
_
_
_
_
_
a
11
.. .. a
1M
.. ..
.. ..
.. ..
a
N1
.. .. a
NM
_
_
_
_
_
_
_

_
N: gradi di libert`a totali
(7.8)
Nel caso esaminato, la matrice A `e quadrata 6 6. In generale, le condizioni di risolubilit`a
del sistema (7.3) sono denite dal teorema di Rouche-Capelli basato sul confronto tra il rango
r
A
della matrice del sistema A e il rango r
B
della matrice completa B N (M + 1) che si
ottiene bordando la matrice A, tipicamente a destra, con la colonna dei termini noti:
B = (A[P) =
_
_
_
_
_
_
a
11
.. .. a
1M
.. ..
.. ..
.. ..
a
N1
.. .. a
NM
P
1
..
..
..
P
N
_
_
_
_
_
_
(7.9)
Ricordiamo che il rango di una matrice, denito come lordine del pi` u grande minore quadrato
con determinante non nullo che da essa pu`o essere estratto, indica il massimo numero di righe,
o di colonne, linearmente indipendenti.
In relazione ai valori dei ranghi r
A
e r
B
e dei parametri N e M possono vericarsi varie
situazioni, sulla base delle quali il problema di statica `e classicato. In primo luogo osserviamo
che, necessariamente deve essere:
r
A
r
B
essendo A una sottomatrice di B
r
A
N dato che non `e possibile scrivere un numero di equazioni indipendenti maggiore
del numero totale di gradi di libert`a.
7.4.2 Problemi isostatici
In base alla denizione data allinizio del paragrafo, un problema `e isostatico quando lin-
sieme delle relazioni di equilibrio deducibile dalle equazioni cardinali ammette una soluzione
unica. Dal punto di vista matematico ci`o comporta che il numero di incognite M sia uguale
al numero di equazioni linearmente indipendenti del sistema: r
A
. Questa relazione, scritta in
forma simbolica, `e quindi la seguente:
problema isostatico r
A
= r
B
= M
Molto spesso, come nellesempio esaminato, r
A
= N, tuttavia, come alcuni esempi mostreranno,
questultima uguaglianza non sempre si verica.
164
7.4. CLASSIFICAZIONE DEI PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
7.4.3 Problemi labili
Consideriamo lo schema rappresentato in gura 7.5, in cui, dal punto di vista cinematico,
si riconosce un manovellismo di spinta centrato (anche detto meccanismo biella-manovella).
Questa struttura di corpi rigidi `e ottenuta dallarco a tre cerniere precedentemente analizzato
sostituendo la cerniera C con un appoggio semplice.
A
B
C
F
2F

L
L
1 2
Figura 7.5: Manovellismo di spinta centrato
In questo caso si possono comunque scrivere 6 equazioni indipendenti (infatti N = 6) ma vi
sono solo M = 5 reazioni vincolari incognite. La matrice A `e rettangolare alta 6 5 e il suo
rango `e quindi necessariamente minore di 6. La matrice B `e invece 6 6 e pu`o quindi avere
rango 6. Se eettivamente r
B
= 6 (ovvero r
A
< r
B
) per il teorema di Rouche-Capelli il sistema
(7.3) `e impossibile. Si pu`o vericare che questa condizione eettivamente si manifesta nella
congurazione rappresentata in gura 7.5 (assumendo F ,= 0 e qualunque angolo ). Risulta
evidente che la condizione r
A
< r
B
dipende anche dalla colonna aggiunta dei termini noti e
quindi leventuale labilit`a di un problema non `e dovuta solo a una carenza di vincoli ma anche
al tipo di carichi eettivamente esercitati sulla struttura.
La mancanza di soluzione del sistema ha una importante interpretazione sica: nella con-
gurazione data con i carichi agenti, i vincoli non possono esercitare una azione statica che
permette lequilibrio della struttura. La caratteristica di ipostaticit`a esprime linadeguatezza
dellinsieme delle reazioni vincolari a equilibrare i carichi dati nella congurazione specica.
Non possiamo con ci`o aermare che la struttura non sia in grado di trovare un equilibrio, ma si-
curamente questo non potr`a esserci nella congurazione data con i carichi agenti. Una struttura
in condizioni di labilit`a si comporta come un meccanismo che tende a muoversi sotto lazione
dei carichi di quantit`a che possono essere anche molto piccole (ma non nulle) per assumere,
eventualmente, una congurazione di equilibrio diversa da quella data. Se si vuole esaminare
il comportamento della struttura con metodi statici, il problema deve quindi essere considerato
del secondo tipo e deve essere ricercata una eventuale congurazione di equilibrio diversa da
quella data. Alternativamente, `e possibile considerare la struttura come un meccanismo e deter-
minare la legge di moto dei suoi elementi con le equazioni della dinamica. Questo procedimento
prevede che i costituenti subiscano accelerazioni e quindi che, per i sistemi di riferimento a essi
solidali, compaiano anche le forze dinerzia.
La denizione rigorosa di problema `e labile o ipostatico `e quindi la seguente:
problema labile r
A
< r
B
Per un problema labile, lintero (positivo) r
B
r
A
, generalmente denominato grado di
labilit`a, individua il numero minimo di reazioni vincolari indipendenti da aggiungere a quelle
presenti per mantenere lequilibrio, oppure dal punto di vista cinematico, il numero di gradi di
165
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
libert`a che deniscono i moti che i carichi possono produrre per il meccanismo in esame nella
data congurazione.
A prima vista si potrebbe pensare che la condizione di labilit`a possa essere immediatamente
dedotta dal fatto che la matrice A `e rettangolare lunga, ovvero dal fatto che vi sono pi` u gradi
di libert`a (N) rispetto al numero di reazioni vincolari predisposti per mantenere lequilibrio
(M). In molti casi questa coincidenza si verica, tuttavia vi sono situazioni, anche di note-
vole interesse, in cui tale conclusione `e falsa, come mostrano vari esempi discussi nei prossimi
paragra.
7.4.4 Problemi iperstatici
Consideriamo il problema schematizzato nella gura 7.6, analogo allesempio di gura 7.5
ma con un incastro in C.
A
B
C
F

L
L
1
2
2F
Figura 7.6: Problema iperstatico
Il lettore pu`o vericare che in questo caso entrambe le matrici sono rettangolari larghe: la
matrice A `e 6 7 e la matrice B `e 6 8. Poiche nel caso specico ( ,= 0) la matrice A ha
rango 6, necessariamente sar`a anche r
B
= 6 e quindi il sistema risolvente ha soluzione. Per`o,
il numero di incognite M = 7 `e maggiore del numero di equazioni linearmente indipendenti
(r
A
= 6), pertanto `e possibile determinare 6 reazioni vincolari solo se la settima `e nota.
Dal punto di vista matematico, il sistema `e quindi risolvibile ma indeterminato e ammet-
te
1
soluzioni. Dal punto di vista sico signica che linsieme dei vincoli `e sovrabbondante,
ovvero che la struttura possiede un complesso di vincoli indipendenti maggiore di quanto stretta-
mente necessario per garantire lequilibrio statico nella congurazione con i carichi dati. Questi
problemi sono chiamati iperstatici e il numero di reazioni vincolari sovrabbondanti M r
A
`e
detto grado di iperstaticit`a. In particolare, il problema rappresentato in gura 7.6 ha grado
di iperstaticit`a 1 ed `e detto una volta iperstatico.
La denizione rigorosa di iperstaticit`a `e quindi la seguente:
problema iperstatico r
A
= r
B
e M > r
A
Liperstaticit`a del problema, quando `e eettiva, non pu`o essere risolta ricorrendo a trucchi
algebrici. Non producono quindi alcun eetto sulla indeterminatezza del sistema ottenuto con il
metodo generale espedienti del tipo: assumere altri poli per il calcolo dei momenti o aggiungere
equazioni di equilibrio per altre sottostrutture. Le nuove equazioni sarebbero combinazioni
lineari di quelle gi`a scritte e la loro presenza non modicherebbe il rango della matrice A.
Non `e inoltre corretto aermare che i problemi iperstatici non sono risolvibili nellambito
della statica, per quanto anche su certi libri si pu`o travare una frase di tale tipo. Infatti, dal
166
7.5. PARTICOLARIT
`
A DEI PROBLEMI ISOSTATICI
punto di vista algebrico, le equazioni cardinali forniscono un eccesso di soluzioni che garanti-
scono lequilibrio statico (ben
Mr
A
). Inoltre, `e improprio anche aermare che la soluzione
sica non sia unica e quindi concludere che le reazioni vincolari in una struttura come quella
di gura (7.6) siano eettivamente indeterminate. In eetti, collocando un dinamometro nella
cerniera B, una denita, e ovviamente unica, misura della reazione vincolare sarebbe fornita
anche in condizioni di iperstaticit`a! Ci`o che si pu`o correttamente asserire `e che, in un problema
iperstatico, le sole equazioni cardinali non permettono di discriminare tra le innite soluzioni
equilibrate quella che eettivamente si manifesta. Infatti, come avremo modo di vericare nel
seguito del corso, nei problemi iperstatici il comportamento strutturale, e quindi lo schema di
corpo libero degli elementi costituenti, risulta inuenzato in modo determinante dalle modalit`a
con cui gli elementi si deformano quando sono sollecitati, per quanto piccole possano essere
tali deformazioni. Nei problemi iperstatici infatti lindeterminatezza del sistema risolvente `e
conseguenza del modello di corpo innitamente rigido che, in questi casi, si rivela inadeguato a
descrivere un aspetto essenziale del comportamento strutturale del corpo esteso. La soluzione
completa dei problemi iperstatici `e pertanto rimandata a quando saranno disponibili modelli in
grado di descrivere il comportamento dei corpi estesi deformabili. Per ora limiteremo lanalisi
alla classicazione del problema e alla valutazione del grado di iperstaticit`a.
7.5 Particolarit`a dei problemi isostatici
Come illustrato nel paragrafo precedente, classicare un problema di statica delle strutture,
ovvero stabilire se `e iso-, ipo- o iper-statico, impone in teoria il confronto tra i ranghi delle
matrici del sistema risolvente. Salvo casi particolari, pertanto, non `e possibile classicare un
problema solo sulla base della congurazione geometrica della struttura, che inuenza solo la
matrice A, prescindendo dai carichi che hanno eetto sulla matrice B. Gli esempi che seguono
mostrano come una stessa struttura pu`o avere varie caratteristiche statiche in relazione ai
carichi.
7.5.1 Problemi isostatici in relazione al carico applicato
In base alla denizione, un problema `e isostatico quando linsieme delle equazioni cardinali
ammette una soluzione unica, che si traduce nelle relazioni: r
A
= r
B
e M = r
A
, la prima
garantisce lesistenza e la seconda lunicit`a della soluzione. Osserviamo che in questa denizione
non compare il numero totale di gradi di libert`a N, lapparente incongruenza si pu`o spiegare
con il seguente esempio.
Esempio 7.2: Pendolo isostatico
In gura 7.7 `e mostrato un pendolo sico realizzato con una barra di acciaio di sezione
quadrata 40 40 mm e lunghezza l = 750 mm in posizione verticale. Classicare il
problema e, nel caso sia isostatico, tracciare lo schema di corpo libero denitivo.
167
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
y
x
Figura 7.7: Pendolo sico in verticale soggetto al peso proprio
Si tratta di un problema di corpo rigido nel piano, peraltro una struttura molto semplice
costituita da un unico corpo. Per determinare le reazioni vincolari possiamo considerare il
peso proprio come una forza concentrata nel baricentro (P = 91.8 N), e tracciare lo schema
di corpo libero preliminare:
P
S
T
y
x
Figura 7.8: Schema di corpo libero preliminare
Prendendo come polo lestremo inferiore del pendolo si pu`o scrivere il seguente sistema
con N = 3 e M = 2:
_
_
_
R
x
= T = 0
R
y
= S P = 0
M
z
= T L = 0
la soluzione si ottiene immediatamente per sostituzione:
_
T = 0
S = P
Scrivendo le matrici:
A =
_
_
1 0
0 1
L 0
_
_
e B =
_
_
1 0 0
0 1 P
L 0 0
_
_
si pu`o osservare che r
A
= r
B
= M = 2, infatti la terza equazione `e identica alla prima e
pu`o essere eliminata senza alterare il sistema. Sulla base della denizione, il problema `e
quindi isostatico, in eetti, nella congurazione data, abbiamo ottenuto lunica soluzione
che soddisfa le condizioni di equilibrio. Lo schema di corpo libero denitivo `e il seguente:
168
7.5. PARTICOLARIT
`
A DEI PROBLEMI ISOSTATICI
0.122 N/mm
91.8 N
Figura 7.9: Schema di corpo libero denitivo
nel quale la natura distribuita del peso proprio `e stata ripristinata con la
rappresentazione di una azione uniformemente distribuita sullasse.
Lesempio illustra una situazione in cui il problema `e isostatico anche se M < N. Per fugare
il sospetto che la soluzione ottenuta dipenda da una scelta fortunata del polo, scelto in modo
che due delle tre equazioni coincidessero, `e istruttivo provare a modicarlo. Si osservi peraltro
che, per i principi generali delle statica, la modica del polo non pu`o produrre alcun eetto
sulla classicazione del problema. Per esempio, se si sceglie il polo sulla cerniera, la seconda
cardinale produce la reazione:
0 = 0
identit`a che, ovviamente, non altera il rango di alcuna matrice del sistema. Dal punto di vista
sico possiamo aermare che, eettivamente, il corpo libero ha un numero di gradi di libert`a (3)
superiore alla molteplicit`a complessiva dellinsieme dei vincoli (2), tuttavia il carico applicato `e
tale da poter comunque essere equilibrato dalle reazioni vincolari.
Consideriamo una variante del problema discusso nellesempio 7.2.
Esercizio guidato 7.1: Pendolo con forza orizzontale
Al pendolo sico di gura 7.7 si applica una forza orizzontale F = 5 N allestremit`a inferio-
re, studiare le condizioni di equilibrio nella congurazione data e classicare il problema.

Dallo schema di corpo libero preliminare di gura 7.10 si possono imporre le seguenti
equazioni di equilibrio (scritte in modo analogo allesempio precedente):
_
_
_
R
x
= T +F = 0
R
y
= S P = 0
M
z
= T L = 0
con:
A =
_
_
1 0
0 1
L 0
_
_
e B =
_
_
1 0 F
0 1 P
L 0 0
_
_
Si verica che in questo caso r
A
= 2 e r
B
= 3, pertanto il sistema `e impossibile e, di
conseguenza, il problema risulta labile con grado di labilit`a pari a 1. Dal punto di vista
sico, si pu`o concludere che, in presenza di questo carico, linsieme dei vincoli non permette
169
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
lequilibrio del pendolo in congurazione verticale, conclusione che era peraltro facilmente
prevedibile, data la semplicit`a del problema.
Figura 7.10: Schema di corpo libero preliminare del pendolo con una forza
orizzontale
Completamento.
`
E lasciata come esercizio la soluzione del problema considerato
del secondo tipo assumendo che la forza F conservi intensit`a direzione e verso e rimanga
applicata allestremo della barra anche se questa cambia la sua posizione. In particolare si
dimostri che:
una congurazione di equilibrio si trova per un angolo di inclinazione del pendolo di
6.22

(anche se non `e lunica)


in tale posizione il problema diventa nuovamente isostatico, per`o non nella
congurazione geometrica data.
I due ultimi esempi dimostrano che un problema di statica non `e in genere classicabile sulla
base della sola congurazione (geometria e vincoli) essendo fondamentale anche la modalit`a con
cui la struttura `e caricata. Lo stesso pendolo `e risultato isostatico nel primo caso e labile nel
secondo. Nel secondo caso inoltre, il problema `e stato classicato labile nella congurazione
data ma isostatico nella congurazione di equilibrio. Possiamo osservare che questa conclusione
`e valida per molti problemi di statica del secondo tipo che sono labili nella congurazione di
partenza e diventano isostatici quando raggiungono una congurazione di equilibrio.
7.5.2 Strutture intrinsecamente isostatiche
Esiste una importante categoria di strutture che sono conformate in modo tale che il proble-
ma risulta isostatico per qualunque carico che si applichi. Chiameremo queste strutture intrin-
secamente o incondizionatamente isostatiche. Data lindipendenza della classicazione
del problema dal carico, lintrinseca isostaticit`a deriva dalla congurazione geometrica degli
elementi, dal tipo di vincoli e dalla loro disposizione. La condizione di intrinseca isostaticit`a si
traduce matematicamente nella relazione:
struttura intrinsecamente isostatica r
A
= N = M
che non impone alcuna condizione sui carichi e quindi sulla matrice B. Leetto della geometria
sulle caratteristiche statiche di una struttura `e discusso nel seguente esempio.
170
7.5. PARTICOLARIT
`
A DEI PROBLEMI ISOSTATICI
Esempio 7.3: Intrinseca isostaticit`a
Classicare staticamente la struttura costituita da un singolo corpo rigido vincolato (gura
7.11) con una cerniera in A e un appoggio in B tra loro distanti L ,= 0. La reazione in
B ha una retta dazione inclinata di rispetto alla retta AB. Discussione il problema al
variare del parametro .
B

S
T
R
L
A
y
x
(a) (b)
Figura 7.11: Corpo rigido vincolato con una cerniera e un appoggio semplice:
a) schema statico e b) schema di corpo libero preliminare
Trattandosi di un singolo corpo rigido nel piano: N = 3. Determiniamo la matrice A
assumendo come polo la cerniera in A e come incognite T, S e R (quindi M = 3):
A =
_
_
1 0 cos
0 1 sin
0 0 Lsin
_
_
ricaviamo che:
det(A) = Lsin
da cui si ottengono le seguenti alternative:
1. r
A
= 3 se Lsin ,= 0
2. r
A
= 2 se Lsin = 0
Nel primo caso la struttura `e intrinsecamente isostatica: le reazioni vincolari possono essere
ottenute in modo univoco con le equazioni cardinali, qualunque sia il carico agente sul
corpo. Nel secondo caso la classicazione statica `e condizionata dal carico, come vedremo
in un prossimo esempio che analizza proprio questo tipo di congurazioni.
Si pu`o osservare che la condizione 2) dellesempio precedente, Lsin = 0, equivale a imporre
lappartenenza del punto A alla retta dazione della reazione vincolare dellappoggio in B. Dato
che non sono state poste limitazioni alla forma del corpo e alla disposizione dei vincoli, possiamo
generalizzare il risultato ottenuto con seguente aermazione:
un corpo rigido piano vincolato con una cerniera e un appoggio `e intrinsecamente
isostatico se la retta dazione della reazione dellappoggio non passa per il centro
della cerniera.
7.5.3 Riconoscimento di strutture intrinsecamente isostatiche
Per dimostrazione diretta, il lettore pu`o vericare che sono intrinsecamente isostatiche anche
le seguenti strutture piane:
171
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
un corpo rigido incastrato in un punto
un corpo rigido su tre appoggi se le rette dazione delle reazioni vincolari non hanno un
punto in comune (compreso il punto improprio, ovvero la direzione)
un corpo rigido vincolato con un bipendolo e un appoggio, purche le tre biellette non siano
parallele
un arco a tre cerniere purche i centri delle cerniere non siano allineati
. Sono intrinsecamente isostatiche anche le seguenti strutture nello spazio:
un corpo rigido incastrato in un punto
un corpo rigido vincolato con una cerniera completa e un appoggio se la retta dazione
della reazione dellappoggio non ha punti in comune con lasse della cerniera (compreso il
punto improprio)
un corpo rigido su 6 appoggi se le rette dazione delle reazioni vincolari non hanno alcun
punto in comune (compresi i punti impropri)
Questi esempi non esauriscono ovviamente le possibili congurazioni delle strutture intrin-
secamente isostatiche, ma costituiscono una base sucientemente ampia per arontare molti
problemi di pratico interesse. Lidenticazione a priori di una struttura intrinsecamente isosta-
tica consente infatti di evitare la classicazione basata sulla denizione algebrica, operazione
spesso lunga e complessa.
7.6 Alcune particolarit`a di problemi non isostatici
In questo paragrafo sono analizzati alcuni problemi di statica la cui classicazione richiede
una certa attenzione. Si tratta di situazioni limite in cui pi` u vincoli producono moti tra
loro non indipendenti.
`
E opportuno ricordare che nello studio della statica delle macchine
le congurazioni di una struttura sono variabili nel tempo e non `e inconsueto che situazioni del
tipo descritto possano manifestarsi, tra laltro inducendo condizioni di sovrasollecitazione per
gli elementi della struttura.
7.6.1 Arco a tre cerniere allineate
Larco a tre cerniere allineate di gura 7.12 `e un caso interessante di una struttura che non
`e intrinsecamente isostatica a causa della particolare congurazione geometrica. Nello specico,
siamo interessati a classicare il problema e quindi a discutere le caratteristiche di risolvibilit`a
del sistema in relazione al tipo di carico applicato.
Esempio 7.4: Arco a tre cerniere allineate
Larco a tre cerniere allineate di gura 7.12 `e sollecitato da una forza P la cui direzione,
individuata dallangolo , `e da considerarsi il parametro di discussione. Classicare il
problema in relazione al valore di .
172
7.6. ALCUNE PARTICOLARIT
`
A DI PROBLEMI NON ISOSTATICI
L
1
/2 L
2

P P
K
S
V
V
W
W
T
U
L
1
/2
1 2
B
A
C
y
x
(a)
(b)
Figura 7.12: Arco a tre cerniere allineate: a) schema statico e b) schema di
corpo libero preliminare
La struttura non `e intrinsecamente isostatica, a causa dellallineamento delle cerniere,
anche se N = M = 6. Il sistema risolvente `e il seguente:
_
_
_
_
_
_
_
_
1 0 1 0 0 0
0 1 0 1 0 0
0 0 0 L
1
0 0
0 0 1 0 1 0
0 0 0 1 0 1
0 0 0 0 0 L
2
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
K
S
V
W
T
U
_
_
_
_
_
_
_
_
=
_
_
_
_
_
_
_
_
P cos
P sin
P(L
1
/2) sin
0
0
0
_
_
_
_
_
_
_
_
Si verica che det(A) = 0, essendo r
A
= 5, per cui possono vericarsi le seguenti condizioni:
1. r
B
= 6: la soluzione non esiste e il problema `e labile
2. r
B
= 5: la soluzione esiste e quindi il problema pu`o essere isostatico (la soluzione `e
unica) o iperstatico (la soluzione `e indeterminata).
`
E interessante eettuare la classicazione evitando la determinazione diretta del rango
delle matrici ma risolvendo direttamente il sistema per sostituzione. Dalle ultime due
equazioni si ricava:
U = 0
W = 0
mentre dalla terza si ottiene:
W =
P
2
sin
questi risultati sono incompatibili (soluzione impossibile o problema labile) a meno che
P
2
sin = 0. Escludendo, almeno per il momento, il caso di P = 0 (struttura senza carico
applicato), `e possibile proseguire nella soluzione solo se = 0 oppure se = e quindi
se la forza ha la retta dazione che passa per le cerniere. In questo caso il sistema diventa
risolvibile ma indeterminato, sono infatti soluzioni tutte le
1
seguenti:
K V = P
T +V = 0
Il problema `e quindi una volta iperstatico, infatti si verica che r
A
= r
B
= 5 e M = 6. Non
si possono discriminare le reazioni vincolari prescindendo dalla deformabilit`a degli elementi
che formano la struttura.
173
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
Dallesempio si conclude che in un arco a tre cerniere allineate, se il carico `e una forza che non
ha retta dazione passante per i centri delle cerniere, non esiste soluzione statica e il problema `e
labile. Come conseguenza si prevede un movimento verticale della cerniera centrale. Si potrebbe
obiettare che la cerniera centrale pu`o spostarsi verticalmente solo ammettendo lallungamento
di almeno uno dei corpi (1) e (2), condizione non permessa dal vincolo di innita rigidezza dei
corpi stessi. Questa argomentazione si dimostra per`o poco sostenibile sia da un punto di vista
teorico sia sulla base di semplici considerazioni pratiche.
Dal punto di vista teorico osserviamo infatti che, se la cerniera B si abbassa (o si alza) di una
quantit`a innitesima di ordine 1, la variazione di lunghezza richiesta ai corpi per assecondare
tale spostamento `e quanticabile in un innitesimo di ordine 2. Infatti, consideriamo per
semplicit`a di calcolo le due barre di uguale lunghezza (L
1
= L
2
), indicata con d la rotazione
del corpo (1), lo spostamento verticale della cerniera B vale:
dy = L
1
tan(d) = L
1
d
mentre lallungamento del corpo 1 (allontanamento dei centri delle cerniere A e B) vale:
dL
1
=
L
1
cos(d)
L
1
=
L
1
2
(d)
2
=
1
2L
1
(dy)
2
Pertanto, dal punto di vista matematico, labbassamento del punto centrale `e consentito da un
allungamento che `e dato da una quantit`a innitesima rispetto alla prima. Per rendersi conto
delle conseguenze di tali dierenze di ordine di innitesimo, `e utile una valutazione quantitativa
semplicata che consideri quantit`a nite piccole. Supponiamo, per ssare le idee, L
1
= L
2
=
1 m, e = 0.001 rad. Questi dati comportano uno spostamento verticale della cerniera centrale
di y = 1 mm e un aumento complessivo del percorso ABC di L
1
+L
2
= 1.0 m. Pertanto
laumento di distanza delle cerniere `e una quantit`a mille volte inferiore rispetto allo spostamento
verticale della cerniera stessa (chiaramente nche questultimo spostamento `e piccolo).
Arontiamo ora il problema dal punto di vista pratico e consideriamo che non esistono corpi
innitamente rigidi e cerniere senza giochi. Il caso numerico esaminato nel capoverso precedente
consente di prevedere che un gioco diametrale complessivo sui perni delle tre cerniere pari a solo
1.0 m (quindi in media 0.34 m su ognuna) consentirebbe un movimento verticale libero della
cerniera centrale di 1 mm senza necessit`a di applicare alcuna forza. Pertanto se le tre cerniere
reali (con giochi normali dellordine del centesimo) fossero allineate, lo spostamento verticale
di B sotto carico sarebbe quindi inevitabile e la conseguente inclinazione dei due corpi assu-
merebbe un valore nito, per quanto piccolo, che `e necessario considerare ai ni dellequilibrio.
Lequilibrio pertanto sarebbe raggiunto in una congurazione in cui le tre cerniere non sono
comunque allineate.
Da qualunque punto di vista si esamini il problema, si conclude che nella congurazione
a cerniere allineate un carico con asse centrale non passante per le cerniere non pu`o essere
staticamente equilibrato dai vincoli. Questa conclusione conferma lanalisi preliminare che
aveva identicato il problema come labile, anche se la labilit`a `e limitata alla sola congurazione
di allineamento delle cerniere. Come conseguenza ricaviamo che, a rigore, `e impossibile allineare
in orizzontale una catena, o un cavo, avente massa sotto leetto del peso proprio. Un certo
abbassamento, per quanto minimo, `e infatti inevitabile.
Volendo risolvere il problema con cerniere nominalmente allineate, sarebbe quindi necessa-
rio conoscere il gioco eettivo sui perni e la deformabilit`a degli elementi che compongono la
struttura. Si tratterebbe in ogni caso di un problema del secondo tipo con la congurazione di
equilibrio necessariamente diversa da quella allineata.
Nella pratica costruttiva, situazioni in cui la congurazione di equilibrio e le conseguenti sol-
lecitazioni dipendono in modo molto marcato da piccole quantit`a, come il gioco sui perni, sono
174
7.6. ALCUNE PARTICOLARIT
`
A DI PROBLEMI NON ISOSTATICI
generalmente da evitarsi. In questi casi, infatti, le reazioni vincolari possono assumere valori
molto elevati in dipendenza da parametri che non possono essere controllati con la precisione
necessaria.
La labilit`a della struttura di gura 7.12, nel caso di allineamento delle cerniere, pu`o essere
interpretata anche con considerazioni cinematiche. La traiettoria di B, considerato come punto
appartenente al corpo (1), `e una circonferenza di centro A e raggio L
1
. Analogamente, la
traiettoria di B, considerato solidale a (2), `e una circonferenza di raggio L
2
e centro C. Nel caso
di allineamento delle cerniere, le due traiettorie localmente coincidono come posizione e come
tangente. Pertanto, in condizioni di allineamento delle cerniere, la congurazione consente
al punto B un movimento tangenziale innitesimo e quindi i vincoli non sono indipendenti.
Considerazioni del tutto analoghe si possono ripetere anche per un corpo vincolato con una
cerniera e un appoggio (gura 7.11) quando il centro della cerniera appartiene alla retta dazione
della reazione dellappoggio.
Anche lesempio dellarco a tre cerniere allineate `e utile per ricordare che la condizione N =
M, non si verica solo quando la struttura `e isostatica ma che, in relazione alla congurazione
dei vincoli e dei carichi, pu`o essere soddisfatta anche in problemi labili o iperstatici, e pertanto
non pu`o essere usata come criterio generale e sicuro per classicare un problema.
7.6.2 Problemi iperstatici particolari
Consideriamo il seguente esempio in cui si osserva come anche liperstaticit`a possa dipendere
dalle modalit`a di carico.
Esempio 7.5: Diversi tipi di iperstaticit`a
Classicare il problema di gura 7.13 al variare dellangolo di inclinazione della forza,
considerata non nulla e applicata nel punto di mezzo di una barra rigida incernierata al
telaio alle estremit`a.
L
P

A
B
Figura 7.13: Barra rigida tra due cerniere
E lasciato al lettore il disegno dello schema di corpo libero preliminare e la verica delle
aermazioni:
N = 3 e M = 4, da questo risultato si tenderebbe a ritenere la struttura
eccessivamente vincolata e a presumere il problema 1 volta iperstatico;
se ,= /2+k il problema `e eettivamente 1 volta iperstatico in quanto r
A
= r
B
= 3
ma M = 4
La condizione pi` u interessante da discutere `e quindi = /2 + k, che rappresenta la
situazione di carico perpendicolare alla congiungente i centri delle cerniere. Lo schema di
corpo libero preliminare `e il seguente, in cui, per ssare le idee, `e stato assunto = /2:
175
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
P
K
S
V
W
y
x
/2
Figura 7.14: Schema di corpo libero con il carico trasversale
La soluzione del sistema `e la seguente:
S = W = P/2 e K = V
Dal punto di vista matematico, la soluzione dimostra lesistenza di
1
possibili reazioni
vincolari che garantiscono lequilibrio. La struttura `e pertanto una volta iperstatica, tut-
tavia possiamo osservare come questa iperstaticit`a sia di tipo particolare. La soluzione
mostra infatti chiaramente che le componenti orizzontali delle reazioni vincolari, che costi-
tuiscono la parte indeterminata della soluzione, non dipendono in alcun modo dal carico
esterno.
Nella discussione dellesempio precedente `e stato osservato che per un carico che consiste
in una forza verticale le reazioni orizzontali delle cerniere non dipendono dal carico.
`
E interes-
sante porsi la seguente domanda: se non sono prodotte dal carico, da quale causa dipendono
sicamente K e V ? Per rispondere, `e utile esaminare le modalit`a con cui la struttura viene
installata. Questa analisi permette di evidenziare una interessante caratteristica delle strutture
iperstatiche che le distingue in modo sostanziale da quelle isostatiche.
Per collegare il corpo AB al telaio, si pu`o ssare prima la cerniera A e successivamente la B,
lordine non ha alcun eetto sulle considerazioni che seguono. Non si presenta alcuna dicolt`a
per inserire il perno della prima cerniera: il corpo AB `e allinizio completamente libero nel piano
e pu`o essere disposto in modo da far collimare i centri dei fori delle parti ssa e mobile della
cerniera A. La stessa facilit`a di montaggio pu`o non vericarsi per la seconda cerniera. Infatti,
assemblata la cerniera A, al corpo AB rimane un solo grado di libert`a e la sua estremit`a B `e
vincolata a descrivere una circonferenza di centro A e raggio L. Se il centro del foro della parte
ssa della cerniera B appartiene a tale circonferenza, il montaggio sar`a possibile, diversamente
linserimento del perno diventa impossibile se non per la presenza di giochi sui perni o per la
deformabilit`a degli elementi della struttura. Se il corpo AB risulta pi` u lungo (o pi` u corto) del
dovuto, diciamo che siamo in presenza di un errore di montaggio.
Poiche sappiamo che tutti i corpi sono sempre, in qualche misura, deformabili, e i perni sono
generalmente accoppiati con gioco nelle cerniere, il montaggio pu`o essere, in pratica, eseguito
anche in presenza di errori, purche ragionevolmente piccoli. Supponiamo, per ssare le idee,
che il corpo AB sia un po pi` u corto del necessario e che lerrore sia superiore ai giochi di
accoppiamento dei perni. Per inserire il perno sar`a necessario allungare il corpo quanto basta
per far collimare i centri della cerniera B. Lallungamento pu`o essere prodotto applicando
una forza esterna allestremit`a libera del corpo. Appena inserito il perno, la forza esterna pu`o
essere rimossa, da questo momento infatti, sar`a lazione stessa del vincolo a esercitare la forza
necessaria per mantenere il corpo AB allungato della quantit`a necessaria.
Dopo il montaggio con errore quindi, anche in assenza di carichi, le cerniere eserciteranno
sul corpo un sistema autoequilibrato di forze. Tale sistema di forze (nel caso in esame una
176
7.7. IL MONTAGGIO DI ALBERI DI TRASMISSIONE
coppia di braccio nullo) `e proprio quello rappresentato dalle componenti K e V previste dalla
soluzione. Peraltro, lintensit`a di tali reazioni `e valutabile solo se `e nota lentit`a dellerrore di
montaggio e si prendono in considerazione le caratteristiche di deformabilit`a della struttura.
Nelle strutture iperstatiche un sistema di reazioni prodotte dai vincoli che sia globalmente
autoequilibrato ma non identicamente nullo pu`o essere generato, oltre che da errori di montag-
gio, anche da eetti termici. Supponiamo, per esempio, che lelemento AB sia stato montato,
senza errori, in inverno e che il materiale di cui `e realizzato lelemento abbia un coeciente
di dilatazione termico pi` u elevato di quello del telaio (generalmente assunto nullo). In estate
dobbiamo prevedere la presenza di reazioni vincolari K e V dovute al solo fatto che `e aumentata
la temperatura.
`
E opportuno osservare che generalmente, nei problemi iperstatici, gli errori di montaggio
e le variazioni termiche producono eetti signicativi con reazioni vincolari da essi prodotte
anche superiori a quelle dovute ai carichi. La valutazione quantitativa di questi eetti sar`a
possibile solo dopo aver sviluppato modelli per la deformabilit`a dei corpi. Possiamo per ora
soltanto aermare che, in assenza di errori di montaggio e di eetti termici, non c`e ragione
per prevedere la presenza di azioni K e V nella struttura in esame. Pertanto, in assenza
di indicazioni speciche su eetti della temperatura o errori di montaggio, nel caso di solo
carico verticale il problema esaminato pu`o essere di fatto risolto come se fosse isostatico. In
altri termini, le reazioni orizzontali delle cerniere, per quanto esercitabili sulla base di sole
considerazioni di equilibrio, non sono giusticabili da alcuna causa sica e quindi sono nulle.
7.6.3 Errori di montaggio sulle strutture isostatiche
`
E interessante notare che nelle strutture isostatiche le reazioni vincolari prodotte da errori di
montaggio o da eetti termici sono identicamente nulle. Questa aermazione pu`o essere dedotta
in modo diretto e semplice.
Consideriamo la forma generale del problema statico espressa dal sistema (7.3), e supponia-
mo che la struttura sia priva di carichi esterni, ovvero il vettore P sia nullo. Se la struttura
`e isostatica sappiamo che le reazioni vincolari si ricavano univocamente dal sistema e quindi
essendo X = 0 soluzione (il sistema `e omogeneo) non esistono altre possibilit`a.
Leetto pratico di questo risultato `e molto importante: le reazioni vincolari, interne ed
esterne, delle strutture isostatiche non dipendono in alcuna misura da (piccoli) errori di mon-
taggio o da eetti termici. Questo suggerisce limpiego di montaggi di tipo isostatico quando
le tolleranze geometriche non possono essere molto strette e/o quando si prevedono variazioni
signicative di temperatura in esercizio.
7.7 Il montaggio di alberi di trasmissione
Per esemplicare le problematiche connesse con gli eetti prodotti dal tipo di staticit`a di una
struttura, `e utile prendere a riferimento la situazione di un albero di trasmissione su cuscinetti.
Consideriamo il problema nel piano, `e infatti evidente che lalbero dovr`a essere montato in modo
che sia permessa la rotazione attorno al proprio asse. In condizioni normali `e consigliato un
montaggio che, a parte la rotazione attorno allasse, realizzi condizioni di intrinseca isostaticit`a.
In tal modo sono scongiurate sollecitazioni sui cuscinetti non indotte dai carichi ma dovute a
errori di montaggio o a eetti termici. Un montaggio intrinsecamente isostatico molto semplice
pu`o essere realizzato con una sola coppia di cuscinetti. Se non `e garantita la perfetta coassialit`a
tra i centri dei cuscinetti, per esempio perche essi sono montati su sedi distinte, il montaggio
consigliato `e quello indicato in gura 7.15 nella quale, in uno schema statico piano, il cuscinetto
177
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
A rappresenta una cerniera e il cuscinetto B un appoggio (struttura intrinsecamente isostatica).
A
B
Figura 7.15: Montaggio intrinsecamente isostatico di un albero su due
cuscinetti
Come gi`a osservato nei capitoli precedenti, se gli errori di coassialit`a, o le deformazioni del-
lalbero sotto carico, sono di piccola entit`a, `e possibile adottare una coppia di comuni cuscinetti
a sfere non orientabili (meno costosi).
In alcune applicazioni `e necessario per`o vincolare lalbero in modo da limitare al massimo le
sue distorsioni sotto carico. Questo risultato pu`o essere ottenuto disponendo pi` u di due cusci-
netti in linea, come mostrato in gura 7.16, adottando quindi una soluzione di vincoli ridondanti
che rende il problema generalmente iperstatico. In questi casi, `e in necessario garantire la coas-
sialit`a delle sedi dei cuscinetti per evitare che albero e supporti siano sollecitati ancora prima
che agiscano i carichi.
Nei montaggi iperstatici, per contenere le reazioni dovute agli errori di montaggio si possono
in generale adottare due strategie:
1. garantire la suciente coassialit`a delle sedi dei cuscinetti con strette tolleranze geometri-
che
2. adottare opportuni sistemi di registrazione e regolazione (per esempio spessori calibrati,
fori di ssaggio ad asola, ecc. . . ) in modo da allineare i centri dei cuscinetti sullasse
dellalbero in fase di montaggio.
A B C
Figura 7.16: Montaggio di un albero su tre cuscinetti
Entrambe le soluzioni sono per`o economicamente onerose e quindi giusticabili solo se eetti-
vamente necessarie. Montaggi iperstatici di alberi sono frequenti nelle macchine utensili (per
esempio nellalbero della fresatrice), applicazioni in cui la rigidezza `e un requisito vitale per
il funzionamento della macchina. Peraltro, considerate le necessarie caratteristiche di preci-
sione dimensionale richieste a una macchina utensile, `e ragionevole pretendere che le sedi dei
cuscinetti siano allineate con tolleranze di coassialit`a molto strette.
178
7.8. ESEMPI DI STRUTTURE E LORO CLASSIFICAZIONE STATICA
Esercizio 7.1: Identicazione di un montaggio
Considerato lalbero di gura 7.17, supponendo che il montaggio sia stato eseguito senza
errori, non vi siano eetti termici e il carico sia una forza concentrata applicata sullasse
dellalbero; vericare le seguenti aermazioni:
a) se la forza P ha la direzione dellasse dellalbero, il problema `e isostatico e le forze sui
cuscinetti possono essere determinate con la sola statica;
b) se la forza P ha una componente normale allasse dellalbero, il problema piano `e una
volta iperstatico.
A B C
P
Figura 7.17: Albero su tre cuscinetti con carico concentrato
7.8 Esempi di strutture e loro classicazione statica
Sono proposti alcuni esempi di strutture e indicati metodi per la loro classicazione che non
richiedono la dimostrazione completa basata sullanalisi matematica del sistema risolvente. Una
certa abilit`a nellidenticare la caratteristica statica del problema `e opportuna, soprattutto in
vista della progettazione, fase nella quale `e necessario decidere a priori il grado di ridondanza
da assegnare ai vincoli. Per motivi di semplicit`a graca, i corpi estesi sono rappresentati come
barre rettilinee che saranno considerate rigide. Tuttavia, `e opportuno considerare che la forma
dei corpi (se rigidi) non `e generalmente importante per la classicazione del problema. I carichi
rappresentati saranno considerati gli unici agenti e, salvo indicazione contraria, saranno assunti
non nulli. Il lettore pu`o sviluppare la soluzione numerica dei problemi (quando isostatici)
assumendo: F = 15 kN, L = 280 mm, langolo BCD retto e il punto H di applicazione della
forza medio del segmento CD.
Esercizio 7.2: Intrinseca isostaticit`a
Dimostrare che la struttura piana in gura 7.18 `e intrinsecamente isostatica e che in
particolare: r
A
= r
B
= M = N = 9
179
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
F
A
B
D
L L
30
H
C
Figura 7.18: Mensola che supporta un arco a tre cerniere
Il precedente esercizio 7.2 pu`o essere svolto in modo sintetico sulla base delle seguenti
considerazioni. Supponiamo di assemblare la struttura, un procedimento potrebbe essere il
seguente:
1. si incastra la barra AD al telaio, realizzando in tal modo una struttura intrinsecamente
isostatica e quindi, dal punto di vista statico, la barra AD (se rigida) pu`o essere a tutti
gli eetti considerata una estensione del telaio;
2. sulla barra AD si realizza un arco a tre cerniere B, C, D non allineate, anchesso intrinse-
camente isostatico.
Questo procedimento di assemblaggio di sottostrutture intrinsecamente isostatiche garantisce
che tutti i vincoli sono indipendenti e sempre pari al numero di gradi di libert`a introdotti con
laggiunta di corpi o di sottostrutture. Assemblando sottostrutture intrinsecamente isostatiche
si ottiene quindi sempre una struttura intrinsecamente isostatica.
Esercizio 7.3: Labilit`a
Dimostrare che la struttura piana in gura 7.19 `e labile e: r
A
= M = 11 e r
B
= N = 12
F
A
B
D
C
Figura 7.19: Mensola che supporta un arco a tre cerniere sconnesso
Come nel caso precedente, possiamo ancora procedere per via sintetica. Assemblando le
tre barre a formare il triangolo BCD si realizza un elemento rigido (`e ancora un arco a tre
cerniere non allineate) che ha i gradi di libert`a di un unico corpo rigido nel piano, infatti
`e possibile spostarlo nel piano ma esso conserva la sua forma e le dimensioni. Questo corpo
viene successivamente collegato con una cerniera allestremo della mensola AB (intrinsecamente
isostatica). Il triangolo pu`o ruotare quindi liberamente attorno a B e non `e pertanto possibile
mantenerlo in equilibrio con il carico indicato che, evidentemente, produce un incipiente moto
di rotazione attorno alla cerniera B.
180
7.8. ESEMPI DI STRUTTURE E LORO CLASSIFICAZIONE STATICA
Notiamo un aspetto interessante dello schema statico di gura 7.19. In B `e rappresentata
una cerniera ma, dal punto di vista costruttivo e anche statico, essa `e doppia. In eetti, nel
punto B sono posizionate due cerniere che collegano tra loro tre corpi due a due.
`
E necessario
tenere in considerazione questo fatto nel calcolo di M (il contributo di cerniera doppia al numero
di incognite `e infatti di 4) e, conseguentemente, nello schema di corpo libero preliminare,
dove devono essere riportate 4 incognite statiche indipendenti. Nella gura 7.20 `e illustrato
in dettaglio lo schema di corpo libero preliminare che evidenzia le quattro reazioni S, T, U e
V necessarie per quanticare leetto statico della cerniera doppia B. Si osservi che il terzo
principio `e stato applicato nel modo consueto e che il punto comune B `e stato rappresentato
separato nel piano per motivi di chiarezza graca dopo aver eliminato la cerniera doppia.
A
B
D
C
S
T
U
V
V+U
S+T
Figura 7.20: Dettaglio dello schema di corpo libero per la cerniera doppia
In questultimo esempio, si pu`o vericare che se la forza F `e inclinata in modo che la
sua retta dazione passa per B, il problema diventa isostatico (r
A
= r
B
= 8) anche se non
intrinsecamente, `e quindi possibile trovare lo schema di corpo libero per tutti gli elementi della
struttura nella congurazione data. Dato che il passaggio della retta di applicazione della forza
F da B `e una condizione necessaria per lequilibrio, si pu`o usare questa circostanza per risolvere
il problema del secondo tipo di gura 7.19 e trovare la congurazione di equilibrio nel caso in
cui la forza F conservi lintensit`a e la direzione e sia costantemente applicata in H. In tal caso,
con considerazioni geometriche si individuano due condizioni di equilibrio (una stabile e laltra
instabile) con il punto H posto sulla verticale rispettivamente sotto e sopra B. In ognuna delle
due congurazioni la struttura ritorna a essere isostatica, anche se non intrinsecamente.
Esercizio 7.4: Problema iperstatico
Dimostrare che il problema in gura 7.21 `e una volta iperstatico e che: r
A
= N = 6,
r
B
= M = 7.
F
A
B
D
C
Figura 7.21: Problema iperstatico
181
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
Notiamo che si sta cercando di collegare a una mensola AD un corpo rigido (il triangolo
BCD) tramite due cerniere. In questo caso, come mostrato in un precedente esempio, la strut-
tura diventa sensibile agli errori di montaggio e a deformazioni termiche. Pertanto, a meno di
particolari condizioni di carico, ci si deve attendere un certo grado di iperstaticit`a. Per valutarlo
`e suciente considerare che la sostituzione di una delle cerniere con un appoggio (per esempio
che agisce verticalmente) renderebbe il problema intrinsecamente isostatico. Conseguentemente,
se la reazione vincolare orizzontale eliminata fosse nota (per esempio misurata con un dinamo-
metro) il problema sarebbe univocamente risolvibile con la statica. Questo signica che il
problema di partenza ha
1
soluzioni e quindi `e una volta iperstatico.
`
E interessante osservare una particolarit`a di questo problema. Se fossero richieste le azioni
statiche trasmesse dal telaio alla struttura, avremmo potuto rispondere usando solo le equazioni
della statica anche se il problema `e nel suo complesso iperstatico. A tale scopo infatti `e
suciente considerare lintera struttura come corpo rigido e imporre le condizioni globali di
equilibrio. Si tratta di un caso in cui liperstaticit`a `e dovuta alla ridondanza dei vincoli interni.
Problemi di questo tipo sono deniti internamente iperstatici ed esternamente isostatici.
Il grado di iperstaticit`a pu`o essere anche pi` u elevato e un problema pu`o essere internamente
ed esternamente iperstatico, come per esempio se si aggiunge un ulteriore appoggio verticale
esterno in D.
Esercizio 7.5: Problema labile particolare
Dimostrare che il problema schematizzato in gura 7.22 `e labile anche se M = N = 9 dato
che r
B
= r
A
+ 1 = 9.
F
A
B
D
C
Figura 7.22: Problema labile con sottostruttura internamente iperstatica
Nellultimo esempio si osserva un altro caso in cui il confronto diretto tra M e N fornisce una
fuorviante indicazione di isostaticit`a. Per evidenziare lapparente contraddizione, osserviamo
che nulla impedisce alla parte di struttura a destra della cerniera doppia B di ruotare sotto
carico. Da questo punto vista, il problema `e simile a quello in gura 7.19 e limpossibilit`a di
avere equilibrio nella congurazione data dimostra la labilit`a. Tuttavia, se lo arontiamo come
problema del secondo tipo, e quindi modichiamo la congurazione in modo che H si trovi
sulla verticale di B, giungiamo a un problema una volta internamente iperstatico del quale
siamo in grado di valutare le azioni dellincastro ma non quelle delle cerniere (a meno di un
parametro). In eetti, la struttura nella congurazione di partenza, per quanto labile, `e sensibile
agli errori di montaggio nella parte BCD. In questo caso luguaglianza tra M e N deriva da
una compensazione tra un grado di labilit`a e uno di iperstaticit`a interna.
182
7.9. CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA STATICA DELLE STRUTTURE
7.9 Considerazioni generali sulla statica delle strutture
Lanalisi delle caratteristiche statiche delle strutture, con riferimento agli esempi discussi nel
capitolo, permette di fare alcune considerazioni generali.
La classicazione statica di una struttura che non rientra in casi noti richiede il calcolo
dei ranghi delle matrici del sistema risolvente e il confronto con il numero di incognite,
dato che il semplice confronto tra M e N non `e generalmente risolutivo.
Linadeguatezza della classicazione basata su M e N `e giusticata dal fatto che tali
quantit`a non sono inuenzate dalle eettive disposizioni dei vincoli e dei carichi. Pu`o
infatti vericarsi che i vincoli siano non indipendenti o che i carichi siano tali da rendere
identicamente nulle alcune componenti delle reazioni vincolari. Per questo la caratteristica
di staticit`a (iso ipo o iper) `e attribuibile al problema e non alla struttura.
Nelle strutture intrinsecamente isostatiche le reazioni vincolari sono univocamente deter-
minate dalle equazioni cardinali per ogni condizione di carico, quindi per le strutture
intrinsecamente isostatiche `e sempre M = N ma non vale il viceversa.
Per identicare una struttura intrinsecamente isostatica `e utile adottare il procedimento di
assemblaggio ideale di sottostrutture che sono gi`a state classicate come intrinsecamente
isostatiche.
Nei problemi isostatici, intrinsecamente e non, le reazioni vincolari interne ed esterne
dipendono unicamente dai carichi, in particolare, se i carichi sono nulli le reazioni vincolari
sono tutte nulle. La linearit`a del problema comporta anche che le reazioni vincolari
aumentino con lo stesso fattore dei carichi (purche questi siano variati tutti nella stessa
misura)
Nei problemi isostatici, piccoli errori di montaggio o eetti deformativi dovuti a variazioni
di temperatura non modicano le reazioni vincolari.
`
E peraltro evidente che signicativi
errori di montaggio possono alterare la congurazione geometrica della struttura e quindi,
indirettamente, anche le reazioni vincolari.
Se la struttura `e labile, le reazioni vincolari non possono essere determinate con le equa-
zioni cardinali nella congurazione data. Vi sono due possibilit`a per risolvere il problema
in questi casi:
1. studiare la struttura in regime dinamico, determinando le leggi di moto delle sue
parti e le conseguenti accelerazioni prodotte dal mancato equilibrio statico
2. ipotizzare il raggiungimento di una congurazione di equilibrio statico, che `e in genere
incognita, e risolvere un problema del secondo tipo.
In entrambi i casi, in ogni istante in sistemi di riferimento solidali ai corpi in moto e
quindi considerando le forze dinerzia oppure nella congurazione di equilibrio incognita,
il problema diventa in genere isostatico.
Un problema iperstatico ha alcune componenti delle reazioni vincolari che rimangono
indeterminate anche dopo che sono state imposte tutte le condizioni di equilibrio della
statica. Tale indeterminazione non pu`o essere superata prescindendo dalle caratteristiche
deformative degli elementi della struttura ed `e quindi conseguenza dellinadeguatezza del
modello di corpo innitamente rigido.
183
7. STATICA DELLE STRUTTURE DI CORPI RIGIDI
In un problema iperstatico le reazioni vincolari dipendono in generale dai carichi, da errori
di montaggio e da eetti termici.
Vi sono problemi iperstatici in cui alcune componenti delle reazioni vincolari non dipen-
dono dai carichi ma sono prodotte da errori di montaggio o da eetti deformativi dovuti
alla temperatura. In assenza di errori di montaggio o di dierenze di temperatura tali
reazioni vincolari sono considerate nulle.
184
Capitolo 8
Problemi di statica delle strutture
Nel presente capitolo sono proposti alcuni problemi di statica delle strutture per la soluzione
completa dei quali, che consiste nel tracciamento dello schema di corpo libero denitivo di tutti
gli elementi, sono applicate le nozioni presentate nei capitoli precedenti. Nei vari esempi `e posta
particolare attenzione alle fasi di impostazione, analisi e soluzione del sistema, partendo dallo
schema statico del problema e, quindi, assumendo che la schematizzazione dei carichi e dei
vincoli sia gi`a stata eettuata. Sono analizzate in dettaglio alcune tecniche di soluzione delle
strutture reticolari.
8.1 Strutture piane
Nel presente paragrafo sono esaminate alcune strutture bidimensionali. Il primo problema
rappresenta una struttura con corpi fermi mentre il successivo ha alcune parti in movimento.
Esempio 8.1: Arco a tre cerniere con anello
Tracciare lo schema di corpo libero denitivo degli elementi della struttura rappresentata
in gura 8.1 (a = 100 mm e F = 3 kN) nella quale i corpi rigidi AC e OB di massa
trascurabile sono connessi con cerniere, mentre i cavi 1 e 2 sono ideali.
Figura 8.1: Struttura piana
185
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
Il tiro dei cavi si pu`o determinare imponendo preliminarmente lequilibrio dellanello E,
per cui possiamo trasformare il problema nel seguente pi` u semplice.
Figura 8.2: Problema di gura 8.1 in cui sono stati calcolati i tiri delle funi
che possono ora essere assunti come carichi
Dalla gura 8.1 si ricavano le seguenti propriet`a geometriche x
D
=
25
3.5
a, sin
1
=
3.5/

2
2
+ 3.5
2
= 0.868 e sin
2
= 2/
_
2
2
+ (7 x
D
)
2
= 0.435. Gli angoli possono essere
calcolati per la rappresentazione graca (anche se non servono per la soluzione):
1
=
119.7

e
2
= 25.77

. I tiri delle funi sono rappresentabili in componenti cartesiane nel


sistema indicato (forze espresse in kN):
T
1
_
cos
1
sin
1
_
= 2.708
_
0.496
0.868
_
e T
2
_
cos
2
sin
2
_
= 1.492
_
0.901
0.435
_
La struttura in gura 8.2 `e intrinsecamente isostatica (arco a tre cerniere non allineate).
Si pu`o osservare che la cerniera B non interrompe la continuit`a del corpo AC. Lazione
statica esercitata dai vincoli esterni e interni sugli elementi della struttura `e evidenziata
dallo schema di corpo libero preliminare in gura 8.3.
Figura 8.3: Schema di corpo libero preliminare
Si perviene al sistema risolvente imponendo lequilibrio di entrambi i corpi liberi (prima
cardinale rispetto agli assi x e y e seconda cardinale con polo A per il corpo AC e polo O
186
8.1. STRUTTURE PIANE
per il corpo OB):
_

_
K +V +T
1
cos
1
= 0
S +W T
1
sin
1
= 0
W 5a T
1
sin
1
9a = 0
QV +T
2
cos
2
= 0
U W T
2
sin
2
= 0
V 3.5a W 5a T
2
cos
2
2a T
2
sin
2
x
D
= 0
da cui, per sostituzione diretta, si ottiene il risultato numerico:
_
_
_
_
_
_
_
_
K
S
V
W
U
Q
_
_
_
_
_
_
_
_
=
_
_
_
_
_
_
_
_
6.000
1.881
7.344
4.232
4.881
6.000
_
_
_
_
_
_
_
_
kN
e lo schema di corpo libero denitivo.
Figura 8.4: Soluzione del problema: schema di corpo libero denitivo, forze
espresse in kN e rappresentate in scala
Esempio 8.2: Regolatore di Watt
Nella gura 8.5 `e schematizzato un regolatore di Watt che gira attorno allasse OA. La
barretta AC (di lunghezza b = 400 mm) che porta allestremit`a C la massa M = 120 g,
pu`o ruotare attorno alla cerniera A. La barretta DB (di lunghezza a = 150 mm) pu`o
spostarsi verticalmente tramite il manicotto D, mentre in B `e collegata con una cerniera
a un secondo manicotto libero di scorrere sullasta AC. Nella congurazione indicata (con
= 40

) il manicotto D appoggia su uno spallamento dellasse di rotazione. Attriti sui


vincoli e masse delle barrette sono trascurabili.
a) Tracciare lo schema di corpo libero della struttura a velocit`a di rotazione nulla.
b) Determinare la velocit`a angolare
1
alla quale si ha il sollevamento del manicotto D.
187
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
c) Tracciare lo schema di corpo libero della struttura quando il regolatore ruota a
2
=

1
/2
Figura 8.5: Schema di regolatore di Watt
Assumendo un sistema di riferimento che ruota solidalmente al regolatore, il problema
pu`o essere esaminato nel piano. Per la simmetria `e suciente analizzare solo met`a della
struttura. Quando la velocit`a di rotazione non `e nulla, `e necessario aggiungere al peso
(Mg) della massa M anche la forza centrifuga M
2
b sin . Altri carichi sono trascurabili
in quanto lo sono le masse degli altri elementi. Per quanto riguarda lo schema dei vincoli,
osserviamo che:
in A `e presente una cerniera che collega la barretta AC al telaio (in questo caso
lalbero OA)
in D vi `e un incastro: il manicotto appoggiato non consente alla barretta DB al-
cun movimento. Tuttavia, se il manicotto si solleva il vincolo diventa un bipendolo
(lappoggio verticale `e unilatero)
in B vi `e un vincolo interno tra le due barrette che, come osservato nel capitolo 4,
complessivamente corrisponde a un appoggio semplice con retta dazione normale alla
direzione AC
Nella gura 8.6 `e riportato lo schema statico della struttura e il corrispondente schema di
corpo libero preliminare. Essendo AB = a/ sin , il sistema risolvente `e il seguente:
_

_
R +T cos +M
2
b sin = 0
S +T sin Mg = 0
T a/sin +M
2
b sin b cos Mg b sin = 0
U T cos = 0
V T sin = 0
W T sin a = 0
188
8.1. STRUTTURE PIANE
Per rispondere alla domanda a) si pone = 0 e si perviene alla seguente unica soluzione,
dimostrando in modo diretto che il problema `e isostatico:
_
_
_
_
_
_
_
_
R
S
T
U
V
W
_
_
_
_
_
_
_
_
=
_
_
_
_
_
_
_
_
0.994
0.343
1.297
0.994
0.834
125.1
_
_
_
_
_
_
_
_
in cui le forze (R, S, T, U, V ) sono espresse in N e il momento W in Nmm. Lo schema di
corpo libero denitivo `e rappresentato nella gura 8.7a).
Figura 8.6: Schema statico a) e schema di corpo libero preliminare b)
Per rispondere alla domanda b) ricaviamo V dalla terza e dalla quinta equazione del
sistema. Quando =
1
= 5.66 rad/s (= 54.0 giri/min) la reazione V si annulla. Pertanto
per >
1
la reazione verticale cambierebbe di segno indicando che lequilibrio nella
congurazione data sarebbe garantito solo da una forza verticale diretta verso il basso che
non pu`o essere esercitata dal contatto unilatero.
Lo schema di corpo libero quando il regolatore ruota a
2
= 2.83 rad/s (domanda c))
`e rappresentato in gura 8.7.
189
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
Figura 8.7: Schemi di corpo libero denitivo per: a) = 0 e b) = 2.83 rad/s
Nota. Il lettore pu`o vericare che, considerando il regolatore completo con doppia mas-
sa (come in gura 8.5), la reazione vincolare di incastro in O `e composta solo da una
componente verticale di forza. Questo risultato `e dovuto alla simmetria.
Esercizio 8.1: Regolatore di Watt sollevato
Con riferimento allesempio 8.2, vericare che linnalzamento del manicotto dal piattello,
che indichiamo con y(D), `e espresso dalla seguente tabella in funzione della velocit`a
angolare.
(rad/s) y(D)(mm)
5.658 0
11.316 149.5
16.975 166.0
22.633 171.6
Suggerimento. Si tratta di un problema piano del secondo tipo in cui la congurazione
di equilibrio dipende dal carico (nello specico dalla velocit`a angolare). La soluzione pu`o
essere facilitata dalla constatazione che, appena il piattello si solleva, lelemento DB risulta
completamente scarico.
8.2 Strutture reticolari
Nel presente paragrafo `e analizzata la classe delle strutture reticolari per le quali il
sistema pu`o essere risolto in modo rapido con una opportuna scelta delle incognite. Anche se si
tratta di situazioni particolari, le strutture reticolari trovano diversi campi di applicazione nella
pratica costruttiva. Il procedimento di soluzione semplicato `e utile perche consente anche di
acquisire una capacit`a predittiva delle propriet`a dalla soluzione. Gran parte delle considerazioni
190
8.2. STRUTTURE RETICOLARI
`e dedicato allo studio dei casi piani, un cenno alla soluzione di problemi tridimensionali `e fornito
alla ne del capitolo.
Una struttura `e detta reticolare se ogni corpo esteso costituente ha un diagramma di corpo
libero costituito da ununica coppia di braccio nullo. Nel caso piano, una struttura reticolare
`e di solito composta da corpi estesi, di forma qualunque, ognuno dei quali porta due cerniere
non necessariamente alle estremit`a. Le cerniere sono gli unici vincoli con cui gli elementi della
struttura sono collegati tra loro o al telaio, in certi casi una cerniera pi` u essere sostituita da un
appoggio semplice. Le cerniere sono talvolta chiamate nodi della struttura reticolare. Anche
la struttura possa considerarsi reticolare, inoltre, i carichi devono essere forze applicate ai nodi.
8.2.1 Arco a tre cerniere reticolare
Nella gura 8.8 `e rappresentato lo schema statico di un arco a tre cerniere non allineate
caricato in corrispondenza della cerniera interna. Poiche la struttura `e intrinsecamente isostati-
ca, il problema pu`o essere risolto con il metodo standard, tuttavia, identicata come struttura
reticolare, la soluzione si ottiene in modo ancora pi` u semplicemente e diretto.
Figura 8.8: Arco a tre cerniere reticolare
Consideriamo lo schema di corpo libero di un generico elemento della struttura reticolare.
Non essendovi, per denizione, azioni esterne oltre a quelle applicate ai centri delle cerniere,
sul corpo possono agire al pi` u due forze, ognuna in corrispondenza di una cerniera, e, per
lequilibrio, tali forze devono costituire una coppia di braccio nullo. Del generico sistema di
forze che sollecita ogni singolo elemento della struttura reticolare risultano quindi sempre noti:
i punti di applicazione (i nodi del corpo)
e la retta dazione (la congiungente i nodi).
Come mostrato in gura 8.9, lo schema di corpo libero denitivo dipende quindi solo dallin-
tensit`a e dal verso di due (sole) forze. Generalizzando, la soluzione statica di una struttura
reticolare composta di n elementi richiede la determinazione di (soltanto) n incognite scalari.
La riduzione delle incognite (sarebbero in genere 3n nel procedimento standard) produce una
corrispondente semplicazione del sistema risolvente.
Adottando una convenzione universalmente accettata, nello schema di corpo libero prelimi-
nare le forze agenti su ogni corpo sono assunte divergenti come mostrato in gura 8.9, ovvero
si attribuisce alle forze incognite il verso che induce un allontanamento dei nodi corrispondenti.
Questa convenzione presume pertanto che ogni elemento della struttura si comporti staticamen-
te come una fune ideale. In realt`a, dato che lelemento della struttura `e in genere un corpo rigido
pu`o essere in equilibrio anche se sottoposto a una coppia di forze convergenti. Pertanto, se il
191
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
Figura 8.9: Schema di corpo libero preliminare dellarco a tre cerniere
reticolare
segno del risultato `e positivo,le forze eettivamente agenti sullelemento sono del tipo previsto e
lelemento risulta tirato durante il funzionamento, se viceversa, il segno del risultato `e negativo,
le forze agenti sul corpo producono unazione che tende a comprimerlo. Come abbiamo pi` u volte
sottolineato `e peraltro conveniente prescindere dalla previsione iniziale del segno del risultato
che sar`a rappresentato coerentemente nel diagramma di corpo libero denitivo.
Il seguente esempio illustra lapplicazione pratica del procedimento di soluzione.
Esempio 8.3: Arco a tre cerniere reticolare
Tracciare lo schema di corpo libero denitivo per gli elementi della struttura rappresentata
in gura 8.10, in cui il disco 1, calettato su un cuscinetto in A, `e collegato alla barra
rigida 2 connessa a due cerniere (B e C). I dati sono i seguenti: R = 250 mm, F = 700 N,
= 40

, = 27

, = 15

.
Figura 8.10: Struttura reticolare intrinsecamente isostatica
Sfruttiamo la caratteristica reticolare della struttura per ridurre a due le incognite
statiche (N
1
e N
2
) in modo che siano sucienti due sole equazioni di equilibrio indipendenti.
A tale scopo si pu`o sfruttare lequilibrio del nodo B, sicamente materializzato dal perno
della cerniera, che pu`o essere considerato un punto materiale di massa trascurabile sul quale
agiscono: la forza esterna e le reazioni (di terzo principio) delle forze N
1
e N
2
. Ipotizzando
che le forze N
1
e N
2
agenti sugli elementi siano positive secondo la convenzione, lo schema
di corpo libero preliminare del nodo B risulta rappresentato nella gura 8.11.
192
8.2. STRUTTURE RETICOLARI
Figura 8.11: Schema di corpo libero preliminare del nodo B
Il sistema risolvente `e il seguente:
_
R
x
= F cos N
1
cos +N
2
cos = 0
R
y
= F sin N
1
sin N
2
sin = 0
la cui soluzione `e: N
1
= 572 N e N
2
= 192.2 N dalla quale si ottiene lo schema di cor-
po libero denitivo per gli elementi della struttura (gura 8.12) dal quale possono essere
ricavate tutte le caratteristiche della soluzione. La determinazione delle reazioni vincolari
esterne, nel sistema di riferimento indicato, `e lasciata al lettore. Il segno negativo dellinco-
gnita N
2
`e stato interpretato nello schema di corpo libero denitivo tramite il cambiamento
del verso delle forze agenti sul corpo 2 rispetto allo schema preliminare. Possiamo osservare
che, ai ni dellequilibrio della struttura nella congurazione data e con i carichi agenti, il
corpo 1 potrebbe essere sostituito da un cavo ideale che connette i punti A e B. A causa del
segno negativo della corrispondente reazione statica, unanaloga sostituzione non potrebbe
invece essere eettuata per il corpo 2.
Figura 8.12: Schema di corpo libero denitivo per gli elementi della struttura
193
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
Esercizio 8.2: Struttura reticolare con soluzione standard
Risolvere il problema precedente con il metodo standard e vericare che la soluzione `e
identica a quella ottenuta.
Suggerimento.
`
E istruttivo adottare due modellazioni sulla base delle considerazioni
seguenti.
1. Considerare la struttura un arco a tre cerniere non allineate (N = M = r
A
= 6). In
questo caso la forza

F deve essere applicata a uno dei due corpi in corrispondenza
di B (non `e necessario considerare nel modello il perno della cerniera). Vericare
che lo schema di corpo libero denitivo non `e inuenzato dalla scelta del corpo su
cui la forza

F `e supposta agire. Vericare che la forza

F pu`o essere arbitrariamente
ripartita sui due corpi scomponendola in due forze

F
1
e

F
2
purche valga la relazione

F =

F
1
+

F
2
.
2. Considerare la struttura composta da 3 corpi: disco 1, barra 2 e perno della cerniera
B. In questo caso N = M = r
A
= 8, la forza esterna pu`o essere assunta applicata al
perno. Le reazioni vincolari incognite sono: 2 forze sulla cerniera A e 2 sulla cerniera
C, mentre per la B vi sono 4 incognite scalari: due componenti che deniscono
lazione scambiata dal disco 1 e il perno e due componenti (indipendenti delle prime)
che deniscono linterazione tra la barra 2 il perno.
8.2.2 Strutture reticolari pi` u complesse: metodo dei nodi e delle sezioni
Il confronto della soluzione del problema precedente con quella ottenuta dal metodo stan-
dard dimostra lecacia del metodo di soluzione reticolare. Il metodo di soluzione reticolare
nora adottato, basato sullequilibrio del nodo, assunto come punto materiale privo di massa, `e
chiamato metodo dei nodi. Per le strutture reticolari esiste un altro procedimento, talvolta
ancora pi` u ecace, noto come: metodo delle sezioni.
Per ragioni di semplicit`a graca, negli esempi che seguono gli elementi delle strutture retico-
lari sono rappresentati come corpi di forma rettilinea. Eettivamente, a causa della semplicit`a
e del basso costo, le barre rettilinee sono frequentemente utilizzate nella pratica costruttiva per
realizzare strutture reticolari, tuttavia, `e opportuno ricordare che la forma dei corpi costituenti
non ha eetti sul procedimento di soluzione.
Esempio 8.4: Struttura reticolare in generale
Determinare le sollecitazioni degli elementi della struttura reticolare di gura 8.13 in cui i
nodi sono disposti su triangoli equilateri di lati a = 500 mm e con carico P = 1.8 kN.
194
8.2. STRUTTURE RETICOLARI
Figura 8.13: Struttura reticolare con nodi su triangoli equilateri
`
E sempre opportuno classicare il problema prima di risolverlo. Il procedimento costrut-
tivo evidenzia che si tratta di una struttura intrinsecamente isostatica perche si ottiene per
sovrapposizione di archi a tre cerniere non allineate. Possiamo pertanto aspettarci la con-
dizione N = M = r
A
. Per calcolare N e M `e utile numerare gli elementi della struttura
e identicare i nodi come mostrato nella gura 8.14 in cui si contano 10 corpi rigidi (nel
piano) e 7 nodi. Il numero totale di gradi di libert`a della struttura vale: N = 10 3 = 30.
Figura 8.14: Tipica designazione dei nodi (con lettere) e degli elementi (con
numeri) di una struttura reticolare
Meno immediata appare la valutazione del numero di reazioni vincolari indipendenti
del metodo standard. Infatti, mentre alcune cerniere dello schema sono semplici (nello
specico: A e G) in quanto connettono due elementi, o un elemento al telaio, altre sono
cerniere multiple in quanto connettono pi` u di due corpi. Per esempio, alla cerniera C
convergono tre elementi (1, 3 e 4) e quindi essa `e una cerniera doppia composta da una
cerniera che connette 1 e 3 e una cerniera che connette 1 e 4 geometricamente coincidenti
nel punto C. Con il procedimento di soluzione standard, `e quindi necessario considerare
come incognite vincolari indipendenti due componenti per linterazione tra 1 e 3 e due per
linterazione tra 1 e 4. La cerniera doppia C contribuisce pertanto al computo di M con 4
unit`a. Si pu`o osservare che il numero di cerniere coincidenti in un nodo `e dato dal numero
di corpi estesi che vi convergono (telaio compreso) meno 1. La seguente tabella rappresenta
le cerniere dellesempio:
195
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
Nodo n. cerniere M
A 1 2
B 3 6
C 2 4
D 3 6
E 3 6
F 2 4
G 1 2
Totale 15 30
Considerando quindi il corretto numero di cerniere semplici per ogni nodo, si ottiene il
valore previsto delle incognite del metodo standard.
Anche in questo caso, la soluzione risulta notevolmente semplicata rispetto al metodo
standard se si adotta lo schema di soluzione reticolare, in quanto il sistema risolvente `e di
10 equazioni in 10 incognite. Il sistema risolvente prodotto dal metodo dei nodi `e tuttavia
composto da equazioni accoppiate (ovvero che contengono pi` u incognite) e per risolverlo
sono necessarie alcune sostituzioni parziali. Il metodo delle sezioni consente in questo caso
di ottenere 10 equazioni disaccoppiate, ognuna contenente una sola incognita. Il metodo
`e basato sulla possibilit`a di scrivere equazioni di equilibrio indipendenti (generalmente di
momento) considerando sottostrutture ottenute da opportuni tagli ideali, come illustrato
nella gura 8.15.
Figura 8.15: Esemplicazione del metodo delle sezioni
Nellesempio di gura 8.15 il taglio interrompe, in corrispondenza dei nodi, la continuit`a
dei tre elementi 4, 5 e 6 e le azioni esterne agenti nella sottostruttura a destra del taglio
sono note (P). Osserviamo, per inciso, che le azioni sulla parte sinistra non sono note, a
meno di avere gi`a determinato le reazioni vincolari esterne. Consideriamo la sottostruttura
a destra del taglio. Per il principio di Eulero, essendo parte di una struttura in equilibrio,
la sottostruttura pu`o essere considerata un unico corpo esteso in equilibrio. Su tale corpo
agiscono carichi e reazioni vincolari, questi ultimi derivano proprio dalle azioni trasmesse
dagli elementi interrotti dal taglio, come schematizzato nella gura 8.15. Poiche sono stati
sconnessi tre elementi, le incognite scalari del problema di equilibrio sono tante quante
le condizioni indipendenti ottenibili dalle cardinali e quindi il problema pu`o essere risolto
direttamente a prescindere dallequilibrio delle altre parti.
Vediamo come una opportuna scelta delle equazioni di equilibrio permetta di ottenere
la matrice A del problema parziale in forma diagonale. Indicando con H
45
il punto di
196
8.2. STRUTTURE RETICOLARI
intersezione delle rette dazione delle reazioni incognite N
4
e N
5
, lequazione di equilibrio a
momento della sottostruttura rispetto a H
45
contiene necessariamente solo lincognita N
6
.
Infatti, chiamato h = a sin (/3) lequazione di equilibrio si scrive come:
N
6
h P 1.5a = 0
Il procedimento pu`o essere ripetuto per il polo H
65
(che coincide con il nodo B) in modo
da ottenere una equazione in cui compare solo la reazione N
4
. Lintersezione H
46
`e per`o
un punto improprio (o punto allinnito), essendo le rette dazione di N
4
e N
6
parallele.
Questo fatto pu`o sembrare una complicazione del metodo, in realt`a `e immediato rendersi
conto che imporre lequilibrio a momento rispetto a un punto improprio equivale a imporre
lequilibrio della risultante nella direzione perpendicolare alla direzione del punto improprio
stesso. In eetti, lequazione di risultante verticale per la sottostruttura:
N
5
sin (/3) P = 0
contiene solo lincognita N
5
.
Una serie di ulteriori tagli aventi caratteristiche simili completa la soluzione. Il risultato
nale `e riportato nella seguente tabella:
i 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
N
i
(kN) -2.078 1.039 2.078 -2.078 -2.078 3.118 6.235 -6.235 -6.235 9.353
Si pu`o vericare che la soluzione `e indipendente dalla dimensione della struttura, in
tutte le equazioni compaiono infatti solo i valori adimensionali h/a = sin (/3).
Lapplicazione del metodo delle sezioni richiede pertanto che:
sia possibile eettuare un taglio ideale, che interessi non pi`u di tre elementi, in
modo da dividere la struttura reticolare in due parti su almeno una delle quali siano
completamente note le azioni esterne agenti.
Per una struttura reticolare piana intrinsecamente isostatica, una opportuna combinazione
del metodo dei nodi e del metodo delle sezioni permette spesso di giungere alla soluzione del
sistema in modo rapido.
Esercizio 8.3: Confronto tra metodi di soluzione
Data la struttura reticolare di gura 8.16 che ha i nodi collocati in corrispondenza dei
vertici di quadrati di lato a = 260 mm e sottoposta a un carico P = 3.5 kN:
a) vericare che N = M = 39;
b) risolvere la struttura con il metodo dei nodi;
c) risolvere la struttura con il metodo delle sezioni.
197
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
Figura 8.16: Struttura reticolare con geometria quadrata
Suggerimento. In questo caso non sono note a priori tutte le azioni agenti su alcuna delle
due parti in cui la struttura pu`o essere divisa dal taglio ideale, tuttavia, le reazioni vinco-
lari esterne possono essere preliminarmente determinate imponendo lequilibrio dellintera
struttura.
Esercizio 8.4: Combinazione dei metodi di soluzione
Per la struttura reticolare in gura 8.17 con P = 20 kN, in cui gli elementi 5 e 6 si in-
crociano ma non sono connessi, le coordinate dei nodi sono fornite dalla seguente
tabella:
Nodo A B C D E
x (mm) 0 1250 0 800 400
y (mm) 0 0 2400 2400 2600
a) Vericare che N = M = 18,
b) Risolvere la struttura
Figura 8.17: Struttura reticolare
198
8.3. STRUTTURE PARZIALMENTE O APPROSSIMATIVAMENTE RETICOLARI
Suggerimento. Non `e possibile determinare subito il valore delle reazioni vincolari ester-
ne. Questo non signica ovviamente che il problema sia iperstatico, in eetti la struttura
`e intrinsecamente isostatica. Data la congurazione, le reazioni esterne sono ottenibili solo
insieme a quelle interne. Unopportuna combinazione dei metodi dei nodi e delle sezioni
`e adatta a questo caso: lequilibrio del nodo E fornisce le reazioni N
1
e N
2
, che successi-
vamente possono essere usate per lequilibrio delle sottostrutture ottenute eliminando gli
elementi 1 e 2, ecc. . . .
8.3 Strutture parzialmente o approssimativamente reticolari
I vantaggi pratici dellanalisi reticolare suggeriscono di sfruttarla anche in situazioni in cui
parti della struttura sono sollecitate o vincolate in modo da non essere esattamente reticolari.
Consideriamo il seguente esempio.
Esempio 8.5: Struttura quasi reticolare
Risolvere la struttura di gura 8.18 (a = 400 mm, P = 1 kN).
Figura 8.18: Struttura quasi reticolare
Si tratta di una struttura intrinsecamente isostatica ma non reticolare perche il carico
non `e applicato ai nodi. Tuttavia, solo lelemento 1 `e anomalo perche sottoposto a tre forze:
il carico P pi` u due forze concentrate in A e in B (che non possono avere retta dazione AB).
Lelemento 1 avr`a pertanto uno schema di corpo libero diverso da una coppia di braccio
nullo. Questo fatto tuttavia non impedisce di determinare lo schema di corpo libero degli
altri elementi usando i procedimenti sviluppati per le strutture reticolari.
La reazione dellappoggio esterno pu`o essere ottenuta tramite lequilibrio alla rotazione
globale della struttura attorno alla cerniera esterna. Tagli che interessano lelemento 1,
come per esempio quello rappresentato nella gura 8.19, non sono adatti per lapplicazione
del metodo delle sezioni. Infatti, non `e possibile prevedere a priori la direzione dellazione
scambiata dallelemento 1 e suoi nodi. Questo fatto impedisce che si possano ottenere
immediatamente le reazioni N
3
e N
4
con il metodo delle sezioni.
199
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
Figura 8.19: Taglio ideale non sfruttabile per il metodo delle sezioni
Con i metodi delle sezioni e dei nodi si possono tuttavia determinare le reazioni: N
2
,
N
5
, N
6
, N
7
, N
8
e N
9
. Per lequilibrio del nodo C, essendo note le reazioni N
7
e N
8
, si
ricavano N
3
e N
4
con il sistema 2 2:
_
N
3
+N
4
sin = 0
N
4
cos N
7
+N
8
= 0
dove sin = 0.848. Il lettore pu`o vericare che per la parte reticolare della struttura la
soluzione `e data dalla tabella seguente:
i 2 3 4 5 6 7 8 9
N
i
/P -0.688 -0.167 0.197 0 -0.491 0.365 0.26 0.26
Dalla soluzione si ricavano anche le reazioni per lelemento 1. Nella gura 8.20 sono
rappresentati gli schemi di corpo libero (preliminare e denitivo) dellelemento 1.
Figura 8.20: Situazione dellelemento 1: a) schema di corpo libero prelimi-
nare (sulla base dellipotesi reticolare del resto della struttura) e b) schema
denitivo sulla base dei valori della tabella
`
E interessante osservare che lelemento 5 non `e sollecitato e quindi potrebbe essere
rimosso dalla struttura senza modicare la soluzione. Si osservi che, in assenza del cor-
po 5, il problema esaminato sarebbe ancora isostatico, ma la struttura non sarebbe pi` u
intrinsecamente isostatica e quindi, sotto altri carichi potrebbe diventare labile.
Con riferimento al precedente esempio 8.5, il lettore pu`o vericare che, sostituendo il carico
P con un sistema a esso equivalente sempre applicato allelemento 1 (per esempio due forze
verticali pari a P/2 simmetricamente applicate rispetto alla retta dazione di P), lo schema
200
8.3. STRUTTURE PARZIALMENTE O APPROSSIMATIVAMENTE RETICOLARI
di corpo libero degli elementi della struttura non cambia escluso lelemento 1 stesso. In una
struttura isostatica infatti, se si applica sistema autoequilibrato su un elemento, gli altri elementi
non ne risentono in alcun modo. Nei problemi isostatici, la sostituzione di sistemi con altri
staticamente equivalenti ha quindi solo un eetto locale sulla soluzione. Il seguente esercizio
rappresenta una interessante applicazione di questo fatto.
Esercizio 8.5: Carico nodale equivalente
Vericare che la struttura reticolare di gura 8.21, ottenuta da quella dellesempio 8.5 pre-
cedente sostituendo al carico applicato allelemento 1 un sistema staticamente equivalente
composto di forze applicate ai nodi, ha la stessa soluzione (lo stesso schema di corpo libero
denitivo), escluso il solo elemento 1.
Figura 8.21: Carico nodale equivalente al caso di gura 8.18
Questa constatazione permette di ottenere soluzioni approssimate, ma in molti casi sucien-
temente accurate, anche con carichi non applicati ai nodi, come per esempio carichi distribuiti
dovuti al peso proprio o alle forze dinerzia.
Esempio 8.6: Struttura approssimativamente reticolare
La struttura rappresentata in gura 8.22 (a = 1250 mm e b = 800 mm) `e utilizzata per
sorreggere le due barre orizzontali 1 e 2 ognuna avente massa M = 200 kg. Lunico carico
signicativo `e rappresentato dal peso proprio delle barre 1 e 2, le altre barre hanno massa
trascurabile. Ottenere la soluzione con il metodo di analisi delle strutture reticolari.
Figura 8.22: Stuttura per sostenere le barre pesanti orizzontali 1 e 2
201
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
Su ognuna delle barre pesanti, di peso P = Mg = 1962 N, il carico `e distribuito unifor-
memente lungo lasse ed `e staticamente equivalente a due forze verticali di intensit`a P/2
applicate agli estremi della barra stessa. La struttura reticolare approssimata equivalente
`e rappresentata nella gura 8.23
Figura 8.23: Stuttura reticolare equivalente
La struttura reticolare di gura 8.23 ha la seguente soluzione:
i 1 2 3 4 5 6
N
i
(kN) -6.131 -1.533 5.46 -0.981 1.82 1.533
Si pu`o inoltre osservare che, essendo state determinate in modo corretto le azioni esercitate
degli elementi non pesanti, `e anche possibile ripristinare le condizioni di carico eettive
delle barre 1 e 2 e tracciarne i diagrammi di corpo libero denitivo corretti come mostrato
in gura 8.24.
Figura 8.24: Schema di corpo libero denitivo (corretto) delle barre pesanti
A commento degli ultimi esempi, osserviamo che i metodi dei nodi e delle sezioni hanno
permesso una rapida soluzione approssimata che `e stata successivamente corretta localmente
per rappresentare il comportamento degli elementi sui quali agiscono carichi non nodali. Tale
202
8.4. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE RETICOLARI
correzione talvolta pu`o essere peraltro poco rilevante, specialmente se i carichi sono di tipo
distribuito. Osserviamo, per esempio, che i diagrammi di corpo libero delle due barre pesanti
dellultimo esempio sono quantitativamente diversi tra loro e che la barra 1 svolge un compito
strutturale pi` u gravoso della barra 2, pur essendo soggetta allo stesso carico esterno. In eetti,
lelemento di una struttura `e sottoposto ad azioni vincolari dipendenti dalla sua posizione
che spesso sono prevalenti rispetto ai carichi esterni su di esso direttamente applicati. Per
giusticare tale aermazione, basta considerare che le reazioni vincolari (interne o esterne) sono
conseguenza dal carico complessivo agente sulla struttura. In strutture reticolari composte
da molti elementi `e quindi presumibile che lo schema di corpo libero ottenuto dalla soluzione
reticolare approssimata sia gi`a sucientemente accurato, in particolare per gli elementi che
devono svolgere i compiti strutturali pi` u gravosi. Nello specico, il lettore pu`o confrontare la
soluzione corretta di gura 8.24 con quella ottenuta dallipotesi reticolare che prevede, per le
barre pesanti, le sole azioni prodotte da N
1
e N
2
. Anche in questo caso, in cui gli elementi non
sono molto numerosi (si confronti la struttura esaminata con il braccio di una gru da cantiere),
la soluzione reticolare approssimata prevede correttamente su tutti gli elementi, 1 e 2 compresi,
le azioni che hanno lintensit`a maggiore. Pertanto, in strutture quasi reticolari soggette anche a
signicativi carichi distribuiti, come per esempio il peso, la spinta del vento o le forze dinerzia
in tralicci di bracci gru, elettrodotti o capriate di coperture, la semplicazione reticolare `e
comunemente accettata.
8.4 Classicazione delle strutture reticolari
Il metodo di soluzione reticolare non `e ovviamente ecace se la struttura reticolare `e iper-
statica. In questo caso il sistema risolvente rimane indeterminato e, necessariamente, almeno
qualcuna delle reazioni non potr`a essere ottenuta con le sole considerazioni di equilibrio. Ricor-
dando che la classicazione della natura del problema non pu`o essere generalmente eettuata
sulla base del confronto diretto tra N e M, sono illustrati alcuni esempi di strutture reticolari
con particolare riferimento alla loro classicazione statica.
Esempio 8.7: Classicazione di strutture reticolari: 1
Classicare la struttura reticolare in gura 8.25.
Figura 8.25: Struttura apparentemente iperstatica
Il numero totale di gradi di libert`a `e N = 9 3 = 27 , il calcolo di M pu`o essere
eettuato tramite la seguente tabella:
203
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
Nodo n. cerniere M
A 2 4
B 3 6
C 2 4
D 2 4
E 2 4
F 3 6
Totale 14 28
A prima vista il problema sembra 1 volta iperstatico. In eetti, la struttura reticolare
sconnessa dal telaio `e realizzata con archi a tre cerniere non allineate e quindi pu`o essere
assimilata a un unico corpo rigido. Per la struttura non vincolata al telaio risulta in eetti
M = 24 e N = 27 e quindi si ha una dierenza di 3 gradi di libert`a pari a quelli di un
corpo rigido libero nel piano. Tale corpo rigido `e successivamente collegato al telaio con due
cerniere. Questa situazione `e gi`a stata analizzata nel capitolo precedente e le conclusioni
sono quindi:
se Q ,= 0 la struttura `e eettivamente 1 volta iperstatica; allo scopo di renderla
isostatica `e necessario eliminare un vincolo semplice, per esempio si pu`o sostituire
una cerniera esterna con un appoggio semplice
se Q = 0 la struttura `e isostatica in quanto, se non vi sono errori di montaggio o
eetti termici, le reazioni orizzontali delle cerniere esterne non dipendono dai carichi.
Esempio 8.8: Classicazione di strutture reticolari: 2
Classicare la struttura in gura 8.26
Figura 8.26: Struttura internamente iperstatica
Anche in questo caso si ottiene una apparente ridondanza di vincoli: N = 18 e M = 19.
Si noti che le reazioni vincolari esterne possono per`o essere valutate. Le reazioni vincolari
interne rimangono invece indeterminate e il problema `e eettivamente 1 volta internamente
iperstatico. Per poterlo risolvere `e necessario eliminare un vincolo interno. Il lettore pu`o
vericare che il problema diventa isostatico se si elimina uno qualunque degli elementi della
204
8.4. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE RETICOLARI
struttura. Ci`o signica che, chiamato i tale elemento, le reazioni interne dipendono oltre
che dal carico anche da N
i
(eettivamente si ottengono
1
soluzioni).
Esempio 8.9: Classicazione di strutture reticolari: 3
Classicare la struttura in gura 8.27.
Figura 8.27: Struttura la cui classicazione dipende dal carico
Anche la classicazione di questo problema (per il quale N = M = 18) non `e immediata.
Il lettore dovrebbe essere in grado di vericare le seguenti aermazioni:
se P = 0 (e Q ,= 0) il problema `e 1 volta iperstatico
se P ,= 0 il problema `e, nella congurazione data, labile indipendentemente da Q)
Lallineamento della cerniera tripla A con le cerniere esterne `e la causa di questa
caratteristica.
Esempio 8.10: Molteplicit`a delle cerniere
Classicare la struttura in gura 8.28.
Figura 8.28: Cerniera che non interrompe la continuit`a
Questo esempio evidenzia limportanza dellesame dello schema statico. Come si pu`o
osservare in gura 8.28 la cerniera in A `e diversa dalla cerniera A dellesempio precedente.
205
8. PROBLEMI DI STATICA DELLE STRUTTURE
In questo caso lelemento orizzontale BC non `e sconnesso dalla cerniera A che ha molte-
plicit`a 2 (la situazione `e evidenziata dallingrandimento). Sullelemento BC non agiscono
quindi due sole forze ma, in generale, tre forze (in corrispondenza dei punti A, B e C),
la struttura non `e pertanto completamente reticolare. Si tratta in ogni caso di una strut-
tura intrinsecamente isostatica che pu`o essere risolta considerando che `e reticolare escluso
lelemento BC.
`
E lasciato al lettore il compito di ottenere la soluzione scegliendo i dati a
piacimento e usando il metodo proposto per le strutture parzialmente reticolari.
La soluzione delle strutture reticolari nel piano pu`o essere facilitata da considerazioni che si
ricavano in modo diretto dalle propriet`a dellequilibrio. Consideriamo due (soli) elementi i e j
di una struttura reticolare connessi in un nodo A (come in gura 8.29a)) in modo che le rette di
azione delle eventuali reazioni siano non parallele. Per lequilibrio del nodo A, se non agiscono
forze esterne, necessariamente N
i
= N
j
= 0. Quindi gli elementi i e j sono scarichi e possono
essere eliminati nello schema statico prima di procedere nella soluzione.
Figura 8.29: Situazioni particolari di elementi convergenti in un nodo scarico:
a) due elementi con reazioni che hanno rette dazione non parallele e b) tre
elementi, due dei quali con rette dazione parallele
Consideriamo la situazione di gura 8.29b), in cui sul nodo A convergono 3 elementi con le
seguenti caratteristiche: le forze esercitate da i e da j sono parallele mentre la forza esercitata
dallelemento k ha direzione diversa. In questo caso, se sul nodo A non sono esercitate altre
forze, valgono le relazioni: N
i
= N
j
e N
k
= 0. La dimostrazione `e lasciata per esercizio. Nella
prosecuzione del calcolo pertanto lelemento k pu`o essere eliminato e, volendo, gli elementi i e j
riuniti in un unico elemento.
8.5 Strutture reticolari nello spazio
Le strutture reticolari sono usate anche in tre dimensioni. Anche possa essere soggetto
solo a una coppia di braccio nullo, lelemento di una struttura nello spazio deve essere privo
di carichi diretti e connesso al resto della struttura (o al telaio) tramite una coppia di cerniere
sferiche. Al posto di una cerniera sferica vi possono essere, in alcuni casi, un appoggio o una
cerniera piana nello spazio.
Lunit`a di base per realizzare strutture reticolari nello spazio, ovvero lequivalente tridimen-
sionale allarco a tre cerniere non allineate, `e rappresentata dal tetraedro non degenere di gura
8.30a). Il tetraedro `e composto da 3 corpi estesi ognuno dei quali `e vincolato al telaio con
una cerniera sferica ed `e connesso agli altri due da una quarta cerniera sferica comune (dop-
pia). Inoltre, i centri delle 4 cerniere A, B
1
, B
2
e B
3
non devono essere complanari, in modo
che individuino i vertici di un tetraedro a facce triangolari non degenere, di volume non nullo.
206
8.5. STRUTTURE RETICOLARI NELLO SPAZIO
Con combinazioni di tetraedri di questo tipo si possono realizzare complesse strutture reticolari
isostatiche nello spazio.
Figura 8.30: Schema di struttura tetraedrica nello spazio a) e schema di
corpo libero del nodo in comune b)
Se si applica una forza P in corrispondenza del nodo comune A, le tre reazioni vincolari,
essendo tre vettori linearmente indipendenti (a causa della non complanarit`a dei nodi), possono
essere individuate univocamente imponendo lequilibrio del nodo (gura 8.30b)).
`
E interessante analizzare la natura statica del problema di gura 8.30a). Si ottiene immedia-
tamente: N = 3 6 = 18, e, considerando che vi sono tre cerniere sferiche semplici (3 3 = 9) e
una cerniera sferica doppia (2 3 = 6), il numero di incognite del metodo standard `e pertanto
M = 15. La dierenza (N M = 3) suggerisce che la struttura ha tre gradi di libert`a. In
eetti, per ognuno dei tre corpi estesi i vincoli non impediscono la rotazione attorno alla retta
congiungente i centri delle relative cerniere. Tuttavia, se la struttura `e caricata solo da forze
sui nodi, non vi sono azioni che tendono a produrre rotazioni degli elementi collegati. Si pu`o
quindi aermare che la struttura tetraedrica non degenere, se caricata solo sui nodi `e isostatica
(anche se non intrinsecamente) in quanto le reazioni vincolari (N
i
con i = 1, 2, 3) sono univoca-
mente individuabili dalle equazioni cardinali. Per un carico qualunque, la struttura pu`o essere
isostatica o anche labile. La labilit`a si verica se il carico agente su qualche elemento ha una
componente non nulla di momento rispetto alla retta congiungente i nodi.
Se i quattro nodi appartengono a un piano il tetraedro con vertici A, B
1
, B
2
e B
3
degenera
in un solido di volume nullo, equivalente tridimensionale dellarco a tre cerniere allineate del
caso piano. Per il tetraedro degenere caricato con una forza applicata sul nodo A si verica che:
`e labile (localmente) se il carico nodale ha componente normale al piano ;
`e generalmente una volta iperstatico se la forza nodale appartiene al piano .
207
Capitolo 9
Il modello di trave e le
caratteristiche di sollecitazione
Il capitolo tratta i modelli matematici che permettono di descrivere la forma degli elementi
di una struttura. La descrizione della forma di un corpo esteso `e necessaria per consentire la
previsione delle sue sollecitazioni. Dopo la denizione dei principali modelli strutturali per i
corpi estesi mono-dimensionali e bi-dimensionali, il capitolo sviluppa in modo approfondito il
modello di corpo mono-dimensionale: la trave. Particolare attenzione `e dedicata alla denizione
del fondamentale concetto di caratteristica di sollecitazione per la trave e alla discussione
del suo signicato sico. Il capitolo si conclude con la descrizione di metodi operativi che
consentono di calcolare le caratteristiche di sollecitazione.
9.1 Modelli geometrici degli elementi strutturali
Linserimento della forma dei corpi nellanalisi meccanica rappresenta una novit`a. Nel mo-
dello di punto materiale lestensione del corpo, e quindi a maggior ragione la sua forma, `e
trascurata per denizione, ma anche nel modello di corpo esteso, in particolare rigido, la forma
non conta dato che sono signicativi solo i punti, o le zone, in cui sono applicate le azioni
statiche (carichi o reazioni vincolari). Per questo in tutte le considerazioni nora svolte, la
maggior parte delle propriet`a geometriche dei corpi estesi non `e stata presa in considerazione.
Tuttavia, la forma di un elemento strutturale rappresenta un aspetto fondamentale, infatti `e
suciente considerare che progettare consiste in buona parte nel dimensionare ovvero nel
denire le caratteristiche geometriche di un elemento, oltre che scegliere i materiali e i processi
di fabbricazione.
La forma di un elemento strutturale `e completamente denita dal disegno meccanico co-
struttivo che contiene linsieme di tutte le quote, ovvero i parametri geometrici macroscopici
(quote nominali) e di dettaglio (tolleranze dimensionali, di forma e quote di rugosit`a). Il nume-
ro di quote che deniscono la forma di un particolare meccanico, per quanto elementare come
un perno o un semplice albero di trasmissione, `e generalmente molto elevato. Fortunatamente
molti dettagli della forma, essenziali nella realizzazione e nel montaggio, non hanno eetti signi-
cativi sul comportamento strutturale. Per esempio, `e ragionevole assumere che la tolleranza
sul diametro di un albero nella zona di accoppiamento con un cuscinetto, quota fondamentale
per il montaggio, non inuenzi direttamente il comportamento strutturale dellalbero. Nel caso
specico si pu`o quindi trascurare leetto che tale tolleranza ha sul livello di carico che lalbero
pu`o sopportare prima di danneggiarsi o sulla distorsione indotta sullasse dellalbero dalle solle-
citazioni in esercizio. La tolleranza infatti denisce una dimensione dellordine dei centesimi di
millimetro mentre il diametro nominale `e generalmente dellordine delle decine di millimetri.
209
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
Realizzare un adeguato modello geometrico per un elemento strutturale comporta trascura-
re le quote non inuenti allo scopo di ottenere una forma trattabile matematicamente perche
denita da un numero piuttosto ridotto di parametri signicativi. La possibilit`a di trascurare
molti dettagli geometrici della forma di un corpo `e essenziale per ottenere modelli struttura-
li comprensibili e signicativi nonche calcolabili con risorse ragionevoli. La tendenza che si
sta attualmente diondendo, che sfrutta la possibilit`a oerta dai programmi di calcolo di pro-
durre modelli strutturali in modo automatico direttamente dai modelli CAD, in eetti pu`o
essere dispendiosa e spesso si rivela anche dannosa. Infatti, la trasformazione di un modello
geometrico-tecnologico, sviluppato allo scopo di costruire e assemblare lelemento, in un modello
strutturale, comporta necessariamente una serie di modiche che lanalista (o il programma)
eseguono in modo pi` u o meno consapevole. Se tale trasformazione `e operata da un analista
competente, il modello geometrico nale risulter`a adatto allanalisi strutturale. La generazio-
ne automatica produce invece modelli strutturali generalmente caratterizzati da un eccesso di
dettagli che talvolta nascondono gli aspetti pi` u signicativi del problema.
Lo studio delle fondamentali propriet`a geometriche degli elementi strutturali elementari,
esposta nel presente capitolo, ha anche lo scopo di contrastare questa tendenza. La sempli-
cazione (in particolare geometrica) `e infatti una necessit`a soprattutto in fase di progettazione,
quando la struttura ancora non esiste e deve essere concepita per svolgere determinate funzioni.
Per sviluppare tali capacit`a di previsione `e fondamentale cominciare a prendere pratica con
ragionevoli semplicazioni della geometria. Come gi`a ricordato, la necessit`a di eseguire i calcoli
in modo manuale `e un forte stimolo alla semplicazione ed `e quindi molto utile in questa fase
di apprendimento.
9.2 Solidi tri-dimensionali e bi-dimensionali
Allo scopo di modellare/semplicare la forma geometrica di un elemento strutturale com-
plesso, il primo aspetto da prendere in considerazione `e il numero di dimensioni signicative. Vi
sono corpi che sono intrinsecamente tri-dimensionali (3-D) in quanto non presentano alcuna
dimensione prevalente o trascurabile sulle altre. Per esempio, un pistone, la testa di un motore e
la ganascia di una morsa sono oggetti tridimensionali. Per corpi tridimensionali la modellazione
geometrica non `e agevole e lanalisi strutturale dicilmente pu`o essere condotta con strumenti
analitici. Fortunatamente queste situazioni non sono molto frequenti, esistono infatti ragioni
di tipo tecnologico-costruttivo che spingono verso la realizzazione e limpiego di elementi che
hanno una o anche due dimensioni geometriche piccole rispetto alle altre. Per esempio, se
lelemento `e ottenuto per fusione, devono generalmente essere evitate zone di forte spessore (per
ridurre il rischio di distorsioni o la formazione di cavit`a di ritiro), analogamente, adottando la
saldatura, lassemblaggio prevede il ricorso a lamiere o prolati unicati, semilavorati che soli-
tamente hanno uno spessore piccolo rispetto alle altre dimensioni. In genere, pertanto, `e molto
frequente trovare elementi strutturali che siano riconducibili a corpi bi-dimensionali (2-D) o
mono-dimensionali (1-D).
9.2.1 Solidi bi-dimensionali
Un corpo bi-dimensionale ha una dimensione, lo spessore (thickness), che `e una quantit`a
piccola rispetto alle altre quote che ne caratterizzano la forma. Sono tipici elementi bidi-
mensionali: le lamiere, i solai e i muri di un edicio, la fusoliera degli aerei, lo scafo di una
imbarcazione, i recipienti in pressione, il fasciame delle tubazioni, la pala di unelica o di una
turbina. In campo biomeccanico sono elementi strutturali bidimensionali: le ossa della scatola
cranica o delle parti iliache e le scapole.
210
9.2. SOLIDI TRI-DIMENSIONALI E BI-DIMENSIONALI
Dal punto di vista geometrico, il vantaggio che si ottiene identicando un elemento come soli-
do bi-dimensionale consiste nella possibilit`a di rappresentarlo in modo sucientemente accurato
attraverso la descrizione di una supercie. La supercie caratteristica dei solidi bi-dimensionali
raggruppa i punti a met`a spessore ed `e pertanto chiamata supercie media. Una supercie
(anche se si sviluppa nello spazio) `e un continuo bi-dimensionale poiche sono sucienti due
parametri geometrici (invece che tre) per denire la posizione di un suo generico punto. Un
solido bi-dimensionale `e caratterizzabile geometricamente da una supercie a ogni punto della
quale `e associata una quantit`a scalare che rappresenta lo spessore locale.
Dal punto di vista matematico la supercie media `e una funzione di due parametri (variabili
reali) che denisce le coordinate dei suoi punti:
x
S
= x
S
(, )
y
S
= y
S
(, )
z
S
= z
S
(, )
(9.1)
con (, ) deniti in un dominio di R
2
. Spesso la funzione che denisce la supercie media `e
rappresentata in forma esplicita, o come spesso si dice, ha parametrizzazione cartesiana:
z
S
= f(x
S
, y
S
) (9.2)
in cui `e un sottoinsieme del piano x y. In certi casi sono usati parametri pi` u comodi per la
denizione della geometria, per esempio coordinate cilindriche o sferiche nei solidi di rivoluzione.
Oltre alla funzione che individua la supercie media, `e necessaria anche una funzione che
fornisce lo spessore locale:
h = h(, ) (9.3)
lo spessore `e misurato nella direzione normale alla supercie media. Perche lo spessore sia
denito la supercie media deve essere almeno localmente regolare, ovvero deve esistere un piano
tangente e una direzione normale. In eetti, in un solido bi-dimensionale si possono tollerare
locali irregolarit`a della supercie media, per esempio un gradino (discontinuit`a della funzione)
oppure uno spigolo (discontinuit`a nel gradiente). Tuttavia, larea totale della supercie media
in corrispondenza dei punti di irregolarit`a dovr`a essere nulla e, quindi, le zone di irregolarit`a
devono essere limitate a punti isolati o, al massimo, a linee. Come conseguenza, le funzioni (9.1)
o (9.2) saranno assunte continue e dierenziabili (vedi appendice E) quasi ovunque nel dominio
di denizione . Quando lanalisi strutturale richiede che siano valutate anche le propriet`a
di curvatura della supercie, le funzioni (9.1) o (9.2) dovranno essere derivabili almeno due
volte. Per le stesse ragioni, anche la funzione dello spessore (9.3) sar`a assunta continua quasi
ovunque, limitando a punti isolati o a linee le eventuali zone di cambio brusco di spessore. La
necessit`a di avere una geometria regolare in quasi tutti i punti del dominio deriva dal fatto che
le conclusioni deducibili dal modello bi-dimensionale non sono molto accurate in vicinanza delle
zone di irregolarit`a (dello spessore o della supercie media).
In ogni punto della supercie media di un corpo bi-dimensionale, lo spessore deve essere
una quantit`a piccola rispetto alle quote che deniscono la forma della supercie media. La
quanticazione di piccolo non `e denibile a priori, a rigore si dovrebbe infatti dire che la
modellazione bi-dimensionale di un corpo `e tanto pi` u accurata quanto pi` u lo spessore `e piccolo.
Per ssare le idee, nel caso di superci medie piane, lo spessore dovrebbe essere molto inferiore
ai parametri che deniscono le caratteristiche geometriche del contorno. Nel caso di superci
medie non piane, lo spessore dovrebbe essere anche non maggiore di 1/5 del minimo raggio di
curvatura locale della supercie.
Per lanalisi strutturale, i solidi bi-dimensionali sono classicati in relazione alle caratte-
ristiche geometriche della supercie media e delle modalit`a con cui sono applicate le azioni
esterne.
211
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
9.2.2 Lastre o membrane
Si denisce lastra o membrana (membrane) un elemento strutturale bi-dimensionale
con supercie media piana caricato con azioni statiche riconducibili a forze (concentrate o
distribuite) agenti in direzione appartenente al piano medio o aventi asse centrale sul piano
stesso. Un esempio di lastra `e riportato nella gura 9.1, il disco di un freno `e un caso interessante
di lastra circolare che sar`a studiato nellultima parte del corso.
Figura 9.1: Lastra forata
9.2.3 Piastre
Una piastra (plate) `e un solido bi-dimensionale che ha la forma geometrica della lastra,
ovvero una supercie media piana, ma `e caratterizzata dal fatto di essere sollecitata anche
da carichi normali al piano medio o da forze piane non simmetriche rispetto al piano medio.
Nella tecnica si identicano molti elementi che possono essere schematizzati come piastre, tipici
esempi sono: la piattaforma per i tu, il solaio di un edicio, che `e sollecitato dal peso proprio
e dal contatto delle persone e dai mobili che sorregge, i fondi piani di un barile (recipiente in
pressione di forma cilindrica).
A dierenza delle lastre, le piastre, considerate come corpi non innitamente rigidi, tendono
a deformarsi in modo che la supercie media perde la forma piana. Una piastra pu`o essere
sollecitata anche con carichi da lastra (gura 9.2).
Figura 9.2: Esempio di piastra
9.2.4 Gusci
Un guscio (shell) `e un oggetto bi-dimensionale la cui supercie media si sviluppa nello
spazio (non `e una porzione di piano), come mostrato in gura 9.3. Sono tipici esempi di gusci:
le cupole, i recipienti in pressione, i gomiti delle tubazioni, la scatola cranica, gli elementi
212
9.3. I SOLIDI MONO-DIMENSIONALI: LE TRAVI
dello scafo di una imbarcazione, della fusoliera di un aereo o della scocca di un veicolo. I
gusci possono essere sollecitati sul loro piano medio (tali sollecitazioni sono pertanto dette
membranali) e anche con azioni normali al piano medio.
Figura 9.3: Esempio di guscio
9.3 I solidi mono-dimensionali: le travi
Nello studio delle strutture riveste una importanza fondamentale il solido mono-dimensionale
chiamato trave (beam). Si considera trave un corpo che ha una forma allungata e quindi una
dimensione prevalente sulle altre. Sono tipici elementi strutturali riconducibili a travi: un albe-
ro, un perno, una spina, una vite, una catena, un cavo, un prolato, un lungo tratto di tubo,
una punta di trapano. Molti esempi di trave si trovano anche in biomeccanica, la maggior
parte delle ossa dello scheletro `e schematizzabile con elementi mono-dimensionali: la colonna
vertebrale (nel suo complesso), il femore, lomero e le costole. Nel campo dello sport, tipiche
travi sono: sci, remi, giavellotti, aste (per il salto con lasta), bilancieri per i pesi, pali e traversa
della porta.
Molte strutture, anche complesse, sono realizzate collegando elementi trave. Basta conside-
rare, per esempio, i tralicci che sono assemblati, per imbullonatura o saldatura, di spezzoni di
prolati commerciali, oppure le strutture degli edici realizzati in acciaio. In certi casi, anche
elementi composti possono essere considerati nel loro complesso come travi: il braccio di una
gru da cantiere, ottenuto per assemblaggio di elementi trave pi` u piccoli, per certe valutazioni `e
schematizzabile come ununica trave.
La grande diusione delle travi nelle applicazioni trova giusticazioni di tipo tecnologico-
economico oltre che di tipo prettamente strutturale. Le travi infatti possono essere ottenute con
processi produttivi adatti alla grande serie come: la laminazione, la tralatura e lestrusione
applicabili a molte classi di materiali (metalli, materie plastiche, materiali compositi). La forma
`e particolarmente adatta a facilitarne lo stoccaggio e il trasporto, prima della messa in opera.
Fin dai tempi antichi, in eetti dalla preistoria, la disponibilit`a di travi naturali, sotto forma di
ossa di animali, canne, tronchi e rami dalbero, ha permesso la realizzazione di utensili, armi e
mezzi di trasporto.
La forma mono-dimensionale facilita anche la realizzazione di vari procedimenti di colle-
gamento (saldatura, imbullonatura, rivettatura, incollaggio) cos` che, con le travi, si possono
costruire strutture di notevoli dimensioni, di forma complessa e di elevate prestazioni come per
esempio: coperture di grandi dimensioni, strutture aeronautiche, telai di veicoli e motoveicoli,
sospensioni automobilistiche, pianali di carrozze ferroviarie, ecc. . . . La semplicit`a della forma
`e anche alla base delluso di elementi trave per quasi tutti i provini con cui sono misurate le
principali propriet`a meccaniche dei materiali (basti pensare alla basilare prova di trazione).
Il largo impiego delle travi `e giusticato anche da motivazioni di tipo specicamente strut-
turale. Dovendo connettere strutturalmente due punti, il corpo esteso pi` u semplice, e quindi
in genere pi` u leggero ed economico, `e una proprio una trave rettilinea che ha i due punti co-
me estremi. Come esempio si pensi al telaio della bicicletta, che pu`o essere pensato come un
213
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
insieme di travi che connettono i punti dove sono applicate le forze (sella, asse della catena,
manubrio e assi delle ruote). Poiche, analogamente alla bicicletta, in molte strutture i carichi
principali sono applicati in punti deniti, una struttura a travi risulta spesso razionale. Non `e
casuale, quindi, la circostanza che lo stesso processo di evoluzione abbia privilegiato elementi
trave per realizzare le parti strutturali di molti esseri viventi, particolarmente quando la fun-
zione strutturale `e critica. Un esempio molto signicativo `e rappresentato dalle penne degli
uccelli, elementi che consentono la sostentazione e la propulsione nel volo. In questo caso la
spinta dellaria `e trasmessa al telaio (lo scheletro dellala) attraverso il calamo, la parte centrale
robusta della penna, che costituisce una vera e propria trave di origine biologica la cui forma `e
stata ottimizzata dalla selezione naturale per garantire il migliore compromesso tra resistenza e
leggerezza.
Vi `e, inne, ma non ultima per importanza, una spiegazione di tipo culturale che ha deter-
minato la diusione dellelemento trave nelle opere realizzate dalluomo. La relativa semplicit`a
del modello matematico della trave e la conseguente facilit`a con cui `e possibile comprenderne
il comportamento sico, ha condizionato e condiziona il progettista. Come vedremo, infatti, a
dierenza degli altri elementi strutturali (bi- o tri-dimensionali) lanalisi strutturale di una trave
`e generalmente eseguibile in forma analitica, spesso anche con calcoli relativamente semplici. Un
ingegnere che si occupa di strutture acquista con lesperienza una sensibilit`a professionale che
gli permette di prevedere il comportamento strutturale di una trave. Prima della diusione
del calcolo strutturale assistito dal computer, la possibilit`a di eettuare analisi sucientemente
accurate di elementi strutturali bi- e tri-dimensionali era molto ridotta e la conseguente scarsa
condenza nella previsione del loro comportamento in fase di progetto ha costituito un freno al
loro impiego.
Tradizionalmente, la maggior parte delle nozioni siche e di calcolo impartite nei corsi di
Meccanica delle Strutture, in particolare nei corsi di base, sono dedicate alle travi. Se si guarda
lindice, anche il presente corso non costituisce una eccezione, per quanto, in previsione di un
impiego pi` u diuso dei moderni strumenti di calcolo, lultima parte cerca di superare questo
limite.
Il retaggio culturale di interpretare quasi tutto come trave, ha generato alcune deformazioni
professionali interessanti e curiose. Per esempio, nel gergo di chi si occupa di automobili, `e
comune il termine rigidezza torsionale per indicare una particolare caratteristica di qualit`a
del telaio di un veicolo. Se si ssa lasse delle ruote posteriori e si applica una coppia di
forze in corrispondenza delle ruote anteriori, la rigidezza torsionale misura la capacit`a del
telaio di contrastare linclinazione relativa degli assi delle ruote. Come vedremo, la rigidezza
torsionale `e una propriet`a specica delle travi, e quindi, a rigore, `e denita per solidi aventi una
dimensione prevalente. In questo caso, mentre sembra ragionevole identicare il telaio di una
vettura di Formula 1 come una trave, appare certamente discutibile attribuire caratteristiche
mono-dimensionali a certe vetture di uso urbano che hanno una forma parallelepipeda (o quasi
cubica). Per molte di queste vetture, volendole modellare come travi, `e indubbiamente dicile
individuare la direzione in cui il solido mono-dimensionale caratteristico si estende (verso lalto,
di anco?!).
A fronte di questa situazione, possiamo quindi fornire una denizione euristica di trave, che
per quanto possa sembrare poco rigorosa, `e molto usata in pratica:
una trave `e il modello per la forma di qualunque corpo esteso il cui comportamento
strutturale non si saprebbe modellare diversamente.
Questa denizione giustica la comune pratica che prevede, in mancanza di strumenti di
calcolo pi` u sosticati oppure di tempo, di assumere il modello di trave piuttosto che rinunciare
alla previsione del comportamento strutturale. Per esempio, un trampolino per i tu `e con
214
9.4. MODELLO MATEMATICO DI TRAVE
ottima approssimazione schematizzabile come una trave ma anche la piattaforma, che sarebbe
pi` u correttamente da considerarsi una piastra, pu`o essere esaminata come una trave almeno in
prima approssimazione.
9.4 Modello matematico di trave
In questo paragrafo si cercher`a di dare un po di rigore alla denizione di solido mono-
dimensionale, ricordando che a tale modello saranno comunque ricondotti solidi che hanno
necessariamente tre dimensioni. La caratteristica di mono-dimensionalit`a della trave consiste
sostanzialmente nel fatto che la sua forma `e riconducibile a parametri geometrici associati ai
punti di una linea.
Supponiamo data una gura piana non degenere (di area non nulla) che `e chiamata
sezione (section) della trave. Sulla sezione `e individuabile in modo univoco il suo punto
centrale caratteristico G che rappresenta il baricentro geometrico (gura 9.4). La denizione
G

d
Figura 9.4: Sezione corrente di una trave
di baricentro geometrico per una sezione piana, le sue propriet`a e le tecniche per localizzarlo
sono discusse nellappendice D. Si denisce inoltre diametro della sezione d il valore massimo
della distanza tra tutte le coppie dei punti della sezione.
Supponiamo di muovere la sezione in modo che il suo baricentro descriva una traiettoria
, detta linea dasse o semplicemente asse (axis), che sia regolare (continua e dierenziabile)
quasi ovunque. Durante il movimento, la sezione pu`o anche modicare la sua forma. La linea
dasse non deve quindi essere necessariamente rettilinea, tuttavia il moto della sezione deve
essere tale che la tangente locale alla linea dasse (vedi appendice E) sia parallela alla normale
n al piano di sezione. Consideriamo il solido costituito da tutti i punti dello spazio raggiunti
dai punti della sezione nel movimento come in gura 9.5. Anche a tale solido possano essere
attribuite caratteristiche di trave, ovvero sia un solido mono-dimensionale, `e necessario che il
diametro della sezione, o il massimo dei diametri se la sezione `e variabile, sia una quantit`a
piccola rispetto alle dimensioni che descrivono la forma della linea dasse. In particolare, d
deve essere ben minore della lunghezza della linea dasse e inoltre, se lasse `e curvo, d deve
essere molto minore anche del locale raggio di curvatura. Se queste condizioni sono soddisfatte
oppure, nelle zone del solido dove tali condizioni sono soddifatte, il modello di trave fornisce una
previsione adeguata del comportamento strutturale del corpo. Con il modello di trave, infatti,
il solido viene ricondotto alla linea dasse a ogni punto della quale `e associata una sezione con
linsieme delle sue propriet`a geometriche caratteristiche (area, assi dinerzia, momenti dinerzia,
ecc. . . ). In base alla denizione risulta che, data una trave e un punto A della sua linea dasse,
la sezione locale `e denita dallintersezione della trave stessa con il piano per A che ha normale
sulla tangente alla linea dasse.
Nel modello mono-dimensionale una zona di estensione inferiore o al pi` u paragonabile a d
`e in genere considerata puntiforme, ovvero di estensione trascurabile. Conseguentemente, nel
215
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
modello di trave, le azioni applicate a una sezione, come le reazioni vincolari, diventano azioni
concentrate (forze o momenti) e le azioni distribuite di supercie o di volume (in genere carichi)
sono modellate come distribuzioni lineari. Tutte le azioni, concentrate o distribuite, sono quindi
generalmente assunte applicate ai punti dellasse. Nelle zone della trave dove il diametro della
sezione non `e piccolo, per esempio dove d `e confrontabile con il raggio di curvatura della linea
dasse, il modello di trave sviluppato potr`a comunque essere impiegato ma le previsioni avranno
un livello di precisione pi` u basso.
Figura 9.5: Generazione di una trave: movimento di una sezione (in gene-
rale di forma variabile) in modo che il suo baricentro descriva una linea
localmente normale alla sezione stessa
Riassumendo, una trave `e identicata dal punto di vista matematico da una linea , che
rappresenta il luogo dei baricentri delle sue sezioni, a ogni punto della quale `e associata la
sezione corrente univocamente individuata dallintersezione della trave con il piano passante
per il punto che ha normale localmente coincidente con il versore tangente alla linea dasse.
Rispetto a un sistema di riferimento cartesiano x

, y

, z

(gura 9.5) la linea dasse `e rappre-


sentabile in forma parametrica come:
OG() =
_
_
x

G
y

G
z

G
_
_
=
_
_
f
1
()
f
2
()
f
3
()
_
_
(9.4)
in cui `e una variabile scalare denita in un intervallo di R
1
. Analogamente ai solidi bi-
dimensionali, lipotesi che la linea dasse sia regolare quasi ovunque implica che gli eventuali
punti di discontinuit`a e i punti angolosi siano in numero nito (e piccolo). In tal modo, il
versore tangente alla linea dasse e la sezione corrente con le sue propriet`a geometriche sono
caratteristiche della trave denite univocamente quasi in ogni punto.
Per individuare la posizione della sezione lungo lasse `e spesso considerato il parametro
naturale s ovvero lascissa curvilinea di , che, dopo aver ssato arbitrariamente un punto
origine e un verso di percorrenza rappresenta la distanza con segno misurata seguendo la linea
dasse (gura 9.6). La relazione (9.4) diventa in questo caso:
OG(s) =
_
_
g
1
(s)
g
2
(s)
g
3
(s)
_
_
(9.5)
Una trave si classica in relazione alle propriet`a della linea dasse e alla forma della sezione.
216
9.4. MODELLO MATEMATICO DI TRAVE
Figura 9.6: Ascissa curvilinea s denita sullasse della trave
9.4.1 Travi a sezione costante o uniforme
In molti casi, la sezione di una trave non cambia lungo lasse, ne sono esempi: le barre
(tonde, quadrate, rettangolari o poligonali), i prolati unicati e i tralati. Nella gura 9.7 sono
riportate alcune tipiche sezioni aperte denominate:
a) sezione a T (T shaped)
b) sezione a I (I beams) secondo lUNI travi IPE
c) sezione a doppio T o a H (Wide ange section) secondo lUNI travi HE
d) sezione a C o a U (C shaped)
Figura 9.7: Tipiche sezioni aperte
La parte indicata con (1) nella gura 9.7 `e chiamata piattabanda (ange) mentre la parte
(2) anima (web).
Nella gura 9.8 sono rappresentate tipiche sezioni chiuse per travi, denominate:
a) sezione tubolare circolare (circular section)
b) sezione tubolare quadrata (square box section)
c) sezione tubolare rettangolare o a cassone (box section)
I libri di disegno e i manuali tecnici riportano le caratteristiche geometriche dei prolati unicati
da cui `e possibile ricavare la maggior parte delle quantit`a geometriche necessarie allo studio
strutturale (posizione del baricentro, area, momenti dinerzia, ellisse dinerzia, assi principali,
ecc. . . ). Pertanto, dovendo esaminare una trave con sezione unicata non `e generalmente
opportuno calcolare le caratteristiche geometriche dalle denizioni ma conviene cercarle nei
manuali. A tale proposito, `e utile ricordare che spesso nei manuali le quantit`a geometriche sono
espresse in cm (e nei suoi derivati) per cui `e necessaria una conversione.
217
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
Figura 9.8: Tipiche sezioni chiuse
9.4.2 Travi a sezione variabile
In una trave a sezione variabile, dipende dalla posizione s lungo lasse. Nelle applicazioni
dellingegneria meccanica `e molto frequente trovare travi a sezione variabile, basta considerare
gli alberi, che tipicamente presentano diversi diametri in conseguenza delle funzioni che svolgono
le diverse zone.
Generalmente, si assume che la dipendenza dei parametri geometrici della sezione sia conti-
nua rispetto allascissa curvilinea s, escluso al pi` u un piccolo numero di punti di discontinuit`a.
Questo implica che la variazione di sezione si manifesta in modo graduale come, per esempio,
nella trave di gura 9.5. In corrispondenza di brusche variazioni di sezione, come nello spalla-
mento di un albero (gura 9.9), deniremo due sezioni che, in relazione al verso di percorrenza
dellasse denito dallascissa curvilinea, rappresentano, rispettivamente, la sezione che precede
e la sezione che segue la discontinuit`a. Come mostrato nella gura 9.9, le due sezioni saranno
considerate le estensioni continue delle sezioni che precedono e seguono il punto A dellasse
avente ascissa curvilinea s
A
, cos` denite:
sezione in A

:
A
= lim
ss

A
(s)
sezione in A
+
:
A
+ = lim
ss
+
A
(s)
Figura 9.9: Denizione delle due sezioni che caratterizzano un punto di
discontinuit`a
Al punto di discontinuit`a A sono associate entrambe le sezioni (
A
e
A
+) in modo che le
eventuali considerazioni strutturali siano eettuate su ognuna di esse (come se fossero sezioni
distinte anche se condividono lascissa curvilinea). Tuttavia, `e opportuno osservare che, analo-
gamente agli elementi bi-dimensionali, le conclusioni che si traggono dal modello di trave non
saranno particolarmente accurate in corrispondenza dei punti di discontinuit`a. In queste zone,
infatti, lipotesi di mono-dimensionalit`a non `e molto stringente in quanto la forma geometrica
locale richiede lintroduzione di altre quantit`a (in particolare: il raggio di raccordo dello spalla-
mento, leventuale gola, ecc. . . ) che non sono comprese nelle propriet`a delle sezioni
A
e
A
+
218
9.5. SISTEMA DI RIFERIMENTO LOCALE DELLA TRAVE
ma che possono essere molto rilevanti per il comportamento strutturale locale. Ne consegue
che il modello di trave riproduce solo grossolanamente le propriet`a geometriche del corpo se le
sezioni non variano gradualmente con s.
Una trave `e considerata a sezione costante se tutte le caratteristiche geometriche della
sezione sono indipendenti dallascissa curvilinea s compreso lorientamento. Consideriamo, per
esempio, una lunga punta da trapano, nella zona centrale la sezione ha una forma che pu`o essere
ritenuta costante, tuttavia lorientamento della sezione varia lungo lasse (la punta si avvolge su
unelica). In questo caso, per quanto la forma della sezione non cambi, lorientamento degli assi
principali dinerzia dipende da s e la trave `e da considerarsi a sezione variabile.
9.4.3 Classicazione delle travi in base alla forma dellasse
In relazione alla forma della linea dasse , si distinguono:
travi ad asse rettilineo, per esempio: i raggi della ruota della bicicletta, il mandrino del
tornio, lalbero di una barca a vela;
travi ad asse curvilineo piano quando `e possibile individuare un piano su cui giace la
linea dasse (non localmente rettilinea) per esempio: una molla a balestra, la lama di una
sciabola, il cerchio della ruota di una bicicletta;
travi ad asse gobbo quando non esiste alcun piano che contenga lasse, come: lalbero
motore di un 4 cilindri, il lo di una molla a elica, molte ossa lunghe dello scheletro.
Spesso si trovano travi con asse rettilineo a tratti (piano o gobbo), come per esempio: un
albero motore o gran parte del telaio di una bicicletta. In corrispondenza di punti in cui lasse `e
discontinuo (per esempio negli alberi con eccentrici) oppure dove lasse `e continuo ma presenta
spigoli (albero motore), le caratteristiche geometriche della sezione e talvolta la stessa normale
n locale non sono denibili. Analogamente a quanto fatto per le sezioni con forma discontinua,
anche in questi casi si procede denendo la sezione che precede
A
e la sezione che segue
A
+
il punto di irregolarit`a A della linea dasse. Nella gura 9.10 `e rappresentata una trave ottenuta
saldando due tubi (uno quadro laltro rettangolare) e sono indicate le sezioni convenzionali
che si associano allo spigolo A. I dettagli costruttivi che deniscono la locale geometria della
connessione tra i tratti (nel caso specico i cordoni di saldatura) non sono compresi nel modello
monodimensionale e quindi non hanno eetti sul modello. Anche in questi casi, per motivi
analoghi a quelli dovuti alla discontinuit`a della forma della sezione, la soluzione locale prevista
dal modello monodimensionale `e generalmente caratterizzata da signicative approssimazioni.
9.5 Sistema di riferimento locale della trave
Per lo studio del comportamento strutturale della trave si introduce un sistema di rife-
rimento locale cartesiano ortonormale destrorso. Laggettivo locale indica la caratteristica
fondamentale di questo sistema di essere associato alla sezione in esame della trave. Vi `e per-
tanto un sistema di riferimento per ogni sezione
A
e quindi almeno un sistema per ogni punto
A dellasse o per ogni valore dellascissa curvilinea s. In un punto di discontinuit`a o di spigolo
della linea dasse A `e inoltre possibile avere sistemi di riferimento distinti per le sezioni
A
e

A
+. Nel caso pi` u generale di trave con asse gobbo e sezione variabile (gura 9.5), date due
sezioni distinte, i relativi sistemi locali hanno gli assi omonimi generalmente non paralleli.
Per motivi pratici, in previsione delluso estensivo che sar`a fatto di questi sistemi di riferi-
mento, agli assi locali sono riservati i nomi tipici: x, y e z. I sistemi di riferimento locali per la
trave sono deniti in base alle seguenti convenzioni:
219
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
Figura 9.10: Denizione delle sezioni in corrispondenza di un punto angoloso
dellasse
lorigine coincide con il baricentro della sezione (appartiene quindi allasse della trave)
lasse z ha la direzione normale n al piano di sezione e quindi coincide con la tangente
locale alla linea dasse della trave
gli altri due assi x e y, che necessariamente giacciono sul piano della sezione corrente
, sono allineati con le direzioni centrali principali dinerzia della sezione (rispettando
lorientamento destrorso del riferimento).
Si noti che i versi degli assi locali non sono deniti dalla convenzione. Tuttavia, `e consiglia-
bile scegliere lasse z equiverso al senso crescente delle ascisse curvilinee dellasse della trave.
In questo modo, per zone limitrofe alla sezione corrente
A
(a meno di innitesimi di ordine
superiore se lasse non `e rettilineo), la coordinata locale coincide con la variazione dellascissa
curvilinea: z = s s
A
e, se lasse `e regolare almeno localmente, vale, anche con il segno, lutile
relazione tra i dierenziali:
dz = ds
Nel seguito il verso dellasse z sar`a sistematicamente scelto in questo modo. Il sistema di
riferimento locale `e mostrato nella gura 9.11.
z
y
x

s
Figura 9.11: Sistema di riferimento locale della trave, `e rappresentata lellisse
centrale dinerzia della sezione i cui assi hanno le direzioni di x e y
Come dimostrato nellappendice D, ogni sezione non degenere ha sempre almeno una coppia
di assi centrali principali dinerzia, tra loro ortogonali, che possono essere individuati sulla base
delle propriet`a geometriche della sezione. Ricordiamo in particolare che:
220
9.6. CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE PER LE TRAVI
per una sezione con due assi di simmetria (per esempio una sezione rettangolare oppure a
doppio T) gli assi del sistema locale si individuano immediatamente in quanto coincidono
con gli stessi assi di simmetria;
anche se la sezione ha un solo asse di simmetria (per esempio una sezione a T o un
triangolo isoscele), lidenticazione degli assi x e y `e semplice: uno di essi coincide con
lasse di simmetria e laltro `e ortogonale e passa per il baricentro;
per certe sezioni (per esempio: il cerchio e i poligoni regolari, ma anche particolari sezioni
di forma non regolare o simmetrica), lellisse centrale dinerzia `e un cerchio, in tal caso
tutte le rette baricentriche sono principali dinerzia e la scelta degli assi x e y pu`o essere
eettuata sulla base della convenienza pratica.
La porzione di solido monodimensionale compresa tra due sezioni `e chiamata concio di
trave. Riveste una particolare importanza il concio innitesimo, o concio elementare,
limitato da due sezioni i cui baricentri distano tra loro ds, come mostrato in gura 9.12. In una
trave di sezione uniforme e asse localmente rettilineo, il concio elementare ha la forma di un
cilindro retto con basi parallele (s), (s+ds) e altezza ds = dz. Per travi ad asse curvilineo, le
basi del concio innitesimo sono tra loro inclinate dellangolo innitesimo d = ds/R dove R `e il
raggio di curvatura locale della linea dasse (vedi appendice E). Se R >> d, ovvero se il raggio di
curvatura locale della linea dasse `e molto maggiore del diametro della sezione (come dovrebbe
per lipotesi di trave), gli eetti di tale inclinazione possono essere in molti casi trascurati e si
pu`o assumere che anche una trave curva si comporti localmente come se fosse rettilinea.
ds = dz

Figura 9.12: Concio innitesimo di trave


9.6 Caratteristiche di sollecitazione per le travi
In questo paragrafo sono introdotte alcune grandezze meccaniche fondamentali nello studio
del comportamento strutturale delle travi: le caratteristiche di sollecitazione di una sezione.
Consideriamo una trave che svolge la sua funzione strutturale e quindi si torva sotto carico in
condizioni di equilibrio statico, le caratteristiche di sollecitazione deniscono le azioni statiche
interne che una sezione trasmette e quindi quanticano la funzione strutturale della sezione
stessa.
9.6.1 Azioni statiche trasmesse dalle sezioni di una trave e loro natura
Prima di fornire una denizione rigorosa di caratteristica di sollecitazione e di illustrare una
procedura per eettuarne il calcolo, o la misura, `e utile discutere il seguente semplice problema
di statica nel piano che aiuta a chiarire il signicato sico di tale quantit`a.
221
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
Esempio 9.1: Funzione strutturale della sezione di estremit`a di una mensola
La mensola orizzontale AB di gura 9.13 con sezione a doppio T di acciaio avente massa
lineare di 21 kg/m riceve una forza F = 300 N da un cavo collegato in corrispondenza
del baricentro della sezione destremit`a. Tracciare lo schema di corpo libero denitivo e
rappresentare le azioni statiche complessivamente scambiate dalla mensola con il telaio.
A B
F
45
2500
Figura 9.13: Trave piana ad asse rettilineo
Si tratta di un problema intrinsecamente isostatico nel piano, per il quale le reazioni
vincolari sono ottenibili con le equazioni cardinali. Nella gura 9.14 `e rappresentato lo
schema di corpo libero denitivo della trave allequilibrio e le azioni statiche trasmesse al
telaio.
A B
0.206 N/mm
300 N
727 N
727 N
212 N 212 N
1.174 kNm
1.174 kNm
Figura 9.14: Schema di corpo libero denitivo e azioni sul telaio
Lidenticazione del corpo come trave giustica la scelta di assumere per il peso proprio
una distribuzione uniforme su una linea invece che una distribuzione uniforme sul volume. Per
lo stesso motivo, lazione del cavo, che si manifesta in una distribuzione di forze di contatto
esercitata nella zona di attacco del cavo stesso, `e stata rappresentata da una forza concentrata.
In eetti, la regione della trave in cui si esercita lazione del cavo ha un diametro molto minore
del diametro della sezione e quindi `e puntiforme nello schema mono-dimensionale. Si pu`o
osservare per`o che nella schematizzazione dei carichi sono state conservate le caratteristiche
statiche complessive ovvero la risultante e il momento risultante rispetto al baricentro della
sezione in corrispondenza della quale il carico `e applicato. In modo analogo, anche le reazioni
vincolari, che sono forze di supercie scambiate con il telaio in corrispondenza della sezione di
incastro, sono state ridotte ad azioni statiche equivalenti applicate al baricentro della sezione
destremit`a A. Nellesempio le reazioni vincolari consistono in una forza nel piano e un momento
avente direzione normale al piano.
Sulla base delle nozioni sviluppate nei capitoli precedenti, si pu`o aermare che il compito
222
9.6. CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE PER LE TRAVI
strutturale della trave AB consiste nel trasferire i carichi dai punti dove questi sono eettiva-
mente applicati al telaio. Le azioni agenti sulla sezione in A, evidenziate nello schema di corpo
libero di gura 9.14, rappresentano leetto complessivo, riportato al baricentro, della distribu-
zione di forze superciali di natura elettromagnetica che il telaio esercita sui punti della sezione
estrema della trave. Si comprende come la conoscenza di tali azioni sia necessaria per eettuare
la locale verica di resistenza, ovvero per valutare se la trave, in corrispondenza della sezione
A, `e adeguata a svolgere la funzione strutturale. La conoscenza di tali azioni non `e peraltro
suciente allo scopo dato che la verica non pu`o prescindere anche dalle propriet`a geometriche
della sezione,forma ed estensione, e dalle caratteristiche siche del materiale della trave.
Quando si eettua la verica di resistenza di una trave nel suo complesso `e per`o necessario
garantire che ogni sezione sia in grado di svolgere la sua funzione strutturale. Per estendere
il procedimento applicato per la sezione di estremit`a, `e necessario rispondere alla seguente
domanda: quale azione statica `e trasmessa in corrispondenza di una generica sezione quando la
trave svolge la sua funzione strutturale? Come vedremo, in molti casi i soli metodi della statica
permettono di dare una risposta completa anche a tale domanda.
Per illustrare il procedimento che permette di valutare lazione statica trasmessa da una
sezione generica, consideriamo per esempio la sezione di mezzeria
C
della trave dellesempio
precedente. In corrispondenza di C, pu`o essere identicato un vincolo interno tra le due parti
AC e CB della trave che, rispettivamente, precedono e seguono la sezione in esame, rispetto
al verso dellascissa curvilinea.
`
E immediato identicare tale vincolo interno come un incastro
poiche, in corrispondenza di C, non `e permesso alcun movimento relativo di traslazione o
di rotazione tra le due facce appaiate. Il termine movimento relativo `e stato evidenziato per
rimarcare che si tratta di un vincolo interno e quindi non tale da impedire il moto complessivo
della sezione
C
. In eetti, se consideriamo la trave come corpo deformabile, c`e da attendersi
uno spostamento della sezione C (oltre che una sua distorsione) in conseguenza dellapplicazione
del carico, tuttavia questo spostamento deve essere comune alle due facce appaiate sulla sezione,
a meno di ammettere distacco o compenetrazione di materia. Le reazioni vincolari dellincastro
interno in C sono valutate nel seguente esempio.
Esempio 9.2: Funzione strutturale della sezione di mezzeria
Determinare le azioni statiche trasmesse in corrispondenza della sezione C di mezzeria
della mensola del precedente esempio 9.1.
Lanalisi pu`o partire dallo schema di corpo libero denitivo ottenuto nellesempio pre-
cedente. Essendo richiesta lazione di un incastro `e necessario eettuare leliminazione del
vincolo e la sua sostituzione con le azioni statiche esercitabili. Dato che viene rimosso un
vincolo interno, nello schema di corpo libero sono rilevanti sia le azioni sia le reazioni (di
terzo principio) in quanto entrambe sono applicate a parti del corpo. Lo schema di corpo
libero preliminare `e riportato nella gura 9.15.
Per valutare le reazioni vincolari interne si pu`o indierentemente imporre lequilibrio di
una delle due parti in cui la sconnessione ha diviso la trave. Risulta infatti evidente che il
risultato deve essere il medesimo in quanto linsieme delle azioni esterne agenti sulla trave
`e globalmente autoequilibrato. Al lettore `e lasciato il compito di vericare che la soluzione:
R = 470 N, S = 212 N e W = 0.426 kNm, si ottiene eettivamente imponendo lequilibrio
per ciascuna delle parti.
223
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
A B
C
R
S
W
W
S
R
0.206 N/mm
300 N
727 N
212 N
1.174 kNm
Figura 9.15: Schema di corpo libero preliminare che evidenzia le mutue
azioni che possono essere trasmesse dalla trave in corrispondenza della sezione
di mezzeria
C
Le azioni statiche complessive applicate dallincastro interno alle due sezioni ottenute
dal taglio sono rappresentate nella gura 9.16.
Figura 9.16: Azioni mutue scambiate in corrispondenza della sezione C
Consideriamo una delle due facce ottenute dal taglio eettuato in corrispondenza della se-
zione in C, per sare le idee quella a sinistra nella gura 9.16, ci chiediamo: di quali azioni
siche le quantit`a R, S e W sono caratteristiche statiche equivalenti, considerate applicate nel
baricentro C della sezione
C
? Analogamente alla sezione di incastro, anche per la sezione C
dobbiamo prevedere che le azioni scambiate siano applicate in modo distribuito e che siano di
natura elettromagnetica. In questo caso, per`o, tali azioni sono interne alla trave. Lo studio
dettagliato delle interazioni elettromagnetiche interne dei materiali solidi sar`a sviluppato in se-
guito (capitolo 12), tuttavia, sono gi`a disponibili gli elementi per svilupparne alcune interessanti
anticipazioni.
Nei solidi, gli atomi o le molecole costituenti si aggregano in una struttura regolare (cristallo)
e le forze che tali costituenti si possono scambiare sono alla base delle caratteristiche di coesione
del materiale stesso. Supponiamo, per semplicit`a graca, che la struttura cristallina sia di tipo
cubico e che gli elementi costituenti, in una rappresentazione bi-dimensionale, siano disposti
in righe, che indichiamo con numeri, e in colonne, che indichiamo con lettere greche, come
224
9.6. CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE PER LE TRAVI
mostrato in gura 9.17 con un forte ingrandimento. Evidenziamo in particolare le due colonne
di atomi e che risultano separate dal taglio eettuato in corrispondenza della sezione C.
Figura 9.17: Schema della struttura cristallina in corrispondenza della
sezione C
Per ripristinare lequilibrio delle due parti separate dal taglio, `e necessario che sugli atomi
che si trovano aacciati alla supercie esposta siano applicate proprio le azioni che prima del
taglio erano trasmesse dal legame di tipo elettromagnetico che `e stato eliminato dal taglio stes-
so. Consideriamo, per esempio, latomo
4
. Prima di eettuare il taglio latomo
4
interagiva
fortemente con
4
e meno intensamente con gli atomi
3
e
5
.
`
E possibile ammettere lesistenza
di interazioni anche tra
4
e gli altri atomi della la , tali interazioni per`o erano certamente
molto pi` u deboli a causa della maggiore distanza. Possiamo invece certamente trascurare le
interazioni tra
4
e gli atomi della colonna , e a maggior ragione delle successive, perche la
colonna esercita un eetto schermante sulle interazioni elettromagnetiche (gabbia di Faraday).
Come conseguenza, `e possibile concludere che il taglio elimina solo le interazioni elettromagne-
tiche che si scambiano atomi limitro che appartengono alle due le aacciate al taglio stesso
(ai due strati in un modello cristallino tridimensionale). Per tale motivo chiameremo queste
interazioni elettromagnetiche interne a corto raggio.
Le quantit`a R, S e W rappresentano pertanto le caratteristiche statiche, riferite al baricentro
della sezione, delle distribuzioni di forze di supercie di tipo elettromagnetico a corto raggio che
si scambiano gli strati di atomi aacciati alla sezione C. Si comprende quindi come la trave
possa sopportare tali interazioni solo entro certi limiti prima che venga pregiudicata lintegrit`a
del reticolo cristallino.
9.6.2 La denizione delle caratteristiche di sollecitazione
Le caratteristiche di sollecitazione sono le grandezze siche che, opportunamente de-
nite da una convenzione, quanticano le azioni statiche complessivamente scambiate dagli strati
di atomi aacciati a una generica sezione di trave quando la sezione svolge la sua funzione strut-
turale. Una denizione coerente e non ambigua impone di tener conto che le azioni in oggetto
sono interne e quindi sono sempre presenti anche le loro reazioni di terzo principio anchesse
applicate comunque a punti della trave. In termini operativi, con riferimento alla gura 9.17, ci
aspettiamo quindi di ottenute le stesse caratteristiche di sollecitazione considerando sia le azioni
esercitate sugli atomi dello strato sia quelle trasmesse sugli atomi dello strato .
Per eliminare lambiguit`a tra azione e reazione e rendere la denizione coerente, `e necessario
stabilire una convenzione. Quando si eettua il taglio in corrispondenza di una sezione (nel
caso esaminato la C) si espongono in eetti due strati di atomi: e nellesempio. Il taglio
225
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
produce quindi sempre due facce che hanno la stessa forma della sezione
C
. Per distinguere le
due facce si ricorre alla nozione di versore normale uscente dal corpo, ovvero che ha la coda
nel materiale e che punta verso lesterno. Di conseguenza, avendo preventivamente ssato il
sistema di riferimento locale della sezione, una delle due facce avr`a la normale uscente equiversa
con lasse z, laltra la normale uscente controversa. Con una denizione universalmente accolta
nella meccanica dei solidi, si assume positiva la faccia che ha la normale esterna equiversa a z
e negativa laltra. Distingueremo le due facce usando i segni + e posti allapice del simbolo
della sezione come mostrato in gura 9.18. Nella trave di gura 9.17, avendo scelto lasse z
diretto verso destra, la faccia positiva
+
C
`e materializzata dagli atomi dello strato mentre la
faccia negativa

C
dagli atomi dello strato .
Figura 9.18: Faccia positiva, equiversa a z, e faccia negativa, controversa a
z, prodotte da un taglio in una sezione C: a) modello di trave bi-dimensionale,
b) modello di trave tridimensionale
Per evitare confusione nella notazione, `e opportuno osservare che gli apici + e introdotti
in questo paragrafo hanno un signicato diverso dagli omonimi apici introdotti nei paragra
precedenti per distinguere le sezioni in corrispondenza delle discontinuit`a della linea dasse. Gli
apici attuali, che sono applicati al simbolo della sezione , servono infatti per distinguere le
facce prodotte dal taglio in ununica sezione. Gli apici dei paragra precedenti, che si applicano
al nome della sezione (per esempio A) oppure allascissa curvilinea, hanno allo scopo di indi-
viduare sezioni appaiate, ma distinte. Per chiarire la dierenza pu`o essere utile considerare
che tutte le sezioni, una volta sconnesse con il taglio, evidenziano sia una faccia positiva sia una
faccia negativa e che le due facce hanno la stessa forma e le stesse dimensioni e su ognuna di
esse agiscono le stesse azioni, a parte il segno, in virt` u del terzo principio. Diversamente, con
riferimento alla gura 9.10,
A
e
A
+ rappresentano sezioni diverse che, per quanto adiacenti
nello schema monodimensionale, hanno forma diversa e sistema di riferimento locale diverso.
Come conseguenza
A
e
A
+ possono avere anche caratteristiche di sollecitazione diverse.
Inoltre, ognuna delle due sezioni poste in corrispondenza di una discontinuit`a ha una faccia con
normale equiversa e una faccia con normale controversa a z, per esempio, in gura 9.10, le facce

+
A

hanno la stessa forma tubolare quadrata mentre le facce


+
A
+
e

A
+
hanno la stessa
forma tubolare rettangolare.
226
9.6. CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE PER LE TRAVI
Gran parte del lavoro di preparazione necessario denire le caratteristiche di sollecitazione
`e stato svolto. A questo punto `e suciente considerare le azioni agenti su una delle due facce
e valutare, nel sistema di riferimento locale della trave, le componenti delle azioni statiche
complessive riferite al baricentro della sezione stessa. Se si prende in esame la faccia positiva,
tale operazione fornisce direttamente il risultato denitivo in modulo e segno, mentre, se si
considera la faccia negativa `e necessario cambiare il segno a tutte le componenti. Il cambiamento
di segno imposto da questa regola compensa il cambiamento di verso delle azioni statiche
connesso con il terzo principio e garantisce che il risultato nale sia indipendente dalla faccia
che `e stata usata per eettuare il calcolo.
Si giunge pertanto alla seguente denizione:
le caratteristiche di sollecitazione in una sezione di trave rappresentano le caratteri-
stiche statiche globali, riferite al baricentro e rappresentate nel sistema di riferimen-
to locale, della distribuzione delle azioni elettromagnetiche a corto raggio esercitate
sulla faccia positiva della sezione
oppure, in modo equivalente:
le caratteristiche di sollecitazione in una sezione di trave rappresentano lopposto
delle caratteristiche statiche globali, riferite al baricentro e rappresentate nel sistema
di riferimento locale, della distribuzione delle azioni elettromagnetiche a corto raggio
esercitate sulla faccia negativa della sezione.
Per ssare le idee, consideriamo la faccia positiva. In generale, le azioni statiche si riducono
a due vettori: una forza risultante

F e un momento risultante

M, le componenti cartesiane
locali di tali vettori hanno i seguenti nomi e simboli:
componente F
z
della forza

F: forza normale (normal (or axial) force), N
componente F
x
della forza

F: forza di taglio (shear (or tangential) force) in
direzione x, T
x
componente F
y
della forza

F: forza di taglio in direzione y, T
y
componente M
z
del momento

M: momento torcente (torque), M
z
componente M
x
del momento

M: momento ettente (bending moment) in direzione
x, M
x
componente M
y
del momento

M: momento ettente in direzione y, M
y
.
Nei problemi piani, come ampiamente mostrato nel seguito, tre componenti delle caratteristiche
di sollecitazione risultano identicamente nulle.
9.6.3 Procedimento di calcolo delle caratteristiche di sollecitazione
Nel paragrafo precedente sono state denite sei grandezze scalari con segno indipendenti
che quanticano in modo completo le azioni elettromagnetiche scambiate dagli strati di atomi
aacciati alla sezione in esame. Tale denizione non `e per`o operativa, in quanto la distribu-
zione delle interazioni non `e generalmente nota e anche la sua misura non sarebbe un compito
agevole. Come vedremo, anzi, sotto particolari ipotesi, nella pratica si applica il procedimen-
to inverso: dalla conoscenza delle caratteristiche di sollecitazione si determina come le azioni
elettromagnetiche interne si distribuiscono nei vari punti della sezione.
227
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
Da queste considerazioni appare quindi evidente la necessit`a di sviluppare un metodo ope-
rativo per ottenere le caratteristiche di sollecitazione. In eetti, per problemi di travi di cui si
conosce lo schema di corpo libero denitivo, le caratteristiche di sollecitazione possono essere
calcolate sulla base di semplici considerazioni di statica. Il metodo di calcolo pu`o essere ve-
ricato con riferimento alla sezione C della gura 9.13. Individuata la sezione di interesse, la
separazione ideale che sconnette lincastro interno determina due sottotravi, una che si estende
verso la parte positiva dellasse z (indipendentemente dalla sua forma) e laltra che si estende
verso la parte delle z negative. Se, come consigliabile, lasse z `e stato assunto equiverso alla-
scissa curvilinea s, rispetto a una sezione C, la parte di trave che si estende verso le z positive
consiste nella sotto-trave con s > s
C
. Applicando le regole della statica `e immediato vericare
che:
le azioni statiche applicate sulla faccia positiva di una sezione sono staticamente
equivalenti al sistema delle azioni esterne che agiscono sulla sottotrave che si estende
verso le z positive.
Di conseguenza, per ottenere le caratteristiche di sollecitazione `e suciente calcolare, nel si-
stema di riferimento locale della sezione, le componenti della risultante e del momento risultante
dei carichi agenti sulla parte di trave che si estende verso le z positive.
Talvolta pu`o essere pi` u conveniente riferirsi alla sottotrave che si estende verso le z negative
(s < s
C
). In questo caso vale la regola:
le azioni statiche applicate alla faccia positiva di una sezione sono staticamente
equivalenti al sistema delle azioni esterne che agiscono sulla sottotrave che si estende
verso le z negative cambiate di segno.
Pertanto, considerando la sottotrave che si estende verso le z negative, `e necessario calcolare
risultante e momento risultante rispetto al baricentro della sezione in esame e invertire il segno
dei risultati.
`
E evidente che se il sistema delle azioni esterne dello schema di corpo libero `e autoequi-
librato (come deve essere se non abbiamo sbagliato la statica!), si ottiene lo stesso risultato
indipendentemente dalla sottotrave che si considera.
Esercizio 9.1: Caratteristiche di sollecitazione nel caso piano
Applicare il procedimento di calcolo per determinare le caratteristiche di sollecitazione
nelle sezioni A, B, C e D del problema in gura 9.19 usando il sistema di riferimento e
lascissa curvilinea indicati e considerando per tutte le sezioni le azioni agenti su entrambe
le sottotravi. I risultati possono essere vericati nella tabella.
A B
C
45
2500
D
y
z s
0.206N/mm
300 N
Figura 9.19: Trave piana ad asse rettilineo: caratteristiche di sollecitazione
in 4 sezioni
228
9.7. EFFETTI PRODOTTI DALLE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
Sezione Ascissa s (mm) N (N) T
y
(N) M
x
(kNm)
A 0 212 727 -1.174
B 2500 212 212 0
C 1250 212 470 -0.426
D 2000 212 315 -0.132
Nel precedente problema piano sono signicative (possono essere diverse da zero) solo tre del-
le sei caratteristiche di sollecitazione. Per un problema nello spazio, in generale, le caratteristiche
di sollecitazione possono essere tutte diverse da zero.
Esercizio 9.2: Caratteristiche di sollecitazione nello spazio
Vericare i dati nella tabella con le caratteristiche di sollecitazione di alcune sezioni della
mensola in gura 9.20 caricata allestremo da due forze: P = 20 kN e F = 15 kN.
Figura 9.20: Trave nello spazio
Sezione s (mm) N (kN) T
x
(kN) T
y
(kN) M
x
(kNm) M
y
(kNm) M
z
(kNm)
A

2500 -15 0 20 0 -15 -20


A
+
2500 0 -15 20 -20 -15 0
B 1250 -15 0 20 -25 -15 -20
C
+
0 -15 0 20 -50 -15 -20
D

3500 0 -15 20 0 0 0
Altri esempi sono discussi nei prossimi paragra.
9.7 Eetti prodotti dalle caratteristiche di sollecitazione
Per analizzare leetto che le singole caratteristiche di sollecitazione producono in una sezio-
ne di trave, `e utile considerare lo schema di corpo libero del concio innitesimo in corrispondenza
della sezione in esame. Per semplicit`a, prendiamo a riferimento una trave con asse localmente
rettilineo (le travi con asse curvo saranno esaminate in seguito) e assumiamo che non agiscano
sul concio carichi esterni concentrati. In tale situazione, le uniche azioni signicative esercitate
229
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
Figura 9.21: Eetti prodotti dalle singole caratteristiche di sollecitazione,
assunte positive, su un concio innitesimo: schema generale di un problema
tridimensionale
sul concio sono le caratteristiche di sollecitazione applicate sulle sue facce. Inoltre, a meno di
variazioni innitesime, le azioni statiche agenti sulle basi del concio rappresentano, a meno di
innitesimi, le condizioni della faccia equiversa e della faccia controversa allasse z per la sezione
in esame. Nella gura 9.21 sono rappresentate le singole caratteristiche di sollecitazione agenti
sul concio quando hanno segno positivo.
9.7.1 Eetto della forza normale
Una forza normale positiva (N > 0) esercita una azione che tende ad allontanare le basi del
concio nella direzione dellasse o, in termini pi` u intuitivi, che tende ad allungare o a stirare le
bre del concio nella direzione dellasse z (gura 9.22a). Se la forza normale `e negativa (N < 0),
lazione risulta controversa alla precedente e quindi tende ad avvicinare le basi del concio (gura
9.22b) producendo una compressione o compattazione delle bre del concio.
Nel materiale del concio la forza normale produce pertanto una trazione assiale se `e positiva
mentre una compressione assiale se `e negativa. Il motivo per cui alla trazione corrisponde una
forza normale positiva (e alla compressione una negativa) consegue dalla convenzione che ssa
come positiva la faccia con la normale esterna equiversa a z. Come vedremo, questa convenzione
`e generale nella meccanica dei solidi e vale anche nella denizione dello stato di tensione locale
del materiale. Pu`o essere opportuno considerare che, accettata tale convenzione, il segno delle
forza normale ha senso sico dato che estendere `e eettivamente diverso da compattare (si pensi
al fenomeno della rottura per rendersene conto). Il segno della forza normale non dipende infatti
dal verso assunto per lsse z, che invece `e arbitrario. A tale proposito `e utile vericare che N
non cambia negli esempi trattati se si inverte il verso di z.
230
9.7. EFFETTI PRODOTTI DALLE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
N > 0
z
y
z
y
(a)
(b)
N < 0
Figura 9.22: Eetto prodotto dalla forza normale N: a) forza normale posi-
tiva o di trazione; b) forza normale negativa o di compressione. Tratteggiato il
prolo (qualitativo)del concio deformato dalleetto della forza normale
Se il materiale `e considerato deformabile, le caratteristiche di sollecitazione alterano la forma
e le dimensioni del concio. In particolare, una forza normale positiva produce un allungamento
assiale mentre una forza normale negativa un accorciamento. Quando soggetta a forza normale,
anche la sezione della trave subisce una modica che, come mostrato nella gura 9.22 e am-
piamente discusso nella terza parte del corso, consiste in una contrazione per N > 0 e in una
espansione per N < 0.
9.7.2 Eetto della forza di taglio
z
y
T
y
>0
Figura 9.23: Eetto prodotto dal taglio T
y
positivo, in tratteggio leetto
deformativo prevalente (qualitativo)
Nella gura 9.23 `e riprodotto lo schema di corpo libero di un concio (visto dalla punta
dellasse x) sul quale agisce il solo taglio T
y
(positivo). Come si pu`o intuire su base empirica,
la forza di taglio tende a generare uno scorrimento relativo delle basi del concio nella direzione
dellasse y. In un concio deformabile il taglio produce quindi lo spostamento relativo di una
faccia rispetto allaltra nella direzione del taglio stesso, in modo analogo allo scorrimento delle
carte in un mazzo. In realt`a, per quanto leetto deformativo prevalente sia quello descritto, la
distorsione prodotta dal taglio sul concio `e ben pi` u complessa. Ritorneremo sullargomento con
lo studio delle travi elastiche nella parte terza del corso.
Leetto prodotto della componente T
x
agente nella direzione perpendicolare `e lo sesso a
parte lorientamento.
9.7.3 Eetto del momento torcente
La gura 9.24 illustra lazione prodotta sul concio elementare dal solo momento torcente
(positivo). Si intuisce che in un concio deformabile tale caratteristica tende a generare una
231
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
rotazione relativa delle basi attorno allasse z. Il momento torcente trasforma pertanto il concio
cilindrico in un elemento di forma elicoidale.
z
y
x
M
z
>0
Figura 9.24: Eetto prodotto dal momento torcente M
z
positivo, in
tratteggio leetto deformativo prevalente
Anche in questo caso, `e stata sommariamente descritta solo la propriet`a pi` u evidente del
processo deformativo che, come nel caso del taglio, `e pi` u complesso e dipende dalla forma della
sezione e dal materiale della trave.
9.7.4 Eetto del momento ettente
Il momento ettente, o essione, costituisce una delle caratteristiche di sollecitazione pi` u
importanti perche generalmente produce gli eetti pi` u signicativi per la resistenza e la rigidezza
di una trave. La gura 9.25 illustra come un momento ettente M
x
positivo tenda a produrre
una rotazione relativa delle sezioni del concio attorno allasse x del momento.
z
y
M
x
>0
x
z
y
x
Figura 9.25: Eetto prodotto dal momento ettente M
x
positivo, in trat-
teggio leetto deformativo prevalente. Il concio `e rappresentato in vista dalla
parte della punta dellasse x
Il momento M
x
produce quindi trazione (estensione) delle bre del concio che si trovano nel-
la parte delle y positive e compressione (contrazione) delle bre collocate dalla parte opposta,
dove le y sono negative. Il segno del momento ettente individua univocamente quale delle due
parti della sezione `e soggetta a eetti di trazione o estensionali. Leetto deformativo indotto
(trazione o compressione) `e disuniforme sulla sezione della trave e tende ad assumere i valori
estremi nei punti collocati a maggiore distanza dallasse x.
`
E interessante analizzare anche lef-
fetto prodotto dal momento ettente sulla forma della linea dasse di una trave deformabile. Un
tratto di trave deformabile, rettilineo prima dellapplicazione di carichi che producono momento
ettente, tende ad assumere una (generalmente debole) curvatura. Questo eetto consegue dal
fatto che, come mostrato nella gura 9.25, le facce del concio elementare deformato in essione
non sono pi` u parallele e quindi la linea dasse deformata, per rimanere normale al piano di
232
9.8. PROBLEMI PIANI DI TRAVI
sezione, deve conseguentemente incurvarsi. In eetti, il termine inglese bending deriva del verbo
to bend che signica piegare.
Eetti del tutto simili sono prodotti dalla componente essionale M
y
, con qualche dierenza
di tipo algebrico che `e utile evidenziare. La gura 9.26 mostra come un momento M
y
produ-
ca lanalogo eetto di rotazione relativa delle facce del concio e il conseguente incurvamento
dellasse della trave, ovviamente in un piano perpendicolare rispetto a M
x
. La sezione risulta
ancora parzializzata in bre che si estendono e bre che si contraggono, tuttavia si nota una
dierenza sul segno: se, come in gura, il momento M
y
`e positivo le bre tese sono collocate
dalla parte delle x negative.
z
x
M
y
>0
y
z
y
x
Figura 9.26: Eetto prodotto dal momento ettente M
y
positivo, in trat-
teggio leetto deformativo prevalente. Il concio `e rappresentato in vista dalla
parte della punta dellasse y
Avendo assunto il sistema locale destrorso, possiamo pertanto aermare che:
un momento ettente M
x
positivo produce estensione nelle bre con y positive,
mentre un momento ettente M
y
positivo produce estensione nelle bre con x
negative.
9.8 Problemi piani di travi
Come varie volte osservato, la determinazione delle reazioni vincolari nei problemi di statica
`e pi` u semplice se possono essere ottenuti schemi bi-dimensionali. La stessa conclusione `e valida
anche per lo studio delle azioni interne delle travi. Perche un problema strutturale di una trave
sia piano `e necessario che:
lasse delle trave appartenga a un piano (detto )
per tutte le sezioni uno degli assi principali dinerzia appartenga al piano
le forze esterne (carichi e reazioni vincolari) devono avere componenti e centri di spinta
solo nel piano
le azioni esterne di momento (carichi e reazioni vincolari) devono avere componenti solo
normali al piano .
Nel seguito, per problemi piani, quando non diversamente indicato, assumeremo il sistema di
riferimento e le ascisse curvilinee come in gura 9.19, con lasse x che punta verso losservatore.
Nei problemi piani si verica immediatamente che solo tre delle sei caratteristiche di sollecita-
zione sono signicative (ovvero possono essere non nulle), con il sistema di riferimento adottato:
N, T
y
e M
x
. Per questo motivo nei problemi piani di trave le caratteristiche di sollecitazione
233
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
sono designate talvolta con la notazione senza pedici: N, M e T. Tuttavia, rinunceremo a que-
sta notazione semplicata in modo da sviluppare relazioni direttamente estendibili ai problemi
tridimensionali.
Come consuetudine per i problemi piani, anche il momento ettente pu`o essere rappresen-
tato con la semplice freccia curva (non a nastro) in quanto per la sua direzione non sorgono
ambiguit`a. Nella gura 9.27 `e riportato lo schema generale di corpo libero del concio elementare
per problemi piani sul quale sono rappresentate le caratteristiche di sollecitazione positive. La
gura 9.27 pu`o essere usata anche come schema per ricordare la convenzione sui segni delle
caratteristiche: ogni singolo carico agente su una parte della struttura produce un contributo
positivo sulle caratteristiche di sollecitazione quando risulta equiverso ai vettori indicati.
Figura 9.27: Schema di corpo libero generale delle azioni interne agenti
sul concio nel caso piano: sono riportate sulle due facce le caratteristiche di
sollecitazione assunte positive
Nel seguito sono proposti alcuni esempi di calcolo delle caratteristiche di sollecitazione per
problemi piani.
Esempio 9.3: Caratteristiche per carichi concentrati
Determinare le caratteristiche di sollecitazione nelle sezioni A, B e C (s
A
= 0, s
B
= a e
s
C
= 3a) della trave rettilinea in gura 9.28 in cui a = 200 mm e F = 350 N.
A
B C
F
2a a
Figura 9.28: Problema piano con carico concentrato
Laspetto interessante del problema consiste nel trattamento delle azioni concentrate.
Lo schema di corpo libero infatti indica che sia i carichi sia le reazioni vincolari sono forze
concentrate applicate a punti dellasse della trave. Nella pratica questo signica che le
eettive zone di applicazione delle forze (che ovviamente non possono essere puntiformi)
hanno una estensione paragonabile (o inferiore) al diametro d della trave. La presenza
di forze concentrate crea qualche problema di denizione per le caratteristiche di solleci-
tazione che pu`o essere superato con una opportuna scelta delle sezioni in cui valutare le
234
9.8. PROBLEMI PIANI DI TRAVI
caratteristiche stesse. In particolare, la sezione B sar`a separata in due sezioni in corri-
spondenza dei punti B

e B
+
, la prima delle quali precede e la seconda segue il punto di
applicazione della forza, rispetto al senso di s. Entrambe le sezioni
B
e
B
+ dovranno
sopportare le rispettive caratteristiche di sollecitazione e, nella verica, saranno trattate, a
tutti gli eetti, come sezioni distinte. Si pu`o obiettare che in questo modo, considerando
solo cosa succede un po prima e un po dopo il punto di eettiva applicazione del carico,
si trascurano proprio gli eetti diretti prodotti sulla trave dal carico concentrato. Questa
osservazione `e corretta, tuttavia `e necessario sempre considerare che gli eetti diretti del
carico dipendono da caratteristiche locali (zona e distribuzione delle eettive azioni agenti)
che non sono descritte nel modello di trave. Per analizzare tali eetti diretti, quando sono
ritenuti importanti, `e quindi necessario introdurre modelli strutturali pi` u dettagliati che,
almeno localmente, sono 2-D o 3-D. Il lettore pu`o vericare la seguente tabella che raccoglie
i valori della caratteristiche di sollecitazione richieste.
Sezione s (mm) N (N) T
y
(N) M
x
(Nm)
A
+
0 0 117 0
B

400 0 117 46.7


B
+
400 0 -233 46.7
C

600 0 -233 0
Esempio 9.4: Caratteristiche per carichi concentrati con asse ramicato
Determinare le caratteristiche di sollecitazione nelle sezioni A, B e C (s
A
= 0, ecc. . . )
della trave rettilinea AC in gura 9.29 (a = 150 mm) alla quale `e connesso un braccio su
cui agisce una forza F = 600 N.
A
B C
F
2a a
a
Figura 9.29: Problema piano con carico concentrato e asse ramicato
Con considerazioni analoghe a quelle sviluppate nellesempio precedente, si ottiene la
tabella seguente.
Sezione s (mm) N (N) T
y
(N) M
x
(Nm)
A
+
0 600 -200 0
B

300 600 -200 -60


B
+
300 0 -200 30
C

450 0 -200 0
235
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
Esempio 9.5: Caratteristiche con carichi distribuiti
Determinare le caratteristiche di sollecitazione nella sezione di mezzeria C (s
C
= a) della
trave di gura 9.30 in cui il carico `e distribuito lungo lasse con un andamento lineare
rispetto allascissa s. Tracciare lo schema di corpo libero del concio innitesimo in
corrispondenza di C. Valori numerici: a = 120 mm, p
0
= 35 N/mm.
A
C
B
a a
0
p
Figura 9.30: Problema piano con carico distribuito
`
E necessario ottenere lo schema di corpo libero denitivo.
C
B
0
p
A
0
1
3
p a
0
2
3
p a
Figura 9.31: Schema di corpo libero denitivo
Rispetto alla sezione
C
, sulla sottotrave che si estende verso lasse z negativo le azioni
esterne sono: una forza concentrata in A e una distribuzione triangolare (da s = 0 a
s = a) di cui `e facilmente calcolabile la risultante (p
0
a/4) e lascissa del centro di spinta
(s = 2a/3). Le caratteristiche in C si ottengono calcolando risultante e momento risultante
di queste due forze rispetto a C e cambiandone il segno. Il lettore pu`o vericare il risultato
eettuando il calcolo anche con le azioni agenti sulla sottotrave che si estende verso le z
positive. In tal caso la distribuzione dei carichi `e trapezoidale e pu`o essere conveniente
considerarla equivalente a due forze concentrate (p
0
a/2 applicata in s = 3a/2 e p
0
a/4
applicata in s = 5a/3).
I risultati sono: N = 0, T
y
= 350 N e M
x
= 0.126 kNm. Lo schema di corpo libero del
concio centrale `e rappresentato in 9.32.
z
y
C
0.126 kNm
350 N
350 N
0.126 kNm
Figura 9.32: Schema di corpo libero del concio centrale
236
9.8. PROBLEMI PIANI DI TRAVI
Non sono state rappresentate le forze esterne agenti sul concio perche, essendo propor-
zionali allestensione assiale ds, sono innitesime, mentre le azioni interne sono quantit`a
nite. Dallo schema di corpo libero si ricava immediatamente che, in corrispondenza di C,
le bre inferiori della trave sono tese e le bre superiori sono compresse dalla essione (in
eetti in C `e M
x
> 0).
Esempio 9.6: Trave con asse curvo
In gura 9.33 `e rappresentata la trave AB di sezione uniforme avente asse circolare (raggio
R = 550 mm) disposto su un piano verticale. Il materiale `e omogeneo, la massa totale `e
M = 40 kg e la trave `e soggetta al solo peso proprio. Determinare le caratteristiche di
sollecitazione nelle sezioni C (s
C
= R/4) e D (s
D
= R/2) e disegnare gli schemi di
corpo libero dei relativi conci elementari.
Figura 9.33: Trave ad asse circolare
Indichiamo con = s/R la coordinata angolare che determina la posizione della generica
sezione, con P = Mg = 392.4 N il peso totale della trave e con p = P/(R) = 0.227 N/mm
il carico (uniforme) per unit`a di lunghezza applicato allasse della trave. La lunghezza
del concio innitesimo pu`o essere espressa in funzione del parametro angolare essendo:
ds = Rd. Considerazioni di equilibrio conducono allo schema di corpo libero denitivo di
gura 9.34.
Consideriamo la sezione C (
C
= /4), la valutazione della forza normale deve tener
conto dellinclinazione dellasse z locale. Valutiamo i carichi che precedono la sezione, i tre
contributi (forze P e P/ applicati in A e carico distribuito p tra 0 e R
C
) sono dati dalla
relazione seguente:
N =
_
P

cos
C
+P sin
C

_

C
0
pRsin
C
d
_
=
P

[cos
C
+ (
C
) sin
C
] = 296.4 N
237
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
z
y
C
s
B
A
D
P

P
p

Figura 9.34: Schema di corpo libero denitivo


Nel calcolo dellintegrale si deve tener conto che langolo
C
`e una costante. In modo
analogo si determina il taglio e il momento ettente:
T
y
=
_
P

sin
C
P cos
C

_

C
0
pRcos
C
d
_
=
P

[sin
C
+ (
C
) cos
C
] = 119.8 N
M
x
=
_
PR

(1 cos
C
) PRsin
C
+
_

C
0
pR
2
(sin
C
sin ) d
_
=
=
PR

(
C
) sin
C
= 0.1145 kNm
Dato che le formule ottenute sono generali, per avere la soluzione nella sezione D `e
suciente sostituire
C
con
D
= /2 e si ottiene: N = 196.2 N, T
y
= 124.9 N e
M
x
= 0.1079 kNm. I diagrammi di corpo libero denitivo dei due conci elementari sono
mostrati nella gura 9.35.
C
z
y
2
9
6
.
4

N
2
9
6
.
4

N
1
1
9
.
8

N
1
1
9
.
8

N
0
.
1
1
4
5

k
N
m
0
.
1
1
4
5

k
N
m
D
z
y
1
9
6
.
2

N
1
9
6
.
2

N
1
2
4
.
9

N
0
.
1
0
7
9

k
N
m
0
.
1
0
7
9

k
N
m
1
2
4
.
9

N
Figura 9.35: Schemi di corpo libero dei conci elementari per le sezioni C e D
Esempio 9.7: Trave con asse circolare e carico radiale uniforme
Vericare che tutte le sezioni della trave circolare con carico radiale uniforme p di gura
238
9.8. PROBLEMI PIANI DI TRAVI
9.36a) sono soggette solo a forza normale e valutarla.
R
s
B
A
p
C
R
B
A
p
C
pR
pR
) a
) b
C

Figura 9.36: Trave curva soggetta a carico radiale uniforme a) e relativo


schema di corpo libero denitivo b)
Le reazioni vincolari, valutabili come nellesempio precedente, sono rappresentate nella
gura 9.36b). Consideriamo una generica sezione C individuata dalla coordinata angolare

C
, le caratteristiche di sollecitazione sono valutate considerando i carichi agenti nella parte
della z negative.
N =
_
pRcos
C

_

C
0
pRsin (
C
) d
_
= pR[cos
C
+ 1 cos
C
] = pR
T
y
=
_
pRsin
C
+
_

C
0
pRcos (
C
) d
_
= pR[sin
C
+ sin
C
] = 0
M
x
= pR
2
(1 cos
C
)
_

C
0
pR
2
sin (
C
) d = 0
Si verica che forza normale `e lunica caratteristica non nulla e il suo valore `e indipendente
da s.
Esercizio 9.3: Varianti sullanello
Con considerazioni simili a quelle sviluppate nel precedente esempio 9.7 vericare che, per
una trave con asse circolare sotto un carico radiale uniformemente distribuito, le seguenti
aermazioni sono vere:
lo stesso stato di sollecitazione `e prodotto in un settore di anello di qualunque angolo
se lappoggio nellestremo B ha reazione diretta tangenzialmente alla circonferenza
la condizione di sola forza normale costante `e prodotta anche in un anello completo
in un anello completo di raggio R = 250 mm e massa M = 30 kg uniformemente
distribuita posto in rotazione a n = 600 giri/min attorno a un asse che passa per il
centro e diretto come la normale al piano che contiene lasse della trave: la forza
normale `e di 4712 N (peso proprio trascurato).
239
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
9.9 Problemi tridimensionali di travi
In questo paragrafo sono proposti alcuni esempi di calcolo delle caratteristiche in casi
tridimensionali (non riconducibili al piano).
Esempio 9.8: Trave ad asse rettilineo
Sulla piattabanda della mensola con sezione a T di gura 9.37 `e applicata una distribuzione
triangolare di pressione con valore massimo p = 0.5 MPa. Determinare le caratteristiche di
sollecitazione nelle sezioni di estremit`a A e B.
y
z
x
y
z
x
A
B
C
L=700
B=60
s
p
Figura 9.37: Trave rettilinea con carico di pressione non uniforme
Nella gura `e rappresentato il sistema di riferimento della trave. Si tratta di una trave
ad asse rettilineo e sezione costante quindi i sistemi di riferimento locali hanno assi paralleli
ed equiversi per tutte le sezioni. Tuttavia, la natura del carico (che non `e simmetrico
rispetto al piano yz) rende il problema tridimensionale. Non `e necessario ottenere lo
schema di corpo libero denitivo poiche sono note tutte le azioni agenti dalla parte delle z
positive per entrambe le sezioni da esaminare.
La valutazione per la sezione B `e immediata: non essendoci carichi oltre il punto
B, la sezione risulta completamente scarica. Daltra parte anche considerazioni di tipo
sico suggeriscono che, essendo la faccia
+
B
priva di azioni applicate e priva di interazioni
con il resto del materiale, non agiscono forze elettromagnetiche. Da ci`o si ricava che
anche le caratteristiche statiche complessive di tale distribuzione sono nulle. Per la sezione
A `e necessario calcolare risultante e momento risultante della distribuzione di pressione.
Le caratteristiche di sollecitazione non nulle sono le seguenti: T
y
= pLB/2 = 10.5 kN,
M
x
= pL
2
B/4 = 3.675 kNm e M
z
= pLB
2
/12 = 0.105 kNm
La presenza del momento torcente testimonia la natura tridimensionale del problema.
Le caratteristiche di sollecitazione in A sono connesse alle reazioni vincolari. Il lettore rap-
presenti gracamente le azioni trasmesse dalla trave al telaio sulla base delle caratteristiche
di sollecitazione calcolate ed eettui il calcolo delle caratteristiche anche per la sezione di
mezzeria C.
Esempio 9.9: Trave con asse curvo nello spazio
Calcolare le caratteristiche di sollecitazione in corrispondenza delle sezioni A, B, C e D
del semianello di gura 9.38 con R = 500 mm incastrato in A e caricato in B al quale
240
9.9. PROBLEMI TRIDIMENSIONALI DI TRAVI
`e applicata la forza F = 250 N avente direzione normale al piano contenente lasse della
trave.
Figura 9.38: Trave curva nello spazio
Lasse y `e entrante nel piano di rappresentazione, la seguente tabella fornisce la soluzione
(sono riportate solo le caratteristiche non identicamente nulle):
Sezione T
y
(N) M
x
(Nm) M
z
(Nm)
A
+
0
+
250 0 250.0
B

250 0 0
C /4 250 88.4 213.4
D /2 250 125.0 125.0
Generica 0 < < F FRsin FR(1 + cos )
Esempio 9.10: Molla elicoidale
Determinare le caratteristiche di sollecitazione per le sezioni della parte elicoidale della
molla a elica destrorsa realizzata con un lo di sezione circolare e avente lasse avvolto con
passo p su un cilindro di raggio R. La molla `e sollecitata in trazione da una coppia di forze
F applicate a punti dellasse del cilindro su cui si avvolge lelica (gura 9.39).
Figura 9.39: Molla elicoidale in trazione
241
9. IL MODELLO DI TRAVE E LE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE
Il carico `e tipico delle molle a elica per trazione. La molla pu`o essere considerata una trave
a sezione circolare uniforme e asse elicoidale (asse gobbo). Alla coppia di assi perpendi-
colari del sistema locale x y pu`o essere data una orientazione arbitraria sulla sezione.
Considerata una sezione generica nella parte elicoidale della molla, risulta conveniente la
seguente scelta:
asse x giacente sul piano normale allasse del cilindro su cui si avvolge lelica
asse y, di conseguenza, perpendicolare a x e tangente al cilindro su cui si avvolge
lelica.
R
y
x
z
y
x
z

F F
) a ) b
2



Figura 9.40: Scelta del sistema di riferimento locale: a) in prospettiva, b)
vista dallasse radiale x
Come illustrato nella gura 9.40, per ogni sezione linclinazione dellasse z della trave
rispetto al piano normale allasse del cilindro su cui si avvolge lelica si pu`o ottenere dalla
relazione tan = p/ (2R). Se si considerano i carichi che agiscono dalla parte delle z
positive (una sola forza F), relativamente al sistema locale, `e immediato vericare che le
caratteristiche di sollecitazione sono le stesse per tutte le sezioni (non dipendono da s):
N = F sin , T
y
= F cos , M
y
= FRsin , M
z
= FRcos
Nelle comuni molle elicoidali, che hanno p << 2R per cui langolo di inclinazione dellelica
`e piuttosto basso, le caratteristiche di sollecitazione di intensit`a signicativa si riducono
a due:
T
y

= F M
z

= FR
242
Capitolo 10
I diagrammi delle caratteristiche
Le nozioni introdotte nel precedente capitolo permettono di denire e tracciare i diagram-
mi delle caratteristiche che costituiscono una rappresentazione completa e di immediata
interpretazione della funzione strutturale delle varie sezioni di una trave e quindi sono uno
strumento fondamentale per lanalisi strutturale.
`
E introdotta anche limportante nozione di
sezione potenzialmente critica e sono discussi esempi che illustrano i metodi per individuar-
la. La conoscenza delle sezioni potenzialmente critiche riduce a un valore nito, spesso molto
piccolo, il numero delle sezioni che devono essere prese in esame per garantire la resistenza di
una trave.
Nella prima parte del capitolo sono presentati i diagrammi delle caratteristiche di sollecita-
zione per i casi piani. Sono successivamente discusse alcune relazioni dierenziali che legano le
caratteristiche di sollecitazione tra loro e ai carichi esterni. Tali relazioni, dedotte dalle condi-
zioni di equilibrio del concio innitesimo, si dimostrano anche un utile strumento per la verica
della correttezza dei diagrammi delle caratteristiche.
Nella seconda parte del capitolo sono illustrati vari esempi di diagrammi delle caratteristiche
per travi nello spazio.
Nellultimo paragrafo sono esaminati alcuni eetti prodotti dalla curvatura dellasse della
trave sui diagrammi delle caratteristiche e, quindi, sul comportamento strutturale delle travi
con asse curvo.
10.1 Sezioni potenzialmente critiche e diagrammi delle caratte-
ristiche
Nel capitolo precedente `e stato illustrato il procedimento per determinare il valore di ogni
caratteristica di sollecitazione per una generica sezione di una travatura quando `e disponibile lo
schema di corpo libero denitivo. Nellanalisi strutturale `e spesso necessario rispondere alla se-
guente domanda: in quale sezione `e localizzato il punto pi` u sollecitato della struttura? Di solito
per arontare tale fondamentale questione `e opportuno rispondere prima alla seguente doman-
da: quali sezioni della travatura assolvono la funzione strutturale pi` u gravosa? Si comprende
limportanza di tli questioni per la verica di resistenza, procedimento che porta a stabilire se
la struttura `e adeguata a svolgere la sua funzione con un ssato margine di sicurezza.
Le sezioni di una travatura in cui si presume che il materiale si trovi nelle condizioni pi` u
gravose sono chiamate sezioni potenzialmente critiche. Esse sono individuabili sulla base
di un criterio che deve prendere in considerazione:
i valori estremi del modulo di almeno una delle caratteristiche di sollecitazione (le sezioni
pi` u sollecitate), e
243
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
i valori minimi delle propriet`a geometriche (le sezioni pi` u deboli).
Nel caso pi` u semplice di trave a sezione costante, le sezioni potenzialmente critiche sono
individuate sulla base dei valori estremi delle caratteristiche, nel caso di travi a sezione variabile
`e necessario tener conto anche delle sezioni pi` u deboli. In entrambi i casi tuttavia i diagrammi
delle caratteristiche di sollecitazione sono lo strumento operativo che viene utilizzato per
individuare le sezioni potenzialmente critiche. I diagrammi delle caratteristiche sono rappre-
sentazioni grache, tracciate nel rispetto di alcune convenzioni, che riproducono landamento
delle caratteristiche lungo lasse della trave. Noto lo schema di corpo libero denitivo della
trave, diagrammi delle caratteristiche sucientemente approssimati e adeguati allo scopo pos-
sono essere tracciati sulla base di una tabulazione dei valori delle caratteristiche eettuato in
un numero sucientemente elevato di posizioni lungo lasse. Questo capitolo ha lo scopo di
illustrare metodi operativi ch consentono di tracciare i diagrammi minimizzando il numero delle
sezioni in cui le caratteristiche devono essere calcolate.
10.2 Diagrammi delle caratteristiche nei casi piani: carichi con-
centrati
10.2.1 Esempi elementari
Nei problemi piani, le caratteristiche di sollecitazione non identicamente nulle si riducono a
tre: N, T
y
e M
x
. In generale tali quantit`a cambiano da una sezione allaltra e quindi possono
essere considerate funzioni dellascissa curvilinea s: N (s), T
y
(s) e M
x
(s). Per esempio, il
diagramma della forza normale `e la rappresentazione graca della funzione N (s) tracciata
sullasse della trave. Il seguente esempio si riferisce a una mensola caricata con una forza
applicata allestremit`a.
Esempio 10.1: Diagramma della forza normale
Tracciare il diagramma della forza normale per la mensola di sezione uniforme
rappresentata nella gura 10.1 in cui L = 300 mm e Q = 10 kN.
A
B C
L
Q
y
z
s
Fig.10.1
30
Figura 10.1: Mensola con carico allestremit`a
Come ogni altra caratteristica, la forza normale `e ottenibile senza determinare le reazio-
ni vincolari dato che per ogni generica sezione C (di ascissa 0 < s < L), sono note le azioni
applicate alla sottotrave posta dalla parte positiva dellasse z. Si verica immediatamente
che la forza normale N (s) = 5 kN assume lo stesso valore per tutte le sezioni e quindi
il relativo diagramma deve rappresentare una quantit`a costante lungo lasse della trave.
Fissato un asse di rappresentazione in direzione perpendicolare allasse della trave (il cui
244
10.2. DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE NEI CASI PIANI: CARICHI CONCENTRATI
verso pu`o essere scelto arbitrariamente), il semplice diagramma `e rappresentato in gura
10.2
A
B
N
+5kN
Fig.10.2
Figura 10.2: Diagramma della forza normale
Il diagramma della forza normale N permette di aermare che, per quanto riguarda questa
caratteristica, tutte le sezioni della trave AB sono potenzialmente critiche.
Perche i diagrammi delle caratteristiche siano strumenti ecaci per identicare le sezioni
potenzialmente critiche, i valori pi` u rappresentativi e quindi, in particolare, i valori estremi in
modulo (massimi e minimi globali e locali) devono essere indicati sul diagramma con il relativo
segno. Per questo motivo, tali graci sono chiamati diagrammi quotati.
Con riferimento allesempio 10.1 e alla relativa gura 10.1, i diagrammi delle altre caratte-
ristiche, taglio e momento ettente, sono tracciati con regole analoghe a quelle adottate per la
forza normale. Anche lasse di rappresentazione per T
y
, perpendicolare allasse della trave, pu`o
avere verso arbitrario. Tuttavia, pur non essendoci alcuna convenzione universalmente accettata
in proposito, `e consigliabile assumere un asse equiverso a y per rappresentare il taglio T
y
, come
esemplicato in gura 10.3.
A
B
T
y
+8.66 kN
Fig.10.3
Figura 10.3: Diagramma quotato del taglio T
y
Per il diagramma del momento ettente `e invece opportuno rispettare una regola di rappre-
sentazione. Come dimostrato nel capitolo precedente, in una sezione su cui agisce un momento
ettente non nullo sono univocamente individuabili zone tese e zone compresse. La convenzione
di rappresentazione `e la seguente:
il diagramma del momento ettente, indipendentemente dal segno del momento e dal
verso degli assi del sistema di riferimento, deve essere rappresentato rispetto allasse
della trave dalla parte delle bre tese.
Nel caso della mensola, il graco di M
x
deve quindi essere rappresentato sullasse trasversale
y. Il momento ettente e dovuto alla componente trasversale allasse della forza Q e il suo
245
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
modulo (i valori non nulli sono tutti negativi) cresce linearmente con la distanza della sezione
corrente dallestremo B. Il diagramma della essione ha quindi un andamento rettilineo. Per
tutte le sezioni sollecitate a essione le bre tese sono collocate nella parte superiore (ovvero
dove le y sono negative) e il diagramma quotato del momento ettente di gura 10.4 `e pertanto
coerente con la regola di rappresentazione.
Fig.10.4
A
B
M
x
2598 Nm
Figura 10.4: Diagramma quotato del momento ettente rappresentato nel
rispetto della convenzione delle bre tese
Lidenticazione della parte tesa di una sezione inessa, che il diagramma del momento
ettente correttamente tracciato consente di eettuare immediatamente, `e utile soprattutto
quando si impiegano materiali scarsamente resistenti a trazione, come i calcestruzzi (cemento
sabbia e ghiaia), i ceramici o i lapidei. Per questi materiali, le zone tese devono essere evitate
oppure opportunamente rinforzate, per esempio con linserimento dei tondini di ferro nelle travi
in cemento armato. Lattenzione dedicata alle zone tese delle travi negli impieghi civili `e la
giusticazione storica per la convenzione della rappresentazione del diagramma della essione.
Nellingegneria industriale sono di solito impiegati materiali che hanno resistenze a trazione e a
compressione confrontabili per cui il riconoscimento delle bre tese `e meno utile. Peraltro, se si
applica la convenzione delle bre tese, il diagramma della essione non dipende dalla scelta, che
`e arbitraria, del verso degli assi x e y, in quanto la localizzazione delle bre tese ha signicato
sico. Con riferimento allesempio, il lettore pu`o vericare che, invertendo il verso dellasse x,
il segno del momento ettente cambia ma il diagramma della essione rimane invariato. La
convenzione delle bre tese `e diusa nella letteratura tecnica e nei manuali Europei e sar`a
adottata sistematicamente nel seguito.
`
E opportuno osservare che la convenzione delle bre tese
non `e invece usata dagli autori Americani.
Lesame di tutti i diagrammi quotati delle caratteristiche N, T
y
e M
x
permette di identicare
la sezione di incastro A come la sezione critica della trave, in quanto `e la pi` u sollecitata in
assoluto. Se il carico Q fosse aumentato eccessivamente, gli eetti indesiderati, snervamento o
rottura del materiale, si manifesterebbero necessariamente prima in alcuni punti della sezione
A. Se invece, come auspicabile, la sezione A `e adeguatamente dimensionata per trasferire le
relative caratteristiche di sollecitazione (N = 5 kN, T
y
= 8.33 kN e M
x
= 2598 Nm) lintera
trave risulta vericata a resistenza, nel senso che sono vericate tutte le sue sezioni.
I diagrammi delle caratteristiche indicano anche che il materiale della mensola non `e im-
piegato in modo ottimale dal punto di vista della resistenza. Infatti, avendo la trave sezione
uniforme ed essendo le sezioni sottoposte a sollecitazioni diverse, vi `e certamente materiale in
eccesso. La trave ottimale dal punto di vista della resistenza, sempre che sia possibile o con-
veniente realizzarla, `e tale da avere tutte le sezioni ugualmente critiche. Spesso le sezioni di
strutture ottimizzate per la resistenza sono dicili da ottenersi, sia dal punto di vista proget-
tuale (per determinarne la forma) sia da quello realizzativo (tecnologie di produzione). Qualche
246
10.2. DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE NEI CASI PIANI: CARICHI CONCENTRATI
considerazione elementare sullottimizzazione strutturale, che `e un interessante argomento di
progettazione meccanica, sar`a sviluppata nei prossimi capitoli.
Esempio 10.2: Diagrammi per un albero di trasmissione
Tracciare i diagrammi quotati delle caratteristiche dellalbero in gura 10.5, fornir-
ne lespressione analitica in funzione dellascissa curvilinea e individuare le sezioni
potenzialmente critiche.
A
B C
60
5 kN

1
5

1
0
Fig.10.5
D
60 60
Figura 10.5: Albero a due diametri supportato da due cuscinetti
La determinazione delle caratteristiche e il tracciamento dei relativi diagrammi richie-
dono la valutazione delle reazioni vincolari e il tracciamento dello schema di corpo libero
denitivo (gura 10.6(a)) nel quale sono stati ssati lorigine e il verso dellascissa curvilinea
s. Al lettore `e lasciato il compito di vericare che:
y
z
5 kN 2.5 kN
7.5 kN
A
B
C
5 kN
+ 2.5 kN
+ 310
5
Nmm
T
y
M
x
Fig.10.6
D
A
B
C D
A
B
C D
s
(a)
(b)
(c)
Figura 10.6: Schema di corpo libero denitivo (a) e diagrammi del taglio (b)
e della essione (c) con le convenzioni usuali
247
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
la forza normale `e identicamente nulla (nessun concio dellalbero risulta soggetto ad
azioni che tendono ad allungarlo o a comprimerlo)
sono presenti taglio e essione e i relativi diagrammi quotati sono riportati nella
gura 10.6(b) e (c).
Lespressione analitica delle caratteristiche di sollecitazione pu`o essere ottenuta
direttamente in base alla denizione, considerando una sezione generica di ascissa s:
T
y
(s) =
_
2500 per 0 < s < 120mm
5000 per 120mm < s < 180mm
M
x
(s) =
_
2500s per 0 s 120mm
5000 (180 s) per 120mm s 180mm
Poiche lalbero ha diametro non costante, `e necessario considerare le sezioni potenzialmente
critiche per ogni suo tratto. Per il tratto AB, si identica come potenzialmente critica la
sezione B (pi` u precisamente la sezione B

rispetto al verso assunto per lascissa curvilinea


s) nella quale si hanno i massimi delle caratteristiche. Le condizioni per la sezione B

sono:
dimensioni: diametro 10 mm
taglio: T
y
= +2.5 kN
momento ettente: M
x
= +0.15 kNm
Per il tratto BD si identica come potenzialmente critica la sezione C. Poiche in C il taglio
T
y
presenta una discontinuit`a (di prima specie) e quindi non `e denito, si devono esaminare
entrambe le sezioni: C

e C
+
. Per il tratto BD, la sezione critica risulta quindi essere C
+
con le seguenti condizioni:
dimensioni: diametro 15 mm
taglio: T
y
= 5 kN
momento ettente: M
x
= +0.3 kNm
La sezione C
+
`e la sezione pi` u sollecitata dellalbero, tuttavia, a dierenza della mensola
dellesempio precedente, la verica della sezione C
+
non garantisce in questo caso la ve-
rica dellalbero. Entrambe le sezioni potenzialmente critiche B

e C
+
devono essere in
condizioni di sicurezza. Per proseguire nella verica `e pertanto necessario determinare la
sollecitazione in ogni punto della sezione tramite procedimenti che saranno sviluppati in
seguito.
Situazioni in cui lesame di criticit`a basato sui diagrammi delle caratteristiche e sulla
geometria delle sezioni evidenzia pi` u di una sezione potenzialmente critica sono frequenti,
tuttavia, anche se le attuali conoscenze non permettono di discriminare tra queste la pi` u
critica, appare evidente il vantaggio ottenuto che ha ridotto a 2 il numero di sezioni da
considerare rispetto allinsieme innto delle sezioni di partenza.
Per evitare di riportare le unit`a di misura sui diagrammi quotati, si conviene che, quando
non diversamente indicato, le forze siano espresse in N e i momenti in Nmm.
248
10.2. DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE NEI CASI PIANI: CARICHI CONCENTRATI
A causa della natura discontinua di alcune caratteristiche di sollecitazione (o delle derivate),
`e spesso conveniente usare espressioni analitiche diverse in distinti intervalli del dominio. Indi-
pendentemente dalla rappresentazione analitica, si deve comunque ricordare che la caratteristica
di sollecitazione `e una funzione unica nel dominio ed `e conveniente che sia riferita a ununica
ascissa curvilinea.
Lesempio precedente permette alcune interessanti considerazioni. Il valore massimo del
taglio nella trave non `e il valore della massima forza trasversale applicata (7.5 kN). In cor-
rispondenza del punto di applicazione della forza esterna trasversale, il diagramma del taglio
presenta una discontinuit`a. Nella sezione C il taglio non `e denito e, analogamente, non lo `e la
funzione T
y
(s) per s = 120 mm. Tuttavia il taglio `e denito prima e dopo la sezione C, in termi-
ni matematici esistono niti i limiti della funzione T
y
(s) per s 120

mm e s 120
+
mm. La
discontinuit`a delle caratteristiche di sollecitazione `e conseguenza del modello monodimensionale
che permette di considerare carichi e reazioni vincolari idealmente puntiformi. Ai ni della ve-
rica strutturale la discontinuit`a si tratta imponendo alla trave di sopportare le caratteristiche
sia nella sezione che precede sia in quella che segue il punto di applicazione del carico concen-
trato. Operativamente, la discontinuit`a di una caratteristica comporta quindi di considerare
nellesame di criticit`a sia le sezioni che precedono (come la C

) sia quelle che seguono (C


+
)
la discontinuit`a stessa. Nel caso in esame, la verica della sezione C
+
`e per`o suciente per il
tratto BD perche ha la stesa forma ed `e pi` u caricata della sezione C

.
z
y
T
y
(s
C

)
T
y
(s
C
+
)
P
Fig.10.7
Figura 10.7: Discontinuit`a del taglio prodotta da una forza concentrata
trasversale
La caratteristica del taglio mostra sempre una discontinuit`a di prima specie in corrisponden-
za di una sezione sulla quale agisce una forza concentrata con componente trasversale allasse
della trave. Per convincersene `e suciente considerare lo schema di corpo libero del concio
elementare in C in gura 10.7. La prima cardinale in direzione y si scrive:
T
y
_
s

C
_
+P +T
y
_
s
+
C
_
= 0,
dalla quale si ricava che la riduzione della funzione taglio (il salto nel diagramma) `e proprio pari
alla componente y della forza esterna applicata in C:
T
y
_
s

C
_
T
y
_
s
+
C
_
= T
y
= P (10.1)
In C il diagramma del momento ettente risulta invece continuo ma il suo graco presenta
un punto angoloso (discontinuit`a nella derivata di M
x
(s) rispetto a s). Nel caso in esame, nella
sezione C si localizza anche il massimo assoluto della essione.
249
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
10.2.2 Asse ramicato
Nel seguente esempio sono sviluppate alcune considerazioni utili per calcolare le caratteristi-
che di sollecitazione e tracciarne i diagrammi quando la linea dasse presenta una ramicazione.
Esempio 10.3: Travatura con tratti convergenti
Tracciare i diagrammi quotati delle caratteristiche per il problema piano schematizzato
in gura 10.8, scrivere lespressione analitica delle caratteristiche e individuare le sezioni
potenzialmente critiche, sapendo che tutti i tratti di trave hanno la stessa sezione
(soluzione numerica con a = 300 mm e F = 120 N).
A B
C
9F
a a
a
D
E
a
3F
Fig.10.8
Figura 10.8: Travatura con concorrenza di due tratti convergenti in C
Il problema non presenta dierenze signicative rispetto al precedente. Tuttavia la
conuenza di due tratti richiede qualche precauzione nella denizione delle caratteristiche e
nel tracciamento dei diagrammi relativi. Il punto C `e comune per tre sotto-travi (AC, CE
e CD). Allo scopo di distinguere i tratti di trave `e necessario denire in C diversi sistemi
di riferimento locali. Nel caso specico si nota che i sistemi di riferimento locali per i tratti
AC e CD coincidono, pertanto `e suciente considerare due sotto-travi AD e CE e due soli
sistemi di riferimento locali con le relative ascisse curvilinee, come mostrato in gura 10.9.
Fig.10.9
A B
C
9F
D
E
3F
4F
9F
F
y
z
y
z
s
1
s
2
Figura 10.9: Schema di corpo libero denitivo e sistemi di riferimento per i
diagrammi delle caratteristiche
Si osservi che sono stati attribuiti nomi diversi alle ascisse curvilinee: s
1
(con 0 s
1

3a) individua la posizione della generica sezione nel tratto orizzontale ABCD a partire da
A, mentre s
2
(con 0 s
2
a) denisce la posizione della generica sezione nel tratto CE a
partire da C. In corrispondenza del punto C sono da considerarsi tre sezioni distinte:
C

1
: sezione nel tratto AD denita dalla ascissa s
1
= 2a

C
+
1
: sezione nel tratto AD denita dalla ascissa s
1
= 2a
+
250
10.2. DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE NEI CASI PIANI: CARICHI CONCENTRATI
C
+
2
: sezione nel tratto CE denita dalla ascissa s
2
= 0
I diagrammi delle caratteristiche sono riportati nella gura 10.10 e le corrispondenti
espressioni analitiche risultano le seguenti:
N (s
1
) = 9F per 0 s
1
< 2a (zero in ogni altro punto)
T
y
(s
1
) =
_
F per 0 s
1
< a
4F per a < s
1
3a
T
y
(s
2
) = 9F per 0 s
2
a
M
x
(s
1
) =
_
_
_
Fs
1
per 0 s
1
a
Fs
1
3F (s
1
a) per a s < 2a
4F (3a s
1
) per 2a < s 3a
M
x
(s
2
) = 9F (a s
2
) per 0 s
2
a
N
+ 9F
- 4F
- F
+
9
F
T
y
+4Fa
M
x
-5Fa
-Fa
-9Fa
(a)
(b)
(c)
Fig.10.10
Figura 10.10: Diagrammi delle caratteristiche
Avendo la trave sezione uniforme, le sezioni potenzialmente critiche sono due:
C

1
: massima N e massimi locali (per il tratto orizzontale) di essione e taglio
C
+
2
: massima essione e massimo taglio.
Con riferimento al precedente esempio 10.3, in corrispondenza del punto C, i diagrammi
delle caratteristiche mostrano varie discontinuit`a conseguenti alla conuenza dei due tratti.
La forza normale, identicamente nulla nel tratto CE, subisce un salto nel passaggio da C

1
a
C
+
1
. Anche il momento ettente nel tratto AD presenta una discontinuit`a in C. Lesame dello
schema di corpo libero dellelemento in corrispondenza della giunzione C consente di giusticare
tali andamenti.
251
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
2
C
+
1
C

1
C
+
9Fa
5Fa
4Fa
Fig.10.11
2
C
+
1
C

1
C
+
9F
9F
4F
4F
(a) (b)
Figura 10.11: Schema di corpo libero della zona contenente C con le azioni
di forza (taglio e forza normale) e di momento su di esso agenti
Dalla gura 10.11 si osserva che la forza di taglio del tratto CE si trasforma in forza normale
nel tratto AC. Questa modica, che genera una discontinuit`a nelle rispettive caratteristiche, `e
conseguenza del repentino cambiamento del sistema di riferimento. Si osservi che lasse z per la
sezione C

1
coincide con lasse y della sezione C
+
2
.
Lo schema di gura 10.11b) giustica anche la discontinuit`a del momento ettente per il
tratto AD: non essendo applicato alcun momento esterno in C, la somma di tre momenti agenti
deve essere nulla. Si pu`o quindi aermare che la essione del tratto EC viene trasmessa in
parte dal tratto CA e in parte dal tratto CD.
10.2.3 Carico di momento concentrato
Perche si manifesti una discontinuit`a nel diagramma del momento ettente in un tratto
regolare di trave (dove non vi sono innesti di bracci) `e necessario che vi sia un momento esterno
applicato come nel seguente esempio.
Esempio 10.4: Carico di momento concentrato
Tracciare i diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione, scriverne lespressione analitica
e individuare le sezioni potenzialmente critiche per il problema in gura 10.12.
Fig.10.12
M
0
3L/4
L/4
A B C
y
z
s
Figura 10.12: Momento concentrato
Determinate le reazioni vincolari, si pu`o vericare la correttezza dei diagrammi delle
caratteristiche non nulle di gura 10.13 e delle espressioni analitiche:
T
y
(s) =
M
0
L
per 0 < s < L
M
x
(s) =
_
M
0
s
L
per 0 < s < L/4
M
0
Ls
L
per L/4 < s < L
252
10.3. DIAGRAMMI CON CARICHI CONCENTRATI: PROBLEMI PROPOSTI
Fig.10.13
M
0
/L
3M
0
/4
M
0
/4
T
y
M
x
A B C
A B
C
(a)
(b)
Figura 10.13: Diagrammi in corrispondenza di un carico di momento
concentrato
La sezione critica `e la B
+
.
Nellultimo esempio 10.4 `e stata osservata una discontinuit`a di prima specie nel diagramma
del momento ettente in corrispondenza della sezione in cui `e applicato un momento esterno
concentrato. Dallo schema di corpo libero del concio innitesimo in corrispondenza della sezione
B (gura 10.14) si ricava, in base alla seconda cardinale, che il salto nel diagramma del momento
ettente corrisponde al momento applicato:
M
x
_
s

B
_
M
x
_
s
+
B
_
= M
x
= M
0
(10.2)
`
E utile ricordare che un momento concentrato `e una schematizzazione per un carico distri-
buito (spesso di supercie) con risultante nulla e momento risultante diverso da zero applicato
in una zona di limitata estensione. Nel caso in cui un carico sia applicato a un solido mono-
dimensionale, per poterlo ragionevolmente considerare concentrato, `e suciente che la zona di
applicazione abbia una estensione inferiore al diametro della sezione locale della trave. Dato
che, come in altri casi, non `e plausibile richiedere al modello monodimensionale di descrivere
accuratamente il fenomeno sico entro distanze inferiori al diametro della trave, la discontinuit`a
del momento ettente, e la connessa impossibilit`a di attribuire un valore univoco alla essione
in B, `e una conseguenza del modello monodimensionale.
Fig.10.14
M
0
M
x
(s

) M
x
(s
+
)
z
y
M
0
z
y
0
4
M
0
3
4
M
(a)
(b)
B

B
+
Figura 10.14: Schema di corpo libero del concio con il momento applicato:
a) generico e b)
10.3 Diagrammi con carichi concentrati: problemi proposti
Sono proposti alcuni problemi per i quali `e richiesto il tracciamento dei diagrammi delle ca-
ratteristiche e lindividuazione delle sezioni potenzialmente critiche. Quando non diversamente
253
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
indicato, si assuma che le travi abbiano sezione uniforme.
`
E consigliato di tracciare i diagrammi
quotati prima di determinare le espressioni analitiche.
Esercizio 10.1: Trave a mensola
Tracciare i diagrammi quotati delle caratteristiche per la mensola di gura 10.15 e
individuare la o le sezioni potenzialmente critiche, in particolare:
a) individuare i punti di discontinuit`a del taglio e vericare la relazione (10.1)
b) vericare che le caratteristiche di sollecitazione nella sezione di incastro corrispondono
alle componenti delle reazioni vincolari rappresentate nel sistema di riferimento della
trave (cosa si pu`o dire riguardo ai segni?)
L/2
A B
L/2
F
F
C Fig.10.15
Figura 10.15: Mensola rettilinea
Esercizio 10.2: Trave con due condizioni di carico: essione su tre o quattro punti
Nella gura 10.16 `e rappresenta una trave sottoposta a due condizioni di carico: a) una
forza concentrata in mezzeria, b) due forze parallele applicate simmetricamente rispetto
al centro. Si osservi che per ogni valore di 0 < d <
L
2
i carichi a) e b) sono staticamente
equivalenti. Dopo aver tracciato i diagrammi per entrambi i carichi (assumendo un valore
a piacere 0 < d <
L
2
), vericare le seguenti aermazioni:
1. per il carico b) e per ogni valore di d (0 < d <
L
2
)), il tratto centrale della trave
compreso tra i punti di applicazione dei carichi `e sollecitato solo da momento ettente
2. nonostante le due condizioni di carico siano staticamente equivalenti, il carico a) `e
pi` u gravoso per la trave rispetto al carico b) qualunque sia il valore d <
L
2
3. la trave tende a non essere sollecitata nel caso b) quando d 0.
254
10.3. DIAGRAMMI CON CARICHI CONCENTRATI: PROBLEMI PROPOSTI
L/2
A C
y
z
s
L/2
2F
A C
y
z
s
d F
d
F
Fig.10.16
(a)
(b)
Figura 10.16: Flessione: a) su tre punti, b) su quattro punti
Esercizio 10.3: Prova di Iosipescu
Nella gura 10.17 `e rappresentata una barretta rettilinea ABCD di sezione rettangolare
caricata tramite 4 cilindretti posti sulle superci orizzontali. Il carico `e costituito da due
forze F, applicate su due elementi prismatici rigidi, la cui retta dazione `e perpendicolare
allasse della barretta e passa per il punto medio H tra A e B, (prova di Iosipescu). Con
riferimento alla barretta ABCD:
a) rappresentare lo schema di corpo libero denitivo
b) tracciare i diagrammi quotati delle caratteristiche di sollecitazione
c) vericare che la sezione di mezzeria H `e soggetta solo a taglio.
Fig.10.17
y
z
s
F
F
a b b a
A B C
D
H
Figura 10.17: Schema della prova di Iosipescu
255
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
Esercizio 10.4: Anello quadrato aperto
Un anello avente sezione circolare e asse che forma un quadrato di lato a, `e tagliato nel
punto medio di uno dei lati come in gura 10.18. Ai lembi del taglio sono applicate due
forze opposte. Per ognuna delle condizioni di carico riportate in gura
a) tracciare i diagrammi quotati delle caratteristiche di sollecitazione
b) individuare le sezioni potenzialmente critiche.
F
F
F F
Fig.10.18
s
s
a a
a
a
(a)
(b)
Figura 10.18: Due condizioni di carico per un anello aperto con asse quadrato
Esercizio 10.5: Semianello piano caricato allestremit`a
Un semianello ad asse circolare (gura 10.19) avente sezione quadrata `e incastrato a un
estremo e caricato con una forza concentrata allestremo libero:
a) tracciare i diagrammi quotati delle caratteristiche di sollecitazione
b) determinare le espressioni analitiche delle caratteristiche di sollecitazione in funzione
dellascissa curvilinea s
c) individuare le sezioni potenzialmente critiche.
256
10.3. DIAGRAMMI CON CARICHI CONCENTRATI: PROBLEMI PROPOSTI
R
s
z
y
A
F
Fig.10.19
Figura 10.19: Semianello circolare incastrato
Esercizio 10.6: Semianello caricato in mezzeria
Un semianello (sezione quadrata) vincolato isostaticamente (gura 10.20) `e caricato da
una forza nel centro:
a) tracciare i diagrammi quotati delle caratteristiche di sollecitazione
b) determinare le espressioni analitiche delle caratteristiche di sollecitazione in funzione
dellascissa curvilinea s
c) individuare le sezioni potenzialmente critiche.
R
s
z
y
A
F
Fig.10.20
Figura 10.20: Semianello circolare con carico in centro
Esercizio 10.7: Anello circolare aperto
Per entrambe le condizioni di carico di un anello aperto ad asse circolare illustrate in gura
10.21:
257
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
a) tracciare i diagrammi qualitativi quotati delle caratteristiche di sollecitazione
b) determinarne le espressioni analitiche in funzione di s
c) individuare le sezioni potenzialmente critiche.
R
F
F
R
F F
s s
Fig.10.21
(a)
(b)
Figura 10.21: Anello circolare aperto caricato con coppie di braccio nullo
10.4 Diagrammi delle caratteristiche nei casi piani: carichi di-
stribuiti
Consideriamo la trave a mensola di gura 10.22(a) con asse rettilineo e sezione costante
di massa m soggetta al peso proprio. Assunto il modello monodimensionale, il peso proprio
`e schematizzato come un carico di linea p
0
=
mg
L
uniformemente distribuito sullasse (basta
ricordare le propriet`a del baricentro geometrico e del centro di spinta di distribuzioni uniformi).
La determinazione delle caratteristiche di sollecitazione `e analoga al caso dei carichi concen-
trati, anche se in presenza di carichi distribuiti le caratteristiche variano, in genere, in modo
pi` u complicato e il tracciamento dei diagrammi pu`o richiedere un po pi` u di attenzione. Con-
sideriamo il taglio in una generica sezione, la componente verticale della risultante dei carichi
agenti dalla parte delle z positive `e tanto pi` u elevata quanto pi` u la sezione `e vicina allincastro.
Essendo il carico uniformemente distribuito, il taglio ha un andamento lineare rispetto alla-
scissa curvilinea, come mostrato in gura 10.22(b). Il valore massimo il taglio lo raggiunge in
corrispondenza della sezione di incastro dove il suo modulo eguaglia il peso complessivo della
trave.
Si verica che il momento ettente `e nullo in B e, allontanandosi dallestremo libero, cresce
pi` u che linearmente con la distanza. Sia la risultante della forza esterna sia il relativo braccio
che intervengono nel calcolo del momento ettente sono infatti proporzionali a Ls. Il momento
ettente `e pertanto una funzione di secondo grado in s e il diagramma `e di tipo parabolico, come
illustrato in gura 10.22(c). Formalizzando le condizioni di equilibrio parziale, si ottengono le
seguenti espressioni delle caratteristiche:
T
y
(s) = p
0
(L s)
258
10.4. DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE NEI CASI PIANI: CARICHI DISTRIBUITI
B
p
0
= mg/L
y
z A
L
B
A
B
A
Fig.10.22
(a)
(b)
(c)
+mg
T
y
M
x
mgL/2
s
Figura 10.22: Trave a mensola soggetta al peso proprio: (a) schema statico
(b) diagramma del taglio (c) diagramma del momento ettente
M
x
(s) = p
0
(L s)
(L s)
2
=
p
0
2
(L s)
2
Le seguenti considerazioni possono essere generalizzate in molte circostanze.
Lannullamento delle caratteristiche nella sezione estrema B appare ovvio se si considera che
`e libera (in contatto con laria) e quindi non riceve alcuna azione. Diversa `e la situazione di una
sezione di estremit`a vincolata (come la A), in grado quindi di ricevere una reazione vincolare
concentrata.
Il carico trasversale p
0
non deve essere confuso con il taglio T
y
. A tale proposito `e opportuno
considerare che il peso proprio agisce sul concio estremo (in cui T
y
= 0) nello stesso modo in cui
agisce su ogni altro concio della trave (dove T
y
,= 0). A ulteriore giusticazione della dierenza,
risulta utile considerare che il peso p
0
`e un carico di linea (si misura in N/mm) ed `e una forza
esterna (interazione gravitazionale) mentre il taglio T
y
`e una forza (si misura in N) e, in quanto
caratteristica di sollecitazione, `e unazione interna (interazione elettromagnetica).
Lincastro `e la sezione critica, avendo la trave sezione uniforme, ladeguato dimensionamento
della sezione di incastro comporta che tutte le altre sezioni siano sovradimensionate.
Il diagramma del momento ettente `e una funzione non lineare dellascissa curvilinea e il suo
tracciamento `e meno immediato delle funzioni lineari a tratti nora incontrate. I diagrammi si
complicano ulteriormente se anche il carico distribuito varia con s.
`
E per`o opportuno ricordare
che i diagrammi delle caratteristiche servono per individuare le sezioni potenzialmente critiche.
Raramente questo tipo di analisi richiede lo studio delle derivate superiori delle funzioni delle
caratteristiche, che deniscono, per esempio, le propriet`a di concavit`a del graco.
`
E general-
mente suciente tracciare i diagrammi qualitativi quotati che identicano le sezioni dove si
hanno gli estremi locali del modulo delle caratteristiche con i corrispondenti valori.
Considerazioni di equilibrio hanno permesso di prevedere landamento parabolico del mo-
mento ettente. Una parabola `e univocamente individuata da tre suoi punti distinti, per esem-
pio dai valori assunti agli estremi e nel punto di mezzo. In genere, il modo pi` u sicuro, e spesso
259
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
pi` u rapido, per migliorare il dettaglio di un diagramma qualitativo consiste semplicemente nel
calcolare la caratteristica in un opportuno numero di punti rappresentativi.
Come vedremo, le caratteristiche di sollecitazione sono legate tra loro e al carico da relazioni
dierenziali che possono essere di ausilio per tracciare i diagrammi. Tuttavia, `e opportuno che
i valori pi` u rappresentativi (quelli che servono per tracciare i diagrammi qualitativi quotati)
siano ottenuti, quando possibile, in modo diretto sulla base della denizione.
Esempio 10.5: Barra centrifugata
Una barra rettilinea di lunghezza L, sezione uniforme, massa totale m `e appoggia su un
piano orizzontale liscio e posta in rotazione con velocit`a angolare costante attorno al suo
estremo A.
a) Tracciare i diagrammi qualitativi quotati delle caratteristiche
b) individuare le sezioni critiche
c) fornire lespressione analitica delle caratteristiche non nulle.
Fig.10.23
B
q
0
= m
2
y
z
A
L
B A
(a)
(b)
N
+m
2
L/2
s
Figura 10.23: Barra in rotazione attorno a un suo estremo: (a) schema
statico (b) diagramma della forza normale
Nello schema statico, riportato in gura 10.23(a), non `e stato considerato alcun carico
verticale perche il peso `e equilibrato, sezione per sezione, dalla reazione verticale del piano
liscio e quindi non vi `e carico esterno netto su alcun concio. Le forze centrifughe (nel
sistema non inerziale della trave) costituiscono lunico carico, che pu`o essere schematizzato
come forze di linea aventi la direzione dellasse della barra e intensit`a proporzionale alla
distanza dal centro di rotazione. Per una generica posizione che dista s da A, la forza per
unit`a di lunghezza vale:
q (s) =
m
L

2
s
che assume il valore massimo allestremo B con: q (L) = q
0
= m
2
.
Il tracciamento dei diagrammi non richiede le reazioni vincolari. La trave `e soggetta
solo a forza normale il cui andamento (parabolico) `e mostrato nella gura 10.23(b) e A `e
la sezione critica. La forza normale in A, dove il carico esterno `e nullo, assume il valore
massimo (in modulo pari alla reazione vincolare) mentre la sezione B `e scarica pur avendo il
260
10.4. DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE NEI CASI PIANI: CARICHI DISTRIBUITI
massimo carico esterno. Si tratta quindi di un ulteriore esempio che testimonia la dierenza
tra carico esterno e azione interna.
Lespressione analitica della forza normale si ottiene dalla prima cardinale:
N (s) =
1
2
[q (L) +q (s)] (L s) =
q
0
2L
_
L
2
s
2
_
Esempio 10.6: Carico trasversale variabile
Tracciati i diagrammi qualitativi quotati per la trave rettilinea di sezione uniforme caricata
con un carico trasversale variabile linearmente (gura 10.24),
a) fornire lespressione analitica delle caratteristiche
b) individuare le sezioni potenzialmente critiche
B A
L
Fig.10.24
p
0
2p
0
y
z
s
Figura 10.24: Trave appoggiata con carico lineare trapezio
`
E necessario determinare le reazioni vincolari. Le caratteristiche di sollecitazione in una
sezione generica si possono ottenere, per esempio, considerando i carichi agenti dalla parte
delle z positive. Il sistema di forze `e costituito da una forza concentrata e una distribuzione
trapezia (scomponibile in una uniforme e una triangolare). I diagrammi qualitativi quotati
sono riportati in gura 10.25.
Con le medesime considerazioni di statica si ottengono le espressioni analitiche:
T
y
(s) =
p
0
6L
_
4L
2
6Ls 3s
2
_
M
x
(s) =
p
0
6L
(L s) s (4L +s)
Le sezioni potenzialmente critiche sono: B dove `e massimo il taglio e C dove `e massimo
il momento ettente. Si osservi che la sezione C si trova nel punto in cui la funzione taglio
si annulla: s
C
= 0.528L.
261
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
B
A
T
y
B
A
M
x
C
Fig.10.25
(a)
(b)
2
0
0.188 p L
0
5
6
p L
0
2
3
p L
Figura 10.25: Diagrammi delle caratteristiche
Esercizio guidato 10.1: Barra con varie condizioni di carico
Una barra rettilinea di massa totale m e sezione uniforme `e vincolata e sollecitata in vario
modo, come mostrato in gura 10.26. Tracciare i diagrammi qualitativi quotati delle
caratteristiche di sollecitazione, individuare le sezioni potenzialmente critiche e scrivere le
espressioni analitiche della caratteristiche.
B A
B A
L/2 L/2
L
L
B
A
Fig.10.26
40

2
= g/L
(a)
(b)
(c)
50
Figura 10.26: Trave rettilinea di sezione uniforme in varie condizioni di carico
262
10.5. RELAZIONI DIFFERENZIALI TRA LE CARATTERISTICHE E IL CARICO
Per il caso a).
`
E necessario determinare le reazioni vincolari. Le sezioni potenzialmente
critiche sono quella nel centro (massima essione) e quelle di estremit`a (massimo taglio).
Per il caso b). Trovate le reazioni vincolari, si noter`a che vi `e una forza concentrata in
mezzeria oltre al carico distribuito. Per esprimere le caratteristiche in forma analitica `e
opportuno separare il dominio in intervalli.
Per il caso c). Il carico `e prodotto dalle forze centrifughe e dal peso proprio. Se si esclude
la sezione B tutte le sezioni sono variamente sollecitate dalle caratteristiche. Gli andamenti
sono pi` u complessi rispetto ai casi precedenti per cui il tracciamento dei diagrammi pu`o
richiedere la valutazione delle caratteristiche in pi` u punti. Siccome il carico esterno ha una
espressione al pi` u lineare dellascissa curvilinea, si possono ottenere le espressioni analitiche
delle caratteristiche con calcoli elementari di equilibrio (senza ricorrere a integrali).
10.5 Relazioni dierenziali tra le caratteristiche e il carico
10.5.1 Carico generico sul concio
Losservazione dei diagrammi delle caratteristiche dei precedenti esempi suggerisce lesisten-
za di legami tra i carichi esterni e le caratteristiche di sollecitazione e tra le stesse caratteristiche
di sollecitazione. In particolare, forze esterne in direzione assiale producono eetti sulla forza
normale, mentre forze esterne trasversali inuenzano il taglio e il momento ettente. Inoltre, il
segno del taglio `e legato alla locale pendenza del diagramma del momento ettente.
Per giusticare questi legami, consideriamo la condizione di equilibrio di un concio elemen-
tare per il quale siano vericate le seguenti ipotesi:
problema piano
tratto di trave con asse rettilineo (almeno localmente)
sul concio in esame non sono applicati carichi concentrati e gli eventuali carichi distribuiti
sono localmente regolari (in modo che il valore del carico distribuito sia denito nel punto
in esame).
I carichi sul concio innitesimo consistono quindi in distribuzioni di linea applicate allasse che,
essendo il problema piano, si riducono a: due componenti di forza distribuita (in N/mm ) e una
componente di momento distibuito (in N mm/mm = N) indicate con i simboli:
q (s): distribuzione di forza assiale (in direzione z)
p (s): distribuzione di forza trasversale (in direzione y)
m(s): distribuzione di momento (in direzione x).
Per lipotesi di continuit`a del carico, tali distribuzioni possono essere considerate uniformi sul
tratto innitesimo dasse del concio, come schematizzato in gura 10.27.
Come esempio si consideri una trave a mensola avente sezione a doppio T con piattabande
orizzontali. Il peso proprio, oppure una pressione distribuita sulla piattabanda superiore, sono
tipici carichi riconducibili a una componente di tipo p. Se la mensola viene posta in rotazione
attorno a un asse verticale che passa per lincastro A, nel sistema di riferimento della trave, la
forza centrifuga produce invece un carico di tipo q.
263
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
Fig.10.27
z
y
z
y
z
y
(a)
(b) (c)
(
s
)

(
s+ds
)
( ) q s
( ) p s
( ) m s
Figura 10.27: Generica sollecitazione esterna regolare in un concio innitesi-
mo di trave rettilinea nel caso piano: a) distribuzione assiale di forza q (s); b)
distribuzione trasversale di forza p (s) e c) distribuzione di momento esterno
m(s)
Carichi distribuiti di tipo p o q sono stati considerati anche negli esempi precedenti, una
novit`a appare invece il carico di momento distribuito su una linea m(s). In eetti, si tratta di
un carico piuttosto infrequente che qui `e introdotto per ragioni di completezza e in eetti nel
seguito m(s) sar`a quasi sempre trascurato.
Un esempio di come si possa sottoporre una trave a un carico di momento uniformemente
distribuito lungo lasse `e illustrato in gura 10.28. Consideriamo una mensola AB rettilinea
a doppio T di lunghezza L sulle cui piattabande, in corrispondenza di sezioni uniformemente
distribuite sulla lunghezza, sono collocate n coppie di lamelle elastiche uguali con passo costante
L/n e con n piuttosto elevato. Per ogni coppia, una lamella `e saldata alla piattabanda superiore
e laltra a quella inferiore. Gli estremi liberi delle lamelle sono successivamente ssati a un unico
cavo ideale tenuto leggermente teso in modo che risultino rettilinei tutti i tratti di cavo tra le
lamelle e tra le pulegge con perni ssi poste in corrispondenza dellestremo A. A questo punto
applichiamo allestremo del cavo una forza F come indicato in gura 10.28 Per la simmetria
del problema e per lequilibrio del lo ideale, su ogni lamella il lo eserciter`a una forza pari
a F/2n e, di conseguenza, su ogni concio di estensione s = L/n agir`a un momento esterno
(in direzione x) di intensit`a pari a M = Fb/2n. Se n `e sucientemente elevato (basta che
L/n sia minore del diametro della trave), `e ragionevole assumere il momento esterno come
uniformemente distribuito e quindi denire il seguente momento per unit`a di lunghezza:
m =
M
s
=
Fb
2L
grandezza che, come `e immediato vericare, `e dimensionalmente equivalente a una forza.
10.5.2 Equazioni indenite di equilibrio per il concio con asse rettilineo piano
Nella gura 10.29 `e rappresentato lo schema di corpo libero generale per un concio ele-
mentare di trave sul quale agiscono tutte le azioni che su di esso possono essere esercitate nel
caso piano.
`
E stata considerata la possibilit`a che le caratteristiche di sollecitazione siano di-
verse, ovviamente di una quantit`a innitesima vista lestensione del concio, nelle due sezioni di
estremit`a.
264
10.5. RELAZIONI DIFFERENZIALI TRA LE CARATTERISTICHE E IL CARICO
B
F
Fig.10.28
F/2n
F/2n
L/n
b
A
(a)
(b)
A
B
(c)
2
Fb
m
L
=
Figura 10.28: Momento uniformemente distribuito su una trave: (a) schema
per lapplicazione del carico, (b) particolare del concio nito a cui `e associata
una coppia di lamelle, (c) schema di carico per il modello monodimensionale
z
y
N+dN N
T
y
+dT
y
T
y
M
x
+dM
x
M
x
Fig.10.29
ds
Figura 10.29: Diagramma generale di corpo libero per un concio innitesimo
genericamente sollecitato in un modello piano
265
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
Per lequilibrio alla traslazione nelle direzioni z e y e alla rotazione attorno a x (polo nel
baricentro della sezione a sinistra) valgono rispettivamente le relazioni:
N +q (s) ds +N +dN = 0
T
y
+p (s) ds +T
y
+dT
y
= 0
M
x
+m(s) ds +M
x
+dM
x
(T
y
+dT
y
) ds = 0
sviluppando ed eliminando (nella terza) gli innitesimi di ordine superiore, si perviene alle
seguenti equazioni indenite di equilibrio del concio elementare:
dN
ds
= q(s) (10.3)
dT
y
ds
= p(s) (10.4)
dM
x
ds
= T
y
m(s) (10.5)
Se si esclude il carico di momento distribuito (o pi` u rigorosamente nelle zone di trave in cui
tale carico non agisce), la terza equazione indenita si semplica nella seguente forma pi` u utile:
dM
x
ds
= T
y
(10.6)
relazione che dimostra come, in un tratto di trave rettilineo in assenza di momento esterno
applicato, il taglio sia il gradiente assiale del momento ettente.
Derivando la relazione (10.5) rispetto a s e tenendo conto della relazione (10.4) si ricava:
d
2
M
x
ds
2
= p (s)
dm(s)
ds
(10.7)
la quale, in assenza di carico di momento distribuito, si riduce alla seguente relazione:
d
2
M
x
ds
2
= p (s) (10.8)
10.6 Considerazioni sulle equazioni indenite
Le equazioni indenite di equilibrio del concio giusticano alcune propriet`a dei diagrammi
delle caratteristiche messe in evidenza nei precedenti esempi e possono essere utili per tracciare
diagrammi corretti e accurati e, soprattutto, per vericarne la coerenza. In particolare, lesame
della relazione (19.3) relativa alla forza normale conduce alle seguenti considerazioni:
per variare la forza normale `e necessario applicare un carico in direzione dellasse z
un carico uniformemente distribuito agente in direzione z produce una variazione lineare
della forza normale (come per esempio il peso proprio di una barra verticale di sezione
uniforme)
un carico assiale variabile linearmente produce una forza normale con andamento parabo-
lico (per esempio una barra rotante sotto leetto centrifugo)
in un tratto di trave in cui non ci sono forze esterne in direzione z la forza normale rimane
costante.
266
10.6. CONSIDERAZIONI SULLE EQUAZIONI INDEFINITE
La relazione (19.3) pu`o essere considerata una equazione dierenziale (lineare del primo
ordine) in cui la forza normale `e la funzione incognita. Lintegrazione dellequazione dierenziale
`e immediata essendo:
N(s) =
s
_
0
q
_
s

_
ds

+N(0) (10.9)
espressione nella quale, per evitare conitto di simboli, `e stata introdotta come variabile di
integrazione la grandezza s

(che ha lo stesso signicato geometrico di s). La quantit`a N (0)


rappresenta il valore della forza normale nellorigine (condizione al contorno dellequazione
dierenziale).
La soluzione dellequazione dierenziale (19.3) sembra permettere la determinazione della
caratteristica N (s) per via analitica, apparentemente senza che sia richiesta limposizione di
alcuna condizione di equilibrio. In eetti, lequilibrio assiale di ogni concio (e di conseguenza per
il principio di Eulero dellintera trave) `e implicito nella relazione (19.3). Tuttavia `e opportuno
considerare che questo procedimento spesso risulta astratto e produce risultati non sempre
immediatamente vericabili. Inoltre, anche lapproccio analitico per determinare N non sempre
pu`o essere completato prescindendo completamente da considerazioni di statica, in quanto:
la necessaria determinazione di N (0) che compare nellespressione (10.9) richiede di
imporre almeno una condizione di equilibrio assiale della trave o di una sua parte
nel caso in cui la funzione q (s) non sia regolare, oppure quando non sia esprimibile con
espressioni denite su tutto il dominio, `e necessario dividere il dominio di integrazione in
intervalli e imporre una condizione di equilibrio assiale per ognuno di essi.
Considerazioni analoghe valgono per il taglio e lequazione (10.4) che si integra come segue:
T
y
(s) =
s
_
0
p
_
s

_
ds

+T
y
(0) (10.10)
La relazione (10.10) dimostra che carichi trasversali nulli, costanti, lineari ecc. . . producono
andamenti del taglio T
y
, rispettivamente, costanti, lineari, parabolici, ecc. . . . In eetti, se il
carico trasversale distribuito `e espresso da una funzione polinomiale di s con grado m, il taglio
`e un polinomio di grado m + 1. La relazione (10.10) pu`o essere usata anche per giusticare
landamento del diagramma del taglio in presenza di carichi concentrati. Un carico trasversale
concentrato P in posizione s
0
rappresenta il modello di un carico trasversale uniformemente
distribuito su un tratto corto di estensione s centrato in s
0
e avente intensit`a p =
P
s
.
Eettuando lintegrazione nella zona di applicazione del carico, si ottiene:
T
y
(s
0
+
s
2
) =
s
0
+
s
2
_
s
0

s
2
p
_
s

_
ds

+T
y
(s
0

s
2
) =
P
s
s
0
+
s
2
_
s
0

s
2
ds

+T
y
(s
0

s
2
) =
=
P
s
s +T
y
(s
0

s
2
)
da cui si ricava:
T
y
(s
0

s
2
) T
y
(s
0
+
s
2
) = P
relazione che esprime la gi`a evidenziata propriet`a del diagramma del taglio di mostrare un
gradino di altezza pari al valore del modulo della forza trasversale esterna.
267
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
Le relazioni di equilibrio alla traslazione (19.3) e (10.4) del concio sono disaccoppiate,
ovvero le funzioni incognite N (s) e T
y
(s) possono essere valutate separatamente e non si in-
uenzano reciprocamente. Questo fatto comporta che sulla forza normale di una trave rettilinea
hanno eetto solo i carichi assiali e sul taglio solo quelli trasversali (concentrati o distribuiti).
Il disaccoppiamento produce una notevole semplicazione nellanalisi che sar`a sfruttata anche
nel modello di trave (poco) deformabile.
`
E opportuno considerare che il disaccoppiamento `e
conseguenza della rettilineit`a locale dellasse, come mostrato nellultimo paragrafo del presente
capitolo.
Un importante eetto di accoppiamento si manifesta invece tra taglio e essione, anche nelle
travi rettilinee, ed `e espresso dalla relazione (10.6). In assenza di carico di momento distribuito
vale infatti la relazione:
M
x
(s) =
s
_
0
T
_
s

_
ds

+M
x
(0) (10.11)
prevedibile dallesame dei diagrammi di tutti gli esempi considerati e che, insieme con la relazio-
ne (10.10), permette di dimostrare la validit`a delle seguenti propriet`a che forniscono indicazioni
utili per tracciare e vericare i diagrammi:
in un tratto (rettilineo) di trave in cui il taglio `e costante, lineare, parabolico, ecc. . . il
momento ettente varia rispettivamente in modo lineare, parabolico, cubico, ecc. . .
una forza trasversale concentrata, e quindi un salto del taglio, genera un punto angoloso
nel diagramma della essione
i punti in cui il taglio si annulla cambiando di segno sono punti stazionari (generalmente
quindi estremi locali) per la funzione M
x
(s).
Dallequazione dierenziale lineare (10.8) si pu`o ottenere lespressione analitica del momento
ettente direttamente dal carico trasversale:
M
x
(s) =
s
_
0
_
_
s

_
0
p(s

)ds

_
_
ds

+T
y
(0) s +M
x
(0) (10.12)
`
E interessante notare che, sempre in conseguenza del disaccoppiamento tra T
y
e N, solo i
carichi trasversali hanno eetto sul momento ettente. Anche landamento della essione pu`o
essere ottenuto in modo analitico sfruttando la relazione (10.12). Si osservi che, per ogni inter-
vallo del dominio in cui la funzione p (s) `e esprimibile analiticamente, `e necessario determinare 2
valori delle caratteristiche: T
y
(0) e M
x
(0), necessariamente tramite considerazioni di equilibrio.
10.7 Applicazione delle equazioni indenite
10.7.1 Espressioni analitiche delle caratteristiche
Sono illustrati alcuni esempi in cui lespressione analitica delle caratteristiche di sollecitazio-
ne `e ottenuta sulla base delle equazioni indenite.
Esempio 10.7: Carico trasversale variabile
Determinare lespressione analitica delle caratteristiche di sollecitazione in base
allintegrazione delle equazioni indenite per il problema in gura 10.30.
268
10.7. APPLICAZIONE DELLE EQUAZIONI INDEFINITE
B A
L
p
0
y
z
s
Fig.10.30
T
y
Figura 10.30: Trave appoggiata con carico linearmente variabile
Il carico esterno `e esprimibile come:
p (s) =
p
0
L
(s L)
il taglio diventa:
T
y
(s) =
s
_
0

p
0
L
_
s

L
_
ds

+T
y
(0) =
p
0
L
_
Ls
s
2
2
_
+T
y
(0)
per determinare la costante di integrazione, che esprime il taglio nellorigine, `e necessario
determinare le reazioni vincolari (entrambe dirette verso il basso) che valgono: R
A
=
p
0
L
3
e
R
B
=
p
0
L
6
, per cui: T
y
(0) =
p
0
L
3
.
La costante di integrazione pu`o essere ricavata se il taglio `e noto in un qualunque punto
(anche diverso dallorigine), per esempio nellestremo B:
T
y
(L) =
p
0
L
6
si ottiene infatti in questo modo lequazione:
p
0
L
_
L
2

L
2
2
_
+T
y
(0) =
p
0
L
6
che fornisce lo stesso risultato:
T
y
(s) =
p
0
L
_

s
2
2
+Ls
L
2
3
_
Con una ulteriore integrazione si perviene allespressione del momento ettente (a meno di
una costante additiva):
M
x
(s) =
s
_
0
p
0
L
_

s
2
2
+Ls

L
2
3
_
ds

+M
x
(0) =
p
0
L
_

s
3
6
+L
s
2
2

L
2
3
s
_
+M
x
(0)
il valore della essione nellorigine `e nullo (la cerniera non pu`o esercitare reazione vincolare
di momento), per cui:
M
x
(s) =
p
0
L
_

s
3
6
+L
s
2
2

L
2
3
s
_
=
p
0
L
s (s L) (s 2L)
269
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
I diagrammi sono riportati in gura 10.31.
B
A
T
y
0
3
p
L
B
A
M
x
C
(a)
(b)
0
6
p
L
Fig.10.31
2
0
0.064p L
Figura 10.31: Andamento delle caratteristiche di sollecitazione
I risultati mostrano che:
il taglio ha un andamento quadratico (era prevedibile essendo p (s) lineare) e il vertice
della parabola si trova in B in quanto in tale punto la funzione p (s) `e nulla
il massimo valore del taglio (in modulo) si verica peraltro in A dove la funzione non `e
stazionaria
il massimo momento ettente si verica nel punto C dove il diagramma del taglio si
annulla cambiando di segno
il momento ettente ha un andamento cubico con curvatura tutta dello stesso segno
(opposto al segno della funzione p (s)) e presenta in B il esso.
Esempio 10.8: Carichi distribuiti non continui
Determinare lespressione analitica delle caratteristiche nel caso di gura 10.32.
A
L/2 L/2
p
0
y
z
s
B
C
Fig.10.32
Figura 10.32: Discontinuit`a del carico
La funzione p (s) presenta una discontinuit`a per s = L/2 e quindi non `e rappresentabile
in tutto il dominio tramite ununica espressione, se non introducendo le funzioni discontinue
270
10.7. APPLICAZIONE DELLE EQUAZIONI INDEFINITE
tipiche della teoria delle distribuzioni (funzioni di Heaviside e sue derivate). Si adotta
pertanto una denizione a tratti del tipo:
p(s) =
_
0 per 0 < s L/2
p
0
per L/2 < s < L
`
E interessante osservare che la funzione p (s) pu`o essere denita arbitrariamente per s =
L/2. Infatti, il valore puntuale p (L/2) (purche ovviamente nito) non produce alcun eetto
sullandamento delle caratteristiche e, conseguentemente, sulla verica di resistenza.
Dal punto di vista dei calcoli, la separazione ttizia del dominio in due intervalli com-
porta la necessit`a di integrare separatamente le equazioni dierenziali di equilibrio e, come
conseguenza, anche le caratteristiche di sollecitazione risulteranno rappresentate a tratti.
A tale proposito, `e necessario tener conto che per ogni singolo tratto le caratteristiche sono
denite da costanti di integrazione speciche.
Il lettore pu`o vericare che il taglio assume la seguente espressione:
T
y
(s) =
_
T
(1)
y
(0) per 0 < s L/2
p
0
s +T
(2)
y
(0) per L/2 < s < L
con le rispettive costanti di integrazione T
(1)
y
(0) , T
(2)
y
(0). Il modo pi` u diretto per
determinare T
(2)
y
(0) consiste nell osservare che il taglio in C deve essere nullo per cui:
T
y
_
L

_
= p
0
L +T
(2)
y
(0) = 0
e quindi:
T
(2)
y
(0) = p
0
L
Per calcolare la costante T
(1)
y
(0), si pu`o considerare che la funzione taglio `e continua in
B (non agiscono forze concentrate) e quindi che deve essere:
T
y
_
L
2

_
= T
y
_
L
2
+
_
T
(1)
y
(0) = p
0
L
2
+p
0
L = p
0
L
2
Considerazioni analoghe permettono di ottenere lespressione del momento ettente:
M
x
(s) =
_
p
0
Ls
2
+M
(1)
x
(0) per 0 < s L/2
p
0
s
2
2
+p
0
Ls +M
(2)
x
(0) per L/2 < s < L
Per le costanti di integrazione valgono le seguenti considerazioni: nellestremo libero C
M
x
(L) = 0, mentre in B il momento ettente `e continuo M
x
(L/2

) = M
x
(L/2
+
).
Lespressione analitica `e la seguente:
M
x
(s) =
_
p
0
L
2
_
s
3
4
L
_
per 0 < s L/2

p
0
2
(L s)
2
per L/2 < s < L
271
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
B
A
T
y
B
A
M
x
C
(a)
(b)
0
2
p
L
Fig.10.33
C
8
2
0
3
p L
Figura 10.33: Diagrammi delle caratteristiche
Dai diagrammi riportati nella gura 10.33, si ricavano le seguenti conclusioni:
entrambe le caratteristiche sono funzioni continue di s
nel tratto AB il momento ettente varia linearmente, nel tratto BC parabolicamente
e i due tratti si raccordano anche in pendenza (il momento ettente M
x
(s) `e una
funzione di classe C
1
)
le espressioni analitiche delle caratteristiche potevano essere determinate in modo
molto pi` u semplice applicando la denizione.
Esercizio guidato 10.2: Carichi misti
Determinare lespressione analitica delle caratteristiche per la trave rappresentata in gura
10.34 con il metodo analitico e con il metodo basato sulla denizione e tracciare i
diagrammi
A
L/2 L/2
p
0
y
z
s
B
C
Fig.10.34
Figura 10.34: Trave con azioni esterne distribuite e concentrate
Suggerimenti.
`
E necessario valutare preliminarmente le reazioni vincolari (almeno la
reazione dellappoggio). In corrispondenza di B `e applicata una forza concentrata, quindi il
diagramma del taglio ha un salto, questo fatto non deve costituire una dicolt`a operativa
in quanto la divisione del dominio in intervalli permette di rappresentare anche funzioni
discontinue.
272
10.7. APPLICAZIONE DELLE EQUAZIONI INDEFINITE
Esercizio 10.8: Momento esterno uniforme
Vericare che la trave in gura 10.35 `e soggetta solo a taglio, che assume un valore costante
pari a T
y
(s) = m
0
. Risolvere lesercizio usando prima la denizione e poi vericare il
risultato con il metodo analitico.
Fig.10.35
B
A
L
0
m
Figura 10.35: Trave appoggiata agli estremi caricata con un momento
uniforme
Osservazione. Il fatto che in un tratto rettilineo di trave un taglio costante possa
manifestarsi senza che si abbia in alcun punto momento ettente `e conseguenza della
presenza del momento esterno uniformemente distribuito.
10.7.2 Determinazione delle caratteristiche di sollecitazione per via analitica
Il procedimento analitico per ottenere le caratteristiche di sollecitazione `e necessario quando
il carico applicato `e denito da funzioni pi` u complesse di un andamento lineare. In questi casi
anche la determinazione delle caratteristiche di sollecitazione sulla base della denizione impone
la soluzione di integrali. Come `e facile prevedere, tali integrali sono sostanzialmente gli stessi
che compaiono nella soluzione delle equazioni dierenziali (19.3), (10.4) e (10.5).
Consideriamo il seguente esempio in cui il carico `e una funzione trigonometrica della posi-
zione (carichi con andamenti di questo tipo sono tipici nellanalisi strutturale di travi sollecitate
a forze dinerzia dovute a vibrazioni).
Esempio 10.9: Carico trasversale sinusoidale
Determinare lespressione analitica delle caratteristiche per la trave rappresentata in gura
10.36 sottoposta a una distribuzione lineare di carico variabile con legge sinusoidale:
p (s) = p
0
sin
_

s
L
_
.
B
A
L
Fig.10.36
s
0
p
Figura 10.36: Trave rettilinea con carico variabile sinusoidalmente
273
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
Dalla prima integrazione si ottiene:
T
y
(s) = p
0
L

cos(
s
L
) +c
1
Si potrebbe gi`a determinare la costante di integrazione c
1
dalle reazioni vincolari, tuttavia
rimandiamo tale valutazione (si noti che nel caso specico c
1
,= T
y
(0)). Il momento ettente
`e dato da:
M
x
(s) = p
0
L
2

2
sin(
s
L
) +c
1
s +c
2
.
Nel caso in esame il momento ettente deve annullarsi in entrambi gli estremi della trave,
si possono pertanto imporre le seguenti condizioni al contorno (distinte):
M
x
(0) = M
x
(L) = 0
dalle quali si ricavano le due costanti c
1
= c
2
= 0 e quindi il risultato:
T
y
(s) = p
0
L

cos(
s
L
) e M
x
(s) = p
0
L
2

2
sin(
s
L
)
Esercizio 10.9: Mensola con carico sinusoidale
Risolvere un problema analogo al precedente esempio 10.9 (gura 10.36) nel caso in cui
trave sia incastrata in A e libera in B.
10.8 Diagrammi delle caratteristiche nello spazio
Per i problemi tridimensionali `e generalmente preferibile adottare il metodo basato sulla
denizione sia per tracciare i diagrammi delle caratteristiche sia per ottenerne le espressioni
analitiche. Nello spazio i diagrammi possono essere 6 e il loro tracciamento pu`o richiedere una
maggiore mole di lavoro rispetto ai problemi piani, ma non vi sono sostanziali dierenze di
metodo. Per i diagrammi qualitativi `e opportuno considerare che:
le caratteristiche di sollecitazione non risultano denite se gli assi x e y non sono indicati
per agevolare lindividuazione delle sezioni potenzialmente critiche, conviene riportare i
diagrammi su un disegno assonometrico della linea dasse della trave
per le caratteristiche di sollecitazione relative allasse z (forza normale e momento torcen-
te) lasse di rappresentazione `e arbitrario
anche i diagrammi del taglio potrebbero essere rappresentati su assi deniti arbitraria-
mente, tuttavia, come nel caso piano, conveniamo di riportarli sugli assi omonimi, ovvero
sullasse x landamento di T
x
e sullasse y landamento di T
y
per le caratteristiche essionali sono generalmente necessari due diagrammi. Le essioni
sono rappresentate su piani normali allasse del relativo momento: il diagramma di M
x
sul
piano y z e il diagramma di M
y
sul piano x z. Vale anche nello spazio e per entrambe
le componenti essionali la convenzione delle bre tese.
274
10.8. DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE NELLO SPAZIO
Esempio 10.10: Carico concentrato
Il braccio ABC di sezione rettangolare rappresentato in assonometria in gura 10.37(a)
`e vincolato in A con una cerniera completa (il cui asse `e tratteggiato) e in C con un
appoggio. Tracciare i diagrammi qualitativi quotati, fornire la rappresentazione analitica
delle caratteristiche e individuare le sezioni potenzialmente critiche.
B
A
C
P
L
2
L
1
y
z
x
y
x
z
s
B
A
C
Fig.10.37
(a) (b)
Figura 10.37: Trave nello spazio e relative indicazioni necessarie per
interpretare i diagrammi
`
E suciente determinare la reazione vincolare in C (una forza opposta al carico),
da ci`o `e possibile tracciare i diagrammi (gura 10.38) coerentemente con gli assi locali
deniti per le due parti in gura 10.37(b). La presenza del momento torcente dimostra la
tridimensionalit`a del problema.
T
y
M
x M
z
B
A
C
B
A
C
B
A
C
P
PL
2
PL
2
(a) (b) (c)
Fig.10.38
Figura 10.38: Diagrammi delle caratteristiche
Posto L = L
1
+L
2
le espressioni delle caratteristiche non nulle sono le seguenti:
T
y
(s) =
_
0 per 0 s < L
1
P per L
1
< s
1
L
M
x
(s) =
_
0 per 0 s < L
1
P (L s) per L
1
< s L
M
z
(s) =
_
PL
2
per 0 s < L
1
0 per L
1
< s L
Le sezioni potenzialmente critiche sono: B
+
e B

.
275
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
Quando una caratteristica `e identicamente nulla su ogni sezione, conveniamo di non tracciare
il relativo diagramma. Quando lasse della trave `e lineare a tratti (come AB e BC nellesempio),
per ogni tratto `e necessario evidenziare la terna di riferimento locale. Infatti gli assi potrebbero
avere direzioni diverse nei due tratti, pur nel rispetto delle direzioni principali dinerzia della
sezione. Per garantire semplicit`a e chiarezza nellinterpretazione dei diagrammi, `e opportuno
conservare, quando possibile, la direzione e il verso degli assi locali (come `e stato fatto con lasse
y nellesempio) anche in corrispondenza di punti angolosi dellasse.
Se un asse locale cambia bruscamente direzione `e prevedibile che le caratteristiche di solle-
citazione associate manifestino discontinuit`a. Questa situazione si verica nellultimo esempio
per i momenti: il tratto BC ha in B
+
un momento ettente che si annulla in B

dove invece
compare un momento torcente senza che sia applicato alcun momento esterno in B. Si osserva
in eetti che lasse x della sezione B
+
coincide con lasse z della sezione B

, pertanto la stessa
reazione interna di momento, il cui modulo vale PL
2
, risulta ettente per la sezione in B
+
e
torcente per la sezione in B

. Il salto del diagramma del taglio T


y
in B `e invece conseguenza
della forza trasversale applicata (in eetti lasse y non subisce modiche in corrispondenza del
gomito).
Esercizio 10.10: Carico distribuito nello spazio
Come nello schema di gura 10.37(a), una trave di acciaio avente sezione quadrata di lato
100 mm e asse orizzontale `e soggetta al solo peso proprio. Sapendo che L
1
= 2000 mm,
L
2
= 1000 mm, vericare i diagrammi qualitativi quotati di gura 10.39, individuare le
sezioni potenzialmente critiche e fornire le espressioni analitiche delle caratteristiche di
sollecitazione usando come (unica) coordinata curvilinea s con origine in A.
T
y
M
x M
z
B
A
C
B
A
C
B
A
C
1570 N
785 N
785 N
0.392 kNm
1.177 kNm
1.177 kNm
(a) (b) (c)
Fig.10.39
Figura 10.39: Diagrammi qualitativi quotati delle caratteristiche
Esempio 10.11: Albero di trasmissione
In gura 10.40 `e riprodotta la trasmissione esaminata nel capitolo 6 e il relativo schema di
corpo libero denitivo (a = 30 mm). Tracciare i diagrammi qualitativi quotati per lalbero
ABCD, individuare le sezioni potenzialmente critiche e fornire le espressioni analitiche
delle caratteristiche essionali.
276
10.8. DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE NELLO SPAZIO
D
C
B
A
1273 N
1273 N
849 N
849 N
2546 N
1698 N
10a
15a
Fig.10.40
s
y
z
x
2
0

a
2a
2.6a
15a
10a
A
C
B
D
y
z
x
2
0

a
2
0

a
(a)
(b)
20a
20a
20a
Figura 10.40: Albero di trasmissione (a) e schema di corpo libero denitivo
(b)
In gura 10.40(b) `e denito il sistema di riferimento locale che risulta diverso dal sistema
adottato per la soluzione statica del problema. In questo caso, la trave ha ellisse dinerzia
circolare e quindi la scelta dellorientamento della coppia di assi perpendicolari di sezione
x e y `e libera. Il sistema locale `e stato quindi scelto in modo da semplicare il calcolo
delle caratteristiche in relazione alle componenti delle reazioni vincolari precedentemente
calcolate. Le caratteristiche di sollecitazione sono rappresentate nella gura 10.41. La
sezione critica `e B
+
. Si osservi che il centro del cuscinetto B (punto in cui nello schema
monodimensionale si assume applicata la reazione vincolare) `e posto nella parte a diametro
minore dellalbero per cui `e corretto considerare per B
+
le propriet`a geometriche della
sezione minima. Le espressioni analitiche delle caratteristiche essionali sono le seguenti:
M
x
(s) =
_
_
_
0 per 0 s < 20a
849 (20a s) per 20a s < 40a
849 (60a s) per 40a < s 60a
M
y
(s) =
_
_
_
1273 (20a s) per 0 s < 20a
1273 (40a s) per 20a s < 40a
0 per 40a < s 60a
277
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
D
C
B
A
1273 N
1273 N
T
x
D
C
B
A
849 N
849 N
T
y
D
C
B
A
764 Nm
M
y
D
C
B
A
509 Nm
M
x
D
C
B
A
382 Nm
M
z
Fig. 10.41
y
z
x
Figura 10.41: Diagrammi qualitativi quotati
Esempio 10.12: Chiave ssa
La gura 10.42 mostra lo schema della chiave ssa esaminata nel capitolo 6 e il relativo
schema di corpo libero denitivo. La trave ha sezione circolare uniforme. Tracciare i
diagrammi qualitativi quotati per la chiave e individuare le sezioni potenzialmente critiche.
B
A
C
300 N
120 N
60 Nm
200
180 N
200
100
100
100
D
E
F
G
y
z
x
y
z
x
y
z
x
y
z
x
y
z
x
s
Fig. 10.42
Figura 10.42: Chiave ssa: schema di corpo libero denitivo con le
indicazioni necessarie per la denizione delle caratteristiche
Lasse z locale `e denito nei vari tratti in modo da risultare equiverso al senso crescente
dellascissa curvilinea. La sezione della trave consente libert`a di scelta per la direzione degli
278
10.8. DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE NELLO SPAZIO
assi x e y, pertanto `e stato possibile orientarli in modo che lasse y conservi direzione e
verso su tutto il dominio.
M
x
B
A
C
D
E F
G
-60 Nm
-36 Nm
24 Nm
36 Nm
36 Nm 18 Nm
24 Nm
18 Nm
B
A
C
D
E F
G
120 N
-180 N
T
y
B
A
C
D
E F
G
-24 Nm
-60 Nm
M
z
-36 Nm
18 Nm
Fig. 10.43
Figura 10.43: Diagrammi quotati
I diagrammi delle caratteristiche (non identicamente nulle) sono rappresentati in gura
10.43. In corrispondenza delle variazioni brusche di direzione dellasse della trave si notano
le discontinuit`a nelle caratteristiche di momento. Le sezioni potenzialmente critiche sono
la D
+
e la B
+
.
279
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
Esempio 10.13: Mensola con carico distribuito
Considerando la trave a mensola analizzata nel capitolo 9 e riprodotta in gura 10.44, trac-
ciare i diagrammi qualitativi quotati, fornire le espressioni analitiche delle caratteristiche e
individuale le sezioni potenzialmente critiche.
y
z
x
y
z
x
A
B
C
L=700 B=60
s
p
Fig. 10.44
Figura 10.44: Mensola con carico distribuito
I diagrammi qualitativi quotati sono rappresentati in gura 10.45
B
A
y
z
x
B
A
B
A
M
x
T
y
M
z
10.5 kN
-3.675 kNm
0.105 kNm
Fig. 10.45
Figura 10.45: Diagrammi qualitativi quotati
Le espressioni analitiche delle caratteristiche non nulle sono le seguenti:
T
y
(s) =
pB
2
(L s)
M
x
(s) =
pB
4
(L s)
2
M
z
(s) =
pB
2
12
(L s)
La A `e sezione critica.
280
10.9. TRAVI PIANE CON ASSE CURVO (*)
10.9 Travi piane con asse curvo (*)
In questo paragrafo `e esaminato leetto prodotto dalla locale curvatura della linea dasse
sulle equazioni indenite di equilibrio del concio. Per semplicit`a, `e considerato il caso piano
e sono trascurati i carichi di momento distribuito, lasse delle trave `e assunto localmente non
rettilineo e con curvatura nota.
10.9.1 Equazioni di equilibrio per lasse curvo
La gura 10.46 mostra il concio elementare con asse curvo sul quale agisce un sistema gene-
rale di carichi distribuiti di forza. Con riferimento al concio avente asse localmente rettilineo, `e
utile porre lattenzione sulle seguenti dierenze:
lasse della trave pu`o essere localmente approssimato con un arco di circonferenza (cir-
conferenza osculatrice) avente centro C e raggio R (la denizione e i metodi di calcolo di
queste grandezze geometriche per una generica linea curva sono riportati nella appendice
E)
come nel caso di asse rettilineo, i carichi distribuiti sono applicati ai punti della linea dasse
in direzione rispettivamente parallela q e perpendicolare p alla tangente locale dellasse
la curvatura produce un disallineamento delle normali alle sezioni del concio (s) e
(s +ds), i due piani di sezione contengono il centro C di curvatura locale dellasse
la variazione angolare tra le normali ai piani delle due sezioni estreme `e d =
ds
R
, si tratta
quindi di una quantit`a innitesima dello stesso ordine di ds che pertanto non pu`o essere
trascurata a priori.
Fig. 10.46
z
y
R
(s)
(s+ds)
(s)
C
d
( )
p s
( ) q s
(s+ds)
Figura 10.46: Concio di trave piana con asse curvo
Lo schema del concio su cui agiscono le caratteristiche di sollecitazione `e mostrato in gura
10.47, per motivi di chiarezza graca, i carichi esterni sono stati omessi.
Imponendo le cardinali in modo analogo a quanto fatto nel paragrafo 10.5, si ottengono le
relazioni:
_
_
_
N + (N +dN) +q (s) ds + (T
y
+dT
y
) d = 0
T
y
+ (T
y
+dT
y
) +p (s) ds (N +dN) d = 0
M
x
p (s) ds
ds
2
+ (M
x
+dM
x
) + (N +dN) dds + (T
y
+dT
y
) ds = 0
(10.13)
281
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
z
y
N
N+dN
T
y
+dT
y
T
y
M
x
+dM
x
M
x
s
ds
d
Fig. 10.47
(s)
(s+ds)
Figura 10.47: Concio di trave piana con asse curvo: caratteristiche di
sollecitazione
nelle quali, essendo langolo d innitesimo, `e stato posto sin (d) = d e cos (d) = 1. Eli-
minando gli innitesimi di ordine superiore al primo e considerando la relazione d =
ds
R
, si
ottengono le seguenti equazioni di equilibrio del concio con asse curvo:
dN
ds
+q(s) +
T
y
R
= 0 (10.14)
dT
y
ds
+p(s)
N
R
= 0 (10.15)
dM
x
ds
= T
y
(10.16)
La relazione (10.16) dimostra che il legame tra taglio e momento ettente non `e inuenzato
dalla curvatura dellasse. Si nota invece che le caratteristiche N e T
y
sono presenti in entrambe
le equazioni di equilibrio alla traslazione (10.14) e (10.15). Questo comporta un accoppiamento
tra le equazioni e quindi tra le caratteristiche N e T
y
che ha importanti conseguenze pratiche:
la forza normale non dipende solo dai carichi assiali e la forza di taglio non dipende solo
dai carichi trasversali
`e possibile che un carico assiale produca (anche) caratteristica di taglio e un carico
trasversale (anche) caratteristica normale
la variazione lungo lasse di N pu`o manifestarsi anche in assenza di carichi per la sola
variazione di T
y
(e ovviamente viceversa).
Dal punto di vista analitico le equazioni indenite (10.14), (10.15) e (10.16) risultano pi` u
dicili da risolvere delle equivalenti equazioni del concio rettilineo. Allo scopo di ottenere
soluzioni analitiche semplici con cui mostrare leetto della curvatura `e utile considerare il caso
di una trave che ha curvatura costante con s (trave con asse circolare). Infatti, essendo in tal
caso
dR
ds
= 0, le derivate rispetto a s delle equazioni (10.14) e (10.15) forniscono le seguenti:
d
2
N
ds
2
+
dq(s)
ds
+
1
R
dT
y
ds
= 0 (10.17)
d
2
T
y
ds
2
+
dp(s)
ds

1
R
dN
ds
= 0 (10.18)
282
10.9. TRAVI PIANE CON ASSE CURVO (*)
dalle quali, sostituendo le espressioni delle derivate prime delle caratteristiche ottenibili dalle
(10.14) e (10.15), si ottengono le relazioni:
d
2
N
ds
2
+
N
R
2
=
p(s)
R
+
dq
ds
(10.19)
d
2
T
y
ds
2
+
T
y
R
2
=
q(s)
R

dp (s)
ds
(10.20)
che sono equazioni dierenziali ordinarie del secondo ordine a coecienti costanti (hanno la
forma delle equazioni di moto del sistema massa-molla). Risolta lequazione (10.20), la (10.16)
fornisce lespressione analitica anche del momento ettente.
`
E opportuno ricordare che le relazioni (10.14) e (10.15) sono generali per qualunque asse
curvo, mentre le (10.19) e (10.20) sono valide solo per lasse circolare, tuttavia queste ultime
possono essere applicate anche a casi in cui la curvatura varia poco con s (travi con asse
approssimativamente circolare).
10.9.2 Esempi di travi con asse curvo
Nel paragrafo 9.8 `e stato analizzato un arco sollecitato da un carico radiale uniforme e sono
state ottenute le caratteristiche di sollecitazione sulla base della denizione. La gura 10.48
rappresenta lo schema della trave nella quale lunica caratteristica non nulla `e la forza normale
con intensit`a N = p
0
R (uniforme con s). In questo esempio, il carico trasversale produce
solo forza normale mentre il taglio e, di conseguenza, il momento ettente sono nulli. Le
reazioni interne della trave sono quindi molto diverse da quelle di una trave rettilinea sollecitata
similmente con un carico uniforme p trasversale allasse. In una trave rettilinea la forza normale
non sarebbe inuenzata dal carico distribuito trasversale che invece produrrebbe taglio T
y
e
essione M
x
variabili lungo lasse. Tale dierenza `e conseguenza della curvatura della linea
dasse.
R
s
B
A
p
0
C
z
y
Fig. 10.48
Figura 10.48: Anello con carico radiale uniforme
Esempio 10.14: Arco con peso proprio
Dato lanello di gura 10.49 avente sezione uniforme disposto su un piano verticale e
soggetto al peso proprio di valore complessivo P, determinare le caratteristiche di
sollecitazione e vericare le equazioni (10.14), (10.15) e (10.16).
283
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
R
B A
0
P
p
R
=
Fig. 10.49
R
s
B
A
C
y
z
0
p
2
P
2
P
(a) (b)
Figura 10.49: Anello soggetto al peso proprio (a) e schema di corpo libero
denitivo (b)
Le caratteristiche di sollecitazione possono essere ottenute sulla base della denizione,
considerando il sistema di riferimento indicato nella gura 10.49:
N (s) = p
0
_
R
2
s
_
cos
_
s
R
_
T
y
(s) = p
0
_
R
2
s
_
sin
_
s
R
_
M
x
(s) =
Rp
0
2
_
R
_
1 cos
_
s
R
__
2Rsin
_
s
R
_
+ 2s cos
_
s
R
__
I diagrammi qualitativi quotati sono riportanti nella gura 10.50.
B
A
B
A
T
y
N
B
A
M
x
2
P
2
P
0.177P
0.177P
0.182PR
Fig. 10.50
Figura 10.50: Diagrammi qualitativi quotati
Per vericare la soluzione `e suciente sostituire le espressioni nelle equazioni (10.14),
(10.15) e (10.16) con i carichi distribuiti:
q (s) = p
0
cos
_
s
R
_
e p (s) = p
0
sin
_
s
R
_
284
10.9. TRAVI PIANE CON ASSE CURVO (*)
Esercizio 10.11: Trave circolare con carico radiale uniforme
Usando le formule del paragrafo precedente, vericare che le caratteristiche di sollecitazione
dellanello di gura 10.48 sono le seguenti: N (s) = p
0
R e T
y
= M
x
= 0.
Esercizio 10.12: Anelli variamente sollecitati
I problemi proposti per gli anelli aventi asse circolare nel paragrafo 10.3 sono esempi in
cui taglio e forza normale variano con lascissa curvilinea in assenza di carichi distribuiti.
Vericare la validit`a delle equazioni (10.14), (10.15) e (10.16) in tali casi.
Esercizio 10.13: Anello verticale
Vericare che i risultati ottenuti per lanello verticale dellesempio 10.14 sono coerenti con
le equazioni indenite di equilibrio (10.14), (10.15) e (10.16).
10.9.3 Travi curve nelle applicazioni
Gli accoppiamenti tra N e T
y
rivestono interesse applicativo e lanalisi delle travi curve
`e utile anche per comprendere il comportamento di certi solidi bidimensionali. La possibilit`a
oerta dagli elementi curvi di trasferire al telaio carichi trasversali attraverso sollecitazioni
normali `e noto in forma intuitiva ed empirica dallantichit`a. Gli architetti dellantica Roma (ma
prima di loro lo stesso facevano i popoli della mesopotamia) sfruttavano tale accoppiamento
quando applicavano larco nelle costruzioni (acquedotti, ponti, edici multipiano e anteatri).
Per quanto visto nel sottoparagrafo precedente, un arco circolare su cui agisce un carico radiale
uniforme `e soggetto a una forza normale costante e inoltre, se il carico `e diretto verso il centro
dellarco, la forza normale risulta di compressione (negativa). Una sollecitazione di compressione
pu`o essere trasmessa per semplice contatto anche da elementi che sono solo appoggiati tra
loro unilateralmente come le pietre che formano larco. La funzione strutturale pu`o essere
inoltre svolta adeguatamente anche da materiali come pietre, laterizi o cementi che hanno
una resistenza a trazione molto modesta rispetto alla resistenza a compressione. Esempi di
applicazioni di questo tipo si trovano anche nellarchitettura delle epoche successive no ai
giorni nostri.
Se al posto di un arco si impiega una trave rettilinea (architrave) il carico trasversale
produce taglio e, conseguentemente, momento ettente il quale induce nella trave zone tese
e zone compresse. Se il materiale impiegato ha una modesta resistenza a trazione, la presenza
delle zone tese diminuisce notevolmente le capacit`a portanti della struttura. Nelle moderne
costruzioni civili questo problema `e superato con limpiego di materiali resistenti a trazione
(travi di metallo, legno o polimeri) oppure con lintroduzione delle armature di acciaio (cemento
armato). Si potrebbe obiettare che, in una costruzione civile, larco non `e caricato in modo
puramente radiale avendo peso proprio direzione verticale. Per`o, come mostra lanello di gura
10.49, anche un carico distribuito avente direzione verticale viene trasmesso dallarco con un
eetto essionale modesto, soprattutto se confrontato con il momento che si manifesterebbe se
lo stesso carico fosse trasmesso da una trave orizzontale rettilinea.
Un altro interessante fenomeno spiegabile con leetto della curvatura `e lequilibrio dei cavi
pesanti. Finora sono stati considerati solo cavi ideali, ovvero privi di massa, inestensibili e
285
10. I DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE
perfettamente essibili. Questultima propriet`a pu`o essere ora rigorosamente precisata: un
cavo (o una catena) ideale `e un solido monodimensionale che non `e in grado di trasferire
caratteristiche di taglio e di essione. Come pu`o essere ottenuto quindi lequilibrio per un cavo
perfettamente essibile sul quale agisce un carico trasversale, come pu`o essere, per esempio,
il peso proprio se il cavo `e orizzontale? Consideriamo, come mostrato in gura 10.51, una
catena composta da una sequenza di (molti) elementi rigidi incernierati tra loro, lestremo A
`e incernierato al telaio e laltro C `e caricato con un peso P. Analizziamo in particolare il
tatto AB e, in un primo tempo, consideriamo il peso della catena trascurabile rispetto a P.
Schematizzando la catena come un unico corpo esteso non rigido formato da una sequenza di
corpi rigidi mutuamente vincolati, lanalisi mostra che si tratta di un problema isostatico non
intrinsecamente. In eetti, il corpo esteso catena ha un elevato numero di gradi di libert`a che
per`o non sono attivati dal carico. Sul tratto di interesse AB `e attiva pertanto solo la forza
normale che ha valore uniforme pari a P. La forza normale `e quindi la grandezza che nora `e
stata chiamata tiro.
P
Fig. 10.51
B
A
C
L
Figura 10.51: Catena di peso trascurabile
Consideriamo il caso in cui la catena `e lunga per cui il suo peso non pu`o essere trascu-
rato rispetto a P. Per il tratto AB il peso proprio dovrebbe quindi essere considerato come
un carico di linea avente direzione verticale uniformemente distribuito lungo lasse del solido
monodimensionale, il cui valore indichiamo con p
0
. Con laggiunta di questo carico il problema
diventa labile e, tra laltro, presenta un elevato grado di labilit`a.
`
E noto che ci`o non implica
che la catena non raggiunga lequilibrio statico ma che il problema diventa del secondo tipo e
quindi la congurazione di equilibrio `e diversa da quella rettilinea. Sperimentalmente, si osserva
in eetti che allequilibrio la catena assume una forma poligonale tale per cui langolo formato
da due elementi adiacenti consente alla forza normale (che rimane lunica caratteristica che la
catena pu`o trasmettere) di equilibrare la componente trasversale del carico dovuta al peso.
Un cavo perfettamente essibile pu`o essere considerato come il limite di una catena nella
quale i singoli elementi hanno estensione assiale innitesima. Nel cavo la rotazione continua di
un elemento rispetto a quelli contigui implica (vedi appendice E) una forma curva dellasse.
Nel caso in cui il peso della catena, o del cavo, sia signicativo ma ancora piccolo rispetto
al peso P, c`e da attendersi una modesta curvatura dellasse allequilibrio. Tale ipotesi consente
di stimare la forma del cavo allequilibrio in modo semplice. Infatti, se il cavo si incurva
poco, linclinazione della linea dasse `e modesta e, anche allequilibrio, pu`o essere trascurata la
componente assiale del peso proprio per cui si pu`o assumere p = p
0
e q = 0. Inoltre la forza
normale nel cavo pu`o essere considerata uniforme e quindi nota N = P. In base allequazione
286
10.9. TRAVI PIANE CON ASSE CURVO (*)
(10.15), tenendo conto che deve essere in ogni punto T
y
= 0 si ottiene il raggio di curvatura:
R =
P
p
0
dal quale si pu`o stimare labbassamento del punto centrale del tratto AB:


= R
_
1 cos
_
L
2R
__

=
L
2
8R
=
L
2
p
0
8P
in cui `e stata ulteriormente sfruttata lipotesi che la variazione di congurazione sia piccola per
cui arco e corda possono essere scambiati e il coseno dellangolo di inclinazione della sezione
estrema pu`o essere sviluppato al secondo ordine.
B A
C
R

Fig. 10.52
2
L
R

P
L
Figura 10.52: Congurazione approssimata di equilibrio di un cavo pesante
Il risultato prevede che lasse del cavo pesante assuma la forma di un arco di circonferenza.
Tuttavia `e opportuno ricordare che la soluzione `e stata ottenuta con varie ipotesi e pu`o conside-
rasi soddisfacente solo se L R e quindi L. Per ottenere una stima pi` u precisa della forma
del cavo sotto carico `e infatti necessario imporre lequilibrio nella congurazione nale (che `e
incognita), attribuire al peso proprio le due componenti (assiale e trasversale) nel sistema locale
e ammettere che la forza normale possa variare lungo il cavo. La conseguenza di tali modiche `e
una congurazione di equilibrio descritta da una linea con curvatura non costante. Nellipotesi
che il cavo sia perfettamente inestensibile, questo `e un problema classico la cui soluzione `e nota
in forma chiusa. La linea dasse `e infatti una catenaria, curva analiticamente esprimibile con
parametrizzazione cartesiana tramite un coseno iperbolico. La soluzione a catenaria `e in eetti
usata nello studio di catene pesanti in cui il peso proprio `e il carico prevalente. Nel caso, tec-
nicamente pi` u interessante, di cavi tesi su lunghe campate (come quelli usati nella trasmissione
dellenergia elettrica ad alta o altissima tensione) sia il peso proprio sia la forza normale sono
signicativi. Per risolvere accuratamente questo importante problema pratico non si pu`o quindi
prescindere anche dalla deformabilit`a assiale del cavo e non `e disponibile una forma analitica
completa del risultato che viene quindi ottenuto con metodi numerici.
287
Capitolo 11
Statica dei corpi deformabili
Nel presente capitolo sono discussi alcuni fenomeni che `e necessario considerare quando si
introduce la deformabilit`a dei corpi nellanalisi strutturale. Infatti, se la forma degli elementi di
una struttura varia sotto carico, alcuni metodi di analisi che sono stati sviluppati nellipotesi di
comportamento innitamente rigido possono diventare inaccurati e, in certi casi, non accettabili.
Ci`o `e dovuto al fatto che la congurazione di equilibrio di una struttura deformabile soggetta
a carichi `e diversa da quella di struttura scarica e, se il carico `e variabile, pu`o modicarsi nel
tempo. Di conseguenza, a rigore, qualsiasi struttura composta di corpi deformabili dovrebbe
essere trattata in regime dinamico come un problema non lineare del secondo tipo.
Fortunatamente, per una vasta classe di problemi strutturali di notevole interesse applica-
tivo, anche considerando la deformabilit`a, levoluzione temporale degli eetti del carico non `e
rilevante e una soluzione strutturale accettabile pu`o essere ottenuta con schemi di calcolo basati
su problemi del primo tipo. Le condizioni per validit`a di queste forti ipotesi semplicative e le
condizioni che ne assicurano limpiego senza che sia compromessa la qualit`a dei risultati sono
gli argomenti di questo capitolo. In assenza di conoscenze sul comportamento dei corpi continui
deformabili, gli esempi proposti fanno riferimento a strutture deformabili semplici nelle quali le
congurazioni dipendono da un numero nito di quantit`a geometriche. Le conclusioni hanno
tuttavia validit`a generale e possono essere estese a situazioni pi` u complesse in cui sono presenti
corpi estesi continui che hanno deformabilit`a distribuita.
La prima parte del capitolo `e relativa allesame dei principali eetti dinamici dei carichi.
Quando levoluzione temporale dei carichi non `e inuente sul comportamento strutturale ma
conta solo il valore istantaneo, si dice che la struttura `e sottoposta a carichi quasi statici.
Nella seconda parte del capitolo `e esaminato leetto prodotto dalla variazione geometrica
della congurazione sotto carico. In particolare `e vericato che se la struttura ha una deforma-
bilit`a contenuta, i procedimenti di soluzione basati sulla statica dei corpi rigidi possono essere
applicati con risultati sucientemente accurati. Una struttura per la quale lanalisi statica pu`o
essere eettuata usando le ipotesi di corpo rigido si dice struttura poco deformabile. Il
presente capitolo chiarisce pertanto le ipotesi che verranno assunte valide nel seguito del corso
che riguarder`a appunto la meccanica delle strutture poco deformabili in condizioni di carico
quasi statico.
11.1 La deformabilit`a delle strutture
I metodi di analisi nora sviluppati permettono di ottenere molte informazioni sul compor-
tamento strutturale. In particolare, per le travature `e possibile valutare le sollecitazioni che
le singole sezioni trasmettono e individuare le sezioni potenzialmente critiche per la resisten-
289
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
za.
`
E opportuno per`o ricordare che questi risultati sono basati sullipotesi di comportamento
innitamente rigido degli elementi strutturali, ipotesi che ha le seguenti importanti conseguenze:
la soluzione pu`o essere ottenuta solo per problemi isostatici, o per problemi a questi
riconducibili, solo per i problemi isostatici infatti lipotesi di corpo rigido, e quindi le
equazioni cardinali, sono sucienti per ottenere le reazioni vincolari esterne e interne
non `e evidentemente valutabile leetto deformativo prodotto dai carichi, si tratta di una
immediata conseguenza dellipotesi di innita rigidezza
le modalit`a con cui il carico `e applicato, ovvero la sua evoluzione nel tempo, non ha eetto
sulla soluzione perche si assume che lequilibrio statico sia raggiunto immediatamente; in
altri termini, se il carico `e variabile nel tempo, le reazioni vincolari, interne ed esterne, si
adeguano istantaneamente in modo che la struttura e ogni sua parte sia sempre, istante
per istante, in equilibrio statico.
In molte situazioni, anche di notevole interesse pratico, tali ipotesi risultano inadeguate in
quanto non permettono di ottenere la soluzione oppure producono risultati non soddisfacenti.
In eetti, come gi`a evidenziato, talvolta sorge la necessit`a di realizzare strutture iperstatiche
che non sono analizzabili in ipotesi di innita rigidezza. Anche per le strutture isostatiche, oltre
alle veriche di resistenza, `e spesso necessario eettuare veriche di rigidezza. Inne, per ogni
tipo di problema, isostatico o iperstatico, rapide variazioni dei carichi, come si manifestano in
caso di urti o di forze con andamento ciclico, possono indurre sollecitazioni molto pi` u intense
di quelle calcolate con i modelli statici a causa dei moti relativi degli elementi della struttura
(vibrazioni). Queste considerazioni impongono di introdurre nellanalisi strutturale anche le
propriet`a di deformabilit`a degli elementi componenti.
Gi`a dallinizio del corso in eetti abbiamo evidenziato che ogni corpo esteso `e, in misura pi` u
o meno elevata, deformabile, ovvero le distanze tra i suoi punti sono alterate dallapplicazione
dei carichi. A tale proposito, vale la pena ricordare che su tale evidenza `e basata la stessa
denizione statica di forza (capitolo 1), grandezza che costituisce la base di tutti i modelli
successivamente sviluppati. Nella progettazione meccanica, inoltre, il progettista `e condizionato
talvolta pi` u dal contenimento delle distorsioni della struttura sotto carico che dalla necessit`a
di evitare che il materiale si danneggi. Queste problematiche sono illustrate negli esempi che
seguono.
Consideriamo la trasmissione del moto tra due alberi coassiali realizzata tramite una cop-
pia di ruote dentate. Se la forza mutua tra gli ingranaggi in presa producesse una distorsione
eccessiva degli assi degli alberi, la posizione relativa delle coppie di denti in presa ne risulte-
rebbe signicativamente modicata (rispetto a quanto previsto in fase di disegno) e il corretto
ingranamento potrebbe essere compromesso. Anche prima di arrivare alla condizione estrema
in cui i denti perdono il contatto, il loro allontanamento sotto carico potrebbe produrre infatti
un funzionamento anomalo della trasmissione caratterizzato da aumento della rumorosit`a e da
riduzione di rendimento e di durata. Il dimensionamento degli alberi e dei cuscinetti di sup-
porto `e quindi notevolmente inuenzato dalla necessit`a di limitare lallontanamento degli assi
degli alberi in corrispondenza degli ingranaggi in presa (entro valori che possono essere dellor-
dine dei decimi di mm o anche meno) soprattutto quando sono impiegati materiali con elevata
resistenza.
Nella progettazione di un braccio robotico o di una macchina utensile, le scelte progettuali
dipendono molto pi` u dalle prestazioni cinematiche e geometriche che quelle connesse con il
rispetto della resistenza. Infatti, nel normale funzionamento, gli elementi strutturali per esempio
di un tornio sono sottoposti a carichi trascurabili rispetto a quelli per cui il materiale subisce
un danno riscontrabile, mentre `e sempre necessario che la punta dellutensile descriva una
290
11.1. LA DEFORMABILIT
`
A DELLE STRUTTURE
traiettoria prestabilita, entro strettissime tolleranze, indipendentemente dallintensit`a delle forze
che si manifestano sullutensile nel normale esercizio.
Alcuni episodi famosi testimoniano limportanza delle propriet`a di rigidezza delle strutture
anche in ambito civile. Il Millenium Bridge, ponte pedonale completato a Londra nel giugno
2000, `e stato chiuso al pubblico due giorni dopo linaugurazione, non perche fosse pericoloso,
ovvero rischiasse di crollare, ma perche eccessivamente deformabile. Durante lattraversamento
i pedoni avevano la sensazione, non molto piacevole e ancor meno rassicurante, di trovarsi su
un ponte tibetano, in quanto il pavimento si muoveva in modo eccessivo in direzione orizzontale
trasversale. Gli stessi architetti che lo avevano disegnato hanno riconosciuto, a posteriori, di
aver completamente trascurato la rigidezza orizzontale della struttura, forse perche intenti a
perseguire il loro principale obiettivo che consisteva nel massimizzare leetto estetico di lama
di luce che il ponte doveva produrre nel cuore della citt`a (sic!). Il fallimento del Millenium
Bridge (costo: 18 milioni di sterline) `e una recente dimostrazione di quanto sia importante
lanalisi di rigidezza delle strutture, ma anche della loro modellazione tridimensionale.
Nel 1940, pochi mesi dopo linaugurazione, il famoso ponte sospeso Takoma Narrows, vicino
a Seattle nello Stato di Washington nellestremo ovest degli USA, croll`o in modo spettacolare
dopo aver oscillato violentemente sotto leetto di un vento laterale che soava a velocit`a
costante di 65 km/h. Le condizioni di carico, peso proprio e spinta del vento, erano ampiamente
entro i limiti di ammissibilit`a considerati in fase di progetto. Dato che n dalla messa in opera
si erano manifestati comportamenti anomali, il ponte era stato chiuso al traco e posto sotto
monitoraggio. Pertanto, il cedimento non ha causato vittime ed `e stato lmato. Lanalisi della
dinamica che ha determinato il crollo ha permesso di evidenziare, tra le concause del cedimento,
leccessiva deformabilit`a torsionale della struttura del ponte. Il valore relativamente modesto del
momento richiesto per inclinare trasversalmente il piano stradale (attorno allasse del ponte),
ha favorito linstaurarsi di un fenomeno di interazione, ora ben noto e denominato divergenza
torsionale, tra il carico aerodinamico di spinta del vento e il moto oscillatorio torsionale della
struttura. Anche sotto lazione di un vento costante, la forma del ponte e la sua eccessiva
deformabilit`a hanno quindi innescato una oscillazione di ampiezza crescente e quindi gli eetti
dinamici del carico sono diventati prevalenti su quelli statici previsti. Da questa esperienza sono
state sviluppate metodiche di progetto con cui, agendo sulla forma e sulla rigidezza torsionale
della struttura, `e stato successivamente possibile realizzare ponti sospesi anche molto pi` u lunghi
di quello di Takoma Narrows immuni da fenomeni di divergenza torsionale.
Un modo spesso ecace, quando attuabile, per accrescere la rigidezza di una struttura
consiste nellaumentare il grado di vincolo. Come sar`a dimostrato nella terza parte del corso,
nelle strutture di travi gli spostamenti sotto carico dipendono in misura pi` u che proporzionale
dalla distanza tra le sezioni dove sono applicati i carichi e quelle dove sono presenti i vincoli.
Aumentando i vincoli, i carichi si trasmettono quindi in modo pi` u diretto al telaio e sollecitano
un volume di materiale inferiore. Lintroduzione di ulteriori vincoli tende peraltro a produrre nel
problema un elevato grado di iperstaticit`a e quindi impone analisi che prevedono la modellazione
della deformabilit`a.
Lintroduzione della deformabilit`a degli elementi complica signicativamente lanalisi strut-
turale per gli eetti che produce:
sulle variazioni temporali dei carichi
sulla congurazione di equilibrio, non nota a priori.
Nei prossimi paragra sono discusse le assunzioni che si rendono necessarie per poter trascurare
senza errori signicativi questi eetti prodotti dalla deformabilit`a nellanalisi strutturale.
291
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
11.2 Eetti prodotti dalla variabilit`a temporale dei carichi
La soluzione statica di un problema strutturale prevede che i carichi siano costanti nel tempo,
ovvero che assumano un valore sso. In queste condizioni si dice che la struttura `e soggetta a
un carico statico. In realt`a, soprattutto in Meccanica, strutture sottoposte esclusivamente a
carichi statici (tipicamente il peso proprio) sono leccezione, in genere i carichi signicativi sono
variabili nel tempo e, anche nei casi in cui i carichi raggiungono una condizione stazionaria di
regime, sono generalmente applicati a una struttura precedentemente scarica. Si verica quindi
inevitabilmente una fase iniziale, generalmente chiamata transitorio di carico, in cui i valori dei
carichi passano da zero ai livelli di regime. Se la struttura `e innitamente rigida, le modalit`a
con cui i carichi evolvono nel corso del transitorio non `e rilevante mentre, se la struttura `e
deformabile, levoluzione temporale dei carichi pu`o essere fondamentale. La dierenza consiste
nel fatto che, anche in presenza di vincoli che rendono il problema iso o iperstatico, le varie
parti della struttura possono avere dei movimenti proprio a causa della deformabilit`a. Pertanto,
sotto leetto di forze elastiche e inerziali, si manifestano oscillazioni. In certi casi tali moti
oscillatori e le associate forze dinerzia divengono quantitativamente rilevanti e lanalisi statica
deve essere sostituita da quella dinamica. Come il crollo del ponte di Takoma Narrows ha
evidenziato, signicativi fenomeni dinamici possono vericarsi, oltre che nei transitori, anche
quando i carichi stessi variano nel tempo in modo periodico.
Nei prossimi paragra, prendendo a riferimento casi elementari, sono arontati i principali
fenomeni connessi con le variazioni temporali dei carichi per le strutture deformabili. Lo scopo
`e di mostrare in quali circostanze lanalisi vibratoria dinamica possa essere evitata perche la
pi` u semplice analisi statica fornisce risultati aetti da errori tollerabili.
`
E preso in esame
preliminarmente il caso di carichi che, dopo un transitorio iniziale, si stabilizzano e rimangono
costanti nel tempo. Successivamente `e discusso il caso di carichi continuamente variabili nel
tempo, in particolare periodici. Quando gli eetti indotti dai moti vibratori sono trascurabili,
diremo che i carichi sono quasi statici. Un carico quasi statico pertanto varia nel tempo ma
con leggi tali per cui i suoi eetti possono essere previsti come se fosse sso istante per istante.
11.3 Soluzione dinamica per carichi a regime costanti (*)
Consideriamo un problema semplice ma con le caratteristiche essenziali di una struttura in
grado di manifestare eetti vibratori indotti dalla applicazione di carichi: lestensione, la massa
e la deformabilit`a. Come mostrato in gura 11.1(a) consideriamo una molla ideale (ovvero di
massa trascurabile e con un comportamento lineare elastico denito dalla costante k) avente
lunghezza a riposo l
0
, con lestremo C ssato al telaio e lestremo B connesso a un punto
materiale di massa m (questa massa `e invece signicativa). Sul corpo in B, che pu`o muoversi
senza attrito su un piano orizzontale, `e applicata una forza coassiale con lasse della molla,
che costituisce il carico della struttura. Assumendo la molla pi` u la massa come una trave, lo
schema statico della struttura `e riportato nella gura 11.1(b). Il peso proprio del corpo in
B, non costituisce un carico rilevante per lanalisi strutturale dato che, in ogni istante, risulta
bilanciato dalla reazione vincolare dellappoggio e, pertanto, `e stato omesso per semplicit`a.
La forza applicata in B, con direzione e verso di z, esaurito il transitorio di carico rap-
presentato da un intervallo iniziale di estensione , assume il valore costante P
0
. Levoluzione
temporale della forza nel transitorio 0 < t < dipende dal sistema che la esercita. Per esem-
pio, se la forza `e prodotta da un pistone idraulico, la legge di crescita del carico dipende da
come varia la pressione del uido nella camera e quindi dalla legge di apertura della valvola di
alimentazione del uido. Senza perdere in generalit`a, supponiamo che nel transitorio la forza
esercitata dal pistone cresca monotonamente nel tempo con andamento regolare. In queste con-
292
11.3. SOLUZIONE DINAMICA PER CARICHI A REGIME COSTANTI (*)
C
B
a)
l
0
y
z s
Fig.11.1
C
B
b)
w
Figura 11.1: Elementare struttura deformabile: a) schema massa e molla e
b) schema strutturale equivalente con modello monodimensionale
dizioni ci proponiamo di prevedere la legge di moto di B denita dallascissa w che ha origine
nella posizione di molla a riposo come in gura 11.1(a), e le conseguenti reazioni vincolari e le
sollecitazioni degli elementi.
Questo problema pu`o essere risolto in forma completamente analitica con strumenti elemen-
tari di Analisi Matematica.
`
E quindi possibile vericare che il moto di B, anche superato il
transitorio con il carico che ha assunto il valore nale, dipende non solo dal valore corrente
della forza applicata ma anche dallevoluzione del carico nel transitorio. Consideriamo, come
primo caso, la situazione estrema con il transitorio pi` u brusco possibile. Assumeremo infatti che
il tempo sia trascurabile (stabiliremo successivamente rispetto a quale quantit`a deve essere
confrontato). Pertanto, per t = 0 il corpo B `e scarico e in ogni istante t > 0 esso risulta
soggetto alla forza costante P
0
, oltre che alla forza della molla kw. La legge di moto del corpo
nel sistema inerziale (F
z
= ma
z
) diventa quindi (per ogni t > 0):
m
d
2
w
dt
2
= kw +P
0
relazione che pu`o essere scritta come:
d
2
w
dt
2
+
k
m
w =
P
0
m
(11.1)
allo scopo di evidenziare che si tratta di una equazione dierenziale lineare del secondo ordine
non omogenea a coecienti costanti nella funzione incognita w(t). La soluzione completa
dellequazione (11.1) si ottiene sommando alla soluzione generale dellomogenea associata, in
cui si pone P
0
= 0, una soluzione particolare della non omogenea. Dai corsi di Fisica `e noto
che la soluzione generale dellomogenea associata `e una generale funzione armonica del tempo.
Nel caso specico, inoltre

essendo la forza esterna costante, una soluzione particolare si trova


facilmente:
w(t) = Acos (t +) +
P
0
k
(11.2)
Il moto della massa `e quindi dato da uno spostamento costante (P
0
/k) a cui `e sovrapposto un
moto oscillatorio di tipo armonico.
`
E interessante osservare che, in questo caso, lo spostamento
P
0
/k ottenuto dalla soluzione della non omogenea corrisponde allo spostamento che produrrebbe
sullestremo della molla un carico statico pari a P
0
. Le quantit`a A e , rispettivamente ampiezza
e fase del moto armonico, si determinano sulla base delle condizioni iniziali del moto e quindi
293
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
dipendono da posizione e velocit`a della massa al tempo t = 0. La quantit`a:
=
_
k
m
(11.3)
chiamata pulsazione propria o naturale, `e invece, come si vede anche dalla relazione (11.3),
una caratteristica intrinseca del sistema vibrante che non pu`o essere modicata intervenendo
sul carico o sulla condizione iniziale del moto. Lintervallo di tempo nel quale la massa compie
una oscillazione completa, che indichiamo con T ed `e chiamato periodo proprio del sistema
oscillante, si determina considerando che largomento della funzione armonica varia di un angolo
giro (2 radianti) in una oscillazione completa:
T =
2

= 2
_
m
k
(11.4)
La pulsazione propria del sistema pu`o essere modicata solo variando la massa del corpo
oscillante oppure la rigidezza della molla: se si accresce la rigidezza k la pulsazione propria
aumenta e quindi loscillazione generata `e pi` u frequente, lo stesso eetto si ottiene riducendo
linerzia m. Se il tempo di transitorio del carico `e molto inferiore al tempo necessario per
raggiungere il valore estremo delloscillazione, ovvero se << T/4, lo spazio percorso dal corpo
durante la fase di transitorio `e una piccola frazione della traiettoria e la soluzione ottenuta
espressa dalla relazione (11.2) trascurando `e accettabile.
Esempio 11.1: Sistema massa-molla con carico a gradino
Determinare la legge di moto del corpo in gura 11.1 con i seguenti dati: m = 1 kg,
k = 1000 N/m e P
0
= 10 N nel caso in cui il tempo di transitorio del carico sia molto
inferiore al periodo delloscillazione propria del sistema.
Dai dati ricaviamo le seguenti quantit`a caratteristiche del problema:
= 31.6 rad/s
T = 0.199 s
Chiamiamo w
0
= P
0
/k = 0.01 m lallungamento che la molla avrebbe se fosse sollecitata dal
carico applicato in assenza di eetti dinamici, ovvero lallungamento in condizioni di carico
statico. La soluzione si ottiene imponendo le condizioni iniziali: al tempo zero spostamento
e velocit`a di B sono nulli: w(0) = 0 e
dw
dt

t=0
= 0:
w(t) = w
0
(1 cos t)
La legge di moto `e rappresentata nella gura 11.2.
Fig.11.2
0
0.005
0.01
0.015
0.02
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6
t (s)
w

(
m
)
Figura 11.2: Andamento dello spostamento nel caso di tempo di transitorio
del carico trascurabile
294
11.3. SOLUZIONE DINAMICA PER CARICHI A REGIME COSTANTI (*)
Dallesempio precedente si osserva che:
il corpo oscilla indenitamente dopo che il carico si `e stabilizzato
il valore massimo dellallungamento della molla `e il doppio del valore che avrebbe in
condizioni di carico statico
la forza esercitata dalla molla (che istante per istante vale k w(t)) assume periodica-
mente il valore massimo pari al doppio del carico applicato.
Lesempio esaminato dimostra come la soluzione dinamica possa dierire signicativamente
da quella statica. Se infatti, come nello schema di gura 11.1(b), avessimo arontato il pro-
blema con un modello quasi statico, i moduli della reazione vincolare e della forza normale
nella struttura sarebbero stati met`a dei valori massimi prevedibili con la pi` u accurata analisi
dinamica.
Consideriamo ora una variazione graduale della forza esterna assumendo che questa raggiun-
ge il valore di regime in un transitorio di durata non trascurabile rispetto al periodo proprio
del sistema T. Il carico `e descritto da una funzione continua del tempo: P (t) e lequazione del
moto diventa:
m
d
2
w
dt
2
= kw +P (t) (11.5)
La possibilit`a di ottenere una soluzione analitica dellequazione dierenziale (11.5) `e condi-
0
2
4
6
8
10
12
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6
t (s)
P

(
N
)
Fig.11.3

3
Figura 11.3: Variazioni di carico lineari con diverse durate del transitorio
zionata dalla complessit`a della funzione P (t) tuttavia, anche nel caso generale, una soluzione
numerica sucientemente approssimata `e sempre determinabile. Per ssare le idee, assumiamo
che nel transitorio il carico cresca con legge lineare del tempo e prendiamo in esame tre durate
del transitorio:
1
= 0.5T = 0.099 s,
2
= 0.85T = 0.169 s e
3
= T = 0.199 s come illustrato
nella gura 11.3.
I graci delle soluzioni dellequazione dierenziale nei tre casi sono riportati nella gura 11.4
dalla quale si possono trarre le seguenti conclusioni di carattere generale:
landamento oscillatorio della soluzione (sempre con la frequenza propria della struttura)
si conserva indenitamente
loscillazione avviene sempre attorno al valore della soluzione statica w
0
= P
0
/k che
rappresenta il valor medio dellallungamento della molla dopo che la forza ha raggiunto il
valore di regime
295
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
lallungamento massimo della molla, e quindi la massima forza che questa esercita, risulta
sempre inferiore al caso di tempo di transitorio trascurabile
pi` u il caricamento `e lento (tanto maggiore `e ) pi` u landamento temporale della forza
esercitata dalla molla riproduce levoluzione del carico e, di conseguenza, pi` u contenuta
risulta la sovrasollecitazione della molla rispetto alla condizione di caricamento statico.
Fig.11.4
0
0.005
0.01
0.015
0.02
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6
t (s)
w

(
m
)

1
Figura 11.4: Allungamenti della molla per i tre valori esaminati delle durate
del transitorio del carico
11.3.1 Eetto delle forze dissipative
Negli esempi nora esaminati sono state trascurate le forze dissipative che, invece, sono
in pratica sempre attive. Laria, gli attriti (per esempio sui vincoli) e la natura stessa dei
materiali (dissipazione interna) realizzano condizioni per cui lenergia cinetica della struttura,
se non continuamente alimentata dal lavoro fatto dalle forze esterne, viene inevitabilmente
trasformata nel tempo in forme di energia pi` u degradate (energia termica), in accordo con il
secondo principio della Termodinamica. Molti eetti dissipativi, in particolare la resistenza
dovuta allinterazione con il mezzo entro cui i corpi si muovono, possono essere modellati in
modo sucientemente accurato con forze che dipendono dalla velocit`a dei corpi in movimento.
otto leetto delle azioni dissipative si manifesta una progressiva riduzione dellampiezza delle
oscillazioni (tale fenomeno `e chiamato smorzamento) per cui, con riferimento ai casi appena
esaminati, il moto della massa, dopo un tempo sucientemente lungo dalla stabilizzazione del
carico, pu`o ritenersi esaurito con il raggiungimento di una posizione vicina allequilibrio statico.
La riduzione dellampiezza di oscillazione `e illustrata nella gura 11.5 nella quale `e confron-
tato il comportamento del sistema di gura 11.1 con
2
= 0.85T in condizioni conservative e
in presenza di una forza viscosa (proporzionale alla prima potenza della velocit`a) applicata alla
massa oscillante.
Come mostrato in gura 11.5, le forze dissipative tendono anche a ridurre la sovraelongazione
dinamica ovvero la massima dierenza tra lo spostamento ottenuto in condizioni dinamiche e
quello di regime. Inoltre pi` u gli eetti dissipativi sono intensi, almeno entro certi limiti, minore
`e il tempo necessario perche la struttura raggiunga condizioni vicine a quelle previste dalla
soluzione statica.
11.3.2 Sistemi con pi` u gradi di libert`a
Negli esempi discussi nei precedenti sottoparagra `e stato considerato un sistema con un solo
grado di libert`a e, come conseguenza, il moto di oscillazione proprio non smorzato `e caratteriz-
296
11.3. SOLUZIONE DINAMICA PER CARICHI A REGIME COSTANTI (*)
0
0.005
0.01
0.015
0.02
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6
t (s)
w

(
m
)
Fig.11.5
Non smorzato
Smorzato
Figura 11.5: Eetto dello smorzamento per
2
= 0.85T
zato da ununica frequenza naturale. Un ulteriore aspetto, importante per la valutazione degli
eetti dinamici nei transitori di carico, `e per`o legato alla presenza di pi` u frequenze naturali del
sistema deformabile. Come analizzato nei corsi di Meccanica Applicata, un sistema composto di
pi` u masse e molle con n > 1 gradi di libert`a ha in genere altrettante frequenze proprie o naturali
(alcune di queste possono peraltro coincidere numericamente). Ci`o comporta che il moto libero
non smorzato del sistema, ovvero la soluzione del sistema omogeneo delle equazioni della dina-
mica, pu`o essere rappresentato dalla combinazione lineare a coecienti costanti di n oscillazioni
armoniche, chiamate oscillazioni proprie del sistema, ognuna con la relativa frequenza naturale.
Una struttura elastica continua che, come per esempio la corda di una chitarra, ha massa e
deformabilit`a distribuite, pu`o essere considerata come un sistema con inniti gradi di libert`a e
quindi presenta innite frequenze naturali. In pratica, di queste frequenze, sono generalmente
importanti solo le prime (le pi` u basse) proprio in conseguenza degli eetti dissipativi. Infatti,
a parit`a di ampiezza, pi` u alta `e la frequenza di oscillazione maggiore `e la relativa velocit`a del
moto proprio e quindi pi` u intense le forze dissipative che vengono prodotte. Le oscillazioni
con frequenze pi` u elevate si smorzano pertanto in tempi pi` u brevi. Una evidenza che dimostra
questo fenomeno pu`o essere ottenuta considerando il moto della corda di una chitarra. Anche
se vi sono molte modalit`a di sollecitare la corda, tutte peraltro relativamente rapide, dopo un
breve intervallo (frazioni di secondo) da quando `e stata percossa, la corda tende a oscillare
quasi esclusivamente alla frequenza naturale pi` u bassa, producendo la nota caratteristica. Le
armoniche di ordine superiore, che hanno ampiezze ridotte e si estinguono rapidamente, non
sono per`o identicamente nulle e contribuiscono a determinare il timbro del suono emesso.
Pertanto, in una struttura continua, per identicare quanto brusca sia una variazione di
carico `e necessario confrontare il tempo si transitorio con il periodo dei primi moti naturali.
11.3.3 Come considerare gli eetti dinamici
Solo una analisi dinamica consente di valutare in modo conclusivo gli eetti delle variazioni
nel tempo delle sollecitazioni per una struttura deformabile sotto carico. Questo tipo di analisi,
soprattutto se condotta su sistemi continui, richiede per`o conoscenze che superano i limiti del
presente corso. Tuttavia, in molti casi di pratico interesse, anche carichi non costanti hanno
tempi di variazione caratteristici superiori ai periodi di oscillazione dei primi modi propri delle
strutture su cui sono applicati. In tali circostanze quindi, anche condando sulla presenza dello
smorzamento, spesso `e ragionevole assumere che la struttura sia in ogni istante in equilibrio
statico con il carico esterno e che gli eetti vibratori siano trascurabili. Pertanto, il carico `e
297
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
denito quasi statico quando i periodi dei primi modi propri della struttura sono pi` u brevi dei
tempi che caratterizzano le variazioni del carico.
`
E opportuno sottolineare che lanalisi statica di carichi variabili nel tempo, come mostrato
nellesempio di gura 11.1, generalmente non produce valutazioni cautelative (dalla parte della
sicurezza). Per ovviare a ci`o, talvolta si ricorre allespediente di aumentare in modo ttizio il
carico quasi statico, moltiplicandolo per un fattore, detto fattore di amplicazione dinamico, in
modo da inglobare, anche se in forma non esatta, le sovrasollecitazioni prodotte dai fenomeni
vibratori trascurati. In alcuni casi le normative stesse, come per esempio per gli impianti di
sollevamento, suggeriscono valori tipici dei coecienti di amplicazione dinamica in relazione al
tipo di apparecchio e alle modalit`a di impiego.
Esercizio 11.1: Coeciente di amplicazione dinamico
Sulla base delle gure del presente paragrafo, tracciare una curva che rappresenti il coe-
ciente di amplicazione dinamico del sistema massa-molla non smorzato di gura 11.1 in
funzione del rapporto tra il tempo di transitorio del carico e il periodo proprio.
11.4 Soluzione dinamica per carichi continuamente variabili nel
tempo (*)
Se si considerano gli elementi strutturali di un motore alternativo (bielle, alberi, valvole,
ecc. . . ) `e facile convincersi che in meccanica molte strutture sono sottoposte a carichi che varia-
no continuamente nel tempo. In questi casi, gli eetti dinamici dovuti alla deformabilit`a possono
essere preponderanti e produrre sollecitazioni anche notevolmente superiori a quelle calcolabili
con lanalisi statica equivalente. Spesso infatti i carichi variabili hanno una natura periodica,
come per esempio le forze dinerzia negli organi rotanti, e possono portare in risonanza gli
elementi della struttura. Il fenomeno della risonanza pu`o essere evidenziato considerando il
semplice sistema in gura 11.1 e un carico dato da una forza orizzontale variabile nel tempo con
legge armonica:
P (t) = P
0
cos t
`
E stato indicato con P
0
il valore massimo assunto dal modulo del carico nel ciclo (ampiezza)
e con la pulsazione del carico (pulsazione eccitatrice), quantit`a che non deve essere confusa
con la pulsazione propria o naturale che `e una caratteristica del sistema determinabile anche
senza carico. La soluzione dellequazione dierenziale:
d
2
w
dt
2
+
k
m
w =
P
0
m
cos t (11.6)
`e classica.
`
E interessante esaminare la soluzione dellequazione non omogenea che, come pu`o
essere vericato per sostituzione diretta, `e data dalla seguente funzione armonica:
w(t) =
w
0
1

2

2
cos t. (11.7)
in cui `e stata indicata con w
0
= P
0
/k lampiezza del moto che sarebbe prodotta in condizioni
statiche. Lespressione (11.7) non comprende la soluzione dellequazione omogenea, che contiene
le costanti di integrazione con cui `e possibile soddisfare le condizioni iniziali del moto, pertanto
non `e la soluzione completa del problema dierenziale. Tuttavia, considerando gli inevitabili per
quanto deboli eetti dissipativi, il contributo dellomogenea associata consiste in una oscillazione
298
11.4. SOLUZIONE DINAMICA PER CARICHI CONTINUAMENTE VARIABILI NEL TEMPO (*)
che si estingue nel tempo. Pertanto, a regime, ovvero dopo un certo numero di cicli di carico, la
soluzione (11.7) pu`o essere considerata sucientemente accurata a prescindere dalle condizioni
iniziali del moto. Possiamo quindi osservare che la forza esercitata dalla molla ha landamento
armonico con la stessa pulsazione del carico esterno. Lampiezza del moto, e quindi lintensit`a
della forza elastica, dipendono fortemente dalla dierenza tra la pulsazione eccitatrice
e la pulsazione propria del sistema. In particolare, se la pulsazione eccitatrice `e vicina alla
pulsazione propria, lampiezza del moto a regime diviene molto pi` u elevata del valore statico
e per lampiezza prevista del modello tende allinnito. In questo caso la struttura `e
eccitata in risonanza.
La singolarit`a nella soluzione prevista dalla relazione (11.7) in condizioni di risonanza `e di
tipo matematico ed `e opportuno che sia interpretata anche in termini sici. In eetti, una
modellazione pi` u verosimile che consideri la presenza dello smorzamento e le condizioni iniziali
del moto, indica che:
introducendo nella soluzione anche la componente della equazione non omogenea, si veri-
ca che, anche matematicamente e in assenza di azioni dissipative, `e comunque un tempo
innito per raggiungere una ampiezza di oscillazione innita
in presenza di forze dissipative, viene raggiunta una soluzione di regime simile a quella
descritta dalla relazione (11.7) al termine di un transitorio durante il quale lampiezza
delloscillazione cresce nel tempo per poi stabilizzarsi
un qualunque valore non nullo dello smorzamento rende lampiezza delloscillazione di
regime inferiore rispetto a quella prevista dalla relazione (11.7) e comunque nita anche
in condizioni di risonanza =
se gli spostamenti previsti dalla soluzione sono grandi, la descrizione del sistema data
dallequazione (11.6) (molle lineari ideali e smorzamento viscoso) diventano discutibili
e altri eetti di tipo non lineare generalmente limitano ulteriormente, rispetto a quelli
calcolati, gli spostamenti eettivi.
Nonostante queste precisazioni, `e comunque evidente che per sistemi poco smorzati e con
carichi periodici persistenti (con molti cicli), la condizione di risonanza `e senza dubbio da
evitarsi. In questi casi, la quantit`a
1
[1

2

2
[
pu`o essere cautelativamente considerata un coeciente di amplicazione dinamico del carico,
nel senso indicato nel paragrafo precedente. Il valore estremo pari a 2 per il coeciente di
amplicazione dinamico trovato nella situazione pi` u critica di transitorio di carico quando il
valore di regime `e raggiunto istantaneamente, pu`o essere di gran lunga superato con un carico
periodico in condizioni vicine alla risonanza. Pertanto, `e necessaria una particolare attenzione
ai fenomeni oscillatori quando vi sono carichi periodici e/o elementi rotanti.
In un sistema continuo soggetto a un carico periodico generico, non necessariamente armoni-
co, la valutazione degli eetti dinamici risulta ancora pi` u complessa. Senza pretendere di fornire
indicazioni operative sulla questione (questi argomenti saranno sviluppati in corsi successivi),
sulla base delle considerazioni svolte `e possibile individuare un procedimento semplice per sti-
mare se le ipotesi di carico quasi statico sono ragionevoli. Nel caso generale, una struttura
continua ha innite pulsazioni proprie e quindi, teoricamente, innite possibili condizioni di ri-
sonanza (
i
con i = 1..). Inoltre, un carico periodico pu`o sempre essere scomposto in serie di
Fourier e rappresentato tramite una combinazione lineare di un certo numero di funzioni armo-
niche. Tali armoniche di carico deniscono quindi particolari pulsazioni eccitatrici, anche queste
299
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
teoricamente in numero che pu`o essere innito (
j
con j = 1..). Fortunatamente, poiche gli
eetti dissipativi sono pi` u ecaci nello smorzamento delle vibrazioni alle frequenze pi` u alte, `e
suciente vericare che le condizioni di risonanza, ovvero la coincidenza tra pulsazioni proprie
ed eccitatrici, non si verichino per i primi, pi` u bassi, valori delle frequenze. In particolare, se
la pi` u alta tra le pulsazioni eccitatrici avente ampiezza signicativa `e sucientemente inferiore
alla prima pulsazione naturale della struttura (
j
max

1
), il coeciente di amplicazione
dinamico sar`a di poco superiore allunit`a e lanalisi statica equivalente pu`o essere accettata.
11.5 Eetti prodotti dal cambiamento della geometria sotto
carico
11.5.1 Tutti i problemi sono del secondo tipo
Pi` u volte `e stato osservato che la conoscenza della congurazione di equilibrio consente,
almeno quando il problema `e isostatico, di ottenere la soluzione tramite equazioni lineari, e
quindi di avere i relativi vantaggi, concettuali e operativi, in molte circostanze sottolineati.
Per`o, ammettendo che i corpi si deformino sotto carico, anche nelle condizioni pi` u semplici
di problema isostatico e di carico quasi statico, la congurazione di equilibrio `e incognita e il
problema diventa non lineare. Le dicolt`a di soluzione dei problemi del secondo tipo crescono
quando si trattano corpi estesi continui `e illustrata dal seguente esempio.
Esempio 11.2: Trave a mensola
Tracciare i diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione per una mensola rettilinea
piana caricata allestremit`a con una forza concentrata trasversale (gura 11.6).
B
C
P
Fig.11.6
L
Figura 11.6: Trave a mensola innitamente rigida
`
E lasciato al lettore il compito di risolvere il problema in ipotesi di trave rigida, e di
vericare che: il carico normale `e nullo, il taglio T
y
`e costante pari a P, il momento ettente
M
x
varia linearmente con lascissa curvilinea e raggiunge il massimo (in modulo pari a PL)
nella sezione B e che B `e la sezione critica.
Arontiamo il problema ammettendo che la trave si deformi sotto carico.
`
E necessario
in primo luogo considerare alcuni aspetti geometrici legati alle modalit`a con cui il carico `e
eettivamente applicato allestremo C. Per esempio la forza P potrebbe essere esercitata
con un martinetto inizialmente verticale collegato con un estremo alla trave in C e laltro al
telaio, oppure tramite un gancio in C a cui `e appeso un recipiente che pu`o essere riempito.
Il carico pu`o essere portato a regime nel primo caso aumentando la pressione nella camera
del pistone e nel secondo versando lentamente sabbi nel recipiente. In entrambi i casi,
possiamo considerare caricamenti graduali e lenti in modo da raggiungere il medesimo
valore del carico nale senza signicativi eetti dinamici. Se la trave `e rigida, le dierenze
300
11.5. EFFETTI PRODOTTI DAL CAMBIAMENTO DELLA GEOMETRIA SOTTO CARICO
tra questi due modi di applicare il carico sono ininuenti sulla soluzione perche, alla ne
del transitorio, sullestremo della trave `e comunque applicata una forza verticale avente il
modulo previsto. Viceversa, se la struttura `e deformabile, al variare della forza applicata
lestremo della trave si sposta in direzione verticale e orizzontale, ed `e quindi prevedibile
(in eetti si verica proprio questo) che il martinetto si inclini mentre viene pressurizzato
e pertanto il carico da questo esercitato alla ne non sia verticale. Al contrario, essendo il
recipiente sospeso in C, con la seconda modalit`a di carico la forza nale rimane verticale.
B
C
P/4
L
1
P/2
P
Fig.11.7

y
z
Figura 11.7: Trave a mensola deformabile: evoluzione qualitativa del sistema
per carico crescente quasi statico (la linea tratteggiata indica la traiettoria
descritta dal punto C allaumentare del carico)
Per ragioni di semplicit`a, nel seguito, consideriamo, come in gura 11.7, il solo carica-
mento realizzato tramite il recipiente e inoltre trascuriamo, sempre per la gradualit`a e la
lentezza del caricamento, le piccole oscillazioni (da pendolo) del recipiente stesso.
La soluzione statica nale eettiva (reazioni vincolari e caratteristiche di sollecitazione)
devono essere determinate considerando la mensola nella congurazione di carico applicato.
Allequilibrio per`o, lasse non `e pi` u rettilineo e la soluzione dierisce sensibilmente da quella
valutata nellipotesi di corpo rigido. In particolare, se tramite la rilevazione della forma
nale della trave, si determina la linea dasse deformata, le caratteristiche di sollecitazione
possono essere valutate per ogni sezione e tracciati i relativi diagrammi qualitativi come
mostrato in gura 11.8.
301
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
Fig.11.8
B
C
N
cos P
B
C
M
x
1
PL
B
C
T
y
sin P
P
Figura 11.8: Diagrammi qualitativi quotati per la trave deformabile
Per la trave deformabile dellesempio precedente, si osservano signicative dierenze nei
valori e negli andamenti delle caratteristiche di sollecitazione rispetto alla soluzione ottenuta
nellipotesi di corpo rigido:
la forza normale non `e pi` u identicamente nulla
il taglio `e meno intenso in tutte le sezioni (a parte quella di incastro) e non `e pi` u costante
lungo lasse
il momento ettente varia con una legge non lineare in funzione dellascissa curvilinea s e
il suo valore estremo risulta inferiore.
Oltre a queste dierenze quantitative, `e necessario considerare che i diagrammi di gura 11.7
sono stati ottenuti perche la linea dasse deformata `e stata misurata. In pratica per`o, lanalisi
statica e la determinazione delle caratteristiche di sollecitazione servono proprio per prevedere
la linea dasse in modo da evitare lesperimento. In una situazione eettiva di calcolo, si verica
pertanto la mancanza di presupposti tipica dei problemi del secondo tipo: la deformata dipende
dalle sollecitazioni e le sollecitazioni possono essere valutate solo conoscendo la deformata.
Nel caso in esame, inoltre, sono inniti i punti della linea dasse e innite le quantit`a scalari
necessarie per individuarne la sollecitazione e la forma. Nel caso di corpo esteso continuo,
infatti, il problema del secondo tipo conduce a una equazione dierenziale non lineare.
Fortunatamente gli eetti dovuti alle non linearit`a connesse con la variazione di congura-
zione sono signicative solo quando, come nellesempio appena discusso, la struttura si deforma
molto sotto carico. Nelle strutture tipiche dellingegneria meccanica le restrizioni imposte dai
normali requisiti di rigidezza di solito impediscono che distorsioni cos` forti possano essere tol-
lerate. Questa circostanza permette di arontare la modellazione dei corpi deformabili con un
302
11.5. EFFETTI PRODOTTI DAL CAMBIAMENTO DELLA GEOMETRIA SOTTO CARICO
approccio semplicato con cui `e possibile prevedere accuratamente il processo deformativo e, nel
contempo, conservare la linearit`a del problema, almeno nche le distorsioni prodotte dal carico
sono di entit`a relativamente modesta. Nel prossimo paragrafo il procedimento per analizzare
strutture non eccessivamente deformabili `e illustrato con riferimento a un problema elementare.
Nel seguito del corso tale procedimento sar`a generalizzato a molti casi di pratico interesse.
B
C
L

B
C
P


Fig.11.9
a)
b)
B
C
P
W

R
T
c)
Figura 11.9: Trave rigida su un incastro elastico: a) congurazione indefor-
mata, b) congurazione allequilibrio, c) schema di corpo libero preliminare
allequilibrio
11.5.2 Soluzione approssimata per problemi del secondo tipo
Il problema di gura 11.9(a) `e simile a quello esaminato nel sottoparagrafo precedente: una
mensola caricata allestremo C da una forza verticale esercitata con un peso collegato con un
gancio sul punto di applicazione. Allo scopo di ottenere unequazione risolvente di tipo algebrico
(non dierenziale), la trave BC `e considerata innitamente rigida e la deformabilit`a del sistema
`e concentrata nella molla ideale di torsione posta in corrispondenza della cerniera B. La molla di
torsione `e il modello di un sistema elastico in grado di esercitare, in corrispondenza della sezione
B, un momento proporzionale alla rotazione della sezione stessa. Per una soluzione costruttiva
si pu`o pensare alla molla a spirale usata nei bilancieri degli orologi meccanici. Linsieme di
cerniera pi` u molla di torsione `e talvolta chiamato incastro elastico perche pu`o esercitare le
reazioni statiche di un incastro ideale ma la deformabilit`a locale della struttura (per esempio
della angia o dei bulloni che realizzano il collegamento) consente una limitata rotazione sotto
carico della sezione vincolata.
Il modulo del momento che la molla esercita sulla trave in corrispondenza della sezione B `e
303
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
proporzionale alla rotazione della sezione stessa e quindi allequilibrio (gura 11.9(a)) vale:
W =
dove `e la rigidezza della molla e langolo di cui si inclina la sezione sotto carico. Siccome la
trave `e rigida `e anche langolo di inclinazione dellasse. Lo schema di corpo libero preliminare
nella congurazione di equilibrio `e rappresentato in gura 11.9(c). La prima cardinale consente
di valutare le reazioni della cerniera: T = 0 e R = P. Dalla seconda cardinale si ottiene:
PLcos = 0
che rappresenta una equazione non lineare (trascendente) risolubile con un metodo numerico.
Per ottenere la congurazione di equilibrio, consideriamo i seguenti dati numerici: L = 1 m,
P = 1 kN e = 1.097277 kNm/rad. Leccesso di cifre per la costante elastica ha solo il semplice
scopo estetico di produrre un risultato quasi intero per langolo di deessione se misurato
in gradi. Si pu`o infatti vericare che per = 40

lequazione di equilibrio `e vericata. Per


determinare tale risultato, `e possibile procedere in vari modi applicando diverse tecniche di tipo
numerico. Nella soluzione di problemi di meccanica di strutture deformabili spesso `e adottato
il seguente approccio chiamato delle approssimazioni successive. Il procedimento `e di tipo
iterativo ed `e descritto nei seguenti passi:
Passo zero. La struttura `e indeformata e quindi nella condizione dellangolo:
0
= 0.
Limposizione (per quanto di tentavo e sicuramente errata) dellangolo permette di fare
una prima stima del braccio della forza b
0
= L cos
0
= L e quindi del momento che
deve esercitare la molla W
0
= P b
0
. Da ci`o deriva la prima approssimazione per langolo
di inclinazione:
1
= W
0
/. Siccome in base a questo risultato la trave assume una
congurazione diversa rispetto allipotesi di partenza sulla base della quale `e stato valutato
il momento, `e evidente che nemmeno langolo
1
`e corretto; tuttavia `e plausibile che
1
sia pi` u vicino alla soluzione rispetto al valore precedente
0
. Il nuovo valore dellangolo
pu`o essere quindi usato come dato di ingresso nel passo successivo.
Passo uno. Assunto
1
come angolo di inclinazione, si ottengono analogamente al passo
precedente: b
1
= L cos
1
, W
1
= P b
1
e il valore dellangolo di seconda approssimazione

2
= W
1
/.
Passo i-esimo. Il procedimento pu`o quindi essere iterato.Con i 1, b
i
= L cos
i
,
W
i
= P b
i
e
i+1
= W
i
/.
Nel caso in esame il risultato dellapplicazione del procedimento di approssimazioni succes-
sive `e riportato nella seguente tabella:
304
11.5. EFFETTI PRODOTTI DAL CAMBIAMENTO DELLA GEOMETRIA SOTTO CARICO
i
i
(

) b
i
(mm) W
i
(kNm)
0 0 1000 1
1 52.21633 612.6818 0.612682
2 31.992 848.1221 0.848122
3 44.28583 715.8655 0.715865
4 37.37987 794.628 0.794628
5 41.49256 749.0418 0.749042
6 39.11221 775.9119 0.775912
7 40.51528 760.2328 0.760233
8 39.69657 769.4378 0.769438
9 40.17722 764.0526 0.764053
10 39.89602 767.2097 0.767210
11 40.06087 765.3611 0.765361
12 39.96435 766.4443 0.766444
e rappresentato gracamente nel diagramma di gura 11.10. Osserviamo che il procedimento
iterativo converge allangolo esatto, ed `e immediato vericare che lo stesso tipo di convergenza si
verica anche per tutte le altre grandezze, in particolare, il braccio e il momento esercitato dalla
molla. Si pu`o inoltre notare che una approssimazione ragionevole `e raggiunta dopo un numero
non eccessivo di passi. Purtroppo, lesito favorevole del procedimento iterativo non `e sempre
scontato. In certi casi, in particolare se la congurazione di equilibrio `e molto diversa da quella
di partenza, la soluzione richiede un numero di passi pi` u elevato e, talvolta, il procedimento
pu`o anche risultare divergente (le escursioni angolari aumentano invece che ridursi). Inoltre,
lindividuazione di una condizione di equilibrio non esclude che ve ne possano essere altre, ed
eventuali congurazioni di equilibrio instabile non sono generalmente ottenibili con procedimenti
di questo tipo.
Fig.11.10
0
10
20
30
40
50
60
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
i

i
(

)
i
Figura 11.10: Soluzione iterativa con langolo espresso in gradi
Landamento oscillante delle successive approssimazioni del procedimento numerico attorno
al risultato nale, evidenziato dal graco in gura 11.10, non ha un signicato sico, in parti-
colare non `e assimilabile alla riproduzione di un fenomeno di oscillazione smorzata. Lalgoritmo
adottato non modella infatti alcuna azione dinamica (inerzia o smorzamento) per cui levoluzio-
ne della congurazione rispetto al passo di iterazione i ha una spiegazione di tipo esclusivamente
numerico.
Pur con queste precauzioni si pu`o concludere che, in assenza di procedimenti di calcolo
pi` u sosticati, il metodo iterativo proposto `e spesso ecace per risolvere numericamente molti
problemi del secondo tipo. La tabella `e stata infatti ottenuta con elementari calcoli diretti
305
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
eseguibili con una calcolatrice o, pi` u convenientemente, con un semplice foglio elettronico. Se il
procedimento converge, quando il modulo della variazione tra il valore della grandezza stimata
nei passi i e i 1 `e inferiore di una soglia pressata (che pu`o essere ssata considerando
lincertezza attesa per il risultato o la precisione richiesta) il procedimento pu`o essere arrestato
e la condizione dellultimo passo risulta generalmente una soddisfacente soluzione.
11.5.3 Ipotesi dei piccoli spostamenti
Se nellesempio del paragrafo precedente aumentiamo la rigidezza della molla portandola
al valore = 2.692021061 kNm/rad, la congurazione di equilibrio si realizza per = 20

.
Lalgoritmo iterativo produce in questo caso il graco di gura 11.11 e la seguente tabella.
i
i
(

) b
i
(mm) W
i
(kNm)
0 0 1000 1
1 21.28356 931.7954 0.931795
2 19.83192 940.6919 0.940692
3 20.02127 939.5656 0.939566
4 19.9973 939.7088 0.939709
5 20.00034 939.6906 0.939691
6 19.99996 939.6929 0.939693
7 20.00001 939.6926 0.939693
8 20.00000 939.6926 0.939693
Fig.11.11
0
5
10
15
20
25
0 1 2 3 4 5 6 7 8
i

)
i

i
(

)
Figura 11.11: convergenza del procedimento nel caso in cui langolo di
equilibrio `e di 20

Come era da attendersi, osserviamo che:


una risposta sucientemente accurata `e ottenibile con un numero di passi inferiore rispetto
al caso precedente
lo stesso eetto pu`o essere prodotto con una molla meno rigida se viene ridotto il carico,
per cui la rapidit`a della convergenza dipende dalla dierenza tra la congurazione di
equilibrio (nale) e la congurazione indeformata (di partenza)
la rapida convergenza si verica pur con una inclinazione signicativa della barra, dato che
20

sono una macroscopica deviazione dallorizzontalit`a per molti componenti meccanici


anche signicativamente deformabili.
306
11.5. EFFETTI PRODOTTI DAL CAMBIAMENTO DELLA GEOMETRIA SOTTO CARICO
Per il problema in esame `e possibile quanticare lerrore di approssimazione dovuto al procedi-
mento di calcolo introducendo la seguente quantit`a adimensionale:
e
i
=

i

che misura in termini relativi lerrore di stima che si commette arrestando il procedimento
alli-esima iterazione. Nella gura 11.12 sono riportati gli andamenti dellerrore relativo in
funzione del passo di iterazione per diversi valori dellangolo di equilibrio. Si deduce che quando
la congurazione di equilibrio `e vicina a quella di partenza, gi`a il primo passo delliterazione
fornisce una stima ragionevole della deformata. Questa osservazione `e confermata dal graco di
gura 11.13 in cui `e rappresentato lerrore commesso nella prima approssimazione e
1
in funzione
del valore esatto dellinclinazione. Osserviamo che per angoli di inclinazione previsti inferiori a
Fig.11.12
-0.3
-0.2
-0.1
0
0.1
0.2
0.3
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
i
e
40
20
10
5
e
i

Figura 11.12: Errore nelliterazione per 4 diversi angoli di equilibrio


10

lerrore relativo al primo passo `e inferiore a 1% (e quindi accettabile per la gran parte delle
stime tecniche) e per angoli previsti inferiori a 3

lerrore al primo passo `e inferiore a 0.1%.


Questo risultato pu`o essere generalizzato:
se la prima iterazione, riferita alla geometria indeformata, prevede una variazione
di congurazione relativamente piccola rispetto alla congurazione di partenza, la
stima della deformata pu`o essere accettata.
Quando il procedimento iterativo `e arrestato al primo passo, si dice che `e assunta lipotesi
di corpi o strutture poco deformabili. La soluzione ottenuta nellipotesi di corpi poco
deformabili non `e esatta perche lerrore che si commette `e nullo solo al limite, ovvero per
variazioni di congurazione innitesime. Tuttavia, la previsione di processi deformativi di
piccola entit`a, per quanto mai innitesimi, basata sulla prima iterazione `e molto frequente in
pratica, perche `e eciente ed ecace infatti:
(eciente) lipotesi dei corpi poco deformabili consente una valutazione molto rapida della
loro deformabilit`a
(eciente) la possibilit`a di riferirsi alla congurazione indeformata (nota a priori) permet-
te di conservare la linearit`a del problema, con notevoli vantaggi sulla modellazione e sulla
soluzione
(ecace) dato che una elevata rigidezza `e una necessit`a per molte strutture, gli sposta-
menti sotto carico devono essere piccoli, non tanto per le dicolt`a di calcolarli quanto per
ragioni funzionali
307
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
Fig.11.13
0.000001
0.00001
0.0001
0.001
0.01
0.1
1
0.1 1 10 100
e
1

()
e
1

()
Figura 11.13: Errore commesso nella prima approssimazione in funzione del
valore nale dellangolo
(ecace) moltissime strutture devono essere poco deformabili.
Dal punto di vista operativo, il metodo che sar`a sistematicamente adottato nei calcoli in cui
si considera la deformabilit`a `e pertanto il seguente:
1. si assume lipotesi di corpo, o struttura, poco deformabile
2. sulla base di tale ipotesi si stimano le distorsioni sotto carico assumendo che la congu-
razione di riferimento sia quella iniziale e arrestando il procedimento iterativo al primo
passo
3. se il risultato indica piccole distorsioni, lanalisi `e da considerarsi accettabile e terminata
4. la validit`a dellipotesi di corpo poco deformabile `e vericabile a posteriori
5. infatti, se le variazioni di congurazione stimate al primo passo sono considerate grandi,
possono darsi due casi:
le distorsioni sono gi`a eccessive per la struttura; per quanto ottenute con una pre-
sumibile signicativa approssimazione, il modello ha quindi gi`a evidenziato una
inadeguatezza funzionale della struttura che dovr`a essere irrigidita
la struttura pu`o tollerare una distorsione elevata (`e impiegata per deformarsi molto),
il risultato dimostra quindi linadeguatezza dellipotesi di corpo poco deformabile e
indica la necessit`a di migliorare lanalisi deformativa, per esempio continuando le
iterazioni o usando altri metodi per risolvere il problema del secondo tipo.
Come si pu`o notare, la soluzione basata sullipotesi di corpo poco deformabile `e utile in ogni
circostanza.
11.5.4 Quando le distorsioni possono essere considerate piccole?
Per poter accettare a posteriori lipotesi di corpo poco deformabile `e necessario rispondere
alla domanda: i valori che deniscono la distorsione (spostamenti o rotazioni) trovati con la
prima iterazione, sono eettivamente piccoli? In generale, per rispondere in modo rigoroso,
sarebbe necessario continuare literazione e studiare levoluzione e la convergenza. In tal mo-
do per`o, si perdono i vantaggi di semplicit`a connessi con lipotesi di corpo poco deformabile.
308
11.6. MECCANICA DEI CORPI POCO DEFORMABILI SOTTO CARICHI QUASI STATICI
Nella pratica, si risponde ricorrendo allesperienza accumulata nella soluzione di classi di pro-
blemi simili. Per una quantit`a angolare (espressa in radianti) il concetto di piccolo pu`o essere
quanticato in termini assoluti: un angolo `e piccolo se il suo valore `e molto minore dellunit`a.
Per ssare le idee, possiamo considerare piccolo un angolo minore di (10
3
10
2
)rad. Uno
spostamento `e invece una grandezza dimensionata ed `e quindi necessario confrontarlo con una
quantit`a omogenea di riferimento, caratteristica del problema, per stabilire se `e piccolo. In ge-
nere, nei problemi di travi, lo spostamento di un punto della linea dasse pu`o essere considerato
piccolo quando `e inferiore al diametro della sezione. Questa scelta `e coerente con la teoria dei
corpi monodimensionali per i quali il diametro della sezione `e considerato una lunghezza pic-
cola per denizione. Pertanto, se in una trave gli spostamenti dei punti della linea dasse sono
un ordine di grandezza inferiori alla lunghezza della trave, lipotesi di corpi poco deformabili
`e generalmente accettabile con buona approssimazione. Anche per i corpi bidimensionali, per
esempio le piastre, gli spostamenti sotto carico possono essere considerati piccoli quando sono
inferiori allo spessore.
Non sempre spostamenti cos` esigui sono riscontrati nelle strutture di travi, controesempi
ben noti sono: la canna da pesca, il trampolino per i tu e lattrezzo usato nel salto con lasta.
Per queste travi gli spostamenti sotto carico risultano molto maggiori del diametro e in alcuni
casi risultano addirittura paragonabili alla stessa lunghezza della linea dasse. In Meccanica
unimportante classe di elementi strutturali, le molle, hanno caratteristiche deformative analo-
ghe perche sono impiegate proprio perche possono modicare molto la loro forma sotto carico.
`
E evidente che lo studio di questi elementi, eettuata con lipotesi dei corpi poco deformabili,
pu`o portare talvolta a previsioni inadeguate.
Nellesame di problemi nuovi, quando lesperienza non `e di guida, oppure quando le stime
di primo tentativo non producono spostamenti piccoli, `e necessario abbandonare lipotesi dei
corpi poco deformabili. In questi casi, problemi di grandi spostamenti, la pratica suggerisce
di adottare strumenti specici di analisi strutturale assistita da computer. Questi problemi non
sono trattati diusamente nel presente corso per cui, a parte situazioni elementari e alcuni casi
particolari, nel seguito faremo lipotesi che la meccanica dei corpi deformabili sia generalmente
applicabile.
11.6 Meccanica dei corpi poco deformabili sotto carichi quasi
statici
Nel seguito del corso, saranno in genere esaminate strutture per le quali le variazioni di
geometria sotto carico sono quantitativamente piccole e le pulsazioni proprie sucientemente
elevate e quindi generalmente trattabili come corpi poco deformabili soggetti a carichi quasi
statici (si pensi per esempio a un tipico albero di trasmissione).
Nellambito della meccanica dei corpi poco deformabili, il modello di corpo innitamente
rigido pu`o essere reinterpretato, in modo sicamente pi` u ragionevole, come il limite a cui tende
un corpo deformabile quando `e moderatamente sollecitato. Non si deve quindi ravvisare alcuna
contraddizione tra il modello di corpo rigido e il modello di corpo poco deformabile tanto che, in
molte circostanze, `e coerente usare entrambi i modelli per lo stesso corpo nello stesso problema.
Siccome il modello rigido `e comunque il pi` u semplice, continueremo quindi ad adottarlo quando
possibile, anche in presenza di una piccola deformabilit`a. Solo nei casi in cui il modello rigido
non `e applicabile, perche il problema `e iperstatico o perche `e richiesta la variazione di forma,
considereremo le sue distorsioni che saranno valutate in prima approssimazione (eettuando il
solo primo passo delliterazione). Come conseguenza, nella meccanica dei corpi poco deformabi-
li, le dierenze tra le caratteristiche di sollecitazione valutabili nella congurazione indeformata
e quelle eettive, valutabili nella congurazione deformata di equilibrio, sono quindi general-
309
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
mente trascurate. Per esempio, la forza normale che si manifesta nella mensola di gura 11.8 a
causa della deformabilit`a pu`o essere rilevante per analizzare una canna da pesca ma la sua pre-
senza non `e giusticata in un albero di trasmissione. Per una mensola poco deformabile su cui
agisce un carico trasversale applicato allestremit`a, assumeremo quindi: taglio costante, forza
normale nulla e momento ettente variabile linearmente con s, esattamente come nel modello
di trave innitamente rigida.
Lipotesi di corpo poco deformabile comporta anche unaltra fondamentale semplicazione.
Per strutture poco deformabili realizzate con materiali che hanno un comportamento elastico
lineare (ovvero che, come vedremo, sono simili a molle ideali), il generico spostamento di un
qualunque punto della struttura risulta proporzionali allintensit`a dei carichi agenti. Ci`o per-
mette di ottenere leetto deformativo totale prodotto da un carico complesso, per esempio
linsieme di pi` u forze applicate in punti diversi, dalla sovrapposizione degli eetti deforma-
tivi prodotti delle singole forze. Il seguente esempio illustra come risolvere un simile problema
nellambito della meccanica dei corpi poco deformabili.
Esempio 11.3: Trave rigida su due supporti elastici con diverse condizioni di carico
Nellambito della meccanica dei corpi poco deformabili, determinare linclinazione della
barra rigida su supporti elastici di gura 11.14. Vericare la validit`a del principio di
sovrapposizione degli eetti.
P
B
C
L/2
Q
L/4
L/4
k
1
k
2
Fig.11.14
Figura 11.14: Barra rigida su appoggi elastici
La meccanica dei corpi poco deformabili si pu`o ragionevolmente applicare in questo
caso nellipotesi di spostamenti non superiori a 0.1L ovvero un ordine di grandezza inferiori
alla dimensione caratteristica del problema. Per lanalisi dellequilibrio `e lecito trascurare
la dierenza tra la congurazione deformata (barra inclinata di un angolo rispetto al-
lorizzontale) e quella di riferimento. Le molle si abbassano di una quantit`a proporzionale
alla reazione vincolare, e coerentemente con le ipotesi, possono essere approssimate come
appoggi ideali. Se le distorsioni sono piccole siamo quindi ricondotti al problema elementa-
re intrinsecamente isostatico di un corpo rigido nel piano per il quale le reazioni vincolari
possono essere ottenute dalle sole cardinali.
`
E lasciato al lettore il compito di vericare che
le forze esercitate dalla barra sulle molle (dirette verso il basso) valgono:
R
B
=
1
4
(2P +Q)
R
C
=
1
4
(2P + 3Q)
`
E quindi immediato stimare labbassamento dei punti B e C, e poiche nel caso di piccoli
spostamenti langolo di inclinazione pu`o essere confuso con il seno e la tangente (tan

=
310
11.6. MECCANICA DEI CORPI POCO DEFORMABILI SOTTO CARICHI QUASI STATICI
sin

= ), si pu`o ricavare la prima approssimazione dellinclinazione della barra (positiva
se oraria):
=
R
C
k
2

R
B
k
1
L
=
1
4Lk
1
k
2
[2P (k
1
k
2
) +Q(3k
1
k
2
)]
Se langolo cos` ottenuto `e 1 (valore in radianti), le ipotesi fatte sono consistenti e il
risultato accettabile.
Osserviamo che langolo di inclinazione, e conseguentemente qualsiasi altra grandezza
statica e deformativa, `e espressa da una combinazione lineare dei carichi applicati. Ri-
sulta pertanto vericata la sovrapposizione degli eetti. Ci`o consegue della linearit`a del
comportamento elastico delle molle ma anche dalla piccola entit`a degli spostamenti che
hanno permesso di stimare le reazioni vincolari in base alla geometria indeformata e suc-
cessivamente di approssimare al primo ordine le funzioni trigonometriche seno e tangente.
Unaltra importante conseguenza della limitatezza delle distorsioni ammissibili `e connessa
alla classicazione statica di certi problemi strutturali e quindi al modo di risolverli. Ritorniamo
al problema di gura 11.9, e supponiamo che il carico produca un abbassamento dellestremo C
pari a 0.01L (=10 mm), un semplice calcolo mostra che il conseguente spostamento orizzontale
di C `e pari a 5 10
5
L (=0.05 mm). La componente orizzontale dello spostamento `e quindi di
entit`a tale da poter essere trascurato anche rispetto agli spostamenti verticali che, per quanto
piccoli, sono ritenuti signicativi (nel caso in esame sono dellordine di 10
2
L e quindi 2000 volte
superiori). Sulla base di considerazioni di questo tipo, il problema rappresentato in gura 11.15,
che classicheremo labile nellipotesi di corpi innitamente rigidi, lo sar`a anche assumendo
lipotesi di corpi poco deformabili. In eetti, il primo passo dellalgoritmo di soluzione non
pu`o essere eseguito perche lequilibrio risulta impossibile nella congurazione indeformata. Il
seguente esempio elementare illustra questa problematica.
Fig.11.15
P
Figura 11.15: Struttura labile anche in regime di piccoli spostamenti
Esempio 11.4: Molle scariche
Un corpo di massa m appoggiato su un piano orizzontale (gura 11.16 (a)) `e collegato a
due molle ideali uguali di costante k inizialmente orizzontali e non pretensionate. Viene
rimosso lappoggio in modo che il corpo risulti soggetto al peso proprio. Determinare lo
spostamento verticale v della massa B allequilibrio.
311
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
Fig.11.16
C
B
l
0
l
0
m
C
B
v
mg
D
D
a)
b)
Figura 11.16: Massa attaccata a una coppia di molle non pretensionate: a)
congurazione iniziale con appoggio, b) congurazione in equilibrio con massa
libera
Consideriamo esaurito il transitorio dinamico che si verica dopo leliminazione dellap-
poggio quando i moti oscillatori sono stati dissipati dalle forze viscose. Come osservato,
non `e possibile partire dalla congurazione indeformata con il procedimento iterativo per-
che il problema `e labile. Per imporre lequilibrio `e necessario quindi considerare subito una
congurazione con le molle allungate e quindi inclinate. Lequazione non lineare risolvente
`e:
v
v
_
1 +
_
v
l
0
_
2
=
mg
2k
la cui soluzione pu`o essere ottenuta con un procedimento graco-numerico come mostrato
in gura 11.17. IL risultato evidenzia in particolare come la posizione di equilibrio della
massa dipenda in modo marcatamente non lineare dal carico. La curva che fornice la
posizione verticale allequilibrio in funzione del carico ha una pendenza iniziale innita a
ulteriore dimostrazione del fatto che nella congurazione indeformata il problema `e labile.
Per congurazioni di equilibrio non molto distanti dallorizzontale (v/l
0
< 0.1) `e
possibile ottenere una soluzione analitica approssimata utilizzando lo sviluppo del binomio:
x 1
1

1 +x
2

=
_
1
x
2
2
_
da cui si ricava
1
2
_
v
l
0
_
3

=
mg
2kl
0
e quindi
v

=
3
_
mgl
2
0
k
relazione che mostra come per piccole distorsioni lo spostamento allequilibrio dipenda dalla
radice cubica del carico.
312
11.6. MECCANICA DEI CORPI POCO DEFORMABILI SOTTO CARICHI QUASI STATICI
Fig.11.17
0
0.5
1
1.5
2
0 1
v
/
l
0
mg/(2kl
0
) mg/(2kl
0
)
v
/
l
0
Figura 11.17: Posizione di equilibrio in funzione dei parametri del problema
(valori adimensionalizzati)
Uninteressante variante del problema precedente `e fornita dal seguente esempio in cui
le molle sono precaricate tramite un forzamento iniziale e il problema, divenuto iperstatico,
manifesta uno spostamento lineare ai bassi carichi.
Esempio 11.5: Molle precaricate
Considerare il sistema dellesempio precedente in cui le molle sono montate pretensionate
(gura 11.18) in modo che, quando la massa `e appoggiata al tavolo, ognuna di esse risulti
pi` u lunga di una quantit`a pari a l
1
rispetto al valore a riposo.
l
0
+l
1
v l
0
+l
1
mg
Fig.11.18
C
B
D
Figura 11.18: Equilibrio nel caso di molle precaricate
Si tratta di un problema iperstatico con forzamento. In virt` u del pretensionamento
(T
1
= kl
1
) le molle possono contrastare da subito lo spostamento verticale della massa
indotto dal peso proprio, per cui `e applicabile il procedimento di soluzione basato sulli-
potesi di corpi poco deformabili. Per motivi didattici determiniamo comunque lequazio-
ne risolvente del problema del secondo tipo e successivamente confrontiamo la soluzione
approssimata con la prima iterazione.
Usando il procedimento applicato nellesempio precedente, si ottiene la seguente
equazione non lineare:
v
v
_
_
1 +
l
1
l
0
_
2
+
_
v
l
0
_
2
=
mg
2k
313
11. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI
che dierisce da prima per il termine l
1
/l
0
dipendente dal pretensionamento. La presenza
di questo parametro modica sostanzialmente il problema, come si pu`o osservare dalla
soluzione. In eetti, se il pretensionamento `e signicativo (basta che sia l
1
> v) `e valida la
seguente approssimazione:

_
1 +
l
1
l
0
_
2
+
_
v
l
0
_
2

_
1 +
l
1
l
0
_
2
= 1 +
l
1
l
0
e lequazione risolvente si riduce alla seguente (lineare):
v
l
1
l
0
+l
1

=
mg
2k
che fornisce lo spostamento:
v

=
mg (l
0
+l
1
)
2T
1
Questultima relazione dimostra che, in presenza di pretensionamento, lo spostamento della
massa `e direttamente proporzionale al carico (nche non diventa eccessivo) e pu`o essere
previsto con lipotesi di corpi poco deformabili. Infatti, con riferimento allo schema di
corpo libero di gura 11.19, coerentemente con lipotesi di strutture poco deformabili, si
pu`o assumere che:
il tiro delle molle rimanga invariato rispetto alla condizione indeformata (lulteriore
allungamento delle molle dovuto a v `e piccolo rispetto a l
1
) per cui T

= T
1
= kl
1
il seno dellangolo di inclinazione delle molle `e approssimabile come: sin

= tan =
v
l
0
+l
1
in base alla prima cardinale si pu`o scrivere:
2T sin mg = 0
dalla quale si ricava la stessa relazione prima ottenuta dalla linearizzazione
dellequazione risolvente.
Fig.11.19 T
mg
T

Figura 11.19: Schema di corpo libero della massa allequilibrio


Il sistema meccanico appena esaminato `e lo schema unidimensionale che esemplica il funzio-
namento delle corde tese. In particolare `e stato vericato che lo spostamento, quando `e piccolo,
risulta inversamente proporzionale al precarico delle molle. La spiegazione della possibilit`a di
314
11.6. MECCANICA DEI CORPI POCO DEFORMABILI SOTTO CARICHI QUASI STATICI
accordare la corda della chitarra, ovvero di variarne la frequenza propria, modicandone il tiro
`e da ricercarsi nella caratteristica di questo tipo di struttura di avere una rigidezza dipendente
dal precarico. Al lettore `e lasciato il compito di vericare che, per piccole oscillazioni trasversali,
la pulsazione propria della struttura analizzata vale:
=

2T
1
m(l
0
+l
1
)
Si ricordi che il periodo del modo proprio denisce la costante di tempo caratteristica per
valutare la durata dei transitori che producono signicativi eetti dinamici. Pu`o essere, invece,
non immediato rispondere alla seguente domanda: cosa succede alla frequenza propria se T
1
=
0? La domanda equivale alla seguente: quale nota emette una corda non tesa?
315
Parte II
Meccanica dei solidi
317
Capitolo 12
Lo stato di tensione
Il capitolo presenta la tensione che pu`o essere considerata una delle principali grandezze
introdotte e utilizzate nellambito del presente corso. La prima parte del capitolo `e dedicata
alla discussione sulla natura sica della tensione e ai problemi connessi con la sua denizione.
Successivamente sono arontati alcuni importanti problemi formali connessi con la rappresen-
tazione matematica della tensione in un sistema di coordinate cartesiane. In particolare, `e
esaminato il modo con cui le componenti della tensione mutano in conseguenza di una rotazione
degli assi.
Tutte le valutazioni quantitative sullo stato di tensione sono sviluppate prendendo come
base sistemi di coordinate cartesiane, nellultima parte `e mostrato come sia naturale estenderle
anche ad altri comodi sistemi di coordinate curvilinee ortogonali.
12.1 Cosa misura la tensione
12.1.1 La natura sica della tensione
Le caratteristiche di sollecitazione per le travi introdotte nel capitolo 9 costituiscono il primo
esempio di grandezze siche che quanticano le azioni elettromagnetiche interne agenti in un
corpo esteso caricato e vincolato. La grandezza sica tensione (stress) generalizza tale nozione
in quanto consente di quanticare le azioni elettromagnetiche interne in un generico punto di
un corpo a prescindere dalla forma del corpo stesso, dal tipo di materiale di cui `e costituito e
dalle azioni esterne che su di esso agiscono.
Consideriamo come esempio il concio di una trave soggetto solo a momento ettente. Dal
capitolo 9 `e noto che il materiale risulta diversamente sollecitato nei vari punti del concio dato
che sono previste zone tese e zone compresse. Il tentativo `e pertanto quello di denire
la tensione come una grandezza sica che rappresenti quantitativamente in modo
completo il tipo e il livello della coazione a cui il materiale `e sottoposto in un punto
di un corpo.
Per un concio di trave inesso, in particolare, `e evidente che la conoscenza della tensione in ogni
suo punto `e il presupposto per la verica di resistenza perche consente di individuare dove il
materiale risulta pi` u sollecitato (i punti critici della sezione) e il livello di tali sollecitazioni.
`
E utile premettere che la grandezza sica tensione pu`o risultare di non immediata compren-
sione. Come vedremo, infatti, esistono dicolt`a, anche di natura concettuale, nella sua stessa
denizione e, inoltre, si render`a necessario introdurre un nuovo tipo di grandezza per rappresen-
tare la tensione nelle sue componenti. Dimostreremo infatti che non `e possibile ricondurla a uno
scalare e nemmeno a un vettore. Per evidenziare come queste dicolt`a siano eettive, `e utile
319
12. LO STATO DI TENSIONE
qualche considerazione di carattere storico. Se ci riferiamo al concetto di tensione nei solidi, pre-
scindendo quindi dal concetto di pressione nei uidi, grandezza sica simile ma di pi` u semplice
comprensione, i primi tentativi di denizione sono attribuibili a Galileo Galilei nei primi anni
del 1600. Nel secolo successivo la nozione di tensione nei solidi `e stata usata da grandi scien-
ziati, tra i quali Leonard Euler (1707-1783), vari membri della dinastia dei Bernoulli (Daniel,
Jacob, Jacques e John), Charles Coulomb (1736-1806), Giuseppe Luigi Lagrange (1736-1813) e
Claude Navier (1785-1836), allo scopo di risolvere vari problemi di meccanica delle strutture.
`
E
interessante constatare come tali autori siano riusciti ad arontare e risolvere problemi di analisi
strutturale anche complessi che richiedevano la nozione di tensione, sostanzialmente in assenza
di una denizione sica e matematica completa e coerente di tale grandezza. Latteggiamento
spregiudicato nella soluzione dei problemi di Fisica e Matematica, basato sulla completa ducia
nellintuizione, `e tipico della scienza del settecento e ha costituito la base del ripensamento
critico sui fondamenti operato nel corso dellottocento. In eetti, il concetto di tensione come
grandezza sica `e stato sistematizzato, nel modo in cui `e attualmente accettato, solo nella pri-
ma met`a dellottocento soprattutto per opera di Augustin Cauchy (1789-1857). A tale scopo,
lo scienziato francese si `e avvalso di alcuni degli strumenti concettuali pi` u rigorosi dellAnalisi
Matematica che si stavano denendo nello stesso periodo.
La travagliata gestazione della denizione di tensione ha pertanto interessato un arco tem-
porale di oltre due secoli durante il quale la grandezza `e stata usata, in modo pi` u o meno
rigoroso ed esplicito, da autori che rappresentavano le vette della cultura scientica spinti spes-
so dalla necessit`a di risolvere importanti problemi pratici. La nozione di tensione serve infatti
per vericare la resistenza di strutture civili (ponti, strade, edici), per progettare macchinari e
mezzi di trasporto (la ne del settecento coincide con linizio dellera industriale) nonche, pur-
troppo, anche per realizzare armi e strumenti per la logistica delle forze armate (non `e un caso
che i primi fondamentali sviluppi della disciplina siano riconducibili alle Grand

Ecoles francesi,
promosse e fortemente sostenute da Napoleone).
Non deve quindi sorprendere se lacquisizione del concetto di tensione richieda pi` u di una
superciale lettura del presente capitolo, possibilmente accompagnata da un po di esercizio e
di ripensamento critico. Fortunatamente, rispetto ai tempi di Cauchy, ora possiamo avvalerci
una pi` u chiara e solida conoscenza della natura della materia (nuclei, elettroni, cristalli) e delle
interazioni siche che la dominano. Questo quadro di conoscenze ci permette di formulare
modelli che risultano coerenti con le leggi fondamentali della Fisica e quindi ci appaiono pi` u
facilmente giusticabili.
12.1.2 Le principali ipotesi
In generale, assumeremo che il materiale su cui agisce la tensione sia:
solido
continuo
Per materiale solido intendiamo un aggregato cristallino ogni elemento del quale (atomo
nei metalli, ione nei sali, molecola nei solidi covalenti, . . . ) occupa una posizione denita
rispetto agli altri elementi. Laggregato cristallino presenta quindi una congurazione regolare
e periodica nello spazio. Nel seguito, per semplicit`a, chiameremo atomi gli elementi costituenti
del reticolo cristallino, tuttavia le considerazioni sono valide non solo per il legame metallico ma
anche per quello ionico e covalente in cui gli elementi possono essere ioni o molecole.
A rigore, ogni singolo atomo non `e in equilibrio statico nel reticolo a causa dellagitazione
termica che induce un complesso moto oscillatorio tridimensionale. Tuttavia, `e possibile assu-
mere per ogni atomo una posizione caratteristica considerando la media delle coordinate spaziali
320
12.2. IL VETTORE TENSIONE
del suo baricentro nel tempo. In condizioni di riferimento, generalmente assunte quando il
corpo non `e sollecitato da azioni esterne ed `e a temperatura costante e uniforme (di solito la
temperatura ambiente), la distanza tra atomi limitro del cristallo di un dato materiale solido
risulta ssata e costituisce una propriet`a caratteristica del materiale stesso. In condizioni di rife-
rimento, trascurando il moto di agitazione termica, il singolo atomo si pu`o pertanto considerare
in equilibrio e, di conseguenza, la forza risultante su di esso agente mediamente nulla.
Per continuo si intende un corpo, o pi` u propriamente il substrato materiale che lo costi-
tuisce, per il quale sia possibile estrarre, in corrispondenza di ogni suo punto, un frammento
parallelepipedo di dimensioni piccole a piacere (detto elemento caratteristico) tale the possa es-
sere considerato un corpo avente le consuete propriet`a sico-geometriche, in particolare: massa,
volume e supercie. La forma del frammento non `e in eetti rilevante, tuttavia dato che saranno
considerati prevalentemente sistemi di coordinate cartesiane, il parallelepipedo rettangolo sar`a
la forma tipica che attribuiremo allelemento caratteristico di volume. Per un continuo, quindi,
il parallelepipedo innitesimo, o elementare, che contiene il punto in esame sar`a considerato
lunit`a elementare di materia costituente il corpo.
Notiamo subito una incoerenza tra le ipotesi fondamentali: la nozione di continuo contrasta
in modo evidente con la natura particellare del materiale solido cristallino che `e necessaria-
mente comporta distribuzioni discrete-discontinue di propriet`a. La contraddizione pu`o essere
superata in modo analogo a quanto fatto per la denizione delle grandezze intensive, come
la densit`a (vedi capitolo 3). Per quanto piccoli siano considerati gli elementi di volume ca-
ratteristici, compresi i parallelepipedi elementari aventi aree e volumi innitesimi, si assumer`a
infatti che, in ogni caso, contengano un numero elevatissimo di atomi. In altri termini, per
evitare contraddizioni con il modello di continuo-solido `e possibile denire solo grandezze che
sono macroscopiche, anche se intensive in quanto riferite allunit`a di volume o di supercie. Le
tensioni sono quindi legate in modo non esplicito alle interazioni dalle particelle costituenti la
materia. Analogamente alla densit`a di massa, la tensione rappresenta pertanto un valor medio
spazio-temporale delle interazioni interne e, di conseguenza, non `e una grandezza adatta per
rappresentare il comportamento dei singoli atomi in un reticolo. Per descrivere e prevedere le
interazioni della materia alla scala delle distanze interatomiche (o meno) `e infatti necessario
ricorrere a modelli basati sulla Meccanica Quantistica con approcci che esulano dalla Meccanica
Classica e dagli scopi del corso. Questo fatto deve essere chiaro ma, come gi`a osservato per altre
propriet`a intensive del continuo, non rappresenta tuttavia un vero limite quando la tensione
viene usata per la previsione del comportamento strutturale macroscopico dei materiali. La
tensione diviene infatti la grandezza di riferimento per la descrizione dei fenomeni macroscopici
della meccanica dei materiali e delle strutture.
12.2 Il vettore tensione
12.2.1 Condizione di riferimento e condizione sollecitata
La gura 12.1 rappresenta la situazione di un generico corpo solido che si trova prima in
condizioni di riferimento (gura 12.1a)) e che successivamente viene vincolato e caricato. In
particolare, `e interessante esaminare la situazione in un suo generico punto B in corrispondenza
del quale si vuole determinare lo stato di coazione conseguente allapplicazione dei carichi. Allo
schema generale di gura 12.1 si far`a riferimento nel seguito del capitolo.
Per denire meglio il problema senza perdere in generalit`a, assumeremo le seguenti ipotesi:
prima dellapplicazione dei carichi il corpo (solido e continuo) si trova nelle condizioni di
riferimento: forze esterne assenti e temperatura uniforme e costante (gura 12.1a))
321
12. LO STATO DI TENSIONE
Figura 12.1: Generico corpo solido continuo: a) in condizioni di riferimento,
b) vincolato e sollecitato in condizioni di equilibrio statico
il corpo `e vincolato e sollecitato in modo che, a regime, si trovi in condizioni di equili-
brio statico sotto lazione dei carichi (sui quali non poniamo limiti: forze di volume, di
supercie, ecc. . . ) e delle reazioni vincolari (gura 12.1b))
`e nota la congurazione di equilibrio (rappresentata in gura 12.1b)) nella quale i carichi
e le reazioni vincolari sono a regime
il corpo `e poco deformabile, pertanto, sotto leetto dei carichi, la forma e le dimensioni
non sono signicativamente diverse da quelle della congurazione di riferimento (il con-
torno del corpo nella congurazione di riferimento `e riportato in gura 12.1b con linea
tratteggiata).
Nonostante queste ipotesi siano generalmente valide nellambito del presente corso, nel se-
guito del capitolo verranno eettuate alcune generalizzazioni per considerare situazioni in cui
non sono applicabili (in particolare per corpi in movimento e per materiali non solidi).
Sappiamo che una struttura trasferisce i carichi (nello schema di gura 12.1 p e F) dai
punti, o pi` u correttamente dalle zone, in cui sono eettivamente applicati al telaio. La funzione
strutturale `e svolta grazie allinsorgenza di reazioni elettromagnetiche interne che consistono
proprio nello stato di tensione (o coazione, o cimento) del materiale. Dal punto di vista sico
possiamo giusticare le reazioni interne come una perturbazione delle forze che mantengono
aggregato il reticolo cristallino, ovvero che deniscono la posizione di un atomo rispetto agli
altri. Come sappiamo, in generale, `e prevedibile che il livello delle reazioni interne sia diverso
nei vari punti del corpo e che quindi vi siano zone pi` u sollecitate di altre. Lesperienza indica
che ogni materiale solido ha specici limiti per tali livelli di coazione, il superamento dei quali
comporta linsorgere di modiche irreversibili del reticolo cristallino che si manifestano con
lo scorrimento di piani atomici (snervamento) o con la denitiva separazione di piani atomici
(rottura).
Per descrivere quantitativamente lo stato di coazione ci poniamo la seguente domanda:
come caratterizzare le azioni elettromagnetiche interne che interessano il generico punto B o,
pi` u propriamente nellipotesi del continuo, lelemento innitesimo di materiale che contiene B?
A tale riguardo `e opportuno ricordare una propriet`a fondamentale delle azioni elettromagne-
tiche interne della materia che `e gi`a stata sfruttata nel capitolo 9 per denire le caratteristiche
di sollecitazione. Poiche i campi elettromagnetici possono essere schermati dai conduttori e
in un aggregato cristallino globalmente neutro cariche positive e negative sono uniformemente
distribuite anche a livello del singolo elemento del continuo, le forze interne di interazione sono
a corto raggio. Ne consegue che ogni atomo del reticolo interagisce di fatto solo con quelli
contigui mentre le forze che esso scambia con tutti gli altri atomi del cristallo possono essere
322
12.2. IL VETTORE TENSIONE
trascurate. Il campo delle forze di coesione dellatomo centrato in B `e quindi attivo solo per
gli atomi che si trovano a una distanza prossima alla distanza interatomica. Nella gura 12.2
questa situazione `e semplicata considerando un modello piano con reticolo a geometria qua-
drata in cui i legami tra latomo in B e gli altri del cristallo sono rappresentati con molle ideali.
Si osservi che latomo in B non `e collegato con gli atomi lontani e con quelli che non vede,
in coerenza con la caratteristica a corto raggio delle interazioni interne. Come osservato, nella
condizione di riferimento, in cui non sono applicate azioni esterne (gura 12.2a)), le forze che
sollecitano il materiale in B sono nulle e il reticolo risulta imperturbato (nella idealizzazione
tutte le molle sono in condizioni di riposo). Diversamente, con il carico applicato sul corpo, si
manifesta una distorsione della geometria del reticolo, rappresentata in forma molto esagerata
in gura 12.2b), con le singole molle che possono risultare allungate o contratte. Linsieme delle
forze trasmesse dalle varie molle attaccate allatomo in B pu`o essere interpretato quindi come
una idealizzazione semplicata dello stato di coazione localmente agente.
In eetti, sono proprio le distorsioni del reticolo che, nel loro insieme, concorrono ad alterare
la forma complessiva del corpo e, quindi, permettono la misura delle forze stesse. A questo
riguardo `e utile ricordare la denizione statica di forza data nel capitolo 1. La quanticazione
della distorsione del reticolo associata allo stato di coazione `e fondamentale nella meccanica dei
continui e il suo esame quantitativo sar`a arontato in un prossimo capitolo. Per ora conside-
riamo laspetto qualitativo della distorsione assumendo, in coerenza con lipotesi di corpo poco
deformabile, che la variazione di forma sia piccola.
Figura 12.2: Forte ingrandimento del reticolo cristallino in cui sono schema-
tizzate con molle ideali le interazioni elettromagnetiche dellatomo in B con gli
altri atomi del reticolo: a) condizione di riferimento con reticolo imperturbato
e molle scariche, b) reticolo perturbato dallazione dei carichi esterni con le
molle che esercitano forze tra gli atomi
Estendendo la procedura adottata per denire e quanticare le azioni interne nelle travi,
eettuiamo un taglio in corrispondenza di B e successivamente ristabiliamo la condizione pre-
cedente tramite lintervento di opportune azioni applicate sulle facce prodotte dal taglio stesso.
Rispetto al caso delle travi il problema appare ora un po pi` u complesso in quanto:
non risulta denita la supercie su cui eettuare il taglio, che nel caso della trave era il
piano di sezione
323
12. LO STATO DI TENSIONE
non `e data lestensione della sconnessione, che nel caso della trave era lintera sezione
stessa.
Questa generalit`a impone quindi una procedura pi` u articolata per la denizione. Come mo-
strato in gura 12.3, consideriamo una generica supercie passante per B. A tale supercie
richiediamo solo di essere sucientemente regolare (dierenziabile) in B, in modo che siano
deniti un unico piano tangente locale e ununica retta normale locale. Indichiamo con n uno
dei (due) versori della normale. Il verso di n pu`o essere, almeno per ora, scelto arbitrariamente
dato che lo sviluppo che segue non ne risulta inuenzato. Consideriamo quindi una porzione
arbitraria della supercie per la quale il punto B sia centrale e supponiamo di eliminare
tutti i legami elettromagnetici che interessano le coppie di atomi collocati a cavallo di . In
un esperimento ideale ci`o comporterebbe di entrare nel reticolo cristallino (gura 12.2) e di
recidere tutte le molle che sono attraversate dalla porzione di supercie . Leliminazione
dei legami genera quindi allinterno del corpo due nuove superci libere, le due facce del taglio,
che hanno la stessa forma e la cui area comune sar`a indicata con A. In analogia con le facce
ottenute dalla sconnessione della sezione in una trave, la faccia la cui normale esterna `e equi-
versa con n sar`a chiamata faccia positiva e indicata con
+
mentre la faccia opposta, la cui
normale esterna `e n sar`a chiamata faccia negativa e indicata con

. Notiamo per inciso


che, per ogni supercie regolare che delimita una porzione di spazio occupata da un corpo, la
normale esterna `e univocamente denita essendo un vettore con coda nel materiale e punta
verso lesterno del corpo.
Figura 12.3: Supercie regolare interna al corpo e passante per il punto B
In una trave non si produce alcuna modica delle condizioni di equilibrio locale o globale
eseguendo un taglio in corrispondenza di una sezione scarica (le cui caratteristiche di sollecita-
zione sono nulle). Analogamente, se nella zona B lo stato di coazione `e nullo (le molle erano a
riposo prima del taglio), la recisione dei legami non altera la condizione di equilibrio del reticolo
cristallino e gli atomi conservano la loro posizione originaria. Nessuna azione deve essere quindi
applicata per ripristinare la condizione precedente. Al contrario, se uno stato di coazione era
presente prima della recisione e generava interazioni tra gli atomi sconnessi, il taglio delle molle
produce una locale distorsione del reticolo, idealmente rilevabile con una modica della posizio-
324
12.2. IL VETTORE TENSIONE
ne relativa degli atomi delle due facce che prima erano appaiati. Questa situazione `e mostrata
nello schema di gura 12.4 in cui `e evidenziato il prolo della supercie ottenuto per in-
tersezione con il piano di rappresentazione (gura 12.4a)). Si pu`o notare leetto di distorsione
locale prodotto dalla recisione delle molle sugli atomi collocati nella zona del taglio (la linea
tratteggiata). Nella gura 12.4b) sono rappresentati gli atomi nel caso di assenza di tensione
mentre nella gura 12.4c) si osserva la loro posizione in presenza di tensione. Nelle gure 12.4b)
e 12.4c) sono riportati anche i proli delle facce
+
e

prodotte dalla recisione delle molle


sul piano di rappresentazione e su di essi sono identicati i punti B
+
e B

in cui il punto B `e
stato idealmente separato. Non si dimentichi che nella gura le distorsioni prodotte dal taglio
sono state enormemente amplicate per motivi di chiarezza graca. Come si pu`o osservare, ogni
faccia e le relative caratteristiche sono designate con un apice che richiama la convenzione della
normale esterna: quando la normale esterna `e equiversa al versore n `e usato lapice + e quando
controversa lapice .
Figura 12.4: Schema della sezione del reticolo dopo il taglio ideale: a) piano
di rappresentazione per le successive immagini e direzione di vista, b) reticolo
non sollecitato e c) reticolo distorto perch`e prima della sconnessione era in
presenza di tensioni.
`
E interessante rispondere alla seguente domanda: quali azioni statiche devono essere appli-
cate sulle due facce
+
e

per ripristinare la condizione originaria del reticolo e quindi


per riportare gli atomi alla loro posizione originaria? La risposta `e strettamente connessa con
lo stato di tensione dato che erano proprio le azioni esplicate dalle interazioni elettromagnetiche
eliminate dalla recisione delle molle che mantenevano il reticolo nella condizione originaria. Per
ripristinare la congurazione, `e necessario pertanto applicare su ognuna delle facce esattamente
la distribuzione di azioni che laltra faccia esercitava prima del taglio o, se si preferisce, `e ne-
cessario applicare ai vari atomi le forze che prima esercitavano le molle che sono state recise.
In generale, su ognuna delle facce devono quindi essere applicati due sistemi di forze che, per
il terzo principio, hanno caratteristiche statiche uguali e contrarie. Consideriamo tali azioni
325
12. LO STATO DI TENSIONE
statiche applicate ai rispettivi punti caratteristici B
+
e B

delle facce come indicato nella gu-


ra 12.5, indicando con R il modulo della risultante e M il modulo del momento risultante
riferito a B. I singoli vettori rappresentati nella gura 12.5 sono designati con lapice (+ o )
per identicare la faccia sulla quale agiscono. Per il terzo principio deve essere:

R
+
=


M
+
=

M

La gura 12.5 potrebbe suggerire che le due risultanti abbiano rette dazione diverse, ma si
tratta di una distorsione dovuta allamplicazione degli spostamenti relativi degli atomi neces-
saria per rendere lo schema comprensibile. Inoltre, sotto lazione delle distribuzioni applicate
per ripristinare la congurazione originaria le facce prodotte dal taglio sono riportate a comba-
ciare e, di conseguenza i punti B
+
e B

, quando tali azioni sono esercitate, coincidono con il


punto B.
B

B
+
M
+

R
+

Figura 12.5: Schema statico delle azioni complessive che devono essere
applicate alle due facce dopo il taglio per riportarle a combaciare.
`
E utile sottolineare le seguenti propriet`a delle distribuzioni di azioni statiche applicate per
ripristinare la congurazione:
sono state identicate con R e M le caratteristiche statiche complessive dei sistemi di
forze superciali di natura elettromagnetica che sicamente sono forze a corto raggio
considerando il terzo principio, le informazioni sulle caratteristiche statiche complessive
che si ricavano esaminando una faccia possono essere ottenute anche dallaltra
ssata una faccia, il sistema di forze applicate su una supercie estesa `e sempre stati-
camente caratterizzabile, in termini globali, tramite la risultante e il momento risultante
rispetto a un polo (nel caso specico il punto caratteristico della sezione B)
entrambi i vettori, risultante e momento risultante, sono in genere non nulli e generica-
mente inclinati rispetto alla normale della faccia
le caratteristiche statiche di ogni faccia, per esempio

R
+
e

M
+
sono quantit`a estensive
che dipendono (in intensit`a direzione e verso) della porzione considerata, per tale
motivo sono stati indicati con il presso ; `e quindi prevedibile che tali vettori abbiano
propriet`a, in particolare i moduli, che dipendono dellestensione dellarea del taglio A
in genere, considerando una diversa supercie passante per lo stesso punto B, e quindi per
esempio con unaltra normale locale, si ottiene una diversa coppia di risultante e momento
risultante, anche a parit`a di forma ed estensione della porzione di supercie sezionata.
326
12.2. IL VETTORE TENSIONE
12.2.2 Denizione di vettore tensione
Allo scopo di rendere la denizione indipendente dallarbitraria estensione A del taglio `e
necessario passare da grandezze estensive a grandezze intensive, adottando la tecnica sfruttata
per denire altre grandezze siche dei continui, come la densit`a di massa o le distribuzioni di
forza nel capitolo 3. Per ssare le idee, poniamo lattenzione sulla faccia positiva, anche se,
come sar`a mostrato, lo stesso risultato si ottiene considerando la faccia opposta. Il rapporto tra
la risultante delle forze agenti su
+
e larea della faccia stessa A:

R
+
A
(12.1)
`e una grandezza vettoriale che ha le dimensioni di una forza per unit`a di supercie. Conside-
rando porzioni di supercie di estensione sempre pi` u ridotte (tutte che abbiano B come
punto caratteristico), possiamo chiederci se il rapporto (12.1) converga a un limite. Anche i
termini del rapporto (12.1) siano signicativi `e necessario che sia comunque una supercie
di separazione del materiale, indipendentemente dalla sua estensione. Da qui si evidenzia la
necessit`a del modello continuo che fornisce la base teorica perche loperazione di limite:
lim
A0

R
+
A
(12.2)
possa essere eettuata.
`
E importante osservare che, al limite per A 0, quasi tutte le caratteristiche geometriche
della supercie regolare diventano ininuenti in quanto tende a coincidere, a meno di
innitesimi di ordine superiore, con il piano tangente a in B. Questo fatto implica che
quando si riduce a una areola innitesima attorno a B la supercie stessa pu`o essere
considerata piana e, almeno per quanto riguarda lentit`a delle azioni trasmesse, `e completamente
caratterizzata dallestensione A e dalla normale n. In termini simbolici, dato il punto B,
indichiamo questa dipendenza esplicitamente scrivendo che per A 0:

R
+
=

R
+
(A, n)
A rigore, il valore del limite (12.2) non pu`o essere misurato, nemmeno tramite lesperimento
ideale, data la natura particellare della materia, ma possono essere ottenuti solo rapporti niti.
Non essendoci modo di vericare sperimentalmente lesistenza del limite (12.2) e, ovviamente,
nemmeno di eettuarne il calcolo, `e necessario assumere che tale limite esista e sia ni-
to. Ipotizzeremo pertanto lesistenza della grandezza vettoriale intensiva nita denita dalla
relazione:
lim
A0

R
+
(A, n)
A
=

t (12.3)
tale grandezza `e nota come vettore tensione (traction). Dal punto di vista matematico,
ammettere lesistenza del limite nito (12.3) equivale ad assumere che le due quantit`a

R
+
e A siano innitesimi dello stesso ordine (rispetto alle lunghezze) e quindi che le forze di
supercie interne a corto raggio possano essere considerate uniformemente distribuite al
limite sulle superci su cui agiscono. Lesistenza di un vettore nito

t comporta pertanto che,
per ogni condizione di sollecitazione, in ogni punto di un continuo, su ogni supercie piana di
estensione sucientemente piccola, in termini matematici avente area innitesima, la densit`a
superciale di forza connessa alle azioni elettromagnetiche interne sia uniforme. In questo modo
si interpreta la relazione:

t =
d

R
+
dA
(12.4)
327
12. LO STATO DI TENSIONE
che identica il vettore tensione come il rapporto tra la risultante innitesima di una distribu-
zione uniforme di forze agente su una porzione innitesima di supercie e larea della supercie
stessa. Osserviamo inoltre che, essendo per ipotesi

R
+
e A innitesimi dello stesso ordine, il
rapporto (12.4) diventa indipendente dallestensione dellarea e quindi che il vettore tensione per
un punto B dipende solo dalla normale n. Quando opportuno, espliciteremo questa dipendenza
tramite la relazione:

t ( n) =
d

R
+
dA
(12.5)
Il vettore tensione

t, e ogni sua componente, `e dimensionalmente una forza divisa per
unarea e quindi la sua unit`a nel S.I. `e il pascal Pa (1 Pa = 1 N/m
2
). Il pascal `e una unit`a
troppo piccola per rappresentare livelli di tensione signicativi nella meccanica strutturale e,
in pratica, `e sostituita da multipli, tra i quali i pi` u usati il Mega-pascal: 1 MPa = 10
6
Pa
(=1 N/mm
2
) e il Giga-pascal: 1 GPa = 10
9
Pa.
12.2.3 Le azioni di momento e i materiali semplici
Con lobiettivo di identicare la grandezza intensiva associata, prendiamo ora in esame il
momento risultante delle azioni esercitate sulla faccia positiva e quindi il seguente limite:
lim
A0


M
+
A
= (12.6)
In coerenza con lipotesi precedentemente assunta per lesistenza del limite (12.1), si dimostra
per`o che:
= 0 (12.7)
Per lesistenza del limite nito (12.3), infatti, la distribuzione delle forze agenti sulla faccia

+
tende a uniformarsi quando larea diventa piccola, per cui una sovrastima del momento


M
+
, calcolato rispetto a un generico punto della faccia, pu`o essere ottenuto moltiplicando la
risultante

R
+
per un braccio b che sia dello stesso ordine di grandezza del diametro di .
Se per esempio si assume per una forma quadrata e, in modo cautelativo, la distribuzione
di forze superciali `e considerata fortemente sbilanciata verso un vertice e il polo B vicino al
vertice opposto, lordine di grandezza di una maggiorazione del momento M si ottiene con un
braccio pari alla diagonale del quadrato b

2A. Anche se si cambia la forma della sezione,


la precedente relazione conserva la dipendenza generale che `e: b

k A, con k costante
adimensionale. Da questo risulta:
[ [ = lim
A0


M
+

A
lim
A0

R
+

b
A
lim
A0

R
+

k A
A
=

lim
A0

k A = 0
(12.8)
Lannullamento del limite (12.8) `e conseguenza delle caratteristiche dimensionali e degli ordini
di grandezza delle quantit`a coinvolte e non dipende dalla forma della sezione .
Alluguaglianza (12.7) si perviene anche, in modo pi` u intuitivo, considerando B come il
baricentro delle sezioni . Questa scelta `e lecita dato che il baricentro `e un punto interno
caratteristico alla sezione qualunque dimensione e forma abbia la sezione stessa (se monocon-
nessa). Tenendo conto che la distribuzione di forze superciali tende uniformarsi al limite, il
centro di spinta tende a coincidere con il baricentro della sezione, per cui il momento risultante
calcolato rispetto a tale punto al limite si annulla. Possiamo pertanto concludere che:
il solo vettore

t ( n) caratterizza localmente lo stato di coazione di un solido continuo.
328
12.2. IL VETTORE TENSIONE
Come gi`a osservato, la natura sica delle quantit`a intensive

t e `e discutibile a causa
della non operativit`a della loro denizione che dipende del limite per A 0. Esiste in
eetti una dimensione al di sotto della quale i rapporti tra le quantit`a

M
+
e

R
+
con A
perdono signicato sico perche il modello stesso di materiale continuo `e discutibile. Lelemento
pi` u piccolo sulle cui facce il vettore tensione denito in (12.5) ha senso sico deve infatti
contenere un grande numero di atomi pertanto

t deve essere considerata una grandezza sica
macroscopica anche se intensiva. A causa di questo fatto possono essere sviluppati modelli di
continuo, denominati continui polari, nei quali si ammette che anche il vettore possa essere
non nullo. Questa ipotesi `e giusticabile dal punto di vista sico nel caso in cui il materiale:
abbia una microstruttura (o, pi` u correttamente, una mesostruttura) brosa con elementi
aventi lunghezza caratteristica d
la scala dimensionale

A sulla quale sono deniti

t e sia dello stesso ordine di
grandezza di d.
I continui polari sono usati per modellare il comportamento di cristalli liquidi o di certi agglome-
rati particellari. Nellambito del presente corso, e in generale nellingegneria meccanica, lipotesi
= 0 `e comunque da considerarsi di validit`a generale e non risulta limitante. I materiali per i
quali si assume = 0 sono chiamati materiali semplici.
12.2.4 Componenti locali del vettore tensione
`
E stato evidenziato che, per un generico punto B, il vettore tensione dipende unicamente
dalla normale n e per sottolineare questo fatto, `e stata introdotta la notazione con dipendenza
esplicita:

t ( n). La denizione, ovvero il limite (12.3), `e stata ottenuta prendendo in esame la
faccia positiva per la quale n `e la normale esterna. Se ripetiamo il procedimento considerando
la faccia negativa

avente normale esterna n, si ottiene:

t ( n) =
d

dA
che denisce la forza per unit`a di supercie localmente applicata alla faccia

. Dato che

R
+
=

e quindi d

R
+
= d

, vale la relazione:

t ( n) =

t ( n) (12.9)
che pu`o essere considerata una conseguenza del terzo principio riferito alle azioni elettromagne-
tiche interne a corto raggio.
Non vi sono pertanto ragioni signicative per privilegiare una faccia del taglio rispetto al-
laltra e quindi, nelle considerazioni che seguono, faremo riferimento generalmente alla faccia
positiva. La gura 12.6a) schematizza leetto prodotto localmente dal vettore tensione agente
su una areola che assumeremo piccola in modo che il vettore tensione possa essere consi-
derato uniforme. Si osserva che la rappresentazione realistica della tensione non `e molto chiara
dal punto di vista graco. Per rendere pi` u semplice ed esplicativo lo schema statico faremo uso
della rappresentazione mostrata in gura 12.6b) nella quale la cilindricit`a della freccia dovrebbe
suggerire che si tratta di una azione distribuita sullarea e non di una forza concentrata in un
suo punto.
`
E interessante analizzare le componenti scalari del vettore tensione. A tale scopo conside-
riamo sulla faccia positiva
+
e un sistema cartesiano locale (gura 12.7) cos` denito:
origine in B
329
12. LO STATO DI TENSIONE
n
+

B
( )
t n
G
n
+

B
( )
t n
G
(a) (b)
Figura 12.6: Rappresentazione del vettore tensione agente su un areola mol-
to piccola attorno a B: a) rappresentazione pi` u realistica che mostra la na-
tura distribuita della tensione e b) rappresentazione convenzionale con freccia
cilindrica.
assi con versori mutuamente perpendicolari n, r e q, il primo dei quali coincidente con la
normale esterna e gli altri giacenti sul piano tangente.
Poiche, essendo = 0, non servono considerazioni sul momento locale, e quindi sui prodotti
vettoriali, non `e necessario richiedere che il sistema locale sia destrorso. Possiamo quindi
ordinare gli assi locali arbitrariamente senza che questo abbia eetto sulle considerazioni che
seguono.
n
+

B
r
q
( )
t n
G
Figura 12.7: Sistema di riferimento locale della faccia positiva
Le componenti del vettore tensione

t ( n) nel sistema di riferimento locale si ricavano per
moltiplicazione con i versori:

nn
=

t ( n) n (12.10)

qn
=

t ( n) q (12.11)

rn
=

t ( n) r (12.12)
330
12.2. IL VETTORE TENSIONE
Le tre quantit`a scalari con segno ottenute sono state identicate in modo naturale introducendo
una coppia di pedici ai quali `e attribuito il seguente signicato:
il primo pedice identica il versore, o lasse, su cui `e proiettato il vettore tensione
il secondo pedice identica il versore, o lasse, della normale esterna alla faccia in esame
(gura 12.8).
( )
n
B r
q
( )
t n
G
rn

qn

nn

n
Figura 12.8: Proiezione del vettore tensione sugli assi locali e denizione
delle sue componenti locali
Consideriamo ora la faccia negativa

e su questa un sistema di riferimento locale che


abbia gli stessi assi del sistema precedente ma versi opposti, quindi con versori: n, r e q.
Questa scelta `e coerente con quanto richiesto per un sistema locale, infatti per la faccia negativa
n `e il versore della normale esterna e r e q sono versori sul piano tangente. I sistemi
di riferimento locali delle due facce hanno per`o una dierenza: uno `e destrorso e laltro `e
sinistrorso, ma, per quanto gi`a anticipato, questa caratteristica non ha eetti per lanalisi della
tensione.
Se si proietta il vettore tensione agente sulla faccia negativa

t ( n) sugli assi del relativo
sistema di riferimento locale si ottengono le stesse tre quantit`a scalari (in modulo e segno)
ottenute per la faccia positiva. Infatti formalmente si ha:

t ( n) ( n) =

t ( n) ( n) =

t ( n) n =
nn

t ( n) ( q) =

t ( n) ( q) =

t ( n) q =
qn

t ( n) ( r) =

t ( n) ( r) =

t ( n) r =
rn
Concludiamo che, ssata una giacitura denita dalla normale n e un sistema di riferimento
locale di cui la normale `e uno degli assi, `e possibile denire univocamente tre quantit`a scalari,
indipendenti dalla faccia che si considera, con cui si caratterizza completamente il vettore
tensione. Appare evidente lanalogia con le caratteristiche di sollecitazione per le travi che,
similmente, possono essere ottenute considerando indierentemente le azioni agenti sulla faccia
positiva o sulla faccia negativa della sezione.
331
12. LO STATO DI TENSIONE
12.2.5 Natura ed eetti delle componenti locali del vettore tensione
Svincolati dalla necessit`a di precisare la faccia, possiamo esaminare il signicato sico delle
tre componenti che individuano il vettore tensione nel sistema locale. Cominciamo con la quan-
tit`a
nn
, detta componente normale (normal component) del vettore tensione o tensione
normale (normal stress). Come indica il nome stesso, la tensione normale individua una
forza per unit`a di supercie che agisce in direzione normale alla faccia sulla quale `e applicata.
Se la componente normale `e positiva (
nn
> 0) lazione elettromagnetica `e di trazione (ten-
sion, tensile stress) e quindi tende ad allontanare (o separare) le coppie di atomi che si
trovano a cavallo della supercie (gura 12.9). Viceversa se
nn
< 0 lazione `e di com-
pressione (compression, compressive stress) (o di compattamento) e tende ad avvicinare
le coppie di atomi a cavallo di .
`
E interessante osservare che una tensione normale di compressione pu`o essere sopportata
anche dai uidi ed `e rappresentata proprio dalla pressione. La capacit`a di trasmettere com-
ponenti tensionali non solo compressive `e invece peculiare dei solidi. A dierenza dei liquidi,
i solidi possono infatti sopportare componenti tensionali di trazione, come mostrato in gura
12.9, almeno entro certi limiti, senza che il reticolo cristallino sia irreversibilmente alterato. Se
le componenti positive di tipo
nn
crescono eccessivamente si possono per`o produrre rotture nel
cristallo (frattura (fracture)).
B
B
n
r
(a)
(b)
Figura 12.9: Eetto distorcente (schematizzato) di una componente norma-
le di trazione, del tipo
nn
> 0, su un reticolo cristallino (la distorsione `e
esagerata per motivi graci)
Una componente non normale del vettore tensione `e chiamata tensione di taglio (shear
stress) o tensione tangenziale (tangential stress). Le tensioni tangenziali esercitano sulle
coppie di atomi che si trovano a cavallo della faccia azioni che tendono a spostarli in
una direzione appartenente alla faccia stessa. Leetto delle tensioni tangenziali `e pertanto
quello di far scorrere (o scivolare) gli strati atomici parallelamente al piano su cui agiscono. Si
tratta quindi di azioni simili a quelle prodotte dalle forze di attrito sugli atomi collocati sulla
supercie esterna di due corpi in contatto. Leetto prodotto su un cristallo i cui atomi sono
disposti secondo una geometria quadrata `e schematizzato in gura 12.10. Si osserva quindi una
distorsione che trasforma i quadrati in parallelogrammi (o rombi) con una conseguente modica
degli angoli retti. Tale eetto deformativo ricorda quello che si produce in un mazzo di carte da
gioco tramte una piccola e regolare traslazione relativa delle carte.
Anche le componenti tangenziali della tensione sono peculiari dei solidi perche i uidi non
possono esercitarle, almeno quando sono in condizioni di quiete. Infatti, se non vi fossero
332
12.2. IL VETTORE TENSIONE
B
n
r
B
(a)
(b)
Figura 12.10: Eetto distorcente (schematizzato) di una componente tan-
genziale tipo
rn
su un reticolo cristallino (distorsione esagerata per motivi
graci)
legami cristallini in grado di esercitare una azione coesiva (in particolare le molle a 45

), le
componenti tangenziali indurrebbero uno scorrimento indenito degli strati atomici. Questo
`
`e
in eetti il fenomeno che si manifesta nei uidi nei quali le molecole scorrono luna sullaltra
nche sono soggette a componenti tangenziali e trovano lequilibrio solo quando tali componenti
si annullano. I solidi, al contrario, mostrano una certa capacit`a di sopportare le tensioni
tangenziali, sempre entro limiti caratteristici del materiale, senza che i legami del reticolo
siano compromessi. Come avviene per le componenti normali, quando tali limiti sono superati,
alcuni legami atomici si rompono e i piani cristallini scorrono signicativamente luno sullaltro
spostandosi di quantit`a pari a multipli interi alla distanza interatomica. In tali circostanze il
solido manifesta un comportamento che, sotto vari aspetti, `e simile a quello di un uido e le
distorsioni prodotte nel reticolo hanno caratteristiche di irreversibilit`a (plasticit`a o viscosit`a).
Nelle comuni applicazioni strutturali questi processi deformativi che alterano permanentemente
la forma degli elementi strutturali non sono tollerabili.
In genere, per i materiali considerati nel presente corso, gli eetti prodotti dalle componenti
tangenziali della tensione non dipendono:
dal segno,
e dalla direzione su cui agiscono.
Come conseguenza, le direzioni dei versori r e q e il loro verso sono generalmente irrilevanti e
risulta di interesse solo lintensit`a complessiva delle tensioni tangenziali. La seguente relazione:
( n) =
_

2
rn
+
2
qn
(12.13)
fornisce il modulo della componente tangenziale agente sulla faccia normale a n. Il modulo della
componente tangenziale pu`o essere pi` u facilmente calcolato anche senza introdurre i versori del
piano tangente usando la sola conoscenza normale n. Infatti `e possibile sottrarre al vettore

t ( n)
la sua componente
nn
n:
( n) = [t ( n)
nn
n[ = [t ( n) (t ( n) n) n[ (12.14)
Il vettore tensione agente in un punto su una faccia con generica normale n `e caratterizzato
pertanto dalla componente normale
nn
, a cui sono associati eetti deformativi di allontana-
mento o di avvicinamento dei piani cristallini, e dalla componente tangenziale ( n) a cui sono
333
12. LO STATO DI TENSIONE
associati eetti deformativi di scorrimento. Quando la direzione n `e implicita, per semplicit`a di
notazione la componente normale viene spesso indicata con e quella tangenziale con . Nella
gura 12.11 sono rappresentate in forma convenzionale le varie componenti del vettore tensione
nel sistema locale. Si osservi che per le componenti normali `e stata usata la consueta freccia
cilindrica mentre per le componenti tangenziali una freccia a nastro che ne evidenzia lazione
statica.
( )
n
r
q
rn

qn

nn

n
r
q
rn

qn

nn

n
r
q
nn

n
( )
n
(a)
(b) (c)
( )
t n
G
Figura 12.11: Rappresentazione delle componenti del vettore tensione: a)
nel sistema locale, b) in tutte le sue componenti, e c) nelle sue componenti
normali e tangenziale
12.3 Il modello matematico dello stato di tensione
12.3.1 Lo stato di tensione non `e una grandezza vettoriale
Dalla discussione del paragrafo precedente potrebbe sembrare che a ogni punto B sia asso-
ciabile un vettore tensione

t (per esempio tramite le sue componenti e ) e quindi che lo stato
di coazione di un corpo solido sia riconducibile a un campo vettoriale, in modo analogo, per
esempio, a un campo di forze o di velocit`a. La situazione `e in eetti pi` u complessa, dato che,
se per lo stesso punto B si considera unaltra normale

n

,= n, si ottiene un vettore tensione


diverso:

t
_

_
,=

t ( n). La circostanza tra i due vettori `e stata infatti esplicitata evidenziando
la dipendenza da n di tutti i quanticatori nora introdotti per denire la coazione: il vettore
tensione

t ( n) e le sue componenti scalari locali
nn
e ( n). In eetti, se si cambia la normale
n, le molle interessate dalla recisione ideale sono diverse e pertanto `e anche intuibile che il
corrispondente vettore tensione risulti diverso. La dierenza non `e solo nel suo aspetto che
potrebbe dipendere dal semplice cambiamento degli assi del sistema locale, ma `e proprio sica.
Due vettori tensione ottenuti nello spesso punto su due giaciture distinte sono infatti dierenti
in intensit`a, direzione e verso. Fissata una normale n, il vettore

t ( n) evidenzia quindi solo una
(molto) parziale propriet`a dello stato di tensione locale perche quantica lazione mutua che si
scambiano soltanto i due strati atomici separati dal piano normale a n. Dato che nel generico
punto B vi sono
2
piani distinti e per ognuno di essi `e denibile il corrispondente vettore
tensione, lo stato di tensione in un punto `e caratterizzabile da non meno di
2
vettori tensione,
uno per ogni distinta giacitura. Tutte queste mutue azioni sono trasmesse dal materiale che si
trova in corrispondenza di B e quindi lo studio degli eetti della tensione non pu`o prescindere
da questa complessit`a. Possiamo concludere che:
334
12.3. IL MODELLO MATEMATICO DELLO STATO DI TENSIONE
lo stato di tensione in un punto `e linsieme di tutti gli
2
vettori tensione

t ( n) o,
pi`u rigorosamente, limmagine del dominio di

t ( n) quando n spazza tutte le direzioni
dello spazio.
Dato che, come anticipato, il segno e la direzione delle componenti tangenziali sono inin-
uenti, considerando signicativa solo la componente
nn
e la risultante ( n), la precedente
denizione pu`o essere leggermente semplicata:
lo stato di tensione in un punto `e linsieme delle coppie di scalari
nn
e ( n) (in
genere
2
), una coppia per ogni versore n.
Le precedenti denizioni evidenziano la necessit`a di ottenere per lo stato di tensione una
rappresentazione che condensi in un numero nito di informazioni le caratteristiche di
2
campi vettoriali contemporaneamente attivi. Il prossimo paragrafo descrive in che modo questo
problema sia stato arontato e risolto seguendo limpostazione proposta da Augustin Cauchy
nel 1821.
12.3.2 Il parallelepipedo elementare e il suo schema di corpo libero
Per comprendere la denizione di tensione data da Cauchy, `e utile esaminare le azioni
agenti su un elemento innitesimo di volume che rappresenta il costituente del corpo continuo.
Una analogia per il presente ragionamento pu`o essere ricercata nellesame meccanico del concio
elementare del capitolo 9 che costituisce lelemento costitutivo per le travi. Deniamo un
sistema di riferimento cartesiano ortonormale con assi x, y, z (o x
1
, x
2
, x
3
) e versori

i,

j e

k
ed estraiamo idealmente un parallelepipedo innitesimo di centro B con spigoli paralleli agli
assi coordinati, come mostrato in gura 12.12. Il parallelepipedo elementare presenta sei facce
Figura 12.12: Parallelepipedo innitesimo di centro B
rettangolari innitesime, nella gura 12.12 le tre facce positive (ovvero che hanno normale
esterna al parallelepipedo equiversa a uno degli assi del sistema) sono in vista mentre le tre
facce negative si vedono in trasparenza. Con i pedici identichiamo le giaciture delle facce e le
grandezze associate (il pedice 1 `e riferito al primo versore, 2 al secondo e 3 al terzo) mentre con
lapice (+ o ) distinguiamo le facce positive e negative. Per esempio d

2
`e la faccia che ha
normale esterna

j. Nella gura 12.12 sono evidenziate le facce d


+
1
e d

1
che hanno normali
parallele al primo asse, entrambe aventi area dA
1
= dy dz. Le azioni agenti sul parallelepipedo,
necessarie per tracciarne lo schema di corpo libero, sono:
forze di volume, applicate su tutti gli atomi del parallelepipedo
forze di supercie applicate sugli atomi localizzati sulle sei facce.
335
12. LO STATO DI TENSIONE
Le forze di volume sono tipicamente il peso proprio e, se il sistema di riferimento non `e inerzia-
le, le forze dinerzia, mentre le forze di supercie sono le interazioni elettromagnetiche a corto
raggio esercitate sugli atomi posti sulla frontiera del parallelepipedo, ovvero sono quanticate
dai vettori tensione delle sei facce. Date le dimensioni innitesime del corpo in esame, `e corretto
assumere che il peso e le forze dinerzia siano uniformemente distribuite sul volume del paral-
lelepipedo e le interazioni elettromagnetiche siano uniformemente distribuite sullarea di ogni
singola faccia. Da questa considerazione deriva che, ai ni dellequilibrio del parallelepipedo ele-
mentare, le forze di volume possono essere trascurate. Infatti la risultante delle forze di volume
`e innitesima di ordine 3 in dx
i
mentre le risultanti delle forze di supercie sono innitesime di
ordine 2. Questa discussione sugli innitesimi sar`a approfondita in un prossimo paragrafo. Lo
schema di corpo libero del parallelepipedo elementare `e pertanto completamente denito da 6
vettori tensione, ognuno agente su una faccia.
Consideriamo le due facce opposte di gura 12.12, i relativi vettori tensione su di esse agenti
sono diversi per due motivi:
si tratta di sezioni poste in posizioni diverse
le loro normali esterne sono opposte.
La prima dierenza pu`o essere trascurata, almeno per ora, dato che le due facce distano di
una quantit`a innitesima (dx) e quindi che il vettore tensione subisce al pi` u una variazione
innitesima passando da una allaltra. In base a tale considerazione, la seconda dierenza pu`o
essere considerata in modo semplice, applicando il terzo principio:

t
_

i
_
=

t
_

i
_
Pertanto possiamo aermare che, a meno di dierenze innitesime, il vettore tensione agente
sulla faccia d

1
ha la stessa intensit`a, la stessa direzione e verso opposto rispetto al vettore
tensione agente sulla faccia d
+
1
.
Ripetendo il ragionamento per le altre coppie di facce opposte, concludiamo che lo sche-
ma di corpo libero del parallelepipedo innitesimo `e completamente caratterizzato, a meno di
dierenze innitesime, da tre sole coppie di vettori tensione. Lo schema di corpo libero del
parallelepipedo `e evidenziato in gura 12.13a) dove sono rappresentati tutti i vettori tensione:

t
_

i
_
,

t
_

j
_
e

t
_

k
_
sulle facce positive e

t
_

i
_
,

t
_

j
_
e

t
_

k
_
sulle facce negative. Nella
gura 12.13b) sono rappresentati solo i vettori agenti sulle facce positive e quindi le grandezze
che contengono le informazioni necessarie e sucienti per denire lo schema di corpo libero del
parallelepipedo elementare.
12.3.3 Componenti dei vettori tensione: matrice di Cauchy
Dato che il parallelepipedo elementare `e stato orientato con gli spigoli paralleli agli assi,
la terna dei versori del riferimento cartesiano generale pu`o essere usata come terna locale
per ognuna delle tre facce positive del parallelepipedo elementare. Infatti, per ogni faccia
positiva uno dei tre assi rappresenta la normale esterna e gli altri due giacciono sulla faccia.
In coerenza la logica dei pedici denita nel paragrafo precedente per le componenti locali del
vettore tensione, `e possibile rappresentare i tre vettori tensione in componenti nel sistema di
riferimento generale. In particolare si ha:

t
_

i
_
=
_
_

11

21

31
_
_
,

t
_

j
_
=
_
_

12

22

32
_
_
,

t
_

k
_
=
_
_

13

23

33
_
_
336
12.3. IL MODELLO MATEMATICO DELLO STATO DI TENSIONE

k
( )

t i
G
( )

t j
G
( )

t k
G
( )

t i
G
( )

t j
G
( )

t k
G
( )

t i
G
( )

t j
G
( )

t k
G
(a)
(b)
Figura 12.13: Parallelepipedo innitesimo con le azioni signicative agenti
su tutte le facce (a) e solo sulle facce positive (b)
in cui il primo pedice individua la componente cartesiana del vettore tensione (1 `e relativo al
primo versore

i, 2 al secondo

j e 3 al terzo

k) e il secondo pedice individua la direzione normale
della faccia su cui agisce il relativo vettore tensione. Le precedenti componenti possono essere
identicate anche usando come pedici i nomi degli assi:

t
_

i
_
=
_
_

xx

yx

zx
_
_
,

t
_

j
_
=
_
_

xy

yy

zy
_
_
,

t
_

k
_
=
_
_

xz

yz

zz
_
_
Dato che i tre vettori tensione sintetizzano le informazioni necessarie e sucienti per
identicare lo schema di corpo libero del parallelepipedo elementare, `e utile raggrupparne
ordinatamente le componenti per formare la matrice di Cauchy:
S =
_

t
_

i
_
,

t
_

j
_
,

t
_

k
__
=
_
_

11

12

13

21

22

23

31

32

33
_
_
(12.15)
Osserviamo che le componenti della matrice di Cauchy (12.15) sono riferite a un denito
sistema di cartesiano e che la matrice si ottiene aancando le tre colonne delle componenti
cartesiane dei vettori tensione agenti sulle facce che hanno normale esterna equiversa agli assi
coordinati. Nella costruzione della matrice di Cauchy `e necessario rispettare lordine e i versi
degli assi: la prima colonna `e relativa al vettore tensione agente sulla prima faccia positiva,
ecc. . . .
Esempio 12.1: Signicato dei termini della matrice di Cauchy
Tracciare lo schema di corpo libero di un parallelepipedo innitesimo con spigoli paralleli
agli assi evidenziando solo le seguenti componenti di tensione (valori in MPa):
a)
22
= 30 ; b)
33
= 60 ; c)
12
= 30 ; d)
21
= 30 ; e)
31
= 60
Nelle seguenti gure le componenti di tensione proposte sono rappresentate con il
parallelepipedo in assonometria e in proiezioni ortogonali.
337
12. LO STATO DI TENSIONE
22
30MPa =

j
30MPa
30MPa
30MPa
30MPa
Figura 12.14: Caso a :
22
= 30 MPa
33
60MPa =

j
60MPa
60MPa
60MPa
60MPa
Figura 12.15: Caso b :
33
= 60 MPa
12
30MPa =

j
30MPa
30MPa
Figura 12.16: Caso c :
12
= 30 MPa
338
12.3. IL MODELLO MATEMATICO DELLO STATO DI TENSIONE
21
30MPa =

j
30MPa
30MPa
30MPa
30MPa
Figura 12.17: Caso d :
21
= 30 MPa
31
60MPa =

k
60MPa
60MPa
60MPa
60MPa
Figura 12.18: Caso e :
31
= 60 MPa
Dato che la matrice di Cauchy denisce le azioni agenti sullelemento innitesimo, la con-
dizione di equilibrio del generico parallelepipedo elementare dipende apparentemente dalle 9
quantit`a scalari:
ij
(con i, j = 1, 2, 3). Ci chiediamo: `e possibile assegnare arbitrariamente il
valore delle componenti della matrice di Cauchy e ottenere uno stato di tensione equilibrato
per il parallelepipedo elementare?
`
E importante chiarire che la domanda non riguarda il livello
delle tensioni, ovvero non siamo interessati (almeno per ora) a vericare se lo stato di tensione
sia sopportabile dal reticolo senza produrre danno. La questione `e di natura pi` u profonda, si
tratta di stabilire se una scelta arbitraria delle componenti della matrice S possa costituire una
violazione della condizione fondamentale di equilibrio del parallelepipedo. Considerando due
facce opposte, `e immediato vericare (vedi gura 12.13a) che i relativi vettori tensione costi-
tuiscono una coppie di forze e quindi che necessariamente il parallelepipedo `e in equilibrio alla
traslazione in ogni direzione. Questa conclusione `e chiaramente vericata per qualsiasi terna di
vettori

t
_

i
_
,

t
_

j
_
,

t
_

k
_
sia scelta. Lequilibrio alla rotazione non `e per`o altrettanto scontato,
visto che le coppie di forze agenti sulle facce opposte potrebbero avere di braccio non nullo e
quindi generare un momento complessivo netto. Consideriamo, per semplicit`a di rappresenta-
zione graca, la componente z delleventuale momento risultante. A tale scopo, nella gura
12.19a) `e mostrato il parallelepipedo elementare visto da z e, sempre per semplicit`a ma senza
perdere in generalit`a, sono rappresentate le sole componenti di tensione che possono contribuire
alla componente z del momento risultante. Le tensioni normali sono riconducibili a coppie di
339
12. LO STATO DI TENSIONE
braccio nullo, come `e evidente in gura 12.19b), per cui per lequilibrio alla rotazione attorno a
z sono interessanti solo le componenti tangenziali rappresentate nella gura 12.19c).
Figura 12.19: Schema per lequilibrio alla rotazione del parallelepipedo ele-
mentare: a) schema di corpo libero visto da z , b) risultanti applicate ai
centri di spinta delle facce, c) in evidenza solo le componenti signicative per
il momento attorno a z (Q il polo)
Assunto il vertice Q come polo, considerando che due delle quattro componenti tangenziali
hanno braccio nullo, la componente z del momento vale quindi:
dM
z
= (
12
dxdz) dy + (
21
dydz) dx = (
21

12
) dV (12.16)
dove `e stato indicato con dV = dxdydz il volume del parallelepipedo. La scelta del polo Q `e
ovviamente ininuente in quanto il sistema di forze ha risultante nulla. Siccome il volume del
parallelepipedo `e arbitrario ma non nullo e allequilibrio la componente del momento espressa
dalla relazione (12.16) deve annullarsi per la seconda cardinale, vale la relazione:

12
=
21
(12.17)
Considerando tutte le condizioni indipendenti di equilibrio alla rotazione, si ottengono
analoghe relazioni per le altre coppie di pedici, quindi in generale deve essere:

ij
=
ji
(12.18)
per ogni i, j = 1, 2, 3. La relazione (12.18) pu`o anche essere scritta come:
S = S
T
(12.19)
pertanto concludiamo che il rispetto della seconda cardinale impone la simmetria della matrice
di Cauchy. Per questo la matrice di Cauchy sar`a spesso rappresentata come segue:
S =
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
(12.20)
340
12.3. IL MODELLO MATEMATICO DELLO STATO DI TENSIONE
Sono pertanto 6 le componenti che deniscono i tre vettori tensione agenti sulle facce del
parallelepipedo elementare nel sistema di riferimento dei suoi spigoli e quindi sono 6 le quantit`a
scalari indipendenti necessarie e sucienti per rappresentare il suo schema di corpo libero.
Dato che deriva in modo immediato dalle condizioni di equilibrio, la simmetria della matrice
di Cauchy `e una propriet`a fondamentale, universalmente valida per tutti i continui (solidi
e uidi), per tutti i tipi di sollecitazione, in ogni istante, sia in condizioni di quiete sia in
condizioni di moto. La simmetria della matrice di Cauchy rende indistinguibili le componenti
tangenziali con i pedici invertiti. Dal punto di vista sico ci`o implica che non si pu`o manifestare
una componente di tensione fuori diagonale senza che si manifesti anche la simmetrica. Per
esempio, non pu`o esistere uno stato di tensione con
12
= 10 MPa e
21
= 0. La permutabilit`a
dei pedici consente di formare la matrice di Cauchy invece che aancando ordinatamente i
vettori colonna (relazione (12.15)), sovrapponendo vettori tensione riga (sempre comunque nel
rispetto dellordine degli assi):
_
_
_
_
_
_
_

t
_

i
__
T
_

t
_

j
__
T
_

t
_

k
__
T
_
_
_
_
_
_
In eetti altri testi usano questultima denizione ma ci`o non comporta alcuna dierenza ne
sostanziale ne formale per quanto riguarda la matrice S e la sua interpretazione. Tuttavia,
nellambito del presente corso useremo sempre la denizione (12.15), per cui il primo pedice `e
riferito alla componente della tensione e il secondo alla normale della faccia su cui la componente
agisce.
Si pu`o vericare che nel caso in cui il momento per unit`a di supercie non sia da ritenersi
nullo, la matrice di Cauchy perde la simmetria. Per i solidi polari `e generalmente
ij
,=
ji
se
i ,= j, tuttavia, come anticipato, tali modelli non saranno trattati nel corso.
Esercizio 12.1: Rappresentazione di matrici di Cauchy
Tracciare lo schema di corpo libero di parallelepipedi elementari sui quali agiscono le
seguenti matrici di Cauchy (valori in MPa)
_
_
10 0 20
20 0
Sym 0
_
_
_
_
0 40 0
0 0
Sym 0
_
_
_
_
10 0 0
10 0
Sym 40
_
_
12.3.4 Il tetraedro di Cauchy e le condizioni di equilibrio
La matrice S determina lo schema di corpo libero del parallelepipedo elementare in un
generico punto B evidenziando i vettori tensione agenti sulle facce coordinate. Tuttavia lo stato
di tensione pu`o essere considerato noto se si conosce il vettore tensione per ogni giacitura.
Cauchy ha per`o mostrato che il vettore tensione agente su una generica giacitura di normale
n, anche se non direttamente espresso dalla matrice S, pu`o essere ottenuto da questa con una
semplice elaborazione.
In un dato sistema di riferimento cartesiano rappresentiamo le componenti
ij
della matrice
di Cauchy S, le componenti n
i
della normale n alla faccia sulla quale agisce il vettore tensione

t ( n) le cui componenti t
i
devono essere determinate (sempre riferite ai soliti assi). In forma di
componenti i due vettori sono espressi dalle matrici colonne:
341
12. LO STATO DI TENSIONE
n =
_
_
n
1
n
2
n
3
_
_
e

t ( n) =
_
_
t
1
t
2
t
3
_
_
Come mostrato in gura 12.20, dato n, `e sempre possibile tagliare il parallelepipedo elementare
con un piano avente normale n in modo da isolare un solido di forma tetragonale, chiamato
tetraedro di Cauchy, avente volume innitesimo non nullo. Il tetraedro di Cauchy ha tre
facce coordinate e la quarta, che chiamiamo per semplicit`a faccia obliqua, che ha normale ester-
na n. Dalla gura 12.21 si deduce che ognuna delle facce coordinate `e la proiezione ortogonale
Figura 12.20: Esempi di estrazione di tetraedri di Cauchy dal parallelepipedo
elementare
nel sistema di riferimento dato della faccia obliqua. Indichiamo con d
n
la faccia obliqua del
tetraedro (normale a n) e con d
1
, d
2
e d
3
, `e le facce coordinate usando, come ormai con-
suetudine, il pedice numerico per identicare la normale alla faccia stessa. Per non appesantire
la notazione lapice (+ o ) che individua se la faccia proiettata `e positiva o negativa `e omes-
so. Per inciso si osservi che nel caso della gura 12.21 le facce proiettate sono tutte negative.
Indicando con dA
n
larea della faccia d
n
e con dA
i
larea della generica faccia proiettata d
i
Figura 12.21: Identicazione delle facce per il generico tetraedro di Cauchy
(i = 1, 2, 3), vale la relazione:
dA
i
= [n
i
[ dA
n
(12.21)
Infatti, con riferimento alla gura 12.22, i triangoli P, S, Q (d
3
) e P, R, Q (d
n
) hanno in
comune il lato di base PQ mentre le altezze relative alla base comune sono rispettivamente HS
e HR. Laltezza del triangolo proiettato `e la proiezione dellaltezza del triangolo obliquo per
cui:
dA
3
=
1
2
[PQ[ [RH[ cos = dA
n
cos
342
12.3. IL MODELLO MATEMATICO DELLO STATO DI TENSIONE
inne, dato che il vettore HR e la normale n sono perpendicolari cos` come HS e

k, `e uguale
allangolo formato da n con lasse z e quindi, per denizione cos = n
3
, essendo n
3
il terzo
coseno direttore di n.
Nel caso rappresentato in gura 12.21 tutte le componenti della normale n sono positive per
cui il valore assoluto nellespressione (12.21) `e inutile per cui la relazione si pu`o semplicare:
dA
i
= n
i
dA
n
(12.22)
Figura 12.22: Proiezione della faccia d
3
Il tetraedro di Cauchy `e un sottocorpo del parallelepipedo elementare pertanto:
le forze di volume sono trascurabili rispetto alle forze di supercie
essendo il parallelepipedo in equilibrio, per il principio di Eulero, anche il tetraedro `e in
equilibrio
essendo il tetraedro un volume innitesimo, la tensione esercitata su ciascuna delle sue
facce pu`o essere considerata uniformemente distribuita e quindi caratterizzata dal relativo
vettore tensione.
Pertanto risulta agevole scrivere la prima cardinale per lequilibrio alla traslazione del tetraedro
di Cauchy:

t ( n) dA
n
+

t
_

i
_
dA
1
+

t
_

j
_
dA
2
+

t
_

k
_
dA
3
= 0
in cui `e stato considerato che, nella situazione di gura 12.21, le facce proiettate d
i
(i =
1, 2, 3) sono negative essendo la loro normale esterna opposta ai versori principali del sistema
cartesiano. Applicando la relazione (12.6) che esprime il terzo principio, dividendo ambo i
membri per dA
n
(operazione lecita essendo dA
n
> 0) e considerando la relazione (12.22), si
ottiene la seguente fondamentale uguaglianza:

t ( n) =

t
_

i
_
n
1
+

t
_

j
_
n
2
+

t
_

k
_
n
3
(12.23)
Consideriamo ora le situazioni in cui la normale n ha anche componenti negative. Nel caso
di gura 12.20b) in cui n
1
> 0, n
2
< 0 e n
3
> 0 le relazioni (12.21) diventano:
dA
1
= n
1
dA
n
dA
2
= n
2
dA
n
dA
3
= n
3
dA
n
in questo caso per`o la facce proiettata d
2
`e positiva (la normale esterna `e equiversa allasse)
per cui la prima cardinale per il tetraedro si scrive come segue:

t ( n) dA
n
+

t
_

i
_
dA
1
+

t
_

j
_
dA
2
+

t
_

k
_
dA
3
= 0
343
12. LO STATO DI TENSIONE
Il segno negativo necessario nella relazione che lega larea della sezione proiettata alla relativa
componente di n `e quindi compensato dal cambio di segno del versore normale alla faccia
relativa. Questa considerazione dimostra quindi la validit`a generale della relazione (12.23) che
non dipende dal sistema di riferimento, il quale potrebbe essere anche sinistrorso, o dalla scelta
di n.
La relazione (12.23) si pu`o esprimere in questo modo:
il vettore tensione agente su una generica faccia normale a n si ottiene come combi-
nazione lineare dei vettori tensioni agenti sulle facce coordinate positive del tetraedro
elementare usando come coecienti le componenti del versore normale esterno alla
faccia stessa.
La relazione (12.23) pu`o essere sviluppata in componenti cartesiane:

t ( n) =
_
_

11

21

31
_
_
n
1
+
_
_

12

22

32
_
_
n
2
+
_
_

13

23

33
_
_
n
3
ed `e esprimibile anche come prodotto matriciale righe per colonne:

t ( n) =
_
_

11

21

31

12

22

32

13

23

33
_
_
_
_
n
1
n
2
n
3
_
_
= S n (12.24)
Esempio 12.2: Identicazione delle forze su un elemento di volume
Data la matrice di Cauchy (valori in MPa) :
S =
_
_
40 30 20
10 0
Sym 50
_
_
determinare i vettori tensione e valutare le componenti normali e i moduli delle componenti
tangenziali che agiscono sulle facce le cui normali sono:
a) la trisettrice del primo ottante
b) il vettore (1, 3, 4)
T
c) Vericare inoltre che il vettore tensione agente sul piano normale a
(0.253, 0.167, 0.953)
T
ha componente tangenziale trascurabile.

Risposta a)
Il versore della trisettrice `e:
n =
1

3
_
_
1
1
1
_
_
344
12.3. IL MODELLO MATEMATICO DELLO STATO DI TENSIONE
da cui per la (12.21) il vettore tensione espresso nello stesso sistema di riferimento ha
componenti (valori in MPa):

t =
_
_
28.9
11.55
40.4
_
_
Le componenti di

t sono:
= 0.0 e = 50.90MPa
Questo risultato evidenzia che gli strati di atomi a cavallo di questo piano si scambino una
azione solamente tangenziale. Il modulo del vettore tensione vale

= 50.9 MPa.
Risposta b)
n =
1

26
_
_
1
3
4
_
_
=
_
_
0.196
0.588
0.784
_
_
pertanto il vettore tensione:

t =
_
_
41.2
0
35.3
_
_
ha componenti locali:
= 19.62 MPa e = 50.6 MPa
Gli strati di atomi separati da questo piano si scambiano una componente di taglio e una
azione normale compressiva. Il modulo del vettore tensione vale

= 54.2 MPa.
Lesempio dimostra che, come anticipato, nello stesso punto vettori tensione agenti su facce
distinte sono eettivamente diversi e che, in genere, modicando n,

t cambia anche in modulo,
oltre in direzione e verso.
12.3.5 Le caratteristiche del vettore tensione ottenute dalla matrice di Cau-
chy
Quando `e nota la matrice di Cauchy in un punto, sfruttando la relazione (12.24)

t ( n) = S n `e
possibile ottenere tutte le propriet`a dello stato tensione in quel punto.
`
E opportuno soermarsi
sulle seguenti generali considerazioni valide per ogni stato di tensione agente nel generico punto
B.
Interpretando

t ( n) come una funzione vettoriale denita nel dominio delle giaciture di
tutti i piani che passano per B, limmagine del dominio rappresenta proprio lo stato di
tensione.
La legge

t ( n) = S n che fornisce il vettore tensione per ogni giacitura pu`o essere consi-
derata anche come una trasformazione lineare tra le componenti di

t e le componenti del
versore normale alla supercie.
La matrice di Cauchy S raccoglie quindi in forma ordinata i coecienti della legge lineare
che trasforma il campo vettoriale delle normali nel campo vettoriale dei vettori tensione
applicati alle relative superci.
345
12. LO STATO DI TENSIONE
La matrice S, per quanto raccolga solo le componenti dei tre vettori tensione agenti
sulle facce coordinate positive, contiene tutte le informazioni necessarie e sucienti per
determinare il vettore tensione di una qualunque giacitura.
Possiamo quindi concludere che tutte le propriet`a delle interazioni elettromagnetiche interne
a corto raggio agenti in un punto sono ottenibili tramite semplici manipolazioni algebriche dalla
matrice S. La matrice di Cauchy `e pertanto una rappresentazione dello stato di tensione in un
punto. Il seguito del paragrafo illustra questa aermazione.
Supponiamo che nel punto in esame sia nota la matrice di Cauchy in un denito (qualunque)
sistema di riferimento cartesiano. Tale sistema cartesiano, che in questo contesto chiamiamo
generale, `e impiegato per esprimere in componenti le varie grandezze che saranno determinate.
Su un generico piano ssiamo, come in gura 12.7, una terna cartesiana locale che ha, come
consuetudine, n il versore della normale uscente e r e q i versori nel piano stesso. Il vettore
tensione:

t ( n) = S n
espresso in componenti nel sistema di riferimento generale si scrive quindi come:

t ( n) =
_
_
t
1
t
2
t
3
_
_
=
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
_
_
n
1
n
2
n
3
_
_
la componente normale al piano del vettore tensione

t, ovvero
nn
, si ottiene moltiplicando sca-
larmente il vettore tensione per la normale n. Come `e noto (vedi appendice A), tale operazione
pu`o essere eettuata in componenti eseguendo il prodotto righe per colonne dopo aver trasposto
il primo dei due fattori:

nn
=
_
t
1
t
2
t
3
_
_
_
n
1
n
2
n
3
_
_
=
_
n
1
n
2
n
3
_
_
_
t
1
t
2
t
3
_
_
in forma simbolica:

nn
=

t( n)
T
n = n
T

t( n) (12.25)
Come mostra la relazione (12.25), lordine dei fattori non `e inuente (il prodotto scalare `e
commutativo) mentre `e necessario che il primo fattore sia trasposto allo scopo di eettuare
correttamente il prodotto matriciale. La forma esplicita della tensione normale agente sulla
faccia con normale n `e quindi:

nn
= n
T
S n =
_
n
1
n
2
n
3
_
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
_
_
n
1
n
2
n
3
_
_
(12.26)
che si pu`o ricavare da entrambe le relazioni (12.25) essendo S simmetrica (S = S
T
). Il modulo
della componente tangenziale del vettore tensione si ottiene dalla seguente:
( n) =

S n
_
n
T
S n
_
n

(12.27)
Per separare le singole componenti tangenziali (
rn
e
qn
), si proietta il vettore tensione nelle
direzioni dei versori piani locali:

rn
= r
T

t( n) = r
T
S n =
_
r
1
r
2
r
3
_
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
_
_
n
1
n
2
n
3
_
_
(12.28)
346
12.4. LE PROPRIET
`
A TENSORIALI DELLO STATO DI TENSIONE

qn
= q
T

t( n) = q
T
S n =
_
q
1
q
2
q
3
_
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
_
_
n
1
n
2
n
3
_
_
(12.29)
Nella convenzione adottata,
rn
rappresenta la componente della tensione tangenziale in
direzione r agente sulla faccia normale a n.
`
E interessante rispondere alla domanda: quanto
vale la componente tangenziale in direzione n che agisce sulla faccia normale a r? Quantit`a
che, in base alla solita convenzione, si indica come
nr
. Usando la procedura algebrica appena
sviluppata, la risposta appare immediata, infatti `e suciente invertire r e n nella relazione
(12.28):

nr
= n
T

t( r) = n
T
S r =
_
n
1
n
2
n
3
_
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
_
_
r
1
r
2
r
3
_
_
peraltro, per la simmetria di S, il risultato che si ottiene `e lo stesso della relazione (12.28). In
eetti, essendo
nr
uno scalare, vale lidentit`a:

nr
= (
nr
)
T
e, ricordando che (A B)
T
= B
T
A
T
, si ha:

nr
= (
nr
)
T
=
_
n
T
S r
_
T
= r
T
S
T
n = r
T
S n =
rn
Questo risultato era peraltro prevedibile, essendo conseguenza della condizione di equilibrio alla
rotazione del parallelepipedo elementare. Tale condizione infatti deve `e valere non solo per il pa-
rallelepipedo con spigoli paralleli ai versori del sistema generale

i,

j e

k, peraltro arbitrariamente
assunto, ma anche per il parallelepipedo con gli spigoli diretti come i versori n, r e q.
Si pu`o concludere che, dato un generico stato di tensione in un punto e due facce con normali
i versori r e s tra loro perpendicolari, ovvero tali che:
r
T
s = 0
le componenti tangenziali con pedici rs e rs, chiamate componenti tangenziali reciproche,
devono essere uguali:

rs
=
sr
(12.30)
Questa propriet`a generale dello stato di tensione (valida per tutti i materiali semplici) `e
chiamata legge di reciprocit`a delle tensioni tangenziali e si pu`o esprimere nel modo
seguente:
dato un punto sullo spigolo di un generico diedro retto, le componenti nella direzione
perpendicolare allo spigolo delle tensioni tangenziali agenti sui piani del diedro hanno
la stessa intensit`a e, se non sono nulle, o convergono allo spigolo oppure divergono
da esso.
La gura 12.23 illustra situazioni ammissibili e non ammissibili per le componenti tangenziali
reciproche agenti sulle facce adiacenti di un generico diedro retto.
12.4 Le propriet`a tensoriali dello stato di tensione
12.4.1 Lo stato di tensione per un parallelepipedo ruotato
Sulla base dei risultati ottenuti nel paragrafo precedente, `e possibile risolvere il seguente
problema: data la matrice di Cauchy per un parallelepipedo elementare con spigoli paralleli
347
12. LO STATO DI TENSIONE
Figura 12.23: Tensioni tangenziali reciproche agenti su un diedro retto: a) e
b) schemi in cui la simmetria del tensore di Cauchy `e rispettata, c) e d) situa-
zioni che violano la condizione di equilibrio alla rotazione e che non possono
manifestarsi in un materiale semplice
agli assi, determinare la matrice di Cauchy per un parallelepipedo elementare ruotato rispetto
al primo. La situazione `e esemplicata in gura 12.24 nella quale i parallelepipedi sono stati
rappresentati traslati per motivi di chiarezza graca, ma devono essere considerati centrati nello
stesso punto.
Nella gura 12.24, sono indicati con n, r e q i versori della terna ortonormale che denisce
lorientamento degli spigoli del parallelepipedo ruotato. La matrice di Cauchy da determinarsi
deve contenere le informazioni relative alle componenti dei tre vettori tensione agenti sulle facce
positive del parallelepipedo ruotato, ovvero

t ( n),

t ( r) e

t ( q), che sono ottenibili con le seguenti
relazioni:
Figura 12.24: Parallelepipedo elementare genericamente ruotato

t ( n) = S n

t ( r) = S r

t ( q) = S q
348
12.4. LE PROPRIET
`
A TENSORIALI DELLO STATO DI TENSIONE
Aancando i tre vettori (colonne) secondo la solita procedura, si ottiene la seguente matrice:
S

=
_

t ( n) ,

t ( r) ,

t ( q)
_
(12.31)
che `e stata indicata con S

perche, pur rappresentando lo stesso stato di tensione nello stesso


punto, in genere `e algebricamente diversa da S. Dato che la matrice S

rappresenta lo stato di
tensione agente sulle facce del parallelepipedo ruotato ma in componenti riferite agli assi iniziali
di versori

i,

j e

k, non risulta di immediata interpretazione. In particolare, pur valendo anche
per le facce del cubetto ruotato la legge di reciprocit`a delle tensioni tangenziali, la matrice S

non `e simmetrica. Per convincersene, basta scrivere per esteso la relazione (12.31):
S

= S
_
_
n
1
r
1
q
1
n
2
r
2
q
2
n
3
r
3
q
3
_
_
(12.32)
e vericare che, se il parallelepipedo `e eettivamente ruotato, la matrice dei versori `e unitaria,
pertanto, se S `e simmetrica S

non pu`o esserlo.


Dal punto di vista dellinterpretazione, risulta invece molto pi` u signicativo esprimere le
componenti dei vettori tensione agenti sulle facce del parallelepipedo ruotato nel sistema di
riferimento locale denito dai versori degli spigoli stessi. Questo comporta di esprimere le
componenti locali dei vettori tensione agenti sulle singole facce e quindi di ripetere, per ogni
faccia e per ogni componente, il calcolo eettuato nel paragrafo precedente. Si ottiene in tal
modo una nuova matrice che indichiamo come:

S =
_
_

nn

nr

nq

rr

rq
Sym
qq
_
_
(12.33)
la quale, per la legge di reciprocit`a delle tensioni tangenziali, `e simmetrica. La matrice

S
`e una nuova rappresentazione dello stato di tensione nel punto esaminato, infatti contiene le
informazioni sullo stato di tensione delle facce di un parallelepipedo centrato nel punto.
Sottolineiamo che, per quanto rappresentino lo stesso stato di tensione, le tre matrici S, S

S sono eettivamente distinte, salvo casi particolari che saranno discussi in seguito. La matrice

S dierisce da S

perche le sue componenti rappresentano gli stessi vettori ma riferiti ad assi


ruotati. A maggior ragione quindi, la matrice

S `e diversa da S perche contiene vettori agenti
su facce ruotate in un riferimento cartesiano diverso. Per ulteriore chiarimento, nella gura
12.25 `e mostrato il signicato geometrico della prima colonna delle matrici S

e

S, ovvero le
componenti del vettore tensione agente sulla faccia normale a n proiettato sulle terne generale
e locale rispettivamente.
`
E utile raccogliere in ununica espressione le operazioni con cui `e stata ottenuta la matrice
nale

S. Valgono le seguenti relazioni (generalizzazione delle (12.26), (12.28) e (12.29)) :

S =
_
_
n
1
r
1
q
1
n
2
r
2
q
2
n
3
r
3
q
3
_
_
T
S

=
_
_
n
1
r
1
q
1
n
2
r
2
q
2
n
3
r
3
q
3
_
_
T
S
_
_
n
1
r
1
q
1
n
2
r
2
q
2
n
3
r
3
q
3
_
_
(12.34)
A dierenza di S

, le componenti della matrice



S hanno una evidente interpretazione sica:

S `e la matrice di Cauchy del punto in esame quando si adotta il riferimento cartesiano con
versori n, r e q. Per questo motivo

S, come S, deve essere simmetrica e i suoi termini possono
essere direttamente identicati come componenti normali e tangenziali delle azioni agenti sulle
facce positive del parallelepipedo ruotato.
349
12. LO STATO DI TENSIONE

k
( )
t n
G
*
21

*
11

*
31

( )
21 rn
=
( )
11 nn
=
( )
31 qn
=
(a)
(b)
n
r
q
r
q
n

k
( )
t n
G
( )
t n
G
Figura 12.25: Signicato di alcune componenti delle prime colonne delle
matrici S

e

S, proiezioni del vettore

t ( n): a) sugli assi di versori

i,

j,

k e b)
sugli assi locali di versori n, r e q
Le matrici S, S

e

S sono quindi forme, pi` u o meno utili e signicative, che rappresentano in
modo completo il medesimo stato di tensione. Si noti per`o che, per interpretarne correttamente
i componenti, ovvero in modo da ottenere da esse i vettori tensione, `e necessario aver denito il
sistema di assi rispetto al quale sono espresse le componenti del vettore tensione e degli spigoli
del parallelepipedo elementare. Questa variabilit`a nella rappresentazione in componenti dello
stesso stato di tensione non deve sorprendere, `e sempre opportuno ricordare che lo stato di
tensione rappresenta una collezione di
2
vettori tensione i quali possono essere rappresentati
in sistemi di riferimento diversi.
Esempio 12.3: Matrice di Cauchy
Data la matrice di Cauchy nel sistema di riferimento generale (valori in MPa):
S =
_
_
60 30 20
30 20 50
20 50 10
_
_
e un parallelepipedo con spigoli:
il primo in direzione (1, 2, 5)
T
il secondo sul piano x y,
350
12.4. LE PROPRIET
`
A TENSORIALI DELLO STATO DI TENSIONE
determinare le matrici S

e

S per il parallelepipedo elementare ruotato, rispettivamente nel
sistema originario e nel sistema locale.
Determiniamo i versori degli spigoli nel sistema dato:
n =
1

30
_
_
1
2
5
_
_
=
_
_
0.183
0.365
0.913
_
_
r =
1

a
2
+b
2
_
_
a
b
0
_
_
con a e b tali che sia: r n = 0. Delle due soluzioni ne scegliamo una:
r =
_
_
0.894
0.447
0
_
_
da cui il versore del terzo spigolo:
q = n r =
_
_
0.408
0.816
0.408
_
_
e quindi i vettori tensione nel sistema originario:
S

= S ( n, r, q) =
_
_
60 30 20
30 20 50
20 50 10
_
_
_
_
0.183
0.365
0.913
0.894
0.447
0
0.408
0.816
0.408
_
_
=
=
_
_
40.17 40.25 40.83
43.82 35.78 24.50
12.78 4.47 53.07
_
_
e i vettori tensione nel sistema degli spigoli:

S = ( n, r, q)
T
S

=
_
_
35 16.33 46.96
16.33 20 47.47
46.96 47.47 25
_
_
12.4.2 Legge di trasformazione per rotazione e denizione di tensore
Allo scopo di evidenziare le propriet`a della grandezza sica tensione, `e fondamentale esami-
nare il modo con cui le componenti della matrice di Cauchy cambiano in conseguenza di una
rotazione del sistema di riferimento (gura 12.26). La questione pu`o essere formulata in questo
modo: data una matrice di Cauchy S, che denisce lo stato di tensione di un parallelepipedo
elementare rispetto a un sistema di riferimento

i,

j,

k, e una terna di assi con versori

i

,

j

,

k

351
12. LO STATO DI TENSIONE
ottenuta per rotazione rigida dalla terna precedente, ricavare la matrice di Cauchy S

nel nuovo
sistema.
Figura 12.26: Rotazione del sistema di assi
Si tratta del medesimo problema risolto nel precedente paragrafo in cui `e stata ottenuta
la matrice

S.
`
E per`o opportuno eettuare qualche formale modica dei simboli per precisare
alcune convenzioni. Come spiegato nellappendice A, il sistema di riferimento ruotato `e denito
in modo univoco dalla matrice di trasformazione (o di rotazione) che contiene le componenti dei
versori nuovi, ordinati e aancati in colonna, espressi nelle coordinate originarie:
L =
_

_
=
_
_
l
11
l
12
l
13
l
21
l
22
l
23
l
31
l
32
l
31
_
_
(12.35)
La matrice di rotazione `e unitaria: L
T
= L
1
e det (L) = 1. La matrice di Cauchy nel nuovo
sistema di coordinate, che indicheremo in modo naturale come S

, `e la collezione ordinata
delle componenti dei vettori tensione, rappresentati nel sistema nuovo, che agiscono sulle facce
del parallelepipedo con spigoli paralleli ai nuovi assi. Per ottenere S

applichiamo pertanto la
formula (12.34), considerando che la matrice L ha lo stesso signicato della matrice dei versori
degli spigoli ( n, r, q). Vale quindi la seguente fondamentale relazione:
S

= L
T
S L (12.36)
Poiche la matrice di Cauchy `e la collezione completa delle componenti scalari dello stato
di tensione, la relazione (12.36) pu`o essere considerata come la dimostrazione formale del fatto
che la tensione non `e una grandezza vettoriale. Infatti, come dimostrato nella appendice
A, le componenti di una grandezza vettoriale si modicano in conseguenza di una rotazione del
sistema di riferimento con una legge che prevede una singola moltiplicazione per la matrice L.
Per esempio, se consideriamo il versore normale a una faccia, oppure il vettore tensione agente
su una faccia, che nel sistema originario sono rappresentati rispettivamente come n e

t, nel
sistema nuovo le loro componenti diventano:
n

= L
T
n (12.37)

= L
T

t (12.38)
La relazione (12.36) dimostra che S esprime una grandezza tensoriale (tensor quantity)
o, pi` u brevemente, un tensore (tensor). Per la precisione, la tensione in un punto `e un
tensore cartesiano simmetrico del secondo ordine. Possiamo infatti assumere la seguente prima
denizione generale di tensore o grandezza tensoriale:
352
12.4. LE PROPRIET
`
A TENSORIALI DELLO STATO DI TENSIONE
un tensore cartesiano del secondo ordine `e una quantit`a le cui componenti si
modicano per una rotazione degli assi in conformit`a con la relazione (12.36).
La matrice di Cauchy S `e pertanto la rappresentazione in componenti nel sistema

i,

j,

k del
tensore delle tensioni (stress tensor) o tensore di Cauchy mentre la matrice S

`e la
rappresentazione dello stesso tensore nel sistema

i

,

j

,

k

.
La nozione di tensore `e basilare nella Meccanica dei Continui, nel seguito del corso saran-
no infatti introdotte varie altre grandezze tensoriali, ma i tensori sono strumenti fondamentali
anche in molte importanti branche della Matematica e della Fisica, tra cui la Geometria Die-
renziale e la Relativit`a Generale. Lo studio delle propriet`a dei tensori `e pi` u complesso di quello
dei vettori ma lapproccio che si adotta `e simile. In particolare, una grandezza vettoriale pos-
siede caratteristiche intrinseche comuni a tutti, indipendentemente dalla natura della grandezza
sica o geometrica che rappresenta. Per esempio, ogni vettore possiede una intensit`a e ha carat-
teristiche di direzione e verso. Anche i tensori condividono propriet`a essenziali comuni a tutti e
quindi indipendenti dalla specica grandezza sica rappresentata. Una propriet`a essenziale co-
mune `e proprio espressa dalla (12.36) che denisce la legge generale con cui le componenti di un
qualunque tensore (cartesiano del secondo ordine) variano in conseguenza di una rotazione del
sistema di assi. Le relazioni (12.37) o (12.38) sono esempi dellanaloga propriet`a vettoriale. Nel
prossimo capitolo, prendendo come riferimento il tensore di Cauchy, saranno sviluppati i metodi
con cui `e possibile estrarre le propriet`a essenziali necessarie per comprendere pi` u chiaramente
la natura delle grandezze tensoriali. Il tensore di Cauchy `e infatti la prima grandezza tensoriale
che introduciamo nello studio ma `e stata anche la prima grandezza sica identicata e studiata
come quantit`a tensoriale. Da tensione deriva il nome stesso tensore, successivamente esteso a
molte altre grandezze anche non meccaniche.
Vale anche la seguente seconda denizione generale di tensore:
un tensore cartesiano del secondo ordine `e una trasformazione lineare che associa a
un campo vettoriale un altro campo vettoriale.
che `e giusticata dalla relazione:

t ( n) = S n
la quale evidenzia come S sia la collezione dei coecienti della combinazione lineare che per-
mette di passare dal campo vettoriale delle normali n al campo vettoriale associato dei relativi
vettori tensione

t. La seconda denizione implica che un tensore del secondo ordine possa essere
rappresentato, in un denito sistema di riferimento, tramite una matrice, ovvero un insieme di
quantit`a scalari ordinato mediante una coppia di indici. Se il tensore connette campi vettoriali
di R
3
, gli indici variano nellinsieme 1, 2, 3 e la matrice `e 3 3 (tensore del secondo ordine
tridimensionale o nello spazio), se la relazione lineare connette vettori di R
2
gli indici variano
nellinsieme 1, 2 e la matrice `e 2 2 (tensore del secondo ordine bidimensionale o piano).
Nella matrice di Cauchy `e stato convenuto che il primo indice sia riferito alla componenti di

t (identica lasse su cui si proietta la componente del vettore tensione) e che il secondo in-
dice individui n (identica la normale alla faccia). Per la simmetria della matrice, `e peraltro
equivalente adottare la convenzione inversa sullordine dei pedici.
Verichiamo che le due denizioni di tensore precedentemente proposte sono equivalenti.
Partiamo dallipotesi che esistano due campi vettoriali connessi da un tensore in base alla se-
conda denizione e verichiamo che da questo deriva la legge di trasformazione delle componenti
cartesiane espressa dalla relazione (12.36). Per la seconda denizione vale la seguente relazione
(tutte le componenti sono espresse nel sistema originario):

t = S n
353
12. LO STATO DI TENSIONE
ci chiediamo come i membri di questa relazione si modicano se vogliamo esprimerla in un
sistema ruotato denito dalla matrice L. Moltiplicando quindi ambo i membri per L
T
:
L
T

t = L
T
S n
al secondo membro inseriamo, senza alterare il risultato, la matrice identica I = LL
1
:
L
T

t = L
T
SI n = L
T
SLL
1
n
per lunitariet`a della matrice di rotazione L
1
= L
T
, la precedente relazione pu`o essere
trasformata come:
L
T

t =
_
L
T
SL
_
L
T
n
in cui la parentesi `e stata introdotta solo per rendere lespressione immediatamente interpreta-
bile. Si riconosce al primo membro il vettore tensione e al secondo il versore normale, entrambi
espressi nelle componenti riferite al sistema ruotato e quindi la relazione pu`o essere formalmente
riscritta come:

=
_
L
T
SL
_
n

Da questa concludiamo che la matrice L


T
SL contiene proprio i coecienti della combinazione
lineare che collega i due vettori n

e

t

espressi dalle nuove componenti. Pertanto la matrice


L
T
SL `e proprio la rappresentazione del tensore nel sistema nuovo e pu`o essere indicata con
S

, da cui la relazione (12.36).


`
E lasciato come esercizio il compito di dimostrare, usando un
procedimento speculare, che dalla prima denizione deriva la seconda.
La nozione di tensore pu`o essere ulteriormente generalizzata allo scopo di rappresentare
grandezze che deniscono relazioni lineari tra pi` u di due campi vettoriali o anche tra campi
tensoriali. In questo modo sono denibili tensori di ordine superiore al secondo la cui rappre-
sentazione richiede pi` u di due indici. Con tale generalizzazione, molte grandezze siche possono
essere interpretate come quantit`a tensoriali di ordine opportuno. I normali vettori possono,
per esempio, essere considerati tensori del primo ordine. In eetti i vettori sono esprimibili in
componenti da quantit`a associate a un singolo indice. Inoltre gli scalari si possono considerare
tensori di ordine zero (non richiedono indici). Nellambito del presente corso saranno considerati
prevalentemente tensori cartesiani simmetrici del secondo ordine nel piano o nello spazio (oltre
alla tensione sono di ordine due i tensori: di deformazione, di inerzia delle sezioni, di curvatura
e di essione per i solidi bidimensionali, ecc. . . ). Quando non diversamente specicato, indi-
cheremo queste quantit`a semplicemente con il termine tensore, assumendo impliciti gli attributi
cartesiano simmetrico del secondo ordine.
12.4.3 Lo studio delle propriet`a di una grandezza tensoriale
Per eettuare la verica di resistenza di un elemento strutturale `e necessario determinare lo
stato di tensione in ogni suo punto allo scopo di identicare il punto pi` u sollecitato (il punto
critico). Un corpo che sta svolgendo una funzione strutturale pu`o essere pertanto interpretato
come un dominio dello spazio a ogni punto del quale `e associato un tensore di tensione. Risulta
cos` denito un campo tensoriale (tensor eld).
`
E prevedibile che lanalisi di un campo
tensoriale sia pi` u impegnativa dello studio di un campo vettoriale. In eetti, un tensore pre-
senta un numero maggiore di componenti e una pi` u complicata legge di trasformazione con la
rotazione degli assi.
`
E importante ricordare che, anche se non `e possibile prescindere dalle sue componenti scalari
per poterlo trattare in termini operativi, il tensore non deve essere identicato con la matrice che
lo rappresenta in uno specico riferimento. Alcune ragioni a sostegno di questa aermazione
sono state gi`a discusse nel presente capitolo, tuttavia, a questo punto, essendo nota la legge
354
12.4. LE PROPRIET
`
A TENSORIALI DELLO STATO DI TENSIONE
generale di trasformazione delle componenti (12.36), la questione pu`o essere meglio precisata.
Laspetto della matrice S `e conseguenza dello stato di tensione agente nel punto in esame ma
anche della scelta della terna cartesiana di riferimento. Ricordiamo infatti che, a dierenza
delle caratteristiche di sollecitazione per la trave, in cui la terna di riferimento `e imposta da una
convenzione, per la denizione della matrice di Cauchy lorientamento della terna cartesiana
`e libero. Tuttavia, poiche deve essere soddisfatta la relazione (12.36), `e interessante chiedersi
quanto della rappresentazione del tensore dipenda dal sistema di riferimento e quanto sia invece
una propriet`a intrinseca.
Il tensore di Cauchy `e rappresentabile con 6 grandezze scalari indipendenti (ovvero che pos-
sono essere ssate a piacimento) ma ricordiamo che sono necessarie 3 quantit`a geometriche per
denire lorientamento del sistema di riferimento. In termini matematici, la matrice S ha 6 para-
metri mentre la matrice L ne ha 3. Si ricava quindi che esistono alcune quantit`a caratteristiche
del tensore che permangono in tutte le possibili rappresentazioni S

di S o, in altri termini,
che sono indipendenti dalla scelta del sistema di assi e quindi dalla matrice L. Una quantit`a
che possiede tale propriet`a, ovvero che ha una rappresentazione indipendente dal sistema di
riferimento, si chiama invariante (invariant) del tensore o, pi` u correttamente, invariante per
rotazione. Le propriet`a invarianti sono in genere nascoste nella rappresentazione matriciale e la
loro estrazione richiede una opportuna elaborazione della matrice. Questo studio sar`a arontato
in modo sistematico nel prossimo capitolo, tuttavia `e possibile anticipare alcune considerazioni
di carattere generale che permettono di prevedere almeno il numero degli invarianti.
In tre dimensioni, per lo stato di tensione di un punto si possono scrivere
6
(in genere
diverse) matrici di Cauchy ma devono essere identicamente soddisfatte
3
relazioni del tipo
(12.36). Si nota una analogia formale con lanalisi dei gradi di libert`a per il moto di un corpo
rigido nello spazio (6 DOF) quando `e vincolato con tre vincoli semplici indipendenti, per esempio
con una cerniera sferica ideale. In questultimo problema, per identicare la congurazione del
corpo sono necessarie e sucienti tre coordinate lagrangiane, essendo tre (6 DOF liberi 3 DOF
vincolati) i gradi di libert`a residui. Similmente concludiamo che esiste una terna di invarianti
del tensore di Cauchy. Come per il corpo rigido vincolato con una cerniera sferica `e possibile
scegliere le tre coordinate lagrangiane in inniti modi diversi (alcuni pi` u comodi o espressivi
altri meno), analogamente vi sono innite terne di propriet`a invarianti del tensore di Cauchy.
Non pu`o essere per`o modicato il numero di tali caratteristiche indipendenti, come non pu`o
essere cambiato il numero di gradi di libert`a del corpo rigido sfericamente incernierato.
Per un tensore cartesiano del secondo ordine nel piano, gli invarianti costituiscono invece
una coppia, infatti, una matrice simmetrica 22 ha tre parametri indipendenti ma vi sono
1
modi di ruotare gli assi cartesiani nel piano. Vale quindi la legge:
le propriet`a invarianti di un tensore del secondo ordine simmetrico costituiscono una
terna nello spazio e una coppia nel piano.
Dato che gli invarianti non sono modicati dalla rotazione del sistema di riferimento, il loro
studio permette di evidenziare le propriet`a essenziali del tensore e quindi di chiarirne la natura
sica.
12.4.4 Simboli nomi e convenzioni
Nel presente paragrafo sono presentati alcuni tra i pi` u comuni modi di rappresentare il
tensore di Cauchy e le sue componenti come si trovano nella letteratura tecnica. La notazione
introdotta, che verr`a rispettata sistematicamente, `e rappresentata dalle seguenti matrici:
_
_

11

12

13

21

22

23

31

32

33
_
_
_
_

xx

xy

xz

yx

yy

yz

zx

zy

zz
_
_
355
12. LO STATO DI TENSIONE
la prima, con i pedici in forma numerica, `e pi` u comoda nei calcoli perche gli indici sono
manipolabili algebricamente. La seconda, con i pedici letterali, `e considerata pi` u espressiva dal
punto di vista geometrico e, per questo, `e frequentemente adottata nello studio degli elementi
strutturali (travi e solidi bidimensionali) per i quali gli assi di riferimento convenzionali sono
generalmente indicati come: x, y, z. Per la simmetria del tensore, la notazione con indici invertiti
`e equivalente: il primo indice riferito alla faccia su cui la componente agisce e il secondo alla
direzione dazione della componente.
In certi testi le componenti normali e tangenziali sono distinte diversicando le lettere come
segue:
_
_

11

12

13

21

22

23

31

32

33
_
_
_
_

xx

xy

xz

yx

yy

yz

zx

zy

zz
_
_
alcuni autori inoltre, ritenendo che la presenza della lettera sia suciente per denire la natura
normale della componente tensionale, non riportano il doppio pedice per i termini diagonali e
semplicano la precedente notazione nel modo seguente:
_
_

1

12

13

21

2

23

31

32

3
_
_
_
_

x

xy

xz

yx

y

yz

zx

zy

z
_
_
La presentazione di varianti alla notazione non deve essere interpretata come un incoraggia-
mento, al contrario, si tratta di un avvertimento per quello che si pu`o trovare e che contribuisce
spesso a rendere largomento poco comprensibile.
`
E invece consigliato adottare una rappresen-
tazione coerente e non ambigua per questa importante grandezza. A favore della convenzione
proposta si possono addurre varie motivazioni.
Lutilit`a di usare simboli diversi ( e ) per indicare componenti di ununica grandezza
sica `e discutibile (si immagini di fare lo stesso con le componenti di un vettore).
La caratteristica normale o tangenziale delle componenti della matrice di Cauchy `e com-
pletamente denita (anche nel verso, oltre che nella direzione) dalla semplice logica dei
pedici e dal segno della componente stessa.
Luso del doppio pedice (numerico o letterale) `e coerente con la natura tensoriale della
quantit`a rappresentata e quindi aiuta a ricordare, per esempio, che i termini della matrice
hanno un signicato strettamente connesso con il sistema di riferimento scelto e con la
posizione che occupano allinterno della matrice.
Quando gli elementi del tensore sono distinti in base al doppio pedice numerico, `e rispet-
tato il consueto modo di numerare e disporre i termini di una matrice (il primo pedice `e
riferito alla riga il secondo alla colonna).
La convenzione dei pedici numerici `e coerente con la modalit`a di rappresentare i vettori
come matrici colonna e rende corretta, anche formalmente, loperazione di prodotto righe
per colonne, ampiamente sfruttata nelle relazioni proposte.
A margine di queste considerazioni sui vari modi di rappresentare il tensore di tensione, mi
permetto un commento che pu`o sembrare meramente estetico. Il termine tensione (stress) `e
talvolta reso in italiano con sforzo, come, per esempio, in espressioni del tipo: matrice o tensore
degli sforzi, sforzo normale, sforzo di taglio, ecc. . . Pur non potendo addurre motivi sostanziali
per considerare improprie tali espressioni, non riesco a rinunciare a esplicitare la mia contrariet`a
alluso di un vocabolo cos` poco elegante che ha la forma tipica dei termini spregiativi. La mia
356
12.5. ALTRI MODI DI RAPPRESENTARE I TENSORI
avversione `e in parte motivata anche dalla constatazione che il termine sforzo viene spesso
usato per indicare indistintamente tensioni e caratteristiche di sollecitazione. In certi testi,
per esempio, lo sforzo normale indica sia la forza normale N agente sulla sezione di una trave
sia la componente
nn
dello stato di tensione agente in un punto della sezione (e analoga
ambiguit`a si osserva per lo sforzo di taglio). In questi casi `e invece doveroso, ma anche pi` u
semplice e corretto, chiamare la caratteristica N forza normale e la componente
nn
tensione
normale. In tal modo si sottolinea, tra laltro, la diversa natura delle due quantit`a: la prima,
dimensionalmente una forza, `e la componente di un vettore, la seconda, dimensionalmente una
forza per unit`a di supercie, `e la componente di un tensore. A mio avviso, in un contesto
tecnico o scientico, `e pertanto apprezzabile ogni sforzo per evitare luso del termine sforzo.
In conclusione di queste considerazioni, pu`o essere utile riordinare i termini anglosassoni per
una corretta interpretazione e traduzione della letteratura tecnica e scientica.
Il termine tensione `e correttamente tradotto in inglese con stress, da cui: tensore di ten-
sione stress tensor, stato di tensione stress state e campo di tensione (o campo tensionale)
stress eld, ecc. . .
Il termine inglese tension si traduce con trazione (o tensione di trazione) e signica quindi:

nn
> 0; il termine tension `e spesso contrapposto a compression (compressione) che
signica
nn
< 0. Il termine tension pu`o essere talvolta pi` u precisamente reso con tensile
stress (letteralmente tensione di trazione) mentre il termine compression con compressive
stress.
Il termine traction, che nella letteratura tecnica anglosassone identica precisamente

t,
non deve essere tradotto con trazione, ma con vettore tensione. In inglese tecnico traction
`e infatti una grandezza vettoriale che denisce completamente leetto prodotto dallo stato
di tensione su una supercie ben identicata, spesso una supercie esterna del corpo. Il
vettore tensione, traction, ha infatti, in generale, componenti normali, che possono essere
di trazione o di compressione, e componenti tangenziali.
12.5 Altri modi di rappresentare i tensori
12.5.1 Il tensore di Cauchy in coordinate non cartesiane
Nella maggior parte dei problemi trattati nel corso saranno adottate coordinate rettilinee
cartesiane ortogonali che sono le pi` u semplici da usare. Nella gura 12.27 `e esemplicata la
denizione della matrice di Cauchy per un generico punto B. Gli spigoli del relativo elemento
di volume sono deniti in modo da rispettare la variazione delle coordinate ovvero si estendono
nella direzione di crescita delle coordinate stesse.
`
E evidente che se si usano le consuete coordi-
nate cartesiane ortogonali, i versori locali sono paralleli ed equiversi agli assi coordinati globali
e sono gli stessi per tutti i punti dello spazio.
Con riferimento alla gura 12.27 osserviamo inoltre che, in coordinate cartesiane ortogonali:
tutti gli elementi innitesimi di volume sono uguali, indipendentemente dalla loro posizio-
ne, gli spigoli hanno infatti lunghezze dx, dy, dz, e sono orientati nello spesso modo
la gura evidenzia solo le componenti del tensore di tensione (assunte positive) che
agiscono sulle facce in vista del parallelepipedo elementare
le azioni agenti sulle facce non in vista (di verso opposto) non sono state rappresentate
per ragioni di chiarezza graca
357
12. LO STATO DI TENSIONE
Figura 12.27: Componenti della matrice di Cauchy in coordinate cartesiane
tutte le facce in vista sono positive (le loro normali esterne sono equiverse agli assi) e tutte
le componenti positive della matrice di Cauchy appaiono quindi equiverse agli assi relativi
al loro primo pedice
per le componenti tangenziali si verica il rispetto della legge di reciprocit`a.
Per la soluzione di alcuni problemi possono per`o risultare pi` u comode coordinate curvilinee,
come per esempio coordinate cilindriche oppure sferiche. Quando non saranno impiegate coor-
dinate cartesiane ci limiteremo al caso di coordinate curvilinee ortogonali ovvero, come
descritto nellappendice A con le linee di livello delle dierenti coordinate che si intersecano
formando angoli retti. I versori del sistema di riferimento locale delle coordinate curvilinee
ortogonali sono pertanto mutuamente perpendicolari per cui lelemento innitesimo di volume,
sulle cui facce sono denite le componenti della matrice di Cauchy, `e ancora un parallelepipedo
retto a meno di innitesimi di ordine superiore. Lortogonalit`a delle coordinate permette quindi
lestensione immediata della nozione di tensore di tensione introdotta nel presente capitolo e le
relative propriet`a che saranno descritte nel prossimo anche allelemento di volume non cartesia-
no. Consideriamo un punto B e lelemento di volume in coordinate cilindriche che lo circonda
come in gura 12.28. Osserviamo in particolare che:

z
e

r
e
e

zz

rz

rz

rr

zr

dr
dz
rd
x
y
z
0
B

r
Figura 12.28: Componenti della matrice di Cauchy in coordinate cilindriche
il sistema locale di assi, rappresentato dalla terna di versori e
r
, e

e e
z
, `e ortonormale, le
358
12.5. ALTRI MODI DI RAPPRESENTARE I TENSORI
direzioni di due di essi dipendono dal valore della coordinata angolare del punto, il verso
dei versori `e denito dal senso di crescita della relativa coordinata
con riferimento alla terna locale, sono ancora denibili univocamente 3 facce positive e 3
facce negative
lelemento di volume `e, a meno di innitesimi di ordine 2, un parallelepipedo retto con
facce rettangolari mutuamente perpendicolari
gli elementi innitesimi di volume di spigoli dr, rd, dz non sono in genere uguali per
tutti i punto dello spazio, in quanto la lunghezza degli spigoli in direzione circonferenziale
dipende da r, inoltre sono diversamente orientati
le convenzioni sviluppate per lelemento innitesimo di volume cartesiano sono estendi-
bili allelemento in coordinate cilindriche, in particolare si possono notare i pedici che
designano le componenti della matrice di Cauchy nel sistema locale:
_
_

rr

r

rz

zr

z

zz
_
_
anche nella gura 12.28 le componenti di tensione sono considerate tutte positive e sono
rappresentate solo quelle agenti sulle facce in vista
a causa del punto di osservazione, la faccia superiore d
z
e quella esterna d
r
sono
positive mentre la faccia laterale d

`e negativa, di conseguenza i versi delle componenti


di tensione agenti sulla faccia d

sono controverse rispetto agli assi locali.


Sulla base delle precedenti osservazioni, che possono essere estese a qualsiasi sistema di coordi-
nate curvilinee ortogonali, tra cui quelle sferiche, risulta chiaro che la trasformazione del tensore
di tensione da un sistema di coordinate ortogonali a un altro si eettua in modo analogo a una
rotazione di assi cartesiani sfruttando le relazioni (12.36).
12.5.2 Notazione tensoriale con indici (*)
Come anticipato, i tensori rappresentano grandezze tramite le quali si eettuano trasfor-
mazioni lineari tra quantit`a vettoriali o tensoriali. La natura lineare del legame tra due o pi` u
grandezze prescinde dal sistema di coordinate, pertanto la rappresentazione tensoriale consente
di formulare grandezze e leggi siche in modo indipendente dal tipo di coordinate (possono an-
che assumersi generali coordinate curvilinee non ortogonali). Questa generalit`a `e uno dei motivi
per cui i tensori sono strumenti operativi comodi per formulare leggi siche anche in uno spazio
geometrico non euclideo.
Nellambito del presente corso saranno considerati esclusivamente sistemi di riferimento lo-
calmente ortogonali pertanto non saranno sfruttate tutte le caratteristiche di invarianza dei
tensori con i sistemi di coordinate. Tuttavia anche nellambito di sistemi di coordinate local-
mente cartesiani ortogonali, i vantaggi derivanti dallimpiego dei tensori risulteranno evidenti
nella denizione delle leggi che descrivono il comportamento di materiali ed elementi strutturali.
Analogamente a una grandezza vettoriale, per poterla trattare quantitativamente, una gran-
dezza tensoriale `e rappresentata come la collezione ordinata (o, pi` u precisamente, strutturata)
delle sue componenti che sono quantit`a scalari. Come conseguenza, `e necessario denire un si-
stema di coordinate e una regola che associa le componenti agli assi del sistema locale. La regola
di associazione sfrutta un opportuno numero di variabili indice che sono identicate general-
mente con lettere latine minuscole come: i, j, k, m, n, q, r, s, . . . . Per le variabili indice di vettori
359
12. LO STATO DI TENSIONE
o tensori deniti nello spazio tridimensionale, il dominio di denizione `e linsieme D = 1, 2, 3,
per grandezze denite nel piano D = 1, 2.
Un vettore nello spazio, per esempio una forza

F che in forma di matrice si indica con:
_
_
F
1
F
2
F
3
_
_
pu`o essere rappresentato come grandezza indicizzata nel modo seguente:
F
i
forma semplicata della seguente:
F
i
con i D
il dominio D di variazione dellindice `e sempre implicito nel problema e quindi `e generalmente
omesso.
I vettori possono essere considerati tensori di ordine 1 perche la loro forma indicizzata
richiede un solo indice. Quando sono espressi come grandezze indicizzate, anche i vettori seguono
le regole formali dei tensori.
Le variabili indice non devono essere confuse con i versori (come per esempio i con

i), e
quando le due quantit`a compaiono nello stesso contesto, devono essere usate opportune forme
di dierenziazione, come laccento circonesso, la freccia sovrapposta o il grassetto, per evitare
ambiguit`a. Peraltro, la notazione con indici permette di operare esclusivamente sulle compo-
nenti e quindi, negli sviluppi analitici, generalmente, non `e richiesta lindicazione esplicita dei
versori degli assi.
In notazione indicizzata si possono rappresentare anche le matrici, ovvero i tensori di
ordine 2 e, per naturale estensione, anche i tensori di ordine pi` u elevato. Lesempio pi` u
semplice `e la matrice identica I, che in notazione indicizzata `e universalmente rappresentata dal
delta di Kronecker:

ij
=
_
1 se i = j
0 se i ,= j
Per identicare le matrici sono necessarie due variabili indice (con nomi diversi), ognuna
delle quali scorre il proprio dominio indipendentemente dallaltra. Come conseguenza, una
grandezza tridimensionale a due indici distinti denisce una tabella 3 3 (2 2 se la grandezza
`e bidimensionale). Esempi ormai noti di quantit`a con due indici sono:
la matrice di trasformazione delle coordinate: l
ij
il tensore di Cauchy:
ij
Si possono rappresentare tensori di ordine superiore come i seguenti:

ijk
tensore del terzo ordine (con tre indici)
c
ijkn
tensore del quarto ordine (con quattro indici)
Mentre i vettori e le matrici (tensori di ordine 1 e 2, rispettivamente) possono essere natural-
mente rappresentati in componenti su un foglio di carta, per i tensori di ordine superiore al
secondo la situazione `e pi` u complicata. Per esempio, un tensore di ordine 3 pu`o essere inter-
pretato come una sequenza ordinata di matrici o, con un po di fantasia, come una matrice
tridimensionale. Un tensore del quarto ordine pu`o essere considerato come una collezione ordi-
nata di tensori del terzo ordine, ecc. . . . La notazione indicizzata non pone limiti allordine dei
tensori rappresentabili.
360
12.5. ALTRI MODI DI RAPPRESENTARE I TENSORI
Con le variabili indice, si possono scrivere in forma compatta anche operazioni tra grandezze
indicizzate. Per esempio, la somma tra due vettori a
i
e b
j
:
r
k
= a
k
+b
k
oppure il loro prodotto scalare:
s =

kD
a
k
b
k
= a
1
b
1
+a
2
b
2
+a
3
b
3
Nel caso dei prodotti, spesso si conviene di sottointendere il simbolo di somma sullindice (o
sugli indici) che compaiono ripetuti in una espressione monomia (regola di Einstein sugli indici
ripetuti). Il prodotto scalare tra due vettori `e pertanto esprimibile come:
s = a
k
b
k
Si noti che il seguente prodotto:

kn
= a
k
b
n
solo in apparenza simile al precedente, `e eettuato su tutte le singole coppie di componenti dei
due vettori (senza farne la somma) e quindi denisce un tensore di ordine due, come il simbolo
al primo membro (una quantit`a a due indici) indica chiaramente.
Si pu`o vericare che la seguente espressione rappresenta la forma compatta del prodotto
righe per colonne tra la matrice a
ij
e il vettore x
j
:
b
i
= a
ij
x
j
con j indice ripetuto, il cui risultato `e ovviamente un vettore. La seguente espressione:
c
ij
= a
in
b
nj
rappresenta, in notazione indicizzata, il classico prodotto righe per colonne tra due matrici. Si
noti che lindice ripetuto (n) `e il secondo nella prima matrice e il primo nella seconda. Questo
ordine `e necessario se si vuole eettuare il prodotto righe per colonne, che in genere non `e
commutativo. Nel seguente prodotto il monomio dei fattori presenta due indici ripetuti:
s = a
ij
b
ij
e quindi si devono ritenere sottointese due sommatorie: una sullindice i e laltra sullindice j.
In forma estesa la relazione precedente pu`o essere pertanto scritta come:
a
ij
b
ij
= a
11
b
11
+a
12
b
12
+a
13
b
13
+a
21
b
21
+........ +a
33
b
33
che ha come risultato lo scalare (grandezza senza pedici) somma dei 9 prodotti tra tutte le
componenti omonime delle due matrici. Si tratta in eetti di una particolare moltiplicazione tra
i due tensori a
ij
e b
ij
(una specie di prodotto scalare tra le rispettive matrici) che non abbiamo
mai impiegato ma che sar`a alla base della denizione di lavoro delle azioni interne. La seguente
moltiplicazione, solo in apparenza simile alla precedente ma senza ripetizione dei pedici:
c
ijnm
= a
ij
b
mn
ha un signicato molto diverso, denisce infatti un tensore del quarto ordine.
In notazione indicizzata, la legge che trasforma le rappresentazioni dei vettori tra due sistemi
cartesiani mutuamente ruotati si scrive come:
x

i
= l
ji
x
j
361
12. LO STATO DI TENSIONE
notimao che in questa relazione `e ripetuto il primo indice della matrice, in eetti il vettore
deve essere moltiplicato per la trasposta della matrice di rotazione. Il prodotto delle singole
componenti `e commutativo e quindi `e indierente lordine dei fattori, mentre `e fondamentale
lordine dei pedici:
x

i
= l
ji
x
j
= x
j
l
ji
La regola di trasformazione dei tensori di ordine 2 per rotazione degli assi si scrive in
notazione indicizzata nel modo seguente:

ij
= l
mi
l
ni

mn
=
mn
l
mi
l
ni
Anche in questo caso `e fondamentale la posizione degli indici ripetuti nelle matrici di rotazione.
Questultima relazione `e la forma indicizzata della denizione stessa di tensore del secondo
ordine. Analogamente pu`o essere denita la legge di trasformazione della rappresentazione
per tensori di ordine qualunque. Per esempio, un tensore del quarto ordine modica le sue
componenti in conseguenza di una rotazione degli assi in base alla seguente relazione:
c

ijmn
= l
pi
l
rj
l
sm
l
tn
c
prst
che pu`o essere considerata come la denizione stessa di tensore del quarto ordine. Si osservi che
nellultima relazione sono sottointesi ben 4 simboli di somma.
362
Capitolo 13
Propriet`a dello stato di tensione
Il capitolo presenta le principali propriet`a del tensore di Cauchy. La determinazione e lo
studio degli autovalori della matrice S permette di evidenziare le principali caratteristiche siche
della tensione. Sulla base delle propriet`a invarianti `e, in particolare, possibile classicare lo stato
di tensione.
Il capitolo propone inoltre alcune rappresentazioni grache utili per visualizzare lo stato di
tensione e, pi` u in generale, altre grandezze tensoriali. Una particolare attenzione `e dedicata
alla rappresentazione di Mohr, considerata uno degli strumenti pi` u ecaci per evidenziare le
propriet`a di uno stato di tensione.
Nellultima parte del capitolo `e esaminata la condizione di equilibrio dellelemento di volume
innitesimo e sono ricavate le equazioni indenite di equilibrio che descrivono il modo generale
con cui la tensione pu`o variare allinterno di un corpo continuo.
13.1 Lo studio degli autovalori
13.1.1 La ricerca degli invarianti
Il capitolo precedente ha evidenziato come lelaborazione della matrice di Cauchy S, denita
in un punto per un dato sistema di riferimento cartesiano ortogonale di versori

i,

j e

k, consenta
di ottenere tutte le propriet`a dello stato di tensione nel punto stesso. La relazione:

t ( n) = S n (13.1)
fornisce infatti il vettore tensione

t (pi` u precisamente le sue componenti rispetto ai versori

i,

j
e

k) che agisce su una generica giacitura la cui normale esterna `e n. La matrice S `e pertanto la
rappresentazione del tensore di tensione nel sistema di riferimento di versori

i,

j e

k. La matrice
S

, che rappresenta lo stesso stato di tensione rispetto a una terna di assi ruotati di versori

i

e

k

, si otiene con la relazione:


S

= L
T
S L (13.2)
Considerando le relazioni (13.1) e (13.2) e ricordando la propriet`a di simmetria della matrice
di Cauchy, si `e concluso che 6 grandezze scalari indipendenti deniscono completamente lo stato
di tensione in un punto. Tuttavia, almeno per i materiali solidi di interesse del presente corso,
solo una terna di queste quantit`a ha un eettivo signicato sico. Infatti, come mostra la
relazione (13.2), lo stesso stato di tensione pu`o essere rappresentato con
3
diverse matrici
di Cauchy, considerando larbitrariet`a con cui `e stato scelto lorientamento del sistema di assi.
Pertanto, in generale, a ogni stato di tensione sono associabili 3 grandezze scalari indipendenti
il cui valore non dipende dalla direzione degli assi del sistema. Ognuna di queste 3 quantit`a `e
363
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
chiamata invariante (invariant), o pi` u rigorosamente invariante per rotazione, dello stato
di tensione. Lo studio degli invarianti facilita la comprensione della grandezza sica tensione.
Per ogni tensore di tensione, individuata una terna di suoi invarianti indipendenti, se ne
possono ottenere innite altre dato che una generica funzione degli invarianti `e a sua volta un
invariante. Allo scopo di individuare una terna di invarianti indipendenti, `e utile arontare il
seguente problema: dato uno stato di tensione, e quindi una matrice di Cauchy in un sistema
di riferimento, determinare, se esiste, una giacitura sulla quale il relativo vettore tensione abbia
solo componente normale. La presenza della sola componente normale equivale allassenza di
componenti tangenziali. Il problema `e formulabile analiticamente come segue: trovare, se esiste,
un versore n tale che sia vericata la relazione:

t ( n) n (13.3)
La proporzionalit`a tra le componenti di due vettori equivale infatti al parallelismo. La relazione
(13.3) pu`o essere riscritta sotto forma di uguaglianza se si introduce un opportuno fattore
moltiplicativo:

t ( n) = n (13.4)
Nel problema formulato matematicamente con la relazione (13.4) le incognite eettive sono le
componenti di n (leventuale giacitura da determinare) ma anche lo scalare non `e noto a priori.
Il signicato sico di `e peraltro facilmente identicabile. Da considerazioni dimensionali si
ricava subito che `e una tensione, inoltre, supposto che esista eettivamente la giacitura
cercata, la cui normale indichiamo con n

, per la relazione (13.4) deve essere



t ( n

) = n

. La
quantit`a rappresenta pertanto la componente normale locale di

t ( n

) e quindi `e =
n

n
.
Questa uguaglianza giustica il simbolo usato per identicarla.
13.1.2 La soluzione algebrica
La relazione (13.4) di pu`o esprimere nel seguente sistema lineare:
_
_

xx

xy

xz

yy

yz
Sym
zz
_
_
_
_
n
x
n
y
n
z
_
_
=
_
_
n
x
n
y
n
z
_
_
(13.5)
in cui: la matrice di Cauchy `e da considerarsi nota, le componenti di n sono le incognite e lo
scalare pu`o essere trattato come un parametro. Alla condizione di proporzionalit`a tra

t ( n) e
n imposta con il sistema (13.5) deve essere associata la condizione di unitariet`a ( n `e un versore)
che le incognite devono soddisfare:
n
2
x
+n
2
y
+n
2
z
= 1 (13.6)
Lequazione (13.5) pu`o essere scritta come:
_
_
_
(
xx
) n
x
+
xy
n
y
+
xz
n
z
= 0

yx
n
x
+ (
yy
) n
y
+
yz
n
z
= 0

zx
n
x
+
zy
n
y
+ (
zz
) n
z
= 0
(13.7)
oppure, in forma sintetica:
(S I) n = 0 (13.8)
Dato che le componenti della matrice di Cauchy sono note, le uguaglianze (13.7) o (13.8)
deniscono un sistema lineare omogeneo nelle incognite n
x
, n
y
, n
z
parametrico in . Il teorema
di Rouche-Capelli fornisce le condizioni da imporre al parametro per la risolvibilit`a del si-
stema (13.7). In relazione al valore del parametro , si vericano infatti le seguenti possibilit`a
condizionate dal valore del determinante del sistema:
364
13.1. LO STUDIO DEGLI AUTOVALORI
1. det (S I) ,= 0
2. det (S I) = 0
Il primo caso `e di interpretazione immediata. Se la matrice del sistema non `e singolare
lunica soluzione di (13.7) `e quella identicamente nulla (n
x
= n
y
= n
z
= 0) ma tale soluzione
non `e accettabile perche incompatibile con la condizione di unitariet`a espressa dalla relazione
(13.6). La mancanza di soluzione ha una interpretazione sica: se si sceglie ad arbitrio un
valore del parametro , che indichiamo con , non esiste in genere alcun piano su cui il vettore
tensione abbia solo componente normale pari a . In altri termini, ammesso che esista un piano
a cui il vettore tensione `e normale, la sua componente deve essere determinata opportunamente.
Consideriamo il secondo caso e assegniamo in (13.7) a un valore che annulla il determi-
nante. Il sistema lineare (13.7) diventa quindi indeterminato e, tra le innite soluzioni per le
incognite n
x
, n
y
, n
z
, `e, in linea di principio, possibile trovarne qualcuna che rispetti anche la
condizione di unitariet`a. Il problema originario `e pertanto ricondotto alla determinazione degli
eventuali zeri dellequazione in :
det (S I) = 0 (13.9)
e quindi allanalisi spettrale della matrice S. Gli zeri dellequazione (13.9), detta equazione
caratteristica di S, sono gli autovalori della matrice S.
Sviluppando la (13.9) si ottiene la seguente lequazione algebrica di terzo grado,:

3
I
1

2
+I
2
I
3
= 0 (13.10)
dove `e stato posto:
I
1
=
xx
+
yy
+
zz
(13.11)
I
2
=

xx

xy

yx

yy

xx

xz

zx

zz

yy

yz

zy

zz

=
xx

yy
+
yy

zz
+
xx

zz

2
xy

2
xz

2
yz
(13.12)
I
3
= det S =
xx

yy

zz

xx

2
yz

yy

2
xz

zz

2
xy
+ 2
xy

yz

xz
(13.13)
I coecienti dellequazione caratteristica si possono ricordare essendo ricavabili dai minori di S
relativi agli elementi della diagonale, pi` u precisamente:
I
1
`e la traccia di S (la somma dei determinanti diversi di ordine 1 che si estraggono dagli
elementi della diagonale)
I
2
`e la somma dei determinanti di ordine 2 diversi che si estraggono dagli elementi della
diagonale
I
3
`e il determinante di S (lunico minore di ordine 3 che contiene gli elementi della
diagonale).
Con il calcolo diretto si pu`o vericare che i coecienti dellequazione caratteristica non cam-
biano se si ruota il sistema di riferimento. Le quantit`a I
1
, I
2
e I
3
sono chiamati invarianti
principali del tensore di tensione.
Poiche la matrice S `e simmetrica, lequazione caratteristica ha sempre tre soluzioni reali
che possono avere diversa molteplicit`a (1, 2 o anche 3). Dato che gli zeri di una equazione
dipendono esclusivamente dai coecienti dellequazione stessa, anche gli autovalori di S sono
invarianti per rotazione. Identicati con
1
,
2
e
3
gli autovalori, (due di essi o anche tutti
possono assumere lo stesso valore) deve essere infatti:

3
I
1

2
+I
2
I
3
= (
1
) (
2
) (
3
)
365
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
per cui tra gli invarianti principali e gli autovalori valgono le seguenti relazioni:
I
1
=
1
+
2
+
3
I
2
=
1

2
+
2

3
+
1

3
I
3
=
1

3
che permettono di ottenere gli invarianti principali conoscendo gli autovalori. Per invertire
le precedenti relazioni, ovvero per risolvere lequazione di terzo grado (13.10), si pu`o operare
numericamente oppure ricorrere al procedimento analitico riportato nellappendice A. Gli au-
tovalori
1
,
2
e
3
della matrice S sono chiamati anche tensioni principali del tensore di
Cauchy.
Nel seguito sono analizzati i casi che si presentano in relazione alla molteplicit`a delle
soluzioni dellequazione caratteristica.
13.1.3 Tre autovalori distinti
Consideriamo il caso in cui lequazione caratteristica non abbia soluzioni coincidenti:
1
,=

2
,=
3
, e quindi vi siano tre autovalori distinti per la matrice di Cauchy. Sostituendo il primo
degli autovalori nel sistema (13.7) si ottiene:
_
_
_
(
xx

1
) n
x
+
xy
n
y
+
xz
n
z
= 0

yx
n
x
+ (
yy

1
) n
y
+
yz
n
z
= 0

zx
n
x
+
zy
n
y
+ (
zz

1
) n
z
= 0
(13.14)
la matrice del sistema (13.14) `e necessariamente singolare e, poiche lautovalore
1
ha moltepli-
cit`a 1, il suo rango `e 2. Le soluzioni del sistema (13.14) non cambiano quindi se si elimina una
qualunque delle sue equazioni:
_
(
xx

1
) n
x
+
xy
n
y
+
xz
n
z
= 0

yx
n
x
+ (
yy

1
) n
y
+
yz
n
z
= 0
(13.15)
Il sistema lineare (13.15) ammette
1
soluzioni che possono essere ottenute esprimendo due
incognite in funzione della terza, come per esempio:
_
n
x
= k
x
n
z
n
y
= k
y
n
z
(13.16)
in cui i coecienti k
x
e k
y
hanno una espressione che `e omessa per semplicit`a ma facilmente cal-
colabile risolvendo il sistema (13.15). Imponendo la condizione di unitariet`a (13.7), si ottengono
le due soluzioni opposte:
_
_
n
x
n
y
n
z
_
_
=
1
_
1 +k
2
x
+k
2
y
_
_
k
x
k
y
1
_
_
(13.17)
che individuano, per`o, ununica direzione.
La direzione comune ai versori ottenuti dalla relazione (13.17) `e detta direzione principale
dello stato di tensione associata alla tensione principale
1
. Scelto a piacere uno dei due versori
della direzione principale, deniamo il versore principale associato al primo autovalore che
indichiamo con:
n
1
=
1
_
1 +k
2
x
+k
2
y
_
_
k
x
k
y
1
_
_
(13.18)
366
13.1. LO STUDIO DEGLI AUTOVALORI
e, come lautovalore associato, lo identichiamo con il pedice 1. Dal punto di vista algebrico
vale quindi lidentit`a:

t ( n
1
) =
1
n
1
Con lo stesso procedimento, si determinano gli autovettori n
2
e n
3
associati rispettivamente agli
autovalori
2
e
3
. Dalla propriet`a generale di ortogonalit`a degli autovettori delle matrici reali
simmetriche `e noto che i tre autovettori trovati sono mutuamente perpendicolari, quindi:
n
i
n
j
= 0 con i ,= j
relazioni che possono essere sintetizzate in forma compatta usando il delta di Kronecker:
n
i
n
j
=
ij
(13.19)
Esempio 13.1: Analisi algebrica di uno stato tensionale
Determinare gli invarianti principali, gli autovalori e i versori degli autovettori associati
del seguente tensore di Cauchy (valori in MPa)
S =
_
_
20 30 20
10 30
Sym 50
_
_

Viene applicato il procedimento sviluppato in questo paragrafo per cui sono forniti
soltanto i risultati numerici (per semplicit`a sono omesse le unit`a di misura). Gli invarianti
principali valgono:
I
1
= 40 , I
2
= 2900 , I
3
= 77000
e gli autovalori (MPa):

1
= 23.42,
2
= 66.23,
3
= 49.65
Gli autovettori associati hanno i seguenti versori:
n
1
=
_
_
0.634
0.705
0.319
_
_
, n
2
=
_
_
0.051
0.449
0.892
_
_
n
3
=
_
_
0.772
0.549
0.320
_
_
Si pu`o vericare che il vettore tensione agente sulla faccia normale a n
1
:

t ( n
1
) =
_
_
20 30 20
10 30
Sym 50
_
_
_
_
0.634
0.705
0.319
_
_
=
_
_
14.84
16.51
7.460
_
_
= 23.4
_
_
0.634
0.705
0.319
_
_
=
1
n
1
`e eettivamente normale alla faccia su cui agisce e ha come componente la tensione
principale associata.
Considerando un parallelepipedo elementare con gli spigoli orientati come le direzioni prin-
cipali, `e interessante rispondere alla domanda: qual `e la rappresentazione dello stato di tensione
in tale sistema locale? Oppure, in modo equivalente: qual `e la rappresentazione del tensore di
367
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
Cauchy in un sistema di riferimento con assi orientati come le direzioni principali? La rispo-
sta pu`o essere ottenuta per via algebrica tramite la relazione (13.2) sapendo che la matrice di
trasformazione consiste nella collezione degli autovettori normalizzati:
L = ( n
1
, n
2
, n
3
)
Tale calcolo peraltro non `e necessario poiche lo schema di corpo libero del parallelepipedo
elementare orientato secondo le direzioni principali `e facilmente identicabile: sulle sue facce,
che sono principali, agiscono solo componenti normali la cui intensit`a `e data proprio dalle
tensioni principali. La matrice di Cauchy nel sistema principale ha pertanto forma diagonale e
gli autovalori costituiscono i suoi elementi non identicamente nulli:
S

=
_
_

1
0 0

2
0
Sym
3
_
_
(13.20)
Questo risultato `e generale e ha una interessante conseguenza:
per qualsiasi stato di tensione in un punto, `e sempre possibile trovare una terna
di assi mutuamente perpendicolari, gli autovettori, che deniscono un sistema di
riferimento nel quale la matrice di Cauchy `e diagonale e i cui elementi signicativi
sono gli autovalori.
A questa propriet`a si pu`o dare una interpretazione sica:
per qualsiasi stato di tensione in un punto esiste sempre un parallelepipedo elemen-
tare, opportunamente orientato, sulle cui facce agiscono solo tensioni normali, gli
spigoli del parallelepipedo deniscono le direzioni principali dello stato di tensione e
le tensioni agenti sulle facce sono le tensioni principali.
`
E opportuno sottolineare che questa `e una propriet`a generale del tensore di Cauchy e che
non `e condizionata dal tipo o dal livello di tensione, dalla natura del materiale (vale infatti anche
per i uidi) o dalle condizioni del punto in esame il quale pu`o essere in quiete o animato da
qualsiasi tipo di moto. La precedente propriet`a `e quindi una caratteristica universale dello stato
di tensione in base alla quale `e garantita sempre lesistenza di una terna di tensioni normali
che identicano o, se si preferisce, sintetizzano, la natura sica dello stato di tensione. Per
limmediatezza della loro interpretazione sica, le tensioni principali si candidano, pi` u che gli
invarianti principali, a rappresentare gli elementi caratteristici dello stato di tensione.
Se il materiale ha un comportamento meccanico di tipo isotropo, ovvero se le sue propriet`a
sono indipendenti dalla direzione in cui `e sollecitato, non `e importante lorientamento della
direzione principale rispetto a un riferimento esterno. In questo caso le tensioni principali sono
quindi sucienti anche per caratterizzare gli eetti che lo stato di tensione produce localmente
sul materiale. Questo fatto si sfrutta sia per valutare gli eetti deformativi dello stato tensio-
nale sia per quanticare il rischio che la tensione lo danneggi. Tali aspetti saranno arontati
nel seguito, `e tuttavia opportuno comprendere la ragione per cui le tensioni principali sono i
parametri di riferimento per classicare lo stato di tensione.
Esempio 13.2: Rappresentazioni grache dello stato di tensione
Rappresentare gli schemi di corpo libero del parallelepipedo elementare nel sistema dato e
nel sistema delle direzioni principali per il seguente stato di tensione (valori in MPa):
S =
_
_
20 30 20
10 30
Sym 50
_
_
368
13.1. LO STUDIO DEGLI AUTOVALORI
Figura 13.1: Schema di corpo libero per il parallelepipedo orientato secondo
gli assi, sono rappresentate le componenti tensionali sulle sole facce in vista

i
1
n
2
n
3
n
66.23
23.42
49.65
Figura 13.2: Schema di corpo libero per il parallelepipedo con gli spigoli
nelle direzioni principali, sono rappresentate le componenti tensionali sulle sole
facce in vista
13.1.4 Due soli autovalori coincidenti
Consideriamo il caso in cui lequazione caratteristica abbia soluzione:
1
=
2
,=
3
. La-
nalisi relativa allautovalore
3
, che ha molteplicit`a uno, `e identica alla precedente e porta alla
determinazione di ununica direzione principale, di versore n
3
, associata a tale tensione princi-
pale. Consideriamo quindi le direzioni associate ai due autovalori coincidenti. Sostituendo
1
nella relazione (13.14) il rango della matrice del sistema si riduce a 1 per cui `e possibile eliminare
due delle tre equazioni del sistema (13.14) e ottenere la seguente equazione equivalente:
(
xx

1
) n
x
+
xy
n
y
+
xz
n
z
= 0
che ammette
2
soluzioni esplicitabili come:
_
_
_
n
x
=

xy

xx
n
y
+

xz

xx
n
z
n
y
= n
y
n
z
= n
z
considerando la condizione di unitariet`a, le soluzioni accettabili si riducono a
1
. Per iden-
ticare tali soluzioni `e suciente ricordare la propriet`a di ortogonalit`a degli autovettori che `e
369
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
generale e vale anche in presenza di autovalori coincidenti. Pertanto, gli autovettori associati
alle tensioni principali con valore comune
1
=
2
, dovendo essere
1
e tutti normali a n
3
,
identicano tutte e sole le coppie di direzioni tra loro perpendicolari che appartengono al piano
con normale n
3
. Le seguenti propriet`a si applicano quindi alla situazione in esame:
oltre n
3
, tutte le direzioni normali a n
3
risultano principali di tensione
ogni parallelepipedo elementare che abbia uno spigolo nella direzione di n
3
ha tutti gli
spigoli nelle direzioni principali di tensione
ogni faccia che contiene n
3
`e soggetta a sola tensione normale di componente pari a

1
=
2
.
Esercizio 13.1: Due autovalori coincidenti
Vericare che gli autovalori dello stato di tensione dato dalla matrice (valori in MPa):
S =
_
_
9.00 4.068 3.528
6.552 14.354
Sym 2.448
_
_
sono
1
=
2
= 10 e
3
= 20, e rappresentare lo schema di corpo libero di parallelepipedi
variamente orientati ma con uno spigolo nella direzione
_
_
0.746
0.170
0.644
_
_
13.1.5 Tre autovalori coincidenti e stato di tensione idrostatico
Consideriamo inne il caso in cui tutti gli autovalori coincidono e indichiamo con
0
il loro
valore comune. Con le solite considerazioni `e possibile vericare che il sistema (13.14) si riduce
allidentit`a (matrice con rango nullo), quindi per la condizione di unitariet`a del modulo di n,
si ottengono
2
soluzioni. Qualunque versore dello spazio `e soluzione del problema e quindi
`e autovettore della matrice di Cauchy. Un parallelepipedo comunque orientato sar`a quindi
soggetto a sola tensione normale
0
su ogni sua faccia. La condizione di coincidenza di tutti gli
autovalori di S si verica se e solo se la matrice di Cauchy `e diagonale:
S =
0
I =
_
_

0
0 0
0
0
0
0 0
0
_
_
(13.21)
infatti solo una matrice proporzionale alla matrice identica ha la stessa forma per qualunque
orientamento degli assi, come dimostra il seguente calcolo in cui L `e la matrice di rotazione:
S

= L
T
SL =
0
L
T
IL =
_
_

0
0 0
0
0
0
0 0
0
_
_
Riconosciamo in questo stato di tensione la condizione che si manifesta nei uidi in quiete, e
nei uidi ideali anche in movimento, universalmente nota come legge di Pascal:
370
13.1. LO STUDIO DEGLI AUTOVALORI
in ogni punto di un uido in quiete la pressione si esercita costante in tutte le
direzioni.
Per questo motivo uno stato di tensione del tipo (13.21) `e chiamato idrostatico.
`
E interessante osservare che i uidi possono mantenersi in equilibrio statico solo se ogni
parallelepipedo elementare `e sottoposto a uno stato di tensione idrostatico e con tensione prin-
cipale di valore negativo (
0
< 0). Se le tensioni principali fossero tra loro diverse, come
mostreremo nei prossimi paragra, vi sarebbero inevitabilmente piani su cui la componente
tangenziale del vettore tensione non `e nulla. Sotto leetto di tensioni tangenziali le molecole
del uido scorrerebbero e quindi non potrebbe esservi equilibrio statico. Il valore comune degli
autovalori deve inoltre essere negativo perche le molecole del uido, che non sono in grado di
manifestare signicative interazioni di tipo attrattivo, tenderebbero ad allontanarsi indenita-
mente. Nella nostra convenzione la tensione idrostatica di un uido `e pertanto una quantit`a
necessariamente negativa. Chi si occupa di uidodinamica assume invece positiva la pressione
dei uidi per evitare la sistematica presenza del segno meno in tutte le equazioni.
`
E necessario
ricordare questo fatto per evitare banali errori quando si arontano problemi in cui liquidi e
solidi interagiscono, come nello studio delle condotte o dei recipienti in pressione. Nei casi in
cui dovremo occuparci di uidi, per coerenza con entrambe le convenzioni, chiameremo tensio-
ne idrostatica la quantit`a
0
che `e sempre negativa e rappresenta un elemento della diagonale
del tensore di Cauchy e pressione p la quantit`a opposta, e quindi sempre positiva, come in
uidodinamica, ovvero:
0
= p.
Non `e dicile convincersi che un uido in quiete `e in grado di sopportare solo tensioni idro-
statiche con
0
< 0. Per modicare la tensione idrostatica in un uido si pu`o racchiuderlo in un
contenitore il cui volume pu`o essere variato, per esempio un cilindro con una delle basi scorrevo-
li. Per semplicit`a, consideriamo un cilindro innitamente rigido con la base mobile, pistone, che
realizza una tenuta perfetta e senza attrito. Per variare il volume del uido, possiamo esercitare
in corrispondenza delle basi due forze che costituiscono un coppia di braccio nullo. Se appli-
chiamo una azione di tipo compressivo (la coppia di forze `e convergente), la tensione idrostatica
nel uido viene ridotta in senso algebrico e quindi la pressione aumenta. In genere, una azione
compressiva anche quando diventa molto intensa pu`o essere sopportata senza problemi da un
uido sia liquido sia aeriforme. Pi` u interessante `e descrivere il comportamento dei uidi quando
si invertono le forze e la coppia tende ad aumentare il volume del recipiente. In questo caso si
verica sperimentalmente che la pressione del uido si riduce e quindi la componente idrostatica
della tensione nel uido cresce per cui, da negativa che era allinizio, tende a diventare nulla. Per
un uido aeriforme, laumento del volume a disposizione determina un aumento della distanza
media tra le molecole e quindi una riduzione della frequenza con cui le molecole stesse colpiscono
lunit`a di supercie delle pareti. Leetto macroscopico `e quindi una riduzione della pressione
che per`o non pu`o comunque mai annullarsi (si ricordi a tale proposito lequazione di stato dei
gas perfetti). Lespansione del recipiente contenente un liquido produce un fenomeno un po pi` u
complicato. Al crescere della forza esterna, anche la pressione del liquido diminuisce ma solo
no a raggiungere un livello caratteristico, che dipendente dal liquido e dalla temperatura, in
corrispondenza del quale il liquido comincia a bollire e quindi si trova allinterno del recipiente
in equilibrio con il suo vapore. Da questo momento, nel recipiente `e quindi presente anche una
fase aeriforme che pu`o espandersi indenitamente senza che la pressione possa mai annullarsi.
Si conclude quindi che, indipendentemente dallintensit`a dellazione espansiva esercitata sul re-
cipiente, la pressione sul uido contenuto non pu`o annullarsi, in altri termini non `e sicamente
possibile sottoporre un uido a stati di tensione con componente idrostatica positiva.
Un solido, al contrario, `e in grado di sopportare componenti idrostatiche sia di compressione
sia di trazione, almeno entro certi limiti, prima di danneggiarsi. Inoltre, come ricordato, un
solido pu`o sopportare anche stati di tensione che hanno autovalori diversi, e quindi caratteriz-
371
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
zati da piani su cui agiscono componenti tangenziali. Consideriamo un bicchiere pieno dacqua
liquida posto su un piano orizzontale. La congurazione del uido, in particolare lorizzontalit`a
della supercie libera e il fatto che lacqua riempie completamente il volume sottostante del con-
tenitore, `e conseguenza del fatto che solo in tale congurazione lo stato di tensione `e idrostatico
di compressione in ogni punto, sia pure con intensit`a che varia con la profondit`a secondo quan-
to previsto dalla legge di Stevino. Contribuisce in modo determinante a realizzare lo stato di
tensione idrostatico nel uido lazione esercitata dalle pareti del bicchiere sullacqua. In eetti,
se le pareti del bicchiere si rompessero, la conseguente alterazione dello stato di tensione che,
sotto leetto del solo peso proprio e della reazione del solo piano orizzontale non potrebbe pi` u
essere idrostatico, darebbe luogo alla prevedibile dispersione dellacqua. Se la stessa acqua fosse
invece ghiacciata, le pareti del bicchiere non sarebbero necessarie per lequilibrio, il contenuto
del bicchiere potrebbe agevolmente sopportare le azioni esterne, dovute al peso proprio e alla
reazione verticale sulla base, reagendo internamente con un campo di tensione non uniforme e
non idrostatico.
13.2 Classicazione dello stato di tensione
Uno stato di tensione `e classicato sulla base degli autovalori. I seguenti tipi di tensione si
manifestano frequentemente negli elementi strutturali e sono riprodotti nelle prove meccaniche
sui materiali.
Uno stato di tensione in cui tutte le tensioni principali sono non nulle `e detto triassia-
le (triaxial). La condizione di triassialit`a non comporta vincoli sulluguaglianza delle tensioni
principali, uno stato tensione idrostatico, ovviamente non nullo, `e infatti triassiale. Stati di
tensione triassiali si manifestano in corpi che hanno dimensioni confrontabili, e quindi che ri-
chiedono modelli strutturali tridimensionali, e in genere, nelle zone dove sono applicate forze
e reazioni vincolari oppure dove vi sono brusche variazioni del contorno, come vicino a cave o
spallamenti in un albero. Non `e facile realizzare generiche condizioni di triassialit`a uniformi su
volumi estesi e, di conseguenza, non esistono prove standard in cui tutto il materiale di un pro-
vino `e sottoposto a condizioni controllate di tensione triassiale, in particolare con componenti
di trazione.
Uno stato di tensione che ha una sola tensione principale nulla, o comunque trascurabile
rispetto alle altre, si chiama biassiale (biaxial). Lo stato di tensione biassiale `e molto comune
negli elementi strutturali e viene riprodotto in varie prove meccaniche.
`
E generalmente biassiale
lo stato di tensione che si ottiene come soluzione per gli elementi strutturali monodimensionali
(travi) e bidimensionali (lastre, piastre e gusci). Biassiale `e anche lo stato di tensione che si
ha sulla supercie esterna libera, ovvero non caricata o vincolata, di ogni corpo, modellabile
indierentemente come solido mono- bi- o anche tri-dimensionale. Dato che i livelli estremi di
tensione si manifestano quasi sempre sulla supercie dei corpi (si pensi, per esempio, alla es-
sione di una trave), lo stato biassiale `e di notevole interesse dal punto di vista delle applicazioni.
Alcuni particolari stati biassiali hanno un nome specico:
stato di tensione equibiassiale (equibiaxial):
1
=
2
,= 0 e
3
= 0 tipico, per esempio,
delle membrane dei tamburi o dei recipienti sferici pressurizzati di piccolo spessore (caso
particolare le bolle di sapone)
stato di tensione di taglio puro (pure shear):
1
=
2
,= 0 e
3
= 0, tipico delle travi
tubolari soggette a torsione.
Lo stato di tensione monoassiale o uniassiale (uniaxial, monoaxial), in cui una sola
tensione principale `e diversa da zero:
1
,= 0 e
2
=
3
= 0 `e tipico nelle travi soggette a forza
372
13.2. CLASSIFICAZIONE DELLO STATO DI TENSIONE
normale e a essione. Lo stato monoassiale `e in particolare prodotto nella prova di trazione che
`e usata per misurate le principali propriet`a meccaniche di un materiale.
Consideriamo uno stato biassiale, o anche monoassiale come caso limite, e un sistema carte-
siano con lasse z parallelo alla direzione principale che ha autovalore nullo. Sulle facce normali
a z non vi sono tensioni tangenziali, perche

k `e una direzione principale, e nemmeno tensioni
normali, per la biassialit`a. La forma pi` u generale per il tensore di Cauchy in tale sistema `e
quindi la seguente:
S =
_
_

xx

xy
0

yy
0
Sym 0
_
_
con la terza colonna e la terza riga identicamente nulle. Uno stato di tensione esprimibile
in questo modo `e chiamato stato piano di tensione (plane stress). Per uno stato piano
di tensione esiste quindi un sistema di riferimento nel quale si pu`o adottare, senza perdere
informazioni, una rappresentazione bidimensionale del tensore di Cauchy:
S =
_

xx

xy
Sym
yy
_
(13.22)
Il tensore dipende quindi da tre sole componenti scalari indipendenti signicative. La matrice
(13.22) conserva le note propriet`a tensoriali, in particolare, la legge di trasformazione con la
rotazione, e le caratteristiche spettrali. La determinazione degli autovalori per uno stato di
tensione piano `e facilitata dal fatto che lequazione caratteristica `e di secondo grado.
`
E utile considerare che non sempre laspetto della matrice di Cauchy rivela a prima vista
il tipo di tensione che agisce nel punto. Per classicare la tensione `e generalmente necessario
estrarre gli autovalori, come si verica risolvendo il seguente esercizio.
Esercizio 13.2: Identicazione di stati di tensione
Vericare che gli stati di tensione rappresentati dalle seguenti matrici di Cauchy hanno
le caratteristiche indicate a anco. Rappresentare i tensori nel loro sistema principale e
tracciare lo schema di corpo libero del corrispondente parallelepipedo elementare.
a) S =
_
_
1.333 3.333 0.667
8.333 1.667
Sym 0.333
_
_
: stato monoassiale
b) S =
_
_
9.667 1.356 1.176
4.483 4.785
Sym 5.851
_
_
: stato equibiassiale
c) S =
_
_
6.027 4.665 1.729
2.389 10.547
Sym 13.638
_
_
: stato piano di tensione (biassiale)
d) S =
_
_
3.023 3.151 8.472
2.696 3.168
Sym 0.326
_
_
: stato di taglio puro
373
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
13.3 Rappresentazione di Mohr
Lo studio delle propriet`a dello stato di tensione pu`o essere convenientemente eettuato per
classi. Cominceremo con il pi` u semplice stato monoassiale per poi passare al biassiale e inne
al triassiale. A tale scopo `e di notevole utilit`a una rappresentazione graca proposta da Otto
Mohr (1835-1918).
13.3.1 Tensione monoassiale
Uno stato di tensione monoassiale, in un sistema cartesiano avente lasse x nella direzione
principale con autovalore non nullo, `e espresso dalla matrice:
S =
_
_

1
0 0
0 0
Sym 0
_
_
negli esempi numerici e nelle gure che seguono, si considera come esempio:
1
= 50 MPa.
Lo stato monoassiale `e un caso particolare di plane-stress, per cui possiamo, almeno per ora,
semplicare lanalisi limitandoci a considerare le componenti tensionali relative agli assi x e y:
S =
_

1
0
0 0
_
Determiniamo quindi le azioni esercitate su facce con normale nel piano x y allo scopo di
tracciare gli schemi di corpo libero di parallelepipedi elementari genericamente ruotati attorno
a z. In questo modo, come mostra la gura 13.3, il parallelepipedo pu`o essere facilmente
rappresentato come un rettangolo osservato da z
+
. Identichiamo con A e B le due facce
positive del parallelepipedo: la faccia A risulta scarica mentre sulla faccia B agisce una tensione
normale pari a
1
= 50 MPa.
Ricordiamo che lidenticazione delle azioni eserciate sulle sole facce positive `e suciente per
denire lo stato di tensione e quindi lo schema di corpo libero del parallelepipedo. Per i motivi
che saranno chiariti tra poco, `e opportuno distinguere le due facce positive del parallelepipedo in
relazione allorientamento delle loro normali esterne rispetto agli assi del sistema di riferimento.
Guardando la gura da z
+
, la normale esterna alla faccia A (

j) si ottiene per rotazione


antioraria di /2 della normale esterna della faccia B (

i) mentre, ovviamente, la normale


esterna a B si ottiene per rotazione oraria di /2 della normale esterna ad A. Questa
circostanza viene indicata aermando che:
A `e la faccia antioraria
B e la faccia oraria.
Consideriamo ora una rotazione del parallelepipedo, denita dalla coordinata angolare
come mostrato nella gura 13.4 (nel disegno e nelle valutazioni numeriche che seguono si con-
sidera = +/6). Identichiamo le propriet`a del parallelepipedo ruotato e il suo sistema di
riferimento locale con lapice e, in particolare, le nuove facce positive che sono: A

antioraria e
B

oraria. Le azioni esercitate sulle facce del parallelepipedo ruotato possono essere determinate
applicando le formule di rotazione del tensore. La matrice di trasformazione degli assi piani `e
la seguente:
L =
_
cos sin
sin cos
_
per cui, nel sistema locale ruotato, il tensore diventa pieno:
374
13.3. RAPPRESENTAZIONE DI MOHR

j
50
50

B
A
Figura 13.3: Stato monoassiale visto da z
+
: sono indicate con A e B le facce
positive normali agli assi piani

B
A
Figura 13.4: Parallelepipedo ruotato attorno allasse z
S

= L
T
SL =
1
_
(cos )
2
sin cos
sin cos (sin )
2
_
=
50
4
_
3

3 1
_
=
_
37.5 21.65
21.65 12.5
_
e lo schema di corpo libero `e riportato in gura 13.5.

j

37.5
37.5
12.5
12.5
21.65
B
A
Figura 13.5: Schema di corpo libero del parallelepipedo ruotato, valori
numerici per
1
= 50 MPa e = +30

Essendo le facce A

e B

non principali, su di esse si manifestano anche tensioni tangenziali.


Le singole componenti della matrice di Cauchy per il parallelepipedo ruotato sono espressio-
ni quadratiche delle funzioni trigonometriche della coordinata angolare , che con le formule
elementari di duplicazione possono essere ridotte a funzioni armoniche di 2:

x
=
1
(cos )
2
=

1
2
(1 + cos 2) (13.23)
375
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE

y
=
1
(sin )
2
=

1
2
(1 cos 2) (13.24)

y
=
1
sin cos =

1
2
sin 2 (13.25)
Il piano di Mohr `e una rappresentazione cartesiana delle componenti del vettore tensione agente
su una faccia in cui la componente normale `e riportata in ascisse e la componente tangenziale
in ordinate. Pertanto ogni faccia del parallelepipedo `e rappresentata sul piano di Mohr con
un punto. Allo scopo di permettere a tale strumento graco di rappresentare coerentemente,
almeno per rappresentare gli stati di tensione piani, linsieme delle combinazioni tensionali che si
producono su entrambe le facce positive del parallelepipedo genericamente ruotato, `e introdotta
la seguente convenzione:
sul piano di Mohr le componenti tangenziali sono rappresentate con il loro segno per
le facce antiorarie e con il segno opposto per le facce orarie.
Nella gura 13.6a) `e riprodotto il piano di Mohr e sono riportati, coerentemente con la con-
venzione, i punti corrispondenti alle facce positive dei parallelepipedi nelle due congurazioni
angolari considerate. Se ora consideriamo tutti i possibili orientamenti del parallelepipedo, ov-
Figura 13.6: Rappresentazione di Mohr: a) delle facce A; B, A

, B

e b)
circonferenza per tutte le combinazioni dello stato monoassiale
vero tutti i valori di , le equazioni (13.22), (13.24) e (13.25) deniscono sul piano di Mohr
un luogo geometrico che visualizza la situazione delle facce positive genericamente orientate.
`
E
immediato vericare che tale luogo `e una circonferenza di centro C
_

1
2
, 0
_
e raggio R =
|
1
|
2
come mostrato in gura 13.6b).
Dalla gura 13.6b) possono essere ricavate le seguenti considerazioni facilmente generalizza-
bili.
La rotazione di una faccia corrisponde a una equiversa rotazione del punto rappresentativo
sul piano di Mohr attorno al centro C della circonferenza.
Sul piano di Mohr gli angoli sono raddoppiati e quindi a una rotazione della faccia del
parallelepipedo corrisponde una rotazione 2 del punto rappresentativo sul piano di Mohr.
La faccia A del parallelepipedo si pu`o ottenere ruotando la faccia B di 90

, in eetti sul
piano di Mohr il punto caratteristico di A si ottiene dal punto caratteristico di B con una
rotazione di 180

.
Due facce ortogonali del parallelepipedo sono rappresentate da punti diametralmente
opposti della circonferenza di Mohr (AB e A

sono infatti diametri della circonferenza)


376
13.3. RAPPRESENTAZIONE DI MOHR
Il punto caratteristico di B

si ottiene dal punto caratteristico di B con una rotazione


antoraria di 60

, in eetti la faccia B

`e ruotata in senso antiorario di 30

rispetto a B.
Come mostrato nelle gure 13.7a) e b), consideriamo la generica faccia P contenente la di-
rezione z e inclinata di un generico angolo e chiamiamo le componenti tensionali agenti su P:
() e (). Se il verso delle tensioni tangenziali non `e rilevante la rappresentazione sul piano
di Mohr di tutti i punti rappresentativi di P si riduce alla semicirconferenza superiore di gura
13.7c) (ricordiamo che per denizione () 0). Situazioni nelle quali `e possibile prescindere
dal segno delle tensioni tangenziali sono piuttosto frequenti per cui spesso la rappresentazione
di Mohr `e ridotta al semipiano superiore nel quale si riportano le componenti (, ), come in
gura 13.7c). Con questa rappresentazione semplicata non interessa distinguere se la faccia
rappresentata sia oraria o antioraria ma, di conseguenza, si possono perdere informazioni sul-
lorientamento delle sezioni. Considerando che

t ()

=
_
()
2
+ ()
2
, si ricava unaltra
interessante interpretazione dei punti sul piano di Mohr ovvero si evidenzia che la loro distanza
dallorigine rappresenta il modulo del vettore tensione agente sulla faccia corrispondente.
Figura 13.7: Stato di tensione monoassiale: a) parallelepipedo ruotato di un
angolo , supercie inclinata di rispetto alla faccia principale, c) semicerchio
di Mohr con le componenti () e ()
Usando la rappresentazione di Mohr `e agevole vericare le seguenti propriet`a generali dello
stato di tensione monoassiale (tensione principale signicativa
1
):
sulle facce di un parallelepipedo inclinato rispetto alle direzioni principali (ovviamente di
un angolo non multiplo di 90

) si manifestano sempre tensioni tangenziali


il massimo valore delle tensioni tangenziali, quantit`a generalmente indicata con
max
, `e la
met`a di [
1
[:
max
= [
1
[ /2
sul piano di Mohr la tensione tangenziale massima si trova sui punti della circonferenza
posti a 90

rispetto ai punti che individuano le direzioni principali e quindi tale condizione


si manifesta su facce ruotate di 45

come mostra la gura 13.8.


13.3.2 Tensione biassiale
Uno stato di tensione biassiale rappresentato nel riferimento delle direzioni principali ha la
seguente matrice di Cauchy:
S =
_
_

1
0 0

2
0
Sym 0
_
_
377
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
Figura 13.8: Parallelepipedo ruotato a 45

rispetto alle direzioni principali


sulle cui facce il materiale trasmette le tensioni tangenziali massime
che pu`o essere ridotta nel piano:
S =
_

1
0
0
2
_
Negli esempi che seguono consideriamo i seguenti valori:
1
= 50 MPa e
2
= 10 MPa.
Operando come nel caso monoassiale, `e facile ottenere la rappresentazione di Mohr delle
facce principali A e B e delle facce di un generico parallelepipedo ruotato attorno a z di un
angolo . Si verica in eetti che linsieme dei punti che corrispondono alle facce A

e B

`e
sempre una circonferenza il cui diametro ha ora estremi in
1
e
2
come mostrato in gura 13.9.
25
25
50
nn

rn

A
R
C
2
2
B
A B

j
50
50
B
A
10
10
Figura 13.9: Stato biassiale e sua rappresentazione di Mohr
Con il metodo algebrico si ottengono infatti le seguenti relazioni:

x
=

1
+
2
2
+

1

2
2
cos 2 (13.26)

y
=

1
+
2
2


1

2
2
cos 2 (13.27)

y
=

2
2
sin 2 (13.28)
dalle quali si ricava il nuovo circolo di Mohr che ha centro in C
_

1
+
2
2
, 0
_
e raggio R =
|
1

2
|
2
.
Si pu`o in eetti considerare lo stato monoassiale come un caso particolare di quello biassiale
ponendo
2
= 0. Il seguente esempio illustra lutilit`a della rappresentazione di Mohr per lanalisi
degli stati biassiali.
378
13.3. RAPPRESENTAZIONE DI MOHR
Esempio 13.3: Stato biassiale
Tramite la rappresentazione di Mohr, classicare e determinare le direzioni principali dello
stato di tensione piano:
S =
_
15 20
20 30
_
25
25
50
nn

rn

( ) 30, 20 A
( ) 15, 20 B

j
30
30
B
A
15 15
20
20
Figura 13.10: Schema di corpo libero e rappresentazione di Mohr delle facce
Non `e dicile classicare lo stato di tensione con il metodo analitico, tuttavia questo
esempio dimostra come la rappresentazione di Mohr sia altrettanto eciente e possa essere
pi` u adatta per dare un senso sico alle valutazioni. Il primo passo consiste nel rappresentare
sul piano di Mohr le due facce le cui componenti normali e tangenziali sono espresse dalla
matrice di Cauchy. A tale scopo `e opportuno distinguere la faccia oraria e antioraria e
porre la dovuta attenzione ai segni delle ordinate (gura 13.10):
la faccia A con
yy
= 30 e
xy
= 20 `e antioraria quindi la sua rappresentazione di
Mohr `e A(30, 20)
la faccia B con
xx
= 15 e
yx
= 20 `e oraria quindi rappresentazione di Mohr
B(15, (20)) = B(15, 20)
Le due facce sono a 90

quindi i rispettivi punti individuano il diametro del cerchio di


Mohr. Da ci`o si deducono il centro e il raggio:
C
_
15 + 30
2
, 0
_
= C (7.5, 0)
R =

yy

xx
2
_
2
+
2
xy
=

_
30 + 15
2
_
2
+ 20
2
= 30.1
e si pu`o tracciare il cerchio (gura 13.11). Dallascissa del centro e dal raggio si ottengono
quindi gli autovalori:

1
=

xx
+
xx
2
+R = 37.6

2
=

xx
+
xx
2
R = 22.6
379
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
R
C
41.6
25
25
50
nn

rn

( ) 30, 20 A
( ) 15, 20 B
25
25
D
E
Figura 13.11: Cerchio di Mohr per lo stato biassiale
Lo stato di tensione `e quindi biassiale. Per ottenere le giaciture delle facce principali,
ovvero gli autovettori, consideriamo per esempio la faccia che corrisponde al punto D con
autovalore
1
(gura 13.11). Sul piano di Mohr, tale punto si ottiene ruotando il punto A
in senso antiorario di un angolo pari a:
= arcsin
_
[
xy
[
R
_
= 41.6

una rotazione antioraria di /2 = 20.8

del parallelepipedo. Lo schema di corpo libero del


parallelepipedo orientato nelle sue direzioni principali `e riportato nella gura 13.12.
Figura 13.12: Tensioni e direzioni principali
Esercizio 13.3: Stato biassiale analizzato con Mohr
Con riferimento al precedente esempio 13.3, considerando solo facce che contengono lasse
z, determinare il valore massimo delle tensioni tangenziali e individuare a giacitura dei
piani su cui la tensione tangenziale `e 1/2 del valore massimo.
380
13.3. RAPPRESENTAZIONE DI MOHR
13.3.3 Tensione triassiale
Consideriamo inne uno stato triassiale:
S =
_
_

1
0 0

2
0
Sym
3
_
_
e come caso numerico:
1
= 50 MPa,
2
= 10 MPa e
3
= 20 MPa (gura 13.13). Consideriamo
20
50

10
j

i
B
A
D
Figura 13.13: Stato triassiale nel sistema principale
un sistema di riferimento con gli assi orientati nelle direzioni principali (gura 13.13) e, in un
primo tempo, osserviamo il parallelepipedo dalla parte dallasse z
+
in tutte le congurazioni
assunte sulle facce quando il parallelepipedo ruota attorno allasse z stesso. La componente z
dello stato di tensione, che si manifesta con una azione normale sulle facce frontali rispetto al
punto di vista, non produce alcun eetto sulle tensioni agenti delle facce laterali. Pertanto, la
variazione con langolo di rotazione delle componenti di tensione agenti sulle facce laterali `e lo
stesso che si avrebbe considerando lequivalente stato di tensione biassiale. La rappresentazione
delle facce A

e B

`e pertanto identica a quella mostrata nel paragrafo precedente. La circon-


ferenza di Mohr con diametro in corrispondenza degli autovalori
1
e
2
rappresenta quindi
le componenti dello stato di tensione di tutti i piani che contengono lasse z, come mostrato
in gura 13.14. I piani corrispondenti ai punti della circonferenza hanno normale esterna con
componente z identicamente nulla, ovvero del tipo n
T
= (n
x
, n
y
, 0).
Possiamo ripetere le precedenti considerazioni osservando il parallelepipedo da un altro asse
principale. Nella gura 13.15 sono esaminate rotazioni attorno allasse x e quindi le componenti
di vettori tensione per piani che hanno normale del tipo: n
T
= (0, n
y
, n
z
). Nella gura 13.16
sono considerate le rotazioni attorno a y e quindi la condizione di piani che hanno normale del
tipo: n
T
= (n
x
, 0, n
z
).
Anche se nello spazio la nozione non `e utile come nel piano, per ognuna delle tre circonferenze
di Mohr sopra denite, `e possibile stabilire la faccia oraria e la faccia antioraria, in modo che
anche il segno delle corrispondenti componenti delle tensioni tangenziali sulle varie facce possa
essere denito senza ambiguit`a.
I piani nora considerati non esauriscono evidentemente tutti gli
2
piani che passano
per il punto in esame. Rimangono infatti escluse le facce che non contengono alcuna delle
direzioni principali, come quella rappresentata in gura 13.17 la cui normale esterna ha tutte
le componenti non nulle: n
T
= (n
x
, n
y
, n
z
). Per una faccia di normale n, in genere con tutte
le componenti non nulle rispetto alle direzioni principali, valutiamo algebricamente il vettore
381
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE

i
B
A
D
B

25
25
50
nn

rn

2
( ) ( ) ( )
, B
A B
( )
( )
Figura 13.14: Rappresentazione di Mohr delle componenti del vettore ten-
sione per uno stato triassiale dei piani che contengono la direzione principale
3

25
25
nn

rn

2
( ) ( ) ( )
, A
A
D
B
A
D
25
( )
( )

i
Figura 13.15: Rappresentazione di Mohr delle componenti del vettore
tensione per uno stato triassiale dei piani che contengono la direzione principale

i
B
D
A

( )
( )
25
25
50
nn

rn

2
( ) ( ) ( )
, B
B
D
25
25
B
Figura 13.16: Rappresentazione di Mohr delle componenti del vettore ten-
sione per uno stato triassiale dei piani che contengono la direzione principale
2
382
13.3. RAPPRESENTAZIONE DI MOHR
B
A
D

i
n
Figura 13.17: Giacitura che non contiene alcuna direzione principale
tensione

t = S n. Se rinunciamo ad attribuire il segno della componente tangenziale e ne
consideriamo solo il modulo, il corrispondente punto nel piano di Mohr avr`a ascissa =
nn
=
n
T
S n (con il suo segno) e ordinata la quantit`a non negativa: =

t
nn
n

. Si pu`o dimostrare
che, come rappresentato in gura 13.18:
il punto (, ) rappresentativo della faccia genericamente orientata appartiene alla
gura racchiusa dalle tre semicirconferenze superiori di Mohr
B
A
D

25
25 50
nn

rn

B
D
25
25
A
B
( ) ,
Figura 13.18: Rappresentazione delle componenti del vettore tensione per
una faccia che non contiene alcuna direzione principale
In geometria una gura piana il cui contorno `e denito da archi di circonferenza `e chia-
mata lunula e la particolare lunula compresa da tre semicirconferenze complete `e chiamata
arbelo. Nel caso delle tensioni, le tre semicirconferenze che hanno gli estremi dei diametri in
corrispondenza delle tensioni principali deniscono larbelo di Mohr (gura 13.19).
Vale anche la relazione inversa:
dato un generico punto dellarbelo di Mohr (contorno incluso), esiste almeno un
piano le cui componenti di tensione sono le coordinate del punto.
Concludiamo queste considerazioni con limportante propriet`a:
larbelo di Mohr `e la rappresentazione graca del codominio completo della funzione

t ( n) e quindi evidenzia lo stato di tensione in un punto.


383
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
La rappresentazione di Mohr `e il modo migliore per vedere un tensore cartesiano di ordine
2. In eetti, nel caso del tensore di Cauchy, larbelo di Mohr fornisce la rappresentazione
delle sollecitazioni trasmesse da tutti gli
2
piani e quindi evidenzia eettivamente linsieme
completo delle azioni elettromagnetiche interne a corto raggio che deve sopportare il materiale
soggetto a tale stato di tensione.

1
2

Figura 13.19: Arbelo di Mohr per uno stato di tensione triassiale


Esempio 13.4: Arbelo di Mohr
Dato lo stato di tensione denito dalla matrice:
S =
_
_
20 0 0
10 0
Sym 40
_
_
vericare che i punti rappresentativi dei vettori tensione agenti sui piani normali ai vettori
(1, 2, 3) e (10, 6, 5) appartengono allarbelo di Mohr.
Il vettore tensione per il primo piano (che indichiamo con A
1
) `e dato da:

t =
_
_
20 0 0
10 0
Sym 40
_
_
1

14
_
_
1
2
3
_
_
=
_
_
5.35
5.35
32.1
_
_
e le sue componenti sono quindi:
=

t n = 27.1
=

t n n

= 18.7
Per laltro piano (chiamato A
2
) le componenti risultano: = 3.98 e = 22.4. La
rappresentazione di Mohr `e mostrata in gura 13.20.
384
13.4. ANALISI DEGLI STATI DI TENSIONE CON LA RAPPRESENTAZIONE DI MOHR
25
nn

rn

25
25
50
25
1
A
2
A
Figura 13.20: Appartenenza dei punti allarbelo di Mohr
13.4 Analisi degli stati di tensione con la rappresentazione di
Mohr
Rappresentiamo gli stati di tensione precedentemente classicati sul piano di Mohr. A
tale proposito `e opportuno considerare che, per quanto la classicazione sia eettuata in base
agli autovalori non nulli, ogni stato di tensione ha tre tensioni principali e quindi `e sempre
rappresentato da un arbelo di Mohr limitato da tre semicirconferenze. Nei casi in cui due
tensioni principali coincidono la relativa circonferenza si riduce a un punto e il corrispondente
larbelo degenera. Lo stato triassiale con autovalori distinti `e stato esaminato nel paragrafo
precedente, consideriamo quindi uno stato biassiale con autovalori distinti (
1
,=
2
):
S =
_
_

1
0 0

2
0
Sym 0
_
_
Per semplicit`a, supponiamo che il sistema di riferimento con assi x, y, z sia orientato come gli
autovalori. I tipici arbeli di Mohr che derivano da questo stato di tensione sono mostrati nella
gura 13.21. Osserviamo che due diametri delle tre semicirconferenze di Mohr devono avere
estremi nellorigine. Lorigine `e quindi interna (gura 13.21(a)) se gli autovalori non nulli sono
discordi (
1

2
< 0) mentre `e esterna (gura 13.21(b)) se gli autovalori non nulli sono concordi
(
1

2
> 0). Questa osservazione pu`o essere utile per determinare il valore massimo della
tensione tangenziale
max
che il materiale deve sopportare nel punto in esame e per individare
la giacitura su cui tale tensione si manifesta (il piano a cui corrisponde il punto D nella gura
13.21). Come vedremo, in molti casi, la quantit`a
max
`e un indicatore molto signicativo degli
eetti che lo stato di tensione produce sul materiale.
La
max
equivale alla massima elongazione verticale dellarbelo ed `e quindi uguale al raggio
della circonferenza massima. Nel caso di tensioni principali discordi (gura 13.21(a)) si ha
quindi:

max
=
1
2
[
1

2
[
385
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE

(a)
(b)
max

max

D
D
Figura 13.21: Arbeli di Mohr per stati biassiali: a) tensioni principali si-
gnicative discordi
1

2
< 0 e b) tensioni principali signicative concordi

2
> 0.
dove lintroduzione del valore assoluto permette di non ordinare gli autovalori algebricamente. Il
punto D appartiene alla circonferenza che ha estremi in
1
,
2
quindi il piano su cui si manifesta

max
contiene lasse z e la sua giacitura si ottiene ruotando la faccia principale (normale a x
oppure a y) di 45

attorno allasse z. Nel caso di tensioni principali concordi (gura 13.21(b)), la


tensione tangenziale massima appartiene invece alla semicirconferenza che ha estremi lorigine
(punto che corrisponde alla faccia normale a z) e il maggiore valore assoluto della tensione
principale, nellesempio:
1
. Vale pertanto la seguente relazione:

max
=
1
2
max ([
1
[ , [
2
[)
Il piano su cui si manifesta
max
`e diverso rispetto al caso precedente. Per ssare le idee suppo-
niamo che, come nella gura 13.21(a), sia [
1
[ > [
2
[, dato che D appartiene alla circonferenza
denita dalle tensioni principali agenti sulle facce normali a x e a z, il piano con la massima
tensione tangenziale si ottiene ruotando la faccia normale a x (oppure a z) di 45

attorno allasse
y.
Nella gura 13.22 `e mostrato larbelo di Mohr di uno stato di tensione di taglio puro
(
1
=
2
) per il quale si ha:

max
= [
1
[ = [
2
[
Come mostrato nella gura 13.23, il massimo valore della tensione tangenziale si manifesta su
facce ottenute ruotando il parallelepipedo attorno allasse z di 45

. Si pu`o osservare che quando


il parallelepipedo assume tale orientamento, sulle sue facce non agiscono tensioni normali, da
qui il nome di taglio puro.
Per analizzare lo stato si tensione equibiassiale (
1
=
2
) `e utile considerare uno stato di
tensione quasi equibiassiale in cui, per esempio `e
2
= 0.95
1
, il cui arbelo di Mohr `e mostrato
nella gura 13.24.
In questo caso larbelo tende a schiacciarsi sulla semicirconferenza massima. In eetti, per il
caso equibiassiale larbelo degenera eettivamente nella semicirconferenza esterna come mostra-
to in gura 13.25. In questo caso ai punti della semicirconferenza (come E e D) corrispondono
inniti piani in quanto tali punti sono il risultato della contrazione (o degenerazione) di un
intero segmento. In particolare, le condizioni di massima tensione tangenziale (corrispondenti
al punto D) si manifestano su tutti i piani tangenti al cono di semiapertura 45

avente asse
386
13.4. ANALISI DEGLI STATI DI TENSIONE CON LA RAPPRESENTAZIONE DI MOHR

max

D
B A
Figura 13.22: Stato di tensione di taglio puro

j
45
D D
max 1
=
B
A
1

Figura 13.23: Stato di tensione di taglio puro nelle direzioni principali e sul
parallelepipedo ruotato a 45

che evidenzia solo componenti tangenziali

2 1

Figura 13.24: Stato di tensione quasi equibiassiale
387
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE

1 2
=
D
E
Figura 13.25: Arbelo di Mohr per il caso equibiassiale
nella direzione z (in generale lautovettore che corrisponde alla tensione principale nulla). Il
punto in corrispondenza dellorigine (in cui larbelo non `e contratto) rappresenta un unico pia-
no.
`
E evidente che per lo stato equibiassiale non esistono piani con combinazioni (, ) che non
appartengono alla semicirconferenza.
Un ragionamento analogo, esemplicato nella gura 13.26, porta allarbelo degenere per
uno stato monoassiale. Anche in questo caso il punto caratteristico di un generico piano deve
appartenere alla semicirconferenza e i suoi punti (come E e D), escluso questa volta lestremo
con tensione normale non nulla, rappresentano inniti piani. In particolare, il punto D, in
corrispondenza del quale si ha la massima tensione tangenziale, rappresenta tutti i piani tangenti
al cono di semiapertura 45

con asse coincidente con la direzione principale dellautovalore non


nullo.
Uno stato di tensione monoassiale e uno stato di tensione equibiassiale che hanno la stessa
tensione principale non nulla hanno quindi arbeli di Mohr indistinguibili. A parit`a di tensione
principale non nulla, questi stati di tensione hanno quindi anche il medesimo valore della mas-
sima tensione tangenziale. La stessa rappresentazione nel piano di Mohr giustica levidenza
sperimentale, che sar`a discussa in un prossimo capitolo, che tali stati di tensione producano
eetti simili sul materiale, per esempio per quanto riguarda lo snervamento.

D
E

(a)
(b)
Figura 13.26: Stato di tensione: a) biassiale quasi monoassiale e b)
monoassiale
388
13.5. ALTRE RAPPRESENTAZIONI E PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
Per lo stato di tensione idrostatico (
1
=
2
=
3
=
0
):
S =
_
_

0
0 0

0
0
Sym
0
_
_
si verica la degenerazione estrema dellarbelo di Mohr in un singolo punto (gura 13.27) del-

Figura 13.27: Arbelo degenere di Mohr per lo stato di tensione idrostatico.


lasse delle . La rappresentazione evidenzia le peculiarit`a dello stato idrostatico, in particolare:
la rappresentazione matriciale invariante per rotazione
la mancanza di piani su cui si manifestano tensioni tangenziali
il fatto che tutti gli
2
piani hanno la medesima tensione normale pari a
0
.
13.5 Altre rappresentazioni e propriet`a dello stato di tensione
13.5.1 Rappresentazione di Haigh-Westergaard
La rappresentazione di Mohr `e molto utile per comprendere gli eetti prodotti da uno stato
di tensione perche ne evidenzia in modo immediato le caratteristiche tensoriali. Sono stati
proposti tuttavia anche altri strumenti graci per rappresentare lo stato di tensione. Tutte le
rappresentazioni, piano di Mohr incluso, sono utili prevalentemente nello studio dei materiali
isotropi per i quali non `e importante lorientamento degli assi principali e le tensioni principali
sono sucienti per caratterizzare gli eetti prodotti dallo stato di tensione.
1

10
10
10
S
Figura 13.28: Rappresentazione nello spazio di Haigh-Westergaard di uno
stato di tensione triassiale
389
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
Lo spazio di Haigh-Westergaard prevede di rappresentare uno stato di tensione in un dia-
gramma cartesiano tridimensionale le cui coordinate sono le tensioni principali. Un esempio `e
fornito nella gura 13.28 in cui `e visualizzato lo stato di tensione:
S =
_
_
50 0 0
10 0
Sym 20
_
_
Con riferimento alla gura 13.29, si possono vericare le seguenti aermazioni relative alla
rappresentazione di Haigh-Westergaard:
1

45
45
54.7
54.7
54.7
idrostatico
equibiassiale
taglio puro
Figura 13.29: Rappresentazione di alcuni stati di tensione notevoli nello
spazio di Haigh-Westergaard
lorigine `e lo stato di tensione nullo
uno stato di tensione `e tanto pi` u intenso quanto pi` u il suo punto caratteristico `e lontano
dallorigine
i punti appartenenti agli assi rappresentano stati monoassiali
i punti appartenenti ai piani coordinati rappresentano stati di tensione piani
gli stati di tensione idrostatici sono rappresentati dai punti appartenenti alla trisettrice
del primo ottante
le bisettrici dei piani coordinati rappresentano stati di tensione equibiassiali (bisettrici
principali) o stati di tensione di taglio puro (bisettrici secondarie).
Quando lo stato di tensione `e piano (biassiale o monoassiale) si pu`o usare il pi` u comodo
piano di Haigh-Westergaard che consiste nella proiezione ortogonale dello spazio di Haigh-
Westergaard in direzione dellautovalore nullo. Gli stati piani sono rappresentati nella gura
13.30.
13.5.2 Decomposizione dello stato di tensione
Consideriamo un generico stato di tensione (mono-, bi- o tri-assiale) rappresentato nel suo
sistema principale:
S =
_
_

1
0 0

2
0
Sym
3
_
_
390
13.5. ALTRE RAPPRESENTAZIONI E PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
1

45
45
equibiassiale
taglio puro
Figura 13.30: Piano di Haigh-Westergaard per stati di tensione piani con i
luoghi caratteristici per gli stati equibiassali e taglio puro
in alcune analisi `e utile considerarlo come la sovrapposizione di due stati di tensione deniti in
questo modo:
_
_

1
0 0

2
0
Sym
3
_
_
=
_
_

0
0 0

0
0
Sym
0
_
_
+
_
_

0
0 0

0
0
Sym
3

0
_
_
(13.29)
in cui lo scalare:

0
=
1
3
(
1
+
2
+
3
) =
1
3
I
1
(13.30)
`e chiamato tensione media (mean stress) ed `e evidentemente un invariante (per rotazione)
e il tensore:
S
I
=
_
_

0
0 0

0
0
Sym
0
_
_
(13.31)
`e chiamato componente idrostatica (hydrostatic component) dello stato di tensione S,
mentre il tensore dierenza:
S
D
= S S
I
=
_
_

0
0 0

0
0
Sym
3

0
_
_
(13.32)
`e chiamato componente deviatorica (deviatoric component) dello stato di tensione o
deviatore di tensione (stress deviator).
In generale, uno stato di tensione ha sia componente idrostatica sia componente deviatorica
(si pensi per esempio allo stato monoassiale), ma `e evidente che uno stato di tensione idrostatico
ha componente deviatorica nulla. Uno stato di tensione che, al contrario, ha componente
idrostatica nulla `e detto deviatorico.
Nella rappresentazione di Mohr la tensione media
0
, che determina lintensit`a della compo-
nente idrostatica, `e il baricentro dei punti di intersezione dellarbelo con lasse delle e quindi
`e connessa alla posizione dellarbelo in direzione orizzontale. Uno stato di tensione `e deviato-
rico quando il suddetto baricentro `e nellorigine, perche ci`o si verichi `e necessario e suciente
che una tensione principale sia opposta alla somma delle altre due (la traccia della matrice di
391
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
Cauchy `e nulla). Uno stato di tensione di taglio puro `e quindi deviatorico ma esistono inniti
stati deviatorici diversi dal taglio puro.
Un elevato modulo della componente idrostatica, ovvero uno stato di tensione fortemente
idrostatico, indica che larbelo `e molto spostato a destra (se
0
> 0) o a sinistra (se
0
< 0)
mentre una intensa componente deviatorica implica che i tre estremi dei cerchi sono lontani dal
baricentro e quindi che larbelo `e esteso (il cerchio massimo ha grande raggio). Poiche la tensione
tangenziale massima misura lestensione dellarbelo (`e proprio il raggio del cerchio massimo),
non stupisce che la componente deviatorica dello stato di tensione sia collegata allintensit`a
delle tensioni tangenziali agenti nel punto, in eetti gli stati di tensione idrostatici che hanno
componente deviatorica nulla hanno anche
max
= 0 .
La componente deviatorica dello stato di tensione viene usata per analizzare degli eetti che
uno stato di tensione produce sulla resistenza allo snervamento dei materiali. A tale scopo sono
di particolare interesse gli invarianti principali del deviatore, generalmente indicati con: J
1
, J
2
e
J
3
.
`
E lasciata al lettore la verica delle seguenti relazioni che legano gli invarianti del deviatore
e del tensore di Cauchy:
J
1
= 0 (13.33)
J
2
=
1
3
_
I
2
1
3I
2
_
(13.34)
J
3
=
1
27
_
2I
3
1
9I
1
I
2
+ 27I
3
_
(13.35)
Alcune propriet`a dello stato di tensione si ottengono considerando il vettore tensione che si
manifesta sul piano che ha come normale la trisettrice delle direzioni principali. Tale giacitura `e
chiamata piano ottaedrico (octaedral plane) e ottaedriche sono denominate le componenti
del vettore tensione agente su tale piano. Si verica in particolare che:
la componente normale del vettore tensione agente sul piano ottaedrico `e pari alla tensione
media:
oct
=
0
la componente tangenziale del vettore tensione agente sul piano ottaedrico dipende solo
dal secondo invariante principale del deviatore:
oct
=
_
2
3
J
2
=

2(I
2
1
3I
2)
3
Le componenti ottaedriche sono usate per sviluppare considerazioni energetiche relative alle
azioni interne (che saranno riprese in un prossimo capitolo) e hanno anche un interessante
signicato statico. Se si considera una supercie sferica di raggio con centro nel punto in
esame e le componenti normale e tangenziale del vettore tensione agente sui punti della
sfera, il loro valor medio quando il raggio tende a zero sono date dalle seguenti relazioni:
) = lim
0
1
4
2
_

dS =
0
(13.36)
) = lim
0
1
4
2
_

dS =
_
3
5

oct
(13.37)
Esercizio 13.4: Legame tra tensore di Cauchy e suo deviatore
Vericare le relazioni (13.34) e (13.35)
392
13.6. EQUAZIONI INDEFINITE DI EQUILIBRIO DELLELEMENTO SOLIDO ELEMENTARE
Esercizio 13.5: Propriet`a medie locali dello stato di tensione (*)
Vericare le relazioni (13.36) e (13.37)
13.6 Equazioni indenite di equilibrio dellelemento solido ele-
mentare
Analogamente a quanto fatto per il concio di trave nel capitolo 10, `e interessante considerare
le variazioni che lo stato di tensione presenta quando si passa da una faccia a quella opposta del
parallelepipedo elementare. Le facce opposte sono in eetti separate da distanze innitesime e
quindi `e lecito attendersi che anche le componenti di tensione su di esse agenti dieriscano, per
quanto di quantit`a innitesime.

k
xx
xx
dx dydz
x


xx
dydz
xy
xy
dy dxdz
y


xy
dxdz
xz
xz
dz dxdy
z


xz
dxdy
x
f dxdydz
Figura 13.31: Schema di corpo libero del parallelepipedo elementare con le
azioni che hanno componente in direzione x
Esaminiamo lequilibrio del parallelepipedo elementare sottoposto alla condizione di carico
pi` u generale. Nello sviluppo che segue consideriamo le azioni che hanno componenti nella
direzione x, per le altre sar`a suciente ripetere il ragionamento modicando gli indici. Dallo
schema di corpo libero illustrato nella gura 13.31 si osserva che:
`e stato considerato un parallelepipedo elementare con un generico orientamento sulle cui
facce agiscono tutte le componenti di tensione
le forze di volume o di massa, in genere il peso e le forze dinerzia, sono staticamente equi-
valenti a un forza applicata al baricentro del parallelepipedo elementare, la componente
nella direzione x `e quindi data da f
x
dxdydz
non sono considerate forze esterne di tipo concentrato in quanto non giusticabili dal
punto di vista sico nellipotesi di continuo tridimensionale
le forze di supercie esercitate sulle sei facce, eetto della tensione, sono rappresentate
nello schema tramite le loro risultanti applicate ai baricentri (centri di spinta) delle relative
facce
sono considerate tutte componenti positive dello stato di tensione quindi forze equiverse
agli assi sulle facce positive e controverse sulle facce negative
393
13. PROPRIET
`
A DELLO STATO DI TENSIONE
sono ammesse variazioni innitesime delle componenti di tensione sulle coppie di facce
opposte, a tale proposito sono introdotte le derivate parziali perche ogni componente di
tensione varia in generale nelle diverse direzioni essendo funzione di tre coordinate.
La prima cardinale in direzione x si esprime come:
_

xx
+

xx
x
dx
_
dydz
xx
dydz +
_

xy
+

xy
y
dy
_
dxdz
xy
dxdz +
_

xz
+

xz
z
dz
_
dxdy
xz
dxdy+
+f
x
dxdydz = 0
che si semplica nella seguente:

xx
x
dxdydz +

xy
y
dydxdz +

xz
z
dzdxdy +f
x
dxdydz = 0 (13.38)
Il fattore dierenziale comune a tutti i termini della relazione (13.38) `e il volume del parallele-
pipedo (innitesimo ma non nullo) e pu`o quindi essere eliminato. Facendo il calcolo anche per
le altre componenti si ottengono le seguenti uguaglianze:

xx
x
+

xy
y
+

xz
z
+f
x
= 0 (13.39)

yx
x
+

yy
y
+

yz
z
+f
y
= 0 (13.40)

zx
x
+

zy
y
+

zz
z
+f
z
= 0 (13.41)
chiamate equazioni indenite di equilibrio del parallelepipedo elementare le quali, discen-
dendo direttamente della prima cardinale, devono essere soddisfatte in ogni circostanza. La
validit`a delle equazioni indenite si estende anche al caso in cui il punto sia in movimento, se si
ha laccortezza di adottare un sistema di riferimento solidale al baricentro del parallelepipedo e
si introducono nelle forze di volume anche le eventuali forze dinerzia.
In molti casi in Meccanica, le forze di volume sono trascurabili, perche producono eetti
tensionali molto pi` u piccoli rispetto a quelli dovuti alle forze applicate per contatto. Le equazioni
indenite si semplicano allora nelle seguenti:

xx
x
+

xy
y
+

xz
z
= 0 (13.42)

yx
x
+

yy
y
+

yz
z
= 0 (13.43)

zx
x
+

zy
y
+

zz
z
= 0 (13.44)
Le equazioni indenite suggeriscono pertanto la presenza di gradienti di tensione allinterno
dei solidi e, di conseguenza, lesistenza di variazioni nei valori delle componenti tensionali quan-
do si passa da una faccia a quella opposta. Come evidenziato dalle relazioni (13.39,13.40,13.41),
i gradienti di tensione sono conseguenza diretta delle forze di volume, tuttavia, anche in assenza
di forze di volume, gradienti di tensione possono manifestarsi allinterno del corpo purche si
compensino come indicato dalle relazioni (13.32,13.43,13.44). Si osservi per`o che se tali gra-
dienti sono niti, le variazioni di tensione che si possono manifestare tra due facce opposte
del parallelepipedo sono quantit`a innitesime dello stesso ordine della distanza delle facce (o
superiori).
Dal punto di vista matematico, le equazioni indenite di equilibrio costituiscono nel loro
insieme un sistema di equazioni dierenziali lineari alle derivate parziali, non omogenee se vi
sono forze di volume, che hanno come:
394
13.6. EQUAZIONI INDEFINITE DI EQUILIBRIO DELLELEMENTO SOLIDO ELEMENTARE
dominio di denizione: la regione occupata dal corpo in esame
incognite: le 6 componenti di tensione (funzioni della posizione e quindi delle coordinate)
termini noti: le forze di volume (anchesse in genere variabili con la posizione)
condizioni al contorno: le azioni esercitate sulla supercie del corpo (carichi di contatto e
vincoli).
La discussione sui metodi per risolvere questo fondamentale ma complesso problema della
sica-matematica, che porta alla determinazione del campo di tensione in ogni punto del corpo
in esame, e soprattutto le sue pratiche applicazioni, costituisce largomento della parte nale del
corso. Possiamo tuttavia anticipare alcune interessanti considerazioni generali sulla risolvibili-
t`a del problema, confrontando il numero delle incognite con quello delle equazioni disponibili.
Osserviamo che le equazioni di equilibrio (13.39,13.40,13.41) forniscono 3 condizioni indipen-
denti. Si potrebbe obiettare che non sono state considerate le condizioni derivanti dalla seconda
cardinale, ma non `e corretto. In eetti, limposizione dellequilibrio alla rotazione conduce alla
condizione di simmetria del tensore di Cauchy (`e lasciato al lettore il compito di dimostrare che
le variazioni innitesime di tensione sulle facce opposte non modicano questo risultato). La
seconda cardinale `e quindi gi`a considerata nel bilancio, con la riduzione da 9 a 6 delle incognite
del problema. Pertanto, dato che vi sono 6 funzioni incognite
ij
(x, y, z) con solo 3 equazioni
di equilibrio, dobbiamo arontare un tipico problema iperstatico. Eettivamente si tratta di un
problema ben
3
volte iperstatico! In analogia con i problemi di meccanica del corpo rigido
e delle strutture gi`a arontati, concludiamo quindi che nella meccanica del continuo le sole
condizioni di equilibrio non permettono di discriminare tra tutti gli inniti campi di tensione
equilibrati quello che eettivamente si manifesta. Come per tutti i problemi iperstatici, che
rimangono indeterminati nellipotesi di innita rigidezza, la soluzione del problema non `e otte-
nibile senza considerare che il continuo si deforma. Di conseguenza e necessario stabilire come
le azioni statiche modicano la forma dei corpi e quindi, nel caso specico, come le tensioni
distorcono il cubetto elementare.
Appare pertanto evidente la necessit`a di integrare le equazioni indenite di equilibrio con
equazioni adatte a modellare la deformabilit`a del mezzo continuo. Similmente allo studio della
statica dellelemento innitesimo, che ha portato alla denizione della tensione, `e necessario
denire in modo quantitativo il generico cambiamento di forma del parallelepipedo elementare.
Inoltre `e necessario anche sviluppare un modello che quantichi la distorsione del parallelepi-
pedo elementare quando `e sottoposto allo stato di tensione. Le equazioni che descrivono la
variazione di forma, e quindi sono di natura geometrica e hanno validit`a universale, sono chia-
mate equazioni di congruenza (compatibility equations). Le relazioni che descrivono il
comportamento meccanico del materiale legando il fenomeno deformativo allo stato di tensione
sono chiamate equazioni costitutive (constitutive equations). Queste ultime sono di natu-
ra fondamentalmente empirico-sperimentale e quindi sono speciche per ogni materiale o classe
di materiali.
`
E infatti evidente, per esempio, che il comportamento di un acciaio `e diverso,
almeno dal punto di vista quantitativo, da quello per esempio di un polimero o di una gomma.
Le equazioni di congruenza e le equazioni costitutive sono sviluppate nei prossimi quattro
capitoli, alla ne dei quali sar`a possibile vericare che linsieme di tutte queste condizioni rende
eettivamente risolvibile il problema della meccanica dei continui.
395
Capitolo 14
La deformazione
Partendo dal problema tipico delle veriche di rigidezza, il capitolo sviluppa la nozione di
variazione di congurazione o deformazione di un continuo.
La prima parte del capitolo `e dedicata allanalisi delle trasformazioni ani che rappre-
sentano le variazioni di congurazione descrivibili nel modo pi` u semplice dal punto di vista
matematico. In particolare, `e presentato il problema diretto, che consiste nel determinare le
deformazioni di un corpo quando `e noto il campo di spostamento di ogni suo punto. Il problema
diretto `e in generale sempre risolvibile per quanto preveda equazioni non lineari se le variazioni
di congurazione sono intense. Per variazioni di congurazione di piccola entit`a, le deformazioni
possono invece essere ottenute elaborando gli spostamenti con relazioni di tipo lineare.
Nella seconda parte del capitolo `e introdotto il tensore delle piccole deformazioni che
costituisce la grandezza fondamentale per lo studio dei corpi poco deformabilic he sar`a ogetto
del seguito del corso.
Nella terza parte del capitolo lanalisi deformativa `e estesa a variazioni di forma molto pi` u
generali che non sono ani. Alcune ragionevoli restrizioni sulle propriet`a di regolarit`a del campo
di spostamento deniscono le trasformazioni congruenti che permettono di modellare tutti
i processi deformativi di pratico interesse. Lesame delle trasformazioni congruenti `e facilitato
dallosservazione che esse sono ani al limite. Si verica infatti che, ogni parallelepipedo
elementare che subisce una trasformazione congruente si trasforma in modo ane.
Nellultima parte del capitolo `e arontato il problema inverso che consiste nel determinare
il campo di spostamento quando `e dato il campo di deformazione. Lanalisi del problema inverso
evidenzia lesistenza di restrizioni sul modo con cui le componenti del campo di deformazione
possono variare nello spazio. Tali condizioni sono formalmente espresse dalle equazioni di
Beltrami-Michell.
14.1 Necessit`a dellanalisi deformativa
Lanalisi strutturale ha lo scopo di vericare che ogni elemento di una macchina o di una
struttura sia in grado di svolgere la sua funzione. A un elemento meccanico sono generalmente
demandati compiti cinematico-funzionali, in quanto partecipa alla conversione di energia o
determina il movimento di deniti punti, e compiti strutturali, che consistono nel trasferire i
carichi dalle zone dove questi ultimi sono eettivamente applicati al telaio. Per garantire tutto
ci`o `e necessario che nel funzionamento:
1. il materiale non subisca danni signicativi anche nelle condizioni estreme,
2. la forma dellelemento non si discosti apprezzabilmente da quanto previsto in fase di
progetto (la forma di riferimento `e denita dalle quote del disegno).
397
14. LA DEFORMAZIONE
Per garantire il primo requisito sono eettuate le veriche di resistenza (strength), mentre
per il secondo sono eettuate le veriche di rigidezza (stiness). In generale, un elemento
meccanico deve essere adeguatamente resistente e sucientemente rigido.
La verica di resistenza conduce al confronto tra lo stato di tensione che si ha in ogni punto,
in pratica nei punti critici, con un livello di tensione ritenuto ammissibile per il materiale e
determinato con prove speciche. Nel caso di una struttura di travi, per esempio, la verica
di resistenza prevede lindividuazione delle sezioni potenzialmente critiche (come spiegato nel
capitolo 10) e, successivamente, dei punti critici di tali sezioni, allo scopo di selezionare il punto
pi` u sollecitato della struttura. La resistenza di un componente `e pertanto una caratteristica
di tipo locale per cui, nel caso la verica evidenzi una inadeguatezza, pu`o essere ecace un
intervento mirato a irrobustire solo la zona critica, per esempio consistente in un aumento
locale delle dimensioni della sezione.
In una verica di rigidezza `e generalmente richiesto di determinare di quanto la posizione di
alcuni punti della struttura si modichi sotto carico rispetto alla congurazione di riferimento,
di solito denita dal disegno in condizioni di struttura scarica. La verica di rigidezza si riduce
quindi a confronti tra spostamenti di punti o rotazioni di segmenti con corrispondenti valori
ritenuti ammissibili. A dierenza della resistenza, lintervento per modicare la rigidezza di una
struttura, in genere per aumentarla, `e di tipo globale.
A B
C
D
W
1
W
2
F
F
Figura 14.1: Schema di trasmissione meccanica
Lanalisi della deformabilit`a dei corpi `e necessaria per eettuare le veriche di rigidezza, per
le quali il modello di corpo innitamente rigido `e ovviamente inadeguato, ma `e richiesta anche
per eettuare le veriche di resistenza. Nei problemi iperstatici `e stata evidenziata limpossi-
bilit`a di determinare le reazioni vincolari, e quindi anche le caratteristiche di sollecitazione, a
causa del fatto che la soluzione dipende in modo determinante dalla deformabilit`a degli elemen-
ti strutturali. Il modello di corpo deformabile permette in eetti, come vedremo, di eliminare
lindeterminatezza con un procedimento che riconduce un problema iperstatico alla sovrapposi-
zione di problemi isostatici. Inoltre, anche nei problemi isostatici di travi, il modello di corpo
innitamente rigido consente di spingere lanalisi delle azioni interne solo no alle caratteristi-
che di sollecitazione ovvero allindividuazione delle sezioni critiche. Considerando che un concio
elementare di trave `e composto da inniti parallelepipedi elementari, anche se le caratteristiche
di sollecitazione sono note, non `e possibile valutare lo stato di tensione prodotto da queste in
ogni singolo punto. La determinazione della tensione in ogni punto di una sezione, argomento
che sar`a arontato nella parte III del corso, pu`o in eetti essere considerato un problema in-
nitamente volte iperstatico (le sei componenti di tensione sono incognite in ognuno degli
2
398
14.1. NECESSIT
`
A DELLANALISI DEFORMATIVA
punti della sezione) e quindi altamente indeterminato se si prescinde dalla deformabilit`a del
materiale.
Lesempio che segue illustra la necessit`a del modello deformativo nellanalisi strutturale in
meccanica. In gura 14.1 `e schematizzata una tipica trasmissione realizzata con due ingranaggi
cilindrici a denti dritti calettati su due alberi ad assi paralleli che girano su cuscinetti radiali non
orientabili a sfere. La potenza meccanica `e immessa nella trasmissione dal giunto universale W
1
e raccolta dal giunto W
2
(le frecce indicano i versi di rotazione degli alberi). Nel funzionamento,
come illustrato nella gura 14.1, i denti in presa, che materializzano un vincolo interno di ap-
poggio semplice, si scambiano la forza di contatto F. Il calcolo delle caratteristiche geometriche
delle dentature (angolo di pressione, modulo, addendum, dedendum, spessore dei dischi degli
ingranaggi, ecc. . . ) `e generalmente basato sullipotesi di un comportamento ideale con elementi
innitamente rigidi. Tuttavia, sotto carico, gli alberi, considerati come travi, sono sottoposti
a: momento torcente, momento ettente e taglio.
`
E presumibile quindi che la loro linea dasse
subisca una distorsione, come `e mostrato, in modo amplicato, nella gura 14.2.
A
B
C
D
W
1
W
2
Figura 14.2: Trasmissione meccanica con alberi distorti dal carico
(distorsione amplicata
Almeno le seguenti quantit`a geometriche (distorsioni) devono essere opportunamente limitate
per garantire il corretto funzionamento della trasmissione:
lo spostamento relativo degli ingranaggi e quindi laumento di interasse degli alberi in
corrispondenza della zona di contatto
linclinazione relativa degli assi delle ruote dentate
linclinazione degli assi degli alberi in corrispondenza dei cuscinetti.
Imporre limiti, che spesso sono piuttosto stretti, a tali quantit`a pu`o condizionare le scelte di
progetto pi` u della necessit`a di garantire la resistenza degli alberi stessi. Sono infatti molti i
casi in cui le dimensioni, la forma e il materiale degli elementi strutturali sono determinati
in base alle esigenze di rigidezza piuttosto che da quelle di resistenza. Il soddisfacimento dei
requisiti di rigidezza, oltre che giusticato dalla necessit`a di consentire la trasmissione del moto
in condizioni accettabili, e quindi vicine a quelle previste in fase di disegno, ha importanti
conseguenze indirette anche sulla resistenza e sulla durata della trasmissione dato che:
una eccessiva deformabilit`a degli alberi determina anomale condizioni di contatto sui
anchi dei denti in presa che riducono la durata della trasmissione e ne aumentano la
rumorosit`a
399
14. LA DEFORMAZIONE
una eccessiva inclinazione relativa delle sedi dei cuscinetti li rende inadatti a funzionare
come appoggi e impone di sostituirli con cuscinetti orientabili
una eccessiva deformabilit`a degli alberi pu`o causare linsorgenza di fenomeni oscillatori
non voluti e non prevedibili con lanalisi statica.
Come osservato nel capitolo 1, la deformabilit`a sotto carico `e una caratteristica universale
comune a ogni corpo, tanto che il fenomeno `e sfruttato per la misura stessa delle forze (si
ricordi il principio su cui `e basato il funzionamento del dinamometro). Inoltre, come spiegato
nel capitolo 11, quando la congurazione di un corpo `e modicata dal carico, il problema
di statica diventa del secondo tipo e quindi generalmente non lineare. A questo proposito `e
importante premettere che, nellambito del presente corso, saranno presi in considerazione solo
elementi strutturali poco deformabili il cui cambiamento di forma, anche quando non pu`o
essere trascurato, sar`a comunque di modesta entit`a. Date le stringenti richieste di rigidezza
generalmente imposte dal corretto funzionamento dei componenti di macchina, lipotesi di corpi
poco deformabili non `e particolarmente penalizzante. Tale ipotesi consente di applicare modelli
lineari semplicati, basati sulle tecniche di soluzione dei problemi del primo tipo con cui, come
discusso nel capitolo 11, si ottengono stime valide per moltissimi casi di pratico interesse.
14.2 Il campo di spostamento
14.3 Le componenti del campo di spostamento
Qualsiasi informazione richiesta in una verica di rigidezza pu`o essere dedotta se `e nota
la posizione nale di ogni punto del corpo dopo lapplicazione del carico. Consideriamo la
situazione generale rappresentata in gura 14.3 dove `e riportato il corpo nella congurazione
di riferimento , generalmente senza carichi applicati, e nella congurazione distorta

quindi
sotto carico. Le propriet`a geometriche riferite alla congurazione distorta saranno generalmente
indicate con lasterisco.

i
P
P*
O
u
G

*
Figura 14.3: Corpo nella congurazione di riferimento e nella congurazione
distorta
Consideriamo un unico sistema di riferimento, in genere cartesiano ortogonale destrorso,
rispetto al quale le coordinate di un generico punto P prima della distorsione sono indicate
come OP (x
1
, x
2
, x
3
) oppure (x, y, z). Dopo la distorsione il punto si trover`a nella posizione P

individuata dal vettore OP

(x

1
, x

2
, x

3
) o (x

, y

, z

).
`
E consuetudine utilizzare come misura
della variazione di congurazione il campo di spostamento, denito come:
u = OP

OP = PP

400
14.3. LE COMPONENTI DEL CAMPO DI SPOSTAMENTO
che in componenti si indica come:
_
_
u
1
u
2
u
3
_
_
=
_
_
u
v
w
_
_
=
_
_
x

1
x
1
x

2
x
2
x

3
x
3
_
_
(14.1)
Le componenti del vettore spostamento (displacement) vengono anche chiamate frecce
(`e utile sottolineare che il termine tecnico freccia non si traduce letteralmente in inglese con
arrow). In questo modo risulta denito un campo vettoriale, generalmente tridimensionale, il
cui dominio `e la regione occupata dal corpo indeformato e le cui componenti sono funzioni
delle coordinate (iniziali) del generico punto P:
u(x) =
_
_
u
1
(x
1
, x
2
, x
3
)
u
2
(x
1
, x
2
, x
3
)
u
3
(x
1
, x
2
, x
3
)
_
_
=
_
_
u(x
1
, x
2
, x
3
)
v (x
1
, x
2
, x
3
)
w(x
1
, x
2
, x
3
)
_
_
(14.2)
Il campo di spostamento, o alcune sue caratteristiche, costituiscono di solito lincognita in
una analisi di rigidezza. Per motivi didattici, tuttavia, in un primo tempo supporremo il campo
di spostamento noto, come se fosse stato rilevato con un oneroso procedimento di misura che
fornisce la posizione iniziale e nale di ogni punto del corpo. Per giusticare lo spostamento dei
punti del corpo `e plausibile identicare, almeno qualitativamente, due cause:
1. lo spostamento rigido del corpo stesso
2. la variazione di forma di parti del corpo.
Poiche uno spostamento rigido rappresenta una variazione di congurazione che conserva le
distanze mutue di tutte le coppie dei punti del corpo, la variazione di forma `e quindi associabile
alla modica delle distanze dei punti.
`
E facile prevedere che, per il comportamento del materiale,
rivestono interesse solo le variazioni di forma, tuttavia `e necessario ricordare che deformazioni e
moti rigidi concorrono insieme a determinare il campo di spostamento e, come vedremo, la loro
separazione non `e una operazione semplice da eettuarsi, sia da un punto di vista teorico sia
operativo. Il seguente esempio chiarisce questo concetto.
Esempio 14.1: Deformazione di un trampolino
Analizzare il campo di spostamento di un trampolino per i tu (gura 14.4) sollecitato da
un carico verticale F concentrato in B.

A
B
P C D
Figura 14.4: Trampolino, considerato come mensola deformabile, nella
congurazione di riferimento con due punti caratteristici
401
14. LA DEFORMAZIONE
In gura 14.5 `e rappresentata la congurazione della mensola deformata dal carico
a tratto pieno e la congurazione indeformata con linea tratteggiata. Giustichiamo lo
spostamento del punto di estremit`a P che, nel caso in esame, ha la freccia massima.
`
E
suciente tracciare i diagrammi delle caratteristiche per rendersi conto che il tratto di
mensola compreso tra B e P non `e sollecitato. Possiamo pertanto prevedere che, anche
considerando il materiale deformabile, tale tratto non subisca alcuna distorsione e che
tutti i suoi punti conservino la distanza mutua anche dopo lapplicazione del carico. Una
qualsiasi porzione di mensola nel tratto BP subisce pertanto solo uno spostamento rigido.
Questa situazione `e esemplicata dallingrandimento della porzione quadrata in D che, a
seguito dellapplicazione del carico, subisce uno spostamento rigido (una traslazione pi` u una
rotazione) ma rimane di forma quadrata. La parte AB della mensola `e invece sollecitata
e quindi il suo materiale `e, in misura pi` u o meno marcata, distorto. Infatti la porzione
quadrata in C, a causa dellapplicazione del carico, risulta spostata e ruotata rispetto alla
posizione originaria ma anche la sua forma `e alterata (non `e pi` u quadrata).

AA*
B*
P*
F
P
( ) u P
G
C*
D*
Figura 14.5: Mensola nelle congurazioni indeformata e deformata
Le seguenti osservazioni possono essere tratte dallesempio precedente:
nella regione in cui si trova il punto che subisce lo spostamento massimo (P) la distorsione
`e nulla, quindi una porzione di materiale nei pressi di P subisce solo uno spostamento
rigido
in generale, una porzione di materiale che si trova nella parte compresa tra A e B `e
soggetta a uno spostamento rigido ma anche a una distorsione
la distorsione si manifesta come una modica della forma e delle dimensioni delle parti
del corpo
nel caso generale, per una generica porzione del corpo, spostamento rigido (traslazione e
rotazione) e distorsione sono presenti insieme
le zone a ridosso dellincastro in A subiscono le distorsioni massime (questo `e desumibile
dal fatto che A `e la sezione critica) ma, essendo vincolate al telaio, non sono soggette a
spostamenti o rotazioni.
402
14.3. LE COMPONENTI DEL CAMPO DI SPOSTAMENTO
Lapparente contrasto evidenziato nellesempio, per cui i massimi spostamenti si vericano
nelle zone limitrofe a P dove le distorsioni sono nulle mentre linverso si verica in A, non `e raro,
anche se non si pu`o dire che sia la regola generale. La giusticazione sar`a variamente esaminata
nel seguito del corso, `e opportuno tuttavia ricordare questo esempio che dimostra chiaramente
come il campo di spostamento non sia una immediata conseguenza del processo deformativo.
In generale, infatti, lo spostamento di ogni singolo punto rappresenta leetto complessivo, o
integrato, delle modiche di forma delle varie parti dellintero corpo. Nellesempio, il punto P
si sposta in quanto gli elementi della zona AB subiscono distorsioni. Vi sono due importanti
conseguenze di questo fatto:
dal punto di vista del calcolo, lo spostamento di un punto pu`o essere ottenuto con
procedimenti che richiedono il calcolo di integrali estesi allintera struttura
per aumentare la rigidezza di una struttura, e quindi per ridurre gli spostamenti di cer-
ti punti sotto carico, `e necessario attuare interventi che coinvolgono gran parte della
struttura, talvolta tutta.
Nel caso della mensola, per esempio, se `e necessario ridurre la freccia massima sotto carico, non
avrebbe alcun eetto aumentare la sezione nella zona in cui questo spostamento si verica (cio`e
in P) mentre si dovrebbe intervenire sullintero tratto AB.
La soluzione del problema diretto, ovvero la denizione della deformazione, consiste proprio
nellestrarre dallinformazione contenuta nel campo di spostamento la componente distorcente
epurandola dalla componente rigida della variazione di congurazione.
14.3.1 Propriet`a di regolarit`a del campo di spostamento
Nella meccanica dei solidi `e consuetudine assumere alcune ipotesi di regolarit`a che un cam-
po di spostamento considerato ammissibile deve soddisfare. Alcune di queste condizioni sono
del tutto naturali, altre sono imposte dalla necessit`a di eettuare elaborazioni matematiche,
in particolare derivate spaziali, sulle funzioni che esprimono le componenti dello spostamento.
Quando il campo di spostamento soddisfa queste ipotesi diremo che la variazione di con-
gurazione `e congruente (compatible). In primo luogo, come conseguenza del principio di
conservazione della materia, si richiede che due punti distinti nella congurazione di partenza
rimangano tali anche dopo la trasformazione. La stessa caratteristica `e richiesta anche per la
legge di trasformazione inversa. Dal punto di vista matematico ci`o equivale a imporre che lap-
plicazione che associa P con P

sia una funzione biunivoca (una applicazione uno a uno) denita


sul dominio la cui immagine `e

. Da ci`o consegue che nella variazione di congurazione:


un corpo, o una sua parte, avente volume nito non nullo deve mantenere un volume nito
non nullo, per quanto il volume possa variare
una supercie, un insieme bidimensionale dello spazio, avente area nita non nulla deve
conservare la forma di una supercie con area nita non nulla
una linea, un insieme monodimensionale dello spazio, di lunghezza nita non nulla deve
rimanere una linea di lunghezza nita non nulla.
Si richiede inoltre che la trasformazione sia continua. Dal punto di vista sico ci`o comporta
che non sono considerate congruenti trasformazioni che producono il distacco di parti, come per
esempio fratture. Spesso `e richiesto un grado ancora maggiore di regolarit`a, con limposizione
di condizioni di dierenziabilit`a del campo di spostamento o di deformazione, in modo che sia
possibile derivare le funzioni rispetto alle coordinate (almeno le derivate prime, talvolta anche
403
14. LA DEFORMAZIONE
derivate di ordine superiore). La condizione di dierenziabilit`a del campo di spostamento in ogni
punto impedisce che una qualunque supercie che sia regolare nella congurazione indeformata
manifesti pieghe a spigolo vivo a seguito della distorsione.
Consideriamo alcune conseguenze dellipotesi di congruenza relative a una regione tridimen-
sionale di forma qualunque che si trasforma in

.
La natura topologica della gura `e la stessa di quella della gura

(per esempio
se la prima non ha fori lo stesso vale per la seconda, se la prima ha la forma di un toro
sar`a toroidale anche la seconda, ecc. . . ).
I punti della supercie di (punti di frontiera) si trasformano in punti della supercie
di

e i punti interni di si trasformano in punti interni di

.
Se la supercie di ha uno spigolo, i suoi punti si trasformano in punti di uno spigolo
anche per

.
Gli eventuali vertici (intersezioni di spigoli) rimangono vertici.
Delle trasformazioni del cubo (a) rappresentate in gura 14.6 solo la (b) `e congruente.

*
(a) (b)
(e)
(c) (d)
Figura 14.6: Trasformazioni del cubo (a): di tipo congruente in

(b)
e di tipo non congruente in (c), (d) e (e). La trasformazione (c) non conserva la
topologia, la (d) conserva la topologia ma non la regolarit`a (compare un nuovo
spigolo) la (e) mostra un difetto di biunivocit`a: tutti i punti di una faccia sono
collassati in una linea
14.3.2 Un esempio monodimensionale
Per comprendere le implicazioni dellipotesi di congruenza sulle propriet`a generali di una
trasformazione, `e istruttivo analizzare il caso semplice della trasformazione di un solido uni-
dimensionale nel piano. Consideriamo come corpo indeformato il segmento dellasse x di
estremi A e B (gura 14.7) i cui punti subiscono spostamenti solo in direzione y. Pertanto le
coordinate dei punti dopo la distorsione e il campo di spostamento possono essere rappresentati
rispettivamente come:
_
x

= x
y

= f (x

)
e
_
u = 0
v = f (x

)
404
14.3. LE COMPONENTI DEL CAMPO DI SPOSTAMENTO
Figura 14.7: Funzione dierenziabile di R
1
interpretata come una
trasformazione regolare dei punti del segmento [a, b]
dove y = f (x) `e una funzione nota, denita nellintervallo chiuso [a, b].
`
E facile rendersi conto
che la regolarit`a (continuit`a e dierenziabilit`a) della funzione f (x) nel suo dominio garantisce
che la trasformazione abbia le caratteristiche richieste per la congruenza, si riconoscono, in
particolare, i due estremi dellarco deformato come i trasformati degli estremi del segmento
iniziale, si verica lassenza di discontinuit`a e di spigoli, ecc. . . . La dierenziabilit`a della
funzione f (x) implica inoltre che in ogni punto valga una relazione del tipo:
dy = m dx
dove m = f

(x). La gura 14.8 illustra una interessante interpretazione geometrica di questo


risultato. Anche se la trasformazione porta il corpo inizialmente rettilineo ad assumere una
forma curva, ogni suo segmento innitesimo d di lunghezza dx `e trasformato in un segmento
innitesimo d

. Nella trasformazione il segmento innitesimo `e soggetto a una traslazione (in


verticale) e a una rotazione (di un angolo = arctan (m)) inoltre, in genere, subisce anche una
distorsione, dato che la sua lunghezza iniziale dx diventa dx

1 +m
2
.
Figura 14.8: Trasformazione lineare di un generico segmento innitesimo
quando il campo di spostamenti `e denito da una funzione dierenziabile
Possiamo quindi concludere che, in una trasformazione il cui campo di spostamento `e denito
da una funzione biunivoca e dierenziabile, un segmento nito diventa in genere un arco di
curva ma un segmento innitesimo rimane un segmento innitesimo. La legge pi` u generale di
405
14. LA DEFORMAZIONE
trasformazione che conserva i segmenti `e la trasformazione lineare, detta anche trasformazione
ane. In eetti, se limitiamo il dominio al solo segmento d centrato in P(x
P
, 0), la legge che
denisce la trasformazione locale descritta nella gura 14.8 `e la seguente relazione lineare:
_
x

= x
y

= f

(x
P
) (x x
P
) +f (x
P
)
o in termini di spostamento:
_
u = 0
v = f

(x
P
) x +f (x
P
) f

(x
P
) x
P
Nelle ultime due relazioni i parametri f (x
P
), f

(x
P
) e x
P
sono costanti. La relazione otte-
nuta `e una particolare trasformazione ane che nella sua forma pi` u generale, per un dominio
bidimensionale, si esprime come:
_
u
v
_
=
_
a
11
a
12
a
21
a
22
__
x
y
_
+
_
d
1
d
2
_
con a
ij
e d
i
opportune costanti.
`
E possibile pertanto concludere che:
ogni trasformazione congruente `e ane al limite
intendendo il limite nel senso del comportamento di porzioni di dominio di estensione innite-
sima.
Per motivi di semplicit`a, la precedente aermazione `e stata illustrata per la trasformazione
di un dominio monodimensionale ma non `e dicile vericarne la validit`a per trasformazioni
congruenti generali che interessano anche domini bidimensionali o tridimensionali. Nella gura
14.9 `e mostrata una trasformazione congruente per un corpo tridimensionale che, dato che gli
spigoli del corpo non rimangono rettilinei, certamente non `e ane. Tuttavia, ogni parallelepipe-
do innitesimo del corpo indeformato si trasforma in un parallelepipedo, anche se in genere non
retto, per cui subisce una trasformazione ane. Analogamente al dominio monodimensionale
della gura 14.7, diremo pertanto che la trasformazione rappresentata in gura 14.9 non `e ane
in grande ma, essendo congruente, `e ane al limite.
Figura 14.9: Una trasformazione congruente `e ane al limite
Data limportanza che rivestono anche per lo studio delle pi` u generali trasformazioni con-
gruenti, nel prossimo paragrafo sono richiamate le principali propriet`a delle trasformazioni
ani.
406
14.4. TRASFORMAZIONI AFFINI
14.4 Trasformazioni ani
14.4.1 Denizione di trasformazione ane
La legge che denisce una trasformazione ane (in grande) non dipende dalla posizione
del corpo, dalla sua forma e dalle sue dimensioni. Per semplicit`a faremo quindi riferimento a
un corpo che, nella condizione indeformata, `e un parallelepipedo retto. In questo modo che le
conclusioni di qusto pargrafo potranno essere naturalmente estese ai parallelepipedi innitesimi
anche nel caso pu`o generale di trasformazioni congruenti. In coordinate cartesiane, una generale
trasformazione ane `e rappresentabile come una relazione lineare a parametri costanti che lega
le coordinate x

del punto nella condizione deformata P

con le coordinate x del punto iniziale


P. Tale trasformazione pu`o essere scritta come:
x

= Bx +

d (14.3)
con B e

d costanti (non dipendenti dalle coordinate). In forma estesa, per un corpo tridimen-
sionale, la relazione precedente si esplicita come:
_
_
x

1
x

2
x

3
_
_
=
_
_
b
11
b
12
b
13
b
21
b
22
b
23
b
31
b
32
b
33
_
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
+
_
_
d
1
d
2
d
3
_
_
Il campo di spostamenti associato a una trasformazione ane si ricava immediatamente:
u =

x

x
posto:
A = BI (14.4)
si ottiene la relazione fondamentale:
u = Ax +

d (14.5)
che, esplicitata in componenti per un corpo tridimensionale, diventa:
_
_
u
1
u
2
u
3
_
_
=
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
+
_
_
d
1
d
2
d
3
_
_
(14.6)
Il vettore

d, dimensionalmente una lunghezza, ha una semplice interpretazione geometrica. Se
la matrice A `e nulla, la trasformazione (14.5) descrive una traslazione rigida e il vettore

d
rappresenta lo spostamento comune di tutti i punti del corpo. Nel caso pi` u generale in cui
A ,= 0,

d rappresenta lo spostamento del punto che, prima della trasformazione, si trovava
nellorigine degli assi. Rimandiamo linterpretazione della matrice A limitandoci a osservare
che i suoi termini sono numeri puri.
Dal punto di vista matematico, non vi sono restrizioni sul segno e sullintensit`a dei parametri
della trasformazione (a
ij
e d
i
) della trasformazione ane e nemmeno sono date condizioni sulla
matrice A nel suo complesso (A pu`o o meno essere: singolare, simmetrica, ecc. . . ).
`
E invece
opportuno considerare le restrizioni imposte ai parametri che deniscono la legge di anit`a per
garantire che la trasformazione abbia senso sico, ovvero sia congruente. Notiamo che, essendo
la relazione (14.3) che lega la posizione nale a quella iniziale dei punti, lineare a parametri
costanti, la legge di trasformazione `e necessariamente continua con tutte le sue derivate. Per
garantire la congruenza `e per`o anche necessario imporre la biunivocit`a ovvero linvertibilit`a
della relazione (14.3). Per vericare la corrispondenza uno a uno tra i punti di e quelli di
407
14. LA DEFORMAZIONE

, supponiamo note le coordinate del generico punto P

e cerchiamo (lunico) punto P da cui


proviene. Matematicamente tale problema `e ricondotto alla soluzione del sistema lineare (14.3)
in cui x

i
sono noti e x
i
incogniti. Per il teorema di Rouche-Capelli il sistema ha soluzione unica
se e solo se la matrice B = I +A `e non singolare, ovvero se:
det (I +A) ,= 0 (14.7)
La condizione di invertibilit`a (14.7) `e per`o necessaria ma ancora non suciente per garantire
la congruenza della trasformazione ane. Consideriamo nella congurazione iniziale il cubo di
spigoli unitari orientati come gli assi coordinati (quindi il primo spigolo `e (1, 0, 0)
T
, il secondo
(0, 1, 0)
T
e il terzo (0, 0, 1)
T
). Con la relazione (14.3) si possono ottenere le componenti degli
spigoli dopo la trasformazione, che sono rispettivamente:
_
_
1 +a
11
a
21
a
31
_
_
,
_
_
a
12
1 +a
22
a
32
_
_
,
_
_
a
13
a
23
1 +a
33
_
_
(14.8)
Tali vettori coincidono con le colonne della matrice B. Il volume V

del parallelepipedo defor-


mato si pu`o ottenere calcolando il valore assoluto del prodotto misto dei vettori spigoli (vedi
appendice A) che coincide con il valore assoluto del determinante della matrice B:
V

= [det (I +A)[ (14.9)


Si ricava quindi che la condizione matematica di invertibilit`a della trasformazione lineare `e
interpretabile sicamente come la condizione di non annullamento del volume. Inoltre, a meno
di accettare un processo deformativo che permetta la riessione speculare della materia, `e anche
necessario che la terna degli spigoli trasformati sia destrorsa come la terna iniziale. Questa
condizione impone che il prodotto misto degli spigoli deformati abbia lo stesso segno (nel caso
specico positivo) del prodotto misto degli spigoli indeformati (vedi appendice A). Pertanto per
la congruenza della trasformzione ane deve essere soddisfatta la condizione:
det (I +A) > 0
Concludiamo che:
in una trasformazione ane congruente il determinate della matrice I + A deve
essere strettamente positivo.
Dato che, per le considerazioni prima svolte, vale la relazione:
V

= V det (I +A) (14.10)


in una trasformazione ane denita dal campo di spostamento (14.5), la quantit`a adimensionale
det (I +A) =
V

V
esprime il fattore di variazione di volume e, quindi, `e:
maggiore di 1 per una distorsione dilatativa, ovvero che avviene con un aumento di volume
(essendo la massa costante, il materiale riduce la densit`a)
minore di 1 per una contrazione volumica (il materiale si addensa)
unitaria per una trasformazione che conserva il volume (isocora).
`
E opportuno sottolineare che variazioni di volume signicative, ovvero con det (I +A) che
si discosta sensibilmente dallunit`a, sono comuni negli aeriformi, tuttavia, pur in modo meno
evidente, il fenomeno si osserva in genere anche nei liquidi e nei solidi. La constatazione che in
liquidi e solidi le variazioni di volume sono piccole non signica che gli eetti prodotti possano
essere sempre trascurati. In particolare, nelle nostre analisi, le variazioni relative di volume sono
dello stesso ordine di grandezza delle altre deformazioni.
408
14.4. TRASFORMAZIONI AFFINI
Esempio 14.2: Sfera di gomma
Una sfera di elastomero ( = 1.1 kg/dm
3
) raggio R = 30 mm tangente al triedro fon-
damentale e con centro nel primo ottante, subisce una trasformazione ane denita
da:
A =
_
_
0.2 0.3 0.4
0.6 0.2 0.5
1 0 0.3
_
_
e

d =
_
_
10
20
5
_
_
mm
a) Vericare che la trasformazione `e congruente
b) Determinare la posizione del centro della sfera dopo la trasformazione
c) Determinare il volume della sfera e la densit`a del materiale a seguito della
trasformazione e le variazioni relative delle stesse rispetto ai valori iniziali.

Risposta a)
det (I +A) = 1.484 > 0
Risposta b)
Il centro C prima della trasformazione `e dato dal vettore OC = (30 30 30)
T
mm per cui:
OC

=
_
_
1.2 0.3 0.4
0.6 0.8 0.5
1 0 1.3
_
_
_
_
30
30
30
_
_
+
_
_
10
20
5
_
_
=
_
_
49
41
14
_
_
mm
Risposta c)
Indicando con V

rispettivamente il volume e la densit`a dopo la trasformazione:


V

= V det (I +A) = 0.168 dm


3

=

det (I +A)
= 0.741 kg/dm
3
da cui le variazioni in termini relativi:
V

V
V
= 0.484 = 48.4%

= 0.326 = 32.6 %
14.4.2 Propriet`a delle trasformazioni ani
Le seguenti propriet`a di una trasformazione congruente ane in grande sono facilmente
vericabili con considerazioni elementari di geometria analitica:
409
14. LA DEFORMAZIONE
rette e piani si trasformano rispettivamente in rette e piani
rette parallele e piani paralleli prima della deformazione rimangono paralleli (anche se in
genere non conservano le direzioni originarie)
un rettangolo in genere diventa un parallelogrammo (come caso particolare pu`o rimanere
un rettangolo)
una conica di un certo tipo (ellisse, iperbole o parabola) rimane una conica dello stesso
tipo
un cerchio in genere diventa unellisse
un parallelepipedo retto diventa un parallelepipedo (in genere non retto)
una sfera in genere diventa un ellissoide (se non rimane una sfera).
Esaminiamo la generica trasformazione congruente ane di un corpo avente la forma di un
parallelepipedo retto, ovvero un esaedro con le facce che hanno uno spigolo in comune tra loro
perpendicolari. Consideriamo ognuna delle tre quaterne di spigoli con la stessa direzione. Nella
trasformazione gli spigoli di ogni quaterna devono rimanere rettilinei e paralleli e modicare la
loro lunghezza nella stessa misura. Il corpo pertanto conserva la forma parallelepipeda perche
`e sempre formato da tre coppie di facce piane e parallele. Tuttavia gli spigoli possono assumere
lunghezze diverse da prima e le facce precedentemente rettangolari, in genere, diventano paral-
lelogrammi. Inoltre due spigoli convergenti in un vertice, dopo la trasformazione, formeranno
in genere un angolo diverso da 90

.
Esempio 14.3: Analisi della trasformazione ane di un cubo
Vericare che la trasformazione ane denita da:
A =
_
_
0.2 0.3 0.4
0.5 0.2 0.4
0.1 0.0 0.3
_
_
e

d =
_
_
2
2
3
_
_
mm
`e congruente e disegnare in assonometria il cubo di lato unitario con vertice nellorigine
e spigoli sui semiassi positivi e il suo trasformato

.
La trasformazione `e congruente in quanto: det (I +A) = 1.641 > 0

*
x
y
z
P
* P
Figura 14.10: Trasformazione ane del cubo unitario. Il disegno `e in scala e
in assonometria cavaliera, `e individuato anche lo spigolo P e il suo trasformato
P

410
14.4. TRASFORMAZIONI AFFINI
La gura 14.10 mostra che la trasformazione comprende una traslazione, una rotazione e
una distorsione che sono completamente descritte dalla legge data. Nella trasformazione il
cubo modica signicativamente il suo volume che aumenta del 64.1%.
Esempio 14.4: Determinazione dei parametri di una trasformazione ane
Determinare la matrice A della trasformazione ane che trasforma i vettori di componenti:
v
1
=
_
_
1
1
3
_
_
v
2
=
_
_
2
3
0
_
_
v
3
=
_
_
3
4
2
_
_
rispettivamente nei vettori:
v

1
=
_
_
1
3
0
_
_
v

2
=
_
_
3
1
3
_
_
v

3
=
_
_
4
2
1
_
_

Non `e determinabile il vettore



d in quanto la trasformazione `e denita a meno di una
traslazione generica. Supponendo che la matrice cercata esista, `e possibile imporre le
condizioni:
v

i
= (I +A) v
i
con i = 1, 2, 3. Raccogliamo le componenti dei vettori nelle seguenti matrici:
V =
_
_
1 2 3
1 3 4
3 0 2
_
_
e V

=
_
_
1 3 4
3 1 2
0 3 1
_
_
che possono essere sintetizzate nella seguente relazione matriciale:
V

=(I +A) V
in cui i termini di A sono incogniti. Osserviamo che sono disponibili 9 relazioni lineari nelle
9 incognite a
ij
, pertanto `e possibile ottenere la soluzione. Formalmente:
I +A = V

V
1
quindi:
A = V

V
1
I
Anche queste operazioni possano essere eseguite `e necessario che sia soddisfatta la
relazione:
det V det V

> 0
che garantisce entrambe le condizioni necessarie per individuare univocamente una trasfor-
mazione congruente ane. Infatti, considerati i due parallelepipedi (non retti) che hanno
come spigoli le due terne di vettori:
411
14. LA DEFORMAZIONE
entrambi devono essere non degeneri (entrambi i prodotti misti dei vettori spigolo
non possono essere nulli)
le terne corrispondenti devono essere dello stesso tipo, entrambe destrorse o sinistrorse
(i prodotti misti sono concordi).
La soluzione numerica `e:
A =
_
_
2.132 0.245 0.792
0.189 0.792 1.132
0.396 0.736 0.623
_
_
14.5 Denizione di deformazione
14.5.1 Le componenti della deformazione
Siamo ora in grado di dare una prima denizione di deformazione (strain), almeno per i
corpi che subiscono trasformazioni ani in grande:
la deformazione `e linsieme delle informazioni necessarie e sucienti per denire la
variazione della forma di una qualunque parte di un corpo
Il concetto sar`a successivamente esteso alle trasformazioni congruenti generali in modo naturale.
In una trasformazione ane in grande ogni parte del corpo `e soggetta alla medesima variazione
di forma indipendentemente da dove si trovi, dalla sua forma e dalla sua estensione. Pertanto
possiamo considerare il cambiamento di forma del corpo pi` u semplice da modellare: un paralle-
lepipedo retto con spigoli aventi lunghezze iniziali b
1
, b
2
e b
3
che prima della trasformazione `e
allineato con gli assi coordinati, come mostrato in gura 14.11.
x
y
z
1
b
2
b
3
b

Figura 14.11: Parallelepipedo retto prima della trasformazione ane


Per costruire un modello sico del parallelepipedo indeformato, si possono realizzare 3 qua-
terne di sottili stecche rettilinee aventi lunghezze b
1
, b
2
e b
3
che successivamente sono incollate
in modo che formino, a due a due, angoli retti. In eetti, la forma del parallelepipedo `e comple-
tamente denita dopo aver assemblato uno dei suoi triedri, come per esempio quello mostrato
in gura 14.12. Il completamento del modello `e infatti immediato poiche comporta di incollare
412
14.5. DEFINIZIONE DI DEFORMAZIONE
gli altri lati in modo che in ogni vertice convergano tre spigoli rispettandone lorientamento (le
stecche di lunghezza b
i
sono tra loro parallele).
x
y
z
1
b
G
2
b
G
3
b
G
Figura 14.12: Triedro fondamentale del parallelepipedo iniziale, il resto della
gura si ottiene riportando le altre 3 terne di spigoli (una per ogni orientazione)
parallelamente agli spigoli indicati
Nella gura 14.13, insieme con il parallelepipedo di riferimento `e rappresentato anche il
corpo

che ha subito la trasformazione ane il quale, come osservato, `e ancora un paralle-


lepipedo, in genere, non pi` u retto.
`
E interessante chiedersi: quali informazioni minimali (quali
quote) servono per realizzare il modello del parallelepipedo deformato? Applichiamo il pro-
cedimento costruttivo adottato per realizzare il modello sico del parallelepipedo indeformato.
Anche

, infatti, ha tre quaterne di spigoli uguali e paralleli e, dopo averne realizzato un vertice
con lincolaggio di tre stecche, il completamento del modello non richiede ulteriori informazioni.
In primo luogo `e quindi necessario costruire le tre quaterne di stecche del parallelepipedo

.
I vettori che deniscono gli spigoli del triedro deformato si possono ricavare dalla legge di
trasformazione ane:

i
= (I +A)

b
i
(14.11)
per la realizzazione del modello sico `e peraltro suciente conoscere la sola lunghezza dei nuovi
spigoli

= b

i
rispetto ai precedenti

b
i

= b
i
. Allo scopo di rendere le variazioni di lunghezza
b

i
b
i
indipendenti dallestensione del corpo, eettuiamo la seguente normalizzazione sulla
lunghezza iniziale:

11
=
b

1
b
1
b
1

22
=
b

2
b
2
b
2

33
=
b

3
b
3
b
3
denendo in tal modo tre quantit`a adimensionali ognuna chiamata deformazione estensio-
nale (extensional strain). In forma simbolica possiamo quindi scrivere (in questo caso non
si applica la regola degli indici ripetuti):

ii
=
b

i
b
i
b
i
(14.12)
con i = 1, 2, 3. Vale la seguente denizione:
413
14. LA DEFORMAZIONE
x
y
z

*
Figura 14.13: Parallelepipedo retto indeformato e parallelepipedo generico
deformato
la deformazione estensionale
ii
(con i 1, 2, 3) `e un numero puro che misura la
variazione relativa di lunghezza di un segmento che prima della trasformazione era
parallelo allasse x
i
.
`
E evidente che se si conoscono le lunghezze degli spigoli del parallelepipedo iniziale e le tre de-
formazioni estensionali, si hanno le informazioni necessarie e sucienti per costruire le quaterne
di stecche del modello del parallelepipedo deformato. A questo punto `e possibile procedere
alla realizzazione di un vertice, e quindi al completamento del modello, sfruttando il paralle-
lismo degli spigoli di uguale lunghezza. Per realizzare lo spigolo sono necessarie informazioni
sullorientamento relativo delle stecche, dato che gli angoli in genere non si conservano retti
nella trasformazione. Per incollare gli spigoli di lunghezza b

1
e b

2
`e quindi necessario conoscere
langolo compreso, che indichiamo con

12
come in gura 14.14(a).
Figura 14.14: Disposizione relativa degli spigoli: (a) i primi due segmenti
sono connessi univocamente nel vertice comune, (b) il cono di asse

b

2
e ango-
lo di semiapertura

23
e inne (c) completamento dello spigolo con la terza
informazione angolare.
Supponiamo che sia noto anche langolo

23
formato dallo spigolo di lunghezza b

3
e quello
di lunghezza b

2
. Come mostra la gura 14.14(b), vi sono innite congurazioni per il terzo
414
14.5. DEFINIZIONE DI DEFORMAZIONE
spigolo che soddisfano questa condizione e che corrispondono a tutte le direzioni delle rette
appartenenti al cono di asse

b

2
e angolo di semiapertura

23
. La collocazione del terzo spigolo
pu`o essere eettuata dopo che sia dato anche langolo

13
il quale permette di denire un nuovo
cono (di asse

1
e angolo di semiapertura

13
) a cui lo spigolo di lunghezza b

3
deve appartenere.
In generale, i due coni hanno due generatici in comune ma per una sola verica la condizione
per cui i vettori del tetraedro deformato hanno il prodotto misto concorde con quello del triedro
originario.
Per convenzione, invece degli angoli

ij
formati dagli spigoli del parallelepipedo deformato,
si considerano i loro complementari. Pertanto le tre informazioni angolari necessarie per assem-
blare il vertice sono denite dalle seguenti quantit`a adimensionali (gli angoli sono espressi in
radianti):

12
=

2

12

13
=

2

13

23
=

2

23
ognuna chiamata deformazione angolare (angular strain) ingegneristica. In forma
compatta:

ij
=

2

ij
(14.13)
con i, j = 1, 2, 3 e i ,= j. Vale la seguente denizione:
la deformazione angolare
ij
(con i, j 1, 2, 3 e i ,= j) misura in radianti la
riduzione dellangolo retto che prima della trasformazione era formato dai segmenti
paralleli agli assi x
i
e x
j
.
Per motivi che saranno chiariti successivamente, vengono introdotte anche le tre quantit`a scalari
(sempre con i, j 1, 2, 3 e i ,= j):

ij
=

ij
2
(14.14)
talvolta chiamate deformazioni angolari tensoriali.
Mantenere le due denizioni (14.13) e (14.14) per le deformazioni angolari, anche se eviden-
temente non necessario, `e utile nella pratica ed `e una consuetudine universalmente accettata
nella letteratura tecnica e scientica. Come vedremo, per alcune formule risulta pi` u conveniente
usare le
ij
per altre le
ij
.
Possiamo quindi concludere che, sei quantit`a adimensionali, tre deformazioni estensionali

11
,
22
e
33
e tre deformazioni angolari
12
,
13
e
23
, sono le informazioni necessarie e
sucienti che permettono di costruire il vertice deformato e quindi il parallelepipedo. Tali
grandezze, nel loro insieme e opportunamente strutturate, costituiscono pertanto una denizione
completa e coerente di deformazione.
La conoscenza delle componenti deformative, estensionali e angolari, non permette ovvia-
mente di denire lintera legge di trasformazione ane. Questo risultato `e giusticabile sia
con considerazioni algebriche sia geometriche. La trasformazione ane `e infatti denita da 12
parametri (9 della matrice A e 3 del vettore

d) per cui 6 grandezze sono insucienti. In eetti,
i parametri della deformazione consentono di costruire un modello sico del parallelepipedo
deformato, ma evidentemente, non forniscono alcuna informazione sulla sua collocazione nello
spazio. Il parallelepipedo deformato pu`o infatti essere soggetto a un generico spostamento rigi-
do denito da 6 ulteriori quantit`a scalari indipendenti, tre delle quali deniscono la traslazione
(per esempio del centro) e tre lorientamento.
415
14. LA DEFORMAZIONE
Esempio 14.5: Analisi di una trasformazione ane
Determinare le deformazioni estensionali e angolari della trasformazione ane data dalla
relazione:
A =
_
_
0.2 0.3 0.4
0.5 0.2 0.4
0.1 0.0 0.3
_
_
e

d =
_
_
2
2
3
_
_
mm
il cui eetto sul cubo elementare `e stato illustrato in gura 14.10.
Consideriamo lo spigolo unitario parallelo allasse x (

b
1
=
_
_
1
0
0
_
_
mm), lo spigolo
deformato ha componenti:

1
= (I +A)

b
1
=
_
_
1.2
0.5
0.1
_
_
mm
e quindi lunghezza: b

1
= 1.304 mm, da cui:

11
=
b

1
b
1
b
1
= 0.304
In modo analogo si ottiene:

22
= 0.237,
33
= 0.418
Consideriamo langolo formato dagli spigoli che in origine erano paralleli gli assi x e y,
langolo

12
pu`o essere ottenuto dal prodotto scalare degli spigoli deformati, vale infatti la
relazione:
cos (

12
) =

b

2
b

1
b

2
= 0.595
dalla quale si deduce che gli spigoli deformati formano un angolo ottuso il cui valore `e:

12
= 2.208 = 126.5

pertanto, le deformazioni angolari ingegneristiche e tensoriali sono rispettivamente:

12
= 0.638 e
12
= 0.323
Analogamente si verica che:

13
= 0.453 e
13
= 0.227

23
= 0.349 e
23
= 0.175.
14.5.2 Signicato delle deformazioni e loro limiti
Si hanno deformazioni estensionali positive quando la lunghezza del relativo spigolo aumenta
e negative quando diminuisce. Nel caso esaminato nellultimo esempio, le deformazioni esten-
416
14.5. DEFINIZIONE DI DEFORMAZIONE
sionali sono tutte positive e quindi tutti gli spigoli subiscono una dilatazione. Linterpretazione
quantitativa delle deformazioni estensionali `e immediata: una deformazione estensionale pari a
0.2 signica che lo spigolo aumenta del 20% quindi, se per esempio era lungo 50 mm diventa
60 mm. Una deformazione estensionale pari a 0.3 indica una contrazione del 30%, un segmento
lungo 50 mm diventa di 35 mm.
Le deformazioni angolari, espresse in radianti e quindi anchesse numeri puri, sono positive
quando langolo retto si riduce. Nellultimo esempio gli angoli retti tra gli assi x e y e
tra gli assi x e z aumentano dato che le relative deformazioni angolari sono negative mentre
langolo tra gli assi y e z si riduce (attenzione: la rappresentazione assonometrica della gura
14.10 distorce gli angoli!). Sulla base della denizione, la variazione di angolo tra lo spigolo i e
lo spigolo j `e lo stesso se si inverte lordine degli spigoli, valgono quindi le identit`a:

ij
=
ji
(14.15)

ij
=
ji
(14.16)
`
E interessante chiedersi: `e possibile assegnare a piacimento il valore delle sei componenti
deformative e ottenere una trasformazione congruente? In eetti i limiti di tipo matematico ai
valori delle componenti di deformazione che garantiscono la congruenza sono piuttosto ampi. In
particolare, le deformazioni estensionali devono essere:

ii
> 1 (14.17)
in quanto un segmento pu`o dilatarsi senza limiti (dal punto di vista matematico) mentre pu`o
contrarsi al massimo no a ridursi (quasi) a un punto. In pratica, deformazioni estensionali
molto grandi possono essere prodotte solo per certi materiali e in particolari processi. Come
esempi, si consideri lesperienza comune di tirare un elastico no ad aumentarne la lunghezza
di 10 volte (
ii
10), oppure un processo di tralatura in cui cilindri metallici di altezze
contenute (pochi decimetri) danno luogo a li lunghissimi. Possiamo peraltro anticipare che
deformazioni estensionali cos` intense non sono compatibili con il comportamento elastico dei
materiali cristallini, quali sono per esempio i metalli, e si possono osservare solo negli elastomeri.
In eetti, deformazioni intense nei metalli sono di tipo plastico o viscoso.
Anche le deformazioni angolari devono sottostare a vincoli generali connessi alle condizio-
ni di congruenza. Langolo formato da una coppia di spigoli che prima era retto, dopo la
trasformazione deve essere necessariamente un angolo positivo e convesso. Questo implica che:


2
<
ij
<

2
(14.18)


4
<
ij
<

4
(14.19)
Per organizzarle in modo strutturato, le componenti di deformazione
ij
sono raccolte
rispettando la posizione denita dai pedici nella seguente matrice 3 3 simmetrica:
D =
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
(14.20)
la cui diagonale contiene quindi le deformazioni estensionali e nelle altre posizioni sono collocate
le deformazioni angolari (tensoriali).
Appare evidente lanalogia con la matrice di Cauchy e quindi `e naturale chiedersi: la matrice
D`e la rappresentazione di un tensore? Notevoli sarebbero i vantaggi ottenibili in caso di risposta
positiva. In particolare, la matrice ricavata applicando le leggi di trasformazione dei tensori
417
14. LA DEFORMAZIONE
per rotazione degli assi potrebbe essere interpretata come quella di partenza. I suoi elementi
diagonali rappresenterebbero quindi le deformazioni estensionali dei segmenti orientati secondo
i nuovi assi e, analogamente, gli elementi fuori diagonale le relative deformazioni angolari. La
relazione (14.20), pur rappresentando la particolare condizione deformativa del parallelepipedo
con gli spigoli allineati agli assi, consentirebbe quindi di determinare la deformazione di un
parallelepipedo orientato in modo qualunque. Potremmo quindi adottare tecniche di calcolo
analoghe a quelle sviluppate per la matrice di Cauchy e ottenere le componenti deformative
per direzioni anche non parallele agli assi. In particolare, la deformazione estensionale di un
segmento di versore n, che indichiamo in modo naturale con il simbolo
nn
, sarebbe espressa
dalla relazione:

nn
= n
T
D n (14.21)
e la deformazione angolare relativa a una generica coppia di direzioni perpendicolari, che prima
della trasformazione hanno versori m e q (con m q = 0), sarebbe data dalla relazione:

mq
= m
T
D q = q
T
D m =
qm
(14.22)
Quindi, se la matrice D fosse eettivamente la rappresentazione cartesiana di un tensore, da
essa sarebbero deducibili tutte le caratteristiche deformative estensionali e angolari del materiale
del parallelepipedo e quindi sarebbe completamente denita la deformazione stessa. Potremmo
quindi concludere che D rappresenta la deformazione in modo analogo al come S rappresenta
la tensione.
Luso ripetuto del condizionale pu`o indurre a sospettare che la soluzione non sia cos` sempli-
ce, come in eetti dimostra lesempio seguente nel quale, per motivi di chiarezza e di semplicit`a,
`e esaminato un caso bidimensionale. Lestensione allo spazio sar`a sviluppata nel prossimo
paragrafo.
Esempio 14.6: Trasformazione ane di un quadrato
La trasformazione del quadrato (ABCD) di lato c denita nella gura 14.15 `e prodotta
facendo ruotare rigidamente dellangolo tutti i segmenti verticali attorno ai loro punti di
ordinata nulla ([A

[ = [A

[ = c) e successivamente facendo traslare rigidamente la


gura in orizzontale in modo che sia x
A
= 1.5c.
*

A A* B
C
B*
x
y
D
C*
D*
Figura 14.15: Trasformazione ane di un quadrato nel piano
a) Vericare che la trasformazione `e ane.
418
14.5. DEFINIZIONE DI DEFORMAZIONE
b) Determinare i limiti dellangolo perche sia congruente.
c) Valutare la matrice D.
d) Determinare le deformazioni estensionali nella direzione delle diagonali e confrontarle
con i valori ottenibili applicando la relazione (14.21)

Risposta a)
La trasformazione conserva i segmenti e il parallelismo e infatti `e ane in grande. In eetti
`e immediato vericare che `e descritta dalla seguente legge lineare:
x

= x +y sin () + 1.5c
y

= y cos ()
per cui:
A =
_
0 sin ()
0 cos () 1
_
e

d =
_
1.5c
0
_
Risposta b)
I limiti per langolo si ottengono sia con considerazioni analitiche:
det (I +A) = cos () > 0 da cui

2
< <

2
sia con dirette considerazioni geometriche (equazione (14.18)).
Risposta c)
La matrice D si ricava dalla denizione, osservando che entrambe le deformazioni
estensionali sono nulle e la deformazione angolare (positiva) `e

2
:
D =
_
0 /2
/2 0
_
=

2
_
0 1
1 0
_
Risposta d)
La deformazione estensionale (esatta) della diagonale principale che ha la direzione del
versore n =

2
2
_
1
1
_
, in base alla denizione, `e:

nn
=
[A

[ [AC[
[AC[
=
_
1 + sin () 1
mentre se si applica la relazione (14.21) si ottiene:
n
T
D n =

2
419
14. LA DEFORMAZIONE
Per laltra diagonale, avente la direzione del versore m =

2
2
_
1
1
_
, si ottiene:

mm
=
[D

[ [DB[
[DB[
=
_
1 sin () 1
m
T
D m =

2
Il risultato ottenuto nellesempio precedente `e generale e dimostra che le relazioni (14.21)
non forniscono lesatta valutazione delle deformazioni estensionali per segmenti che non sono
orientati come agli assi. Il lettore pu`o vericare che lo stesso vale anche per le deformazioni
angolari usando la relazione (14.22). Si pu`o per`o osservare che, se la matrice di deformazione
ha elementi piccoli rispetto allunit`a, ovvero se [
ij
[ 1, le dierenze tra le previsioni fatte con
le relazioni (14.21) e (14.22) e i valori esatti diventano trascurabili. In particolare, nellultimo
esempio, le deformazioni sono tutte piccole se:
[[ 1
ma in tal caso, usando lo sviluppo in serie di McLaurin:

nn
=
_
1 + sin () 1

1 + 1

= 1 +
1
2
1 =

2
= n
T
D n
Questa conclusione pu`o essere generalizzata:
se tutti i moduli dei termini della matrice D sono molto inferiori allunit`a, i termini
stessi possono essere considerati con buona approssimazione i componenti del tensore
cartesiano di deformazione.
Dal punto di vista pratico, per i fenomeni deformativi di interesse nel presente corso, la condi-
zione [
ij
[ 1 non `e molto penalizzante. Ricordiamo infatti che siamo interessati a sviluppare
la meccanica dei corpi poco deformabili per cui nel seguito assumeremo sistematicamente che la
matrice D rappresenti un tensore con suciente approssimazione. Come conseguenza, sfrutte-
remo a pieno tutte le propriet`a tensoriali senza che questo produca errori signicativi. In eetti,
come mostrato nei prossimi capitoli, lo studio di materiali cristallini elastici di interesse nelle
costruzioni impone limitazioni di carattere sico allentit`a delle deformazioni per cui i massimi
valori di [
ij
[ sono generalmente dellordine di 10
3
.
Dato che le deformazioni di interesse hanno moduli molto inferiori allunit`a, `e consuetudine
esprimerle in milionesimi. Per esempio, una deformazione = 0.00073 viene generalmente in-
dicata come = 730 10
6
che spesso si scrive: = 730 e si legge: 730 microepsilon, oppure
microstrain.
`
E opportuno ricordare che, essendo le deformazioni grandezze adimensionali, il
microepsilon `e una unit`a di misura ttizia. Nellambito del corso i valori tipici delle de-
formazioni sono pertanto dellordine delle centinaia, al massimo delle migliaia, di microepsilon.
Nel caso dellultimo esempio, assumendo per langolo il valore = 10
3
(1000 ), si ottiene per
lallungamento della diagonale principale n
T
D n = 5.0 10
4
= 500 contro il valore esatto di

nn
= 4.99875 10
4
= 499.875 . Lassunzione della natura tensoriale di D comporta quindi
un errore di 0.025% che pu`o essere ritenuto trascurabile nelle consuete applicazioni.
420
14.5. DEFINIZIONE DI DEFORMAZIONE
14.5.3 La matrice delle deformazioni D dedotta dalla matrice A (*)
Dato che una trasformazione ane `e completamente denita dalla matrice A e dal vettore

d, si ricava che la matrice di deformazione D deve potersi ricavare da tali parametri. Lanalisi
che segue risolve questo problema e generalizza le considerazioni svolte nel paragrafo precedente
chiarendo la natura tensoriale delle piccole deformazioni.
Osserviamo in primo luogo che il vettore

d non ha eetti sulla deformazione in quanto
denisce una traslazione, pertanto `e interessante trovare D dalla matrice A. Questo problema
ha una soluzione unica che pu`o essere ottenuta generalizzando il calcolo sviluppato nellesempio
del paragrafo precedente. Un segmento di lunghezza unitaria

b
1
, che prima della trasformazione
aveva la direzione dellasse x, diventa (equazione (14.11)):

1
= (I +A)
_
_
1
0
0
_
_
=
_
_
1 +a
11
a
21
a
31
_
_
(14.23)
la deformazione estensionale (extensional strain)
11
, per denizione, vale quindi:

11
=

1 =
_
(1 +a
11
)
2
+a
2
21
+a
2
31
1 =
_
1 + 2a
11
+a
2
11
+a
2
21
+a
2
31
1
le altre deformazioni estensionali, elementi diagonali della matrice, si ottengono analogamente.
In generale quindi, con i 1, 2, 3, si ha:

ii
=
_
1 + 2a
ii
+a
2
1i
+a
2
2i
+a
2
3i
1 (14.24)
Per calcolare le deformazioni angolari si pu`o ricorrere al prodotto scalare che permette di
ottenere il coseno dellangolo formato dai trasformati di vettori che prima erano paralleli ed
equiversi agli assi. In particolare, sempre in base alla relazione (14.11), il segmento unitario

b
2
parallelo ed equiverso a y diventa:

2
= (I +A)
_
_
0
1
0
_
_
=
_
_
a
12
1 +a
22
a
32
_
_
e quindi dalla relazione (14.24) e tenendo conto che

= 1 +
ii
, si ottiene:
cos (

12
) =

b

2
[

1
[[

2
[
=
_
_
1 +a
11
a
21
a
31
_
_
T
_
_
a
12
1 +a
22
a
32
_
_
1
(1+
11
)(1+
22
)
=
=
a
12
+a
21
+a
11
a
12
+a
21
a
22
+a
31
a
32
_
1 + 2a
11
+a
2
11
+a
2
21
+a
2
31
_
1 + 2a
22
+a
2
12
+a
2
22
+a
2
32
da cui, la deformazione angolare:

12
= 2
12
=

2
arccos
_
a
12
+a
21
+a
11
a
12
+a
21
a
22
+a
31
a
32
_
1 + 2a
11
+a
2
11
+a
2
21
+a
2
31
_
1 + 2a
22
+a
2
12
+a
2
22
+a
2
32
_
(14.25)
Per le altre componenti si ottiene:

13
= 2
13
=

2
arccos
_
a
13
+a
31
+a
11
a
13
+a
21
a
23
+a
31
a
33
_
1 + 2a
11
+a
2
11
+a
2
21
+a
2
31
_
1 + 2a
33
+a
2
13
+a
2
23
+a
2
33
_
421
14. LA DEFORMAZIONE

23
= 2
23
=

2
arccos
_
a
23
+a
32
+a
12
a
13
+a
22
a
23
+a
32
a
33
_
1 + 2a
22
+a
2
12
+a
2
22
+a
2
32
_
1 + 2a
33
+a
2
13
+a
2
23
+a
2
33
_
Si pu`o osservare come il legame tra gli elementi della matrice A e gli elementi di D sia
fortemente non lineare e, per le deformazioni angolari, richieda anche funzioni trascendenti. Tale
non linearit`a `e la causa della natura non tensoriale della matrice D evidenziata nel paragrafo
precedente. Consideriamo infatti un sistema di riferimento ruotato, denito dalla matrice L
(vedi appendice A). La relazione generale (14.5):
u = Ax +

d
nel sistema ruotato diventa:
u

= L
T
u = L
T
Ax +L
T

d =
_
L
T
AL
_
L
T
x +L
T

d = A

+

d

per cui si ha:


A

= L
T
AL
Concludiamo che A `e un tensore doppio (non simmetrico). Siccome D `e ottenuta con una
trasformazione non lineare di A, i suoi componenti non possono seguire la stessa legge di
trasformazione per rotazione degli assi. In eetti, chiamata D

la matrice di deformazione nel


sistema ruotato, ovvero quella che si ottiene elaborando la matrice A

con le relazioni (14.24) e


(14.25), e denita:

D = L
T
DL (14.26)
la matrice ottenuta applicando la regola di rotazione dei tensori alla matrice D, si verica che:

D ,= D

(14.27)
Allo scopo di quanticare in forma sintetica le dierenze tra le matrici

D e D

`e utile
sfruttare la norma euclidea:
|B| =

_
3

i=1
3

j=1
(b
ij
)
2
che quantica lintensit`a complessiva di una matrice. Il parametro:
=
_
_
DD

_
_
|D

|
(14.28)
rappresenta quindi la dierenza in termini relativi tra le due matrici.
Nel seguente esempio `e mostrato il procedimento per ottenere la matrice di deformazione e
sono esaminati gli eetti del cambiamento del sistema di riferimento.
Esempio 14.7: Propriet`a tensoriali approssimate
Data la trasformazione ane denita dalla matrice:
A =
_
_
0.1 0.3 0.6
0.5 0.2 0.4
0.1 0.0 0.8
_
_
a) determinare la matrice delle deformazioni D nel sistema dato,
422
14.5. DEFINIZIONE DI DEFORMAZIONE
b) determinare la matrice A

nel sistema di riferimento ruotato denito dei versori:

=
_
_
0.408
0.816
0.408
_
_
,

j

=
_
_
0.824
0.137
0.549
_
_
e

k

=
_
_
0.393
0.561
0.729
_
_
c) valutare la matrice D

nel nuovo sistema di riferimento e vericare la disuguaglianza


(14.27), determinando la dierenza relativa delle matrici con la relazione (14.28).

Risposta a)
Analizzando i vettori trasformati dei segmenti unitari paralleli agli assi si ottiene la
seguente:
D =
_
_
0.212 0.334 0.662
0.237 0.397
Sym 0.252
_
_
I componenti della matrice D sono quantit`a confrontabili con lunit`a e quindi la defor-
mazione `e intensa, per esempio i segmenti paralleli a y si dilatano del 23.7% e langolo
formato dagli assi x e z diventa di circa 166

. Il numero |D| = 1.257 `e eettivamente un


quanticatore (leggermente maggiorato) dellordine di grandezza dei termini della matrice.
Risposta b)
Dalla denizione, la matrice di cambiamento delle coordinate vale:
L =
_
_
0.408 0.824 0.393
0.816 0.137 0.561
0.408 0.549 0.729
_
_
e da questa si ottiene la matrice di trasformazione ane nel nuovo sistema:
A

= L
T
AL =
_
_
0.267 0.05 0.449
0.219 0.426 0.913
0.078 0.423 0.193
_
_
`
E quindi possibile valutare la matrice di deformazione D

nel sistema ruotato elaborando i


trasformati dei nuovi versori principali come nel caso della risposta a):
D

=
_
_
0.231 0.051 0.093
0.286 0.609
Sym 0.568
_
_
Anche se rappresenta lo stesso processo deformativo, la matrice di deformazione D

`e
diversa dalla precedente D perche `e riferita ad assi diversi. Tuttavia, come anticipato, non
`e ottenibile dalla precedente per semplice trasformazione tensoriale, infatti:

D = L
T
DL =
_
_
0.115 0.17 0.022
0.511 0.533
Sym 0.824
_
_
423
14. LA DEFORMAZIONE
Risposta c)
Le dierenze tra le componenti della matrice di deformazione D

e della matrice trasformata

D hanno, in questo caso, lo stesso ordine di grandezza degli elementi delle matrici stesse, a
dimostrazione che non `e corretto trattare D come un tensore. Il parametro:
=
_
_
DD

_
_
|D

|
= 0.384
indica che la dierenza complessiva tra le due matrici `e dellordine del 38% e questo
numero rappresenta una stima dellerrore che si commetterebbe trattando la matrice D
come un tensore.
La non linearit`a del legame tra le matrici A e D costituisce una complicazione teorica e ope-
rativa non trascurabile, soprattutto quando si devono ottenere informazioni su A a partire dalla
matrice di deformazione. Tale procedimento inverso produce infatti un sistema di equazioni non
lineari del tipo (14.24) e (14.25) la cui soluzione in forma analitica non `e nota.
`
E evidente che
tali dicolt`a non sussisterebbero se il legame fosse lineare e quindi anche D avresse propriet`a
tensoriali.
Si pu`o per`o dimostrare che la dierenza tra

D e D

si riduce quando la norma della matrice

D diventa piccola, ovvero che:


lim
|

D|0

D = D

la matrice D tende quindi ad assumere caratteristiche tensoriali quando i suoi componenti di-
ventano piccoli in modulo. Non `e per`o necessario che i termini della matrice D siano innitesimi
perche la relazione:

= D

possa essere usata nelle applicazioni. A tale proposito `e interessante osservare la gura 14.16
che mostra lerrore che si commette assumendo la matrice D come un tensore. Il graco `e stato
ottenuto considerando la trasformazione dellultimo esempio nel quale alla matrice A `e stato
applicato un fattore moltiplicativo 0 < 1. La dierenza relativa tra le norme delle matrici

D e D

`e riportata in funzione della norma della matrice di deformazione. Dalla gura 14.16
si ricava una indicazione di carattere generale: quando i termini della matrice di deformazione
sono dellordine del permille o inferiori (ovvero [
ij
[
max
1000 ), la dierenza tra le matrici

D e D

, e quindi lerrore che si commette identicando D come tensore, `e inferiore allunit`a


percentuale. Possiamo pertanto concludere che:
la matrice di deformazione D pu`o essere considerata con suciente approssimazione
un tensore doppio simmetrico quando le sue componenti sono dellordine di 10
3
o
inferiori.
Come gi`a osservato, nella meccanica dei corpi poco deformabili, in particolare nello studio del
comportamento elastico, la restrizione |D| 10
3
non `e molto gravosa mentre i vantaggi che
si ricavano da questa assunzione sono notevoli.
14.6 Tensore delle piccole deformazioni
14.6.1 Decomposizione dalla matrice A
In questo paragrafo `e sviluppato un procedimento diretto per ottenere una approssimazione
sucientemente accurata della matrice D a partire dalla matrice della trasformazione ane A
424
14.6. TENSORE DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI
0.00001
0.0001
0.001
0.01
0.1
1
1.E-06 1.E-05 1.E-04 1.E-03 1.E-02 1.E-01 1.E+00
1
10
1
10
2
10
3
10
4
10
5
D

10
6
10
5
10
4
10
3
10
2
10
1
1
Figura 14.16: Dierenza relativa tra le matrici

D e D

in funzione
dellintensit`a della deformazione
che pu`o essere usato nello studio dei corpi poco deformabili. Supponiamo di conoscere A e da
questa di aver ricavato la matrice D (non `e ancora necessario assumere che la deformazione sia
piccola) con il procedimento mostrato nel paragrafo precedente. La matrice A contiene 9 com-
ponenti scalari indipendenti mentre la matrice D solo 6: quali informazioni sono contenute nei
3 parametri in eccesso di A? Per rispondere a questa domanda ricordiamo che quando `e stato
costruito il modello sico del parallelepipedo deformato (sfruttando tutte e sole le informazioni
di D) la sua collocazione nello spazio non `e stata comunque denita. Considerato che `e possi-
bile dare al parallelepipedo deformato qualunque spostamento rigido, il campo di spostamenti
`e denito a meno di una traslazione (

d) e di una rotazione rigida. Pertanto i tre parametri


in eccesso della matrice A dovranno essere in qualche modo connessi alla rotazione rigida del
parallelepipedo deformato ovvero al suo orientamento rispetto al sistema di riferimento. La
matrice A contiene quindi informazioni sulla deformazione e sulla rotazione rigida del paralle-
lepipedo deformato. Sfortunatamente, nel caso generale, la separazione dei due contributi non
`e agevole perche:
il legame tra A e D `e non lineare, in particolare se D `e intensa
la rotazione rigida nello spazio non `e una grandezza vettoriale.
Tuttavia, nel caso in cui i moduli dei termini della matrice A siano piccoli rispetto allunit`a (si
ricordi che a
ij
sono numeri puri), sia la deformazione sia la rotazione rigida sono piccole e si
ottengono i seguenti vantaggi:
la matrice D, anchessa necessariamente piccola |D| 1, pu`o essere considerata un
tensore
la rotazione rigida, anchessa di piccola entit`a, pu`o essere approssimata con una grandezza
vettoriale
le due componenti di deformazione e di rotazione rigida si compongono additivamente e
possono quindi essere facilmente separate algebricamente.
Per questi motivi, assumeremo generalmente [a
ij
[ 1 in modo che sia facilmente identicabile
la parte della matrice A che rappresenta la rotazione rigida e si possa ottenere una soddisfacente
approssimazione della matrice di deformazione D. Per chiarire il procedimento consideriamo la
forma che assume la matrice A quando rappresenta una rotazione rigida senza deformazione.
425
14. LA DEFORMAZIONE
14.6.2 Rotazioni rigide
Una rotazione rigida trasforma una terna di versori ortonormali destrorsi in una nuova
terna di versori ortonormali destrorsi e quindi la relativa matrice di trasformazione B = I + A
`e unitaria, per cui:
(I +A)
T
=(I +A)
1
(14.29)
Quando rappresenta una rotazione rigida, come ogni matrice unitaria nello spazio, anche A
dipende da tre soli parametri scalari indipendenti. Tali parametri possono essere deniti in vario
modo, per esempio: le componenti cartesiane di una terna di versori ortogonali, la direzione
dellasse di rotazione e langolo di rotazione, gli angoli di Eulero, ecc. . . .
Esaminiamo la possibilit`a di usare una grandezza vettoriale per rappresentare una rotazio-
ne rigida nello spazio attorno a un asse. Un modo naturale per attribuire a tale grandezza
caratteristiche vettoriali consiste nellassumere:
il modulo pari allentit`a della rotazione (in radianti)
la direzione coincidente con lasse di rotazione,
il verso denito dalla regola della mano destra.
Pertanto, una rotazione di 30

attorno a z (antioraria vista da z


+
) diventerebbe:

=

6
_
_
0
0
1
_
_
mentre il vettore:

=

2

3
_
_
1
1
1
_
_
sarebbe interpretato come una rotazione di 90

attorno alla trisettrice in senso orario se vista


dal primo ottante.
`
E noto per`o dalla Meccanica dei corpi rigidi che leetto complessivo di due
rotazioni (attorno ad assi non paralleli) dipende dalla sequenza delle singole rotazioni, pertanto
la somma di due rotazioni non `e commutativa e non vale la regola del parallelogramma (che
invece `e commutativa). Una rotazione nita non `e pertanto esprimibile in componenti. Il
seguente esempio illustra questa situazione.
Esempio 14.8: Non vettorialit`a delle rotazioni nite
Vericare che una rotazione rigida di 45

attorno allasse z denita con le regole proposte


nel presente paragrafo non ha le caratteristiche di una grandezza vettoriale.
Interpretata come vettore, la rotazione data avrebbe la seguente rappresentazione
cartesiana:

=
_
_
0
0

_
_
=
_
_
0
0
/4
_
_
Tale rotazione pu`o essere invece descritta in modo formalmente corretto tramite la
corrispondente trasformazione ane, la cui matrice `e la seguente:
A =
_
_
cos () 1 sin () 0
sin () cos () 1 0
0 0 0
_
_
=
_
_
0.293 0.707 0
0.707 0.293 0
0 0 0
_
_
426
14.6. TENSORE DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI
che, come `e immediato vericare, soddisfa la relazione (14.29). Osserviamo alcune inte-
ressanti propriet`a della matrice A appena ottenuta: gli elementi con pedici invertiti sono
opposti e il termine a
12
`e il seno dellangolo di rotazione attorno allasse z cambiato di
segno. Consideriamo ora un diverso sistema di riferimento (sempre cartesiano ortogonale
destrorso) e valutiamo le due rappresentazioni della rotazione (vettoriale e matriciale) ri-
spetto ai nuovi assi. Per fare un esempio numerico, consideriamo un sistema di assi con la
seguente matrice di trasformazione:
L =
_
_
0.229 0.967 0.111
0.688 0.242 0.684
0.688 0.081 0.721
_
_
Se la rotazione fosse un vettore, le sue componenti

nel nuovo sistema dovrebbero ottenersi


dalla relazione:

= L
T

e quindi sarebbero:

= L
T
_
_
0
0

_
_
=
_
_
0.54
0.064
0.566
_
_
Interpretando questo risultato, dovremmo concludere che la componente della rotazione
attorno al nuovo asse z

vale:

3
= 0.566
Siamo per`o certi che la matrice della trasformazione nel nuovo sistema:
A

= L
T
AL =
_
_
0.154 0.494 0.202
0.526 0.291 0.47
0.089 0.504 0.141
_
_
rappresenta correttamente la anit`a, essendo A un tensore.
Se interpretiamo i coecienti della matrice A

nel nuovo riferimento come abbiamo


fatto con i corrispondenti coecienti di A nelloriginario, notiamo varie incongruenze. In
particolare gli elementi con pedici misti di A

non sono uguali e opposti e il termine


a

12
= 0.494 dierisce dallopposto del seno dellangolo di rotazione rispetto allasse z

appena stimato, infatti:


sin

= sin (0.566) = 0.536 ,= 0.494


La proiezione sullasse z

della rotazione data non `e pertanto

3
= 0.566 e quindi dobbiamo
constatare che la rotazione non `e un vettore.
Il seguente esempio illustra come la situazione cambi quando le rotazioni sono piccole.
427
14. LA DEFORMAZIONE
Esempio 14.9: Piccole rotazioni
Ripetere lesercizio proposto nel precedente esempio 14.8 assumendo rotazione mille volte
inferiore =

4000
.
A =
_
_
cos () 1 sin () 0
sin () cos () 1 0
0 0 0
_
_
=
_
_
0.308 10
3
0.7854 0
0.7854 0.308 10
3
0
0 0 0
_
_
10
3
In questo caso gli elementi diagonali di A sono piccoli rispetto agli elementi fuori diagonale
non nulli. Nel sistema ruotato, le componenti dellangolo vettoriale e per la matrice di
trasformazione diventano:

=
_
_
0.54
0.064
0.566
_
_
10
3
A

=
_
_
0.162 10
3
0.5660 0.0632
0.5661 0.306 10
3
0.5406
0.0628 0.5406 0.148 10
3
_
_
10
3
Similmente a quanto osservato per A, gli elementi diagonali di A

sono trascurbili e gli


elementi con pedici invertiti sono, con suciente approssimazione, uguali in modulo e
di segno opposto: a

ij

= a

ji
. Per quanto riguarda linterpretazione del termine a

12
,
osserviamo inne che:
sin

= sin
_
0.5663 10
3
_
= 0.5663 10
3

= 0.5660 10
3
una dierenza sicuramente trascurabile.
Generalizzando i risultati ottenuti negli ultimi due esempi, concludiamo che, se una trasfor-
mazione ane `e una piccola rotazione (non nulla):
la rotazione stessa pu`o essere considerata una grandezza vettoriale rappresentabile in
componenti con la denizione precedentemente proposta
i termini della diagonale di A (e di A

per ogni L) diventano trascurabili rispetto ai


termini fuori diagonale non nulli
la matrice A (e di conseguenza A

) tende a diventare emisimmetrica: A

= A
T
i termini fuori diagonale di A (e di A

) possono essere considerati, con suciente ap-


prossimazione e con una opportuna convenzione sui segni, le componenti della rotazione
rispetto agli assi coordinati.
Con semplici considerazioni geometriche (vedi il prossimo esempio) si verica infatti che la
trasformazione ane corrispondente a una piccola rotazione di componenti:

=
_
_

z
_
_
428
14.6. TENSORE DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI
con

1 `e rappresentata dalla seguente matrice di trasformazione:


A =
_
_
0
z

y

z
0
x

y

x
0
_
_
(14.30)
Esempio 14.10: Legge di trasformazione per piccole rotazioni
Vericare che nel caso di piccole rotazioni vale la relazione:
u = Ax =

x

Per piccole rotazioni dalla relazione (14.30) segue:


u =
_
_
0
3

2

3
0
1

2

1
0
_
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
=
_
_

3
x
2
+
2
x
3

3
x
1

1
x
3

2
x
1
+
1
x
2
_
_
=

i

j

k

1

2

3
x
1
x
2
x
3

=
=
_
_

3
_
_

_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
Dallultimo esempio 14.10 si ricava che, derivando u =

x rispetto al tempo, si ottiene la
nota relazione cinematica tra la velocit`a periferica v =
du
dt
e la velocit`a angolare =
d

dt
del un
moto di un corpo rigido:
v = x
Si pu`o osservare che questultima relazione `e esatta (indipendentemente dallintensit`a della
velocit`a angolare) in quanto d

`e una rotazione innitesima e quindi `e una grandezza vettoriale


come .
14.6.3 Tensori di rotazione e di deformazione
I risultati raggiunti nei punti precedenti forniscono gli elementi concettuali necessari per
sviluppare un ecace procedimento di separazione delle parti rigida (rotazione) e deformativa
della matrice A.
Consideriamo una trasformazione ane con matrice A piccola e deniamo la seguente
matrice:
=
1
2
_
AA
T
_
(14.31)
che rappresenta la parte emisimmetrica della matrice di trasformazione. Se la trasformazione
fosse una semplice rotazione rigida piccola, la matrice A sarebbe gi`a emisimmetrica per cui
= A. Nel caso generale assumiamo che rappresenti la componente di rotazione rigida
della trasformazione. A rigore tutto questo vale solo al limite per [a
ij
[ 0 in eetti, nelle
trasformazioni nite, la parte emisimmetrica di A approssima la componente di rotazione rigida
della trasformazione.
429
14. LA DEFORMAZIONE
Deniamo quindi la matrice:
E = A =
1
2
_
A+A
T
_
(14.32)
ottenuta togliendo da A la parte che rappresenta la rotazione rigida. La matrice E `e quindi la
parte simmetrica della matrice di trasformazione e, conseguentemente, dovrebbe rappresen-
tare la componente deformativa della trasformazione. La matrice E `e una combinazione lineare
dei tensori A e A
T
per cui `e anchessa un tensore (evidentemente simmetrico).
La questione diventa quindi: `e corretto interpretare il tensore E come la deformazione? Op-
pure, pi` u esplicitamente, che legame esiste tra la matrice E e la vera matrice di deformazione
D?
`
E corretto attribuire agli elementi diagonali di E il signicato di deformazioni estensionali
e a quelli fuori diagonale il signicato di deformazioni angolari? Vericheremo che, come pre-
vedibile, la risposte a queste domande sono tutte positive ma a condizione che i termini delle
matrici A, E, e D siano in modulo molto inferiori dellunit`a.
Considerando il procedimento adottato per ottenerla, `e chiaro che non basta che la sola ma-
trice E sia piccola. In eetti, la parte simmetrica della matrice A rappresenta la deformazione
se anche la parte emisimmetrica rappresenta la rotazione rigida. Quindi entrambe le parti
devono essere piccole, e di conseguenza, la matrice A nel suo complesso deve essere piccola
(|A| 1). Solo se A `e piccola quindi, le componenti deformativa e rigida della trasformazione
sono approssimabili rispettivamente dalle parti simmetrica ed emisimmetrica e queste si combi-
nano additivamente. La combinazione additiva delle due componenti produce notevoli vantaggi
operativi perche elimina le non linearit`a precedentemente evidenziate che caratterizzano legame
tra A e D.
In coerenza con i presupposti della meccanica dei corpi poco deformabili, nel seguito assu-
meremo che |A| 1 come ipotesi di base e quindi considereremo sempre la deformazione come
la componente simmetrica della matrice di trasformazione. Questo signica che, da ora in poi,
se non diversamente indicato, sar`a sempre:
E D (14.33)
almeno salvo veriche a posteriori sullentit`a di deformazioni e rotazioni. Per questi moti-
vi, la grandezza descritta dalla matrice E `e generalmente denita tensore delle piccole
deformazioni.
Se anche una sola delle matrici o E dovesse rivelarsi non piccola, il calcolo eettuato
assumendo la relazione (14.33) risulterebbe in genere poco preciso ma i metodi per migliorarlo
non sono elementari e quindi non saranno trattati sistematicamente nel presente corso.
Nellesempio che segue sono valutate le varie matrici introdotte per un semplice caso piano
ed `e vericata la validit`a della relazione (14.33) per trasformazioni piccole.
Esempio 14.11: Approssimazione della deformazione nel piano
La trasformazione ane del quadrato nel parallelogramma

mostrata in gura 14.17


avviene in tre fasi. Nella prima fase i lati verticali, che rimangono indeformati, sono fatti
ruotare tutti dellangolo attorno al loro punto di ordinata nulla, nella seconda tutti i
segmenti orizzontali sono uniformemente dilatati del fattore: 1 + =
A

AB
inne, nella
terza, la gura `e ruotata rigidamente di attorno al vertice A

. Determinare le matrici
piane e analizzarle per il caso numerico: = 5

, = 10

e = 0.1 che descrive la


trasformazione (piuttosto intensa) rappresentata in scala nella gura.
430
14.6. TENSORE DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI

A A* B
C
B*
D
C* D*
x
y

A*
B*
C*
D*
(c)
(a) (b)
*
Figura 14.17: Trasformazione ane piana
I dati consentono di ottenere immediatamente la matrice esatta delle deformazioni D
in base alla denizione e la matrice A della trasformazione ane:
D =
_


2

2
0
_
=
_
0.1 0.044
0.044 0
_
A =
_
(1 +) cos () 1 sin ( )
(1 +) sin () cos ( ) 1
_
=
_
0.083 0.087
0.191 3.805 10
3
_
da questultima si ricavano le parti emisimmetrica e simmetrica:
=
1
2
_
AA
T
_
=
_
0 -0.139
0.139 0
_
E =
1
2
_
A+A
T
_
=
_
0.083 0.052
0.052 3.805 10
3
_
Si osserva che, nel caso in esame con una trasformazione piuttosto intensa |A| = 0.27, sia
per la parte deformativa |D| = 0.12 sia per quella rigida (quanticabile approssimativa-
mente con || = 0.2), E `e eettivamente abbastanza diversa da D. Anche in condizioni
cos` lontane dalle ipotesi, tuttavia, si nota che E approssima D, la dierenza relativa
DE
D
`e infatti pari al 17%.
Esercizio 14.1: Deformazione nel piano
Con riferimento allesempio 14.11 precedente, vericare i seguenti punti.
a) La matrice di rotazione rigida denisce eettivamente una rotazione attorno a z.
b) La componente 1,2 della matrice approssima lopposto della media aritmetica degli
angoli di rotazione attorno allasse z dei due segmenti che allinizio erano paralleli a x e
y.
c) Riducendo di un fattore 10 deformazioni e angoli ( = 0.01, = 0.5

e = 1

), quindi
con |A| = 0.022 la dierenza tra E e D diventa del 1.7%.
431
14. LA DEFORMAZIONE
d) Anche la dierenza tra
12
e lopposto della media aritmetica degli angoli di rotazione
`e nellordine del percento quando la trasformazione `e ridotta di un fattore 10.
e) Se si applica una ulteriore riduzione di un fattore 10 ( = 0.001, = 0.05

e = 0.1

)
si ha: |A| = 1.2 10
3
per cui lipotesi delle piccole deformazioni diventa accettabile,
in eetti in questo caso
DE
D
= 0.02%
f) Se si riduce solo la componente deformativa della trasformazione (per esempio assumen-
do = 0.001 e = 0.05

) ma si mantiene elevata la rotazione rigida ( = 10

), la
matrice di deformazione D diventa piccola mentre E rimane elevata. Questo fatto de-
riva dalla inadeguata riproduzione della rotazione rigida e dalla conseguente imprecisa
decomposizione additiva di A.
In alcuni testi la parte simmetrica della matrice di trasformazione `e chiamata tensore delle
deformazioni innitesime, ma tale denizione `e da considerarsi impropria. In eetti, `e vero che E
rappresenta la deformazione tanto pi` u precisamente quanto pi` u piccole sono le sue componenti e
quindi luguaglianza E = D si verica, a rigore, solo al limite. Tuttavia, quando le componenti
deformative (e rotatorie) sono in modulo entro le migliaia di microepsilon lapprossimazione
E = D pu`o considerarsi valida per tutti gli scopi pratici. Componenti
ij
dellordine di 10
3
,
per quanto piccole rispetto allunit`a, sono deformazioni molto intense per molti materiali e
quindi non sono certamente denibili innitesime, sia dal punto di vista matematico sia, a
maggior ragione, da quello sico. Pertanto, quando `e necessario rimarcare che la matrice E
rappresenta una approssimazione e risulta utile distinguerla da altri quanticatori che possono
essere usati per denire la deformazione, indicheremo E con il termine appropriato di tensore
delle piccole deformazioni.
Come mostrato anche nellultimo esempio, se |A| 10
3
, il tensore delle piccole deforma-
zioni approssima le componenti deformative esatte di D con la precisione del permille. In eetti
si pu`o dimostrare che gli errori relativi connessi con lapprossimazione delle piccole deformazioni
sono dello stesso ordine di grandezza dei termini della matrice A. Possiamo quindi ssare per
deformazioni e rotazioni il livello di 10
2
al di sotto del quale `e tecnicamente lecito tollerare le
approssimazioni di tipo geometrico della meccanica dei corpi deformabili.
Dato che le componenti deformative sono grandezze adimensionali, `e frequente nelle elabo-
razioni ottenere somme algebriche con addendi di primo grado in
ij
insieme con addendi di
grado maggiore o contenenti prodotti di deformazioni. Coerentemente con lipotesi delle piccole
deformazioni, i termini non lineari saranno quindi trascurati senza che ci`o comporti una perdita
di precisione nel risultato. Per esempio, componenti di E come:

11
= 2.0 10
3
,
12
= 3.5 10
3
sono ottenute con un procedimento che in principio introduce un errore relativo dellordine del
millesimo delle quantit`a stesse. Pertanto, in termini rigorosi, dovremmo considerarle come:

11
= 2.0 10
3
2 10
6
,
12
= 3.5 10
3
3.5 10
6
per ricordare che, in questo caso, il modello delle piccole deformazioni ha una imprecisione
intrinseca stimabile nellordine del microepsilon. Il prodotto delle due deformazioni:

11

12
= 2.0 10
3
3.5 10
3
= 7.0 10
6
432
14.7. TRASFORMAZIONI NON AFFINI
ha lo stesso ordine di grandezza dellincertezza dei singoli fattori e quindi `e una quanti-
t`a trascurabile rispetto a questi. A maggior ragione saranno trascurati i cubi o i prodotti
di tre deformazioni. La seguente approssimazione `e quindi valida nellambito delle piccole
deformazioni:
3
11
+ 2
12

2
11
+ 4
11

12
+
3
12
= 3
11
+ 2
12
= 13 10
3
Dallanalisi sviluppata nora sulle trasformazioni ani possiamo quindi trarre la seguente
considerazione generale, di notevole importanza pratica:
se le componenti della matrice di trasformazione sono in modulo inferiori a 10
2
la
matrice delle deformazioni ha caratteristiche tensoriali e pu`o essere bene approssi-
mata mediante il tensore delle piccole deformazioni.
14.7 Trasformazioni non ani
Rispetto a un riferimento cartesiano di coordinate x
1
, x
2
, e x
3
, consideriamo un corpo
sottoposto a una trasformazione congruente (quindi non necessariamente ane) rappresentata
dal campo di spostamento:
u(x) =
_
_
u
1
(x
1
, x
2
, x
3
)
u
2
(x
1
, x
2
, x
3
)
u
3
(x
1
, x
2
, x
3
)
_
_
Fissato un punto generico P del corpo, sappiamo che la trasformazione `e ane al limite, per
cui tutte le considerazioni nora sviluppate, esatte o approssimate, possono essere applicate a
un parallelepipedo di dimensioni innitesime in corrispondenza di P. La trasformazione ane
di tale parallelepipedo sar`a denita dalle 9 componenti della matrice locale A e, se questa `e
piccola, potr`a essere separata nelle componenti deformativa e rigida.
A tale scopo, consideriamo il parallelepipedo elementare con il vertice di coordinate minime
in P e gli spigoli paralleli agli assi. Dierenziando le componenti di spostamento rispetto alle
coordinate, si ottiene:
du =
_
_
_
u
1
x
1
u
1
x
2
u
1
x
3
u
2
x
1
u
2
x
2
u
2
x
3
u
3
x
1
u
3
x
2
u
3
x
3
_
_
_
_
_
dx
1
dx
2
dx
3
_
_
= u
T
dx (14.34)
Questa relazione fornisce le variazioni dello spostamento che si producono nel corpo quando
si passa da P a un punto innitamente vicino. La matrice delle derivate, che devono essere
calcolate in P, `e per il parallelepipedo elementare una costante, pertanto per i punti Q del pa-
rallelepipedo elementare, che sono a distanze innitesime
_
dx
1
dx
2
dx
3
_
da P, la relazione
(14.34) pu`o essere interpretata nel modo seguente: le componenti dello spostamento relativo du
di Q rispetto a P sono una funzione lineare delle coordinate relative di Q rispetto a P. Que-
sta constatazione rappresenta la verica formale della trasformazione ane del parallelepipedo
elementare il quale, quindi, si trasforma in un parallelepipedo innitesimo in genere non retto.
La matrice della trasformazione ane A coincide con la matrice delle derivate prime calcolate
in P. Osservando i pedici dei simboli e la loro disposizione, concludiamo inoltre che la matrice
della trasformazione ane locale `e il gradiente trasposto dello spostamento:
u
T
= A (14.35)
Come caso particolare, la matrice A pu`o essere ottenuta come gradiente trasposto della
funzione di spostamento anche nelle trasformazioni ani in grande. Per vericarlo, `e suciente
433
14. LA DEFORMAZIONE
derivare le relazioni lineari denite dalla relazione (14.3) rispetto alle coordinate cartesiane. A
dierenza di una trasformazione ane in grande, in cui la matrice A `e la stessa per lintero
corpo, in una trasformazione congruente generica il gradiente di spostamento `e in genere una
funzione della posizione (ovvero u
T
dipende da x). Questo comporta che i parallelepipedi
elementari relativi a due punti distinti si trasformano entrambi in modo ane ma, in generale,
diversamente luno dallaltro, pertanto nel corpo sia la componente rigida sia quella deformativa
sono in genere diverse da punto a punto.
Supponiamo che per tutti i punti del corpo e per tutti i parallelepipedi elementari di cui `e
idealmente costituito siano valide le ipotesi della meccanica dei corpi poco deformabili, e quindi
che:
le componenti di u in siano piccole rispetto alle dimensioni del corpo,
le componenti del gradiente u
T
siano ovunque piccole rispetto allunit`a,
allora, per ogni parallelepipedo elementare la deformazione `e espressa dal tensore ottenuto dalla
parte simmetrica del locale gradiente di spostamento. La matrice delle piccole deformazioni `e
quindi:
E =
1
2
_
u +u
T
_
(14.36)
In questo modo risulta denito un campo tensoriale che, sempre con riferimento al sistema
cartesiano dato, associa a ogni punto del corpo il relativo tensore delle piccole deformazioni:
E(x
1
, x
2
, x
3
). Se i gradienti di spostamento sono piccoli, alle componenti di E `e possibi-
le attribuire il consueto signicato di deformazioni estensionali e angolari del parallelepipedo
elementare locale. La forma generale delle componenti di E `e per i, j = 1, 2, 3:

ij
=
1
2
_
u
i
x
j
+
u
j
x
i
_
(14.37)
le deformazioni estensionali sono quindi:

11
=
u
1
x
1
,
22
=
u
2
x
2
,
33
=
u
3
x
3
(14.38)
e le deformazioni angolari:

12
=
1
2
_
u
1
x
2
+
u
2
x
1
_
,
13
=
1
2
_
u
1
x
3
+
u
3
x
1
_
,
23
=
1
2
_
u
2
x
3
+
u
3
x
2
_
(14.39)
Le componenti delle rotazioni rigide locali sono deducibili dai termini fuori diagonale della
matrice:
=
1
2
_
u
T
u
_
(14.40)
I seguenti esempi illustrano le applicazioni delle formule precedenti a solidi monodimensionali
e bidimensionali in un dominio piano.
Esempio 14.12: Deformazione di un continuo monodimensionale
Il segmento di estremi A(0, 0) e B(d, 0) `e trasformato nel tratto di curva

in base al
seguente campo di spostamento piano:
u =
_
0.1x 0.05
x
2
d
_
+
d
10
v =
_
0.5x 0.6
x
3
d
2
_
+
d
4
434
14.7. TRASFORMAZIONI NON AFFINI
Determinare per = 1 la componente estensionale
11
del tensore delle piccole deformazioni
e rappresentarla in funzione dellascissa del punto indeformato confrontandola con il valore
esatto. Ripetere il calcolo con = 0.01
A
A*
B
x
y
B*
P*
P

*
Figura 14.18: Trasformazione congruente di un solido monodimensionale
La trasformazione non `e ane e infatti:

11
(= E
11
) =
u
x
= 0.1
_
1
x
d
_
la deformazione dipende dalla posizione (i vari elementi del segmento subiscono
allungamenti diversi). Lallungamento esatto si ottiene dalla relazione:

11
(= D
11
) =

_
1 +
u
x
_
2
+
_
v
x
_
2
1 =
_
1 + 0.46 0.22
x
d
1.79
_
x
d
_
2
+ 3.24
_
x
d
_
4
1
Come mostra la gura 14.19, lapprossimazione delle piccole deformazioni appare piuttosto
grossolana. In eetti le deformazioni sono intense.
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
0
0.2
0.4
0.6
0.8
0.64
0
xx xx
i
( )
ex xx
i
( )
1.0001 0 xx
i
d
11

/ x d
11
D
11
E
Figura 14.19: Andamento delle deformazioni estensionali per = 1 in funzio-
ne della posizione (indeformata), confronto tra il valore esatto (D
11
) e quello
ottenuto nellipotesi di piccole deformazioni (E
11
)
Nel caso = 0.01 si ottiene:

11
(= E
11
) = 0.001
_
1
x
d
_
435
14. LA DEFORMAZIONE
contro il valore esatto di

11
(= D
11
) =
_
1 + 0.00202 2.001 10
3
x
d
179 10
6
_
x
d
_
2
+ 324 10
6
_
x
d
_
4
1
Il confronto `e riportato nella gura 14.20.
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
0
0.5
1
1.5
1.012
0
xx xx
i
( )
ex xx
i
( )
1.0001 0 xx
i
d
11
3

10



/ x d
11
D
11
E
Figura 14.20: Confronto nel caso di = 0.01 (le deformazioni sono espresse
in 10
3
: millesimi o milliepsilon)
Esempio 14.13: Analisi di un campo di spostamenti piano
Dato il campo di spostamenti piano:
u = 0.01x 0.06
y
2
d
0.04
xy
d
+ 1.5d
v = 0.03x + 0.05
x
3
d
2
+ 0.04
y
2
d
denito sul quadrato di vertici A(0, 0), B(d, 0), C (d, d) e D(0, d), tracciare le mappe della
deformazione angolare
12
e della componente
z
della rotazione rigida attorno a z.

A B
C
D
x
y
A*
B*
C*
D*
*
Figura 14.21: Trasformazione piana non ane
Nella gura 14.21 sono rappresentati i corpi piani prima e dopo la deformazione. Il
436
14.8. PROBLEMA INVERSO E EQUAZIONI DI CONGRUENZA
gradiente piano di spostamento `e dato dalla matrice:
u =
_
u
x
v
x
u
y
u
y
_
= 0.01
_
1 4
y
d
3 + 15
_
x
d
_
2
12
y
d
4
x
d
8
y
d
_
i cui termini sono dellordine dei decimi. Siamo pertanto sopra il margine stabilito per
laccettazione delle piccole deformazioni e ci attendiamo che le nostre previsioni siano
aette da errori relativi dellordine di (10-20)%. Le matrici richieste sono:
E = 0.01
_
1 4
y
d
3
2

x
d
6
y
d
+
15
2
_
x
d
_
2
sym 8
y
d
_
= 0.01
_
0
_
3
2
+
x
d
+ 6
y
d
+
15
2
_
x
d
_
2
_
3
2
+
x
d
+ 6
y
d
+
15
2
_
x
d
_
2
0
_
I risultati sono rappresentati nella gura 14.22.
z p12
z
12

Figura 14.22: Mappe della deformazione angolare


12
e della rotazione rigida
attorno a z:
z
=
12
(ottenute con il computer e rappresentate sul corpo
indeformato)
14.8 Problema inverso e equazioni di congruenza
14.8.1 Il problema inverso (*)
Finora ci siamo occupati di denire e valutare le deformazioni in un corpo risolvendo quello
che `e chiamato il problema diretto:
date le funzioni u
i
(x
1
, x
2
, x
3
) che deniscono il campo di spostamento, determinare
il campo di deformazione
Il problema diretto `e sempre risolvibile con la sola condizione che il campo di spostamento
rappresenti una trasformazione congruente. Il procedimento comporta infatti di valutare il
gradiente di spostamento e di elaborarne le componenti. Se i gradienti di spostamento sono
piccoli, il compito `e facilitato dalla possibilit`a di usare la matrice delle piccole deformazioni E
437
14. LA DEFORMAZIONE
per approssimare D. Se i gradienti di spostamento sono grandi, E rappresenta una (talvolta
grossolana) approssimazione di D e per avere una soluzione accurata lelaborazione deve es-
sere eettuata usando il procedimento non lineare presentato nel paragrafo 14.5.3. Anche in
questultimo caso la procedura di soluzione del problema diretto, per quanto pi` u articolata e
algebricamente pi` u complessa, `e comunque completamente denita e il risultato che si ottiene
`e unico. Il problema diretto consiste quindi nellottenimento di derivate delle componenti di
spostamento e in una loro successiva elaborazione espressa da formule esplicite.
Nella pratica spesso si presenta per`o il problema inverso, denito come:
dato il campo di deformazione D(x
1
, x
2
, x
3
) determinare il campo di spostamento
u
i
(x
1
, x
2
, x
3
) che lo ha prodotto.
Per comprendere lutilit`a del problema inverso `e suciente riferirsi a uno degli esempi presentati
allinizio del capitolo, come la trasmissione meccanica riprodotta nelle gure 14.1 e 14.2. La
verica di rigidezza per le strutture richiede infatti di valutare lo spostamento di alcuni punti
rappresentativi del corpo, per esempio i denti degli ingranaggi in contatto, e di confrontarlo con
valori ammissibili. Supponiamo di conoscere come tutti i singoli elementi innitesimi dellalbero
si deformano sotto lazione dei carichi (per esempio sapendo valutare come i singoli conci della
trave si deformano sotto leetto delle caratteristiche di sollecitazione), in che modo si pu`o
ricavare lo spostamento di un punto del corpo? Come `e stato anticipato, lo spostamento di
un singolo punto non pu`o essere ottenuto in base alla sola deformazione locale della zona
in cui il punto si trova, dato che lo spostamento `e una quantit`a che, in misura pi` u o meno
marcata, risente dalla deformazione di tutti i punti della struttura. In termini matematici, se il
problema diretto comporta che la deformazione sia ottenuta dallo spostamento per derivazione,
il problema inverso richiede che lo spostamento sia ottenuto dalla deformazione tramite una
integrazione. Il problema inverso `e in genere molto pi` u impegnativo del problema diretto, come
il seguente esempio elementare dimostra.
Esempio 14.14: Problema inverso nel piano
Il quadrato A(0, 0), B(d, 0), C (d, d), D(0, d) sotto carico presenta il seguente campo di
deformazione:
D = 0.01
_
1
3y
2
d
2
1 +
5y
2
2d
2
3
xy
d
2
sym 2 + 10
xy
d
2
_
sapendo che il punto A si sposta in A

(1.1d, 0) e che il punto B

rimane sullasse x,
determinare la posizione dei vertici B

, C

, D

dopo la deformazione.
Assumiamo senzaltro lipotesi di corpo poco deformabile dato che lordine di grandezza
dei gradienti di spostamento `e del percento. Considerando che E = D, le deformazioni
estensionali forniscono le seguenti componenti del gradiente di spostamento:
u
x
=
11
= 0.01
_
1
3y
2
d
2
_
v
y
=
22
= 0.01
_
2 + 10
xy
d
2
_
Da queste, tramite integrazione indenita, si ottengono le seguenti espressioni per le
componenti del campo di spostamento:
u(x, y) =
_
u
x
dx =0.01
_
x
3xy
2
d
2
_
+f
1
(y)
v (x, y) =
_
v
y
dy =0.01
_
2y + 5
xy
2
d
2
_
+f
2
(x)
438
14.8. PROBLEMA INVERSO E EQUAZIONI DI CONGRUENZA
in cui le funzioni f
1
(y) , f
2
(x) (formalmente le costanti di integrazione) possono essere scelte
arbitrariamente (ovviamente nellambito delle funzioni sucientemente regolari). Dalle
componenti di spostamento si pu`o ottenere lespressione della deformazione angolare:

12
=
u
y
+
v
x
= 0.01
_

6xy
d
2
_
+
df
1
(y)
dy
+ 0.01
_
5
y
2
d
2
_
+
df
2
(x)
dx
=
= 0.01
_

6xy
d
2
+ 5
y
2
d
2
_
+
df
1
(y)
dy
+
df
2
(x)
dx
che deve corrispondere al termine fuori diagonale della matrice di deformazione (
12
=
2
12
):
0.01
_
6
xy
d
2
+ 5
y
2
d
2
_
+
df
1
(y)
dy
+
df
2
(x)
dx
= 2 0.01
_
1 +
5
2
y
2
d
2
3
xy
d
2
_
La precedente relazione semplicata diventa:
df
1
(y)
dy
+
df
2
(x)
dx
= 0.02
Ricaviamo quindi che il primo membro della relazione deve essere costante. Dato che il
primo addendo non pu`o dipendere da x e il secondo da y, lunica possibilit`a perche la loro
somma sia costante `e che entrambi gli addendi siano indipendenti sia da x sia da y e quindi
costanti, per cui si pu`o porre:
df
1
(y)
dy
= c
df
2
(x)
dx
= 0.02 c
dove c `e una costante da determinarsi. Integrando le precedenti equazioni si ottengono le
relazioni:
f
1
(y) = cy +c
1
f
2
(x) = (0.02 c) x +c
2
con c
1
e c
2
ulteriori costanti di integrazione. Le componenti di spostamento sono quindi
date da:
u(x, y) = 0.01
_
x
3xy
2
d
2
_
+cy +c
1
v (x, y) = 0.01
_
2y + 5
xy
2
d
2
_
+ (0.02 c) x +c
2
Il campo di spostamento ottenuto dipende da 3 costanti di integrazione. Questa indeter-
minatezza era prevedibile considerando che nora `e stata esaminata solo la variazione di
forma del corpo e quindi la congurazione dei suoi punti pu`o essere nota a meno di un
generico spostamento rigido del corpo nel piano. Tale spostamento `e denito proprio da 3
coordinate lagrangiane. Le costanti di integrazione sono infatti determinabili in base alla
conoscenza della posizione nale di alcuni punti. Dallo spostamento del punto A, si ricava:
u(0, 0) = 1.1d
v (0, 0) = 0
e il fatto che il punto B

rimane sullasse x si traduce nellulteriore relazione:


v (0, d) = 0
439
14. LA DEFORMAZIONE

A
B
C D
x
y
A* B*
D*
C*
*
Figura 14.23: Il corpo prima e dopo la deformazione
Alla ne si ottiene: c = 0.02, c
1
= 1.1d e c
2
= 0 da cui il campo di spostamento nale:
u(x, y) = 0.01
_
x + 2y
3xy
2
d
2
_
+ 1.1d
v (x, y) = 0.01
_
2y + 5
xy
2
d
2
_
Da queste espressioni `e quindi ottenibile la forma distorta del corpo, rappresenta-
ta nella gura 14.23, e i seguenti risultati numerici: B

(2.11d, 0), C

(2.10d, 1.07d) e
D

(1.12d, 1.02d).
`
E lasciato al lettore il compito di considerare, anche solo qualitativamente, quanto il proble-
ma inverso si complichi in termini matematici se le deformazioni non sono piccole e il legame
tra la matrice di deformazione e il gradiente di spostamento, invece che essere lineare, diventa
del tipo indicato nelle relazioni (14.24) e (14.25).
14.8.2 Equazioni di congruenza
Nel paragrafo precedente `e stato mostrato come arontare il problema inverso e quindi
ottenere il campo di spostamento quando `e noto il campo di deformazione ed `e denita la
posizione del corpo deformato nello spazio, per esempio in base alla conoscenza della posizione
nale di alcuni suoi punti. Il problema inverso presenta per`o altre criticit`a che non sono state
evidenziate nellesempio. Consideriamo per semplicit`a sempre un problema bidimensionale e
un dominio in ogni punto del quale sia nota la matrice D 2 2, proponiamoci di ottenere il
campo di spostamento u(x
1
, x
2
) nellambito della meccanica dei corpi poco deformabili. Dal
punto di vista matematico ci`o comporta che sono date 3 funzioni di R
2
:

11
(x
1
, x
2
) ,
12
(x
1
, x
2
) ,
22
(x
1
, x
2
)
dalle quali devono essere dedotte 2 funzioni di R
2
:
u
1
(x
1
, x
2
) , u
2
(x
1
, x
2
) .
Se le tre funzioni di partenza sono qualunque, `e evidente che il problema, in generale, diventa
impossibile avendo imposto in ogni punto pi` u condizioni che incognite. Possiamo interpretare
questo risultato nel modo seguente: non c`e alcuna garanzia che le tre funzioni
ij
(x, y), sia pure
440
14.8. PROBLEMA INVERSO E EQUAZIONI DI CONGRUENZA
regolari con tutte le derivate, derivino eettivamente da un campo di spostamento. In termini
geometrici ci`o signica che, per quanto ogni singolo parallelepipedo elementare di cui `e costituito
il corpo si deformi in modo congruente, non `e assicurato che dal loro assemblaggio si ottenga un
corpo globalmente congruente. In termini intuitivi, la costruzione del corpo deformato ottenuta
mettendo insieme, come in un puzzle, i singoli parallelepipedi elementari deformati, a un certo
punto potrebbe diventare impossibile perche alcuni elementi non trovano pi` u spazio (e quindi
dovrebbero compenetrarsi) mentre tra altri si possono formare spazi vuoti.
La congruenza globale del corpo impone pertanto che le funzioni che descrivono le variazio-
ni spaziali delle componenti di deformazione non siano indipendenti. In altri termini, devono
esistere opportune relazioni che legano le componenti deformative che garantiscono la globale
congruenza. Nel caso bidimensionale lunica relazione necessaria per rendere il problema corret-
tamente formulato si pu`o ottenere in modo piuttosto semplice. A tale scopo, supponiamo che la
soluzione del problema inverso eettivamente esista e quindi che le componenti di deformazione
siano prodotte da un campo di spostamento congruente, valgono allora le seguenti relazioni:

11
=
u
1
x
1
,
12
=
1
2
_
u
1
x
2
+
u
2
x
1
_
,
22
=
u
2
x
2
Supponiamo inoltre che le funzioni siano sucientemente regolari in modo da poter derivare le
componenti di deformazione no al secondo ordine (e quindi gli spostamenti no al terzo). Per
il teorema di Schwartz sullinvarianza dellordine di derivazione, si ha:

12
x
1
x
2
=
1
2

2
x
1
x
2
_
u
1
x
2
+
u
2
x
1
_
=
1
2
_

3
u
1
x
1
x
2
2
+

3
u
2
x
2
x
2
1
_
=
=
1
2
_

2
x
2
2
u
1
x
1
+

2
x
2
1
u
2
x
2
_
=
1
2
_

11
x
2
2
+

2

22
x
2
1
_
La relazione che inne si ottiene:

12
x
1
x
2
=
1
2
_

11
x
2
2
+

2

22
x
2
1
_
(14.41)
rappresenta il legame cercato ed `e chiamata equazione di congruenza (compatibility
equation).
Estendendo il ragionamento al caso tridimensionale si ricavano 6 equazioni dierenziali alle
derivate parziali che esprimono la generale condizione di risolvibilit`a del problema inverso e che
sono chiamate, dopo Eugenio Beltrami (1835-1900) e John Michell (1863-1940), equazioni di
Beltrami-Michell. Tre equazioni di Beltrami-Michell sono le analoghe della relazione (14.41):

ij
x
i
x
j
=
1
2
_

ii
x
2
j
+

2

jj
x
2
i
_
(14.42)
con i, j = 1, 2, 3 e i ,= j, mentre le altre tre si possono ottenere per rotazione dei pedici dalla
seguente:

ii
x
j
x
k
=

x
i
_

jk
x
i
+

ki
x
j
+

ij
x
k
_
(14.43)
con i, j, k = 1, 2, 3 e i ,= j ,= k.
`
E utile osservare che le condizioni di congruenza di Beltrami-Michell sono uguaglianze tra le
derivate seconde di componenti di deformazione, pertanto, se le deformazioni sono uniformi nel
dominio, risultano identicamente soddisfatte. Questo fatto era prevedibile, dato che un campo
uniforme di deformazione `e prodotto da una trasformazione ane in grande. Con lo stesso
ragionamento si ottiene per`o anche il seguente importante teorema, che sfrutteremo nel seguito:
441
14. LA DEFORMAZIONE
un campo di deformazione le cui componenti sono funzioni lineari delle coordinate
cartesiane soddisfa identicamente le equazioni di congruenza.
Il campo di deformazione pi` u generale con tali caratteristiche si scrive come:

ij
=
ij
+
3

k=1

ijk
x
k
con
ij
e
ijk
indipendenti dalla posizione (per la simmetria del tensore di deformazione deve
essere ovviamente:
ij
=
ji
e
ijk
=
jik
). Se almeno uno dei parametri
ijk
non `e nullo, un
campo di deformazione di questo tipo non rappresenta una trasformazione ane in grande.
442
Capitolo 15
Analisi di corpi deformati
Assumendo valida la meccanica dei corpi poco deformabili, nel capitolo sono evidenziate le
propriet`a invarianti del tensore di deformazione. Il tensore delle piccole deformazione `e succes-
sivamente impiegato per determinare variazioni del volume, della lunghezza e della supercie di
parti di un corpo che subisce una deformazione.
`
E esaminato un particolare processo deformativo non ane utile nello studio degli elemen-
ti strutturali sollecitati in essione ed `e presentata lipotesi deformativa della conservazione
delle sezioni piane per le travi (ipotesi di Eulero-Bernoulli) e la sua estensione per i solidi
bidimensionali.
Nellultima parte del capitolo sono fornite le basi concettuali dei metodi con cui arontare lo
studio di corpi deformabili per i quali la congurazione nale `e sensibilmente diversa da quella
di riferimento.
15.1 Applicazioni delle piccole deformazioni
Consideriamo un corpo che subisce una trasformazione denita dal campo di spostamento:
u(x) =
_
_
u
1
(x
1
, x
2
, x
3
)
u
2
(x
1
, x
2
, x
3
)
u
3
(x
1
, x
2
, x
3
)
_
_
assumendo che le funzioni che deniscono le componenti di spostamento siano denite, insieme
con le derivate di ogni ordine necessario allanalisi, quasi ovunque nel corpo in esame, ovvero
in tutti i punti esclusi al pi` u quelli appartenenti a un insieme di misura nulla. Come `e stato
dimostrato nel precedente capitolo, se:
1. le componenti di spostamento sono ovunque piccole rispetto alle dimensioni caratteristiche
del corpo
2. i gradienti di spostamento sono ovunque piccoli rispetto allunit`a:
_
_
u
T
_
_
1;
si pu`o assumere che:
E =
1
2
_
u +u
T
_
`e la rappresentazione cartesiana di un tensore doppio simmetrico la
parte simmetrica del gradiente di spostamento
E `e interpretabile come matrice delle deformazioni D
al tensore delle piccole deformazioni E sono applicabili le considerazioni valide in generale
per i tensori cartesiani simmetrici del secondo ordine e quindi: le leggi di trasformazio-
ne per rotazione degli assi, le propriet`a invarianti, i valori e le direzioni principali, la
rappresentazione di Mohr, ecc. . .
443
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
Nel seguito del paragrafo sono discusse le pi` u interessanti propriet`a tensoriali della deformazione.
15.1.1 Deformazioni e direzioni principali dello stato di deformazione
Consideriamo un generico tensore di deformazione che, rispetto a un sistema di riferimento
ssato, che chiamiamo generale, `e rappresentato dalla matrice:
E =
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
(15.1)
La conoscenza del signicato geometrico delle componenti della matrice ci permette di stabilire
come si deforma un parallelepipedo elementare il cui triedro `e parallelo agli assi del sistema
generale. Applicando le note propriet`a dei tensori, `e possibile per`o valutare come si deforma
anche un parallelepipedo elementare orientato in modo qualunque. Infatti le deformazioni
estensionali e angolari di un parallelepipedo elementare ruotato sono espresse dai termini della
matrice che si ottiene dal doppio prodotto:
E

= L
T
EL
in cui L `e la matrice unitaria che raccoglie i versori del triedro del parallelepipedo ruotato
espressi nel sistema di riferimento generale.
Da ci`o segue che, dato un versore generico n, la deformazione estensionale in tale direzione

nn
si ottiene con la relazione:

nn
= n
T
E n (15.2)
e, data una coppia di versori n e m tra loro perpendicolari (quindi con prodotto scalare nullo
n m = 0) la deformazione angolare associata (met`a della riduzione dellangolo retto da loro
individuato) si ottiene con la relazione:

nm
= n
T
E m = m
T
E n =
mn
(15.3)
`
E interessante rispondere alla domanda: esistono coppie di direzioni mutuamente perpendi-
colari che rimangono perpendicolari dopo la trasformazione? Dal punto di vista matematico la
domanda pu`o essere formulata come: dato E, trovare n e m per cui valgano le seguenti relazioni:
n m = 0 condizione di perpendicolarit`a prima della deformazione
n
T
E m = m
T
E n = 0 condizione di deformazione angolare nulla e quindi di perpendicola-
rit`a dopo la deformazione.
La condizione di conservazione della perpendicolarit`a pu`o essere evidenziata in un modo ancora
pi` u comodo. Supponiamo che esistano eettivamente due versori n e m con le caratteristiche
precedenti, allora n `e perpendicolare sia a m (dato che n m = 0) sia a E m (dato che n (E m) =
0). Da ci`o deriva immediatamante che m e E m devono essere paralleli. Ovviamente anche n
e E n dovranno essere paralleli. Pertanto, la condizione di conservazione della perpendicolarit`a,
o deformazione angolare nulla, `e vericata per i versori che mantengono la direzione quando se
ne moltiplicano le componenti per E. Questa condizione si esprime come:
E n = n (15.4)
dove `e una quantit`a da valutarsi.
`
E evidente lanalogia con il problema gi`a arontato per il
tensore di Cauchy nel capitolo 12 che conduce allanalisi spettrale della matrice. Seguendo lo
stesso procedimento si possono ottenere le propriet`a del tensore E richiamate nei punti seguenti.
444
15.1. APPLICAZIONI DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI
Il tensore di deformazione ha 3 autovalori reali:
1
,
2
e
3
che sono gli zeri dellequazione
caratteristica (eventualmente tutti o in parte coincidenti). Tali quantit`a sono ora chiamate
deformazioni principali.
In corrispondenza di ognuna delle deformazioni principali `e identicabile una direzione
principale, che `e lautovettore associato, tale che: E n
i
=
i
n
i
con i = 1, 2, 3.
Due autovettori associati ad autovalori distinti sono perpendicolari:
1
,=
2
n
1
n
2
= 0.
In ogni punto gli autovettori individuano tre direzioni mutuamente perpendicolari dette
direzioni principali dello stato di deformazione.
Quando si verica una coincidenza di autovalori si hanno innite direzioni principali.
In un corpo soggetto a una trasformazione congruente non ane, le caratteristiche della
deformazione, e in particolare le direzioni principali, generalmente cambiano da un punto
a un altro.
Se si rappresenta il tensore nel sistema di riferimento che ha gli assi nelle direzioni
principali, si ottiene la matrice diagonale:
E =
_
_

1
0 0

2
0
Sym
3
_
_
(15.5)
Il parallelepipedo elementare orientato con gli spigoli nelle direzioni principali si deforma
conservando gli angoli retti.
Concludiamo quindi con la seguente considerazione che permette di rappresentare nel modo
pi` u semplice le propriet`a di ogni deformazione congruente:
in ogni punto esiste sempre un parallelepipedo elementare, opportunamente orienta-
to, la cui trasformazione consiste nella parte deformativa comprendente un allunga-
mento o accorciamento degli spigoli che per`o restano mutuamente perpendicolari e
nella parte rigida comprendente una traslazione pi`u una rotazione.
Esempio 15.1: Analisi spettrale
Determinare le deformazioni principali e le direzioni degli spigoli che si conservano
perpendicolari dopo la trasformazione per il seguente tensore di deformazione (in ):
E =
_
_
300 40 120
120 60
Sym 80
_
_

Gli autovalori del tensore sono:

1
= 186.6,
2
= 49.15,
3
= 335.8
e le corrispondenti direzioni principali:
n
1
=
_
_
0.221
0.722
0.655
_
_
, n
2
=
_
_
0.163
0.690
0.705
_
_
, n
3
=
_
_
0.961
0.049
0.270
_
_
445
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
Come ogni tensore del secondo ordine, anche il tensore di deformazione pu`o essere rap-
presentato sul piano di Mohr nel quale le combinazioni di tutte le deformazioni estensionali e
angolari (in modulo e dimezzate) formano larbelo di Mohr.
Esempio 15.2: Arbelo di Mohr delle deformazioni
Rappresentare nel piano di Mohr lo stato di deformazione dellesempio precedente e, con
tale diagramma, determinare:
a) la massima deformazione estensionale
b) la massima deformazione angolare
c) le direzioni in cui si manifesta la massima deformazione angolare.

/ 2
335.8 49.15 186.6
522.4/ 2
D
Figura 15.1: Arbelo di Mohr (valori in microepsilon)
La massima deformazione estensionale corrisponde allautovalore maggiore:

max
=
3
= 335.8
La massima deformazione angolare `e misurata dal diametro della pi` u estesa circonferenza
di Mohr:

max
=
3

1
= 522.4
La deformazione angolare massima `e rappresentata dal punto D che appartiene alla circon-
ferenza relativa a rotazioni del parallelepipedo attorno al secondo autovettore. Le direzioni
che presentano la massima deformazione angolare sono quindi nel piano normale a n
2
e
formano angoli di 45

con le altre direzioni principali. Quindi:

max
= 2 [
mq
[
con: m =

2
2
( n
1
+ n
3
) e q =

2
2
( n
1
n
3
).
15.1.2 Deformazioni di volume
Il processo deformativo in genere produce variazioni di volume e quindi di densit`a locale del
materiale. Il calcolo delle variazioni di volume `e immediato se si rappresenta la deformazione
nel sistema principale (procedura per altro sempre applicabile). Dato che il parallelepipedo
446
15.1. APPLICAZIONI DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI
elementare rimane retto, la variazione relativa di volume si ottiene in base alla denizione
tramite la seguente relazione:

V
=
dV

dV
dV
=
(1 +
1
) dx
1
(1 +
2
) dx
2
(1 +
3
) dx
3
dx
1
dx
2
dx
3
dx
1
dx
2
dx
3
=
= (1 +
1
) (1 +
2
) (1 +
3
) 1
sviluppando il prodotto si ottiene:

V
=
1
+
2
+
3
+
1

2
+
1

3
+
2

3
+
1

3
(15.6)
Come `e stato dimostrato nel capitolo precedente, in ipotesi di piccole deformazioni, `e lecito
trascurare i prodotti delle deformazioni rispetto ai valori delle deformazioni stesse, per cui si
pu`o scrivere:

V
=
1
+
2
+
3
(15.7)
ma dato che la traccia della matrice `e invariante per rotazione (`e il primo invariante principale)
si pu`o scrivere anche:

V
=
11
+
22
+
33
(15.8)
Pertanto:
la deformazione di volume `e data dalla traccia della matrice di deformazione.
In termini di funzione spostamento si ha quindi:

V
=
u
1
x
1
+
u
2
x
2
+
u
3
x
3
(15.9)
Esercizio 15.1: Espressione della deformazione di volume
Vericare che la relazione (15.6) equivale alla relazione esatta dimostrata nel capitolo
precedente:

V
= det
_
I+u
T
_
1
Nota. Bastano i termini diagonali del gradiente di spostamento.
In base a una delle relazioni (15.7), (15.8) e (15.9) `e possibile associare a ogni parallelepipedo
elementare la sua variazione relativa di volume. La variazione complessiva di volume che si
produce in un corpo in seguito a una deformazione si pu`o quindi ottenere integrando, sul
dominio del corpo indeformato, la quantit`a
V
:
V = V

V =
_

V
d (15.10)
La possibilit`a di eettuare il calcolo del volume del corpo deformato a partire dalla geometria
indeformata (che `e quindi nota) rappresenta un grande vantaggio operativo.
447
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
Esempio 15.3: Variazioni di volume
Determinare la variazione di volume dei seguenti corpi:
a) il cubo di spigolo a posto nel primo ottante con vertice nellorigine e spigoli paralleli
agli assi (gura 15.2(a)),
b) il cilindro circolare retto del primo ottante avente raggio a altezza 2a asse parallelo a z
e tangente ai piani xz e yz con una base sul piano xy (gura 15.2(b)).
con il seguente campo di spostamento:
u =
_
z 6
zy
a
4
xyz
a
2
_
10
3
v =
_
x + 5
x
3
a
2
4
y
2
a
+ 3
xz
a
_
10
3
w =
_
y +
xz
2
a
2
4
z
2
a
+ 3
y
2
z
a
2
_
10
3
x
y
z
x
y
z
(a) (b)
Figura 15.2: Corpi di dimensioni nite prima della deformazione
La deformazione di volume si ottiene dalla relazione (15.9):

V
(x, y, z) =
u
x
+
v
y
+
w
z
=
_
4
yz
a
2
8
y
a
+ 2
xz
a
2
8
z
a
+ 3
y
2
a
2
_
10
3
Risposta a) Per il cubo la variazione di volume `e:
V =
a
_
0
a
_
0
a
_
0

V
(x, y, z) dxdydz =7.5 10
3
a
3
Risposta b) Per il cilindro `e opportuno usare coordinate cilindriche r, e z con origine
sullasse del cilindro. La trasformazione di coordinate `e la seguente:
x = a +r cos e y = a +r sin
e lelemento innitesimo di volume `e: d = rddrdz. La variazione complessiva di volume
diventa quindi:
V =
2a
_
0
a
_
0
2
_
0
_
4
(a +r sin ) z
a
2
8
y
a
+ 2
(a +r cos ) z
a
2
8
z
a
+ 3
(a +r sin )
2
a
2
_
rddrdz =
= 28.5 10
3
a
3
448
15.1. APPLICAZIONI DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI
15.1.3 Deformazioni di linee
Le variazioni di lunghezza di linee regolari, o al pi` u composte di tratti regolari, possono
essere ottenute attraverso la parametrizzazione della linea (vedi appendice E). Con riferimento
alla gura 15.3, consideriamo il caso in cui sia nota la parametrizzazione naturale di una linea
, ovvero le coordinate del generico punto P siano espresse in funzione dellascissa curvilinea
s misurata lungo la linea stessa. La curva `e individuata da tre funzioni, che supponiamo
sucientemente regolari, con cui sono individuate le coordinate del generico punto P:
OP =
_
_
x(s)
y (s)
z (s)
_
_
.
Il versore della tangente pu`o essere espresso in funzione di s come:
x
y
z
P
P*

*
n
O
s
P
ds
Figura 15.3: Curva regolare indeformata e deformata
n(s) =
d
ds
OP =
d
ds
_
_
x(s)
y (s)
z (s)
_
_
lelemento innitesimo di linea nds dopo la deformazione assume una lunghezza che `e formal-
mente esprimibile come:
ds

= [1 +
nn
(s)] ds (15.11)
dove

nn
(s) = n
T
E n (15.12)
`e la locale deformazione estensionale dellelemento di linea, in genere anchessa funzione della
posizione di P e quindi di s. La lunghezza dellintera linea deformata `e pertanto data da:
l

=
_

ds

=
_

(1 +
nn
(s)) ds
Pertanto con parametrizzazione naturale la variazione complessiva di lunghezza della linea
si ottiene con la relazione:
l = l

l =
l
_
0

nn
(s) ds (15.13)
449
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
Esempio 15.4: Propriet`a geometriche di un quadrato deformato
Dopo aver vericato che lo stato di deformazione piano:
E = 10
3
_
1 + 6
xy
a
2
+
y
3
a
3

3
2
+
y
2a
+
3x
2
2a
2

5xy
2
2a
3
Sym
x
a
+ 6
y
a
8
x
2
y
a
3
_
denito sul quadrato di vertici A(0, 0), B(a, 0), C (a, a), D(0, a) di gura 15.4 sia
congruente, determinare:
a) la variazione di lunghezza del lato CD
b) la variazione di lunghezza della diagonale BD
c) la variazione del perimetro
d) la variazione di lunghezza dellarco di parabola con vertice in A e passante per C.

C
x
y
A B
D
Figura 15.4: Dominio quadrato
La congruenza si verica dal soddisfacimento delle equazioni di Beltrami-Michell.
Risposta a)
Il lato CD `e di immediata parametrizzazione: x = s e y = a con 0 s a, e la
deformazione estensionale coincide con la
11
:

nn
(s) = 10
3
_
1 + 6
as
a
2
+
a
3
a
3
_
= 10
3
_
2 + 6
s
a
_
da cui:
l
CD
=
a
_
0
_
2 + 6
s
a
_
10
3
ds =5 10
3
a
Risposta b)
Per la diagonale BD si ha: x = a

2
2
s e y =

2
2
s con 0 s

2a. Anche in questo
caso n =

2
2
_
1
1
_
non dipende da s, mentre la deformazione estensionale varia con s:

nn
(s) = n
T
E n = 10
3
_
1 + 2

2
s
a
+ 3
s
2
a
2

3

2
2
s
3
a
3
_
450
15.1. APPLICAZIONI DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI
e quindi:
l
BD
=
a

2
_
0
10
3
_
1 + 2

2
s
a
+ 3
s
2
a
2

3

2
2
s
3
a
3
_
ds =
7

2
2
10
3
a
Risposta c)
Per valutare la variazione del perimetro, si possono sommare le variazioni di lunghezza dei
singoli lati (la curva `e infatti regolare a tratti). Il risultato `e:
l
ABCD
= l
AB
+ l
BC
+ l
CD
+ l
DA
= 10
3
(1 + 0 + 5 + 3) a = 9 10
3
a
Risposta d)
Per la parabola `e conveniente la parametrizzazione cartesiana:
y =
x
2
a
la lunghezza del segmento elementare di curva si ottiene dalla relazione (vedi appendice E):
ds =

1 +
_
dy
dx
_
2
dx =
_
1 + 4
x
2
a
2
dx
da cui `e possibile trovare la lunghezza iniziale (non richiesta):
l =
_

ds =
a
_
0

1 +
_
dy
dx
_
2
dx = 1.479a
Sempre in funzione del parametro x determiniamo il versore tangente alla curva nel punto
_
x,
x
2
a
_
:
n(x) =
1
_
1 + 4
x
2
a
2
_
1
2x
a
_
che, in questo caso, `e ovviamente funzione della posizione. La deformazione estensionale
diventa:

nn
(x) = 10
3
1 6
x
a
+ 18
_
x
a
_
3
+ 24
_
x
a
_
4
41
_
x
a
_
6
1 + 4
_
x
a
_
2
da cui si ottiene:
l =
_

ds

l =
a
_
0

nn
(x)

1 +
_
dy
dx
_
2
dx =8.677 10
4
a
451
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
Esempio 15.5: Lunghezza di una linea nello spazio
Dato il seguente campo di deformazione:
E = 10
3
_
_
1
x
a
2 2 +
y
a
3 4
Sym 2
_
_
determinare la variazione di lunghezza dellarco di elica destra (gura 15.5) che si avvolge
con passo p = a/2 su un cilindro con asse su z e raggio R = a. Lelica parte dal punto
A(a, 0, 0) e termina nel punto B(a, 0, a/2).

x
y
z
A
B

R
s
Figura 15.5: Un passo di elica destrorsa
Parametrizzata nella coordinata angolare , lelica si esprime come:
x = a cos
y = a sin
z = a

4
con 0 2 (si tratta di un passo completo). La lunghezza del segmento innitesimo di
curva indeformata, espresso in funzione del parametro `e dato da:
ds =
_
dx
2
+dy
2
+dz
2
= a
_
1 +
1
16
2
d
e il versore tangente locale:
n() =
1
ds
_
_
dx
dy
dz
_
_
=
1
_
1 +
1
16
2
_
_
sin
cos
1
4
_
_
Anche il tensore di deformazione dipende dal parametro:
E() = 10
3
_
_
1 cos 2 2 + sin
3 4
Sym 2
_
_
Da tutto ci`o:

nn
() = n()
T
E() n()
e quindi
l =
2
_
0

nn
() a
_
1 +
1
16
2
d =1.211 10
2
a
Nota: lintegrazione `e stata eseguita applicando un semplice procedimento numerico con
lausilio di un foglio elettronico.
452
15.1. APPLICAZIONI DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI
15.1.4 Deformazione di superci
Nei problemi piani la variazione di area di una regione si ottiene in modo analogo alla
variazione di volume dei solidi. Infatti, un generico tensore di deformazione nel piano:
E =
_

11

12
Sym
22
_
pu`o sempre ridursi in forma diagonale:
E =
_

1
0
Sym
2
_
per cui la variazione relativa di supercie (la deformazione darea) `e data da:

A
= (1 +
1
) (1 +
2
) 1 =
1
+
2
+
1

2
Pertanto per piccole deformazioni si pu`o scrivere:

A
=
1
+
2
=
11
+
22
=
u
x
+
v
y
(15.14)
Per una trasformazione congruente non ane la deformazione darea dipende dalla posizione
e la variazione complessiva di area di una regione piana si ottiene per integrazione:
A = A

A =
_

A
dxdy (15.15)
Esempio 15.6: Variazione darea di gure piane
Dato il campo di spostamento nel piano:
u = 10
3
(x + 2y
4
a
xy +
4
a
2
x
2
y)
v = 10
3
(x 3y +
2
a
3
x
2
y
2
)
determinare la variazione dellarea e la deformazione superciale media:
a) del triangolo di vertici (0, 0) , (2a, 0) , (0, a) (gura 15.6(a))
b) del cerchio di raggio a e centro (a, 0) (gura 15.6(b)).

x
y
x
y
(a)
(b)
Figura 15.6: Domini piani
453
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
Gli elementi diagonali del tensore di deformazione sono:
E = 10
3
_
1
4
a
y +
8
a
2
xy
12
Sym 3 +
4
a
3
x
2
y
_
da cui:

A
=
_
2 + 4y
_
x
2
a
3
+
2x
a
2

1
a
__
10
3
Risposta a)
Per il triangolo la parametrizzazione cartesiana `e adeguata in quanto il dominio `e espresso
dalle relazioni: 0 x 2a e 0 y a
x
2
. La variazione darea si ottiene con il seguente
integrale doppio:
A = 10
3
2a
_
0
ax/2
_
0
_
2 + 4y
_
x
2
a
3
+
2x
a
2

1
a
__
dydx =
22
15
10
3
a
2
= 1.467 10
3
a
2
Tenendo conto che larea iniziale del triangolo era a
2
, la deformazione superciale media
vale:

A
) =
A
A
= 1.467 10
3
Risposta b)
Per il cerchio `e pi` u comoda la parametrizzazione polare:
x = a +r cos
y = r sin
dato che, nelle coordinate r, , il dominio si esprime semplicemente come: 0 r a e
0 < 2 e lelemento innitesimo di area diventa: rddr. La variazione complessiva di
area `e data da:
A = 10
3
a
_
0
2
_
0
_
2 + 4r sin
_
1
a
3
(a +r cos )
2
+
2
a
2
(a +r cos )
1
a
__
rddr =
A = 2 10
3
a
2
e quindi la superciale media del cerchio vale:

A
) =
A
A
= 2 10
3
Consideriamo ora il caso pi` u generale di una supercie che si sviluppa nello spazio come in
gura 15.7. Il calcolo della variazione darea `e analogo al caso precedente ma risulta un po
pi` u complesso determinare la deformazione locale darea in ogni punto della supercie e anche
eettuare lintegrazione sul dominio. Come al solito assumeremo la supercie regolare (in questo
caso dierenziabile) quasi ovunque e quindi in ogni suo punto `e generalmente denito un unico
454
15.1. APPLICAZIONI DELLE PICCOLE DEFORMAZIONI
n
r
q
Figura 15.7: Supercie regolare che si sviluppa nello spazio
piano tangente. Determinato il versore normale al piano tangente n, si possono scegliere due
direzioni r e q, perpendicolari tra loro e a n, che giacciono sul piano stesso. Rappresentando
il tensore di deformazione nel sistema di versori n, r e q, `e immediato vericare la seguente
relazione (sempre in ipotesi di piccole deformazioni):

A
=
rr
+
qq
(15.16)
Si pu`o perviene a un risultato analogo anche con un approccio diverso. Consideriamo un
parallelepipedo elementare con una faccia (base) sul piano tangente e quindi con uno spigolo
(altezza) in direzione n. Per questo calcolo non `e importante identicare le direzioni degli spigoli
di base. La variazione relativa di volume del parallelepipedo, che si ottiene immediatamente
come traccia del tensore di deformazione, pu`o essere espressa anche in funzione della variazione
dellarea di base
A
e della variazione dellaltezza del parallelepipedo
nn
. Infatti, sempre in
ipotesi di piccole deformazioni, vale la relazione:

V
= (1 +
A
) (1 +
nn
) 1
dove:

nn
= n
T
E n
Si ottiene pertanto la seguente espressione alternativa della relazione (15.16):

A
=
V

nn
=
11
+
22
+
33
n
T
E n (15.17)
Con questo procedimento la deformazione darea `e valutata sulla base della conoscenza del solo
versore normale e non `e richiesto alcun cambiamento di riferimento.
Esempio 15.7: Variazione darea di una supercie cilindrica
Dato il campo di deformazione:
E = 10
3
_
_
1
x
a
2 2 +
y
a
3 4
Sym 2
_
_
determinare la variazione della supercie laterale del cilindro circolare retto (gura 15.8)
avente raggio R = a altezza H = a/2 con asse su z e base sul piano xy e il corrispondente
valor medio della deformazione superciale.
455
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
x
y
z
a

/ 2 a
Figura 15.8
In questo caso sono comode le coordinate cilindriche:
x = r cos
y = r sin
z = z
nelle quali la supercie in esame si esprime come: r = a, 0 < 2, 0 z a/2,
lelemento innitesimo di supercie `e dato da addz e il versore normale alla supercie,
indipendente da z, vale:
n =
_
_
cos
sin
0
_
_
La deformazione darea `e quindi data dallequazione (15.17):

A
= 10
3
_
_
6 cos
_
cos sin 0
_
_
_
1 cos 2 2 + sin
3 4
Sym 2
_
_
_
_
cos
sin
0
_
_
_
_
=
= 10
3
_
3 cos + 2 (cos )
2
4 sin cos + (cos )
3
_
La variazione complessiva darea del cilindro `e quindi:
A = 10
3
a/2
_
0
2
_
0
_
3 cos + 2 (cos )
2
4 sin cos + (cos )
3
_
addz = 4 10
3
a
2
e la deformazione media:

A
) =
A
A
= 4 10
3
15.2 Deformazione di un elemento che subisce un incurvamento
Nello studio degli elementi strutturali monodimensionali e bidimensionali in genere gli eetti
deformativi pi` u signicativi sono connessi con le caratteristiche essionali che, come anticipato
456
15.2. DEFORMAZIONE DI UN ELEMENTO CHE SUBISCE UN INCURVAMENTO
nel capitolo 9, tendono a incurvare lelemento stesso.
`
E quindi utile analizzare la variazione
di congurazione prodotta in un incurvamento da un punto di vista puramente geometrico
e quindi prescindendo dalla causa che lo produce. Consideriamo un corpo piano avente forma
rettangolare (una striscia) con lunghezza l e altezza h il cui contorno `e rappresentato nella gura
15.9 a tratto pi` u spesso nella congurazione iniziale e a tratto sottile in quella deformata

P
P*

*
H
H*
C
x
y
R
l
h
O

Figura 15.9: Elemento piano incurvato


`
E possibile descrivere un incurvamento (o piegatura) nel modo seguente:
i segmenti della striscia che originariamente erano paralleli allasse x assumono la for-
ma di archi di circonferenze tutte con centro C (si noti che, volendo rappresentare C
correttamente in scala, la gura richiederebbe un foglio molto pi` u alto)
ogni elemento che originariamente giaceva sullasse x rimane della stessa lunghezza, questo
signica che ogni parte dellasse della striscia non subisce allungamenti o accorciamenti
`e chiamato R il raggio dellarco di circonferenza che corrisponde allasse deformato della
striscia (per il punto precedente la lunghezza di tale arco `e l)
i segmenti originariamente paralleli a y rimangono segmenti e dopo lincurvamento appar-
tengono a rette convergenti in a C
ogni elemento di linea che originariamente aveva direzione y, indipendentemente dalla
sua posizione, conserva la sua lunghezza, di conseguenza il segmento P

ha la stessa
lunghezza di PH.
Lesame qualitativo della variazione di congurazione mostra che:
la trasformazione non `e ane (`e suciente osservare che alcuni segmenti sono trasformati
in archi di circonferenza)
457
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
i segmenti originariamente paralleli a x collocati nella regione in cui y > 0 si accorciano,
mentre quelli con y < 0 si allungano, in generale quindi `e prevedibile che si manifesti
nella striscia una componente deformativa estensionale assiale variabile con la distanza
del punto considerato dallasse x, ovvero in simboli:
xx
=
xx
(y)
dato che i segmenti originariamente verticali non variano la lunghezza:
yy
= 0
tutte le coppie di segmenti innitesimi originariamente orientati come x e y diventano pa-
ralleli rispettivamente alla circonferenza e al raggio locali, quindi langolo retto si conserva
e pertanto:
xy
= 0.
La trasformazione prodotta `e quindi caratterizzabile dal seguente campo di deformazione
(piano):
D =
_

xx
(y) 0
0 0
_
(15.18)
Per esplicitare la funzione
xx
(y), `e necessario considerare il campo di spostamento. Dato un
punto generico P (x, y) del corpo e quindi con 0 x l e
h
2
y
h
2
, chiamato langolo
OCP

, vale la relazione:
=
x
R
(15.19)
Si pu`o osservare che langolo misura di quanto lasse verticale che passa per P ruota in
conseguenza della piegatura della striscia e anche linclinazione locale (rispetto allasse x) della
circonferenza di centro C che passa per P

. Per un generico punto del dominio vale la relazione:


0
l
R
. Tenendo conto che:
OP =
_
x
y
_
, OH

=
_
Rsin
R(1 cos )
_
e H

=
_
y sin
y cos
_
il campo di spostamento PP

= OH

+H

OP `e esprimibile come:
u(x, y) = (R y) sin x
v (x, y) = (R y) (1 cos )
(15.20)
Le ipotesi di corpo poco deformabile, che impongono piccoli spostamenti e piccole deforma-
zioni, si traducono per il caso in esame nelle seguenti condizioni:
gli spostamenti sono piccoli se la barretta `e incurvata su un cilindro di grande raggio,
quindi se: R l
le deformazioni sono piccole se i segmenti orizzontali non sono eccessivamente lontani
dallasse, quindi se lestensione verticale della striscia `e contenuta: h l.
Sotto queste condizioni (h l R), tutti gli angoli di inclinazione sono quindi piccoli: 1,
per cui `e consentito sviluppare le funzioni trigonometriche dellangolo (15.20) in serie di Taylor
e limitarsi a considerare i primi termini. Risulta quindi:
u(x, y) = (R y) x
v (x, y) = R

2
2
(15.21)
e, tenendo conto della relazione (15.19), si ottiene:
u(x, y) = y =
xy
R
v (x, y) = R

2
2
=
x
2
2R
458
15.2. DEFORMAZIONE DI UN ELEMENTO CHE SUBISCE UN INCURVAMENTO
Possiamo inoltre approssimare D con E e quindi ottenere la deformazione come parte simme-
trica del gradiente di spostamento:
E =
_

y
R
0
0 0
_
(15.22)
In questo modo `e dimostrato che lincurvamento (se piccolo) della striscia risulta eettivamente
caratterizzato da un campo di deformazione in cui lunica componente non nulla `e la deforma-
zione estensionale assiale. Si verica inoltre che la
xx
ha un gradiente costante in direzione
trasversale:

xx
=
y
R
(15.23)
Lesempio seguente mostra un applicazione del problema analizzato.
Esempio 15.8: Barretta incurvata
Una barretta di plexiglass avente sezione quadrata con lato a = 4 mm e lunghezza
l = 150 mm viene fatta aderire (senza stirare o comprimere la sua bra centrale) alla
supercie esterna di un rullo di acciaio avente diametro D = 1.7 m. Stimare la rotazione
relativa delle sezioni di estremit`a della barretta e la massima deformazione estensionale a
cui `e sottoposto il materiale.
Con suciente approssimazione possiamo assumere che la barretta si deformi (almeno
nel piano normale allasse del rullo) con modalit`a analoghe a quelle descritte nel paragrafo.
Non esercitando alcuna azione che allunga o accorcia la barretta, possiamo assumere che
lasse conservi la dimensione originaria e che la sezione rimanga quadrata di lato a (que-
stultima ipotesi non `e riscontrabile sperimentalmente ma si pu`o vericare che gli eetti
prodotti della variazione di forma della sezione non sono signicativi per le valutazioni
richieste). Il raggio di curvatura della linea dasse della barretta vale pertanto:
R =
D
2
+
a
2
= 852 mm
langolo di rotazione relativo delle sezioni di estremit`a `e quindi dato da:

max
=
l
R
= 0.176 (= 10

)
Langolo non `e proprio piccolo perche si possa accettare senza riserve lipotesi di corpo
poco deformato, tuttavia procediamo con lapprossimazione:

xx
=
y
852
il valore massimo della deformazione si manifesta nei punti pi` u lontani dallasse della
barretta: y =
a
2
dove si ha:

max
=
a
2R
= 2.347 10
3
I risultati del precedente esempio possono essere generalizzati con le seguenti considerazioni.
Il processo deformativo dellincurvamento `e caratterizzato da un campo di deformazione
che, nel sistema di riferimento adottato, ha la sola componente non nulla
xx
.
459
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
Il campo di deformazione non `e uniforme (infatti la trasformazione non `e ane) ma `e
funzione della coordinata trasversale y.
In ogni punto P lunica deformazione estensionale signicativa `e nella direzione dellasse
della barretta e risulta tanto pi` u intensa quanto pi` u il punto in esame `e lontano dalla linea
centrale.
La linea centrale non subisce allungamenti o accorciamenti, per questo `e chiamata linea
neutra (neutral line).
La deformazione estensionale `e legata alla distanza del punto dalla linea neutra da una
semplice legge di proporzionalit`a diretta, il valore assoluto del coeciente di proporziona-
lit`a `e il reciproco del raggio di curvatura della linea neutra.
Il segno meno che compare nella relazione (15.23) si giustica considerando che i punti
con y > 0 subiscono una contrazione e i punti con y < 0 una estensione.
Come descritto nellappendice E, la curvatura di una linea, quantit`a che sar`a indicata ge-
neralmente con k, `e data in modulo dal reciproco del raggio di curvatura. La curvatura `e
uno scalare nito che caratterizza completamente la forma di un tratto innitesimo di curva
regolare, compreso, come caso limite, anche un tratto rettilineo che ha curvatura nulla k = 0.
Inoltre, `e adottata la convenzione di attribuire alla curvatura di una linea piana parametrizzata
cartesianamente il segno della componente trasversale y del raggio di curvatura. Nellesempio
di gura 15.9 il raggio di curvatura CP

`e controverso a y per cui vale la relazione:


k =
1
R
Lespressione generale che fornisce la deformazione estensionale in una striscia il cui asse `e
sottoposto a una curvatura k `e quindi, in modulo e segno, la seguente:

xx
= k y (15.24)
La precedente relazione `e valida (in modulo e segno) anche se il centro di curvatura C ha
ordinata negativa (si suggerisce al lettore di vericarlo considerando i segni delle varie quantit`a).
Possiamo quindi concludere che, in presenza di un gradiente di deformazione estensionale
costante dato dalla relazione (15.24), il coeciente moltiplicativo della coordinata trasversale y
pu`o essere interpretato come il reciproco del raggio di curvatura, con il segno corretto stabilito
dalla convenzione, della linea deformata che prima della piegatura aveva equazione y = 0.
15.3 Conservazione delle sezioni piane
Il processo deformativo descritto e analizzato nel precedente paragrafo pu`o essere considera-
to il pi` u semplice tra le trasformazioni non ani in grande poiche presenta una sola componente
deformativa non nulla descritta da una dipendenza lineare da una coordinata cartesiana. Ab-
biamo osservato nel precedente capitolo che un tale campo di deformazione soddisfa le equazioni
di congruenza per qualunque valore della curvatura k. Il processo deformativo descritto, basato
su considerazioni di tipo esclusivamente geometrico, non richiede ipotesi sul comportamento del
materiale, pertanto le condizioni che portano alla reazione (15.24) sono molto generali. In eetti
si verica che la relazione (15.24) caratterizza lincurvamento congruente per vari tipi di mate-
riale (elastico e non elastico) ed `e applicabile anche in situazioni pi` u complesse con materiali
che hanno propriet`a non omogenee (per esempio negli straticati).
460
15.3. CONSERVAZIONE DELLE SEZIONI PIANE
Per questa generalit`a, la relazione di congruenza (15.24) `e assunta come modello geometrico
generale nellanalisi di componenti strutturali inessi. Si verica infatti che, anche per inessioni
particolari in cui la relazione (15.24) non risulta perfettamente soddisfatta, nondimeno riesce a
cogliere la parte pi` u signicativa del processo deformativo stesso.
Nel caso di una trave, il processo deformativo descritto dalla relazione (15.24) prevede che
le sezioni rimangano piane dopo la deformazione e che lasse deformato sia sempre localmente
normale alla sezione stessa. Assumere che un trave si deformi nel rispetto di tali condizioni si
indica come ipotesi deformativa di Eulero-Bernoulli o ipotesi della conservazione delle
sezioni piane perpendicolari allasse. Nella sua forma pi` u generale per un problema piano
di travi, lipotesi deformativa di Eulero-Bernoulli prevede che la deformazione assiale dei punti
della sezione sia espressa dalla seguente relazione:

zz
= ky +e (15.25)
in cui k e e sono quantit`a che possono dipendere solo dallascissa curvilinea s della trave e quindi
sono comuni a tutti i punti di ogni sezione. Linterpretazione geometrica dei due parametri della
relazione (15.25), almeno nellambito dei corpi poco deformabili, `e immediata. Nel caso in cui
e = 0, la formula di Eulero-Bernoulli diventa:

zz
= ky
che `e identica alla relazione (15.24), e quindi k rappresenta la curvatura (con segno) della
linea deformata che prima dellincurvamento aveva equazione y = 0 ovvero `e la curvatura
dellasse deformato della trave. Nella gura 15.10 sono mostrati gli schemi che permettono
di ricordare la convenzione sui segni delle curvature per le travi. Se, viceversa, k = 0 la

C
*

z
y
C
*

z
y
(a)
(b)
0 k >
0 k <
Figura 15.10: Travi incurvate in ipotesi di Eulero-Bernoulli
deformazione estensionale prevista dalla relazione (15.25) `e la stessa per tutti i punti della
sezione (la trasformazione `e ane in grande):

zz
= e
pertanto e rappresenta lespansione assiale del concio. Se k `e diverso da zero, la quantit`a e
esprime la deformazione assiale in corrispondenza di y = 0 e quindi lestensione della linea
baricentrica.
461
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
In base al principio si sovrapposizione degli eetti, che `e valido quando le distorsioni sono
piccole, lequazione (15.25) si interpreta quindi come una espansione assiale uniforme del concio,
denita da e, sovrapposta a un suo incurvamento, denito da k.
Lasse di una trave nello spazio pu`o incurvarsi sia nel piano y z sia nel piano x z, per
cui `e in generale necessario denire due curvature. Per ragioni che saranno chiarite nel capitolo
20, si indica con k
x
la curvatura nel piano y z ovvero normale allasse x e k
y
la curvatura
nel piano normale allasse y. Lespressione della deformazione assiale in una trave che rispetta
lipotesi deformativa di Eulero-Bernoulli si generalizza pertanto nello spazio come:

zz
= k
x
y +k
y
x +e (15.26)
Anche per la relazione (15.26) la linearit`a della deformazione con le coordinate cartesiane
garantisce il rispetto delle equazioni di congruenza.
Esempio 15.9: Incurvamento di una mensola
Una trave a mensola avente sezione rettangolare di lato a = 5 mm e lunghezza l = 200 mm
subisce una distorsione che produce la seguente deformazione:

zz
(x, y) =
y
2000

x
1000
+ 0.01
a) Disegnare lasse deformato della trave in proiezione ortogonale.
b) Determinare lallungamento della linea baricentrica.
c) Determinare lallungamento degli spigoli.

Risposta a)
z
y
z
x
2000
x
R =
1000
y
R =

*
Figura 15.11: Viste in proiezione ortogonale dellasse indeformato e
deformato della trave (raggi di curvatura espressi in mm)
462
15.4. TRASFORMAZIONI DEFORMATIVE INTENSE (*)
Risposta b)
In corrispondenza del baricentro la deformazione assiale vale:

zz
(0, 0) = 0.01
quindi la bra baricentrica subisce un allungamento complessivo di
l = 0.01 200 = 2 mm
Risposta c)
Per i quatto spigoli si ha rispettivamente:
l
1
= l
zz
_
a
2
,
a
2
_
= 1.75 mm
l
2
= l
zz
_

a
2
,
a
2
_
= 2.75 mm
l
3
= l
zz
_

a
2
,
a
2
_
= 2.25 mm
l
4
= l
zz
_
a
2
,
a
2
_
= 2.75 mm
Lipotesi deformativa di Kirchho-Love, in onore di Gustave Kirchho (1824-1887)
e Augustus Edward Hough Love (1863-1940), rappresenta lestensione ai solidi bidimensionali
(piastre e gusci) del fenomeno di incurvamento che ha le caratteristiche appena descritte. Per i
solidi bidimensionali il sistema di riferimento locale ha origine a met`a spessore, lasse z `e diretto
normalmente al piano tangente della supercie media e gli assi x, y appartengono al piano
tangente stesso. In questo caso, la trasformazione comporta un incurvamento bidimensionale
che, in genere, coinvolge tutte le componenti piane delle deformazioni:

xx
= k
xx
z +e
xx

yy
= k
yy
z +e
yy

xy
= k
xy
z +e
xy
(15.27)
Nellipotesi deformativa di Kirchho-Love la curvatura `e denita dal tensore di componenti k
ij
e lespansione del piano medio dal tensore e
ij
(con i, j = 1, 2). In generale entrambi i tensori
dipendono dalla posizione nel piano medio dellelemento ma sono indipendenti da z.
15.4 Trasformazioni deformative intense (*)
In quasi tutti i problemi di pratica utilit`a, i limiti generalmente imposti alla deformabilit`a
delle strutture garantiscono a priori che le ipotesi di corpo poco deformabile, su cui si basano
i procedimenti semplicati nora applicati in questo capitolo, siano vericate. Nei casi in cui
questa condizione `e violata, la stima ottenuta in ipotesi di piccole deformazioni pu`o non essere
sucientemente accurata e deve essere migliorata.
`
E spesso opportuno distinguere tra i seguenti
casi:
1) grandi spostamenti e piccole deformazioni
463
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
2) grandi deformazioni e piccoli spostamenti
3) grandi deformazioni e grandi spostamenti.
La soluzione completa di questi problemi, a esclusione di qualche applicazione del pi` u sem-
plice caso 1, non sar`a sviluppata nellambito del presente corso. Nel seguito sono fornite alcune
indicazioni di carattere generale sulle modalit`a con cui tali problemi possono essere arontati
nella pratica.
15.4.1 Grandi spostamenti e piccole deformazioni
Si hanno problemi di grandi spostamenti e piccole deformazioni quando si analizza il com-
portamento di strutture snelle il cui materiale si comporta in modo elastico. Esempio tipico `e
la molla (spring) che rappresenta un particolare elemento strutturale impiegato proprio per
la sua elevata deformabilit`a. Oltre alla comunissima forma elicoidale, sono impiegate molle di
varia forma, come per esempio le molle a tazza, conformate a guscio tronco-conico, le molle
a balestra e le molle a spirale nelle quali gli elementi deformabili sono travi inesse. Altri
esempi di molle essionali sono: il trampolino per i tu, la pertica per il salto con lasta e la
canna da pesca (gura 15.12). Nel caso delle molle metalliche, che solitamente sono realizzate

*
Figura 15.12: Grandi spostamenti in una canna da pesca
in acciaio armonico, le massime deformazioni che il materiale pu`o sopportare per rimanere in
campo elastico sono relativamente piccole (anche per un buon acciaio sono dellordine di qualche
millesimo). Con deformazioni piccole, grandi spostamenti si possono ottenere conformando la
molla come una trave molto lunga e di piccola sezione. Spostamenti relativi signicativi sono
quindi il risultato di una integrazione di deformazioni su un dominio molto esteso. Infatti, nel
caso di un trampolino quando il tuatore si trova, anche fermo, sul bordo estremo, la freccia
massima della trave risulta molto maggiore dello spessore della trave stessa. Quando il tuatore
salta, la freccia pu`o raggiungere anche valori confrontabili con la lunghezza stessa della trave. In
queste circostanze, se consideriamo un parallelepipedo elementare in un punto intermedio della
trave (non nella sezione di incastro), la componente rigida della sua variazione di congurazione
pu`o essere molto grande e quindi il legame tra gradiente di spostamento e deformazione e non
`e pi` u lineare. La causa di questo fatto non `e da ricercarsi nei termini della matrice D, che
comunque sono piccoli, ma nella inadeguatezza della componente emi-simmetrica del gradiente
di spostamento di rappresentare la rotazione rigida e quindi della conseguente inadeguatezza
di E. Sono reperibili in letteratura varie formulazioni che, con diversi gradi di accuratezza e
conseguentemente di complessit`a, permettono di ottenere, chiaramente tramite relazioni non
lineari, una stima adeguata delle piccole deformazioni a partire dal gradiente di spostamento.
464
15.4. TRASFORMAZIONI DEFORMATIVE INTENSE (*)
Una alternativa alluso di formulazioni non lineari consiste nel trattare il processo deforma-
tivo come una sequenza di congurazioni relativamente vicine. Consideriamo, per esempio, la
canna da pesca rappresentata in gura 15.12, incastrata a un estremo in modo da essere inizial-
mente orizzontale e soggetta a un carico verticale applicato allaltro estremo. La congurazione
nale

`e molto diversa da quella iniziale per cui sarebbe poco accurato stimare le deforma-
zioni D con la parte simmetrica del gradiente di spostamento totale, a causa delle signicative
rotazioni delle sezioni. Come schematizzato in gura 15.13, se si applica il carico con piccoli
incrementi successivi e si considera leetto deformativo prodotto dal singolo incremento, la
variazione di congurazione pu`o essere adeguatamente descritta usando la teoria dei corpi poco
deformabili.

*
Figura 15.13: Applicazione progressiva del carico a una struttura elastica
molto deformabile
15.4.2 Grandi deformazioni e piccoli spostamenti
Per i materiali metallici, i problemi con grandi deformazioni coinvolgono generalmente pro-
cessi deformativi di tipo non elastico e sono tipici nella modellazione di alcuni processi tec-
nologici. Grandi deformazioni, che raggiungono livelli dellordine di (10-20)% o pi` u elevati,
tipicamente si producono in piegature, imbutiture, tralature, ecc. . . , oppure durante le prove
di qualica dei materiali (prova di trazione, prova di durezza, ecc. . . ). In questi casi le com-
ponenti della deformazione sono quantit`a non trascurabili rispetto allunit`a e, come abbiamo
visto, la matrice E non approssima adeguatamente la matrice di deformazione D. Per lesame
deformativo di queste trasformazioni si segue in generale una delle seguenti strategie:
si denisce un tensore, detto impropriamente tensore delle grandi deformazioni, sempre
derivato dal gradiente di spostamento ma contenente anche termini quadratici, che per-
mette di ottenere la matrice D in modo esatto ma con ulteriori relazioni non lineari simili
a quelle discusse nel capitolo precedente
si adotta anche per la denizione delle grandi deforomazioni la tecnica dellanalisi defor-
mativa progressiva, suddividendo lo stesso processo deformativo del singolo parallelepi-
pedo elementare in passi, ognuno dei quali pu`o essere trattato nellipotesi dei corpi poco
deformabili (linearizzazione a tratti).
Applichiamo il secondo approccio al caso di una tralatura in cui una barra di lunghezza
iniziale l viene allungata plasticamente in modo da raddoppirne la lunghezza: l

= 2l. In
base alla denizione, la componente assiale della deformazione `e esattamente (ovvero come
componente di D) data da:

zz
=
l

l
l
= 1 (15.28)
465
15. ANALISI DI CORPI DEFORMATI
si tratta evidentemente di una grande deformazione. Consideriamo il processo deformativo come
una sequenza di n allungamenti successivi che producono le seguenti lunghezze parziali:
l = l
0
, l
1
, ..., l
i
, ...., l
n
= l

Se lallungamento che si produce nel singolo passo: l


i
= l
i
l
i1
(i = 1, .., n) `e piccolo
rispetto alla lunghezza corrente della barra, la deformazione del passo pu`o essere correttamente
denita usando la relazione lineare. In altri termini, ogni singolo incremento di lunghezza pu`o
considerarsi leetto di una piccola deformazione. Si avr`a pertanto:

i
=
l
i
l
i1
=
l
i
l
i1
l
i1
=
l
i
l
i1
1 (15.29)
Osserviamo che in questo modo la dimensione di riferimento (il denominatore del rapporto)
viene aggiornato a ogni passo al valore della lunghezza corrente, per cui stiamo denendo un
nuovo quanticatore del processo deformativo. Finora infatti, come evidenziato anche dalla
relazione (15.28), la dimensione di riferimento con cui normalizzare la variazione di lunghezza `e
sempre stata quella iniziale. Tale dierenza di denizione giustica la tilde introdotta sopra il
simbolo. Appare naturale, a questo punto, denire la deformazione complessiva della barretta
come la somma dei contributi delle deformazioni calcolate nei singoli passi:
=
n

i=1

i
(15.30)
Il precedente risultato pu`o essere reso indipendente dalla scelta della sequenza dei passi inter-
medi, che in eetti `e arbitraria, riducendo lintensit`a dei singoli incrementi e quindi assumendo,
al limite, un processo continuo di inniti incrementi innitesimi. Lincremento di deformazione
del singolo passo elementare diventa allora:
d =
dl
l
(15.31)
e leetto complessivo quindi:
=
l

_
l
dl
l
= ln
l

l
(15.32)
Nel caso della tralatura in cui la lunghezza raddoppia, la deformazione complessiva `e:
= ln 2 = 0.693
La grandezza denita dalla (15.32) `e chiamata (con una locuzione fuorviante) deformazio-
ne vera (true strain, natural strain).
`
E necessario sottolineare che, a parte il nome, la
quanticazione data dalla (15.32) non `e pi` u veritiera, o pi` u signicativa, di quanto lo sia la
deformazione assiale ottenibile dalla (15.28), che peraltro `e la deformzione estensionale esatta
in questo particolare caso. Tuttavia, nello studio di processi deformativi intensi, luso della
deformazione vera pu`o essere pi` u appropriato di quello della deformazione
zz
. In eetti,
nellesame di tali processi, generalmente fatto con tecniche numeriche, sono sistematicamente
adottati procedimenti di tipo incrementale per i quali `e preferibile un quanticatore deformativo
anchesso denito in modo incrementale. Pu`o essere utile osservare che:
<
zz
per > 0 (estensione)
>
zz
per < 0 (contrazione)
466
15.4. TRASFORMAZIONI DEFORMATIVE INTENSE (*)
per deformazioni piccole l

= l i due quanticatori tendono a coincidere:
= ln
l

l
= ln
l

l +l
l
= ln
_
1 +
l

l
l
_

=
l

l
l
=
zz
Quando [[ < 10
2
i due quanticatori sono indistinguibili ai ni pratici.
15.4.3 Grandi spostamenti e grandi deformazioni
Quando si manifestano deformazioni plastiche in zone di dimensioni relativamente estese ri-
spetto alla struttura, sia gli spostamenti sia i gradienti di spostamento sono signicativi. Esempi
si trovano nel collasso plastico di certi elementi strutturali (tipicamente gli assorbitori durto)
o in alcuni processi tecnologici quali imbutiture profonde o stampaggi. I problemi che deriva-
no dallanalisi di questi fenomeni sono marcatamente del secondo tipo perche caratterizzati da
molte e signicative non linearit`a che, in generale, sono connesse a:
modica sostanziale della geometria sotto carico rispetto alla congurazione di partenza
(grandi spostamenti),
complesso legame tra il gradiente di spostamento e le deformazioni (elevati gradienti di
spostamento)
fenomeni di contatto (monolateralit`a dei vincoli e attriti)
comportamento costitutivo del materiale (plastico o viscoso).
Per arontare in modo operativo linsieme di queste non linearit`a `e di fatto necessario limpiego
del computer e di programmi dedicati che eettuano una analisi progressiva (lineare a tratti).
Anche per queste analisi la deformazione `e in genere descritta in termini di true-strain.
467
Capitolo 16
La legge costitutiva
Il capitolo tratta la legge costitutiva che rappresenta la relazione che lega lo stato di
tensione allo stato di deformazione. Nella prima parte `e esaminato il contributo energetico delle
azioni interne che `e fondamentale per la comprensione della meccanica dei corpi deformabili.
Dopo aver richiamato il problema mediante lanalisi di semplici sistemi deformabili discreti, `e
arontato il caso dei corpi deformabili continui. In particolare `e evidenziato il legame energetico
generale che sussiste tra i tensori di tensione e di deformazione e dimostrato che la densit`a del
lavoro sviluppato dalle forze interne si ottiene come un particolare prodotto tra tali tensori.
Nella parte nale del capitolo `e introdotto il modello costitutivo pi` u semplice per un mate-
riale solido deformabile mediante la denizione delle propriet`a di omogeneit`a di isotropia e di
elasticit`a lineare.
16.1 Il lavoro delle forze agenti su corpi deformabili discreti
16.1.1 Lavoro delle forze esterne e lavoro delle forze interne
In ogni sistema di punti materiali, rigido o deformabile, discreto o continuo, il teorema delle
forze vive impone che il lavoro complessivo fatto da tutte le forze agenti, interne ed esterne,
sia uguale alla variazione complessiva di energia cinetica. Esaminiamo alcune conseguenze del
teorema delle forze vive in situazioni di specico interesse per il corso. Consideriamo per esempio
un corpo rigido, vincolato in modo almeno isostatico, sul quale venga applicato un caricamento
progressivo, ovvero tale per cui tutti i carichi siano portati gradualmente dalla condizione
iniziale, in cui sono nulli, al loro valore nale. Dato che nessun punto del corpo `e soggetto a
movimenti, lenergia cinetica complessiva del corpo non cambia a seguito del caricamento (nel
sistema di riferimento solidale al corpo lenergia cinetica `e identicamente nulla) e quindi le forze
agenti complessivamente non fanno lavoro. Inoltre, sempre per linnta rigidezza e la staticit`a
del problema, anche i punti di applicazione dei carichi non subiscono spostamenti, per cui i
lavori fatti dalle singole forze esterne sono tutti identicamente nulli. Dal teorema delle forze
vive si ricava quindi che anche le forze interne fanno, in questo caso, lavoro nullo.
Per giusticare in modo diretto lultima conclusione, particolarmente interessante per i nostri
scopi, consideriamo il complesso delle forze interne che si manifesta durante il caricamento.
Come `e noto:
le forze interne sono necessariamente in ogni circostanza un sistema autoequilibrato, indi-
pendentemente dal fatto che il corpo sia inntamente rigido e si trovi o meno in equilibrio
statico
un sistema autoequilibrato di forze comunque complesso `e sempre costituito da un insieme
469
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
(anche innito) di coppie di braccio nullo con le singole forze applicate ai punti materiali
mutuamente interagenti appartenenti al corpo in esame.
Riprendendo alcuni risultati presentati nel capitolo 1, verichiamo che una coppia di braccio
nullo fa lavoro se i punti su cui sono applicate le due forze hanno uno spostamento relativo
nella direzione della retta congiungente i punti, e quindi se i punti di applicazione si avvicinano
oppure si allontanano. Con riferimento allo schema di gura 16.1, consideriamo due punti
A e B che interagiscono in modo repulsivo e disponiamo, per comodit`a, lasse x sulla loro
congiungente. Per il terzo principio, la coppia delle forze di interazione si esprime come:

F
AB
= F

i ;

F
BA
= F

i
A seguito di un generico spostamento virtuale dei punti, il corrispondente lavoro virtuale
complessivo fatto dalle forze `e dato dalla relazione:
L = F x
A
+F x
B
= F (x
B
x
A
) = F (x
B
x
A
)
Nellesempio in esame x
A
< x
B
e linterazione `e repulsiva (F > 0) per cui le forze interne fanno
lavoro positivo se (x
A
x
B
) > 0 ovvero se i punti si allontanano. La relazione precedente
ha per`o validit`a generale ed `e corretta anche in senso algebrico, pertanto il segno del lavoro `e
positivo se la coppia di forze di iterazione `e equiversa al moto relativo dei punti e negativo se
`e controversa. Talvolta pu`o essere conveniente determinare il segno del lavoro considerando il
segno della potenza sviluppata dalla coppia. A tale scopo consideriamo un sistema di riferimento
con origine in uno dei punti, per esempio A, dato che in tale sistema A `e necessariamente fermo,
la potenza sviluppata dalla forza

F
BA
agente su tale punto `e identicamente nulla e la potenza
complessiva sviluppata dalla coppia equivale alla potenza sviluppata dallaltra forza. Pertanto
`e suciente calcolare il prodotto scalare, con il suo segno, tra la forza

F
AB
agente su B e la
velocit`a relativa di B rispetto ad A, ovvero v
B
v
A
. Nel caso in gura 16.1 si ha quindi:
W = F
d (x
B
x
A
)
dt
Il lettore verichi come esercizio che la stessa formula `e ottenuta anche da un osservatore solidale
con il punto B e da qualsiasi altro osservatore (sso o mobile, inerziale o meno). La potenza
sviluppata dalla coppia di iterazione risulta quindi indipendente dal sistema di riferimento.
A
B
x BA
F
G
AB
F
G
Figura 16.1: Interazione repulsiva tra due punti materiali
In un corpo rigido, sia che esso si trovi o meno in equilibrio statico, ogni coppia di punti
ha distanza mutua ssa e quindi velocit`a relativa nulla, pertanto le forze interne non possono
sviluppare potenza e quindi non fanno lavoro. Per un corpo rigido lenergia cinetica pu`o pertanto
essere variata solo se le forze esterne fanno lavoro. Perche le forze esterne possano fare lavoro il
corpo rigido non deve quindi essere in condizioni di isostaticit`a ma deve potersi muovere sotto
carico.
Il problema del lavoro fatto delle forze `e pi` u interessante per un corpo deformabile, dato che
in generale:
le forze esterne possono fare lavoro, quantit`a che sar`a indicata come: L
ext
,
470
16.1. IL LAVORO DELLE FORZE AGENTI SU CORPI DEFORMABILI DISCRETI
le forze interne possono fare lavoro: L
int
,
lenergia cinetica pu`o variare: K.
Il teorema delle forze vive si pu`o esplicitare come:
L
tot
= L
ext
+L
int
= K
relazione che evidenzia il contributo fornito dalle forze interne e dalle forze esterne nella modica
dellenergia cinetica dei punti costituenti il corpo.
Laspetto interessante per gli argomenti del corso consiste nella circostanza che in un corpo
deformabile i lavori L
ext
e L
int
sono entrambi signicativi anche se il corpo `e vincolato in modo
da risultare isostatico (o anche iperstatico). Per un corpo deformabile iso o ipertaticamente
vincolato, inoltre, anche lenergia cinetica pu`o variare perche si possono manifestare movimenti
di parti del corpo pur nel rispetto delle condizioni di vincolo. Tuttavia, se si considerano
caricamenti quasi statici (vedi capitolo 11), la variazione di energia cinetica `e trascurabile
anche in un corpo deformabile, per cui, come conseguenza del teorema delle forze vive, si ottiene
la seguente importante relazione:
L
ext
+L
int
= 0 (16.1)
che si pu`o esprimere come:
nel caricamento quasi statico di un corpo deformabile, pi`u in generale di una strut-
tura di corpi deformabili, la somma del lavoro fatto dalle forze esterne e del lavoro
fatto dalle forze interne `e costantemente nullo.
Per ottenere la relazione (16.1) non `e stata fatta alcuna ipotesi sulla natura delle forze
interne o sul tipo di processo deformativo, pertanto per un caricamento quasi statico la legge
precedente `e universale. Nel seguito sono discusse alcune applicazioni a sistemi deformabili
discreti.
16.1.2 Lavori fatti da forze interne dissipative e conservative in sistemi di-
screti
Nel prossimo esempio `e esaminato un sistema materiale con un numero nito di gradi di
libert`a nel quale le forze interne che fanno lavoro, dette anche energeticamente attive, sono
dovute allattrito e quindi sono dissipative.
Esempio 16.1: Forze interne dissipative
Il corpo in esame, rappresentato dal cilindro telescopico di gura 16.2, `e costituito da
tre tubi rigidi coassiali che, a causa dellattrito sulle tenute, scorrono se si applica una
forza assiale maggiore o uguale a F = 3 kN. Per forze assiali di intensit`a inferiore,
lattrito statico sulle tenute impedisce lo scorrimento e rende il sistema rigido. Il cilindro
telescopico `e collocato in una morsa la cui ganascia mobile B viene avvicinata lentamente
alla ganascia ssa A di 2s = 20 mm. Calcolare separatamente:
a) il lavoro fatto dalle forze esterne,
b) il lavoro fatto dalle forze interne.
471
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
2s
s s
1 2
3
(a)
(b)
A
B
C
D
Figura 16.2: Sistema discreto con forze interne di natura dissipativa: a)
congurazione iniziale e b) congurazione al termine dallavvicinamento quasi
statico prodotto delle ganasce
Risposta a)
Data la lentezza del movimento, `e lecito trascurare eetti inerziali, pertanto, in con-
dizioni di scorrimento, la morsa esercita sul cilindro una coppia di forze di braccio nullo
ognuna avente intensit`a pari a 3 kN. Per calcolare il lavoro fatto dalle forze esterne, con-
sideriamo un sistema di riferimento solidale alla ganascia ssa A. Il contributo energetico
della forza R
A
esercitata dalla ganascia A `e nullo e il calcolo pu`o limitarsi al lavoro fatto
dalla forza esercitata dalla ganascia B:
L
ext
= F 2s = 3000 0.02 = 60 J
`
E lasciata come esercizio la verica che il risultato non cambia se si asume un sistema di
riferimento solidale alla ganascia mobile. Il lavoro complessivo delle forze esterne `e quindi
pari al prodotto tra lintensit`a comune delle forze esercitate dalle ganasce (che rimane inal-
terata durante il moto) e la variazione relativa della distanza dei punti di applicazione. La
coppia che rappresenta le forze esterne `e compressiva e, come prevedibile, fa lavoro positivo
perche i punti di applicazione si avvicinano. La velocit`a relativa dei punti di applicazione
delle forze `e equiversa allazione della coppia delle forze esterne (se si adotta la convenzione
della meccanica dei solidi che deriva dalla normale esterna, sono entrambe quantit`a nega-
tive) per cui anche la potenza istantanea delle foze esterne `e positiva. Intuitivamente il
segno positivo del lavoro si giustica in quanto il moto dei punti di applicazione asseconda
il verso della spinta, ovvero lazione esercitata dalle ganasce tende a compattare il cilindro
telescopico che in eetti si accorcia.
Risposta b)
Per il calcolo del lavoro delle forze interne `e necessario considerare linterazione dei punti
in corrispondenza delle zone di scorrimento nelle quali si manifesta lattrito. Esaminiamo
in particolare la guarnizione C.
472
16.1. IL LAVORO DELLE FORZE AGENTI SU CORPI DEFORMABILI DISCRETI
C
1
C
2
C
1
C
2
21
v
G
x x
F
F
(a)
(b)
Figura 16.3: Schema dellinterazione in C: a) forze mutue dei punti apparte-
nenti ai due sli in movimento mutuo (la guarnizione non `e rappresentata), b)
velocit`a relativa del punto C
2
visto da C
1
Come mostra la gura 16.3, il moto relativo dei due punti interagenti `e controverso alla
coppia delle forze di attrito che su di essi si manifesta. Le due forze che attraverso la
guarnizione sono esercitate sui punti C
1
e C
2
tenderebbe infatti a farli scorrere uno rispetto
allaltro nel verso opposto rispetto al moto eettivamente prodotto, per cui la potenza svi-
luppata `e negativa. Si verica quindi una situazione analoga a quella di due punti soggetti
a una interazione repulsiva costretti ad avvicinarsi (oppure due punti che si attraggono
e sono allontanati). In questo caso, la coincidenza che in ogni istante si verica tra le
posizioni assiali dei punti interagenti C
1
e C
2
rende pi` u agevole identicare il segno della
potenza considerando la velocit`a relativa piuttosto che il segno del lavoro considerando lo
spostamento relativo.
Il lavoro complessivo fatto delle forze interne L
int
`e dato dalla somma algebrica dei
lavori fatti dalle interazioni di attrito sui due sli che scorrono:
L
int
= (F s) + (F s) = 60 J
Nel sistema in esame vi sono molte altre coppie di braccio nullo che insieme deniscono
tutte le forze interne, in particolare le interazioni elettromagnetiche che si manifestano
allinterno dei singoli sli. Tali interazioni agiscono per`o su parti rigide e il loro contributo
al lavoro `e quindi nullo.
Nel prossimo esempio `e considerato un altro sistema discreto non rigido nel quale le forze
interne sono prodotte dallazione di molle elastiche ideali (forze interne conservative).
Esempio 16.2: Forze interne conservative
Vericare la relazione (16.1) per un sistema costituito da tre masse A, B e C collocate su
un piano orizzontale senza attrito e collegate da molle ideali (k
1
= 2k
2
= 4 N/mm) con A
vincolata al telaio. Allinizio le molle sono nella congurazione naturale e il caricamento
quasi statico consiste nellapplicazione di una forza orizzontale Q al punto C no al valore
nale Q
F
= 120 N.
473
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
1
k
2
k
A B C
A* B* C*

j
(a)
(b)
F
Q
Figura 16.4: Corpo deformabile elastico discreto: a) nella congurazione di
partenza e b) nella congurazione di equilibrio al raggiungimento del valore
nale del carico.
In questo esempio le molle non sono considerate corpi costituenti la struttura deforma-
bile, in eetti sono assunte ideali e quindi senza massa, e costituiscono il mezzo sico con
cui si pu`o manifestare linterazione tra le coppie di punti A, B e C che costituiscono il
corpo discreto stesso (interazione elastica).
Durante il caricamento quasi statico, tutte le forze (interne ed esterne) variano per cui
il calcolo dei lavori deve essere eseguito tramite integrazione. Quando le forze variano `e
spesso utile distinguere il loro valore corrente dal valore nale. A tale scopo sar`a usato il
pedice F (che indica Finale) per identicare i valori delle grandezze (forze e spostamenti)
raggiunti al termine del caricamento, mentre i simboli senza pedice rappresentano i valori
durante il caricamento. Quindi la forza applicata sar`a: 0 Q Q
F
, lo spostamento del
punto B: 0 u
B
u
BF
, ecc. . . .
Gli spostamenti nali dei punti B e C valgono rispettivamente:
u
BF
= [BB

[ =
Q
F
k
1
= 30 mm
u
CF
= [CC

[ =
Q
F
k
1
+
Q
F
k
2
= 90 mm
Poiche si tratta di un sistema elastico ideale in condizioni quasi statiche, lo spostamento
u
C
[0, u
CF
] del punto C cresce proporzionalmente alla forza esterna Q, e il valore cor-
rente della forza pu`o essere espresso in funzione dello spostamento corrente dellestremo
semplicemente come: Q(u
C
) = Q
F
u
C
u
CF
. Il lavoro fatto dalle forze esterne `e quindi dato da:
L
ext
=
u
CF
_
0
Q
F
u
CF
u
C
du
C
=
Q
F
u
CF
u
2
CF
2
=
Q
F
u
CF
2
= 5.4 J
Per calcolare il lavoro fatto dalle forze interne `e necessario considerare le azioni esercitate
tra le masse tramite gli elementi deformabili, dato che le forze he agiscono allinterno delle
masse rigide non fanno lavoro. Consideriamo, per esempio, le forze che si scambiano i punti
B e C e il relativo schema di corpo libero durante il processo deformativo. Come illustrato
nella gura16.5, in virt` u del terzo principio, le forze scambiate dai punti B e C per eetto
della molla 2 sono opposte a quelle applicate sugli estremi della molla stessa.
474
16.1. IL LAVORO DELLE FORZE AGENTI SU CORPI DEFORMABILI DISCRETI
B C
F
Q
F
Q
Q Q
B C
Q Q
F
Q
F
Q
Figura 16.5: Tre fasi del processo deformativo: a) schema delle forze interne
esercitate sui punti B e C e b) forze applicate alla molla di connessione.
Calcoliamo il lavoro fatto dalle forze di interazione tra B e C che `e quindi dovuto
alla molla 2 e che, per questo, chiamiamo L
int2
. Assumiamo un sistema di riferimento
solidale a B, anche in questo caso peraltro la scelta del sistema di riferimento non ha
eetti sul risultato. La forza applicata in B non fa lavoro ed `e suciente determinare il
lavoro fatto dalla forza applicata dalla molla 2 in C. Lo spostamento che interviene nel
calcolo (spostamento di C rispetto a B), che per semplicit`a di notazione indichiamo con
u = u
C
u
B
, coincide con lallungamento della molla 2. Il valore nale dellallungamento
vale: u
F
= u
CF
u
BF
= 60 mm. Durante il caricamento, il modulo della forza di interazione
cresce proporzionalmente allallungamento u per cui, in base alla denizione, il lavoro
complessivo fatto dalle forze che agiscono sui punti B e C `e dato da:
L
int2
=
u
F
_
0
Q
F
u
u
F
du =
Q
F
(u
CF
u
BF
)
2
= 3.6 J
Analogamento si pu`o ottenere il lavoro fatto dalle forze interne agenti sui punti A e B
connessi dalla molla 1:
L
int1
=
u
BF
_
0
Q
F
u
B
u
BF
du
B
=
Q
F
u
BF
2
= 1.8 J
Il segno negativo di entrambi i contributi del alvoro interno `e coerente con la circostanza che
le molle esercitano forze attrattive su punti in allontanamento. In eetti la molla elastica
ideale quando `e sollecitata a partire dalla condizione di riposo reagisce opponendosi alla
causa che cerca di alterarne la dimensione.
Con riferimento allesempio 16.2 precedente, possiamo osservare che il lavoro fatto dalle
forze applicate sulle molle `e invece positivo e vale complessivamente 5.6 J. Come previsto, il
lavoro fatto dalle forze esterne `e quindi uguale alla somma dei lavori fatti dalle forze agenti
sulle molle. Un analogo ragionamento vale anche per il cilindro con attrito dellesempio 16.1: il
lavoro delle forze esterne `e uguale alla somma dei lavori fatti per far scorrere le single coppie di
sli. Queste considerazioni giusticano la seguente conclusione che ha validit`a generale:
in un caricamento quasi statico il lavoro fatto dalle forze esterne si ripartisce nel
corpo sotto forma di lavori parziali che modicano la posizione relativa dei punti.
Nel caso di forze interne dissipative il lavoro fatto per variare la congurazione dei punti
475
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
risulta perduto dal punto di vista meccanico, viceversa, se le forze interne sono conservative,
tale lavoro pu`o essere recuperato. La ripartizione del lavoro complessivo fatto dalle forze esterne
nelle varie zone del corpo dipende dalla natura del corpo stesso e dalle sue caratteristiche locali
di deformabilit`a, come dimostra lesempio 16.2 in cui il lavoro sulle due molle `e diverso. Nel
prossimo paragrafo queste considerazione saranno estese ai sistemi continui.
Esercizio 16.1: Segno dei lavori
In entrambi gli esempi precedenti 16.1 e 16.2, invertire il verso delle forze esterne e vericare
che valgono lo stesso le relazioni:
a) L
ext
= L
int
b) L
ext
> 0
16.2 Forze interne sui continui deformabili
16.2.1 Lavoro virtuale fatto delle tensioni sul parallelepipedo elementare
Nei sistemi continui, le interazioni interne (elettromagnetiche a corto raggio) sono quanti-
cate in ogni posizione del corpo dal tensore di Cauchy. Analogamente ai sistemi discreti, anche
per i continui le interazioni interne non fanno lavoro se non sono modicate le distanze relative
delle facce del parallelepipedo elementare su cui le componenti di tensione sono esercitate, per-
tanto il lavoro fatto delle tensioni `e nullo se il parallelepipedo subisce un movimento rigido. Le
tensioni sono quindi energeticamente attive solo in presenza di una deformazione del parallele-
pipedo elementare. Analogamente agli esempi elementari del precedente paragrafo, per quanto
riguarda la denizione e il segno dei lavori `e opportuno tener conto che, per il parallelepipedo
elementare le tensioni rappresentano le forze esterne signicative (le altre forze esterne sono di
volume e quindi innitesime rispetto alle azioni superciali). Pertanto si conclude che:
in un caricamento quasi statico, il lavoro fatto dalle forze interne, che sono attive
dentro il parallelepipedo elementare, `e lopposto del lavoro fatto dalle tensioni.
`
E importante sottolineare che tale relazione tra i lavori non `e condizionata dal tipo di materiale
o dalla natura delle interazioni interne le quali, pertanto, possono essere o meno conservative.
Ci proponiamo di ottenere una espressione generale che esprima il lavoro virtuale fatto dalle
tensioni agenti sul parallelepipedo elementare quando questo subisce un generico spostamento
virtuale. A tale scopo, consideriamo un parallelepipedo elementare in equilibrio sotto leetto
di uno stato di tensione S:
S =
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
e, in tale condizione, sottoponiamo il parallelepipedo a una modica virtuale della congurazio-
ne (non importa denire la causa che la produce). La variazione di congurazione `e descritta
completamente dal campo di spostamento virtuale u le cui componenti, in quanto virtuali, pos-
sono essere assunte di entit`a piccola a piacere. Per questo `e corretto considerare la variazione
di congurazione come la sovrapposizione di una traslazione virtuale del centro del parallele-
pipedo, di una rotazione virtuale e di una deformazione virtuale E. Inoltre, sempre per
476
16.2. FORZE INTERNE SUI CONTINUI DEFORMABILI
la virtualit`a dello spostamento, la componente emisimmetrica del gradiente di spostamento de-
nisce esattamente la rotazione virtuale rigida mentre la componente simmetrica rappresenta
in modo accurato la variazione virtuale di forma del parallelepipedo elementare. Se la matrice
E fosse nulla, la distanza mutua di ogni coppia di punti appartenenti al parallelepipedo non
sarebbe alterata e il lavoro virtuale fatto dalle tensioni sarebbe nullo. Come conseguenza, `e
suciente considerare leetto prodotto sul lavoro virtuale dalla sola parte deformativa di u.
Consideriamo in una prima fase una deformazione virtuale caratterizzata dalla sola compo-
nente estensionale in direzione x:
E =
_
_

11
0 0
0 0
Sym 0
_
_

j
22
dxdz
22
dxdz
11
dydz
11
dydz
12
dxdz
12
dxdz
21
dydz
21
dydz
(b)
22
dxdz
22
dxdz
11
dydz
11
dydz
12
dxdz
12
dxdz
21
dydz
21
dydz
A
B
A*
B*
C
C*
11
dx
(a)

j
D
E
D*
E*
Figura 16.6: Elemento di volume sotto tensione (a) prima della variazione
di congurazione e (b) dopo lapplicazione della deformazione virtuale con
componente:
11
.
Nella gura 16.6 `e rappresentato il parallelepipedo elementare visto dallasse z prima e dopo
la variazione virtuale di congurazione. Si osserva che:
sono evidenziati i punti caratteristici del parallelepipedo (il vertice A e i centri B, C, D
ed E delle facce) prima e dopo la modica di congurazione
per chiarezza graca le componenti z dello stato di tensione non sono rappresentate
lallungamento della base del rettangolo prodotto dalla deformazione estensionale `e stato
notevolmente amplicato per renderlo apprezzabile gracamente
le deformazioni angolari sono tutte nulle e quindi il parallelepipedo rimane retto.
Dato che la traslazione rigida non ha eetti sul lavoro, si pu`o assumere che il punto A

abbia le stesse coordinate di A e la rotazione rigida del parallelepipedo sia nulla (come in
gura 16.6). La virtualit`a del cambiamento di congurazione comporta che le tensioni agenti
sulle facce rimangano inalterate durante la distorsione. Per calcolare i lavori virtuali fatti dalle
singole componenti di tensione `e lecito ridurre le distribuzioni superciali agenti sulle varie facce
a forze risultanti (innitesime) applicate ai relativi centri di spinta. Essendo le componenti di
477
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
tensione uniformemente distribuite su ogni singola faccia (il parallelepipedo `e elementare), il
centro di spinta coincide con il baricentro della faccia stessa, per esempio: la forza risultante
orizzontale di taglio
12
dxdz `e applicata sul punto C, ecc. . . .
Con riferimento alla gura 16.6, si pu`o osservare che:
le forze agenti sulla faccia verticale (normale a x) negativa non fanno lavoro perche il
centro B non si sposta
sulla faccia verticale positiva la componente tangenziale
21
dydz non fa lavoro perche il
punto di applicazione D si muove perpendicolarmente alla forza
le componenti normali
22
dxdz agenti sulle facce orizzontali non fanno lavoro perche lo
spostamento di C e di E `e in direzione x
le singole componenti tangenziali
12
dxdz agenti sulle facce orizzontali fanno lavoro perche
i centri di spinta si spostano in orizzontale di [EE

[ = [CC

[ =
1
2

11
dx, ma il lavoro
virtuale della componente agente sulla faccia positiva `e compensato dal lavoro opposto
fatto dalla componente agente sulla faccia negativa
anche se non rappresentate, `e facile vericare che nessuna componente delle tensioni in
direzione z fa lavoro (i punti di applicazione hanno componente z dello spostamento nulla)
sulla faccia verticale positiva la componente normale
11
dydz fa lavoro virtuale: (dL) =

11
dydz
11
dx =
11

11
dxdydz (in eetti lallontanamento dei punti di applicazione
della coppia di braccio nullo `e [DD

[ =
11
dx).
Indicando con dV = dxdydz il volume del parallelepipedo elementare, il lavoro virtuale
complessivo fatto dalle tensioni in questo caso vale quindi:
(dL
ten
) =
11

11
dV (16.2)
A giusticazione del simbolo un po complicato che `e stato usato per rappresentare il lavoro
virtuale nella relazione (16.2) `e opportuno ricordare che la grandezza calcolata `e il lavoro
fatto dalle tensioni agenti sul parallelepipedo elementare per una variazione virtuale di
congurazione. Pertanto, il risultato `e una quantit`a nel contempo virtuale (nelle deformazioni)
e innitesima (nel volume).
Consideriamo una variazione virtuale di congurazione con una sola componente deformati-
va di tipo angolare, per esempio
12
, e quindi caratterizzata dalla seguente matrice:
E =
_
_
0
12
0
0 0
Sym 0
_
_
=
_
_
0

12
2
0
0 0
Sym 0
_
_
Dalla gura 16.7 si deduce che:
le componenti delle forze in direzione z non fanno lavoro
le componenti normali dello stato di tensione fanno complessivamente lavoro nullo (il
lettore verichi che due di queste tensioni fanno in eetti lavoro ma la somma `e nulla)
la componente tangenziale
21
dydz non fa lavoro perche i punti di applicazione B e D si
spostano trasversalmente alla forza (si ricordi che la deformazione deve essere virtuale e
che langolo in gura 16.7 `e stato ingrandito per chiarezza graca)
478
16.2. FORZE INTERNE SUI CONTINUI DEFORMABILI

j
22
dxdz
22
dxdz
11
dydz
11
dydz
12
dxdz
12
dxdz
21
dydz
21
dydz
(b)
22
dxdz
22
dxdz
11
dydz 11
dydz
12
dxdz
12
dxdz
21
dydz
21
dydz
A A*
12

(a)

j
B B*
C
C*
D
E
D*
E*
Figura 16.7: Elemento di volume sotto tensione (a) prima della variazione di
congurazione e (b) dopo lapplicazione di una deformazione virtuale angolare

12
.
la sola componente tangenziale
12
dxdz agente sulla faccia superiore fa lavoro dato da:

12
dxdz
12
dy =
12

12
dxdydz.
Il lavoro ottenuto ha una espressione analoga al caso precedente:
(dL
ten
) =
12

12
dV (16.3)
Sfruttando la simmetria dei tensori di Cauchy e di deformazione si ha:

12

12
=
12
(
12
+
21
) =
12

12
+
21

21
per cui la relazione (16.3) si pu`o anche scrivere come:
(dL
ten
) = (
12

12
+
21

21
) dV (16.4)
Le precedenti valutazioni possono essere estese a una variazione virtuale di congurazione
del parallelepipedo che contiene tutte le componenti estensionali e angolari della deformazione.
Si ottengono in tal modo le seguenti espressioni generali, tra loro equivalenti, che esprimono
il lavoro virtuale fatto da un generico stato di tensione agente sul parallelepipedo elementare
quando questo `e sottoposto a una generica deformazione virtuale:
(dL
ten
) = (
11

11
+
22

22
+
33

33
+
12

12
+
13

13
+
23

23
) dV (16.5)
(dL
ten
) =
(
11

11
+
22

22
+
33

33
+
12

12
+
13

13
+
23

23
+
21

21
+
31

31
+
32

32
) dV
(16.6)
La relazione (26.6) pu`o essere scritta in forma indicizzata come:
(dL
ten
) =
ij

ij
dV
16.2.2 Densit`a volumica del lavoro virtuale fatto delle tensioni
Le espressioni del lavoro virtuale (16.5) e (26.6) hanno validit`a generale dato che sono state
ottenute sotto le sole ipotesi:
479
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
di equilibrio del parallelepipedo elementare, da cui deriva la simmetria del tensore di
Cauchy,
di congruenza del processo deformativo per cui la trasformazione del parallelepipedo
elementare `e ane.
In particolare, non sono state poste condizioni sul materiale del continuo o sulla natura e la
causa delle deformazioni.
Come consuetudine nello studio dei corpi continui, `e utile denire la quantit`a intensiva
associata al lavoro fatto dalle tensioni:
l
ten
=
dL
ten
dV
(16.7)
per cui dalle (16.5) e (26.6) si ottiene il lavoro virtuale per unit`a di volume detto anche
densit`a volumica del lavoro virtuale l fatto dalle tensioni nel punto generico:
l
ten
=
11

11
+
22

22
+
33

33
+
12

12
+
13

13
+
23

23
(16.8)
l
ten
=
11

11
+
22

22
+
33

33
+
12

12
+
13

13
+
23

23
+
21

21
+
31

31
+
32

32
(16.9)
Lespressione (16.8) `e la somma di 6 termini mentre lequivalente (16.9) ne contiene 9. In eetti,
la deformazione angolare ingegenristica
ij
ingloba le due deformazioni angolari tensoriali
ij
e

ji
. Indipendentemente dal numero di termini, `e interessante osservare che:
tensione e deformazione sono grandezze energeticamente associate
Le relazioni (16.8) e (16.9) hanno in eetti la forma tipica del lavoro virtuale ottenuta in
tutti i casi nora esaminati. A tale proposito si ricordi il prodotto scalare di una forza per
lo spostamento virtuale del suo punto di applicazione, oppure il prodotto scalare del momento
per la rotazione virtuale della sua zona di applicazione. Anche in questo caso il lavoro virtuale
risulta espresso dalla somma dei prodotti di componenti omonime e, dato che le componenti di
forza sono riferite allunit`a di supercie e il corpo in esame `e intesimo, il risultato `e un lavoro
specico (lavoro per unit`a di volume).
Nei calcoli faremo uso pi` u frequentemente della relazione (16.8), tuttavia, la relazione (16.9)
appare pi` u rigorosa dal punto di vista formale. In eetti la relazione (16.9) esplicita la somma
dei prodotti di tutte le componenti omonime dei tensori di tensione e di deformazione virtuale:
l
ten
=
3

i=1
3

j=1

ij

ij
relazione che in notazione contratta (si noti il doppio indice ripetuto che sottintende la doppia
somma) diventa semplicemente:
l
ten
=
ij

ij
Questo prodotto scalare tra i tensori non `e il prodotto righe per colonne delle rispettive matrici
(il risultato di tale operazione sarebbe una matrice 3 3 e non uno scalare!) e per distinguerlo
lo indichiamo con il simbolo ovvero:
l
ten
= S E (16.10)
Osserviamo che una particolare componente tensionale produce un contributo positivo al
lavoro virtuale se la omonima componente deformativa ha lo stesso segno. Per esempio, una
tensione normale di trazione agente su una faccia normale a n (
nn
> 0), contribuisce al
480
16.2. FORZE INTERNE SUI CONTINUI DEFORMABILI
lavoro con un termine positivo se il continuo si dilata nella direzione n (ovvero se
nn
> 0) e
lavoro negativo se il continuo si contrae (
nn
< 0). Analogamente, una componente di tensione
tangenziale positiva
qm
fa lavoro positivo se langolo retto q, m su cui le tensioni coniugate
agiscono si riduce
qm
> 0. Questo risultato consegue dalle deniziono assunte sui segni delle
componenti di entrambi i tensori di tensione e di deformazione per cui `e fondamentale che tali
convenzioni siano rispettate per mantenere la coerenza.
Si pu`o inoltre vericare che `e stata ritrovata anche per il continuo la propriet`a caratteristica
delle forze interne: se la variazione di congurazione del parallelepipedo elementare `e uno
spostamento rigido, essendo E = 0, il lavoro fatto dalle tensioni, e quindi il lavoro fatto dalle
forze interne che `e lopposto, `e nullo.
Il calcolo del lavoro fatto dalle tensioni `e del tutto simile se, sotto lazione del tensore S il
parallelepipedo subisce una variazione di congurazione innitesima invece che virtuale. Infatti,
in una deformazione innitesima dE `e lecito assumere che lo stato di tensione subisca variazioni
al pi` u innitesime che possono quindi essere trascurate. Pertanto, si denisce:
dl
ten
=
3

i=1
3

j=1

ij
d
ij
(16.11)
la variazione di densit`a volumica di lavoro fatto dalle tensioni in conseguenza della variazione
innitesima di congurazione, relazione che pu`o essere scritta anche come:
dl
ten
=
ij
d
ij
= S dE (16.12)
Dal punto di vista dimensionale, essendo le deformazioni numeri puri, la quantit`a l
ten
, che
esprime un lavoro per unit`a di volume del materiale, `e omogenea con la tensione e quindi nelle
unit`a del SI `e espressa in
_
N/m
2
_
=
_
Nm/m
3
_
=
_
J/m
3
_
. Usando il MPa come unit`a per
la tensione, se le deformazioni sono calcolate in la densit`a volumica del lavoro risulter`a
espressa in J/m
3
che `e lunit`a base nel SI. Se le deformazioni sono espresse in epsilon la
densit`a risulter`a invece espressa in 10 N/mm
2
= 1mJ/mm
3
(millijoule al millimetro cubico)
che `e una unit`a mista. Peraltro, la densit`a volumica del lavoro fatto delle tensioni rappresenta
raramente una quantit`a richiesta e generalmente costituisce uno strumento per il calcolo di
tensioni, deformazioni o spostamenti e le sue unit`a di misura sono poco interessanti.
16.2.3 Densit`a del lavoro fatto dalle tensioni in una trasformazione nita
Consideriamo una variazione nita di congurazione, comunque piccola in modo che sia
valida la meccanica dei corpi poco deformabili, che porti il parallelepipedo elementare da uno
stato di partenza a uno stato nale. Ci proponiamo di valutare il lavoro fatto dalle tensioni
agenti sul parallelepipedo elementare nellintero processo. Un problema simile si presenta nel
calcolo del lavoro fatto da una forza applicata a un punto materiale nelle condizioni generali,
ovvero quando la traiettoria del punto di applicazione deve essere suddivisa in piccoli segmenti
in corrispondenza di ognuno dei quali la forza possa considerarsi costante (vedi capitolo 1).
Analogamente, per calcolare il lavoro fatto dallo stato di tensione agente sul parallelepipedo
elementare nellintero processo, si suddivide il processo deformativo in una sequenza di passi,
ognuno caratterizzato da una variazione di deformazione molto piccola, in modo che la tensione
possa ritenersi costante nellambito di ogni passo. Si suppone inoltre che in ogni congurazione
parziale raggiunta nel processo deformativo, le componenti di tensione siano note.
Per descrivere il processo deformativo e la corrispondente tensione agente sul parallelepipedo
introduciamo un parametro scalare variabile nellintervallo [
0
,
F
]. Lo stato di tensione
481
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
iniziale `e quindi S(
0
), quello nale S(
F
). Ogni stato intermedio S() con
0
< <
F
`e
formalmente espresso dalla relazione:
S() =
_
_

11
()
12
()
13
()

22
()
23
()
Sym
33
()
_
_
Con il medesimo parametro deniamo anche la deformazione E() che, rispetto alla congura-
zione iniziale, il parallelepipedo elementare accumula durante il prcesso deformativo:
E() =
_
_

11
()
12
()
13
()

22
()
23
()
Sym
33
()
_
_
Assumendo che le funzioni
ij
() siano sucientemente regolari (almeno derivabili per quasi
tutti i valori di ) e che i loro moduli siano di piccola entit`a (corpo poco deformabile), si
pu`o ottenere la variazione innitesima di deformazione corrispondente a una variazione d del
parametro (il singolo passo elementare del processo deformativo):
dE() =
_
_
_
d
11
()
d
d
12
()
d
d
13
()
d
d
22
()
d
d
23
()
d
Sym
d
33
()
d
_
_
_
d (16.13)
In base alla relazione (16.12) il contributo alla densit`a di lavoro fatto delle tensioni nella
variazione innitesima di congurazione vale quindi:
dl
ten
= S() dE()
La densit`a di lavoro fatto dalle tensoni per lintero processo deformativo `e pertanto data
dallintegrale:
l
ten
=

F
_

0
S() dE() (16.14)
Esempio 16.3: Densit`a del lavoro in una trasformazione nita
Un parallelepipedo elementare subisce una variazione di congurazione denita sul pa-
rametro [0, 1] tramite i seguenti tensori di deformazione E() e di tensione
S():
E() =
_
_
2 1 + 2
1
Sym 5
_
_
10
3
; S() = 10
2
_
_
2 +
2
5
2
2 +
2
1
2

3
Sym
2
_
_
MPa
a) Determinare gli stati di tensione e di deformazione iniziali e nali.
b) Valutare il lavoro per unit`a di volume complessivamente fatto dalle tensioni nellintero
processo deformativo.

482
16.2. FORZE INTERNE SUI CONTINUI DEFORMABILI
Risposta a)
E(0) =
_
_
0 0 0
0 0
Sym 0
_
_
; S(0) =
_
_
2 5 2
1 0
Sym 0
_
_
10
2
MPa
E(1) =
_
_
2 2 2
1 1
Sym 5
_
_
10
3
; S(1) =
_
_
3 4 1
0 1
Sym 1
_
_
10
2
MPa
Risposta b)
In base alla relazione (16.13), il tensore di deformazione incrementale vale:
dE() =
_
_
2 1 + 2 4
2 1
Sym 5
_
_
10
3
d
da cui, per la relazione (16.14):
l
ten
=
1
_
0
S() dE() = 3.167 mJ/mm
3
il lavoro complessivo risulta positivo.
In certi casi `e usato come parametro il tempo t, per cui la relazione (16.13) diventa:
dE(t) =
_
_
_
d
11
(t)
dt
d
12
(t)
dt
d
13
(t)
dt
d
22
(t)
dt
d
23
(t)
dt
Sym
d
33
(t)
dt
_
_
_
dt (16.15)
La quantit`a tensoriale:
dE(t)
dt
=
_
_
_
d
11
(t)
dt
d
12
(t)
dt
d
13
(t)
dt
d
22
(t)
dt
d
23
(t)
dt
Sym
d
33
(t)
dt
_
_
_
(16.16)
che esprime la rapidit`a con cui la deformazione varia nel tempo, `e chiamata velocit`a di de-
formazione (strain rate) e si rappresenta talvolta con il punto sovrapposto (con la notazione
tipica delle derivate temporali in Meccanica Razionale):
dE(t)
dt
=

E(t) =
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
(16.17)
In analogia con il caso elementare della singola forza agente su un punto materiale, la
potenza specica sviluppata dalle tensioni (numericamente pari al lavoro fatto dalle tensioni
nellunit`a di tempo e nellunit`a di volume) si esprime come:
w =
3

i=1
3

j=1

ij

ij
(16.18)
483
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
relazione che con le altre notazioni diventa:
w = S

E =
ij

ij
(16.19)
16.3 Lavoro complessivo fatto dalle forze per deformare un cor-
po esteso
16.3.1 Lavoro fatto dalle tensioni e lavoro fatto delle forze esterne
In questo paragrafo viene mostrato come calcolare il lavoro fatto da tutte le forze esterne
L
ext
e il lavoro complessivamente fatto dalle tensioni agenti in un continuo deformabile L
ten
durante un caricamento monotono.
Consideriamo il lavoro fatto dalle forze esterne. In gura 16.8 `e mostrato un tipico problema
di statica dei continui deformabili nellambito della meccanica dei solidi poco deformabili: un
corpo vincolato in modo (almeno) isostatico sul quale sono esercitati carichi crescenti che lo
portano dalla congurazione iniziale alla congurazione nale di equilibrio. Per calcolare L
ext
in modo diretto `e necessario identicare:
le azioni esterne che fanno lavoro
le quantit`a deformative a queste energeticamente associate
levoluzione del processo deformativo e di carico in modo da poter calcolare il lavoro nel
percorso.
Nellesempio di gura 16.8, le forze esterne sono costituite dalle due forze concentrate F e
Q e dalle reazioni vincolari allincastro. Se assumiamo il vincolo ideale e un osservatore sso sul
telaio (situazione tipica), le reazioni vincolari non sono energeticamente attive e il lavoro delle
forze esterne `e fatto dai soli carichi. Supponiamo che attraverso il parametro [
0
,
F
] si
possano esprimere i carichi e lo spostamento dei corrispondenti punti di applicazione:
A
B
(a)
(b)
(c)
/ 2 F
F
/ 2 Q
Q

j
Figura 16.8: Processo di caricamento di una mensola deformabile in condi-
zioni quasi statiche: a) congurazione iniziale, b) congurazione intermedia, c)
congurazione nale.

F () =
_
_
0
F ()
0
_
_
,

Q() =
_
_
Q()
0
0
_
_
484
16.3. LAVORO COMPLESSIVO FATTO DALLE FORZE PER DEFORMARE UN CORPO ESTESO
u
A
() =
_
_
u
Ax
()
u
Ay
()
u
Az
()
_
_
, u
B
() =
_
_
u
Bx
()
u
By
()
u
Bz
()
_
_
Il lavoro delle forze esterne si ottiene della denizione:
L
ext
=

F
_

F () du
A
() +

F
_

Q() du
B
()
in componenti scalari:
L
ext
=

F
_

0
_
F ()
du
Ay
()
d
Q()
du
Bx
()
d
_
d
Nel caso in esame, L
ext
`e senza dubbio positivo dato che i punti di applicazione dei carichi si
spostano entrambi in verso concorde alle relative forze.
Con riferimento allo stesso esempio di gura 16.8 calcoliamo il lavoro fatto dalle tensioni.
Consideriamo il dominio geometrico che rappresenta il corpo nella congurazione di partenza
e supponiamo che, per ogni punto P con posizione iniziale di coordinate (x, y, z), sia nota
la storia deformativa e tensionale che si manifesta durante il caricamento in funzione del solito
parametro [
0
,
F
]. Il procedimento sviluppato nel paragrafo precedente fornisce la densit`a
di lavoro fatto dalle tensioni nella variazione completa di congurazione per ogni parallelepipedo
elementare che rappresenta una funzione scalare di punto (pi` u rigorosamente un campo scalare
denito su ):
l
ten
(x, y, z) =

F
_

0
S() dE()
Poiche la storia tensionale e deformativa dipende dalla posizione di P, il campo scalare l
ten
(x, y, z)
assume in genere valori diversi da un punto allaltro. Il lavoro complessivo fatto dalle tensioni
nellintero corpo, L
ten
, `e ottenibile quindi integrando la densit`a di lavoro sullintero dominio in
modo da considerare il contributo di tutti i parallelepipedi elementari:
L
ten
=
_

l
ten
(x, y, z) dV (16.20)
Dato che il corpo `e composto da tutti i parallelepipedi elementari e considerando che:
la tensione rappresenta il carico che agisce sulle singole parti elementari
la tensione `e la manifestazione puntuale dei carichi applicati
la deformazione descrive la variazione di forma delle parti elementari
la deformazione `e la manifestazione puntuale degli spostamenti indotti dai carichi,
possiamo concludere che:
in un corpo continuo in condizioni di caricamento quasi statico il lavoro fatto delle
forze esterne agenti `e uguale al lavoro fatto delle tensioni:
L
ext
= L
ten
485
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
Poiche non sono state fatte ipotesi sul materiale o sulla natura del processo deformativo, per
un caricamento quasi statico luguaglianza del lavoro delle forze esterne e del lavoro complessivo
fatto dalle tensioni `e universale. In un qualunque corpo sottoposto a un caricamento quasi
statico possiamo quindi assumere che il lavoro fatto dalle forze esterne si distribuisca nel volume
del corpo sotto forma di densit`a di lavoro fatto dalle tensioni. In genere, tale distribuzione non
risulta uniforme dato che, nelle zone in cui si manifesta una elevata tensione e nel contempo
anche la deformazione `e pi` u intensa, la densit`a locale del lavoro fatto dalle tensioni `e maggiore.
Un risultato analogo `e stato riscontrato nei sistemi discreti esaminato nel primo paragrafo. Nel
caso delle molle, per esempio, il lavoro fatto dalle forze esterne si ritrova nel lavoro fatto sulle
singole molle in misura dipendente da quanto queste si allungano.
In un caricamento che non sia quasi statico, luguaglianza precedente non vale dato che i
singoli parallelepipedi sarebbero in movimento e dovremmo mettere in bilancio anche la loro
energia cinetica. In tal caso si otterrebbe quindi, per il teorema delle forze vive:
L
ext
= L
ten
+ K
Pertanto, se allinizio del caricamento il corpo era in queste, il lavoro delle forze esterne `e sempre
maggiore di quello fatto dalle tensioni.
Torniamo al caso di caricamento quasi statico, dato che in virt` u della relazione (16.1) si ha:
L
ext
+L
int
= 0
per i corpi continui vale limportante relazione:
L
int
= L
ext
= L
ten
=
_

F
_

0
3

i=1
3

j=1

ij
d
ij
dV (16.21)
Pertanto:
in condizioni di caricamento quasi statico il lavoro fatto delle interazioni interne
agenti in un corpo continuo `e lopposto del lavoro fatto dalle forze esterne, e quindi
dalle tensioni.
Esempio 16.4: Giusticazione del segno negativo nella relazione (16.21)
Un parallelepipedo elementare sottoposto a uno stato di tensione monoassiale di trazione

11
= 150 MPa costante viene allungato di
11
= 20 . Calcolare:
a) la densit`a di lavoro fatto dalle tensioni
b) la densit`a di lavoro fatto dalle forze interne.

La risposta a) `e immediata:
l
ten
=
11

11
= +300 J/m
3
il segno `e evidentemente positivo dato che la coppia di braccio nullo che rappresenta la
forza esterna agente sul parallelepipedo `e applicata in modo da estenderlo. Di conseguenza
le forze interne, risposta b), fanno un lavoro negativo che vale:
l
int
= 300 J/m
3
486
16.3. LAVORO COMPLESSIVO FATTO DALLE FORZE PER DEFORMARE UN CORPO ESTESO
Per giusticare questo risultato `e suciente considerare che, sotto lazione dello stato di
tensione, gli atomi costituenti il reticolo si trovano a una distanza relativa (in direzione
x) maggiore rispetto alla distanza naturale che avrebbero a materiale scarico, per cui le
interazioni che si manifestano tra di essi sono di tipo attrattivo (riporterebbero il reticolo
nella condizione naturale se la tensione cessasse). Se in tali condizioni lagente esterno
aumenta ulteriormente la loro distanza inducendo una deformazione estensionale positiva,
il lavoro fatto dalle interazioni sar`a negativo.
16.3.2 Considerazioni termodinamiche relative al lavoro fatto dalle tensioni
`
E interessante esaminare il fenomeno della variazione di congurazione prodotta in un corpo
deformabile da un caricamento quasi statico considerando il corpo come un sistema termodina-
mico che `e in grado di scambiare energia con lambiente esterno sotto forma di lavoro e/o di
calore. In tutti gli esempi esaminati nel presente capitolo, le forze esterne modicano la con-
gurazione dei corpi su cui sono applicate e fanno complessivamente lavoro positivo. Dato che
in un caricamento quasi statico il contributo dellenergia cinetica `e trascurabile per denizione,
risulta interessante rispondere alla domanda: dove va lenergia che viene immessa nel sistema
termodinamico tramite il lavoro fatto delle forze esterne? Oltre che per un corpo deformabile
nel suo complesso, la medesima domanda pu`o essere posta anche per ogni sua porzione e quindi,
in particolare, per ogni parallelepipedo elementare per il quale il lavoro `e fatto dalle tensioni.
Dal primo principio della termodinamica `e noto che lenergia che dallambiente viene immessa
in un sistema, sotto forma di lavoro e/o di calore, non pu`o svanire ed `e necessario ritrovarla
sotto identicabili variazioni di forme di energia interna. Gli esempi elementari discussi allinizio
del capitolo rappresentano a questo proposito due situazioni limite di notevole interesse.
Nel caso del cilindro telescopico, trascurando il calore che il corpo scambia con lambiente
nel breve tempo in cui avviene il compattamento assiale, il lavoro positivo fatto delle forze
esterne viene completamente trasformato in aumento dellenergia interna di tipo termico. Tale
incremento di energia pu`o essere rilevato sperimentalmente come aumento di temperatura di
alcune parti del corpo, in particolare dalle guarnizioni e delle zone adiacenti alla supercie di
scorrimento. Dal punto di vista sico, laumento locale di temperatura consiste in un incre-
mento dellenergia cinetica media di alcune molecole che compongono il corpo per cui, a livello
microscopico, il teorema delle forze vive `e soddisfatto. Peraltro, considerando il secondo princi-
pio della termodinamica, il disordine che caratterizza il moto termico molecolare non consente
di utilizzare completamente tale incremento di energia cinetica per produrre lavoro meccanico.
La riconversione, anche parziale, dellenergia termica in lavoro richiede infatti un ciclo termico
e quindi la presenza di almeno unaltra sorgente pi` u fredda che, inevitabilmente, ricever`a un po
di calore. Tutto ci`o comporta una perdita netta per cui `e recuperabile solo una parte del lavoro
inizialmente immesso nel sistema. Inoltre, se il corpo non `e perfettamente isolato termicamente
ma, come generalmente accade, si trova in contatto con lambiente, laumento di temperatura
prodotto nello scorrimento con attrito, dopo un po di tempo, non sar`a pi` u rilevabile. In questo
caso, lenergia immessa nel sistema come lavoro meccanico `e inizialmente immagazzinata come
energia interna termica e successivamente ceduta allambiente sotto forma di calore. Il lavoro
fatto dalle forze esterne sul sistema non potr`a pi` u essere, in queto caso, recuperato nemmeno
parzialmente. Nella pratica, quindi, il lavoro fatto dalle forze esterne per produrre processi de-
formativi di scorrimento con attrito o simili, `e da considerarsi completamente perduto. Questo
`e ci`o che avviene, per esempio, nel normale frenamento dei mezzi di trasporto.
Dal punto di vista termodinamico, il caricamento quasi statico descritto nellesempio delle
487
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
molle appare sotto vari aspetti alquanto diverso. Anche in quel caso il lavoro fatto dalle forze
esterne `e positivo e il sistema incrementa la sua energia interna. Tale energia pu`o per`o essere
completamente riconvertita in lavoro meccanico (le molle compresse possono essere usate come
elemento motore per qualche altro processo) per cui laumento di energia interna `e quindi di
tipo meccanico. Diremo in questo caso che le forze interne sono di tipo conservativo. Come
ricordato nel capitolo 1, lenergia potenziale di un campo di forze conservative `e denita, a
meno di una costante additiva arbitraria, dallopposto del lavoro che le forze del campo fanno
in corrispondenza di una variazione di congurazione. Se la variazione di congurazione `e
prodotta in condizioni quasi statiche, quindi in assenza di variazioni signicative di energia
cinetica, lopposto del lavoro fatto dalle forze interne `e pari al lavoro fatto dalle forze esterne.
Pertanto possiamo concludere che:
se le forze interne di un corpo deformabile sono conservative, in un caricamento
quasi statico la variazione di energia interna meccanica totale del corpo `e pari al
lavoro fatto dalle forze esterne.
Se un corpo si comporta in modo che il lavoro fatto dalle forze esterne `e completamente
trasformato in energia interna di tipo meccanico si dice che `e perfettamente elastico (elastic)
e lenergia interna associata `e chiamata energia elastica (elastic energy).
Come discusso nel seguito, lelasticit`a di un solido `e connessa con la natura dei legami mole-
colari che mantengono lintegrit`a del reticolo cristallino. Dato che il cristallo rimane integro nel
processo deformativo, le variazioni di energia sono eettivamente associate agli eetti di campi
elettromagnetici conservativi. Le deformazioni che si manifestano nel parallelepipedo elementa-
re quando le forze interne sono conservative sono chiamate deformazioni elastiche (elastic
strains). La Scienza dei materiali ha evidenziato lesistenza di altri e diversi processi deforma-
tivi che, a livello del cristallo, consistono in scorrimenti niti di atomi, associati al movimento
delle dislocazioni e che, quindi, prevedono la rottura e la ricostituzione dei legami atomici. Tali
processi deformativi non possono essere quasi statici in quanto il passaggio delle dislocazioni
produce locali intense vibrazioni negli atomi che si trovano vicini al piano di scorrimento e
quindi, inevitabilmente, dissipano energia meccanica. Dal punto di vista macroscopico le de-
formazioni prodotte in tali processi sono chiamate plastiche (plastic) o viscose (viscous)
secondo le modalit`a e la cinetica con cui si sviluppano. Il lavoro che le forze esterne fanno
quando il materiale subisce processi deformativi plastici o viscosi viene quindi completamente
trasformato in energia interna di tipo termico e non pu`o essere direttamente recuperato sotto
forma di lavoro meccanico.
In generale, quando si carica staticamente un corpo deformabile il processo deformativo coin-
volge forze interne conservative e dissipative e produce deformazioni che sono in parte elastiche
e in parte plastiche e viscose, per cui in un caricamento quasi statico il lavoro complessivamente
fatto dalle forze esterne su un corpo deformabile in parte varia lenergia elastica del corpo e in
parte viene dissipato in energia termica. Questo vale anche per il parallelepipedo elementare
caricato dalle tensioni.
Nellambito del presente corso sono considerati processi deformativi di tipo elastico per cui,
tendo conto anche delle considerazioni sviluppate nel paragrafo precedente, possiamo formulare
la seguente legge, che sar`a molto impiegata nel seguito:
in un caricamento quasi statico il lavoro fatto dalle tensioni sul parallelepipedo
elementare di materiale elastico `e immagazzinato nel volume del parallelepipedo
sotto forma di energia elastica.
La scelta di considerare esclusivamente il comportamento di materiali che si deformano elasti-
camente `e dettata sia da ragioni di semplicit`a, essendo il comportamento costitutivo elastico
488
16.4. IL MATERIALE OMOGENEO ISOTROPO ELASTICO LINEARE
il pi` u semplice da modellare, sia da motivi di pratica utilit`a. Infatti, lelasticit`a del materiale
garantisce che il caricamento non produca alterazioni permamenti allelemento strutturale e
quindi possa essere ripetuto. Tale caratteristica `e fondamentale in molte strutture meccaniche
che sono sottoposte a carichi ciclici o variabili nel tempo.
16.4 Il materiale omogeneo isotropo elastico lineare
Lesame energetico del processo deformativo fornisce alcuni importanti strumenti concettuali
e operativi con in quali `e possibile sviluppare un modello in grado di descrivere il comportamento
costitutivo di un materiale solido.
Per modello costitutivo (constitutive model) di un materiale si intende una legge, spes-
so un semplice legame funzionale, che connette i tensori di deformazione e di tensione. La legge
costitutiva (constitutive law) pertanto consente di valutare in modo quantitativo come si
deforma un parallelepipedo elementare se `e sottoposto a un denito stato di tensione oppure,
viceversa, quale tensione deve essere applicata per deformare un parallelepipedo elementare in
un certo modo. La conoscenza del modello costitutivo del singolo elemento `e necessaria quindi
per valutare la distorsione di un elemento strutturale nel suo complesso (veriche di rigidezza).
La denizione e le propriet`a dello stato di tensione sono state derivate da considerazioni
di equilibrio, quindi dalla Statica, mentre le propriet`a dello stato di deformazione sono state
dedotte dalla congruenza e sono quindi di origine geometrica. Finora non `e stato necessario
considerare la natura sica del materiale, se si esclude, e solo per certi aspetti, lipotesi che
il materiale sia solido. In particolare, abbiamo assunto la capacit`a del continuo di sopportare
allequilibrio anche componenti tensionali tangenziali e normali di trazione. Le propriet`a costi-
tutive sono invece speciche dei materiali e le relative leggi, di natura empirica, devono essere
ricavate sperimentalmente. Infatti, le leggi costitutive si deducono partendo dalla misura
della deformazione che stati controllati di tensione producono nel materiale in esame.
Data la variet`a di materiali e le dierenze di comportamento che anche uno stesso materiale
mostra se cambiano le condizioni ambientali (si pensi anche al solo eetto della temperatura), `e
disponibile un elevato numero di leggi costitutive. Le leggi costitutive sono infatti loggetto della
Meccanica dei Materiali che `e una disciplina molto vasta e della quale nel presente corso si danno
solo i fondamenti. Nello specico prenderemo in esame una classe di materiali che mostrano un
comportamento costitutivo molto semplice ma di fondamentale interesse applicativo. Si tratta
dei materiali: Isotropi, Omogenei, Lineari ed Elastici (I.O.L.E.).
16.4.1 Materiali costitutivamente omogenei
In primo luogo ci limiteremo a considerare corpi realizzati con materiale omogeneo (ho-
mogenous material) ovvero con propriet`a costitutive uguali in ogni punto. Dal punto di vista
operativo possiamo adottare la seguente denizione:
per una propriet`a un materiale `e omogeneo se, estratti due campioni aventi la stessa
forma e le stesse dimensioni da diverse posizioni di un corpo, qualunque prova
meccanica in grado di rilevare tale propriet`a non permette di risalire alla posizione
originaria dei campioni.
Se il materiale `e omogeneo per una caratteristica costitutiva, i due campioni sono pertanto
indistinguibili e interscambiabili ai ni della relativa misura. Al contrario, per un materiale
costitutivamente non omogeneo `e possibile, almeno in linea di principio, identicare a posteriori
la posizione originaria del campione. Per esempio, dato un cubetto estratto da una trave di
cemento armato, non `e dicile stabilire con prove di compressione o di durezza se apparteneva
489
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
al tondino di acciaio oppure a una zona di cemento. Il cemento armato `e in eetti un ma-
teriale non omogeneo per la durezza e la resistenza a compressione, oltre che per molte altre
propriet`a. In termini matematici, lomogeneit`a costitutiva implica che la legge costitutiva se
ha una espressione analitica, questa non pu`o contenere esplicitamente le coordinate del punto
e quindi `e invariante per traslazione. Evidentemente, tale propriet`a di invarianza traslazio-
nale `e relativa alla sola relazione che lega tensioni e deformazioni e non richiede che tensioni e
deformazioni siano esse stesse uniformi nel corpo.
Sono costitutivamente omogenei con suciente approssimazione molti materiali di interesse
applicativo quali: le leghe metalliche, come gli acciai e le leghe leggere, i materiali polimerici
e gli elastomeri. Alcuni materiali, chiamati compositi, sono realizzati appositamente non omo-
genei per sfruttare speciche sinergie che si producono proprio per il diverso comportamento
costitutivo delle fasi omogenee che li compongono. Come esempio di materiale non omogene-
ro, oltre al gi`a citato cemento armato, si pu`o considerare il composito realizzato con bre di
carbonio e matrice polimerica che `e un materiale usato in applicazioni in cui `e necessario un
elevato rapporto tra resistenza o rigidezza e peso. Anche alcuni trattamenti termici o termo-
meccanici, come la cementazione o la nitrurazione, generano materiali non omogenei per i quali
il diverso comportamento costituivo della zona superciale rispetto alle zone interne permette
di contrastare gli eetti prodotti da forti sollecitazioni superciali locali (per esempio nelle piste
dei cuscinetti) lasciando al componente elevate caratteristiche di duttilit`a.
16.4.2 Materiali isotropi
Un materiale `e costitutivamente isotropo (isotropic) se le sue propriet`a non dipendono
dalla direzione. In termini matematici `e isotropa una quantit`a invariante per rotazione degli
assi. La nozione di isotropia si applica pertanto solo a propriet`a siche che hanno caratteristiche
direzionali e sono quindi descritte da vettori o tensori. Non ha infatti senso chiedersi, per
esempio, se la densit`a di massa `e isotropa, visto che tale propriet`a, essendo uno scalare, `e
invariante per rotazione degli assi. Peraltro, molte propriet`a meccaniche dei materiali, come la
rigidezza e la resistenza che analizzeremo a fondo, ma anche varie altre propriet`a siche, come
le conducibilit`a termica e elettrica o la dilatabilit`a termica, hanno caratteristiche direzionali.
Per comprendere il concetto di isotropia costitutiva conviene riferirsi a un contro-esempio
e considerare lanisotropia (anisotropy). Un materiale broso, come una lastra di compo-
sito o una tavola di legno massello, `e tipicamente anisotropo dal punto di vista costitutivo.
Supponiamo, per esempio, di voler caratterizzare una lastra di carbo-resina nei confronti della
resistenza (strength) a trazione. A tale scopo facciamo estrarre dalla lastra due provi-
ni uguali per forma e dimensioni, uno con lasse parallelo alle bre di carbonio e laltro con
lasse perpendicolare. Supponiamo che, dopo lestrazione, i provini siano verniciati in modo
da nascondere lorientamento delle bre. Nonostante la verniciatura, dato che la capacit`a di
sopportare carichi prima di rompersi `e molto maggiore se il materiale `e sollecitato nel senso
delle bre, lesito delle prove permetter`a di identicare lorientamento originario del provino.
In tali circostanze concluderemo che il materiale in esame `e anisotropo per quanto riguarda la
resistenza a trazione. Possiamo quindi assumere la seguente denizione operativa:
Per una determinata propriet`a, un materiale `e isotropo in un punto se, estratto
localmente un piccolo provino, non `e possibile riconoscerne lorientamento originario
tramite la misura di tale propriet`a.
Dal punto di vista matematico, considerato un materiale isotropo per una certa caratteri-
stica, le singole componenti scalari della quantit`a che descrive tale propriet`a devono rimanere
invariate in conseguenza di una generica rotazione degli assi del sistema di riferimento. In par-
ticolare, sappiamo che, ruotando gli assi, le componenti di entrambi i tensori S ed E in genere
490
16.4. IL MATERIALE OMOGENEO ISOTROPO ELASTICO LINEARE
mutano, tuttavia, se il materiale `e costitutivamente isotropo, la legge che lega i tensori (con
tutti i relativi parametri) deve avere la stessa rappresentazione in ogni sistema.
16.4.3 Materiali elastici
Nella letteratura si possono trovare denizioni diverse di elasticit`a (elasticity) che tuttavia
sono tutte, almeno per gli scopi del presente corso, sostanzialmente equivalenti. Come per
lomogeneit`a e lisotropia anche per lelasticit`a ci proponiamo di fornire una denizione operativa
basata sullinterpretazione di un esperimento. In pratica ci chiediamo: come si deve comportare
sperimentalmente un corpo costituito con materiale elastico? A tale scopo, vincoliamo il corpo
in esame al telaio (generalmente la ganascia ssa di una macchina di prova) in modo da poter
esercitare su di esso un controllato sistema di carichi. Applichiamo quindi il carico in modo
quasi statico aumentano progressivamente lintensit`a a partire dalla condizione di di riferimento
(generalmente a corpo scarico). La prima parte della prova in cui i carichi crescono si chiama
fase di carico (loading phase). Successivamente, sempre in modo quasi statico, riportiamo
il carico al valore iniziale attuando la fase di scarico (unloading phase). La fase di scarico
pu`o essere eettuata con sequenze qualunque, anche diverse da quelle di carico. Per esempio,
nel caso di un corpo caricato con due forze, queste possono raggiungere il massimo crescendo
insieme con la medesima legge (caricamento omotetico) ed essere successivamente riportate a
zero in sequenza (prima una e dopo laltra). Durante lintera prova misuriamo e registriamo,
oltre al carico applicato, almeno una grandezza deformativa del corpo che in linea di principio
pu`o essere qualunque, come per esempio: lo spostamento di un punto, lallontanamento di
due punti, la variazione dellarea o del volume di una porzione del corpo, ecc. . . . Il materiale
del corpo `e elastico (elastic) se a scarico completato, quando il carico `e tornato al valore
iniziale, tutte le grandezze geometriche misurate assumono il valore iniziale. Pertanto vale
questa denizione:
se, dopo un processo di carico-scarico completo, un corpo non manifesta alcuna
deformazione il materiale di cui `e composto ha avuto un comportamento costituito
elastico.
Alcune caratteristiche generali dei materiali elastici, ampiamente sfruttate nel seguito, sono
elencate nei punti seguenti.
Le propriet`a di un materiale elastico non sono modicate dal caricamento, il compor-
tamento meccanico non `e pertanto inuenzato dal tempo o dalla storia di sollecitazione
precedentemente subita dal materiale; il materiale elastico non ha quindi memoria della
storia passata e, di conseguenza, la legge costitutiva non dipende esplicitamente
dal tempo.
Se su un corpo costituito di materiale elastico e vincolato in modo almeno isostatico, si
applica carico che fa lavoro, e questo viene fatto aumentare in modo omotetico (ovvero
le azioni correnti sono: P = P
F
, Q = Q
F
, M = M
F
con [0, 1]), una qualunque
grandezza deformativa del corpo `e biunivocamente legata al livello del carico stesso.
Un caso particolare della propriet`a precedente, ma con notevoli conseguenze, `e rappre-
sentato dal corpo costituito dal parallelepipedo elementare in cui S `e il carico ed E la
grandezza deformativa: un materiale elastico `e caratterizzato da un legame funzionale
biunivoco tra S ed E.
In un caricamento quasi statico, il lavoro complessivamente fatto dalle forze esterne appli-
cate in modo quasi statico su un corpo elastico pu`o essere completamente recuperato,
491
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
pertanto le interazioni interne responsabili del comportamento elastico sono conservative
ed `e quindi denibile una energia potenziale elastica (elastic energy) complessiva
del corpo
Lenergia elastica complessiva immagazzinata in un corpo sar`a indicata U.
Lenergia elastica U accumulata in un corpo elastico continuo `e pari al lavoro fatto
dalle forze esterne e quindi anche al lavoro fatto dalle tensioni sullinsieme dei suoi
parallelepipedi elementari:
U = L
ext
= L
ten
Lenergia elastica accumulata in una porzione qualunque di un corpo elastico `e pari al
lavoro fatto dalle forze esterne agenti sulla porzione stessa. Considerando come parte
un parallelepipedo elementare, il lavoro fatto dalle tensioni l
ten
dV si trasforma quindi in
variazione di energia elastica interna dU, per cui:
dU = l
ten
dV
Dato che il parallelepipedo elementare `e innitesimo e omogeneo per denizione, lenergia
elastica pu`o essere considerata uniformemente distribuita nel volume del parallelepipedo
La densit`a di energia elastica (elastic energy density), che rappresenta la grandezza
intensiva associata allenergia elastica e che sar`a indicata con , `e quindi per denizione:
=
dU
dV
Per un materiale elastico in caricamento quasi-statico la densit`a di energia elastica `e
uguale alla densit`a di lavoro fatto dalle tensioni:
= l
ten
In un ciclo chiuso di carico-scarico quasi statico, il lavoro complessivamente fatto dalle
forze esterne sul corpo, e dalle tensioni su ogni singolo parallelepipedo, `e nullo.
In un caricamento quasi statico di un corpo elastico, carichi e spostamenti (cos` come
tensioni e deformazioni) variano nel tempo in fase, ovvero non si producono ritardi o
anticipi tra le variazioni del carico e le conseguenti variazioni delle propriet`a geometriche
prodotte dal carico.
Le caratteristiche di perfetta elasticit`a descritte nei punti precedenti non sono, a stretto
rigore, riscontabili sperimentalmente in alcun materiale dato che, come conseguenza del secondo
principio della termodinamica, processi perfettamente conservativi e reversibili non esistono a
livello macroscopico. Tuttavia, il modello di materiale elastico `e di notevole utilit`a pratica in
quanto si verica che:
tutti i materiali solidi a temperature assolute inferiori a un terzo della temperatura
di fusione (o di cambio di fase) manifestano un comportamento che pu`o essere
considerato elastico con suciente approssimazione, almeno no a che le tensioni
non superano livelli caratteristici del materiale.
492
16.4. IL MATERIALE OMOGENEO ISOTROPO ELASTICO LINEARE
Dato che la reversibilit`a nel comportamento costitutivo `e fondamentale per lesercizio di
molti organi meccanici, il rispetto dei limiti termici e tensionali che garantiscono il compor-
tamento elastico `e, in genere, una condizione necessaria per la verica strutturale. In altri
termini, in molte situazioni la verica di resistenza del materiale ne impone generalmente il
comportamento elastico.
Dal punto di vista sico `e opportuno distinguere due classi di materiali elastici:
i materiali cristallini, tipicamente i metalli
gli elastomeri: le gomme.
Come osservato nei precedenti capitoli, la deformazione dei materiali solidi `e la manifestazione
macroscopica di modiche della posizione relativa degli atomi nel reticolo. Nella deformazione
elastica di un cristallo, la tensione altera solo debolmente la forma e le dimensioni del cristallo
(vedi capitolo 12) e ogni atomo rimane connesso con gli stessi atomi con i quali interagiva
elettromagneticamente prima che la tensione fosse applicata. La conservazione della topograa
del cristallo impone quindi che gli spostamenti relativi degli atomi siano piccoli e ci`o spiega il
motivo per cui le deformazioni elastiche nei materiali cristallini devono essere piccole.
Le deformazioni elastiche nelle gomme sono invece spiegabili con un meccanismo diverso
e pi` u complesso. Un elastomero pu`o essere infatti rappresentato come una matassa aggrovi-
gliata di lunghe catene polimeriche gli elementi delle quali sono tenuti insieme da forti legami
longitudinali. In condizioni naturali, senza tensioni applicate, tali catene hanno assi di forma
complicata a causa di deboli legami secondari che si manifestano trasversalmente tra le diverse
catene e tra diversi tratti di una stessa catena. Applicando una trazione monoassiale crescente
si determina la rottura progressiva dei legami secondari a cui consegue un graduale stiramento
delle catene e un loro allineamento nella direzione principale dello stato di tensione. Quando il
carico viene ridotto, i legami secondari tendono a ricostituirsi, anche se non esattamente nelle
stesse posizioni e modalit`a, e di conseguenza si produce il riaggrovigliamento delle catene che
rende il processo deformativo quasi reversibile. Tale meccanismo deformativo, completamente
diverso da quello dei cristalli, giustica il peculiare comportamento elastico delle gomme. In par-
ticolare, gli elastomeri possono essere deformati elasticamente a livelli vari ordini di grandezza
pi` u elevati rispetto ai cristalli, inoltre le deformazioni delle gomme sono generalmente accom-
pagnate da processi dissipativi (comportamento visco-elastico) molto pi` u marcati rispetto a
quanto si verica nei materiali elastici cristallini.
Nel seguente esempio `e discusso il modo con cui si pu`o vericare lelasticit`a del materiale di
un corpo, tramite linterpretazione di una prova di carico-scarico.
Esempio 16.5: Prova sperimentale per la verica di elasticit`a
Consideriamo il corpo di gura 16.9a) che `e caricato da una forza di modulo Q, applicata
nello stesso punto e che conserva nel caricamento la direzione. Nella fase di carico
la forza viene fatta crescere da zero al valore nale Q
F
e successivamente, dopo un
tempo di mantenimento, viene riportata a zero con la legge temporale mostrata in gura
16.9b). Durante la prova `e misurato lallontanamento dei punti A e B ovvero la quantit`a
[A

AB[ che `e rappresentata su un graco cartesiano insieme al corrispondente valore


493
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
del modulo Q del carico. Discutere in base al tipo di curva ottenuta le propriet`a di
elasticit`a del materiale.
A
B
Q Q
F
Q
t
(a) (b)
1
t
2
t
3
t
Figura 16.9: Corpo genericamente sollecitato (a) da un ciclo completo di
carico e scarico (b)
Consideriamo il tempo t come parametro e, per comodit`a, indichiamo con d (t) la
distanza tra i punti A e B, quantit`a che, al tempo iniziale t = 0, assume il valore: d (0) =
[AB[ = d
0
. La grandezza deformativa di interesse `e quindi denita dalla relazione:
u(t) = d (t) d
0
In ogni istante, con il carico applicato Q(t), rappresentato nella gura 16.9b), si misura il
corrispondente valore di u(t) il cui graco `e riportato in gura 16.10.
u
t
1
t
2
t
3
t
Figura 16.10: Rilievo dello spostamento relativo dei punti A, B durante la
prova
Dal confronto dei graci di u(t) e Q(t) si ricavano varie indicazioni che suggeriscono
lelasticit`a del materiale, in particolare:
lo spostamento relativo u ritorna a zero quando il carico viene eliminato
il modulo dello spostamento relativo cresce quando il carico aumenta e diminuisce in
fase di scarico
quando il carico `e stazionario anche lo spostamento relativo rimane costante.
494
16.4. IL MATERIALE OMOGENEO ISOTROPO ELASTICO LINEARE
Pu`o essere utile sottolineare che, anche se il materiale `e perfettamente elastico, le curve
Q(t) e u(t) non necessariamente sono simili, ovvero sovrapponibili se normalizzate sul loro
valore massimo. Tuttavia, se il materiale `e elastico non pu`o mai vericarsi che una curva
aumenti e laltra diminuisca nemmeno localmente.
Per evidenziare le caratteristiche di elasticit`a del materiale `e opportuno considerare t
come parametro e rappresentare landamento di Q in funzione di u (o viceversa), otte-
nendo in tal modo una curva carico-spostamento (load-displacement curve). Se il
materiale `e elastico, la curva carico-spostamento `e del tipo rappresentato in gura 16.11.
( ) ( )
1 1 2 2
, , u Q u Q
Q
u
carico
scarico
Figura 16.11: Curva carico-spostamento per un materiale elastico
Dalla gura si ricava che:
la curva nella fase di carico (che rappresenta i valori relativi allintervallo [0, t
1
]) `e
ripercorsa nella fase di scarico, ovvero vi `e ununica curva carico-spostamento per
le fasi di carico e di scarico
lintervallo in cui il carico rimane sso [t
1
, t
2
] `e rappresentato da un unico punto, se
il carico si mantiene costante il processo deformativo si arresta
se la prova viene ripetuta, anche con una diversa evoluzione temporale del carico
(ma senza superare Q
F
), si ottiene una curva carico-spostamento sovrapposta alla
precedente
la curva carico-spostamento pu`o essere non lineare.
La gura 16.12 mostra invece una curva carico-spostamento per un corpo il cui materiale
ha un comportamento non elastico. Sarebbe pi` u appropriato aermare che, in questo caso,
il materiale del corpo ha deformazioni non solo elastiche. Si osserva infatti che:
la curva di scarico non ritorna allorigine, per cui alla ne del ciclo di carico-scarico
la distanza dei punti A e B `e diversa dal valore iniziale e ci`o implica che rimane nel
corpo una deformazione anche dopo la rimozione del carico, il materiale ha quindi
accumulato nel processo deformativo deformazioni residue,
la curva di scarico `e diversa da quella di carico
nella fase di carico sono state prodotte anche deformazioni plastiche o viscose oltre a
quelle elastiche.
495
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
( ) ( )
1 1 2 2
, , u Q u Q
Q
u
carico
scarico
Figura 16.12: Curva carico-spostamento per un materiale che ha un
comportamento non solo elastico
Quello descritto nellesempio precedente non `e lunico esperimento che si pu`o realizzare per
evidenziare lelasticit`a del materiale (e non `e nemmeno il pi` u adatto), conclusioni analoghe
possono infatti essere ottenute anche con carichi pi` u complessi e considerando altre propriet`a
deformative. Lesempio `e per`o signicativo per fare alcune fondamentali considerazioni.
Prendendo a riferimento una curva di carico-scarico per un parallelepipedo elementare, il cui
carico `e completamente rappresentato dal tensore di tensione e la variazione di forma dal tensore
di deformazione, una legge costitutiva elastica si pu`o quindi esprimere come una relazione
funzionale biunivoca:
S = f (E) (16.22)
con la quale indichiamo formalmente la propriet`a che qualunque componente tensionale
ij
rap-
presentata su un diagramma in funzione di una qualunque deformativa
rs
ha le caratteristiche
della funzione Q(u) di gura 16.11. Si osservi che dal punto di vista matematico, la semplicit`a
della relazione (16.22) `e solo apparente, in eetti la legge lega due grandezze tensoriali e quindi
f `e una funzione denita in R
6
con valori in R
6
.
16.4.4 Materiali elastici lineari
La pi` u semplice relazione matematica del tipo (16.22) `e denita da una relazione lineare a
parametri costanti. Il legame costitutivo lineare implica che il graco che riporta una compo-
nente del tensore di Cauchy in funzione di una componente del tensore di deformazione `e una
retta. Se i valori iniziali sono considerati nulli, quindi `e ssata la condizione di riferimento a
parallelepipedo scarico e indeformato, la relazione lineare diventa di semplice proporzionalit`a
diretta: la retta passa per lorigine. In termini generali, il legame (16.22) per un materiale
lineare si pu`o esprimere quindi come:

mn
=
3

i=1
3

j=1
q
mnij

ij
(16.23)
oppure con la relazione inversa:

mn
=
3

i=1
3

j=1
c
mnij

ij
(16.24)
Le grandezze q
mnij
e c
mnij
, chiamate costanti elastiche (elastic constants) rispettivamente
di rigidezza (stiness) e di deformabilit`a (compliance), sono caratteristiche del materiale
e devono essere misurate.
496
16.5. EQUAZIONE COSTITUTIVA PER UN MATERIALE ELASTICO LINEARE
Esempio 16.6: Materiale elastico lineare
Rappresentare la curva carico-spostamento per un corpo realizzato di materiale elastico
lineare in un esperimento di carico-scarico quasi statico.
Riprendiamo lesempio precedente, nel caso di comportamento elastico lineare del ma-
teriale e in condizioni di validit`a della meccanica dei corpi poco deformabili la curva
sperimentale carico-spostamento assume la forma riportata in gura 16.13
Q
u
carico
scarico
( ) ( )
1 1 2 2
, , u Q u Q
Figura 16.13: Curva carico-spostamento per un materiale elastico-lineare
Nota.
`
E importante osservare che una curva carico-spostamento non lineare potrebbe
essere ottenuta anche in un esperimento in cui il materiale ha comportamento costitutivo
elastico lineare. Le non linearit`a della curva carico-spostamento potrebbero infatti derivare
anche da eetti di tipo geometrico dovuti ai grandi spostamenti (vedi capitolo 11) come,
per esempio, sensibili modiche della congurazione sotto carico oppure variazioni delle
condizioni di vincolo indotte dalla modica di congurazione. In generale, per`o, nellambito
della meccanica dei corpi poco deformabili con vincoli ideali, la linearit`a costitutiva implica
anche la linearit`a della generica curva carico-spostamento.
16.5 Equazione costitutiva per un materiale elastico lineare
Si verica sperimentalmente che tutti i solidi cristallini sottoposti a stati tensionali non mol-
to intensi manifestano un comportamento lineare elastico e la loro legge costitutiva pu`o essere
quindi rappresentata dalla relazione (16.23) oppure dalla sua inversa equivalente (16.24) chia-
mate leggi di Hooke generalizzate. Lo scienziato inglese Robert Hooke (1635-1702) fu infatti
il primo a evidenziare la legge empirica di proporzionalit`a che lega tensioni e deformazioni nei
solidi. Conformandosi a una consuetudine diusa tra gli scienziati dellepoca, Hooke pubblic`o
la legge da lui scoperta sotto forma di anagramma ceiiinosssttuv. Lanagramma celava in
eetti la frase sic tensio ut vis che, in linguaggio moderno, si pu`o tradurre letteralmente come:
tanta estensione quanta forza. La legge di Hooke nella forma che sar`a presentata nel presente
paragrafo `e chiaramente successiva e richiede la formulazione moderna dei tensori di tensione e
deformazione.
16.5.1 Tensori di rigidezza e di deformabilit`a e loro rappresentazione matri-
ciale
Dalle leggi di Hooke generalizzate (16.23) e (16.24) si deduce che le propriet`a costitutive di
un materiale elastico lineare sono rappresentabili tramite una coppia di tensori del quarto ordine
con componenti scalari aventi 4 pedici. In eetti, il tensore di rigidezza (stiness tensor), le
497
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
cui componenti sono q
mnij
, pu`o essere interpretato come linsieme ordinato dei coecienti della
trasformazione lineare che associa al campo tensoriale delle deformazioni il campo tensoriale
delle tensioni. Il tensore di deformabilit`a (compliance tensor), con componenti c
mnij
,
denisce la trasformazione lineare inversa.
Dato che ognuno dei pedici pu`o assumere 3 valori, un materiale elastico lineare `e quindi
descritto da 3
4
= 81 costanti elastiche, tante sono le quantit`a c
mnij
, e altrettante le q
mnij
. For-
tunatamente, il numero di propriet`a elastiche indipendenti che determinano le 81 componenti
di ciascuno dei tensori di elasticit`a `e, come vedremo, molto inferiore. Infatti, come abbiamo
vericato nel caso dei tensori di ordine 2, anche per i tensori di elasticit`a devono essere rispet-
tate alcune propriet`a generali per cui non tutte le 81 c
mnij
(o le q
mnij
) possono essere ssate
arbitrariamente. Allo scopo di evidenziare le dipendenze esistenti tra le costanti elastiche, `e
necessario esaminare le caratteristiche invarianti dei tensori di elasticit`a e quindi esplicitare co-
me le componenti si modicano con la rotazione del sistema di riferimento. Questo studio, che
consentirebbe di identicare tutte le possibili anisotropie dei materiali elastici cristallini, esula
dal programma del corso e sar`a eettuato solo a grandi linee.
Un signicativo sfoltimento delle costanti elastiche si ottiene peraltro in modo semplice,
considerando la simmetria di entrambi i tensori di tensione e di deformazione. Dato che
ij
=

ji
, linversione degli indici i e j nella relazione (16.24) non deve produrre alcun eetto, e
da ci`o consegue che: c
mnij
= c
mnji
. Analogamente per la simmetria di E deve essere anche:
c
mnij
= c
nmij
.
La riduzione del numero di costanti elastiche indipendenti legate alle simmetrie dei tensori S
ed E pu`o essere evidenziata calcolando direttamente il numero di condizioni di uguaglianza dei
coecienti elastici con elementari considerazioni di algebra combinatoria. Tuttavia, questa va-
lutazione e, sopratutto, la conseguente semplicazione della legge costitutiva, pu`o essere meglio
evidenziata ricorrendo alla notazione introdotta da Woldemar Voight (1850-1919). Voight ha
proposto di eettuare una formale vettorializzazione dei tensori di ordine 2 in modo da poterli
rappresentare, invece che nella forma consueta di matrici quadrate, come matrici colonna:
=
_
_
_
_
_
_
_
_

11

22

33

23

13

12
_
_
_
_
_
_
_
_
; =
_
_
_
_
_
_
_
_

11

22

33

23

13

12
_
_
_
_
_
_
_
_
Tramite la notazione di Voight sono evidenziate solo le 6 componenti scalari indipendenti di S
ed E. Si osservi che nei vettori di Voight sono inseriti prima i termini diagonali delle matrici
(con somma degli indici crescente) e successivamente i termini fuori diagonale (con somma degli
indici decrescente) e che nel vettore delle deformazioni sono riportate le componenti angolari
ingegneristiche .
Il legame costitutivo (16.23) pu`o essere scritto in notazione di Voight come segue:
_
_
_
_
_
_
_
_

11

22

33

23

13

12
_
_
_
_
_
_
_
_
=
_
_
_
_
_
_
_
_
Q
11
Q
12
Q
13
Q
14
Q
15
Q
16
Q
21
.. .. .. .. ..
Q
31
.. .. .. .. ..
Q
41
.. .. .. .. ..
Q
51
.. .. .. .. ..
Q
61
.. .. .. .. Q
66
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_

11

22

33

23

13

12
_
_
_
_
_
_
_
_
(16.25)
e in forma contratta:
= Q (16.26)
498
16.5. EQUAZIONE COSTITUTIVA PER UN MATERIALE ELASTICO LINEARE
La relazione (16.26) denisce Q che `e chiamata matrice di rigidezza del materiale.
I coecienti della matrice di rigidezza Q
hg
, con h, g = 1..6, sono legati biunivocamente
alle componenti del tensore di rigidezza, infatti, `e immediato vericare che: Q
11
= q
1111
,
2Q
16
= q
1112
= q
1121
, ecc. . . . La matrice Q rappresenta pertanto il tensore di rigidezza del
quarto ordine q
mnij
nella notazione di Voight. Si osservi che nella notazione di Voight, `e
possibile rappresentare la rigidezza su un foglio in forma strutturata (ovvero con la corretta
logica dei pedici) e completa (in tutte le sue componenti scalari). La rappresentazione diretta
del tensore q
mnij
sarebbe invece molto pi` u problematica.
La relazione (16.26) pu`o essere invertita:
_
_
_
_
_
_
_
_

11

22

33

23

13

12
_
_
_
_
_
_
_
_
=
_
_
_
_
_
_
_
_
C
11
C
12
C
13
C
14
C
15
C
16
C
21
.. .. .. .. ..
C
31
.. .. .. .. ..
C
41
.. .. .. .. ..
C
51
.. .. .. .. ..
C
61
.. .. .. .. C
66
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_

11

22

33

23

13

12
_
_
_
_
_
_
_
_
(16.27)
in forma compatta:
= C (16.28)
in cui C `e la matrice di deformabilit`a. Tra le due matrici vale la relazione:
C = Q
1
(16.29)
Il legame costitutivo scritto in notazione di Voight (16.26) o (16.28) evidenzia che, essendo
le matrici costitutive 66, le costanti elastiche indipendenti di un materiale elastico lineare non
possono essere pi` u di 36. La riduzione da 81 a 36 consegue quindi direttamente dalla simmetria
dei tensori S ed E.
16.5.2 Densit`a del lavoro fatto dalle tensioni e densit`a di energia elastica
Calcoliamo la densit`a del lavoro che fanno le tensioni applicate su un parallelepipedo elemen-
tare di materiale elastico lineare per portarlo, in modo quasi statico, dallo stato indeformato a
una generica deformazione piccola ma nita. Nella notazione di Voight lo stato iniziale (indefor-
mato) `e denito dal vettore deformazione = 0 mentre lo stato nale (generico) `e rappresentato
dal vettore . Allo scopo di applicare la relazione (16.8), dividiamo il processo deformativo in
una sequenza di variazioni innitesime (e quindi virtuali) di congurazione d per ognuna delle
quali la densit`a del lavoro fatto dalle tensioni vale:
dl
ten
=
11
d
11
+
22
d
22
+
33
d
33
+
12
d
12
+
13
d
13
+
23
d
23
=
T
d (16.30)
in cui rappresenta il vettore di Voight della tensione corrente S e quindi dipende dalla
condizione deformativa raggiunta in quella congurazione. La relazione (16.30) mostra che i
vettori di Voight ed sono energeticamente connessi. Poiche in un materiale elastico, anche
non lineare, la densit`a di energia elastica `e funzione della congurazione corrente (e quindi della
deformazione E o ), `e possibile esplicitare formalmente in funzione delle componenti di :
() = (
11
,
22
,
33
,
12
,
13
,
23
)
dierenziando la precedente relazione si ottiene la variazione di energia elastica connessa con
una variazione innitesima di congurazione:
d =

11
d
11
+

22
d
22
+

33
d
33
+

12
d
12
+

13
d
13
+

23
d
23
499
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
Dato che d = dl
ten
dalla relazione precedente e dalla (16.31), entrambe valide per qualunque
combinazione di componenti di d, si ricava:

11
=
11
,

22
=
22
,

33
=
33
,

12
=
12
,

13
=
13
,

23
=
23
Possiamo pertanto concludere che:
per un materiale elastico, non necessariamente lineare, la densit`a di energia elastica
pu`o essere espressa come funzione delle componenti deformative e la derivata parziale
di tale funzione calcolata rispetto a una componente del vettore di deformazione di
Voight restituisce lomologa componente tensionale.
`
E opportuno sottolineare che la precedente propriet`a consegue dalla sola ipotesi di esistenza
delle funzione di densit`a di energia elastica (), a prescindere dalla forma della funziona stessa
e quindi richiede solo la condizione di conservativit`a delle forze interne ovvero lelasticit`a del
materiale. Consideriamo il caso particolare, ma molto utile, di un materiale elastico lineare
per il quale la tensione corrente `e esprimibile come combinazione lineare delle componenti
deformative correnti. In questo caso si ha:
dl
ten
=
T
d =
6

h=1
6

g=1
Q
hg

g
d
h
da cui, eettuando lintegrazione sul percorso deformativo, si ottiene:
l
ten
() =

_
0
dl
ten
=
1
2

T
Q =
1
2

T
(16.31)
dove con l () indica il lavoro per unit`a di volume fatto dalle tensioni per portare il parallelepi-
pedo dalla condizione di riferimento alla deformazione generica . Essendo il materiale elastico,
il lavoro fatto dalle tensioni `e uguale allenergia elastica accumulata pertanto, la densit`a di ener-
gia di un materiale elastico lineare quando viene raggiunto uno stato di deformazione generico
e di tensione vale:
=
1
2

T
=
1
2
(
11

11
+
22

22
+
33

33
+
12

12
+
13

13
+
23

23
) (16.32)
Il fattore moltiplicativo
1
2
, che formalmente deriva dallintegrazione (
_
xdx =
1
2
x
2
+ c), `e
una evidente conseguenza della linearit`a della legge costitutiva in virt` u della quale, durante il
processo deformativo, le tensioni crescono proporzionalmente alle deformazioni. Il fattore ha la
stessa origine del medesimo coeciente che compare nellespressione dellenergia elastica delle
molle ideali. Dato che ogni componente di tensione dipende linearmente delle deformazioni, la
densit`a di energia elastica per un materiale elastico lineare `e quindi una forma quadratica
delle deformazioni elastiche raggiunte:
() =
1
2

T
Q (16.33)
i cui coecienti (a parte il fattore
1
2
) sono le componenti della matrice di rigidezza. Per
un materiale elastico lineare, la densit`a di energia elastica, in quanto forma quadratica delle
deformazioni, pu`o essere derivata no a qualunque ordine. Consideriamo in particolare le
derivate seconde, per esempio:

11

22
=

11

22
=

22

11
500
16.5. EQUAZIONE COSTITUTIVA PER UN MATERIALE ELASTICO LINEARE
dalla relazione (16.27) si ha:

22
= Q
21

11
+Q
22

22
+Q
23

33
+Q
24

23
+Q
25

13
+Q
26

12
dalla quale si ricava:

11

22
= Q
21
invertendo lordine delle derivazioni si ottiene invece:

22

11
=

22

11
=

11

22
= Q
12
Per lindipendenza dellordine di derivazione (teorema di Schwartz) ricaviamo quindi che:
Q
12
= Q
21
e, ripetendo il calcolo per tutte le coppie di componenti deformative, concludiamo che la ma-
trice di rigidezza `e simmetrica. La stessa propriet`a vale ovviamente anche per la matrice
di deformabilit`a. Pertanto, lesistenza di una funzione () per la densit`a di energia elastica
implica che un materiale elastico lineare abbia non pi` u di 21 costanti elastiche indipendenti che
sono le quantit`a che deniscono una generica matrice simmetrica 6 6.
In certi testi, per ragioni di tipo storico, un materiale la cui densit`a di energia `e esprimibile
come funzione dello stato di deformazione viene indicato come iperelastico o materiale di
Green in onore di George Green (1793-1841). Un materiale che mostra un generico legame
funzionale tra tensione e deformazione del tipo (16.22), in particolare lineare, `e invece chiamato
materiale di Cauchy. Il materiale che sar`a considerato nel presente corso `e lineare elastico
ed `e quindi un materiale di Green-Cauchy. I solidi cristallini poco sollecitati sono materiali
di Green-Cauchy. La simmetria delle matrici di rigidezza e di deformabilit`a, conseguente alle-
sistenza di una densit`a di energia elastica, `e una caratteristica generale che ritroveremo sotto
altra forma anche in contesti diversi.
Esempio 16.7: Giusticazione del fattore
1
2
nellespressione dellenergia
Si consideri un materiale elastico lineare la cui legge costitutiva `e espressa dalla relazione:
_
_

11

22

12
_
_
=
_
_
2 0.5 0.5
1.5 0.4
Sym 1
_
_
_
_

11

22

12
_
_
semplicata per le sole componenti piane e in cui le tensioni devono essere espresse in MPa
e le deformazioni in . Viene prodotto un caricamento graduale con legge temporale di
deformazione:
_
_

11
(t)

22
(t)

12
(t)
_
_
=
_
_
100
150
80
_
_
_
t
t
F
_
2
con 0 t t
F
a) Determinare lo stato di tensione nale (componenti piane)
b) Tracciare i diagrammi delle componenti piane della tensione in funzione delle
deformazioni omonime durante il processo deformativo
c) Determinare la densit`a di energia elastica immagazzinata.

501
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
Risposta a)
Lo stato di tensione nale si ottiene per moltiplicazione diretta:
_
_

11

22

12
_
_
=
_
_
315
307
70
_
_
MPa
Per lelasticit`a del materiale, lo stato di tensione `e indipendente dallevoluzione del processo
deformativo che porta alla condizione nale.
Risposta b)
Il tempo pu`o essere considerato un parametro, il processo deformativo `e omotetico (le
componenti crescono con la stessa legge) e lo stesso vale per le tensioni per la linearit`a
costitutiva.
11 22 12
, ,
ij

( ) 100, 315 componenti 11


( ) 80, 70 componenti 12
( ) 150, 307
componenti 22

Figura 16.14: Curve tensione deformazione


Risposta c)
La densit`a di energia elastica si ottiene dalla densit`a del lavoro fatto dalle tensioni.
Il risultato `e indipendente dalla storia di carico per cui possiamo assumere un aumento
omotetico delle componenti. Il lavoro per unit`a di volume prodotto dalla componente
11
`e dato dallarea del triangolo sotteso dalla curva
11

11
(gura 16.15). Il graco illustra
come il fattore
1
2
derivi della crescita contemporanea della tensione e della deformazio-
ne energeticamente associata. La densit`a di energia complessiva (comprendente tutte le
componenti) vale: 4.157 10
4
J/m
3
.
11

11

( ) 100, 315
Figura 16.15: Lavoro per unit`a di volume fatto dalla componente
11
502
16.5. EQUAZIONE COSTITUTIVA PER UN MATERIALE ELASTICO LINEARE
16.5.3 Limiti di natura termodinamica ai valori delle costanti elastiche
Alcune importanti conseguenze generali possono essere dedotte del fatto che la densit`a
dellenergia interna per un materiale elastico lineare `e una forma quadratica delle deformazioni.
Consideriamo un parallelepipedo elementare di materiale elastico lineare il quale, partendo dalla
condizione naturale ( = 0), sia sottoposto a un caricamento progressivo caratterizzato da una
sola componente tensionale non nulla, per ssare le idee assumiamo solo
12
> 0. In generale,
nel parallelepipedo si pu`o manifestare una deformazione caratterizzata da tutte le componenti,
questa situazione si verica eettivamente in un materiale genericamente anisotropo. Non `e
semplice fornire previsioni generali sullentit`a, o anche solo sul segno, delle varie componenti di
deformazione prodotte nellesperimento, tuttavia, almeno sulla componente
12
che `e la quantit`a
energeticamente associata alla tensione non nulla, `e possibile fare alcune considerazioni. In
primo luogo, osserviamo che la
12
non pu`o essere nulla poiche, se cos` fosse, il parallelepipedo
si comporterebbe come un corpo innitamente rigido, almeno per tale tipo di sollecitazione.
In eetti, se fosse
12
= 0 il parallelepipedo pur essendo caricato non accumulerebbe alcuna
energia elastica. A maggior ragione, la
12
non pu`o avere segno discorde dalla componente
tensionale energeticamente associata, quindi deve essere:
12

12
> 0, perche, diversamente, il
parallelepipedo avrebbe, per lo meno su questa componente, un comportamento analogo a quello
di una molla con costante elastica negativa (una tale molla si allungherebbe se schiacciata!). Un
corpo fatto di un simile materiale, se fatto rimbalzare a terra, acquisterebbe energia cinetica a
ogni impatto, e permetterebbe quindi di realizzare un moto perpetuo di prima specie.
Pertanto, per il principio di conservazione dellenergia, gli elementi diagonali della matrice
di deformabilit`a C
ii
, che legano componenti deformative e tensionali energeticamente connesse,
e per questo si chiamano termini di accoppiamento diretto, devono essere tutti strettamente
positivi. Positivi devono quindi essere anche i termini diagonali della matrice di rigidezza.
Consideriamo pertanto un parallelepipedo elementare di materiale elastico lineare (anche
genericamente anisotropo) sottoposto a uno stato di tensione che ha una sola componente
non nulla. Ricaviamo che, in generale, lo stato di tensione debba produrre la componente
deformativa omologa che deve avere segno concorde con la componente tensionale e possa
produrre componenti deformative con pedici diversi. Le componenti deformative con pedici
diversi sono giusticate dalla presenza dei termini fuori diagonale non nulli della matrice di
deformabilit`a. Le componenti deformative con pedici diversi, e quindi non energeticamente
associate, possono essere nulle, avere lo stesso segno o anche segno opposto della componente
tensionale. I termini fuori diagonale delle matrici di elasticit`a, detti termini di accoppiamento
misto, possono quindi essere positivi, negativi o nulli.
Se il parallelepipedo elementare `e sollecitato da un generico stato di tensione in cui sono
presenti pi` u componenti non nulle, non si pu`o escludere che, a causa degli accoppiamenti misti,
qualche componente deformativa (per esempio la solita
12
) assuma segno opposto alla omologa
componente tensionale e quindi che, allequilibrio, possa essere:
12

12
< 0. In tal caso, nel
processo di caricamento la componente
12
far`a lavoro negativo e tender`a a ridurre la densit`a
di energia elastica immagazzinata nel parallelepipedo (lavoro fatto dal parallelepipedo sullam-
biente esterno). Tuttavia, considerato che necessariamente in questo caso sono energeticamente
attive anche altre componenti tensionali, per evitare il paradosso del moto perpetuo, `e neces-
sario che il contributo negativo della coppia
12

12
sia pi` u che compensato da quello positivo
fatto dalle altre componenti. Per il rispetto del primo principio della termodinamica si ricava
quindi che il lavoro fatto da un generico stato di tensione per deformare un parallelepipedo
elastico a partire dalla congurazione scarica per portarlo a qualunque stato di deformazione,
e quindi lenergia elastica associata a un generico stato deformativo non nullo, `e una quantit`a
positiva, pertanto:
503
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
per un materiale lineare elastico, ssato convenzionalmente a zero il valore della
densit`a di energia quando la deformazione `e nulla, la densit`a di energia elastica `e
una forma quadratica denita positiva delle componenti di deformazione.
Si pu`o prevedere quindi che, per rispettare tale condizione per ogni stato di deformazione
`e necessario, ma non suciente, che tutti i termini di accoppiamento diretto siano positivi. I
termini di accoppiamento misto, che possono essere positivi, negativi o nulli, devono infatti
assumere valori contenuti entro deniti intervalli di ammissibilit`a.
La densit`a di energia elastica per un materiale elastico lineare pu`o essere espressa anche
come forma quadratica denita positiva delle tensioni:
(
11
,
22
,
33
,
23
,
13
,
12
) =
1
2

T
C (16.34)
espressione che si ottiene esplicitando nella relazione (16.33) la dipendenza lineare delle defor-
mazioni dalle tensioni.
16.6 La sovrapposizione degli eetti nella meccanica dei corpi
elastici
Come la mensola di gura 16.8, spesso un corpo deformabile `e sollecitato da varie forze
che fanno lavoro. In tali circostanze `e interessante considerare la relazione che sussiste tra
la deformata complessivamente prodotta da tutti i carichi e le deformate prodotte dai singoli
carichi agenti separatamente.
Se il materiale del corpo `e elastico e i vincoli sono ideali, la deformata prodotta dal carico
complessivo dipende, per denizione stessa di elasticit`a, solo dalle caratteristiche nali del
carico e non dalle modalit`a (storie temporali e sequenze) con cui le singole forze sono applicate.
Questa caratteristica consegue dalla sola conservativit`a delle forze interne e quindi vale anche
in presenza di elasticit`a non lineare (un materiale di Green pu`o avere una densit`a di energia
elastica anche non quadratica rispetto alle deformazioni) e di non linearit`a geometriche (grandi
spostamenti) o di vincolo (contatti unilateri). La sola ipotesi di elasticit`a del materiale `e
suciente quindi per garantire che la stessa congurazione nale sia raggiunta dal corpo facendo
crescere le forze esterne tutte con la medesima legge temporale (caricamento omotetico) oppure,
per esempio, portando le singole forze al valore nale una dopo laltra, o in qualsiasi altro modo.
Tuttavia, anche se il risultato deformativo nale non dipende dalla sequenza di caricamento,
in un corpo elastico in presenza di non linearit`a, di qualunque tipo queste siano, una generica
grandezza deformativa non `e in genere ottenibile come semplice somma algebrica degli eetti
che su tale grandezza sono prodotti dai singoli carichi agenti da soli. Tuttavia, se il problema
`e completamente lineare (in termini costitutivi, geometrici e di vincolo) tale procedimento `e
invece applicabile. Questa notevole propriet`a esprime il principio di sovrapposizione degli
eetti (P.S.E.) per i corpi deformabili:
nella meccanica dei corpi poco deformabili con vincoli ideali, se il materiale `e elastico
lineare, una generica componente deformativa prodotta dallazione di pi`u carichi che
agiscono insieme pu`o essere ottenuta dalla somma algebrica della stessa componente
deformativa prodotta dallazione indipendente dei carichi.
Nei seguenti esempi `e discussa lapplicabilit`a del P.S.E. in casi semplici.
504
16.6. LA SOVRAPPOSIZIONE DEGLI EFFETTI NELLA MECCANICA DEI CORPI ELASTICI
Esempio 16.8: Canna da pesca
Allestremo C di una canna da pesca di carbo-resina, vincolata come una mensola (gura
16.16), `e applicata una forza verticale P lentamente crescente da zero no a P
F
= 15 N e
misurato labbassamento v di C. Nellintervallo di valori esaminato, le misure P v (forze
in N e spostamenti in mm) sono approssimabili con la relazione empirica:
P (v) = av
3
+bv
dove a = 6.4 10
5
e b = 0.14. Si verica inoltre che la precedente relazione riproduce in mo-
do sucientemente preciso sia la fase di carico sia quella di scarico. Cosa si pu`o concludere
sullelasticit`a del materiale? Se il materiale `e elastico, valutare lenergia complessivamente
accumulata nella canna al massimo carico.
`
E applicabile il P.S.E. in questo caso?
B C
P
F
/4
P
P
F
C*
v
0 10 20 30 40 50
0
5
10
15
P (N)
v (mm)
Figura 16.16: Congurazioni di una canna da pesca durante un caricamento.
I rombi sono misure sperimentali la linea continua la legge P (v) indicata nel
testo
Lelasticit`a del materiale `e vericabile dalla coincidenza delle curve di carico e scarico.
`
E in eetti noto che il materiale carbo-resina `e con buona approssimazione elastico lineare,
almeno entro i limiti tensionali che non lo danneggiano. In questo caso la non linearit`a
della curva P (v) non `e quindi dovuta al legame costitutivo ma ai grandi spostamenti,
come gi`a osservato nel capitolo 12. La non linearit`a della funzione carico-spostamento, che
si manifesta con la concavit`a della curva P (v), `e infatti pi` u marcata ai livelli pi` u alti del
carico. Lenergia elastica immagazzinata pu`o essere comunque valutata in base al primo
principio della termodinamica, tenendo conto che P `e lunica forza esterna che fa lavoro.
Considerando che lo spostamento misurato `e la quantit`a energeticamente associata a P:
L
ext
=
v
F
_
0
P (v)dv = U = 275 Nmm
con v
F
= v (P
F
) = 50 mm. Poiche il graco di gura 16.16 riporta la forza in funzione
della grandezza deformativa energeticamente associata, il lavoro `e rappresentato dellarea
sottostante la curva di carico. Lo stato di tensione `e sicuramente variabile nei punti della
canna (basti considerare che anche le caratteristiche di sollecitazione variano lungo lasse) e
505
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
quindi lenergia elastica complessiva si distribuisce nel corpo con una densit`a non uniforme.
In questo caso il P.S.E. non `e applicabile nonostante lelasticit`a lineare del materiale. Per
vericarlo `e suciente considerare il carico nale come sovrapposizione di due forze uguali
pari a P
F
/2. La singola forza dimezzata produrrebbe infatti uno spostamento:
v
_
P
F
2
_
= 34.6 mm
e quindi la somma degli eetti separati darebbe:
v
_
P
F
2
_
+v
_
P
F
2
_
= 69.2 mm ,= v (P
F
) = 50 mm
Esempio 16.9: Spostamenti di un albero soggetto a carichi concentrati
Allalbero di acciaio in gura 16.17 sono applicate le forze trasversali P e Q. Tramite due
comparatori centesimali sono misurate le frecce verticali v
B
e v
D
, rispettivamente dei punti
di applicazione B e D, mentre si eseguono caricamenti con diverse sequenze di applicazione
delle forze (il segno degli spostamenti `e scelto concorde con lasse y). Le misure mostrano
che:
quando ognuna delle forze agisce da sola, gli spostamenti di entrambi i punti variano
proporzionalmente allintensit`a della forza
per ognuna delle 4 combinazioni possibili (ognuno degli spostamenti prodotto da
ognuna delle forze) la curva carico-spostamento `e ripercorsa nella fase di scarico.
C
D
z
y P
Q

5
0

6
0
150 300
A
B
150
Figura 16.17: Albero di acciaio
La seguente tabella fornisce le frecce dei punti B e D in corrispondenza dei valori estremi
dei carichi quando questi sono applicati da soli (per esempio: v
B,P
`e la freccia del punto B
quando agisce il solo carico P al suo valore nale):
Carico (kN) v
B
(mm) v
D
(mm)
P = 9.0 v
B,P
= 0.30 v
D,P
= 0.25
Q = 5.0 v
B,Q
= 0.14 v
D,Q
= 0.37
506
16.6. LA SOVRAPPOSIZIONE DEGLI EFFETTI NELLA MECCANICA DEI CORPI ELASTICI
a) Determinare lo spostamento complessivo di ognuno dei punti B e D quando sono
applicate entrambe le forze al valore massimo
b) Calcolare il lavoro fatto dalle singole forze per raggiungere il valore massimo quando
agiscono separatamente
c) Determinare lenergia elastica immagazzinata nellalbero quando entrambe le forze
hanno raggiunto il valore massimo.

Il materiale (solido cristallino) e lentit`a delle frecce (valori verosimili per una pratica
applicazione ed eettivamente piccoli rispetto alle dimensioni caratteristiche del corpo)
suggeriscono che si tratta di un problema elastico lineare sia dal punto di vista costitutivo
sia dal punto di vista geometrico e dei vincoli. I dati riportati nella tabella mostrano che
quando agisce una sola forza lo spostamento del suo punto di applicazione `e equiverso
alla forza. Il lavoro fatto da una forza esterna agente da sola `e pertanto positivo, in
coerenza con il primo principio della termodinamica. Al contrario, lo spostamento dellaltro
punto quando agisce una sola forza risulta di segno discorde alla forza. Questo fatto
non costituisce una violazione di principi generali poiche la quantit`a deformativa non `e
energeticamente associata al carico e quindi pu`o essere, rispetto a questo, concorde o
discorde (o anche nulla). In eetti, applicando solo P (verso le y positive) `e plausibile che
linessione della parte dellalbero tra i cuscinetti e la generale congruenza produca uno
spostamento verso lalto dellestremo D.
Risposta a)
Risulta quindi applicabile il P.S.E. e gli spostamenti complessivi dei punti B e D prodot-
ti da entrambe le forze quando raggiungono il valore nale si possono ottenere sommando
(algebricamente) gli spostamenti prodotti dai carichi agenti da soli:
v
B,tot
= v
B,P
+v
B,Q
= 0.16 mm
v
D,tot
= v
D,P
+v
D,Q
= 0.12 mm
Risposta b)
Il lavoro fatto dalle singole forze quando agiscono separatamente pu`o essere valutato
in base alla denizione. Tenendo conto che lo spostamento del punto di applicazione di
ognuna delle forze cresce proporzionalmente al livello di carico applicato, si ha:
L
P
=
1
2
Pv
B,P
= 1.33 J
L
Q
=
1
2
Qv
D,Q
= 0.921 J
507
16. LA LEGGE COSTITUTIVA
Risposta c)
Lenergia elastica globalmente accumulata quando agiscono entrambi i carichi e rag-
giungono il valore nale `e pari al lavoro fatto dalle forze. Dato che il problema `e elastico, la
sequenza di caricamento non pu`o avere eetto sullenergia elastica nale accumulata, per-
tanto per eettuare il calcolo la sequenza di caricamento pu`o essere scelta arbitrariamente.
Un modo comodo per calcolare tale lavoro consiste nellassumere che i carichi crescano
insieme con la medesima legge temporale (caricamento omotetico). Per la linearit`a, infatti,
anche gli spostamenti dei punti di applicazione cresceranno con la stessa legge temporale e
alla ne il lavoro complessivo fatto da entrambe le forze sar`a:
L
ext
=
1
2
Pv
B,tot
+
1
2
Qv
D,tot
= U = 0.982 J
Osserviamo che il lavoro totale non `e la somma dei lavori fatti separatamente dalle due
forze quando agiscono da sole. Non si deve per`o considerare questa circostanza in contrasto
con il P.S.E. Lenergia infatti non `e una funzione lineare del carico (nel caso in esame `e in
eetti una funzione quadratica) e non vi `e quindi nulla di anomalo nel risultato ottenuto.
Su questo fatto ritorneremo con maggiore cura tra qualche capitolo.
Esercizio 16.2: Applicabilit`a del P.S.E.
Vericare che il P.S.E. pu`o essere applicato con suciente approssimazione anche per la
canna da pesca dellesempio precedente se lesperimento `e limitato al carico massimo di
4 N.
In particolari applicazioni trovano impiego speciali molle progettate allo scopo di manife-
stare un comportamento elastico non lineare. In certi ammortizzatori di impiego veicolistico,
per esempio, questo risultato `e ottenuto mediante molle di acciaio di forma elicoidale a passo
variabile caricate in compressione. Poiche lacciaio per molle (acciaio armonico) `e con ottima
approssimazione elastico lineare, la non linearit`a della curva carico-spostamento della molla
deve essere di origine geometrica. In questo caso `e infatti sfruttato lingombro assiale delle
spire, alcune delle quali vanno progressivamente a pacco nellaccorciamento. Quando due spire
si toccano perdono la capacit`a di deformarsi ulteriormente per cui, sotto carico, la parte attiva
della molla si riduce e la relativa costante elastica aumenta. Una molla di questo tipo presenta
quindi una curva carico-accorciamento concava verso lalto simile a quella mostrata in gura
16.15. Una struttura deformabile che diviene pi` u rigida allaumentare del carico `e chiamata
tenso-irrigidente (stress-stiening). Il comportamento inverso (stress-softening), sempre
dovuto a eetti di non linearit`a geometriche, `e realizzato nelle molle a tazza per le quali landa-
mento della curva che esprime la forza assiale in funzione dello schiacciamento `e, almeno nella
prima fase del funzionamento, concavo verso il basso.
508
Capitolo 17
Il materiale elastico lineare
omogeneo isotropo
Per un materiale elastico lineare omogeneo e isotropo denito nel precedente capitolo, viene
proposta la descrizione della procedura sperimentale per misurare le propriet`a costitutive e la
sua interpretazione. Sono denite le principali costanti elastiche, modulo di Young e rapporto
di Poisson, e ricavate le matrici di deformabilit`a e di rigidezza del materiale e lespressione della
densit`a di energia elastica. Le due costanti elastiche permettono di denire completamente la
legge di Hooke che rappresenta la legge costitutiva completa per tale tipo di materiale.
La disponibilit`a della legge di Hooke permette nalmente di arontare il problema della
meccanica strutturale dei corpi deformabili. Nella seconda parte del capitolo sono discussi i
primi elementari problemi iperstatici per risolvere i quali sono impiegate tutte le considerazio-
ni nora sviluppate nel corso e che comprendono: le equazioni di equilibrio della statica, le
equazioni geometriche di congruenza e le equazioni costitutive del materiale.
Nellultima parte del capitolo, tramite una schematica modellazione del reticolo cristallino,
`e fornita una giusticazione sica della legge di Hooke e, in particolare, del fenomeno della
contrazione poissoniana nel caso elastico.
17.1 La legge di Hooke per il materiale elastico lineare omoge-
neo e isotropo
17.1.1 Leetto dellisotropia sulle matrici elastiche
Nel capitolo precedente il numero di costanti di un materiale elastico lineare `e stato ridotto
da 81 a 21 tenendo conto della simmetria del tensore di Cauchy (condizione di equilibrio) e della
simmetria del tensore di deformazione (condizione di congruenza) nonche del primo principio
della termodinamica e lesistenza di un potenziale per la densit`a di energia. Le caratteristiche
costitutive del materiale sono pertanto denite da una matrice di deformabilit`a del tipo:
C =
_
_
_
_
_
_
_
_
C
11
C
12
C
13
C
14
C
15
C
16
C
22
C
23
C
24
C
25
C
26
C
33
C
34
C
35
C
36
C
44
C
45
C
46
Sym C
55
C
56
C
66
_
_
_
_
_
_
_
_
o, equivalentemente, dalla matrice inversa di rigidezza. Ulteriori riduzioni del numero di costanti
elastiche indipendenti si possono ottenere considerando:
509
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
le propriet`a di invarianza dei tensori di elasticit`a con la rotazione degli assi
le eventuali simmetrie del materiale (gradi di anisotropia).
In eetti, per il materiale isotropo, che ha il massimo grado di simmetria, molti accoppiamenti
misti tra componenti tensionali e deformative non possono essere attivi e, di conseguenza, i cor-
rispondenti termini fuori diagonale delle matrici di elasticit`a devono essere identicamente nulli.
Lesempio seguente illustra il tipico ragionamento che giustica la precedente aermazione.
Esempio 17.1: Annullamento di termini di accoppiamento misti
Dimostrare che in un materiale isotropo il temine C
16
della matrice di deformabilit`a `e
nullo.
Consideriamo un parallelepipedo elementare sottoposto a uno stato di tensione unias-
siale di trazione con la sola componente
11
non nulla (nel seguito `e assunta positiva).
Oltre a un necessario allungamento
11
ed eventualmente ad altre componenti deformative,
se il termine C
16
fosse non nullo (per ssare le idee, consideriamolo anchesso positivo) si
manifesterebbe anche la deformazione angolare positiva:

12
= C
16

11
come mostrato nella gura 17.1. Per quanto possa apparire inverosimile che il parallelepipe-
do, essendo semplicemente tirato, abbia deformazioni angolari, un processo deformativo
del genere non violerebbe nessuna legge generale e, in eetti, pu`o essere eettivamente
osservato in un materiale broso (con le bre non parallele agli assi coordinati).

j
11

11

(a)
12

(b)
B
D
C
A
B*
D*
C*
A*
Figura 17.1: Parallelepipedo elementare (a) indeformato e (b) deformato
sotto leetto di uno stato di tensione monoassiale.
Tuttavia, per un materiale isotropo, la dissimmetria della variazione di forma in cor-
rispondenza di simmetrie costitutiva e di carico non `e giusticabile. Infatti, se ripetiamo
lesperimento applicando la stessa tensione monoassiale
11
dopo aver ruotato il parallele-
pipedo di 180

attorno al suo asse baricentrico in direzione y (o anche in direzione x), ci


dovremmo aspettare lesito deformativo rappresentato nella gura 17.2, con la deformazio-
ne angolare
12
negativa. Ma, per denizione di isotropia, il comportamento deformativo
del provino non pu`o dipendere dal suo orientamento e quindi `e necessario che anche leven-
tuale deformazione angolare sia la stessa (in modulo e segno) nei due esperimenti. Siccome
lo zero `e lunico numero che `e uguale al suo opposto, dobbiamo concludere che necessaria-
mente
12
= 0 e quindi che in un materiale isotropo non vi pu`o essere accoppiamento tra

11
e
12
. Pertanto deve essere: C
16
= 0.
510
17.1. LA LEGGE DI HOOKE PER IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO E ISOTROPO

j
11

11

(a) (b)
B
D
C
A
B*
A* D*
C*
Figura 17.2: La medesima prova monoassiale ottenuta dopo aver ribaltato
il provino attorno allasse verticale: (a) indeformato e (b) deformato sotto
leetto dello stesso stato monoassiale.
Generalizzando le considerazioni sviluppate nellesempio alle altri componenti, si conclu-
de che in un materiale isotropo non pu`o esserci alcun accoppiamento tra tensioni normali e
deformazioni angolari e quindi la matrice di deformabilit`a deve avere la seguente forma:
C =
_
_
_
_
_
_
_
_
C
11
C
12
C
13
0 0 0
C
22
C
23
0 0 0
C
33
0 0 0
C
44
0 0
Sym C
55
0
C
66
_
_
_
_
_
_
_
_
con una ulteriore riduzione a 9 delle costanti elastiche.
Sempre per lisotropia del materiale, il comportamento in una direzione deve inoltre essere
uguale a quello in qualunque altra. In termini operativi ci`o implica che, per esempio, un
provino estratto con lasse in direzione x si deve comportare come un provino estratto con lasse
in direzione y oppure z. Questo fatto implica che la matrice di deformabilit`a deve rimanere
inalterata se si scambiano gli indici 1, 2 e 3 nei tensori di tensione e deformazione, per cui
devono valere le relazioni:
C
11
= C
22
= C
33
C
12
= C
13
= C
23
C
44
= C
55
= C
66
In denitiva la matrice di deformabilit`a pu`o essere espressa in funzione di 3 sole quantit`a scalari:
C =
_
_
_
_
_
_
_
_
C
11
C
12
C
12
0 0 0
C
11
C
12
0 0 0
C
11
0 0 0
C
44
0 0
Sym C
44
0
C
44
_
_
_
_
_
_
_
_
(17.1)
511
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
La stessa struttura si riscontra anche per la matrice di rigidezza:
Q =
_
_
_
_
_
_
_
_
Q
11
Q
12
Q
12
0 0 0
Q
11
Q
12
0 0 0
Q
11
0 0 0
Q
44
0 0
Sym Q
44
0
Q
44
_
_
_
_
_
_
_
_
(17.2)
Come vedremo, `e possibile una ulteriore riduzione che porta a 2 le costanti elastiche
indipendenti dalle quali tutti gli elementi non nulli delle matrici di elasticit`a dipendono.
17.1.2 La prova di trazione
Con considerazioni teoriche generali la complessit`a delle matrici di elasticit`a (17.1) e (17.2)
`e stata ridotta in modo considerevole, a questo punto le propriet`a costitutive del materiale
elastico lineare isotropo devono essere ottenute sperimentalmente.
Per eettuare la misura `e opportuno tener conto che:
qualunque stato di tensione `e rappresentabile nel sistema principale come una matrice
diagonale (capitolo 12)
per lisotropia del materiale, lorientamento del sistema di riferimento non `e rilevante e
quindi `e lecito orientare gli assi parallelamente agli autovettori dello stato di tensione
leetto deformativo prodotto da un generico stato di tensione equivale a quello prodotto
da tre stati monoassiali mutuamente perpendicolari, ognuno caratterizzato dalla tensione
principale corrispondente
in base al principio di sovrapposizione degli eetti, valido per un materiale elastico lineare,
leetto deformativo complessivo `e ottenibile come somma delleetto deformativo dei
singoli stati monoassiali.
La legge costitutiva generale di un materiale elastico lineare isotropo `e quindi deducibile
dallesame del comportamento deformativo prodotto da uno stato di tensione monoassiale, che
peraltro `e il pi` u semplice da ottenersi sperimentalmente e da analizzare. Il problema di tipo
sperimentale, consiste nel realizzare uno stato di tensione monoassiale uniforme su un volume
macroscopico di materiale (provino (specimen)) in modo che sia possibile rilevare:
le tensioni come rapporto tra forze e aree
le deformazioni come rapporti tra spostamenti e distanze di punti.
Lottenimento di stati tensionali uniformi e di corrispondenti trasformazioni ani in grande
su un corpo macroscopico `e un problema fondamentale nella sperimentazione meccanica dei
materiali. Nel caso in esame le ipotesi di omogeneit`a e di isotropia rendono tale compito
relativamente semplice, tuttavia la stessa facilit`a non si riscontra nella sperimentazione dei
materiali non omogenei o non isotropi e per altri stati di tensione.
Le propriet`a elastiche di un materiale si possono rilevare tramite la prova di trazione il
cui schema `e riportato nella gura 17.3a). Il provino presenta una parte centrale cilindrica
di lunghezza e raggio con valori nominali H e R (pi` u in generale la parte centrale pu`o esse-
re prismatica) che `e opportunamente raccordata verso le zone di estremit`a che hanno sezione
maggiorata e sono conformate (tipicamente con codoli lettati) in maniera da consentirne laf-
ferraggio nelle ganasce di una macchina di prova universale. Una delle estremit`a, in gura
512
17.1. LA LEGGE DI HOOKE PER IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO E ISOTROPO
1
2
3
4
5
(a) (b)
P
H
2R
Figura 17.3: Schema della prova monoassiale di trazione (a): congurazione
di prova: 1) provino, 2) ganascia ssa della macchina di prova, 3) ganascia
mobile, 4) cilindro idraulico per lattuazione del carico, 5) cella di carico; (b)
schema statico del provino considerato come trave durante la prova.
quella superiore, `e incastrata alla traversa ssa della macchina di prova dove una cella di carico
rileva la componente assiale della forza trasmessa al provino (reazione vincolare dincastro).
Laltra estremit`a del provino `e ssata alla ganascia mobile della macchina di prova che pu`o
scorrere su una guida prismatica sotto lazione di un attuatore, generalmente costituito da un
martinetto idraulico. Lattuatore `e a doppio eetto e permette di esercitare sul provino trazioni
o compressioni. Di solito la prova viene eettuata sollecitando il provino in trazione.
In un modello piano, lo schema statico della prova `e rappresentato in gura 17.3b). Per
lomogeneit`a e lisotropia del materiale e per la simmetria geometrica del problema, sotto un
carico costituito da una coppia di braccio nullo con le forze applicate a due punti dellasse, le
estremit`a del provino tendono ad allontanarsi senza movimenti laterali o rotazioni relative, il
bipendolo risulta quindi scarico e il problema `e isostatico, anche se non intrinsecamente. Nella
gura 17.4 `e mostrato lo schema di corpo libero denitivo e il diagramma dalla forza normale,
lunica caratteristica di sollecitazione non identicamente nulla. La parte utile del provino `e
costituita dal cilindro centrale calibrato nella quale, se si escludono le zone vicine ai raccordi,
si manifesta uno stato di tensione monoassiale uniforme a cui corrisponde una deformazione
ane in grande. Come conseguenza, tutti i parallelepipedi elementari appartenenti a tale zona
hanno lo stesso stato di tensione e deformazione e quindi tale comportamento `e indipendente
dalle dimensioni del parallelepipedo stesso. Questa importante caratteristica di uniformit`a della
soluzione pu`o essere evidenziata in vario modo con lesame strumentale diretto del provino ma
`e giusticabile anche con considerazioni generali basate sulla simmetria e sulluniformit`a della
soluzione che sono quindi molto utili per acquisire il senso sico del fenomeno della deformabilit`a
elastica dei materiali. A tale scopo, `e conveniente adottare per la parte interessante del provino
un sistema di riferimento convenzionale per un modello di trave ssando lasse z sullasse del
provino e gli assi x e y generici nel piano di sezione (gura 17.5). Data lindeterminazione degli
513
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
F
F
N=F
(a) (b)
Figura 17.4: (a) schema di corpo libero del provino considerato come trave
durante la prova e (b) diagramma della forza normale
assi centrali principali dinerzia della sezione (lellisse centrale dinerzia `e circolare) per lesame
dellelementi di volume possono essere usati anche gli assi locali delle coordinate cilindriche r,
e z.
Considerazioni di simmetria e di uniformit`a giusticano le seguenti previsioni del compor-
tamento della zona centrale del provino. Dato che il materiale `e omogeneo e isotropo, tutte le
sezioni sono uguali e la caratteristica di sollecitazione uniforme (tutte le sezioni sono egualmen-
te critiche) si deduce che gli stati di tensione e deformazione non variano con lascissa assiale
parallela a z. A rigore questa conclusione `e esatta solo per la parte centrale di un provino mol-
to lungo (idealmente innito), tuttavia losservazione sperimentalmente mostra che variazioni
assiali dello stato di tensione-deformazione si manifestano solo vicino ai raccordi e che si estin-
guono a una distanza da questi dellordine del diametro, inoltre tali eetti possono essere ridotti
con laumento del raggio di raccordo. Per la simmetria assiale, o assialsimmetria, del problema
(carichi, vincoli, propriet`a del materiale e geometria), lo stato di tensione-deformazione non pu`o
variare nemmeno con langolo , in eetti lesito della prova non `e inuenzata dalla posizione
angolare del provino rispetto al suo asse. Non possono essere presenti componenti tangenziali
di tensione in corrispondenza dei piani di simmetria (e quindi su nessun piano che contiene
lasse), per cui:
rz
=
z
= 0. Questa `e una propriet`a generale dei problemi strutturali con
materiali omogenei e isotropi che presentano un piano di simmetria speculare della geometria e
del carico. Infatti, osservando la struttura dalla direzione opposta, o allo specchio, il problema si
presenterebbe identico e quindi sul piano di simmetria le tensioni tangenziali, che apparirebbero
di segno invertito, devono essere nulle.
Lo stato di tensione-deformazione non pu`o avere una signicativa dipendenza nemmeno
da r, dato che r R e la quantit`a R H `e una dimensione piccola del problema (solido
traviforme). Allo scopo di rendere evidente questa propriet`a della soluzione, supponiamo per
assurdo che il concio abbia, per esempio, una componente deformativa
zz
variabile con r, come
rappresentato in gura 17.6. Dato che la deformazione non dipende da z, tutti i conci dovranno
per`o deformarsi nello stesso modo e ci`o `e in evidente contrasto con la congruenza del processo
deformativo poiche zone adiacenti di conci contigui dovrebbero localmente compenetrarsi o
separarsi. Nella parte utile del provino i conci possono quindi deformarsi solo conservando
la forma di dischi: un esempio di conservazione delle sezioni piane perpendicolari allasse. A
stretto rigore, una debole dipendenza dello stato di tensione-deformazione da r non si manifesta
514
17.1. LA LEGGE DI HOOKE PER IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO E ISOTROPO
z
x

B
H
2R
y
r
Figura 17.5: Sistemi di coordinate comodi per lanalisi del provino
nelle zone vicino ai raccordi che devono quindi essere escluse dalla misura.
La conservazione delle sezioni piane `e vericabile sperimentalmente. A tale scopo pu`o essere
impiegato un provino di materiale trasparente (per esempio plexiglass) ottenuto incollando
due semiprovini in corrispondenza di una sezione della zona utile. Se una delle due superci
incollate `e resa opaca, per esempio `e verniciata, la sua variazione di forma sotto carico pu`o
essere osservata. In modo ancora pi` u semplice, pu`o essere praticato nel provino un piccolo
foro trasversale (con diametro molto inferiore a R in modo che la sua presenza non alteri
sensibilmente le caratteristiche della sezione) e si pu`o vericare che sotto carico il foro rimane
rettilineo.
(a) (b)
Figura 17.6: Deformata ipotetica di un concio in cui la
zz
`e funzione di r:
a) assonometria, b) vista di anco della geometria indeformata e deformata.
Nella zona utile del provino lo stato di tensione-deformazione non dipende pertanto da r,
e z. Tale condizione di uniformit`a implica lassenza di qualsiasi componente piana dello
stato di tensione, ovvero `e necessario che sia:
xx
=
yy
=
xy
= 0 (in coordinate cilindriche:

rr
=

=
r
= 0). Vi sono vari modi per vericare la precedente aermazione. Per esempio,
se una di queste componenti (consideriamo la
yy
) non fosse nulla, dovendo essere uniforme,
avrebbe lo stesso valore per esempio su un diametro ma, come mostrato in gura 17.7, questo
non sarebbe compatibile con lequilibrio del semiconcio. La supercie laterale del cilindro r = R
`e scarica (non interagisce elettromagneticamente con nulla) e quindi, preso un punto qualunque
sul contorno la cui normale esterna `e n
T
=
_
n
x
n
y
0
_
, il corrispondente vettore tensione `e
nullo

t = S n = 0. Poiche questa condizione deve essere vericata per ogni direzione piana, la
sottomatrice 2 2 di S in alto a sinistra deve essere nulla, e quindi:
xx
=
yy
=
xy
= 0.
Lunico stato di tensione uniforme che soddisfa tutte le limitazioni evidenziate dalle consi-
515
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
x
y
Figura 17.7: Violazione dellequilibrio del semiconcio in presenza di una
componente
yy
non nulla
derazioni precedenti `e il seguente:
S =
_
_
0 0 0
0 0
Sym
zz
_
_
la cui forma `e evidentemente la stessa nel sistema cartesiano e nel sistema polare.
17.1.3 Misure nella prova di trazione
Data luniformit`a, la deformazione nella zona utile del provino pu`o essere misurata rilevando
la variazione di forma di un volume macroscopico che pu`o essere costituito da un tratto esteso
della zona centrale. Losservazione diretta evidenzia che le caratteristiche deformative di un
provino sotto un carico di trazione sono coerenti con le previsioni generali descritte nel punto
precedente. In particolare, la parte centrale di un provino metallico (per esempio di acciaio) si
deforma come descritto nei punti seguenti:
rimane cilindrica e quindi non si manifestano deformazioni angolari nei sistemi di riferi-
mento adottati:
xy
=
xz
=
yz
= 0,
si allunga assialmente evidenziando una deformazione estensionale positiva:
zz
> 0,
si contrae trasversalmente in misura uguale in tutte le direzioni piane manifestando
quindi una deformazione estensionale negativa nel piano normale a z indipendente dalla
coordinata angolare e dalla distanza r dallasse,
la sezione conserva quindi la medesima forma iniziale ma, in conseguenza di una estensione
assiale del provino, subisce una riduzione omotetica:
xx
=
yy
(=
rr
=

).
Lo stato di deformazione elastico in tutta la zona centrale risulta pertanto completamente
denito dal tensore:
E =
_
_

xx
0 0

yy
0
Sym
zz
_
_
=
_
_

rr
0 0

0
Sym
zz
_
_
per cui solo due grandezze devono essere misurate.
La deformazione assiale
zz
viene generalmente rilevata con un strumento, detto estenso-
metro, installato come mostrato in gura 17.8. Lestensometro `e munito di due coltelli che,
prima di applicare il carico, sono mantenuti a una distanza di riferimento h con linserzione di
un perno. La distanza di reierimento dei coltelli `e una caratteristica dello strumento (spesso
516
17.1. LA LEGGE DI HOOKE PER IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO E ISOTROPO
1
2
3
h H
Figura 17.8: Misura della variazione di lunghezza assiale: 1 corpo
dellestensometro, 2 e 3 coltelli di misura
h = 1 pollice = 25.4 mm). Quando lestensometro `e installato, le punte dei coltelli sono fatte
aderire alla supercie laterale del provino con opportune mollette, non rappresentare in gura
17.8. Dopo aver assicurato i coltelli alla supercie del provino, il perno di ssaggio viene disinse-
rito in modo da consentire ai coltelli di seguire il moto relativo dei punti di adesione. Opportuni
sensori interni generano un segnale elettrico proporzionale allo spostamento relativo dei coltelli
stessi: h = h

h. Per evitare che le zone dei raccordi inuenzino la misura lestensometro va


collocato il pu`o possibile nella zona centrale ed `e opportuno che la dierenza H h sia almeno
pari a (4 5) R. In modo analogo `e possibile misurare la variazione del diametro del provino:
2R = 2 (R

R).
La prova di trazione `e generalmente condotta in controllo di spostamento. Una servovalvola
immette nel martinetto della macchina di prova una portata costante di olio che determina una
legge di allontanamento a velocit`a costante (molto bassa, dellordine dei mm/min) delle ganasce
e quindi delle estremit`a del provino. Durante lallontanamento sono acquisiti in tempo reale e
mandati su un registratore i segnali provenienti:
dallestensometro assiale: h
dallestensometro diametrale: 2R
dalla cella di carico F.
Nella gura 17.9 sono rappresentate tipiche curve carico-spostamento ottenibili con un pro-
vino metallico se la prova viene arrestata a un livello non eccessivo di allungamento (per un
acciaio potrebbe essere h < 10
3
h). Le curve rappresentate sono tipiche di un materiale linea-
re elastico e sono ripercorse nella fase di scarico quando, facendo deuire lolio dallattuatore, il
provino `e riportato nella condizione di partenza.
17.1.4 Costanti elastiche principali
Allo scopo di rendere le curve rilevate sperimentalmente indipendenti dalle particolari di-
mensioni del provino in modo da evidenziare le propriet`a del materiale in prova, si procede
a normalizzare le variazioni di lunghezza con le relative dimensioni iniziali e la forza normale
con larea della sezione del provino, ottenendo rispettivamente deformazioni e tensioni. Per le
deformazioni si determinano le seguenti componenti estensionali:

zz
=
h
h
517
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
F
h
F
R
(a) (b)
Figura 17.9: Curve carico spostamento per un provino di acciaio in campo
elastico per una prova di trazione.

xx
=
yy
=
2 R
2R
Allo scopo di normalizzare la forza, in linea di principio, dovrebbe essere considerata larea della
sezione sotto carico (ovvero A

= (R + R)
2
), tuttavia per lanalisi di corpi poco deformabili
si considera larea della sezione nominale del provino A = R
2
(questo argomento `e ripreso
nellultimo paragrafo del capitolo), ottenendo:

zz
=
F
A
=
F
R
2
La normalizzazione trasforma il graco di gura 17.9(a) in quello di gura 17.10 nel quale `e
evidenziato il legame costitutivo di proporzionalit`a diretta tra la componente normale assiale
della tensione e la omologa componente estensionale di deformazione. La proporzionalit`a tra le
due grandezze `e formalmente espressa dalla relazione:

zz
= E
zz
(17.3)
che pu`o essere considerata la denizione della caratteristica costitutiva E chiamata modulo
elastico (elastic modulus) o modulo di Young (Young modulus) in onore di Thomas
Young (1772-1829).
zz

zz

Figura 17.10: Curva tensione assiale - deformazione assiale (universalmente


chiamata curva ) per un materiale lineare elastico ricavata interpretando
una prova di trazione.
518
17.1. LA LEGGE DI HOOKE PER IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO E ISOTROPO
Il modulo elastico ha le dimensioni della tensione (per i metalli generalmente si misura in
GPa = 10
9
Pa = 10
3
MPa) e rappresenta la principale propriet`a di rigidezza del materiale.
Infatti, tanto maggiore `e E tanto meno il materiale tende a deformarsi elasticamente sotto ten-
sione. Un materiale innitamente rigido pu`o essere considerato come il limite di un materiale
elastico per cui:
1
E
0. Essendo la componente
zz
energeticamente associata allunica com-
ponente tensionale non nulla
zz
, il provino si allunga sotto leetto di una tensione assiale di
trazione, per cui dovr`a necessariamente essere E > 0.
Losservazione sperimentale evidenzia anche la tendenza naturale del provino di trazione a
contrarsi trasversalmente, pertanto tra le deformazioni estensionali trasversali
xx
(=
yy
=
rr
=

) e la deformazione assiale
zz
vale una legge di proporzionalit`a illustrata dal diagramma
di gura 17.11. In onore di Simeon-Denis Poisson (1781-1840), tale fenomeno `e denito eetto
Poisson o contrazione poissoniana. Vale pertanto la seguente relazione:
xx

zz

Figura 17.11: Deformazioni trasversali rispetto a quelle longitudinali in una


prova di trazione.

xx
=
zz
(17.4)
con la quale si denisce la seconda costante elastica , quantit`a adimensionata chiamata rap-
porto di Poisson (Poisson ratio). Il segno negativo inserito nella denizione (17.4) `e con-
venzionale e trova giusticazione nellosservazione che, generalmente, i materiali quando tirati
monoassialmente tendono contrarsi trasversalmente. Il segno meno rende pertanto il rapporto
di Poisson una quantit`a positiva per quasi tutti i materiali.
Dalle relazioni (17.3) e (17.4) si ottiene la seguente relazione di proporzionalit`a:

xx
=

zz
(17.5)
valida evidentemente solo per uno stato di tensione monoassiale che ha la sola componente
zz
non nulla.
Le grandezze E e sono talvolta chiamate costanti elastiche ingegneristiche del mate-
riale e, come vedremo, sono necessarie e sucienti per caratterizzare il comportamento costitu-
tivo di un materiale lineare elastico omogeneo isotropo per ogni stato di tensione. I loro valori
per i pi` u comuni materiali di interesse strutturale sono riportati nella seguente tabella.
519
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
Materiale E (GPa)
Carbonio (diamante) 10501200 Anisotropo
Tungsteno 411 0.29
Acciaio al carbonio (ferro- policristallino) 206 0.30
Acciaio inox austenitico (Ni>10%) 195 0.30
Leghe di Rame 110120 0.34
Alluminio (leghe di Al) 6871 0.33
Polivinilcloruro (PVC) 2.54.2 0.35
Poliammide (Nylon) 1.82.8 0.35
Polistirene 0.50 0.33
Polietilene 0.133 0.40
Elastomero (gomma naturale) 0.5 10
3
0.49
Tabella 17.1. Costanti elastiche a temperatura ambiente di comuni materiali usati nelle
costruzioni. I valori riportati sono indicativi e alcuni di essi, in particolare E per le leghe e le
materie plastiche, possono variare sensibilmente in relazione alla composizione, ai trattamenti e
alla temperatura.
17.1.5 La legge di Hooke
Come osservato, per un generico stato di tensione con la matrice di Cauchy piena `e sempre
possibile scegliere una terna di assi cartesiani rispetto alla quale lo stato di tensione `e espresso da
una matrice diagonale e quindi `e interpretabile come la sovrapposizione di tre stati monoassiali
mutuamente perpendicolari:
_
_

11
0 0

22
0
Sym
33
_
_
=
_
_

11
0 0
0 0
Sym 0
_
_
+
_
_
0 0 0

22
0
Sym 0
_
_
+
_
_
0 0 0
0 0
Sym
33
_
_
Se il materiale `e elastico lineare, in regime di piccole deformazioni, vale il principio di sovrappo-
sizione degli eetti, per cui, nel sistema di riferimento principale, si manifesta il seguente stato
di deformazione:

11
=

11
E


E
(
22
+
33
)

22
=

22
E


E
(
11
+
33
) (17.6)

33
=

33
E


E
(
11
+
22
)
relazione nella quale si riconoscono i termini di accoppiamento diretto, che determinano,
come nella relazione (17.3), le deformazioni associate alle omologhe tensioni tramite il modulo
di Young e i termini di accoppiamento misto che descrivono gli eetti poissoniani come nel-
la relazione (17.5). Osserviamo che, nello stesso sistema di riferimento, anche il tensore di
deformazione ha forma diagonale.
Le relazioni (17.6) permettono di trarre le seguenti conclusioni sul comportamento costitu-
tivo di un materiale elastico lineare omogeneo isotropo:
il tensore di tensione e il tensore di deformazione elastica associato hanno le medesime
direzioni principali (talvolta si dice che i due tensori sono paralleli)
uno stato di tensione piano, in genere, non produce uno stato di deformazione piano
520
17.1. LA LEGGE DI HOOKE PER IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO E ISOTROPO
uno stato di tensione deviatorico (caso particolare il taglio puro) non modica il volume
del materiale
uno stato di tensione idrostatico produce una deformazione volumica pura senza distor-
sioni angolari.
La verica delle precedenti aermazioni `e suggerita come utile esercizio di applicazione delle
relazioni (17.6).
Anche se le relazioni (17.6) costituiscono una legge costitutiva completa, dato che permetto-
no di determinare la deformazione per uno stato di tensione qualunque, ma, per essere applicate,
richiedono lanalisi spettrale di S e la rotazione degli assi. Risulta quindi utile generalizzare la
legge costitutiva per un sistema di riferimento qualunque nel quale il tensore di Cauchy pu`o
presentare anche componenti tangenziali. Come passo intermedio di questo calcolo, consideria-
mo uno stato di tensione di taglio puro che, come dimostrato nel capitolo 12, `e rappresentabile
con la matrice:
S =
_
_
0
xy
0
0 0
Sym 0
_
_
e determiniamo, nello stesso sistema di riferimento, la corrispondente deformazione elastica
prodotta in un materiale che segue la legge (17.6). Per semplicit`a di notazione, ma senza
perdere in generalit`a, consideriamo il problema nel piano x y in modo da operare con due
componenti:
S =
_
0
xy

xy
0
_
Tramite il cambiamento di coordinate denito dalla seguente matrice (rotazione degli assi di
45

):
L =

2
2
_
1 1
1 1
_
il tensore `e rappresentato in forma diagonale:
S

= L
T
SL =
_

11
0
0
22
_
=
_

xy
0
0
xy
_
il problema `e cos` ricondotto allesame delleetto deformativo delle sole tensioni normali e la
relazione (17.6) fornisce:

11
=

11
E


E
(
22
+ 0) =
xy
1 +
E

22
=

22
E


E
(
11
+ 0) =
xy
1 +
E
La deformazione nel sistema di assi principali `e quindi:
E

=
1 +
E
_

xy
0
0
xy
_
`
E ora suciente applicare la legge di rotazione inversa per rappresentare il tensore di deforma-
zione nel sistema originario (con assi x y), si ottiene quindi:
E = LE

L
T
=
_
0
xy

xy
0
_
=
1 +
E
_
0
xy

xy
0
_
Tramite questa semplice valutazione, che potrebbe essere sostituita da una ben pi` u comples-
sa e onerosa verica sperimentale diretta, perveniamo alla seguente conclusione:
521
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
in un materiale elastico lineare omogeneo isotropo uno stato di tensione con una
sola componente tangenziale
ij
,= 0 (i ,= j) produce una deformazione elastica in
cui `e non nulla la sola componente omologa
ij
.
In termini di deformazioni angolari ingegneristiche (i ,= j) `e quindi valida la relazione:

ij
= 2
ij
=
2 (1 +)
E

ij
La quantit`a:
G =
E
2 (1 +)
(17.7)
che esprime il fattore di proporzionalit`a tra tensione tangenziale e deformazione angolare
ingegneristica omologa:

ij
= G
ij
(17.8)
`e chiamata modulo di rigidezza tangenziale (shear modulus) del materiale.
Considerando le relazioni (17.6) e (17.8) e applicando il principio di sovrapposizione degli
eetti, per un sistema di riferimento qualunque in cui lo stato di tensione `e espresso dalla
matrice:
_
_

xx

xy

xz

yy

yz
Sym
zz
_
_
si ottiene la seguente forma generale della legge di Hooke:

xx
=

xx
E


E
(
yy
+
zz
)

yy
=

yy
E


E
(
xx
+
zz
)

zz
=

zz
E


E
(
xx
+
yy
) (17.9)

xy
=

xy
G

xz
=

xz
G

yz
=

yz
G
Luso delle tre costanti elastiche E, e G `e generale nella letteratura tecnica, tuttavia `e
opportuno ricordare che le tre quantit`a sono legate dalla relazione (17.7), per cui due sole sono
eettivamente indipendenti per un materiale elastico lineare e isotropo.
Esempio 17.2: Provino in trazione
Un provino di trazione di acciaio ferritico avente dimensioni: H = 70 mm e R = 5 mm `e
sottoposto a una forza assiale di 20 kN. Determinare:
a) lo stato di tensione e di deformazione nel sistema di riferimento locale di trave
b) la massima tensione tangenziale e la massima deformazione angolare
c) lallontanamento dei coltelli di un estensometro con base di misura h = 25.4 mm e la
riduzione del diametro d sotto carico
522
17.1. LA LEGGE DI HOOKE PER IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO E ISOTROPO
d) la dierenza relativa tra il valore della tensione calcolata sulla base dellarea eettiva,
stimata sotto carico, rispetto al valore ottenuto considerando larea nominale.

Risposta a)
Consideriamo le dimensioni nominali del provino tra cui larea della sezione:
A = 78.54 mm
2
da cui:

zz
=
F
A
= 254.6 MPa
Si osservi che tale livello di tensione `e piuttosto intenso anche per un acciaio. A questo
stato tensionale corrisponde uno stato di deformazione di componenti:

zz
=

zz
E
= 1236 ,
xx
=
yy
=
zz
= 371
da cui, nel sistema di riferimento della trave:
S =
_
_
0 0 0
0 0
Sym 254.6
_
_
MPa; E =
_
_
371 0 0
371 0
Sym 1236
_
_
10
6
Risposta b)
La risposta `e immediata se si usano i diagrammi di Mohr:

max
=

zz
2
= 127.3 MPa;
max
=
zz
+
xx
= 1607
Si pu`o osservare che:
G =
E
2 (1 +)
= 79 GPa =

max

max
Risposta c)
h = h
zz
= 0.031 mm = 31 m
d

d = d = d
xx
= 2R
xx
= 0.0037 mm = 3.7 m
I valori sono piuttosto contenuti come conseguenza dellelevata rigidezza del materiale.
Risposta d)
Una ragionevole approssimazione della tensione riferita allarea sotto carico `e data da:

zz
=
F
(R +R
xx
)
2
= 254.8 MPa
la dierenza relativa `e:

zz

zz

zz
= 0.07%
quindi inferiore a una parte su mille.
523
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
17.2 Densit`a di energia e interpretazione delle costanti elastiche
17.2.1 Matrici di deformabilit`a e di rigidezza e densit`a di energia elastica
In base alla relazione (17.9), `e possibile esprimere i termini della matrice di deformabilit`a
in funzione delle costanti ingegneristiche: C
11
=
1
E
, C
12
=
v
E
e C
44
=
1
G
, e rappresentare la
matrice di deformabilit`a C del materiale elastico lineare omogeneo isotropo come:
_
_
_
_
_
_
_
_

xx

yy

zz

yz

xz

xy
_
_
_
_
_
_
_
_
=
1
E
_
_
_
_
_
_
_
_
1 0 0 0
1 0 0 0
1 0 0 0
2 (1 +) 0 0
Sym 2 (1 +) 0
2 (1 +)
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_

xx

yy

zz

yz

xz

xy
_
_
_
_
_
_
_
_
(17.10)
Per inversione si ottiene la matrice di rigidezza Q:
_
_
_
_
_
_
_
_

xx

yy

zz

yz

xz

xy
_
_
_
_
_
_
_
_
= G
_
_
_
_
_
_
_
_
2
1
12
2
12
2
12
0 0 0
2
1
12
2
12
0 0 0
2
1
12
0 0 0
1 0 0
Sym 1 0
1
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_

xx

yy

zz

yz

xz

xy
_
_
_
_
_
_
_
_
(17.11)
Da queste matrici, sulla base delle relazioni (17.9) e (17.10), si possono ricavare le espressioni
generali della densit`a di energia elastica in funzione dei valori correnti della deformazione o
della tensione.
`
E utile ottenere le espressioni della densit`a di energia elastica per alcuni stati di
tensione particolari che saranno pi` u volte sfruttate nel seguito del corso.
Uno stato di tensione monoassiale, per esempio con solo
xx
, produce le componenti
di deformazione:
xx
,
yy
e
zz
, solo la prima `e energeticamente associata alla componente
tensionale e quindi la densit`a di energia elastica diventa:
=
1
2

xx

xx
=
1
2
E
2
xx
=
1
2

2
xx
E
(17.12)
Per uno stato di tensione di taglio puro `e possibile scegliere un sistema di assi in cui il
tensore di Cauchy ha un unico termine non diagonale diverso da zero, che possiamo indicare
con
xy
. Nello stesso sistema di riferimento, la deformazione elastica ha solo la componente
angolare omologa non nulla, per cui lenergia elastica associata diventa:
=
1
2

xy

xy
=
1
2
G
2
xy
=
1
2

2
xy
G
(17.13)
Spesso `e interessante valutare quanto un corpo modichi il suo volume in conseguenza
di uno stato tensionale. Si evidenzia in questo modo una propriet`a costitutiva analoga alla
caratteristica di compressibilit`a dei uidi. A tale scopo consideriamo uno stato di tensione
idrostatico:
S
I
=
0
_
_
1 0 0
1 0
Sym 1
_
_
che produce la deformazione volumica pura:
E
I
=
0
1 2
E
_
_
1 0 0
1 0
Sym 1
_
_
524
17.2. DENSIT
`
A DI ENERGIA E INTERPRETAZIONE DELLE COSTANTI ELASTICHE
Ricordando che la variazione relativa di volume
V
`e la traccia del tensore di deformazione, si
denisce modulo di rigidezza volumico (bulk modulus) K la costante di proporzionalit`a
della relazione:

0
= K
V
(17.14)
che vale:
K =
E
3 (1 2)
(17.15)
Per uno stato di tensione idrostatico la densit`a di energia elastica `e pertanto esprimibile con
una delle seguenti espressioni equivalenti:
=
1
2

0

V
=
1
2
K
2
V
=
1
2

2
0
K
(17.16)
Come osservato nel capitolo 12, ogni stato di tensione pu`o essere scomposto in una parte
idrostatica e una parte deviatorica:
S = S
I
+S
D
In un materiale lineare elastico omogeneo isotropo la parte idrostatica produce solo variazione
di volume mentre la parte deviatorica produce una deformazione senza modica di volume. Si
verica quindi un disaccoppiamento energetico completo tra le due componenti tensionali e, per
questo fatto, si pu`o dimostrare che anche la densit`a di energia elastica totale pu`o essere ottenuta
sommando la densit`a di energia prodotta dai due stati di tensione che agiscono separatamente:
=
I
+
D
(17.17)
In formule, considerando la parte deviatorica:
S
D
=
_
_

xx

0

xy

xz

yy

0

yz
Sym
zz

0
_
_
e il corrispondente stato di deformazione solo distorcente:
E
D
=
_
_

D
xx

D
xy

D
xz

D
yy

D
yz
Sym
D
zz
_
_
si ottiene:
=
I
+
D
=
1
2
K
2
V
+
1
2
G
_
2
_

D
xx
_
2
+ 2
_

D
yy
_
2
+ 2
_

D
zz
_
2
+
_

D
xy
_
2
+
_

D
xz
_
2
+
_

D
yz
_
2
_
(17.18)
Esempio 17.3: Comprimibilit`a di solidi e liquidi
I liquidi sono generalmente considerati incomprimibili perche in genere si confrontano con
gli altri uidi ovvero gli aeriformi (gas e vapori). In realt`a, sotto pressione, anche i liquidi
manifestano una riduzione di volume. Tale caratteristica `e quanticata dal fattore di
compressibilit`a c denito come il rapporto tra la riduzione relativa di volume e la pressione
che la determina, per cui c = 1/K. Per esempio, alle comuni pressioni di impiego si
misura per lolio idraulico un fattore di compressibilit`a c
olio
= 6 10
10
Pa
1
. Confrontare
525
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
la compressibilit`a dellolio con lequivalente compressibilit`a volumica dei comuni materiali
da costruzione, in particolare i metalli.
Posto quindi:
c =
1
K
=
3 (1 2)
E
si ottiene la seguente tabella:
Materiale c = 1/K
_
MPa
1
_
c/c
olio
Acciaio al carbonio (ferro- policristallino) 5.8 10
12
0.001
Leghe di Rame 8.0 10
12
0.013
Alluminio (leghe di Al) 1.5 10
11
0.024
Polivinilcloruro (PVC) 2.7 10
10
0.457
Polistirene 1.2 10
9
2.00
Elastomero (gomma naturale) 1.2 10
7
200
Le comuni leghe metalliche da costruzione sono pertanto molto meno comprimibili
dellolio (e dei liquidi in generale). La comprimibilt`a dei materiali polimerici `e invece
confrontabile con quella dellolio. Ci`o comporta che nei problemi in cui le deformazioni
elastiche sono signicative, anche la deformabilit`a dei liquidi pu`o essere da considerare.
17.2.2 Limiti delle costanti elastiche
Le espressioni ottenute della densit`a di energia elastica dei vari stati di tensione, consen-
tono di evidenziare i limiti termodinamici che devono essere rispettati dai valori delle costanti
elastiche per garantire un aumento di densit`a di energia quando, partendo dalla condizione
indeformata, si realizza un generico stato di tensione. Ogni espressione della densit`a dellener-
gia elastica in funzione della deformazione elastica deve quindi essere denita positiva. Dalla
relazione (17.12), valida per lo stato monoassiale, si ottiene la condizione gi`a discussa sul segno
del modulo elastico:
E > 0 (17.19)
mentre dalla relazione (17.13), valida per il taglio puro, si deduce che anche il modulo di
rigidezza tangenziale deve essere strettamente positivo:
G > 0 (17.20)
In eetti tali quantit`a sono fattori nei termini diagonali della matrice di rigidezza per cui
deniscono accoppiamenti diretti.
La positivit`a di E e G deteremina un limite inferiore, non immediatamente evidente, ai
valori che pu`o assumere il rapporto di Poisson:
E > 0
_
E
2 (1 +)
> 0
_
> 1
Il limite superiore di deriva invece dallespressione (17.16) che impone anche al modulo K di
essere strettamente positivo, per cui:
E > 0
_
E
3 (1 2)
> 0
_
< 0.5
526
17.2. DENSIT
`
A DI ENERGIA E INTERPRETAZIONE DELLE COSTANTI ELASTICHE
Pertanto deve essere in generale:
1 < < 0.5 (17.21)
Le condizioni sui moduli elastici (K > 0, G > 0) garantiscono che la densit`a di energia
elastica (17.18), che `e valida per uno stato di deformazione qualunque per quanto scritta in una
forma particolare, sia una forma quadratica denita positiva. Infatti, le espressioni che conten-
gono le deformazioni sono combinazioni lineari di quantit`a non negative (somme di quadrati)
con coecienti K e G.
La relazione (17.21) dimostra che un materiale elastico lineare omogeneo isotropo in con-
dizioni monoassiali di trazione non pu`o contrarsi trasversalmente pi` u della met`a di quanto di
allunga longitudinalmente. Nel caso limite (non raggiungibile per un materiale elastico lineare
omogeneo isotropo) in cui = 0.5, la deformazione in condizioni monoassiali di trazione av-
verrebbe senza variazione di volume (la traccia della matrice di deformazione sarebbe nulla)
anche in presenza di una componente tensionale idrostatica positiva. Un materiale isotropo con
= 0.5 risulterebbe in eetti innitamente rigido alle variazioni di volume.
Una contrazione trasversale pari a met`a dellestensione longitudinale si verica in condizioni
monoassiali nelle deformazioni plastiche dei metalli, le quali, in eetti, avvengono a volume
costante. Pertanto, talvolta si sente dire che il rapporto di Poisson tende a 0.5 quando le
deformazioni sono plastiche. Questa aermazione `e scorretta poiche il rapporto di Poisson `e
una costante elastica e la sua denizione come rapporto tra componenti trasversali e longitu-
dinali non `e pi` u valida in presenza di deformazioni anche plastiche. Se si indica come eetto
Poisson il fenomeno per cui in condizioni monoassiali una contrazione trasversale consegue al-
lallungamento nella direzione del carico, si pu`o correttamente aermare che, quando il processo
deformativo diventa prevalentemente plastico, il rapporto tra le contrazioni e lallungamento
tende a 0.5.
A questo riguardo `e opportuno sottolineare che, quando subisce una deformazione elastica,
un materiale lineare omogeneo isotropo in genere varia il suo volume, per cui in campo elastico
leetto Poisson non `e una conseguenza della conservazione del volume. Pi` u avanti
nel capitolo sar`a mostrato come leetto Poisson si possa spiegare per la presenza dei legami
diagonali tra gli atomi nel reticolo cristallino. Si ricorda inne che, per un materiale elastico
lineare omogeneo isotropo, nessuna variazione di volume `e prodotta da uno stato di tensione
deviatorico e quindi, come caso particolare, da uno stato di taglio puro.
17.2.3 Costanti elastiche nei materiali comuni
Un provino fatto con un materiale che ha negativo quando tirato nella prova uniassiale,
oltre ad allungarsi in direzione assiale, manifesta anche un aumento di sezione. Per quanto
tale comportamento possa sembrare anomalo, non `e violata alcuna condizione sica generale (il
tessuto goretex ne `e un esempio), a condizione che la deformazione trasversale sia inferiore a
quella assiale, dato che deve essere: > 1.
Levidenza sperimentale mostra che lampia variabilit`a di valori per termodinamicamente
ammissibili non `e stata sfruttata dalla natura. In eetti, i materiali elastici isotropi reali, pur
avendo moduli elastici che dieriscono per vari ordini di grandezza, hanno rapporti di Poisson
positivi e vicini tra loro, in genere infatti: 0.2 < < 0.35 (come mostra la tabella 17.1). Questo
stretto campo di variazione ha indotto gli studiosi di elasticit`a nel corso dellottocento a discu-
tere per decenni se il rapporto di Poisson fosse eettivamente una propriet`a costitutiva propria
di ogni materiale oppure una costante universale, comune a tutti i solidi elastici isotropi. In par-
ticolare Cauchy, sostenitore della seconda ipotesi, sulla base un modello atomico ante litteram
aveva previsto che dovesse valere 0.25 per tutti i materiali.
`
E singolare che tale risultato, per
527
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
quanto non corretto ma ragionevole, sia stato ottenuto in assenza di qualsiasi conoscenza sulla
struttura atomica della materia. In seguito, strumenti di misura delle deformazioni sempre pi` u
precisi hanno denitivamente mostrato che il rapporto di Poisson `e una propriet`a costitutiva
specica dal materiale e quindi deve essere ottenuto sperimentalmente.
La deformazione trasversale connessa con leetto Poisson `e un fenomeno deformativo na-
turale che si manifesta nel solido elastico. Le facce trasversali del parallelepipedo elementare
sollecitato monoassialmente sono infatti scariche e non c`e bisogno di sollecitarle perche il pa-
rallelepipedo si deformi anche trasversalmente. Laccoppiamento deformativo poissoniano (tra
le
yy
o le
xx
e le
zz
) non appare strano se si considera la natura tensoriale di tensione e
deformazione (basti pensare ai diagrammi di Mohr) e la conseguente complessiva sollecitazione
del materiale che negli inniti piani del parallelepipedo ha innite combinazioni di componenti
normali e tangenziali. La deformabilit`a elastica, macroscopicamente descritta dal modulo di
Young e dal rapporto di Poisson, `e infatti conseguenza dalla complicata interazione elettro-
magnetica esistente tra gli elementi del reticolo che `e spiegabile in forma razionale solo con i
modelli quantistici della sica dello stato solido.
Gli elastomeri mostrano i moduli di Poisson pi` u elevati e quindi vicini al limite superiore
termodinamicamente ammissibile. Sperimentalmente, si verica che in eetti le deformazioni
elastiche di una gomma sono con buona approssimazione isocore (il volume si conserva e quindi

V
= 0). Anche questo fatto si giustica considerando il meccanismo deformativo elastico degli
elastomeri, fondamentalmente diverso da quello dei cristalli. Se si vuole adottare la legge di
Hooke per descrivere il comportamento di un elastomero, `e comunque necessario adottare valori
di che rispettino i limiti termodinamici (per esempio si pu`o porre: = 0.499). Sono peraltro
disponibili leggi costitutive non lineari speciche per gli elastomeri, non riconducibili alla legge
di Hooke, con le quali `e possibile riprodurre rigorosamente il comportamento isocoro (
V
= 0).
I moduli elastici di rigidezza (E, G e K) sono manifestazioni macroscopiche dellintensit`a dei
legami elettromagnetici che tengono insieme gli elementi del cristallo. Non stupisce quindi che,
in relazione alla grande variet`a di materiali presenti in natura o prodotti articialmente, tali
grandezze presentino una enorme variabilit`a: dalle gomme pi` u morbide ai carburi pi` u rigidi vi
sono svariati ordini di grandezza di dierenza.
`
E stata inoltre osservata una buona correlazione
tra la rigidezza di un materiale espressa da una delle quantit`a E, G o K e la sua temperatura
di liquefazione. In eetti, sia il fenomeno deformativo sia il processo di cambiamento di stato,
anche se in modo diverso, risultano inuenzati dallintensit`a del legame cristallino.
La rigidezza di un materiale `e una propriet`a volumica perche il processo deformativo elastico
coinvolge i legami di tutti gli atomi del parallelepipedo elementare. Per questo motivo, il modulo
elastico di una lega `e generalmente determinato dal modulo elastico del costituente principale.
La situazione `e particolarmente evidente per gli acciai, soprattutto per quelli basso legati, la cui
rigidezza `e determinata dal ferro, che rappresenta lelemento di lega dominante. A dierenza
di molte altre importanti propriet`a meccaniche, come per esempio la durezza o la resistenza,
il modulo elastico appare di fatto insensibile alla presenza di elementi di lega, che formano
altre fasi, e alla disposizione spaziale delle stesse fasi che pu`o essere variata con i trattamenti
termici. Per questa ragione, acciai diversi o lo stesso acciaio trattato diversamente possono
mostrare propriet`a meccaniche che dieriscono anche di un ordine di grandezza ma hanno
sostanzialmente lo stesso modulo elastico. Per esempio, il modulo elastico del tipico acciaio
Inox CrNi1810, benche circa 1/3 del suo contenuto non sia ferro, `e inferiore solo del 5% agli
acciai al carbonio basso legati che sono costituti da ferro quasi al 100
Da queste considerazioni si ricava la conclusione generale che quando un acciaio `e scelto
per le propriet`a di rigidezza (vi sono infatti applicazioni in cui la resistenza non `e critica) `e
opportuno ricorrere ad acciai dolci meno costosi.
528
17.3. SOLUZIONE GENERALE DEL PROBLEMA ELASTICO
Esercizio 17.1: Deformazioni elastiche
Due provini di trazione aventi dimensioni: H = 120 mm e R = 8 mm uno di acciaio fer-
ritico laltro di lega di alluminio sono sottoposti a una forza assiale di 45 kN. Valutare e
confrontare:
a) la variazione relativa di volume vericando che `e positiva (il volume del provino aumenta
in trazione)
b) la variazione relativa di densit`a del materiale
c) la densit`a di energia elastica immagazzinata nel materiale
d) lenergia elastica complessivamente immagazzinata nella parte cilindrica del provino
17.3 Soluzione generale del problema elastico
La possibilit`a di trattare in modo quantitativo la deformabilit`a dei materiali consente di
arontare nalmente il problema generale della meccanica dei solidi e quindi di valutare i campi
di tensione
ij
, di deformazione
ij
e di spostamento u
i
(con i, j = 1, 2, 3) di un generico corpo
vincolato e caricato. Per ogni parallelepipedo elementare, e quindi per ogni punto del corpo,
nellipotesi di validit`a della meccanica dei corpi poco deformabili e assumendo per il materiale
un comportamento elastico lineare omogeneo isotropo, le equazioni che sono state sviluppate
no a questo punto sono:
3 equazioni di equilibrio indenito dellelemento di volume (capitolo 13):

i1
x
1
+

i2
x
2
+

i3
x
3
+f
i
= 0
6 equazioni di congruenza che legano gli spostamenti alle deformazioni (capitolo 14):

ij
=
1
2
_
u
i
x
j
+
u
j
x
i
_
6 equazioni costitutive espresse dalla legge di Hooke in una delle sue varianti.
Le equazioni di congruenza possono essere sostituite dalle equazioni di Beltrami-Michell (ve-
di sempre il capitolo 14) che garantiscono lesistenza di un campo di spostamento congruente
per il campo di deformazione dato. Disponiamo pertanto di 15 equazioni valide in ogni punto:
le prime 9 sono equazioni dierenziali alle derivate parziali, si ricordi che i campi incogniti sono
funzioni della posizione e quindi delle coordinate (x
1
, x
2
, x
3
), e le ulteriori 6 sono equazioni
algebriche. Data lorigine `e evidente che tutte le equazioni sono sicamente indipendenti. Nelle
ipotesi fatte, tutte le predette equazioni sono lineari e questa loro caratteristica garantisce lap-
plicabilit`a del principio di sovrapposizione degli eetti per il problema generale della meccanica
dei solidi elastici deformabili.
Consideriamo ora le grandezze che devono essere determinate per valutare la resistenza e la
rigidezza in un problema strutturale, ovvero le incognite scalari del problema. In ogni punto `e
necessario conoscere:
529
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
6 componenti di tensione
ij
6 componenti di deformazione
ij
3 componenti di spostamento u
i
per un totale di 15 incognite.
`
E quindi stato formulato un problema dierenziale lineare nel quale le funzioni incognite sono
in numero pari alle equazioni indipendenti che le legano. Riscontriamo pertanto i presupposti
perche il problema sia ben posto. In eetti, `e stato dimostrato che, se si escludono situazioni di
evidente incompatibilit`a delle condizioni al contorno, peraltro prive di signicato sico:
il problema strutturale statico elastico lineare in regime di piccoli spostamenti e
piccole deformazioni ammette sempre soluzione e questa `e unica.
Lesistenza e lunicit`a non implicano che la soluzione analitica per un generico problema
sia di agevole ottenimento. In eetti, soprattutto in problemi tridimensionali, sono pochissi-
mi e molto particolari i casi in cui la soluzione `e disponibile in forma chiusa. Tuttavia, la
consapevolezza dellesistenza e dellunicit`a della soluzione permette:
di validare una soluzione in qualsiasi modo ottenuta, anche per intuito;, perche basta
inserire direttamente la soluzione nelle equazioni e vericare che sia equilibrata, congruente
e che soddis la legge di Hooke (per lunicit`a una diversa funzione non potrebbe essere
soluzione)
di sviluppare vari metodi, che possono essere analitici ma anche e soprattutto numerici,
per ottenere una soluzione sucientemente approssimata.
Gran parte dei prossimi capitoli riguarderanno la discussione e la soluzione di classi di
problemi di questo tipo per le quali sar`a utile il teorema di esistenza e unicit`a della soluzione
elastica. Possiamo in eetti arontare gi`a da ora la soluzione di alcuni problemi iperstatici
elementari.
Esempio 17.4: Cubo elastico premuto contro un piano liscio rigido
Un cubo di materiale elastico omogeneo isotropo di costanti elastiche E e (per una
valutazione numerica si pu`o considerare un materiale polimerico) di spigolo a = 100 mm
ha la base appoggiata su un piano rigido senza attrito ed `e sottoposto a una pressione
p = 2 MPa uniformemente distribuita sulla faccia opposta (gura 17.12). Determinare la
distribuzione di pressione che si manifesta sulla faccia appoggiata.

i
p
a
Figura 17.12: Cubo elastico compresso contro una parete rigida liscia.
530
17.3. SOLUZIONE GENERALE DEL PROBLEMA ELASTICO
Se si considera il corpo come un punto materiale, la soluzione `e banale in quanto il
problema `e isostatico (anche se non intrinsecamente) e la forza di contatto (la reazione
vincolare) si ottiene immediatamente. Tuttavia la richiesta non si limita alla valutazione
della risultante ma impone di valutare la distribuzione della reazione vincolare sulla faccia
in contatto. Ci`o richiede di considerare il corpo come esteso e continuo e rende il problema
molto pi` u complesso e interessante.
La mancanza di attrito permette di limitare alla sola componente normale la reazione
vincolare in ogni punto di contatto e quindi possiamo considerare che lincognita si ma-
nifesti come una opportuna distribuzione di pressione. Lintuito potrebbe suggerire che
la pressione di contatto sia uniformemente distribuita sulla faccia inferiore, ma un esame
pi` u critico dovrebbe far sorgere almeno qualche dubbio: sulla base di quali considerazioni
possiamo, per esempio, escludere che i anchi liberi del cubo modichino il comportamento
locale del corpo generando nella zona vicino ai lati del quadrato di base una pressione
diversa rispetto alle zone centrali? Il problema presenta in eetti innite incognite e le con-
dizioni di equilibrio e le simmetrie non sono sucienti per assicurare a priori luniformit`a
della distribuzione della reazione vincolare. Se interpretato nel continuo, il problema pu`o
pertanto essere classicato come innitamente volte iperstatico. Questa situazione `e tipica
nella meccanica dei corpi continui per i quali `e generalmente richiesto lo stato di tensione
in ognuno dei suoi inniti punti.
Dato che il materiale pu`o essere considerato di Hooke e che, almeno no a prova con-
traria, `e assunto sucientemente rigido da poter applicare la meccanica dei corpi poco
deformabili (tali presupposti potranno essere riscontrati a posteriori), ipotizziamo una so-
luzione e verichiamo che questa soddis tutte le equazioni della meccanica dei solidi.
Guidati dallintuizione iniziale, assumiamo che lo stato di tensione sia uniforme e monoas-
siale e quindi simile a quello che si manifesta nel provino di trazione. Nel sistema di
riferimento indicato, il tensore di Cauchy sar`a quindi del tipo:
S =
_
_
0 0 0
0 0
Sym
zz
_
_
per ogni punto del corpo. Tale stato di tensione soddisfa evidentemente le equazioni di
equilibrio allinterno del corpo (sono trascurate per evidenti motivi le forze di volume) ma
`e anche necessario che siano soddisfatte le condizioni di equilibrio al contorno ovvero sulle
facce non vincolate dove sono applicati i carichi che sono forze di supercie note, even-
tualmente nulle. Sulle facce non vincolate la distribuzione di forza di supercie applicata
dallesterno deve infatti eguagliare il locale vettore tensione. In particolare, sulla faccia
superiore deve essere:

t
_

k
_
= p

k
mentre sulle 4 facce laterali con normale esterna m sar`a:

t ( m) = 0
Nel caso in esame, `e facile vericare che lo stato di tensione ipotizzato soddisfa identica-
mente la condizione sulle facce laterali scariche mentre la condizione sulla faccia superiore
`e soddisfatta se si pone:
zz
= p.
Possiamo quindi concludere che il campo di tensione uniforme:
S =
_
_
0 0 0
0 0
Sym p
_
_
531
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
rispetta le condizioni di equilibrio sia allinterno del corpo sia sulle superci non vincolate.
Restano ancora da vericare le altre equazioni. Imponendo la legge di Hooke per
valutare le deformazioni:
E =
p
E
_
_
0 0
0
Sym 1
_
_
sono implicitamente soddisfatte le equazioni costitutive.
La soluzione ipotizzata conduce a uno stato di deformazione uniforme sul corpo e quindi
a una trasformazione ane in grande. Per vericare il soddisfacimento della congruenza
potremmo introdurre il campo di spostamenti, ma in questo caso `e pi` u conveniente avvalersi
delle equazioni di Beltrami-Michell che, senza calcolarlo, garantiscono lesistenza di un
campo di spostamenti congruente che genera il campo di deformazione dato. In eetti,
come discusso nel capitolo 14, un campo di deformazione uniforme soddisfa certamente le
equazioni di Beltrami-Michell.
Vericato il soddisfacimento dellequilibrio, della congruenza e del legame costitutivo,
si pu`o quindi aermare che la soluzione ipotizzata `e la soluzione eettiva e unica del
problema. Si pu`o quindi procedere numericamente per valutare leettiva modica di
forma e vericare laccettabilit`a delle ipotesi di corpo poco deformabile (a tale proposito si
osservi che le variazioni relative delle lunghezze dei lati sono dellordine di p/E).
Nel caso in esame tutti i riscontri sono favorevoli per cui `e vericato che il risultato `e
plausibile e quindi la pressione sulla faccia inferiore `e eettivamente uniforme. Possiamo
quindi aermare, a posteriori, che non vi `e alcun eetto di bordo dovuto alle pareti laterali
del cubo che sono scariche. In eetti, il vettore tensione `e nullo su tutte le facce verticali
del cubo in ogni punto anche interno.
Esempio 17.5: Cubo elastico lateralmente vincolato premuto contro un piano
Il cubo dellesempio precedente, con spigolo a e costanti elastiche E e , `e inserito in
una scanalatura di larghezza pari allo spigolo con pareti lisce e rigide in modo che non
possa espandersi in direzione x. Determinare la pressione sulle facce laterali se, come
nellesempio precedente, `e applicata una pressione uniforme sulla faccia superiore.
Anche in questo caso ipotizziamo uno stato di tensione uniforme.
`
E per`o evidente che
lo stato di tensione non pu`o essere monoassiale. Infatti lespansione laterale prodotta in
condizioni monoassiali non sarebbe congruente con il vincolo trasversale che impedisce al
cubo di dilatarsi in direzione x. Ipotizziamo quindi uno stato biassiale uniforme con una
ulteriore componente normale(incognita) della tensione in direzione x. Dal punto di vista
sico giustichiamo tale componente con leetto della pressione laterale incognita:
S =
_
_

xx
0 0
0 0
Sym
zz
_
_
Considerazioni di equilibrio in direzione z, analoghe a quelle fatte nellesempio precedente,
impongono che:
zz
= p. Indicando la componente tensionale incognita come
xx
= q, lo
stato di tensione ipotizzato `e quindi:
S =
_
_
q 0 0
0 0
Sym p
_
_
532
17.3. SOLUZIONE GENERALE DEL PROBLEMA ELASTICO
che `e sicuramente equilibrato allinterno e sulle superci in cui `e applicato il carico. Lo
stato di deformazione ottenuto dalla legge di Hooke `e il seguente (notare lapplicazione del
P.S.E.):
E =
_
_

p
E
0 0

p
E
0
Sym
p
E
_
_
+
_
_
q
E
0 0

q
E
0
Sym
q
E
_
_
=
=
1
E
_
_
q +p 0 0
(p q) 0
Sym (p +q)
_
_
Anche le equazioni di congruenza sono soddisfatte allinterno, ma `e necessario che il cubo
non si estenda lateralmente, per cui `e necessario imporre anche:

xx
= 0
La condizione che impone la congruenza del cubo deformato con il vincolo laterale fornisce
quindi lequazione che manca per ottenere lincognita:
q +p = 0
da cui:
q = p
Constatiamo che la parete laterale esercita sul cubo una pressione pari a volte quella
esercitata dalla parete inferiore. Il lettore pu`o vericare che, rispetto al caso precedente:
la riduzione dellaltezza del cubo `e inferiore
la componente idrostatica dello stato di tensione `e pi` u negativa
la tensione tangenziale massima che il materiale deve sopportare rimane immutata
la densit`a di energia elastica e quindi anche lenergia totale immagazzinata nel cubo
`e inferiore.
Esercizio 17.2: Cubo lateralmente contenuto
Dato lo stesso cubo dei precedenti esempi con tutte le facce laterali (oltre a quella inferiore)
vincolate da superci lisce e rigide. Vericare che:
a) Lo stato di tensione `e uniforme e triassiale
b) La pressione sulle pareti laterali `e la stessa e vale

1
p
c) Lo spostamento della faccia superiore `e ancora minore (ma comunque non nullo)
d) Lenergia elastica immagazzinata nel cubo `e pari al lavoro fatto dalle forze esterne (si
considerino tutte le facce del cubo)
533
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
Esercizio 17.3: Parallelepipedi compressi
Le dimensioni del cubo negli esempi precedenti non sono rilevanti per lo stato di tensione.
Si ripetano gli esercizi con un parallelepipedo orientato come gli assi ma con spigoli
di lunghezza diversa, vericando che anche la forma della sezione trasversale non `e
signicativa.
Esercizio 17.4: Cilindri compressi
Un cilindro di PVC `e inserito senza gioco signicativo in un foro cieco coassiale eseguito
su un corpo di rigidezza innita. Trascurando lattrito e applicando sulla faccia libera del
cilindro una pressione p, determinare lo stato di tensione e le pressioni esercitate sulla
faccia laterale e sul fondo del foro. Si osservi come in questo caso il cilindro trasmetta alla
cavit`a un carico diverso da quello che produrrebbe un liquido nelle stesse condizioni di
pressurizzazione.
Esercizio 17.5: Cilindri di gomma compressi
Ripetere lesercizio precedente con un cilindro di gomma usando la legge di Hooke con
= 0.49.
Esercizio 17.6: Cavit`a con olio
Un cilindro di raggio 2 cm `e riempito dolio no a un livello di 5 cm. Supponendo le
pareti del cilindro innitamente rigide, valutare la forza assiale che deve essere applicata
al pistone in modo che si abbassi di 0.1 mm.
Esercizio 17.7: Provino di trazione: zona centrale
Assumendo che alla ne del raccordo la forza esercitata sulla parte centrale di un provino
di trazione sia uniformemente distribuita sulla sezione:
a) vericare che la tensione monoassiale uniforme `e lunica possibile per un materiale di
Hooke nella zona centrale
b) dimostrare che la forma della sezione (purche sia la stessa lungo lasse) non `e rilevante
per la tensione.
In generale possiamo concludere che per risolvere un problema di meccanica del continuo `e
necessario imporre che siano soddisfatte tutte le seguenti tre condizioni:
statiche (o di equilibrio),
geometriche (o di congruenza) e
costitutive (comportamento del materiale).
534
17.4. ALTRE ESPRESSIONI DELLA LEGGE DI HOOKE (*)
Questo procedimento, che da ora in poi sar`a adottato sistematicamente, `e molto pi` u generale
di quanto possa sembrare dagli esempi di statica dei corpi poco deformabili arontati in questo
corso. In eetti la sua validit`a si estende:
al regime dinamico, per il quale `e suciente introdurre sistemi non inerziali e le con-
seguenti forze dinerzia (in generale potrebbe essere richiesto un sistema di riferimento
diverso per ogni parallelepipedo elementare)
in condizioni di grandi spostamenti e grandi deformazioni, con la conseguente modica
delle equazioni di congruenza e con lequilibrio imposto nella congurazione deformata
a materiali con comportamenti costitutivi diversi, come per esempio elastici non isotropi,
non omogenei o non lineari, oppure materiali con deformazioni anche termiche, plastiche,
viscose, e anche materiali non solidi (liquidi e gas), materiali che cambiano fase, materiali
che hanno memoria, tessuti biologici, ecc. . . . In tali circostanze la legge costitutiva `e
generalmente pi` u complessa e non essere semplicemente rappresentabile con un legame
algebrico diretto tra tensione e deformazione.
Ogni generalizzazione rispetto alle ipotesi adottate nel corso comportano complicazioni,
spesso notevoli, anche di tipo teorico dovute prevalentemente alla perdita di linearit`a di qual-
cuna delle equazioni e quindi alla mancanza di garanzia sullesistenza e unicit`a della soluzione.
Anche i procedimenti di soluzione approssimati diventano in tali casi notevolmente pi` u complessi
e onerosi.
Rimanendo nellambito dei materiali elastici lineari omogenei isotropi e della meccanica
dei solidi poco deformabili, il problema sico pu`o quindi essere considerato completamente
risolto. Il seguito del corso consiste nello sviluppo di tecniche per modellare e risolvere classi
di problemi strutturali di interesse nelle applicazioni. Lapproccio generale consister`a nello
sviluppo di procedimenti che forniscono una previsione non sempre necessariamente esatta ma
comunque sucientemente approssimata. In linea del tutto generale, il tipo di approssimazioni
ammesse consistono nella rinuncia al soddisfacimento esatto di tutte le equazioni in ogni punto
della struttura. Soluzioni tecnicamente accettabili si ottengono infatti anche imponendo le
condizioni di equilibrio e di congruenza e le leggi costitutive solo in media, operando su domini
innitesimali non puntuali e ma aventi una o pi` u dimensioni nite, come per esempio i singoli
conci di una trave.
17.4 Altre espressioni della legge di Hooke (*)
Nella letteratura tecnica e scientica la legge di Hooke `e talvolta espressa in modi diversi
da quello nora proposto, anche con lintroduzione di altre costanti elastiche che peraltro sono
esprimibili in funzione delle costanti ingegneristiche fondamentali: E e . Per esempio, in onore
dello scienziato francese Gabriel Lame (1795-1870), si chiamano costanti di Lame le seguenti
quantit`a:
=
E
2 (1 +)
=
E
(1 2) (1 +)
la prima delle quali equivale a G. Possono essere utili le relazioni inverse che danno le costanti
ingegneristiche a partire da quelle di Lame:
E =
3 + 2
+
535
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
=

2 ( +)
Il bulk modulus si pu`o quindi esprimere come:
K =
3 + 2
3
Per mezzo delle costanti di Lame la legge di Hooke pu`o essere scritta in modo particolar-
mente semplice e adatto alla formulazione analitica con quantit`a indicizzate. Nel seguito sono
riportati alcuni esempi nei quali si usa il delta di Kroneker
ij
e la convenzione di Einstein sugli
indici ripetuti. La legge di Hooke con le tensioni al primo mebro diviene infatti:

ij
= 2
ij
+
kk

ij
La relazione inversa (con le deformazioni al primo menbro) `e pi` u semplice se espressa con le
costanti ingegneristiche:

ij
=
1 +
E

ij

kk

ij
La densit`a di energia elastica si pu`o scrivere anche come:
=
1
2
(
kk

ll
+ 2
ij

ij
)
Considerando la componente deviatorica della deformazione:

D
ij
=
ij


kk
3

ij
la relazione (17.18) si pu`o scrivere come:
=
1
2
_
2
3
+
_
(
ll
)
2
+
D
ij

D
ij
che mostra le condizioni a cui devono essere sottoposte le costanti di Lame perche sia una
forma quadratica denita positiva:
2
3
+ > 0
> 0
queste limitazioni equivalgono alle analoghe discusse precedentemente.
Pu`o essere utile ricordare che, per quanto il rapporto di Poisson (simbolo compreso) si
sia imposto come il parametro pi` u usato per quanticare la contrazione traversale in campo
elastico, `e possibile trovare testi in cui `e impiegato il suo reciproco:
m =
1

grandezza da certi autori chiamata modulo di Poisson. Purtroppo il termine modulo di Poisson
viene spesso attribuito anche alla quantit`a (al posto del corretto rapporto di Poisson). Anche
se queste ambiguit`a dovrebbero essere evitate, osserviamo che nella grande maggioranza dei casi,
indipendentemente da come viene chiamato, ci si riferisce al rapporto e inoltre, per fortuna,
il valore numerico della quantit`a permette in genere di risolvere lambiguit`a (
1
3
; m 3).
536
17.5. GIUSTIFICAZIONE DELLEFFETTO POISSON PER UN MODELLO ELEMENTARE DI RETICOLO
(*)
17.5 Giusticazione delleetto Poisson per un modello elemen-
tare di reticolo (*)
Per un cristallo con struttura cubica semplice, leetto delle interazioni elettromagnetiche
interne `e grossolanamente schematizzabile come nella gura 17.13. Osserviamo che:
la dimensione caratteristica del reticolo indeformato `e d
0
il reticolo `e orientato in modo che la tensione uniassiale sia nella direzione z di uno spigolo
`e rappresentato un singolo piano atomico sul quale la tensione uniassiale si manifesta con
una forza per unit`a di lunghezza pari a
zz
d
0
sono evidenziate le interazioni di ogni atomo con gli atomi pi` u vicini (distanti d
0
) e con
quelli in corrispondenza delle diagonali delle facce (distanti

2d
0
), le altre interazioni sono
state trascurate
per simmetria, le molle orientate come gli spigoli (verticali e orizzontali) hanno la stessa
rigidezza k
1
, e le molle sulle diagonali hanno rigidezza comune k
2
in generale diversa da
k
1
considerata la distanza relativa tra gli atomi, `e presumibile che le molle diagonali siano
meno rigide di quelle dei lati (k
2
< k
1
) per quanto tale propriet`a del reticolo dovr`a essere
confermata dalla misura.
Consideriamo lequilibrio di un atomo posto sullo spigolo del cubo elementare del reticolo
riprodotto nella gura 17.14 e, tenendo conto che su ogni spigolo concorrono 4 cubi mentre su
una faccia solo 2, si ha:
le rigidezze delle molle degli spigoli sono divise per 4
le molle diagonali sono divise per 2
la forza applicata sul singolo atomo `e relativa a un quarto della forza applicata alla faccia
superiore: F =
1
4

zz
d
2
0
.
Supponiamo inoltre che la forza applicata e la rigidezza delle molle siano tali che il problema
possa essere risolto nellambito della meccanica dei corpi poco deformabili, in eetti stiamo
riproducendo deformazioni elastiche. Pertanto, chiamando x = y e z rispettivamente
lallungamento delle molle orizzontali e verticali avremo:

zz
=
z
d
0

xx
=
yy
=
x
d
0
Lallungamento delle molle diagonali verticali vale:
_
(d
0
+ x)
2
+ (d
0
+ z)
2

2d
0
=

2d
0
_
_

1
2
_
1 +
x
d
0
_
2
+
1
2
_
1 +
z
d
0
_
2
1
_
_
che, nellipotesi ipotesi di piccoli spostamenti, diventa:
x+z

2
. Le molle diagonali orizzontali
analogamente si allungano di:
x + y

2
=

2x
537
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
1
k
1
k
2
k
0 zz
d
0
d
x
z
Figura 17.13: Faccia di un reticolo elastico di tipo cubico.
Le equazioni di equilibrio alla traslazione, in direzione x e z rispettivamente, per l atomo
sullo spigolo diventano quindi:

k
1
4
x
k
2
2
_
x + z

2
_

2
2

k
2
2

2x

2
2
= 0
F
k
1
4
z 2
k
2
2
_
x + z

2
_

2
2
= 0
dalla prima, tenendo conto che nelle condizioni di carico scelte: =
x
z
, si ricava la relazione:
=
k
2
k
1
+ 3k
2
Indicando con =
k
2
k
1
il rapporto tra le rigidezze delle molle, si ha:
=

1 + 3
il cui andamento `e rappresentato nel graco di gura 17.15.
Interpretando la soluzione ottenuta in termini sici, possiamo aermare che, per allungare
il cristallo in direzione z il carico deve far dilatare, oltre alle molle verticali, anche le molle
diagonali poste sulle facce verticali. Data lobliquit`a, le molle diagonali tese producono una
componente di forza orizzontale che, agendo sugli spigoli del cubo, tende ad avvicinarli in
direzione x. Questo avvicinamento `e contrastato dalle molle orizzontali (sia sugli spigoli sia
sulle diagonali orizzontali) che reagiscono comprimendosi. La congurazione di equilibrio si
realizza quando la contrazione nel piano determina una risultante orizzontale nulla sul singolo
atomo dato che non ci sono carichi esterni agenti tale direzione (
xx
= 0).
In un reticolo a struttura cubica semplice `e quindi proprio la presenza delle molle diagonali
a giusticare leetto Poisson, infatti `e = 0 se k
2
= 0.
538
17.5. GIUSTIFICAZIONE DELLEFFETTO POISSON PER UN MODELLO ELEMENTARE DI RETICOLO
(*)
2
/ 2 k
1
/ 4 k
2
0
4
zz
d
F

=
1
/ 4 k
x
z
y
Figura 17.14: Schema di corpo libero della faccia elementare.
Dallequazione di equilibrio in direzione z si ottiene anche la seguente relazione che fornisce
il modulo elastico:
E =

zz

zz
=
k
1
d
0
1 + 5 + 4
2
1 + 3
Con le precedenti relazioni sembra possibile risalire alle propriet`a del legame atomico: k
1
, k
2
sulla base delle caratteristiche elastiche macroscopiche (E, ) e della dimensione reticolare d
0
.
Tuttavia `e necessario considerare che il modello proposto `e piuttosto grossolano e pu`o essere
usato solo per fornire una giusticazione poco pi` u che qualitativa del comportamento elastico
macroscopico. In eetti, i cristalli hanno in genere strutture diverse e spesso sensibilmente pi` u
complesse rispetto a quella modellata (sono tipicamente: cubiche a corpo centrato, cubiche a
facce centrate, esagonali compatte, tetraedriche, ecc. . . ). Le considerazioni di equilibrio dei
singoli atomi dovrebbero quindi essere conseguentemente adattate. Inoltre si pu`o vericare che
un cristallo cubico semplice, come quello schematizzato, non ha un comportamento isotropo
per cui, date le rigidezze k
1
e k
2
, se si ruota il reticolo di un angolo diverso da 90

, in genere
il modulo elastico risulta diverso da quello precedentemente calcolato (in altri termini: E ,=
2G(1 +)).
In eetti, la struttura dei reticoli cristallini determina necessariamente la presenza di dire-
zioni preferenziali e di conseguenza, i monocristalli e quindi i singoli grani in una lega metallica
hanno propriet`a elastiche generalmente anisotrope. In genere, per`o, in un materiale policri-
stallino, i grani hanno forme approssimativamente tondeggianti, senza direzioni privilegiate, e
diametri molto inferiori alle dimensioni caratteristiche del problema strutturale, inoltre, i piani
atomici di grani diversi hanno un orientamento casuale uniformemente distribuito nello spazio.
Come conseguenza di una media spaziale del comportamento deformativo dei singoli grani, a
livello macroscopico il materiale non mostra direzioni preferenziali e appare isotropo.
`
E comunque utile ricordare che alcuni processi produttivi, come la laminazione o la tra-
latura, possono generare grani di forma allungata orientati preferenzialmente in una direzione.
La conseguente brosit`a microstrutturale pu`o indurre deboli anisotropie anche delle propriet`a
elastiche. Tale anisotropia `e dovuta alla forma allungata dei grani e non allorientamento dei
piani cristallini allinterno dei singoli grani, e si giustica con il diverso comportamento della
539
17. IL MATERIALE ELASTICO LINEARE OMOGENEO ISOTROPO
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
0
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25

2 1
/ k k =
Figura 17.15: Rapporto di Poisson per un reticolo cubico in funzione del
rapporto tra la rigidezza delle molle.
zona irregolare del reticolo che caratterizza i bordi di grano rispetto alle zone interne reticolar-
mente molto pi` u regolari. Per esempio, in una lamiera di acciaio prodotta da laminazione, il
modulo elastico misurato con un provino estratto nella direzione di laminazione pu`o dierire di
qualche percento da quello misurato in un provino estratto nel senso trasversale. Dierenze di
questo ordine di grandezza verranno nel seguito trascurate.
Esercizio 17.8: Spostamenti imposti (*)
Un reticolo cubico i cui spigoli sono vincolati a muoversi solo in direzione z riproduce
le condizioni del materiale in un provino tirato lungo lasse z vincolato a non contrarsi
trasversalmente. Sapendo che in tale caso lo stato di tensione `e:
xx
=
yy
=

1

zz
,
usando un modello dedotto dalla gura 17.14 determinare il legame tra le rigidezze delle
molle e il rapporto di Poisson.
17.6 True stress vs engineering stress
Come `e stato osservato, la tensione rappresenta dimensionalmente il rapporto tra una forza
e larea della sezione su cui tale forza globalmente agisce. A rigore, per un materiale deformabile
la tensione di Cauchy dovrebbe essere valutata considerando larea sotto carico, ovvero quella
che si manifesta quando il corpo `e eettivamente sottoposto alla forza ed `e quindi deformato.
Nellinterpretazione della prova di trazione, da cui abbiamo dedotto i moduli elastici, `e stata
invece considerata larea della sezione iniziale, o sezione nominale. A causa della non linearit`a
geometrica connessa alla modica della congurazione del corpo sotto carico, luso dellarea
corrente comporta una complicazione sia nella formulazione della legge costitutiva sia nella
soluzione del problema strutturale. Infatti, considerando la geometria deformata si ottiene un
tipico problema del secondo tipo: le deformazioni dipendono costitutivamente dalle tensioni ma
per valutare le tensioni `e necessario sapere come il corpo si deforma, ecc. . . .
Sia larea della sezione nominale sia larea della sezione corrente possono essere usate per
denire la tensione. In generale, si ottiene un risultato diverso e, secondo il caso, pu`o essere
pi` u corretto, oppure conveniente, adottare luna o laltra denizione. La tensione valutata sulla
540
17.6. TRUE STRESS VS ENGINEERING STRESS
base dellarea nominale A della sezione:

zz
=
F
A
`e generalmente chiamata tensione ingegneristica (engineering stress) mentre la tensione
valutata in base allarea A

della sezione deformata dal carico:



zz
=
F
A

`e chiamata tensione vera (true stress).


Nellambito dei corpi poco deformabili la dierenza tra i due precedenti quanticatori dello
stato tensionale `e trascurabile. Questo deriva dal fatto che per i solidi cristallini le deformazioni
elastiche sono al pi` u dellordine di 10
3
per cui le dierenze relative A e A

e quindi tra
zz
e

zz
sono al massimo dellordine del permille. Non sembra quindi giusticato introdurre compli-
cate non linearit`a costitutive per cogliere eetti che sono dello stesso ordine di grandezza delle
approssimazioni generalmente tollerate nella meccanica dei corpi poco deformabili. Nel presen-
te corso pertanto, le caratteristiche geometriche delle sezioni su cui le tensioni sono valutate
saranno sempre quelle nominali (iniziali, a corpo indeformato) senza che tale scelta abbia eetti
signicativi sul risultato.
`
E interessante osservare che ladozione della tensione ingegneristica, oltre a evidenti motiva-
zioni di tipo pratico, ha anche una giusticazione di tipo sico, almeno per lo studio di materiali
di tipo cristallino in regime elastico. Come pi` u volte aermato, le deformazioni elastiche sono
conseguenza delle forze applicate ai singoli atomi del reticolo che modicano debolmente la
congurazione di equilibrio naturale dai legami elettromagnetici interni. Considerando il caso
uniassiale schematizzato nella gura 17.13, si osserva che, allaumentare del carico complessivo
(di trazione), gli atomi tendono in generale ad avvicinarsi in direzione trasversale, ma anche
che, nonostante questo, il carico agente su ogni singolo legame atomico cresce in misura pro-
porzionale al carico applicato. In eetti, se la deformazione `e elastica, il numero di atomi che
appartengono a un piano perpendicolare allasse (gli atomi che si dividono il carico) non muta
durante il caricamento, anche in presenza delleetto Poisson.
Mentre la tensione ingegneristica cresce proporzionalmente al carico applicato, la ten-
sione vera cresce col carico pi` u che proporzionalmente. Non stupisce quindi se la lineari-
t`a che si osserva nel graco carico-spostamento sia riprodotta fedelmente nel graco tensione
ingegneristica-deformazione da cui `e ricavato il valore del modulo elastico E. Quindi sarebbe
necessario introdurre una legge costitutiva non lineare per esprimere il legame tensione vera-
deformazione per giusticare la legge sperimentale lineare carico-spostamento. Pertanto, per i
materiali cristallini in campo elastico la tensione ingegneristica non solo `e pi` u semplice della
tensione vera ma `e anche sicamente pi` u rappresentativa. Per questi materiali, che costituiscono
la norma nel presente corso, non si devono quindi avere dubbi a non adottare la tensione vera
dato che, nei fatti, `e pi` u vera la tensione ingegneristica!
Vi sono peraltro situazioni in cui la tensione vera diventa pi` u signicativa di quella ingegne-
ristica, in particolare:
per gli elastomeri con elevate deformazioni
per i materiali soggetti a predominanti deformazioni plastiche o viscose.
In tali circostanze i due quanticatori tensionali possono dierire signicativamente e, inoltre, il
reticolo cristallino viene alterato dal caricamento anche nella disposizione degli atomi e cambia
il numero di atomi che, nella sezione, si ripartiscono il carico. Il carico agente sul singolo atomo
in tali casi `e pi` u correttamente descritto dalla true stress.
541
Capitolo 18
Propriet`a di resistenza e veriche
Oltre alle costanti elastiche che deniscono il comportamento costituivo vi sono molte altre
propriet`a dei materiali ricavabili dalla prova di trazione anchesse fondamentali nelle costruzioni
meccaniche. Tra queste gurano le propriet`a di resistenza la conoscenza delle quali `e necessaria
per garantire che il materiale sia impiegato in condizioni di sicurezza. Il capitolo descrive le
principali propriet`a meccaniche dei materiali da costruzione sollecitati in modo quasi statico.
Particolare attenzione `e dedicata alla condizione di snervamento che rappresenta il livello di
sollecitazione sopra il quale il materiale manifesta deformazioni non solo elastiche.
Viene descritto il modo con cui `e valutabile la tensione di snervamento tramite la prova di
trazione uniassiale e denita la tensione ammissibile del materiale che ssa il limite superiore
della tensione monoassiale che garantisce il comportamento costitutivo elastico lineare.
La denizione di snervamento `e successivamente estesa a un generale stato di tensione
pluriassiale e sono introdotti i criteri di snervamento di Tresca e di von Mises. Con la nozione
di tensione equivalente o ideale `e quindi sviluppato un metodo operativo per ricondurre
uno stato di tensione qualunque a uno stato uniassiale ugualmente pericoloso ai ni dello
snervamento. Il confronto diretto tra la tensione equivalente e la tensione ammissibile del
materiale permette quindi la verica a resistenza del componente. Nellultima parte del capitolo
`e denito il coeciente di sicurezza che rappreenta il risultato nale di ogni verica di
resistenza allo snervamento.
18.1 Determinazione della resistenza allo snervamento
18.1.1 Completamento della prova di trazione no a rottura
Molte delle principali propriet`a meccaniche di un materiale si ottengono elaborando la prova
di trazione che viene prolungata no alla rottura del provino. Ricordiamo che la prova di
trazione `e tipicamente condotta in controllo di spostamento, ovvero in modo che la servovalvola
di controllo immetta nellattuatore della macchina di prova una portata dolio tale da imporre un
allontanamento relativo degli estremi del provino a (bassa) velocit`a costante, indipendentemente
da come si comporta il materiale. Durante la prova, la cella di carico misura la forza di trazione
che viene conseguentemente applicata al provino. In controllo di spostamento non si verica
nulla di anomalo nemmeno alla rottura, la macchina infatti continua ad allontanare gli estremi
del provino, ormai separati, mentre la cella di carico da quel momento segna forza normale
nulla.
Come `e stato fatto nel capitolo 17 per determinare le propriet`a elastiche, i dati direttamente
rilevati nella prova (forza assiale e allontanamento di due punti della parte cilindrica del provino)
vengono normalizzati con due quantit`a costanti, rispettivamente: larea iniziale della sezione e
543
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
la distanza iniziale dei punti. Come conseguenza, la curva tensionedeformazione () che
cos` si ottiene ha la stessa forma della curva forza normaleallungamento (Fs). Sappiamo
dai capitoli precedenti che la curva tensionedeformazione ai bassi carichi `e lineare per tutti i
solidi, tuttavia levidenza sperimentale mostra che, proseguendo la prova, la curva pu`o mostrare
andamenti pi` u complessi e diversi secondo il tipo di materiale in esame.
In eetti, per alcuni materiali, come per esempio i ceramici, la curva di trazione rimane
lineare no alla rottura del provino. In questi casi si osserva che le parti in cui il provino si
separa alla rottura possono essere fatte ricombaciare in modo che con i frammenti `e ricostituibile
la forma originaria del provino. Un materiale che manifesta tale comportamento raggiunge la
rottura quando sono state prodotte solo deformazioni elastiche ed `e detto fragile (brittle).
La fragilit`a (brittleness) `e in genere una caratteristica propria di un materiale ma pu`o
essere favorita dallambiente, come la bassa temperatura o la presenza di idrogeno, oppure dalle
condizioni di carico, come lelevata velocit`a di applicazione (urti). Le rotture fragili si vericano
con il minimo lavoro fatto dai carichi per cui sono generalmente improvvise e catastroche in
quanto `e dicle che il fenomeno di separazione si arresti una volta che sia stato innescato.
Come regola generale, nei materiali da costruzione la fragilit`a `e pertanto una caratteristica da
evitare o, quanto meno, da limitare.
I tipici materiali da costruzione devono quindi possedere un suciente grado di duttili-
t`a (ductility) che `e una caratteristica per cui si deformano non solo elasticamente prima di
rompersi. La duttilit`a si evidenzia quindi con linsorgenza di marcate non linearit`a della curva
tensionedeformazione. Tali non linearit`a sono generalmente manifestazioni di deformazioni non
elastiche che interessano il cristallo e che possono essere quantitativamente prevalenti rispetto
alle deformazioni elastiche. Infatti, nei materiali duttili, le parti del provino dopo la rottura
presentano una forma molto diversa da quella iniziale a testimonianza che notevoli processi de-
formativi permanenti, o irreversibili, si sono prodotti prima che il provino giungesse a rottura.
Analizziamo lesito di una prova di trazione condotta no alla rottura su un tipico materia-
le duttile, come un acciaio al carbonio da costruzione, la cui curva tensione-deformazione `e
riprodotta in gura 18.1. Dalla gura si possono trarre alcune interessanti considerazioni:
la zona A, in cui la curva `e lineare, rappresenta il comportamento elastico
in corrispondenza del punto B si evidenzia una perdita di linearit`a che, in questo caso, `e
caratterizzata da una brusca deviazione dalla linearit`a con una riduzione del valore della
forza trasmessa al provino (calo della tensione di prova)
il fenomeno che si verica in B che rappreenta la condizione di inizio della fase in cui il
materiale manifesta un comportamento costitutivo non lineare, `e chiamato snervamen-
to (yielding) o, pi` u propriamente, primo snervamento
nella successiva fase B C la curva di trazione `e caratterizzata da una pendenza molto
inferiore rispetto al campo elastico, in certe zone, o per certi materiali, la curva dopo lo
snervamento `e praticamente orizzontale in certi casi `e orizzontale allinizio e poi appare
debolmente crescente no al punto C
nella fase B C il materiale si deforma anche plasticamente ovvero, oltre al fenomeno
deformativo elastico, si attiva anche un processo deformativo simile a quello che produce lo
scorrimento in un liquido molto viscoso. Per produrre lo scorrimento plastico, il provino
richiede una forza normale che risulta poco inuenzata dalla deformazione, per questo
motivo la curva di trazione `e in tale zona di fatto orizzontale se paragonata alla fase
elastica
544
18.1. DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ALLO SNERVAMENTO
nella fase B C la parte calibrata di interesse del provino rimane cilindrica pur subendo
un allungamento signicativo (si osservino i valori realistici sullasse delle deformazioni),
la trasformazione `e quindi ancora ane in grande ed `e corretto ottenere la
zz
dalla misura
dellestensometro
la curva generalmente raggiunge e supera un massimo (il punto C) in corrispondenza del
quale si osserva linizio della strizione (necking) ovvero di una riduzione non pi` u uni-
forme della sezione nel tratto precedentemente calibrato del provino (la posizione assiale
in cui si verica la strizione `e casuale)
dal punto C in poi, si manifesta una localizzazione del processo deformativo per cui
le deformazioni plastiche continuano a progredire nella sola zona di strizione, pertanto
linterpretazione della curva tensionedeformazione diventa discutibile a causa del fatto
che entrambe le quantit`a e non sono pi` u uniformi e quindi non rappresentano il
comportamento del materiale
nella parte decrescente nale CD il processo deformativo plastico diventa quindi sempre
pi` u inteso nella sola zona di strizione e la sezione minima si riduce rapidamente no alla
rottura in corrispondenza del punto D
considerando il comportamento deformativo del provino nella fase compresa tra lo sner-
vamento e la rottura, gli eetti prodotti dallo scorrimento plastico sono largamente
dominanti.
[ ]
zz
MPa
[ ]
%
zz

A
B
C
D
200
400
600
5 10 15 20 25 30
O
Figura 18.1: Curva tensione-deformazione per un acciaio dolce no a rottura:
A Fase elastica, B snervamento, C inizio della strizione, D rottura.
In relazione al comportamento mostrato in gura 18.1 alcuni materiali hanno caratteristiche
di duttilit`a meno marcate. Per tali materiali la curva di trazione dopo lo snervamento pu`o
risutare sempre crescente senza presentare un massimo locale con derivata nulla. La limitata
duttilit`a pu`o quindi comportare che si raggiunga la rottura senza che si abbia la strizione.
18.1.2 Tensione di snervamento e tensione ammissibile per lo snervamento
Per analizzare il fenomeno dello snervamento `e utile eettuare una prova di caricoscarico
che preveda nella fase di carico (loading phase) il superamento della condizione di sner-
vamento B. Con riferimento alla gura 18.2, supponiamo di adottare un provino dello stesso
545
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
materiale di quello con cui `e stata ottenuta la curva 18.1 ma, per chiarezza graca, le scale delle
deformazioni sono notevolmente amplicate. Nella fase di carico, no al punto C, lesperimento
fornisce la curva precedente (a meno della naturale dispersione del materiale e delle misure).
Raggiunto il punto C limmissione dellolio viene interrotta con la chiusura della valvola di
alimentazione dellattuatore. Se non si interviene con altre operazioni e si lascia lolio nellat-
tuatore, si osserva che la forza normale letta dalla cella di carico, e quindi anche la tensione
agente nel provino, rimane costante nel tempo al valore
(C)
zz
. Successivamente, mediante la-
petura della valvola di deusso dellolio, il provino `e scaricato. Se il materiale avesse subito
solo una deformazione elastica, nella fase di scarico (unloading phase) la curva tensione
deformazione seguirebbe a ritroso la curva di carico no allorigine. Invece, come mostra la
gura 18.2, il provino si riporta nella condizione di tensione nulla con le quantit`a che descri-
vono una curva di scarico che ha landamento lineare CD caratterzzato dalla stessa pendenza
del tratto elastico iniziale.
[ ]
zz
MPa
[ ]
%
zz

A
B
B
D
200
400
600
0.2 0.4 0.6 0.8 1.0
C

O
Figura 18.2: Prova di carico-scarico nei pressi dello snervamento.
Alla ne del ciclo di caricoscarico il provino pu`o essere smontato e misurato e si osserva
che la parte centrale risulta pi` u lunga dello 0.6% rispetto al valore iniziale mentre il diametro
del provino si `e ridotto di 0.3% (di quanto `e variato il volume?). Tale modica di forma `e
permanente in quanto, se non si interviene con altre azioni, il provino conserva per sempre
tali caratteristiche geometriche. Per uniformit`a, dobbiamo assumere che ogni parallelepipedo
elementare della parte centrale del provino `e caratterizzato dalle stesse deformazioni e quindi che
il ciclo di caricoscarico ha prodotto nel materiale deformazioni permanenti o deformazioni
plastiche (plastic strains) uniformemente diuse. Pertanto, nel corso della prova il materiale
non ha manifestato un comportamento deformativo solo elastico.
Lesame dellesperimento conduce alle seguenti considerazioni.
Le deformazioni plastiche sono state prodotte durante la fase di carico nel tratto tra B e
C poiche, se lo scarico fosse avvenuto prima di raggiungere B, le deformazioni permanenti
non sarebbero state osservate.
Quando il provino si trova nella condizione C (a valvola chiusa e sotto carico) sono presenti
nel materiale due componenti deformative: una elastica dovuta allo stato di tensione
(C)
zz
e una plastica che si `e accumulata nei processi di scorrimento che hanno interessato
lintera fase BC. Quando si trova nel tratto BC si dice quindi che il materiale ha un
comportamento elasto-plastico.
546
18.1. DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ALLO SNERVAMENTO
Dopo essere stato scaricato, il provino perde, insieme con la tensione, anche la componente
elastica della deformazione e, alla ne (punto D), rimane aetto dalla sola componente
plastica. La fase C D, nella quale solo le deformazioni elastiche si modicano, si chiama
pertanto scarico elastico (elastic download).
Lo snervamento rappresenta la condizione in cui cominciano a manifestarsi i fenomeni
deformativi plastici ovvero gli scorrimenti permanenti di piani cristallini.
Quando la perdita di linearit`a della curva `e evidente, il valore di tensione a cui questo
fenomeno si manifesta `e chiamato tensione di snervamento (yielding stress) e indicato
con
S
(molti testi anglosassoni lo indicano con
Y S
oppure, pi` u semplicemente, con S). La
tensione di snervamento `e una fondamentale propriet`a di resistenza del materiale che permette
di prevedere, per la tensione applicata in uno stato monoassiale, se il materiale si comporta
elasticamente:
zz
<
S
.
Per un materiale che, come in gura 18.2, sollecitato oltre il limite elastico, ha una curva
lineare no a B e poi mostra un brusco calo della tensione di prova BB

, si denisce
(B)
zz
snervamento superiore e
(B

)
zz
snervamento inferiore. Si verica per`o che in diversi
provini dello stesso materiale la sovratensione =
(B)
zz

(B

)
zz
`e una quantit`a piuttosto
dispersa inuenzata da disturbi anche di piccol entit`a (come vibrazioni, variazioni della velocit`a
di applicazione del carico, piccole eccentricit`a del carico, deformabilit`a della macchina di prova,
ecc. . . ). Dato che lo snervamento inferiore `e invece molto meno inuenzato da questi eetti,
per materiali che mostrano curve di trazione di questo tipo `e opportuno assumere
S
=
(B

)
zz
(nel caso esaminato
S
= 400 MPa).
Generalmente, i materiali metallici mostrano un comportamento in compressione speculare
rispetto a quello in trazione, almeno no a che la componente plastica della deformazione non
diventa molto grande (> 0.1), per cui in condizioni monoassiali la condizione di comportamento
elastico `e espressa da [
zz
[ <
S
. Si osservi quindi che, per denizione,
S
`e una quantit`a
positiva.
Se la prova viene continuata dopo il raggiungimento del punto D (gura 18.3), quindi
ri-immettendo olio nellattuatore, la curva ripercorre in fase di carico il tratto D E per
poi riprendere dopo il punto E landamento che avrebbe seguito se lo scarico non fosse stato
eettuato. Nella fase C D E il materiale si comporta quindi elasticamente e ulteriori
deformazioni permanenti si manifestano solo dopo che la condizione E `e stata raggiunta.
Si osserva quindi che il limite del campo elastico del materiale risulta pi` u elevato rispetto
alla condizione iniziale. In eetti, se la fase A B C D fosse stata eseguita a nostra
insaputa, la misura dello snervamento avrebbe fornito come risultato
S
=
(E)
zz
. Laccumulo
di deformazione plastica ha quindi prodotto un aumento della tensione di snervamento del
materiale:

(E)
zz
=
(C)
zz
>
(B)
zz
Questo fenomeno `e chiamato incrudimento (strain hardening) ed `e caratteristico dei ma-
teriali che hanno una curva di trazione crescente con la deformazione plastica accumulata. La
possibilit`a di aumentare la tensione di snervamento con un processo di preliminare deforma-
zione plastica `e eettivamente sfruttato in certi manufatti e semilavorati che sono prodotti con
lavorzioni per deformazione plastica a freddo.
Molti materiali, come gli acciai fortemente legati, in particolare gli inossidabili, e certe leghe
di alluminio e di rame, hanno curve tensionedeformazione del tipo rappresentato in gura 18.4
nelle quali non si osserva un evidente passaggio dal regime elastico a quello elasto-plastico.
In questi casi non `e immediato denire la condizione di snervamento perche le deformazioni
plastiche si accumulano gradualmente con laumentare della tensione senza che vi sia una vera
547
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
[ ]
zz
MPa
[ ]
%
zz

A
B
D
200
400
600
0.2 0.4 0.6 0.8 1.0
C
E
O
Figura 18.3: Ricarico dopo il ciclo di carico-scarico elasto-plastico con il
raggiungimento dello snervamento a un livello superiore per un materiale
incrudente
e propria soglia del comportamento elastico. La tensione di snervamento viene quindi denita
assumendo un livello convenzionale di deformazione permanente, considerato signicativo. Per
molte applicazioni, soprattutto per eettuare le veriche strutturali in condizioni di caricamento
quasi statico, il livello di riferimento delle deformazioni permanenti `e ssato allo 0.2%.
In gura 18.4 `e mostrata la curva tensionedeformazione tipica di un acciaio inossidabile e
la corrispondente determinazione dello snervamento convenzionale e della relativa tensione di
snervamento. Considerato sullasse delle deformazioni il punto che corrisponde al valore della
deformazione permanente minima convenzionale (nellesempio 0.2% = 2000 ) viene tracciata
la retta parallela al tratto iniziale della curva di trazione no allintersezione B. In questo modo,
quando il materiale `e sottoposto a una tensione monoassiale inferiore al livello di snervamento
(che nel caso in esame `e 500 MPa), la deformazione plastica che si manifesta risulta inferiore a
0.2%.
[ ]
zz
MPa
[ ]
%
zz

B
200
400
600
0.2 0.4 0.6 0.8 1.0
A
S

Figura 18.4: Determinazione dello snervamento allo 0.2% per un materiale


con perdita graduale della linearit`a
Si deve peraltro considerare che non sempre livelli di deformazione plastica anche cos` bassi
sono tollerabili, soprattutto se il materiale deve sopportare sollecitazioni cicliche, e quindi per
548
18.2. ALTRE PROPRIET
`
A DI RESISTENZA
certi scopi sono denite tensioni di snervamento con soglie di deformazione permanente inferiore
(un valore talvolta usato `e 0.05%). Peraltro, se la soglia `e molto bassa la determinazione di
S
diviene pi` u incerta a causa della dispersione delle misure sperimentali che rappresentano i punti
della curva e della conseguente dicolt`a di determinare con accuratezza la pendenza iniziale e
lintersezione.
Quando si eettua una verica strutturale `e richiesto che un denito fenomeno indesiderato
non si manifesti. Spesso le veriche di resistenza impongono che il materiale abbia un com-
portamento elastico e quindi `e necessario garantire che, con adeguati margini, lo snervamento
non sia mai raggiunto. A tale scopo viene denita la caratteristica del materiale tensione
ammissibile (allowable stress) che identicheremo con
am
qunatit`a che, al massimo, `e pari
alla tensione di snervamento:

am

S
(18.1)
La tensione ammissibile `e solitamente inferiore alla tensione di snervamento per motivi di
cautelativit`a nei confronti delle variazioni delle propriet`a eettive del materiale (non sempre i
materiali che si impiegano possono essere eettivamente misurati e quindi `e necessario darsi
delle dichiarazioni dei fornitori). La tensione ammissibile `e quindi una propriet`a di resistenza
del materiale che deve essere fornita insieme con il materiale. Possiamo quindi dare la seguente
denizione:
uno stato di tensione monoassiale con autovalore
1
non nullo produce nel materiale
deformazioni elastiche se [
1
[
am
, nel caso in cui tale condizione non sia veri-
cata il comportamento elastico non `e garantito e lo stato di tensione `e considerato
non ammissibile.
`
E evidente che il superamento della condizione di ammissibilit`a non implica la rottura del
materiale (in linea di principio pu`o non implicare nemmeno lo snervamento se il superamento `e
conteunto) tuttavia non essendo garantito il comportamento elastico, nel seguito tale condizione
sar`a considerata una mancata verica di resistenza e quindi non sar`a tollerata.
18.2 Altre propriet`a di resistenza
Dallesame quantitativo della prova di trazione si ricavano altre importanti propriet`a mecca-
niche del materiale. In particolare, consideriamo ancora il caso di caricoscarico di gura 18.2,
larea sottesa dalla curva chiusa di contorno OAB B

C DO rappresenta il lavoro
per unit`a di volume fatto dalle tensioni in conseguenza del processo deformativo prodotto. Tale
lavoro, dal punto di vista meccanico, `e dissipato e, in eetti, si ritrova sotto forma di energia
termica. Il provino infatti si scalda in maniera rilevabile durante la fase elasto-plastica della
prova (conoscendo il calore specico del materiale, il lettore pu`o calcolare come esercizio lordine
di grandezza dellaumento di temperatura).
Larea sottesa dallintera curva di trazione pu`o quindi essere interpretata come il lavoro per
unit`a di volume necessario per portare a rottura il provino di trazione. Tale quantit`a, W in
gura 18.5, misura la tenacit`a (toughness) del materiale.
La massima deformazione che si misura nel provino `e chiamata allungamento percen-
tuale a rottura A
R
e quantica la duttilit`a (ductility) del materiale, ovvero la capacit`a di
sopportare intense deformazioni plastiche prima di rompersi.
Le norme che deniscono il modo di condurre e interpretare la prova di trazione, le pi` u
usate sono la UNI in Europa e la ASTM (American Society for Testing and Materials) in USA,
prescrivono un procedimento di interpetazione pi` u articolato di quello qui descritto a grandi
linee, in particolare allo scopo di garantire che la zona di strizione sia allinterno del tratto di
misura della deformazione, ma la sostanza `e la stessa.
549
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
[ ]
zz
MPa
[ ]
%
zz

200
400
600
5 10 15 20 25 30
S

R
A
W
Figura 18.5: Propriet`a meccaniche deducibili dalla prova di trazione
La massima tensione ingegneristica (riferita alla sezione nominale) misurata nella prova `e
denita dalla norma UNI tensione di rottura (ultimate stress) e si indica con
R
. Notiamo
che il termine inglese ultimate stress `e pi` u appropriato poiche si tratta di una tensione estrema
di prova che non necessariamente corrisponde alla rottura del materiale. In eetti, se il provino
manifesta la strizione prima di rompersi, in corrispondenza di
R
si verica linizio della strizione
ovvero linsorgere di un fenomeno di collasso plastico locale che solo successivamente porta
alla rottura del materiale. Peraltro, se invece di operare in controllo di spostamento, ovvero
imponendo un allontanamento progressivo agli estremi del provino, la prova fosse condotta in
controllo di carico, ovvero regolando la portata dellolio in modo daincrementare il carico nel
tempo (la servovalvola permette anche questa meno consueta modalit`a di prova), quando la
forza normale raggiunge il valore N
max
= A
0

R
si avrebbe eettivamente la rottura istantanea
del provino. In controllo di carico il tratto decrescente della curva non pu`o infatti manifestarsi.
Le tensioni di snervamento
S
e di rottura
R
sono le fondamentali propriet`a di resistenza
statica per i materiali che hanno impieghi strutturali. In particolare, per realizzare i componenti
a cui sono demandati i compiti strutturali pi` u gravosi sono di norma scelti materiali con elevata
resistenza. Per applicazioni sui mezzi di trasporto, specialmente velivoli, `e spesso richiesto il
massimo rapporto tra la resistenza meccanica e la densit`a (o il peso specico), propriet`a chiama-
ta resistenza specica. Tuttavia, anche le altre caratteristiche meccaniche ricavate dalla prova
di trazione sono importantissime per la scelta del materiale nelle costruzioni. Una elevata dutti-
lit`a, denita dallallungamento a rottura A
R
, `e evidentemente necessaria per i materiali con cui
realizzare componenti tramite processi di deformazione plastica, come: stampaggio, imbutitura
o piegatura. In questo caso, infatti, la duttilit`a permette il processo di fabbricazione stesso e
inoltre, il componente `e spesso posto in esercizio direttamente al termine delle lavorazioni e
quindi `e fondamentale che il materiale non abbia subito danni e conservi ancora adeguate pro-
priet`a meccaniche. Una elevata tenacit`a W `e richiesta per i componenti (specie se ottenuti per
saldatura) che in esercizio possono essere soggetti a urti o a carichi fortemente concentrati che
possono produrre elevati picchi di tensione anche solamente in zone di estensione limitata. In
queste condizioni, un materiale che per rompersi richiede un elevato lavoro specico costituisce
una garanzia contro i rischi di rottura catastroca (frattura fragile).
Nelle veriche di resistenza sviluppate nellambito del presente corso saremo prevalentemente
interessati alla resistenza allo snervamento, tuttavia `e bene ricordare che nella progettazione
550
18.2. ALTRE PROPRIET
`
A DI RESISTENZA
meccanica i materiali devono essere scelti in base anche alle altre propriet`a. Il seguente semplice
esempio pu`o essere molto istruttivo.
Esempio 18.1: Materiali duttili e fragili
Analizzare la resistenza di due bicchieri aventi la stessa forma e le stesse dimensioni,
uno di vetro e uno di materiale polimerico. Le curve di trazione di due materiali sono
schematicamente riprodotte in gura 18.6.
zz

zz

1
2
Figura 18.6: Curve di trazione per il vetro (1) e per un materiale polimerico
(2)
Si tratta di due materiali che hanno un comportamento a trazione piuttosto diverso. Il
vetro `e molto pi` u resistente del materiale polimerico ma `e fragile e la sua duttilit`a pu`o essere
trascurata. Se il bicchiere viene usato con cura, la capacit`a di sopportare carichi prima di
danneggiarsi `e molto maggiore se `e fatto di vetro. Viceversa se non `e garantito che luso sia
adeguato, ma, per esempio, non si pu`o escludere che il bicchiere cada sul pavimento o che
riceva colpi durante il lavaggio, `e ovviamente consigliato luso del polimero. Non `e infatti
possibile rompere un bicchiere di polipropilene semplicemente facendolo cadere dal tavolo.
Il bicchiere di vetro si spezza ma non si piega (permanentemente) mentre il bicchiere di
materiale plastico si piega ma non si spezza!
In prima approssimazione la tenacit`a pu`o essere espressa dal prodotto della resistenza per
la duttilit`a:
W
S
A
R
100
(18.2)
Dato che la tenacit`a rappresenta il lavoro specico (lavoro per unit`a di volume) che deve
essere speso per portare a rottura un materiale in una prova monoassiale, in genere `e dicile
che tale valore possa essere migliorato signicativamente per un certo materiale, per esempio
con trattamenti termici o meccanici. Per certi acciai, per esempio, un trattamento termico che
aumenta la resistenza generalmente ne riduce la duttilit`a e viceversa. Tipicamente, la tempra
aumenta la
R
e riduce A
R
mentre la ricottura esalta la duttilit`a a scapito della resistenza,
come mostrato in gura 18.7.
Un eetto simile si ottiene in un materiale incrudente con la deformazione plastica a freddo.
Tale procedimento infatti aumenta lo snervamento ma riduce la deformazione a rottura.
551
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
[ ]
zz
MPa
[ ]
%
zz

200
400
600
5 10 15 20 25 30
a
b
c
Figura 18.7: Curve di trazione tipiche per un acciaio legato dopo che ha su-
bito diversi trattamenti termici: a) ricotto (bassa resistenza elevata duttilit`a);
b) bonicato (valori intermedi di resistenza e duttilit`a) e c) temprato: alta
resistenza e bassa duttilit`a
18.3 Lo snervamento in condizioni non monoassiali
Lo stato di tensione a cui un materiale `e sottoposto in esercizio `e in genere multiassiale,
frequentemente biassiale. Si pone quindi il seguente problema di notevole interesse applicativo:
dato un materiale con una tensione ammissibile
am
(misurata mediante la prova di trazione),
uno stato di tensione:
S =
_
_

xx

xy

xz

yy

yz
Sym
zz
_
_
pu`o essere applicato in modo che rimanga in campo elastico? La domanda si pu`o riformure in
questi termini: sapendo che uno stato di tensione monoassiale in cui lautovalore non nullo `e
compreso nellintervallo [
am
,
am
] `e ammissibile, `e possibile stabilire lammissibilit`a di uno
stato di tensione non monoassiale?
La risposta a queste domande `e pi` u complessa di quanto ci si possa attendere. Nellanalisi del
comportamento elastico fatta nel capitolo precedente, la caratterizzazione del comportamento
monoassiale `e stata suciente per ottenere il comportamento generale (legge di Hooke) perche,
rimanendo in campo elastico, `e stato sfruttato il principio di sovrapposizione degli eetti. Lo
snervamento `e per`o un fenomeno connesso con la non linearit`a del comportamento costitutivo,
per cui non stupisce se la sovrapposizione non sia pi` u applicabile.
Allo scopo di semplicare il problema, ma senza una signicativa perdita di generalit`a, assu-
miamo che il materiale sia omogeneo e isotropo anche per le caratteristiche plastiche. Assumiano
quindi che provini di trazione estratti dallo stesso corpo in zone diverse e con diverso orienta-
mento producano la stessa curva di trazione entro i margini tipici delle dispersioni sperimentali.
Il materiale `e quindi assunto omogeneo e isotropo oltre che per il modulo elastico e rapporto
di Poisson anche per lo snervamento, lincrudimento e la duttilit`a. Levidenza sperimentale
conferma questa ipotesi, in particolare per i metalli allo stato ricotto, ma `e opportuno ricordare
che lipotesi di isotropia delle propriet`a plastiche `e pi` u pesante dellipotesi di isotropia elastica.
In eetti, molte lavorazioni di deformazione plastica, come piegatura, laminazione e tralatura,
552
18.3. LO SNERVAMENTO IN CONDIZIONI NON MONOASSIALI
specie se eseguite a freddo, possono indurre signicative anisotropie nello snervamento e nel-
la duttilit`a. Assumiamo inoltre che il materiale abbia lo stesso snervamento in trazione e in
compressione
Per un materiale isotropo `e lecito scegliere il sistema di riferimento principale di tensione in
modo da minimizzare il numero di parametri tensionali che passano da 6 a 3:
S =
_
_

1
0 0

2
0
Sym
3
_
_
In linea di principio, la determinazione dello snervamento pu`o essere arontato sperimental-
mente realizzando varie prove in ognuna della e quali un generico stato tensionale multiassiale
sia applicato a un provino. A tale scopo, consideriamo lautovalore di modulo maggiore (che
indichiamo con
1
) e i rapporti
2
=

2

1
e
3
=

3

1
; in modo che lo stato di tensione si possa
esprimere come:
S =
1
_
_
1 0 0

2
0
Sym
3
_
_
La prova `e eseguita in modo da far crescere gradualmente
1
conservando i rapporti di mul-
tiassilit`a
2
e
3
costanti. Durante la prova, un estensometro misura una qualunque grandezza
deformativa , come, per esempio, lallontanamento relativo di due punti M e N:
=
[M

[ [MN[
[MN[
Si traccia quindi il graco di
1
in funzione di . Per gli scopi che ci proponiamo la scelta
dei punti di misura M e N non `e rilevante. Dato che ai bassi carichi il materiale si comporta
elasticamente, come schematizzato nella gura 18.8, il primo tratto della curva
1
`e rettilineo,
successivamente il materiale (se non `e fragile) comincia a scorrere plasticamente e la curva
manifesta le tipiche non linearit`a che si riscontrano nella prova di trazione uniassiale. Con i
consueti criteri, si determina quindi il livello della tensione
1
, che indichiamo con
1
, a cui
insorgono gli scorrimenti plastici. Se la curva ha una perdita di linearit`a non evidente si pu`o
usare il criterio dello 0.2%.
1

B
A
1

Figura 18.8: Curva tensione deformazione per una prova non monoassiale
553
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
Concludiamo quindi che per i rapporti di multiassialit`a
2
e
3
, lo snervamento si manifesta
quando lo stato di tensione raggiunge il livello:

S =
_
_

1
0 0

2

1
0
Sym
3

1
_
_
Lesperimento pu`o essere interpretato sul piano di Mohr come in gura 18.9 che mostra lo
stato di tensione prodotto nel provino (nellesempio:
2
= 0.25,
3
= 0.25) quando il materiale
si trova in campo elastico (punto A in gura 18.8) e quando viene raggiunto lo snervamento
(punto B). Sul piano di Mohr lo sviluppo della prova si evidenzia come un rigonamento
omotetico dellarbelo il quale allinizio `e degenere nellorigine e, allaumentare del parametro di
carico
1
, si espande mantenendo invariati i rapporti tra gli autovalori.

B
A

Figura 18.9: Arbelo di Mohr per due condizioni di carico nella prova
Un modo ecace per visualizzare la prova multiassiale `e oerto dallo spazio di Haigh-
Westergaard (vedi capitolo 13), nel quale stati di tensione omotetici crescenti costituiscono una
sequenza di punti appartenenti a un segmento che parte dallorigine. In gura 18.10 `e mostrato
la rappresentazione gli stati di tensione con
2
= 0.25 e
3
= 0.25.
1

B
A
Figura 18.10: Prova di carico multiassiale omotetica nello spazio di Haigh-
Westergaard
Lapproccio sperimentale, che consentirebbe la soluzione del problema proposto, `e purtroppo
inapplicabile per i motivi di seguito riportati.
Se si escludono alcuni stati biassiali, non `e sicamente realizzabile una prova in cui uno
stato di tensione multiassiale uniforme sia applicabile su una porzione del provino che
554
18.3. LO SNERVAMENTO IN CONDIZIONI NON MONOASSIALI
abbia volume nito e tale da risultare accessibile per poterne misurare deformazione e
tensione.
Anche limitando lesame agli stati biassiali, `e necessario impiegare una macchina di prova e
un tipo di provino che sono entrambi molto pi` u complessi e costosi rispetto agli equivalenti
per la prova monoassiale (i costi della macchina di prova biassiale, del provino e della prova
stessa sono almeno un ordine di grandezza superiore a quelli monoassiali equivalenti).
Oltre alle precedenti dicolt`a, per altro di per se gi`a sucienti, ne esiste unaltra connessa con
il numero di prove necessarie per eettuare una caratterizzazione completa dello snervamento
multiassiale. Dovrebbe, in eetti, essere eettuata una prova per ogni coppia di parametri
2
e

3
, ognuno dei quali varia nellintervallo [1, 1]. Per cui, anche sfruttando lisotropia del mate-
riale e lindipendenza dello snervamento dal segno delle tensioni, e quindi riducendo il dominio
di analisi nel campo: 1
2

3
1, sarebbero comunque
2
le prove necessarie. Disponen-
do in linea teorica dei mezzi e delle risorse necessari per eettuare un numero sucientemente
elevato di prove con rapporti di multiassialit`a diversi, per ognuna di esse si potrebbe rappresen-
tare nello spazio di Haigh-Westergaard il relativo punto di svervamento B(
2
,
3
). Ogni punto
B cos` determinato, a meno delle incertezze di misura e della dispersione delle propriet`a del ma-
teriale, appartiene alla supercie di snervamento del materiale che delimita la regione di
ammissibilit`a ovvero il luogo dei punti caratteristici degli stati di tensione per cui il materiale
si comporta elasticamente.
Alcune propriet`a della supercie di snervamento nello spazio di Haigh-Westergaard possono
peraltro essere anticipate sulla base delle seguenti considerazioni generali:
per lisotropia del materiale, la supercie di snervamento deve essere invariante per
permutazione degli assi
dato che il segno delle tensioni non `e inuente, la supercie deve essere simmetrica rispetto
allorigine
siccome il materiale a tensione bassa `e elastico, il luogo di ammissibilit`a, il cui conne `e
la supercie di snervamento, deve contenere lorigine
lintersezione della supercie di snervamento con gli assi dista dallorigine
S
(gli assi
rappresentano stati monoassiali)
`e stato dimostrato che la caratteristica di dissipativit`a delle deformazioni plastiche, ovvero
la necessit`a che il lavoro fatto dalle tensioni per produrre deformazioni plastiche debba
comunque essere positivo, implica che la supercie di snervamento sia convessa.
Limitando lanalisi agli stati di tensione piani (biassiali o monoassiali), la rappresentazione
di Haigh-Westergaard risulta pi` u agevole perche si limita al piano
1

2
.
Lintersezione della supercie di snervamento con il piano
1

2
determina una linea
schematizzata in gura 18.11 che ha le seguenti caratteristiche:
il contorno della zona elastica `e convesso e limitato e quindi la linea di snervamento
`e continua e chiusa anche se la supercie di snervamento nello spazio pu`o essere non
limitata
anche nel piano la linea di snervamento interseca gli assi a distanza
S
dallorigine
(condizioni monoassiali di trazione o di compressione)
`e suciente caratterizzare solo
1
/
4
dello sviluppo della linea di snervamento, in questo
caso infatti
3
= 0 e lunico rapporto di biassialit`a signicativo `e compreso tra il valore
corrispondente al taglio puro e quello dello stato equibiassiale 1
2
1.
555
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
1

B
A
Equibiassiale
S

S

S

Taglio puro
Figura 18.11: Luogo sperimentale di snervamento per stati di tensione piani
(mono o biassiali) nel piano di Haigh-Westergaard.
La dicolt`a di ottenere la supercie, o anche solo la curva, di snervamento per via sperimen-
tale, ha indotto a risolvere il problema in esame usando un criterio di snervamento (yielding
criterion). Il procedimento identica una caratteristica scalare dello stato di tensione che `e
ritenuta signicativa per produrre lo scorrimento plastico e quindi la sua incipiente manifesta-
zione. A causa della grande variet`a di materiali, sono stati proposti molti criteri di snervamento,
nel seguito ci limiteremo a presentarne due tra i pi` u utilizzati per metalli e polimeri.
18.4 Lo snervamento secondo Tresca
18.4.1 Il criterio di snervamento di Tresca
Lo scienziato francese Henri Tresca (1814-1885) ha sviluppato un criterio di snervamento
multiassiale partendo dallipotesi che le deformazioni plastiche siano determinate dalle sole
componenti tangenziali dello stato di tensione. Le attuali conoscenze sulla struttura cristallina
dei metalli e sul meccanismo di deformazione plastica, che sappiamo essere prevalentemente
prodotto da scorrimenti di piani atomici conseguenti al moto delle dislocazioni, rendono lipotesi
di Tresca molto verosimile. Per inciso, diversa doveva apparire la situazione nellottocento
quando lautore propose il criterio ancora prima che fosse chiarita la natura atomica della
materia. Interpretiamo il criterio di Tresca considerando il caricamento omotetico di uno stato
di tensione triassiale generale usando piano di Mohr.
Come mostra la gura 18.12, quando la tensione `e bassa (stati A) le combinazioni
determinano arbeli di scarsa estensione e quindi i vettori tensione che i piani cristallini devono
trasmettersi allequilibrio hanno moduli contenuti. Secondo Tresca lo scorrimento plastico, e
quindi il raggiungimento delle condizioni di snervamento, non possono prodursi su un generico
piano se la componente tangenziale della tensione risulta inferiore a un valore di soglia che `e
caratteristico del materiale stesso. Sappiamo che il piano critico, quello su cui si manifesta il
valore massimo della tensione tangenziale, ha la normale inclinata di 45

rispetto alle direzioni


principali con autovalori estremi. Siccome il materiale `e assunto isotropo, non `e per`o rilevante la
giacitura del piano critico ma solo lintensit`a delle tensioni tangenziali che tendono a far scorrere
le dislocazioni. Secondo Tresca, quindi, larbelo pu`o essere fatto espandere con il materile che
si comporta elasticamente no a che la tensione tangenziale agente sul piano critico raggiunge
un valore caratteristico del materiale, quantit`a che possiamo denire tensione tangenziale di
556
18.4. LO SNERVAMENTO SECONDO TRESCA

B
A

max

max

max

Figura 18.12: Caricamento omotetico nel piano di Mohr per uno stato di
tensione triassiale (
2
= 0.25,
3
= 0.25): A stati elastici, e B raggiungimento
dello snervamento.
snervamento
S
. Quando viene raggiunto tale livello, il materiale si trova in condizioni che
corrispondono a quelle che si realizzano nella prova uniassiale quando
zz
=
S
e quindi `e in
fase di incipiente scorrimento plastico.
Il criterio di snervamento di Tresca, chiamato anche criterio della massima tensione tangen-
ziale, `e pertanto denito dalla relazione:

max
=
S
(18.3)
nella quale il primo membro
max
`e una quantit`a che deve essere calcolata mentre il secondo
S
`e una propriet`a del materiale che deve essere misurata.
Possiamo quindi formulare il seguente criterio di equivalenza per lo snervamento secondo
Tresca:
due stati di tensione sono equivalenti ai ni dello snervamento se hanno lo stesso
valore della tensione tangenziale massima.
La gura 18.13 mostra tre stati di tensione che, secondo il criterio di snervamento di Tre-
sca, sono equivalenti ai ni dello snervamento. Dalla gura si ricavano alcune interessanti

Figura 18.13: Stati di tensione equivalenti secondo Tresca


conseguenze che derivano dallapplicazione del criterio di Tresca:
557
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
in relazione alla denizione delle condizioni di snervamento `e rilevante lestensione verticale
dellarbelo di Mohr, non ha invece alcun eetto il suo posizionamento orizzontale
in altri termini, lo snervamento secondo Tresca non `e inuenzato dalla componente
idrostatica dello stato di tensione (quantit`a che pu`o essere indierentemente positiva o
negativa e avere modulo arbitrariamente grande)
il parametro tensionale che determina il rischio di snervamento
max
`e rappresentato dal
raggio, o se si preferisce dal diametro, del massimo cerchio di Mohr, e quindi dipende dalla
distanza dei due autovalori estremi e non `e inuenzato dallautovalore intermedio.
18.4.2 La tensione equivalente secondo Tresca
Un modo operativo per applicare un criterio di snervamento consiste nel denire di uno
stato di tensione monoassiale equivalente che `e caratterizzabile da una singola tensione
(principale) denominata tensione equivalente (equivalent stress) o tensione ideale (ideal
stress) e indicata con
eq
o
id
. Nelle ipotesi di Tresca, lo stato di tensione monoassiale
equivalente deve avere lo stesso
max
dello stato di tensione dato. In generale quindi, dato
che per Tresca due stati di tensione sono equivalenti se hanno lo stesso diametro del cerchio
massimo, si ha:
uno stato di tensione generico con autovalori
1
,
2
e
3
`e equivalente secondo il
criterio di Tresca a uno stato di tensione monoassiale il cui autovalore signicativo
vale:

eq
= max
i,j
[
i

j
[ (18.4)
La denizione di tensione equivalente per Tresca `e illustrata con la rappresentazione di Mohr
in gura 18.14.

eq

Figura 18.14: Tensione equivalente secondo Tresca


In base alla denizione si pu`o osservare che la tensione equivalente `e una quantit`a non
negativa. Inoltre, essendo una funzione degli autovalori, la tensione equivalente `e un invariante
per rotazione del tensore di Cauchy. Sarebbe infatti inaccettabile che da uno stato di tensione
si ricavassero diverse tensioni equivalenti a causa del cambio del sistema di riferimento e della
relativa modica della rappresentazione delle sue componenti.
Il procedimento per vericare se uno stato di tensione multiassiale `e elastico si sviluppa
quindi in due passi:
558
18.4. LO SNERVAMENTO SECONDO TRESCA
1. il calcolo della tensione equivalente secondo il criterio di snervamento
2. il confronto diretto della tensione equivalente con la tensione di snervamento (o meglio
con la tensione ammissibile del materiale).
Osserviamo che il confronto pu`o essere ora eseguito in quanto sono considerate quantit`a che
hanno lo stesso signicato sico. Il vantaggio appare evidente: anche per quanto riguarda
la determinazione delle condizioni di snervamento, la propriet`a ricavata dalla semplice prova
di trazione sembra suciente. Considerando per`o che il principio di sovrapposizione degli
eetti non vale per i fenomeni plastici, pu`o essere opportuno chiedersi: tale procedimento `e
eettivamente rigoroso e generale? La risposta non pu`o essere ottenuta per via teorica, la
validit`a della previsione `e infatti connessa con la eettiva capacit`a del criterio di descrivere
adeguatamente il fenomeno dello snervamento per stati di tensione non monoassiali (per i
quali `e banalmente vericato). Su questa interessante questione, che si pu`o derimere solo
sperimentalmente, torneremo pi` u avanti nel capitolo quando potremo confrontare criteri di
snervamento diversi.
La disponibilit`a di una formula esplicita per la tensione equivalente consente di determinare
il luogo dei punti di snervamento e quindi di visualizzare la supercie di snervamento nel spazio
di Haigh-Westergaard per un materiale che snerva coerentemente con il criterio di Tresca per
gli stati triassiali. Se la tensione di snervamento `e
S
il luogo di snervamento si ottiene infatti
imponendo:

eq
=
S
oppure, esplicitamente:
max
i,j
[
i

j
[ =
S
(18.5)
Lequazione (18.5), con i valori assoluti e lestrazione del massimo, `e elegante simbolicamente
ma per essere calcolata operativamente richiede di essere esplicitata nei vari casi. Non `e dicile
rendersi conto che si possono ottenere 6 casi distinti, ognuno dei quali si traduce in una relazione
del tipo:

1
=
S
questa, in particoalre, si applica allo stato di tensione rappresentato in gura 18.14. Le relazioni
lineari che in questo modo si ottengono, rappresentano nello spazio di Haigh-Westergaard sem-
plici piani. La supercie di snervamento `e pertanto costituita dalle 6 porzioni di piano mostrate
in gura 18.15.
Si pu`o dedurre che, per un materiale che snerva seguendo il criterio di Tresca:
la supercie di snervamento `e un prisma retto a base esagonale regolare che ha per asse la
trisettrice del primo ottante
il lato dellesagono di base `e uguale a
_
2
3

S
la supercie di snervamento si estende indenitamente nella direzione dellasse del prisma
lestensione illimitata del dominio elastico suggerisce che esistono stati di tensione elevati
quanto si vuole (anche con tensioni che hanno componenti superiori a
S
) che il materiale
sopporta senza snervare
questo risultato `e coerente con losservazione che la componente idrostatica dello stato di
tensione non inuenza lo snervamento, in eetti per potersi allontanare molto dallorigine
rimanendo allinterno del prisma la componente idrostatica diventa prevalente
559
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
1

Figura 18.15: Supercie di snervamento secondo Tresca


il fatto che il materiale possa essere indenitamente sollecitato in modo triassiale senza
snervare non signica che esso possa sopportare tensioni alte quanto si voglia, ma solo
che, in tali condizioni, il materiale non mostra la tendenza a snervare
un materiale portato in condizioni di elevato stato triassiale di trazione pu`o infatti romper-
si prima di snervare; la rottura in tali condizioni si manifesta pertanto con caratteristiche
fragili anche se il materiale in condizioni di prova monoassiale potrebbe manifestare elevate
caratteristiche di duttilit`a,
una elevata componente idrostatica di trazione `e quindi una causa meccanica di fragilit`a
(ovvero dovuta allo stato di tenione e non alle caratteristiche costitutive), questo fenomeno
`e fondamentale nella meccanica della frattura
stati di tensione idrostatici di compressione di intensit`a anche enorme possono invece esse-
re sopportati da qualunque materiale (omogeneo e isotropo) che rimane in campo elastico
e non si rompe (evidenze sperimentali di tale comportamento sono state eettivamente
ottenute).
Per gli stati piani, il luogo di snervamento di Tresca `e mostrato in gura 18.16. Si osserva
1

S

S

Figura 18.16: Regione elastica per stati piani
3
= 0 secondo Tresca
che:
560
18.5. LO SNERVAMENTO SECONDO VON MISES
lesagono non `e regolare perche il prisma `e intersecato con un piano non normale al suo
asse
per stati di tensione piani il dominio elastico non si estende indenitamente (uno stato di
tensione idrostatico non nullo non pu`o essere piano)
il punto della linea di snervamento pi` u vicino allorigine si ha in corrispondenza di una
tensione di taglio puro, tra gli stati di tensione piani il taglio puro `e infatti quello che
presenta il valore pi` u elevato della tensione tangenziale a parit`a del massimo modulo delle
tensioni principali
le curve di livello della tensione equivalente, che rappresentano stati di tensione piani aven-
ti la stessa distanza dalla condizione di snervamento, sono esagoni omotetici al contorno
(in gura 18.16 sono ragurati con linea tratteggiata gli stati di tensione equivalenti a

S
/2.
18.5 Lo snervamento secondo von Mises
18.5.1 Il criterio di snervamento di von Mises
In un articolo del 1913, Richard von Mises (1883-1953) propose un criterio di snervamento
che pu`o essere sviluppato interpetando il fenomeno dellinsorgenza delle deformazioni plastiche
con considerazioni di tipo energetico. Dato che, come spesso succede, analoghi risultati erano
stati ottenuti precedentemente e indipendentemente anche da altri studiosi, in letteratura questo
criterio si pu`o trovare attribuito a Maxwell-Huber-Hencky-von Mises.
Per quanto possa sembrare ragionevole assumere che esista un limite alla densit`a di energia
elastica che un materiale `e in grado di accumulare prima che si sviluppino deformazioni pla-
stiche, un criterio di snervamento basato su `e smentito dallevidenza sperimentale. In eetti,
come gi`a discusso, per uno stato idrostatico lo snervamento non si manifesta mai, indipendente-
mente dal livello tensionale e, di conseguenza, anche dalla densit`a di energia. Come evidenziato
nel capitolo 12, ogni stato di tensione `e peraltro sempre separabile nella parte idrostatica e nella
parte deviatorica o distorcente:
S = S
I
+S
D
Questa relazione, scritta nel sistema principale dello strato di tensione, diventa:
_
_

1
0 0

2
0
Sym
3
_
_
=
_
_

0
0 0

0
0
Sym
0
_
_
+
_
_

0
0 0

0
0
Sym
3

0
_
_
dove
0
=
1
3
(
1
+
2
+
3
). Applicando la legge di Hooke si verica inoltre che nel parallelepi-
pedo elementare la componente idrostatica S
I
produce una semplice deformazione isotropa con
variazione di volume, mentre la componente deviatorica S
D
produce una variazione di forma a
volume costante (trasformazione isocora). Si pu`o inoltre vericare che la componente di tensio-
ne idrostatica non fa lavoro se la deformazione `e isocora e la componente di tensione deviatorica
non fa lavoro in una deformazione isotropa, le due componenti dello stato di tensione non sono
pertanto energeticamente accoppiate. Come conseguenza, se si calcola la densit`a di energia
elastica relativa alla componente idrostatica
I
e la densit`a di energia elastica
D
relativa alla
componente deviatorica vale limportante relazione:
=
I
+
D
(18.6)
561
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
La possibilit`a oerta dai materiali elastici isotropi di separare additivamente leetto volu-
mico e leetto distorcente, oltre che in termini di tensione e di deformazione, anche in termini
energetici, `e alla base del criterio di equivalenza allo snervamento di von Mises:
due stati di tensione sono equivalenti ai ni dello snervamento se hanno la stessa
densit`a di energia distorcente.
Secondo von Mises quindi, materiale pu`o accumulare una densit`a di energia alta quanto si vuole
in condizioni idrostatiche ma mostra un limite, caratteristico del materiale stesso, alla capacit`a
di sopportare sollecitazioni di tipo distorcente.
Lespressione dellenergia distorcente in funzione degli autovalori dello stato di tensione, che
pu`o essere ottenuta come esercizio, `e la seguente:

D
=
1 +
6E
_
(
1

2
)
2
+ (
1

3
)
2
+ (
2

3
)
2
_
(18.7)
A prima vista, il criterio di von Mises pu`o sembrare molto diverso da quello di Tresca. Come
vedremo, alcune dierenze eettivamente sussistono, tuttavia lesclusione della componente
idrostatica della tensione comporta che, anche per von Mises, sia ininuente la collocazione
dellarbelo di Mohr sullasse delle mentre `e fondamentale la sua estensione. Diversamente da
Tresca peraltro, nel criterio di von Mises svolge un ruolo anche la tensione principale intermedia,
per cui non `e altrettanto agevole identicare due stati di tensione equivalenti secondo von Mises
in base alla loro rappresentazione sul piano di Mohr.
18.5.2 La tensione equivalente secondo von Mises
In manienra analoga a quanto fatto per Tresca, deniamo la tensione equivalente, o ideale,
secondo von Mises
id
o
eq
di uno stato di tensione plurissiale come lautovalore non nullo dello
stato di tensione monoassiale che ha la medesima densit`a di energia distorcente di quello dato.
In formule, la condizione di equivalenza si scrive come:
1 +
6E
2 (
eq
)
2
=
1 +
6E
_
(
1

2
)
2
+ (
1

3
)
2
+ (
2

3
)
2
_
Da questa relazione si ricava lespressione della tensione equivalente secondo von Mises in
funzione delle tensioni principali:

eq
=
_
1
2
_
(
1

2
)
2
+ (
1

3
)
2
+ (
2

3
)
2
_
(18.8)
La relazione (18.8) mostra che anche la tensione equivalente di von Mises `e un invariante di
rotazione del tensore di Cauchy.
`
E utile anche lespressione della tensione equivalente quando
lo stato di tensione `e riferito a un sistema di assi non principali:

eq
=
_
1
2
_
(
xx

yy
)
2
+ (
xx

zz
)
2
+ (
yy

zz
)
2
+ 6
_

2
xy
+
2
xz
+
2
yz
_
_
(18.9)
Analogamente a quanto fatto per il criterio di Tresca, la supercie di snervamento prevista
dal criterio di von Mises per un materiale che ha tensione di snervamento
S
pu`o essere rappre-
sentata nello spazio di Haigh-Westergaard. Lespressione analitica della supercie `e data dalla
relazione:
(
1

2
)
2
+ (
1

3
)
2
+ (
2

3
)
2
= 2
2
S
(18.10)
per cui tratta di una quadrica. Anche la supercie di snervamento di von Mises deve estendersi
indenitamente nella direzione della trisettrice del primo ottante e quindi, considerando anche le
562
18.5. LO SNERVAMENTO SECONDO VON MISES
1

Figura 18.17: Supercie di snervamento secondo von Mises


simmetrie dovute allisotropia, la quadrica non pu`o essere che un cilindro circolare retto (gura
18.17). Si pu`o vericare che il raggio del cilindro vale
_
2
3

S
.
La sezione del cilindro con il piano
1

2
, mostrata in gura 18.18, rappresenta il contorno
del luogo di ammissibilit`a secondo von Mises per stati di tensione piani. Si tratta di una ellisse
con lasse maggiore nella direzione dello stato di tensione equibiassiale. Le linee di isolivello,
che evidenziano stati piani di tensione equivalenti secondo von Mises, sono ellissi omotetiche al
contorno (nella gura `e mostrato la linea di livello degli stati equivalenti a condizioni monoassiali
con
1
=
S
/2). Lespressione della tensione equivalente per stati piani di tensione (
3
= 0) `e
per il sistema principale la seguente:

eq
=
_

2
1
+
2
2

2
(18.11)
oe per assi x y genericamente orientati la seguente:

eq
=
_

2
xx
+
2
yy

xx

yy
+ 3
2
xy
(18.12)
1

S

S

Figura 18.18: Regione elastica per stati piani
3
= 0 secondo von Mises
563
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
18.6 Confronto tra i criteri di snervamento
Come osservato, nonostante le diverse ipotei siche, i due criteri di snervamento presentati
non sembrano produrre previsioni molto diverse. La ragione `e legata al fatto che per entrambi
i criteri le condizioni di scorrimento plastico non risentono della componente idrostatica dello
stato di tensione mentre sono fondamentalmente inuenzate dalla componente deviatorica. Il
confronto diretto, reso evidente dalla rappresentazione di Haigh-Westergaard, `e proposto nella
gura 18.19.
1

S

S

Equibiassiale
Taglio puro
1

Idrostatico
a)
b)
Figura 18.19: Confronto tra i criteri di Tresca e von Mises con i relativi
luoghi di snervamento: a) nello spazio di Haigh-Westerggard e b) nel piano

2
per stati piani di tensione
Losservazione della gura e alcuni calcoli, che possono essere eseguiti come utile esercizio,
permettono di giungere alle seguenti considerazioni generali:
il prisma esagonale di Tresca `e inscritto nel cilindro di von Mises e, di conseguenza, per
gli stati piani lesagono non regolare `e iscritto nellellisse
il due criteri producono necessariamente la stessa previsione per gli stati monoassiali e
idrostatici, ma la coincidenza si verica anche per altre condizioni (gli spigoli del prisma)
nel caso piano la coindidenza si ha anche per lo stato di tensione equibiassiale in cui en-
trambi i criteri prevedono una tensione equivalente pari al modulo di uno degli autovalori
non nulli
il risultato del punto precedente pu`o essere giusticato ricordando che, a parit`a di tensioni
principali estreme, gli arbeli di Mohr per uno stato monoassialo e uno stato equibiassiale
sono indistinguibili
il criterio di Tresca `e pi` u cautelativo (conservative) di quello di von Mises, questo
signica che, quando i risultati non sono coincidenti, il criterio di Tresca prevede il rag-
giungimento dello snervamento per livelli di tensione meno elevati; in altri termini la
tensione equivalente di von Mises `e minore o uguale di quella di Tresca, con luguaglianza
che si ha solo quando cilindro e prisma si toccano (in particolare per stati monoassiali,
equibiassiali e idrostatici)
564
18.6. CONFRONTO TRA I CRITERI DI SNERVAMENTO
per gli stati piani di tensione, la massima dierenza relativa (circa il 14%) tra le previsioni
dei due criteri si verica per il taglio puro (in tale condizione si ha eettivamente la
massima distanza relativa dellellisse dallesagono)
Premesso che, pur non essendo gli unici, i criteri proposti sono i pi` u usati nella pratica, ci si
pu`o chiedere: quale criterio `e pi` u opportuno scegliere? In molti casi ladozione di una specica
normativa comporta implicitamente luso di un criterio. Per esempio, le norme per le costruzioni
in acciaio e le norme europee per i recipienti in pressione fanno riferimento al criterio di von
Mises. In generale si pu`o tener conto delle seguenti considerazioni:
alcuni materiali hanno un comportamento meglio descritto dal criterio di Tresca altri da
quello di von Mises
`e evidente che una prova monoassiale non permette di discriminare tra i due criteri, per
cui `e necessario eseguire prove di snervamento almeno biassiali (la prova di taglio puro `e
la pi` u discriminante)
per quei (pochi) materiali che hanno subito una caratterizzazione multiassiale dello sner-
vamento, i punti del luogo di snervamento ottenuti sperimentalmente mostrano, in genere,
la tendenza a collocarsi nella zona compresa tra il cilindro (lellisse) di von Mises e il
prisma (lesagono) di Tresca
si deve peraltro considerare che in prove di questo tipo la dispersione non `e trascurabile
e dierenze dellordine di varie unit`a percentuali nella tensione di snervamento `e una
normale conseguenza della naturale disomogeneit`a e anisotropia dei materiali, anche dei
pi` u qualicati
la dierenza di previsione dei criteri `e quindi spesso mascherata dalla dispersione intrinseca
delle propriet`a di snervamento
evidenze sperimentali suggeriscono che, di solito, i metalli che hanno una curva di trazione
monoassiale con una parte orizzontale dopo lo snervamento (come gli acciai dolci) tendono
a comportarsi come prevede Tresca mentre i materiali con snervamento graduale (acciai
legati e leghe leggere) sono meglio rappresentati dal criterio di von Mises
considerando gli stati piani, tenendo presente che la regione elastica nella rappresenta-
zione di Haigh-Westergard non pu`o presentare concavit`a, tra tutti i criteri con luoghi di
snervamento che passano per i 4 punti degli assi distanti
S
dallorigine e per i 2 punti
dello stato equibiassiale (
S
,
S
), il criterio di Tresca `e il pi` u cautelativo
il criterio di Tresca non `e per`o traducibile in un eciente algoritmo numerico (a causa
dei valori assoluti e dei confronti che sono presenti nella formula della tensione ideale),
pertanto nei codici di calcolo di analisi strutturale `e universalmente diuso il criterio di
von Mises
la supercie di snervamento di von Mises nello spazio di Haigh-Westergaard `e dierenzia-
bile (ha la normale denita in ogni punto) mentre quella di Tresca non ha normale denita
negli spigoli, questo fatto rende notevolmente pi` u vantaggioso il criterio di von Mises per
lo sviluppo dei modelli usati nellanalisi del comportamnto deformativo elasto-plastico
(argomento sviluppato nella teoria della plasticit`a che non `e in programma).
Un recente episodio fornisce un interessante esempio di come talvolta la scelta di un cri-
terio possa apparire di carattere losoco o politico pi` u che tecnico. Il riferimento `e alla
565
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
norma ASME (American Society of Mechanical Engineering) per i recipienti in pressione che
rappresenta un vero monumento tecnico in cui `e distillata una esperienza ormai centenaria di
progettazione, calcolo, collaudo, esercizio, ecc. . . , relativa a fondamentali manufatti, che van-
no dai componenti dellindustria chimica, alle condotte per il trasporto di gas e alle centrali
nucleari. Fino a pochi anni fa la norma prescriveva di eettuare le valutazioni di resistenza
sulla base del criterio di Tresca. La ragione era di tipo generale: si trattava del criterio pi` u
cautelativo per cui la norma ASME era anche, per questo aspetto, dalla parte della sicurezza.
Come vedremo nella parte nale del corso, lo stato di tensione tipico dei recipienti cilindrici in
pressione `e prevalentemente biassiale con rapporto di biassialit`a solitamente vicino a = 0.5,
per cui la dierenza di tensioni equivalenti tra Tresca e von Mises `e signicativa.
Recentemente lequivalente norma europea EN (derivata dallISO) ha acquistato una mag-
giore diusione a livello mondiale e varie nazioni e compagnie hanno cominciato ad acquistare
recipienti in pressione progettati e prodotti in base a tale standard. In eetti, le dierenze con
le ASME non sono molto grandi ma una di tali dierenze, era proprio il criterio di snervamento:
le norme europee prevedono infatti il criterio di von Mises. Anche in questo caso non `e facile
stabilire il motivo della scelta, che probabilmente `e basato sul fatto che, almeno nelle pi` u recenti
applicazioni dei recipienti in pressione, sono impiegati acciai legati.
Ladozione di un criterio leggermente meno cautelativo, o, secondo i punti di vista, pi` u
adatto a rappresentare i materiali eettivamente impiegati, ha comportato che, a parit`a di
prestazioni e di dimensioni, i recipienti progettati con le norme europee fossero meno spessi
di quelli progettati con le ASME. Considerando che nella costruzione di grandi recipienti e di
lunghe condotte si impiegano centinaia se non o migliaia, di tonnellate di acciaio di qualit`a
(spesso anche saldato a piena penetrazione), negli ultimi anni il sensibile rincaro delle materie
prime ha prodotto che dierenze di spessore anche di qualche unit`a percentuale siano diventate
signicative. Il risultato `e stato che, nelle pi` u recenti versioni della norme ASME, il criterio di
von Mises `e stato anacato a quello di Tresca. Si sar`a trattato di un riconoscimento da parte
degli Americani di una inadeguatezza della loro centenaria procedura, oppure la scelta `e stata
una conseguenza dalla riduzione di fatturato dellindustria americana?
Esempio 18.2: Espressioni semplicate delle tensioni equivalenti
Con unopportuna scelta del sistema di riferimento, lo stato di tensione piano che si verica
nelle travi `e rappresentabile come:
S =
_
_
0
0 0
Sym 0
_
_
in cui e sono quantit`a note (e almeno una delle due `e assunta non nulla). Classicare
lo stato di tensione, rappresentarne larbelo di Mohr ed esprimere le tensioni equivalenti di
Tresca e di von Mises in funzione di parametri: e .
Se = 0 lo stato di tensione `e monoassiale, mentre `e biassiale in ogni alto caso (se
= 0 `e taglio puro). Lo schema di corpo libero del parallelepipedo (visto dalla direzione
con autovalore nullo) e il relativo arbelo di Mohr sono rappresentati nella gura 18.20. Il
diagramma di Mohr `e stato tracciato sulla base delle seguenti considerazioni:
una tensione principale `e necessariamente nulla
con gli assi scelti, le due facce A e B sono rispettivamente antioraria e oraria e la loro
rappresentazione sul piano di Mohr `e conseguente (nella gura 18.20 e sono state
considerate positive)
566
18.6. CONFRONTO TRA I CRITERI DI SNERVAMENTO
dato che la direzione z `e principale, nel piano di Mohr punti A e B appartengo-
no necessariamente a una circonferenza che delimita larbelo e sono diametralmente
opposti
escludendo il caso, peraltro elementare, di tensione monoassiale, i due autovalori non
nulli hanno segno opposto (dato che `e nulla la tensione principale intermedia), la
circonferenza di diametro AB `e pertanto quella di diametro massimo
rispetto alla gura, il verso opposto di modicherebbe la posizione dei punti A
e B sul piano di Mohr (si collocherebbero infatti in posizione simmetrica rispetto
allasse orizzontale) ma non avrebbe alcun eetto sugli autovalori e quindi sulla forma
dellarbelo.
( ) ,
1

A
B
x
y
A
B
Figura 18.20: Schema di corpo libero e diagramma di Mohr per lo stato di
tensione dato
Per ottenere le tensioni equivalenti dei due criteri, ricaviamo le tensioni principali. Dato
che il semicerchio massimo che delimita larbelo, rappresentato in gura 18.21, passa per i
punti (0, [[) e (, [[):
il centro del cerchio ha coordinate
_

2
, 0
_
il raggio vale: R =
_
_

2
_
2
+
2
le tensioni principali piane sono quindi:

1
=

2
R

3
=

2
+R
La tensione equivalente secondo Tresca (il diametro del cerchio massimo) vale pertanto:

eq,Tresca
=
_

2
+ 4
2
mentre la tensione equivalente di von Mises, che pu`o essere ottenuta dalla equazione (18.8),
vale:

eq,Mises
=
_

2
+ 3
2
567
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
( ) ,
1

( ) 0,
, 0
2
C



Figura 18.21: Contorno esterno dellarbelo di Mohr
Nota. Si ricordi che le due espressioni trovate, spesso usate nel seguito, sono applicabili
solo per particolari stati piani di tensione e rappresentati in sistemi riferimento tali per cui
la matrice contiene solo una componente normale e una tangenziale. Si pu`o vericare che
tali espressioni non sono infatti invarianti per rotazione. Notiamo che per questi stati di
tensione le formule mostrano con evidenza la maggiore cautelativit`a del criterio di Tresca
rispetto a quello di von Mises.
18.7 La verica di resistenza e il coeciente di sicurezza
Per un elemento strutturale , il cui materiale ha una tensione ammissibile
am
, supponiamo
di aver risolto il problema elastico e quindi di conoscere il campo di tensione-deformazione
che soddisfa le condizioni di equilibrio e di congruenza e rispetta la legge costitutiva. Siamo
nalmente in grado di vericare se il materiale si comporta eettivamente in modo elastico e
possiamo quindi risolvere in modo razionale e completo il problema della verica di resistenza
allo snervamento del componente.
Sulla base delle considerazioni sviluppate nel paragrafo precedente, scegliamo un criterio di
snervamento per cui a ogni punto del corpo `e associabile la locale tensione equivalente, ovvero
una grandezza scalare non negativa che quantica leetto prodotto dallo stato di tensione
calcolato nei confronti del fenomeno dello snervamento. In questo modo si determina pertanto
un campo scalare che risulta denito sul corpo in esame :

eq
(x, y, z) 0
Risolvendo il problema di massimo:

eq,max
= max
(x,y,z)

eq
(x, y, z) (18.13)
`e quindi possibile determinare il valore pi` u elevato della tensione equivalente, che ovviamente
esiste ed `e unico anche se pu`o manifestarsi in pi` u punti di . La ricerca del massimo della
funzione
eq
(x, y, z) `e generalmente eettuata in modo euristico, tramite un procedimento
simile a quello adottato per individuare le sezioni critiche nelle travature. Spesso infatti `e
agevole identicare i punti, o le zone, dove le tensioni sono pi` u intense e quindi `e prevedibile
che siano situati i massimi locali della tensione equivalente. Questo procedimento permette di
ridurre il dominio di ricerca del massimo a un sottoinsieme di in modo spesso notevole. La
conclusione dellanalisi `e la seguente:
568
18.7. LA VERIFICA DI RESISTENZA E IL COEFFICIENTE DI SICUREZZA
se
eq,max

am
lelemento `e vericato a resistenza (allo snervamento); viceversa
lelemento `e non vericato.
Se il componente `e vericato si ottiene un doppio risultato positivo:
1. risultano vericate a posteriori alcune importanti ipotesi del modello tra cui il comporta-
mento costitutivo e le piccole deformazioni
2. il materiale `e impiegato entro i limiti di sicurezza per quanto riguarda il rischio di un
locale snervamento.
Dovrebbe essere chiaro che il mancato superamento della verica non equivale alla previsione
di uno snervamento e, a maggior ragione, di una rottura del materiale. Il comportamento eet-
tivo di un componente che non risulta vericato dipende infatti da molti altri aspetti tra i quali:
di quanto la tensione ammissibile `e stata superata, lestensione delle zone di non ammissibilit`a
(linsieme dei punti dove
eq
>
am
), il tipo di comportamento dopo snervamento (materiale
fragile o duttile), le modalit`a di sollecitazione (in controllo di carico o di spostamento), landa-
mento temporale del carico (lento, impulsivo, ciclico), ecc. . . . Lesame di questi fondamentali
aspetti sono lasciati ai successivi corsi di costruzioni meccaniche.
La non verica di un componente indica peraltro che lo stato di tensione-deformazione,
calcolato in ipotesi di elasticit`a del materiale, potrebbe non essere corretto e soprattutto
evidenzia che, almeno in qualche punto, il materiale risulta eccessivamente sollecitato. Pertanto,
`e necessario prevedere interventi di adeguamento che in genere comportano di:
ridurre i carichi, o
aumentare le sezioni, o
cambiare il materiale.
La verica di resistenza allo snervamento si conclude con la determinazione del coeciente di
sicurezza del componente cos` denito:
=

am

eq,max
(18.14)
La verica di resistenza allo snervamento di un componente strutturale produce quindi un
quantit`a adimensionale, perche il componente sia vericato, deve essere:
1 (18.15)
Le seguenti considerazioni permettono di interpretare il coeciente di sicurezza:
per un componente vericato a resistenza il coeciente di sicurezza non pu`o essere
inferiore allunit`a
il coeciente di sicurezza di una struttura `e il minimo tra i coecienti di sicurezza dei
suoi componenti
il coeciente di sicurezza per una struttura esprime il fattore per il quale possono es-
sere moltiplicati tutti i carichi (aumento omotetico) no a che le condizioni limite di
ammissibilit`a sono raggiunte nel punto pi` u critico per lo snervamento
per incrementare il coeciente di scurezza (aumentare i margini contro lo snervamento)
si pu`o, come mostra la relazione (18.14), aumentare il numeratore cambiando il materiale,
o diminuire il denominatore intervenendo sui carichi o sulle dimensioni.
569
18. PROPRIET
`
A DI RESISTENZA E VERIFICHE
La verica di resistenza di una struttura, la cui corretta esecuzione rappresenta uno dei
principali obiettivi del corso, consiste pertanto nel calcolare assicurandosi che sia maggiore
di 1. In fase di progetto, invece, il coeciente di sicurezza deve essere ssato in modo che sia
denibile una struttura in grado di garantirlo. Dal punto di vista del progettista vi pu`o quindi
essere la necessit`a di stabilire quale coeciente di sicurezza sia corretto ssare. Come `e tipico
nella tecnica, il valore opportuno di deriva da un compromesso tra esigenze contrastanti:
alto implica margini di sicurezza elevati ma comorta limpiego di materiale poco solleci-
tato (materiale in eccesso e peso elevato)
basso (ovviamente sempre 1) implica margini di sicurezza ridotti ma risparmio di
materiale.
La scelta del coeciente di sicurezza in fase di progetto permette di tener conto, in maniera
complessiva anche se non sempre del tutto razionale, delle inevitabili incertezze che concorrono
nella verica di resistenza, tra le quali:
approssimazioni del modello previsonale e della sua soluzione numerica
variabilit`a delle eettive condizioni di carico
dispersione delle eettive propriet`a del materiale
dierenze tra la geometria progettata e quella eettivamente realizzata
lievi alterazioni indotte dalluso improprio o da interventi manutentivi eseguiti in modo
non rigoroso.
Visto che il coeciente di sicurezza compensa la non completa conoscenza del fenomeno che `e
inevitabile in fase di progetto, alcuni lo deniscono coeciente di ignoranza.
Un altro elemento che inuenza la scelta del coeciente di sicurezza `e leetto che un
eventuale malfunzionamento connesso con lo snervamento produrrebbe (fermo macchina, danni
materiali, pericoli per lambiente e le persone). Nella progettazione di un componente di ampia
diusione, come un piccolo elettrodomestico o un trapano portatile, realizzato con materiali
di normale reperimento commerciale, soprattutto se esercito in condizioni di non facile preve-
dibilit`a non `e opportuno adottare coecienti di sicurezza troppo vicini allunit`a. Lestremo
opposto si verica quando sono progettati mezzi di trasporto, soprattutto velivoli, per i quali il
risparmio di peso `e essenziale. Potrebbe sembrare un controsenso, ma si verica che gli aerei di
linea, che sono i mezzi di trasporto pi` u sicuri se riferiti alle persone trasportate per km, sono
progettati con i coecienti di sicurezza pi` u bassi. Se gli aerei fossero progettati con i coecienti
di sicurezza normalmente adottati per esempio per i trattori agricoli, non potrebbero sollevarsi
in volo. Per evitare che coecienti di sicurezza non molto superiori dellunit`a (per ssare le idee
1.2 1.5) non penalizzino la sicurezza `e quindi necessario adottare:
modelli e strumenti di calcolo particolarmente accurati e possibilmente suragati da
veriche sperimentali a posteriori anche con prove in piena scala e in esercizio
materiali con alta qualicazione e procedure realizzative e di esercizio (tecnologie, collaudi
e manutenzione) fortemente controllate
conduzione automatica o eettuata da personale altamente qualicato (un pilota `e certa-
mente pi` u condizionato dellautista di un trattore nelluso del suo mezzo di trasporto!)
570
18.7. LA VERIFICA DI RESISTENZA E IL COEFFICIENTE DI SICUREZZA
condizioni operative imposte e presenza di sistemi di controllo in modo che i limiti di
progetto non possano essere superati in esercizio (regolamentazione dei voli, sistemi di
controllo del traco aereo, scatole nere, ecc. . . ).
Sotto la spinta della riduzione delle risorse energetiche e ambientali, ladozione di bassi
coecienti di sicurezza si sta diondendo anche nella progettazione dei mezzi di trasporto navali
e terrestri e dei comuni beni strumentali.
`
E utile ricordare che la riduzione del coeciente di
sicurezza, anche se ottenuto a fronte di adeguate procedure di progettazione, realizzazione ed
esercizio, tende comunque a rendere il prodotto pi` u vulnerabile nei confronti di eventi eccezionali
o imprevisti. Se, infatti, un trattore agricolo fosse progettato con coecienti di sicurezza
aeronautici, oltre che costare presumibilmente troppo ed essere quindi fuori mercato, potrebbe
mostrare notevoli criticit`a in esercizio, considerata limprevedibilit`a delle condizioni a cui `e
inevitabilmente sottoposto.
Quando il coeciente di sicurezza `e basso, risulta pertanto pi` u corretto valutare i margini
di sicurezza basandosi sullanalisi adabilistica con la quale sono presi in considerazione oltre
ai valori caratteristici dei parametri, la loro variabilit`a e le conseguenze del malfunzionamento.
Lapproccio adabilistico, che fornisce la probabilit`a di malfunzionamento e il danno economico
atteso, `e senza dubbio pi` u razionale ma, come intuibile, `e molto pi` u complesso e costoso.
Approcci di questo tipo si dimostrano quindi adatti alla progettazione di componenti di elevata
rilevanza tecnica ed economica come gli aerei oppure i grandi impianti di trasformazione o
produzione dellenergia, in particolare le centrali nucleari.
571
Parte III
Meccanica degli elementi
monodimensionali
573
Capitolo 19
Trave soggetta a forza normale
In questo capitolo e nei prossimi `e sviluppato il modello meccanico che permette di valutare
lo stato di tensione-deformazione degli elementi strutturali monodimensionali sotto leetto
delle varie caratteristiche di sollecitazione. Il modello `e basato sui risultati ottenuti nei capitoli
9 e 10 relativi allanalisi delle travi come elementi strutturali (solidi monodimensionali) e sullo
studio dello stato di tensione e deformazione dei corpi continui elastici (parte II della dispensa).
Alla ne di questa parte sar`a possibile determinare, nellambito della meccanica dei corpi poco
deformabili e con materiale elastico lineare omogeneo isotropo, lo stato di tensione-deformazione
in un qualunque punto di una trave di normale impiego sottoposta a un carico generico e
valutare la variazione di forma della trave stessa. Con tali metodi saranno quindi eseguite le
veriche di resistenza e di rigidezza delle travature sia isostatiche sia iperstatiche.
In questo capitolo, chiariti presupposti generali e i limiti del modello tensionale e deformativo
per i solidi mnodimensionali che si intende sviluppare, `e esaminato il comportamento delle travi
soggette a forza normale.
19.1 Il principio di De Saint Venant
Il modello che ci proponiamo di sviluppare per determinare la soluzione completa dello sta-
to di tensione e deformazione del solido elastico monodimensionale rappresenta la pi` u semplice
approssimazione per descrivere il comportamento strutturale di un continuo deformabile. Lap-
prossimazione `e principalmente fondata su un principio generale, storicamente attribuito allo
scienziato francese Barre De Saint Venant (1797-1886), che pu`o essere cos` formulato:
in un solido monodimensionale (che pu`o essere iperstatico, isostatico o anche labile)
un carico esterno rappresentabile con un sistema autoequilibrato applicato in una
zona che ha estensione inferiore al diametro della sezione produce eetti tensionali
e deformativi solo locali
Con il termine locale si intende che la soluzione (i campi di tensione e di deformazione)
ha valori non trascurabili in una zona di estensione confrontabile con il diametro della sezione.
`
E importante sottolineare che il principio di De Saint Venant non `e un teorema ed `e quindi
possibile trovarne contro-esempi, come nel caso illustrato in gura 19.1b). Tuttavia, in quasi
tutti i casi di pratica utilit`a, la validit`a del principio `e confermata da evidenze sperimentali e
da soluzioni complete del problema elastico che si possono ottenere con pi` u accurati modelli
bidimensionali o tridimensionali.
Il principio di Saint Venant pu`o essere formulato anche nel modo seguente che risulta pi` u
comodo da impiegare in termini operativi:
575
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
se si escludono zone aventi estensione confrontabile con il diametro della sezione
dove le azioni esterne sono applicate, lo stato tensionale e deformativo di una trave
dipende solo dalle caratteristiche di sollecitazione, pertanto, nelle zone in cui le
caratteristiche sono nulle la trave `e da considerarsi localmente non sollecitata e
indeformata.
a)
b)
B
B
Figura 19.1: Esempio e controesempio della validit`a del principio di Saint
Venant una trave isostatica sollecitata in B da una coppia di braccio nullo:
a) la trave `e una barra cilindrica che appare deformata e sollecitata solo nelle
zone vicine alla sezione B, b) la trave `e un tubolare di spessore sottile in cui
leetto deformativo e tensionale interessa una parte della trave di estensione
maggiore del diametro
In eetti, un carico applicato in un zona di piccola estensione rispetto al diametro che ha
risultante e momento risultante entrambi nulli non altera le caratteristiche di sollecitazione
della trave.
`
E opportuno considerare che, in generale, le zone di applicazione del carico sono
caratterizzate da tensioni e deformazioni locali che possono essere anche molto elevate ma che
non sono descritte dal modello di trave. Tali regioni saranno chiamate zone di estinzione
degli eetti locali. La teoria della trave, sviluppata nel corso `e basata su questa assunzione
per cui saranno sistematicamente trascurati gli eetti, tensionali e deformativi, direttamente
prodotti delle azioni esterne rispetto a quelli indotti dalle caratteristiche di sollecitazione.
Le seguenti considerazioni conseguono dallipotesi di De Saint Venant e devono essere tenute
presenti per una corretta interpretazione dei risultati:
la soluzione del modello di trave, in particolare per quanto concerne le tensioni, e quindi
per lanalisi di resistenza, `e accurata lontano dalle zone dove le azioni esterne concentrate
(carichi o reazioni vincolari) sono applicate
la soluzione ottenuta `e per`o accettabile anche nelle zone di applicazione dei carichi quando
questi sono distribuiti e regolari, ma pu`o essere localmente molto grossolana se le azioni
esterne sono di tipo concentrato
oltre alle regioni di applicazione dei carichi, sono zone di estinzione anche quelle in cui la
trave presenta brusche variazioni di sezione oppure discontinuit`a o punti angolosi per la
linea dasse
lanalisi tensionale accurata nelle zone di estinzione richiede che la geometria locale sia
descritta con modelli pi` u che monodimensionali perch`e divengono signicativi parametri
della forma e delle dimensioni che non sono considerati nel modello monodimensionale;
576
19.2. LA TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
tali modelli ,spesso tridimensionali, sono pi` u complessi e richiedono in genere approcci di
tipo numerico
la soluzione del modello di trave tende a essere pi` u regolare di quella ottenibile con analisi
pi` u accurate, come conseguenza i picchi di tensione risultano sottostimati; il modello
monodimensionale quindi non `e in generale cautelativo (conservative) per le veriche
di resistenza
in certi casi, i picchi di tensione nelle zone di estinzione possono essere stimati sulla base
di procedimenti approssimati che correggono localmente la soluzione di Saint Venant,
pertanto la soluzione otenuta dal modello di trave pu`o essere comunque considerata una
prima approssimazione
il modello di Saint Venant `e corretto in media (nella sezione) ed `e quindi in genere adatto
a descrivere il comportamento globale della trave, per questo motivo la sua applicazione
nelle veriche di rigidezza comporta in generale errori minori rispetto alle veriche di
resistenza.
Nel seguito, in particolare negli esempi, saranno discussi vari aspetti legati al trattamento, o
allesclusion,) delle zone di estinzione. In generale, lanalisi accurata degli eetti locali, eettuata
sia in modo analitico sia in modo approssimato, `e rimandata ai successivi corsi di costruzioni
meccaniche.
Oltre al principio di Saint Venant, salvo esplicite indicazioni contrarie, assumeremo:
la validit`a della meccanica dei corpi poco deformabili: piccoli spostamenti e piccole
deformazioni
il modello costitutivo elastico lineare omogeneo e isotropo (legge di Hooke) per il materiale
della trave
sar`a quindi sempre possibile avvalersi del principio di sovrapposizione degli eetti.
19.2 La trave soggetta a forza normale
Come ampiamente trattato nellinterpretazione della prova di trazione nei capitoli 17 e 18,
un concio di trave soggetto a forza normale N, indipendentemente dalla forma della sezione,
presenta uno stato di tensione monoassiale e uniforme (nella sezione) con lunica componente
non nulla, nel sistema di riferimento della trave, data da:

zz
=
N
A
(19.1)
in cui A `e larea della sezione. Osserviamo che:
nel rispetto delle convenzioni adottate per le caratteristiche di sollecitazione e per lo stato
di tensione, la relazione (19.1) `e valida anche algebricamente
lo stato di tensione `e monoassiale, per cui:

eq
=
[N[
A
il materiale della sezione `e uniformemente sollecitato, quindi nella sezione possiamo scri-
vere anche:

eq,max
=
[N[
A
(19.2)
577
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
dato che la forma della sezione non `e rilevante, per ridurre le tensioni a parit`a di forza
normale, `e necessario aumentare larea della sezione
anche la deformazione `e uniforme nella sezione e la componente estensionale assiale vale:

zz
=
N
EA
per luniformit`a della deformazione sulla sezione, nella trave soggetta a forza normale le
sezioni si conservano piane
per eetto Poisson, ogni segmento posto sulla sezione subisce una deformazione estensio-
nale di segno opposto a quello della linea dasse, tuttavia per le ipotesi fatte, la variazione
dimensionale della sezione non `e considerata nel calcolo delle tensioni (in pratica useremo
sempre lengineering stress invece che il true stress)
la grandezza deformativa associata alla forza normale, ovvero leetto deformativo signi-
cativo del concio, `e quindi la deformazione estensionale della linea dasse, grandezza
che sar`a indicata con: e che equivale alla deformazione estensionale assiale calcolata nel
baricentro della sezione:
e =
zz
(0, 0) =
N
EA
(19.3)
la quantit`a EA, che nella relazione precedente lega la caratteristica di sollecitazione alla
grandezza deformativa associata, `e chiamata: rigidezza assiale (axial stiness) della
sezione e dipende dallarea della sezione e dal materiale di cui `e composta.
Come vedremo, anche per le altre caratteristiche di sollecitazione `e utile introdurre un
parametro che permette di ottenere il valore massimo della tensione prodotta nella sezione dalla
caratteristica in esame. Tale quantit`a, chiamata modulo di resistenza della sezione. In
questo caso il modulo di resistenza normale `e cos` denito:
W
N
=
[N[

eq,max
(19.4)
Il modulo di resistenza `e una quantit`a geometrica della sezione e, nel caso della forza
normale, `e espresso semplicemente dallarea della sezione:
W
N
= A (19.5)
`
E interessante valutare lenergia elastica che si accumula in un concio elementare sollecitato
da forza normale. Tale quantit`a pu`o essere ottenuta con due metodi equivalenti:
dal lavoro fatto dalle forze esterne agenti sul concio
dallintegrale della densit`a di energia elastica accumulata nel volume del concio.
Nel primo caso le azioni signicative agenti sul concio (assunto come solido elementare monodi-
mensionale) sono le due componenti della forza normale che, a meno di innitesimi, costituiscono
una coppia di braccio nullo di forze con componente pari a N. Dato che il concio elementare
ha estensione assiale ds e sotto lazione della forza normale di allunga di eds, tenendo conto che
carico e allungamento crescono proporzionalmente, il lavoro fatto dalle forze esterne sul concio
elementare vale:
dL
ext
=
1
2
Neds (19.6)
578
19.2. LA TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
una quantit`a innitesima perche il concio elementare ha volume innitesimo: dV = Ads.
Anche il secondo procedimento `e facilmente attuabile. Per uno stato di tensione monoassiale
la densit`a di energia elastica si esprime infatti come:
=
1
2

2
zz
E
Lenergia elastica immagazzinata nel concio, il quale `e un solido con base la sezione corrente
e altezza ds, vale quindi:
dU =
__

dxdy
_
ds
essendo la densit`a di energia elastica uniforme nella sezione, lintegrale `e immediato:
dU =
__

dxdy
_
ds = Ads =
1
2

2
zz
E
Ads
Tenendo conto delle relazioni 19.1 e 19.2, si ottiene inne lespressione:
dU =
1
2
Neds (19.7)
Lenergia elastica immagazzinata nel concio per eetto della forza normale pu`o quindi essere
espressa come:
dU =
1
2
Ne ds =
1
2
N
2
EA
ds =
1
2
EAe
2
ds (19.8)
Faremo spesso uso di una delle seguenti espressioni equivalenti dellenergia elastica per unit`a di
lunghezza:
dU
ds
=
1
2
N
2
EA
=
1
2
EAe
2
=
1
2
Ne (19.9)
che rappresenta la quantit`a intensiva dellenergia elastica per il solido monodimensionale, ov-
vero `e numericamente pari allenergia elastica immagazzinata in un concio di altezza unitaria
sottoposto a forza normale. Osserviamo che:
la forza normale N e lallungamento locale della linea dasse e sono quantit`a energetica-
mente associate
il fattore 1/2 deriva dalle linearit`a geometrica e costitutiva
la formula (19.9) `e tipica dei sistemi elastici con comportamento lineare, il cui esempio
elementare `e rappresentato dalla molla ideale, nel caso in esamen il ruolo della costante
della molla k `e svolto dalla rigidezza assiale della sezione.
Esempio 19.1: Esame di una barretta di acciaio sottoposta a forza normale
Una barretta di acciaio (E = 206 GPa, = 0.3,
am
= 450 MPa), avente lunghezza
l = 240 mm e sezione quadrata di lato a = 5 mm, `e saldata al telaio e soggetta al carico
P = 8 kN come mostrato in gura 19.2. Vericare a resistenza la barretta, determinare
di quanto si allunga, calcolare il lavoro fatto dalle forze esterne ed esaminare lo stato di
tensione-deformazione.
579
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
B
C D
P
Figura 19.2: Barretta in trazione
Se la forza P `e applicata in asse con la barretta, per esempio tramite un cavo teso,
lunica caratteristica di sollecitazione `e la forza normale e questa `e uniforme sullasse. Le
zone di estinzione sono in corrispondenza delle sezioni B e D dove le sollecitazioni sono
trasmesse alla trave rispettivamente dalla saldatura dangolo e dal contatto con il perno di
collegamento con il golfare. Lo stato di tensione che troveremo sar`a quindi corretto nelle
sezioni tipo C, che, peraltro per le ipotesi di Saint Venant, comprendono oltre il 90% del
volume della barretta.
Lo schema di corpo libero di un concio fuori delle zone di estinzione `e mostrato nella
gura 19.3 in assonometria e in vista di anco.
x
y
z
y
z
zz
N
A
=
Figura 19.3: Schema di corpo libero di un concio di tipo C della barretta
estratto in una zona in cui la soluzione di De Saint Venant `e accurata: a)
assonometria; b) vista da x.
Numericamente si ottiene:

zz
=
eq,max
=
8 10
3
5
2
= 320 MPa
che fornisce il coeciente di sicurezza:
=

am

eq,max
=
450
320
= 1.4
Possiamo quindi aermare che, nellambito della teoria della trave, la barretta `e vericata
a resistenza. La deformazione della linea dasse vale:
e =
N
EA
=

zz
E
=
320
206 10
3
= 1553
Lallungamento complessivo della barretta `e quindi:
l = l e = 0.388 mm
580
19.2. LA TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
Valutiamo larea sotto carico. Le deformazioni estensionali nella sezione sono:

xx
=
yy
= e = 466
e quindi la deformazione darea vale:

A
=
xx
+
yy
= 932
Larea della sezione si riduce pertanto di meno di una parte su mille per cui, in termini
assoluti, passa da A = 25 mm
2
a A

= 24.98 mm
2
. Nonostante il materiale sia signicativa-
mente sollecitato, la deformazione `e compatibile con i livelli prescritti dalla meccanica dei
corpi poco deformabili.
Il lavoro fatto dalle forze esterne pu`o essere ottenuto in vari modi. Nel sistema di
riferimento del telaio, lunica forza esterna che compie lavoro `e P, tenendo conto che
questa aumenta proporzionalmente allo spostamento del suo punto di applicazione, il quale
raggiunge il valore nale l, si pu`o scrivere:
L
ext
=
1
2
P l = 1.553 J
Per la conservazione dellenergia, tale lavoro `e accumulato sotto forma di energia elastica
nellintera barretta. Lenergia elastica si ottiene sommando il contributo dellenergia imma-
gazzinata nei singoli conci, o pi` u rigorosamente, integrando la densit`a di energia per unit`a
di lunghezza sullasse della trave:
U =
l
_
0
dU =
l
_
0
dU
ds
ds =
l
_
0
1
2
N
2
EA
ds =
1
2
N
2
EA
l = 1.533 J
y
z
( ) t
G

n
( ) t
G
( )
( )
r
n
r

N
Figura 19.4: Taglio obliquo
Per fornire una interpretazione sica dello stato di tensione nella barretta `e utile ese-
guire un taglio ideale con inclinazione rispetto al piano di sezione, come in gura 19.4, in
modo da evidenziare la condizione tensionale di piani non normali agli assi di riferimento.
Indicando con A

larea della sezione obliqua, vale la relazione:


A

= a
a
cos ()
=
A
cos ()
581
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
Il vettore tensione applicato ai punti della sezione, che indichiamo con

t (), `e uniforme
anche sulla sezione obliqua e, pertanto, deve avere direzione parallela allasse della trave,
dato che una componente in direzione x o y, per uniformit`a, produrrebbe una risultante
trasversale non equilibrata. Vale quindi la relazione:
t () =
N
A

=
N
A
cos ()
Le componenti normale e tangenziale del vettore tensione sono quindi date da:
() = t () cos () =
N
A
cos
2
() =
N
A
1cos(2)
2
() = t () sin () =
N
A
sin () cos () =
N
A
sin(2)
2
Si ritrovano le note dipendenze angolari che deniscono il cerchio di Mohr per lo stato
monoassiale. Si possono in eetti ottenere le precedenti relazioni anche partendo dal tensore
di Cauchy nel sistema di riferimento locale della trave (con la sola componente non nulla

zz
=
N
A
) e considerando che:
() =
nn
() =
rn
Esercizio 19.1: Verica di una barretta in lega leggera
Una lega leggera (E = 76 GPa, = 0.3,
am
= 250 MPa) viene impiegata in sostituzione
dellacciaio nel caso dellesempio 19.1, determinare, il carico P per avere lo stesso
coeciente di sicurezza a resistenza. In corrispondenza di tale carico determinare: lallun-
gamento della barretta, la riduzione darea della sezione, lenergia elastica immagazzinata,
il massimo valore della tensione tangenziale a cui `e sottoposto il materiale, e la massima
deformazione angolare.
19.3 Estensioni ed esempi
La teoria semplicata sviluppata nel paragrafo precedente `e utile per risolvere interessanti
problemi pratici che coinvolgono elementi trave soggetti a forza normale. Nel paragrafo sono
discusse varie applicazioni con la soluzione di esempi e lindicazione di esercizi la cui soluzione
permette di familiarizzare con i procedimenti e soprattutto con le relative approssimazioni.
19.3.1 Zone di estinzione
Non sempre le zone di estinzione sono limitare alle estremit`a della trave. Carichi, vincoli e
anomalie della forma della trave possono infatti manifestarsi anche lungo la trave stessa come
nel seguente esempio.
Esempio 19.2: Perno con spallamento
Determinare il carico P da applicare al perno a due diametri BCD di gura 19.5
582
19.3. ESTENSIONI ED ESEMPI
(d
1
= 50 mm, d
2
= 35 mm, l
1
= 250 mm e l
2
= 400 mm) di acciaio inox (E = 196 GPa,
= 0.3 e
am
= 350 MPa) in modo che il coeciente di sicurezza sia = 2.1. Dopo aver
evidenziato le zone di estinzione, dove la teoria della trave `e da ritenersi localmente non
molto accurata, con il carico determinato, valutare:
a) la massima tensione tangenziale a cui `e sottoposto il materiale
b) la variazione complessiva di lunghezza del perno BCD
c) lenergia elastica immagazzinata nel tratto CD.
1
l
2
l
1
d
2
d
B
C
D
P
Figura 19.5: Perno a due diametri
La forza normale `e costante sulla trave con:
N = P
tutte le sezioni del tratto CD sono critiche pertanto la forza applicabile vale:
P = 160.4 kN
Da questo si ricava la risposta alle altre domande:
Risposta a

max
= 83.3 MPa
Risposta b
La discontinuit`a della sezione consiglia di separare il dominio in due zone nelle quali `e
facilmente estrimibile la deformazione assiale:
e (s) =
_
N
EA
1
0 < s < l
1
N
EA
2
l
1
< s < l
1
+l
2
da cui:
l
BD
=
_
l
1
+l
2
0
e (s) ds =
_
l
1
0
N
EA
1
ds +
_
l
1
+l
2
l
1
N
EA
2
ds = P
_
l
1
EA
1
+
l
2
EA
2
_
= 0.444 mm
583
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
Risposta c
Lenergia per unit`a di lunghezza:
dU
ds
=
1
2
N
2
EA(s)
=
1
2
P
2
EA(s)
per il tratto interessato vale quindi:
U
CD
=
1
2
P
2
l
2
EA
2
= 0.027 J
Attenzione alle unit`a di misura!
Nota. Costituisce zona di estinzione, oltre alle estremit`a, anche la regione attorno allo
spallamento. Nella gura 19.6 `e mostrato landamento qualitativo della componente
zz
in
varie sezioni nei pressi dello spallamento.
C
1
C
2
C
3
C
4
C
5
Figura 19.6: Andamento qualitativo della componente tensionale
zz
nei
pressi dello spallamento
Lo stato di tensione presenta picchi che sono tanto pi` u intensi quanto pi` u ci si avvicina alla
sezione di discontinuit`a. La teoria dellelasticit`a e modelli tridimensionli dimostrano in eetti
che il campo di tensione elastico `e singolare in un intaglio rientrante acuto. Pertanto se il raggio
di raccordo in corrispondenza dellapice dellintaglio `e nullo vi sono componenti del tensore di
Cauchy che tendono allinnito avvicinandosi allapice. Se il raggio di raccordo non `e nullo
la tensione `e limitata ma raggiunge un massimo che dipende fondamentalmente dal raggio di
raccordo stesso (una quantit`a che necessariamente `e inferiore alla dimensione caratteristica della
sezione). Si verica inoltre che, nella zona dellintaglio, ai forti e variabili gradienti tensionali
`e associata anche una condizione di locale triassialit`a. Le osservazioni ricavate per lesempio
possono essere generalizzate per cui, si pu`o concludere che, in genere, il campo di tensione nella
zona degli intagli `e elevato, complesso e pluriassiale. Tutte queste caratteristiche non sono colte
dal modello monodimensionale.
584
19.3. ESTENSIONI ED ESEMPI
Si osserva peraltro che la soluzione di trave (tensione uniassiale uniforme nella sezione)
rappresenta comunque il valor medio della componente
zz
per la sezione.
Esercizio 19.2: Verica di un perno con due diametri
Sul perno dellesempio 19.2 viene applicato un carico di pressione uniforme che ha intensit`a
p nella sezione D e 2p nella sezione anulare dello spallamento in C. Valutato il valore di p
che determina un coeciente di sicurezza a resistenza pari a = 2.1, evidenziare le zone
di estinzione del problema e rispondere alle stesse domande dellesempio precedente.
19.3.2 Sezioni gradualmente variabili
Il seguente esempio mostra come la soluzione di Saint Venant sia invece molto pi` u accurata
nel caso in cui la trave mostri una sezione gradualmente variabile con lascissa curvilinea.
Esempio 19.3: Trave tubolare tronco-conica
Una trave tubolare BD di lega leggera (E = 76 GPa, = 0.3 e
am
= 250 MPa) con
spessore costante h = 2 mm e raggio variabile linearmente con lascissa curvilinea
(R
B
= 50 mm, R
D
= 30 mm, l = 500 mm), come mostrato in gura 19.7, `e compressa
dal carico P. Determinare il massimo valore del carico che garantisce il comportamento
ammissibile del materiale e il corrispondente accorciamento della trave.
l
2
B
R
2
D
R
B
D
P
Figura 19.7: Trave tubolare tronco-conica
Le propriet`a geometriche variano con lascissa curvilinea s (origine in B) nel modo
seguente:
R(s) = R
B
+
R
D
R
B
l
s
A(s) =
_
R(s)
2
(R(s) h)
2
_
Dato che la forza normale `e uniforme: N = P, D `e la sezione critica per cui il massimo
carico per lammissibilit`a vale:
P =
am
A(l) =
am

_
R
2
D
(R
D
h)
2
_
= 91.1 kN
Laccorciamento dellasse della trave si determina dalla deformazione assiale:
e (s) =
N
EA(s)
Si ricava quindi la variazione di lunghezza del singolo concio:
e (s) ds
585
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
espressone che, per ottenere laccorciamento complessivo, deve essere integrata sullasse
della trave:
l = l

l =
_
l
0
N
EA(s)
ds =
Pl
2h(R
D
R
B
)
log
2R
D
h
2R
B
h
= 1.251 mm
La soluzione ottenuta nellesercizio 19.3 `e a rigore criticabile. Consideriamo, infatti, il
vettore tensione

t che deriva dalla soluzione ottenuta per una generica sezione della trave e
che `e mostrato nella gura 19.8. Si pu`o vericare che, con lo stato monoassiale trovato, su
n
t

y
z
Figura 19.8: Trave tubolare troncoconica: dettaglio della soluzione
una generica giacitura tangente al cono e quindi con normale n, si prevede il seguente vettore
tensione (dimostrarlo come esercizio):

t ( n) =
_
_
0
0
sin
_
_

zz
dove con = tan
1
_
R
B
R
D
l
_
`e stato indicato il semiangolo della conicit`a. La soluzione trovata
prevede quindi sulla faccia laterale esterna del cono due componenti tensionali locali date da:

nn
=
zz
(sin )
2
=
zz
sin cos
che invece dovrebbero essere nulle poiche agiscono su una supercie libera. Dobbiamo quindi
concludere che la soluzione ottenuta non rispetta la condizione di equilibrio locale e che lerrore
`e legato alla conicit`a della trave (in eetti le componenti sarebbero entrambe nulle se la trave
fosse cilindrica e quindi sin = 0). La soluzione di riferimento usata per il problema `e stata
infatti ottenuta per travi aventi sezione uniforme. Tuttavia, nel caso esaminato sin = 0.04 per
cui lerrore che si commette `e dellordine di qualche unit`a percentuale ed `e quindi tollerabile
dal punto di vista pratico. Nellultima parte del corso vedremo come, schematizzando il corpo
dellesempio precedente con un modello di guscio, sia possibile ottenere una soluzione non aetta
da questa approssimazione.
586
19.3. ESTENSIONI ED ESEMPI
`
E peraltro evidente che, se la conicit`a fosse pi` u marcata, la soluzione ottenuta con il modello
monodimensionale potrebbe risultare aetta da errori signicativi. Daltra parte, in tal caso il
modello sarebbe discutibile tanto che, se la conicit`a diventasse localmente vicina a 90

, la trave
avrebbe localmente una forma simile a uno spallamento, con le conseguenze discusse nel punto
precedente.
Esercizio 19.3: Varianti sulla trave tronco-conica
Con i dati dellesempio 19.3:
a) vericare la relazione: L
ext
= U
b) valutare la variazione complessiva del volume del materiale elastico
c) determinare laumento del raggio esterno della sezione di mezzeria.
19.3.3 Carichi applicati lungo lasse della trave
In modo analogo a come `e stata trattata la variazione continua di sezione pu`o essere consi-
derata una trave soggetta a carichi assiali distribuiti. Anche in questi casi lipotesi di De Saint
Venant si dimostra valida in quanto `e signicativo il solo eetto prodotto dalla caratteristica
di sollecitazione indotta dai carichi, mentre lazione diretta dei carichi stessi `e trascurabile.
Consideriamo il seguente esempio.
Esempio 19.4: Cilindro soggetto al peso proprio
Un cilindro di gomma (E = 0.5 MPa, = 0.49 e = 1.1 kg/dm
3
) avente diametro
= 150 mm e lunghezza l = 2000 mm `e sospeso per una base al sotto. Determinare
lallungamento complessivo del cilindro dovuto al peso proprio e lenergia elastica in esso
immagazzinata, vericando che questultima `e uguale al lavoro fatto dalle forze esterne.
B
D
B
D
( ) N s
s
q
P
B
D
P
Figura 19.9: Barra cilindrica appesa al sotto, schema di corpo libero e
diagramma della forza normale
Indicato con P = 381.4 N il peso complessivo della barra, la forza normale `e data da:
N (s) = P
_
1
s
l
_
587
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
ricaviamo quindi:
l = l

l =
_
l
0
N (s)
EA
ds =
1
2
Pl
EA
= 43.16 mm
Lenergia immagazzinata vale:
U =
_
l
0
1
2
[N (s)]
2
EA
ds =
1
6
P
2
l
EA
= 5.487 J
(Attenzione alle unit`a di misura: il calcolo diretto con le unit`a consuete fornisce il valore
in mJ). Le forze esterne sono distribuite pertanto su ogni concio di estensione assiale ds `e
applicata una forza elementare di intensit`a:
qds
dove con q =
P
l
`e indicata la densit`a lineare del peso. Ogni forza elementare agente sul
concio generico in posiszione s far`a quindi un lavoro dato da:
dL
ext
=
1
2
qds w(s)
dove:
w(s) `e lo spostamento assiale nale del concio di ascissa s dovuto al carico
il fattore
1
2
consegue dalla solita ipotesi geometrico-costitutiva di comportamento
lineare elastico, per cui carico e spostamento crescono insieme.
La funzione spostamento assiale nale relativa alla sezione generica di ascissa s si ottiene
con la seguente integrazione:
w(s) =
_
s
0
N (s
1
)
EA
ds
1
nella quale la variabile di integrazione s
1
ha lo stesso signicato dellascissa curvilinea s ed
`e diversicata per chiarezza di notazione. Si ottiene pertanto il lavoro delle forze esterne
come doppia integrazione:
L
ext
=
_
l
0
1
2
qw(s) ds =
_
l
0
1
2
P
l
__
s
0
N (s
1
)
EA
ds
1
_
ds =
1
6
P
2
l
EA
Per trattare carichi assiali concentrati `e suggerita la divisione del dominio in intervalli
contigui separati dalle solite zone di estinzione.
Esempio 19.5: Trave tubolare
Un tubo di PVC (E = 2.6 GPa,
am
= 5 MPa) rappresentato in gura 19.10 avente lun-
ghezza l = 600 mm, diametro esterno d = 50 mm e spessore h = 4 mm presenta, in
corrispondenza della sezione C, un setto al quale `e collegato un cavo metallico che sorregge
il peso P. Determinato il peso che produce nel tubo un coeciente di sicurezza a resistenza
pari a 2, determinare la forza assiale F che si deve applicare in D in modo che la lunghezza
588
19.3. ESTENSIONI ED ESEMPI
complessiva del tubo non vari rispetto alla condizione indeformata. Vericare il tubo sotto
leetto combinato dei due carichi.
3
5
l
d
B
C
D
F
P
2
5
l
Figura 19.10: Tubo di PVC
Con il solo peso P, risulta sollecitata in compressione la sola parte BC del tubo. Si
ricava pertanto:
P =

am
A

= 1.445 kN
Con lapplicazione anche del carico F, la forza normale diventa:
N (s) =
_
F P per 0 < s <
3
5
l
F per
3
5
l < s < l
da cui si ottiene la seguente equazione in F:
l =
_
l
0
N (s)
EA
ds =
_ 3
5
l
0
F P
EA
ds +
_
l
3
5
l
F
EA
ds =0
che fornisce:
F = 0.6P = 0.867 kN
e quindi il diagramma della forza normale rappresentato in gura 19.11 con il quale si
verica che le sezioni critiche diventano quelle della regione CD e il coeciente di sicurezza
aumenta, rispetto alla condizione in cui agiva solo il carico P, passando da 2 a 3.3.
B
C
D
( ) kN N
0.867
0.578
Figura 19.11: Forza normale nel tubo di PVC
Nota. Le zone di estinzione, oltre alle estremit`a della trave, comprendono anche la regione
del setto dove lo stato di tensione risulter`a perturbato dalla forma locale del corpo. Anche
in assenza della forza esercitata dal cavo, con il carico dovuto alla sola forza F il setto
contrasterebbe localmente la libera deformazione poissoniana della sezione C.
589
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
Esercizio 19.4: Perno compresso
Lelemento di lega leggera (E = 76 GPa, = 0.3 e
am
= 250 MPa) rappresentato in
gura 19.12 `e collocato allinterno di una morsa con i piani delle ganasce normali allasse.
Determinare il massimo avvicinamento consentito alle ganasce.

5
0

3
0

1
2
90 90
70
Figura 19.12: Perno in lega leggera
19.4 Problemi iperstatici
La disponibilit`a di un modello strutturale completo che ingloba le equazioni di equilibrio, di
congruenza e la legge costitutiva permette di arontare anche la soluzione di problemi ipersta-
tici. Nel presente paragrafo sono proposti alcuni esempi elementari che illustrano i principali
metodi di soluzione. Ai procedimenti generali di soluzione dei problemi iperstatici sar`a dedicato
il capitolo 25.
19.4.1 Il metodo delle forze
Il seguente esempio illustra il classico procedimento di soluzione dei problemi iperstatici.
Esempio 19.6: Problema iperstatico
Eettuare la verica di resistenza della barra rettilinea BCD (gura 19.13) di acciaio
(E = 206 GPa, = 0.3 e
am
= 300 MPa) con sezione A = 400 mm
2
e lunghezza
l = 660 mm che, prima di essere caricata dalla forza asiale F = 84 kN applicata in C, `e
vincolata senza errori di montaggio sulle due cerniere B e D.
2
3
l
1
3
l
B
C
D
F
Figura 19.13: Barra iperstatica
590
19.4. PROBLEMI IPERSTATICI
Risolviamo il problema usando il principio di sovrapposizione degli eetti per i corpi
deformabili considerandolo la combinazione di due problemi ausiliari come mostrato in
gura 19.14.
B
C
D
F
B C
D
X
+
a)
b)
Figura 19.14: Schema di applicazione del principio di sovrapposizione che
riduce un problema 1 volta iperstatico alla sovrapposizione di due problemi a)
e b) ausiliari isostatici
Osserviamo in particolare che:
i problemi ausiliari, entrambi isostatici perche deniti sul sistema principale otte-
nuto dal problema originario con una opportuna eliminazione di vincoli, si distinguono
per le sole condizioni di carico
il problema a) consiste nel sistema principale con il carico vero (che quindi `e noto)
il problema b) consiste nel sistema principale caricato dalla sola iperstatica (quindi
incognita) che corrisponde alla reazione prodotta dal vincolo elementare eliminato
esistono molti altri (inniti in realt`a) sistemi principali validi e quindi altrettanti
diversi modi di impostare la sovrapposizione degli eetti, tuttavia queste varianti
sono nella pratica tutte equivalenti.
Possiamo risolvere in modo completo (e determinare: tensioni, deformazioni, sposta-
menti, energia . . . ) i due problemi ausiliari, imponendo le solite equazioni, dato che si
tratta di problemi isostatici di travi elastiche sottoposte a forza normale. Per sovrapposi-
zione, determiniamo quindi una soluzione del problema iperatico originario per ogni valore
di X con la garanzia che, a meno di aver commesso errori grossolani, questa `e equilibrata,
rispetta le equazioni costitutive e anche la congruenza locale dei conci. Il rispetto di tali
condizioni `e conseguenza dal fatto che i problemi ausiliari sono isostatici. La congruenza
globale della soluzione complessiva non risulta per`o garantita, dato che, ssato un valore a
caso di X si trova per il punto D uno spostamento assiale (che `e funzione di X oltre che
di F) in genere non nullo e quindi non compatibile con il vincolo nel problema di partenza.
Da questa considerazione si ricava pertanto una condizione di congruenza che permette di
chiudere il problema imponendo proprio che sia nullo lo spostamento assiale della sezione
in corrispondenza del vincolo ridondante che `e stato eliminato.
In formule, indicati con
DF
e con
DX
gli spostamenti della sezione D (che assumiamo
positivi se verso destra nella gura 19.14) prodotti nel sistema principale rispettivamente
dal carico F e dalla reazione X, la condizione di congruenza diventa:

D
=
DF
+
DX
= 0
591
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
Nel caso esaminato:

DF
=
F
EA
2
3
l;
DX
=
X
EA
l
da cui si ottiene:
X =
2
3
F
Tra tutte le reazioni orizzontali iperstatiche che soddisfano lequilibrio, lunica che garan-
tisce anche le condizioni di congruenza e costitutive `e quella appena trovata. Il fatto di
aver ottenuto il segno negativo si interpreta, come di consueto, concludendo che la reazione
vincolare eettiva ha verso opposto a quello ipotizzato nello schema di soluzione.
Il problema di partenza `e quindi completamente equivalente al problema isostatico
indicato nella gura 19.15 e quindi ha anche le medesime caratteristiche di sollecitazione,
le stesse tensioni, gli stessi spostamenti, ecc. . . .
B
C
D
F
B
C
D
2
3
F
( ) kN N
56
28 +
Figura 19.15: Determinazione della reazione iperstatica e diagramma della
forza normale denitiva
Lindividuazione dellincognita iperstatica consente quindi la soluzione completa del
problema. Nel caso specico, risultano critiche le sezioni nel tratto CD e il coeciente di
sicurezza della trave vale: = 2.14.
Esercizio 19.5: Ulteriori valutazioni per la trave iperstatica
Con riferimento allesempio 19.6 e alla gura 19.13:
a) determinare lo spostamento orizzontale del punto C
b) determinare separatamente L
ext
e U vericandone luguaglianza
c) vericare che la stessa soluzione pu`o essere ottenuta sconnettendo il vincolo in B invece
che quello in D
Il procedimento di soluzione del problema iperstatico descritto nellesempio 19.6 `e chiamato
metodo delle forze in quanto usa le reazioni vincolari come incognite. Nel capitolo 25 il
metodo delle forze sar`a esteso a strutture di travi genericamente sollecitate e anche pi` u volte
iperstatiche. In questa introduzione `e suciente cominciare a familiarizzare con il ragionamento
alla base del metodo che pu`o essere sintetizzato nei punti seguenti:
592
19.4. PROBLEMI IPERSTATICI
nel problema iperstatico sono eliminati alcuni vincoli (o componenti di vincolo) in modo
da rendere il problema isostatico (determinazione del sistema principale)
la reazione, o le reazioni se il problema `e pi` u volte iperstatico, che in tal modo vengono
eliminate diventano le incognite del metodo delle forse
il problema iperstatico originario `e ricondotto alla sovrapposizione di problemi isostatici
che sono risolvibili con la meccanica dei corpi elastici poco deformabili
per ogni combinazione delle reazioni vincolari iperstatiche si ottiene una soluzione che `e
sicuramente equilibrata, rispetta lequazione costitutiva ed `e congruente in quasi tutto il
dominio
non `e per`o garantita la congruenza proprio in corrispondenza dei vincoli eliminati
in corrispondenza di ognuno dei vincoli eliminati `e peraltro possibile imporre una condi-
zione di congruenza specica (quindi una condizione per ogni incognita) che permette di
scrivere un sistema di equazioni con cui risolvere il problema
dato che il problema iperstatico originario ha soluzione unica (come conseguenza della
linearit`a) il sistema che si ottiene dal metodo dele forze `e lineare nonche risolvibile e
determinato
ottenute le reazioni iperstatiche, il problema iperstatico originario `e ricondotto alla so-
vrapposizione di problemi isostatici su cui agiscono carichi alla ne noti e pu`o quindi
essere risolto in ogni aspetto.
Con il metodo delle forze `e possibile arontare anche problemi iperstatici che presentano
errori di montaggio o forzamenti, come mostrato nellesempio che segue.
Esempio 19.7: Struttura con forzamento
Risolvere il problema dellesempio 19.6 sapendo che la barra `e stata realizzata pi` u corta di
= 0.30 mm rispetto alla condizione di montaggio eseguito.
Consideriamo lo stesso sistema principale usato nellesempio 19.6, come nella gura
19.16.
B
C D F
X

Figura 19.16: Sistema principale, condizione prima del montaggio


A causa dellerrore di montaggio, in questo caso il punto D alla ne dovr`a essere portato
(sotto leetto del carico e della reazione vincolare iperstatica) a coincidere con la posizione
del centro della cerniera sul telaio. La relativa condizione di congruenza diventa quindi:

D
=
DF
+
DX
=
593
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
dalla quale si ricava:
X =
2
3
F +
EA
l
= 18.55 kN
Nota. Determinare la reazione vincolare che si manifesta subito dopo che `e stato eettuato
il montaggio, prima che il carico F sia applicato.
19.4.2 Metodo degli spostamenti
Esiste un metodo duale rispetto al metodo delle forze per ottenere la soluzione dei problemi
iperstatici, detto metodo degli spostamenti nel quale sono adottate come incognite quantit`a
geometriche invece che statiche. Consideriamo ancora lesempio 19.7.
Esempio 19.8: Applicazione del metodo degli spostamenti
Determinare le reazioni vincolari del problema in gura 19.17 (barra BCD di acciaio
E = 206 GPa, = 0.3,
am
= 300 MPa con sezione A = 400 mm
2
e lunghezza l = 660 mm,
vincolata senza errori di montaggio con carico F = 84 kN) usando il metodo degli
spostamenti.
Consideriamo come grandezza deformativa incognita lo spostamento (assunto positivo
se verso destra) del punto C, quantit`a che indichiamo con w
C
. Se tale grandezza fosse nota,
per esempio fosse stata misurata, il problema sarebbe immediatamente risolto. Infatti,
indicando con il pedice 1 le grandezze che si riferiscono al tratto BC e con il pedice 2 quelle
del tratto CD, valgono le seguenti relazioni:

zz1
=
w
C
2
3
l
,
zz2
=
w
C
1
3
l
dalle quali `e immediato ricavare le tensioni nei due tratti e quindi le rispettive forze normali:
N
1
=
3
2
EA
w
C
l
, N
2
= 3EA
w
C
l
La soluzione trovata `e ovviamente congruente e rispetta le equazioni costitutive per ogni
valore di w
C
ma, proprio in relazione al valore di w
C
, non `e garantito che sia equilibra-
ta. Sappiamo peraltro che esiste sicuramente un valore dellincognita che corrisponde alla
condizione corretta e quindi per determinarlo imponiamo una condizione di equilibrio si-
gnicativa. A tale scopo `e suciente prendere in esame lequilibrio assiale di qualunque
concio (anche nito) che contenga la sezione C.
`
E possibile imporre lequilibrio assiale
anche dellintera barra. Lo schema di corpo libero `e mostrato in gura 19.17 nella quale
le forze normali sono state rappresentate positive in coerenza con la denizione (prima di
determinare il segno del risultato non `e noto il loro segno eettivo).
C F
2
N
1
N
Figura 19.17: Condizione di equilibrio per il metodo degli spostamenti
594
19.4. PROBLEMI IPERSTATICI
La prima cardinale diventa:
N
2
N
1
+F = 0
e sostituendo si ottiene lequazione:
3EA
w
C
l

3
2
EA
w
C
l
+F = 0
che permette di determinare lincognita:
w
C
=
2
9
Fl
EA
dalla quale le caratteristiche di sollecitazione richieste:
N
1
=
F
3
; N
2
=
2
3
F
e quanto altro `e necessario.
Il metodo degli spostamenti ricerca pertanto lunica soluzione equilibrata nellinsieme delle
soluzioni automaticamente congruenti e costitutivamente corrette.
I due metodi proposti, nonche le possibili varianti miste attuabili nel caso di problemi pi` u
volte iperstatici, sono equivalenti per quanto concerne la possibilit`a di ottenere la soluzione.
Non vi sono infatti problemi che uno solo dei metodi permette di risolvere e, ovviamente, i
risultati dei due procedimenti sono sempre coincidenti. La scelta tra i due metodi `e quindi
legata al tipo di problema e agli strumenti di calcolo disponibili ma spesso `e anche motivata
dalla consuetudine. In genere, i problemi poche volte iperstatici sono pi` u agevolmente risolvibili
con il metodo delle forze. Questo fatto consegue dalla maggiore abitudine che si acquisisce a
risolvere problemi strutturali usando la statica (le condizioni di equilibrio) rispetto alluso di
procedimenti che sfruttano la cinematica o lanalisi geometrica (come per esempio il principio
dei lavori virtuali). Vi sono per`o casi in cui il metodo degli spostamenti `e pi` u ecace in quanto
la parametrizzazione geometrica, ovvero luso di incognite di spostamento, `e particolarmente
conveniente. Il metodo degli spostamenti `e per esempio alla base di molte tecniche risolutive di
tipo numerico per problemi strutturali complessi, tra le quali il Metodo degli Elementi Finiti che
sar`a argomento di corsi successivi. Nel Metodo degli Elementi Finiti il metodo degli spostamenti
permette di formulare algoritmi risolutivi per problemi migliaia (talvolta anche ben pi` u) volte
iperstatici.
Nellambito del presente corso il metodo delle forze sar`a applicato pi` u spesso. Il seguente
esempio mostra tuttavia una situazione in cui la parametrizzazione geometrica `e relativamente
semplice e il metodo degli spostamenti diventa conveniente anche per la soluzione manuale.
595
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
Esempio 19.9: Struttura sostenuta da cavi
La barra metallica BC (h = 500 mm), che pu`o essere considerata innitamente rigida,
`e incernierata in B e sostenuta da tre cavi deformabili aventi la medesima sezione
A = 50 mm
2
realizzati con materiale polimerico avente rigidezza E = 2.5 GPa. Nellipotesi
di assenza di errori di montaggio, determinare il tiro dei cavi con un carico P = 2 kN.
B
P
h
h h
h
1
2
3
D
1
D
2
D
3
C
H
1

Figura 19.18: Barra rigida con cavi di sostegno


Nellipotesi, ragionevole ma che dovr`a essere vericata a posteriori, che tutti i cavi siano
tesi, il problema `e due volte iperstatico. Il metodo delle forze richiederebbe una duplice
sconnessione e limposizione di un sistema di 2 equazioni di congruenza. Nel caso in esame,
tuttavia, linnita rigidezza della barra permette una semplice parametrizzazione geome-
trica della deformazione. Come incognita deformativa pu`o essere usata linclinazione sotto
carico della barra , coordinata angolare assunta positiva se oraria nella rappresentazione
indicata.
Per le consuete ipotesi, linclinazione della barra sotto carico potr`a essere assunta molto
piccola: [[ 1, per cui, considerando gli eetti deformativi al primo ordine in , `e semplice
esprimere gli spostamenti dei punti di attacco dei cavi alla barra che risultano solo verticali
verso il basso. Il generico punto D
i
(i = 1, 2, 3) si abbassa di:

i
= ih
e quindi il cavo i-esimo subisce un allungamento di:
l
i
= ih sin
i
=
i

1 +i
2
h
Si ricavano pertanto la deformazione, la tensione e inne la forza normale (il tiro) di ogni
cavo:
N
i
= EA
l
i
l
i
= EA
i
1 +i
2

Si perviene inne alla seguente equazione signicativa di equilibrio (seconda cardinale della
barra con polo la cerniera B):
3

i=1
N
i
ihsin
i
3hP = 0
596
19.5. PROBLEMI PROPOSTI
dalla quale si ottiene la rotazione:
= 0.048 = 2.76

e il corrispondente tiro dei tre cavi:


N
1
= 3.012 kN; N
2
= 2.41 kN; N
3
= 1.807 kN
A posteriori si verica inne che
la variazione di congurazione `e eettivamente piccola
tutti i cavi sono tesi.
Esercizio 19.6: Ulteriori valutazioni per la trave con cavi di sostegno
Considerare la barra dellesempio 19.9 sostenuta da 5 cavi collegati in punti che la dividono
in parti uguali. Si osservi che in questo caso il problema diventa 4 volte iperstatico e il
vantaggio del metodo degli spostamenti rispetto a quello delle forze `e ancora pi` u evidente.
19.5 Problemi proposti
Il seguente problema dimostra come sia possibile indirizzare le forze verso il telaio modican-
do la rigidezza relativa delle parti di una struttura. Tale risultato non `e ottenibile nelle strutture
isostatiche nelle quali le reazioni vincolari dipendono solo dalla congurazione geometrica e dalle
condizioni di equilibrio e non dal comportamento costitutivo.
Esercizio 19.7: Equiripartizione delle reazioni vincolari
Determinare il rapporto tra i diametri =

1

2
che deve essere scelto nellesempio di gura
19.19 (errori di montaggio trascurabili) in modo che il carico F sia equilibrato da reazioni
vincolari aventi la stessa intensit`a per le due cerniere.
0.6l
0.4l
B
C D
F
1

Figura 19.19: Barra a due diametri


Il seguente esercizio mostra come sia possibile ottenere una soluzione in cui il materiale `e
uniformemente sollecitato. Solidi di questo tipo, deniti di uniforme resistenza, sono talvolta
ricercati per realizzare strutture ottimali dal punto di vista del risparmio di peso.
597
19. TRAVE SOGGETTA A FORZA NORMALE
Esercizio 19.8: Solido di uniforme resistenza
Con riferimento allo schema del gura 19.19, sulle due parti della barra sono prodotti
diversi trattamenti termici che determinano tensioni ammissibili rispettivamente date da:

am1
e
am2
. Determinare il rapporto

am1

am2
tale che tutte le sezioni della barra siano
ugualmente critiche (si osservi che il risultato `e indipendente dal rapporto dei diametri).
Il seguente esercizio mostra invece come sia possibile ottenere una soluzione in cui `e massi-
mizzata la rigidezza.
Esercizio 19.9: Solido di massima rigidezza (*)
Con riferimento allo schema del gura 19.19, conservando il volume totale del materiale,
determinare il rapporto tra i diametri =

1

2
che determina il minimo spostamento
del punto di applicazione del carico (e quindi il valore minimo dellenergia elastica
immagazzinata) nellipotesi che ognuna delle cerniere possa sopportare una forza non
superiore a 0.8F.
I seguenti esercizi riassumono vari aspetti trattati nel capitolo.
Esercizio 19.10: Barra semitubolare in rotazione
La barra BCD di acciaio (E = 206 GPa, = 0.3,
am
= 300 MPa, = 7.8 kg/dm
3
,

1
= 2
2
= 60 mm e l = 450 mm) rappresentata in gura 19.20, ha sezione piena nella
parte BC e tubolare nella parte CD. La barra `e posta in rotazione attorno a un asse
verticale passante per B e appoggia per tutta la sua lunghezza su un piano orizzontale
liscio (non rappresentato). Determinare la velocit`a angolare per avere un coeciente di
sicurezza pari a 1.5 e con tale velocit`a determinare:
a) lallungamento complessivo della barra
b) lallungamento della parte CD
c) lenergia elastica immagazzinata nella barra
d) la massima deformazione angolare che il materiale deve sopportare
e) la variazione complessiva di volume della barra.
0.5l 0.5l
B
C D
1

Figura 19.20: Barra con parte tubolare


598
19.5. PROBLEMI PROPOSTI
Esercizio 19.11: Variante iperstatica dellesercizio 19.10
Risolvere lesercizio 19.10 nellipotesi che lestremo D sia vincolato a strisciare su una
supercie verticale liscia senza errori di montaggio.
Esercizio 19.12: Variante iperstatica con forzamento dellesercizio 19.10
Risolvere lesercizio 19.10 nellipotesi che lestremo D sia vincolato da una supercie verti-
cale liscia ma che, a barra ferma, questa risulti compressa a causa di una interferenza di
montaggio di 0.4 mm.
Esercizio 19.13: Variante iperstatica con gioco dellesercizio 19.10(*)
Nellesercizio 19.10, lestremo D `e alla ne vincolato a strisciare su una supercie verticale
liscia ma, a barra ferma, vi `e un gioco radiale per cui il punto D `e inizialmente scostato
dalla supercie. Sapendo che il gioco viene recuperato, e quindi il punto D comincia a
strisciare, quando la barra gira a una velocit`a tale per cui il suo coeciente di sicurezza `e
5:
a) determinare la velocit`a angolare per avere coeciente di sicurezza 2
b) con tale velocit`a determinare, rispetto alla condizione di barra ferma, laumento di
raggio della circonferenza su cui ruota il punto C.
599
Capitolo 20
Trave soggetta a essione
Il capitolo analizza il comportamento delle travi rettilinee soggette a essione. Nella prima
parte `e presentato lesperimento della essione retta di una barretta con sezione rettangolare
e dedotta la formula di Navier per la essione come conseguenza dellipotesi deformativa di
Eulero-Benoulli. La teoria `e successivamente generalizzata a travi di sezione qualunque allo
scopo di sviluppare procedimenti adatti per le veriche di resistenza e di rigidezza. Nella parte
centrale del capitolo `e considerato leetto combinato delle due componenti essionali (essione
deviata). Nella parte nale, il capitolo aronta leetto combinato di una generica essione e
della forza normale.
Lanalisi degli eetti della essione `e fondamentale per le veriche dato che `e molto frequente
che il momento ettente sia la caratteristica pi` u gravosa e quindi pi` u signicativa per gli elementi
strutturali.
20.1 Lesperimento della essione retta
Come per la forza normale, anche per la essione (bending) `e possibile eseguire un espe-
rimento che permette di evidenziare leetto prodotto dalla sola caratteristica di sollecitazione
su un tratto rettilineo di trave. Consideriamo, per iniziare, un problema schematizzabile nel
piano: una barretta rettilinea di sezione uniforme che, per semplicit`a, ha forma rettangolare di
dimensioni b h. Generalizzeremo successivamente i risultati a sezioni di forma qualunque.
B
C
H
h
b
R
Q
a a y
z
P
y
x
Figura 20.1: Attrezzatura per la prova di essione su quattro punti
Come mostrato in gura 20.1, la barretta `e collocata in una semplice attrezzatura composta
da un elemento rigido superiore e 4 perni disposti in modo che una forza trasversale P, applicata
601
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
in corrispondenza del piano di simmetria, produca sulla trave un sistema di quattro forze esterne
di uguale intensit`a, come rappresentato in gura 20.2(a). Le gure 20.2(b e c) evidenziano come
il tratto centrale della trave, compreso tra le sezioni C e Q, sia soggetto solo a momento ettente
M
x
e, in tale zona, questo sia costante lungo lasse della trave.
`
E stata quindi ottenuta una
porzione di trave soggetta alla sola caratteristica di sollecitazione in esame. Se si escludono le
zone di estinzione che sono in corrispondenza dei perni che esercitano le azioni esterne, la parte
centrale della barretta svolge pertanto, per la prova di essione, il ruolo della parte centrale del
provino nella prova di trazione.
La congurazione rappresentata in gura 20.1 `e spesso usata nella Meccanica dei Materiali
per applicare azioni ettenti uniformi e si chiama prova di essione su quattro punti (four
points bending).
Adottando per la barretta un materiale trasparente, `e possibile eettuare un rilievo diretto
del processo deformativo che la sollecitazione produce, in particolare nella zona centrale. A tale
scopo, si pu`o realizzare la trave incollando due semibarrette di plexiglass aventi sezione h b/2
dopo aver grigliato con linee longitudinali e trasversali una delle superci da incollare.
B
C
R
Q
a a y
z
2
P
2
P
2
P
2
P
B
C
R
Q
2
P

2
P
B
C
R
Q
2
Pa
y
T
x
M
) a
) b
) c
Figura 20.2: Analisi della prova di essione su quattro punti: a) diagramma
di corpo libero denitivo; b) diagramma del taglio e c) diagramma del momento
ettente
Laspetto della zona centrale del provino, prima e dopo lapplicazione del carico, `e illustrato
nella gura 20.3.
) a
) b
Figura 20.3: Rappresentazione della zona centrale della barretta: a)
indeformata e b) deformata dal momento ettente
602
20.1. LESPERIMENTO DELLA FLESSIONE RETTA
Losservazione diretta della zona centrale del provino, lontano dalle zone di estinzione,
mostra che:
il piano medio grigliato si conserva sullo stesso piano dopo lapplicazione del carico
le linee longitudinali, che nella condizione iniziale erano parallele allasse della trave,
assumono nella deformata una forma curva
i segmenti che allinizio erano normali alla linea dasse (ovvero giacevano sulla sezione
della trave) rimangono rettilinei
ogni linea longitudinale deformata ha curvatura costante, ovvero `e un arco di circonferen-
za; questo esito era prevedibile se si considera che nella zona centrale tutti i conci hanno
le stesse propriet`a (geometriche e costitutive) e sono sollecitati dalla medesima caratte-
ristica di sollecitazione, pertanto devono subire la stessa variazione di forma (risultato
incompatibile con linee longitudinali deformate aventi curvatura variabile con lascissa
curvilinea)
i segmenti trasversali, che prima erano paralleli, nella congurazione deformata risultano
convergenti nel medesimo punto O
il punto O `e il centro di tutte le circonferenze su cui si avvolgono le linee longitudinali
deformate.
O
Figura 20.4: Interpretazione qualitativa del processo deformativo
Losservazione dimostra quindi che, sotto leetto di un momento ettente uniforme, una
trave rettilinea si deforma in modo che la linea dasse diventa un arco di circonferenza mentre
le sezioni si conservano piane e perpendicolari allasse deformato. Per la essione, quindi, lipo-
tesi deformativa di Eulero-Bernoulli (vedi paragra 15.2 e 15.3) `e vericata sperimentalmente.
Sempre levidenza sperimentale mostra che il processo deformativo appena descritto `e molto
generale e caratterizza la risposta alla essione anche per travi con asse inizialmente curvo. Si
verica inoltre che si deformano in tal modo anche travi realizzate con materiale non elastico-
lineare (per esempio elasto-plastico o viscoso). In base allanalisi geometrica della piegatura
603
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
eettuata nel capitolo 15, possiamo esprimere in forma matematica il processo deformativo
imponendo che la componente assiale della deformazione estensionale sia una funzione lineare
della coordinata trasversale y:

zz
(y) = k
x
y +e (20.1)
relazione che dipende da due parametri geometrici il cui signicato `e stato evidenziato nel
capitolo 15:
e `e una quantit`a adimensionale che esprime la deformazione estensionale della linea
baricentrica (infatti `e:
zz
(0) = e)
k
x
rappresenta la curvatura (il cui modulo `e il reciproco del raggio di curvatura) della
linea baricentrica (il pedice x si giustica considerando che la curvatura `e indotta dal
momento M
x
).
Ricordiamo che la curvatura `e una quantit`a algebrica e il suo segno `e positivo se, come
nellesempio rappresentato, il raggio di curvatura `e equiverso con lasse trasversale (in questo
caso lasse y). Si verica inoltre sperimentalmente che il risultato evidenziato nella relazione
(20.1) `e valido per ogni tipo di sezione di trave, a condizione che lasse x sia centrale principale
dinerzia.
20.2 La formula base della essione
Per ottenere lo stato di tensione-deformazione completo nella parte centrale della barretta
in essione `e necessario eettuare alcune altre considerazioni e introdurre nel modello la legge
costitutiva. A questo proposito nel seguito considereremo il materiale elastico lineare omogeneo
isotropo, denito dalle costanti elastiche E e , e limiteremo lesame a essioni moderate in
modo da poter applicare la meccanica dei corpi poco deformabili.
Dato che la deformazione della parte centrale della barretta non dipende dallascissa curvi-
linea, lo stesso risultato vale anche per lo stato tensionale. Consideriamo una generica sezione
nella parte centrale della barretta, il vettore tensione `e nullo sul suo contorno per cui sui lati
esterni verticali (lunghi h) devono essere nulle tutte le componenti di tensione che hanno pedice
x (ovvero per x =
b
2
deve essere:
xx
=
yx
=
zx
= 0) mentre sui lati orizzontali (lunghi
b) devono annullarsi tutte le componenti tensionali con pedice y (per y =
h
2
deve essere:

xy
=
yy
=
zy
= 0). Poiche h e b sono quantit`a geometriche necessariamente piccole `e
plausibile che le componenti di tensione con pedici x o y, dovendo annullarsi sul contorno, non
possano assumere valori signicativi nemmeno allinterno della sezione. Questa considerazione
suggerisce che lo stato di tensione abbia come unica componente signicativa la
zz
(ovvia-
mente funzione della posizione) e quindi che nella barretta si manifesti un campo tensionale
monoassiale variabile nel dominio.
In ipotesi di monoassialit`a `e quindi possibile esprimere la componente signicativa dello
stato di tensione mediante la legge di Hooke in modo immediato:

zz
(y) = E k
x
y +E e
Si osservi che la precedente relazione dipende solo dai due parametri geometrici k
x
ed e.
Avendo gi`a impiegato le relazioni costitutive (legge di Hooke) e la condizione di congruenza
(ipotesi di Eulero-Bernoulli), il problema potr`a chiudersi (con la determinazione di k
x
ed e)
imponendo due condizioni di equilibrio indipendenti. A tale proposito ricordiamo il signicato
sico delle caratteristiche di sollecitazione, ovvero leetto complessivo, integrato sulla sezione,
delle tensioni agenti sulla faccia del concio. Possiamo quindi imporre due equazioni di equilibrio
604
20.2. LA FORMULA BASE DELLA FLESSIONE
signicative (la condizione di taglio nullo risulta identicamente soddisfatta) con le seguenti
relazioni:
N =
_

zz
dxdy (20.2)
M
x
=
_

zz
ydxdy (20.3)
nelle quali la sezione corrente `e stata indicata genericamente come al solito con . La relazione
(20.2) pu`o essere risolta separatamente, infatti sostituendo si ha:
0 =
_

(E k
x
y +E e) dxdy
dato che il materiale `e omogeneo, E e le quantit`a k
x
ed e (caratteristiche dellintera sezione) non
dipendono dalla posizione sulla sezione, `e possibile quindi portarle fuori dal segno di integrale e
ottenere:
0 = E k
x

ydxdy +E e
_

dxdy
espressione in cui gli integrali hanno esclusiva natura geometrica. Il primo integrale `e infatti
il momento statico della sezione calcolato rispetto allasse x (vedi appendice D): S
x
, mentre il
secondo `e larea della sezione stessa: A. Si ha quindi:
0 = E k
x
S
x
+E e A
Lasse x `e centrale per denizione e pertanto risulta: S
x
= 0, inoltre, dato che la quantit`a EA
(la rigidezza assiale della sezione denita nel capitolo 19) `e strettamente positiva, lequazione
(20.2) fornisce come risultato:
e = 0
Si `e quindi dimostrato che in essione la bra baricentrica non subisce deformazioni estensionali
e quindi che lasse della trave si incurva su un arco di circonferenza senza allungarsi o contrarsi.
La soluzione della seconda equazione di equilibrio `e a questo punto immediata:
M
x
= E k
x

y
2
dxdy
Tenendo conto che, per denizione, J
x
=
_

y
2
dxdy `e il momento dinerzia centrale principale
della sezione (vedi appendice D), ricaviamo la seguente relazione fondamentale della essione:
k
x
=
M
x
EJ
x
(20.4)
In base a tale relazione `e possibile esprimere la legge di dipendenza della tensione dalla
posizione:

zz
=
M
x
J
x
y (20.5)
chiamata formula di Navier in onore dello scienziato francese Claude-Louis Navier (1785
1836).
`
E opportuno considerare che le relazioni nali ottenute (20.4) e (20.5) legano quantit`a
di varia natura (statiche e geometriche) alcune delle quali sono componenti vettoriali o tenso-
riali con segno. Perche la coerenza formale sia garantita `e necessario che tutte le convenzioni
605
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
nora adottate (sulle caratteristiche di sollecitazione, sulle curvature, sulle componenti tensio-
nali, ecc. . . ) siano rispettate, pena il rischio di commettere errori di segno. Si noti come la
formulazione matematica della essione si giovi in modo determinante della scelta del sistema
di riferimento locale (centrale principale dinerzia) per la sezione della trave.
Ottenuta la soluzione del problema elastico, possiamo vericare a posteriori per sostituzione
diretta che, sempre escludendo le zone di estinzione, sono eettivamente soddisfatte le equazioni
indenite di equilibrio, le equazioni di congruenza di Beltrami-Michell e le equazioni di Hooke.
Inoltre possiamo vericare la correttezza dellipotesi deformativa di Eulero-Bernoulli per le travi
rettilinee con sezione uniforme in condizioni di sollecitazione di essione.
Esempio 20.1: Mensola in accaio
La trave a mensola BC in gura 20.5 di acciaio (E = 206 GPa, = 0.3,
am
= 300 MPa)
avente sezione rettangolare b h = 10 mm 20 mm e lunghezza l = 300 mm `e caricata da
un momento M
0
applicato allestremit`a C. Determinare il massimo M
0
applicabile e, in
corrispondenza di tale valore, lo spostamento del baricentro della sezione C.
B
C
y
z
0
M
Figura 20.5: Mensola in essione
La mensola `e soggetta a un momento ettente uniforme: M
x
= M
0
. Valutiamo prima il
carico massimo applicabile. Lo stato di tensione `e uniassiale per cui la tensione equivalente
`e data dal modulo della massima tensione normale:

eq,max
=
M
0
J
x
h
2
tale valore pu`o al pi` u raggiungere la tensione ammissibile, da cui essendo J
x
=
bh
3
12
=
6.667 10
3
mm
4
, si ricava:
M
0
= 0.2 kNm.
Con esclusione delle zone di estinzione, lasse deformato della trave assume la forma di
un arco di circonferenza e conserva la sua lunghezza. La curvatura `e:
k
x
=
M
0
EJ
x
= 1.456 10
4
mm
1
e il raggio di curvatura dellasse deformato:
R
x
=
1
[k
x
[
= 6.867 10
3
mm
come mostrato nella gura 20.6. Si pu`o osservare che, come conseguenza dellipotesi de-
formativa di Eulero-Bernoulli, per ogni sezione linclinazione della linea dasse equivale alla
rotazione della sezione stessa. In particolare, la rotazione della sezione estrema vale:

C
=
l
R
x
= k
x
l = 0.044 (= 2.50

)
606
20.2. LA FORMULA BASE DELLA FLESSIONE
y
BB*
z
C
C*
O
C

x
R
Figura 20.6: Asse indeformato e asse incurvato dalla essione (la posizio-
ne del centro di curvatura `e fortemente avvicinata e la curvatura stessa `e
amplicata per ragioni di chiarezza graca)
Semplici considerazioni geometriche permettono di valutare le componenti del vetto-
re spostamento CC

= (0, v
C
, w
C
)
T
del baricentro della sezione estrema nel sistema di
riferimento della trave:
v
C
= R
x
(cos
C
1) = 6.55 mm
w
C
= R
x
sin
C
l = 0.095 mm
A posteriori possiamo osservare che lo spostamento previsto dal modello adottato (pe-
raltro riferito al punto dellasse con la freccia massima) `e dello stesso ordine di grandez-
za della dimensione trasversale della trave, quindi lipotesi di corpo poco deformabile `e
plausibile e il risultato pu`o essere accettato con un ragionevole grado di approssimazione.
Notiamo inoltre che lo spostamento assiale del punto C `e due ordini di grandezza inferiore
rispetto a quello trasversale:
w
C
v
C
= 0.015
Possiamo quindi prevedere che lo spostamento assiale dei punti dellasse sia dello stesso or-
dine di grandezza (se non inferiore) dellapprossimazione con cui `e valutato lo spostamento
verticale e quindi in genere potr`a essere trascurato. Nel seguito del corso si far`a spesso
lipotesi di considerare signicativo solo lo spostamento trasversale dei punti della linea
dasse sotto leetto della essione in base di considerazioni quantitative di questo tipo.
Esercizio 20.1: Variante della mensola
Ripetere lesercizio precedente considerando la mensola incastrata in modo che il lato
lungo della sezione sia orientato come lasse x.
607
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
20.3 Considerazioni sulla formula di Navier
20.3.1 Veriche di resistenza in essione
Si osserva, sia sperimentalmente sia analiticamente, che formula di Navier ottenuta per la
sezione rettangolare `e corretta per ogni tipo di sezione e pu`o pertanto essere usata allo scopo
di valutare la resistenza di una qualunque trave inessa realizzata con materiale che segue la
legge di Hooke.
`
E oppoertuno porre attenzione al fatto che nella formula di Navier (20.5)
compaiono solo quantit`a geometriche e statiche (la caratteristica di sollecitazione) mentre sono
assenti le propriet`a costitutive. Questo implica che lo stato di tensione, a parit`a di momento
ettente, non dipende dal materiale della trave (purche abbia un comportamento elastico lineare
omogeneo isotropo) ma solo dalla forma e dalla estensione della sezione. In pratica, una trave
di polietilene e una di acciaio aventi la stessa forma e soggette allo stesso momento ettente
hanno la medesima distribuzione di tensioni. Se a prima vista questo risultato pu`o sembrare
poco verosimile, `e utile ricordare che un risultato analogo `e stato ottenuto anche per la tensione
prodotta dalla forza normale nel capitolo 19. Non si pu`o evidentemente aermare la stessa
cosa per la deformazione.
`
E infatti evidente che, a parit`a di sezione e di momento ettente, la
trave di acciaio subir`a un incurvamento (una curvatura) molto meno pronunciata della trave di
polietilene, come peraltro mostra chiaramente la relazione (20.4) nella quale il modulo elastico
compare a denominatore.
Esempio 20.2: Verica di una trave con sezione a T
Una trave di acciaio con
am
= 300 MPa ha sezione a T come in gura 20.7 (a = 6.0 mm).
Valutare il coeciente di sicurezza a resistenza sapendo che la sezione critica `e sottoposta
a un momento ettente M
x
= 0.4 kNm.
6
a
y
x
2
a
5a
a
G
b
A
B
Figura 20.7: Sezione a T
La posizione del baricentro e il momento dinerzia principale rispetto allasse x si
determinano con i procedimenti dellappendice D. Vericare che:
b = 5.5a = 33 mm e J
x
=
244
3
a
4
= 1.054 10
5
mm
4
Lo stato di tensione ha componente signicativa
zz
che cresce in modulo proporzional-
mente con la distanza del punto esaminato dallasse x. Landamento delle tensioni assiali
sulla sezione `e rappresentabile come un piano inclinato che, nel caso in esame, produce
componenti di trazione nella parte inferiore della sezione (per le y positive) e componenti
608
20.3. CONSIDERAZIONI SULLA FORMULA DI NAVIER
compressive nella parte superiore della sezione. Le tensioni si annullano sui punti della
sezione in corrispondenza dellasse x.
x
G
A
B
A
B
G
x
0
zz
>
0
zz
<
0
zz
>
0
zz
<
Figura 20.8: Sezione a T: andamento delle tensioni dovute a M
x
: tipico
andamento a spiovente di tetto
Se, come di consueto, il segno delle tensioni non si considera rilevante per la verica allo
snervamento, i punti critici della sezione sono rappresentati da tutti quelli che si trovano nel
lato a cui appartiene il punto A per i quali assume il valore massimo la quantit`a: [y[ = b.
Da ci`o si ricava:
[
zz
[
max
=
eq,max
=
M
x
J
x
b = 125.2 MPa
Dato che lo stato di tensione `e monoassiale, tale valore corrisponde alla tensione equivalente
massima (per qualsiasi criterio), si ha:
=

am

eq,max
= 2.4
Generalizzando i risultati dellesempio 20.2, data una sezione qualunque sottoposta a mo-
mento ettente M
x
:
le tensioni
zz
nel piano di sezione hanno un andamento caratterizzato da una rappresen-
tazione a piano inclinato
il luogo dei punti della sezione con tensioni nulle appartiene alla retta intersezione del
piano di rappresentazione delle tensioni e il piano di sezione
il luogo dei punti con tensione nulla `e chiamato asse neutro
lasse neutro divide la sezione in due regioni, una con le bre tese laltra con le bre
compresse
la componente
zz
cresce in modulo in misura direttamente proporzionale alla distanza
del punto in esame dallasse neutro
le linee di livello delle tensioni sono rette parallele allasse neutro
dato che una funzione lineare ha gradente costante, non `e possibile avere punti stazionari
(massimi o minimi locali) per la funzione
zz
(x, y)
i punti critici per una sezione in essione sono quindi necessariamente sul bordo esterno
e, nel caso in cui questo sia poligonale, uno dei vertici `e necessariamente il punto critico.
609
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
Il massimo modulo della tensione
zz
`e pari al massimo valore della tensione equivalente e
quindi si manifesta nel punto critico della sezione. Vale pertanto la relazione:

eq,max
=
[M
x
[
J
x
[y[
max
(20.6)
Indichiamo con modulo di resistenza a essione (secondo lasse x) la grandezza W
x
che permette di ricavare la massima tensione equivalente direttamente dalla caratteristica di
sollecitazione sulla base della relazione:

eq,max
=
[M
x
[
W
x
Dalla formula di Navier si ricava che il modulo di resistenza a essione vale:
W
x
=
J
x
[y[
max
(20.7)
ed `e, come osservato, una propriet`a di natura geometrica della sezione non dipendente dal
materiale. Per molte sezioni di pratico interesse tale quantit`a `e ricavabile dai manuali tecnici.
e
R
i
R
h
b
i
h
i
b
a
a
a) b) c)
y
x
y
x
y
x
Figura 20.9: Sezioni tipiche
Per le sezioni rappresentate in gura 20.9 le propriet`a geometriche rilevanti per la essione
sono riportate nella tabella seguente.
Sezione a) Corona circolare b) Tubolare rettangolare c) Triangolo equilatero
Note Per ogni: 0 R
i
< R
e
Per ogni foro rettangola-
re centrale con gli stessi
assi
J
x
1
4

_
R
4
e
R
4
i
_
1
12
_
bh
3
b
i
h
3
i
_

3
96
a
4
[y[
max
R
e
h
2
a

3
3
W
x

4R
e
_
R
4
e
R
4
i
_
1
6h
_
bh
3
b
i
h
3
i
_
a
3
32
Dal punto di vista dimensionale:
[W
x
] = [L]
3
pertanto, a parit`a di momento ettente, di materiale e di forma della sezione, raddoppiando
tutte le quote della sezione, come in un ingrandimento fotograco, la resistenza a essione
aumenta di ben 8 volte.
610
20.3. CONSIDERAZIONI SULLA FORMULA DI NAVIER
20.3.2 Veriche di rigidezza in essione
Nelle ipotesi fatte, possiamo concludere che la linea dasse subisce un accorciamento o un
allungamente solo quando la trave `e sottoposta a forza normale in base alla relazione:
e =
N
EA
e subisce un incurvamento a causa del momento ettente in base alla relazione:
k
x
=
M
x
EJ
x
(20.8)
La quantit`a EJ
x
che compare a denominatore nella relazione (20.8), `e chiamata rigidezza
essionale (bending stiness) della sezione. Infatti, maggiore `e la rigidezza essionale tanto
pi` u elevato `e il momento ettente richiesto per produrre una determinata curvatura della linea
dasse.
Curvatura della linea dasse e momento ettente sono quantit`a energeticamente associate
e, per vericarlo, si pu`o procedere in vari modi. Consideriamo, per esempio, lenergia elastica
immagazzinata in un concio elementare sollecitato da momento ettente:
dU =
_

dxdy ds
essendo lo stato di tensione monoassiale:
=
1
2

2
zz
E
=
1
2
M
2
x
J
2
x
E
y
2
da cui si ottiene:
dU =
_

1
2
M
2
x
J
2
x
E
y
2
dxdy ds =
1
2
M
2
x
J
2
x
E
_

y
2
dxdy ds =
1
2
M
2
x
EJ
x
ds
Pertanto, lenergia elastica per unit`a di lunghezza immagazzinata in una trave inessa pu`o
essere espressa da una delle seguenti espressioni equivalenti:
dU
ds
=
1
2
M
2
x
EJ
x
=
1
2
M
x
k
x
=
1
2
EJ
x
k
2
x
(20.9)
Si osservi che le precedenti relazioni (20.9) hanno la stessa struttura delle analoghe formule
ottenute per la forza normale nel capitolo 19. Anche in questo caso il consueto fattore 1/2
deriva dalla linearit`a del modello e dal fatto che nelle espressioni sono riportati i valori nali
delle grandezze.
`
E istruttivo dedurre le precedenti relazioni anche dal lavoro fatto dalle forze esterne sul
concio elementare. Le sezioni di un concio elementare di estensione assiale ds sottoposto a
momento ettente M
x
hanno una rotazione relativa espressa da:
d = k
x
ds (20.10)
relazione che si deduce dalla gura 20.10 ricordando che il modulo della curvatura `e il reciproco
del raggio di curvatura. Il lavoro fatto dai due momenti contrapposti (le azioni esterne sul
concio) vale quindi:
dL
ext
=
1
2
M
x
d =
1
2
M
x
k
x
ds
611
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
x
M
x
M
d
ds
Figura 20.10: Incurvamento del concio elementare e conseguente rotazione
relativa delle sezioni di estremit`a
come volevasi vericare.
La relazione (20.10) pu`o anche essere espressa come:
k
x
=
d
ds
(20.11)
che permette di interpretare la curvatura anche come il gradiente dellinclinazione delle sezioni
(e quindi anche linclinazione della linea dasse) rispetto alla coordinata dasse della trave. In
eetti, tanto pi` u incurvato `e lasse tanto pi` u rapidamente cambia la sua inclinazione spostandosi
lungo lasse stesso.
Esempio 20.3: Deformata di una mensola
La trave a mensola in lega leggera (E = 76, GPa, = 0.3,
am
= 320 MPa) di lunghezza
l = 600 mm e sezione circolare con raggio R = 25 mm `e soggetta a un carico trasversale P
applicato allestremit`a C. Valutato il massimo valore di P ammissibile per le sollecitazioni
essionali, determinare lo spostamento verticale del baricentro della sezione C dovuto alla
essione della barra e la rotazione dalla stessa sezione.
B
C
y
z
P
2R
l
s
Figura 20.11: Mensola con carico destremit`a
La mensola `e soggetta a momento ettente ma anche a taglio, costante e pari a T
y
= P,
pertanto la soluzione completa del problema potr`a essere ottenuta solo dopo che saranno
esaminati anche gli eetti tensionale e deformativo di questa caratteristica. Riprenderemo
infatti questo elementare ma fondamentale problema (arontato gi`a da Galileo nella sua
ultima opera Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti
alla meccanica pubblicata nel 1638) nel capitolo 22. Possiamo peraltro anticipare che, come
sar`a dimostrato, leetto prevalente, sia per la resistenza sia per la rigidezza, `e prodotto
proprio dalla essione e che il taglio svolge, in questo caso, un ruolo marginale per cui
trascurarlo non comporta errori signicativi.
612
20.3. CONSIDERAZIONI SULLA FORMULA DI NAVIER
Un altro elemento che dierenzia il caso in esame da quelli nora arontati nellambito
della essione `e connesso con il fatto che il momento ettente `e variabile con lascissa
curvilinea essendo:
M
x
(s) = P (l s)
Tuttavia, come abbiamo fatto per la forza normale nel capitolo 19, possiamo considerare
che ogni concio si comporti come se fosse sollecitato dal momento ettente locale. Stiamo
ancora una volta applicando il principio di De Saint Venant in base al quale lo stato di
tensione e di deformazione del concio `e determinato delle caratteristiche di sollecitazione
su di esso agenti, indipendentemente dal comportamento degli altri conci (compresi quelli
vicini). Se il gradiente assiale del momento ettente `e modesto, la validit`a di questa ipotesi
`e vericata da modelli tridimensionali e dallevidenza sperimentale. Le previsioni non sono
invece corrette in zone caratterizzate da forti gradienti assiali di momento ettente ma tali
condizioni si vericano in corrispondenza di carichi di momento concentrato oppure di forze
esterne concentrate trasversali di verso opposto applicate in punti vicini. Forti gradienti di
essione sono quindi localizzati in zone di estinzione nelle quali, per i ben noti motivi, il
modello monodimensionale non `e comunque molto accurato.
Per la resistenza a essione la sezione critica `e allincastro. Nellambito della teoria
monodimensionale, quindi escludendo gli eetti locali, si ha:

eq,max
=
Pl
W
x
per avere un coeciente di sicurezza unitario deve essere quindi:
P =
am
W
x
l
=
am

4
R
3
l
= 6.55 kN
Possiamo valutare la curvatura per ogni sezione:
k
x
(s) =
P (l s)
EJ
x
quantit`a che assume il valore massimo (in modulo) nella sezione di incastro (k (0) =
1.684 10
4
mm
1
) e valore nullo nella sezione C.
Per determinare la freccia in C `e possibile considerare la sequenza dei conci aventi varia
curvatura che sono impilati da B a C. Assumendo che lo spostamento dei punti della
linea dasse abbia solo componente v (s) in direzione dellasse y (la componete assiale w
`e in eetti trascurabile nella meccanica dei corpi poco deformabili, come gi`a osservato),
possiamo scrivere la relazione:
(s) =
dv (s)
ds
in cui langolo di rotazione (piccolo) della sezione corrente (s) (positivo se equiverso
allasse x in base alla regola della mano destra) `e stato approssimato con la sua tangente
(il coeciente angolare della funzione v (s)). Il segno negativo della relazione precedente
si giustica considerando che una pendenza positiva della funzione freccia (quando v (s)
cresce allaumentare di s) determina una rotazione della sezione in senso discorde allasse
x. In base alla relazione (20.11) possiamo scrivere:
k
x
(s) =
d (s)
ds
=
d
2
v (s)
ds
2
613
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
sostituendo si ottiene lequazione dierenziale:
d
2
v (s)
ds
2
=
P (l s)
EJ
x
che pu`o essere integrata direttamente:
v (s) =
P
EJ
x
_
ls
2
2

s
3
6
_
+c
1
s +c
2
Le costanti di integrazione si ottengono considerando che la sezione B non subisce
spostamento ne rotazione:
v (0) =
dv
ds

s=0
= 0 c
1
= c
2
= 0
Da ci`o otteniamo per la forma dellasse inesso la cubica:
v (s) =
P
6EJ
x
(3l s) s
2
e quindi la freccia in C:
v (l) =
Pl
3
3EJ
x
= 20.2 mm
La rotazione della sezione si ottiene analogamente:
(l) =
dv
ds

s=l
=
P
2EJ
x
_
2ls s
2
_

s=l
=
Pl
2
2EJ
x
= 0.051 = 2.90

Questo procedimento di soluzione sar`a oggetto di approfondimento nel capitolo 24.


La freccia della sezione C pu`o essere ottenuta in modo diretto con un approccio ener-
getico, considerando che la forza P `e lunica azione esterna che fa lavoro e che `e richiesta
proprio la grandezza geometrica a questa energeticamente associata: v (l), quantit`a che per
semplicit`a di notazione indichiamo con (conservando il segno positivo se diretta nel verso
di y). Il lavoro complessivo delle forze esterne vale:
L
ext
=
1
2
P
dove il solito fattore 1/2 tiene conto che il problema `e lineare e che sono state espresse le
grandezze nali (a caricamento completato). Lenergia elastica immagazzinata nella trave
a causa del momento ettente pu`o essere ottenuta per integrazione diretta in R
1
:
U =
_
l
0
M
2
x
2EJ
x
ds =
1
6
P
2
l
3
EJ
x
Eguagliando si ottiene lo stesso risultato del calcolo precedente:
=
Pl
3
3EJ
x
= 20.2 mm
I metodi energetici per valutare gli spostamenti saranno generalizzati nel capitolo 24.
614
20.3. CONSIDERAZIONI SULLA FORMULA DI NAVIER
20.3.3 Sezione di forma ottimale per la essione
La formula di Navier indica che la tensione massima in una sezione inessa dipende dalle-
stensione, come era ragionevole aspettarsi, ma anche dalla forma della sezione. A dierenza di
quanto osservato per la forza normale, per la essione si pone quindi linteressante problema di
determinare la forma ottimale per resistere a essione.
Come `e consueto in ingegneria, i problemi di massimo o minimo (problemi di ottimizzazione)
sono sempre vincolati. Nel caso specico, ssato il materiale, possiamo assumere due tipi
di vincolo: la quantit`a di materiale con cui realizzare la sezione, quindi la sua area A, e
lingombro della sezione stessa, ovvero la regione piana disponibile per contenerla. Il solo primo
vincolo rende il problema di ottimo non denito dato che, in linea di principio, `e possibile
disporre il materiale in modo da rendere il modulo di resistenza grande quanto si vuole. Per
rendersene conto `e suciente pensare a una sezione rettangolare di lati: b h con il solo vincolo
b h = A. Il lettore pu`o vericare preliminarmente che la resistenza massima per la trave si
ottiene disponendo il lato lungo (che indichiamo con h) perpendicolarmente alla direzione del
vettore momento. Chiamato con =
h
b
1 il coeciente adimensionale che esprime il fattore
di forma della sezione, si verica che:
W
x
=
bh
2
6
=
1
6
b
3/2
h
3/2
_
h
b
_
1/2
=
A
3/2
6

pertanto il modulo di resistenza pu`o essere in teoria aumentato quanto si vuole scegliendo la
sezione lunga e stretta (qualcosa di simile viene eettivamente fatto per le lame dei coltelli e
delle seghe a nastro).
H
B
y
x
Figura 20.12: Riempimento di uno spazio rettangolare B H con unarea
pari a A =
BH
3
in modo ottimale per la resistenza a essione
Per avere un problema di ottimo ben posto imponiamo anche una limitazione allo spazio
entro cui la trave deve essere contenuta. Non si tratta di un semplice espediente matematico
dato che i vincoli di ingombro sono in genere fondamentali nella progettazione meccanica e
spesso sono anche molto condizionanti. Per semplicit`a, supponiamo che lo spazio a disposizione
per contenere la sezione sia un rettangolo di dimensioni: B H tali per cui, ovviamente, la
trave di area data si possa inserire (e quindi tale che A B H).
La forma che rende massimo il modulo di resistenza in questo caso `e costituita da una
disposizione del materiale il pi` u lontano possibile dallasse x, come evidenziato nella gura
20.12 in cui `e stato rappresentato il caso particolare: A =
1
3
(B H). Non `e dicile dimostrare
che, con i vincoli indicati, la forma rappresentata `e ottimale anche per la rigidezza essionale in
quanto tale sezione ha anche il massimo momento dinerzia J
x
.
615
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
Esercizio 20.2: Sezione ottima
Vericare che la forma migliore per la resistenza a essione tra quelle rappresentate in
gura 20.13 `e eettivamente quella simmetrica ( = 0).
H
6
H
+
6
H

Figura 20.13: Ricerca della sezione ottima


Nella pratica sorge anche la necessit`a di mantenere integra la sezione in modo da far lavorare
la trave come un solido monodimensionale unico piuttosto che come due travi distinte. Infatti,
non si deve dimenticare che la forma ottimale `e stata dedotta considerando valida la formula
di Navier la quale prevede lipotesi di Eulero-Benoulli per lintera sezione. Inoltre, dato che
la essione `e generalmente accompagnata dal taglio, come sar`a evidenziato nel capitolo 22,
sorge la necessit`a di rinunciare allottima disposizione del materiale per ottenere il ragionevole
compromesso rappresentato dalla sezione a doppio T (gura 20.14). Talvolta si impiegano
sezioni a T anche se meno performanti a essione. Le propriet`a dinerzia e di resistenza a
y
x
f
t
h
w
t
0
R
b
Figura 20.14: Tipica sezione a doppio T con le relative quote
essione di queste sezioni standardizzate (normal-proli) si trovano sui manuali tecnici o su
internet.
Per motivi di tipo tecnologico o funzionale, oppure quando la trave `e sottoposta oltre che a
essione anche a torsione, `e opportuno e talvolta necessario, derogare dalle forme a doppio T
616
20.3. CONSIDERAZIONI SULLA FORMULA DI NAVIER
o a T. Quando `e necessario conservare comunque buone prestazioni essionali il materiale deve
essere comunque collocato il pi` u lontano possibile dalla bra baricentrica. Buone prestazioni
essionali (e torsionali) si ottengono quindi con sezioni tubolari rettangolari o circolari. In
relazione ai compromessi, `e signicativo come esempio, la sezione del binario che `e una trave in
cui la sollecitazione essionale `e molto importante. In tal caso le due piattabande sono state
congurate in modo da essere anche cinematicamente e geometricamente compatibili con gli
elementi accoppiati. La parte superiore della rotaia deve accogliere, con una opportuna forma
bombata, la ruota e il relativo bordino stabilizzatore mentre la parte inferiore `e costituita da
una piattabanda allargata in modo da distribuire la forza di contatto su unampia supercie
resa necessaria del fatto che il materiale della traversina `e meno resistente di quello della rotaia.
20.3.4 Considerazioni generali sulla verica a essione di travi
In fase di progetto o di ideazione `e spesso molto utile eettuare stime della risposta struttu-
rale di una soluzione, anche se si prevede di eseguire successive valutazioni con maggiore livello
di precisione. Quando la sica del fenomeno `e chiara, le stime preliminari possono essere ese-
guite in modo rapido per ottenere, nel caso peggiore, almeno lordine di grandezza del risultato.
Talvolta `e possibile avere sottostime o sovrastime e, in casi favoorevoli, anche lintervallo entro
cui la soluzione si colloca. In fase di progetto si vericano situazioni in cui indicazioni di questo
tipo, anche se grossolane, possono rilevarsi determinanti per guidare le scelte fondamentali come
valutare se qualcosa di importante deve essere modicato, nella geometria o nei materiali, prima
di intraprendere calcoli dispendiosi o veriche sperimentali.
Questo tipo di previsioni, che possiamo considerare il risultato dellapplicazione di un mo-
dello zero, sono generalemnte basate sullanalisi dimensionale e sullanalogia e sono giusticate
se semplice applicazione. Tuttavia, `e opportuno ribadirlo, la formulazione di un modello zero
non sempre `e facile, perche richiede una solida conoscenza del fenomeno in esame e un certo
intuito. Cimentarsi con il modello zero, anche a posteriori, `e perlatro un ottimo esercizio. Il
modello zero `e consigliato anche nella fase di verica in quanto pu`o scongiurare che qualche
errore grossolano nei calcoli pi` u accurati, generalmente pi` u articolati e quindi meno vericabili,
possa compromettere il risultato.
Nel seguente esempio sono proposte valutazioni preliminari di resistenza e di rigidezza per
una trave inessa.
Esempio 20.4: Stime di resistenza e rigidezza
Determinare lordine di grandezza delle tensioni e delle frecce per la barra di piombo
(E = 5 GPa, = 0.3,
am
= 20 MPa, = 11.4 kg / dm
3
) schematizzata in gura 20.15
avente lunghezza l = 2.0 m e sezione quadrata di lato a = 50 mm, appoggiata agli estremi
e soggetta al peso proprio.
B C
P
l
Figura 20.15: Trave appoggiata con carico distribuito
617
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
In questo problema, semplice e isostatico, la valutazione della tensione massima di es-
sione non richiede alcuna semplicazione perche il modulo del momento ettente massimo,
che si manifesta in mezzeria, si ottiene con una formula gi`a elementare. Dopo aver va-
lutato il peso totale P (per le formule che seguono il valore della densit`a `e convertito in
= 11.4 10
6
kg /mm
3
) P = ga
2
l = 559 N si ha:
M
max
=
Pl
8
=
g
8
l
2
a
2
= 0.14 kNm
La tensione equivalente massima vale quindi:

eq,max
=
M
max
W
=
g
8
6l
2
a
2
a
3
=
3g
4
l
2
a
= 7.36 10
6
l
2
a
= 6.71 MPa
La valutazione corretta della freccia massima richiede invece un calcolo non elementare
(vedi lesempio 20.3) che prevede la determinazione dellespressione analitica del momento
ettente in funzione di s, lintegrazione di una equazione dierenziale e limposizione delle
condizioni al contorno. Cerchiamo di ottenere quindi una stima applicando ragionevoli
modelli zero. La freccia massima
max
, che, per simmetria, si verica anchessa nella
sezione centrale, `e prodotta dalleetto del momento ettente, per cui:
`e direttamente proporzionale al carico applicato e quindi al peso complessivo:
max

P
`e inversamente proporzionale alla rigidezza essionale della sezione:

max
(EJ
x
)
1
=
_
E
a
4
12
_
1
inoltre dipender`a da una certa potenza della lunghezza della trave. Pertanto cui poniamo
per tentativo:
max
l
n
= (l)
n
dove `e un fattore adimensionale. In termini qualitativi
possiamo considerare la quantit`a l come una lunghezza ecace, o lunghezza equivalente,
della trave. Essendo la trave appoggiata agli estremi, l sar`a una frazione della lunghezza
totale. Raccogliendo le relazioni precedenti, possiamo scrivere:

max
= (l)
n
P
E
a
4
12
= 12 (l)
n
P
Ea
4
Lesponente n si ricava dalla condizione di uniformit`a dimensionale (il secondo membro
deve essere una lunghezza) per cui: n = 3 e quindi:

max
= 12
3
Pl
3
Ea
4
Questa relazione permette di eettuare una prima stima della freccia, assumendo
ragionevolmente il fattore adimensionale nellintervallo =
_
1
4
;
1
3
_
:

max
(26 63) mm
Si pu`o osservare che la freccia massima dipende in modo marcato dalla lunghezza ecacie
e quindi dal fattore (che in questo caso compare elevato al cubo), e questa circostanza
`e piuttosto frequente nei problemi essionali. Per migliorare la stima di `e opportuno
ricorrere a ragionevoli analogie del caso specico con problemi elementari noti.
618
20.3. CONSIDERAZIONI SULLA FORMULA DI NAVIER
Nel caso in esame, la deformata dellasse della trave `e una curva simmetrica con il
massimo nel centro, come mostrato in gura 20.16a). Il comportamento di met`a della
barra `e identico a quello di una mensola similmente caricata come illustrato in gura
20.16b) (il lettore pu`o vericare che le caratteristiche di sollecitazione coincidono). Si
pu`o quindi ottenere una sovrastima ragionevole della freccia assumendo, come mostrato in
gura 20.16c), il modello di una mensola di lunghezza
l
2
caricata allestremo con un carico
pari a
P
2
. Si ottiene quindi:

2
=
P
_
l
2
_
3
3EJ
x
=
1
24
Pl
3
EJ
x
= 36 mm >
max
max

2
P
2
P
2
P
P
l
2
P
max

a)
b)
c)
Figura 20.16: Schema per ottenere una ragionevole sovrastima della freccia
massima per analogia con casi elementari noti: a) schema di corpo libero del
problema originario in congurazione deformata; b) problema ausiliario con la
stessa freccia; c) problema ausiliario elementare in cui la freccia `e maggiorata
per aver trascurato leetto del carico distribuito
Si verica che questo procedimento equivale ad assumere =
1
3

24
= 0.35. Per inciso,
il valore corretto della freccia essionale del problema originale (che il lettore pu`o ottenere
risolvendo il problema dierenziale) vale:

max
=
5
384
Pl
3
EJ
x
= 22.4 mm = 0.235
Il precedente esempio suggerisce modalit`a con cui ottenere espressioni di carattere generale
utili per prevedere la resistenza e la rigidezza di travi inesse.
In particolare, se, come in gura 20.17, la trave `e caricata solo da forze concentrate trasversali
allasse, tutte proporzionali a un valore di riferimento che indichiamo con P, la tensione massima
nella trave vale:

eq,max
=
Pl
W
x
(20.12)
dove il fattore adimensionale (o fattore di forma) `e una funzione di rapporti tra quantit`a
geometriche omogenee che deniscono la forma della trave e la localizzazione dei carichi. La
619
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
max

1
n P
2
n P
P
Figura 20.17: Trave soggetta a forze trasversali concentrate tutte
normalizzate rispetto a un carico di riferimento
tensione massima `e proporzionale al momento ettente massimo, che a sua volta `e proporzionale
al livello di carico P e alla lunghezza della trave l (dimensione rappresentativa dei bracci del
momento) ed `e inversamente proporzionale al modulo di resistenza.
Lesame della formula (20.12) suggerisce le considerazioni:
se, a parit`a di carico e di sezione, si raddoppia la lunghezza assiale di una trave, la
tensione massima e, conseguentemente, tutte le componenti di tensione e di deformazione
raddoppiano
se, a parit`a di carico e di lunghezza, si raddoppiano tutte le dimensioni della sezione, dato
che [W
x
] = [L]
3
, la tensione massima (con tutte le componenti tensionali e deformative)
diventa 1/8 del valore precedente e quindi il coeciente di sicurezza a resistenza aumenta
di 8 volte
se, a parit`a di carico, si raddoppiano tutte le dimensioni della trave, la tensione massima
diventa 1/4 del valore precedente e il coeciente di sicurezza a resistenza aumenta di 4
volte.
Nel caso esaminato la freccia massima `e esprimibile da una relazione del tipo:

max
=
Pl
3
EJ
x
(20.13)
con fattore adimensionale per la rigidezza. Per quanto riguarda la dipendenza dellangolo di
inclinazione massimo delle sezioni rispetto ai parametri del problema, vale invece la relazione
(che si ottiene con una verica dimensionale diretta):

max
=
Pl
2
EJ
x
(20.14)
In modo analogo si ricava pertanto che:
se, a parit`a di carico e di sezione, si raddoppia la lunghezza della trave, tutti gli sposta-
menti e, di conseguenza, anche la freccia massima, diventano 8 volte maggiori, mentre e
le rotazioni delle sezioni crescono solo di 4 volte
se, a parit`a di carico e di lunghezza, si raddoppiano tutte le dimensioni della sezione, dato
che [J
x
] = [L]
4
, le frecce e diventano 1/16 dei valori precedenti
se, a parit`a di carico, si raddoppiano tutte le dimensioni della trave, le frecce si dimezzano
rispetto ai valori precedenti mentre le rotazioni si riducono a 1/4.
Considerando un carico trasversale distribuito lungo lasse p (s), riportabile, tramite una
funzione adimensionale ssa f (s), a un valore di riferimento p
0
(spesso il valore massimo, ma
620
20.3. CONSIDERAZIONI SULLA FORMULA DI NAVIER
max

( ) ( )
0
p s p f s =
0
p
Figura 20.18: Trave soggetta a carichi trasversali distribuiti riferibili, tramite
una funzione ssa f (s), a un valore di riferimento p
0
non necessariamente) tale per cui: p (s) = p
0
f (s), si ottengono le seguenti formule, adatte per
veriche di resistenza e rigidezza:

eq,max
=
p
0
l
2
W
x
;
max
=
p
0
l
4
EJ
x
;
max
=
p
0
l
3
EJ
x
Nel caso in cui i carichi distribuiti dipendano direttamente dalla geometria della trave (per
esempio il peso proprio o le forze dinerzia) `e utile esprimere le relazioni evidenziando che le
risultanti dei carichi sono proporzionali alla massa complessiva della trave: P Al (con A
area della sezione e la densit`a). Le formule assumono la seguente forma:

eq,max
=
Al
2
W
x
;
max
=
Al
4
EJ
x
;
max
=
Al
3
EJ
x
Pertanto, in condizioni di carico proporzionale alla massa della trave:
a parit`a di sezione, raddoppiando la lunghezza di una trave, tensioni e deformazioni
aumentano di 2
2
= 4 volte; gli spostamenti, e di conseguenza la freccia massima, diventano
ben 2
4
= 16 volte maggiori mentre le rotazioni delle sezioni sono 2
3
= 8 volte maggiori
a parit`a di lunghezza, raddoppiando tutte le dimensioni della sezione, dato che
_
A
W
x
_
=
[L]
1
, tensioni e deformazioni risultano dimezzate mentre, essendo
_
A
J
x
_
= [L]
2
, sposta-
menti e rotazioni diventano 1/4 del valore precedente
se si raddoppiano tutte le dimensioni della trave, tensioni, deformazioni e anche le rota-
zioni raddoppiano mentre le frecce diventano 4 volte maggiori dei valori precedenti.
Come si pu`o osservare, le propriet`a meccaniche che misurano la capacit`a di una trave di sop-
portare la essione (per resistenza o rigidezza) possono dipendere marcatamente dalla scala del
problema. Questo fatto rende impossibile la riproduzione in scala perfetta del comportamento
strutturale e indica lesistenza di limiti alle dimensioni che le strutture possono raggiungere
senza che sia necessario modicare le caratteristiche dei materiali.
Esercizio 20.3: Dipendenze dimensionali
Vericare le seguenti formule che esprimono le dipendenze dai parametri signicativi per
la tensione equivalente massima, la freccia massima e la rotazione massima nel caso di
carichi riconducibili ad azioni di momenti concentrati aventi asse x e riferiti al valore M
0
.

eq,max
=
M
0
W
x
;
max
=
M
0
l
2
EJ
x
;
max
=
M
0
l
EJ
x
621
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
20.4 Analisi della deformazione complessiva di una trave ines-
sa
Ritorniamo allesperimento iniziale del capitolo per descrivere in modo completo la defor-
mazione della barretta considerata come corpo tridimensionale. Nella zona centrale, la validit`a
della soluzione di De Saint Venant comporta che la formula di Navier costituisce la soluzione
esatta del problema in quando soddisfa tutte le equazioni della teoria dellelasticit`a in ogni
punto. In particolare esaminiamo il campo di deformazioni. Essendo lo stato di tensione mo-
noassiale, lo stato di deformazione corrispondente, nel sistema di riferimento della trave assume
la seguente forma:
E =
_
_

xx
0 0

yy
0
Sym
zz
_
_
in cui la deformazione estensionale assiale `e gi`a stata ottenuta nel primo paragrafo:
zz
=
M
x
EJ
x
y = k
x
y. Nella gura 20.19 il processo deformativo corrispondente nel piano y z viene
mostrato notevole amplicato per i consueti motivi di chiarezza graca.
x
M
x
M
z
y
1
x
x
x x
EJ
R
k M
= =
O
Figura 20.19: Deformata amplicata di una trave in essione (caso con
M
x
> 0) vista da x
Le altre componenti deformative principali (estensionali nel piano della sezione) sono dovute
alleetto Poisson per cui, considerando che lo stato di tensione `e monoassiale, si esprimono
come:

xx
=
yy
=
zz
=
M
x
EJ
x
y = k
x
y
Possiamo aermare che in essione la sezione rimane piana ma sicuramente subisce una distor-
sione a causa delleetto Poisson. Dato che siamo in campo elastico e nellambito di validit`a
della meccanica dei corpi poco deformabili, le variazioni di forma della sezione non sono si-
gnicative in relazione agli eetti prodotti sulla essione stessa, analogamente a come `e stata
considerata ininuente la variazione di sezione per la caratteristica di forza normale. Tuttavia,
per vari motivi, `e interessante esaminare qualitativamente il processo deformativo della sezione,
in particolare in relazione alleetto prodotto dalle deformazioni trasversali
xx
. Dalla relazione:

xx
=
zz
per valori tipici del rapporto di Poisson ( = 0.3), possiamo aermare che nella parte di sezione
dove le deformazioni
zz
sono positive (zona delle bre tese) le deformazioni trasversali
xx
622
20.4. ANALISI DELLA DEFORMAZIONE COMPLESSIVA DI UNA TRAVE INFLESSA
sono negative e quindi la sezione tende localmente a contrarsi in direzione x (una contrazione
analoga avviene in direzione y ma questo eetto non `e interessante). Viceversa, nella parte
della sezione in cui le bre sono assialmente compresse la sezione tende a dilatarsi in direzione
x. Non dovrebbe essere necessario ricordare che tale processo deformativo `e la naturale conse-
guenza delleetto Poisson e quindi nel materiale si manifesta spontaneamente, senza necessit`a
di tensioni normali in direzione x o y.
La modalit`a in cui la distorsione della sezione si produce `e deducibile in base alla legge con
cui le deformazioni trasversali variano con la posizione y:

xx
= k

x
y (20.15)
dove `e stato indicato:
k

x
= k
x
(20.16)
Nella relazione (20.15) si riconosce la formula che descrive la deformata di un processo di
piegamento con la bra centrale (in questo caso `e lasse x deformato) che si incurva senza subire
dilatazioni e la relativa parzializzazione in bre trasversalmente allungate e contratte. Il segno
negativo nella relazione (20.15) indica che la curvatura dellasse x deformato `e opposta a quella
dellasse z deformato. La grandezza k

x
viene per questo chiamata contro-curvatura (anticla-
stic curvature). Il modulo della contro-curvatura `e inferiore alla curvatura principale proprio
del rapporto di Poisson.
y
x
3
x
x x
R
R R

=
O
Figura 20.20: Deformata amplicata della sezione rettangolare di una trave
in essione (caso con M
x
> 0) vista da z
Una rappresentazione amplicata della forma della sezione `e riportata in gura 20.20. Lef-
fetto deformativo complessivo `e visualizzato nella gura 20.21. In generale la supercie bari-
centrica piana della trave, che, prima dellapplicazione del momento, `e denita dalla relazione
y = 0, si trasforma in una supercie a sella (vedi appendice E) le cui curvature principali sono
proprio k
x
e k

x
. In selle con raggi di curvatura che hanno gli stessi centri (O e O

) si trasformano
anche tutti i piani paralleli a y = 0.
Laspetto pi` u interessante di questa analisi `e rappresentato dalla forma delle superci laterali
della sezione, quelle che prima della deformazione avevano equazione: x =
b
2
e x =
b
2
. Come
si pu`o osservare dalla gura 20.21, tali piani si trasformano in superci che mantengono una
623
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
y
x
z
x
M
x
M
Figura 20.21: Deformata amplicata di una trave con sezione rettangolare
soggetta a essione
intersezione rettilinea con i piani di sezione. Si tratta quindi di superci composte da rette
(superci rigate). Consideriamo due barrette uguali e sollecitate dallo stesso momento ettente,
se le aanchiamo lateralmente, le superci combaciano in ogni punto. Questo signica che
non vi `e la necessit`a di trasmettere alcuna mutua azione per mantenere la congruenza e quindi
che la soluzione trovata (la formula di Navier) `e eettivamente indipendente dalla larghezza b
della sezione. Queste considerazioni saranno fondamentali nello studio delle piastre inesse per
le quali lestensione in direzione trasversale `e dello stesso ordine di grandezza dellestensione
assiale.
x
y
1
x
1
y
2
x
2
y
Figura 20.22: Aancamento di due barrette uguali ed egualmente inesse:
equivalenza con la soluzione della essione di una barretta di larghezza doppia
sottoposta a un momento doppio
20.5 Flessione retta e essione deviata
La teoria della essione sviluppata nora `e suciente per analizzare i problemi piani. In
questo ambito la notazione potrebbe essere semplicata, per esempio si pu`o indicare con k
(invece che k
x
) la curvatura principale, dato che non c`e ambiguit`a nella sua interpretazione.
Nei problemi tridimensionali `e per`o frequente che sulla sezione sia applicato un momento et-
tente con entrambe le componenti. In questo paragrafo `e considerato tale problema a partire
dallesame delleetto dellaltra componente di momento ettente.
624
20.5. FLESSIONE RETTA E FLESSIONE DEVIATA
20.5.1 Momento ettente nella direzione principale y
La formula di Navier pu`o essere estesa per considerare leetto prodotto dal momento et-
tente applicato nellaltra direzione principale dinerzia: M
y
. Data larbitrariet`a nella scelta dei
nomi degli assi, non dobbiamo aspettarci dierenze signicative nelle nuove espressioni, le quali
possono sostanzialmente essere ottenute per scambio dei nomi degli assi. Tuttavia `e necessario
ricordare che nella denizione delle componenti di un momento (che sono il risultato di un pro-
dotto vettoriale) lorientamento degli assi `e fondamentale. In particolare, se si rispetta lordine
destrorso del sistema di riferimento locale (propriet`a che a questo punto diventa formalmente
importante) si pu`o vericare che la tensione prodotta da M
y
vale:

zz
=
M
y
J
y
x (20.17)
Come illustrato nella gura 20.23, il segno negativo `e facilmente giusticabile: un momento
ettente M
y
positivo produce compressione dalla parte delle x positive e trazione dalla parte
delle x negative.
x
y
0
y
M >
0
y
M >
Figura 20.23: Barretta di sezione rettangolare sotto leetto di M
y
> 0
Lasse neutro, ovvero il luogo dei punti della sezione in cui le tensioni
zz
sono nulle, `e la
retta y di equazione x = 0 e quindi, come prima, `e ancora dato dallasse del momento. Per la
verica di resistenza si denisce un equivalente modulo di resistenza a essione M
y
:
W
y
=
[M
y
[
J
y
[x[
max
(20.18)
parametro che, come nel caso precedente, permette di valutare direttamente la tensione equi-
valente massima nota la caratteristica di sollecitazione. Il momento M
y
produce una curvatura
della linea dasse nel piano x z il cui valore, in modulo e segno, `e espresso dalla relazione:
k
y
=
M
y
EJ
y
(20.19)
Valgono considerazioni simili a quelle sviluppate nel precedente paragrafo anche in reazione alla
contro-curvatura.
Considerando entrambe le componenti di momento ettente, possiamo pertanto concludere
che quando un tratto rettilineo di trave `e sollecitato in essione e il momento ettente ha la
direzione di uno degli assi centrali principali dinerzia della sezione:
lasse della trave si incurva in un piano normale alla direzione del momento
lasse neutro coincide con lasse del vettore momento
questo tipo di sollecitazione `e chiamato essione retta e il corrispondente problema `e piano.
625
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
20.5.2 Applicazione di entrambi i momenti ettenti
La condizione di sollecitazione in una sezione per cui entrambi i momenti ettenti sono
diversi da zero, che equivale allapplicazione di un momento ettente risultante che ha direzione
non coincidente con alcuno degli assi centrali principali dinerzia, `e chiamata essione deviata.
Il comportamento della trave in essione deviata pu`o essere studiato sperimentalmente. A
tale scopo, come mostrato in gura 20.24, si possono realizzare opportuni anelli aventi un foro
centrale sagomato come la sezione, da collocarsi in corrispondenza dei punti di applicazione
delle forze e utilizzare lattrezzatura per essione su 4 punti.
B
C
H
R
Q
a a
z
P
h
b
y
x

Figura 20.24: Prova di essione deviata


Si pu`o vericare che se, rispetto alla condizone di essione retta, si ruota il provino attorno
allasse z di un angolo ,= i

2
, in ogni sezione della trave nella parte di interesse (tra C e Q) le
caratteristiche di sollecitazione sono:
M
x
= M
Fl
cos =
Pa
2
cos ; M
y
= M
Fl
sin =
Pa
2
sin
in cui `e denito
M
Fl
=
Pa
2
=
_
M
2
x
+M
2
y
(20.20)
il momento ettente risultante.
y
x

y
2
Fl
Pa
M =
Figura 20.25: Azioni sulla faccia positiva della sezione corrente nel tratto
CQ
Levidenza sperimentale mostra che, nel tratto centrale, escluse le zone di estinzione:
lasse della barretta si deforma assumendo una curvatura costante
il piano a cui appartiene lasse deformato non `e quello della gura 20.24 per cui il problema
non `e pi` u piano.
626
20.5. FLESSIONE RETTA E FLESSIONE DEVIATA
Lanalisi della essione deviata pu`o essere notevolmente facilitata se, invece di arontarla
direttamente, si applica il principio di sovrapposizione degli eetti e si considera come somma
di due essioni rette in quadratura. La formula di Navier diventa in questo caso:

zz
=
M
x
J
x
y
M
y
J
y
x (20.21)
Landamento delle tensioni normali sulla sezione `e pertanto sempre lineare e ha il consueto
andamento a spiovente di tetto. Lasse neutro, ovvero il luogo dei punti non sollecitati, si
ottiene sempre imponendo la condizione:

zz
= 0
M
x
J
x
y
M
y
J
y
x = 0
la quale restituisce lequazione di una retta che passa dallorigine degli assi (il baricentro della
sezione):
y =
M
y
M
x
J
x
J
y
x (20.22)
Il coeciente angolare di tale retta esprime la tangente trigonometrica dellangolo formato
dallasse neutro con lasse x. Si osserva che:
se J
x
,= J
y
lasse neutro non `e sullasse del momento, che infatti ha coeciente angolare:
M
y
M
x
se J
x
< J
y
(e quindi
J
x
J
y
< 1), rispetto alla direzione del momento, lasse neutro `e ruotato
verso lasse x
rispetto allasse del momento, lasse neutro `e inclinato verso lasse del sistema di riferi-
mento che ha il momento dinerzia inferiore
landamento delle tensioni normali `e lineare e le linee di livello sono rette parallele allasse
neutro, pertanto il punto critico della sezione `e quello posto a maggiore distanza dallasse
neutro
il punto critico `e necessariamente sul contorno esterno della sezione
se la sezione `e poligonale, uno dei vertici convessi `e sicuramente il punto critico.
Per eettuare la verica di resistenza in essione deviata `e opportuno procedere nel modo
seguente:
tracciare lasse neutro
individuare qualitativamente i possibili punti critici
sostituire le loro coordinate nella formula generale di Navier (rispettando i segni) e
determinare a posteriori il punto critico.
Esempio 20.5: Verica di resistenza in essione deviata
Data un atave con sezione a T rappresentata in gura 20.26, sapendo che a = 6.0 mm e
che il materiale `e acciaio con
am
= 300 MPa e E = 206 GPa, valutare il coeciente di
627
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
sicurezza a resistenza sapendo che la sezione critica `e sottoposta a: M
x
= 0.3 kNm e
M
y
= 0.3 kNm
6
a
y
x
2
a
5a
a
G
b
Fl
M
Figura 20.26: Flessione deviata per una sezione a T.
Dalle geometria ricaviamo:
b = 33 mm; A = 576 mm
2
; J
x
= 1.054 10
5
mm
4
; J
y
= 0.277 10
5
mm
4
e quindi che la essione `e deviata essendo:
J
x
J
y
= 3.81 ,= 1. Lequazione dellasse neutro
diventa:
y = 3.81x
Come si vede dalla gura 20.27, rispetto al vettore momento lasse neutro `e ruotato ver-
so lasse y (che ha il minimo momento dinerzia). Sostituendo le coordinate dei vertici
individuati nella gura 20.27, si determina che il punto critico `e B
2
= (2.5a, 2.5a) da
cui:

eq,max
= [
zz
(2.5a, 2.5a)[ = 205.4 MPa
e quindi si conclude che la sezione `e vericata a resistenza con:
= 1.46
Lo spostamento dei punti della linea dasse non appartiene al piano contenente z e perpen-
dicolare al vettore momento ma nel piano contenente z e perpendicolare allasse neutro. Il
valore della curvatura complessiva della linea dasse su tale piano si ottiene come risultante
(vettoriale) delle curvature principali:
[k[ =
_
k
2
x
+k
2
y
=
_
(1.382 10
5
)
2
+ (5.267 10
5
)
2
= 5.446 10
5
mm
1
pertanto il raggio di curvatura della linea dasse deformato vale:
R =
1
[k[
= 18.36 m
628
20.5. FLESSIONE RETTA E FLESSIONE DEVIATA
y
x
G
asse neutro
1
B
2
B
3
B
trazione
compressione
Fl
M
Figura 20.27: Asse neutro, linee di livello delle tensioni normali e indivi-
duazione qualitativa dei punti potenzialmente critici della sezione (i vertici pi` u
lontani dallasse neutro)
La retta di applicazione del momento e la retta che contiene lasse neutro sono legate tra loro
tramite le propriet`a geometriche dinerzia della sezione. Infatti `e possibile usare una costruzione
geometrica per ottenere lasse neutro a partire dalla direzione del vettore momento, sfruttando
lellisse centrale dinerzia della sezione.
Esempio 20.6: Asse neutro con metodo graco
Determinare lasse neutro con procedimento graco per il problema dellesempio 20.5.
Applicare il procedimento anche alla condizione: M
x
= 2M
y
.
Lasse neutro si pu`o ricavre sfruttando le propriet`a polari dellellisse centrale dinerzia i
cui semiassi hanno lunghezze:

x
=
_
J
x
A
= 13.53 mm;
y
=
_
J
y
A
= 6.93 mm.
y
x
G
y
x
a) b)
Fl
M
Figura 20.28: Flessione deviata: a) elisse centrale dinerzia e b) costruzione
dellasse neutro per M
x
= M
y
629
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
La costruzione, illustrata in gura 20.28b), consiste nel tracciare le due rette perpendi-
colari alla direzione del momento che sono tangenti allellisse. Lasse neutro `e la retta che
passa per i punti di tangenza. Nella gura 20.29 `e rappresentato lasse neutro per il caso
M
x
= 2M
y
.
y
x
Fl
M
Figura 20.29: Costruzione geometrica dellasse neutro con M
x
= 2M
y
Se Lellisse centrale dinerzia della sezione `e circolare (J
x
= J
y
), la essione risulta sempre
retta e quindi asse neutro e asse del momento sono paralleli per qualunque rapporto M
x
/M
y
. Nel
caso di una gura assial-simmetrica,per esempio la sezione di un albero o di un tubo circolare
di spessore costante, la verica di resistenza si esegue quindi come nel seguente esempio.
Esempio 20.7: Verica di un albero inesso
La sezione critica di un albero in acciaio avente diametro 2R = 45 mm `e sollecitata dai
momenti ettenti: M
x
= 0.6 kNm e M
y
= 0.4 kNm; determinare la tensione ammissibile
del materiale perche il coeciente di sicurezza a resistenza sia = 3 e, in tali condizioni,
determinare la curvatura della linea dasse locale.
Per una sezione circolare la coppia di assi centrali principali pu`o essere scelta in modo
arbitrario. Quindi una opportuna inclinzione degli assi x e y avrebbe evidenziato una sola
componente di momento e il problema di una essione solo apparentemente deviata non si
sarebbe posto. Tuttavia, proprio per larbitrariet`a con cui possono essere considerati gli assi
locali, alla situazione proposta dal testo si perviene spesso nella verica degli alberi, dato
che gli assi del sistema sono scelti preliminarmente sulla base di considerazioni di altro tipo
(tipicamente per semplicare la determinazione dello schema di corpo libero). Supponiamo,
come succede spesso, di dover eettuare solo la verica di resistenza a essione e di essere
interessati a conoscere non tanto la posizione sulla circonferenza esterna in cui il massimo
valore della tensione si manifesta ma solo il valore massimo del modulo della tensione. A
tale scopo `e opportuno ottenere il valore del momento ettente complessivo (modulo del
momento ettente) che vale:
M
Fl
=
_
M
2
x
+M
2
y
= 0.721 kNm
e considerare che esister`a sicuramente un punto del contorno della sezione in cui la tensione
630
20.5. FLESSIONE RETTA E FLESSIONE DEVIATA
equivalente assume il valore estremo dato da:

eq,max
=
M
Fl
W
x
= 80.6 MPa
La prima risposta `e quindi:

am
=
eq,max
= 242 MPa
e la relativa curvatura:
k =
M
Fl
EJ
x
= 1.739 10
5
mm
1
Vi sono altre sezioni, anche di forma strana, che non sono circolari (o tubolari circolari)
ma che hanno comunque lellisse dinerzia circolare. Per queste `e opportuno considerare che il
procedimento sopra illustrato pu`o essere usato per determinare la curvatura complessiva della
linea dasse, ma non per la verica di resistenza, come illustrato nel seguente esempio.
Esempio 20.8: Rigidezza e resistenza di una sezione quadrata in essione
Tracciare il graco della rigidezza essionale e del modulo di resistenza a essione per una
sezione quadrata di lato a = 35 mm in funzione dellangolo formato dal vettore momento
ettente risultante M
Fl
con la direzione di un lato.
G
y
x

1
B
2
B
3
B
4
B
Fl
M
Figura 20.30: Flessione in una sezione non circolare con ellisse dinerzia
circolare
La scelta del sistema di gura 20.30, che prevede gli assi paralleli ai lati del quadrato,
`e arbitraria anche se naturale. Poteva infatti essere considerata alternativamente la coppia
delle diagonali (che sono anchesse assi di simmetria della gura) ma anche qualsiasi altra
coppia di assi centrali perpendicolari dato che per tutti J
x
= J
y
e J
xy
= 0 . La essione
`e quindi retta per ogni valore di e lasse neutro `e sempre parallelo al vettore momento
ettente.
La curvatura `e pertanto data dalla relazione:
k =
M
Fl
E
a
4
12
e la rigidezza essionale della sezione risulta indipendente da . In termini sici, se nel-
lesperimento di gura 20.24 si considerasse una barretta di sezione quadrata h = b, lasse
deformato della barretta apparterrebbe sempre al piano del foglio e la sua curvatura sarebbe
sempre la stessa indipendentemente dallorientamento angolare della provetta.
631
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
Lindipendenza dalorinetamento non vale per la resistenza. Infatti, anche se lasse
neutro `e sempre parallelo al momento, il punto della sezione pi` u lontano da questo dipende
dallorientamento. Se ci limitiamo a considerare angoli 0

2
(la soluzione `e in eetti
periodica e basterebbe 0

4
) i punti critici saranno B
1
o B
3
. Usando il sistema di
riferimento di gura 20.30 si ottiene quindi:

eq,max
=
[M
x
[
J
x
a
2
+
[M
y
[
J
y
a
2
=
[cos [ +[sin [
W
x
M
Fl
= 6
[cos [ +[sin [
a
3
M
Fl
da cui si ricava:
W () =
a
3
6 ([cos [ +[sin [)
=
W
x
[cos [ +[sin [
Landamento di W () `e rappresentato nella gura 20.31, dalla quale si osserva che il valore
minimo della resistenza si verica quando il momento ha la direzione della diagonale ed `e

2
2
= 0.707 volte il valore massimo (ottunuto quando il momento `e parallelo a un lato).
0 15 30 45 60 75 90
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
( )
( )
x
W
W

Figura 20.31: Modulo di resistenza a essione per una sezione quadrata


Esercizio 20.4: Resistenza di una sezione rettangolare
Una mensola con sezione rettangolare (b = 10 mm; h = 30 mm;
am
= 200 MPa) e lun-
ghezza l = 300 mm, `e sollecitata in corrispondenza del baricentro della sezione estrema
libera con una forza F perpendicolare allasse z. Considerando solo leetto essionale,
tracciare il graco polare del valore massimo del modulo di F applicabile in funzione
dellangolo formato dalla forza con lasse x (assunto nella direzione del lato minimo).
Esercizio 20.5: Sezione rettangolare
Una mensola con sezione rettangolare (b = 10 mm; h = 30 mm; E = 76 GPa) e lunghezza
l = 300 mm, `e sollecitata in corrispondenza del baricentro della sezione estrema libera con
una forza F = 0.6 kN perpendicolare allasse z. Considerando solo leetto essionale e un
caricamento quasi statico:
a) determinare le componenti piane (x y) dello spostamento del punto di applicazione
632
20.6. CARICO NORMALE ECCENTRICO
della forza per = 0;

6
;

4
;

2
( `e langolo formato dalla forza F con il lato minimo della
sezione)
b) tracciare nel piano x y il luogo descritto dal baricentro della sezione libera se la
direzione della forza applicata descrive un angolo giro completo.
Esercizio 20.6: Sezione a L
Una mensola di acciaio (b = 5 mm,
am
= 400 MPa,E = 206 GPa) avente sezione a L,
come in gura 20.32, e lunghezza l = 450 mm deve essere sollecitata con un momento M
0
applicato nella sezione libera.
a) Calcolare il valore massimo del momento che pu`o essere applicato nella direzione del
lato minore della L e, per tale carico, determinare le componenti dello spostamento del
baricentro della sezione estrema.
b) Determinare in quale direzione pu`o essere applicato il momento M
0
di massima
intensit`a.
5b
7b
b
b
Figura 20.32: Sezione a L
20.6 Carico normale eccentrico
Forza normale e momenti ettenti producono tutti nei punti della trave uno stato di tensione
uniassiale. Risulta quindi interessante considerare leetto combinato di tali caratteristiche di
sollecitazione nelle veriche strutturali. Per la verica di rigidezza, la sovrapposizione `e banale
in quando gli eetti deformativi sono separati: la forza normale induce una dilatazione della
linea dasse e mentre la essione induce curvature, in generale entrambe: k
x
e k
y
. Per le travi
con asse rettilineo e materiale elastico lineare omogeneo isotropo, pertanto, la forza normale
non fa lavoro quando viene applicata una essione e viceversa. Inoltre, le due componenti di
essione inducono curvature su piani perpendicolari e quindi una non fa lavoro quando agisce
laltra. Quando si verica questa circostanza diremo che le caratteristiche di sollecitazione sono
energeticamente disaccoppiate e lanalisi deformativa si pu`o eseguire indipendentemente.
La verica di resistenza invece `e pi` u interessante in quanto le tre caratteristiche di solle-
citazione producono sul materiale il medesimo eetto (uno stato uniassiale con componente
633
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
principale
zz
) e quindi concorrono tutte insieme alla denizone del punto critico e del livello
massimo di tensione.
20.6.1 Campo tensionale
Si pu`o vericare che una condizione di carico che determina una sollecitazione di forza
normale pi` u essione (in generale deviata) `e staticamente equivalente a una coppia di forze
normali eccentriche. Lesperimento che permette di esaminare tale condizione `e rappresentato
in gura 20.33. Per questo motivo tale condizione di sollecitazione `e generalmente chiamata
carico normale eccentrico.
x
y
C
G
z
F
F
Figura 20.33: Esperimento di carico normale eccentrico su una trave di
sezione rettangolare
Indicando con x
C
e y
C
le coordinate, nel piano di sezione, dellasse centrale del sistema di
forze equivalente a F, `e di immediata verica che le caratteristiche di sollecitazione nel tratto
di trave compreso tra le due piastre di applicaione dei carichi non dipendono dalla posizione
assiale e sono date da:
N = F ; M
x
= F y
c
; M
y
= F x
c
Si osservi che il risultato `e corretto in modulo e segno, assunto che il segno di F sia positivo
quando produce trazione N > 0, come rappresento in gura 20.33.
Lo stato di tensione in un generico punto della trave tra le due piastre di applicazione dei
carichi `e monoassiale e la sua componente signicativa
zz
si ottiene per sovrapposizione degli
eetti:

zz
=
N
A
+
M
x
J
x
y
M
y
J
y
x (20.23)
relazione nella quale, come consuetudine, `e stata indicata con A larea della sezione. Sostituendo
lespressione delle caratteristiche si ottiene:

zz
=
F
A
+
F y
c
J
x
y +
F x
c
J
y
x
dove, nel termine della essione My, i due segni negativi si compensano. Mettendo in evidenza
il fattore F/A e ricordando la denizione di raggi dinerzia (appendice D) si ottiene lespressione
nale:

zz
=
F
A

_
1 +
y y
c

2
x
+
x x
c

2
y
_
Questa relazione pu`o essere generalizzata per considerare anche forze normali eccentriche com-
pressive.
`
E infatti immediato vericare che vale la seguente formula generale:

zz
=
N
A

_
1 +
y y
c

2
x
+
x x
c

2
y
_
(20.24)
634
20.6. CARICO NORMALE ECCENTRICO
Il precedente risultato giustica le seguenti considerazioni valide in generale per qualunque
condizione di carico normale eccentrico:
la componente signicativa
zz
dello stato di tensione ha un andamento lineare con le
coordinate piane
la rappresentazione graca di
zz
`e uno spiovente di tetto
i punti critici appartengono al contorno della sezione e, se questa `e poligonale, sono da
ricercarsi nei vertici.
La dierenza con il caso di essione deviata (ovviamente se N ,= 0) `e rappresentata dalla
circostanza che lasse neutro non passa per il baricentro della sezione. Lequazione dellasse
neutro `e infatti la seguente:
y y
c

2
x
+
x x
c

2
y
+ 1 = 0 (20.25)
che pu`o essere utile anche in forma segmentaria:
y

2
x
y
c
+
x

2
y
x
c
= 1 (20.26)
Possiamo interpretare la relazione (20.25) come una legge che lega ogni punto del piano
C (x
C
, y
C
) (considerato come centro di spinta della forza F) allasse neutro n
C
a questo
associato, come mostrato nellesempio seguente.
Esempio 20.9: Asse neutro per sezione tubolare
Per la sezione tubolare rettangolare di gura 20.34 avente spessore b = 10 mm, tracciare
lasse neutro associato al centro di spinta C.
G
y
x
C
6b
4b
Figura 20.34: Carico normale eccentrico applicato su un vertice di una
sezione rettangolare tubolare
Le propriet`a della sezione sono le seguenti:
A = 1600 mm
2
J
x
= 6.133 10
5
mm
4
J
y
= 2.933 10
5
mm
4

x
= 19.58 mm
y
= 13.54 mm
635
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
Essendo C (2b, 3b), lequazione dellasse neutro risulta:
0.078 y + 0.109 x + 1 = 0
che come equazione segmentaria si esprime come:
y
12.78
+
x
9.17
= 1
Lasse neutro n
C
associato al centro di spinta C `e rappresentato nella gura 20.30a).
G
y
C
12.78
9.17
C
n
C
S
C
x
x
y
x

a) b)
C
n
Figura 20.35: Asse neutro per carico normale eccentrico: a) rappresentazione
in scala dellasse b) costruzione graca
Nella gura 20.35b) `e mostrato un procedimento graco equivalente alla soluzione ana-
litica appena ottenuta e che `e applicabile per centri di spinta esterni allellisse centrale
dinerzia. Il procedimento si sviluppa nei seguenti passi:
tracciare in scala nel piano x y lellisse centrale dinerzia della sezione
individuare il punto C
S
simmetrico di C rispetto al baricentro (ovvero:
C
S
(x
c
, y
c
))
condurre da C
S
le tangenti allellisse centrale dinerzia
la retta che passa per i punti di tangenza `e lasse neutro associato a C
Lesempio 20.9 illustra come lasse neutro sia lantipolare del centro di spinta rispetto
allellisse centrale dinerzia.
20.6.2 Reciprocit`a e nocciolo centrale dinerzia
Lesame dellequazione (20.25) che individua lasse neutro permette di fare alcune interes-
santi considerazioni:
il baricentro e il centro di spinta appartengono allo stesso semipiano individuato dallasse
neutro, pertanto le
zz
in C e in G sono concordi
636
20.6. CARICO NORMALE ECCENTRICO
se il centro di spinta appartiene a un asse principale dinerzia, lasse neutro `e perpendico-
lare a tale asse
se il centro di spinta si allontana dal baricentro, lasse neutro si avvicina al baricentro,
in tal caso gli eetti essionali tendono a diventare prevalenti su quelli dovuti alla forza
normale e lo stato di tensione tende alla essione pura (in genere deviata)
viceversa, se il centro di spinta tende ad avvicinarsi al baricentro lasse neutro se ne
allontana, nel caso limite in cui C = G la trave `e soggetta a sola forza normale e lasse
neutro perde di signicato (formalmente diventa la retta impropria del piano di sezione).
La relazione (20.25), che fornisce lasse neutro, mostra una evidente simmetria rispetto
alle coordinate del punto C e alle coordinate (x, y) di un punto appartenente alla retta n
C
.
Invertendo tali grandezze, la relazione (20.25) rimane in eetti invariata. Questa propriet`a
algebrica ha una interessante interpretazione statica nella seguente legge di reciprocit`a:
indicato con n
C
lasse neutro dovuti al centro di spinta C, il centro di spinta di un
punto D n
C
ha lasse neutro n
D
che contiene il punto C.
Pertanto, tracciando gli assi neutri di tutti i punti della retta n
C
, si ottiene il fascio di rette
proprio che ha centro C. La relazione tra centri di spinta e realtivo asse neutro `e quindi una
relazione che associa biunivocamente punti (centri di spinta) e rette (assi neutri) del piano e
viceversa.
In base alla legge di reciprocit`a si pu`o concludere anche che i centri di spinta che producono
assi neutri passanti per un dato punto Q sono allineati su una retta e che tale retta `e proprio
n
Q
, ovvero lasse neutro con centro di spinta in Q.
Esempio 20.10: Tracciamento di assi neutri per un rettangolo
Per la sezione rettangolare di gura 20.36, considerare gli assi neutri relativi a centri di
spinta appartenenti allasse x: C = (x
C
, 0).
G x
y
b
h
C
C
n
Figura 20.36: Asse neutro per carico normale eccentrico sullasse x per un
rettangolo
Dalla relazione (20.26) si ricava:
x =

2
y
x
c
=
b
2
12 x
c
In accordo con quanto anticipato, si verica che:
637
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
lasse neutro `e parallelo allasse y
quando x
C
0 lasse neutro si allontana dal baricentro
quando [x
C
[ lasse neutro tende allasse y baricentrico.
Esempio 20.11: Asse neutro tangente al contorno
Prendendo spunto dallesempio 20.10, `e interessante chiedersi: per quale posizione del
centro di spinta lasse neutro risulta tangente al contorno della sezione?
Il problema `e di semplice soluzione:

b
2
12 x
c
=
b
2
le due soluzioni per centri di spinta appartenenti allasse x sono quindi:
x
c
=
b
6
I centri di spinta che appartengono al segmento individuato da:

b
6
< x
c
<
b
6
e y
c
= 0
hanno pertanto lasse neutro `e esterno alla sezione e quindi la relativa distribuzione di
tensione
zz
, per quanto variabile nella sezione, ha lo stesso segno in tutti i punti.
Le considerazioni svuluppate nellesempio 20.11 possono essere generalizzate in modo da
consentire di rispondere alla domanda: qual `e il luogo geometrico dei centri di spinta per i quali
lasse neutro `e esterno alla sezione? Si individua in questo modo una gura caratteristica della
sezione chiamata nocciolo dinerzia.
Esempio 20.12: Nocciolo dinerzia
Determinare il nocciolo dinerzia della sezione rettangolare.
Esercizi di questo tipo si risolvono agevolmente sfruttando il teorema di reciprocit`a.
Per il rettangolo abbiamo gi`a individuato un segmento orizzontale appartenente al nocciolo
dinerzia, analogamente si verica che vi appartengono anche i punti con:

h
6
< y
C
<
h
6
e x = 0
638
20.6. CARICO NORMALE ECCENTRICO
G
x
y b
h
3
h
3
b
Figura 20.37: Nocciolo dinerzia per un rettangolo
Nella gura 20.37 `e mostrato il nocciolo dinerzia per il rettangolo.
In base al legame di reciprocit`a, possiamo infatti associare a ogni lato del contorno della
sezione il corrispondente centro di spinta il quale diventa un vertice del nocciolo dinerzia
e, a ogni lato del nocciolo associare il relativo centro di spinta che `e un vertice del contorno
della sezione.
G
x
y
C
G
x
y
C
C
n
C
n
G
x
y
C
C
n
Figura 20.38: Applicazione della legge di reciprocit`a per individuare il
contorno del nocciolo dinerzia
Il nocciolo dinerzia ha alcune interessanti caratteristiche valide in generale:
contiene il baricentro
`e una gura convessa
ogni suo segmento di contorno corrisponde a un vertice della sezione
ogni suo vertice corrisponde a un tratto rettilineo dellinviluppo convesso della sezione.
Linviluppo convesso della sezione `e denito dalla forma che assume un anello elastico teso di
spessore trascurabile (un gommino ideale) avvolto attorno alla sezione. Se il contorno esterno
della sezione non presenta concavit`a il suo contorno `e equivale allinviluppo convesso. Un
cotroesempio `e esaminato nellesempio seguente.
639
20. TRAVE SOGGETTA A FLESSIONE
Esempio 20.13: Nocciolo dinerzia per sezione concava
Determinare il nocciolo dinerzia della sezione in gura 20.39.
R
2R
Figura 20.39: Sezione non convessa
Linviluppo convesso `e rappresentato nella gura 20.40, insieme con il nocciolo centrale
dinerzia:
Figura 20.40: Nocciolo dinerzia per una sezione non convessa con contorno
curvilineo
`
E lasciato al lettore il compito di localizzazione e quotare il nocciolo dinerzia, attivit`a che
pu`o essere eettuata sulla scorta delle seguenti indicazioni:
il vertice superiore del nocciolo `e associato al lato rettilineo in basso della gura
i lati rettilinei del contorno del nocciolo appartengono agli assi neutri che hanno come
centri di spinta i due vertici dellinviluppo convesso della gura
la parte curvilinea del contorno del nocciolo `e linviluppo degli assi neutri che si
ottengono con i centri di spinta appartenenti alla parte circolare del contorno della
sezione.
Il nocciolo dinerzia `e una propriet`a esclusivamente geometrica (non costitutiva) della sezione
di una trave per cui, come tale, pu`o essere trovato nei manuali tecnici per le sezioni comuni.
Se il centro di spinta `e interno al nocciolo e la forza normale `e negativa, tutti i punti della
sezione sono in compressione, viceversa la sezione risulta parzializzata in zone tese e zone
compresse. Questa considerazione `e di fondamentale importanza quando si impiegano materiali
non resistenti a trazione, come i materiali lapidei. La conoscenza del nocciolo dinerzia `e utile
anche per il dimensionamento di plinti e platee di fondazione, elementi interrati o appoggiati
al terreno che sono sostanzialmente caricati da forza normale eccentrica.
`
E pertanto necessario
che sulla loro supercie inferiore lazione di vincolo sia compressiva in ogni punto allo scopo di
evitare distacchi. Nel dimensionamento dei elementi realizzati con materiali metallici linteresse
per questa propriet`a geometrica `e peraltro limitato.
640
Capitolo 21
Trave soggetta a torsione
In questo capitolo `e trattato il problema della torsione per una trave con asse rettilineo.
Il problema della torsione `e molto importante in Meccanica dato che molti elementi impiegati
per trasmettere la potenza sono signicativamente sollecitati da tale caratteristica: `e suciente
pensare agli alberi di trasmissione. Purtroppo, a dierenza della essione e della forza normale
per le quali in una trave con asse rettilineo e di materiale lineare elastico omogeneo isotropo, lo
stato tensionale `e esprimibile con semplici formule generali, la soluzione per la torsione non `e
altrettanto immediata. In generale, infatti, per la torsione di una trave avente sezione di forma
qualunque, la soluzione esatta del problema elastico, comporta lintegrazione di una equazione
dierenziale alle derivate parziali e quindi, nella pratica, un approccio di tipo numerico. Per
fortuna vi sono classi di sezioni per cui esistono soluzioni esatte altre invece approssimate ma
che permettono la previsione della resistenza e della rigidezza mediante procedimenti algebrici
di immediata applicazione e adatti per gli scopi pratici. Si verica inoltre che a tali classi
appartengono le sezioni che hanno la forma migliore per resistere a torsione per cui il loro
studio `e particolarmente utile anche ai ni pratici.
Il capitolo pertanto invece di arontare il problema nella sua generalit`a per poi arrivare
ai casi di interesse, segue il percorso inverso. Partendo dallesame del problema pi` u semplice
sono generalizzate le considerazioni ai casi pi` u complessi per giungere a sviluppare un insieme
di procedure che in genere permette di risolvere i pi` u frequenti problemi di torsione nel campo
delle costruzioni meccaniche con un adeguato livello di precisione.
21.1 Torsione di tubo circolare di piccolo spessore
Trattiamo per prima la situazione pi` u semplice: un tubo circolare di spessore sottile realiz-
zato di materiale elastico lineare omogeneo isotropo. Per risolvere questo problema possiamo
sfruttare il massimo livello di simmetria e di uniformit`a.
Lesperimento `e illustrato nella gura 21.1a): una trave tubolare di piccolo spessore `e in-
castrata a una estremit`a al telaio e caricata allaltra con un sistema di forze equivalente a
un momento M
0
che ha la direzione dellasse del tubo. Lunica caratteristica di sollecitazione
presente nella trave tubolare `e quindi:
M
z
= M
0
Sperimentalmente si pu`o immaginare di collegare allestremo libero del tubo un braccio (non
rappresentato in gura per semplicit`a) su cui esercitare una opportuna coppia di forze. Se il
tubo `e sucientemente lungo, escluse le zone di estinzione, si identica la parte interessante
del provino che, analogamente alla prova di trazione e alla prova di essione pura, consiste in
un tratto rettilineo di trave con sezione uniforme (indipendente da s) sollecitato da ununica
caratteristica, anchessa uniforme.
641
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
21.1.1 Denizione della geometria
Come evidenziato nella gura 21.1b), la geometria della sezione `e denita dalle seguenti
propriet`a:
R
e
e R
i
: raggio esterno e raggio interno, rispettivamente
t = R
e
R
i
: spessore del tubo
R
m
=
1
2
(R
e
+R
i
) : raggio della circonferenza media
m
l
0
M
y
x
e
R
i
R
t
m
R
m

a) b)
Figura 21.1: Tubo di spessore sottile vincolato e caricato in modo da essere
sottoposto a sola caratteristica di sollecitazione torsionale uniforme: a) vista
assonometrica b) sezione corrente in vista frontale dalla parte delle z positive
In questo paragrafo faremo le seguenti ipotesi e i risultati ottenuti saranno tanto pi` u corretti
quanto pi` u le disuguaglianze indicate (soprattutto la prima) saranno forti:
t R
m
: il tubo ha spessore trascurabile rispetto al raggio per cui i tre raggi possono
essere confusi tra loro: R
i

= R
m

= R
e
R
m
l: il tubo `e una trave in modo che si possa evidenziare una signicativa zona
centrale in cui la soluzione di trave (alla De Saint Venant) `e valida.
Le propriet`a geometriche fondamentali della sezione, rispettivamente: area, momenti dinerzia
centrali principali e momento polare, sono fornite dalle relazioni seguenti:
A =
_
R
2
e
R
2
i
_
= 2R
m
t (21.1)
J
x
= J
y
=

4
_
R
4
e
R
4
i
_
=

2
_
R
2
e
+R
2
i
_
R
m
t

= R
3
m
t (21.2)
J
0
= J
x
+J
y
=

2
_
R
4
e
R
4
i
_

= 2R
3
m
t (21.3)
in cui il simbolo

= indica che luguaglianza `e tollerata nellambito di questo paragrafo in quando


lo spessore `e piccolo. Sar`a utile anche la quantit`a:
A
m
= R
2
m
(21.4)
che rappresenta larea sottesa dalla circonferenza media (da non confondersi con larea della
sezione!)
642
21.1. TORSIONE DI TUBO CIRCOLARE DI PICCOLO SPESSORE
Nella gura 21.2 sono riportati gli assi e le coordinate che saranno spesso anche nel seguito
del capitolo. Le coordinate cilindriche appaiono evidentemente consigliate per il caso in esame,
in particolare il dominio della sezione si descrive in modo immediato: R
i
r R
e
oppure
R
m

t
2
r R
m
+
t
2
. Si noti che la r minuscola `e una coordinata che non deve essere confusa
con le varie R maiuscole che sono invece parametri del problema.
Nel seguito sar`a utile anche un sistema di coordinate cartesiane curvilinee basate sullascissa
misurata lungo la circonferenza media.
`
E evidente la relazione:
= R
m

y
x

r
y
x

r
a) b)
Figura 21.2: Sistemi di riferimento e coordinate usate nella denizione
del problema: a) coordinate cilindriche, b) in sostituzione della coordinata
angolare si pu`o usare lascissa curvilinea lungo la circonferenza media.
Le coordinate (, r, z) e (, r, z) condividono i versori degli assi locali come mostrato nella
gura 21.3. Si osserva che la terna locale `e cartesiana ortogonale per cui le denizioni dei tensori
di deformazione e di tensione possono essere estese immediatamente anche in queste coordinate.
y
x

r
e
e e

=

z
e
Figura 21.3: Terna cartesiana ortonormale dei versori locali
21.1.2 Deduzione dello stato di tensione
La scelta delle coordinate locali permette di scrivere il tensore di Cauchy nel modo seguente:
S =
_
_


r

z

rr

rz
Sym
zz
_
_
(21.5)
643
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
le cui componenti sono denite sullelemento di volume staccato nella terna locale.
La simmetria assiale della geometria e della sollecitazione, lindipendenza della soluzione
dalla coordinata assiale della trave e le propriet`a di uniformit`a del materiale, permettono di
prevedere molte delle componenti tensionali, se rappresentate sistema di coordinate adottato.
A tale scopo, `e suciente considerare che, nella parte centrale del provino, lo stato di tensione:
lo stato di tensione non pu`o dipendere da s (o se si preferisce da z) in virt` u della spesso
considerata simmetria di ripetizione: tutti i conci sono uguali e ugualmente sollecitati
lo stato di tensione non pu`o dipendere da per lassialsimmetria del problema: il provino
si comporta in modo che non dipende dal suo orientamento angolare
lo stato di tensione pu`o dipendere solo debolmente da r in quanto lintervallo di varia-
zione di tale coordinata r
_
R
m

t
2
, R
m
+
t
2

ha una estensione assunta trascurabile


t R
m
rispetto a una dimensione che a sua volta deve essere piccola per il problema
monodimensionale: R
m
l.
Come conseguenza, se una componente della matrice (21.5) `e non nulla in un punto, dovr`a
assumere lo stesso valore nellintero dominio. Sulla dipendenza della soluzione da r, che ora
assumeremo come ipotesi, avremo modo di ritornare nel seguito del capitolo.
Cominciamo quindi a escludere la componente
zz
perche, diversamente, risulterebbe agente
sulla sezione della trave una forza normale data da N =
zz
A. Sono nulle anche tutte le com-
ponenti tensionali che contengono il pedice r come illustra la gura 21.4. Questa considerazione
`e basata sul fatto che le facce cilindriche (interna ed esterna) sono scariche per cui il vettore
tensione agente su di esse deve essere nullo (con tutte le componenti). Se le componenti sono
nulle in un punto luniformit`a le rende nulle ovunque.
rz

zr

a) b) c)
rr

Figura 21.4: Annullamento delle componenti tensionali con pedice r: a)


tensione normale
rr
; b) tensione tangenziale
rz
agente sulla sezione a cui
corrisponde la tensione coniugata
zr
che in corrispondenza dei bordi dello
spessore dovrebbe agire sulle facce libere del tubo; c) analogo schema per la
tensione
z
e la rispettiva coniugata
z
necessariamente nulla sulle superci
laterali
Lannullamento della componente normale

, talvolta chiamata tensione circonferen-


ziale (hoop stress) e illustrata in gura 21.5a), si giustica considerando lequilibrio di un
elemento di tubo ottenuto sezionando un concio con un (qualunque) piano che contiene lasse
z. La presenza di una componente

uniforme, per esempio positiva, darebbe luogo a uno


schema di corpo libero come rappresentato in gura 21.5b), palesemente non in equilibrio alla
traslazione del sottoconcio verso lalto. Si ricordi infatti che nessuna componente con risultante
verso lalto `e presente sui piani di sezione.
Alla luce di quanto ottenuto rimane possibile la sola componente:

z
=
z
644
21.1. TORSIONE DI TUBO CIRCOLARE DI PICCOLO SPESSORE

a) b)

Figura 21.5: Componente tensionale

: a) azione su un elemento di volume


se positiva; b) eetto sullequilibrio di un sottoconcio
che non pu`o essere anchessa nulla in quanto il solido non accumulerebbe energia elastica e non
potrebbe quindi deformarsi e che, per le ipotesi fatte, sar`a uniforme. La matrice di Cauchy nelle
coordinate cilindriche `e pertanto la seguente:
S =
_
_
0 0
z
0 0
Sym 0
_
_
(21.6)
da cui si deduce che lo stato di tensione uniforme cercato `e di taglio puro. La soluzione ottenuta
`e illustrata in gura 21.6.
z

y
x
z

y
x z
z
z

a) b) c)
Figura 21.6: Componente
z
=
z
: a) eetto sullelemento innitesimo di
volume; b) andamento, o circolazione, delle tensioni tangenziali sulla sezione
corrente; c) vista di anco dellelemento innitesimo di volume con evidenziate
anche le componenti coniugate
z
che sollecitano a taglio le bre longitudinali
della trave
Lo stato di tensione in ogni punto `e quindi caratterizzato da un arbelo di Mohr del tipo
rappresentato nella gura 21.7.
Si osserva che le tensioni principali sono nelle direzioni inclinate di 45

rispetto alle genera-


trici (le direzioni con il massimo eetto tangenziale) e, come mostrato in gura 21.8 inviluppano
(ovvero sono in ogni suo punto tangenti) a due famiglie di eliche mutuamente perpendicolari
che si avvolgono sul cilindro. Una curva che inviluppa una direzione principale `e chiamata linea
isostatica (stress trajectory) e, in generale, in un corpo le linee isostatiche sono costituite da
tre famiglie di curve mutuamente perpendicolari (viste le propriet`a delle direzioni principali).
Le isostatiche hanno propriet`a che ricordano le linee di usso in uidodinamica e le linee di
campo nei campi vettoriali. In particolare, si dimostra che dove le isostatiche si addensano il
livello tensionale `e pi` u elevato.
645
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
nn

Figura 21.7: Arbelo di Mohr per i punti del cilindro


y
x z
z

0
M
z

z
+
z

a) b)
Figura 21.8: Tubo in torsione: a) stato di tensione nel fasciame cilindrico
per un elemento orientato nel sistema di riferimento originario e orientato
nelle direzioni principali e b) rappresentazione delle isostatiche piane: a tratto
continuo le isostatiche di trazione e tratteggiate quelle di compressione
Nel caso del tubo sottile in torsione le tre famiglie di isostatiche sono costituite dalle eliche
appena identicate nonche dalle rette radiali (parallele allasse r). Per un momento torcente
positivo (come rappresentato in gura 21.8 le isostatiche di trazione sono eliche destrorse e
quelle di compressione sinistrorse. Si osservi che linclinazione delle eliche (45

rispetto allasse
z) non dipende dal livello tensionale.
Possiamo a questo punto utilizzare una semplice equazione di equilibrio per determinare
lunica incognita scalare del problema. Lovvia condizione consiste nellimporre che le tensioni
tangenziali agenti sulla faccia positiva della sezione siano staticamente equivalenti al momento
torcente complessivo. Come mostrato nella gura 21.9, il contributo al momento della forza
innitesima dF =
z
dA agente sullelemento di area si ottiene con il braccio r (che deve
essere valutato rispetto al baricentro della sezione), pertanto:
z
dF dA

=
r
y
x
z
Figura 21.9: Contributo dellelemento innitesimo di supercie al momento
torcente
646
21.1. TORSIONE DI TUBO CIRCOLARE DI PICCOLO SPESSORE
dM
z
=
z
dA r
per cui il momento complessivo `e dato da:
M
z
=
_

z
rdA
dove, come di consueto, rappresenta il dominio di integrazione ovvero la sezione corrente
a corona circolare. Per valutare lintegrale precedente sfruttiamo lipotesi che la tensione `e
costante nel dominio e che larea pu`o essere espressa come un insieme di elementi dA = t d
come mostrato in gura 21.10.
y
x

m
R
d
t
z

Figura 21.10: Elemento darea in modo da trasformare lintegrale di


supercie in un integrale di linea
Si ha infatti:
_

....dA =
_

m
....td =
2R
m
_
0
....td
pertanto:
M
z
=
2R
m
_
0

z
r td
Approssimando il valore corrente del raggio con il suo valore medio:
M
z

=
2R
m
_
0

z
R
m
td =
z
R
m
t
2R
m
_
0
d = 2R
2
m
t
z
da cui la formula nale:

z

=
M
z
2R
2
m
t
=
M
z
2A
m
t
(21.7)
in cui il simbolo

= ha il solito signicato (raorzato dalla condizione t R
m
). Prima di
analizzare il risultato ottenuto possiamo osservare che, in base alla relazione (21.3), la precedente
si pu`o anche esprimere come:

z

=
M
z
J
0
R
m
(21.8)
Tutte le espressioni ottenute mostrano che lo stato di tensione dipende solo dalla carat-
teristica di sollecitazione (come sempre in misura direttamente proporzionale) e da propriet`a
647
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
geometriche della sezione ma non dal materiale. In altri termini, come peraltro gi`a osservato an-
che per la forza normale nel capitolo 19, lo stato di tensione `e lo stesso in un tubo di acciaio e in
uno di gomma a parit`a di momento torcente e di geometria della sezione (non sar`a ovviamente
lo stesso il livello deformativo!). Se questo risultato pu`o a prima vista apparire controintuitivo,
`e opportuno ricordare che deriva direttamente da universali considerazioni di simmetria e di
equilibrio che non hanno richiesto alcuna ipotesi costitutiva.
In eetti, a dierenza dalla essione in cui la formula di Navier era conseguenza anche
dellelasticit`a del materiale, in questo caso lunico vincolo che imponiamo al materiale `e che
abbia una simmetria cilindrica nelle sue propriet`a meccaniche. Pertanto la soluzione `e valida
anche se il materiale `e portato al di l`a del limite elastico (ovvero `e allo snervamento) e, in
particolari casi, anche se non `e isotropo (purche le direzioni di anisotropia siano elicoidali, come
in certi compositi tubolari in cui le bre sono avvolte elicoidalmente).
Dato che il modulo della tensione tangenziale trovata `e la tensione tangenziale massima che
sollecita il materiale della trave, possiamo scrivere:

max

=
[M
z
[
2R
2
m
t

=
[M
z
[
J
0
R
m
e quindi ricavare il modulo di resistenza a torsione per la sezione tubolare sottile lespressione:
W
0
= 2R
2
m
t = 2A
m
t =
J
0
R
m
(21.9)
grandezza che, come sempre, permette di valutare la componente massima della tensione
direttamente dalla caratteristica di sollecitazione:

max

=
[M
z
[
W
0
(21.10)
Esempio 21.1: Torsione di una lattina di bibita
Una lattina di bibita `e realizzata con un cilindro di lega leggera (E = 76 GPa, = 0.3 e

am
= 250 MPa) di lunghezza l = 200 mm, diametro d = 70 mm e spessore t = 0.15 mm.
Determinare il momento torcente ammissibile per la lattina.
Come si pu`o osservare, lo spessore (peraltro un valore verosimile) `e tale per cui le
ipotesi fatte sono eettivamente ragionevoli tanto che non ha senso ingegneristico nemmeno
distinguere il raggio medio da quello esterno o nominale, pertanto:
R
m
=
d
2
= 35 mm
da cui:
W
0
= 1.155 10
3
mm
3
Usando lipotesi di Tresca (capitolo 18) abbiamo:

id,max
= 2
max
= 2
M
z
W
0
assumendo che la tensione ideale massima possa arrivare al valore di ammissibilit`a:
M
z
= 144.3 Nm
648
21.1. TORSIONE DI TUBO CIRCOLARE DI PICCOLO SPESSORE
Usando il criterio di Von Mises si ottiene:

id,max
=

3
max
da cui:
M
z,am
= 166.6 Nm
Nota. Nel taglio puro si ha la massima dierenza nella previsione dei due criteri di
snervamento.
Esercizio 21.1: Dimensionamento di un tubo in esso-torsione
Un tubo di acciaio (E = 206 GPa, = 0.3 e
am
= 350 MPa) avente diametro d = 100 mm
e spessore t = 5 mm nella sezione critica `e sottoposto a M
x
= M
z
. Determinare il massimo
valore di M
z
ammissibile considerando i criteri di snervamento di Tresca e di Von Mises.
21.1.3 Deformazione del tubo sottile in torsione
Pu`o essere interessante chiedersi, che tipo di distorsione, almeno dal punto di vista quali-
tativo, ci aspettiamo nellesperimento del tubo in torsione? Sempre per ragioni di simmetria
`e prevedible che, almeno nella regione centrale (ovvero escluse le zone di estinzione), il tubo
rimarr`a di forma cilindrica. Il cilindro, potrebbe quindi, almeno in linea di principio, subire
una variazione di raggio e una variazione di lunghezza assiale (tali processi deformativi sono
in eetti compatibili con la conservazione della forma cilindrica), tuttavia leetto deformativo
pi` u evidente e soprattutto necessario, `e un attorcigliamento (twist), ovvero una rotazione
relativa progressiva delle sezioni del tubo attorno allasse z. Fissata la sezione allincastro,
lattorcigliamento del tubo determina infatti una rotazione della sezione di estremit`a che `e ne-
cessaria se vogliamo che il carico esterno M
0
faccia lavoro in modo che il solido assorba energia
elastica e quindi si deformi.
Prima di quanticare queste grandezze nellipotesi che il materiale segua la legge di Hooke,
`e per`o possibile escludere le componenti deformative estensionali nel sistema di riferimento
cilindrico. Osserviamo intanto che un aumento di raggio medio da R
m
a R

m
= R
m
+ R
m
produrrebbe un corrispondente aumento della circonferenza media e quindi una deformazione
estensionale in direzione data da:

=
2R

m
2R
m
2R
m
=
R
m
R
m
.
In modo analogo la deformazione assiale sarebbe connessa con la variazione della lunghezza l
del tubo:

zz
=
l

l
l
=
l
l
e la deformazione estensionale radiale con la variazione di spessore t:

rr
=
t

t
t
=
t
t
.
Tuttavia le componenti normali dello stato di tensione sono identicamente nulle nel sistema
dato per cui la legge di Hooke (capitolo 17) prevede che, rispetto agli stessi assi, siano nulle
anche le omonime componenti deformative estensionali. Pertanto da:

=
rr
=
zz
= 0
649
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
si ricava che:
R
m
= t = l = 0.
Concludiamo quindi che la torsione non altera la forma del tubo, il quale sotto torsione
conserva quindi il raggio, la lunghezza e lo spessore. Abbiamo ricavato questa conclusione in
ipotesi di elasticit`a lineare, tuttavia si dimostra (e si verica sperimentalmente) che lo stesso
vale anche se il tubo snerva e anche se il processo deformativo `e molto intenso.
Se il tubo iniziale non viene in qualche modo marcato, `e quindi impossibile rendersi conto
che sia sotto leetto di un momento torcente guardandone la deformata perche la sua forma `e
indistinguibile da quella iniziale. Dal punto di vista sico la deformazione si manifesta quindi
con una progressiva rotazione rigida attorno allasse z delle corone circolari che formano le
sezioni, un fenomeno simile a quello che si ottiene con un pila di monete ognuna delle quali `e
fatta ruotare di un piccolo angolo rispetto alla precedente. Se sullesterno del tubo indeformato
`e stata tracciata una generatrice, leetto deformativo pu`o invece essere evidenziato perche la
linea precedentemente retta assume la forma di unelica (molto poco inclinata) che si avvolge
sul tubo. Lesperimento `e rappresentato nella gura 21.11.
0
M a) b)
Figura 21.11: Deformata di un tubo in torsione: a) cilindro indeformato
sul quale sono state tracciate alcune circonferenze e una generatrice; b) cilin-
dro deformato con le circonferenze che rimangono indeformate e sullo stesso
piano e sono solo ruotate attorno allasse z mentre la generatrice si avvolge
elicoidalmente sul tubo
Il processo deformativo descritto `e giusticabile considerando lo stato di tensione. La com-
ponente tensionale non nulla
z
produce infatti, per la legge di Hooke, lomonima deformazione
angolare:

z
=

z
G
e, considerando che la sezione del tubo `e mantenuta verticale dal vincolo e dalla simme-
tria, questo produce lelicoidalit`a della generatrice come mostrato nella gura 21.12 in cui
la deformazione angolare `e stata esagerata per motivi di chiarezza graca.
Lelicoidalit`a della generatrice produce quindi una rotazione progressiva delle varie sezio-
ni. Indicato con langolo corrente di cui la generica sezione ruota rispetto a quella ssa
(nellincastro), la situazione `e mostrata nella gura 21.13.
La lunghezza dellarco si pu`o ottenere in due modi diversi:
R
m
(l) = l
z
in cui `e stata fatta lipotesi (valida nellambito dei corpi poco deformabili) che langolo
z
sia
piccolo. La rotazione della sezione di estremit`a diventa quindi:
(l) =
l
z
R
m
650
21.1. TORSIONE DI TUBO CIRCOLARE DI PICCOLO SPESSORE
y
x z
z

a) b)
z

Figura 21.12: Vista laterale del tubo con a) elemento di volume soggetto
allo stato di tensione e b) ingrandimento dellelemento di volume deformato e
indeformato.
Questangolo `e da considerasi leetto cumulato dellattorcigliamento del tubo, grandezza geoem-
trica che si esprime quindi come la variazione di rotazione delle sezioni rispetto alla posizione
assiale o, pi` u rigorosamente, come il gradiente assiale della rotazione:
=
d
ds
_
=
d
dz
_
(21.11)
Nel caso in esame, essendo la soluzione indipendente da s, lattorcigliamento si pu`o anche
ottenere come rapporto incrementale:
=
(l)
l
=

z
R
m
che, espresso in funzione della tensione, si esprime come:
=

z
GR
m
(21.12)
y
x z
z

y
x
z
( ) l
l
m
R
B
* B
B
* B
a) b)
Figura 21.13: Deformata del tubo: a) eetto di rotazione rigida dalla sezione
di estremit`a con la rotazione complessiva e b) angolo di inclinazione della
generatrice deformata rispetto alla a generatrice indeformata.
Lattorcigliamento `e pertanto la propriet`a deformativa energeticamente associata al momento
torcente (analogamente alla curvatura della linea dasse che `e energeticamente associata al
momento ettente). La relazione per il tubo sottile si ottiene per sostituzione diretta:
=
M
z
G2R
3
m
t
=
M
z
GJ
0
=
M
z
G
4A
2
m
t
L
m
(21.13)
in cui L
m
= 2Rm `e il perimetro del contorno medio. Si verica che la rigidezza torsionale:
GJ
0
ha una espressione analoga alla rigidezza essionale: EJ
x
.
651
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
Esempio 21.2: Evidenza delle tensioni
z
Evidenziare con un semplice esperimento la presenza delle tensioni
z

Mentre lesistenza delle tensioni tangenziali
z
agenti sulla sezione corrente si giustica
intuitivamente con facilit`a per la loro natura equilibrante il momento torcente, la presenza
delle coniugate
z
pu`o lasciare perplessi. Ovviamente per chi ha chiare le propriet`a dello
stato di tensione la condizione di simmetria rende le
z
altrettanto evidenti, ma `e utile
evidenziarne la natura con un semplice esperimento che pu`o essere fatto da tutti.
Realizziamo un elemento tubolare avvolgendo un cartoncino rettangolare attorno a un
asse parallelo al lato pi` u lungo, allo scopo un foglio da disegno A4 `e perfetto. Per realizzate
una rudimentale trave tubolare incolliamo i lembi sovrapposti con una striscia di nastro
adesivo disposta sulla generatrice (lesperimento riesce meglio se si realizzano pi` u starti
aumentando lo spessore del tubo per renderlo pi` u robusto alle sollecitazioni). Applichiamo
quindi manualmente una torsione con due coppie contrapposte alle estremit`a: come si
verica lo scollamento o la rottura del nastro?
Levidenzia mostra che i due elementi di nastro scorrono uno rispetto allaltro in di-
rezione assiale e che successivamente sempre in tale direzione si muovono uno rispetto
allaltro i lembi liberi del cartoncino una volta che il nastro sia scollato o rotto. Se il tubo
fosse integro (realizzato tubolare dallinizio) tali azioni sarebbero trasmesse direttamente
dal materiale (senza necessit`a di passare dal nastro) proprio tramite componenti
z
.
21.1.4 Energia elastica
Nel caso esaminato `e immediato ottenere langolo di rotazione complessivo della sezione di
applicazione del carico:
(l) = l
In generale la relazione `e quindi:
(l) =
l
_
0
ds (21.14)
Da ci`o `e ottenibile il lavoro fatto delle forze esterne:
L
ext
=
1
2
M
0
(l)
Sostituendo le espressioni precedentemente trovate si ottiene:
L
ext
= U =
1
2
M
z
(l)
Lenergia elastica `e uniformemente distribuita sui conci della trave per cui lenergia per unit`a
di lunghezza vale:
dU
ds
=
1
2
M
z
=
1
2
M
2
z
GJ
0
=
1
2
GJ
0

2
(21.15)
Questa relazione ha la stessa struttura dellanaloga relazione ottenuta per la essione retta.
Notiamo in particolare che:
lattorcigliamento `e la grandezza deformativa energeticamente associata la momento
torcente, (in termini sici, come anticipato nel capitolo 9 la torsione produce una rotazione
assiale relativa tra sezioni successive di una trave)
652
21.1. TORSIONE DI TUBO CIRCOLARE DI PICCOLO SPESSORE
lattorcigliamento (come la curvatura k) ha le dimensioni del reciproco di una lunghezza
lattorcigliamento `e legato alla deformazione angolare del materiale dalla relazione:
=

z
R
m
(21.16)
Esercizio 21.2: Deformazione ed energia elastica di un tubo sottile in torsione
Il tubo di lega leggera (E = 70 GPa, = 0.3 e
am
= 280 MPa) in gura 21.14 avente
diametro d = 80 mm, spessore t = 3 mm e lunghezza 2l = 450 mm `e sottoposto a due
carichi di momento come indicato in gura 21.14. Considerando il criterio di snervamento
di Tresca, determinare il massimo valore di M
0
ammissibile. Con tale carico:
a) valutare le rotazioni
B
e
C
delle sezioni B e C
b) calcolare lenergia elastica U immagazzinata nel tubo
c) vericare direttamente la relazione: L
ext
= U
l l
0
M
0
2M
B C
Figura 21.14: Tubo in torsione non uniforme
Esercizio 21.3: Torsione di un tubo iperstaticamente vincolato
Un tubo di lega leggera (E = 70 GPa, = 0.3 e
am
= 280 MPa) avente diametro
d = 80 mm, spessore t = 3 mm e lunghezza 2l = 450 mm `e incastrato alle estremit`a e
sottoposto a un carico di momento come indicato in gura 21.15.
Determinato il massimo carico che pu`o essere applicato, con tale valore valutare:
a) la rotazione
B
della sezione B
b) lenergia elastica U immagazzinata nel tubo.
653
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
4
l 3
4
l
0
M
B
Figura 21.15: Tubo iperstatico in torsione
Nota. Per usare il metodo delle forze si pu`o sconnettere idealmente il tubo a destra in
modo da determinare il momento da applicare in tale sezione (la relazione vincolare) perche
la sua rotazione assiale sia nulla.
`
E anche possibile sfruttare il metodo degli spostamenti,
per esempio assumendo la rotazione
B
della sezione B come incognita. Nel caso in esame
il carico deve essere determinato dopo aver risolto il problema iperstatico. Questa `e una
situazione tipica e si deve evitare di confondere lincognita iperstatica con il carico parame-
trico. A tale scopo si pu`o lasciare il carico M
0
in forma simbolica e per poi determinarne
il valore ammissibile dopo avere risolto liperstatica. Dato per`o che il problema `e lineare
e che le tensioni sono proporzionali a M
0
, si pu`o anche assumere per il carico in valore
unitario per poi aumentarlo di un fattore pari al coeciente di sicurezza.
Esercizio 21.4: Torsione di un tubo rastremato iperstaticamente vincolato (*)
Un tubo di acciaio (E = 206 GPa, = 0.3 e
am
= 400 MPa) avente diametro medio
d = 100 mm, spessore linearmente variabile tra t
0
= 3 mm e 2t
0
e lunghezza l = 650 mm,
`e incastrato alle estremit`a come in gura in gura 21.16. Determinata la distanza a che
denisce la posizione della sezione B dove deve essere applicato il carico in modo che le
reazioni vincolari esterne siano uguali:
a) determinare il valore massimo di M
0
per avere coeciente di sicurezza = 2.5
b) calcolare la corrispondente rotazione assiale
B
e della sezione B
c) vericare direttamente la relazione: L
ext
= U.
a
l
0
M
B
0
2t
0
t
m
R
Figura 21.16: Tubo iperstatico in torsione con spessore rastremato
654
21.2. TRAVE ASSIALSIMMETRICA IN TORSIONE
Nota. Il problema iperstatico pu`o essere risolto considerando una rigidezza torsionale
funzione della posizione.
21.2 Trave assialsimmetrica in torsione
La soluzione del tubo sottile `e alla base anche della soluzione per il cilindro pieno e del tubo
circolare di spessore qualunque.
21.2.1 Barra cilindrica piena
Il procedimento di soluzione per determinare la condizione di un cilindro di raggio R in tor-
sione, `e basato sulla possibilit`a di considerarlo come un insieme di tubi di spessore innitesimo
concentrici. Essendo per tali elementi costituenti t = dr, risultano perfettamente soddisfatte
le condizioni richieste per la teoria del tubo sottile e quindi la soluzione trovata nel precedente
paragrafo `e esatta.
Con riferimento alla gura 21.17, consideriamo uno dei tubi costituenti avente raggio gene-
rico r R. Sotto leetto dellazione torcente possiamo pensare che ogni singolo tubo subisca
un attorcigliamento.
`
E evidente che tale processo deformativo non determina distacco assiale o
radiale dei singoli strati dato che essi, come dimostrato, conservano raggio e lunghezza.
l
0
M
y
x
z
r
dr
R
a) b)
Figura 21.17: Cilindro in torsione: a) esperimento ideale e b) sezione corrente
con elemento innitesimo costituente.
`
E per`o anche necessario che, per congruenza, i vari strati non scorrano tangenzialmente.
Se tracciamo sulla sezione di estremit`a un segmento radiale OB, come indicato in gura 21.18,
lesperimento mostra che il segmento rimane rettilineo dopo la deformata e semplicemente ruota
attorno al baricentro dellangolo .
Si osserva quindi che anche il cilindro sotto torsione conserva tutte le caratteristiche geome-
triche della sezione. Ogni sezione infatti rimane indeformata e nel proprio piano, semplicemente
ruota rigidamente attorno allasse della trave dellangolo di torsione.
Tutti i tubi elementari costituenti condividono pertanto langolo di torsione e quindi anche
il suo gradiente assiale (ovvero lattorcigliamento =
d
dz
), tali grandezze possono quindi essere
attribuite alla sezione nel suo complesso. I vari tubi avendo per`o raggi diversi, dovranno
deformarsi in modo conseguente e quindi la deformazione angolare `e, in base alla relazione
(21.16) direttamente proporzionale dalla distanza dal centro:

z
= r
655
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
y
x
z

B
* B
O
Figura 21.18: Cilindro in torsione: eetto deformativo osservato sulla sezione
di estremit`a.
In base alla legge di Hooke dalla precedente relazione ricaviamo la corrispondente espressione
per le tensioni:

z
= G r (21.17)
Anche la torsione per il cilindro solido genera quindi nel materiale uno stato di tensione di taglio
puro ma con intensit`a proporzionale alla distanza dal centro. Landamento delle tensioni sulla
faccia corrente della trave `e illustrato nella gura 21.19 in forma quantitativa e qualitativa. In
particolare la gura 21.19b) mostra i cerchi concentrici (equispaziati) che rappresentano le linee
localmente parallele al vettore trazione sulla sezione e che sono spesso indicate come linee di
usso delle tensioni tangenziali.
z

a) b)
Figura 21.19: Tensioni tangenziali nella sezione corrente di una barra ci-
lindrica in torsione: a) andamento dei moduli b) linee di livello dello stato
tensionale che corrispondono alle linee di usso delle tensioni tangenziali.
Lespressione generale per la verica della trave `e quindi ancora:

z
=
M
z
r
J
0
(21.18)
del tutto analoga alla formula di Navier per la essione (capitolo 20). Da questo ricaviamo
quindi che il modulo di resistenza a torsione:
W
0
=
J
0
R
=

2
R
3
(21.19)
e la rigidezza torsionale:
GJ
0
= G

2
R
4
(21.20)
21.2.2 Tubo cilindrico in torsione
Lesperimento mostra che la medesima soluzione si estende anche al caso del tubo in torsione
di spessore radiale qualunque con raggio interno R
i
e raggio esterno R
e
. La soluzione generale
`e illustrata in gura 21.20.
656
21.2. TRAVE ASSIALSIMMETRICA IN TORSIONE
z

e
R
i
R
a) b)
Figura 21.20: Tensioni tangenziali nella sezione corrente di un tubo in tor-
sione: a) andamento dei moduli b) linee di livello dello stato tensionale che
corrispondono alle linee di usso delle tensioni tangenziali.
Per questo caso `e immediato vericare che valgono le stesse formule ottenute per il cilindro
(con lunica dierenza che R
i
r R
e
). In particolare, il modulo di resistenza resistenza a
torsione si esprime come:
W
0
=
J
0
R
e
=

2R
e
_
R
4
e
R
4
i
_
e per la rigidezza:
GJ
0
=

2
G
_
R
4
e
R
4
i
_
Esercizio 21.5: Torsione e essione di un tubo non sottile
La mensola in gura 21.21 realizzata con un tubo di acciaio (E = 206 GPa, = 0.3 e

am
= 400 MPa) avente raggio esterno R
e
= 50 mm, spessore t = R
e
R
i
= 15 mm e
lunghezza l = 10R
e
`e caricata con una forza applicata allestremo di un braccio rigido di
lunghezza b = l/2 solidamente ssato alla sezione B. Trascurando gli eetti del taglio,
determinare:
a) il punto critico della sezione critica e il coeciente di sicurezza con il criterio di Tresca
b) la rotazione
B
e della sezione B attorno allasse z
c) lo spostamento del punto C di applicazione del carico nella direzione del carico stesso
d) confrontare le precedenti soluzioni con quelle ottenibili facendo lipotesi di tubo sottile.
l
b
y
x
z
P
B
C
Figura 21.21: Tubo in esso-torsione
657
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
Esercizio 21.6: Variante dellesercizio precedente
Con gli stessi dati dellesercizio precedente rispondere alle medesime domande con ri-
ferimento alla gura 21.22 in cui `e stato aggiunto un tratto rigido al braccio di
carico.
b
l
b
P
B
Figura 21.22: Tubo in esso-torsione
21.3 Considerazioni sulla torsione di un elemento assialsimme-
trico
Nei paragra precedenti `e stata ottenuta la soluzione della torsione per una trave tubolare
circolare in torsione realizzata in materiale elastico lineare omogeneo isotropo in termini di
tensioni e deformazioni. La soluzione nale per il tubo comprende le altre (cilindro pieno e tubo
di spessore sottile) come casi particolari ed `e quindi la pi` u generale.
Anche se la soluzione `e stata ottenuta attraverso un esame critico di una serie di esperimenti,
si pu`o vericare a posteriori che essa soddisfa le equazioni di equilibrio e di congruenza globali
e locali, oltre che quella costitutiva, per cui `e la soluzione.
Per una generica trave circolare cilindrica in torsione, possiamo quindi riassumere le seguenti
propriet`a:
le sezioni conservano la loro forma ed estensione e la distorsione si manifesta come una
rotazione rigida della sezione attorno allasse z
lo stato di tensione `e di taglio puro in ogni punto (esclusa la linea dasse se la sezione la
contiene in cui la tensione `e nulla) per cui il materiale non subisce variazioni di volume
nemmeno localmente
laspetto della supercie esterna rimane inalterato dalla torsione che si manifesta solo se
si tracciano linee con componenti in direzione assiale
nellambito della meccanica dei corpi poco deformabili, le generatrici si avvolgono su eliche
poco inclinate
a meno di eetti di ordine superiore, piccoli cerchi tracciati sulla supercie esterna (aventi
raggio molto minore del raggio esterno della sezione) in conseguenza dellapplicazione
del momento torcente assumono la forma di ellissi con assi inclinati di 45

rispetto alla
658
21.3. CONSIDERAZIONI SULLA TORSIONE DI UN ELEMENTO ASSIALSIMMETRICO
generatrice locale del cilindro indeformato (gli assi dellellisse sono nella direzione delle
isostatiche)
lo stato di tensione sulla sezione corrente della trave `e caratterizzato da un vettore tensione
che ha solo componenti tangenziali
le tensioni tangenziali agenti sulla sezione circolano sulla sezione stessa, sono tangen-
ti ai bordi (interno ed esterno) e hanno intensit`a che cresce in misura direttamente
proporzionale alla distanza dallasse
le linee di usso delle tensioni tangenziali sulla sezione sono linee chiuse (circonferenze)
che non possono interrompersi e non possono toccare i contorni
i punti pi` u sollecitati della sezione sono quindi in corrispondenza del bordo esterno.
Come vedremo, linteresse per queste sezioni non `e accademico, infatti la forma tubolare `e
ottimale per la torsione (in relazione sia alla resistenza sia alla rigidezza). A questa conclusione
si perviene intuitivamente per considerazioni di simmetria, ma la questione sar`a approfondita
nel seguito. Una trave alla quale `e attribuita la funzione strutturale principale di trasmettere
torsione dovrebbe quindi avere sezione possibilmente di tale forma. Non `e un caso quindi che
gli alberi di trasmissione nelle applicazioni aeronautiche siano tubolari.
I seguenti esempi illustrano alcune propriet`a della soluzione richiamate nellelenco preceden-
te.
Esempio 21.3: Tangenza delle tensioni di taglio al bordo libero
Dimostrare che una eventuale tensione agente sulla sezione di una trave in corrispondenza
di un bordo libero deve avere componente normale al bordo identicamente nulla.
Consideriamo un punto B appartenente al bordo della sezione (nel caso di un tubo pu`o
essere in corrispondenza del raggio esterno ma anche di quello interno). Indichiamo con n la
direzione normale locale al bordo e con

t la direzione tangente. In generale, la componente
tangenziale del vettore tensione agente sulla sezione nel punto B potr`a essere scomposta
nelle due componenti locali:
nz
e
tz
. Se, per assurdo, fosse
nz
,= 0, il teorema di
reciprocit`a del tensore di Cauchy imporrebbe la presenza anche della componente
zn
,= 0.
Tale tensione ha quindi direzione z ed `e applicata alla faccia con normale n che appartiene
a una supercie esterna laterale della sezione per cui `e scarica.
In modo analogo si pu`o dimostrare che anche una eventuale componente normale deve
essere identicamente nulla sul bordo:
nn
= 0. Non vi sono invece limitazioni teoriche
invece per la componente che scorre lungo il bordo
tz
la cui componente coniugata:
zt
pu`o manifestarsi. Da ci`o ricaviamo che le linee di usso delle tensioni tangenziali devono
mantenersi parallele ai bordi liberi della sezione.
Esempio 21.4: Campo di spostamento
Esprimere in coordinate cartesiane il campo di spostamento dei punti di un tubo circolare
in torsione.
659
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
y
x
z

B
O
*
B

Figura 21.23: Schema per lo spostamento di un generico punto della sezione


Come mostrato nella gura 21.23 il generico punto B (di coordinate polari (r, , z) e car-
tesiane (x, y, z)) si sposta rimanendo sulla propria circonferenza. In coordinate cilindriche
la posizione del punto deformato `e:
r
B
= r;
B
= +; z
B
= z
dove rappresenta la rotazione attorno allasse z della sezione a cui il punto appartiene (che
in generale sar`a funzione della posizione assiale della sezione: (s)). La stessa condizione
pu`o essere espressa in coordinate cartesiane, con riferimento agli assi indicati nella gura
21.23 si ha:
x
B
=
_
x
2
+y
2
cos ( +) ; y
B
=
_
x
2
+y
2
sin ( +)
espressioni che possono essere esplicitate sviluppando le funzioni trigonometriche:
x
B
=
_
x
2
+y
2
[cos cos sin sin ] ; y
B
=
_
x
2
+y
2
[sin cos + cos sin ]
Considerando che:
cos =
x
_
x
2
+y
2
; sin =
y
_
x
2
+y
2
da cui:
x
B
= xcos y sin ; y
B
= y cos +xsin
e quindi si ottiene:
u
x
= u = x(cos 1) y sin ; u
y
= v = xsin y (cos 1) ; u
z
= w = 0
Queste espressioni sono esatte per qualunque livello di rotazione della sezione (si consideri
che pu`o essere signicativo anche se le deformazioni sono piccole nel caso in cui la trave
sia molto lunga). Peraltro, se anche la rotazione `e piccola (come generalmente avviene
nella meccanica dei corpi poco deformabili, basti pensare a un albero di trasmissione),
possiamo assumere: 1 e quindi `e lecito approssimare le funzioni trigonometriche
arrestando al primo ordine il loro sviluppo di Mac Laurin. Si ottiene quindi:
u
x
= u = y ; u
y
= v = x ; u
z
= w = 0
La parte signicativa dello spostamento (a meno di eetti di ordine 2 in o superiori) ha le
componenti cartesiane che in modulo sono direttamente proporzionale alla rotazione della
660
21.4. TORSIONE PER UNA SEZIONE GENERICA
sezione e alla coordinata cartesiana coniugata. In queste ipotesi, come discusso anche nel
capitolo 14, la rotazione della sezione pu`o essere considerata una grandezza vettoriale:
= e
z
per cui lo spostamento di ogni punto B della sezione `e ottenibile dalla relazione vettoriale:
u = OB
dalla quale infatti risulta formalmente:

e
x
e
y
e
z
0 0
x y 0

= y e
x
+x e
y
Come mostrato nellesempio precedente, la condizione delle sezioni piane e la rotazione rigida
(di piccola entit`a 1) attorno al centro si verica quando le componenti piane dello stato di
spostamento dei punti della sezione soddisfano le condizioni:
u
x
= y
u
y
= x (21.21)
u
z
= 0
Partendo dal precedente campo di spostamento e applicando le equazioni di congruenza, si
ottengono facilmente le deformazioni. Da queste, con la legge di Hooke, si possono ricavare
le tensioni e successivamente, per integrazione le caratteristiche di sollecitazione e inne le
condizioni di equilibrio. La teoria quindi pu`o essere formalmente dedotta a partire da tali
ipotesi di spostamento e vericata a posteriori (metodo inverso).
21.4 Torsione per una sezione generica
Sfortunatamente, come sar`a mostrato subito, la teoria sviluppata per la trave tubolare
non pu`o essere estesa alle sezioni di altra forma. Anche se si considera che, in caso di torsione
prevalente, la forma che si dovrebbe adottare `e quella tubolare, non sono da escludersi situazioni
in cui una componente torsionale (anche se secondaria) possa essere trasmessa da sezioni di
forma non ottimale. Inoltre, come vedremo, `e possibile che la sezione sia molto vulnerabile a
torsione se non ha caratteristiche geometriche adatte.
A dierenza della essione, il problema generale della torsione non ha purtroppo una so-
luzione elementare. Nel presente paragrafo, dopo aver esaminato alcuni aspetti generali del
problema, sono discussi i metodi che si possono adottare per risolverlo.
21.4.1 Il problema generale della torsione
Analizziamo in primo luogo il motivo per cui la soluzione ottenuta nel caso della sezione
a corona circolare non `e valida per sezioni di forma diversa. Nella gura 21.24 `e proposta
lapplicazione della precedente soluzione alla sezione rettangolare.
`
E stato quindi assunto che la
tensione tangenziale sia di intensit`a direttamente proporzionale alla distanza dal centro e che le
linee di usso siano circonferenze concentriche.
661
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
y
x
z
b
h
H
B
C
H
y
x
z
B
C
z yz
=
z zy
=
z xz
=
z yz
=
z

yz

0
xz
=
Figura 21.24: Sezione rettangolare: proposta di soluzione elementare
Per quanto tale soluzione possa sembrare plausibile per i punti che si trovano sugli assi di
simmetria (come H e B nella gura 21.24), lo stato di tensione non `e sicuramente accettabile
per i punti del contorno come C in cui la condizione che le tensioni tangenziali devono essere
tangenti al contorno risulta violata. Questa osservazione impone di eettuare una revisione
completa dellanalisi precedentemente.
Se lo stato di tensione non ha le caratteristiche di semplicit`a sperate, anche lo stato di spo-
stamento dei punti della trave, al contrario del caso precedente, non `e agevole da rappresentare
matematicamente. In particolare, si dimostra che per trave con sezione non tubolare circolare,
per esempio rettangolare, le sezioni non si conservano piane. Una esperienza diretta pu`o
essere condotta facilmente usando una semplice gomma da cancellare di forma parallelepipeda
sucientemente lunga. Se si evidenzia con un tratto di matita il contorno rettangolare di una
sezione (per esempio quella centrale) e successivamente si mette la gomma in torsione con le
mani, si evidenzia abbastanza chiaramente che i lati del contorno non sono pi` u rettilinei quando
deformati. Si intuisce quindi che, in generale, anche gli altri punti della sezione non apparten-
gono pi` u a un piano. Tale distorsione `e caratterizzata quindi oltre che da un attorcigliamento
qualitativamente analogo al caso precedente, anche da uno spostamento in direzione z variabile
nella sezione che viene talvolta indicato ingobbamento (warping).
De Saint Venant ha proposto una soluzione per il problema di una trave in torsione avente
sezione qualunque, basata su una ipotesi deformativa che conserva qualche caratteristica del
caso circolare e introduce la possibilit`a dellingobbamento:
u
x
= (y c
y
)
u
y
= (x c
x
) (21.22)
u
z
= w(x, y)
in particolare lo spostamento in direzione assiale dei punti della sezione `e denito dalla funzione
w(x, y) che `e indipendente da s. Le ipotesi adottate da De Saint Venant prevedono quindi
per le componenti piane dello spostamento un moto rigido della sezione attorno a un punto del
piano stesso (non necessariamente il baricentro se la sezione non `e simmetrica) e un generico
ingobbamento. La soluzione del problema `e quindi denita dal parametro di rotazione , dalla
posizione del centro di rotazione (c
x
, c
y
) e dalla funzione w(x, y) di due variabili denita sulla
sezione.
662
21.4. TORSIONE PER UNA SEZIONE GENERICA
Tale teoria potrebbe essere completamente sviluppata con le competenze nora accumulate
nel corso. Per ragioni di brevit`a si preferisce per`o esporne solo alcuni elementi generali.
Come si pu`o prevedere, la sola condizione di equilibrio del momento torcente (che nel caso
della sezione a corona circolare permette di ricavare e da questo tutto il resto) non `e pi` u
suciente. In questo caso `e necessario ricorrere a tutte le equazioni della meccanica del continuo
(equilibrio, congruenza e costitutive) che alla ne portano, oltre che a tre condizioni algebriche
di equilibrio (sul momento torcente e sui tagli nelle direzioni dei due assi piani), a una equazione
dierenziale alle derivate parziali (lineare del secondo ordine) nella funzione incognita: w(x, y).
La soluzione di tali equazioni, con le opportune condizioni al contorno, fornisce lo stato
di spostamento completo e quindi, tramite il procedimento a ritroso descritto nel paragrafo
precedente, anche lo stato di deformazione e di tensione in ogni punto.
Purtroppo, sono pochissime le sezioni per le quali `e ottenibile una soluzione in forma ana-
litica esprimibile tramite combinazione nita di funzioni elementari. Tra queste si annoverano:
sezioni ellittiche (anche con un foro ellittico omotetico) e sezioni a forma di triangolo equilatero.
Come si intuisce, non si tratta di sezioni che abbiano interesse nelle applicazioni per cui le
relative soluzioni analitiche costituiscono poco pi` u che curiosit`a di tipo matematico.
Per la sezione rettangolare per esempio (quadrata come caso particolare) la soluzione pu`o
essere ottenuta tramite soluzione numerica. Tale soluzione pu`o essere espressa in forma ana-
litica ma tramite uno sviluppo innito di funzioni (spesso si usano per tale scopo le serie di
Fourier). Per il lettore interessato tutte queste soluzioni possono essere reperite su qualunque
testo classico di teoria dellelasticit`a.
21.4.2 La soluzione per analogia
Lattuale disponibilit`a di strumenti di calcolo e di algoritmi numerici per risolvere equazioni
dierenziali alle derivate parziali permette di ottenere soluzioni numeriche del problema della
torsione con il livello di precisione necessario. In passato tuttavia le dicolt`a operative nella
soluzione di tali equazioni costituiva un limite molto forte anche per le applicazioni pratiche per
cui venivano fatti notevoli sforzi per trovare metodi alternativi. Uno di questi metodi `e basato
sulle analogie siche. Vi sono infatti vari fenomeni, anche in branche anche molto diverse della
Fisica, che sono dominati dalle medesime equazioni dierenziali. Alcuni di questi problemi si
prestano meglio di altri per essere riprodotti in modo sperimentale e consentono una pi` u agevole
accessibilit`a per la misura oppure una maggiore accuratezza delle misure stesse. Un esempio che
potrebbe essere familiare `e lanalogia termica-elettrica tra la propagazione del calore nei solidi
e la propagazione della corrente elettrica nei resistori.
`
E noto infatti che la legge di Fourier
per il usso del calore `e analoga alla legge di Ohm. Determinare il campo di temperatura
in un problema termico stazionario `e pertanto analogo a trovare il potenziale elettrico in un
conduttore avente la stessa forma. La dicolt`a analitica per i due problemi `e la medesima
ma, per esempio, la misura di un potenziale elettrico (con un voltmetro) pu`o essere molto pi` u
semplice, immediata e accurata e meno costosa della misura della temperatura.
Il sico tedesco Ludwig Prandtl (1875-1953) osserv`o che il problema della torsione della trave
elastica ha una interessante analogia nellambito della stessa meccanica strutturale. Eseguiamo
su una tavola rigida un foro avente la stessa forma della sezione come in gura 21.25 e incolliamo
sulla supercie superiore una sottile membrana elastica dopo averla tesa uniformemente in ogni
direzione piana (ovvero averla allungata con uno stato tensione piano equibiassiale di trazione).
Sollecitiamo quindi la membrana con una pressione nella parte inferiore della tavola allo scopo
di produrne il rigonamento.
Prandtl ha vericato che il problema del rigonamento della membrana `e analogo a quello
della torsione della trave elastica alle seguenti condizioni:
663
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
il foro riproduce in scala la forma della sezione
il comportamento della membrana, come il materiale della trave, `e elastico lineare omoge-
neo isotropo
lo stato iniziale di pretensionamento della membrana `e equibiassiale e il suo spessore `e
trascurabile (la membrana perfetta da questo punto di vista `e una bolla di sapone)
il rigonamento prodotto dalla pressione `e di piccola entit`a in modo che lincremento
di tensione nella membrana dovuto alla pressione sia trascurabile rispetto al livello di
pretensionamento
come conseguenza, lo spostamento fuori piano della membrana `e piccolo rispetto alla
dimensione caratteristica del foro.
Figura 21.25: Preparazione dellesperimento di analogia della membrana per
una sezione rettangolare
Quando le condizioni di analogia sono soddisfatte si verica che:
le linee di livello della membrana sono simili alle linee di usso delle tensioni tangenziali
in ogni punto della sezione (o della membrana) la massima pendenza del piano tangente
locale (il modulo del gradiente della supercie della membrana) `e analoga al valore della
componente tangenziale =
_

2
xz
+
2
yz
dato un punto e una direzione n = (n
x
, n
y
), la pendenza del piano tangente alla membrana
in tale direzione `e analoga alla componente
tz
in cui

t `e perpendicolare a n
il volume sotteso dal rigonamento della membrana `e analogo al momento torcente
complessivamente trasmesso dalla sezione.
Il vantaggio di poter accedere alla supercie della membrana consente di eettuare misure
dirette di grandezze che, nel caso di interesse, si manifestano invece allinterno della trave. Per
i nostri scopi tuttavia, non potendo eseguire in pratica lesperimento, sfrutteremo lanalogia
per altre ragioni. Dato che il comportamento deformativo della membrana `e spesso facilmente
intuibile, possiamo accettare con semplicit`a varie propriet`a soluzione che sarebbero di dicile
comprensione se considerate propriet`a elastiche della sezione in torsione.
`
E in particolare interessante ritrovare la soluzione in analogia per il semplice caso del ci-
lindro in torsione. Il foro in questo caso `e circolare e la membrana si gona per formare un
segmento sferico. Se il segmento sferico `e poco scostato dal piano esso pu`o essere accuratamente
approssimato da un paraboloide di rotazione. Si intuisce immediatamente che linee di livello
sono eettivamente circonferenze concentriche e il livello di tensione (gradiente) `e massimo sul
bordo ed `e zero nel dentro, dove infatti la tensione tangenziale `e nulla. La pendenza massima
della membrana (il modulo della tensione tangenziale) cresce linearmente allontanandosi dal
centro.
664
21.5. TORSIONE PER UNA SEZIONE RETTANGOLARE
21.5 Torsione per una sezione rettangolare
21.5.1 Soluzione approssimata generale
Guidati dallanalogia della membrana cerchiamo di giusticare la soluzione della torsione per
la sezione rettangolare. Consideriamo una generica sezione di lati b h ma, per ssare le idee,
indichiamo con h il alto pi` u lungo. Nelle espressioni seguenti `e pertanto implicita la condizione
h b e il rapporto di forma del rettangolo =
b
h
sar`a quindi nellintervallo: 0 < 1 al primo
estremo del quale vi sono rettangoli molto allungati e allaltro sezioni quadrate.
Figura 21.26: Rigonamento della membrana per una sezione rettangolare
con = 0.618.
Il rigonamento della membrana per una sezione rettangolare (`e esemplicato il rettangolo
aureo = 0.618) `e mostrato nella gura 21.26.
Figura 21.27: Linee di livello e proli della membrana in corrispondenza
degli assi di simmetria per una sezione rettangolare con = 0.618.
Le linee di livello della membrana `e mostrato nella gura 21.27 mentre il corrispondente
andamento delle tensioni tangenziali nella sezione nella gura 21.28.
Lanalogia della membrana evidenzia le seguenti propriet`a, confermate dalla soluzione ana-
litica, che sono di pratica utilit`a:
la tensione massima si manifesta in H il punto medio del lato pi` u lungo (si noti che, in
contrasto con quanto succede per il cerchio, H `e il punto del contorno pi` u vicino al centro
della sezione)
665
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
nel punto medio del lato corto B si ha un minimo locale della tensione tangenziale (`e il
punto pi` u sollecitato del lato corto)
il vettore tensione `e diretto perpendicolarmente alla direzione radiale solo in corrispon-
denza degli assi
i vertici del rettangolo (dove la soluzione ingenua avrebbe localizzato le tensioni estreme)
sono invece scarichi, infatti la presenza di due bordi liberi impone che entrambe le com-
ponenti
xz
e
yz
siano nulle (la membrana `e in tale zona mantenuta orizzontale sia in
direzione x sia in direzione y).
y
x
z
b
h
H
C
B
Figura 21.28: Andamento delle tensioni tangenziali in corrispondenza degli
assi di simmetria per una sezione rettangolare con = 0.618.
Le seguenti formule, di tipo empirico ma accurate al percento, permettono di ottenere
indicazioni adeguate per eettuare la verica di resistenza a torsione della sezione rettangolare.
Le componenti signicative dello stato di tensione si possono esprimere come:

H
=
max
=
[M
z
[
hb
2
(21.23)

B
=
[M
z
[
hb
2
(21.24)
dove le quantit`a adimensionali e dipendono solo dalla forma della sezione e quindi dal
rapporto . Le seguenti espressioni (empiriche) forniscono valori con precisione dellordine del
percento:
() =
1
3 (1 + 0.6095 + 0.8863
2
1.8023
3
+ 0.9100
4
)
() =
1
2.227 (1 + 0.5775 + 0.6886
2
0.0148
3
0.0926
4
)
Il modulo di resistenza a torsione per la sezione rettangolare `e quindi:
W
0
= hb
2
(21.25)
666
21.5. TORSIONE PER UNA SEZIONE RETTANGOLARE
Per quanto riguarda la rigidezza, valutiamo momento dinerzia polare di una sezione quadrata:
J
0
=
hb
12
_
h
2
+b
2
_
Anche per la rigidezza, la sezione rettangolare ha per`o un comportamento meno preformante
della sezione circolare che ha il medesimo momento dinerzia polare. Per evidenziare questo
fatto, `e consuetudine introdurre un momento dinerzia polare equivalente che pu`o essere inter-
pretato come il momento dinerzia di una sezione circolare (o tubolare) che ha la stessa rigidezza
della sezione data. Il momento dinerzia polare equivalente `e in genere espresso come:
J
0eq
= J
0
(21.26)
in cui `e un fattore adimensionale (inferiore a 1) che dipende dalla forma della sezione (e quindi
dal parametro ) ed `e ben approssimato dalla seguente espressione:
() =

2
1 +
2
_
4
63
25
_
1

4
12
_

_
Con la rigidezza torsionale si ottiene quindi lattorcigliamento:
=
d
ds
=
M
z
G J
0eq
Nella gura 21.29 sono riportati gli andamenti dei precedenti parametri adimensionali che
forniscono lo stato di tensione e la rigidezza per generiche sezioni rettangolari.
0.0
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0
= b/h

Figura 21.29: Andamento dei principali parametri adimensionali per la


verica delle sezioni rettangolari in funzione del rapporto di lunghezza dai
lati.
La seguente tabella fornisce i valori numerici di tali funzioni.
667
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE

0.00 0.333 0.449 0.000
0.05 0.323 0.436 0.010
0.10 0.312 0.422 0.037
0.15 0.302 0.408 0.080
0.20 0.291 0.393 0.135
0.25 0.282 0.378 0.198
0.30 0.273 0.364 0.268
0.35 0.265 0.350 0.340
0.40 0.258 0.336 0.413
0.45 0.251 0.322 0.483
0.50 0.246 0.309 0.549
0.55 0.240 0.296 0.610
0.60 0.236 0.284 0.663
0.65 0.232 0.273 0.709
0.70 0.228 0.262 0.747
0.75 0.225 0.252 0.778
0.80 0.222 0.242 0.801
0.85 0.218 0.233 0.818
0.90 0.215 0.224 0.831
0.95 0.212 0.216 0.839
1.00 0.208 0.208 0.845
Tab21.1 Tabulazione dei fattori adimensionali per le veriche di resisetnza e digidezza di sezioni
rettangolari con diversi rapporti tra i lati.
21.5.2 Casi asintotici
Le condizioni estreme per i parametro di forma =
b
h
si vericano quando la sezione `e
quadrata = 1 e quando `e molto allungata 0. Lesame del primo caso `e lasciato al lettore
con il seguente istruttivo esercizio.
Esercizio 21.7: Confronto cerchio-quadrato in torsione
Una trave a mensola lunghezza l = 600 mm di sezione quadrata di alto a = 50 mm di
acciaio (E = 206 GPa, = 0.3) avente tensione ammissibile
am
= 300 MPa `e sollecitata
allestremo libero con un momento M
0
che determina solo torsione. Determinare il
massimo valore di M
0
applicabile, la rigidezza torsionale della sezione e il massimo angolo
di rotazione mutua delle sezioni di estremit`a. Valutare le stesse quantit`a per travi dello
stesso materiale che hanno la stessa lunghezza e lo stesso materiale con sezioni circolari
con le seguenti caratteristiche:
a) il diametro pari al lato del quadrato (cerchio iscritto nel quadrato)
b) lo stesso ingombro radiale (cerchio circoscritto)
c) la stessa quantit`a di materiale.
Consideriamo una sezione sezione a parte sottile (channel section) di forma rettango-
lare molto allungata tale per cui vale la condizione = b/h 0.1. Non `e dicile immaginare
668
21.6. TORSIONE DI TRAVI RICONDUCIBILI AL CASO DELLA SEZIONE RETTANGOLARE
che in tali circostanze la membrana assume la forma di una tegola che ha una forma cilindrica
per quasi tutta la sua lunghezza. La condizione critica del punto medio H `e pertanto condivisa
da gran parte dei punti dei lati lunghi della sezione. Per 0.1 `e conveniente usare le seguenti
espressioni per la resistenza:

H
=
max
= 3
[M
z
[
hb
2

B
=
[M
z
[
0.449 hb
2
e quindi:
W
0
=
1
3
hb
2
(21.27)
mentre per la rigidezza, tenendo conto delle seguenti espressioni asintotiche:
()
4
2
1 +
2

= 4
2
il momento dinerzia equivalente pu`o essere espresso come segue:
J
0eq
=
1
3
hb
3
(21.28)
21.6 Torsione di travi riconducibili al caso della sezione rettan-
golare
21.6.1 Travi a parte sottile non rettilinea
Tenendo conto dellanalogia della membrana, non `e dicile prevedere che, a parit`a di esten-
sione longitudinale h e di larghezza b, le pendenze massime e il volume sotteso dalla membrana
non sono signicativamente diverse nei casi rappresentati in gura 21.30.
a) b) c)
h
b
/
m
R h =
/ 2
m
R h =
b
b
Figura 21.30: Sezioni che hanno un comportamento torsionale simile sia per
resistenza sia per rigidezza.
Pertanto una trave ottenuta per piegatura di una lamiera sottile ha un comportamento
torsionale poco dipendente dalla forma del prolo della piegatura e, in genere, poco adatto a
resistere a momenti torcenti signicativi.
Esercizio 21.8: Confronto tra sezioni aperte e chiuse
Una trave a parete sottile `e ottenuta piegando una lamiera di spessore b = 3 mm in acciaio
(E = 206 GPa, = 0.3 e
am
= 250 MPa) come indicato in gura 21.31a) con a = 50 mm.
La lunghezza della trave `e l = 600 mm. Trascurando i raccordi, determinare:
669
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
a) il modulo di resistenza a torsione
b) la rigidezza torsionale.
Con una lamiera identica si realizza, tramite calandratura e successiva saldatura
longitudinale, una sezione tubolare come mostrato in gura 21.31b). Determinare:
1) il rapporto tra i massimi momenti torcenti che possono essere applicati alle due sezioni
2) il rapporto tra le rigidezze torsionali
3) gli angoli di rotazione relativa delle sezioni di estremit`a quando entrambe le travi sono
sottoposte al massimo momento torcente ammissibile.
a
a a a
a) b)
Figura 21.31: Sezioni aperte e chiuse realizzate con la stessa lamiera dello
stesso materiale
21.6.2 Travi composte di parti rettangolari
Molti prolati commerciali sono realizzati con forme che richiamo lassemblaggio di pi` u
rettangoli. Se, come mostrato nella gura 21.32a) i rettangoli hanno spessore diverso, lap-
plicazione diretta della soluzione ottenuta per il rettangolo non `e applicabile. Si pu`o tuttavia
ricorrere a una soluzione approssimata considerando che il momento torcente complessivo si
deve ripartire tra le parti rettangolari della sezione. Nel caso in gura 21.32a) la condizione di
equilibrio si scrive come:
M
z
= M
z1
+M
z2
in cui M
z1
e M
z2
sono le parti del momento torcente agenti sui rettangoli 1 e 2 rispettivamente.
Il problema si sposta quindi nel determinare il criterio di ripartizione.
A tale scopo notiamo che sotto carico le due sottotravi rettangolari devono rimanere con-
gruenti per cui devono avere lo stesso attorcigliamento:
M
z1
GJ
0eq1
=
M
z2
GJ
0eq2
Il momento torcente si ripartisce pertanto in misura direttamente proporzionale alla rigidezza
torsionale delle sotto-sezioni:
M
z1
= M
z
GJ
0eq1
GJ
0eq1
+GJ
0eq2
; M
z2
= M
z
GJ
0eq2
GJ
0eq1
+GJ
0eq2
670
21.6. TORSIONE DI TRAVI RICONDUCIBILI AL CASO DELLA SEZIONE RETTANGOLARE
1
2
c
a
t
d
2
H
1
H
a) b)
Figura 21.32: Sezione a T considerata un assemblato di rettangoli
Dopo aver determinato il momento agente su ognuno dei rettangoli, `e possibile individuare il
punto critico della sezione composta che sar`a uno dei punti medi dei lati lunghi dei rettangoli
costituenti: H
1
o H
2
in gura 21.32b).
La rigidezza torsionale dellintera sezione `e pertanto la somma delle rigidezze torsionali dei
rettangoli costituenti:
=
M
z
GJ
0eq1
+GJ
0eq2
Esempio 21.5: Torsione di una sezione a T
Determinare il modulo di resistenza e la rigidezza torsionale della sezione di acciaio
(E = 206 GPa, = 0.3 e
am
= 350 MPa) in gura 21.32 sapendo che: a = 50 mm,
t = 10 mm, c = 45 mm e d = 18 mm.
Per applicare direttamente le formule del paragrafo precedente deniamo: h
1
= c,
b
1
= d e h
2
= a, b
2
= t (`e necessario designare con h il lato maggiore). Nella seguente
tabella sono riportati i parametri signicativi delle sottosezioni:
i
i

i

i
J
0eqi
_
mm
4

M
zi
/M
z
1 0.4 0.258 0.413 6.548 10
4
0.817
2 0.2 0.291 0.135 1.462 10
4
0.183
Il momento dinerzia equivalente totale della sezione vale:
J
0eq
= J
0eq1
+ J
0eq2
= 8.011 10
4
mm
4
Nel modello adottato, il rettangolo 1 trasmette la parte principale del momento torcente,
essendo la sua rigidezza torsionale pi` u di 4 volte maggiore dellaltro. La tensione tangenziale
nei punti H
i
vale quindi:

H
i
=
M
z
i

i
b
2
i
h
i
=
M
z
J
0eqi
J
0eq

i
b
2
i
h
i
quindi il modulo di resistenza a torsione della sezione `e:
W
0
= min
_

i
b
2
i
h
i
J
0eq
J
0eqi
_
671
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
nel caso in esame si ha che il punto critico `e H
1
e quindi:
W
0
= min
_
4.602 10
3
, 7.97 10
3
_
= 4.602 10
3
mm
3
La rigidezza torsionale della sezione vale:
GJ
0eq
= 6.347 10
9
Nmm
2
Il procedimento di soluzione approssimato ottenuto per assemblaggio di sottosezioni rettan-
golari pu`o essere attuato in modo del tutto analogo anche se le parti sono pi` u di 2, come le
travi a doppio T. Sezioni di questo tipo hanno comunque una scarsa ecienza a torsione e
travi cos` realizzate dovrebbero essere sollecitate con tale caratteristica solo da carichi secon-
dari. Lesercizio che segue rappresenta una interessante dimostrazione quantitativa di questa
aermazione.
Esercizio 21.9: Contronto tra sezione circolare e a T
Con riferimento alla sezione a T della gura 21.32, vericare che, realizzando la trave con
una barra cilindrica dello stesso materiale, si sarebbe potuto ottenere un peso:
a) del 49% a parit`a di resistenza
b) del 54% a parit`a di rigidezza.
Nota. La soluzione cilindrica inoltre produrrebbe una riduzione anche dellingombro della
sezione oltre che dellimpiego di materiale. Il lettore pu`o esaminare una ulteriore variante
del problema che permette di ridurre ulteriormente il materiale impiegato. Si pu`o infatti
scegliere una trave tubolare a parit`a di resistenza e di ingombro. In questo caso la sezione
dovr`a avere lo stesso diametro esterno della sezione data ma spessore da determinarsi. Tale
esercizio pu`o essere inoltre eettuato anche a parit`a di rigidezza invece che di resistenza.
21.7 Travi tubolari non circolari
Come mostrato nel paragrafo precedente le sezioni dei prolati non sono adatte a trasmet-
tere carichi torsionali signicativi per cui nel caso che tale caratteristica di sollecitazione sia
prevalente `e opportuno ricorrere a travi con sezione circolare possibilmente tubolare. Vi sono
per`o situazioni in cui le travi tubolari circolari non risultano applicabili. Come mostrato nel
presente paragrafo `e comunque possibile ottenere comportamenti torsionali ecienti anche con
travi tubolari a prolo non circolare. Nella gura 21.33 `e rappresentata la geometria di una
generica sezione tubolate non circolare a cui faremo riferimento nel seguito.
In particolare, si osserva il prolo medio dello spessore (indicato dalla linea chiusa
m
)
sul quale `e ssata unorigine O da cui `e misurata lascissa curvilinea . Risulta comodo
rappresentare la sezione con un sistema di coordinate curvilinee ortogonali che deniscono la
terna cartesiana locale di versori:
e

tangente al prolo medio


e

normale al prolo medio sul piano dela sezione


672
21.7. TRAVI TUBOLARI NON CIRCOLARI
( ) t

min
t
e

z
e
O
Figura 21.33: Denizioni geometriche per una sezione tubolare non circolare.
e
z
normale al piano di sezione.
La sezione `e quindi denita completamente dalle propriet`a della curva piana
m
e dalla
funzione t () che denisce lo spessore locale (misurato in direzione ). Faremo lipotesi che, a
meno di un limitato numero di punti esista sempre una tangente alla linea media e un (univoco)
valore locale dello spessore. In corrispondenza di irregolarit`a della linea media (punto angolosi o
discontinuit`a) o dello spessore (variazioni brusche) ci comporteremo in modo analogo a quanto
fatto per le zone di singolarit`a nei solidi monodimensionali.
La teoria che segue, storicamente attribuita allingegnere tedesco Rudolf Bredt (1842-1900),
fornisce previsioni tanto pi` u valide quanto pi` u lo spessore t () `e piccolo rispetto alle propriet`a
lineari di
m
. In particolare, per ogni , lo spessore dovrebbe essere molto minore del raggio di
curvatura di
m
. Tuttavia, come siamo ormai abituati a fare, applicheremo la teoria di Bredt
per lo studio di tutte le sezioni tubolati.
21.7.1 Teoria di Bredt per la resistenza
Landamento qualitativo delle tensioni tangenziali in una sezione tubolare `e rappresentato in
gura 21.34 in modo che sia rispettata la propriet`a di tangenza ai contorni (interno ed esterno)
della sezione. La teoria di Bredt sulla torsione delle sezioni tubolari di piccolo spessore `e basata
sulle seguenti ipotesi:
lo stato di tensione `e di taglio puro in ogni punto della sezione e la componente signicativa
`e:
z
la tensione tangenziale
z
non varia in direzione della coordinata trasversale e pu`o
dipendere al pi` u solo da .
La scelta del sistema di riferimento locale manifesta quindi tutti i suoi vantaggi dato che in ogni
punto della sezione il tensore di Cauchy si pu`o scrivere semplicemente come:
S =
_
_
0 0
z
0 0
Sym 0
_
_
Si pu`o notare la coerenza delle ipotesi di Bredt con lo stato di tensione che abbiamo vericato
manifestarsi in un tubo circolare sottile infatti lunica dierenza `e una mera formalit`a dovuta
673
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
m

z
e
z

Figura 21.34: Andamento qualitativo delle tensioni tangenziali nella sezione


di Bredt
alluso della ascissa curvilinea invece che quella angolare, ma i versori locali coincidono. In
eetti, la sezione tubolare circolare sottile `e una sezione di Bredt.
Da queste ipotesi lo stato di tensione si ottiene in modo diretto sulla base di sole consi-
derazioni di equilibrio. In primo luogo osserviamo una interessante propriet`a del usso delle
tensioni tangenziali che potrebbe essere ottenuto da considerazioni matematiche di continuit`a
ma che `e pi` u istruttivo ottenere come conseguenza di una condizione di equilibrio.
Nella gura 21.35 `e mostrato lo schema di corpo libero di un sottoconcio di trave tubolare
ottenuto considerando due sezioni separate da una distanza assiale l (qualunque) e compreso
tra due valori (qualunque) dellascissa curvilinea
2
>
1
. Le uniche azioni esterne sul sotto-
concio sono le tensioni tangenziali
z
agenti sulle facce normali allasse della trave e le tensioni
tangenziali coniugate
z
agenti sulle facce che contengono le direzioni z e . Il sottoconcio
`e in equilibrio e quindi, in particolare, dovr`a essere rispettata la prima cardinale in direzione
dellasse della trave, espressa dalla relazione:

z
(
1
) t (
1
) l +
z
(
2
) t (
2
) l = 0
e quindi:
2
=
1
=
( )
1 z

( )
2 z

( )
2 z

( )
1 z

l
( )
1
t
( )
2
t
Figura 21.35: Schema di corpo libero del generico sottoconcio.

z
(
1
) t (
1
) =
z
(
2
) t (
2
)
674
21.7. TRAVI TUBOLARI NON CIRCOLARI
Dato che i due valori di sono stati scelti arbitrariamente, la precedente relazione dimostra che
il prodotto tra le tensioni tangenziali e lo spessore locale `e costante:

z
() t () =
z
(21.29)
Si nota una perfetta analogia con il usso di un uido perfetto in un canale bidimensionale se
si associa alla tensione tangenziale la velocit`a (lanalogia idrodinamica della torsione era stata
in eetti gi`a evidenziata da Gustav Robert Kirchho (1824,1887)).
La relazione precedente permette quindi di prevedere che il valore massimo della tensione
tangenziale si manifesta nei punti in cui la sezione `e pi` u stretta, per cui:

max
=
[
z
[
t
min
come illustrato nella gura 21.36.
z

max

min

Figura 21.36: Andamento delle tensioni tangenziali una sezione di Bredt in


corrispondenza dei valori estremi.
Lo stato di tensione completo `e pertanto determinato da ununica quantit`a scalare
z
che,
nellanalogia idrodinamica, corrisponde al usso o alla portata delle tensioni tangenziali. Si
pu`o prevedere che il usso
z
dipender`a (ovviamente in misura direttamente proporzionale)
dal momento torcente nonche dalle propriet`a geometriche della sezione (in particolare dalle
caratteristiche della linea media dello spessore).
Per completare la formulazione `e necessario considerare la condizione di equilibrio comples-
siva della sezione in base alla quale le tensioni agenti sulla faccia positiva della sezione nel loro
complesso devono essere staticamente equivalenti alla caratteristica di sollecitazione. Calcolia-
mo il momento risultante prodotto dalle tensioni tangenziali che circolano nella sezione rispetto
al baricentro. A tale scopo `e utile dividere la sezione in elementi rettangolari elementari che,
per ogni punto B appartenente a
m
, si estendono per lestensione dello spessore t () e hanno
laltra dimensione innitesima d, come illustrato nella gura 21.37.
Per le ipotesi di Bredt, la distribuzione delle tensioni agenti sullelemento innitesimo di
sezione t () d ha lasse centrale che passa per B e risultante:
dF =
z
() t () d
diretta tangenzialmente al contorno medio. Il contributo di dF al momento torcente si ottiene
moltiplicando dF per il relativo braccio che `e rappresentato la distanza GH del baricentro della
sezione della tangente al contorno per B. Anche il braccio dipende dalla posizione di B e, per
questo, lo indichiamo con b (). Vale quindi al relazione:
dM
z
= b ()
z
() t () d
675
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
y
x
z
G
e

d
( ) t
( ) b
m

x
z
G
B
B
y
H
Figura 21.37: Contributo dellelemento innitesimo di sezione al momento
torcente complessivo.
Leetto complessivo `e dato quindi da un integrale di linea (calcolato sul percorso medio) che,
nelle coordinate scelte, diventa un integrale in R
1
:
M
z
=
_

m
b ()
z
() t () d
Il calcolo di questo integrale non `e meno complesso di quanto potrebbe sembrare. Infatti,
considerando che il prodotto
z
() t () =
z
non dipende dalla variabile di integrazione, si
ha:
M
z
=
z
_

m
b () d
e quindi il problema `e ridotto allintegrazione lungo il percorso della distanza del baricentro
dalla tangente. Il risultato di tale integrazione ha un interessante signicato geometrico che `e
mostrato nella gura 21.38a). Indicando con C il punto del contorno medio in corrispondenza
di +d, il triangolo elementare GBC ha base d altezza `e b (), per cui la sua area dA
m
vale:
dA
m
=
1
2
b () d
`
E pertanto evidente che integrare dA
m
sul contorno medio equivale a sommare le aree di
tutti i triangoli del tipo GBC e quindi il risultato `e larea A
m
della gura piana il cui contorno
`e il prolo medio
m
, come mostrato in gura 21.38. Denendo quindi:
A
m
=
1
2
_

m
b () d
si ricava la formula di Bredt per lo stato di tensione:

z
() =
M
z
2A
m
t ()
(21.30)
Notiamo che il usso delle tensioni tangenziali (che `e costante lungo il prolo) vale:

z
=
M
z
2A
m
(21.31)
676
21.7. TRAVI TUBOLARI NON CIRCOLARI
G
( ) b
B
m
dA
m

m
A
d
C
a) b)
Figura 21.38: Signicato geometrico della quantit`a:
1
2
_

m
b () d
Il modulo di resistenza a torsione per la sezione di Bredt si esprime quindi come:
W
0
= 2A
m
t
min
(21.32)
Alle stesse formule eravamo gi`a pervenuti nel caso del tubo circolare, ma tale circostanza non
deve sorprendere dato che anche tale gura `e una trave di Bredt.
Si possono trarre le seguenti conclusioni valide in generale per sezioni tubolari sottili anche
non circolari e quindi utili nella progettazione di travi signicativamente caricate a torsione:
per ottenere la condizione di sfruttamento ottimale del materiale `e opportuno che lo
spessore della sezione sia uniforme, diversamente esister`a necessariamente qualche punto
lungo il contorno meno sollecitato rispetto alla media
ssati il materiale e lo spessore, il momento torcente massimo trasmissibile dipende solo
dallarea sottesa dal percorso medio
ssati il materiale e lo spessore, il peso della trave dipende invece dal perimetro del
percorso medio
ssato il materiale, il peso e lo spessore, e quindi il perimetro del percorso medio, la
soluzione migliore per la resistenza a torsione si ottiene massimizzando larea sottesa dal
percorso medio
dato che la circonferenza `e la gura piana che a parit`a di perimetro sottende larea mas-
sima (in base al noto problema di Didone), `e dimostrato che la sezione tubolare circolare
di piccolo spessore costante `e la migliore soluzione per trasmettere la torsione.
Possiamo quindi concludere che travi con sezioni tubolati con parete di spessore basso
e possibilmente uniforme sono indicate quando la torsione `e la caratteristica di sollecitazione
prevalente. In tali circostanze `e opportuno che il percorso medio sia scelto in modo da sottendere
la maggiore area possibile con gli ingombri disponibili.
21.7.2 Stima di Bredt della rigidezza
Per valutare la rigidezza torsionale della sezione di Bredt `e comodo ricorrere al metodo
energetico. Consideriamo una trave avente lunghezza l, incastrata a un estremo e caricata
677
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
allaltro da un momento M
0
che produce solo torsione M
0
= M
z
, Il lavoro fatto dal carico vale:
L
ext
=
1
2
M
0
(l) =
1
2
M
z
(l)
dove (l) `e la rotazione attorno a z della sezione estrema libera.
Con la formula di Bredt (21.30) `e valutabile la tensione in ogni punto della trave e quindi
anche la densit`a di energia elastica:
=

2
z
2G
per integrazione sullintera trave si pu`o valutare lenergia elastica complessivamente accumulata:
U =
l
_
0
_

dAds
Data lindipendenza della soluzione dalla coordinata curvilinea assiale s, lintegrale esterno `e
immediato:
U = l
_

dA
lintegrale sulla sezione richiede invece un po pi` u di cura. Usando le consuete coordinate locali
denite per la sezione di Bredt (gura 21.33) e assumendo, come nel paragrafo precedente,
lelemento darea dA = t () d, lintegrale sulla sezione pu`o essere ancora ricondotto a un
integrale di linea da eettuarsi sul contorno medio
m
:
_

dA =
_

m
t () d =
_

2
z
()
2G
t () d
Moltiplicando e dividendo la funzione integranda per t (), si ottiene il termine
2
z
() t ()
2
=

2
z
che, essendo costante sul contorno medio e quindi indipendente da , pu`o essere estratto
dal segno di integrazione:
_

2
z
() t ()
2
2G
1
t ()
d =

2
z
() t ()
2
2G
_

m
d
t ()
Considerando la formula di Bredt per la tensione (21.30) si ottiene:
_

dA =
1
2G
M
2
z
4A
2
m
_

m
d
t ()
e quindi lespressione per la rotazione della sezione di estremit`a:
(l) =
M
z
l
4A
2
m
G
_

m
d
t ()
Dato che nelle condizioni scelte lattorcigliamento `e costante, si ha quindi =

l
da cui si
ottiene la formula nale per la rigidezza delle sezioni di Bredt:
=
M
z
4A
2
m
G

m
d
t()
678
21.7. TRAVI TUBOLARI NON CIRCOLARI
Il momento dinerzia polare equivalente per la sezione di Bredt vale pertanto:
J
0eq
=
4A
2
m
_

m
d
t()
(21.33)
Nel caso in cui lo spessore della sezione sia uniforme t () = t
0
, lintegrale a denominatore
diventa banale, indicando con L
m
il perimetro del percorso medio, in tal caso si ha infatti:
J
0eq
=
4A
2
m
t
0
L
m
(21.34)
Possiamo concludere che la sezione tubolare circolare con spessore sottile `e ottimale anche
per la rigidezza.
Esempio 21.6: Torsione di una sezione a cassone
Determinare resistenza e rigidezza della sezione a cassone di lega leggera (E = 76 GPa,
= 0.3 e
am
= 250 MPa) rappresentata in gura 21.39 con i seguenti dati: a = 160 mm,
b = 90 mm, t
a
= 2t
b
= 6 mm.
a
b
t
a
t
b
Figura 21.39: Sezione a cassone.
Il contorno medio dello spessore `e un rettangolo di lati a t
b
e b t
a
per cui larea
sottesa `e:
A
m
= (a t
b
) (b t
a
) = 1.319 10
4
mm
2
Sono critici i punti che appartengono ai lati verticali della sezione (dove lo spessore `e
minore):
W
0
= 2A
m
t
b
= 7.913 10
4
mm
3
Il massimo momento torcente trasmissibile per lammissibilit`a del materiale in base al
modello di Tresca vale:
M
z,am
= W
0

am
2
= 9.891 kNm
Per valutare la rigidezza `e necessario determinare lintegrale:
_

m
d
t ()
= 2
_
a t
b
t
a
+
b t
a
t
b
_
= 108.3
da cui:
J
0eq
= 6.422 10
6
mm
4
679
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
e quindi la rigidezza torsionale:
GJ
0eq
= 1.877 10
11
Nmm
2
Esercizio 21.10: Caratteristiche torsionali a parit`a di ingombro e materiale
Confrontare in termini di resistenza torsionale e rigidezza torsionale le sezioni di gura
21.40 che hanno la stessa area e lo stesso comportamento essionale rispetto allasse
orizzontale.
10c
10c
c
2c
c
10c
10c
a) b)
Figura 21.40: Sezioni con lo stesso comportamento essionale rispetto
allasse orizzontale.
Esercizio 21.11: Eetto della forma del prolo medio
Piegando e saldando una lamiera di spessore t = 3 mm si ottengono le sezioni tubolari
indicate in gura 21.41, tutte con la stessa lunghezza del contorno medio: L
m
= 50t.
Determinare i rapporti tra i moduli di resistenza e tra le rigidezze torsionali rispetto ai
relativi valori massimi.
2t
t
t t
t
a) b) c) d) e)
Figura 21.41: Sezioni tubolati con vari proli medi: a) tubolare schiacciato,
b) triangolo equilatero, c) quadrato, d) esagono regolare, e) circonferenza.
680
21.8. APPLICAZIONI DELLANALOGIA DELLA MEMBRANA ALLE SEZIONI IN PARETE SOTTILE
21.8 Applicazioni dellanalogia della membrana alle sezioni in
parete sottile
Lanalogia della membrana, a cui abbiamo fatto riferimento per giusticare le formule della
torsione per le sezioni rettangolari, pu`o essere utile anche per giusticare le espressioni valide
per altre sezioni ed `e utile per prevederne il comportamento strutturale e per fare confronti. Nel
presente paragrafo si considera lapplicazione della teoria della membrana al comportamento
torsionale di sezioni in parete sottile. Si considerano sezioni in parte sottile quelle la cui
geometria `e caratterizzabile dalla linea
m
, che denisce la posizione media dello spessore,
e da uno spessore locale. Lo spessore della parete, non necessariamente costante lungo il prolo,
deve essere piccolo rispetto alle propriet`a lineari di
m
, in particoalre della sua lunghezza L
m
.
`
E
opportuno distinguere le sezioni in parete sottile che hanno il contorno chiuso (sezioni tubolari)
da quelle che hanno il contorno medio aperto.
21.8.1 Sezioni tubolari i parete sottile
Per applicare lanalogia della membrana alle sezioni tubolari `e necessario considerare che:
il dominio di interesse, quindi la regione che deve essere ricoperta dalla membrana elastica
libera, ha un contorno esterno e uno interno
entrambi i contorni sono linee di usso delle tensioni tangenziali e quindi devono essere
linee di livello (linee a quota costante) della membrana pressurizzata.
Come mostrato in gura 21.42a), lesperimento si ottiene come sempre incollando la mem-
brana elastica C equibiassialmente pretensionata su un piano rigido A sul quale `e stato praticato
un foro che ha la stessa forma del contorno esterno della sezione.
`
E pero necessario incollare
alla membrana anche un elemento rigido B che ha la forma del contorno interno della sezione.
Quando il sistema viene pressurizzato (da sotto) la membrana si deforma e, di conseguenza,
lelemento B tende a sollevarsi con un movimento rigido. Per garantire che, indipendentemente
dalla forma della membrana, il contorno interno della sezione abbia sotto pressione livello co-
stante `e necessario, come mostrato in gura 21.42b), che lelemento B sia vincolato al telaio con
una guida prismatica verticale ideale.
A
B
A
B
C
a) b)
Figura 21.42: Esperimento per lanalogia della membrana applicata a una se-
zione tubolare: a) elementi piani rigidi, b) sezione che mostra la guida verticale
dellelemento rigido interno B che deve traslare verticalmente.
Supponiamo di eseguire lesperimento per riprodurre il caso elementare di una sezione tu-
bolare circolare di piccolo spessore.
`
E intuitivo prevedere che la membrana sotto pressione si
681
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
deformi assumendo una forma conica. Indipendentemente dalla forma del contorno medio, tut-
tavia, se lo spessore della parte `e piccolo (ipotesi geometrica di Bredt) la forma della membrana
pressurizzata sar`a comunque localmente conica, come mostrato in gura 21.43. In coerenza con
le analoghe propriet`a della soluzione di Bredt, si ricava quindi che:
le linee di livello della membrana sono parallele ai contorni come le linee di usso delle
tensioni tangenziali
la pendenza massima della membrana si manifesta nella direzione normale al contorno
medio e le tensioni tangenziali sono parallele al contorno
la pendenza della membrana in direzione normale al contorno medio `e costante quindi le
tensioni tangenziali non variano nella direzione dello spessore
la pendenza massima della membrana `e inversamente proporzionale alla distanza tra i
contorni, analogamente alla legge di dipendenza della tensioni tangenziali con lo spessore
il usso delle tensioni tangenziali `e in analogia con il dislivello tra i punti B e C (lo
scorrimento assiale della guida prismatica).
A
B
C
p
Figura 21.43: Sezione della membrana anulare sotto pressione.
Dato che il momento trasmesso `e in analogia con il volume sotteso dalla membrana (che
comprende anche il volume sotto lelemento rigido B), si comprende come una sezione tubolare
sia molto pi` u eciente di una sezione equivalente ma aperta. Infatti se, come mostrato nella
gura 21.44, consideriamo una sezione equivalente aperta, anche un piccolo istmo manterrebbe
la parte interna B solidale alla parte esterna impedendone linnalzamento. In tali condizioni,
a parit`a di tensione tangenziale massima (e quindi di pendenza massima della membrana) il
momento trasmissibile, proporzionale al volume sotto la membrana, si ridurrebbe in modo
determinate.
A
B
A
B
C
a) b)
p
Figura 21.44: Dierenze nel caso di sezione analoga ma non chiusa.
682
21.8. APPLICAZIONI DELLANALOGIA DELLA MEMBRANA ALLE SEZIONI IN PARETE SOTTILE
21.8.2 Sezioni aperte in parete sottile
Usando lanalogia della membrana, `e interessante approfondire il confronto tra il comporta-
mento torsionale di sezioni in parete sottile che hanno prolo medio
m
aperto e chiuso. Fac-
ciamo in un primo tempo riferimento al pi` u semplice caso di prolo medio circolare e spessore
costante, come in gura 21.45, per poi generalizzare a geometrie pi` u complesse.
Ricordando che la pendenza massima della membrana (il modulo del gradiente) `e in ana-
logia con il valore massimo del modulo delle tensioni tangenziali e che la direzione di massima
pendenza della membrana (la direzione del vettore gradiente) `e normale alla direzione del usso
delle tensioni tangenziali stesse, deduciamo che le linee di usso delle tensioni tangenziali sono
necessariamente, per qualsiasi forma della sezione, linee chiuse. Se il prolo medio della sezione
`e una linea chiusa, le linee di usso delle tensioni si avvolgono attorno il contorno interno come
mostrato in gura 21.45a). Invece se il contorno medio `e una linea aperta le linee di usso
delle tensioni tangenziali devono chiudersi attorno al contorno medio, come mostrato in gura
21.45b).
a) b)
Figura 21.45: Andamento delle linee di tensione in sezioni: a) aperte e b)
chiuse.
Sfruttando lanalogia della membrana `e possibile quanticare anche il livello tensionale,
almeno se lo spessore locale t `e piccolo. Nel caso della sezione anulare, spessore piccolo implica
la costanza delle tensioni tangenziali nella direzione dello spessore per cui, come mostrato in
gura 21.46a), lasse centrale delle azioni agenti sullelemento di area avente lati t e d risulta
posizionato a met`a spessore. La risultante di tali azioni (per unit`a di lunghezza) ovvero il usso
delle tensioni tangenziali che scorrono nella sezione, in generale pu`o essere denita come:

z
=
t/2
_
t/2

z
d
e in questo caso vale:

z
=
z
t
Per una sezione in parete sottile con il contorno medio
m
chiuso, la grandezza
z
pu`o essere
interpretata come un vettore applicato a
m
e sempre localmente tangente, come mostrato in
21.46b). Si noti che
z
ha dimensioni
_
FL
1

e rappresenta quindi una distribuzione lineare


di forza che, in eetti, nel caso in esame `e applicata a tutti i punti di
m
.
Come gi`a osservato, il momento risultante prodotto dalla distribuzione di
z
agente sul-
la sezione e quindi anche della distribuzione di
z
agente sul contorno medio, `e dato dalla
relazione (21.31) qui riscritta:
M
z
= 2A
m

z
683
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
m

a) b)
t
e

z
e
Figura 21.46: Eetto delle tensioni tangenziali per una sezione anulare sottile
ridotto alla sua risultante applicata allasse centrale.
e, nellanalogia della membrana,
z
`e il prodotto della pendenza della membrana per lo spesso-
re della parete, rappresenta il dislivello tra il bordo interno e quello esterno, il quale `e costante
lungo il contorno. Da questo si comprende come la quantit`a A
m

z
sia in analogia con il volume
sotteso dalla membrana quando questultima `e pressurizzata.
La situazione cambia sostanzialmente nel caso di sezione con prolo aperto. Nellipotesi
che lo spessore sia piccolo rispetto alle propriet`a geometriche della linea media del prolo (in
particolare al suo raggio di curvatura), come nel caso evidenziato per le sezioni rettangolari
sottili, la membrana assume localmente una forma a tegola cilindrica. Il rigonamento `e quindi
caratterizzato da un massimo centrale con pendenze di segno opposto dai due lati. Il usso
globale delle tensioni nello spessore `e nullo e tensioni tangenziali in una parte dello spessore
circolano in un verso mentre nellaltra hanno verso contrario. Il sistema di forze parallele
agenti sullelemento innitesimo td ha pertanto risultante nulla ed equivale a una coppia. La
pendenza della membrana ha un andamento lineare nella direzione trasversale e

al contorno
medio, e assume il valore nullo in corrispondenza del centro, come illustrato in gura 21.47a).
m

a) b)
2
3
t
t
z

Figura 21.47: Eetto delle tensioni tangenziali per una sezione sottile aperta
in cui le azioni tangenziali locali sono state ridotte a una coppia equivalente di
vettori usso.
684
21.8. APPLICAZIONI DELLANALOGIA DELLA MEMBRANA ALLE SEZIONI IN PARETE SOTTILE
Il valore del usso che attraversa met`a spessore della parete:

z
=
t/2
_
0
[
z
[d
vale:

z
=
[
z,max
[
2
t
2
=
1
4
[
z,max
[ t
Considerando che il centro di spinta di una distribuzione triangolare applicata su un segmento
di lato l `e localizzato a 2l/3 dal punto di zero, il contorno della linea su cui il usso di
z
`e
applicato racchiude un regione la cui area `e circa pari a:
A
0

=
2
3
A
Nel caso di sezione con spessore costante si ha quindi:
A
0

=
2
3
L
m
t
in cui L
m
`e la lunghezza del prolo medio. Larea racchiusa dalla linea di applicazione del usso

z
`e in eetti un po minore di
2
3
A dato che alle estremit`a del contorno medio la forma della
membrana non pu`o essere cilindrica. Per tener conto di questo, nel caso di sezione con spessore
costante si pu`o migliorare i modello considerando larea sottesa data dallespressione:
A
0

=
2
3
(L
m
t) t
Si noti peraltro che la correzione non `e quantitativamente signicativa se: t L
m
. Per una
sezione in parete sottile la relazione di Bredt:

z
=
M
z
2A
0
ha pertanto validit`a generale se si interpreta A
0
come larea racchiusa dalla linea a cui `e
applicata
z
. Pertanto si ricava:

z,max
=
4
z
t
min
=
2M
z
A
0
t
min
dove t
min
`e il minino valore dello spessore. Il modulo di resistenza a torsione vale quindi:
W
0
=
A
0
t
min
2
(21.35)
Per la rigidezza torsionale di una sezione in parete sottile, si pu`o adottare la seguente relazione
approssimata che fornisce il momento dinerzia polare equivalente:
J
0eq
=
4A
2
0
_

m
d
t()
(21.36)
la quale, nel caso di spessore costante diventa:
J
0eq
=
4A
2
0
t
L
m
con L
m
la lunghezza del prolo medio nello spessore.
685
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
Esercizio 21.12: Sezione rettangolare soluzione approssimata
Confrontare la soluzione ottenuta nel presente paragrafo con la soluzione presentata per la
sezione rettangolare considerando diversi rapporti tra i lati.
Esercizio 21.13: Sezioni aperte irregolari e confronti
Stimare la resistenza torsionale e la rigidezza torsionale delle sezioni di acciaio illustrate
in gura 21.48 con i seguenti dati: L
m
= 120mm, t
1
= 10mm, t
2
= 18mm; R
1
= 45mm,
R
2
= 60mm, e = 6mm. Nel caso della sezione a) confrontare il risultato con quello di una
sezione rettangolare avente la stessa altezza e la stessa area. Nel caso b) confrontare la
soluzione con una sezione chiusa avente la stessa forma.
m
L
1
t
2
t
2
R
1
R
e
a) b)
Figura 21.48: Sezioni aperte a parete sottile
21.9 Eetti locali
Per la simmetria del tensore di Cauchy, in corrispondenza dei vertici delle sezioni rettango-
lari le tensioni tangenziali sono nulle. Per lo stesso motivo la tensione tangenziale `e nulla in
corrispondenza di ogni vertice esterno per qualunque sezione in torsione per qualsiasi angolo
formato dai lati che vi convergono, come, per esempio, in una sezione esagonale piena o nel
punto B di gura 21.49. In corrispondenza di tali zone, infatti, la membrana `e tenuta incollata
in due direzioni distinte e quindi `e costretta ad arrivare nel vertice con pendenza nulla da tutte
le direzioni. La soluzione ha invece caratteristiche completamente diverse nel caso di vertici
rientranti, come per esempio il punto C nella gura 21.49. Indichiamo come rientrante un
vertice per cui langolo misurato nella regione dove vi `e materiale `e concavo, ovvero > (nel
punto C tale angolo `e circa 270

).
La soluzione analitica del problema della torsione mostra infatti che in corrispondenza di
concavit`a lo stato tensionale locale `e in generale pi` u intenso. In particolare, se il vertice rien-
trante ha raggio di raccordo R
0
nullo, il valore teorico della tensione diventa singolare, ovvero
tende a innito al vertice. Per rendersi conto di questa situazione si pu`o pensare allandamento
della membrana che in tali zone presenta eettivamente una partenza brusca e quindi una pen-
denza iniziale innita (si dimostra infatti che indicando con r la distanza dal vertice, laltezza
686
21.9. EFFETTI LOCALI
B
C
H
C

Figura 21.49: Sezione circolare con scanalatura longitudinale.


della membrana `e asintoticamente dato da una relazione tipo C r
m()
con lesponente m < 1
che dipende allangolo ).
Il signicato sico di tali singolarit`a e il modo con cui tenerne conto nella verica strut-
turale `e un problema non semplice che supera i limiti del presente corso e sar`a approfondito
adeguatamente nei successivi insegnamenti di costruzioni meccaniche. Con le attuali conoscenze
possiamo peraltro prevedere che si tratta di una problematica del tutto simile a quella esaminata
nel caso degli spallamenti degli alberi nel capitolo 19.
Poiche generalmente i materiali strutturali hanno una certa duttilit`a (vedi capitolo 18),
picchi di tensione molto localizzati non sono in eetti pericolosi se la trave `e sottoposta a
carichi statici. In eetti, nei pressi dellapice di un intaglio acuto il materiale supera localmente
la condizione di primo snervamento e manifesta una localizzata plasticit`a che limita lo stato
tensionale al livello dello snervamento. Se tale processo interessa una piccola frazione del volume
(in questo caso sarebbe in eetti una piccola zona della sezione della trave) `e generalmente
tollerato sia per la resistenza sia per la rigidezza. Se viceversa si adottano materiali fragili,
come i ceramici o gli acciai temprati, la questione diviene molto pi` u critica. Infatti in tal caso
il materiale non ha signicative capacit`a di deformarsi plasticamente e raggiunta la tensione
massima si rompe. La decoesione che si produce anche se molto localizzata genera di solito una
fessura che riduce ulteriormente lo spessore locale della sezione e generalmente `e caratterizzata
da un apice con raccordo ancora pi` u severo dellintaglio di partenza. In genere quindi per un
materiale fragile il superamento locale delle condizioni di resistenza del materiale induce un
fenomeno di rottura di tipo catastroco che interessa lintero componente anche se il resto del
materiale della sezione era, prima dellinnesco, molto meno sollecitato. Eetti pericolosi dei
picchi locali si hanno anche nei materiali duttili quando i carichi sono ripetuti (fenomeno della
fatica) oppure quando sono applicati repentinamente (in caso di urto).
Per le nalit`a del presente corso, si pu`o fare riferimento alle seguenti considerazioni valide
in generale per le sezioni in torsione:
vertici rientranti generano condizioni di locale sovrasollecitazione per cui `e prevedibile che
il punto critico della sezione sia uno di essi piuttosto che il punto determinato sulla base
delle considerazioni nora svolte (nel caso di gura 21.49 per esempio, il punto critico `e
sicuramente C e non H)
lo stato di tensione tangenziale determinato con la teoria proposta nora nel presente
capitolo (che non considera gli eetti di intaglio) `e comunque utile anche se si vogliono
considerare i picchi locali e per lattuale corso sar`a comunque considerata suciente; in
altri termini sar`a per ora consentito vericare la sezione di gura 21.49 considerando
critico il punto H con limplicita assunzione di impiegare materiali duttili e con carichi
non ciclici e non impulsivi
687
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
se invece `e necessario avere almeno una stima delle tensioni estreme in corrispondenza
degli spigoli rientranti (per esempi `e noto che il materiale della trave `e fragile) si pu`o
correggere la tensione nominale (ottenuta localmente senza considerare gli spigoli) con
opportuni fattori geometrici (fattori di intaglio) reperibili in articoli scientici e testi
specici.
Nellultimo caso `e spesso suciente eettuare una stima per la quale si pu`o fare riferimento
alle seguenti considerazioni:
il picco di tensione `e limitato (ovvero la soluzione non `e singolare) se vi `e un raccordo di
raggio R
0
non nullo in corrispondenza del vertice rientrante
il valore del picco di tensione `e in generale dominato dal valore di R
0
ed `e elevato se il
raggio `e piccolo
quando anche gli eetti locali sono importanti, nella progettazione la cura per i dettagli
geometrici locali come R
0
diventa fondamentale
la presenza di picchi locali nei vertici rientranti non produce comunque un signicativo ef-
fetto sul comportamento deformativo globale della sezione, pertanto la rigidezza torsionale
della trave pu`o essere stimata con buona approssimazione trascurando gli eetti locali.
Per denire una procedura approssimata con cui stimare i picchi nel caso di materiali fragili
`e opportuno distinguere i seguenti casi:
a) spigoli rientranti in sezioni in cui lo spessore `e piccolo rispetto al diametro della sezione,
come avviene nei prolati dellesempio di gura 21.50a)
b) spigoli rientranti in sezioni massive, come nel caso di gura 21.50b) che mostra un ingran-
dimento di una sezione sul contorno della quale `e presente una cava profonda c raggiata sul
fondo; c deve essere signicativamente minore della dimensione caratteristica della sezione
(per esempio se la sezione `e cilindrica il raggio c R, se `e un tubolare o un prolato lo
spessore locale c t)
Il primo passo per la determinazione della tensione tangenziale massima che si manifesta
nel punto H consiste nel determinare la tensione tangenziale nominale
nom
che rappresenta
la tensione tangenziale che si avrebbe nella zona in assenza di eetti locali. Nel caso di parte
sottile,
nom
si pu`o ottenere con le formule sviluppate per le sezioni prolate o rettangolari
mentre nel caso della sezione massiva la tensione nominale pu`o essere assunta pari al valore
che si avrebbe sulla supercie libera in assenza dellintaglio (la
z,max
nel caso di una sezione
circolare).
0
R
a) b)
t
t
H
0
R
c
H
Figura 21.50: Sezioni tipiche con vertici rientranti: a) sezione in parete
sottile: prolato a C b) sezione massiva con intaglio superciale.
688
21.9. EFFETTI LOCALI
Il valore massimo della tensione si ottiene quindi con la relazione:

max
=
H
= k
nom
dove il fattore k, chiamato coeciente dintaglio, `e un numero puro che nei due casi esaminati
`e dato dalle seguenti relazioni:
caso a): k
a
(R
0
, t) = max
_
1.74
3
_
t
R
0
; 1
_
(21.37)
caso b): k
b
(R
0
, c) = 1 + 2
_
c
R
0
(21.38)
Per entrambi i casi, `e interessante notare che il coeciente di intaglio risulta molto inuen-
zato dal raggio di raccordo quando questo `e piccolo rispetto alla dimensione caratteristica della
geometria dellintaglio. Gli esempi che seguono illustrano alcune applicazioni di queste formule.
Esempio 21.7: Intaglio in una sezione a L
Una trave con sezione a L come in gura 21.51 (t = 5 mm, a = 30 mm) deve essere realiz-
zata con un materiale ceramico che sopporta una tensione normale massima
am
= 5 MPa.
Determinare come il massimo momento torcente applicabile dipende del raggio di raccordo
dello spigolo rientrante nellintervallo 0 < R
0
< 2t.
a
a
t
t
H
B
0
R
Figura 21.51: Sezione a L di materiale ceramico.
Per un materiale in condizioni di taglio puro la tensione normale massima `e per ogni
punto in modulo pari alla tensione tangenziale massima per cui la condizione ammissibile
in questo caso diventa:

max
=
am
La tensione nominale massima pu`o essere ottenuta con le formule per la sezione rettangolare
lunga:
W
0
= 3 (2a t) t
2
in assenza di eetti locali la sezione sarebbe quindi in grado di trasmettere un momento
torcente pari a:
M
z,max
=
am
W
0
= 20.63 Nm
Dato il tipo di materiale, `e per`o opportuno considerare anche i picchi. Il punto H `e
sicuramente il punto critico perche gli altri spigoli non sono rientranti (quindi non serve
689
21. TRAVE SOGGETTA A TORSIONE
raccordarli). Il rapporto tra il momento trasmissibile rispetto al massimo ottenibile `e
espresso dalla relazione:
M
z,am
(R
0
) =
M
z,max
k
a
(R
0
, t)
Il risultato con t = 5 mm `e rappresentato nella gura 21.52.
0 0.5 1 1.5 2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
( )
, 0
,
z am
z max
M R
M
0
/ R t
Figura 21.52: Eetto di indebolimento prodotto dal raccordo.
Osserviamo che anche un raggio di raccordo relativamente dolce R
0
= t determina un
quasi dimezzamento della resistenza della sezione. Se il raccordo fosse R
0
= 1 mm la sezione
avrebbe una resistenza ridotta a 1/3.
Esempio 21.8: Cava di linguetta
Determinare leetto di indebolimento prodotto da una cava di linguetta UNI 6604 Forma
A in un albero di acciaio avente diametro 2R = 50 mm nel caso di materiale fragile in
condizioni di carico statico.
H
B
0
R
c
R
Figura 21.53: Sezione corrente di un albero con tipica cava di linguetta UNI
6604 Forma A.
690
21.9. EFFETTI LOCALI
Dalla norma ricaviamo che, compatibilmente con le tolleranze, la profondit`a della cava
`e 5.50 c 5.70 mentre il raccordo 0.25 R
0
0.40 (quote espresse in mm).
Il caso in esame `e simile allintaglio di tipo b, ttuativa pu`o notare che la forma della cava
non `e esattamente quella rappresentata nella gura 21.50b) perche langolo dellintaglio
nella cava di linguetta, `e di 270

. Per si pu`o dimostrare che la formula proposta per il


coeciente di intaglio (che si riferisce a angoli di 360

) `e cautelativa, per cui possiamo


considerare che la riduzione di resistenza dvuto agli eetti locali `e non maggiore di:
M
z,am
M
z,max
=
1
k
b
(R
0
, c)
=
1
1 + 2
_
c
R
0
Si ha quindi:
per la situazione pi` u favorevole c = 5.5 mm, R
0
= 0.40 mm:
M
z,am
M
z,max
0.12
per la situazione peggiore c = 5.7 mm, R
0
= 0.25 mm:
M
z,am
M
z,max
0.095
In base alla valutazione, la presenza della cava riduce quindi la resistenza torsionale
dellalbero circa di un ordine di grandezza. La valutazione eettuata `e sicuramente caute-
lativa sia per la modellazione della geometria dellintaglio sia per aver trascurato eventuali
eetti beneci della duttilit`a del materiale. Tuttavia il risultato `e utile come anticipazione
per futuri approfondimenti poiche evidenzia limportanza che, nella progettazione mecca-
nica, deve essere dedicata alle caratteristiche (non elastiche) di duttilit`a del materiale e ai
dettagli locali della geometria, in particolare in presenza di carichi aaticanti. Il lettore pu`o
confrontare tale risultato con la resistenza di un albero cilindrico avente diametro dato da
2R c, ovvero considerando la riduzione della sezione resistente prodotto dalla cava senza
eetto di intaglio.
691
Capitolo 22
Trave soggetta a taglio
In questo capitolo `e trattato il comportamento tensionale e deformativo delle travi retti-
linee soggette a taglio. La soluzione analitica di questo problema, anche limitata allambito
dellelasticit`a lineare, pu`o essere ottenuta per una sezione di forma qualunque solo integrando
una equazione dierenziale alle derivate parziali, similmente al caso generale della torsione. Ri-
nunciando quindi alla soluzione generale che non ha una grande valenza applicativa, il capitolo
sviluppa metodi approssimati adatti pr eeturare veriche di resistenza e rigidezza per le se-
zioni pi` u comuni. Nella prima parte `e analizzato il comportamento della sezione rettangolare
che rappresenta lunico caso in cui `e disponibile una soluzione analitica semplice. Estendendo
tale risultato `e possibile ottenere un modello approssimato applicabile in altri casi di pratico
interesse che comprendono le sezioni circolari e tubolari nonche le sezioni a parete sottile a cui
possono essere ricondotte travi con ampia diusione come tubi e prolati.
Fortunatamente gli eetti tensionali e soprattutto deformativi dovuti al taglio sono rara-
mente signicativi nelle veriche strutturali di elementi travi. Questo risultato, ampiamente
discusso nel capitolo, consente di dare validit`a allapplicazione di metodi semplicati.
Nellultima parte del capitolo `e fatto cenno al problema generale del taglio mediante lesame
delleetto di accoppiamento con la caratteristica torsionale che si verica quando la sezione
non `e simmetrica.
22.1 La prova di taglio
I precedenti capitoli, nei quali `e stato esaminato il comportamento delle travi sottoposte
alle altre caratteristiche di sollecitazione, sono stati preceduti dallesame di un esperimento di
riferimento in cui il tratto di interesse della trave, avente sezione uniforme, asse rettilineo e
lunghezza nita, `e sottoposto alleetto di azioni esterne applicate agli estremi in modo tale
che la zona di interesse fosse interessata solo alle azioni interne prodotte dalla caratteristica in
esame. Purtroppo questo esperimento non `e realizzabile per il taglio non solo sicamente ma
anche idealmente.
Consideriamo la trave rettilinea a mensola di gura 22.1 soggetta alla caratteristica di
sollecitazione uniforme e pari a:
T
y
(s) = F
Questa congurazione sperimentale rappresenta pertanto quanto di meglio si possa ottenere
per esaminare gli eetti del taglio T
y
se si trascurano, come al solito, i conci vicini dalle
estremit`a (le zone di estinzione di De Saint Venant). Tuttavia, il comportamento tensionale e
deformativo di tale trave `e necessariamente inuenzato anche dalla caratteristica essionale M
x
,
come dimostrano i diagrammi delle caratteristiche riportati in gura 22.2. Tutti i conci della
693
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
l
F
y
x
z
Figura 22.1: Esperimento del taglio
trave sono eettivamente sollecitati dallo stesso taglio T
y
(s) = F ma, se si esclude lestremo
libero, che peraltro `e in zona di estinzione, nessun concio `e sottoposto solo a taglio. Questo
risultato `e conseguente al fatto che taglio e essione sono connessi dalla relazione di equilibrio
indenita del concio:
T
y
=
dM
x
ds
(22.1)
che `e valida per ogni concio (sul quale non agisca alcun carico di momento distribuito) e che
a)
b)
y
T
F +
Fl
x
M
y
x
z
s
Figura 22.2: Caratteristiche di sollecitazione indotte nella mensola dal carico
trasversale: a) taglio uniforme, b) essione variabile lungo lasse.
`e stata discussa e sistematicamente usata nello studio dei solidi monodimensionali nei capitoli
precedenti. Ne risulta che leetto del taglio `e sistematicamente accompagnato da quello es-
sionale. Sappiamo peraltro che, nel caso di gradiente non elevatissimo di momento ettente
e fuori dalle zone di estinzione, gli eetti della essione per una trave con asse rettilineo di
materiale elastico sono deducibili dalla formula di Navier (capitolo 20). In generale infatti, nella
sezione corrente, lo stato di tensione dovuto alla essione `e monoassiale e dato da una distri-
buzione lineare in x e y di
zz
. Leetto deformativo della essione consiste nellincurvamento
della linea dasse con la conservazione delle sezioni piane normali allasse deformato (lipotesi
di Eulero-Bernoulli `e corretta per la essione). La conseguente trasformazione dei conci in ele-
menti con lati superiore e inferiore curvi e le sezioni piane `e nota. Siamo pertanto in grado di
separare a posteriori gli eetti tensionali e deformativi di taglio e essione che nellesperimento
di riferimento rappresentato in gura 22.1 sono sovrapposti.
694
22.2. LA SEZIONE RETTANGOLARE
22.2 La sezione rettangolare
Consideriamo una trave rettilinea a mensola come nellesperimento di gura 22.1 con la
sezione rettangolare uniforme di lati b h rappresentata in gura 22.3a), ci proponiamo di
prevedere leetto tensionale prodotto dal solo taglio. Lo stato di tensione dovuto alla essione
per una sezione generica `e dato da:

zz
=
M
x
J
x
y = 12
M
x
bh
3
y
Per lequilibrio globale, `e necessario che la distribuzione dei vettori tensione agenti sulla faccia
positiva della sezione corrente debba avere risultante in direzione y. Le componenti normali
sigma
zz
della essione non danno alcun contributo ed `e quindi necessario che sulla sezione si
manifestino componenti tensionali di tipo
zy
. In particolare deve essere soddisfatta la relazione
(prima cardinale):
T
y
=
_

yz
dxdy =
yz
) A
in cui
yz
) indica il valore medio della tensione tangenziale nella sezione e A = bh larea della
sezione stessa.
Analizziamo la soluzione pi` u semplice che consiste nellassumere la componente tensionale

zy
uniforme nella sezione, come illustrato nella gura 22.3b).
y
x
z
yz

yz

zy

B
y
x
b
z
h
a) b)
Figura 22.3: Sollecitazioni indotte dal taglio: a) sezione rettangolare e b)
ipotesi tensionale elementare
Si verica per`o immediatamente che tale distribuzione viola condizioni di equilibrio locale.
La simmetria del tensore di Cauchy impedisce infatti che la componente tensionale
zy
si
manifesti in corrispondenza dei lati del contorno paralleli a x. Analogamente a quanto visto per
la torsione, possiamo quindi concludere che, qualunque forma abbia la sezione:
`e possibile che su una sezione corrente di trave si manifestino tensioni tangenziali
non nulle, ma, in corrispondenza dei bordi liberi, possono agire solo componenti
parallele al contorno stesso.
Dato pertanto che le tensioni tangenziali
zy
devono annullarsi per y =
h
2
e per y =
h
2
,
allinterno della sezione esse dovranno assumere un massimo maggiore del valor medio:

yz,max
>
yz
)
Lipotesi di tensione uniforme quindi, oltre che non essere localmente equilibrata, non appare
nemmeno cautelativa.
695
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
Per superare questa dicolt`a, lo scienziato russo Dimitrii Ivanovich Jourawski (1821-1891)
assunse che per il caso esaminato la tensione non variasse in direzione x ma solo in direzione y.
In forma analitica, lipotesi di Jourawski si scrive quindi come:

yz
=
yz
(y)
e, in forma graca `e illustrata in gura 22.4.
( )
yz
y
y
x
z
Figura 22.4: Ipotesi di Jourawski per la sezione rettangolare
Per ottenere la dipendenza delle tensioni tangenziali dalla posizione y si ricorre a un approc-
cio simile a quello adottato per la formula di Bredt nel capitolo 21. Come mostrato in gura
22.5, per un concio di trave di estensione assiale (generica) s, consideriamo il sotto-concio
rappresentato da tutti i punti che hanno ordinata maggiore di un livello pressato: y > y

.
Indicheremo con lapice tutte le grandezze che si riferiscono al sottoconcio, in particolare la
sezione corrente:

.
( )
zy
y
y
x
y

s
z
Figura 22.5: Sottoconcio di trave ottenuti considerando i punti che hanno
ordinata maggiore di un livello pressato.
Come si vede in gura 22.5, sulla supercie superiore del sottoconcio, la cui area `e b
s, agisce la (sola) componente tensionale tangenziale
zy
(rappresentata positiva) e questa `e
uniformemente distribuita perche:
non dipende da s dato che taglio e sezione non cambiano lungo lasse e quindi tutti i conci
sono sollecitati nello stesso modo dal taglio
696
22.2. LA SEZIONE RETTANGOLARE
non dipende da x perche
zy
`e coniugata di
yz
la quale `e costante sulla corda per lipotesi
di Jourawski.
Indichiamo quindi tale tensione come:

yz
_
y

_
allo scopo di esplicitare il fatto che in genere si ottiene un valore che dipende dalla posizione y

del taglio.
Appare evidente che, se sul sottoconcio agissero solo componenti tangenziali, la prima cardi-
nale in direzione z non sarebbe soddisfatta.
`
E quindi necessario considerare il contributo anche
delle altre azioni assiali che non possono derivare direttamente dalleetto del taglio. Lappa-
rente contraddizione si risolve tenendo conto che la presenza del taglio impone lesistenza di
un gradiente assiale di momento ettente, come indicato dalla relazione (21.1). Ne consegue
che i momenti dovuti alla essione agenti sulle due sezioni del concio devono essere diversi.
Leetto sul sottoconcio del gradiente assiale del momento ettente `e illustrato in gura 22.6. Si
osservi che nella gura `e stata riprodotta una condizione di sollecitazione generica con tutte le
quantit`a rappresentate considerate positive allo scopo di facilitare lottenimento della formuala
in senso algebrico. Lo schema di corpo libero di un generico concio di trave dellesperimento
avrebbe dovuto considerare che il momento ettente `e negativo ma i risultati che si ottengono
sono identici.
y
x
z
y
s
( )
zy
y
( )
zz
s ( )
zz
s s +
( )
zy
y

s
( )
zz
s s +
( )
zz
s s +
a) b)
Figura 22.6: Sottoconcio con leetto di tutte le azioni esterne che han-
no componente assiale assunte positive: vista di anco; b) rappresentazione
assonometrica.
Usando la formula di Navier per valutare gli eetti della essione, imponiamo la prima
cardinale del sottoconcio in direzione z:

M
x
(s)
J
x
ydxdy +
_

M
x
(s + s)
J
x
ydxdy bs
zy
_
y

_
= 0
in cui J
x
`e il momento dinerzia dellintera sezione (nel caso specico J
x
=
bh
3
12
). Si ricava
quindi:

zy
_
y

_
=
1
bs
_

M
x
(s + s) M
x
(s)
J
x
ydxdy
Considerando che i momenti M
x
non dipendono dalle varabili di integrazione (il momento
697
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
ettente cambia lungo lasse ma ha un valore unico per ogni sezione), si ottiene:

zy
_
y

_
=
1
bJ
x
M
x
(s + s) M
x
(s)
s
_

ydxdy
Osserviamo che:
il rapporto
M
x
(s+s)M
x
(s)
s
`e semplicemente il taglio: T
y
lintegrale `e il momento statico rispetto allasse centrale principale dinerzia x della
sottosezione

(vedi appendice D) e pertanto lo esprimiamo formalmente come S

x
.
Si ottiene quindi la seguente formula di Jourawski

yz
_
y

_
=
zy
_
y

_
=
T
y
S

x
bJ
x
(22.2)
La tensione tangenziale `e quindi variabile perche il momento statico S

x
dipende dalla posi-
zione y

. Prima di esplicitare la dipendenza dai parametri geometrici della sezione rettangolare


osserviamo che, in coerenza con quanto richiesto:
per y

=
h
2
la sottosezione

degenera in un segmento e il relativo momento statico si


annulla
per y

=
h
2
la sottosezione

coincide con lintera sezione corrente il cui momento


statico `e nullo perche lasse x `e centrale.
Esempio 22.1: Formula di Jourawski per la sezione rettangolare
Esplicitare la formula di Jourawski per la sezione rettangolare, determinando il valore
massimo della tensione tangenziale e i punti critici sulla sezione per gli eetti del taglio.
y
x
y

2
h
z
h
b
G
G
y

Figura 22.7: Sezione e sottosezione rettangolare
Con riferimento alla gura 22.7, il momento dinerzia dellintera sezione `e J
x
=
bh
3
12
, e
lordinata del baricentro G

della sottosezione

che ha area A

= b
_
h
2
y

_
vale:
y
G
=
1
2
_
h
2
+y

_
698
22.2. LA SEZIONE RETTANGOLARE
per cui:
S

x
_
y

_
= A

G
=
1
2
_
_
h
2
_
2
y
2
_
La componente
yz
ha la seguente espressione:

yz
_
y

_
=
T
y
S

x
bJ
x
=
3
2
T
y
bh
_
1
_
y

h/2
_
2
_
=
3
2

yz
)
_
1
_
y

h/2
_
2
_
Le tensioni tangenziali
yz
hanno ladamento parabolico che `e mostrato nella gura 22.8.
( )
yz
y
y
x
y
x
z
z
H
a) b)
yz

Figura 22.8: Andamento delle tensioni tangenziali


yz
dovute al taglio T
y
nella sezione rettangolare: a) qualitativo b) prolo quantitativo
Risultano critici tutti i punti appartenenti allasse x.
La formula ottenuta nel precedente esempio 22.1 fornisce la tensione tangenziale in funzione
della posizione nella sezione. Usando direttamente la variabile y invece della equivalente y

,
possiamo semplicare lespressione come segue:

yz
(y) =
3
2
T
y
A
_
1
_
y
h/2
_
2
_
=
3
2

yz
)
_
1
_
y
h/2
_
2
_
(22.3)
`
E stato dimostrato che per la sezione rettangolare la soluzione ottenuta in base alla formula di
Navier e allipotesi di Jourawski soddisfa le equazioni di equilibrio, di congruenza e costitutive
per la trave elastica rettangolare in regime di piccoli spostamenti e deformazioni (fuori dalle
zone di estinzione) per cui `e la soluzione del problema proposto.
Valgono le seguenti considerazioni:
la tensione tangenziale massima dovuta al taglio si verica in corrispondenza dei punti
dellasse x
la distribuzione di
yz
(y) ha un andamento parabolico e quindi il valore massimo `e pari a
3/2 del valore medio
lo stato di tensione prodotto dalla caratteristica T
y
dove non nullo `e di taglio puro in tutto
il volume della trave (con intensit`a non uniforme)
699
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
si verica una condizione di complementariet`a da considerarsi favorevole per la resistenza,
infatti la caratteristica associata della essione ha i punti pi` u sollecitati collocati dove
gli eetti tensionali prodotti dalla caratteritica taglio sono nulli e, viceversa, le tensioni
massime dovute al taglio si manifestano nei punti dellasse neutro per la essione.
Indicando con
max
il valore estremo del modulo delle tensioni tangenziali dovute al taglio, per
la sezione rettangolare possiamo scrivere:

max
=
3
2
[T
y
[
A
per cui il modulo di resistenza al taglio per il rettangolo vale:
W
T
=
2
3
A
Generalizzando, per una sezione di forma qualunque la tensione tangenziale massima dovuta
al taglio `e espressa dalla relazione:

max
=
[T
y
[
A
(22.4)
con lintroduzione del fattore di resistenza al taglio un parametro adimensionale che
dipende dalla forma della sezione ed `e necessariamente maggiore di 1. Per una generica sezione,
il modulo di resistenza al taglio si pu`o esprimere come:
W
T
=
A

(22.5)
relazione che dimostra come, in coerenza con tutte le altre caratteristiche di sollecitazione, an-
che per il taglio, la tensione massima dipenda solo da propriet`a geometriche e non costitutive.
Come per la forza normale, il modulo di resistenza a taglio `e proporzionale allarea della se-
zione e quindi alla sua estensione, tuttavia in questo caso la presenza del fattore esplicita la
dipendenza anche dalla forma.
`
E interessante osservare che il fattore `e uguale a
3
2
per tutte le
sezioni rettangolari, indipendentemente dal rapporto tra i lati. Ne consegue che, per esempio,
per una mensola con sezione rettangolare (non quadrata), come in gura 22.1 le tensioni mas-
sime
zz
possono dipendere marcatamente da come `e orientamenta lellisse dinerzia rispetto
allasse della forza applicata mentre le tensioni tangenziali massime dovute al taglio non ne
risentono.
In un problema tridimensionale, se la sezione rettangolare `e sottoposta a entrambe le com-
ponenti di taglio T
y
e T
x
la soluzione si pu`o ottenere per sovrapposizione degli eetti. In tal
caso si manifestano infatti anche componenti:

xz
(x) =
3
2
T
x
A
_
1
_
x
b/2
_
2
_
=
3
2

xz
)
_
1
_
x
b/2
_
2
_
e il punto pi` u sollecitato `e il baricentro dove:

max
=
3
2
_
T
2
x
+T
2
y
A
700
22.3. LA TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO
Esercizio 22.1: Resistenza a taglio di una sezione quadrata
Data una mensola avente sezione quadrata di lato a, caricata come in gura 22.1 ma con
una forza F che forma un anglo con il semiasse positivo dellasse x. Determinare in
funzione dellangolo il modulo di resistenza a taglio:
W
T
() =
F

max
22.3 La teoria approssimata del taglio
La formula di Jourawski, che prevede in modo corretto le tensioni tangenziali per una
sezione rettangolare, pu`o essere estesa anche ad altre sezioni. Essendo basata su una condizione
di equilibrio complessiva del sottoconcio che ha validit`a generale, la formula fornisce previsioni
sulle tensioni dovute al taglio che sono corrette in media. Tuttavia, lipotesi che le tensioni
tangenziali siano costanti su tutto il segmento di separazione del sottoconcio non sempre `e
vericata e quindi la soluzione pu`o non essere accurata puntualmente. Per certe sezioni `e
opportuno scegliere la forma del sottoconcio in modo opportuno allo scopo di ottenere previsioni
pi` u precise, come dimostrano i prossimi sottoparagra.
Dato che, in genere, il soddisfacimento puntuale delle equazioni dellelasticit`a non `e garantito
da un procedimento che impone solo una condizione di equilibrio per una porzione macrosco-
pica, lapplicazione della formula di Jourawski alle sezioni non rettangolari `e chiamata teoria
approssimata del taglio.
22.3.1 Sezione circolare
La sezione circolare `e importante nella pratica per gli alberi e per i perni, elementi strutturali
che spesso sono soggetti a caratteristiche di sollecitazione di taglio anche intense.
Con un sottoconcio che ha la corda di separazione a met`a della sezione, `e possibile stimare la
tensione tangenziale agente sullasse baricentrico applicando il procedimento di Jourawski come
mostrato nella gura 22.9. Dato che il momento statico del semicerchio rispetto al diametro
vale S

=
2
3
R
3
(vedi appendice D) e che la larghezza della corda `e b = 2R, vale la relazione:

yz
(0) =
T
y
S

bJ
x
=
T
y
2
3
R
3
2R

4
R
4
=
4
3
T
y
R
2
Per determinare la tensione negli altri punti della sezione deniamo, come per il rettangolo,
la sottosezione

come la parte di sezione le cui ordinate superano la posizione generica y

. Si
ottiene in questo modo il segmento circolare illustrato in gura 22.10a). In questo caso oltre al
momento statico, anche la corda b dipende dalla posizione y

. Lapplicazione della formula di


Jourawski, lasciata come verica al lettore, fornisce la seguente relazione:

yz
(y) =
T
y
S

b (y) J
x
=
4
3
T
y
R
2
_
1
_
y
R
_
2
_
(22.6)
che dimostra come, anche in questo caso, nonostante la diversa forma della sezione, landamento
previsto per le tensioni
yz
nellipotesi di Jourawski `e parabolico in y.
701
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
y
x z
( )
0
yz

H
R
Figura 22.9: Applicazione della formula di Jourawski alla sezione circolare
per la stima delle tensioni nella bra neutra
Si pu`o vericare che la distribuzione delle tensioni ottenuta non `e corretta in ogni punto,
tuttavia fornisce il valore esatto del valore medio dalla soluzione analitica
(an)
yz
(x, y) sulla
generica corda. Vale quindi la relazione:
_
b/2
b/2

(an)
yz
(x, y) dx
b
=
4
3
T
y
R
2
_
1
_
y
R
_
2
_
y
z
( )
yz
y
B
( ) b y
y
x
y

z
x
a) b)
Figura 22.10: Determinazione delle tensioni in una sezione circolare: a)
denizione del sottoconcio b) ipotesi di Jourawski.
Peraltro, la variazione delle tensioni
(an)
yz
(x, y) lungo la singola corda non `e molto elevata
e, per gli scopi pratici, lapprossimazione con il suo valore medio `e accettabile. La soluzione di
Jourawski presenta per`o anche una diversa anomalia che si evidenzia considerando, per esempio
il punto B sul contorno della sezione, come mostrato nella gura 22.10b). Per la simmetria del
tensore di Cauchy, `e infatti necessario che le tensioni tangenziali siano parallele a ogni contorno
scarico della sezione. Allo scopo di correggere questa incoerenza, conservando la precedente so-
luzione per le componenti
yz
, `e stato proposto di aggiungere opportune componenti orizzontali

xz
in modo che la tensione tangenziale risultante risulti tangente al contorno. Questo risultato
si ottiene assumendo per ogni corda una dipendenza lineare di
xz
dalla posizione x, come
702
22.3. LA TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO
schematizzato nella gura 22.11.
`
E lasciato al lettore il compito di vericare che lespressione
delle tensioni tangenziali
xz
(dipendenti da entrambe le coordinate) coerenti con lo schema
proposto `e il seguente:

xz
(x, y) =
4
3
T
y
R
2
x y
R
2
In generale la tensione tangenziale in ogni punto della sezione vale:
(x, y) =
_
[
yz
(y)]
2
+ [
xz
(x, y)]
2
=
4
3
T
y
R
2

_
1
_
y
R
_
2
_
2
+
x
2
y
2
R
4
Si pu`o vericare che, anche introducendo le componenti orizzontali, il punto critico `e loca-
lizzato in corrispondenza della retta baricentrica (la bra neutra per la essione). Pertanto vale
la relazione:

max
=
4
3
T
y
A
e quindi per la sezione circolare: =
4
3
.
Notiamo che il cerchio `e una gura pi` u eciente del rettangolo per sopportare il taglio.
A parit`a di area e di materiale, il taglio che pu`o essere trasmesso da una trave a sezione
circolare `e maggiore del 12.5% rispetto a quella di una trave a sezione rettangolare essendo:
3
2
/
4
3
=
9
8
= 1.125. In eetti il cerchio ha comparativamente pi` u materiale nella zona centrale
dove le tensioni dovute al taglio sono pi` u intense e, di conseguenza il rapporto tra il massimo
delle tensioni e il valore medio (il fattore ) `e inferiore a quello del rettangolo.
y
x
z
( )
yz
y
( )
,
xz
x y

x
yz

xz
tan
yz

Figura 22.11: Introduzione delle tensioni tangenziali
xz
per rispettare la
condizione di tangenza al contorno.
703
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
Esercizio 22.2: Resistenza a taglio di una sezione trapezia
Data la sezione trapezia isoscele di gura 22.12, applicare la teoria approssimata del taglio
per determinare sotto leetto di un taglio T
y
:
a) la posizione del punto pi` u sollecitato
b) il fattore di resistenza a taglio.
Confrontare le soluzioni che si ottengono trascurando o considerando la presenza di tensioni
tangenziali in direzione x.
4c
2c
y
x
c
Figura 22.12: Sezione trapezia simmetrica
22.3.2 Sezione circolare tubolare
Per una sezione tubolare di raggio medio R
m
e spessore t, lapplicazione del procedimento
di Jourawski determina due corde, come indicato nella gura 22.13.
y
x
y
x
a) b)
z z
( )
0
yz

( )
yz
y
m
R
t
Figura 22.13: Sezione tubolare circolare: a) tensioni in corrispondenza
dellasse neutro e b) sezione in posizione generica.
La presenza di una supercie superiore per il sottoconcio formata da due rettangoli separati,
704
22.3. LA TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO
non costituisce una eettiva dicolt`a nella determinazione delle tensioni tangenziali dato che,
per simmetria, non vi `e ragione di ritenere che le tensioni siano diverse nelle due semi-corde.
Il valore di b da usare nella formula approssimata `e quindi la somma delle due semi-corde.
Tuttavia, se lipotesi di Jourawski `e ragionevolmente applicabile per le corde baricentriche,
come in gura 22.13a), le solite considerazioni sulla necessit`a della tangenza delle tensioni
tangenziali al contorno richiederebbe una successiva correzione con componenti orizzontali in
corrispondenza delle altre corde, come in gura 22.13b). Si pu`o notare inoltre che avvicinandosi
agli estremi della gura, la larghezza della corda b aumenta e supera signicativamente lo
spessore del tubo, pertanto in tali zone diviene sempre meno plausibile considerare costanti le
tensioni tangenziali sulla corda stessa. Non vi sono peraltro particolari ragioni che impongono
di eettuare il taglio del sottoconcio con un piano parallelo allasse x. In eetti, un sottoconcio
come rappresentato in gura 22.14a) pu`o essere usato altrettanto correttamente allo scopo di
imporne lequilibrio in direzione dellasse della trave. Dal punto di vista matematico, si tratta
di considerare un sottoconcio in coordinate polari con la possibilit`a di sfruttare anche i vantaggi
che derivano da tale parametrizzazione per la sezione in esame. Infatti, come mostrato in gura
22.14a), pu`o essere convenientemente adottata la coordinata angolare , oppure la coordinata
curvilinea sul contorno medio della sezione che, in questo caso `e:
= R
m

Con questa denizione del sottoconcio, si ottengono due vantaggi:


il valore della corda da usare nella formula approssimata b = 2t non dipende dalla
posizione
le tensioni tangenziali, che nelle coordinate scelte sono:
z
o
z
, risultano naturalmen-
te tangenti ai contorni, per cui la simmetria del tensore di Cauchy `e rispettata senza
lintroduzione di correzioni.
`
E infatti ragionevole che le tensioni tangenziali, in analogia con la soluzione di Bredt, scorrano
nella sezione mantenendosi tangenti ai contorni e che, se lo spessore `e piccolo t R
m
, siano
approssimativamente costanti in direzione radiale. Come conseguenza, con questo schema di
sottoconcio, la formula di Jourawski fornisce risultati pi` u accurati e tende alla soluzione esatta
per
t
R
m
0.
`
E lasciato al lettore il compito di vericare che per un tubo circolare di piccolo spessore,
lespressione delle tensioni tangenziali `e la seguente:

z
() = 2
T
y
A
cos
Il valore massimo si verica per = 0+k e quindi ancora in corrispondenza dei punti dellasse
neutro della corrispondente essione e vale:

max
= [
z
(0)[ = 2
[T
y
[
A
Pertanto per la sezione tubolare sottile = 2.
Dato che per la sezione circolare piena si ha =
4
3
, `e presumibile che per una sezione
tubolare circolare di spessore non piccolo si abbia
4
3
< < 2.
`
E quindi ragionevolmente
cautelativo assumere = 2 per la verica di tutti i tubi cilindrici di pratico interesse, anche se
non di piccolo spessore.
705
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
y
x
z
( )
z

y
x
z

m
R
a) b)


Figura 22.14: Sezione tubolare circolare con sottoconcio ottenuto tramite
sezioni radiali: a) denizione della coordinata angolare e curvilinea sul percorso
medio, b) andamento delle tensioni tangenziali, costanti in direzione radiale,
che uiscono nello spessore.
22.4 La teoria approssimata del taglio per le sezioni in parete
sottile
La teoria approssimata del taglio `e applicabile per prevedere in modo piuttosto accurato
la resistenza di travi in parete sottile, come per esempio i prolati. Come nel caso della
sezione tubolare considerata nel paragrafo precedente, lo spessore dei prolati `e in genere molto
inferiore al diametro della sezione per cui la geometria pu`o essere adeguatamente descritta dalla
linea
m
in corrispondenza della posizione media nello spessore della parete e dal valore locale
dello spessore. Anche se non `e sviluppata la teoria generale del taglio per sezioni a parete
sottile, lanalisi critica di alcuni esempi di pratico interesse consente di illustrarne le ipotesi
fondamentali e indica come applicarla e generalizzarla.
22.4.1 Taglio per una sezione a doppio T
In gura 22.15a) `e rappresentata una tipica sezione a doppio T che `e generalmente usata
per travi che devono sopportare essioni prevalenti di tipo M
x
a cui `e associato il taglio T
y
.
Lapplicazione elementare della formula di Jourawski basata su sottoconci deniti da tagli
paralleli allasse x, come in gura 22.15b), produce il risultato qualitativamente rappresentato
in gura 22.15c). Possiamo osservare la presenza di discontinuit`a nellandamento delle tensioni

yz
in corrispondenza dei punti di connessione dellanima con le piattabande. La discontinuit`a `e
giusticata nella formula di Jourawski dalla brusca variazione del valore della corda b che passa
da t
w
nellanima a c nella piattabanda (il modello semplicato della geometria non tiene conto
del raccordo che comunque non eliminerebbe la discontinuit`a).
Lassunzione che le tensioni
yz
sono costanti nello spessore dellanima appare plausibile
ma `e invece poco verosimile che esse si uniformino immediatamente nellintera estensione della
piattabanda. Inoltre, un valore di
yz
non nullo, per quanto basso, in corrispondenza per
esempio del punto D (vedi gura 22.15a)) non `e compatibile con la simmetria del tensore di
Cauchy. Come sappiamo, infatti, il valore ottenuto `e valido solo come media sullo spessore
della corda e, in questo caso, la previsione risulta grossolana. Prima di procedere con una
706
22.4. LA TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO PER LE SEZIONI IN PARETE SOTTILE
y
x
f
t
h
w
t
c
z
y
x
z
1
y
2
y
yz

a) b) c)
H
B
D
Figura 22.15: Sezione a doppio T: a) parametri geometrici principali b)
sottoconci deniti da tagli paralleli allasse x; c) corrispondenti andamenti
della tensione tangenziale
yz
dovute a un taglio T
y
.
proposta di miglioramento del modello, `e tuttavia utile che il lettore verichi di aver compreso
il procedimento di calcolo risolvendo il seguente esercizio.
Esercizio 22.3: Sezione a doppio T
Con riferimento alla sezione in gura 22.15, considerando i seguenti dati: h = 300 mm,
c = 120 mm, t
w
= 8 mm, t
f
= 20 mm e una forza di taglio T
y
= 100 kN, vericare che:
a) = 3.28
b)
yz
H
=
max
= 47.6 MPa
yz
B
= 39.6 MPa
c) il valore massimo della tensione valutato nella piattabanda `e
yz
D
= 2.64 MPa.
Analogamente a come `e stato fatto per la sezione tubolare, anche in questo caso `e conve-
niente considerare il prolato come una sezione a parete sottile denita da una linea media
m
(che riproduce il doppio T) sulla quale `e denita una ascissa curvilinea e, associata a questa,
una funzione che esprime lo spessore locale t (), come rappresentato in gura 22.16. In que-
sto schema `e naturale rappresentare la plausibile ipotesi che le tensioni tangenziali seguano il
prolo medio, disponendosi parallelamente al contorno locale e che, essendo lo spessore piccolo
rispetto al diametro della sezione, siano costanti sulla corda. La conseguente soluzione per lo
stato tensionale `e mostrata in gura 22.17.
Osserviamo che:
landamento delle tensioni nellanima `e identico a quello ottenuto nella soluzione prece-
dente (in eetti `e cambiato solo il nome dellascissa curvilinea ma in tale zona
z
=

yz
)
707
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
y
x
y
x
1
=
2
=


a) b)
m

Figura 22.16: Sezione a doppio T come sezione a parete sottile denita da


un prolo medio
m
e dalla funzione di spessore locale e corrispondente scelta
dei sottoconci: a) per i punti dellanima =
1
il sottoconcio `e come prima;
b) per la piattabanda =
2
lascissa curvilinea segue il prolo medio e il
sottoconcio `e una parte della piattabanda.
y
x
z yz
=
m

B
H
z
=
z xz
=
a) b) c)
C

( )
t
Figura 22.17: Modello migliorato per lesame della sezione a doppio T: a)
prolo medio nello spessore; b) schema qualitativo del usso delle tensioni
tangenziali nella sezione c) andamento quantitativo dei moduli delle tensioni
nei vari punti della sezione.
708
22.4. LA TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO PER LE SEZIONI IN PARETE SOTTILE
nellanima landamento delle tensioni `e parabolico, la dipendenza quadratica di S

da
`e giusticata dal fatto che, considerando sottosezioni

con inizio in posizioni diverse


nellanima, sia larea A

sia lordinata del suo baricentro y

G
variano linearmente con
rispetto alla soluzione con tagli paralleli a x, la previsione dello stato tensionale nelle
piattabande cambia signicativamente
nellattuale modello le piattabande sono sollecitate da tensioni del tipo
xz
notiamo che, quando si considerano sottoconci che appartengono alla piattabanda, lordi-
nata del baricentro y

G
non cambia mentre larea A

varia linearmente con , landamento


delle tensioni lungo il prolo nelle piattabande `e quindi lineare in
il passaggio da componenti
yz
in B a componenti
xz
in C `e dovuto a una diramazione del
usso delle tensioni tangenziali nelle due parti della piattabanda a una loro distribuzione
su una larghezza maggiore (tipicamente t
f
> t
w
) fenomeno che si realizza nella zona di
connessione tra anima e piattabanda
nella zona di attacco tra anima e piattabanda si manifestano eetti locali simili a quelli
evidenziati negli spigoli rientranti per la torsione e che possono essere trattati in modo
analogo
i raccordi che sono previsti in tali zone permettono di limitare i valori di picco delle
tensioni tangenziali locali.
Per vericare di aver compreso lapplicazione del modello `e utile risolvere lesercizio 22.4
seguente.
Esercizio 22.4: Sezione a doppio T: modello di sezione a parete sottile
Con riferimento alla sezione in gura 22.15 e con i dati: h = 300 mm, c = 120 mm,
t
w
= 8 mm, t
f
= 20 mm e forza di taglio T
y
= 100 kN, vericare che:
a) = 3.28
b)
yz
H
=
max
= 47.6 MPa,
yz
B
= 39.6 MPa,
xz
C
= 7.93 MPa
c) il valore medio della tensione
xz
nella piattabanda `e 3.96 MPa.
22.4.2 Soluzione semplicata per la sezione a doppio T
Per entrambe le soluzioni proposte con i diversi modelli di applicazione della teoria appros-
simata del taglio, possiamo concludere che, soprattutto per sezioni con lanima stretta:
il materiale dellanima `e particolarmente sollecitato
landamento della tensione nellanima `e parabolico ma con gradienti relativamente modesti
per cui la tensione non varia molto nellanima
le tensioni tangenziali nelle piattabande sono basse anche nel secondo modello pi` u rea-
listico a causa della diramazione del usso delle tensioni e del maggiore spessore della
piattabanda rispetto allanima
709
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
la conformazione della sezione a doppio T con anima sottile `e tale per cui il taglio T
y
`e
sopportato in modo prevalente dal materiale dellanima e il contributo del materiale posto
nelle piattabande, che invece `e determinante per il comportamento essionale, pu`o essere
trascurato.
Queste osservazioni suggeriscono un modello semplicato, ma che per le pratiche situazioni `e
spesso sucientemente accurato, nel quale si assume che solo il materiale dellanima trasferisca
il taglio e con una distribuzione uniforme. Indicando con A
w
= (h 2t
f
) t
w
larea dellanima,
con riferimento alla gura 22.18 si ha pertanto:
la tensione massima vale
max
= [
yz
H
[

=
T
y
A
w
la tensione stimata anche nel punto B vale
T
y
A
w
la tensione stimata nel punto C per continuit`a vale [
xz
C
[

=
t
w
2t
f
T
y
A
w
=
T
y
2t
f (h2t
f )
.
y
x
max

x
B
H
a) b)
C
w
A
xz
C

Figura 22.18: Modello semplicato la sezione a doppio T con anima stretta:


a) denizione dellarea dellanima A
w
b) andamento dei moduli delle tensioni
nei vari punti della sezione.
Questo modello prevede quindi per la sezione a doppio T il fattore di resistenza a taglio:
=
A
A
w
Spesso il taglio non `e la caratteristica di sollecitazione dominante per la sezione per cui
questo tipo di semplicazione pu`o essere suciente nella pratica. Si nota peraltro che se
lanima `e molto stretta il modulo di resistenza a taglio della sezione (W
T
= A/) pu`o diventare
il suo punto debole. Lindicazione di mettere pi` u materiale possibile in corrispondenza delle
piattabande allo scopo di ottimizzare la sezione per la essione, contrasta quindi con la necessit`a
di garantire un minimo di resistenza al taglio ed `e alla base dei compromessi proposti nelle
sezioni a doppio T di tipo unicato.
710
22.4. LA TEORIA APPROSSIMATA DEL TAGLIO PER LE SEZIONI IN PARETE SOTTILE
Esercizio 22.5: Sezione IPE 200
La sezione unicata IPE 200 ha le seguenti principali caratteristiche: h = 200 mm,
c = 200 mm, t
w
= 5.6 mm, t
f
= 8.5 mm, vericare che
a) il valore esatto del coeciente di resistenza a taglio nella direzione dellanima vale
= 4.321
b) il modello semplicato sottostima la tensione tangenziale massima di meno dello 0.1%
(si tratta di un caso particolarmente favorevole dovuto comunque al valore basso del
rapporto tra larea dellanima e larea totale)
c) in corrispondenza della piattabanda il modello semplicato sovrastima la tensione
tangenziale massima del 14%.
22.4.3 Altre sezioni prolate simmetriche
La teoria approssimata del taglio come applicata per la sezione a doppio T nel paragrafo
precedente pu`o essere generalizzata per prevedere le tensioni tangenziali di sezioni in parte
sottile anche di altra forma, almeno quando sono simmetriche rispetto allasse del taglio. Il
seguente esempio illustra lapplicazione per una sezione a T.
Esempio 22.2: Sezione a T
Per la sezione a T di gura 22.19a) con: h = 80 mm, c = 40 mm, t
w
= 3 mm, t
f
= 5 mm
e una forza di taglio T
y
= 25 kN. Tracciare landamento qualitativo quotato delle tensioni
tangenziali e determinare il fattore di resistenza a taglio per la sezione.
y
x
f
t
w
t
h
c
B
G
C
Figura 22.19: Sezione a T.
Individuata la posizione del baricentro (vedi gura 22.20a)): d = 56.32 mm, si pu`o
ottenere il momento dinerzia:
J
x
= 2.443 10
5
mm
4
711
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
Nelle sezioni in parete sottile `e utile ssare lungo il contorno medio
m
una ascissa cur-
vilinea, che chiameremo , che permetta di individuare univocamente ogni posizione in-
teressante nella sezione. Fissata lorigine di per esempio in O, come in gura 22.20a),
dividiamo il percorso medio in due tratti rettilinei che deniscono i punti della piattaban-
da ( <
c
2
) e dellanima (
c
2
< <
c
2
+ h t
f
), come mostrato in gura 22.20. Si pu`o
osservare che il percorso medio presenta una interruzione in corrispondenza della zona di
attacco tra anima e piattabanda (per un tratto di lunghezza pari a t
f
/2). Tale quantit`a
deve peraltro essere piccola rispetto al diametro della sezione se questa `e in parete sottile.
In corriposndenza dei punti in cui il prolo medio subisce ramicazioni, queste interruzioni
sono necessarie per evitare che il materiale della sezione sia considerato pi` u volte nel cal-
colo. Daltra parte la zona di attacco dellanima alla piattabanda costituisce una classica
zona di estinzione anche per la teoria di Jourawski e, se necessario, deve essere trattata
in modo specico. Nella zona di attacco il usso delle tensioni tangenziali che arivano
dallanima si dirama nella piattabanda ed `e caratterizzato da linee di usso curve, inoltre
le tensioni tangenziali, che localmente hanno entrambe le componenti piane, si addensano
sui raccordi. Si osservi che lascissa curvilinea non presenta alcuna discontinuit`a, per cui
=
c
2

individua il punto C della piattabanda mentre =


c
2
+
il punto B dellanima.
I parametri geometrici richiesti nellequazione di Jourawski sono:
b () =
_
t
f
per <
c
2
t
w
per >
c
2
S

() =
1
2
_
t
f
(2h 2d t
f
) per <
c
2
t
w
(h +c/2 t
f
) (2d c/2 +t
f
h +) per >
c
2
y
x
y
x
xz
C

yz
G

yz
B

a) b) c)
y
x
2
c

2 2
f
c c
h t +
O
d
G
Figura 22.20: Analisi della sezione a T: a) coordinata curvilinea e sottoconcio
per la piattabanda; b) sottoconcio per lanima; c) andamento delle tensioni
tangenziali.
Landamento dello stato di tensione tangenziale conseguente `e mostrato in gura 22.20c)
e i valori numerici di interesse sono i seguenti:

xz
C

=
z
_
c
2

= 43.3 MPa;
yz
B

=
z
_
c
2
+
t
f
2
_

= 144.5 MPa
712
22.5. LEFFETTO DEFORMATIVO DOVUTO AL TAGLIO

max
=
yz
G

=
z
_
c
2

t
f
2
+h d
_

= 162.3 MPa
Il massimo si manifesta nel baricentro della sezione, in corrispondenza del quale si ottiene
il coeciente di resistenza a taglio:
= 2.76
Come nel caso della torsione, anche per il taglio la presenza di spigoli rientranti pu`o essere
pericolosa se si usano materiali fragili oppure se i carichi sono ciclici o impulsivi. Per stimare le
concentrazioni di tensioni, si pu`o adottare un approccio simile a quello sviluppato per la torsio-
ne, usando come tensione nominale il valore ricavato dalla formula di Jourawski. Consideriamo
la sezione a T esaminata nellesempio 22.2 dove, per poter fare considerazioni quantitative,
supponiamo che il raccordo tra anima e piattabanda abbia un raggio R
0
= 3 mm. Per stimare
il coeciente di intaglio possiamo usare lespressione introdotta nel capitolo 21:
k
a
(R
0
, t) = max
_
1.74
3
_
t
R
0
; 1
_
per una geometria simile. Considerando il raccordo dalla parte dellanima abbiamo:
k
a
= max
_
_
_
1.74
3

t
w
2
R
0
; 1
_
_
_
= 1.373
da cui il valore stimato per il picco locale di tensione `e
= k
a
[
yz
B
[ = 198.4 MPa
Considerando il usso delle tensioni nella piattabanda, il coeciente di intaglio diventa:
k
a
= max
_
1.74
3
_
t
f
R
0
; 1
_
= 2.05
da cui il relativo picco di tensione:
= k
a
[
xy
C
[ = 88.9 MPa
I due valori non coincidono in quanto i coecienti di intaglio sono stati ottenuti con formule
approssimate (si ricordi che sono state prese in prestito dalla torsione) e i risultati ottenuti
sono indicativi per avere poco pi` u che gli ordini di grandezza dei picchi. In casi di questo
genere `e opportuno operare in modo cautelativo e assumere il valore stimato pi` u elevato. Come
si pu`o osservare, nella stima eettuata, la presenza del raccordo determina che, per il taglio
T
y
, il punto critico della sezione non `e pi` u il baricentro. Tuttavia laumento locale di tensioni
tangenziali non `e cos` intenso da costituire elemento di preoccupazione anche se `e impiegato un
materiale non molto duttile.
22.5 Leetto deformativo dovuto al taglio
22.5.1 Analisi della deformazione dovuta al taglio
Consideriamo la variazione di congurazione prodotta dal taglio in una trave rettilinea. Co-
me per leetto tensionale, non `e possibile realizzare un esperimento in cui leetto deformativo
713
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
del taglio si manifesti da solo su un tratto nito di trave. Anche nelle condizioni pi` u semplici,
infatti, la trave presenta una deformata in cui gli eetti di taglio e essione sono sovrapposti.
Per semplicare lesame del fenomeno consideriamo ancora il caso mostrato in gura 22.1 in cui
una trave a mensola, avente sezione rettangolare uniforme, `e caricata con una forza trasversale
nel baricentro della sezione allestremo libero. Sappiamo infatti che per questo caso la formula
di Jourawski `e corretta.
Nella gura 22.21 `e riprodotta schematicamente la mensola deformata vista dalla punta
dellasse x. Dato un generico punto appartente alla linea dasse, che ha posizione iniziale B e
posizione deformata B

, nellambito dei corpi poco deformabili possiamo prevedere che:


per simmetria, lo spostamento BB

non ha componenti in diresione x, quindi: u = 0


a causa dellassenza di forza normale, la componente assiale dello spostamento w `e
trascurabile (tale valore `e in eetti considerato nullo nella meccanica dei corpi poco
deformabili)
lunica componente signicativa dello spostamento, che `e in direzione y, viene quindi
indicata con il simbolo v
in generale lo spostamento in direzione y dei punti della linea dasse `e funzione della loro
ascissa curviliea e quindi lo indicheremo come: v (s).
( )
Fl
v s
( )
T
v s
( )
v s
s
l
y
z
F
B
*
B
C
*
C
a)
b)
Figura 22.21: Schema della deformata di una trave a mensola: a) rispetto al
prolo laterale iniziale (punti appartenenti al contorno della sezione sul piano
mediano x = 0) sono mostrati il prolo laterale prodotto dalle sole azioni
deformative essionali e quello complessivo della trave deformata dovuto anche
alleetto del taglio; b) eetto deformativo sui punti della linea dasse.
Come evidenziato nello schema di gura 22.21b) lo spostamento verticale dei punti della
linea dasse pu`o essere considerato come somma di due termini:
v (s) = v
Fl
(s) +v
T
(s)
in cui:
714
22.5. LEFFETTO DEFORMATIVO DOVUTO AL TAGLIO
v
Fl
(s) `e il contributo dovuto al fatto che la trave `e sottoposta a momento ettente
v
T
(s) `e il contributo del taglio.
`
E opportuno rimarcare che tale separazione pu`o essere eettuata solo formalmente e che
lesperimento evidenzia solo leetto combinato dei due contributi.
Il contributo essionale allo spostamento della linea dasse per questo problema `e stato
ampiamente discusso nel capitolo 19 dove `e stato giusticato dal fatto che i conci della trave
sono incurvati dal momento ettente (in misura direttamente proporzionale alla loro distanza
dallestremo libero). Nel capitolo 19 `e stata calcolata la freccia massima dovuta al solo eetto
essionale:
v
Fl
(l) =
Fl
3
3EJ
x
= 4
Fl
3
Ebh
3
La conoscenza della forma di tutti i conci inessi dal momento permette di valutare lo sposta-
mento di tutti i punti della trave applicando le ipotesi deformative di Eulero-Bernoulli. Nella
gura 22.21 `e mostrato con linea tratteggiata quale sarebbe il prolo deformato della trave se
fossse soggetta al solo momento ettente dovuto al carico applicato. Se si considera il campo
di spostamento associato al solo taglio, ottenuto come dierenza tra lo spostamento eettivo e
quello dovuto alla sola essione: v v
Fl
, si ottiene il risultato mostrato in gura 22.22.
( )
T
v l
( )
T
v s

Figura 22.22: Schema della deformata di una trave a mensola in cui leetto
essionale `e stato eliminato in modo che sia evidenziato solo il contributo del
taglio T
y
= F costante.
Losservazione della gura 22.22 consente di giungere alle seguenti conclusioni:
lasse della trave deformata dal solo taglio `e rettilineo e (uniformemente) inclinato di un
angolo
lo stesso eetto di rotazione `e prodotto su tutti i segmenti paralleli allasse della trave
lo spostamento dei punti della linea dasse `e proporzionale a s, per piccoli spostamenti:
v
T
(s) = s
i segmenti che prima della deformazione avevano la direzione dellasse y non si conser-
vano retti ma assumono tutti la medesima forma a esse (come sempre escluse le zone di
estinzione).
Se consideriamo che tutti i conci della trave sono uguali e sollecitati dalla medesima caratteri-
stica di sollecitazione, una deformata in cui tutti si deformino nello stesso modo `e prevedibile.
Anche la forma a esse assunta dai conci deformati pu`o essere giusticata se si considera che lo
715
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
stato di tensione indotto nella trave da T
y
`e di taglio puro con intensit`a nulla agli estremi, su-
periore e inferiore, e valore massimo nel baricentro. Nella gura 22.23 `e evidenziato il processo
deformativo di vari elementi della trave posti a varia distanza dal baricentro.

B
C
D
H
B
C
D
H
yzmax

d
*
d

a) b) c) d)
Figura 22.23: Schema della deformata di un concio di trave sotto leetto del
taglio a) sezione corrente con elementi deformati; b) gli stessi elementi prima
dellapplicazione del carico con le tensioni tangenziali previste dalla teoria del
taglio c) eetto deformativo delle tensioni (solo deformazioni angolari) e inne
d) rotazione rigida applicata a tutti che ne ripristina la congurazione data in
a).
Si osservi che lelemento innitesimo d
B
`e scarico e, in eetti, subisce solo uno spostamento
rigido (traslazione di s e rotazione rigida di ) necessario anch`e rimanga congruente con
il prolo superiore della trave. Diversamente, lelemento baricentrico d
H
subisce, oltre a un
analogo movimento rigido, anche una deformazione angolare:

yz,max
=

max
G
=
T
y
GA
Sotto leetto del taglio pertanto le sezioni della trave non si conservano piane e quindi
lipotesi di Eulero-Bernoulli non descrive questo processo deformativo.
22.5.2 Rigidezza a taglio della sezione
Langolo di inclinazione della linea dasse rappresenta leetto deformativo associato al
taglio. Per determinarlo quantitativamente `e utile applicare il metodo energetico che prevede
di imporre luguaglianza tra il lavoro fatto dal carico esterno in conseguenza dello spostamen-
to del punto di applicazione dovuto al solo eetto deformativo del taglio e lenergia elastica
immagazzinata nella trave per le tensioni-deformazioni prodotte dal taglio stesso:
1
2
F v
T
(l) =
1
2
l
_
0
_

2
yz
+
2
xz
G
dxdyds
Questa relazione si pu`o esplicitare tendo conto che:
F = T
y
e v
T
(l) = l
716
22.5. LEFFETTO DEFORMATIVO DOVUTO AL TAGLIO
per cui vale la reazione:
l
_
0
_

2
yz
+
2
xz
G
dxdyds =
l
G
_

2
yz
+
2
xz
dxdy
Se le tensioni possono essere ottenute in modo sucientemente accurato tramite la teoria ap-
prossimata del taglio, tenendo conto che, con un aopportuna scelta della direzione di si pu`o
sempre scrivere
2
yz
+
2
xz
=
2
z
, si ottiene:
l
_
0
_

2
z
dxdyds =
T
2
y
l
J
2
x
_

_
S

b
_
2
dxdy
da cui:
=
T
y
GJ
2
x
_

_
S

b
_
2
dxdy
Lespressone non pu`o essere ulteriormente esplicitata perche la funzione integranda dipende
dalla posizione nella sezione e lintegrale deve essere eettuato per ogni sezione particolare.
Una semplice analisi mostra per`o che la quantit`a
J
2
x

2
dxdy
ha le dimensioni di una supercie
e quindi `e una grandezza proporzionale allarea della sezione. Possiamo quindi scrivere la
relazione generale:
J
2
x
_

_
S

b
_
2
dxdy
=
A

che denisce il parametro adimensionale:


=
A
_

_
S

b
_
2
dxdy
J
2
x
chiamato fattore di rigidezza a taglio della sezione. Il fattore di rigidezza a taglio `e un altro
parametro di forma della sezione che tipicamente appartiene allintervallo:
1 < <
Nella gura 22.24 sono forniti i coecienti di resistenza e di rigidezza a taglio per alcune sezioni
di pratica utilit`a.
Con lintroduzione del fattore `e stato completato linsieme delle informazioni necessarie
per valutare la rigidezza delle travi. La grandezza deformativa associata al taglio (talvolta
denita scorrimento)`e data da:
=
T
y
GA
la quantit`a
GA

rappresenta quindi la rigidezza a taglio della sezione nella direzione y ed `e


lequivalente di EA per N, EJ
x
per M
x
e GJ
0eq
per M
z
.
Nel caso di problemi tridimensionali la sezione pu`o avere una rigidezza a taglio che dipen-
de dallasse della caratteristica e pu`o essere necessario introdure un fattore per ognuna delle
direzioni principali. In tal caso disigueremo
x
e
y
come segue:

x
=
x
T
x
GA
;
y
=
y
T
y
GA
.
717
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO

3
2
4
3
2
w
A
A
6
5
10 32
9 27
2
w
A
A
Figura 22.24: Fattori di resistenza e di rigidezza a taglio per sezioni tipiche
(per la sezione circolare il valore inferiore = 10/9 `e ottenuto trascurando le
componenti
xz
nella determinazione dellenergia)
Lenergia elastica per unit`a di lunghezza immagazzinata in una trave per eetto del taglio `e
quindi, per ciascuna componente, rispettivamente:
dU
ds
=
1
2

y
T
2
y
GA
=
1
2
GA

2
y
=
1
2
T
y

y
dU
ds
=
1
2

x
T
2
x
GA
=
1
2
GA

2
x
=
1
2
T
x

x
22.5.3 Quanticazione degli eetti deformativi dovuti al taglio
Raramente il taglio `e una caratteristica signicativa nelle veriche di rigidezza in quanto `e
sempre accompagnata dalla essione e questultima, come vedremo subito, `e dominante. Per
vericare tale aermazione, consideriamo la solita mensola di lunghezza l caricata con una forza
trasversale applicata allestremit`a e confrontiamo le frecce massime prodotte dal taglio
T
e
dalla essione
Fl
. A titolo di esempio, consideriamo una sezione quadrata di lato a. In base ai
risultati ottenuti nel paragrafo precedente, il contributo del taglio alla freccia massima `e dato
da:

T
= v
T
(l) =
Fl
GA
=
6
5
2 (1 +)
E
Fl
a
2
mentre nel capitolo 19 `e sato calcolato il contributo della essione:

Fl
= v
Fl
(l) =
Fl
3
3EJ
x
= 4
Fl
3
Ea
4
Notiamo subito che il contributo alla freccia massima dovuto al taglio dipende linearmente
dalla lunghezza della trave mentre il contributo dovuto alla essione evidenzia una dipendenza
dal cubo della lunghezza. Per confrontare lentit`a dei due contributi, `e utile esaminare il loro
rapporto:

Fl

T
=
5
3 (1 +)
_
l
a
_
2
1.28
_
l
a
_
2
Possiamo pertanto concludere che, se la trave `e eettivamente un solido monodimensionale e
quindi l/a 10, la freccia dovuta alla essione risulta oltre 100 volte maggiore di quella dovuta
al taglio. Perche le due frecce siano confrontabili `e necessario che la trave abbia una lunghezza
718
22.6. COMPORTAMENTO A TAGLIO DI SEZIONI NON SIMMETRICHE (*)
dello stesso ordine di grandezza del diametro della sezione, ma in tal caso il modello stesso di
trave, sulla base del quale le stime sono state eettutate, diventa discutibile.
Anche per le sezioni a doppio T con anima stretta, che sono ottimizzate per la essione e
risultano particolarmente deboli e deformabili al taglio, il rapporto tra le frecce diventa:

Fl

T
(0.2 0.4)
_
l
h
_
2
dove h `e laltezza della sezione. La dipendenza dal rapporto tra le frecce e il rapporto (l/h)
rimane quadratica anche in questi casi.
`
E quindi dicile che la deformazione dovuta al taglio
sia signicativa se la trave `e lunga almeno 5 volte il diametro della sezione.
Come considerazioni nali possiamo quindi aermare che:
il taglio pu`o essere signicativo nella verica di resistenza, in particolare quando la sezione
`e debole nelle zone baricentriche
in genere leetto del taglio pu`o essere trascurato nelle veriche di rigidezza in quanto
`e sistematicamente accompagnato dalla essione che produce sulla linea dasse sposta-
menti nella stessa direzione ma quantitativamente prevalenti, almeno quando lelemento
strutturale ha le caratteristiche della trave
nellenergia elastica che `e immagazzinata in una trave per eetto di carichi trasversali,
laliquota principale `e quella della essione
lingobbamento della sezione dovuta al taglio, che `e in disaccordo con lipotesi della conser-
vazione delle sezioni piane, in genere non produce eetti signicativi sulla deformata della
linea dasse e questo giustica lapplicabilit`a dellipotesi deformativa di Eulero-Bernoulli
anche in presenza di taglio.
Esercizio 22.6: Ingobbamento delle sezioni (*)
Per una mensola di sezione rettangolare (base b, altezza h) dimostrare che lo spostamento
assiale prodotto dallingobbamento della sezione dovuta al taglio `e espresso dalla relazione:
w(y) =
3
10bh
_
9
20
3
_
y
h
_
2
_
y
22.6 Comportamento a taglio di sezioni non simmetriche (*)
Valutiamo landamento delle tensioni tangenziali in una sezione a C come rappresentato in
gura 22.25. Landamento delle tensioni tangenziali si pu`o ottenere applicando la formula di
Jourawski considerando la sezioni in parete sottile, come mostrato nellesempio seguente.
Esempio 22.3: Sezione a C
Determinare la distribuzione delle tensioni nella sezione di gura 22.25 con i seguenti dati:
h = 80 mm, c = 50 mm, t = 5 mm, T
y
= 40 kN in base alla teoria approssimata del taglio.
719
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
y
x z
t
h
c
Figura 22.25: Sezione non simmetrica rispetto allasse y su cui `e applicato il
taglio.
Il momento dinerzia della sezione vale: J
x
= 8.471 10
5
mm
4
. Il baricentro della sezione
si trova sullasse di simmetria orizzontale a d = 14.64 mm dal lato esterno verticale. Con-
siderando lascissa curvilinea lungo il prolo medio indicata nella gura 22.26a), si ricava
landamento delle tensioni tangenziali, che sono qualitativamente rappresentate nella gura
22.26b) e quotate nella 22.26c).
y
x z
a) b) c)
xz

yz

xz

84.1MPa
117.3MPa
y
x z

d
84.1MPa
Figura 22.26: Soluzione di Jourawski per la sezione a C
Un esame attento mostra per`o che la soluzione trovata nellesempio 22.3 non `e completa-
mente soddisfacente. Per rendersene conto `e utile rispondere alla seguente domanda: a quale
sistema di forze equivale la distribuzione di tensioni tangenziali ottenuta sulla sezione in base
alla formula di Jourawski? La risposta attesa `e: una forza avente risultante T
y
= 40 kN e asse
centrale coincidente con lasse principale y della sezione, dato che la distribuzione delle tensioni
su una sezione di trave deve essere staticamente equivalente alle caratteristiche di sollecitazione
su di essa agenti. Per rispondere in modo completo alla domanda `e opportuno eettuare un
passaggio intermedio e valutare le forze staticamente equivalenti alle distribuzioni delle tensio-
720
22.6. COMPORTAMENTO A TAGLIO DI SEZIONI NON SIMMETRICHE (*)
ni applicate ai singoli lati della sezione a C. Il risultato, che deriva da una integrazione delle
tensioni tangenziali eettutata sui singoli lati, `e mostrato nella gura 22.27a). Il lettore pu`o
facilmente vericare che le risultanti delle tensioni sui singoli lati sono date da:
F
x
= 10 kN; F
y
= 40 kN
y
x
z
y
x
z
y
F
C
x
F
x
F
y y
F T =
a) b)
Figura 22.27: Sistemi di forze staticamente equivalenti alla distribuzione
di tensioni trovata con la teoria approssimata del taglio: a) le tensioni sono
integrate sui singoli lati del C b) unica forza staticamente equivalente allintera
distribuzione con il relativo asse centrale.
Osserviamo che la distribuzione trovata ha la risultante corretta ma include anche una
inprevista coppia di forze. Questo contributo non si era manifestato nei casi nora esaminati
a causa della simmetria della sezione rispetto allasse del taglio. Un semplice calcolo permette
di ottenere ununica forza che `e staticamente equivalente alle tre risultanti parziali appena
calcolate, per mezzo di una opportuna localizzazione del suo asse centrale, come mostrato nella
gura 22.27b).
Concludiamo che la soluzione ottenuta direttamente con la formula di Jourawski nellesempio
22.3 e staticamente equivalente alla condizione di carico rappresentata nella gura 22.27b).
Il campo di tensione trovato `e quindi quello prodotto da un carico applicato alla sezione di
estremit`a non in corrispondenza del baricentro ma, per esempio, nel punto C, come evidenziato
in gura 22.27a). Per il caso in esame, lascissa di C vale: x
C
= 19.79 mm.
Si deve per`o considerare che un carico F
y
applicato nel punto C non produce sulla generica
sezione solo taglio (e essione) ma, come evidenziato in gura 22.27b), anche un momento
torcente la cui intensit`a `e:
M
z
= F
y
x
C
= 0.752 kNm
Il punto C `e chiamato centro di taglio (shear centre) della sezione. Concludiamo quindi
con la constatazione che, per una sezione non simmetrica, la soluzione di Jourawski di gura
22.26 rappresenta la distribuzione delle tensioni tangenziali che si manifesta quando il carico
equivale a una forza applicata al centro di taglio invece che al baricentro. La distribuzione
di Jourawski, come illustrato nella gura 22.28, `e quindi prodotta dalla combinazione delle
seguenti caratteristiche di sollecitazione agenti insieme:
T
y
= 40 kN pi` u M
z
= M
0
= 0.752 kNm.
Lapparente contraddizione si spiega considerando che la formula di Jourawski deriva del-
limposizione della condizione di equilibrio nella sola direzione del taglio e trascura le altre
721
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
y
F
C
y
x
z
G
y
x
z
G
y
F
0
M
a) b)
Figura 22.28: Esperimento per ottenere la sollecitazione prevista dalla for-
mula di Jourawski: a) la retta dazione del carico trasversale deve passare per
il punto C; b) caratteristiche statiche equivalenti del carico applicate al ba-
ricentro della sezione di estremit`a che evidenziano lesistenza di un momento
torcente, costante su tutte le sezioni della trave
cardinali. Se la sezione `e simmetrica rispetto allasse del taglio le altre condizioni di equilibrio
risultano automaticamente soddisfatte mentre in condizioni di dissimetria `e necessario tenerne
conto. La dissimetria della sezione, rispetto allasse su cui `e applicato il taglio, evidenzia un
fenomeno di accoppiamento tra le caratteristiche di taglio e torsione. Per le sezioni simmetriche
il centro di taglio coincide con il baricentro C G per cui taglio e torsione producono eetti
disaccoppiati.
Anche dal punto di vista teorico, `e possibile domostrare che la soluzione analitica generale,
ottenuta in base alla teoria dellelasticit`a, che fornisce le tensioni tangenziali dovute al taglio
contiene in genere anche la soluzione per la sollecitazione torcente. Di conseguenza `e possibile
che tensioni, e quindi anche le deformazioni, prodotte dalla torsione si manifestino nella sezione
quando `e sottoposta a taglio. Lesempio esaminato pu`o essere usato per evidenziare questo
fatto.
Ci chiediamo quindi: se la forza F
y
fosse applicata in G, come nellesempio di gura 22.29,
quale sarebbe lo stato di tensione-deformazione nella trave? In questo caso, oltre alla essione,
la trave sarebbe sollecitata solo a taglio T
y
e quindi la distribuzione delle tensioni tangenziali
dedotto dalla formula di Jourawski e illustrato in gura 22.26 non sarebbe corretto. Landamen-
to delle tensioni tangenziali pu`o essere per`o facilmente ottenuto con il ragionamento illustrato
nella gura 22.29 reciproco a quello sviluppato. Se spostiamo ttiziamente lasse centrale della
forza dal baricentro al centro di taglio il suo eetto tensionale `e fedelmente riprodotto dalla
formula di Jourawski ma, per non alterare le caratteristiche di sollecitazione sulla sezione, dob-
biamo imporre anche un momento torcente ttizio (ttizio perche la trave non `e sollecitata in
torsione) che vale:
M

z
= F
y
x
C
= T
y
x
C
Il momento torcente ttizio produce nella sezione le tensioni tangenziali tipiche della torsione che
circolano attorno al prolo medio e, nel caso specico, sono prevedibili con la teoria delle sezioni
aperte in parete sottile. Non stupisce quindi se lo stato di tensione-deformazione eettivamente
prodotto nella trave dal solo taglio T
y
abbia anche alcune propriet`a tipiche della torsione.
`
E in
722
22.6. COMPORTAMENTO A TAGLIO DI SEZIONI NON SIMMETRICHE (*)
particoalre interessante considerarne leetto deformativo. Sotto lazione della forza trasversale
applicata nel baricentro, la trave subisce infatti il prevedibile scorrimento in direzione y dato
da:

y
=
y
T
y
GA
ma anche un attorcigliamento, che si ottiene dalla relazione:

=
T
y
x
C
GJ
0eq
Pertanto, una trave a mensola con sezione non simmetrica soggetta a un carico trasversale ap-
plicato nel baricentro della sezione di estermit`a, pur non essendo soggetta a momento torcente,
manifesta anche la deformata propria della torsione (in inglese: twist without torque). In
particolare, la sezione di estremit`a della trave, oltre ad abbassarsi, subisce anche una rotazione
attorno allasse z, nel caso in esame di segno negativo, e quindi orario se visto dalle z positive
che vale:
(l) =
T
y
x
C
GJ
0eq
l
Viceversa, se il carico trasversale `e applicato in corrispondenza del centro di taglio la trave (che
risulta quindi soggetta a taglio e torsione) non ha attorcigliamento per cui la sua sezione di
estremit`a non ruota attorno a z. In questo caso il momento torcente eettivo `e esattamente
opposto a quello ttizio per cui annulla gli eetti torsionali dovuti al taglio. Possiamo per-
tanto prevedere che una mensola orizzontale con sezione a C soggetta al peso proprio, quindi
sollecitata solo a taglio e essione, abbia anche una componente deformativa di tipo torsionale.
In eetti levidenza sperimentale mostra che in queste condizioni la sezione di estremit`a libera
ruota anche attorno allasse z.
In base al teorema di reciprocit`a, che verr`a presentato nel prossimo capitolo 24, `e possibile
dimostrare che se allestremit`a libera di una trave a mensola `e applicato un momento puro in
modo che la caratteristica di sollecitazione sia di sola torsione, la sezione presenta le tipiche
tensioni tangenziali delle tavi a parete sottile e ruota rigidamente attorno allasse z ma il centro
di rotazione non `e G bens` C.
a) b)
y
x
z
y y
F T =
y
x
z
y
F
C
y C
F x
Figura 22.29: Una forza che produce solo taglio in una sezione non simme-
trica pu`o essere trattato come una forza applicata al centro di taglio pi` u un
momento
Leetto di accoppiamento tra taglio e torsione descritto in questo paragrafo `e giusticato dal
fatto che entrambe le caratteristiche agiscono sulle stesse componenti tensionali e deformative
723
22. TRAVE SOGGETTA A TAGLIO
locali, ovvero su
z
e
z
. Laccoppiamento ha analogie con quello esistente tra forza normale
e essione che `e stato esaminato nel carico normale eccentrico. anche in tal caso infatti, le
caratteristiche N, M
x
e M
y
producono le stesse tensioni normali:
zz
.
Laccoppiamento tra taglio e torsione complica la soluzione del problema nel caso in cui la
sezione non abbia nemmeno un asse di simmetria, per esempio per una sezione a L con i lati
diversi. Tuttavia, mediante un approccio simile a quello sviluppato in questo paragrafo ma
applicato in entrambe le direzioni principali dinerzia, `e possibile determinare il centro di taglio
della sezione come intersezione degli assi centrali dei tagli nelle due direzioni.
Nel caso di travi con sezioni in parete sottile sotto leetto di carichi trasversali, le sezioni in
genere danno origine a signicativi ingobbamenti. Per questi problemi quindi la previsione della
deformata basata sullipotesi di Eulero-Bernoulli pu`o produrre risultati grossolani, in partico-
lare quando azioni di vincolo esterno o interno, contrastano lingobbamento delle sezioni. Per
questo motivo sono state sviluppate varie teorie che permettono la previsione di tali eetti con
diversi livelli di approssimazione. Le relative formulazioni sono peraltro piuttosto complesse e
richiedono spesso ipotesi forti sulla geometria e sui vincoli. In certi casi `e inoltre discutibile che
un elemento strutturale con tali caratteristiche possa essere accuratamente descritto con un mo-
dello monodimensionale. Dal punto di vista delle applicazioni pratiche, `e in eetti talvolta pi` u
ragionevole considerare un elemento strutturale in parete sottile come un solido bidimensionale
(guscio o piastra) e di conseguenza `e pi` u opportuno analizzarne il comportamento strutturale
con un approccio di tipo numerico.
724
Capitolo 23
Verica di resistenza delle travi
In questo capitolo, attulmente non completo, sono riportati alcuni esempi di verica di
resistenza di sezioni di travi sulle quali agiscono pi` u caratteristiche di sollecitazione.
23.1 Procedimento generale di verica
Come dimostrato nei capitoli precedenti, le caratteristiche di sollecitazione producono nelle
travi uno stato di tensione che, rappresentato nel sistema di riferimento locale della trave e con
esclusione delle zone di estinzione, ha solo le seguenti componenti:

zz
prodotta dalla forza normale N e dalle essioni M
x
e M
y

xz
e
yz
prodotte dai tagli T
x
, T
y
e dalla torsione M
z
.
La forma pi` u generale del tensore di Cauchy in un generico punto di una sezione sollecitata
da tutte le caratteristiche `e quindi:
_
_
0 0
xz
0
yz
Sym
zz
_
_
Per il generico punto in una trave, si pu`o pertanto sempre scegliere una opportuna direzione nel
piano di sezione, che indichiamo con

, in cui `e diretta la risultante delle tensioni tangenziali
agenti sul piano di sezione stesso e quindi vale la relazione:

z
=
_

2
xz
+
2
yz
Indicando con q un versore del piano di sezione normale a

, nel sistema di riferimento locale
con direzioni q,

e

k, il generico stato di tensione si esprime come:
_
_
0 0 0
0
z
Sym
zz
_
_
(23.1)
che dimostra come nelle travi lo stato di tensione possa essere sempre ricondotto a due quantit`a
scalari indipendenti date da:
una componente normale
zz
prodotta dalleetto combinato di: N, M
x
e M
y
una componente tangenziale
z
prodotta dalleetto combinato di: T
x
, T
y
e M
z
725
23. VERIFICA DI RESISTENZA DELLE TRAVI
z

C
B
z

zz

2
0 =
3

C
z

zz

Figura 23.1: Stato di tensione generico in un punto di una trave e relativo


arbelo di Mohr
Uno stato di tensione con tali caratteristiche `e in generale biassiale (`e uniassiale solo se `e
nulla la
z
) e ha larbelo di Mohr rappresentato nella gura 23.1.
Si ricava che:
se lo stato non `e monoassiale, le tensioni principali non nulle sono di segno opposto
il cerchio massimo dellarbelo `e denito dalle coordinate di Mohr dei punti C e D e quindi
proprio dai parametri tensionali
zz
e
z
che ne deniscono la posizione
la tensione tangenziale massima che il materiale sopporta `e:

max
=
_
_

zz
2
_
2
+
2
z
come dimostrato nel capitolo 18, le tensioni equivalenti di Tresca e di Von Mises sono
rispettivamente:

eq,Tresca
=
_

2
zz
+ 4
2
z
(23.2)

eq,Mises
=
_

2
zz
+ 3
2
z
(23.3)
Il procedimento generale per la verica della resistenza (a snervamento) di una sezione di
trave `e quindi il seguente:
determinare in ogni punto della sezione la tensione equivalente in base al criterio di
snervamento ritenuto pi` u adatto per il problema in modo da ottenere una funzione non
negativa che `e formalmente espressa da:

eq
(x, y)
determinare il valore massimo di tale funzione risolvendo il seguente problema di massimo
assoluto vincolato sul dominio della sezione:

eq,max
= max
(x,y)

eq
(x, y)
Dato che la funzione
eq
(x, y) `e continua e il dominio `e un insieme chiuso e limitato,
il teorema di Weierstrass garantisce che il massimo esiste. La posizione in cui si raggiunge il
massimo della tensione equivalente `e il punto critico della sezione e sar`a generalmente indicato
con H. La funzione
eq
(x, y) pu`o peraltro avere massimo assoluto in pi` u di un punto (anche
726
23.2. TAGLIO E FLESSIONE
in inniti punti). Per semplicit`a di scrittura indicheremo il valore massimo della tensione
equivalente con il simbolo
max
=
eq
(x
H
, y
H
).
Se la sezione in esame `e la sezione critica della trave, H `e pertanto il punto critico della
trave, per cui il coeciente di sicurezza per la resistenza a snervamento dellintera trave `e:
=

am

max
(23.4)
La ricerca del massimo raramente viene eettuata tramite lo studio della funzione
eq
(x, y)
in R
2
con il procedimento generale dellAnalisi Matematica. Si deve considerare infatti che il
problema `e di massimo assoluto su un dominio chiuso e limitato per cui lesame del gradiente e
dei relativi punti stazionari della funzione
eq
(x, y) `e generalmente insuciente. Nella pratica,
il procedimento di ricerca del massimo `e di tipo euristico e assomiglia a quello adottato per
individuare le sezioni potenzialmente critiche nelle travi. I passi sono i seguenti:
si esaminano separatamente gli andamenti nella sezione delle due componenti tensionali

zz
e
z
le quali concorrono, in forma additiva anche se non lineare, a determinare la
tensione equivalente
non sono importanti i segni delle componenti tensionali
zz
e
z
perche nella formula
della tensione equivalente compaiono al quadrato
si seleziona in questo modo un numero (generalmente piccolo) di posizioni potenzialmen-
te critiche H
1
, H
2
, ...., H
n
in corrispondenza di ognuna delle quali si calcola la tensione
equivalente e quindi si ottiene il valore massimo e il punto critico
se si considerano gli andamenti delle tensioni prodotte dalle singole caratteristiche di
sollecitazione, si pu`o prevedere che la posizione critica quasi sempre si trova sul contorno
della sezione, pertanto `e frequente che il massimo assoluto non sia un punto stazionario
della funzione
eq
(x, y).
Lapplicazione del metodo `e illustrata negli esempi discussi nei prossimi paragra.
23.2 Taglio e essione
Nei problemi piani le caratteristiche di sollecitazione non nulle sono la forza normale N, il
taglio (generalmente T
y
) e la essione M
x
. Leetto combinato di N e M
x
`e stato analizzato
nel capitolo 20 con la trattazione del carico normale eccentrico. Consideriamo quindi la verica
sotto le caratteristiche T
y
e M
x
che, come sappiamo, sono in genere presenti insieme.
23.2.1 Sezioni di forma solida
Il seguente esempio `e eettuata la verica di una sezione rettangolare.
Esempio 23.1: Verica di una sezione rettangolare
Data una trave di acciaio (
am
= 300 MPa) avente la sezione rettangolare con b = 50 mm e
h = 80 mm rappresentata gura 23.2 e sollecitata da T
y
= 150 kN e M
x
= 8.0 kNm:
a) tracciare landamento della funzione
eq
(x, y)
b) determinare il punto critico e il coeciente di sicurezza.
727
23. VERIFICA DI RESISTENZA DELLE TRAVI
y
x
z
b
h
Figura 23.2: Sezione rettangolare
`
E suciente considerare la variazione delle componenti tensionali in direzione y in quan-
to lo stato di tensione non dipende dalla posizione x. Nella gura 23.3a) sono rappresentati
gli andamenti delle tensioni equivalenti nella sezione prodotti dalle singole caratteristiche
di sollecitazione se agissero separatamente.
0 50 100 150
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
( ) MPa
eq

y
h
x
M
y
T
( ) MPa
eq

y
h
0 50 100 150
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
a) b)
Figura 23.3: Andamenti delle tensioni equivalenti: a) nel caso di
caratteristiche agenti separatamente e b) eetto combinato.
La essione produce gli eetti estremi nei punti lontani dallasse neutro dove si ha:

zz,max
= 150 MPa
mentre il taglio produce il massimo eetto sullasse x dove:

yz,max
= 56.25 MPa
Landamento della tensione equivalente di Tresca complessiva `e riportato nella gura 23.3b)
dallesame della quale si possono ricavare le seguenti considerazioni:
il valore massimo si verica in corrispondenza dei punti estremi della sezione y =
h
2
728
23.2. TAGLIO E FLESSIONE
in corrispondenza del baricentro si ha un punto stazionario che non `e il massimo
si pu`o vericare che se la forza di taglio fosse inferiore (per esempio per T
y
= 100 kN)
la funzione avrebbe un minimo in corrispondenza del baricentro.
Il coeciente di sicurezza vale:
=
300
150
= 2
Lesempio precedente mostra che la verica della sezione `e dominata dalla caratteristica
essionale e il coeciente di sicurezza risulta indipendente dal taglio, almeno no a che questo
non assume valori enormi. Si osservi infatti che il valore considerato `e gi`a molto elevato.
Non `e possibile eettuare un confronto diretto tra essione e taglio perche sono grandezze
non omogenee, tuttavia `e possibile considerare quali livelli relativi `e plausibile aspettarsi nelle
normali applicazioni. Dato che il taglio `e dovuto alle forze esterne trasversali allasse della trave
e il momento ettente alle stesse forze moltiplicate per un braccio, possiamo in genere scrivere
che:
M
x
T
y
l
in cui il braccio l `e una lunghezza caratteristica dellestensione assiale della trave (non necessa-
riamente la lunghezza totale). Un valore minimo di riferimento per l pu`o essere considerato il
diametro della sezione d, dato che, per la stessa denizione di trave, le lunghezze caratteristi-
che nella direzione dellasse dovrebbero essere ben maggiori del diametro. Pertanto, possiamo
ragionevolmente aermare che, per una sezione di trave, la forza di taglio `e elevata rispetto alla
essione quando:
T
y

M
x
d
Nellesempio in esame, assumendo d h, un livello elevato del taglio si ha quindi con:
T
y

M
x
h
= 100 kN
Possiamo quindi concludere che per le normali travi con sezioni di forma solida (rettangoli,
cerchi, ecc..) `e ben dicile che in presenza di taglio e essione il coeciente di sicurezza sia
signicativamente inuenzato dalle tensioni dovute al taglio.
Tale risultato `e spiegabile in base alle seguenti considerazioni:
le travi sono corpi snelli per cui il braccio caratteristico l del momento ettente `e un
multiplo del diametro della sezione
taglio e essione producono gli eetti tensionali estremi in punti diversi e della sezione e
sono complementari (i massimi dovuti a una caratteristica tendono a manifestarsi nelle
zone in cui sono minimi gli eetti dellaltra)
la formula di Tresca prevede una combinazione pitagorica tra le tensioni equivalenti
prodotte dalle singole caratteristiche:

eq,Tresca
=
_

2
zz
+ (2
z
)
2
e, come `e noto dalla geometria elementare, quando un cateto `e prevalente sullaltro
lipotenusa `e circa uguale al cateto pi` u lungo
leetto `e simile anche se di adotta la formula di Von Mises.
729
23. VERIFICA DI RESISTENZA DELLE TRAVI
Esercizio 23.1: Verica di una sezione circolare
Ripetere lesercizio precedente considerando una sezione circolare avente la stessa area.
23.2.2 Sezioni a parete sottile
Consideriamo un caso in cui la sezione `e particolarmente resistente a essione ma potenzial-
mente debole a taglio, come nel caso del doppio T.
Esempio 23.2: Verica di una sezione a doppio T
Una mensola di acciaio (
am
= 300 MPa) avente sezione unicata IPE 200 con h = 200 mm,
c = 200 mm, t
w
= 5.6 mm, t
f
= 8.5 mm rappresentata gura 23.4 `e caricata con una forza
F = 10 kN in direzione y applicata nel baricentro della sezione estrema libera. Trascurando
gli eetti locali, determinare la posizione del punto critico e il coeciente di sicurezza in
funzione della lunghezza della trave l.
y
x
f
t
w
t
z
G
B
D
h
c
Figura 23.4: Sezione IPE200
La sezione critica `e allincastro in cui si ha:
T
y
= F e M
x
= F l
Trascurando i raccordi, la sezione ha il seguente momento dinerzia:
J
x
= 1.846 10
7
mm
4
In base al procedimento euristico precedentemente suggerito, individuiamo i punti
potenzialmente critici della sezione:
il baricentro G dove si hanno le massime tensioni dovute al taglio (la considerazione
di questa posizione non sarebbe probabilmente giusticata per sezioni solide, tuttavia
in questo caso `e opportuno valutare anche gli eetti del solo taglio)
il punto D nella zona centrale del lato esterno della piattabanda in cui le tensioni
dovute alla essione sono le massime per lintera sezione e le tensioni dovute al taglio
sono massime per la piattabanda
730
23.2. TAGLIO E FLESSIONE
il punto B di attacco dellanima alla piattabanda dove le tensioni dovute alla essione
sono massime per lanima e le tensioni dovute al taglio, anche se non massime, sono
comunque elevate per la sezione.
Il graco in gura 23.5a) rappresenta landamento delle tensioni nei tre punti in funzione
della lunghezza della mensola.
( ) MPa
eq

/ l h
0 2 4 6 8
0
50
100
G
B
D
0 2 4 6 8
0
5
10
15
/ l h

G B D
a) b)
Figura 23.5: Mensola con sezione a doppio T: a) tensioni equivalenti nei
punti caratteristici della sezione critica e b) relativo coeciente di sicurezza,
entrambi i graci in funzione della lunghezza della trave.
La gura 23.4a) dimostra che:
per travi molto tozze l < 2.06h il punto critico `e il baricentro G
per travi di lunghezza intermedia 2.06h l 3.42h il punto critico `e B
per travi abbastanza snelle l > 3.42h il punto critico `e denitivamente D.
Nella gura 23.4b) `e rappresentato il coeciente si sicurezza a resistenza relativo
Si pu`o notare quindi che, anche per sezioni deboli al taglio, `e necessario che la trave sia
piuttosto tozza perche leetto del taglio prevalga sulla essione.
`
E da sottolineare che il punto
di attacco tra lanima e la piattabanda rappresenta una condizione di valori intermedi delle
tensioni ma entrambi sono vicini al massimo, per cui tale posizione `e sempre da considerare
nelle veriche di questo tipo di sezione.
Esercizio 23.2: Verica di una sezione a doppio T semplicata (1)
Ripetere lesercizio precedente adottando per le tensioni dovute al taglio lipotesi di tensione
uniforme nellanima
Esercizio 23.3: Verica di una sezione a doppio T semplicata (2)
Determinare la lunghezza minima della trave per cui il coeciente di sicurezza valutato
considerando solo la essione dierisce da quello ottenuto nellesempio per meno del 5%.
731
23. VERIFICA DI RESISTENZA DELLE TRAVI
Esercizio 23.4: Verica di una sezione a doppio T non unicata (*)
Ripetere lesercizio proposto nellesempio precedente considerando, a parit`a di altre con-
dizioni, i seguenti valori dello spessore dellanima: t
w
= 1.0, 2.0, 4.0 mm e confrontare i
risultati.
23.3 Taglio e Torsione
23.3.1 Sezioni tubolari
Se la sezione deve trasmettere torsione in modo signicativo `e opportuno che sia tubolare.
Il seguente esempio considera questo caso
Esempio 23.3: Verica di una sezione tubolare rettangolare
Una trave di lega leggera con
am
= 200 MPa ha la sezione a cassone rappresentata in
gura 23.6 con dimensioni: h = 60 mm, c = 120 mm, t
1
= 3 mm, t
2
= 6 mm. La sezione
critica della trave `e sottoposta alle caratteristiche: T
x
= 2F, T
y
= F, M
z
= 2Fc.
Trascurando gli eetti locali nei raccordi, determinare il punto critico e il valore massimo
della forza F per avere un coeciente di sicurezza a resistenza di = 1.5.
y
1
t
x
z
G
2
t
h
c
Figura 23.6: Sezione di trave a cassone
In questo caso `e utile tracciare il usso delle tensioni tangenziali prodotte dalle caratte-
ristiche di sollecitazione rispettando i versi. In gura 23.7 sono riportati andamenti e valori
per una forza F = 1 kN.
732
23.3. TAGLIO E TORSIONE
y
x
z
z
M
y
T
x
T
y
x
z
y
x
z
6.33
3.16
3.18
2.85
1.42
1.84 0.58
1.16
Figura 23.7: Andamenti quotati delle tensioni tangenziali prodotti dalle
singole caratteritiche.
Si individuano come potenzialmente critici i punti in cui le tensioni tangenziali sono
equiverse e hanno i valori estremi come in gura 23.8.
y
x
z
G
1
H
2
H
Figura 23.8: Trave a cassone posizioni critiche
Con F = 1 kN si ottiene:
per il punto H
1
:
z
= 10.34 MPa
per il punto H
2
:
z
= 9.51 MPa
il punto critico `e pertanto H
1
e il valore massimo della forza vale (con Tresca):
F
max
=

am
2 10.34
1 kN = 6.49 kN
23.3.2 Sezioni aperte
Come `e noto, le sezioni aperte non dovrebbero essere usate per trasmettere torsione. Tutta-
via, non si pu`o escludere che possano essere sottoposte a momenti torcenti per eetti secondari
733
23. VERIFICA DI RESISTENZA DELLE TRAVI
(dissimmetrie della geometria o lievi spostamenti dei carichi).
Esempio 23.4: Taglio e torsione in una sezione a doppio T
Nella sezione di gura 23.4 con materiale avente
am
= 300 MPa `e applicato un taglio
che, se agisce da solo, produce un coeciente di sicurezza = 3. Determinare il massimo
momento torcente che pu`o essere sovrapposto.
In base ai risultati dellesempio precedente le tensioni tangenziali dovute al taglio nei
punti G e D sono rispettivamente: 50 MPa e 10.45 MPa.
Ripartendo il momento torcente in misura direttamente proporzionale alla rigidezza tor-
sionale delle tre sottosezioni rettangolari (i calcoli sono eettuati considerando piattabande
e anima rettangoli lunghi) si ha che sullanima il momento torcente `e:
M
zw
= 0.207 M
z
mentre su ogni piattabanda agisce un momento pari a:
M
zf
= 0.396 M
z
La tensione tangenziale (in MPa) nei punti critici delle sottosezioni dovuta al momento
torcente (in Nmm) `e quindi:

zw
= 1.084 10
4
M
z

zf
= 1.646 10
4
M
z
Per leetto della sola torsione il punto critico sarebbe il centro del lato esterno della
piattabanda.
Considerando anche la caratteristica taglio, i punti potenzialmente critici sono quindi:
H
1
il centro di uno dei due lati lunghi del contorno dellanima (dove si sommano in
modo concorde le tensioni tangenziali di taglio e torsione) in cui si ha (valori in MPa):

z1
= 1.084 10
4
M
z
+ 50
H
2
il centro del lato estremo delle piattabande in cui si ha (valori in MPa):

z2
= 1.646 10
4
M
z
+ 10.45
Imponendo che la tensione sia pari a
am
=

am
2
= 150 MPa, si verica che il punto
critico `e H
2
e che
M
z,max
= 0.848 kNm
23.4 Flessione e torsione
Flessione e torsione sono caratteristiche che spesso danno luogo a tensioni massime in corri-
spondenza degli stessi punti, per cui gli eetti si cumulano. Elementi tipicamente sollecitati da
tali combinazioni di caratteristiche sono gli alberi di trasmissione.
734
23.5. TUTTE LE CARATTERISTICHE
Esempio 23.5: Albero di trasmissione
Un albero di trasmissione di acciaio con
am
= 350 MPa `e sottoposto nella sezione critica
alle seguenti caratteristiche: M
x
= 5.4 kNm; M
y
= 3.2 kNm; M
z
= 4.5 kNm, determinare il
diametro per avere un coeciente di sicurezza = 2.4.
Per le sezioni circolari la essione `e sempre retta e il momento ettente complessivo
vale:
M
Fl
=
_
M
2
x
+M
2
y
= 5.4 kNm
Dato che le tensioni tangenziali dovute alla torsione sono massime su tutta la circonferenza
esterna della sezione, non `e rilevate determinare il punto in cui si ha la massima tensione
normale dovuta alla essione. In tale punto si avr`a la tensione equivalente massima che
vale:

max
=

_
M
Fl
W
x
_
2
+ 4
_
M
z
W
0
_
2
Imponendo:

max
=

am

e ricordando che
W
0
= 2W
x
=

2
R
3
essendo R il raggio dellalbero, si ottiene il diametro:
d = 81.4 mm
Dallesempio precedente si ricava una relazione che pu`o essere utile per dimensionare gli
alberi di trasmissione. Infatti, la tensione equivalente massima secondo Tresca vale:

max
=

_
M
Fl
W
x
_
2
+ 4
_
M
z
2W
x
_
2
=
_
M
2
x
+M
2
y
+M
2
z
W
x
Il momento complessivo, in senso vettoriale, che la sezione deve trasmettere `e pertanto equi-
valente a un unico momento ettente. Tale relazione `e valida anche per sezioni tubolari
rettangolari.
23.5 Tutte le caratteristiche
In generale non `e frequente che su una sezione di trave agiscano tutte le caratteristiche e que-
ste siano tutte signicative ai ni della resistenza. Lesperienza mostra infatti che solitamente
una caratteristica o al pi` u una coppia di caratteristiche `e importante per la verica di resistenza
di una sezione. Nel caso di problemi tridimensionali in cui molte caratteristiche risultano non
nulle, le forme pi` u adatte sono quelle tubolari (spesso circolari) per le quali il procedimento di
calcolo dovrebbe a questo punto essere denito.
735
23. VERIFICA DI RESISTENZA DELLE TRAVI
Esercizio 23.5: Trave tubolare
Considerando la sezione a cassone dellesempio 23.3, determinare quale tensione ammissi-
bile `e richiesta al materiale se la sezione critica `e sottoposta alle seguenti caratteristiche
(con F = 10 kN):
N = 10F; T
x
= 3F; M
z
= Fc; M
y
= 4Fc
736
Capitolo 24
Rigidezza delle travi
Il capitolo sviluppa procedimenti utili per valutare la rigidezza delle travi. Nella prima parte
`e proposto il metodo della linea elastica nel quale viene ottenuta una equazione dierenzia-
le la cui soluzione fornisce lespressione analitica delle componenti di spostamento dei punti
della linea dasse sotto carico. Vari esempi illustrano la pratica applicazione del metodo e ne
evidenziano i pregi e i difetti.
Nella seconda parte viene generalizzato il metodo energetico che `e particolarmente adatto a
determinare spostamenti di specici punti. A partire dal principio di conservazione dellenergia,
`e dimostrato il teorema di Castigliano che permette di estendere il bilancio a situazioni pi` u
generali. Viene anche discusso il teorema di Betti che ha interessanti applicazioni nello studio dei
corpi deformabili. Nella parte nale del capitolo `e introdotto lintegrale di Mohr che rappresenta
il metodo pi` u ecace per ottenere spostamenti nei sistemi isostatici di travi deformabili in
campo elastico lineare.
24.1 Spostamenti e deformazioni nelle travi
Dallo studio degli eetti tensionali e deformativi delle caratteristiche di sollecitazione per
le travi con asse rettilineo (o al pi` u con debole curvatura) possiamo ricavare le seguenti
considerazioni di carattere generale:
lallungamento della linea dasse `e prodotta dalla sola forza normale (e =
N
EA
)
gli spostamento dei punti della linea dasse in direzione z, che saranno indicati come w,
sono quindi dovuti alla forza normale N
gli spostamenti della linea dasse nelle direzioni trasversali (u in direzione x e v in direzione
y) sono prodotti dalle essioni e dai tagli e, escludendo le travi particolarmente tozze, gli
eetti dei tagli possono esser trascurati
la torsione non produce spostamenti dei punti appartenenti allasse.
Sulla base di questi fatti, `e possibile sviluppare una teoria consistente che condice a equa-
zioni dierenziali disaccoppiate con cui si pu`o ottenere lespressione analitica della linea dasse
deformato (linea elastica). Dato che si trascurano gli eetti deformativi del taglio, `e appli-
cabile lipotesi deformativa di Eulero-Bernoulli, pertanto, nota la forma della linea dasse, `e
ricostruibile lintera trave deformata e si pu`o valutare lo spostamento di ogni punto della trave
stessa.
Nel seguito svilupperemo la teoria assumendo, salvo speciche indicazioni contrarie, le
seguenti consuete ipotesi:
737
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
meccanica dei corpi poco deformabili
materiale elastico lineare omogeneo isotropo
problema piano
trave con asse localmente rettilineo
sezione della trave costante almeno a tratti o, al pi` u, debolmente variabile con lascissa
curvilinea.
Avremo modo di discutere leetto di alcune di queste ipotesi e daremo talvolta indicazioni su
come generalizzare la teoria nei casi in cui non sono vericate.
Con riferimento allo schema della gura 24.1, per un problema piano costituito da una
trave (o un tratto di trave) con asse rettilineo sono applicati carichi genericamente distribuiti
nella direzione dellasse, indicati come sempre con: q (s), e in direzione y indicati come p (s).
Eventuali carichi di tipo concentrato che determinano zone di estinzione per la soluzione di
trave dovranno essere trattati opportunamente. Gli spostamenti assiali (in direzione z) dei punti
della linea dasse saranno identicati con la funzione w(s) mentre gli spostamenti in direzione
y saranno indicati con la funzione v (s). Le frecce trasversali v (s) sono dovute sostanzialmente
agli eetti essionali e quindi, dato che dipendono dal cubo della lunghezza della trave, sono di
solito quantitativamente prevalenti sugli spostamenti assiali w(s), proporzionali alla lunghezza
della trave.
B
B*
( ) w s
( ) v s
y
z
s
( ) q s
( ) p s
(a) (b)
(c)
Figura 24.1: Generici carichi distribuiti e relativi spostamenti della linea
dasse per una trave in un modello piano
Nei numerosi esempi del capitolo, quando non diversamente indicato, si assumeranno per il
sistema di riferimento della trave e per lorigine e il verso dellascissa curvilinea le convenzioni
tipiche che sono rappresentate in gura 24.1.
24.2 Equazione della linea elastica per spostamenti assiali
Nelle ipotesi fatte, gli spostamenti assiali dei punti della linea dasse sono legati alla so-
la caratteristica forza normale tramite le seguenti relazioni, rispettivamente costitutiva e di
congruenza:
e =
N
EA
e =
dw
ds
738
24.2. EQUAZIONE DELLA LINEA ELASTICA PER SPOSTAMENTI ASSIALI
Ricordando che nel caso di carico assiale distribuito (capitolo 10) vale la seguente relazione
di equilibrio indenita dal concio (prima cardinale in direzione z):
dN
ds
+q = 0
per sostituzione si ottiene la seguente relazione che lega direttamente gli spostamenti assiali dei
punti dellasse ai carichi:
d
ds
_
EA
dw
ds
_
+q = 0
Nellipotesi che la trave (o il tratto di trave) in esame abbia sezione uniforme, ovvero che la
rigidezza assiale della sezione EA non dipenda da s, la precedente relazione si semplica nella
seguente:
EA
d
2
w
ds
2
+q = 0 (24.1)
che scriveremo spesso come:
EAw

+q = 0 (24.2)
in questo contesto infatti le derivate sono fatte solo rispetto a s per cui non vi sono ambiguit`a.
La relazione semplicata 24.2 cos` ottenuta pu`o essere usata anche nei tratti di trave in cui
la sezione varia purche la dipendenza di EA da s sia debole ovvero la sezione vari con gra-
dualit`a lungo lesse, come dovrebbe essere in un modello coerente di solido monodimensionale.
La presenza di variazioni brusche di sezione rende invece necessario suddividere il dominio in
intervalli contigui allinterno dei quali la relazione dierenziale 24.2 `e valida.
`
E stata pertanto ottenuta una equazione dierenziale lineare a coecienti costanti del se-
condo ordine in generale non omogenea che integrata fornisce lo spostamento assiale dei punti
della linea dasse. Con tale equazione si possono risolvere problemi isostatici o anche iperstatici,
come mostrato negli esempi seguenti.
Osserviamo che quando lequazione `e risolta, e quindi `e ottenuta la funzione incognita w(s),
la forza normale agente sulla generica sezione pu`o essere valutata dalla derivata prima dello
spostamento assiale tramite la relazione:
N = EA e = EA
dw
ds
= EA w

(24.3)
Esempio 24.1: Barra di lega leggera centrifugata
Determinare lallungamento di una barra di lega leggera di gura 24.2 (modulo elastico
E = 76 GPa e densit`a = 3.8 kg/dm
3
) avente lunghezza l = 650 mm e sezione uniforme
con area A = 900 mm
2
che gira intorno a B con velocit`a angolare = 350 rad/sec.
( ) q s
B
C
l

0
q
Figura 24.2: Barra centrifugata
739
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
Nel sistema di riferimento della trave, la distribuzione delle forze esterne (forze
centrifughe) `e espressa dalla relazione:
q (s) = q
0
s
l
con q
0
= A
2
l (q
0
= 272.3 N/mm: attenzione alle unit`a di misura!)
Lequazione risolvente `e quindi la seguente:
EAw

+q
0
s
l
= 0
che pu`o essere risulta con procedimento diretto essendo esplicitabile la derivata seconda:
w

=
q
0
EAl
s
da cui, per integrazione:
w

=
q
0
2EAl
s
2
+c
1
w =
q
0
6EAl
s
3
+c
1
s +c
2
Per determinare le due costanti di integrazione `e necessario imporre altrettante condi-
zioni indipendenti. Tali condizioni sono generalmente date agli estremi del dominio, per
questo sono chiamate Condizioni al Contorno (abbreviato in C.C.), e possono coinvol-
gere valori della funzione e della sua derivata, quindi indirettamente la forza normale. Nel
caso in esame `e immediato vericare che le C.C. sono:
1) w(0) = 0
2) N (l) = 0
La seconda si pu`o scrivere come:
EA w

(l) = 0
per cui si ottiene il seguente sistema lineare:
_
c
2
= 0
EA
_

q
0
2EAl
l
2
+c
1
_
= 0

_
c
2
= 0
c
1
=
q
0
l
2EA
=

2
l
2
2E
=
1
2
V
2
max
E
dove `e stato indicata con V
max
= l la massima velocit`a periferica dei punti della trave.
La soluzione `e quindi:
w(s) =
q
0
6EAl
s
3
+
q
0
l
2EA
s =
q
0
6EAl
_
3l
2
s
2
_
s
Si ottiene lo spostamento del punto C che corrisponde allallungamento della trave:
l = w(l) =
q
0
l
2
3EA
= 0.56 mm
Nota: al lettore `e lasciato il compito di tracciare il diagramma di N e di determinare la
tensione ammissibile del materiale anche il coeciente di sicurezza sia = 2.
740
24.2. EQUAZIONE DELLA LINEA ELASTICA PER SPOSTAMENTI ASSIALI
Esempio 24.2: Variante iperstatica
Con gli stessi dati dellesempio 24.1 precedente considerare la trave vincolata come rap-
presentato in gura 24.3, determinare le reazioni vincolari e tracciare il diagramma della
forza normale.
( ) q s
B
C
l

0
q
Figura 24.3: Barra centrifugata iperstatica
Si tratta di un problema una volta iperstatico. La trave `e la stessa del caso precedente
ed `e soggetta agli stessi carichi, pertanto lequazione risolvente `e identica e la soluzione `e:
w =
q
0
6EAl
s
3
+c
1
s +c
2
Le C.C. per le attuali condizioni di vincolo sono:
1) w(0) = 0
2) w(l) = 0
e il sistema lineare ha la seguente soluzione:
c
2
= 0; c
1
=
q
0
l
6EA
da cui si ottiene lo spostamento assiale dei punti della linea dasse:
w(s) =
q
0
6EAl
_
l
2
s
2
_
s
e la forza normale:
N (s) = EA
dw
ds
=
q
0
6l
_
l
2
3s
2
_
Le reazioni vincolari possono essere valutate in base alla forza normale agente nelle
sezioni di estremit`a:
N (0) =
q
0
l
6
= 29.5 kN
N (l) =
q
0
l
3
= 59 kN
Lo schema di corpo libero denitivo e il diagramma della forza normale sono rappresentati
nella gura 24.4.
741
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
( ) q s
B
C
0
q
5.9kN
2.95kN
( ) kN N
B
C
5.9
2.95
(a)
(b)
Figura 24.4: Barra centrifugata: a) schema di corpo libero denitivo e b)
diagramma delle forza normale
Nota: vericare che il punto D dellasse in cui la forza normale si annulla `e quello che
subisce il massimo spostamento assiale e determinare tale spostamento.
24.3 Equazione della linea elastica per spostamenti trasversali
Gli spostamenti trasversali prodotti dalla caratteristica essionale M
x
sono generalmente le
componenti pi` u signicative della variazione di congurazione, per cui lequazione che ne deriva
`e la pi` u interessante nella pratica. Partiamo anche in questo caso dalle equazioni costitutive e
di congruenza che per la essione retta (ipotesi di Eulero-Bernoulli) sono rispettivamente:
k
x
=
M
x
EJ
x
k
x
=
d
2
v
ds
2
_
1 +
_
dv
ds
_
2
_
3/2
=
v

_
1 + (v

)
2
_
3/2
Lespressione della curvatura della linea dasse deformata con parametrizzazione cartesia-
na (vedi appendice E) mostra una dipendenza non lineare dalla derivata prima che produce
una signicativa complicazione nella soluzione dellequazione dierenziale nale (la quale non
risulta pi` u lineare). Tuttavia, in base allipotesi della meccanica dei corpi poco deformabili, gli
spostamenti della linea dasse dovranno essere tali per cui:
max [v (s)[ < d l
con d diametro della trave. Lordine di grandezza delle massime pendenze prevedibili per la
linea dasse sar`a pertanto:
max

(s)

d
l
1
e quindi, a maggior ragione, si pu`o assumere che:
_
v

(s)

_
d
l
_
2
1
e quindi considerare, con ottima approssimazione, di valore unitario il denominatore nellespres-
sione della curvatura.
`
E perci`o plausibile approssimare la curvatura della linea elastica con la
742
24.3. EQUAZIONE DELLA LINEA ELASTICA PER SPOSTAMENTI TRASVERSALI
concavit`a e adottare la seguente equazione di congruenza semplicata:
k
x
=
d
2
v
ds
2
= v

Per giusticare il segno negativo che compare nella denizione, `e suciente considerare
(vedi anche lappendice E) che, per denizione, una curvatura `e positiva quando il raggio di
curvatura `e diretto nel verso dellasse di rappresentazione della funzione (nel caso specico v (s)
`e rappresentata sullasse y). Pertanto se la funzione v (s) ha la concavit`a rivolta contro lasse
y (ovvero `e negativa) la sua curvatura `e positiva e viceversa, come mostrato nello schema di
gura 24.5. Sfruttando solo le equazioni di congruenza e costitutive `e possibile ottenere una
s
y
z
C D B
B*
R
s
C D
B
B*
R
y
z
1
0; 0
x
k v
R
= > <
1
0; 0
x
k v
R
= < >
(a)
(b)
Figura 24.5: Raggio di curvature e curvatura della linea dasse
prima forma dellequazione della linea elastica:
d
2
v
ds
2
=
M
x
EJ
x
(24.4)
che si scrive comunemente in questo modo:
EJ
x
v

= M
x
(24.5)
La relazione (24.5) rappresenta una equazione dierenziale ordinaria lineare del secondo ordine,
generalmente non omogenea, chiamata equazione della linea elastica del II ordine.
Dato che, per valutare la deformata delle linea dasse della trave con tale equazione `e ne-
cessario esprimere analiticamente il momento ettente, lequazione del secondo ordine `e adatta
per risolvere problemi isostatici. Consideriamo i seguenti esempi.
Esempio 24.3: Linea elastica per una mensola
Determinare lequazione della linea elastica per una trave a mensola con carico allestremit`a.
743
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
P
C
l
EJ
x
D
B
Figura 24.6: Mensola con carico trasversale allestremo
Si tratta del classico problema isostatico di Galileo per il quale la determinazione
dellespressione analitica del momento ettente `e immediata:
M
x
(s) = P (l s)
(in questi calcoli `e fondamentale il rispetto delle convenzioni sui versi degli assi e sui relativi
segni della grandezza scalari coinvolte). Si procede alla doppia integrazione dellequazione:
v

=
P
EJ
x
(l s)
ottenendo:
v

=
P
EJ
x

_
ls
s
2
2
_
+c
1
v =
P
EJ
x

_
l
s
2
2

s
3
6
_
+c
1
s +c
2
Le precedenti espressioni contengono le consuete due costanti di integrazione che si
ricavano dalle C.C. in questo caso evidenti (incastro in B):
1) v (0) = 0
2) v

(0) = 0
Sostituendo si ottiene c
1
= c
2
= 0, da cui lespressione nale:
v =
P
6EJ
x
(3l s) s
2
che dimostra come la linea elastica sia una polinomiale cubica.
Sfruttando il risultato ottenuto dellultimo esempio, possiamo valutare tutte le grandezze
deformative di interesse. In particolare, la freccia in C, il punto dellasse che ha il massimo
spostamento, la cui espressione `e:
v
C
= v (l) =
Pl
3
3EJ
x
Ritroviamo quindi il valore noto della freccia per la mensola senza il contributo deformativo
del taglio. Questo risultato `e coerente con il fatto che, avendo assunto lipotesi deformativa di
Eulero-Bernoulli, sono stati considerati solo gli eetti deformativi essionali. Sarebbe possibile
inglobare nellequazione della linea elastica anche il contributo del taglio ma, considerata la sua
scarsa entit`a, la complicazione che ne consegue non `e giusticata.
Possiamo sfruttare la soluzione completa per ottenere altre interessanti informazioni sulla
trave deformata, come per esempio la rotazione della sezione di estremit`a oppure della sezione
744
24.3. EQUAZIONE DELLA LINEA ELASTICA PER SPOSTAMENTI TRASVERSALI
di mezzeria D. Queste valutazioni sono immediate se si tiene conto che, sempre in base alli-
potesi di Eulero-Bernoulli, le sezioni si conservano piane e normali alla linea dasse deformata.
Chiamata (s) la rotazione della sezione generica (assunta positiva quando equiversa con lasse
x secondo la regola della mano destra) vale la seguente relazione:
(s) = v

(s) (24.6)
nella quale, in base alle solite ipotesi di corpi poco deformabili ([ (s)[ 1), `e stato assunto
langolo in radianti pari alla sua tangente trigonometrica. La relazione precedente permette
di dare una ulteriore interpretazione geometrica alla derivata prima della freccia. Nellesempio
24.3, si ottiene in particolare:

C
= v

(l) =
1
2
Pl
2
EJ
x

D
= v

_
l
2
_
=
3
8
Pl
2
EJ
x
Il seguente problema `e particolarmente istruttivo.
Esercizio 24.1: Spostamento degli estremi della sezione
Assumere la trave in gura 24.6 di sezione quadrata con lato a = 0.2l e determinare lo
spostamento completo (con entrambe le componenti piane), dei punti C
1
e C
1
estremi
appartenenti allasse y della sezione C evidenziati in gura 24.7.
1
C
2
C
a
Figura 24.7: Estremo libero dela mensola in gura 24.6
Esempio 24.4: Linea elastica con carico di momento
Valutare la linea elastica nel problema rappresentato in gura 24.8 e determinare rotazione
e spostamento della sezione di estremit`a.
C
l
EJ
x
B
M
Figura 24.8: Mensola con carico di momento
La soluzione dellequazione `e particolarmente semplice in questo caso dove il momento
ettente `e costante:
M
x
(s) = M
745
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
Le C.C. sono le stesse dellesempio precedente e la soluzione nale `e quindi:
v

(s) =
M
EJ
x
s; v (s) =
M
EJ
x

s
2
2
che dimostra come la linea elastica sia una parabola con vertice nellorigine.
La rotazione della sezione di estremit`a vale quindi (come previsto):

C
= v

(l) =
Ml
EJ
x
mentre, dal punto di vista della gura 24.8, il punto C si alza (la v (l) `e infatti negativa)
di:

C
= v (l) =
1
2
Ml
2
EJ
x
Al lettore attento non dovrebbe essere sfuggita unincongruenza con le considerazioni svilup-
pate nel capitolo 20. In eetti, nellultimo esempio 24.4 `e riprodotta la condizione di essione
retta di una trave rettilinea per la quale (escluse come sempre le zone di estinzione) `e noto che
la linea dasse deformata `e un arco di circonferenza e non, come `e stato appena trovato, un arco
di parabola. Lapparente contraddizione si risolve tenendo conto che:
la soluzione corretta `e eettivamente larco di circonferenza della quale larco di parabola
`e una approssimazione
in questo caso lerrore non dipende dallaver trascurato leetto deformativo del taglio,
dato che tale caratteristica `e assente, ma dallaver trascurato il contributo della derivata
prima nella espressione della curvatura
considerando lespressione esatta della curvatura `e possibile dimostrare (risolvendo per`o
una complessa equazione dierenziale non lineare) che la soluzione `e eettivamente un
arco di circonferenza
come si pu`o facilmente vericare, la curvatura prevista dalla linea elastica parabolica `e
esatta nellincastro, in tal punto, in eetti, la derivata prima `e nulla e non si manifestano
gli eetti dellapprossimazione.
Possiamo concludere che la parabola trovata rappresenta unottima rappresentazione polino-
miale della circonferenza esatta. Il seguente esempio dovrebbe permettere al lettore di rendersi
conto dellesiguit`a degli eetti di tali approssimazioni nelle situazioni di pratico interesse.
Esempio 24.5: Mensola con momento: confronto
Considerare lesempio 24.4 con i dati: materiale acciaio (E = 206 GPa,
am
= 500 MPa),
lunghezza l = 1 m sezione quadrata di lato a = 60 mm. Determinato il massimo momento
M che pu`o essere applicato per la resistenza, si confrontino la frecce massime calcolate
usando la deformata circolare e lapprossimazione parabolica.
Il massimo momento applicabile in condizioni di ammissibilit`a vale:
M =
am
W
x
=
am
J
x
a/2
=
1
6
a
3

am
= 18 kNm
746
24.3. EQUAZIONE DELLA LINEA ELASTICA PER SPOSTAMENTI TRASVERSALI
Sotto tale carico la linea dasse assume la curvatura (esatta):
k
x
=
M
EJ
x
=
2
a

am
E
= 8.091 10
5
mm
1
ovvero la linea dasse deformata diventa un arco di circonferenza con raggio:
R =
1
k
x
=
a
2
E

am
= 12.36 m
Langolo al centro su cui si avvolge larco di circonferenza, che equivale alla rotazione
della sezione C, vale quindi:

C
=
l
R
= 2
l
a

am
E
= 0.081 (= 4.64

)
Notiamo che tale angolo `e espresso (a parte il fattore 2 che dipende dalla forma della
sezione) dal prodotto di due numeri puri, il primo, rapporto tra lunghezza e diametro della
trave, dobbiamo aspettarci che in genere sia dellordine delle decine, mentre il secondo `e un
numero molto piccolo (per lacciaio e i normali materiali strutturali `e dellordine di 10
3
).
Il basso valore numerico di
C
quindi non stupisce anche in questo esempio in cui per una
trave piuttosto snella il materiale `e stato portato al limite di ammissibilit`a.
Lo spostamento verticale (verso lalto) esatto vale quindi:

C
= R[1 cos (
C
)] = 40.431 mm
Il valore che si ottiene dalla linea elastica `e:

Cappr
=
1
2
Ml
2
EJ
x
=
l
2
a

am
E
= 40.453 mm
da cui si ricava lerrore dovuto allapprossimazione della curvatura:
er =

Cappr

C
= 0.055%
Per quanto nellesempio considerato lo spostamento sia signicativo (
C
a), lerrore `e
trascurabile ai ni di ogni valutazione tecnica. In particolare, `e da presumere che lincidenza
degli eetti locali sul valore della freccia massima sia molto pi` u signicativa.
Non sempre il procedimento adottato negli esempi precedenti consente di ottenere la soluzio-
ne. In un problema iperstatico infatti, non `e possibile esprimere la funzione momento ettente
prima di ottenere la soluzione. Per questi casi `e necessario sviluppare ulteriormente lequazio-
ne della linea elastica del secondo ordine introducendo, oltre alla congruenza e alle equazioni
costitutive, anche le condizioni che derivano dallequilibrio.
A tale scopo eettuiamo la derivazione membro a membro dellequazione della linea elastica
del secondo ordine ottenendo:
d
ds
_
EJ
x
d
2
v
ds
2
_
=
dM
x
ds
Anche nella valutazione degli spostamenti trasversali, per motivi di semplicit`a ma senza signi-
cativa perdita di generalit`a, assumiamo che la sezione sia uniforme o, al pi` u, vari debolmente con
lascissa s in modo che la rigidezza essionale possa essere estratta dalloperatore di derivazione.
747
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
Notiamo inoltre che la derivata del momento ettente `e il taglio (capitolo 9):
dM
x
ds
= T
y
pertanto possiamo scrivere la relazione:
EJ
x
d
3
v
ds
3
= T
y
(24.7)
che rappresenta lequazione della linea elastica del terzo ordine. Tale relazione consente
di attribuire un signicato sico alla derivata terza della freccia trasversale perche dimostra che
tale quantit`a `e strettamente legata alla caratteristica di sollecitazione taglio.
Questo passaggio non `e ancora risolutivo dato che di solito nemmeno lespressione analitica
del taglio `e direttamente disponibile nei problemi iperstatici. Si procede quindi a unulteriore
derivazione nella quale `e sfruttata ancora lipotesi di sezione uniforme, o debolmente variabile,
e la seguente equazione indenita di equilibrio del concio (capitolo 10):
dT
y
ds
+p = 0
Si ottiene inne la relazione:
EJ
x
d
4
v
ds
4
= p (s) (24.8)
che rappresenta lequazione della linea elastica del quarto ordine. Finalmente la gran-
dezza in ingresso, il termine noto dellequazione dierenziale, `e direttamente il carico e quindi
il procedimento di soluzione non prevede alcuna preliminare valutazione di statica (tutto il
fenomeno `e inglobato nellequazione, anche lequilibrio). Anche i problemi iperstatici possono
pertanto essere risolti con lequazione del quarto ordine 24.8. I seguenti esempi illustrano le
modalit`a di applicazione del procedimento.
Esempio 24.6: Linea elastica per trave iperstatica
Determinare la linea elastica per lo schema descritto nella gura 24.9.
B
p
l
C
EJ
x
Figura 24.9
A causa delliperstaticit`a siamo indotti a partire dallequazione del quarto ordine. Il
carcio per unit`a di lunghezza trasversale `e costante per cui la sequenza delle derivazioni `e
la seguente:
EJ
x
d
4
v
ds
4
= p
EJ
x
d
3
v
ds
3
= ps +c
1
EJ
x
d
2
v
ds
2
= p
s
2
2
+c
1
s +c
2
dv
ds
=
1
EJ
x
_
p
s
3
6
+c
1
s
2
2
+c
2
s +c
3
_
v =
1
EJ
x
_
p
s
4
24
+c
1
s
3
6
+c
2
s
2
2
+c
3
s +c
4
_
748
24.3. EQUAZIONE DELLA LINEA ELASTICA PER SPOSTAMENTI TRASVERSALI
Prima di procedere alla determinazione delle costanti, `e opportuno considerare il risultato
ottenuto. Lespressione polinomiale di 4 grado nale `e ancora non specializzata dalle C.C.
e quindi rappresenta la forma pi` u generale che pu`o assumere la linea elastica per un tratto
rettilineo di trave sollecitato da un carico trasversale uniformemente distribuito. Allo scopo
di individuare le costanti di integrazione nel caso dei vincoli in esame `e necessario imporre
4 C.C. che devono essere determinate in corrispondenza delle sezioni di estremit`a. Notiamo
che, in generale, essendo partiti da una equazione di ordine 4, `e possibile dare condizioni:
sulla funzione: v
sulla derivata prima e quindi sullinclinazione delle sezioni: = v

sulla derivata seconda e quindi sul momento ettente: EJ


x
d
2
v
ds
2
= M
x
sulla derivata terza e quindi sul taglio: EJ
x
d
3
v
ds
3
= T
y
.
Nel caso in esame, per lincastro nella sezione B, dovranno valere le seguenti condizioni:
1) v (0) = 0
2) v

(0) = 0
Si pu`o osservare che non `e per`o possibile imporre in B condizioni sulle derivate di ordine
pi` u elevato dato che questo implicherebbe la conoscenza di essione o taglio allorigine
(grandezze che saranno sperabilmente note solo alla ne del calcolo). Passiamo quindi
allesame dellaltro estremo del dominio. Una condizione `e evidente:
3) v (l) = 0
non si pu`o prevedere invece linclinazione della sezione in C (presumibilmente un valore
non nullo) e nemmeno il taglio (che `e in modulo pari allintensit`a della reazione vincolare
dellappoggio). Sappiamo per`o che in tale sezione il momento ettente `e nullo (basta
considerare i carichi a valle della sezione. . . ). Da ci`o deriva lultima condizione necessaria:
4) EJ
x
v

(l) = 0 v

(l) = 0
Si scrive quindi il seguente sistema lineare (a tale scopo si osservi che nel corso dellintegra-
zione dellequazione dierenziale sono state gi`a ottenute le espressioni analitiche delle varie
derivate che ora sono utili):
_

_
c
4
= 0
c
3
= 0
p
l
4
24
+c
1
l
3
6
+c
2
l
2
2
+c
3
l +c
4
= 0
p
l
2
2
+c
1
l +c
2
= 0

_
c
1
=
5
8
pl
c
2
=
1
8
pl
2
c
3
= 0
c
4
= 0
da cui il risultato:
v (s) =
p
24EJ
x
_
s
4

5
8
ls
3
+
1
8
l
2
s
2
_
=
p
48EJ
x
_
2s
2
5ls + 3l
2
_
s
2
=
=
p
48EJ
x
(3l 2s) (l s) s
2
Il seguente schema evidenzia la forma della linea elastica (con frecce molto amplicate).
749
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
B
p
C
Figura 24.10: Andamento qualitativo della linea elastica
La soluzione, oltre a fornire direttamente tutti gli spostamenti dei singoli punti della linea
dasse, permette di valutare tramite le derivate degli spostamenti anche le inclinazioni e le
caratteristiche di sollecitazione.
Nota: con la soluzione, il lettore calcoli la freccia massima e lascissa della sezione in cui
questa si verica.
Lequazione della linea elastica del quarto ordine comprende come casi particolari quella di
terzo e quella di secondo ordine, per cui pu`o essere usata per risolvere qualunque problema,
anche se isostatico. Tuttavia, quando `e possibile, lo sforzo richiesto per la determinazione della
funzione momento ettente produce un vantaggio che si manifesta con il dimezzamento del
numero di condizioni al contorno e quindi di incognite nel sistema lineare risolvente. Se si usa
lequazione del secondo ordine non si possono evidentemente imporre condizioni sulle derivate
di ordine 2 o superiori (taglio, momento e carico sono infatti gi`a inglobati nellespressione del
momento ettente).
Esempio 24.7: Applicazione dellequazione del IV ordine
Risolvere il problema isostatico in gura 24.11 con lequazione del IV ordine.
C
l
EJ
x
B
M
Figura 24.11: Trave isostatica con carico di momento
Il tratto di trave `e scarico per cui lequazione `e:
EJ
x
d
4
v
ds
4
= 0
che ha la seguente soluzione generale:
v =
1
EJ
x
_
c
1
s
3
6
+c
2
s
2
2
+c
3
s +c
4
_
Le C.C. sono, per la sezione B:
1) v (0) = 0
2) EJ
x
v

(0) = 0
750
24.4. ALTRE APPLICAZIONI DELLA LINEA ELASTICA
e per la sezione C:
3) v (l) = 0
4) EJ
x
v

(l) = M
Si ottiene quindi:
v =
M
6lEJ
x
_
l
2
s s
3
_
=
M
6lEJ
x
_
l
2
s
2
_
s
Esercizio 24.2: Applicazioni della linea elastica
Valutare per i problemi rappresentati in gura 24.12 lequazione della linea elastica, il
valore della massima freccia e della massima rotazione individuando le sezioni in cui queste
condizioni si manifestano.
C
l
EJ
x
B
p
C
l
EJ
x B
sin
s
p
l



(a)
(b)
Figura 24.12: Esempi per lapplicazione del metodo della linea elastica: a)
carico lineare, b) carico sinusoidale
24.4 Altre applicazioni della linea elastica
Il metodo della linea elastica risolve in modo completo il problema delle travi iperstatiche
ma la sua applicazione pu`o essere spesso poco eciente. Consideriamo in particolare il seguente
problema.
Esempio 24.8: Carico concentrato
Impostare la soluzione per la determinazione della linea elastica per il problema iperstatico
schematizzato in gura 24.13.
751
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
B
F
C D
l
a
EJ
x
Figura 24.13: Carico concentrato non allestremit`a
Il problema `e solo apparentemente simile ai casi precedenti perche la presenza di un
carico concentrato in un punto interno del dominio determina una signicativa dierenza
nel modo in cui la soluzione pu`o essere ottenuta. Sappiamo infatti che un carico concentrato
produce un salto della funzione taglio e un punto angoloso nella funzione momento. A
meno che non si vogliano introdurre formulazioni speciche per rappresentare funzioni
discontinue (gradini di Heaviside, delta di Dirac) che sono strumenti utili pi` u dal punto di
vista formale che nella pratica operativa della soluzione, il modo consueto per arontare
il problema delle discontinuit`a consiste nel separare il dominio in pi` u intervalli contigui.
Allinterno di ogni intervallo le funzioni incognite e le loro derivate sono rappresentate da
funzioni regolari (continue con le loro derivate no allordine necessario). Nellesempio in
particolare abbiamo:
(0, l) = (0, a) (a, l)
per cui del problema cerchiamo una soluzione che rappresentiamo come:
v (s) =
_
v
1
(s) con s (0, a) = I
1
v
2
(s) con s (a, l) = I
2
Non `e in genere necessario fare speciche considerazioni sui valori da attribuire alle
caratteristiche di sollecitazione nelle sezioni di estremit`a dei sottodomini. Tali punti rap-
presentano infatti zone di estinzione dove la soluzione `e inevitabilmente grossolana e la
verica `e condotta considerando i valori limite (destro e sinistro) delle caratteristiche, come
dovrebbe essere ben noto. Useremo quindi le seguenti relazioni per la funzione spostamento:
v (a

) = lim
sa

v (s) = v
1
(a)
v (a
+
) = lim
sa
+
v (s) = v
2
(a)
ma anche per le derivate di ordine n superiore:
d
n
v
ds
n
(a

) = lim
sa

d
n
v
ds
n
(s) =
d
n
v
1
ds
n
(a)
d
n
v
ds
n
(a
+
) = lim
sa
+
d
n
v
ds
n
(s) =
d
n
v
2
ds
n
(a)
Con tali ipotesi, il problema dierenziale viene nella pratica diviso in due parti. Nel
primo sottodominios (0, a) = I
1
lequazione dierenziale diventa:
EJ
x
d
4
v
1
ds
4
= 0
con soluzione generale:
v
1
(s) =
1
EJ
x
_
c
11
s
3
6
+c
12
s
2
2
+c
13
s +c
14
_
752
24.4. ALTRE APPLICAZIONI DELLA LINEA ELASTICA
In questa espressione le costanti di integrazione hanno doppio pedice, il primo `e riferito
al dominio. Nel secondo dominio abbiamo analogamente:
EJ
x
d
4
v
2
ds
4
= 0
v
1
(s) =
1
EJ
x
_
c
21
s
3
6
+c
22
s
2
2
+c
23
s +c
24
_
Sono state introdotte ben 8 costanti di integrazione e dobbiamo quindi cercare altret-
tante condizioni al contorno dei sottodomini. Alcune di queste condizioni sono di facile
individuazione: nellincastro in B:
1) v
1
(0) = 0
2) v

1
(0) = 0
nellestremo C:
3) v

2
(l) = 0
e inoltre, dato che la reazione vincolare in direzione y in C `e nulla, ovvero T
y
(l) = 0:
4) EJ
x
v

2
(l) = 0
Agli estremi della trave non possono essere date altre condizioni per cui le 4 rimanenti
devono essere cercate in corrispondenza del punto D. Notiamo in primo luogo che per con-
gruenza (Eulero-Bernoulli) in D deve esserci continuit`a della linea dasse e dellinclinazione
della sezione (pendenza della linea dasse), per cui:
5) v
1
(a) = v
2
(a)
6) v

1
(a) = v

2
(a)
`e da notare che queste due ultime condizioni sono sempre applicabili in conrrispondenza di
ogni intersezione tra tratti di trave che siano congruenti.
Le ulteriori condizioni sono da ricercarsi sulle derivate di ordine superiore e quindi su
momento e taglio in D. In corrispondenza di un carico di forza concentrato trasversale
sappiamo che la funzione momento ettente `e continua, per cui:
7) EJ
x
v

1
(a) = EJ
x
v

2
(a)
mentre la funzione taglio subisce un salto il cui modulo `e dato proprio dallintensit`a del
carico concentrato. Per lequilibrio in direzione y del concio che contiene la sezione D deve
infatti valere la relazione:
T
y
_
a

_
+F +T
y
_
a
+
_
= 0
che si traduce nellultima condizione al contorno:
8) EJ
x
v

1
(a) +F EJ
x
v

2
(a) = 0
Nota. Si pu`o osservare che prima della C.C. numero 8, tutte le equazioni scritte erano
omogenee (senza termini noti) per cui avrebbero lunica soluzione nulla (trave con asse
rettilineo e scarica!).
`
E infatti proprio con lultima fondamentale condizione che il carico F
viene introdotto nel problema. Anche se dovrebbe essere chiaro, `e importante ricordare la
necessit`a del rigoroso rispetto delle convenzioni sui segni e sui versi, per evitare di sbagliare
banalmente il segno del risultato.
753
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
Esempio 24.9: Carico distribuito discontinuo
Impostare il problema dierenziale della determinazione della linea elastica per il problema
rappresentato in gura 24.14
B C D
l
/ 2 l
EJ
x
p
Figura 24.14: Carico distribuito non continuo
In questo caso il carico:
p (s) =
_
0 s < l/2
p s > l/2
non `e rappresentabile con una espressione di s unica su tutto il dominio e anche questo
fatto impone la suddivisione del dominio in due sottointervalli:
v (s) =
_
v
1
(s) s < l/2
v
2
(s) s < l/2
Il problema si presta per essere risolto sia con lequazione del secondo sia con lequazione
del quarto ordine. Nel seguito sono proposte entrambe le soluzioni per confronto.
Soluzione con lequazione del secondo ordine.
Il momento ettente `e:
M
x
(s) =
_
pl
2
_
3
2
l s
_
s < l/2
p
2
(l s)
2
s > l/2
da cui si hanno i seguenti due problemi dierenziali:
v

1
=
pl
2EJ
x
_
3
2
l s
_
v

2
=
p
2EJ
x
(l s)
2
con le C.C. seguenti:
1) v
1
(0) = 0
2) v

1
(0) = 0
3) v
1
(l/2) = v
2
(l/2)
4) v

1
(l/2) = v

2
(l/2)
Soluzione con lequazione del quarto ordine.
Con la medesima notazione, le equazioni dierenziali diventano:
d
4
v
1
ds
4
= 0
d
4
v
2
ds
4
=
p
EJ
x
754
24.4. ALTRE APPLICAZIONI DELLA LINEA ELASTICA
Le 8 C.C. necessarie sono, oltre alle 4 imposte per il problema del secondo ordine, le
seguenti:
5) EJ
x
v

1
(l/2) = EJ
x
v

2
(l/2)
6) EJ
x
v

1
(l/2) = EJ
x
v

2
(l/2)
7) EJ
x
v

2
(l/2) = 0
8) EJ
x
v

2
(l/2) = 0
le prime due rappresentano la condizioni di continuit`a per essione e taglio in corrispon-
denza di D mentre le ultime la condizione della sezione estrema C che ha entrambe le
caratteristiche di sollecitazione nulle.
Esempio 24.10: Linea elastica con rigidezza discontinua
Impostare il problema dierenziale della determinazione della linea elastica per il problema
schematizzato in gura 24.15.
B C D
/ 2 l
EJ
x1
M
/ 2 l
EJ
x2
Figura 24.15: Trave con rigidezza essionale discontinua
Anche per questo semplice problema, isostatico e con caratteristiche di sollecitazione
denite con ununica espressione sul dominio, `e necessario operare la divisione del dominio
a causa alla discontinuit`a della rigidezza essionale. Le equazioni della linea elastica sono
infatti valide in ipotesi di sezione costante, o al pi` u debolmente variabile, e quindi non
sono applicabili nel punto di cambio brusco di sezione (peraltro una zona di estinzione del
problema di trave). Dobbiamo quindi ancora assumere:
v (s) =
_
v
1
(s) s < l/2
v
2
(s) s < l/2
Con lequazione del secondo ordine, abbiamo su tutto il dominio:
M
x
(s) = M
per cui le due equazioni diventano:
v

1
=
M
EJ
x1
v

2
=
M
EJ
x2
con le seguenti C.C.:
1) v
1
(0) = 0
2) v

2
(l) = 0
3) v
1
(l/2) = v
2
(l/2)
4) v

1
(l/2) = v

2
(l/2)
Nota: il lettore determini le altre 4 C.C. necessarie per risolvere il problema dierenziale
con lequazione del quarto ordine.
755
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
Si comprende come il numero di sottointervalli e, di conseguenza il numero di C.C., diventi
molto elevato quando la trave presenta diversi cambi bruschi di sezione e varie zone di appli-
cazione del carico. In questi casi il rango del sistema lineare risolvente diviene cos` elevato da
richiedere nella pratica una soluzione numerica basata sul computer. Vi `e pertanto il rischio di
perdere il senso sico della soluzione, la quale appare determinata da una serie di condizioni
astratte i cui eetti non sono sempre evidenti.
In pratica inoltre le veriche di rigidezza sono spesso speciche perche richiedono la valu-
tazione della freccia o della rotazione di alcune sezioni (spesso di una sola). Per valutazioni di
questo tipo il metodo della linea elastica appare quindi ecace (risolve in modo simile problemi
iso- e iper-statici) ma non molto eciente. In eetti, per ottenere la freccia di una singola
sezione il metodo richiede di valutare la freccia di tutte le sezioni. Nel seguito del capitolo sar`a
sviluppata una tecnica adatta a valutare in modo diretto una determinata quantit`a deformativa.
Il metodo della linea elastica tuttavia `e interessante dal punto di vista teorico perche costi-
tuisce lesempio pi` u semplice della soluzione completa del problema elastico dei corpi deformabili
inglobando le condizioni di equilibrio di congruenza e costitutive (ne vedremo lutilit`a anche in
alcuni prossimi capitoli). Il metodo della linea elastica diventa inoltre anche di pratica utilit`a
quando `e necessario valutare propriet`a globali della deformata come, per esempio, la freccia
massima (o la massima rotazione) e non `e noto in quale sezione tale condizione si verichi.
Esercizio 24.3: Appoggio elastico
Impostare il problema della linea elastica nel caso di gura 24.16.
B C
D
/ 2 l / 2 l
EJ
x
k
p
Figura 24.16: Trave su supporto elastico
Suggerimenti:
a) `e necessario separare il dominio in due parti
b) il problema `e iperstatico e quindi deve essere usata le equazioni del quarto ordine
c) quattro condizioni al contorno (2+2) si ricavano agli estremi B e C
d) tre delle C.C. nel punto D sono di continuit`a per: spostamento, rotazione e momento
ettente
e) lultima condizione `e relativa al salto del taglio in D:
EJ
x
v

1
_
l
2
_
k v
1
_
l
2
_
EJ
x
v

2
_
l
2
_
= 0
756
24.5. IL TEOREMA DI CASTIGLIANO
24.5 Il teorema di Castigliano
La linea elastica risolve il problema della valutazione della deformazione della trave tramite
lapproccio basato sulle equazioni di equilibrio (infatti conduce a una equazione risolvente di
tipo dierenziale). Come `e tipico in Meccanica, la soluzione pu`o essere ricercata anche con
lapproccio energetico (o variazionale) che conduce a equazioni di tipo integrale.
`
E noto dalla
Fisica che nei casi in cui i campi di forze sono conservativi, come nel caso specico, questi ultimi
metodi possono essere molto pi` u ecienti.
Il metodo energetico `e stato gi`a varie volte applicato nei capitoli precedenti per valutare
grandezze deformative nelle travi sfruttando la seguente relazione fondamentale:
L
ext
= U
valida per i corpi con materiali elastici in condizioni di caricamento quasistatico.
Se la travatura `e sostenuta con vincoli ideali, le reazioni vincolari non fanno lavoro e il primo
membro equivale al lavoro fatto dai carichi, il secondo membro `e invece ottenibile integrando
la densit`a di energia nel volume o, in pratica, i contributi energetici delle caratteristiche di
sollecitazione sulla linea dasse.
Anche il metodo energetico nella sua formulazione pi` u diretta sia risolutivo `e necessario il
soddisfacimento dei seguenti presupposti:
il problema deve essere isostatico, in modo da poter determinare le caratteristiche di
sollecitazione e da queste lenergia totale
deve agire un unico carico
sia richiesta la sola valutazione della quantit`a deformativa energeticamente associata al
carico.
Sotto tali ipotesi il principio di conservazione dellenergia permette la soluzione del problema
nel modo pi` u semplice e diretto. Tuttavia, se anche solo una delle precedenti condizioni non
`e vericata, ovvero il problema `e iperstatico, vi sono pi` u carichi che fanno lavoro o `e richiesta
una grandezza deformativa non energeticamente associata al carico, lequazione di bilancio, che
`e pur sempre valida, non consente da sola di risolvere il problema.
Il teorema presentato in quasto paragrafo, dovuto a Carlo Alberto Castigliano (1847
1884), rappresenta uno strumento fondamentale per lo sviluppo dei metodi energetici con cui
`e possibile valutare una qualunque componente di spostamento per un qualsiasi punto di una
struttura deformabile genericamente vincolata e caricata
Senza perdere in generalit`a assumeremo nel seguito i seguenti presupposti (le ipotesi del
teorema di Castigliano):
il caricamento `e quasi statico
il materiale `e lineare elastico
`e valida la meccanica dei corpi poco deformabili (piccoli spostamenti e piccole deforma-
zioni)
per quanto una versione pi` u generale del teorema (che non sar`a trattata) pu`o essere ottenuta
anche in ipotesi di sola elasticit`a.
Le precedenti ipotesi conducono alla possibilit`a di applicare, anche per la struttura defor-
mabile, il principio di sovrapposizione degli eetti nelle seguenti forme:
757
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
la congurazione deformata conseguente allazione di pi`u carichi `e la stessa indipen-
dentemente dallordine con cui i carichi raggiungono la condizione nale
equivalente a:
la deformata prodotta da due condizioni di carico `e data dalla somma delle deformate
che i due carichi producono agendo da soli.
Per presentare e dimostrare il teorema di Castigliano consideriamo il caso di riferimen-
to illustrato in gura 24.17 nel quale una trave `e sottoposta allazione di due carichi (forze
concentrate). Supponiamo, in particolare, di voler prevedere labbassamento dellestremo C.
P
C
Q
B
C*
B*
P
Q
C

l
2
3
l
(a)
(b)
Figura 24.17: Schema per lapplicazione del teorema di Castigliano: a)
trave indeformata (innitamente rigida) b) trave allequilibrio sotto carico
(spostamenti amplicati)
Si tratta di una situazione in cui, per quanto lenergia si conservi, la presenza di due
carichi che fanno lavoro non permette la soluzione diretta con la semplice applicazione della
conservazione dellenergia.
Sia lenergia elastica immagazzinata nella struttura sia il lavoro delle forze esterne dipendono
dai due carichi. In particolare, lenergia pu`o essere espressa come funzione del valore nale che
i carichi assumono: U (P, Q) e, almeno nel caso esaminato, pu`o essere ottenuta esplicitamente,
essendo il problema isostatico. Il lettore verichi per lesempio in gura 24.17 che lenergia
elastica U (P, Q) `e una funzione quadratica dei carichi (come faremo quasi sistematicamente, si
assuma la trave deformabile solo a essione con rigidezza EJ
x
, trascurando leetto deformativo
del taglio e il relativo contributo energetico).
Indicati con
B
e
C
gli spostamenti verticali dei punti di applicazione dei carichi Q e P
rispettivamente, se assumiamo che i carichi raggiungano il valore nale con la medesima legge
(caricamento monotono), il lavoro delle forze esterne sar`a espresso dalla relazione:
L
ext
=
1
2
Q
B
+
1
2
P
C
Il solito fattore
1
2
deriva come sempre dalla linearit`a del problema e gli spostamenti
B
e
C
rappresentano le grandezze energeticamente associate ai carichi (in eetti ogni semiprodotto `e il
lavoro fatto dalla singola forza). Pertanto il bilancio energetico pu`o essere formalmente espresso
come:
U (P, Q) =
1
2
Q
B
+
1
2
P
C
Come anticipato, per quanto il secondo membro della precedente relazione si possa valutare,
lequazione non consente di ottenere il valore degli spostamenti dei punti di applicazione dei
carichi perche sono presenti due incognite.
758
24.5. IL TEOREMA DI CASTIGLIANO
Supponiamo a questo punto di produrre una variazione innitesima del carico P, che viene
portato al valore P + dP, e consideriamo le conseguenze di tale variazione sulla relazione di
bilancio. Lenergia elastica subisce una conseguente variazione e assume il valore formalmente
espresso dalla relazione:
U (P +dP, Q) = U (P, Q) +
U (P, Q)
P
dP
in cui la derivata parziale evidenzia che lenergia dipende anche dallaltro carico (mantenuto
costante). Per calcolare leetto prodotto da dP sul lavoro totale fatto dalle forze esterne,
conviene considerare una diversa sequenza di applicazione dei carichi sfruttando il principio
di sovrapposizione (nella sua prima formulazione). Eseguiamo quindi il caricamento nel modo
seguente:
nella prima fase, applicazione quasi statica del carico elementare dP
nella seconda fase, applicazione quasi statica dellulteriore carico eettivo Q e P
La gura 24.18, che schematizza la linea dasse della trave alla ne delle varie fasi del carica-
mento, permette di osservare che:
nella prima fase viene prodotta una variazione innitesima di congurazione
dato che la condizione di partenza non `e inuente (per il principio di sovrapposizione nella
seconda formulazione), il caricamento prodotto nella seconda fase produce un ulteriore
spostamento dei punti di applicazione uguale a quello del problema originario (nel quale
dP non c`e).
dP
P
Q
C

dP
C
d
C B
(a)
(b)
C B
Figura 24.18: Successive fasi in cui `e attuata la sequenza di caricamento
Sulla base di queste considerazioni possiamo calcolare il lavoro fatto dalle forze esterne che
ha i seguenti contributi:
nella prima fase `e attiva la sola forza dP che produce un lavoro pari a:
1
2
dP d
C
si noti il solito fattore
1
2
che deriva dal fatto che carico e spostamento nale sono raggiunti
in un processo di caricamento graduale.
durante la seconda fase vengono portate al valore nale le forze P e Q per cui il loro
lavoro sar`a:
1
2
Q
B
+
1
2
P
C
759
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
nella seconda fase `e per`o sempre attiva la forza innitesima dP che contribuisce al lavoro
complessivo con la quantit`a:
dP
C
Il lavoro complessivamente fatto dai carichi alla ne della seconda fase `e quindi espresso dalla
somma:
1
2
dP d
C
+
1
2
Q
B
+
1
2
P
C
+dP
C
in cui il primo addendo `e innitesimo di ordine 2 e pu`o essere trascurato rispetto agli altri (due
sono quantit`a nite e lultimo `e innitesimo del primo ordine).
Possiamo quindi imporre il bilancio energetico nella condizione di carico nale Q e P + dP
ottenendo la relazione:
1
2
Q
B
+
1
2
P
C
+dP
C
= U (P, Q) +
U (P, Q)
P
dP
dalla quale, tenendo conto del bilancio energetico quando il carico `e costituito solo da Q e P,
otteniamo nalmente la relazione:

C
=
U (P, Q)
P
(24.9)
che esprime il teorema di Castigliano:
in un problema lineare elastico in regime di corpi poco deformabili, la componente
di spostamento energeticamente associata a un carico `e uguale alla derivata parziale
dellenergia elastica calcolata rispetto al carico stesso.
Se il carico rispetto al quale si eettua la derivata `e un momento concentrato il risultato
rappresenta la componente della rotazione della zona in cui il momento `e applicato nella dire-
zione e nel verso del momento stesso. Il seguente esempio illustra una applicazione elementare
del teorema di Castigliano.
Esempio 24.11: Applicazione del teorema di Castigliano a un caso elementare
Vericare il teorema di Castigliano per una molla ideale di costante elastica k a cui `e
applicata la forza F come in gura 24.19.
C B
F
Figura 24.19: Molla in trazione
Lenergia elastica espressa in funzione del carico (in questo caso `e unico) `e:
U (F) =
1
2
F
2
k
per cui, in base al teorema di Castigliano, lo spostamento di B nella direzione (e verso) di
F vale:

B
=
dU (F)
dF
=
F
k
760
24.6. APPLICAZIONI DEL TEOREMA DI CASTIGLIANO
Osserviamo la coerenza dimensionale del teorema: la derivata parziale dellenergia ([Forza]
[spostamento]) fatta rispetto a una forza produce eettivamente uno spostamento, mentre la
derivata fatta rispetto a un momento ([Forza] [spostamento]) produce un numero puro.
Nel prossimo paragrafo sono illustrati vari esempi di applicazione del teorema di Castigliano.
24.6 Applicazioni del teorema di Castigliano
Valutiamo spostamento e rotazione della sezione di estremit`a di una trave a mensola caricata
con una forza P e un momento M applicati nella sezione B.
P
M
B

B*

l
(a)
(b)
Figura 24.20: Mensola con carico generico allestremit`a: a) carichi b) schema
amplicato della deformata
Indichiamo con e le grandezze deformative energeticamente associate ai due carichi, che
rappresentano rispettivamente lo spostamento verticale e la rotazione della sezione B quando
le due azioni esterne sono agenti. Siccome il teorema di Castigliano fornisce quantit`a energeti-
camente associate, i segni di spostamento e rotazione indicati nella gura, sono implicitamente
denite dai versi dei relativi carichi. Per un confronto con la soluzione ottenibile dalla linea
elastica, usando le solite convenzioni sui sistemi di riferimento e sui segni, si ha in particolare:
= v (l)
= v

(l)
Trascuriamo gli eetti deformativi del taglio per cui i due carichi produrranno, se agiscono
separatamente, le seguenti caratteristiche di sollecitazione:
M
xP
(s) = P (l s)
M
xM
(s) = M
da cui risulta che le energie immagazzinate nella trave nel caso in cui le due azioni esterne
agissero da sole sarebbero:
U
P
=
_
l
0
1
2
[P (l s)]
2
EJ
x
ds =
1
6
P
2
l
3
EJ
x
U
M
=
_
l
0
1
2
M
2
EJ
x
ds =
1
2
M
2
l
EJ
x
Quando i due carichi agiscono insieme, per il P.S.E., il momento ettente `e:
M
x
(s) = M
xP
(s) +M
xM
(s) = P (l s) +M
761
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
e lenergia elastica totale vale:
U (P, M) =
_
l
0
1
2
[P (l s) +M]
2
EJ
x
ds =
_
l
0
1
2
[P (l s)]
2
2P (l s) M +M
2
EJ
x
ds
Si pu`o osservare che U (P, M) non `e la somma delle energie immagazzinate quando i due carichi
agiscono separatamente, dato che in generale si ha:
U (P, M) ,= U (P, 0) +U (0, M) (24.10)
Questo fatto si giustica, dal punto di vista algebrico, in base alla presenza del doppio pro-
dotto nello sviluppo del quadrato del termine binomiale mentre, dal punto di vista sico, dalla
circostanza che lenergia ha una dipendenza quadratica dai carichi.
In eetti, il principio di sovrapposizione vale anche per lenergia solo quando i carichi sono
non energeticamente associati, ovvero quando applicando il primo carico il punto di applicazione
del secondo non si sposta nella direzione energeticamente associata al secondo carico (abbiamo
visto un caso interessante di questa situazione di disaccoppiamento per la densit`a di energia
distorcente e volumica per i materiali isotropi). Nel caso in esame, i due carichi sono energetica-
mente associati e questo si pu`o prevedere dal fatto che il momento M produce un abbassamento
di B e, dualmente, il carico P produce una rotazione della sezione di estremit`a. Pertanto un
carico compie lavoro quando laltro `e applicato.
Sviluppando lintegrale dellenergia si ottiene lespressione:
U (P, M) =
1
6
P
2
l
3
EJ
x

1
2
PMl
2
EJ
x
+
1
2
M
2
l
EJ
x
nella quale si riconosce il termine misto centrale aggiuntivo rispetto ai contributi energetici dei
due carichi che agiscono separatamente.
Con il teorema di Castigliano si ottengono gli spostamenti generalizzati richiesti:
=
U
P
=
1
3
Pl
3
EJ
x

1
2
Ml
2
EJ
x
=
U
M
=
1
2
Pl
2
EJ
x
+
Ml
EJ
x
in cui si riconoscono i contributi deformativi prodotti dai due carichi. Consideriamo lespressione
dello spostamento verticale:
=
p
+
M
=
1
3
Pl
3
EJ
x

1
2
Ml
2
EJ
x
nella quale si vede che, come intuibile, la forza P tende ad abbassare la sezione B mentre
il momento M tende a sollevarla e lo spostamento complessivo `e la somma algebrica dei due
contributi.
Possiamo scrivere la relazione che lega i carichi alle grandezze deformative energeticamente
associate in forma matriciale:
_

_
=
l
EJ
x
_
l
2
3

l
2

l
2
1
__
P
M
_
`
E immediato vericare che la matrice della trasformazione lineare che lega le due quantit`a `e
rappresentata dalla matrice delle derivate seconde dellenergia elastica (matrice Hessiana):
_

_
=
_

2
U
P
2

2
U
MP

2
U
PM

2
U
M
2
_
_
P
M
_
(24.11)
762
24.6. APPLICAZIONI DEL TEOREMA DI CASTIGLIANO
chiamata anche matrice di deformabilit`a della struttura e spesso indicata come:
C =
_

2
U
P
2

2
U
MP

2
U
PM

2
U
M
2
_
=
l
EJ
x
_
l
2
3

l
2

l
2
1
_
(24.12)
Si pu`o osservare che:
la matrice C `e simmetrica per il teorema di Schwartz
il termine fuori diagonale (termine misto o di accoppiamento) `e presente quando i carichi
sono energeticamente associati (uno fa lavoro quando agisce laltro).
Per il primo principio della termodinamica sappiamo che, qualunque sia la combinazione dei
valori dei carichi P e M, rispetto alla condizione iniziale di struttura scarica, la trave aumenta
la sua energia elastica, per cui i carichi dovranno nel loro insieme fare lavoro necessariamente
positivo. Ne consegue che dovr`a essere:
L
ext
=
1
2
_
P M
_
_

_
> 0
e quindi che la forma quadratica:
_
P M
_
C
_
P
M
_
`e denita positiva. La matrice di deformabilit`a deve quindi avere tutti gli autovalori reali
positivi. Un ragionamento analogo `e stato sviluppato nel capitolo 17 in relazione alla densit`a di
energia elastica.
Talvolta viene introdotta anche la matrice di rigidezza della struttura, denita come:
Q = C
1
(24.13)
tramite la quale si ottengono i carichi che producono determinati spostamenti energeticamente
associati:
_
P
M
_
= Q
_

_
(24.14)
Per lo stresso motivo anche la matrice di rigidezza `e reale simmetrica con autovalori positivi.
Il seguente esempio illustra un errore che si potrebbe commettere con una applicazione non
attenta del teorema di Castigliano.
Esempio 24.12: Due carichi con lo stesso valore
Determinare labbassamento dellestremo C nella trave di gura 24.21.
P
B
l/2
C
P
l/2
Figura 24.21: Mensola con due carichi aventi lo stesso valore
763
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
Una applicazione impropria del teorema di Castigliano potrebbe portare in questo caso
a esprimere lenergia come funzione del carico rappresentato da ununica grandezza scalare
e quindi formalmente risulterebbe:
U (P)
La derivata fatta rispetto a P fornisce eettivamente uno spostamento (dal punto di vista
dimensionale `e corretto), tuttavia questa quantit`a non sarebbe lo spostamento richiesto.
In eetti tale quantit`a deve interpretarsi come la grandezza energeticamente associata al
carico P che `e linsieme delle due forze ed `e pertanto la somma degli spostamenti verticali
dei due punti di applicazione. Infatti:
U (P) = L
ext
=
1
2
(P
B
+P
C
) =
1
2
P (
B
+
C
)
Per applicare il teorema in modo corretto `e quindi necessario identicare con un simbolo
specico il carico il cui spostamento associato `e richiesto, come nello schema in gura 24.22:
F
B
l/2
C
P
l/2
Figura 24.22: Diversicazione dei nomi per le variabili di carico
in modo che il suo eetto diretto sullenergia sia esplicitato e separato dal resto:
U (P, F)
In questo modo `e possibile ottenere lo spostamento correttamente (la derivata parziale
lascia il carico applicato in B inalterato):
U (P, F)
F
Eseguita la derivata, `e ora possibile ripristinare il valore corretto della forza in C:

C
=
U (P, F)
F

F=P
Si verichi che lapplicazione corretta del teorema (trascurando gli eetti deformativi
del taglio) conduce al risultato:

C
=
7
16
Pl
3
EJ
x
Unaltra interpretazione non consueta del teorema `e illustrata nel seguente esempio.
764
24.6. APPLICAZIONI DEL TEOREMA DI CASTIGLIANO
Esempio 24.13:
Come interpretare la derivata parziale di Castigliano nel caso di un carico uniformemente
distribuito su un segmento?
B
l/2
C
p
l/2
Figura 24.23: Mensola con carico distribuito
In questo caso lenergia (solo essionale) ha la seguente espressione:
U (p) =
17
960
p
2
l
5
EJ
x
lapplicazione diretta del teorema di Castigliano fornirebbe il seguente risultato:
dU (p)
dp
=
17
480
pl
5
EJ
x
Possiamo attribuire qualche signicato sico a tale grandezza? In primo luogo osser-
viamo che la quantit`a ottenuta `e dimensionalmente unarea, inoltre sappiamo che deve
essere energeticamente associata al carico rispetto al quale `e stata eettuata la derivata
dellenergia. Il lavoro fatto dal carico pu`o in eetti esprimersi come:
L
ext
=
_
l/2
0
1
2
p v (s) ds =
1
2
p
_
l/2
0
v (s) ds
dove v (s) `e lo spostamento in direzione y della linea dasse. Pertanto la quantit`a ottenuta
`e il seguente integrale:
_
l/2
0
v (s) ds
e rappresenta larea spazzata dai punti sui quali `e applicato il carico, come mostrato nella
gura 24.24.
B C
B*
C*
Figura 24.24: Grandezza geometrica energeticamente associata al carico
uniformemente distribuito su un segmento
765
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
24.7 Generalizzazione del teorema di Castigliano
In molti casi `e necessario determinare lo spostamento di un punto in assenza di un carico
energeticamente associato. Un uso intelligente del teorema di Castigliano permette di risolvere
anche questo problema come illustra il seguente esempio.
Esempio 24.14: Trave con carico distribuito
Determinare la rotazione della sezione di estremit`a B della trave indicata in gura 24.25
soggetta a un carico uniformemente distribuito (rigidezza essionale: EJ
x
).
B
p
l
Figura 24.25: Mensola con carico trasversale uniformemente distribuito
Il problema potrebbe essere immediatamente risolto se in corrispondenza della sezione
B vi fosse un carico esterno di momento energeticamente associato alla rotazione che deve
essere valutata. In assenza di un carico eettivamente agente, introduciamo un carico
ttizio che indichiamo con . Dato che interessa la rotazione, il carico ttizio sar`a un
momento esterno applicato in B, il verso pu`o essere scelto arbitrariamente, dobbiamo solo
ricordare che il segno del risultato sar`a condizionato da tale scelta. La situazione della
trave con il carico vero e il carico ttizio `e mostrata nella gura 24.26.
B
p
l

Figura 24.26: Mensola con carico ttizio


Implicitamente soo considerare positive le rotazioni che, rispetto al punto di vista della
gura, sono orarie (equiverse a ). Per applicare il teorema di Castigliano esprimiamo
lenergia (che consideriamo solo essionale) prodotta dal momento ettente complessivo:
M
x
(s) = M
xp
(s) +M
x
(s) =
p
2
(l s)
2

da cui lenergia totale `e:


U (p, ) =
_
l
0
[M
x
(s)]
2
2EJ
x
ds =
l
120EJ
x
_
3p
2
l
4
+ 20pl
2
+ 60
2
_
La rotazione della sezione B nel problema con il carico vero pi` u il carico ttizio `e data
dalla relazione:

B
(p, ) =
U (p, )

=
l
6EJ
x
_
pl
2
+ 6
_
766
24.7. GENERALIZZAZIONE DEL TEOREMA DI CASTIGLIANO
in cui si riconoscono i contributi del carico vero e del carico ttizio. A questo punto (solo
adesso!) possiamo sbarazzarci del carico ttizio e, annullando , trovare la rotazione della
sezione B prodotta dal solo carico vero:

B
(p, 0) =
pl
3
6EJ
x
Il procedimento esemplicato nellesempio precedente pu`o essere generalizzato come segue:
`e introdotto il carico ttizio energeticamente associato alla grandezza deformativa di
interesse
`e calcolata lenergia totale prodotta dal carico vero e dal carico ttizio: U (p, )
`e applicato il teorema di Castigliano per trovare lo spostamento associato a :
U(p,)

il valore del carico ttizio `e inne annullato per ottenere il risultato:


U(p,)

=0
.
Esercizio 24.4: Freccia massima
Determinare abbassamento e rotazione della sezione B nella trave in gura 24.27
(considerare il solo eetto essionale e la rigidezza relativa EJ
x
).
B
p
l
Figura 24.27: Mensola con carico lineare
Esercizio 24.5: Freccia per una stuttura reticolare
Le aste della travatura reticolare rappresentata in gura 24.28 hanno la stessa sezione con
rigidezza assiale EA. Determinare lo spostamento completo (componenti orizzontale e
verticale) del punto di applicazione del carico B.
767
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
a
1
.
5
a
P
B
Figura 24.28: Struttura reticolare
24.8 Lintegrale di Mohr
Otto Mohr ha formalizzato il procedimento descritto nel paragrafo precedente e ha proposto
una formula risolutiva esplicita per il calcolo di un generico spostamento generalizzato (sposta-
mento o rotazione) per un qualunque punto di una struttura isostatica di travi. Consideriamo lo
schema di gura 24.29 che esemplica una travatura isostatica, in generale nello spazio, soggetta
a un carico qualunque (forze concentrate, distribuite, momenti applicati, ecc. . . ) per la quale
vogliano valutare lo spostamento di un punto B nella direzione della retta n.
F
Q
p M
B
n
Figura 24.29: Generica struttura isostatica di travi nello spazio
Lapplicazione del teorema di Castigliano prevede di introdurre un carico ttizio nella
direzione della retta n come indicato nella gura 24.30.
Il calcolo dellenergia richiede di valutare:
le caratteristiche di sollecitazione prodotte dal carico vero (gura 24.29) indicate nel
seguito con il pedice P, che, in generale, saranno funzioni dellascissa curvilinea:
N
P
(s) , M
xP
(s) , M
yP
(s) , T
xP
(s) , T
yP
(s) , M
zP
(s) ;
le caratteristiche di sollecitazione prodotte dal carico ttizio (gura 24.30):
N

(s) , M
x
(s) , M
y
(s) , T
x
(s) , T
y
(s) , M
z
(s) ;
768
24.8. LINTEGRALE DI MOHR
B
n

Figura 24.30: Carico ttizio energeticamente associato alla grandezza


deformativa di interesse
In base al principio di sovrapposizione, le caratteristiche di sollecitazione indotte nella struttura
dal carico ttizio possono essere espresse nel modo seguente:
N

(s) = N
u
(s) , M
x
(s) = M
xu
(s) , M
y
(s) = M
yu
(s) ,
T
x
(s) = T
xu
(s) , T
y
(s) = T
yu
(s) , M
z
(s) = M
zu
(s) ;
che permettono di evidenziare a fattore lintensit`a del carico ttizio. Le funzioni:
N
u
(s) , M
xu
(s) , M
yu
(s) , T
xu
(s) , T
yu
(s) , M
zu
(s) ;
possono pertanto essere interpretate come le caratteristiche di sollecitazione prodotte nella
struttura da un carico ttizio unitario applicato in B nella direzione della retta n, come
indicato nella gura 24.31.
B
n
1
Figura 24.31: Carico unitario energeticamente associato alla grandezza
deformativa di interesse
Si pu`o osservare che sia le funzioni con pedice P (dovute al carico vero) sia quelle con pedice
u (dovute al carico ttizio unitario) sono valutabili a priori (prima di applicare Castigliano)
tramite le denizioni di caratteristica di sollecitazione e le consuete regole della statica.
Lenergia elastica complessivamente accumulata nella trave per eetto del carico vero pi` u
quello ttizio sar`a quindi:
U (P, ) =
_
Struttura
_
1
2
[N
P
(s) + N
u
(s)]
2
EA
+
1
2
[M
xP
(s) + M
xu
(s)]
2
EJ
x
+...
... +
1
2
[T
yP
(s) + T
yu
(s)]
2
GA

+
1
2
[M
zP
(s) + M
zu
(s)]
2
GJ
0eq
_
ds
dove, per brevit`a, sono stati riportati quattro dei sei contributi energetici allintegrale. Come
indicato, il dominio di integrazione comprende lintera struttura. Nel seguito dello sviluppo
769
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
consideriamo solo il primo termine (relativo alla forza normale), per gli altri il risultato `e
analogo:
U (P, ) =
_
Struttura
_
1
2
[N
P
(s)]
2
+ 2N
P
(s) N
u
(s) +
2
[N
u
(s)]
2
EA
+...
_
ds
Dato che il dominio di integrazione non dipende dalla variabile , nellapplicazione del teorema
di Castigliano possiamo derivare sotto il segno di integrale. Si ottiene:
U (P, )

=
_
Struttura
_
1
2
2N
P
(s) N
u
(s) + 2[N
u
(s)]
2
EA
+...
_
ds
A questo punto `e possibile eliminare il carico esploratore ponendo = 0 e ottenere il risultato:
=
_
Struttura
_
N
P
(s) N
u
(s)
EA
+...
_
ds (24.15)
Lespressione completa dellintegrale di Mohr, che risolve il generale problema iniziale, `e
quindi la seguente:
=
_
Struttura
_
N
P
N
u
EA
+
M
xP
M
xu
EJ
x
+
M
yP
M
yu
EJ
y
+
T
xP
T
xu
GA

x
+
T
yP
T
yu
GA

y
+
M
zP
M
zu
GJ
0eq
_
ds (24.16)
nella quale sono stati reintrodotti tutti i contributi energetici e, per semplicit`a di rappresenta-
zione, `e stata omessa la dipendenza delle caratteristiche di sollecitazione dallascissa curvilinea.
Sono interessanti le seguenti considerazioni.
Lo spostamento si ottiene integrando sullintera struttura i prodotti delle caratteristiche
omonime dovute al carico vero e al carico esploratore unitario.
Il fattore
1
2
, tipico dei termini energetici, non `e presente nellintegrale di Mohr perche `e
compensato dal fattore 2 che deriva dal doppio prodotto dei binomi elevato al quadrato.
I termini che compaiono nellintegrale hanno a denominatore le corrispondenti rigidezze
(anche le rigidezze sono funzioni di s se la trave `e a sezione variabile).
Il carico unitario `e un espediente matematico per il calcolo e non ha eetti sul comporta-
mento sico della struttura (pu`o essere considerato come un sensore numerico, messo in
modo da rilevare lo spostamento che interessa).
Un carico di momento unitario fornisce la componente della rotazione dellelemento di
trave su cui `e applicato attorno allasse del vettore momento unitario stesso.
Il segno del risultato `e coerente con il verso del carico esploratore: se `e positivo lo
spostamento risulta equiverso al versore del carico esploratore.
Per determinare lo spostamento complessivo di un punto in un generico problema tridi-
mensionale `e necessario applicare il procedimento tre volte, adottando per i carichi esplo-
ratori unitari tre direzioni non linearmente dipendenti (generalmente conviene sceglierle
mutuamente perpendicolari)
La formula di Mohr `e generale e pu`o essere usata per risolvere qualunque problema di
rigidezza, anche quelli che abbiamo gi`a arontato (non `e per`o sempre il metodo pi` u
eciente).
770
24.8. LINTEGRALE DI MOHR
Esempio 24.15: Rigidezza di una molla
Con lintegrale di Mohr trovare lallungamento della molla ideale di lunghezza a riposo l e
di costante elastica k in gura 24.32a).
C
B
l
F
C B
F
EA
(a)
(b)
Figura 24.32: Interpretazione monodimensionale del comportamento elastico
di una molla
Una molla ideale pu`o essere considerata nel suo complesso come unasta piuttosto
deformabile (si tratta di una grossolana approssimazione che identica lasse delle molla
come lasse dellasta). In tal caso `e immediato vericare che la rigidezza assiale dellasta
equivalente vale:
EA
l
= k
Applichiamo un carico F allestremo libero dellasta e calcoliamo il corrispondente
allungamento usando Mohr. Lo schema dei due carichi `e mostrato in gura 24.33.
C B F
C B 1
(a)
(b)
Figura 24.33: Carico vero e carico unitario
Ricaviamo:
N
P
(s) = F e N
u
(s) = 1
e quindi per Mohr:
=
_
AstaEquivalente
N
P
N
u
EA
ds =
l
_
0
F 1
EA
ds =
Fl
EA
=
F
k
771
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
Esercizio 24.6: Freccia per una mensola
Tramite lintegrale di Mohr ottenere la formula della freccia per la mensola inessa da un
carico trasversale P applicato allestremo libero:
=
Pl
3
3EJ
x
e vericare che, se si considera anche il contributo energetico del taglio, per lo stesso
problema si ottiene la formula:
=
Pl
3
3EJ
x
+
Pl
GA

24.9 Lintegrale di Mohr come applicazione del principio dei


lavori virtuali
Abbiamo ottenuto lintegrale di Mohr come conseguenza del teorema di Castigliano.
`
E per`o
possibile dimostrarne la correttezza anche con un procedimento apparentemente diverso basato
sullapplicazione del principio dei lavori virtuali (PLV) ai corpi deformabili. In eetti, il calcolo
degli spostamenti eettuato con lintegrale di Mohr su alcuni testi `e chiamato applicazione del
principio dei lavori virtuali. Allo scopo di giusticare tale denizione, e anche per chiarire alcune
considerazioni che saranno sviluppate nel seguito, `e fornita una breve spiegazione.
Dalla Statica, sappiamo che se un corpo `e in equilibrio, il lavoro virtuale fatto da tutte le
forze agenti per un qualunque spostamento virtuale compatibile con i vincoli `e nullo. Come
spiegato nellappendice B, ricordiamo che la caratteristica di virtualit`a dello spostamento (che
non ne impone leettiva realizzabilit`a) implica che le forze possano considerarsi invariate in
conseguenza della modica di congurazione. La caratteristica di virtualit`a permette quindi
di esprimere il lavoro virtuale come semplice prodotto scalare delle forze per gli spostamenti
virtuali dei punti di applicazione (senza la necessit`a di eettuare integrali).
Nellappendice B, il PLV `e stato proposto come possibile alternativa alle equazioni cardinali
nella soluzione dei problemi di statica dei corpi rigidi. Lestensione ai corpi deformabili dovrebbe
a questo punto risultare naturale. Lunica novit`a consiste nel fatto che per i corpi deformabili
nel calcolo del lavoro virtuale devono essere considerate anche le forze interne (che sappiamo
essere energeticamente attive). Per i corpi deformabili del PLV si esprime quindi come segue:
un corpo deformabile in equilibrio statico, il lavoro virtuale complessivo fatto delle
forze esterne e delle forze interne `e nullo per qualunque spostamento virtuale:
in formule:
L
ext
+L
int
= 0 (24.17)
Ricordiamo che, in un corpo deformabile, il lavoro fatto dalle forze interne `e lopposto del
lavoro che fanno le tensioni. Per cui il PLV pu`o anche essere formulato nel modo seguente:
un corpo deformabile in equilibrio statico il lavoro virtuale fatto dalle forze esterne
`e uguale al lavoro virtuale fatto dalle tensioni
ovvero:
L
ext
= L
ten
(24.18)
772
24.9. LINTEGRALE DI MOHR COME APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI
Nellapplicazione del PLV ai corpi deformabili `e necessario che gli spostamenti virtuali ri-
stettino, oltre che i vincoli esterni (come avviene per i sistemi di corpi rigidi), anche i vincoli
interni, ovvero il campo degli spostamenti virtuali deve essere congruente.
Consideriamo il problema rappresentato nella gura 24.34 che consiste nel determinare lo
spostamento verticale della sezione centrale B di una trave appoggiata agli estremi e soggetta a
un carico uniformemente distribuito.
C
EJ
x
D
p
l
B
Figura 24.34: Trave appoggiata soggetta a carico uniforme
Sotto leetto del carico, la linea dasse subisce uno spostamento verticale e con semplici
considerazioni si pu`o vericare che la linea elastica `e una polinomiale di quarto grado in s. Dato
che tale spostamento `e prodotto dal carico eettivo, indichiamo la funzione spostamento della
linea dasse v
P
(s). Come ormai `e consuetudine, consideriamo leetto deformativo prodotto
solo dal momento ettente prodotto dal carico, che indichiamo con: M
xP
(s). Tale funzione si
ricava facilmente: M
xP
(s) =
pl
2
(l s)
p
2
(l s)
2
=
p
2
(l s) s. Il momento M
xP
(s) `e mostrato
nella gura 24.35.
C D
B
( )
xP
M s
Figura 24.35: Momento ettente dovuto al carico vero: M
xP
(s)
Per valutare lo spostamento del punto di mezzeria della trave
B
= v
P
_
l
2
_
con lintegrale di
Mohr, dobbiamo considerare il problema ausiliario mostrato in gura 24.36 in cui `e evidenziato
il carico esploratore unitario richiesto con il relativo momento ettente:
C D B
( )
xu
M s
C D
B
1
(a)
(b)
Figura 24.36: Trave appoggiata soggetta al carico unitario di interesse
M
xu
(s) =
_
1
2
s s <
l
2
1
2
(l s) s >
l
2
Per applicare al problema in esame il principio dei lavori virtuali, consideriamo come proble-
ma di riferimento la struttura su cui agisce il carico esploratore unitario e come campo di
773
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
spostamenti virtuali quello prodotto nella stessa struttura dal carico vero. Si pu`o osservare
che il campo di spostamenti prodotto dal carico vero, essendo la soluzione di un problema di
meccanica dei continui, `e senza dubbio congruente e soddisfa le condizioni di vincolo esterno.
Nel problema di riferimento il lavoro virtuale fatto delle forze esterne (il carico esploratore)
vale quindi solo:
L
ext
= 1
B
dato che il carico esploratore `e lunica forza esterna che fa lavoro (i vincoli sono ideali). Il lavoro
virtuale fatto delle tensioni indotte nel corpo dal carico esploratore pu`o essere calcolato concio
per concio, considerando, come premesso, le sole azioni ettenti:
L
ten
=
_
l
0
M
xu
(s) k
P
(s) ds
dove `e stata indicata con
k
P
(s) =
M
xP
(s)
EJ
x
la curvatura virtuale del concio che `e, per la nostra scelta dello spostamento virtuale, la cur-
vatura prodotta dal carico vero. Lapplicazione del PLV a questo esempio porta quindi alla
uguaglianza:

B
=
_
l
0
M
xP
(s) M
xu
(s)
EJ
x
ds (24.19)
ovvero allintegrale di Mohr.
Esercizio 24.7: Freccia massima
Vericare che, considerando i soli eetti essionali, la freccia massima del problema in
gura 24.36 `e:

B
=
5
384
pl
4
EJ
x
24.10 Il teorema di Betti
Un utile teorema attribuito a Enrico Betti (1823-1892), noto anche come teorema di reci-
procit`a, si applica a problemi nei quali si verica una inversione tra il ruolo dei carichi e quello
degli spostamenti. Con riferimento alla gura 24.37 consideriamo i seguenti problemi reciproci
per i quali `e assunta signicativa solo lenergia dovuta alla essione (il ragionamento vale anche
se si considera leetto delle altre caratteristiche).
a) Problema I: data una struttura sollecitata da una forza P applicata in B con direzione n,
determinare lo spostamento di C nella direzione m.
b) Problema II: data una struttura sollecitata da una forza P applicata in C con direzione m,
determinare lo spostamento di B nella direzione n.
Nella gura 24.38 sono riportati gli andamenti dei momenti ettenti utili per il calcolo
dellintegrale di Mohr nel problema I. Sono indicati, in particolare, con M
xu1
(s) il momento
prodotto da un carico unitario applicato in C in direzione m e con M
xu2
(s) il momento ettente
prodotto da un carico unitario applicato in B in direzione n (che ha le caratteristiche del versore
774
24.10. IL TEOREMA DI BETTI
n
n
m
m
Pb. I
P
B

C
B
C
P
B
C
Pb. II
(a) (b)
Figura 24.37: Schema per lapplicazione del teorema di reciprocit`a
della forza P). Per il principio di sovrapposizione, il momento ettente prodotto nella struttura
dalla forza P sar`a: P M
xu2
(s). Ricaviamo quindi che, per il problema I:

I,C
=
_
Struttura
P M
xu2
(s) M
xu1
(s)
EJ
x
ds
Arontiamo ora il problema duale (problema II) nel quale carico eettivo e carico esplora-
m
n
Pb. I
P
1
B
C
C
( )
1 xu
M s
1
B
C
( )
2 xu
M s
(a)
(b) (c)
1
Figura 24.38: Momenti ettenti rilevanti per la soluzione del problema I con
lintegrale di Mohr
tore sono scambiati. Per il problema duale il momento prodotto dal carico vero `e pertanto:
P M
xu1
(s), mentre il momento prodotto dal carico esploratore `e: M
xu2
(s). Lo spostamento
richiesto vale quindi:

II,B
=
_
Struttura
PM
xu1
(s) M
xu2
(s)
EJ
x
ds
Si osserva quindi che, per entrambi i problemi, `e stato svolto lo stesso calcolo quindi gli
risultati sono uguali. Da ci`o ricaviamo una formulazione del teorema di Betti:
per una struttura, composta di materiale elastico lineare e in regime di validit`a
meccanica dei corpi poco deformabili, sollecitata da una forza P avente direzione n
applicata in B, lo spostamento di C nella direzione m `e uguale allo spostamento
che si manifesta in B nella direzione n se la stessa forza P `e applicata in C nella
direzione m.
775
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
Il teorema di Betti pu`o essere espresso anche in altre forme, adatte a speciche applicazioni.
In eetti, nel caso elementare esaminato sono state considerate due condizioni di carico prodotte
da una singola forza, mentre la reciprocit`a `e una propriet`a pi` u generale. Consideriamo due
strutture identiche e ugualmente vincolate (in modo da essere almeno isostatiche), la prima
sottoposta a un sistema di carico che identichiamo con il pedice 1 e la seconda con un sistema
di carico identicato con il pedice 2. I carichi possono essere di qualsiasi tipo: forze concentrate,
distribuite nel volume, sulla supercie, momenti, ecc. . . e loro arbitrarie combinazioni.
F
1
Q
1
p
1 W
1

F
2
Q
2
p
2 W
2

R
2
(a) (b)
Figura 24.39: Generalizzazione del teorema di reciprocit`a
In entrambi i casi i carichi produrranno un campo di (piccoli) spostamenti che identichiamo
con i pedici 1 e 2 come i relativi carichi.
`
E evidente che i campi di spostamento che cos` si
ottengono sono congruenti per cui `e possibile calcolare il lavoro virtuale fatto da un sistema di
carico facendo il prodotto scalare delle forze con gli spostamenti elastici (e i momenti con le
rotazioni). Con tali premesse il teorema di reciprocit`a si pu`o generalizzare come segue:
il lavoro virtuale fatto dai carichi del sistema 1 con gli spostamenti prodotti dal
sistema 2 `e uguale al lavoro virtuale fatto dai carichi del sistema 2 con gli spostamenti
del sistema 1
in simboli:
_

P
1
u
2
dV =
_

P
2
u
1
dV (24.20)
Vi `e anche unaltra interessante conseguenza del teorema di Betti. Consideriamo, come in
gura 24.40 un corpo su cui agiscono due forze P e Q che possono essere esercitate in punti
diversi e in direzioni diverse.
n
m
P
B
C
Q
Figura 24.40: Interpretazione energetica del teorema di reciprocit`a
Supponiamo che i carichi siano applicati in sequenza, per esempio prima P e poi Q e
consideriamo lo spostamento del punto B durante il caricamento. Nella prima fase il punto B
si sposter`a proporzionalmente al carico P no a che questo non raggiunge il valore nale. Da
776
24.10. IL TEOREMA DI BETTI
questo momento in poi il carico P rimane sso e viene applicato Q. Dato che, per eetto di Q,
anche B in genere si sposta, la forza P far`a un ulteriore lavoro. Un analogo eetto si ha per il
punto C quando invertiamo lordine di applicazione dei carichi. Consegue dal teorema di Betti
che:
il lavoro fatto dalla forza P quando viene applicata la forza Q `e uguale al lavoro
fatto dalla forza Q quando viene applicata la forza P.
Per vericare la precedente aermazione `e suciente eettuare il calcolo degli spostamenti
reciproci, ovvero prodotti da un carico sul punto di applicazione dellaltro. In particolare,
come schematizzato in gura 24.41 indichiamo con
B
e la componente nella direzione n dello
spostamento complessivo indotto in B dalle due forze. Tale componente di spostamento pu`o
essere considerata composta da due contributi:
B
=
BP
+
BQ
il primo dovuto a P e il secondo
a Q. Analogamente, indichiamo con
CP
la componente in direzione m dello spostamento
indotto in C dal carico P.
n
m
B
C
C*
B*
B

Figura 24.41: Rappresentazione amplicata degli spostamenti


Usando due carichi esploratori unitari, identicati con i pedici 1 e 2, rispettivamente paralleli
ed equiversi a P e a Q, che producono nella struttura rispettivamente i momenti ettenti
M
u1
(s) , M
u2
(s), con lintegrale di Mohr si ricava:

BQ
=
_
Struttura
Q M
u1
(s) M
u2
(s)
EJ
x
ds = Q
_
Struttura
M
u1
(s) M
u2
(s)
EJ
x
ds
e

CP
=
_
Struttura
P M
u1
(s) M
u2
(s)
EJ
x
ds = P
_
Struttura
M
u1
(s) M
u2
(s)
EJ
x
ds
Pertanto il lavoro fatto dalla forza P quando viene applicata la forza Q vale:
P
BQ
= P Q
_
Struttura
M
u1
(s) M
u2
(s)
EJ
x
ds = Q
CP
Si pu`o osservare che questa conseguenza del teorema di reciprocit`a era gi`a stata evidenziata.
In eetti `e stato dimostrato che i due spostamenti energeticamente associati ai carichi possono
essere ottenuti tramite la matrice di deformabilit`a della struttura con la seguente relazione:
_

B

C
_
=
_

2
U
P
2

2
U
QP

2
U
PQ

2
U
Q
2
_
_
P
Q
_
per cui la componente dello spostamento di C dovuta a P vale:
CP
=

2
U
PQ
P e la compo-
nente dello spostamento di B dovuta a Q vale
BQ
=

2
U
PQ
Q. Il lavoro reciproco vale quindi:
P
BQ
= Q
CP
=

2
U
PQ
Q P. Il teorema di reciprocit`a pu`o essere pertanto considerato una
conseguenza della simmetria della matrice di deformabilit`a.
777
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
24.11 Applicazioni dellintegrale di Mohr e del teorema di Betti
Lintegrale di Mohr `e uno strumento molto ecace per risolvere problemi di deformabilit`a
in strutture isostatiche di travi come si pu`o osservare nei seguenti esempi.
Esempio 24.16: Analisi deformativa di una struttura reticolare
La seguente struttura reticolare (a = 400 mm) `e composta di aste in lega leggera
(E = 75 GPa,
am
= 250 MPa) aventi la stessa sezione di area A = 600 mm
2
. Dopo aver
determinato il massimo valore di P compatibile con la resistenza, determinare
a) lo spostamento del punto B
b) la rotazione dellasta 1
c) lallontanamento dei punti B e H (punto medio tra C e D)
d) la variazione dellangolo BCD
a
P
B
a
a
P
1
C
2
3
4
5
6
D
H
Figura 24.42: Struttura reticolare
In questo caso `e evidente che gli eetti deformativi dipendono dalla sol forza normale
che `e lunica caratteristica attiva. Indichiamo con j = 1..6 lindice che identica la generica
asta la cui lunghezza `e rappresentata con l
(j)
. Lasciamo al lettore il compito di determinare
le forze normali dovute al carico P nelle varie aste che indichiamo come: N
(j)
P
, con j = 1..6.
Risposta a
Posssiamo prevedere che il punto B si sposti sia in orizzontale sia in verticale. Pertanto
`e necessario ottenere due componenti di spostamento. Usiamo a tale proposito due carichi
esploratori indipendenti come nello schema di gura 24.43 :
B
C
1
B
C
1
D D
(a) (b)
Figura 24.43: Schema per la determinazione delle componenti dello
spostamento di B: a) orizzontale e b) verticale
778
24.11. APPLICAZIONI DELLINTEGRALE DI MOHR E DEL TEOREMA DI BETTI
Il primo carico fornir`a lo spostamento orizzontale di B (che risulter`a positivo se verso
sinistra) e il secondo la componente verticale dello spostamento (positivo se verso il basso).
Indichiamo con N
(j)
u1
, con j = 1..6, le forze normali indotte nelle aste dal carico esploratore
orizzontale e con N
(j)
u2
, con j = 1..6, le forze normali indotte da quello verticale. Tali ca-
ratteristiche devono essere valutate usando le consuete tecniche di soluzione delle strutture
reticolari (metodo dei nodi, delle sezioni. . . ).
Gli spostamenti richiesti saranno quindi:
spostamento orizzontale verso sinistra:

1
=
_
Struttura
N
u1
(s) N
P
(s)
EA
ds =
6

j=1
N
(j)
u1
N
(j)
p
EA
l
(j)
spostamento verticale verso il basso:

2
=
_
Struttura
N
u2
(s) N
P
(s)
EA
ds =
6

j=1
N
(j)
u2
N
(j)
p
EA
l
(j)
Risposta b
Un modo corretto ma non molto rapido per procedere potrebbe essere di valutare gli
spostamenti completi degli estremi B e C (in eetti quelli di B sono gi`a noti dalla risposta
precedente) e quindi di determinare linclinazione con considerazioni geometriche. Si pu`o
invece procedere in modo diretto usando il carico unitario come nello schema di gura
24.44.
B
C
1
D
Figura 24.44: Carico ttizio per valutare la rotazione dellasta BC
Per evitare conitto di notazione, indichiamo tale carico esploratore con il pedice 3. Os-
serviamo infatti che la grandezza geometrica energeticamente associata al momento esplo-
ratore unitario `e la rotazione della sezione su cui applichiamo il momento. Daltra parte,
lasta BC pu`o subire solo un allungamento o un accorciamento per cui il suo asse rimane
rettilineo e la rotazione della linea dasse `e la medesima in ogni sezione. Da ci`o si ricava che
il risultato non dipende dalla sezione dellasta BC su cui posizioniamo il momento unitario.
Unaltra interessante osservazione pu`o essere ottenuta a questo riguardo. Con il mo-
mento esploratore applicato la struttura non pu`o pi` u essere considerata reticolare (ma solo
parzialmente reticolare) in quanto lelemento BC `e soggetto anche a essione, indipenden-
temente dal punto in cui il momento esploratore `e applicato. Tuttavia, essendo nullo il
momento ettente prodotto dal carico eettivo, nellintegrale di Mohr il momento ettente
779
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
dovuto al carico esploratore non fornisce alcun contributo.
`
E pertanto suciente consi-
derare le sole forze normali indotte (ovviamente in tutte le aste) dal momento unitario,
grandezze che chiameremo: N
(j)
u3
, con j = 1..6.
La rotazione richiesta (positiva se oraria) vale quindi:

BC
=
3
=
_
Struttura
N
u3
(s) N
P
(s)
EA
ds =
6

j=1
N
(j)
u3
N
(j)
p
EA
l
(j)
Risposta c
Anche per questa valutazione esiste un procedimento di soluzione poco razionale che
prevede la valutazione degli spostamenti dei punti B e H separatamente. Il metodo diretto
di soluzione si pu`o per`o intuire risondendosi alla domanda: qual `e il carico esploratore
unitario energeticamente associato allallontanamento dei punti B e H? La risposta `e
evidentemente una coppia di braccio nullo come indicato nella gura 24.45.
B
1
H
1
Figura 24.45: Carico ttizio per valutare lallontanamento dei punti B e H
Anche in questo caso sono signicative le sole forze normali indotte in tutte le aste dalla
coppia (carico esploratore 4), che indicheremo con N
(j)
u4
, con j = 1..6. Lallontanamento dei
punti vale quindi:
l
BH
=
4
=
_
Struttura
N
u4
(s) N
P
(s)
EA
ds =
6

j=1
N
(j)
u4
N
(j)
p
EA
l
(j)
Risposta d
A questo punto dovrebbe essere evidente il modo di procedere con lapplicazione diretta
dellintegrale di Mohr. In eetti, la grandezza statica energeticamente connessa con la
rotazione angolare relativa delle aste BC e CD, come mostrato nella gura 24.46, `e una
coppia di momenti unitari controversi applicati ognuno a unasta.
780
24.11. APPLICAZIONI DELLINTEGRALE DI MOHR E DEL TEOREMA DI BETTI
B
C
1
D
1

Figura 24.46: Carico ttizio per valutare la riduzione dellangolo


Indicate le caratteristiche di forza normale prodotte da tale coppia di momenti con il
pedice 5, la variazione dallangolo = BCD vale quindi:
=
5
=
_
Struttura
N
u5
(s) N
P
(s)
EA
ds =
6

j=1
N
(j)
u5
N
(j)
p
EA
l
(j)
Per come sono stati scelti i versi dei momenti esploratori, un risultato positivo indicherebbe
che le due aste tendono ad avvicinarsi, ovvero che langolo compreso si riduce.
Esempio 24.17: Variazione di volume
Un corpo (gura 24.47) avente forma arbitraria costituito con materiale lineare elastico
omogeneo isotropo `e libero nello spazio (o vincolato in modo non ridondante) ed `e
sottoposto a una coppia di braccio nullo con forze di intensit`a F applicate ai punti B e C
distanti d. Determinare la variazione di volume complessiva del corpo.

B
C
F
F
Figura 24.47: Applicazione del teorema di Betti
Questo problema rappresenta un esempio classico di quanto il teorema di reciprocit`a
possa essere ecace e generale. Consideriamo il caso dato come problema 1 e un problema
ausiliario (problema 2) in cui allo stesso corpo `e applicato un carico di forza di supercie
normale uniforme t applicata su tutta la supercie del corpo come mostrato nella gura
24.48. Si pu`o vericare immediatamente che lo stato di tensione soluzione del problema 2
`e idrostatico e uniforme e vale:
S
2
= t
_
_
1 0 0
1 0
Sym1
_
_
= tI
per cui il campo di deformazione `e dato da:
E
2
=
t
E
(1 2) I =
t
3K
I
781
24. RIGIDEZZA DELLE TRAVI
dove K `e il bulk modulus.

t=1
C
B
Figura 24.48: Carico unitario energeticamente associato allaumento di
volume
La grandezza deformativa energeticamente associata al carico del problema 2 `e la
variazione di volume V
2
=
v
V in quanto:
L
ext2
= U
2
=
1
2

v
t V =
1
2
t V
2
Lallontanamento dei punti B e C nel problema 2 vale:
d
2
= d
t
3K
Per il teorema di Betti, se combiniamo le forze del primo problema con il campo di spo-
stamenti del secondo e viceversa, si ottiene: F d
2
= t V
1
da cui, sostituendo, il
risultato:
V
1
=
F d
3K
Si conclude che, risultato piuttosto sorprendente, la variazione di volume indotta dalla
coppia di forze `e indipendente dalla forma del corpo stesso e, oltre che ovviamente dal
carico e dal materiale, dipende solo dalla distanza dei punti di applicazione della coppia.
Esercizio 24.8: Applicazioni del teorema di reciprocit`a
Vericare direttamente il teorema di reciprocit`a considerando i problemi di gura 24.49.
C
D
B
P
l l
EJ
x
C
D
B M
(a)
(b)
Figura 24.49: Trave isostatica per la verica del teorema di Betti
782
Capitolo 25
Travature iperstatiche
Il capitolo aronta lanalisi dei problemi iperstatici di travi mediante la descrizione e lappli-
cazione sistematica del metodo delle forze. Sono in particolare ricavate le formule di congruenza,
o di M uller-Breslau, ed `e mostrato come applicarle per risolvere generali problemi iperstatici di
travi, anche in presenza di errori di montaggio o forzamenti. Il capitolo non introduce alcuna
novit`a teorica rispetto a quanto gi`a discusso nei precedenti, in particolare nel capitolo 24, tut-
tavia la notevole variet`a di casi che si possono presentare rende utile la discussione dei metodi
di soluzione. Per questo motivo in questo capitolo ancora pi` u che in altri, gli esempi sono
funzionali alla spiegazione e anche la soluzione degli esercizi proposti `e da considerarsi utile per
acquisire le necessarie competenze anche teoriche.
25.1 Generalizzazione del metodo delle forze
Il metodo delle forze `e stato introdotto nel capitolo 19 dove `e stato impiegato come alter-
nativa al metodo degli spostamenti per risolvere semplici problemi iperstatici. Con lintegrale
di Mohr siamo ora in grado di determinare lo spostamento di un qualsiasi punto in una generica
direzione per ogni problema isostatico di travi. Questo strumento analitico permette di applica-
re in modo molto generale ed ecace il metodo delle forze che viene nel seguito richiamato con
riferimento a un problema di travi una volta iperstatico. Se, come mostrato nella gura 25.1, si
elimina opportunamente un vincolo semplice e si sostituisce con la reazione vincolare associa-
ta, si ottiene un problema ausiliario isostatico che presenta, oltre al carico eettivo, un carico
incognito provvisoriamente indicato con X (successivamente le incognite iperstatiche saranno
denite in modo leggermente diverso con una notazione adatta a descrivere anche problemi
pi` u volte iperstatici). Il problema ausiliario `e quindi isostatico con un carico che pu`o essere
considerato parametrico.
B
P
C
=
B
P
C
X
Figura 25.1: Schema di soluzione di un problema iperstatico con il metodo
delle forze
Essendo il problema ausiliario isostatico, se viene risolto correttamente (nel rispetto delle
leggi costitutive del materiale, di congruenza interna ed esterna con i vincoli non ridondanti),
783
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
per ogni valore dellincognita X si ottiene una soluzione che rispetta le condizioni di equilibrio
globali e locali. Pertanto, considerando tutti i valori che possono essere assegnati a X, `e for-
malmente individuato un sottoinsieme delle soluzioni problema originario (rappresentato dalla
linea nella gura 25.2) di tutte le soluzioni che rispettano le cardinali.
X
Soluzioni
equilibrate

Figura 25.2: Metodo delle forze: eetto della modica dellincognita
iperstatico
Data la linearit`a del problema originario e lunicit`a della sua soluzione, un solo valore
di X (e quindi un solo punto della linea ) `e per`o corretto e evidentemente individua la
condizione per cui la soluzione, oltre che essere equilibrata e costitutivamente corretta, `e anche
completamente congruente. Nel caso in esame se per la trave si usa un modello deformativo
coerente con le condizioni precedenti, la condizione di congruenza si ottiene imponendo che lo
spostamento dellestremo C (la grandezza energeticamente associata alla reazione incognita X)
assuma proprio il valore che rispetta il vincolo che `e stato eliminato nel problema originario. Nel
caso in esame lo spostamento dellestremo C complessivo, ovvero prodotto dal carico P e da X,
deve essere nullo. Lindividuazione del valore corretto di X deriva pertanto dallimpostazione
di una equazione di congruenza come rappresentato nello schema dell gura 25.3.
X
Soluzioni
equilibrate
Soluzioni
congruenti

Figura 25.3: Metodo delle forze: unicit`a della soluzione


Con un esempio guida, nel prossimo paragrafo `e sviluppato il procedimento generale di
soluzione che porta alle equazioni di congruenza di M uller-Breslau,in onore di Henrich M uller-
Breslau, (1851-1925).
25.2 Equazioni di M uller-Breslau
Lintegrale di Mohr costituisce la base per la soluzione dei problemi iperstatici di travi con
il metodo delle forze. La formulazione generale del procedimento `e ottenuta come immediata
generalizzazione di alcuni esempi. In tutti i problemi esaminati del presente capitolo, quando
riferiti a problemi piani, si far`a riferimento al consueto sistema locale di assi cartesiani e alla
ascissa curvilinea tipicamente assunta, come rappresentato nella gura 25.4.
784
25.2. EQUAZIONI DI M

ULLER-BRESLAU
Esempio 25.1: Problema iperstatico elementare
Determinare le caratteristiche di sollecitazione della trave ad asse rettilineo di gura 25.4.
B
p
C
l
y
z
s
Figura 25.4: Trave uniformemente caricata una volta iperstatica
Supponiamo che la trave sia installata senza errori di montaggio, quindi con reazioni
vincolari nulle in assenza del carico p, e consideriamo signicativi i soli eetti deformativi
essionali. Queste ipotesi saranno successivamente eliminate.
La soluzione di questo semplice problema volta iperstatico nel piano pu`o essere ottenuta
anche con il metodo della linea elastica (vedi il capitolo 24). Per applicare il metodo delle
forze, `e necessario eliminare i vincoli ridondanti (nel caso specico uno solo) in modo da
ottenere una struttura isostatica (`e consigliabile che sia intrinsecamente isostatica). La
struttura resa isostatica con leliminazione dei vincoli ridondanti denisce un problema
isostatico ausiliario la cui struttura `e generalmente chiamata sistema principale (SP).
Come vedremo, vi sono inniti modi per ottenere questo obiettivo, tuttavia, ai ni della
soluzione, i sistemi principali che possono essere usati sono, di fatto, tutti equivalenti. Una
soluzione che appare naturale consiste nella eliminazione dellappoggio in C in modo da
avere un SP rappresentato da una trave a mensola come in gura 25.5.
B C
Figura 25.5: Sistema principale
In base al principio di sovrapposizione, il problema iperstatico pu`o essere trattato come
la sovrapposizione di due problemi isostatici:
il primo problema `e rappresentato dal sistema principale su cui agisce il carico ef-
fettivamente applicato nel problema originario(la condizione di carico eettivo e le
quantit`a associate saranno individuate con il pedice P)
il secondo problema `e denito dal SP su cui agisce, come unico carico, la reazione
vincolare iperstatica (lazione statica prodotta dal vincolo elementare eliminato).
In vista di generalizzare il procedimento di soluzione a problemi con pi` u di una iperstatica,
conveniamo di chiamare X
1
lincognita iperstatica stessa (il pedice 1 si riferisce alla prima
incognita iperstatica e in questo esempio `e pleonastica essendo lunica). Lapplicazione del
PLV si schematizza quindi come nella gura 25.6.
785
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
B
p
C
+ X
1
B
C
1
Figura 25.6: Sovrapposizione degli eetti sul sistema principale
Nella quale si osserva come la soluzione del problema originario sia ottenibile dalla
sovrapposizione delle soluzioni di due problemi isostatici. Come osservato nel paragrafo
precedente, la soluzione che in questo modo si ottiene `e sicuramente equilibrata (per ogni
valore di X
1
) perche il sistema principale `e isostatico.
Il valore corretto di X
1
sar`a quindi determinato dal soddisfacimento di una equazione di
congruenza che stabilisce una condizione di tipo geometrico sullo spostamento generalizzato
(spostamento o rotazione) energeticamente associato alla reazione vincolare iperstatica (che
pu`o essere una componente di forza o di momento). Nel caso in esame, la condizione di
congruenza `e in eetti relativa allo spostamento verticale dellestremo C.
Con una notazione che diventer`a generale, scriviamo la condizione di congruenza in
questo modo:

1
=
1P
+X
1

11
i cui simboli hanno il seguente signicato (coerente con la precedente denizione dei pedici):

1
spostamento generalizzato energeticamente associato alla prima incognita iper-
statica; per il caso in esame lo spostamento verticale dellestremo C nel problema
iperstatico di gura 25.4 che dovr`a quindi essere nullo

1P
spostamento generalizzato energeticamente associato alla prima reazione vinco-
lare iperstatica nel sistema principale sotto la condizione di carico eettivo (lo
spostamento verticale dellestremo C nel problema di sinistra in gura 25.6)

11
spostamento generalizzato energeticamente associato alla prima iperstatica nel
sistema principale con la condizione di carico prodotta dalla prima reazione vinco-
lare iperstatica di intensit`a unitaria (lo spostamento verticale dellestremo C nel
problema di destra in gura 25.6).
Per determinare i valori di tali spostamenti `e molto ecace lintegrale di Mohr. A tale
scopo deniamo, in modo sempre conseguente con la notazione, le seguenti caratteristiche
di sollecitazione:
M
xP
(s): momento ettente nel sistema principale dovuto al carico vero
M
xu1
(s): momento ettente nel sistema principale dovuto alla prima reazione vinco-
lare iperstatica unitaria (il pedice u pu`o essere considerato implicito e tale quantit`a
spesso si indicher`a pi` u sinteticamente con M
x1
(s)).
Dato che i problemi sono isostatici, le precedenti caratteristiche si possono valutare in base
alla sola statica, per lesempio in esame valgono:
M
xP
(s) =
p
2
(l s)
2
786
25.2. EQUAZIONI DI M

ULLER-BRESLAU
M
xu1
(s) = l s
Non dovrebbe essere necessario ricordare lesigenza dello stretto rispetto delle convenzioni
sui versi e sui segni. Lequazione di congruenza nella notazione di Mohr si scrive quindi
come segue:

1
=
_
Sistemaprincipale
M
xP
(s) M
xu1
(s)
EJ
x
ds +X
1
_
Sistemaprincipale
[M
xu1
(s)]
2
EJ
x
ds
per il caso in esame:
0 =
_
l
0

p
2
(l s)
3
EJ
x
ds +X
1

_
l
0
(l s)
2
EJ
x
ds
da cui si ottiene la relazione vincolare iperstatica:
X
1
=
3
8
pl
Tutte le caratteristiche del problema (tensioni, deformazioni, spostamenti, rotazioni, carat-
teristiche di sollecitazione, reazioni vincolari, ecc. . . ) possono essere valutate tramite la
sovrapposizione degli eetti. Il problema di partenza `e infatti identico a quello isostatico
con i carichi veri e le reazioni ridondanti appena valuatate, come indicato nella gura 25.7.
B
p
C
=
B
p
C
3
8
pl
Figura 25.7: Equivalenza tra il problema iperstatico iniziale e il problema
isostatico denito sul sistema principale
Possiamo quindi rispondere alla richiesta:
T
y
(s) = X
1
+p (l s)
M
x
(s) = M
xP
(s) +X
1
M
xu1
(s)
nel caso specico:
T
y
(s) = p
_
5
8
l s
_
M
x
(s) =
p
8
(l s) (4s l)
I diagrammi sono riporati nella gura 25.8.
787
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
B
C
B
C
3
8
pl
5
8
pl
5
8
l
2
1
8
pl
D
y
T
x
M
Figura 25.8: Caratteristiche di sollecitazione denitive
Esercizio 25.1: Modica del sistema principale
Risolvere il problema dellesempio 25.1 usando il sistema principale rappresentato in gura
25.9.
B
p
C
=
B
p
C
+ X
1
C
1
B
Figura 25.9: Modica del sistema principale
Suggerimenti. Formalmente si tratta di risolvere la stessa equazione di congruenza:

1
=
1P
+X
1

11
in cui i termini assumono il signicato di seguito specicato:

1
rotazione (positiva se antioraria) della sezione B nel problema dato, e quindi, nel
caso in esame, zero.

1P
rotazione della sezione B nel sistema principale prodotta dal carico eettivo.

11
rotazione della sezione B nel sistema principale prodotta dalla reazione vincolare
iperstatica di intensit`a unitaria.
Nellesempio che segue il metodo `e applicato per risolvere un problema due volte iperstatico.
788
25.2. EQUAZIONI DI M

ULLER-BRESLAU
Esempio 25.2: Problema due volte iperstatico
Determinare le caratteristiche di sollecitazione per il problema di gura 25.10.
B
p
C
l
EJ
x
Figura 25.10: Trave con doppio incastro
Il problema pu`o essere risolto con il metodo delle forze eliminando solo due reazioni
vincolari. Sappiamo infatti che, in questo caso, in assenza di errori di montaggio, la reazione
vincolare di forza assiale esercitata dagli incastri `e nulla, per cui lo schema risolvente `e
mostrato in gura 25.11.
B
p
C
+ X
1
B C
+ X
2
B
C
1
1
Figura 25.11: Schema per la sovrapposizione degli eetti in un problema due
volte iperstatico
Le due incognite iperstatiche potranno essere individuate con limposizione di altrettan-
te condizioni di congruenza che, come nel caso precedente, coinvolgono le grandezze geo-
metriche energeticamente associate alle iperstatiche. Formalmente si pu`o infatti imporre il
seguente sistema di equazioni di M uller-Breslau:
_

1
=
1P
+X
1

11
+X
2

12

2
=
2P
+X
1

21
+X
2

22
alcuni termini del quale hanno un signicato del tutto simile al caso precedente in coerenza
con i relativi pedici:

1
rotazione (positiva se antioraria perche denita dalla scelta del verso del momento
di reazione) della sezione C nel problema dato, e quindi, nel caso in esame, zero;

1P
rotazione (sempre antioraria) della sezione C nel sistema principale prodotta dal
carico eettivo;

11
rotazione antioraria della sezione C nel sistema principale prodotta dalla prima
reazione vincolare iperstatica di intensit`a unitaria;

2
spostamento verticale (positivo se verso lalto) della sezione C nel problema dato,
e quindi nel caso in esame zero;

2P
spostamento verticale verso il basso della sezione C nel sistema principale
prodotta dal carico eettivo
789
25. TRAVATURE IPERSTATICHE

22
spostamento verticale verso il basso della sezione C nel sistema principale prodotta
dalla seconda reazione vincolare iperstatica di intensit`a unitaria
Rispetto al problema con un solo grado di libert`a, costituiscono una novit`a i termini misti:

12
rotazione antioraria della sezione C nel sistema principale dovuto alla seconda
reazione vincolare iperstatica di intensit`a unitaria

21
spostamento verticale verso il basso della sezione C nel sistema principale prodotta
dalla prima reazione vincolare iperstatica di intensit`a unitaria.
Osserviamo che i termini misti sono uguali
12
=
21
per il teorema di Betti.
Procediamo con il calcolo dei vari spostamenti generalizzati considerando che i momenti
ettenti di interesse nel sistema principale sono i seguenti:
M
xP
(s) =
p
6
2l s
l
(l s)
2
M
xu1
(s) = 1
M
xu2
(s) = l s
Con lintegrale di Mohr si ottiene:

1P
=
1
8
pl
3
EJ
x
;
2P
=
11
120
pl
4
EJ
x
;
12
=
21
=
1
2
l
2
EJ
x
In questo esempio i termini della diagonale principale della matrice possono essere otte-
nuti anche senza scomodare lintegrale di Mohr si riferiscono in eetti a soluzioni di casi
elementari ben noti:

11
=
l
EJ
x
;
22
=
1
3
l
3
EJ
x
La soluzione del sistema di M uller-Breslau fornisce i seguenti risultati:
X
1
=
1
20
pl
2
; X
2
=
7
20
pl
Lo schema statico nale `e rappresentato in gura 25.12:
B
p
C
2
20
pl
7
20
pl
Figura 25.12: Soluzione rappresentata nel sistema principale
Le caratteristiche di sollecitazione denitive del problema iperstatico originario si ottengono
per sovrapposizione:
T
y
(s) =
1
20
p
l
_
3l
2
10s
2
_
M
x
(s) = M
xP
(s) +X
1
M
xu1
(s) +X
2
M
xu2
(s) =
1
60
p
l
_
2l
3
9l
2
s + 10s
3
_
790
25.2. EQUAZIONI DI M

ULLER-BRESLAU
Nella gura 25.13 sono rappresentati i relativi diagrammi.
B C
B C
7
20
pl
3
20
pl
3
0.548
10
l l =
2
1
30
pl
D
y
T
x
M
2
1
20
pl
2
0.021pl
D
Figura 25.13: Caratteristiche di sollecitazione denitive
Come generalizzazione dellesempio precedente, possiamo concludere che per un problema
n volte iperstatico `e sempre possibile scrivere n equazioni di congruenza, o di M uller-Breslau,
formalmente come:

i
=
iP
+
n

j=1
X
j

ij
con i = 1..n (25.1)
in cui:

i
rappresenta lo spostamento generalizzato associato alliperstatica i nel problema iper-
statico originario

iP
rappresenta lo spostamento generalizzato associato alliperstatica i nel sistema princi-
pale prodotto dal carico eettivo

ij
rappresenta lo spostamento generalizzato associato alliperstatica i nel sistema princi-
pale dovuto alliperstatica j di intensit`a unitaria.
Per il teorema di reciprocit`a:

ij
=
ji
(25.2)
Esercizio 25.2: Verica del grado di iperstaticit`a per elemento deformabile
Vericare che il problema rappresentato nella gura 25.14, in assenza di errori di montaggio,
`e eettivamente due volte iperstatico.
791
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
B
F
C
EJ
x
3
4
l
4
l
Figura 25.14: Problema iperstatico con carico concentrato
Suggerimento. Come discusso nella prima parte del corso, se la trave avesse una de-
formabilit`a trascurabile non vi sarebbero ragioni per prevedere lesistenza di componenti
orizzontali delle reazioni vincolari. Pu`o peraltro sorgere il dubbio che questo fatto non
sia vero nellipotesi di corpo deformabile. Per dimostrare tale fatto anche per i corpi po-
co deformabili, `e suciente risolvere il problema senza ricorrere allipotesi che la reazione
orizzontale sia nulla. Il lettore imposti quindi il problema considerandolo tre volte ipersta-
tico, usando, per esempio, come iperstatiche le tre componenti della reazione vincolare che
ppotrebbero essere esercitate in C. Sar`a subito evidente che, non essendoci accoppiamento
energetico tra le caratteristiche normali e essionali, la componente assiale della forza di
reaione risulter`a nulla in assenza di carichi assiali. Completare lesercizio determinando le
reazioni vincolari.
Esercizio 25.3: Indirizzamento dei ussi di forza
Con riferimento alla schema di gura 25.15, determinare il fattore adimensionale in modo
che le componenti di momento delle reazioni dei due incastri abbiano lo stesso modulo.
B
F
C
EJ
x
3
4
l
4
l
EJ
x
Figura 25.15: Controllo delle reazioni vincolari nei problemi iperstatici
Nota. Si osservi come anche in questo caso, lipertatcit`a del problema consenta, tramite
lopportuno scelta della rigidezza delle parti della struttura, di dirigere il usso delle forze
preferenzialmente verso alcuni vincoli. Si ricordi che la modica della rigidezza relativa
della parti `e inecace per avere lo stesso risultato in un problema isostatico.
Esercizio 25.4: Struttura piana
La struttura in gura 25.16 `e ottenuta saldando due spezzoni di tubo aventi la stessa
sezione. Tracciare i diagrammi delle caratteristiche e individuare le sezioni critiche.
792
25.2. EQUAZIONI DI M

ULLER-BRESLAU
B
p
C
D
l
3
l
EJ
x
, EA
Figura 25.16: Struttura iperstatica nel piano
Nota. In questo caso il problema `e iperstatico dato che le reazioni vincolari producono
tutte eetti essionali in qualche parte della struttura. Si risolva il problema considerando
anche lenergia associata alla forza normale (oltre alla essione) e successivamente si valuti
la soluzione trascurando il contributo della forza normale. Per le valutazioni numeriche si
consideri la trave di acciaio con l = 600 mm, R
ext
= 25 mm, t = 5 mm, p = 20 N/mm e si
confrontino quantitativamente le due soluzioni.
Il risultato dellesercizio precedente indica che quando in una struttura iperstatica di travi
abbastanza snelle (come dovrebbero in eetti essere in quanto travi) la stessa sezione `e soggetta
a essione e forza normale, il comportamento deformativo `e dominato dalla essione. Pertanto
in questi casi la valutazione dei coecienti di M uller-Breslau pu`o limitarsi alla determinazione
dei termini essionali. Ovviamente tale osservazione non `e applicabile alle strutture reticolari di
aste (in cui la essione `e assente) oppure a situazioni in cui gli elementi soggetti a forza normale
hanno sezioni ridotte rispetto agli elementi inessi, come per esempio quando si usano cavi per
sostenere o irrigidire travi.
Esercizio 25.5: Mensola con cavo
La mensola indicata in gura 25.17 `e irrigidita da un (unico) cavo montato senza precarico.
Tracciare i diagrammi delle caratteristiche per la mensola.
B
p
C
a
a
a
EJ
x
EA
Figura 25.17: Mensola irrigidita con un cavo
Nota. In questo caso `e opportuno considerare lenergia essionale per la mensola ma
anche lenergia estensionale per il cavo. Il problema `e una volta iperstatico, il lettore provi
a risolverlo usando diversi sistemi principali.
793
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
25.3 Calcoli di deformabilit`a per strutture iperstatiche
Anche per i problemi iperstatici possono essere interessanti le veriche di rigidezza. Esa-
miniamo come applicare i metodi energetici nel seguente problema le cui caratteristiche di
sollecitazione sono state determinate nel paragrafo precedente.
Esempio 25.3: Veriche di rigidezza per un problema iperstatico
Determinare la rotazione della sezione centrale D della trave in gura 25.18.
B
p
C
l
EJ
x
D
Figura 25.18: Trave con due incastri
Si potrebbe applicare direttamente il procedimento di Mohr considerando un carico
esploratore unitario (in questo caso un momento) in D e quindi trovare il momento ettente
da questo generato nel problema originario come nello schema di gura 25.19:
B C
D
1
Figura 25.19: Carico unitario per determinare la rotazione della sezione di
mezzeria
Questo procedimento richiede per`o di risolvere due problemi iperstatici:
il problema dato (gura 25.18), allo scopo di determinare le caratteristiche di solle-
citazione eettive, in particolare il momento ettente M
x
(s) (questo esercizio `e gi`a
stato risolto nel paragrafo precedente e possiamo quindi giovarci della soluzione)
il problema di gura 25.19 con il caico dato dal momento esploratore unitario, anche
questo due volte iperstatico, necessario per ottenere il momento ettente prodotto
dal carico esploratore: M
xu
(s).
Una semplice considerazione per`o permette di evitare la soluzione del secondo problema
iperstatico. Sappiamo infatti che, risolto il primo problema iperstatico, si perviene alla
denizione di un problema isostatico che equivale a quello dato (gura25.12)per tutte le
sue propriet`a, quindi anche per la rotazione richiesta. Possiamo quindi applicare il momento
unitario al sistema principale (isostatico) usato per risolvere il primo problema iperstatico e
determinare lo spostamento per quello. Nel caso in esame lo schema di soluzione `e mostrata
nella fugura 25.20.
794
25.3. CALCOLI DI DEFORMABILIT
`
A PER STRUTTURE IPERSTATICHE
B C
D
1
B
C D
( )
xu
M s
Figura 25.20: Applicazione dellintegrale di Mohr al sistema principale
M
xu
(s) =
_
1 0 < s < l/2
0 l/2 < s < l
per cui la rotazione richiesta vale:

D
=
_
l
0
M
x
(s) M
xu
(s)
EJ
x
ds =
_
l/2
0

p
60l
_
2l
3
9l
2
s + 10s
3
_
1
EJ
x
ds =
1
1920
pl
3
EJ
x
Esempio 25.4: Linea elastica tramite Mohr
Con riferimento al problema di gura 25.18, determinare lespressione della linea elastica
tramite lintegrale di Mohr.
Per quanto il problema possa essere risolto direttamente integrando lequazione dieren-
ziale della linea elastica e imponendo le opportune condizioni al contorno, la disponibilit`a
della soluzione iperstatica ci permette di ottenere la soluzione in modo semplice anche con
lintegrale di Mohr. Osserviamo che lo spostamento verticale (nel verso dellasse y) di un
punto H, di ascissa generica s, si ottiene con Mohr usando un carico esploratore unitario
applicato in H in direzione y, come mostrato nella gura 25.21. Come illustrato nellesem-
pio 25.3, usiamo il problema isostatico equivalente per risolvere il problema nel modo pi` u
semplice.
B
C
H
1
B C
( )
1
,
xu
M s s
H
s
Figura 25.21: Applicazione dellintegrale di Mohr con carico in posizione
generica
Il momento dovuto al carico esploratore `e una funzione della posizione e dellascissa
del punto H.
`
E necessario usare due simboli distinti per la posizione in cui `e collocaro il
795
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
carico esploratore unitario, che sar`a indcato con s, e per la posizione della generica sezione,
indicata con s
1
, anche se tali quantit`a hanno lo stesso signicato geometrico. Il momento
ettente nel punto di ascissa s
1
del SP dovuto al un carico esploratore applicato nel punto
di ascissa s vale pertanto:
M
xu
(s
1
, s) =
_
(s s
1
) 0 < s
1
< s
0 s < s
1
< l
da cui otteniamo, per integrazione diretta, la soluzione:

H
= v (s) =
_
l
0
M
x
(s
1
) M
xu
(s
1
, s)
EJ
x
ds
1
=
_
s
0

p
60l
_
2l
3
9l
2
s
1
+ 10s
3
1
_
(s
1
s)
EJ
x
ds
1
=
=
1
120
p
lEJ
x
(2l +s) (l s)
2
s
2
Esercizio 25.6: Freccia massima
Con riferimento allesempio 25.4, determinare nel modo pi` u diretto la sezione in cui si ha
la freccia massima.
Nota: la freccia massima si manifesta nel punto in cui linclinazione della sezione `e nulla.
25.4 Iperstatiche interne
Come `e stato anticipato nel capitolo 7, vi sono problemi che possono essere classicati come
esternamente isostatici e altri come internamente iperstatici. In questi ultimi casi, le reazioni
vincolari esterne possono essere ottenute con le cardinali ma, in generale, non `e possibile con
sole condizioni di equilibrio tracciare i diagrammi e quindi eettuare le veriche strutturali
complete. Il seguente esempio illustra questa situazione.
Esempio 25.5: Sistema internamente ipestatico
Tracciare i diagrammi delle caratteristiche per la struttura in gura 25.22.
C
D
B
P
b
EJ
x
b b
60
H
L
Figura 25.22: Struttura internamente iperstatica
796
25.4. IPERSTATICHE INTERNE
Per quanto le reazioni esterne siano di immediata determinazione, le caratteristiche
della zona centrale della struttura (nei tratti di trave i cui assi formano il triangolo CDH)
non si possono valutare senza conoscere le reazioni vincolari delle cerniere interne. Il
problema `e una volta internamente iperstatico e per risolverlo `e necessario eliminare un
vincolo semplice interno nel triangolo CDH. Anche se, come vedremo, non `e la soluzione
pi` u semplice, possimao adottare il sistema principale di gura 25.23 nel quale la cerniera
interna in D `e stata trasformata in un appoggio semplice.
C
D
P
60
+ X
1
C
D
60
H
1
1
Figura 25.23: Sistema principale per una iperstatica interna
Osserviamo che:
in generale `e necessario considerare gli eetti prodotti sia dallazione sia dalla rea-
zione delliperstatica interna perche entrambe sono applicate sulla struttura e quindi
generano caratteristiche energeticamente rilevanti
per chiarezza graca la bielletta `e stata rappresentata di estensione nita, le due forze
esploratrici unitarie sono peraltro applicate nella medesima posizione D
una forza esploratrice (quella diretta a destra nello schema di gura 25.23) `e applicata
al tratto DH mentre laltra agisce sul tratto orizzontale BCDL.
Come fatto precedentemente, procediamo alla determinazione delle caratteristiche in-
dotte dal carico vero e dalla coppia di carichi esploratori. Anche in questo caso possiamo
considerare solo leetto delle azioni essionali. I termini dellequazione di M uller-Breslau
sono quindi:

1P
=
_
Struttura
M
xP
(s) M
xu1
(s)
EJ
x
ds

11
=
_
Struttura
[M
xu1
(s)]
2
EJ
x
ds
Il calcolo operativo degli integrali in questo caso suggerisce di sudividere la struttura in 5
sottodomini in ognuno dei quali `e utile denire una ascissa curvilinea specica per esprime-
re le caratteristiche. Per analogia e generalizzazione dovrebbe essere evidente il signicato
dei termini dellequazione di congruenza. La grandezza deformativa energeticamente asso-
ciata alla coppia di forze esploratrici `e lallontanamento orizzontale dei due estremi della
cerniera che nel sistema principale risultano svincolati dal carrellino. Pertanto
1
sar`a nullo.
Lequazione di congruenza si riduce quindi alla seguente:
0 =
1P
+X
1

11
che fornisce la componente orizzontale della reazione vincolare.
797
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
Nel problema precedente si nota una simmetria speculare completa: della geometria, dei
carichi e delle reazioni vincolari. In questi casi tramite la scelta di un opportuno sistema
principale, si possono ottenere vantaggi operativi nel calcolo dei termini di M uller-Breslau dato
che alcune componenti risultano identicamente nulle e altre possono essere valutate integrando
solo su met`a struttura e raddoppiando il risultato. Allo scopo di conservare la simmetria anche
per il sistema principale, lo schema di soluzione mostrato in gura 25.24 `e particolarmente
indicato e i vantaggi possono essere vericati risolvendo il seguente esercizio e confrontandolo
con lesempio precedente 25.5.
Esercizio 25.7: Ipertatica interna per conservare la simmetria
Identicare il signicato dei termini dellequazione di M uller-Breslau per il problema 25.22
adottando il sistema principale di gura 25.24 e risolvere il problema.
C
D
P
+ X
1
C
D
1 1
Figura 25.24: Iperstatica interna di momento
Il ricorso alle iperstatiche interne non `e utile solo per risolvere problemi internamente iper-
statici. In certi casi la scelta di una iperstatica interna pu`o risultare vantaggiosa per semplicare
i calcoli anche per problemi esternamente iperstatici. Un esempio classico `e oerto dalla, cos`
detta, trave continua ovvero una lunga trave rettilinea vincolata con molti appoggi, come un
binario ferroviario. Consideriamo a tale proposito il seguente esempio.
Esempio 25.6: Trave continua
Impostare la soluzione del problema tre volte iperstatico mostrato in gura 25.25 (trave
continua).
B
p
C
4l
EJ
x
Figura 25.25: Trave continua su appoggi equidistanziati
Il sistema principale pu`o essere denito sfruttando tre iperstatiche esterne come nel-
lo schema di gura 25.26 che illustra lapplicazione del principio di sovrapposizione
e i diagrammi delle caratteristiche necessari per ottenere il termini del sistema di
M uller-Breslau.
798
25.4. IPERSTATICHE INTERNE
p
1
1
1
1
1
1
+ X
1
+ X
2
+ X
3
( )
xP
M s
( )
1 xu
M s
( )
2 xu
M s
( )
3 xu
M s
Figura 25.26: Possibile schema di soluzione con reazioni vincolari incognite
esterne
Con questo metodo di soluzione i rappresentano gli spostamenti (positivi se verso lalto)
dei punti in corrispondenza degli appoggi intermedi. Operativamente, per ottenere i `e
necessario:
integrare su tutto il dominio [0, 4l]
dividere il dominio in vari sottointervalli (per esempio per ottenere il coeciente
12
`e necessario usare tre sottointervalli).
In alternativa pu`o essere usato il sistema principale ilustrato in gura 25.27 che sfrutta
iperstatiche interne.
p
+ X
1
+ X
2
+ X
3
( )
xP
M s
( )
1 xu
M s
( )
2 xu
M s
( )
3 xu
M s
1 1
1 1
1 1
Figura 25.27: Sistema principale con iperstatiche interne
Si osservi che sono stati lasciati inalterati i vincoli esterni e che, in questo caso, i
rappresentano le rotazioni relative degli estremi dei tratti di trave interrotti dalle scon-
nessioni interne. Solo apparentemente il problema ha la stessa complessit`a computazio-
799
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
nale del precedente, in eetti, un esame attento mostra che per ottenere i coecienti di
M uller-Breslau:
gli integrali devono essere eseguiti solo una ridotta parte del dominio (per esempio

12
si ottiene integrando solo nellintervallo [l, 2l] e
1P
nei due intervalli [0, l] [l, 2l])
molti degli integrali richiesti sono uguali
la matrice del sistema tende ad assumere una struttura a prevalenza diagonale che ne
facilita linversione.
I vantaggi pratici prodotti dalladozione di questo sistema principale diventano molto
signicativi quando il numero di iperstatiche aumenta, si pensi al binario ferroviario.
25.5 Errori di montaggio, forzamenti e tolleranze geometriche
Lo schema di soluzione di M uller-Bresalu si presta anche allesame degli eetti prodotti
nelle strutture iperstatiche dagli errori di montaggio e dai forzamenti. Consideriamo il seguente
esempio.
Esempio 25.7: Cuscinetti non errore di coassialit`a
Un albero di acciaio (diametro = 25 mm e lunghezza totale: 5l = 450 mm) `e calettato
su tre cuscinetti orientabili. Attraverso misure si determina che il centro del cuscinetto C
si trova = 0.75 mm sotto la congiungente dei centri dei cuscinetti di estremit`a, come
esemplicato nella gura 25.28. Determinare le sollecitazioni prodotte nellalbero dal solo
montaggio.
3l 2l
EJ
x
C
D B
Figura 25.28: Albero su tre cuscinetti non allineati
Per lo studio di problemi iperstatici aetti da errori di montaggio, `e necessario prestare
attenzione a come lerrore di montaggio `e denito (tipo e segno). Questa analisi pu`o
essere spesso facilitata se si esamina il procedimento di montaggio. Nel caso specico,
lalbero (che assumiamo prevalentemente caricato da forze perpendicolari allasse) sarebbe
in condizioni isostatiche se fosse montato su due soli cuscinetti, per cui il sistema principale
per lapplicazione del metodo delle forze pu`o essere considerato quello che rappresenta la
condizione di montaggio non ridondante (montaggio isostatico). Assumiamo, in un primo
tempo, che lalbero sia montato prima sui cuscinetti estremi B e D in coerenza con la scelta
del sistema principale rappresentato in gura 25.29.
800
25.5. ERRORI DI MONTAGGIO, FORZAMENTI E TOLLERANZE GEOMETRICHE
D B C
Figura 25.29: Sistema principale che prevede il preliminare montaggio
dellalbero sui cuscinetti di estremit`a e successivamente del cuscinetto centrale
Rispetto a questa congurazione, lerrore di montaggio (in intensit`a e verso), `e rap-
presentato dalla distanza del centro del cuscinetto intermedio C dallasse indeformato del-
lalbero e quindi proprio: = 0.75 mm (gura 25.30).
`
E necessario sottolineare che tale
quantit`a deve essere nota (in intensit`a e verso) se si vogliono considerarne gli eetti.
C
D B

Figura 25.30: Schema dellerrore di montaggio


Il sistema principale adottato impone in modo naturale come iperstatica la reazione vin-
colare del cuscinetto che viene collegato per ultimo e che, a causa dellerrore di montaggio,
determina la condizione di forzamento iniziale dellalbero. Scegliamo il verso dellincognita
iperstatica come indicato nella gura 25.31.
D B
C
1
3l 2l
Figura 25.31: Carico esploratore unitario per la soluzione iperstatica
Scriviamo la consueta relazione di congruenza di M uller-Breslau:

1
=
1P
+X
1

11
Il signicato dei vari `e il seguente: spostamento verticale (verso il basso) del punto C
rispetto alla condizione in cui lalbero `e montato sui cuscinetti B e D, rispettivamente:

11
abbassamento di C quando `e applicata la sola reazione iperstatica unitaria (il
lettore verichi che vale
12
5
l
3
EJ
x
)

1P
abbassamento di C quando `e applicato il carico, nel caso specico tale valore `e
nullo perche non vi sono carichi applicati

1
abbassamento di C quando lalbero si trova nella condizione di montaggio eettiva,
quindi `e uguale a = +0.75 mm.
801
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
La relazione di congruenza si scrive quindi come:
= X
1

12
5
l
3
EJ
x
dalla quale si ricava la reazione vincolare iperstatica a montaggio eettuato.
X
1
=
5
12
EJ
x
l
3
= 1.69 kN
Nella gura 25.32 `e rappresentato lo schema di corpo libero a montaggio eettato e i
diagrammi delle caratteristiche prodotti dal solo errore di montaggio.
D B
C
0.183kNm
x
M
D B
C
y
T
D B
C
1.693kN
1.016kN 0.677kN
1.016kN
0.677kN
Figura 25.32: Soluzione e caratteristiche di sollecitazione per lalbero appena
dopo il montaggio
Il momento ettente `e dato dallespressione:
M
x
(s) =
EJ
x
l
3

_
s
6
s < 3l
ls
4
s > 3l
Si pu`o vericare che nella sezione critica la tensione dovuta al momento ettente arriva al
valore:

zz
= 119 MPa
Nota la reazione iperstatica, `e possibile valutare ogni grandezza tensionale e deformativa
dellalbero. In particolare potrebbe essere interessante valutare le inclinazioni relative degli
anelli interni ed esterni dei cuscinetti, supponendo che gli anelli esterni di tutti i cuscinetti
siano su una sede coassiale con la retta BD. Il problema si riduce alla determinazione del-
linclinazione dellalbero a montaggio eettuato usando tre integrali di Mohr. Per esempio,
linclinazione dellalbero in D `e ottenibile con lo schema di gura 25.33.
802
25.5. ERRORI DI MONTAGGIO, FORZAMENTI E TOLLERANZE GEOMETRICHE
D B
D B
5
xu
s
M
l
=
1
1
Figura 25.33: Determinazione dellinclinazione dellalbero in corrispondenza
del cuscinetto D
da cui si ricava:

D
=
5l
_
0
M
x
(s) M
xu
(s)
EJ
x
ds =
2
3

l
_
= 5.56 10
3
= 0.32

_
Per gli altri cuscinetti, usando lo stesso verso per il relativo momento esploratore, si
ottiene:

B
=
7
12

l
_
= 4.86 10
3
= 0.28

C
=
1
6

l
_
= 1.39 10
3
= 0.08

_
Il seguente esempio chiarisce il motivo per cui `e necessario porre attenzione alla denizione
dellerrore e della procedura di montaggio.
Esempio 25.8: Modica della sequenza di montaggio
Con riferimento allesempio precedente, considerare la possibilit`a di eettuare il montaggio
prima dei cuscinetti B e C e successvamente di forzare lasse dellalbero a passare per il
centro di D.
Dato il principio di sovrapposizione `e evidente che la sollecitazione prodotta nellalbero
sar`a la stessa. Tuttavia per evitare di incorrere in errori di interpretazione `e importante
seguire il ragionamento. Il montaggio preliminare (non ridondante) sui cuscinetti B e C
implica che il sistema principale adottato nellanalisi `e quello mostrato in gura 25.34.
D B
C
3l 2l
Figura 25.34: Schema di montaggio che prevede di ssare per ultimo il
cuscinetto in D
803
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
Questa scelta impone una rivalutazione dellerrore di montaggio che ora, essendo relati-
vo al cuscinetto D, diventa uno spostamento verso lalto da imporre allestremo dellalbero
pari a:

D
=
5
3
= 1.25 mm
Adottando la reazione iperstatica come nello schema di gura 25.35, lequazione di
M uller-Breslau diventa:
D B
C
3l 2l
1
Figura 25.35: Sistema principale con reazione iperstatica unitaria

D
= X
1

11
con

11
=
20
3
EJ
x
l
3
Risolvendo si ottiene:
X
1
=
1
4
EJ
x
l
3
= 1.016 kN
Si verica quindi che, come previsto, lo schema di corpo libero dellalbero `e lo stesso del caso
precedente. Tuttavia, se si calcolano le grandezze deformative (per esempio, come prima,
le inclinazioni dellalbero in corrispondenza dei cuscinetti) si trovano valori diversi. Con
lattuale sistema principale, la condizione geometrica di riferimento `e costituita dallalbero
montato su B e C e non, come nel caso precedente, su B e D. Da ci`o consegue che
le inclinazioni ottenute con lattuale schema dieriscono tutte di una stessa quantit`a da
quelle precedentemente calcolate (la dierenza `e proprio langolo

CBD, `e lasciato al lettore
il compito di vericarlo).
Esercizio 25.8: Giunti tra alberi di trasmissione coassiali
Due alberi di trasmissione di acciaio (con diametri
1
= 25 mm,
2
= 20 mm e lunghezze
denite da l = 250 mm) devono essere collegati tramite un giunto. Gli alberi sono
supportati in modo indipendente per cui, come mostrato in gura 25.36, sono deniti i
relativi assi prima di collegare il giunto. Si osserva che gli assi sono paralleli ma disassati
di = 0.25 mm. Si confrontino le seguenti soluzioni costruttive:
a) un giunto che impone agli estremi degli alberi di avere la stessa posizione ma non vincola
linclinazione relativa delle sezioni C e D;
b) un giunto rigido con il quale le sezioni di estremit`a degli alberi sono rese completamente
solidali.
804
25.5. ERRORI DI MONTAGGIO, FORZAMENTI E TOLLERANZE GEOMETRICHE
D
B
C
H
EJ
x1
EJ
x2
l l l

Figura 25.36: Alberi coassiali ma disassati


Suggerimenti. A montaggio eettuato, per il problema piano nel primo caso si stabilir`a
una cerniera interna che connette i punti C e D, mentre nel secondo caso il giunto realizza
un vincolo interno di incastro. Dato che non vi sono forzamenti o carichi nella direzione
dellasse, la prima soluzione determina un problema una volta iperstatico la seconda due
volte. In questo caso sembra naturale partire dalla condizione di alberi montati senza
giunto e quindi `e possibile adottare iperstatiche interne come negli schemi seguenti.
Per il caso a) , il sistema principale con le iperstatiche unitarie `e mostrato nella gura
25.37
D
B
C
H
1
1
Figura 25.37: Schema di montaggio con la reazione iperstatica nel caso di
giunto che impone solo la collimazione degli assi
in cui la congruenza `e denita (signicato dei ) dallavvicinamento relativo dei punti C
e D rispetto alla condizione di giunto smontato. Lequazione di M uller-Breslau si scrive
quindi come:
= X
1

11
Nel caso b), come illustrato nello schema di gura 25.38, `e necessario introdurre anche
lazione mutua di momento, richiesta per ripristinare la congruenza angolare.
D
B
C
H
1
1
D
B
C
H
1
1
X
1
X
2
Figura 25.38: Schema di montaggio con la reazione iperstatica nel caso di
giunto rigido che impone la congruenza completa delle sezioni degli alberi
Il signicato dei
1
`e lo stesso del caso precedente, mentre i
2
rappresentano la rotazione
relativa delle sezioni che si aacciano al giunto. Dato che le sezioni prima del forzamento so-
805
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
no parallele e tali devono rimanere anche dopo il montaggio, le due equazioni di congruenza
diventano:
= X
1

11
+X
2

12
0 = X
1

21
+X
2

22
Gli esempi nora considerati si riferiscono allesame degli eetti prodotti dal solo forzamento
(o errore di montaggio). In generale, la struttura `e soggetta anche a carichi esterni oltre agli
eventuali forzamenti o errori di montaggio, come nel caso seguente.
Esempio 25.9: Barra con spostamento imposto
Una barra di acciaio, avente sezione b h = 15 mm 4 mm e lunghezza 2l = 800 mm
incastrata in B, `e inizialmente appoggiata su un piano orizzontale liscio. Successivamente,
come illustrato in gura 25.39, viene introdotto sotto la barra un perno rigido di diametro
= 3.5 mm e fatto scivolare no alla sezione di mezzeria D. Determinare il diagramma
del momento ettente e lo spostamento verticale dellestremo C.
B C
B
C*
l l
D*
h
Figura 25.39: Barra essibile con un perno inserito
Come mostra la gura 25.39, la barra allinizio `e completamente scarica (nel senso
delle caratteristche di sollecitazione) perche il peso proprio (che in questo caso, date le
dimensioni, produce eetti deformativi non trascurabili) `e, concio per concio, equilibrato
dallappoggio sul piano. Dopo linserimento del perno, tuttavia, la barra si stacca dal piano
e la reazione dellappoggio continuo si annulla, per cui il peso proprio esercita il suo eetto
anche sulla posizione di C. Consideriamo lo schema di congruenza mostrato in gura 25.40.
B
C
p
B
C
1
+ X
1
Figura 25.40: Impostazione della soluzione iperstatica
Nel seguito indichiamo: E = 206 GPa, J
x
=
bh
3
12
= 80 mm
4
, p = gbh =
806
25.5. ERRORI DI MONTAGGIO, FORZAMENTI E TOLLERANZE GEOMETRICHE
4.591 10
3
Nmm
1
. I momenti di interesse sono:
M
xP
(s) =
1
2
p (2l s)
2
M
x1
(s) =
_
l s s < l
0 s > l
e lequazione di M uller-Breslau:

1
=
1P
+X
1

11
con:

1
= = 3.5 mm

1P
=
2l
_
0
M
xP
(s) M
x1
(s)
EJ
x
=
17
24
pl
4
EJ
x
= 5.05 mm

11
=
l
3
3EJ
x
= 1.294 mm
da cui si ricava la relazione vincolare iperstatica:
X
1
=
24EJ
x
+ 17pl
4
8l
3
= 6.61 N
e quindi le caratteristiche di sollecitazione denitive:
M
x
(s) = M
xP
(s) +X
1
M
x1
(s) =
_
1
2
p (2l s)
2
+X
1
(l s) s l
1
2
p (2l s)
2
s > l
il cui graco `e riprodotto nella gura 25.41.
B
C
x
M
0.367Nm
1.173Nm
D
Figura 25.41: Momento ettente nale
Per valutare linnalzamento del punto C introduciamo un carico esploratore unitario
(diretto verso lalto) in modo da ottenere il seguente momento unitario:
M
xu
(s) = 2l s
da cui:

C
=
2l
_
0
M
x
(s) M
xu
(s)
EJ
x
ds =
5
2

11
48
pl
4
EJ
x
= 7.12 mm
807
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
Lesempio precedente mostra che, in presenza di forzamento e di carico, la relazione di
M uller-Breslau (per un problema una volta iperstatico) assume una forma generale in cui tutti
i contributi sono signicativi. La reazione vincolare iperstatica `e data da:
X
1
=

1

1P

11
in cui il denominatore `e certamente positivo mentre il numeratore pu`o essere positivo negativo
o anche nullo. Si pu`o osservare che, in relazione ai segni dei due spostamenti che formano
il numeratore, il primo connesso con lerrore di montaggio (o il forzamento) e il secondo con
la distorsione indotta dal carico, il modulo della reazione vincolare iperstatica pu`o aumentare
o diminuire. In termini sici, lerrore di montaggio pu`o produrre un aumento ma anche una
riduzione della reazione vincolare iperstatica e analoghi eetti (anche se non sempre dello stesso
segno) sono prodotti su tutte le altre grandezze tensionali e deformative del problema. Questa
considerazione giustica la cura che deve essere dedicata alla valutazione dei segni e dei versi
delle varie quantit`a.
Esercizio 25.9: Approfondimento dellesempio precedente (*)
Con riferimento al problema precedente, trascurando lattrito tra il perno e barra e il piano
di appoggio:
a) calcolare la forza orizzontale che deve essere applicata al perno per mantenerlo in
posizione
b) valutare il lavoro che deve fare la forza applicata al perno per farlo avanzare dalla
posizione C alla posizione D in modo quasi statico
Lesempio seguente discute un classico problema di forzamento.
Esempio 25.10: Bullone precaricato
Come mostrato in gura 25.42, un bullone di acciaio M12 1 `e avvitato su un manicotto
coassiale di lega leggera (E
2
= 76 GPa) con diametro esterno
e
= 24 mm, diametro
interno
i
= 16 mm e lunghezza l = 200 mm. Stimare la forza di serraggio in funzione del
numero di giri che si imprimono al dado rispetto alla vite dopo che sia stato recuperato il
gioco assiale.
l
e

C B
Figura 25.42: Bullone forzato su un mozzo tubolare
Se fosse libero, il dado avanzerebbe assialmente a ogni giro di un passo p = 1(mm), per
cui con n giri il forzamento assiale `e:
= n p
808
25.5. ERRORI DI MONTAGGIO, FORZAMENTI E TOLLERANZE GEOMETRICHE
tale grandezza rappresenta di quanto la parte attiva (in trazione) della vite sarebbe pi` u
corta del manicotto cilindrico se lavvitamento del dado fosse eseguito con i due corpi sepa-
rati. Lo schema di congruenza in gura 25.43 denisce liperstatica interna (il forzamento
da recuperare `e stato amplicato nel disegno):

1 1
b
C
m
C
B
Figura 25.43: Schema concettuale per il forzamento
I vari rappresentano lavvicinamento tra gli estremi del bullone C
b
e del manicotto C
m
.
A montaggio eseguito C
b
e C
m
devono coincidere per cui si ha:
= X
1

11
In questo problema sono signicative le sole rigidezze assiali. Indicate con il pedice b le
grandezze dello stelo del bullone e con m quelle del manicotto, abbiamo:

11
=
l
E
b
A
b
+
l
E
m
A
m
da cui si ottiene:
X
1
=
p
l
E
b
A
b
+
l
E
m
A
m
n = 52.5nkN
Si realizzano pertatno 52.5 kN di preserraggio assiale per ogni giro del dado.
Nota. Il risultato mostra lelevata intensit`a delle forze che si producono nel caso di
forzamenti che coinvolgono la rigidezza assiale.
In molti problemi iperstatici non si ha un errore di montaggio o un forzamento controllato
ma eetti simili sono prodotti dalla non perfetta realizzazione dei vincoli o della geometria della
struttura. In genere sono fornite relative tolleranze di forma o di montaggio che deniscono
non tanto una posizione controllata degli elementi quanto intervalli di ammissibilit`a. In teoria
quindi `e necessario eettuare le veriche strutturali assumendo che la quantit`a tollerata assuma
tutti i valori compresi nel campo di tolleranza. In pratica, considerata la linearit`a del problema,
`e generalmente suciente esaminare il comportamento della struttura in corrispondenza dei
valori estremi del campo di tolleranza, come nel seguente esempio.
Esempio 25.11: Albero su tre supporti
Lalbero di trasmissione di acciaio in gura 25.44 ( = 30 mm, l = 250 mm,

am
= 200 MPa) `e calettato su tre supporti con cuscinetti orientabili. La planarit`a
della supercie su cui i supporti sono ssati non `e molto accurata per cui il centro
del supporto C si trova entro un intervallo di 0.5 mm rispetto allasse dei centri BD.
Oltre a trasmettere un momento torcente pari a M
0
= 0.1 kNm lalbero `e sottoposto in
corrispondenza dellestremo D anche a un carico di momento M
0
(diretto come lasse x).
Determinare le forze che labero pu`o trasmettere ai cuscinetti e vericare lalbero.
809
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
C
l l
D
B
0
M
0
M

z
y
Figura 25.44: Montaggio iperstatico con tolleranza di posizione
Il sistema principale e la reazione iperstatica sono illustrate nello schema di gura 25.45
dal quale si ricava:
C D B
1
Figura 25.45: Sistema principale

1P
= 0.191

11
= 3.179 10
4
Consideriamo i casi estremi del campo di tolleranza.
a) Il supporto C `e nella posizione pi` u elevata:

1
= +0.5
da cui si ottiene:
X
1
= +2.173 kN
e quindi lo schema di corpo libero e diagramma della essione riportati in gura 25.46.
C D B
0.1kNm
2.173kN
1.286kN
0.886kN
0.222kNm
0.1kNm
x
M
C
D B
1
0.5mm = +
Figura 25.46: Schema della deformata e delle sollecitazioni a montaggio
eseguito nellipotesi di disallineamento di un certo segno
810
25.6. ESEMPI DI STRUTTURE IPERSTATICHE
b) Il supporto C `e nella posizione pi` u bassa:

1
= 0.5
da cui si ottiene:
X
1
= 0.973 kN
e lo schema della gura 25.47
C
D B
0.1kNm
0.973kN
0.286kN 0.686kN
0.171kNm
0.1kNm
x
M
C D B
1
0.5mm =
Figura 25.47: Schema della deformata e delle sollecitazioni a montaggio
eseguito nellipotesi di disallineamento di segno opposto
La condizione pi` u gravosa, in questo esempio sia per i cuscinetti sia per lalbero, si
verica quindi nel caso a). Eettivamente, un posizionamento del cuscinetto C con il
centro che si trova sotto la congiungente degli estremi `e concorde con la freccia che il carico
produrrebbe nel punto C se lalbero fosse sostenuto solo dai supporti estremi. Il coeciente
di sicurezza vale quindi (non si dimentichi il contributo del momento torcente!):
= 2.1
Nota. Ripetere lesercizio con un intervallo di tolleranza di 0.2 mm e determinare di
quanto possa essere aumentato il carico M
0
per ottenere lo stesso coeciente di sicurezza.
25.6 Esempi di strutture iperstatiche
Talvolta una parte di struttura `e molto rigida per cui il suo contributo diretto allenergia
(e quindi agli spostamenti) pu`o essere trascurato. I coecienti dellequazione di M uller-Bresalu
possono allora ottenersi integrando i termini di Mohr solo sulle parti deformabili della struttura.
Esempio 25.12: Manicotto di elavata rigidezza
Come illustrato nella gura 25.48, un cilindro di materiale polimerico (E = 3.0 GPa,

am
= 25 MPa, = 10 mm, l = 250 mm) `e incastrato in B. Dopo aver inserito il manicotto
811
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
di acciaio CD con gioco radiale trascurabile, la sezione estrema D viene appoggiata al
telaio senza errori e nel centro del manicotto `e applicata una forza trasversale F.
Determinare il massimo valore di F compatibile con la resistenza del cilindro e, in
corrispondenza di tale valore, calcolare linclinazione in gradi del manicotto rispetto alla
retta BD.
C
l l
D
B
F

2
Figura 25.48: Elemento di rinforzo molto pi` u rigido
La presenza del manicotto metallico rende di fatto indeformabile la parte CD della
struttura, dato che, come `e facile vericare, la rigidezza della sezione del manicotto `e circa
1000 volte superiore a quella della barra. Pertanto, il contributo degli integrali di Mohr `e
signicativo solo per la parte BC del dominio. Usiamo lo schema della gura 25.49.
D B
x
EJ
x
EJ =
1
C
Figura 25.49: Sistema principale e schema di soluzione
M
xP
(s) =
_
F
_
3
2
l s
_
s <
3
2
l
0 s >
3
2
l
M
x1
(s) = 2l s
da cui i coecienti dellequazione di congruenza:

1P
=
_
l
0
M
xP
(s) M
x1
(s)
EJ
x
ds =
19
12
Fl
3
EJ
x

11
=
_
l
0
[M
x1
(s)]
2
EJ
x
ds =
7
3
l
3
EJ
x
che risolta fornisce:
X
1
=
19
28
F
e quindi il seguente momento ettente denitivo:
M
xP
(s) =
_
F
_
3
2
l s
_

19
28
F (2l s) s <
3
2
l

19
28
F (2l s) s >
3
2
l
Le sezioni potenzialmente critiche sono B e C

i cui momenti ettenti sono:


M
xP
(0) =
1
7
Fl; M
xP
(l) =
5
28
Fl
812
25.6. ESEMPI DI STRUTTURE IPERSTATICHE
La sezione critica `e quindi la C

e la massima forza applicabile vale:


F
max
= 55.0 N
Per determinare linclinazione del manicotto `e suciente applicare (ovviamente nel sistema
principale) a qualunque punto del manicotto un carico esploratore unitario di momento
(per esempio equiverso con lasse x). In tal modo si ottiene la seguente espressione:
=
_
l
0
M
x
(s) 1
EJ
x
ds =
1
56
F
max
l
2
EJ
x
= 2.39

Nota: la verica di resistenza pu`o essere eseguita solo alla ne dalla soluzione del problema
iperstatico. Nellesempio il carico F `e stato lasciato espresso e il risultato ottenuto in
forma analitica. In casi pi` u complicati pu`o essere opportuno procedere per via numerica
nellesecuzione degli integrali per cui `e necessario ssare un valore del carico (generalmente
unitario) per poter ottenere il risultato. In assenza di errori di montaggio, considerata la
linearit`a, il risultato (reazioni vincolari, caratteristiche, tensioni, ecc. . . ) risulter`a peraltro
proporzionale allintensit`a del carico.
Esercizio 25.10: Manicotto rigido scaricato
Ripetere lesercizio precedente nellipotesi che, come illustrato nella gura 25.50, il ma-
nicotto di acciaio sia scaricato nella parte centrale in modo da essere in contatto con il
cilindro di materiale polimerico solo in corrispondenza delle sezioni di estremit`a.
C
l l
D
B
F
Figura 25.50: Manicotto rigido scaricato
In varie circostanze anche i vincoli possono avere una deformabilit`a signicativa. Nel
seguente esempio `e illustrato il caso di appoggi elastici.
Esempio 25.13: Appoggi elastici
Una barretta BD di acciaio di lunghezza 2l = 320 mm) con sezione rettangolare (b = 18 mm
e h = 3 mm) `e incernierata in B e appoggiata a due molle aventi rigidezze k
C
= 30 N/mm
e k
D
= 15 N/mm, come mostrato in gura 25.51. Determinare labbassamento dei punti C
e D quando agisce la forza F = 150 N.
813
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
C
l l
D
F
C
k
D
k
B
h
Figura 25.51: Trave iperstatica su appoggi deformabili
Risolviamo il problema una volta iperstatico usando il sistema principale e liperstatica
che sono riportati in gura 25.52.
C
D
C
k
D
k
B
1
Figura 25.52: Soluzione con iperstatica esterna
In questo caso, oltre alla deformabilit`a essionale della barretta sono importanti le
deformabilit`a delle molle. Bisogna quindi considerare i termini di Mohr relativi anche a tali
elementi. Una molla, nel suo complesso, pu`o essere considerata come un elemento trave (di
elevata deformabilit`a) sottoposta a forza normale per cui i relativi termini di Mohr sono
del tipo:
_
l
m
0
N
P
N
1
EA
m
ds
dove N
P
e N
1
sono le forze normali agenti sulla molla rispettivamente prodotte dal carico
e dalla reazione iperstatica unitaria, e l
m
e EA
m
la lunghezza assiale e la rigidezza assiale
della trave equivalente. Si ha quindi:
_
l
m
0
N
P
N
1
EA
m
ds = N
P
N
1
l
m
EA
m
=
N
P
N
1
k
in cui `e stata introdotta la rigidezza complessiva della molla: k =
EA
m
l
m
.
Nel caso in esame:

1P
=
_
2l
0
M
xP
(s) M
x1
(s)
EJ
x
ds+
_
l
mC
0
N
PC
N
1C
EA
C
ds =
2
3
FL
3
EJ
x
+ 4
F
k
C

11
=
_
2l
0
[M
x1
(s)]
2
EJ
x
ds+
_
l
mC
0
N
2
1C
EA
C
ds +
_
l
mD
0
1
2
EA
D
ds =
2
3
L
3
EJ
x
+
4
k
C
+
1
k
D
in cui si distinguono i contributi allabbassamento dellestremo svincolato della molla D nel
sistema principale prodotti dalla deformabilit`a della trave e quelli dei supporti (si osservi
che la molla in D non ha eetto sullabbassamento dovuto al solo carico). Si ricava la
reazione vincolare iperstatica:
X
1
= F
2
3
L
3
EJ
x
+
4
k
C
2
3
L
3
EJ
x
+
4
k
C
+
1
k
D
= 114.9 N
814
25.6. ESEMPI DI STRUTTURE IPERSTATICHE
Le molle risultano entrambe compresse rispettivamente con forze normali:
N
D
= X
1
= 114.9 N e N
C
= 2 (F +X
1
) = 70.2 N
Ricaviamo quindi gli spostamenti richiesti:
v
C
=
N
C
k
C
= 1.26 mm e v
D
=
N
D
k
D
= 8.74 mm
Nellesempio seguente viene considerato un caso in cui i vincoli possono essere unilateri.
Esempio 25.14: Tubo strallato
Come mostrato in gura 25.53, un tubo di acciaio di diametro esterno = 50 mm, spessore
t = 3 mm e lunghezza 2l = 2400 mm `e incernierato in B e vincolato tramite due cavi
(chiamati stralli) di acciaio aventi sezione equivalente A
C
= 5 mm
2
. Sullo strallo GD `e
collocato un tenditore con letti di passo p = 0.75 mm. Rispetto alla condizione in cui
sono stati recuperati i giochi, il tenditore `e ruotato di 2.5 giri e successivamente il tubo `e
sollecitato dalla forza F = 0.7 kN. Determinare lo spostamento del punto D sotto carico.
l
l
l
F
l
x
EJ
C
EA
C
D
B G H
Figura 25.53: Elemento strallato
Nella gura 25.54 `e mostrato il dettaglio costruttiva del tenditore (o tiracavi). Le
estremit`a hanno letti con eliche opposte (una destrorsa e laltra sinistrorsa) in modo che,
impedita la rotazione delle viti, per ogni giro dellelemento centrale gli estremi si avvicinano
(o si allontanano) di 2p.
Figura 25.54: Tiracavi
Per il problema una volta iperstatico pu`o essere usato il sistema principale di gura
25.55.
815
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
C
D
B
G
H
1
1
s
2
s
3
s
y
z
Figura 25.55: Schema di soluzione con iperstatica esterna
Considerando la rigidezza delle varie parti, sono signicative per il problema:
la deformabilit`a essionale del tubo BCD,
la deformabilit`a assiale degli stralli GC e CH.
A rigore, la parte CB del tubo `e soggetta anche a forza normale, tuttavia la rigidezza
assiale del tubo `e 88 volte maggiore di quelle dei cavi. Le caratteristiche di sollecitazione
signicative per il calcolo dei coecienti di M uller-Breslau sono dati dai diagrammi di
gura 25.56.
C
D
B
G
H
xP
M
C
D
B
G
H
P
N
Fl
2 2F 2F +
Figura 25.56: Caratteristiche di sollecitazione rilevanti per la soluzione
M
xP
(s
3
) =
_
Fs
3
s
3
l
F (2l s
3
) s
3
> l
N
P
(s
2
) = 2

2F
Osserviamo che il cavo CH risulterebbe compresso, tuttavia `e necessario vericare
che i cavi siano in trazione nella condizione nale, nella quale leetto del tenditore
`e presumibilmente determinante. Nel corso della soluzione, quindi, i cavi devono essere
816
25.6. ESEMPI DI STRUTTURE IPERSTATICHE
trattati come comuni aste in grado di esercitare forze normali di trazione ma anche di
compressione.
Leetto della forza unitaria produce solo forze normali indicate nella gura 25.57.
C
D
B
G
H
1u
N
1 + 1 +
2
Figura 25.57: Caratteristiche di sollecitazione normali
N
1u
(s
3
) =
_
2 s
3
l
0 s
3
> l
N
1u
(s
1
) = N
1u
(s
2
) = 1
Trascurando il contributo della deformabilit`a assiale del tubo, abbiamo:

1
= 2np = 3.75 mm

1P
=
_

2l
0
N
P
(s
2
) N
1u
(s
2
)
EA
C
= 3.26 mm

11
=
_

2l
0
[N
1u
(s
1
)]
2
EA
C
+
_

2l
0
[N
1u
(s
2
)]
2
EA
C
= 3.295 10
3
mm
da cui ricaviamo:
X
1
= 2.13 kN
A questo punto `e necessario vericare che i cavi siano eettivamente in trazione. Nella
condizione nale il cavo GC ha forza normale N
1
= X
1
= 2.13 kN mentre il cavo CH ha
forza normale N
2
= N
P
(s
2
) + X
1
N
1u
(s
2
) = 148 N. Entrambi i cavi sono quindi tesi e il
calcolo eettuato risulta corretto a posteriori.
Per rispondere alla domanda preliminare `e necessario introdurre il carico ausiliario nel
sistema principale come mostrato in gura 25.58.
817
25. TRAVATURE IPERSTATICHE
D
B
G
H
1
Figura 25.58: Carico esploratore per determinare la freccia alla sommit`a
Il carico esploratore unitario produce nel sistema principale le seguenti caratteristiche
signicative:
M
xu
(s
3
) =
M
xP
(s
3
)
F
N
u
(s
2
) =
N
P
(s
2
)
F
lo spostamento richiesto vale quindi:

C
=
_
2l
0
1
F
[M
xP
(s
3
)]
2
EJ
x
ds
3
+
_

2l
0
1
F
[N
P
(s
2
)]
2
EA
C
ds
2
= 31.9 + 9.2 = 41.1 mm
in cui sono stati distinti i contributi dovuti alla deformabilit`a essionale del tubo e alla
deformabilit`a dei cavi.
Nota. Se il precarico fosse stato meno intenso e il cavo CH fosse risultato alla ne com-
presso, lesercizio doveva essere rifatto eliminando tale cavo (il problema sarebbe divenuto
isostatico).
`
E evidente che in tal caso solo un cavo avrebbe irrigidito la struttura e lo
spostamento del punto C sarebbe stato di conseguenza maggiore. Il pretensionamento dei
cavi ha pertanto un eetto irrigidente sulla struttura perche permette a entrambi i cavi di
svolgere la oro funzione strutturale anche se il secondo subisce una riduzione della forza
normale.
818
Capitolo 26
Stabilit`a
Nel funzionamento delle strutture `e normale che i carichi, anche quelli che possono essere
considerati statici, subiscano variazioni nel tempo oppure che intervengano carichi accidentali
non sempre completamente previsti in fase di verica. Leettiva realizzazione della struttu-
ra pu`o inoltre determinare quote che dieriscono, di solito in misura non elevata, dai valori
nominali. Per essere tollerate `e necessario che tali modeste variazioni determinino altrettan-
to modeste modiche dei parametri strutturali signicativi (tensioni massime e spostamenti).
Perche questo accada la condizione di equilibrio della struttura deve essere stabile (stable).
Il capitolo aronta il problema della stabilit`a delle condizioni di equilibrio per una struttura.
Rinunciando a trattare limportante e vasto argomento da punto di vista formale e generale, il
capitolo `e nalizzato allo sviluppo di metodi per valutare le condizioni di stabilit`a di strutture
elastiche. Nella prima parte `e esaminato il caso elementare della stabilit`a di sistemi articolati
rigidi sotto leetto di carichi costanti. Tale studio permette di evidenziare diversi approcci
con cui `e possibile esaminare una condizione di equilibrio per determinarne la caratteristica di
stabilit`a. Successivamente `e considerato leetto di campi di forze non uniformi che permette di
introdurre il concetto fondamentale di carico critico.
Lesame `e quindi esteso a sistemi articolati rigidi con vincoli di tipo elastico con pi` u gradi
di libert`a.
Lultima parte del capitolo esamina i sistemi elastici continui ai quali sono estesi i metodi di
analisi e di previsione sviluppati nei casi discreti.
26.1 Concetti elementari sulla stabilit`a dellequilibrio
Alcune fondamentali considerazioni sulla stabilit`a dellequilibrio nei problemi di statica sono
state anticipate nel capitolo 2. Alla luce di quanto esaminato successivamente possiamo con-
cludere che, per una struttura di corpi rigidi caricata e vincolata in modo isostatico, la statica
fornisce ununica soluzione con spostamenti nulli (problema isostatico del primo tipo). Per que-
sti casi quindi il problema della stabilit`a dellequilibrio non si pone, dato che non `e possibile
che il sistema evolva verso congurazioni diverse da quella di riferimento. La questione `e invece
di interesse nel caso di problemi del secondo tipo nei quali la congurazione di equilibrio `e il
risultato delle valutazioni. In generale per i problemi del secondo tipo:
lequazione risolvente `e non lineare per cui pu`o ammettere pi` u soluzioni
le congurazioni di equilibrio possono essere molteplici e distinte, alcune stabili altre
instabili
le congurazioni di equilibrio dipendono dai carichi, spesso in modo non lineare.
819
26. STABILIT
`
A
Il problema della stabilit`a ella congurazione di equilibrio si pone pertanto quando la strut-
tura pu`o in qualche misura cambiare congurazione sotto carico e la congurazione di equilibrio
`e incognita. Tale situazione si ottiene per i sistemi di corpi rigidi se hanno almeno un grado di
labilit`a (meccanismi), tuttavia se la struttura `e composta di corpi continui deformabili (quindi
ha inniti gradi di libert`a) il problema della stabilit`a `e signicativo anche se il sistema di vin-
coli nel suo complesso determina una condizione di isostaticit`a, o anche di iperstaticit`a, come
ampiamente chiarito nella seconda parte del presente capitolo.
Consideriamo il problema elementare del secondo tipo rappresentato dal pendolo elementare
schematizzato in gura 26.1: un corpo puntiforme di massa m, sotto leetto del solo peso
proprio P = mg, ssato a una barretta rigida di massa trascurabile avente lunghezza l vincolata
al telaio in A tramite una cerniera completa ideale. Consideriamo il problema dal punto di vista
statico allo scopo di determinare le congurazioni di equilibrio. Si tratta di un problema piano
del secondo tipo e la struttura ha un grado di labilit`a parametrizzabile usando come lagrangiana
per esempio la coordinata angolare .
P mg =

A
m
g
y
x
z
Figura 26.1: Pendolo elementare
Le due congurazioni di equilibrio sicamente distinte: = 0 e = (dal punto di vista
matematico ve ne sono innite se si considerano i multipli degli angoli giri) sono rappresentate
in gura 26.2. La seconda cardinale impone che lequilibrio si ottiene solo se la retta dazione
della forza peso passa per A.
a) b)
P
P
Figura 26.2: Pendolo elementare in equilibrio: a) congurazione stabile e b)
congurazione instabile
In entrambe le congurazioni le equazioni cardinali risultano soddisfatte e gli schemi di
corpo libero sono autoequilibrati.
`
E interessante porsi la seguente domanda: cosa succede se
820
26.1. CONCETTI ELEMENTARI SULLA STABILIT
`
A DELLEQUILIBRIO
la congurazione di equilibrio viene debolmente modicata e successivamente il sistema ritorna
sotto leetto del solo peso proprio? Non `e importante, almeno per ora, denire la causa di tale
perturbazione che pu`o essere per esempio: un leggero carico laterale, un piccolo cedimento, una
vibrazione del telaio, ecc..
Levidenza mostra che, una piccola perturbazione prodotta a partire da una condizione di
equilibrio stabile innesca un fenomeno oscillatorio, smorzato dagli inevitabili eetti dissipativi,
i quali alla ne riportano il pendolo nella condizione di equilibrio stabile. Se invece si perturba
una condizione di equilibrio instabile, il sistema, appena lasciato a se stesso, tende ad allonta-
narsi dalla condizione di equilibrio. Non `e escluso che alla ne del transitorio dinamico anche
in questo caso il moto si esaurisca e che il sistema raggiunga una congurazione di equilibrio.
Si tratta per`o di una congurazione distinta dal quella iniziale e generalmente molto distante
da quella (nel caso in esame il pendolo in eetti si trover`a alla ne nella congurazione con
= 0). Tale comportamento non `e in genere tollerato nella verica strutturale dato che quasi
sicuramente il funzionamento della struttura sar`a nel frattempo compromesso. Possiamo quindi
fornire una prima denizione di stabilit`a/instabilit`a dellequilibrio:
un sistema che viene spostato leggermente da una condizione di equilibrio e successi-
vamente lasciato a se stesso (con la cessazione dellazione perturbante) se lequilibrio
`e stabile mostra la tendenza a oscillare occupando congurazioni vicine alla con-
gurazione iniziale per poi arrestarsi nei pressi della congurazione di equilibrio, se
lequilibrio `e instabile il moto iniziale del sistema `e invece di allontanamento, anche
se alla ne il moto si arresta il sistema assume una congurazione signicativamente
diversa da quella iniziale.
`
E importante sottolineare che la stessa denizione di stabilit`a impone di considerare il
comportamento del sistema in una congurazione diversa, anche se di poco, da quella di
equilibrio e questa circostanza `e comune a tutti i metodi di analisi che saranno esaminati
nel capitolo. Consideriamo varie denizioni di stabilit`a che saranno usate nel seguito come
strumenti per lanalisi della stabilit`a dellequilibrio anche in casi molto pi` u complessi.
26.1.1 Denizione I: eetto della variazione di congurazione di equilibrio
Un modo per esaminare la stabilit`a di una congurazione di equilibrio consiste nel variare
la congurazione tramite una distorsione, generalmente piccola ma sempre compatibile con i
vincoli, ed esaminare come il sistema evolve sotto leetto dei soli carichi. Quando il sistema
viene spostato dalla congurazione di equilibrio, i moduli e le direzioni dei carichi agenti possono
o meno modicarsi tuttavia, in generale, cambiano i loro punti di applicazione. Per esempio,
nel caso del pendolo semplice, dopo lo scostamento il carico rimane inalterato ma la sua retta
dazione non passa pi` u per il centro della cerniera e quindi produce un momento non nullo
M rispetto a tale polo. Nel caso di una variazione di congurazione prodotta a partire dalla
condizione di equilibrio stabile, il momento M agisce nel verso opposto allangolo di rotazione
indotto nel pendolo e quindi tende a riportare il pendolo nella condizione di equilibrio. In
questo caso il carico produce unazione di contrasto alla perturbazione. Assunto positivo il
verso dellasse z per momenti e rotazioni, di ha:
M = Pl sin
Per perturbazioni angolari di piccola entit`a la componente del momento si pu`o approssimare
come:
M = Pl
821
26. STABILIT
`
A
e quando il sistema `e lasciato libero, la legge di moto `e espressa dalla relazione:
M = I
d
2

dt
2
in cui I = ml
2
`e il momento dinerzia di massa del pendolo rispetto al fulcro A. Per piccoli
perturbazioni il moto `e pertanto descritto dallequazione dierenziale:
mgl = ml
2
d
2

dt
2
dalla quale si ottiene la nota equazione armonica del pendolo semplice:
d
2

dt
2
+
2
= 0
dove =
_
g
l
`e la pulsazione propria del pendolo. Se langolo iniziale del pendolo `e
0
, la legge
completa del moto, in assenza di eetti dissipativi, `e quindi:
=
0
cos (t)
la quale dimostra che il pendolo non si allontana angolarmente dalla posizione di equilibrio pi` u
del valore iniziale.
Consideriamo il pendolo nella congurazione instabile, il momento `e in questo caso equiverso
allangolo di perturbazione pertanto, sempre per piccoli angoli, vale la relazione:
mgl = ml
2
d
2

dt
2
la cui soluzione `e esponenziale:
=
0
e
t
Pertanto come previsto, linizio del moto `e caratterizzato da un allontanamento indenito dalla
posizione di equilibrio instabile.
26.1.2 Denizione II: eetto di un carico secondario
Esaminiamo leetto prodotto da un debole carico secondario che tende a modicare la
posizione di equilibrio stabile come mostrato nella gura 26.3.
a) b)
P
F
P

Figura 26.3: Pendolo elementare in equilibrio stabile: a) eetto del solo peso
proprio e b) eetto combinato del peso e di un debole carico laterale.
In questo problema del secondo tipo `e necessario determinare la congurazione di equilibrio
quando oltre al peso agisce anche la forza orizzontale:
Fl cos Pl sin = 0
822
26.1. CONCETTI ELEMENTARI SULLA STABILIT
`
A DELLEQUILIBRIO
Limitando la ricerca dellequilibrio allintervallo 0 , si ottiene lunica soluzione:
= arctan
_
F
P
_
Osserviamo che se, come previsto, la forza perturbante `e di modesta entit`a (ovvero F P):


=
F
P
1 ovvero la congurazione di equilibrio perturbata `e vicina alla condizione di
partenza
la perturbazione `e tanto pi` u modesta quanto inferiore `e lintensit`a relativa dellazione
perturbante
anche la nuova congurazione di equilibrio `e stabile.
Consideriamo, come in gura 26.4, la medesima forza perturbante applicata a un pendolo
in condizione di equilibrio instabile.
a) b)
P
F
P

Figura 26.4: Pendolo elementare in equilibrio instabile: a) eetto del solo


peso proprio e b) eetto combinato del peso e di un piccolo carico laterale.
Anche in questo caso cerchiamo la soluzione nellintervallo: 0 che, come mostra la
gura 26.4b) vale:
= arctan
_
F
P
_
Osserviamo pertanto che in questo caso:
anche se
F
P
1, la posizione di equilibrio `e molto distante da quella di origine (nel caso
specico `e tanto pi` u lontana quanto pi` u F `e piccola)
la posizione di equilibrio trovata `e stabile.
Concludiamo quindi che un piccolo carico applicato in modo da modicare la condizione di
equilibrio, esaurito un eventuale transitorio dinamico, produce una variazione geometrica mo-
desta nel caso in cui il sistema parta da una congurazione stabile. La nuova congurazione,
che `e anchessa stabile, risulta tanto pi` u vicina a quella di partenza quanto pi` u basso `e il carico
perturbante. Si dice in questo caso che gli eetti dipendono con continuit`a dalle perturbazioni
per cui non si commettono errori signicativi trascurando leetto dei carichi secondari.
823
26. STABILIT
`
A
Nel caso si parta da una congurazione di equilibrio instabile, la posizione di equilibrio rag-
giunta sotto leetto dei carichi e della perturbazione `e invece sensibilmente lontana da quella
di partenza e la distanza delle due congurazioni non dipende con continuit`a dalla perturba-
zione. Partendo da una condizione di instabilit`a la posizione di eettivo equilibrio dipende
quindi in modo determinate dallazione di carichi secondari anche di debole intensit`a, situazione
generalmente non tollerabile in fase di progetto.
26.1.3 Denizione III: lavoro fatto dalle forze perturbanti
Consideriamo sempre lesempio illustrato in gura 26.3 e supponiamo che la forza pertur-
bante F sia applicata in modo quasi statico con lo scopo di spostare il pendolo di un piccolo
angolo e alterare in modo modesto la posizione di equilibrio senza signicativi eetti cinetici.
Per calcolare il lavoro fatto dallazione perturbante, che `e chiamato L
Per
, notiamo che forza
e spostamento del suo punto di applicazione sono equiversi. Se consideriamo angoli piccoli,
possiamo assumere la seguente approssimazione per la forza che produce lo spostamento del
sistema di un angolo generico in condizioni quasi-statiche:
F () = P tan

= P
Il lavoro richiesto per produrre uno spostamento (piccolo) di entit`a pari a
0
vale quindi:
L
Per

=

0
_
0
P l d = Pl

2
0
2
ed `e una quantit`a positiva.
Per produrre lo stesso spostamento in condizioni quasi statiche a partire dalla congura
instabile come in gura 26.3, sempre limitandoci a una variazione angolare
0
piccola, la forza
da applicare al pendolo `e opposta allo spostamento e quindi vale:
F () = P tan

= P
Il lavoro fatto dalla forza perturbante `e quindi negativo:
L
Per

=

0
_
0
P l d = Pl

2
0
2
Concludiamo che se vogliamo perturbare un sistema dallequilibrio `e necessario fare un lavoro
positivo se `e in equilibrio stabile, viceversa se lequilibrio `e instabile lazione perturbante fa
lavoro negativo. In termini pratici concludiamo che `e necessario che lazione perturbante sia
sostenuta energeticamente per modicare un equilibrio stabile, mentre nel caso di equilibrio
instabile, una volta che la perturbazione `e innescata lenergia necessaria per produrre la varia-
zione di congurazione `e disponibile dal sistema stesso (tanto che lazione perturbante deve fare
lavoro negativo se non si vuole aumento di energia cinetica).
26.1.4 Denizione IV: bilancio energetico
In molte circostanze i carichi agenti su una struttura `e dato da forze conservative (per
esempio: peso proprio, forze centrifughe, forze elastiche, ecc. . . ) o a queste riconducibili. Come
`e stato chiarito, in questi casi lapproccio energetico alla soluzione dei problemi di meccanica
risulta particolarmente conveniente. Non fanno eccezione le considerazioni relative alla stabilit`a
dellequilibrio.
824
26.1. CONCETTI ELEMENTARI SULLA STABILIT
`
A DELLEQUILIBRIO
Deniamo a tale scopo lenergia potenziale totale (total potential energy) del siste-
ma che indicheremo come (pigreco maiuscolo). In questi casi sappiamo dalla Fisica che la
condizione di equilibrio si verica nei punti in cui la funzione potenziale totale `e stazionaria
(ha il dierenziale nullo). Lapplicazione al caso del pendolo semplice, dove lenergia potenziale
totale `e solo gravitazionale, `e illustrata in gura 26.5.
a) b)


Figura 26.5: Pendolo elementare esaminato con considerazioni energetiche:
a) rispetto a una condizione di equilibrio stabile lo spostamento induce un
aumento di energia potenziale totale del sistema: > 0; b) rispetto a una
condizione di equilibrio instabile lo spostamento riduce lenergia potenziale
totale del sistema: < 0.
Fissando a zero il livello di energia potenziale totale nella condizione di equilibrio si ha, per
il caso stabile:
= mg = mgl (1 cos )
mentre nel caso instabile:
= mg = mgl (1 cos )
Le due energie potenziali sono rappresentate in funzione dellangolo nella gura 26.6.
1 0.5 0 0.5 1

1 0.5 0 0.5 1

a) b)
Figura 26.6: Energia potenziale totale per il pendolo semplice rispetto alla
condizione di equilibrio: a) stabile e b) instabile.
Per alterare una posizione di equilibrio stabile `e quindi necessario aumentare lenergia po-
tenziale totale del sistema. Questo risultato `e coerente con quanto evidenziato nel paragrafo
825
26. STABILIT
`
A
precedente per cui in condizioni di caricamento quasi statico (energia cinetica trascurabile)
leetto perturbante deve fornire un lavoro positivo per perturbare il sistema.
Nel caso di equilibrio instabile lenergia potenziale si riduce quando il sistema `e spostato
dallequilibrio, `e pertanto direttamente disponibile un lavoro che si pu`o trasformare in energia
cinetica e questo spiega la tendenza del sistema ad allontanarsi naturalmente dalla condizione
di equilibrio anche in assenza di altre forze.
Se lequilibrio `e denito da una condizione di stazionariet`a (derivata prima nulla) del po-
tenziale totale, la condizione di stabilit`a `e legata alla concavit`a della funzione potenziale: se nel
punto di equilibrio la funzione `e concava verso lalto e ha derivata seconda non nulla, questa
sar`a necessariamente positiva. Infatti, indicando con =
d
2

d
2

=0
la derivata seconda nel punto
di equilibrio, lenergia potenziale `e localmente approssimabile (a meno di termini di ordine 3 o
superiori) dallespressione:
()

=
1
2

2
per cui la condizione di stabilit`a `e legata al segno del coeciente .
Supponiamo di sostituire il pendolo con unasta rigida avente sempre massa trascurabile
e lunghezza l e sempre incernierata allestremo A ma sullestremo libero sia applicata una
forza esterna equivalente al peso della massa m, ovvero avente modulo pari a mg costante
e costantemente diretta verso il basso.
`
E immediato vericare che schema di corpo libero `e
indistinguibile dal caso precedente per cui anche in questo caso si identicano due condizioni di
equilibrio:
una stabile, in cui lasta `e in trazione
una instabile in cui lasta `e in compressione.
In questo caso lenergia potenziale del sistema (rispetto alla condizione di equilibrio) pu`o essere
calcolata come lopposto del lavoro fatto dalla forza esterna in conseguenza della variazione di
congurazione, infatti:
nel caso stabile: () = (P ) = Pl (1 cos )
nel caso instabile: () = (P ) = Pl (1 cos ).
26.2 Campi di forza non uniformi
Gli esempi discussi nel precedente paragrafo si riferiscono a situazioni in cui lunica forza
agente `e il peso (o una equivalente forza uniforme e costantemente parallela a se stessa) e il
sistema `e composto di parti rigide con vincoli ideali. In tali casi la questione della stabilit`a della
congurazione di equilibrio `e di tipo prettamente geometrico e risulta indipendente dallintensit`a
del carico applicato. Per esempio, un pendolo che ha la massa sotto il fulcro `e in condizione
di equilibrio stabile per qualsiasi valore della massa appesa e, viceversa, il pendolo `e sempre
instabile se la massa `e sopra la cerniera. Quando il sistema `e soggetto a campi di forze non
uniformi `e invece tipico che una condizione di equilibrio possa essere stabile o instabile oltre che
per la congurazione anche per il livello del carico applicato. Questo aspetto `e molto importante
per le considerazioni che seguono e viene presentano in questo paragrafo attraverso lo studio
il comportamento di un pendolo semplice la cui cerniera A `e posta corrispondenza dellasse
verticale di rotazione di una giostra che ruota a velocit`a angolare costante , come mostrato in
gura 26.7. Consideriamo la velocit`a angolare come il parametro del problema.
`
E evidente che il caso di giostra ferma = 0 `e equivalente a quello esaminato nel paragrafo
precedente per cui la congurazione = 0 `e di equilibrio stabile e = instabile. Se la giostra
826
26.2. CAMPI DI FORZA NON UNIFORMI
mg
2
sin m l


l
A
Figura 26.7: Pendolo semplice sullasse di una giostra che ruota a velocit`a
angolare costante
`e in rotazione non si pu`o escludere che la forza centrifuga (attiva nel sistema di riferimento
della giostra) possa determinare altre congurazioni di equilibrio. Cerchiamo tutte le eventuali
congurazioni di equilibrio nel dominio: 0 .
Trattando il problema del secondo tipo con coordinata lagrangiana , la condizione di equi-
librio signicativa si ottiene, come nel caso precedente, per esempio imponendo lannullamento
del momento rispetto al polo A nel sistema di riferimento della giostra:
m
2
l sin l cos mgl sin = 0
La relazione precedente diventa:
sin
_

2
l cos g
_
= 0
Si evidenziano due fattori che possono annullarsi nellintervallo considerato: il primo fattore
fornisce le consuete congurazioni di equilibrio del pendolo che quindi permangono per ogni
valore della velocit`a angolare:
sin = 0
1
= 0 ;
2
= 0
Pi` u interessante `e il secondo fattore:

2
l cos g = 0 cos =
g

2
l
Si ottiene da questo una equazione trigonometrica che pu`o essere discussa gracamente come
in gura 26.8 dove si ricerca lintersezione delle curve:
_
y = cos
y =
g

2
l
Si osserva che:
se la giostra gira lentamente (
2
<
g
l
), lequazione non ha soluzioni reali e quindi non vi
sono altre congurazioni di equilibrio oltre a quelle gi`a note
se invece la velocit`a angolare `e sucientemente elevata si manifesta una ulteriore congu-
razione di equilibrio che `e indicata con
3
.
827
26. STABILIT
`
A
La velocit`a angolare che determina la comparsa della una nuova condizione di equilibrio `e
chiamata velocit`a critica:

cr
=
_
g
l
0
0.5
1
1.5

cos y =
2
l g <
2
l g >
3

/ 2 0 / 4
Figura 26.8: Soluzione graca dellequazione:
2
l cos g = 0.
Le seguenti considerazioni sono di notevole interesse:
se <
cr
il pendolo si comporta in modo simile a quando la giostra `e ferma, per cui vi
sono due condizioni di equilibrio:
1
= 0 `e stabile mentre
2
= `e instabile
se >
cr
compare la nuova congurazione di equilibrio
3
= ar cos
_
g

2
l
_
che `e lunica
stabile mentre le altre due diventano instabili.
La dimostrazione delle precedenti aermazioni si ottiene esaminando la funzione potenziale
totale del sistema che in questo caso `e espressa dalla relazione:
() = mgl (1 cos )
1
2
m
2
l
2
(sin )
2
in cui si riconoscono i contributi del peso e della forza centrifuga. Il lavoro fatto dalla forza
centrifuga `e infatti:
L
centr
=
l sin
_
0
m
2
r dr =
1
2
m
2
(l sin )
2
Come mostrato dal graco in gura 26.9, quando la velocit`a angolare `e inferiore al valore
critico la curva potenziale ha un solo minimo e un solo massimo, in coerenza con quanto
anticipato. Se >
cr
leetto centrifugo produce una ulteriore inessione nella curva che
determina un nuovo minimo e trasforma instabile la congurazione
1
= 0, che a giostra ferma
o lenta era stabile.
Se la giostra ruota sopra la velocit`a critica qualsiasi eetto perturbante produce pertanto la
tendenza per il pendolo a disporsi (allequilibrio) nella congurazione con =
3
.
`
E interessante chiedersi quale condizione di equilibrio si manifesti nella congurazione
1
= 0
in corrispondenza proprio del valore critico della velocit`a angolare. Come si vede dalla gura
26.9, il raggiungimento della velocit`a critica trasforma una condizione di minimo del poten-
ziale (concavit`a verso il basso) in una condizione di massimo (concavit`a vero il basso). La
condizione di discrimine tra equilibrio stabile e instabile viene chiamato equilibrio indieren-
te (neutral). In termini matematici lequilibrio indierente `e tale per cui vi sono nei pressi
828
26.2. CAMPI DI FORZA NON UNIFORMI

0
/ 2 0

cr
<
cr
>
3

Figura 26.9: Eetto della velocit`a di rotazione sul potenziale totale.


della congurazione data innite condizioni di equilibrio, ovvero `e caratterizzato da un poten-
ziale piatto come mostrato nello schema di gura 26.10. Nella pratica la condizione di equilibrio
indierente si ottiene quando la funzione () ha nel punto di equilibrio derivata seconda nulla
per cui `e localmente (almeno no al secondo ordine) indistinguibile da una retta orizzontale.
a) b) c)

Figura 26.10: Schema concettuale delle condizioni di equilibrio: a) stabile,


b) indierente e c) instabile.
I casi esaminati nella gura 26.10 sono riassunti nello schema seguente:
caso a) condizione di equilibrio:
d
d

0
= 0 e di stabilit`a:
d
2

d
2

0
> 0
caso b) condizione di equilibrio:
d
d

0
= 0 e di indierenza:
d
2

d
2

0
= 0
caso c) condizione di equilibrio:
d
d

0
= 0 e di instabilit`a:
d
2

d
2

0
< 0
Possiamo aermare che, dal punto di vista tecnico, la condizione di equilibrio indierente
non `e molto diversa da quella di instabilit`a, se si considerano gli eetti che producono variazioni
di congurazione e soprattutto i carichi secondari. Nei casi pratici `e quindi richiesto che la con-
dizione di equilibrio sia sucientemente stabile anche dal punto di vista quantitativo. Pertanto,
i casi mostrati in gura 26.11 sono entrambi stabili, tuttavia nel primo caso `e suciente una
perturbazione non molto intensa per far abbandonare la condizione di equilibrio e ci`o pu`o non
essere tollerato.
La condizione critica sar`a pertanto cercata allo scopo di stabilire quando una condizione
di equilibrio da stabile diviene instabile. Un adeguato coeciente di sicurezza dovr`a essere
829
26. STABILIT
`
A
a) b)

Figura 26.11: Condizioni matematicamente stabili ma: a) poco stabile dal


punto di vista pratico se i disturbi possono fornire lavori dellordine di ; b)
equilibrio stabile anche tecnicamente.
adottato per evitare che tale condizione di passaggio sia eettivamente raggiunta nelle condizioni
operative. Nel caso della giostra questo comporta che per garantire che la congurazione
verticale verso il basso sia eettivamente stabile la velocit`a angolare debba essere sensibilmente
inferiore della velocit`a critica.
Esercizio 26.1: Giostra
Considerando per il pendolo nella giostra di gura 26.7 i seguenti dati: m = 2.4 kg;
l = 500 mm determinare:
a) la velocit`a critica
cr
b) la frequenza propria delle piccole oscillazioni del pendolo attorno alla posizione di
equilibrio quando = 0.5
cr
c) la congurazione di equilibrio stabile per = 2
cr
d) la frequenza propria del pendolo per piccole oscillazioni del pendolo attorno alla
posizione di equilibrio quando = 2
cr
e) il lavoro minimo richiesto a una forza esterna per far assumere al pendolo la
congurazione di equilibrio = 0 partendo dalla condizione
3
quando = 2
cr
26.3 Stabilit`a di sistemi rigidi con vincoli elastici
Il metodo illustrato nel paragrafo precedente pu`o essere usato anche per esaminare le condi-
zioni di stabilit`a di sistemi articolati connessi tramite elementi elastici che esercitano azioni (di
forza o di momento) concentrate e proporzionali alle variazioni di congurazione.
Esaminiamo il caso illustrato in gura 26.12a) che rappresenta una barra rigida di massa
trascurabile e lunghezza l vincolata in A mediante una cerniera e una molla (detta di torsione)
in grado di esercitare un momento mutuo con il telaio di intensit`a proporzionale allinclinazione
della sezione in cui la molla `e collegata, secondo la relazione:
M =
Come le pi` u comuni molle lineari, anche le molle di torsione hanno una reazione elastica che
si oppone alla variazione geometrica, come evidenziato nello schema di corpo libero parziale
830
26.3. STABILIT
`
A DI SISTEMI RIGIDI CON VINCOLI ELASTICI
P
l

a) b)
Figura 26.12: Barra rigida su cerniera elastica: a) congurazione di equilibrio
e b) ricerca di una condizione di equilibrio diversa
di gura 26.12b). La condizione di carico che determina una sollecitazione di compressione
rappresentata in gura 26.12a) `e spesso denita: carico di punta.
26.3.1 Soluzione con il metodo statico
Esaminiamo preliminarmente il problema dal punto di vista sico chiedendoci, in particolare,
se la congurazione rappresentata in gura 26.12a) `e stabile, instabile o indierente in relazione
ai valori dei parametri che sono: il carico P, la costante elastica e la dimensione della barra
l. Sulla base delle considerazioni nora svolte possiamo prevedere che, nel caso in cui non vi sia
la molla ( = 0):
la congurazione `e instabile per ogni valore del carico (purche di compressione) dato che
il problema `e simile a quello di un pendolo con la massa sopra il fulcro
la congurazione `e invece stabile se la forza applicata produce trazione.
Come vedremo, sono proprio i carichi che determinano compressione che producono eetti di
instabilit`a signicativi. Consideriamo quindi leetto prodotto da un carico compressivo in
relazione alla rigidezza della molla.
`
E evidente che, essendo la barra rigida, se anche la molla
avesse rigidezza innita (
1

= 0), il problema diverrebbe intrinsecamente isostatico e quindi


la congurazione sarebbe di equilibrio stabile per ogni valore dal carico. Possiamo quindi
aspettarci un interessante eetto del valore della rigidezza della molla che, in relazione al carico
di compressione, rende la congurazione data stabile o instabile. In altri termini anche in questo
caso i parametri del problema determinano il passaggio attraverso una condizione di equilibrio
indierente similmente allesempio del pendolo sulla giostra.
In modo analogo al paragrafo precedente, cerchiamo congurazioni di equilibrio diverse
da quella banale producendo una variazione di congurazione del sistema compatibile con i
vincoli. Con riferimento alla gura 26.12b), lequazione signicativa della statica nella generica
congurazione di equilibrio diventa:
Pl sin = 0
che `e conveniente scrivere come:
sin =

Pl
(26.1)
831
26. STABILIT
`
A
Osserviamo che, come sar`a sistematicamente riscontrato nel seguito, lequazione ammette co-
munque la soluzione nulla (chiamata spesso soluzione banale). Tale informazione era peraltro
gi`a in mostro possesso dato che sapevamo che la condizione verticale era di equilibrio. Per
trovare eventuali altre soluzioni usiamo il metodo graco e cerchiamo lintersezione tra i graci
delle funzioni:
_
y = sin
y =

Pl

y
0

cr
P P >
cr
P P <
cr
P P =
sin y =
Figura 26.13: Soluzione graca dellequazione: sin =

Pl

Come si pu`o osservare dalla gura 26.13, quando il coeciente angolare della retta `e
maggiore di 1, ovvero quando:

Pl
> 1
lunica intersezione `e in corrispondeza dellorigine e quindi rappresenta la soluzione nulla. Per-
tanto in tali condizioni la congurazione verticale `e di equilibrio stabile. Se il coeciente
angolare della retta `e inferiore a 1 si hanno invece altre intersezioni che dimostrano lesistenza
di altre possibili congurazioni di equilibrio in cui la barra `e inclinata. Il discrimine `e rappre-
sentato dalla condizione di tangenza della retta con la sinusoide. Se, ssata la rigidezza della
molla e la lunghezza della barra, consideriamo il livello di carico come parametro il valore che
determina linsorgenza di altre condizioni di equilibrio diventa:
P
cr
=

l
(26.2)
ed `e chiamato carico critico (buckling load). Si pu`o vericare che:
per carichi di trazione (P < 0

Pl
< 0) la congurazione verticale `e lunica di equilibrio
(e quindi `e stabile)
anche per carichi che producono compressione ma con P < P
cr
la condizione di equilibrio
verticale `e stabile
per un carico di compressione P > P
cr
la congurazione verticale diventa instabile mentre
`e stabile una delle due possibili =
0
, quindi una qualunque perturbazione produrrebbe
lallontanamento della barra dalla congurazione verticale e, alla ne di un eventuale
transitorio dinamico, si prevede larresto della barra in corrispondenza di uno di tali
angoli
832
26.3. STABILIT
`
A DI SISTEMI RIGIDI CON VINCOLI ELASTICI
la condizione di discrimine P = P
cr
rende la congurazione verticale di equilibrio local-
mente indierente.
La gura 26.14 raccoglie in forma graca tutte le soluzioni dellequazione non lineare 26.1
in relazione al valore del carico di punta P. Osserviamo che:

cr
P P >
cr
P
P
cr
P P <
B
C
D
E
O
Figura 26.14: graco delle soluzioni dellequazione 26.1
per valori di P < P
cr
la soluzione `e rappresentata dal tratto verticale OB giusticato dal
fatto che la soluzione `e unica: = 0
per P > P
cr
la curva che rappresenta le soluzioni presenta una biforcazione per cui il
tratto verticale si separa nei due rami opposti e simmetrici BC e BD, che rappresen-
tano soluzioni stabili, e nel ramo BE che rappresenta soluzioni instabili (per questo `e
rappresentato con il tratteggio)
in corrispondenza della biforcazione i rami stabili della soluzione partono con tangente
orizzontale; questo fatto ha una conseguenza molto importante: appena il carico di punta
supera anche di poco il carico critico la congurazione di equilibrio stabile si dierenzia in
modo molto marcato da quella iniziale
la congurazione stabile che si determina oltre il carico critico potrebbe non essere tol-
lerata nellambito del comportamento di strutture poco deformabili (in pratica anche la
molla avr`a un limite di estensibilit`a nel suo comportamento ideale)
se il carico di punta `e aumentato ulteriormente rispetto al graco in gura, i rami stabili
possono presentare ulteriori biforcazioni che rappresentano condizioni di equilibrio di-
cilmente raggiungibili in pratica in controllo di carico perche ottenute con rotazioni di
multipli di angoli giri dellasta.
Allo scopo di fornire una ulteriore giusticazione sica del fenomeno dellinstabilit`a in con-
dizioni di carico di punta, le seguenti considerazioni possono essere utili. Se la barra sotto carico
viene leggermente inclinata il carico (se compressivo) genera rispetto al perno un momento che
tende a incrementare linclinazione della barra, quindi ha un eetto instabilizzante. Lincli-
nazione della barra `e contrastata dallazione della molla la quale quindi esercita un momento
stabilizzante. Se il carico di punta `e modesto leetto stabilizzante, che dipende solo dalla rigi-
dezza della molla, risulta prevalente e il sistema, anche se perturbato, manifesta la tendenza a
ritornare nella congurazione originaria. Se invece il carico `e superiore al livello critico lazione
833
26. STABILIT
`
A
stabilizzante della molla risulta insuciente. Con questa interpretazione appare evidente il mo-
tivo per cui un carico di trazione non instabilizza la barra (sia il carico sia la molla producono
eetti stabilizzanti).
26.3.2 Soluzione con metodo energetico
`
E interessante esaminare il problema della barra compressa anche tramite lenergia poten-
ziale totale. Fissata a zero nella condizione di riferimento, lenergia potenziale totale per una
generica inclinazione `e data dallenergia immagazzinata nella molla pi` u lopposto del lavoro
fatto dalla forza P come in gura 26.15 e quindi vale:
() = U () L (26.3)
nel caso esaminato:
P

Figura 26.15: Schema di applicazione dellapproccio energetico


() =
1
2

2
P =
1
2

2
Pl (1 cos )
Il lavoro fatto dal carico di punta `e dato dal semplice prodotto della forza per lo spostamento
del suo punto di applicazione in quanto la variazione di congurazione `e indotta a carico esterno
applicato e costante.
Landamento della funzione potenziale totale che , come prevedibile, risulta inuenzata
allintensit`a del carico di punta `e rappresentata in gura 26.16. Per valori moderati (P < P
cr
) il
primo termine
1
2

2
prevale e la funzione ha una forma che si discosta poco da una parabola. Da
ci`o consegue che, come osservato nella soluzione statica, per P < P
cr
lunica soluzione stabile `e
quella verticale.
Per un elevato valore del carico di punti invece leetto della componente del carico sul
potenziale Pl (1 cos ) diventa sempre pi` u importante nche conferisce allorigine caratteri-
stiche di massimo (condizione di equilibrio instabile). Per P > P
cr
divengono stabili le condizioni
di minimo rappresentate dallinclinazione
0
.
La condizione di discrimine si verica quando la concavit`a nellorigine si annulla ed `e rappre-
sentata nella gura 26.16 dalla linea tratteggiata. Il passaggio dalla condizione stabile a quella
instabilie si verica quindi quando:
d
2

d
2

=0
= 0
e questa equazione ha soluzione:
P =

l
= P
cr
834
26.3. STABILIT
`
A DI SISTEMI RIGIDI CON VINCOLI ELASTICI
( )

cr
P P <
cr
P P >
cr
P P =
Figura 26.16: Energia potenziale in funzione della posizione per vari valori
del carico di punta
Si osserva che per P = P
cr
la funzione potenziale ha in eetti nellorigine uno zero di ordine
4.
26.3.3 Soluzione con modello linearizzato
Gli approcci sviluppati per determinare il carico critico sono coerenti e conducono alla
medesima soluzione. Entrambi richiedono di considerare il problema del secondo tipo e di
esaminare (in senso statico o energetico rispettivamente) congurazioni diverse da quella di
equilibrio. Nel primo caso il procedimento `e nalizzato alla ricerca di una condizione di locale
indierenza dellequilibrio, nel secondo la condizione cercata consiste nellannullamento della
concavit`a della funzione potenziale totale. Dato che, in genere, lo scopo di queste analisi
`e limitata a determinare il carico critico che `e considerata una condizione di funzionamento
che non deve essere raggiunta o superata, la soluzione pu`o essere semplicata dal punto di
vista formale. Lanalisi pu`o essere infatti limitata al comportamento della struttura in una
congurazione, che pur essendo diversa da quella di partenza perche il problema `e comunque
del secondo tipo, la dierenza sia contenuta in modo che risulti suciente considerare solo i
primi termini dello sviluppo in serie di Taylor delle funzioni in esame.
Consideriamo per primo lapproccio statico. Lequazione risolvente completa:
Pl sin = 0
per piccoli angoli si semplica nella seguente relazione lineare:
Pl = 0
che `e conveniente scrivere come:
( Pl) = 0 (26.4)
In generale, il problema della stabilit`a, quando ci si limita a variazioni di congurazione di
piccola entit`a nei pressi della condizione di partenza, si riduce quindi a una equazione:
lineare (a causa degli scostamenti piccoli)
omogenea nella coordinata lagrangiana (dato che la congurazione a spostamento nullo `e
di equilibrio)
parametrica nel carico di punta.
835
26. STABILIT
`
A
La soluzione banale dellequazione lineare non `e interessante (dato che, come anticipato, era
gi`a nota), ne ricerchiamo quindi altre che si trovano solo se lequazione diventa indeterminata e
quindi solo se:
Pl = 0
Questa condizione conduce alla relazione:
P =
l

= P
cr
Ricaviamo quindi la seguente interpretazione: per P ,= P
cr
lequazione di equilibrio linearizzata
ha solo la soluzione = 0 (in eetti `e lunica congurazione di equilibrio nei pressi dellorigine
per tali carichi), per P = P
cr
tutte le congurazioni (ovviamente nei pressi di quella indefor-
mata) sono di equilibrio. Abbiamo quindi identicato la condizione di equilibrio indierente
P = P
cr
che determina il carico critico. Nella gura 26.17 sono riportate tutte le soluzioni
dellequazione linearizzata 26.4: il tratto BD riproduce adeguatamente landamento eettivo
della soluzione dellequazione non lineare completa (rappresentata dal tratto curvo BC) in
corrispondenza del punto signicativo di biforcazione.

cr
P P >
cr
P
P
cr
P P <
B
E
O
C
D
Figura 26.17: Graco delle soluzioni dellequazione 26.4
La linearizzazione `e utile anche per semplicare lapplicazione del metodo energetico. Nei
pressi della congurazione di partenza vale infatti la relazione:
() =
1
2

2
Pl (1 cos )

=
1
2

2
Pl
_
1 1 +

2
2
_
=
1
2
( Pl)
2
Il potenziale `e quindi approssimabile nellorigine con una forma quadratica, ovvero gracamente
una parabola la cui concavit`a ha il segno del coeciente, nel caso in esame: Pl. Dato che, per
denizione, in una posizione di equilibrio il potenziale e la sua derivata sono nulli, `e suciente
valutare il segno della forma quadratica in qualsiasi altro punto (vicino allorigine) per vericare
se lequilibrio `e stabile (potenziale positivo) o instabile (potenziale negativo).
26.3.4 Considerazioni riassuntive
Anche se `e stato esaminato un semplice esempio particolare, da questo `e possibile trarre
alcune conclusioni che hanno validit`a generale:
linstabilit`a (buckling)buckling dellequilibrio elastico `e un fenomeno connesso con i
carichi che producono caratteristiche normali compressive
836
26.3. STABILIT
`
A DI SISTEMI RIGIDI CON VINCOLI ELASTICI
sistemi compressi possono essere stabilizzati con elementi elastici
si identica un carico (detto carico critico) che determina il massimo valore per cui la
struttura `e stabile nella congurazione indeformata
il carico critico `e una caratteristica della struttura compressa e, in generale, dipende da
parametri geometrici e dalla deformabilit`a, nel caso esaminato infatti P
cr
=

l
per aumentare la stabilit`a di una struttura compressa (ovvero aumentarne il carico critico)
`e necessario aumentare la rigidezza e/o ridurre la sua estensione assiale
sono sensibili al fenomeno dellinstabilit`a le strutture compresse, snelle e relativamente
deformabili, quindi, per esempio, i puntoni lunghi nelle strutture reticolari.
Per quanto riguarda i procedimenti per eettuare previsioni del carico critico:
il metodo statico e il metodo energetico conducono a conclusioni coerenti
per lanalisi in condizioni di carico superiore al carico critico (analisi dopo linsta-
bilit`a (post-buckling analysis)) `e necessario arontare lo studio di equazioni non
lineari
in molti casi tale complessa analisi non `e necessaria perche la stessa perdita della stabilit`a
rappresenta un fenomeno non tollerato
per valutare il solo carico critico `e possibile eettuare linearizzazioni che rendono il proble-
ma molto pi` u semplice senza tuttavia pregiudicare la corretta previsione del carico critico
stesso.
Esercizio 26.2: Instabilit`a di sistemi articolati con un grado di libert`a
Con riferimento alla gura 26.18 e considerando noti i parametri indicati, determinare i
valori del carico critico delle varie congurazioni. Usare sia il metodo statico sia il metodo
energetico. Per un confronto quantitativo tra le soluzioni costruttive si pu`o assumere:
l
1
= 0.6l, l
2
= 0.6l, k
2
= 2k, k
1
= 3k, = 0.1kl
2
. (Attenzione al caso d.)
P
k
C
E
l
P

5
l
a) b) c) d) e)
P
1
k
2
k
C
D
E
1
l
2
l
P
5
l
l
P
5
l
k

1
l
2
l
1
l
2
l
k
Figura 26.18: Sistemi con un solo grado di libert`a sotto carico di punta.
837
26. STABILIT
`
A
26.4 Stabilit`a di sistemi rigidi con pi` u gradi di libert`a
Con una semplice estensione dei metodi sviluppati nel paragrafo precedente valutiamo il
carico critico per il sistema articolato di gura 26.19a) in cui le barre in compressione sono
rigide e le molle di torsione in corrispondenza delle cerniere ideali.
P
1
l
1

2
l
1

1 1

C
D
E
P
( )
2 2 1

( )
2 2 1

a) b)
Figura 26.19: Sistema articolato di barre rigide con molle ideali in compres-
sione: a) congurazione da vericare; b) generica variazione di congurazione
e relativo schema di corpo libero preliminare parziale.
Il sistema ha due gradi di libert`a per cui `e necessario considerare due parametri lagrangiani,
nel caso in esame appare naturale considerare le coordinate angolari
1
e
2
che deniscono
le rotazioni delle barre. Lo schema di gura 26.19b) riproduce una generica variazione di
congurazione che rispetta la congruenza. Dato che `e richiesto il solo carico critico, consideriamo
senzaltro una variazione di congurazione prossima a quella di riferimento, in modo che si
possano accettare le approssimazioni:
sin
i

=
i
; cos
i

= 1

2
i
2
e si ottengano direttamente equazioni risolventi linearizzate. Per questo problema il meto-
do statico (la ricerca di congurazioni leggermente variate che siano comunque di equilibrio)
`e riconducibile a due equazioni signicative di momento: lequilibrio a rotazione dellintera
struttura rispetto alla cerniera C e lequilibrio della sola barra 2 rispetto alla cerniera D:
_

1

1
P (l
1

1
+l
2

2
) = 0

2
(
2

1
) Pl
2

2
= 0
La seguente forma matriciale:
_

1
Pl
1
Pl
1

2

2
Pl
2
__

1

2
_
=
_
0
0
_
permette di evidenziare che il sistema risolvente `e:
lineare
omogeneo
838
26.4. STABILIT
`
A DI SISTEMI RIGIDI CON PI
`
U GRADI DI LIBERT
`
A
parametrico in P.
Come nel paragrafo precedente, cerchiamo soluzioni non banali del sistema. In questo caso
ci`o comporta lannullamento del determinate che porta a una equazione di secondo grado nel
parametro P (equazione caratteristica):
det
_

1
Pl
1
Pl
1

2

2
Pl
2
_
= l
1
l
2
P
2
[
1
l
2
+
2
(l
1
+l
2
)] P +
1

2
= 0
Al solo scopo di semplicare lalgebra, consideriamo il seguente caso particolare:
l
1
= l
2
= l;
1
= 2;
2
=
e lequazione caratteristica diventa:
l
2
P
2
4lP + 2
2
= 0
Le due soluzioni sono:
P
I
=
_
2

2
_

l
= 0.059

l
P
II
=
_
2 +

2
_

l
= 0.341

l
Sostituendo il valore P
I
nel sistema risolvente si ha:
_

1

1
P
I
(l
1

1
+l
2

2
) = 0

2
(
2

1
) P
I
l
2

2
= 0
Una equazione `e necessariamente combinazione lineare dellaltra e pu`o essere ignorata, pertanto
il sistema fornisce la seguente soluzione indeterminata:
per P = P
I

1
=
1
1 +

2

= 0.4
2
Dal punto di vista sico si pu`o concludere che per tale valore del carico di punta `e prevedibile
una condizione di equilibrio indierente caratterizzata da una deformata che (per piccoli angoli)
si sviluppa secondo quanto indicato dalla soluzione, ovvero con
1
concorde con
2
e il primo
pari al 40% del secondo.
In corrispondenza del secondo zero della equazione caratteristica si ottiene:
per P = P
II

1
=
1
1

2

= 2
2
quindi la corrispondente congurazione `e una deformata caratterizzata da angoli di segno op-
posto. Le due soluzioni sono qualitativamente illustrate in gura 26.20. Si tenga conto che, in
condizione di indierenza, la deformata `e denita a meno di un fattore moltiplicativo arbitrario.
Supponiamo che alla struttura in esame sia applicato, a partire da zero, un carico di punta
che cresce lentamente (caricamento quasi statico), il suo presumibile comportamento pu`o essere
cos` previsto: nche il carico `e inferiore al minimo dei valori che annullano il determinate (nel
caso esaminato P
I
), la condizione indeformata `e di equilibrio stabile. Al raggiungimento di
P
I
divengono di equilibrio anche le congurazioni rappresentate in gura 26.20a) e per carichi
P > P
I
la congurazione verticale diviene di equilibrio instabile. Il carico critico per la struttura
`e quindi dato da:
P
cr
= min P
I
; P
II
.
839
26. STABILIT
`
A
I
P P =
a) b)
II
P P =
Figura 26.20: Modi di perdita della stabilit`a in corrispondenza dei due carichi
critici.
Anche le congurazioni rappresentate in gura 26.20b) diverrebbero di equilibrio se il carico
di punta potesse raggiungere il valore P
II
senza prima aver prodotto linstabilit`a. Tuttavia, `e
evidente che questa condizione non `e ottenibile a meno che sia realizzato qualche strano tipo di
vincolo (per esempio attuato con sistemi attivi e quindi non elementare) in grado di impedire
ai due angoli di manifestarsi concordemente.
Queste considerazioni possono essere generalizzate ad altre strutture caricate di punta con
due o anche pi` u gradi di libert`a. Supponiamo, in particolare, che un sistema compresso stabile
per bassi valori del carico di punta abbia vincoli elastici concentrati e sia riconducibile a un si-
stema con n gradi di libert`a. Limposizione dellequilibrio in una congurazione generica (vicina
alla condizione indeformata) genera un sistema lineare omogeneo parametrico in P con dimen-
sione n. La condizione di indierenza dellequilibrio, ovvero lannullamento del determinante
del sistema, fornisce una equazione caratteristica algebrica di grado n in P. Il carico critico per
la struttura `e il valore minimo degli zeri reali dellequazione caratteristica. In corrispondenza
di tale valore `e possibile trovare, per sostituzione nel sistema lineare, una modalit`a di deforma-
ta tale per cui, ssata una coordinata lagrangiana, le altre n 1 possono essere determinate.
Tale risultato fornisce quindi la forma, o il modo, con cui si prevede che la struttura perda la
congurazione rettilinea iniziale in corrispondenza del raggiungimento del carico critico.
Non sfugge che il problema ha molte analogie con quello dellanalisi degli autovalori. Gli
zeri dellequazione algebrica sono infatti talvolta chiamati valori caratteristici o autovalori del
problema della stabilit`a e le modalit`a di perdita della congurazione rettilinea autovettori (i
quali come al solito deniti a meno di un fattore moltiplicativo). Gli autovalori pi` u elevati del
minimo, e i relativi autovettori, non hanno in genere interesse pratico dato che la struttura non
riesce a sperimentarli perche perde la congurazione di equilibrio rettilinea a un carico inferiore.
Come mostra il seguente esercizio, lequazione caratteristica per la valutazione del carico
critico si ottiene anche con il metodo energetico.
Esercizio 26.3: Metodo energetico per sistemi con pi` u gradi di libert`a
Determinare il carico critico della struttura in gura 26.19 con il metodo energetico.
Suggerimento. Considerando una generica congurazione diversa da quella deformata
840
26.5. IL PROBLEMA DI EULERO
si scriva lespressione dellenergia potenziale tenendo conto che, come nel caso con un solo
grado di libert`a, `e data dal contributo dellenergia elastica delle molle e dallopposto del
lavoro fatto dal carico di punta. Considerando angoli piccoli, lespressione del potenziale
pu`o essere ricondotto a una forma quadratica delle coordinate lagrangiane la quale, nello-
rigine, ha valore e gradiente entrambi nulli. Allo scopo di imporre la condizione di stabilit`a,
`e suciente che la forma quadratica sia denita positiva e quindi che tutte le concavit`a
nellorigine siano verso lalto. Questa condizione si verica se il determinante della matri-
ce Hessiana (la matrice delle derivate seconde) `e positivo. La condizione di indierenza
dellequilibrio coincide pertanto con lannullamento del determinate Hessiano nellorigine.
Esercizio 26.4: Carichi critici con pi` u gradi di libert`a
Con riferimento alla gura 26.21 e considerando noti i parametri indicati, determinare i
valori del carico critico e la modalit`a di perdita della stabilit`a delle varie congurazioni.
Per un confronto quantitativo tra le varie congurazioni si pu`o assumere: l
1
= 0.6l,
l
2
= 0.6l, k
2
= 2k, k
1
= 3k, = 0.1kl
2
.
P
1
l
1
k
2
k
2
l
C
D
E
P
1
l

k
2
l
C
D
E
P
1
l
2
l
C
D
E
1
k
2
k
=
=
=
=
a) b) c) d)
P
1
l
2
l
C
D
E
2

Figura 26.21: Sistemi con un due gradi di libert`a sotto carico di punta.
Nota: attenzione al caso d.
26.5 Il problema di Eulero
Leonhard Euler (1707 1783) aront`o e risolse il problema della stabilit`a di una trave elastica
continua vincolata e caricata di punta rappresentato in gura 26.22. Supponiamo, almeno per
ora, che il problema sia piano e che i punti dellasse della trave possano avere spostamenti solo in
direzione y e z e, inoltre, che gli spostamenti trasversali siano descritti in modo sucientemente
accurato considerando il solo comportamento essionale della trave (applicando la solita ipotesi
di corpo traviforme).
841
26. STABILIT
`
A
P
C
D
l
x
EJ
z
y
Figura 26.22: Problema di Eulero
26.5.1 Soluzione approssimata con modello discreto
Il problema di Eulero pu`o essere arontato e risolto in modo approssimato mediante una
discretizzazione della trave in elementi rigidi collegati da molle come rappresentato nella gura
26.23. A tale scopo dividiamo la trave in n parti di uguale lunghezza collegati a due a due
con molle torsionali di opportuna rigidezza in modo da realizzare un modello discreto con n1
gradi di libert`a.
P
/ 2 l
2

/ 2 l
C
D
P
3

/ 3 l
/ 3 l
/ 3 l
3

P
/ l n
n

a) b) c)
Figura 26.23: Problema di Eulero discretizzato con elementi rigidi connessi
da vincoli ideali e molle: a) un grado di libert`a; b) due gradi di libert`a; c) n1
gradi di libert`a
Perche i modelli con un numero nito di gradi di libert`a siano ragionevoli approssimazioni
del problema di Eulero `e necessario attribuire alle molle una rigidezza appropriata che dipende
dal numero di suddivisioni e che indichiamo con
n
. A tale scopo imponiamo che sia riprodotto il
842
26.5. IL PROBLEMA DI EULERO
comportamento essionale locale della trave, come illustrato nella gura 26.24. Questo risultato
si ottiene assumendo che lelemento unitario della trave discretizzata di lunghezza
l
n
, abbia
le sezioni di estremit`a che manifestano la stessa rotazione relativa delle estremit`a dei tratti
equivalenti di trave quando sottoposti allo stesso momento ettente.
/ l n
n

x
EJ
a) b)
M
M


/ l n
M
M
Figura 26.24: Rigidezza delle molle per riprodurre il comportamento essio-
nale della trave in una suddivisione in n elementi rigidi uguali: a) elemento
unitario discretizzato e b) tratto di trave inessa di uguale lunghezza.
Si ricava:
=
M

n
=
M
EJ
x
l
n
da cui il valore di rigidezza delle molle da usare in funzione del numero di elementi:

n
=
EJ
x
l
n
`
E prevedibile che il modello discreto sar`a grossolano per bassi valori di n tuttavia, per valori di
n sucientemente elevati, la discretizzazione del problema di Eulero appare ragionevole. Nella
gura 26.25 `e riportata la soluzione del carico critico per i nodelli discreti (lo zero pi` u basso
dellequazione caratteristica) che, operativamente, `e stata ottenuta con procedimento numerico
e un calcolatore. Il graco riporta, per alcuni valori di n, il carico critico normalizzato rispetto
al valore limite. Il graco mostra una evidente tendenza del procedimento verso la convergenza
con laccostamento dei punti a un asintoto che rappresenta il carico critico esatto del problema
di Eulero. In particolare `e stato vericato che per n = 10 lerrore dovuto alla discretizzazione `e
inferiore a 2%.
Il procedimento di soluzione appena descritto, basato su una ragionevole riduzione degli
inniti gradi di libert`a della trave a un numero nito, ma sucientemente elevato, rappresenta
lo schema generale con cui sono attuate le tecniche di soluzione dei problemi strutturali basate
sul computer.
26.5.2 Soluzione con il modello continuo
Il carico critico del problema di Eulero pu`o essere tuttavia ottenuto in modo formalmente
esatto (ovvero non aetto da errori di discretizzazione) con un procedimento analitico che
considera la trave come un continuo monodimensionale: corpo con inniti gradi di libert`a. In
gura 26.26 `e rappresentato lo schema monodimensionale del problema teorico di Eulero: una
trave con asse rettilineo caricata di punta da una forza applicata allestremo e perfettamente
centrata sullasse che genera solo compressione. In un primo tempo esaminiamo il problema
come bidimensionale per cui assumiamo che i punti dellasse della trave possano spostarsi
solo nel piano y z. Come rappresentato in gura 26.26b) supponiamo che, sotto leetto
843
26. STABILIT
`
A
n
( )
( )
I
I
P n
P
0 2 4 6 8 10
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
Figura 26.25: Valore del minimo autovalore in funzione del numero di sud-
divisioni del modello discreto della trave. Nel graco il carico critico `e stato
normalizzato con il valore asintotico.
del carico di punta che rimane costante, una azione perturbante produca una generica (ma
congruente) modica della linea dasse che rappresentiamo, come consuetudine, con la funzione
di spostamento v (s). Per valutare il solo carico critico, possiamo considerare lo spostamento
dovuto alleetto perturbante di piccola entit`a per cui `e lecito descrivere il problema con le
equazioni della linea elastica sviluppate nel capitolo 24.
P
C
D
l
x
EJ
z
y
P
*
C C =
*
D
z
y
s
( )
v s
*
B
B

a) b)
Figura 26.26: Schema del problema di Eulero: a) situazione imperturbata
con asse rettilineo e b) eetto di una generica perturbazione che modica
leggermente la forma della linea dasse.
Nella congurazione perturbata si nota che:
oltre alla forza normale nelle varie sezioni della trave si manifestano anche caratteristiche
essionali di taglio
la comparsa delle nuove caratteristiche `e giusticata dal fatto che, applicando lo stesso
schema di soluzione dei problemi del secondo tipo adottato per i modelli discreti, le
844
26.5. IL PROBLEMA DI EULERO
caratteristiche devono essere denite con riferimento al sistema locale solidale alla linea
dasse nella congurazione deformata
leetto deformativo pi` u signicativo `e connesso con la essione per cui il contributo del
taglio sar`a come consuetudine trascurato.
Pu`o essere utile notare che per quanto la forza normale sia alterata dalla perturbazione
(in quasi tutte le sezioni infatti si ha: [N[ < P), lo spostamento assiale del carrellino,
evidenziato nella gura 26.26, `e dovuto prevalentemente a un eetto geometrico connesso con
la essione e non alla variazione di forza normale (che peraltro produce un contributo di segno
opposto). Trascurando la variazione di lunghezza della linea dasse indotto dalla variazione
della forza normale (che si pu`o dimostrare `e un eetto di ordine superiore), si assume che ogni
concio di trave conservi, nella congurazione perturbata, la lunghezza che aveva quando lasse
era rettilineo. La proiezione della linea dasse della direzione della congiungente gli estremi `e
pertanto inferiore a causa della sola inclinazione della linea dasse stessa.
La perturbazione indotta sulla forma dellasse consente al carico (che rimane costante in
conseguenza della perturbazione) di fare lavoro positivo pari a L = P ma, nel contempo, la
perdita di rettilineit`a dellasse richiede una certa energia elastica, dovuta in gran parte alla
essione. Analogamente al caso discreto, si potrebbero determinare le condizioni per cui il
primo contributo energetico eguaglia e supera il secondo. Riprenderemo lapproccio energetico
per i sistemi continui nella parte nale del capitolo, per ora arontiamo il problema di Eulero
con lapproccio statico e cerchiamo la condizione di equilibrio indierente, ovvero soluzioni di
equilibrio non banali v (s) ,= 0, come in gura 26.26b).
Valutato nella congurazione deformata, il momento ettente vale (con il suo segno):
M
x
(s) = P v (s) (26.5)
da cui, tramite lequazione della linea elastica del secondo ordine, si ricava la relazione:
EJ
x
d
2
v (s)
ds
2
= M
x
(s) = P v (s)
da cui lequazione dierenziale:
d
2
v (s)
ds
2
+
P
EJ
x
v (s) = 0
Dato che nei problemi di statica, lunica variabile indipendente `e lascissa curvilinea s, non ci
sono ambiguit`a se si usa lapice per rappresentare le derivate:
df
ds
= f

La grandezza
P
EJ
x
`e, per il caso in esame, necessariamente positiva per cui `e lecito porre:
k
2
=
P
EJ
x
(26.6)
Si ottiene inne la seguente equazione dierenziale ordinaria omogenea del secondo ordine a
coecienti costanti:
v

+k
2
v = 0 (26.7)
che descrive il problema di Eulero. Si tratta di una equazione ben nota nella Fisica Matematica
che ha la soluzione generale di tipo armonico:
v (s) = A sin (ks +) = A
1
sin ks +A
2
cos ks (26.8)
845
26. STABILIT
`
A
i cui due parametri A, oppure A
1
, A
2
devono essere determinati in base alle condizioni al
contorno. Dato che lequazione risolvente 26.7 `e omogenea, la funzione nulla (A = 0 oppure
A
1
= A
2
= 0) `e sempre tra le sue soluzioni, linteresse `e tuttavia, come anticipato, per le
eventuali soluzioni non banali. Considerando che i due estremi della trave non possono spostarsi
trasversalmente, le Condizioni al Contorno per il problema in esame sono:
_
v (0) = 0
v (l) = 0
che generano il sistema lineare:
_
A
2
= 0
A
1
sin kl +A
2
cos kl = 0
il quale, scritto in forma di matrice, diventa:
_
0 1
sin kl cos kl
__
A
1
A
2
_
=
_
0
0
_
Il problema `e stato quindi ricondotto, come per i casi discreti, alla determinazione delle
soluzioni non nulle di un sistema lineare omogeneo la cui matrice `e parametrica nel carico di
punta P (attraverso il parametro k). Soluzioni non banali del sistema algebrico sono quindi
connesse alla condizione di singolarit`a della matrice e quindi alla soluzione dellequazione che si
ottiene annullando il determinate:
det
_
0 1
sin kl cos kl
_
= sin kl = 0
Per tale equazione, ricordando che k > 0, otteniamo le innite soluzioni:
k
n
l = n con n = 1, 2, 3 . . .
Questo risultato non sorprende se si considera che il problema ha inniti gradi di libert`a ed `e
ragionevole aspettarsi altrettanti valori caratteristici a ognuno dei quali `e associata una modalit`a
di perdita della stabilit`a. Come per il caso discreto, il carico critico sicamente signicativo `e
rappresentato dal valore minimo delle soluzioni dellequazione caratteristica, che indichiamo
come consuetudine con P
I
e che si ottiene con n = 1. In questo modo si perviene alla formula
di Eulero:
P
cr
=
2
EJ
x
l
2
(26.9)
Sostituendo lautovalore nel sistema lineare risolvente si determina lautovettore corrispon-
dente che rappresenta (sempre a meno di un fattore moltiplicativo) la forma della linea dasse
che descrive il modo con cui la trave di Eulero si deforma in condizioni di incipiente perdita di
stabilit`a:
v (s) = A
1
sin
_

s
l
_
(26.10)
Ci`o dimostra che la trave di Eulero perde la stabilit`a in modo che il suo asse assume, almeno
no a che gli spostamenti sono contenuti, la forma di un arco completo di sinusoide con due
essi consecutivi in corrispondenza degli estremi della trave. Tale risultato `e illustrato in gura
26.27.
846
26.5. IL PROBLEMA DI EULERO
P
l
x
EJ
cr
P
a)
b)
Figura 26.27: Perdita della stabilit`a per una trave di Eulero: a) situazione
imperturbata b) forma della linea dasse in condizione di equilibrio indierente
in corrispondenza del (primo) carico critico.
26.5.3 Considerazioni sul problema di Eulero
Si pu`o vericare che il carico critico espresso dalla relazione 26.9 `e eettivamente lasintoto
orizzontale ottenuto nella gura 26.25 come limite della trave discretizzata. La formula di Eulero
conferma le previsioni ottenute nei casi discreti e dimostra che, sono a rischio di instabilit`a le
travi:
caricate di punta in compressione
che hanno sezioni aventi bassa rigidezza essionale
con elevata lunghezza.
Esaminiamo le altre soluzioni dellequazione caratteristica del problema di Eulero e in partico-
lare il secondo autovalore:
n = 2 P
II
=
2
EJ
x
_
l
2
_
2
al quale corrisponde il seguente modo di instabilit`a:
v (s) = A
1
sin
_

s
l/2
_
che rappresenta un doppio arco di sinusoide.
Come gi`a osservato in condizioni normali questa condizione di instabilit`a non pu`o essere
raggiunta. La congurazione rettilinea infatti diventa instabile quando il carico supera il primo
carico critico (che `e solo 1/4 del secondo) e la trave diventa un arco di sinusoide. Lincremento
di carico oltre il primo carico critico tende a inettere la trave ulteriormente (e presumibilmente
a metterla fuori uso per sollecitazioni essionali) ben prima che il carico raggiunga il secondo
autovalore. Tuttavia, se la trave e vincolata in modo da mantenere in asse il suo punto centrale,
il primo modo risulta inibito e la forma rettilinea rimane stabile no al raggiungimento del
secondo autovalore, come illustrato nella gura 26.28, diventa quindi il carico critico per questo
nuovo problema.
Pu`o essere interessante considerare che in condizioni ideali (asse rettilineo, carico perfetta-
mente centrato e nessun carico trasversale) il vincolo centrale non svolge alcuna funzione statica
in quanto la sua reazione vincolare `e nulla non solo nella congurazione di equilibrio indeforma-
ta ma anche nelle condizioni di equilibrio inesse dopo la perdita della stabilit`a. Tuttavia la sua
847
26. STABILIT
`
A
P
/ 2 l / 2 l
x
EJ
cr
P
a)
b)
Figura 26.28: Raggiungimento del secondo carico critico di Eulero con
lintroduzione di un vincolo di stabilizzazione posto nel centro
sola presenza `e determinante per la stabilit`a del sistema dato che il carico critico `e aumentato
di un fattore 4.
Esercizio 26.5: Stabilit`a di una stecca da disegno
Una stecca da disegno da 50 cm di materiale polimerico = 1.0 kg / dm
3
avente sezione
rettangolare di 45 mm 3 mm se appoggiata agli estremi in congurazione orizzontale
sotto leetto del peso proprio si inette nel centro di 2 mm. Determinare il carico critico
per la stabilit`a se la stecca `e caricata di punta agli estremi. Valutare il carico critico se
qualcuno sostiene la stecca nel centro mentre si applica la compressione.
Esercizio 26.6: Applicazioni delle formula di Eulero
Usando la formula di Eulero, valutare il carico critico delle strutture rappresentate in gura
26.29 realizzate tutte con travi aventi la stessa sezione. Tracciare la forma qualitativa
del modo in cui la struttura perde la congurazione rettilinea al primo carico critico, in
particolare si esamini la dierenza tra i casi b) e c).
P
C
D
/ 2 l
x
EJ
P
C
D
P
C
D
a) b) c) d)
P
C
D
/ 2 l
Figura 26.29: Varianti del problema di Eulero
848
26.5. IL PROBLEMA DI EULERO
Esercizio 26.7: Carichi critici superiori
Determinare lespressione generale per tutti gli autovalori del problema di Eulero e verica-
re che le deformate critiche sono rappresentate da sequenze di archi completi di sinusoide.
Con un procedimento analogo quello sviluppato per la trave di Eulero `e possibile ottenere il
carico critico anche per altre condizioni al contorno, come mostra il seguente esempio.
Esempio 26.1: Instabilit`a di una mensola caricata di punta
Determinare il carico critico di una mensola caricata di punta come in gura 26.30a).
l
x
EJ
C
D
z
y
s
C
D
P
*
D
*
B
B
( )
v s
D

a)
b)
Figura 26.30: Carico critico per una mensola: a) schema statico e b)
rappresentazione della deformata
Assunta, come in gura 26.30b), una generica deformata congruente e consideran-
do (provvisoriamente) lo spostamento
D
dellestremo D come parametro si pu`o scrivere
lespressione del momento ettente:
M
x
(s) = P (
D
v (s))
da cui si ottiene lequazione della linea elastica:
EJ
x
v

(s) = P (
D
v (s))
Ponendo ancora k
2
=
P
EJ
x
, si ha:
v

+k
2
v = k
2

D
che rappresenta una equazione dierenziale simile allequazione 26.7 ma, in questo caso, non
omogenea. In eetti la non omogeneit`a `e solo apparente perche la funzione identicamente
nulla soddisfa lequazione (in tal caso infatti anche
D
`e nullo). Esprimiamo comunque il
risultato in modo generale come somma della soluzione della omogenea associata e di una
soluzione particolare della non omogenea:
v(s) = A
1
sin ks +A
2
cos ks +
D
849
26. STABILIT
`
A
Le C.C. sono per questo caso:
_
_
_
v (0) = 0
v

(0) = 0
v (l) =
D
la terza delle quali rappresenta la denizione del parametro ttizio. Si perviene anche in
questo caso a un sistema lineare omogeneo parametrico:
_
_
0 1 1
1 0 0
sin kl cos kl 0
_
_
_
_
A
1
A
2

D
_
_
=
_
_
0
0
0
_
_
Dalla condizione di singolarit`a per la matrice del sistema deriva una equazione caratteristica
di tipo trigonometrico e, considerando il minimo valore delle sue soluzioni sicamente
signicative, si ottiene il seguente risultato:
P
cr
=
2
EJ
x
(2l)
2
Si pu`o vericare che la deformata instabile nel caso della mensola esaminata nellesempio
precedente `e rappresentata da un quarto di onda come mostrato nella gura 26.31a).
C
D
cr
P
*
D
cr
P
l
2l
a)
b)
Figura 26.31: Trave a mensola caricata di punta: a) deformata critica e b)
trave di Eulero con lo stesso carico critico.
La gura 26.31 evidenzia che la stessa deformata `e ottenuta in una trave di Eulero avente la
stessa sezione ma lunghezza doppia. In eetti i due problemi hanno lo stesso carico critico.
Il risultato precedente pu`o essere generalizzato per tutte le situazioni in cui una trave cari-
cata di punta `e vincolata in modo da potersi instabilizzare assumendo una deformata composta
da tratti di funzione armonica.
`
E utile introdurre la lunghezza libera di inessione o lunghezza
equivalente di Eulero l
Eu
che rappresenta, in modo equivalente:
la lunghezza della trave di Eulero avente la stessa sezione e lo stesso carico critico
la distanza tra due essi della deformata critica.
La formula generale della stabilit`a per varie condizioni di vincolo si pu`o quindi scrivere come:
P
cr
=
2
EJ
x
l
2
Eu
(26.11)
850
26.5. IL PROBLEMA DI EULERO
Esercizio 26.8: Lunghezze libere di inessione
Vericare le lunghezza libere di inessione indicate nello schema di gura 26.32 per una
trave caricata di punta variamente vincolata.
a) b) c) d) e) f) g)
l 2l / 2 l l / 2 l 2l / 4 l
Figura 26.32: Lunghezze libere di inessione per vari tipi di vincolo
Non sempre le condizioni di vincolo consentono di prevedere la lunghezza libera di inessione
in base a considerazioni elementari. Tuttavia, quando `e individuabile una regione entro cui si
colloca la posizione dei essi, si pu`o eettuare una stima del carico critico e, spesso, il risultato `e
sucientemente accurato per molte situazioni di pratico interesse. Consideriamo, per esempio,
il caso rappresentato in gura 26.33 che non rientra nelle situazioni elementari di gura 26.32.
Allinstabilit`a la linea elastica deformata ha sicuramente un esso in D (il momento ettente `e
infatti necessariamente nullo in tale sezione) mentre la posizione dellaltro esso, che indichiamo
con B, non `e immediatamente identicabile.
l
C
D P
s
*
B
Figura 26.33: Carico critico per una mensola con lestremo vincolato
Un intervallo entro cui si pu`o ragionevolmente collocare la posizione del esso B, per esempio
tracciando manualmente una deformata plausibile, `e il seguente:
l
4
< s
B
<
l
3
0.67 <
l
Eu
l
< 0.75
Il problema precedente `e risolto in modo esatto nel seguente esempio nel quale `e mostrato
come applicare il procedimento esatto della linea elastica nella suzioe di problemi di instabilit`a.
851
26. STABILIT
`
A
Esempio 26.2: Mensola con estremo appoggiato
Determinare il carico critico per la trave di gura 26.33 avente sezione uniforme assumendo
un modello piano.
Appena lasse della trave perde la congurazione rettilinea il vincolo allestremo D pu`o
esercitare la sua reazione e il problema diviene iperstatico. In maniera analoga a quanto
fatto nellesempio precedente, adottiamo una variabile di comodo per facilitare la scrittura
dellequazione dierenziale della linea elastica, in questo caso, rappresentata dalla reazione
vincolare Q, come mostrato nella gura 26.34.
Il momento ettente nella congurazione deformata si esprime come:
C
D
P
*
B
( )
v s
Q
Figura 26.34: Schema statico con reazione vincolare parametrica
M
x
(s) = P v (s) +Q (l s)
Con le consuete notazioni si ricava lequazione dierenziale:
v

+k
2
v =
Q
EJ
x
(l s)
che, come nellesempio predente, `e formalmente (ma non sicamente) non omogenea. La
soluzione generale `e la seguente:
v(s) = A
1
sin ks +A
2
cos ks
Q
P
(l s)
Imponendo le condizioni al contorno:
_
_
_
v (0) = 0
v

(0) = 0
v (l) = 0
si ottiene il consueto sistema lineare omogeneo parametrico in P:
_
_
0 1
l
P
1 0
1
P
sin kl cos kl 0
_
_
_
_
A
1
A
2
Q
_
_
=
_
_
0
0
0
_
_
La condizione di singolarit`a della matrice si traduce nellequazione trigonometrica
caratteristica:
tan kl = kl
che pu`o essere risolta gracamente cercando le intersezioni (nel semipiano delle ascisse
positive) tra le funzioni:
_
y = x
y = tan x
852
26.6. VERIFICHE DI STABILIT
`
A
come mostrato in gura 26.35.
Una stima della prima intersezione positiva si pu`o ottenere usando lasintoto verticale
x =
3
2
come approssimazione della funzione tangente e ottenendo:
kl

=
3
2
l
Eu

=
2
3
l
Si ottiene pertanto il valore previsto come limite del dominio per la posizione del
esso nella stima preliminare. Tramite determinazioni numeriche si pu`o migliorare
lapprossimazione del risultato che con precisione alla quarta cifra vale:
kl

= 4.493 l
Eu

= 0.7l
x
y
0 1 2 3 4 5 6
1
2
3
4
5
0
2

3
2

Figura 26.35: Schema per la soluzione graca dellequazione tan kl = kl


26.6 Veriche di stabilit`a
26.6.1 Linstabilit`a nelle strutture
Il fenomeno dellinstabilit`a introduce un nuovo fenomeno che deve essere considerato nella
verica di resistenza delle strutture. Se una trave compressa `e sollecitata oltre il carico critico
presenta infatti un comportamento che in molti casi non `e tollerato.
Lesame completo della trave di Eulero, con la valutazione del suo comportamento post-
buckling (argomento che non `e sviluppato nellambito del corso), mostra una curva carico
assiale - spostamento trasversale massimo P v
max
caratterizzata da una biforcazione simile
a quella osservata per i problemi discreti. In gura 26.36 `e riportato in ascisse il valore della
freccia laterale massima (v
max
= v
_
l
2
_
) allequilibrio per una trave di Eulero ideale in funzione
del carico di punta. Lo spostamento laterale della linea dasse `e nullo (e unico) quando P < P
cr
,
la curva si biforca in corrispondenza del punto B quando `e raggiunta la condizione di instabilit`a
P = P
cr
. Dei tre rami che dipartono dalla biforcazione quello verticale tratteggiato B E,
853
26. STABILIT
`
A
che rappresenta la congurazione di asse rettilineo, `e relativo a condizioni di equilibrio instabile
mentre i rami continui deniscono forme inesse stabili. Per carichi maggiori di quello critico, la
trave tende quindi ad assumere la forma curva (a destra o a sinistra casualmente) e le sue sezioni
devono quindi trasmettere anche caratteristiche essionali. Si osserva che, come nei casi discreti,
la parte iniziale dei rami stabili della curva di biforcazione `e praticamente orizzontale per cui
anche deboli incrementi di carico oltre il valore critico generano spostamenti trasversali notevoli
a cui corrispondono eetti essionali signicativi. Spesso il superamento delle condizioni di
instabilit`a prelude quindi al collasso della trave per presso-essione.
max
v
cr
P P >
cr
P
P
cr
P P <
B
E
Figura 26.36: Graco qualitativo della freccia massima dovuta al carico di
punta nel problema ideale di Eulero con la biforcazione al carico critico
Non sempre tuttavia il fenomeno dellinstabilit`a `e di per se catastroco e vi sono situazioni
in cui alcuni elementi strutturali lavorano normalmente in condizioni di instabilit`a. In questi
casi per`o, sono adottate soluzioni costruttive che limitano le frecce trasversali che la trave pu`o
assumere, per esempio con lintroduzione di opportuni vincoli che intervengono solo a un certa
distanza dalla posizione indeformata.
In certe applicazioni il carico critico `e raggiunto in controllo di spostamento ovvero in mo-
do che la posizione relativa degli estremi della trave con un sistema rigido. In questi casi il
fenomeno dellinstabilit`a diventa autolimitante per il valore del carico di punta e pu`o essere
vantaggiosamente sfruttato. Per chiarire questo concetto, consideriamo di inserire una trave
rettilinea abbastanza essibile in una morsa rigida le cui ganasce sono avvicinate progressiva-
mente. In relazione al tipo di vincolo tra gli estremi della trave e le ganasce si determina una
lunghezza libera di inessione e quindi un carico critico. Allinizio della compressione, nche
la trave rimane rettilinea, la forza di serraggio cresce linearmente (e rapidamente) con lavvi-
cinamento delle ganasce, raggiunto il carico critico la trave perde lassetto rettilineo e assume
la forma denita dal suo primo modo di instabilit`a. Dato che, come mostrato in gura 26.36,
la curva di carico `e crescente anche dopo la biforcazione, il raggiungimento del carico critico
in questo caso non determina nulla di catastroco. In eetti, se superata la condizione critica
si interrompe lavvicinamento delle ganasce, la trave rimane inessa ed esercita sulle ganasce
una coppia di forze il cui modulo `e leggermente superiore al carico critico. Inoltre, se a partire
da tale condizione si riallontanando le ganasce la curva di carico viene ripercorsa a ritroso e la
trave torna alla ne nelle condizioni di partenza. Se invece si procede ad avvicinare le ganasce,
la reazione vincolare rimane quasi costante e pari al valore del carico critico crescendo in modo
lentamente con lavvicinamento delle ganasce. Per una trave sucientemente deformabile es-
sionalmente e realizzata con materiale alto snervante (condizioni tipiche delle molle), le ganasce
possono essere avvicinate in misura signicativa anche molto maggiore (di ordini di grandezza)
854
26.6. VERIFICHE DI STABILIT
`
A
rispetto allavvicinamento che produce linstabilit`a. Lintero processo avviene con il materiale
che si comporta elasticamente per cui pu`o essere anche ripetuto. In questo modo sfruttando
linstabilit`a `e stato realizzato un sistema elastico non lineare che, sopra un denito livello di
spostamento, reagisce con una forza praticamente indipendente dallo spostamento. Tale tipo di
struttura pu`o avere utili applicazioni, in eetti su un principio simile lavorano per esempio le
molle a tazza.
`
E peraltro evidente che, se la struttura opera in controllo di carico, ovvero con un carico
di punta che viene aumentato indipendentemente dallo spostamento del suo punto di applica-
zione, come potrebbe essere il caso del pilastro di sostegno di un serbatoio che viene riempito
progressivamente di liquido, il raggiungimento dellinstabilit`a ha conseguenze completamente
diverse. In tal caso se il carico critico `e superato, per equilibrare il peso imposto, `e necessario
che la trave si deformi molto in direzione laterale e ci`o pu`o produrre eccessive sollecitazioni
essionali le quali, anche prima del raggiungimento dellequilibrio, possono portare il materiale
in condizioni non ammissibili.
Gli eetti dellinstabilit`a di un elemento strutturale devono pertanto essere valutati anche
in relazione al comportamento complessivo della struttura, al grado di ridondanza dei vincoli
(iperstaticit`a) e alle modalit`a con cui i carichi sono applicati.
Questa problematica si manifesta in modo evidente nella verica delle strutture reticolari
di aste la cui analisi statica porta alla determinazione delle forze normali agenti sulle singole
aste. Per i tiranti la verica allo snervamento `e suciente mentre per i puntoni `e ora necessario
confrontare anche il modulo della forza normale con il carico critico allo scopo di vericare se
lelemento `e o meno stabile. Se la struttura reticolare `e isostatica tutti gli elementi sollecitati
sono necessari perche la struttura svolga la sua funzione strutturale e quindi linstabilit`a anche
di un singolo puntone non `e tollerabile. Se la struttura `e iperstatica `e viceversa possibile che
linstabilit`a di uno (o pochi) puntoni possa essere tollerata. Si osservi tuttavia che, in questo
caso, `e necessario sviluppare una completa analisi non lineare post-buckling che non `e argomento
del corso.
26.6.2 La verica delle travi compresse
Nella verica di un elemento compresso su cui agisce la forza normale N < 0 `e quindi
necessario considerare le seguenti condizioni:
snervamento: [
zz
[ =
eq
=
|N|
A
<
am
stabilit`a: [
zz
[ =
|N|
A
<
2 EJ
x
l
2
Eu
A
Ricordando che il raggio dinerzia (vedi D) rappresenta il semiasse dellellisse centrale dinerzia:

2
x
=
J
x
A
la condizione per la verica alla stabilit`a diventa:
[
zz
[ <
2
E

2
x
l
2
Eu
Introducendo il parametro adimensionale

x
=
l
Eu

x
(26.12)
855
26. STABILIT
`
A
chiamato snellezza (slenderness), la relazione si semplica nella seguente:
[
zz
[ <

2
E

2
(26.13)
Le due condizioni per la verica degli elementi compressi possono essere raccolte nel gra-
co generale mostrato in gura 26.37 dove sono riportati con linee tratteggiate i luoghi che
corrispondono alle condizioni di snervamento e di instabilit`a.

zz

zz am
=
2
2 zz
E

=
0

Figura 26.37: Condizione limite di ammissibilit`a per le travi compresse


I punti del primo quadrante che si trovano sotto a entrambe le curve deniscono la regione
di ammissibilit`a in cui il materiale `e in campo elastico e il puntone rettilineo `e in condizioni di
stabilit`a. Il valore di snellezza in cui i due criteri producono la stessa previsione ovvero:

0
=
_
E

am
(26.14)
`e considerato il discrimine tra i puntoni tozzi ( <
0
) e i puntoni snelli ( >
0
). I primi
sono previsti cedere per snervamento i secondi per instabilit`a. Si pu`o osservare che
0
dipende
solo dalle propriet`a di rigidezza e di resistenza del materiale. Nellambito di una stessa classe
di materiali (quindi a parit`a di E), i materiali con elevata resistenza hanno
0
basso per cui
la loro verica `e generalmente dominata dalla condizione di instabilit`a. Nel caso di puntoni in
acciaio si ha:
0
100 per le leghe a basso contenuto di carbonio (acciai dolci o inox austenitici)
mentre
0
40 per gli acciai legati ad alta resistenza (come gli acciai armonici).
Le condizioni per il raggiungimento dello snervamento e dellinstabilit`a possono essere con-
siderate limiti asintotici per cui, come mostrato in gura 26.37, quando la snellezza `e vicina
a
0
il dominio eettivo di ammissibilit`a ha un contorno inferiore a entrambe le curve limite.
Per tali puntoni la plasticit`a gioca un ruolo anche per la stabilit`a e si manifesta un fenomeno
sinergico che pu`o essere modellato. Le normative per la stabilit`a degli elementi in acciaio sug-
geriscono espressioni con cui `e possibile approssimare accuratamente la curva limite anche in
questa zona. Per semplicit`a, nellambito del presente corso `e considerato suciente eettuare
la verica separatamente per i due fenomeni determinando il relativo coeciente di sicurezza e
assumendo il minore dei due.
26.6.3 Considerazioni sulla tridimensionalit`a
Finora sono stati esaminati solo problemi di stabilit`a nel piano, `e per`o necessario sottolineare
che questa ipotesi in molte situazioni non `e giusticata e pu`o portare a previsioni completa-
mente sbagliate. Assumere una deformata piana implica infatti di prevedere implicitamente
856
26.6. VERIFICHE DI STABILIT
`
A
lintervento di vincoli che impediscono allasse della trave di uscire dal piano di modellazione.
Come tutti i vincoli, anche i vincoli di simmetria hanno un eetto stabilizzante per cui la loro
presenza pu`o produrre una signicativa (e pericolosa) sovrastima del carico critico. In termini
sici si pu`o aermare che per quanto risultino rispettate tutte le condizioni per applicare un
modello piano nella soluzione del problema di statica, non vi sono ragioni per cui la deformata
instabile della struttura debba essere piana. La situazione `e illustrata nel seguente esempio.
Esempio 26.3: Mensola IPE
Determinare il massimo carico assiale applicabile alla la mensola di acciaio in gura 26.38
avente sezione IPE 100 UNI 5398-78 con i seguenti dati: E = 206 GPa,
am
= 450 MPa,
A = 10.31 cm
2
,
x
= 4.07 cm,
y
= 1.24 cm, l = 1.2 m (queste unit`a sono tipiche in un
manuale tecnico).
l
z
y
y
x
z
P
y x
J J <
a) b)
Figura 26.38: Mensola di acciaio compressa: a) vista di anco, b)
ingrandimento della sezione
Il massimo valore del carico assiale per lo snervamento `e
P
am
= A
am
= 464 kN
Se consideriamo il problema nel piano della gura 26.38a), il carico critico sarebbe:
P
cr
=
2
EJ
x
(2l)
2
= 603 kN
La trave sembrerebbe quindi tozza e il carico massimo sopportabile dominato dallo sner-
vamento del materiale. Non vi `e tuttavia nessuna ragione per assumere che la deformata
si conservi nel piano y z, nel perdere la stabilit`a la trave potrebbe scegliere infatti di
inettersi nel piano x z. Il carico critico calcolato in questa ipotesi `e:
P
cr
=
2
EJ
y
(2l)
2
= 56.0 kN
Nel piano y z si ha infatti la minima rigidezza essionale ed `e evidente che raggiunto un
carico assiale di 56.0 kN la mensola si instabilizzer`a in tale direzione. Concludiamo quindi
che il massimo carico applicabile `e 56.0 kN e prevediamo una perdita di instabilit`a nel piano
x z.
Nellesempio 26.3 i vincoli e i carichi consentono alla trave di deformarsi in modo libero
in entrambi i piani principali di essione per cui `e facilmente prevedibile che linstabilit`a si
manifesti nella direzione in cui la rigidezza `e pi` u bassa. In casi come questi `e quindi opportuno
che la trave non abbia una grande dierenza di rigidezza essionale nelle sue direzioni principali
857
26. STABILIT
`
A
e quindi la forma ottimale dei puntoni snelli `e tubolare. Il prossimo esempio illustra una
condizione di instabilit`a meno banale.
Esempio 26.4: Stabilit`a di una biella
Per la biella rappresentata in gura 26.39 determinare il migliore rapporto tra i semiassi
dellellisse centrale dinerzia della sua sezione per ottenere la massima stabilit`a in
compressione.
z
y
z
x
x
y
H
H
. Sez H H
l
C
D
a)
b)
Figura 26.39: Biella con il tipico schema di collegamento alle estremit`a: a)
vista di anco, b) vista dallalto
In questo caso lazione dei vincoli `e diversa nei due piani. Come illustrato in gura
26.40, il comportamento della biella `e riconducibile a una trave di Eulero nel piano y z,
con lunghezza di inessione pari a l, mentre nel piano x z le estremit`a sono vincolate in
modo da non inclinarsi per cui la lunghezza libera di inessione `e l/2.
z
y
z
x
D
1 cr
P
C
1 cr
P
D
2 cr
P
C
2 cr
P
a)
b)
Figura 26.40: Schemi per la perdita della stabilit`a della biella nei due piani
principali dinerzia: a) nel piano y z vista di anco e b) nel piano x z vista
dallalto
Pertanto si ha:
P
cr1
=
2
EJ
x
l
2
=
2
EA
l
2

2
x
; P
cr2
=
2
EJ
y
_
l
2
_
2
=
2
EA
l
2
4
2
y
Se vogliamo impedire che vi sia una direzione preferenziale di instabilit`a `e necessario
858
26.6. VERIFICHE DI STABILIT
`
A
imporre luguaglianza dei due carichi critici da cui risulta:

x
= 2
y
e quindi:
J
x
= 4J
y
Il seguente esempio dimostra limportanza dei fori da centro per le forature eseguite con
punte da trapano lunghe.
Esempio 26.5: Stabilit`a di una punta di trapano
Stimare di quanto pu`o essere aumentata la forza di penetrazione che si pu`o esercitare
su una punta da trapano che fora una supercie piana se la foratura `e precedentemente
preparata con un foro da centro.
Se si vuole considerare leettiva elicoidalit`a della punta, lanalisi della stabilit`a `e un
problema tridimensionale piuttosto complesso. Per semplicare, trascuriamo leetto irri-
gidente dei proli elicoidali e assumiamo come elemento strutturale solo lanima circolare
della punta. Con questa ipotesi, che `e anche cautelativa, lellisse dinerzia `e un cerchio per
cui non si identicano direzioni preferenziali di perdita della stabilit`a. Sempre per sempli-
cit`a, trascuriamo anche la variazione di rigidezza della punta in funzione della posizione
assiale. Gli schemi di foratura nei due casi sono schematizzati in gura 26.41.
a) b)
Figura 26.41: Schemi di perdita della stabilit`a di una punta da trapano: a)
foratura su una supercie non preparata, b) foratura dopo lesecuzione di un
foro da centro.
Se il foro `e eseguito senza preparazione, la punta quando arriva a contatto con la
supercie non risente di signicativi vincoli laterali per cui si composta come una mensola
e la sua lunghezza di libera di inessione `e due volte la sua lunghezza 2l. Nel caso b) invece
il foro da centro impedisce allestremo della punta di spostarsi fuori asse per cui lo schema
di vincolo `e riconducibile a un appoggio e la lunghezza libera di inessione `e 0.7l. Data la
859
26. STABILIT
`
A
dipendenza dal quadrato della snellezza, si ottiene:
P
cr,b
= 8P
cr,a
ovvero che il foro da centro ha prodotto un incremento di stabilit`a di quasi un ordine di
grandezza.
In alcune strutture snelle soggette a compressione sono impiegati elementi al solo scopo di
aumentare la stabilit`a. Consideriamo come esempio il traliccio di gura 26.42 e supponiamo che
sia soggetto a un carico di compressione. Si verica che gli elementi che trasmettono il carico
sono i montanti mentre gli elementi trasversali, chiamati rompitratta, sono di fatto scarichi. I
rompitratta sono per`o di fondamentale per il funzionamento del traliccio in quanto impediscono
ai montanti di instabilizzarsi con lunghezze di inessione pari alla loro lunghezza. I rompitratta
svolgono infatti la funzione di limitare la lunghezza libera di inessione dei montanti e quindi
aumentano la capacit`a portante della struttura anche se non trasmettono direttamente il carico.
montante
rompitratta
Figura 26.42: Schema di traliccio
26.7 Eetto dei carichi trasversali (*)
Finora sono state considerate travi rettilinee sollecitate da carichi centrati sullasse che, in
condizioni di stabilit`a, producono solo compressone. In queste condizioni lo spostamento tra-
sversale della trave `e nulla no al raggiungimento dellinstabilit`a e non vi sono eetti essionali
prima del superamento del carico critico, come mostrato nella gura 26.36. Spesso lelemento
compresso `e per`o soggetto anche a carichi trasversali oppure il carico di punta non `e perfetta-
mente centrato per cui le deessioni e le conseguenti sollecitazioni essionali sono presenti anche
prima del raggiungimento del carico critico. In queste circostanze il primo passo per la verica
consiste nelleseguire la solita analisi basata sulla sovrapposizione degli eetti in cui i due eetti
(prodotti dalla forza normale e dalla essione) sono considerati separatamente. Tuttavia se le
trave `e particolarmente essibile e il materiale `e alto snervante (come nel caso delle molle) `e
possibile che vi sia un eetto sinergico delle due caratteristiche di sollecitazione per cui la forza
normale contribuisce alla deessione. In gura 26.43 `e illustrato il comportamento di una trave
snella e essibile sottoposta a un carico trasversale pi` u un carico di punta.
860
26.7. EFFETTO DEI CARICHI TRASVERSALI (*)
B
v
cr
P
P
( ) p s
B
0B
v
( ) p s
B
0B
v
B
v
P
a)
b)
c)
Figura 26.43: Trave snella presso-inessa: a) carico trasversale da solo e
relativa deformate, b) lintroduzione del carico assiale produce un incremento
anche della freccia essionale (eetto di ordine 2), c) andamento della curva
che fornisce il carico assiale in funzione dello spostamento massimo in confronto
con la situazione di carico trasversale nullo.
Per ssare le idee, consideriamo di applicare alla trave prima il carico laterale e quindi
il carico assiale ricordando che, in ipotesi di elasticit`a del materiale, il risultato nale non
dipende dalla sequenza di caricamento. In presenza del solo carico laterale p (s) lo spostamento
trasversale, che `e indicato con v
0
(s), pu`o essere ottenuto con i soliti metodi (linea elastica o
integrale di Mohr) sulla base dellandamento del momento ettente. Se la trave non `e molto
rigida essionalmente, lo spostamento trasversale prodotto da carichi trasversali produce un
signicativo braccio per il carico assiale successivamente applicato e quindi anche questultimo
contribuisce a incrementare il momento ettente e quindi la freccia nale che `e indicata con
v (s).
`
E evidente che nellambito dei corpi poco deformabili tale eetto sinergico `e trascurabile
e diventa importante solo per travi snelle.
Come si vede, la curva di carico assiale-spostamento massimo `e diversa da quella prevista
nel caso di carico assiale puro:
la curva non parte dallorigine
non vi `e nessun tratto perfettamente verticale anche se la prima parte `e molto ripida
scompare una vera e propria biforcazione e quindi un evidente fenomeno di instabilit`a
quando il carico assiale approssima il carico critico, lo spostamento trasversale tende per`o
a diventare molto marcato e generalmente le conseguenti tensioni non sono pi` u tollerabili
il verso dello spostamento trasversale della trave al raggiungimento del carico critico non
`e pi` u casuale ma `e indirizzato nel verso degli spostamenti prodotti dal carico iniziale.
861
26. STABILIT
`
A
Per quanto una analisi completa del fenomeno richiederebbe un approccio non lineare (al-
meno per i grandi spostamenti), `e stato vericato che lo spostamento trasversale pu`o essere
ragionevolmente approssimato dalla seguente relazione (di natura semiempirica) che pu`o essere
usata per stimare leetto sinergico del carico assiale sulla deformata essionale:
v (s)
v
0
(s)
1 +
N
P
cr
La relazione dimostra che leetto amplicante del carico assiale si manifesta solo quando la
forza normale (che nella relazione deve essere riportata con il suo segno) `e una frazione signi-
cativa del carico critico. Quando N P
cr
la relazione indica che lo spostamento trasversale
(e quindi anche il momento ettente) tende a innito e riproduce lasintoto orizzontale previsto
dalla soluzione elementare di Eulero.
La relazione precedente `e ancora valida, sia pure con le medesime approssimazioni, anche
se la forza assiale produce trazione (N > 0). In questo caso il carico assiale tende a ridurre
la freccia dovuta al carico trasversale perche incrementa il denominatore. Nelle travi snelle,
pertanto, una forza normale positiva ha per la essione un eetto irrigidente (stress stiening)
mentre una forza normale di compressione ha una azione deformante (stress softening)
26.8 Metodi approssimati per la determinazione del carico cri-
tico (*)
Spesso il tipo di vincolo o di carico `e diverso dai casi elementari esaminati oppure la trave
ha sezione variabile e non `e ottenibile una lunghezza libera di inessione in modo da poter
ricondurre immediatamente il problema a una trave di Eulero equivalente. La soluzione basata
sullimposizione dellequilibrio in condizioni deformate `e un metodo generale ma spesso, come
per tutti i procedimenti basati sulla linea elastica, oneroso dal punto di vista computazionale.
Spesso `e per`o suciente ottenere una ragionevole approssimazione del carico critico perche
questo non sempre costituisce un limite stringente alla verica. In molto casi pratici una
precisione relativa del (20 30)% `e pi` u che suciente e lapproccio approssimato per la stima
del carico critico basato sullapproccio energetico descritto in questo paragrafo `e quindi molto
utile.
Per illustrarlo riprendiamo il caso elementare rappresentato gura 26.44 della mensola com-
pressa la cui soluzione esatta `e nota e per il quale valutiamo il carico critico con il metodo
energetico.
C

P
B
( ) v s
P
*
B
D
*
D
ds
d
s

d
a) b)
Figura 26.44: Mensola caricata di punta: a) schema della deformata, b)
proiezione assiale di un elemento innitesimo di linea
Ipotizziamo che, con il carico assiale applicato, un agente perturbante, la cui causa non `e
rilevante, modichi la forma della linea dasse. Supponiamo inoltre che tale perturbazione sia
862
26.8. METODI APPROSSIMATI PER LA DETERMINAZIONE DEL CARICO CRITICO (*)
compatibile con i vincoli, interni ed esterni, e sia di piccola entit`a in modo che la deformata
della trave possa essere adeguatamente descritta con i consueti modelli della meccanica dei
corpi deformabili. Nel caso in gura 26.44 la perturbazione della linea dasse `e denita da
una funzione v (s) che, per rispettare i vincoli di congruenza interni, deve avere una suciente
regolarit`a (continua e derivabile) e, per rispettare il vincolo esterno di incastro, deve essere
nulla e con tangente nulla nellorigine (v (0) = v

(0) = 0). La presenza di tale perturbazione si


giustica energeticamente (quindi si pu`o autosostenere) solo se il bilancio energetico `e favorevole,
ovvero se, in corrispondenza della nuova congurazione, il potenziale totale `e inferiore rispetto
alla condizione di asse rettilineo.
Lapproccio energetico per i problemi continui `e pertanto fondato su basi analoghe a quello
impiegato nei problemi con un numero nto di gradi di libert`a. Vi `e per`o una signicativa
dierenza formale perche, in questo caso, il potenziale totale non `e una semplice funzione di
un numero nito di coordinate lagrangiane ma `e un funzionale (v) che dipende dagli inniti
gradi di libert`a della deformata, ovvero dalla funzione v (s). Nellipotesi che la funzione v (s)
sia nota, `e peraltro possibile valutare la variazione di potenziale, o il semplice potenziale se
si assume, come `e consuetudine, che il suo valore sia nullo quando la trave `e essionalmente
indeformata v (s) = 0:
(v) = U (v) L(v)
Lenergia elastica richiesta per consentire la distorsione v (s) `e data da:
U (v) =
l
_
0
1
2
EJ
x
_
v

(s)
_
2
ds
mentre il lavoro fatto dalle forze esterne nella distorsione stessa `e esprimibile come:
L(v) = P
dove `e lo spostamento assiale del punto D di applicazione del carico che si verica in conse-
guenza della distorsione (gura 26.44). Si deve ricordare che lo spostamento del punto D si
manifesta mentre il carico P `e agente e, di conseguenza, nellespressione del lavoro non compare
il solito fattore 1/2. Nel caso esaminato, dato che siamo interessati alla sola determinazione del
carico critico e quindi lo spostamento trasversale della linea dasse v (s) pu`o assunto piccolo, la
forza assiale nei conci deformati pu`o essere considerata sempre data da N = P. Lo sposta-
mento assiale di D non `e quindi inuenzato dalla forza assiale ma `e dovuto solo allinclinazione
dei conci della trave. Sempre per la piccolezza della funzione v (s) `e lecito assumere:
(s) = v

(s)
per cui la riduzione della proiezione del concio innitesimo generico di estensione assiale ds nella
direzione dellasse indeformato `e data da:
d = (1 cos ) ds

=

2
2
ds
Lespressione del lavoro fatto dal carico diventa quindi:
L(v) = P
l
_
0
d = P
l
_
0
1
2
_
v

(s)
_
2
ds
863
26. STABILIT
`
A
Il funzionale nale che esprime il potenziale totale diventa quindi:
(v) =
l
_
0
1
2
EJ
x
_
v

(s)
_
2
ds P
l
_
0
1
2
_
v

(s)
_
2
ds
Se tale quantit`a `e positiva, la congurazione iniziale `e stabile mentre se `e negativa lequilibrio
`e instabile. Il problema `e quindi spostato alla individuazione della funzione v (s) da usare
nellespressione del funzionale da cui dipende il segno del risultato.
Il caso della mensola in esame `e noto, per cui sappiamo che, in condizioni di perdita della
stabilit`a, la trave tende a inettersi assumendo la forma di un quarto di arco di coseno. Nel
seguente esempio `e analizzato il funzionale in tale condizione.
Esempio 26.6: Soluzione esatta
Con riferimento alla gura 26.44, determinare il potenziale totle assumendo la deformata
esatta che si manifesta in condizione di instabilit`a:
v (s) = a
_
1 cos
s
2l
_

Come discusso, la deformata critica `e denita a meno di un fattore moltiplicativo


arbitrario (nellespressone indicata rappresentato dallampiezza a) il quale non ha eetto
sulla forma della linea dasse ma solo sullentit`a dello spostamento il quale `e eettivamente
indeterminato nelle condizioni di instabilit`a. Con tale scelta per v (s) si ottiene:
v

(s) = a

2l
sin
_
s
2l
_
; v

(s) = a

2
4l
2
cos
_
s
2l
_
per cui, come prevedibile, lo stesso fattore moltiplicativo arbitrario a `e presente in tutte le
derivate della funzione. Il potenziale diventa quindi:
(v) =
l
_
0
1
2
EJ
x
_
a

2
4l
2
cos
_
s
2l
_
_
2
ds P
l
_
0
1
2
_
a

2l
sin
_
s
2l
__
2
ds
(v) =

4
64l
3
EJ
x
a
2
P

2
16l
a
2
=

2
a
2
64l
3
_

2
EJ
x
4Pl
2
_
e, come era da attendersi, `e una funzione quadratica del fattore a.Il coeciente del termine
a
2
ha il segno della derivata seconda del potenziale che coincide con il segno della quantit`a:

2
EJ
x
4Pl
2
Il potenziale presenta pertanto un minimo locale (e quindi la congurazine indeformata
`e stabile) se tale quantit`a `e positiva mentre il potenziale ha un massimo locale se tale
quantit`a `e negativa (congurazione indeformata instabile). Il discrimine, che fornisce la
condizione di carico critico, si ottiene quindi imponendo nulla la derivata seconda e quindi:
P
cr
=
2
EJ
x
(2l)
2
= 2.467
EJ
x
l
2
864
26.8. METODI APPROSSIMATI PER LA DETERMINAZIONE DEL CARICO CRITICO (*)
Possiamo concludere che se nel procedimento descritto `e usata come deformata perturbata
quella che eettivamente si verica nellinstabilit`a (a meno di un fattore moltiplicativo arbi-
trario), la condizione che deriva dallannullamento del coeciente del termine quadratico del
potenziale fornisce il carico critico esatto. In formule si ha quindi:
= 0 P
cr
=
l
_
0
1
2
EJ
x
(v

(s))
2
ds
l
_
0
1
2
(v

(s))
2
ds
Dal punto di vista operativo per`o questo procedimento mostra una criticit`a: come pu`o essere
applicato se la forma assunta dalla linea dasse in condizioni di instabilit`a non `e nota? In pratica
`e infatti presumibile che la conoscenza dellautovettore sia pi` u dicile da ottenersi della cono-
scenza dellautovalore corrispondente. Lutilit`a pratica del metodo proposto consiste nel fatto
che una stima del carico critico si ottiene anche assumendo una ragionevole approssimazione
della deformata (dellautovettore). Per rendersene conto `e utile il seguente esempio.
Esempio 26.7: Soluzione approssimata con deformata parabolica
Applicare la procedura energetica nel caso in cui si assuma come deformata della linea
dasse una parabola.
Per rispettare le condizioni di vincolo e la congruenza e garantire che la funzione
di spostamento che rappresenta la perturbazione sia denita a meno di una costante
moltiplicativa arbitraria assumiamo:
v (s) = a
_
s
l
_
2
Con questa parametrizzazione il coeciente moltiplicativo a rappresenta sicamente lo
spostamento massimo della trave. Il calcolo dei termini del potenziale `e elementare:
U (v) =
l
_
0
1
2
EJ
x
_
2a
l
2
_
2
ds = 2
EJ
x
l
2
a
2
L(v) = P
l
_
0
1
2
_
2
as
l
2
_
2
ds = P
2
3
a
2
l
Sempre imponendo lannullamento del coeciente del termine quadratico a
2
, si ottiene il
carico critico approssimato:
P
cr
= 3
EJ
x
l
2
Osserviamo che lespressione ottenuta per il carico critico nellesempio precedent `e dimen-
sionalmente esatta e contiene la corretta dipendenza da tutte le grandezze del problema. Il
valore `e per`o sovrastimato e questo esisto `e sistematico e facilmente giusticabile. Assumere
infatti una deformata diversa da quella che eettivamente si manifesta nellinstabilit`a equivale
a condizionare la trave a deformarsi in un modo particolare, ovvero a introdurre, in modo in-
diretto, forme di vincoli interni alla trave. Come tutti i vincoli, anche questi hanno un eetto
stabilizzante e quindi producono una sovrastima del carico critico.
865
26. STABILIT
`
A
Lesempio mostra quindi che assumendo per la deformata una generica funzione v (s) in
generale si ha:
P
cr

l
_
0
1
2
EJ
x
(v

(s))
2
ds
l
_
0
1
2
(v

(s))
2
ds
con il valore minimo che `e il carico critico esatta che si ottiene quando viene usata la forma
che denisce il primo modo di perdita della stabilit`a. La relazione precedente ore anche vari
suggerimenti che permettono di eettuare stime pi` u accurate (o approssimazioni successive) del
carico critico.
Lespressione dellenergia elastica immagazzinata nella trave inessa pu`o essere espressa
anche tramite la relazione:
U =
l
_
0
1
2
(M
x
(s))
2
EJ
x
ds
in cui `e esplicitato il momento ettente invece della curvatura. Nel caso in cui il metodo
energetico sia applicato usando la funzione v (s) corretta, il calcolo dellenergia elastica con le
due formule porta allo stesso risultato e il carico critico previsto `e lo stesso. Vi possono invece
essere dierenze nel calcolo dellenergia, e quindi del carico critico, quando lespressione usata
per v (s) `e approssimata. Dato che si ha genralemnte una maggiore condenza nella previsione
della funzione spostamento rispetto alla sua derivata seconda, la stima dellenergia che si ottiene
integrando il momento `e di solito migliore e conseguentemente risulta pi` u corretto il valore del
relativo carico critico. Il seguente esempio dimostra questa aermazione.
Esempio 26.8: Energia ottenuta con il momento
Applicare la procedura energetica nel caso in cui si assume una parabola come deformata
della linea dasse e si valuti lenergia sulla base del momento invece della curvatura.
Assumendo lo stesso modello per la perturbazione:
v (s) = a
_
s
l
_
2
il momento ettente dovuto al carico di punta `e dato da:
M
x
(s) = P (v (l) v (s)) =
aP
l
2

_
l
2
s
2
_
e quindi la curvatura stimata dal momento `e:
k
x
(s) =
aP
l
2
EJ
x

_
l
2
s
2
_
Questa espressione `e pi` u verosimile della precedente approssimazione in cui la curvatura
era assunta costante, per esempio prevede correttamente lannullamento della curvatura
allestremit`a s = l. Lespressione dellenergia diventa:
U =
l
_
0
1
2
_

aP
l
2

_
l
2
s
2
__
2
EJ
x
ds =
4
15
a
2
P
2
l
EJ
x
866
26.8. METODI APPROSSIMATI PER LA DETERMINAZIONE DEL CARICO CRITICO (*)
da cui il potenziale totale:
=
4
15
a
2
P
2
l
EJ
x
P
2
3
a
2
l
=
2
3
a
2
Pl
EJ
x
_
2
5
P
EJ
x
l
2
_
Imponendo, come nellesempio precedente, lannullamento del coeciente che moltiplica a
2
si ottiene:
P
cr
= 2.5
EJ
x
l
2
Si osservi che il valore esatto che `e P
cr
= 2.467
EJ
x
l
2
La sovrastima rispetto al valore esatto in questa valutazione `e solo del 1.3% contro il 22%
del caso precedente. Il semplice miglioramento della previsione dellenergia elastica ha prodotto
una valutazione del carico critico che, da un punto di vista tecnico, pu`o essere considerata
soddisfacente.
La consapevolezza che il metodo energetico approssimato determina necessariamente una
sovrastima del carico critico permette di applicare anche procedimenti che permettono il mi-
glioramento della stima (successive approssimazioni) come illustrato nel seguente esempio.
Esempio 26.9: Anamento del modello approssimato
Aumentare la precisione di stima del carico critico della mensola con il metodo energetico
con una opportuna scelta della funzione di deformazone.
Usiamo una approssimazione polinomiale di grado superiore con le solite limitazioni
sulle condizioni di compatibilit`a. Un modello deformativo descritto da una espressione del
tipo:
v (s) = a
_
_
s
l
_
2
+
_
s
l
_
3
_
in cui `e un parametro adimensionale che pu`o essere scelto opportunamente, `e poten-
zialmente migliorativo rispetto al caso precedente perche lo contiene come caso particolare
( = 0). Impostando il calcolo come nellesempio precedente si ottiene una stima del carico
critico per ogni valore di , formalmente: P
cr
(). Il procedimento `e facilmente programma-
bile con un calcolatore che permette di valutare gli integrali in forma numerica e quindi di
ottenere una tabulazione della funzione P
cr
(). Appare evidente che la soluzione migliore
`e quella che determina il carico critico pi` u basso. Il lettore interessato pu`o vericare che
per il caso in esame valutando lenergia tramite il momento ettente la miglior stima si ha
per = 0.283 e che con tale valore si ha:
P
cr
= 2.468
EJ
x
l
2
una previsione aetta da una sovrastima di solo 0.03%.
I seguenti esercizi ed esempi evidenziano le potenzialit`a del metodo energetico approssimato.
867
26. STABILIT
`
A
Esercizio 26.9: Mensola a due diametri
La mensola a due diametri, in cui la parte a diametro maggiore ha momento dinerzia
assiale J doppio della parte a diametro minore, pu`o essere vincolata nei due modo
rappresentati in gura 26.45. Usando il metodo energetico vericare che i carichi critici
(approssimati) sono:
P
cr,a
= 2.07
EJ
x
l
2
; P
cr,b
= 1.35
EJ
x
l
2
P
P
a) b)
/ 2 l
/ 2 l
J
/ 2 J
/ 2 J
J
Figura 26.45: Mensola a due diametri: a) irrigidimento nella zona di incastra
b) irrigidimento nella zona di estremit`a
Esercizio 26.10: Mensola con sezione variabile
Determinare il carico critico della mensola in gura 26.46 avente lunghezza l e una sezione
circolare con diametro variabile lungo lasse in modo che il momento dinerzia assiale `e dato
dalla relazione:
J
x
(s) = J
_
1
s
2l
_
P
s
Figura 26.46: Mensola caricata di punta con sezione uniformemente variabile
868
26.8. METODI APPROSSIMATI PER LA DETERMINAZIONE DEL CARICO CRITICO (*)
Nota. Con un modello di deessione cubica del tipo:
v (s) = a
_
_
s
l
_
2
+
_
s
l
_
3
_
si ottiene il valore minimo per = 0.19 a cui corrisponde: P
cr
= 2.06
EJ
l
2
.
Esempio 26.10: Mensola con carico distribuito
Valutare la condizione di criticit`a per una mensola di gura 26.47 caricata assialmente in
modo uniformemente distribuito (schema di una colonna soggetta al peso proprio).
q
s
Figura 26.47: Mensola verticale soggetta a un carico assiale uniformemente
distribuito
Il calcolo del lavoro fatto dalla forza esterna in questo caso `e leggermente pi` u complicato.
Considerando un elemento di trave di lunghezza ds posto a distanza s
1
dallincastro, il
lavoro elementare fatto dalla forza esterna localmente agente qds vale infatti:
dL = qds (s
1
)
dove (s
1
) `e lo spostamento assiale della sezione dovuto alla perturbazione e quindi dato
da:
(s
1
) =
s
1
_
0
1
2
_
v

(s)
_
2
ds
Il lavoro complessivo fatto del carico risulta quindi:
L =
l
_
0
(s
1
)qds
1
=
q
2
l
_
0
s
1
_
0
_
v

(s)
_
2
dsds
1
Usando la solita rappresentazione cubica con il parametro ottimale = 0.4 si ottiene il
risultato:
q
cr
= 7.84
EJ
l
3
La soluzione analitica, che in questo caso si pu`o ottenere con un procedimento piuttosto
complesso che sfrutta anche delle funzioni di Bessel, fornisce la soluzione:
q
cr
= 7.83
EJ
l
3
869
Parte IV
Appendici
871
Appendice A
Sistemi di riferimento e quantit`a
vettoriali e tensoriali
In questa appendice sono richiamate le nozioni fondamentali che consentono di trattare
le grandezze geometriche e siche in forma matematica. Dopo lintroduzione dei sistemi di
riferimento cartesiani sono illustrate le fondamentali propriet`a e le operazioni elementari sui
vettori. Sono richiamate le regole che consentono di rappresentare le componenti di un vettore in
diversi sistemi di riferimento cartesiani. I paragra 8 e 9 sono dedicati alle propriet`a elementari
dei tensori e alle regole per valutare la loro rappresentazione in diversi sistemi di riferimento.
Nellultimo paragrafo sono fornite indicazioni utili per limpiego di sistemi di coordinate non
cartesiane, in particolare cilindriche e sferiche.
A.1 Sistemi cartesiani ortonormali destrorsi
Ladozione di un sistema di coordinate consente di rappresentare grandezze geometriche e
siche anche di natura complessa (vettori, tensori) sotto forma di insiemi ordinati di quantit`a
scalari, dette componenti. La rappresentazione in componenti rende possibile luso delle regole
dellAlgebra e dellAnalisi Matematica nella soluzione dei problemi in cui le grandezze vettoriali
sono impiegate.
Una delle caratteristiche fondamentali che rende tale una legge sica consiste nellindi-
pendenza dallosservatore e dal sistema di coordinate associato. Tale invarianza, detta anche
principio di relativit`a, conferisce oggettivit`a alla interpretazione dei fenomeni sici perche
implica che osservatori diversi concordino sulla previsione del fenomeno che si vericher`a. Dal
principio di relativit`a consegue la possibilit`a di scegliere osservatore e sistema di coordinate in
modo conveniente allo scopo di rendere pi` u semplice la descrizione matematica del fenomeno.
Proprio per questa generalit`a, `e per`o opportuno convenire su un sistema di coordinate che, sal-
vo indicazioni contrarie, sar`a considerato di denizione. Quando non diversamente specicato,
il sistema di coordinate sar`a Cartesiano Ortonormale Destrorso (C.O.D.). Conseguentemente,
molte relazioni ottenute tra le componenti delle grandezze siche (in particolare quelle vetto-
riali) sono formalmente valide solo in questo riferimento e quindi, adottarne uno diverso pu`o
richiedere ladeguamento delle formule, anche se solo per il valore di qualche segno.
Il sistema C.O.D. usato per rappresentare lo spazio tridimensionale (talvolta chiamato spa-
zio Euclideo) `e denito da tre versori (vettori adimensionali di modulo unitario) mutuamente
perpendicolari. La posizione relativa dei versori non `e completamente arbitraria, dovendo essere
soddisfatte le seguenti regole:
lorigine (punto O) pu`o essere ssata arbitrariamente: vi sono
3
possibilit`a;
873
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
il primo versore, generalmente indicato con il simbolo

i, ha direzione e verso arbitrari
(laccento circonesso al posto della freccia indica un versore), per questa scelta vi sono
2
possibilit`a (tante quante sono le posizioni che pu`o assumere la punta di

i che appartiene
alla supercie sferica di centro O e raggio unitario);
il secondo versore (simbolo

j) deve essere perpendicolare a

i, di questi versori ve ne sono

1
tanti quanti i punti di una circonferenza di raggio unitario con centro O giacente su
un piano la cui normale `e

i;
il terzo versore (simbolo

k) deve essere perpendicolare sia a

i sia a

j. Il fatto che i versori
formino, a due a due, angoli retti si indica dicendo che il sistema `e Cartesiano Orto-
gonale, il fatto che essi abbiano la medesima lunghezza (unitaria) conferisce al sistema
la caratteristica di normalit`a. Si pu`o osservare che vi sono solamente due possibilit`a
per il terzo versore, corrispondenti ai versi della retta normale al piano passante per O e
contenente le direzioni di

i e

j. Il sistema `e destrorso (right-handed) se il versore

k `e
scelto in uno dei seguenti modi equivalenti:
1. la punta del versore

k appartiene al semispazio dal quale si vede il secondo versore

j
ottenuto come rotazione antioraria (positiva) del primo versore

i di 90

;
2. il versore

k ha il verso di avanzamento di una vite destra fatta ruotare nel senso
con cui

i si sovrappone a

j percorrendo langolo minimo (di 90

). Al posto della
vite pu`o essere usata anche la mano destra: incurvando le quattro dita dallindice
al mignolo nel senso di far sovrapporre

i a

j percorrendo langolo minimo, il pollice
risulta equiverso a

k;
3. disponendo pollice indice e medio della mano destra in modo che siano a due a due
perpendicolari: pollice, indice e medio sono equiversi rispettivamente a

i,

j e

k.
I versori cos` ottenuti:

i,

j e

k sono detti versori base del sistema di riferimento. Nella gura A.1
`e fornita una tipica rappresentazione assonometrica di un sistema C.O.D..
`
E opportuno ricorda-
Figura A.1: Sistema cartesiano ortonormale destrorso
re che il concetto di verso di rotazione, orario (clockwise) o antiorario (counterclockwise),
pu`o essere ambiguo quando si descrivono moti o posizioni angolari nello spazio. Volendo uti-
lizzare tale nozione, `e necessario specicare il punto di osservazione: le lancette dellorologio
si muovono in senso orario se il quadrante `e osservato direttamente, ma si vedrebbero girare
in senso antiorario se si potessero osservare in trasparenza dalla parte della cassa dellorologio.
Tale ambiguit`a non si manifesta quando i versi di rotazione sono deniti in base alla regola della
mano destra.
Gli assi del sistema C.O.D. sono rette passanti per O e contenenti uno dei tre versori appena
deniti:
il primo asse, parallelo a

i, `e indicato con la lettera x (oppure con x
1
)
874
A.2. RAPPRESENTAZIONE DEI VETTORI
il secondo asse, parallelo a

j, `e indicato con la lettera y (oppure con x
2
)
il terzo asse, parallelo a

k, `e indicato con la lettera z (oppure con x
3
)
Pu`o essere utile osservare che in alcuni testi i sistemi cartesiani ora deniti sono chiamati levogiri
invece che destrorsi. Peraltro, anche se si tratta di una mera questione convenzionale, un termine
che si riferisce alla sinistra per indicare un sistema denito con una regola basata sulla mano
destra pu`o essere causa di confusione. Per questo motivo nel corso si user`a sistematicamente
solo il temine destrorso.
Un sistema cartesiano in cui lasse z ha la direzione opposta `e chiamato sinistrorso (left-
handed). Dato un sistema destrorso, se si cambia il verso di uno degli assi, si ottiene un
sistema sinistrorso (e viceversa).
Nei problemi piani gli assi cartesiani sono solo due, solitamente: x e y. Se gli assi di un
sistema piano sono rappresentati, come frequentemente, in modo che y si ottiene da x per
rotazione antioraria di 90

, possiamo aermare che, in una naturale estensione tridimensionale


C.O.D., stiamo osservando il piano x y da un punto caratterizzato da una z positiva. Nei
problemi piani il punto di vista `e pertanto implicito nella rappresentazione degli assi e quindi il
verso di rotazione, orario o antiorario, non `e ambiguo. Nei problemi piani il verso antiorario `e
generalmente assunto come positivo per denire il segno delle rotazioni (coordinate angolari) e
delle grandezze da queste derivate (per esempio velocit`a e accelerazioni angolari).
A.2 Rappresentazione dei vettori
Un generico vettore nello spazio `e individuato da una terna di quantit`a scalari (dette com-
ponenti del vettore) che rappresentano le proiezioni (con il relativo segno) del vettore sugli assi
di riferimento nellordine stabilito. Allo scopo di usare le regole dellalgebra matriciale nel trat-
tamento dei vettori, si conviene di considerare i vettori come matrici composte di una colonna
e tre righe (due righe nel caso di vettori piani). Per trasformare il vettore in una matrice riga si
esegue loperazione di trasposizione.
In certi casi per caratterizzare una grandezza vettoriale `e fondamentale denirne anche il
punto di applicazione (si parla in questo caso di vettori applicati), talvolta questa specicazione
non `e rilevate (vettori liberi). Un vettore applicato `e descritto da una coppia di vettori: uno
rappresenta le componenti del vettore stesso laltro le componenti del vettore posizione del suo
punto di applicazione.
Nel seguito sono riportate diverse forme usate per rappresentare un vettore o sue caratteri-
stiche:
1. rappresentazione sintetica:

F
2. rappresentazione del modulo:

= F
3. versore corrispondente:

F =

F/F
4. rappresentazione in termini di componenti vettoriali:

F = F
x

i + F
y

j + F
z

k oppure

F =
F
1

i +F
2

j +F
3

k
5. rappresentazione come matrice: F =
_
_
F
x
F
y
F
z
_
_
oppure
_
_
F
1
F
2
F
3
_
_
e quindi :
F
T
=
_
F
x
F
y
F
z
_
=
_
F
1
F
2
F
3
_
875
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
6. rappresentazione in termini di componenti scalari: F
i
. Si considera che lindice i assume
tutti i valori in un insieme nito di interi con numerosit`a pari alla dimensione del vettore
stesso. Se il vettore `e denito nello spazio: i = 1, 2, 3, mentre nel piano i = 1, 2. Per identi-
care i pedici si usano generalmente lettere latine minuscole: i, j, k, m, n, q, r, s... le prime
non devono essere confuse con i versori cartesiani. Questa notazione `e particolarmente
utile per rappresentare operazioni tra quantit`a che hanno uno o pi` u indici.
Dalla regola per ottenere il versore di un vettore dato, detta normalizzazione, si ricava che il
versore conserva solo le caratteristiche geometriche di direzione e verso del vettore originario,
perdendo la propriet`a di intensit`a e le dimensioni siche. Il modulo di un vettore rappresentato
in componenti cartesiane si ottiene dal teorema di Pitagora:
F =
_
F
x
2
+F
y
2
+F
z
2
=
_
F
1
2
+F
2
2
+F
3
2
Questa relazione pu`o anche essere scritta in forma pi` u compatta come:
F =

_
3

i=1
F
i
2
oppure, dato che il campo di variazione dellindice `e implicito nel problema anche:
F =

i
F
i
2
`
E talvolta adottata la convenzione di Einstein sugli indici ripetuti. La presenza di un indice
che compare due volte in una espressione monomia sottintende loperazione di somma su tutto
lintervallo di variazione dellindice stesso, per cui il modulo si esprime come:
F =
_
F
i
F
i
A.3 Operazioni con i vettori
A.3.1 Somma algebrica
Si verica immediatamente che le operazioni di somma e dierenza tra vettori, che sono
denite in base alla regola del parallelogramma, coincidono con le equivalenti operazioni di
somma e dierenza dei trinomi delle componenti:
(F
x

i +F
y

j +F
z

k) + (R
x

i +R
y

j +R
z

k) = (F
x
+R
x
)

i + (F
y
+R
y
)

j + (F
z
+R
z
)

k)
e anche che il vettore

F +

R pu`o essere espresso in forma di matrice dalla somma matriciale
degli addendi: F +R essendo:

F +

R =
_
_
F
x
F
y
F
z
_
_
+
_
_
R
x
R
y
R
z
_
_
=
_
_
F
x
+R
x
F
y
+R
y
F
z
+R
z
_
_
In termini di componenti:
F
i
+R
i
Perche la somma (o dierenza) di due vettori abbia signicato sico essi devono essere dimensio-
nalmente omogenei e le loro componenti devono essere rappresentate nelle stesse unit`a. Inoltre,
876
A.3. OPERAZIONI CON I VETTORI
per poter eettuare le operazioni in termini di componenti (e quindi in particolare in forma
matriciale), i vettori devono essere rappresentati nello stesso sistema di riferimento.
In modo naturale si deniscono le regole del prodotto di uno scalare a per un vettore

F:
a

F = aF
x

i +aF
y

j +aF
z

k = a
_
_
F
x
F
y
F
z
_
_
=
_
_
a F
x
a F
y
a F
z
_
_
= aF
Come il prodotto tra quantit`a scalari, anche in questo caso, lomogeneit`a dimensionale tra i
fattori non `e richiesta.
A.3.2 Prodotto scalare
Due vettori

F e

R pensati applicati allo stesso punto, se non sono paralleli individuano in
modo univoco un piano. Su tale piano i due vettori deniscono due angoli, il minore di questi `e
chiamato angolo compreso tra i due vettori e, nel seguito, sar`a chiamato (vedi gura A.2).
Se i vettori sono paralleli ed equiversi = 0, se paralleli e controversi = 180

.
Il prodotto scalare tra due vettori

F

R `e uno scalare s ottenuto moltiplicando i moduli dei


vettori e il coseno dellangolo compreso:
s =

F

R = F R cos
in particolare si verica facilmente che:

i

i = 1 e

i

j = 0. Quindi il prodotto scalare tra


due versori di base `e 1 se i fattori sono uguali e 0 se sono diversi. Tenendo conto di questo e
usando la rappresentazione in componenti, il prodotto scalare tra i due vettori

F e

R pu`o essere
ottenuto sfruttando la propriet`a distributiva del prodotto di due trinomi algebrici:

R =
_
F
x

i +F
y

j +F
z

k
_

_
R
x

i +R
y

j +R
z

k
_
= F
x
R
x
+F
y
R
y
+F
z
R
z
Figura A.2: Angolo compreso tra due vettori
Se i vettori sono rappresentati in forma di componenti nello stesso sistema C.O.D., il loro
prodotto scalare s si ottiene quindi sommando i prodotti delle componenti omonime. Questo
risultato corrisponde al prodotto matriciale (righe per colonne) che formalmente richiede di
trasporre il primo vettore. La formula che segue mostra modi equivalenti per ottenere il prodotto
scalare:
s =

F

R = F R cos = F
x
R
x
+F
y
R
y
+F
z
R
z
=
_
F
x
F
y
F
z
_

_
_
R
x
R
y
R
z
_
_
= F
T
R
Da ognuna delle precedenti uguaglianze si dimostra che il prodotto scalare gode della propriet`a
commutativa.
`
E anche immediato vericare, tramite la denizione, che il prodotto scalare tra
due versori fornisce il coseno dellangolo compreso. Il prodotto scalare ha una espressione molto
compatta nella notazione di Einstein:
s = F
i
R
i
Al prodotto scalare sono associate le grandezze energetiche: lavoro e potenza. Per denire tali
quantit`a si moltiplica scalarmente le forza per lo spostamento, o la velocit`a, del suo punto di
applicazione, rispettivamente.
877
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
A.3.3 Prodotto vettoriale
Il prodotto vettoriale (o prodotto vettore) tra due vettori

F

R `e un vettore

V che ha, per
denizione, le seguenti caratteristiche:
il modulo `e dato dalla relazione V = F R sin (con angolo compreso)
se i vettori sono paralleli (o almeno uno di essi `e nullo)

F

R = 0
la direzione di

V `e la normale al piano individuato dai vettori

F e

R
il verso di

V coincide con quello di avanzamento della vite destra fatta ruotare in modo
da sovrapporre

F (il primo fattore) a

R (il secondo fattore) descrivendo langolo compreso
(al posto della vite pu`o essere usata la mano destra).
Dalle precedenti propriet`a si ricava che dati tre punti nello spazio C P e Q (gura A.3),
moltiplicando vettorialmente i due vettori geometrici CP e CQ, il modulo del prodotto fornisce
larea del parallelogramma di cui i vettori sono lati adiacenti.
Figura A.3: Signicato geometrico del modulo del prodotto vettoriale tra
due vettori geometrici con il punto di coda coincidente
Il prodotto vettoriale non `e commutativo, vale infatti la relazione:

F

R =

R

F
La regola che fornisce il verso del prodotto vettoriale `e identica a quella con cui `e stato denito il
terzo versore base del sistema C.O.D.. In eetti, per tale sistema di riferimento, vale la seguente
relazione:

k =

j
Si verica dalla denizione che il prodotto di un versore per se stesso `e nullo:

i

i = 0.
Considerando le relazioni:

j

k =

i, ma

k

j =

i, si osserva che il prodotto vettoriale tra


due versori base distinti fornisce il terzo versore base con il segno che dipende dalla sequenza
dei fattori. Una regola mnemonica per il segno `e rappresentata nella gura A.4: il segno del
prodotto di due versori base `e positivo se i fattori si susseguono nello schema di gura A.4 in
verso antiorario e negativo se si susseguono in verso orario.
Figura A.4: Regola per il segno per il prodotto vettoriale tra due versori base
878
A.3. OPERAZIONI CON I VETTORI
Analogamente a quanto osservato per il prodotto scalare, adottando un sistema C.O.D.,
anche il prodotto vettoriale tra due vettori pu`o essere eettuato sviluppando con le regole
dellalgebra il prodotto tra i trinomi della rappresentazione in componenti:

F

R =
_
F
x

i +F
y

j +F
z

k
_

_
R
x

i +R
y

j +R
z

k
_
= F
x
R
x

i +F
x
R
y

j +.....
tenendo conto del prodotto tra i versori base denito dalle regole precedenti, dei 9 termini dello
sviluppo completo, 3 sono identicamente nulli mentre gli altri si possono ottenere sviluppando
il seguente determinante:

F

R =

i

j

k
F
x
F
y
F
z
R
x
R
y
R
z

secondo gli elementi della prima riga.


Il prodotto vettoriale consente di denire limportante grandezza Meccanica: il momento di
una forza.
A.3.4 Prodotto misto
Consideriamo tre vettori geometrici

R,

S e

T con la coda nello spesso punto. Pu`o essere
interessante valutare il volume del parallelepipedo (in genere non retto) di cui i tre vettori
costituiscono gli spigoli. A tale scopo basta ricordare che il prodotto vettoriale di due di essi
fornisce (a meno del segno) larea di una base. Quindi, chiamata A larea della base relativa a

R e

S, vale la relazione:

R

S = A n
in cui n `e un versore normale al piano di base.
Laltezza relativa alla base si ottiene proiettando il terzo vettore

T sulla normale n e quindi
eettuando (sempre a meno del segno) il prodotto scalare. Il volume del parallelepipedo `e
pertanto dato dal seguente valore assoluto:
V =

T A n

T
_

R

S
_

Largomento del valore assoluto `e il prodotto scalare del prodotto vettoriale tra i tre vettori dati
e per questo si chiama prodotto misto.
Considerando le regole esposte nei precedenti paragra `e immediato vericare che il prodotto
misto `e lo scalare che si ottiene calcolando il determinate:

T
_

R

S
_
=

T
x
T
y
T
z
R
x
R
y
R
z
S
x
S
y
S
z

che contiene le componenti dei tre vettori disposti in ordine per righe.
Dalle precedenti denizioni ricaviamo alcune interessanti propriet`a del prodotto misto, nel
seguito elencate:
il prodotto misto `e una quantit`a algebrica il cui segno dipende dallordine dei fattori
scambiando due fattori il prodotto misto cambia solo di segno
il modulo del prodotto misto tra tre vettori geometrici fornisce il volume del parallelepi-
pedo
879
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
il modulo del prodotto misto tra tre vettori geometrici `e 6 volte il volume del tetraedro a
basi triangolari (piramide triangolare) denito dai tre vettori
se i tre vettori sono complanari il prodotto misto `e nullo
il confronto del prodotto misto con lo zero `e quindi il pi` u semplice criterio di complana-
rit`a per vettori nello spazio e si applica anche a vettori non geometrici (come velocit`a,
accelerazioni, forze. . . .)
dati tre vettori di moduli assegnati, il loro prodotto misto ha il massimo valore assoluto
quando i vettori sono mutuamente ortogonali


i
_

k
_
= 1 mentre per esempio,

i
_

k
_
= 1, pertanto il prodotto misto tra
vettori mutuamente ortogonali `e positivo se i vettori sono ordinati in modo da riprodurre
una terna destrorsa, negativo se sono ordinati in modo sinistrorso
il segno del prodotto misto conserva il signicato anche se i vettori non sono mutuamente
perpendicolari, in questo caso il prodotto `e positivo se la terna `e una distorsione angolare
(senza riessioni) di una terna destrorsa (e negativo se `e una distorsione di una terna
sinistrorsa).
A.4 Versori e coseni direttori
Le componenti cartesiane di un generico versore v :
v =
_
_
v
x
v
y
v
z
_
_
possono essere ottenute formalmente moltiplicando scalarmente il versore con i versori base, per
esempio:
v
x
= v

i = 1 1 cos
x
= cos
x
Le componenti di un versore coincidono infatti con i coseni degli angoli che il versore forma con
i corrispondenti assi cartesiani (gura A.5). Per tale motivo le componenti di un versore sono
anche chiamate coseni direttori.
Figura A.5: Angoli formati da un versore con gli assi
Langolo compreso tra due vettori pu`o essere ottenuto in modo semplice (specialmente nello
spazio) tramite i prodotti. In particolare, il coseno dellangolo compreso tra due vettori si ricava
direttamente dal prodotto scalare dei loro versori corrispondenti. Il valore assoluto del seno
dellangolo compreso `e invece ottenuto dal modulo del prodotto vettoriale dei versori.
880
A.5. SISTEMI DI RIFERIMENTO RUOTATI: MATRICE DI TRASFORMAZIONE
A.5 Sistemi di riferimento ruotati: matrice di trasformazione
Per evidenziare alcune propriet`a della soluzione di un problema, `e spesso utile cambiare il
sistema di riferimento. Per quanto una grandezza sica non possa cambiare nella sua natura
se si modica il sistema di riferimento, possiamo in generale attenderci dierenze nella sua
rappresentazione in componenti. Le leggi con cui le componenti mutano con il sistema di
riferimento devono pertanto essere di carattere generale a garanzia del principio di relativit`a.
Per ssare le idee, chiameremo originario o di partenza il sistema in cui `e nota la rap-
presentazione della grandezza di interesse e nuovo o di arrivo il sistema in cui vogliamo
determinare la rappresentazione. Tale attribuzione `e arbitraria e le relazioni di passaggio da
un sistema di riferimento allaltro sono simmetriche. Tuttavia, la distinzione `e utile per evi-
tare banali ma facili errori generati proprio dalla reciprocit`a del problema. In modo naturale,
chiamiamo originario il sistema nel quale sappiamo calcolare direttamente tutte le quantit`a in
esame.
Come rappresentato in gura A.6, gli assi e le grandezze relative al sistema nuovo sono
indicate con simboli apostrofati (x

, y

, z

,

i

, ecc...) mentre le corrispondenti quantit`a del


sistema originario sono rappresentate senza apostrofo (x, y, z,

i, ecc. . . ). Si pu`o osservare che
Figura A.6: Sistema originario (di partenza) con assi x, y e z, e sistema
nuovo (di arrivo) con assi x

, y

e z

se gli assi omonimi dei due sistemi sono paralleli ed equiversi, ovvero se il sistema nuovo si
ottiene per semplice traslazione di quello originario, la legge di trasformazione `e banale. Tra
due sistemi traslati, infatti, non vi sono dierenze nella rappresentazione delle componenti dei
vettori, lunica precauzione consiste nel fatto che risultano modicate di quantit`a costanti le
componenti delle posizioni dei punti (questo potrebbe avere qualche eetto nel trattamento dei
vettori applicati).
Pi` u interessante `e la situazione in cui le terne dei versori base dei due sistemi hanno direzioni
diverse, ovvero sono sistemi mutuamente ruotati. Per rappresentare una grandezza nel nuovo
sistema risulta necessario che lorientamento dei nuovi assi sia completamente denito rispetto
agli assi originari. A tale scopo consideriamo i versori nuovi scritti in componenti originarie:

=
_
_
l
11
l
21
l
31
_
_
j

=
_
_
l
12
l
22
l
32
_
_
k

=
_
_
l
13
l
23
l
33
_
_
e raccogliamo ordinatamente tali valori in una matrice, disponendo le colonne seguendo la
881
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
numerazione degli assi:
L =
_
_

l
11
l
12
l
13
l
21
l
22
l
23
l
31
l
32
l
33
_
_
Chiamiamo L la matrice di trasformazione. Come illustrato nella gura A.7, il termine
Figura A.7: Signicato geometrico dei termini che compongono la prima
colonna della matrice di trasformazione L
generico della matrice di trasformazione l
nm
rappresenta la nesima componente (originaria)
del mesimo versore nuovo oppure, in modo equivalente, il coseno dellangolo compreso tra
loriginario nesimo versore e il nuovo mesimo versore, in forma analitica:
l
nm
= cos (
nm
)
Si osservi che, in genere, la matrice di trasformazione non `e simmetrica, per esempio:
l
13
=

,=

k

= l
31
Riassumendo, la regola per costruire correttamente la matrice L `e la seguente:
disporre in colonna i versori nuovi rappresentati nelle componenti originarie rispet-
tando il loro ordine.
A.6 Propriet`a della matrice di trasformazione
Per i sistemi C.O.D. la matrice di trasformazione `e unitaria (linversa e la trasposta coinci-
dono):
L
1
= L
T
e il suo determinate vale uno: det L = [L[ = 1.
`
E immediato vericare che moltiplicando la matrice L per il primo versore del sistema
originario (scritto in forma algebrica come matrice colonna), si ottengono le componenti (nel
sistema originario) del primo versore nuovo:
L

i = L
_
_
1
0
0
_
_
=
_
_
l
11
l
21
l
31
_
_
=

882
A.7. LEGGE DI TRASFORMAZIONE DEI VETTORI PER ROTAZIONE DEGLI ASSI
e che analoghe uguaglianze valgono per gli altri versori. La relazione:

= L

i
pu`o essere interpretata anche come una applicazione lineare che trasforma il versore

i nel versore

(si ricordi che entrambi i versori devono essere espressi nello stesso sistema di riferimento,
qualunque esso sia: il vecchio, il nuovo o anche un altro). Moltiplicando ambo i membri di tale
uguaglianza per L
1
si ha:

i = L
1

= L
T

(A.1)
in cui `e stata sfruttata lunitariet`a di L. A questo punto `e utile chiedersi: come si ottengono
le componenti del versore originario

i nel sistema nuovo? In coerenza con le notazioni nora
usate, le componenti di

i nel sistema nuovo possono essere indicate come:
_
_
l

11
l

21
l

31
_
_
La risposta si ottiene direttamente dalla relazione lineare (A.1), basta infatti usare la trasfor-
mazione (A.1) rappresentando entrambi i versori in componenti nel sistema nuovo in cui:

=
_
_
1
0
0
_
_
,

i =
_
_
l

11
l

21
l

31
_
_
sviluppando i calcoli si ottiene la risposta, ovvero la rappresentazione del primo versore origi-
nario in coordinate nuove:

i =
_
_
l

11
l

21
l

31
_
_
= L
T
_
_
1
0
0
_
_
=
_
_
l
11
l
12
l
13
_
_
`e da osservare, in particolare, lordine di pedici del risultato.
Dato che (1, 0, 0) rappresentano le componenti del primo versore originario nel sistema
originario, ricaviamo la seguente regola generale:
moltiplicando L
T
per le componenti originarie del versore dellasse x, si ottengono
le sue componenti espresse nel sistema nuovo.
Questa regola di trasformazione pu`o essere applicata anche ai versori degli altri assi.
A.7 Legge di trasformazione dei vettori per rotazione degli assi
Consideriamo un generico vettore le cui componenti nel sistema originario sono:
v =
_
_
v
1
v
2
v
3
_
_
ci chiediamo come questo vettore sia rappresentato in un sistema cartesiano nuovo individuato
dalla matrice di trasformazione L (che ovviamente supponiamo nota). Per rispondere basta
applicare la regola di trasformazione trovata nel precedente paragrafo valida per i versori base
e la propriet`a distributiva del prodotto rispetto alla somma. Infatti la relazione:
v = v
1

i +v
2

j +v
3

k
883
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
scritta nel sistema nuovo diventa:
_
_
v

1
v

2
v

3
_
_
= v
1
L
T
_
_
1
0
0
_
_
+v
2
L
T
_
_
0
1
0
_
_
+v
3
L
T
_
_
0
0
1
_
_
= L
T
_
_
v
1
v
2
v
3
_
_
in forma compatta possiamo quindi scrivere la seguente relazione di trasformazione:
v

= L
T
v (A.2)
valida per ogni grandezza vettoriale e per ogni coppia di sistemi C.O.D..
La relazione A.2 pu`o essere esplicitata in termini di componenti come:
v

k
=
3

i=1
l
ki
v
i
=

i
l
ki
v
i
(A.3)
Con la convenzione di Einstein la legge di modica delle componenti vettoriali per rotazione
degli assi si semplica nella seguente:
v

k
= l
ki
v
i
(A.4)
in cui `e i lindice di somma. Si pu`o osservare che lordine dei fattori non `e rilevante per cui
possiamo anche scrivere:
v

k
= v
i
l
ki
mentre `e importante lordine dei pedici nella quantit`a l
ki
. In particolare, per coerenza con le
convenzioni assunte, il primo pedice k si riferisce alla componente nel sistema nuovo e il secondo
i (lindice di somma) alla componente nel sistema originario.
La trasformazione inversa si esprime formalmente come:
v
k
= l

ki
v

i
e data la caratteristica di unitariet`a della matrice di trasformazione (L
1
= L
T
) vale inoltre la
relazione:
l

ki
= l
ik
per cui la trasformazione inversa si pu`o anche scrivere come:
v
k
= l
ik
v

i
Pu`o essere utile osservare che la convenzione che `e stata adottata per rappresentare la ma-
trice di trasformazione non `e universale. Alcuni testi assumono come matrice di trasformazione
la trasposta di L, raccogliendo in riga invece che in colonna in versori nuovi. Questa diversa
scelta non modica la sostanza delle relazioni presentate, tuttavia comporta uno scambio di L
con L
T
e una inversione nella posizione dei pedici nelle formule relative.
`
E quindi opportuna
una certa attenzione alle denizioni quando si consultano testi diversi.
La legge di trasformazione (A.2) caratterizza completamente il modo con cui le componenti
di una qualunque quantit`a vettoriale (forza, spostamento, velocit`a, ecc...) si modicano nel
passaggio da un sistema C.O.D. a un altro ruotato. Di conseguenza, `e possibile denire
vettoriale ogni grandezza le cui componenti cambiano a seguito di una rotazione degli assi
seguendo la legge (A.2).
La rappresentazione di una grandezza scalare (come per esempio la densit`a o la temperatura)
non risulta alterata da una rotazione degli assi cartesiani. Quando una quantit`a gode di tale
caratteristica si chiama invariante (per rotazione). Pertanto, le componenti di una grandezza
vettoriale non sono invarianti, tuttavia, possono essere identicate alcune propriet`a di una
884
A.8. I TENSORI E LA LORO LEGGE DI TRASFORMAZIONE
grandezza vettoriale che non mutano anche se si ruotano gli assi. Un esempio di propriet`a
invariante di un vettore `e il modulo che, per il principio di relativit`a, deve rimanere lo stesso in
tutti i sistemi di riferimento. Linvarianza del quadrato del modulo `e dimostrata formalmente
nel seguente calcolo:
v

=
_
v

1
v

2
v

3
_
_
_
v

1
v

2
v

3
_
_
=
_
L
T
v
_
T

_
L
T
v
_
= (v)
T
L L
T
v = v v
in cui `e stata sfruttata la propriet`a di unitariet`a della matrice di trasformazione.
Oltre al modulo, sono invarianti anche tutte le funzioni del solo modulo. Non sono invarianti
le propriet`a di orientamento di un vettore, per esempio i coseni direttori.
A.8 I tensori e la loro legge di trasformazione
Deniamo tensore (cartesiano di ordine 2) una trasformazione lineare tra due campi vetto-
riali, ovvero una grandezza che permette di ottenere un vettore mediante combinazione lineare
delle componenti di un altro vettore. La forma pi` u generale per tale tipo di trasformazione,
scritta in forma algebrica `e la seguente:
v = A u
che espressa in componenti rispetto a un sistema cartesiano diventa:
_
_
v
1
v
2
v
3
_
_
=
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_
_
u
1
u
2
u
3
_
_
In genere, il tensore `e rappresentabile in componenti cartesiane per mezzo di una matrice
i cui elementi sono quantit`a scalari (solitamente dimensionate) ordinate tramite una coppia di
indici. La matrice A, che fornisce una rappresentazione cartesiana del tensore, non `e necessa-
riamente simmetrica. Scritto in termini di componenti (e in notazione di Einstein) il legame
lineare diventa:
v
i
=

j
a
ij
u
j
= a
ij
u
j
In analogia a quanto fatto nel paragrafo precedente per i vettori, ci proponiamo di deter-
minare la legge con cui le componenti cartesiane del tensore A cambiano in conseguenza di
una rotazione degli assi. A tale scopo `e suciente operare le seguenti trasformazioni algebriche
sulluguaglianza v = A u:
L
T
v = L
T
A u = L
T
AI u = (L
T
AL)L
T
u
dove
I =
_
_
1 0 0
0 1 0
0 0 1
_
_
`e la matrice identica, che talvolta si indica in componenti tramite il delta di Kroneker:

ij
=
_
1 se i = j
0 se i ,= j
885
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
Dalle precedenti identit`a, tendo conto che v

= L
T
v e u

= L
T
u si ottiene:
v

= A

in cui:
A

= L
T
AL (A.5)
La matrice A

contiene i coecienti della combinazione lineare che lega i campi vettoriali v

e
u

espressi nel sistema nuovo ed `e pertanto la rappresentazione del tensore nel sistema nuovo.
La relazione (A.5) esplicitata in componenti diventa:
a

km
=

j
l
ki
a
ij
l
mj
=

j
l
ki
l
mj
a
ij
(A.6)
che in notazione di Einstein si semplica nella seguente:
a

km
= l
ki
l
mj
a
ij
(A.7)
Come nella trasformazione vettoriale, per l
ij
deve essere rispettato lordine dei pedici: il primo
`e relativo alla grandezza espressa nelle coordinate nuove.
Possiamo quindi concludere che i tensori (cartesiani di ordine 2) sono grandezze che modi-
cano le loro componenti per rotazione degli assi secondo la doppia moltiplicazione per la matrice
di trasformazione espressa dalle uguaglianze (A.5) o in componenti dalla (A.7). La relazione
(A.5) pu`o quindi essere assunta come denizione formale di grandezza tensoriale (di ordine 2),
analogamente a quanto fatto per le grandezze vettoriali con le relazioni (A.2) o (A.4). Talvolta i
vettori vengono chiamati tensori di ordine uno (indicando che la loro legge di rotazione richiede
una semplice moltiplicazione per la matrice di trasformazione) e gli scalari tensori di ordine zero
(sono invarianti per rotazione). Non esistono limiti allordine di un tensore che pu`o essere anche
a molti indici. Lordine del tensore rappresenta il numero di volte per cui `e necessario moltipli-
carne le componenti per la matrice di rotazione allo scopo di ottenere la rappresentazione in un
sistema ruotato. La legge di trasformazione `e sempre dello stesso tipo, come mostra la relazione
seguente che denisce, con la notazione di Einstein in cui sono omesse ben quattro sommatorie,
la trasformazione delle componenti di un tensore del quarto ordine c
ijmn
:
c

rsut
= l
ri
l
sj
l
um
l
tn
c
ijmn
Tensori con ordine maggiore di due non sono facilmente rappresentabili sotto forma di
tabelle, per esempio in tensore di ordine 3 (a tre pedici) `e rappresentabile con una pila di
matrici (una matrice tridimensionale!). Per questo motivo, la notazione con i pedici diventa
indispensabile per trattare simbolicamente tensori di ordine elevato e la convenzione di Einstein
semplica notevolmente le operazioni algebriche sui componenti.
Nella Meccanica dei solidi e delle strutture si incontrano tensori che nella grande mag-
gioranza sono cartesiani del secondo ordine e anche simmetrici, ovvero hanno componenti
rappresentabili con matrici simmetriche. Esempi importanti sono:
i tensori di tensione e di deformazione, generalmente deniti nello spazio tridimensionale
(in un sistema cartesiano a tre assi) e, quindi, con una rappresentazione matriciale 3 3
i tensori di inerzia delle sezioni, di essione e di curvatura per piastre e gusci deniti in
sistemi di riferimento piani.
Nei casi bidimensionali, i tensori sono esprimibili con matrici 2 2 e la loro legge di tra-
sformazione (A.5) usa matrici di trasformazione, anchesse 2 2, che contengono le componenti
piane dei versori nuovi.
Dato che quasi tutti i tensori trattati nel corso sono cartesiani di ordine due, quando non
espressamente specicato, lordine sar`a sottointeso.
886
A.9. INVARIANTI E AUTOVALORI DI UN TENSORE SIMMETRICO A COMPONENTI REALI
A.9 Invarianti e autovalori di un tensore simmetrico a compo-
nenti reali
Consideriamo un tensore cartesiano di ordine due rappresentato da una matrice 3 3
simmetrica a valori reali:
S =
_
_

11

12

13

22

23
Sym
33
_
_
Come abbiamo dimostrato nel paragrafo precedente, le componenti di S variano in conseguenza
di una rotazione degli assi cartesiani con una legge ben denita. Analogamente a quanto
osservato per le quantit`a vettoriali, anche per i tensori esistono funzioni delle componenti
ij
che non cambiano per rotazione degli assi. Similmente, tali quantit`a sono chiamate invarianti
del tensore S. Gli invarianti, non dipendendo dal particolare sistema di riferimento adottato
per rappresentare le componenti il tensore, si rivelano particolarmente utili per caratterizzare
la grandezza sica rappresentata dal tensore stesso.
Con calcoli di tipo algebrico (basati sulla relazione (A.5)) `e possibile vericare che le seguenti
funzioni delle componenti del tensore sono invarianti per rotazione:
I
1
=
11
+
22
+
33
I
2
=

11

12

21

22

11

13

31

33

22

23

32

33

=
11

22
+
22

33
+
11

33

2
12

2
13

2
23
I
3
= det S =
11

22

33

11

2
23

22

2
13

33

2
12
+ 2
12

23

13
tali quantit`a sono rispettivamente:
I
1
la traccia della matrice (somma degli elementi sulla diagonale principale)
I
2
la somma dei determinanti delle sottomatrici di rango 2 diverse che contengono gli
elementi della diagonale principale
I
3
il determinante della matrice
I
1
, I
2
e I
3
sono chiamati invarianti principali di S. Ogni funzione degli invarianti principali
`e un invariante.
Gli autovalori della matrice S si ottengono risolvendo la seguente equazione algebrica di
terzo grado chiamata equazione caratteristica:
[S I[ =
3
I
1

2
+I
2
I
3
= 0 (A.8)
con I la matrice identica. Nel caso che la matrice S sia reale simmetrica, lequazione carat-
teristica ammette sempre tre radici reali (
1
,
2
e
3
) non necessariamente tutte distinte. Si
pu`o osservare che gli invarianti principali compaiono (attenzione ai segni alterni) ai coecienti
dellequazione caratteristica (A.8) e, dato che le soluzioni di una equazione algebrica dipendono
soltanto dai coecienti, anche gli autovalori sono invarianti di S. Gli autovalori sono detti anche
valori principali del tensore.
A ogni autovalore si S `e associato un autovettore di S. Si verica che per ogni tensore
rappresentabile con matrice reale simmetrica esiste (almeno) una terna di autovettori tra loro
mutuamente ortogonali. Nel caso di autovalori distinti, le tre direzioni degli autovettori sono
distinte. Se consideriamo un sistema di riferimento avente assi nelle direzioni degli autovettori,
887
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
la legge (A.5), dove L contiene gli autovettori normalizzati, trasforma la matrice S nella seguente
forma:
S

=
_
_

1
0 0

2
0
Sym
3
_
_
in cui gli elementi sulla diagonale sono proprio gli autovalori.
Lequazione caratteristica associata a un tensore cartesiano simmetrico di ordine 2 pu`o essere
risolta in forma chiusa tramite il seguente procedimento (esatto) riportato senza dimostrazione.
1. valutare langolo (in radianti):
=
1
3
arccos
_
2I
3
1
9I
1
I
2
+ 27I
3
2
_
I
2
1
3I
2
_
3/2
_
2. calcolare direttamente gli autovalori
k
con k = 1, 2, 3 di S con la relazione:

k
=
I
1
3
+
2
3
_
I
2
1
3I
2
cos
_
+
2
3
(k 1)
_
Nel caso di tensori piani (rappresentabili con matrici 22), il calcolo degli autovalori `e ricondotto
a una semplice equazione di secondo grado.
A.10 Coordinate non cartesiane
In alcuni problemi, la forma dei corpi suggerisce luso di coordinate non cartesiane. Per
analizzare corpi a simmetria assiale (chiamati anche assialsimmetrici) come dischi, tubi o ma-
nicotti `e comodo un sistema di coordinate cilindriche (o polari nel piano) mentre per i corpi a
simmetria centrale pi` u essere conveniente il sistema di coordinate sferiche. In questo paragrafo
sono presentate le nozioni fondamentali per limpiego delle coordinate non cartesiane.
A.10.1 Coordinate cilindriche e coordinate curvilinee ortogonali
In coordinate cilindriche (di cui le coordinate polari sono la riduzione bidimensionale) la
posizione di un punto `e individuata con tre grandezze scalari non omogenee: una coordinata
angolare e due coordinate lineari. Lo schema `e illustrato nella gura A.8.
Figura A.8: Schema per la denizione delle coordinate cilindriche (o polari)
Il sistema di coordinate cilindriche si denisce con:
888
A.10. COORDINATE NON CARTESIANE
un punto origine O
un asse cartesiano, di solito chiamato asse z, che ha origine in O
il piano che passa per O ed `e normale allasse z
una semiretta con origine in O giacente sul piano .
Per determinare la corrispondenza con le coordinate cartesiane, consideriamo un sistema car-
tesiano che abbia: lorigine in O, il medesimo asse z e il semiasse x positivo coincidente con
la semiretta . La posizione del punto generico P le cui coordinate cartesiane sono (x, y, z) `e
individuato in coordinate cilindriche nel modo seguente:
si proietta P ortogonalmente sul piano individuando il punto H
si denisce la coordinata radiale data dalla distanza r = [OH[, r `e una coordinata di
lunghezza non negativa che equivale anche alla distanza di P dallasse z
si denisce la coordinata angolare (chiamata anche anomalia) in base allangolo di cui
deve ruotare attorno a O la semiretta in modo che passi per H. Il segno della coordinata
angolare `e stabilito con la regola della mano destra considerando positive le rotazioni
in cui il pollice `e equiverso allasse z. Dato che la coordinata angolare `e ciclica basta
considerare il suo dominio entro una intervallo di 2 radianti, con un solo estremo incluso
per avere biunivocit`a, tipicamente : [0, 2) oppure (, ]
la terza coordinata `e la stessa z cartesiana.
le seguenti relazioni permettono di passare da coordinate cilindriche e cartesiane e viceversa:
_
_
_
x = r cos
y = r sin
z = z
_
_
_
r =
_
x
2
+y
2
= arctan
y
x
z = z
Consideriamo il generico punto P di coordinate cilindriche (r
P
,
P
, z
P
) e supponiamo di
aumentare una delle sue coordinate di una quantit`a innitesima lasciando inalterate le altre. Si
denisce in questo modo un punto leggermente spostato che indichiamo con Q, il vettore PQ
`e una quantit`a innitesima che normalizzata fornisce il versore corrispondente alla coordinata
variata. Se, per esempio modichiamo la coordinata angolare, otteniamo Q(r
P
,
P
+d, z
P
)
per cui PQ `e un vettore parallelo al piano . Normalizzando PQ otteniamo il versore e

parallelo al piano e tangente al cilindro con asse z che passa per P. In modo analogo si
deniscono i versori associati alle altre coordinate: e
r
e e
z
. I tre versori deniscono una terna
di assi chiamati assi locali delle coordinate nel punto P.
`
E immediato vericare che eseguendo
questa operazione in un sistema di coordinate cartesiane i versori locali coincidono con i versori
generale del sistema, ovvero valgono le seguenti relazioni:
P : e
x
=

i, e
y
=

j, e
z
=

k
per questo motivo le terne di assi locali non sono interessanti quando si usano sistemi di
coordinate cartesiane.
889
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
Quando la terna locale varia da un punto allaltro le coordinate sono dette curvilinee. Le
coordinate polari, per esempio, sono curvilinee perche in due punti che hanno una diversa coor-
dinata angolare i versori e
r
e e

hanno direzioni diverse. Tuttavia, si pu`o facilmente vericare


che in ogni punto, i versori locali e
r
, e

e e
z
sono mutuamente perpendicolari, pertanto le coor-
dinate cilindriche sono curvilinee ortogonali. La posizione relativa di un punto Q che si trova
vicino a P pu`o essere espressa in componenti riferite agli assi locali di versori e
r
, e

e e
z
. Le
coordinate locali sono pertanto cartesiane ortogonali e questo consente, almeno nellambito di
domini innitesimi, di di usare le formule pi` u semplici, come per esempio la formula di Pitagora
per le distanze. Anche se non saranno usate nel corso, `e opportuno ricordare che si possono
denire anche coordinate non ortogonali (rettilinee o curvilinee) per le quali gli assi locali non
sono mutuamente perpendicolari.
In coordinate cartesiane, lelemento innitesimo di volume in corrispondenza di un generico
punto P (x
P
, y
P
, z
P
) `e denito dai punti le cui coordinate sono date dalle relazioni:
x [x
p
, x
p
+dx] , y [y
p
, y
p
+dy] , z [z
p
, z
p
+dz]
che deniscono un parallelepipedo rettangolo di spigoli

idx,

jdy,

kdz orientato come gli assi
globali e avente forma e volume indipendenti dalla posizione P (gura A.9(a)). Il volume del
solido elementare in coordinate cartesiane vale:
dV = dxdydz
e le aree delle facce (dA
x
`e la faccia normale allasse x, ecc. . . ):
dA
x
= dydz, dA
y
= dxdz, dA
z
= dxdy
Lelemento di volume in coordinate cilindriche in corrispondenza di P (r
P
,
P
, z
P
) `e denito dai
punti per cui:
r [r
p
, r
p
+dr] , [
p
,
p
+d] , z [z
p
, z
p
+dz]
che ha la forma di uno spicchio innitesimo di settore cilindrico le cui caratteristiche geometriche
cambiano in relazione della posizione di P. (gura A.9(b)).
Figura A.9: Elementi innitesimi in coordinate (a) cartesiane e (b) cilindriche
Gli spigoli del solido elementare sono i seguenti (vedi anche la gura A.10):
ds
r
= e
r
dr, ds

= e

rd, ds
z
= e
z
dz
che rappresentano vettori innitesimi mutuamente perpendicolari. Il volume del solido ele-
mentare si pu`o pertanto ottenere dal semplice prodotto dei moduli (uguale al modulo del del
prodotto misto):
dV = rdrddz
890
A.10. COORDINATE NON CARTESIANE
un analogo ragionamento permette di ottenere le aree delle facce che, a meno di innitesimi di
ordine superiore al primo, valgono:
dA
r
= rddz, dA

= drdz, dA
z
= rddr
dove dA
r
`e larea della faccia con normale e
r
ecc. . . .
Figura A.10: Elemento innitesimo in coordinate cilindriche visto dalla
punta dellasse z (o elemento piano in coordinate polari)
A.10.2 Coordinate sferiche
La denizione delle coordinate sferiche, una lineare e due angolari, `e illustrata nella gura
A.11) richiede di denire:
un punto origine O
un asse cartesiano z, di solito chiamato asse polare, con origine in O
un piano passante per O e normale allasse z (piano equatoriale)
una semiretta con origine in O giacente sul piano
il punto H proiezione ortogonale del punto generico P sul piano
un sistema di coordinate cartesiane con centro O, il medesimo asse z e il semiasse x
positivo coincidente con la semiretta .
Figura A.11: Schema per la denizione delle coordinate sferiche
Il punto generico P, le cui coordinate cartesiane sono (x, y, z), `e individuato in coordinate
sferiche in questo modo:
891
Sistemi di riferimento e quantit`a vettoriali e tensoriali
la coordinata radiale r = [OP[ `e la distanza dallorigine (r =
_
x
2
+y
2
+z
2
)
la coordinata angolare (chiamata longitudine) `e determinata dallangolo di cui deve
ruotare la semiretta attorno a O in modo che passi per H. Langolo `e misurato con la
regola della mano destra a partire dal semiasse x positivo per cui si considerano positive le
rotazioni in cui il pollice `e equiverso allasse z. La coordinata angolare `e ciclica pertanto
`e suciente considerare il suo dominio entro un intervallo di 2 radianti (con un solo
estremo incluso per avere biunivocit`a) tipicamente : [0, 2) oppure (, ]
la coordinata (latitudinale) `e langolo formato dal segmento OP e il semiasse z positivo
[0, ]. Sono usate varie convenzioni per lorigine di tale coordinata. In ambito
geograco (e astronomico) lorigine `e ssata sullequatore z = 0 per cui si distingue in
latitudine nord o latitudine sud. In termini rigorosi, se lorigine `e ssata nel polo Nord (il
punto con z = r) come in gura A.12, la coordinata angolare dovrebbe essere indicata
come colatitudine
_

2
,

2

).
Tra le coordinate sferiche e cartesiane valgono le seguenti relazioni che si ottengono con
elementari considerazioni geometriche:
_
_
_
x = r cos sin
y = r sin sin
z = r cos
_

_
r =
_
x
2
+y
2
+z
2
= arctan
y
x
= arccos
z

x
2
+y
2
+z
2
Le coordinate sferiche generalmente usate per individuare la posizione geograca di un punto
sulla supercie della Terra `e esemplicato in gura A.12.
Figura A.12: Coordinate sferiche sulla Terra. N: polo Nord, S: polo sud, E:
equatore, M: Meridiano di riferimento (Greenwich). Sono rappresentati anche
i versori locali delle coordinate sferiche orientati secondo la normale alla sfera,
e le direzioni ovest-est del parallelo e del nord-sud del meridiano locali
Lelemento di volume in coordinate sferiche in corrispondenza del generico punto P (r
P
,
P
,
P
)
`e denito dalla regione di spazio in cui:
892
A.10. COORDINATE NON CARTESIANE
r [r
p
, r
p
+dr] , [
p
,
p
+d] , [
p
,
p
+d]
Essendo i versori locali e
r
, e

e e

mutuamente perpendicolari, anche le coordinate sferiche


sono curvilinee ortogonali e gli spigoli dellelemento innitesimo `e un parallelepipedo, a meno
di innitesimi di ordine superiore. Gli spigoli del solido elementare in coordinate sferiche sono:
ds
r
= e
r
dr, ds

= e

r sin d, ds

= e

rd
il volume vale quindi:
dV = r
2
sin drdd
e larea delle facce, a meno di innitesimi di ordine superiore al primo, `e dato da:
dA
r
= rd r sin d = r
2
sin dd
dA

= rddr
dA

= r sin ddr
In analogia con le coordinate sferiche possono essere denite anche coordinate curvilinee
ortogonali adatte a rappresentare la forma di solidi assialsimmetrici generati per rivoluzione
di una linea piana attorno a un asse. Esempi sono discussi nellappendice E e applicazioni si
trovano nei gusci di rivoluzione.
893
Appendice B
Regole pratiche per il calcolo
numerico
Generalmente una valutazione tecnica si conclude con la determinazione di quantit`a numeri-
che. Anche quando lingegnere `e chiamato a esprimere un giudizio oppure a operare una scelta,
quasi sempre `e guidato dal confronto tra due (o pi` u) quantit`a. Questa circostanza dimostra
limportanza dellaspetto numerico dalla soluzione dei problemi e, in particolare, evidenzia la
necessit`a di metodo e rigore nel trattamento delle quantit`a numeriche e nella loro presentazione.
Senza entrare nel merito di questioni teoriche, in questa Appendice sono fornite alcune regole
operative utili per poter eettuare un razionale trattamento delle quantit`a numeriche necessario
per risolvere gli esercizi proposti e generalmente adeguato per quasi tutte le situazioni pratiche.
B.1 Limportanza delle valutazioni numeriche
La soluzione di un esercizio, al pari della soluzione di un problema professionale, `e spesso
priva di valore se non si perviene al risultato numerico oppure questo non `e adeguato.
`
E facile
rendersi conto che, ai ni pratici, un errore di calcolo pu`o comportare conseguenze altrettanto
serie quanto un errore concettuale. Queste ovvie considerazioni sono ribadite perche spesso gli
studenti mostrano una propensione a:
privilegiare laspetto concettuale e simbolico della soluzione e a sottovalutare quello
numerico
pensare che qualcun altro deve farsi carico delle valutazioni numeriche
non porre la necessaria cura nel trattamento delle quantit`a numeriche, con particolare
riferimento alla scelta coerente delle dimensioni e delle conseguenti unit`a di misura.
Le conoscenze e le abilit`a richieste per eettuare correttamente e razionalmente le valutazioni
numeriche sembrano elementari e, probabilmente anche per questo, nellesecuzione dei calcoli
spesso viene meno linteresse e lattenzione dedicata alla fase di impostazione del problema.
`
E
inoltre opportuno sottolineare che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i rischi di erro-
re connessi con la scarsa attenzione agli aspetti numerici crescono in modo signicativo allorche,
invece di utilizzare procedimenti di calcolo manuali (basati sulluso di calcolatrici) si impiega
il computer. In eetti, le moderne simulazioni basate sul computer richiedono linserimento di
grandi quantit`a di dati in larga misura di tipo numerico. Inoltre, dato che i risultati di com-
plesse elaborazioni sono dicili da vericare in modo completo con procedimenti indipendenti,
il corretto trattamento dei dati di ingresso rappresenta una necessit`a.
895
Regole pratiche per il calcolo numerico
Vi `e inne un argomento fondamentale di tipo culturale a favore di una rigorosa disciplina
nel trattamento numerico degli esercizi. La fattibilit`a delle scelte tecniche `e generalmente un
problema di ordini di grandezza e di quantit`a.
`
E ben noto che certi materiali consentano solu-
zioni che sarebbero impossibili con luso di altri materiali proprio per la dierenza quantitativa
di alcune propriet`a (rigidezza, resistenza, densit`a, ecc. . . ).
`
E eseguendo metodicamente i calcoli
e ragionando sulle quantit`a che lo studente comincia a valutare la fattibilit`a pratica di certe
soluzioni. Si tratta di un primo importante passo verso lacquisizione di una sensibilit`a che `e
tipica dei tecnici esperti in un settore e che consente loro, di fronte a un problema specico, di
prenderne in esame gli aspetti pi` u signicativi trascurando i dettagli marginali.
B.2 Precisione, numero di cifre signicative e arrotondamenti
Quando si tratta una quantit`a numerica `e sempre opportuno considerarne lorigine. Cer-
te quantit`a, spesso rappresentate da numeri puri (quantit`a adimensionali), possono essere
considerate esatte, come le seguenti:
costanti che derivano da teoremi dellalgebra o della geometria ( , e,

2,. . . ),
fattori deniti da convenzioni e da conversioni di unit`a di misura, come : 1 min = 60 s, 1

=
25.4 mm, (il doppio apice indica il pollice (inch)) ecc. . .
numeri interi o razionali che derivano, direttamente o indirettamente, da operazioni di
conteggio, per esempio: il numero di bulloni in un angia, il numero di assi di un camion,
il rapporto di trasmissione tra due ruote dentate, ecc. . .
tutte le altre quantit`a sono approssimate (o pi` u propriamente incerte) poiche derivano, in modo
diretto o indiretto, da misure o da stime.
Per scrivere in forma numerica una quantit`a `e solitamente usata la rappresentazione decima-
le che pu`o essere in virgola mobile o in virgola ssa (come la notazione scientica). Concentria-
moci per il momento sulla notazione scientica e consideriamo a titolo di esempio la seguente
massa:
m = 6.52 10
4
kg
il numero 6.52 `e rappresentato con 3 cifre signicative (signicant digit(s)) e lesponente
4 indica lordine di grandezza (magnitude) ed `e riferito allunit`a di misura.
In mancanza di una indicazione specica, conveniamo che la precisione (assoluta) (precision)
di un numero sia denita dallunit`a della sua cifra meno signicativa. Ne consegue che la massa
indicata ha una precisione di 0.01 10
4
kg (equivalente a 100 kg). Questo signica che si assume
che la massa abbia un valore eettivo (o presunto o pi` u probabile) compreso nellintervallo
(quantit`a espresse in kg):
6.52 10
4

1
2
0.01 10
4
m 6.52 10
4
+
1
2
0.01 10
4
la cui ampiezza `e data proprio dalla precisione assoluta.
Il rapporto tra la precisione assoluta e il valore assoluto della grandezza (quando questa `e
non nulla) denisce la precisione relativa (relative precision) del numero. La precisione
relativa `e quindi una quantit`a adimensionale. Nel caso in esame la precisione relativa vale
1/652

= 0.0015 ovvero `e di poco superiore a una parte su 1000 e si dice pertanto che `e
dellordine del permille. La precisione relativa `e indipendente dallordine di grandezza della
quantit`a a cui si riferisce ed `e strettamente connessa al numero di cifre signicative con cui la
quantit`a `e espressa (nel caso in esame 3).
896
B.3. SCELTA DELLA PRECISIONE OPPORTUNA
Senza entrare in dettagli, si fa notare che denizioni analoghe si trovano nella teoria degli
errori di misura per le grandezze siche. Misurando la dierenza di potenziale di una pila con un
voltmetro di tipo digitale (adeguatamente tarato), la minima quantit`a rilevabile dallo strumento
determina la precisione da attribuire alla tensione della pila, mentre il numero di cifre (stabili)
del display determina lordine di grandezza della sua precisione relativa.
Talvolta, la precisione relativa pu`o risultare ambigua per la presenza degli zeri nella rap-
presentazione della quantit`a. Spesso infatti gli zeri che seguono le cifre signicative non nulle
sono omessi. Per esempio, si assume comunemente che 4.20 e 4.2 siano quantit`a uguali, a rigore
invece, se i due numeri rappresentano una quantit`a non esatta, essi sono diversi perche han-
no diverse caratteristiche di precisione. Se la precisione relativa del numero fosse di tre cifre,
4.20 sarebbe la rappresentazione corretta mentre la rappresentazione 4.2 indica una precisione
relativa di un ordine di grandezza peggiore. Unaltra causa di ambiguit`a `e connessa alla rap-
presentazione in virgola mobile. Per esempio, in mancanza di altre indicazioni, non `e chiaro
se il numero 0.0034 abbia una precisione relativa di 5 cifre o solo di due. Questa ambiguit`a
deriva dalluso della sequenza iniziale di cifre 0 usata nella rappresentazione in virgola mobile
per sostituire lesponente della rappresentazione in virgola ssa. Quando il contesto non risol-
ve lambiguit`a, `e opportuno ricorrere alla notazione scientica. Nellultimo caso si avrebbero
le seguenti rappresentazioni non ambigue 3.4000 10
3
(precisione relativa alla quinta cifra) e
3.4 10
3
(precisione relativa di due cifre).
Spesso nei calcoli `e necessario operare larrotondamento. Scelta con criterio la precisione
relativa con cui rappresentare il risultato, `e necessario controllare la cifra successiva a quella
meno signicativa: se questa `e 0, 1, 2, 3 o 4 larrotondamento `e fatto per difetto (troncamento),
viceversa larrotondamento `e fatto per eccesso, considerando il minimo numero superiore che ha
la precisione richiesta. Larrotondamento `e eettuato sul valore assoluto e il segno si conserva.
Esempio B.1: Arrotondamenti
Numero di partenza Precisione richiesta Risultato Arrotondamento per
34.26 0.1 (al decimo) 34.3 eccesso
-34.26 0.1 (al decimo) -34.3 eccesso
34.26 1 (allunit`a) 34 difetto
634.26 10 (alla decina) 630 difetto
B.3 Scelta della precisione opportuna
La rappresentazione numerica di una quantit`a deve essere coerente con la precisione della
grandezza. Per esempio, il diametro di un perno, se misurato con un calibro che ha la risoluzione
di un decimo di millimetro `e scritto correttamente nel modo seguente: 10.3 mm (precisione
assoluta del decimo di millimetro, precisione relativa di tre cifre). Se lo stesso perno fosse stato
misurato con un comparatore centesimale (che discrimina il centesimo di mm), il diametro
diventerebbe 10.30 mm (precisione del centesimo di mm, precisione relativa alla quarta cifra).
`
E scorretto (oltre che inutile e spesso dannoso) usare pi` u cifre decimali di quante competono
alle caratteristiche di precisione della grandezza da rappresentare. Leccesso di cifre produce
infatti i seguenti inconvenienti:
i tempi di soluzione e di controllo del calcolo aumentano
cresce la probabilit`a di commettere errori banali, per esempio di trascrizione
897
Regole pratiche per il calcolo numerico
un errore banale (di calcolo o di trascrizione) `e compiuto con una probabilit`a che pu`o
essere considerata indipendente dalla posizione della cifra nel numero ma le conseguenze
dellerrore non sono indipendenti dalla posizione della cifra sbagliata (e quindi dal numero
di cifre)
un numero gravato di cifre inutili `e pi` u dicile da ricordare e da vericare.
Nella soluzione dei problemi,le quantit`a devono essere elaborate per ottenere il risultato nale
e ci`o comporta che il grado di precisione dei risultati nali non pu`o essere superiore a quello
dei dati di ingresso. La propagazione degli errori dai dati ai risultati `e un argomento di Analisi
Numerica che richiede una trattazione molto pi` u approfondita di quella che pu`o essere contenuta
in una Appendice. Questi problemi possono essere importanti anche nel campo dellanalisi
assistita da computer, soprattutto quando si arontano fenomeni complessi con modelli descritti
da equazioni non lineari. Nel seguito sono fornite alcune regole di carattere generale che possono
essere applicate nella maggioranza dei calcoli manuali e che quindi sono utili per la soluzione
dei problemi proposti nel presente corso.
I numeri approssimati devono essere inseriti nelle espressioni con ladeguato numero di cifre
decimali. Il numero di cifre decimali del risultato di una elaborazione deve essere congruente
con quello dei dati di ingresso. Per queste ragioni `e opportuno usare le seguenti regole pratiche:
1. quando due numeri approssimati sono moltiplicati o divisi tra loro, il risultato deve essere
rappresentato con lo stesso numero di cifre del numero che ha la minore precisione relativa
2. quando si esegue la somma o la dierenza tra due numeri approssimati, il risultato deve
essere rappresentato in modo che la sua precisione assoluta sia pari a quella del numero
meno preciso.
Nei calcoli, le quantit`a intermedie, contenute nella memoria dei sistemi di elaborazione, devono
essere conservate con tutte le cifre disponibili, questo non ha costo e riduce gli errori di appros-
simazione numerica. Per`o, quando viene presentato un risultato (parziale o nale), le due regole
precedenti dovrebbero essere rispettate.
Anche se si possono trovare (in eetti poche) eccezioni, si pu`o generalmente ammettere che
nella tecnica, raramente si trattano quantit`a con precisione relativa superiore al permille. Di so-
lito, quantit`a che dieriscono tra loro per frazioni del percento sono considerate equivalenti. Per
convincersene basta pensare a tutte le quantit`a che deniscono gli oggetti di normale consumo
come i prodotti alimentari, oppure le misure siologiche (peso, altezza). Pertanto, nella rappre-
sentazione dei numeri approssimati, le cifre oltre alla terza signicativa non hanno generalmente
alcun signicato. Nelle situazioni in cui `e richiesta una maggiore precisione relativa, si rendono
necessarie cure e attenzioni speciche, per il controllo delle condizioni e la scelta dei sistemi di
misura, tipiche dei laboratori metrologici con ambiente controllato e personale qualicato.
Quando la precisione di un numero approssimato `e imprecisata, si pu`o ricorrere alla seguente
regola pratica che assicura una rappresentazione numerica adeguata e ragionevole:
se il numero ha come cifra pi` u signicativa 1 (al massimo 2) `e opportuno rappresentarlo
con 4 cifre
se la prima cifra `e maggiore di 1 `e opportuno rappresentarlo con 3 cifre.
Questo garantisce una precisione relativa dellordine del permille. Esempi di quantit`a cos`
rappresentate sono: 1.234; 0.01578; 2.98; 4.06; 8.70; ecc. . .
Le quantit`a esatte, quando non intere, come per esempio , sono generalmente disponibili
nella memoria delle calcolatrici con un numero di cifre pi` u che suciente.
898
B.3. SCELTA DELLA PRECISIONE OPPORTUNA
Esempio B.2: Diagonale del quadrato
Calcolare la diagonale di una lamiera quadrata di lato a = 32.5 mm.
Dalla geometria elementare sappiamo che la diagonale d del quadrato si ottiene con
lespressione:
d = 2 cos(/4)a =

2a
Sembrerebbe di dover moltiplicare un numero esatto per un numero approssimato. In
eetti, si pu`o ottenere

2 direttamente dalla calcolatrice (`e pi` u immediato e sicuro che
digitare 1.414 . . .) e moltiplicare il risultato (un numero decimale illimitato non periodico)
per 32.5.
In base a quanto detto, il risultato del prodotto non pu`o avere una precisione relativa
superiore al peggiore dei fattori, per cui `e opportuno scrivere:
d = 46.0 mm
arrotondando alla terza cifra signicativa il numero visualizzato sul display che, scritto con
pi` u cifre, sarebbe: 45.962 . . . . Le cifre successive alla terza non hanno alcun signicato
poiche non `e plausibile ottenere la diagonale con una precisione maggiore di quella con cui
`e stato misurato il lato, che costituisce il punto di partenza dellelaborazione.
Anche sul fatto che il fattore adimensionale (in valore:

2 = 2 cos(/4)) sia eettiva-
mente un numero esatto si potrebbe opinare. Non possiamo certo assumere che la lamiera
sia un quadrato perfetto con angoli di 90

assolutamente precisi! Sulla base di questa


osservazione ricaviamo quindi che, non potendo ammettere che la precisione relativa della
misura degli angoli retti sia migliore del permille, la diagonale rappresentata con 3 cifre ha
una precisione presumibilmente eccessiva.
899
Appendice C
Applicazioni del principio dei lavori
virtuali
In questa appendice sono presentati i concetti fondamentali del principio dei lavori virtuali.
Sono in particolare discussi alcuni problemi di statica che evidenziano pregi e difetti del metodo
di soluzione basato sul principio dei lavori virtuali rispetto al metodo basato sulle equazioni
cardinali.
C.1 Il principio dei lavori virtuali
Nei problemi di Meccanica (Statica e Dinamica) si possono generalmente seguire due vie
diverse ma che conducono al medesimo risultato. La prima, che `e quella privilegiata nel presente
corso, deriva dallequazione fondamentale della meccanica

F = ma e, per questo, `e chiamata
approccio dierenziale. La soluzione dei problemi di Statica basata sulle equazioni cardinali
ne costituisce un esempio di applicazione.
La seconda via `e basata sullapplicazione del teorema delle forze vive e quindi prevede il
calcolo dei lavori delle forze. Questo approccio conduce a equazioni nelle quali la funzione
incognita, la legge di moto o la congurazione di equilibrio, compare sotto il segno di integrale.
I metodi di soluzione di questo tipo sono indicati come energetici o variazionali. Quando
le forze agenti sul sistema in esame sono conservative, lapplicazione dei metodi energetici pu`o
essere molto conveniente. In tali casi in eetti `e possibile denire opportune funzioni (energie
potenziali) che permettono di calcolare i lavori delle forze sulla base delle sole congurazioni
iniziali e nali a prescindere dalle traiettorie dei punti del sistema.
Il seguente esempio piano illustra lapplicazione del metodo energetico nella soluzione di
problemi di statica.
Esempio C.1: Equilibrio di un pendolo semplice
Analizzare da un punto di vista energetico le condizioni di equilibrio di un pendolo semplice
(gura C.1) costituito da un punto materiale di massa m collegato al telaio tramite una
barretta di lunghezza l avente massa trascurabile.
Si tratta di un problema del secondo tipo (vedi capitolo 2) facilmente risolvibile con le
equazioni cardinali che dimostrano lesistenza di due congurazioni di equilibrio distinte:
una per = 0 e una per = . Consideriamo la congurazione di equilibrio con la massa
in basso ( = 0) e il corrispondente schema di corpo libero (gura C.2) della massa stessa.
901
Applicazioni del principio dei lavori virtuali
Figura C.1: Pendolo semplice
Supponiamo di eettuare uno spostamento della massa compatibile con i vincoli, nel
caso in esame ci`o consiste nel produrre una rotazione del pendolo. A seguito della varia-
zione di congurazione, i punti di applicazione delle forze si spostano e, di conseguenza, le
forze agenti possono compiere lavoro. Per semplicare il calcolo dei lavori, consideriamo va-
riazioni virtuali di congurazione che, per denizione, sono tali da non produrre alterazioni
nelle forze agenti.
Figura C.2: Schema di corpo libero nella posizione di equilibrio inferiore
Nel caso del pendolo, la rotazione virtuale sar`a indicata con il simbolo . Possiamo
osservare che, con la variazione di congurazione in gura C.2, il lavoro virtuale complessivo
fatto dalle forze agenti sul punto `e nullo, essendo il movimento virtuale della massa m
perpendicolare a entrambe le forze su di essa agenti. Lo stesso si verica anche per laltra
posizione di equilibrio ( = ). Consideriamo invece il pendolo in una qualunque altra
posizione ,= k (con k N). Lo schema di corpo libero del punto materiale `e riportato in
gura C.3 dove la forza esercitata dal braccetto non `e precisata in modulo. Dalle equazioni
cardinali sappiamo che tale congurazione non `e di equilibrio statico. In eetti, se da
tale posizione si eettua uno spostamento virtuale (rotazione ), il lavoro virtuale totale
delle forze (il contributo di T `e nullo indipendentemente dal modulo perche la forza `e
perpendicolare alla traiettoria) `e la seguente quantit`a non nulla:
L = mgl sin
902
C.2. EQUIVALENZA DEL P.L.V. CON LE EQUAZIONI CARDINALI
Figura C.3: Schema di corpo libero in una generica posizione inclinata
Lesempio precedente C.1 illustra il seguente Principio dei Lavori Virtuali (P.L.V.):
in un sistema in equilibrio statico, il lavoro virtuale fatto da tutte le forze agenti per
qualunque spostamento virtuale dei suoi punti (purche compatibile con i vincoli) `e
nullo.
Cos` formulato, il P.L.V. `e molto generale e si applica, oltre che a singoli punti materiali, anche
a sistemi di punti materiali, indipendentemente dalla complessit`a del sistema, purche siano
considerate tutte le forze agenti: interne ed esterne, conservative e non. In particolare, nel caso
di sistemi non rigidi, il lavoro virtuale fatto dalle forze interne `e fondamentale.
Come le equazioni cardinali della statica, anche il P.L.V. pu`o essere esteso alla soluzione di
problemi dinamici, con limpiego di opportuni sistemi di riferimento e lintroduzione delle forze
dinerzia.
C.2 Equivalenza del P.L.V. con le equazioni cardinali
Nellesempio seguente `e vericata lequivalenza tra gli approcci basati sul P.L.V. e sulle
equazioni cardinali.
Esempio C.2: P.L.V. ed equazioni cardinali
Consideriamo un corpo rigido libero nel piano su cui agiscono i seguenti carichi: un mo-
mento M
0
e due forze F e T, rispettivamente applicate nei punti A e B che distano tra loro
a. Determinare il legame tra i carichi anche il corpo sia in equilibrio nella congurazione
rappresentata in gura C.4.
Figura C.4: Corpo rigido libero nel piano
903
Applicazioni del principio dei lavori virtuali
Con le equazioni cardinali, il problema pu`o essere risolto immediatamente (per esempio,
assumendo A come polo):
R
x
= F
x
+T
x
= 0
R
y
= F
y
+T
y
= 0
M
zA
= M
0
+T
y
a = 0
Cerchiamo la condizione di equilibrio con il P.L.V..
`
E necessario caratterizzare nel modo
pi` u generale il moto virtuale del sistema. In questo caso, si tratta di un corpo rigido libero
nel piano per cui deve essere rispettato solo il vincolo interno di rigidezza.
Il generico spostamento virtuale piano del corpo `e completamente rappresentato da tre
quantit`a scalari virtuali indipendenti che caratterizzano i tre gradi di libert`a. Tra le innite
terne di quantit`a indipendenti, si pu`o scegliere: u
A
e v
A
, che individuano lo spostamento
virtuale del punto A, e che individua la rotazione virtuale del corpo attorno ad A. La
gura C.5 mostra il corpo prima (contorno a tratto continuo) e dopo (contorno tratteggiato)
lo spostamento virtuale, con i punti di applicazione delle forze nella nuova congurazione:
A

e B

.
Figura C.5: Moto virtuale del corpo rigido
Per calcolare il lavoro virtuale complessivo `e necessario esprimere lo spostamento dei
punti di applicazione delle azioni agenti in funzione delle quantit`a scalari indipendenti
assunte per caratterizzare la variazione di congurazione. Per la forza F il calcolo del
lavoro risulta immediato. Le componenti cartesiane dello spostamento virtuale del punto
B (ovvero il vettore BB

) si calcolano con considerazioni geometriche elementari, dato che


gli spostamenti virtuali possono essere assunti innitesimi:
u
B
= u
A
v
B
= v
A
+a
Il lavoro virtuale totale si ottiene sommando i tre contributi:
L = F
x
u
A
+F
y
v
A
+T
x
u
B
+T
y
v
B
+M
0

In questo caso, le forze interne non intervengono nel bilancio in quanto, essendo il corpo
rigido, fanno lavoro nullo. Tenendo conto delle relazioni scritte per lo spostamento di B e
raccogliendo i termini, si ottiene la relazione:
L = (F
x
+T
x
) u
x
+ (F
y
+T
y
) u
y
+ (M
0
+T
y
a) = 0
che rappresenta una combinazione lineare delle quantit`a scalari indipendenti u
x
, u
y
,
che deniscono lo spostamento virtuale. Sulla base del P.L.V., lequilibrio si verica se il
lavoro virtuale `e nullo per ogni valore assunto dagli spostamenti virtuali. Questa condizione
`e soddisfatta se e solo se tutti i coecienti della combinazione lineare sono nulli.
904
C.3. SOLUZIONE DI PROBLEMI DI MECCANICA CON IL P.L.V.
Dallesempio `e immediato vericare che lannullamento dei coecienti della combinazione
lineare con cui `e espresso il lavoro virtuale conduce alle stesse uguaglianze che si ottengono
imponendo le equazioni cardinali.
Per quanto non sia vantaggioso dal punto di vista dei calcoli, lo spostamento virtuale del
corpo poteva essere espresso adottando, come quantit`a scalari indipendenti, lo spostamento
u
C
e v
C
di un qualunque altro punto C (al posto di A) e la rotazione del corpo attorno a C
(tale rotazione `e ovviamente ancora , essendo il corpo rigido). Le relazioni che si ottengono
dal P.L.V. con questa diversa scelta dei parametri sono combinazioni lineari di quelle ottenute
nellesempio precedente.
`
E lasciata al lettore la verica che scegliere C come punto di riferimento
per gli spostamenti corrisponde ad assumere C stesso come polo per il calcolo del momento nelle
equazioni cardinali.
C.3 Soluzione di problemi di Meccanica con il P.L.V.
Come illustrato nei prossimi esempi, il P.L.V. pu`o essere impiegato al posto delle equazioni
di equilibrio per risolvere anche problemi che riguardano meccanismi e strutture.
Esempio C.3: P.L.V. per lanalisi di meccanismi
Con il P.L.V. valutare la forza orizzontale F che deve essere applicata in C per mantenere
in equilibrio il meccanismo a un grado di libert`a (manovellismo di spinta centrato)
composto da due barre rigide di lunghezza a connesse con vincoli ideali rappresentato in
gura C.6. Il carico `e costituito da un momento puro M
0
applicato al corpo AB. Vericare
che il punto di applicazione del momento non ha eetto sul valore di F.
Figura C.6: Manovellismo di spinta centrato
Possiamo assumere la coordinata angolare come coordinata lagrangiana ed esprimere
lo spostamento virtuale di tutti i punti del sistema in funzione della sua variazione virtuale
. Anche in questo caso, essendo i corpi innitamente rigidi e i vincoli ideali (senza attri-
to), le forze interne non fanno lavoro. Per esprimere il lavoro virtuale, `e necessario ottenere
in funzione di la rotazione del corpo AB (spostamento energeticamente associato al
momento applicato) e lo spostamento orizzontale del punto C.
Osserviamo che > 0 se cresce e quindi, per come `e stata denita la coordinata
angolare , se AB ruota in senso antiorario. Considerando un asse cartesiano orizzontale
centrato in A e diretto verso C, lascissa di C `e data da:
x
C
= 2a cos
905
Applicazioni del principio dei lavori virtuali
dierenziando si ottiene:
dx
C
= 2a sin d
Considerando lo spostamento virtuale innitesimo, si pu`o scrivere:
x
C
= 2a sin
da cui si ottiene il lavoro virtuale complessivo:
L = M
0
F x
C
= (M
0
+ 2Fa sin )
Anche il lavoro virtuale sia nullo per ogni spostamento virtuale, deve essere:
M
0
+ 2Fa sin = 0
dalla quale si giunge alla soluzione:
F =
M
0
2a sin
Possiamo notare lestrema ecienza del procedimento, che ha fornito il risultato senza ri-
chiedere la soluzione di un sistema di equazioni (a dierenza del metodo basato sulle cardinali).
Tuttavia, la soluzione con il P.L.V. richiede una sintesi geometrico-cinematica del meccanismo
che potrebbe non essere facile in altri casi.
Il P.L.V. `e spesso utile per determinare propriet`a particolari dalla soluzione, come il valore
di alcune componenti delle azioni statiche. Tuttavia, per problemi in cui `e richiesta la soluzione
completa, con il tracciamento dello schema di corpo libero di tutti i corpi costituenti, il vantaggio
del P.L.V. rispetto al metodo basato sulle cardinali generalmente viene meno.
Gli esempi precedenti sembrano indicare che il P.L.V. sia applicabile solo a meccanismi,
in quanto richiede che nel sistema possano prodursi spostamenti. Il metodo pu`o essere invece
adattato facilmente anche alla soluzione di problemi isostatici, come illustra il seguente esempio.
Esempio C.4: P.L.V. per la soluzione di problemi isostatici
Considerato larco a tre cerniere di gura C.7 di geometria e carico analogo allo schema
dellesempio precedente, usando il P.L.V., determinare:
a) la reazione orizzontale applicata dal telaio al punto C
b) la forza verticale che i due elementi AB e BC si scambiano in corrispondenza della
cerniera in B
906
C.3. SOLUZIONE DI PROBLEMI DI MECCANICA CON IL P.L.V.
Figura C.7: Arco a tre cerniere
La cerniera in C impedisce il moto orizzontale esercitando una opportuna componente oriz-
zontale di forza. Per ottenere (solo) tale componente della reazione vincolare, eliminiamo
la componente orizzontale del vincolo geometrico, trasformando la cerniera in un appoggio
verticale. Come consuetudine, `e necessario introdurre nello schema di corpo libero la rea-
zione vincolare (incognita) associata al grado di libert`a svincolato. Si ottiene in tal modo
lo stesso schema del precedente esempio rappresentato in gura C.6. La risposta alla do-
manda a) `e pertanto la soluzione dellesempio precedente. Possiamo riconoscere in questo
procedimento il tracciamento di una sorta di schema di corpo libero preliminare parziale
nel quale `e evidenziata, oltre ai carichi, solo lincognita statica che interessa valutare.
La risposta alla domanda b) pu`o essere ottenuta in modo analogo, tenendo conto che,
essendo in questo caso richiesta la reazione di un vincolo interno, entrambe le componenti
di azione-reazione sono signicative (possono fare lavoro) e devono essere riportate nello
schema di corpo libero preliminare parziale. Lapplicazione del P.L.V. `e illustrata nella
gura C.8, che evidenzia i seguenti aspetti:
eliminando la reazione verticale, la cerniera in B diventa un appoggio semplice
(interno),
la struttura isostatica di partenza diventa un meccanismo a un grado di libert`a in cui
le due forze opposte T devono essere tali da mantenere lequilibrio nella congurazione
indicata,
la componente verticale della forza che i due corpi si scambiano in B (per il terzo
principio) agisce su parti separate della struttura: B
1
e B
2
nello schema,
entrambe le componenti T fanno lavoro.
907
Applicazioni del principio dei lavori virtuali
Figura C.8: Sconnessione parziale di un vincolo interno per valutare la
componente verticale della reazione vincolare
Per trovare gli spostamenti virtuali verticali dei punti B
1
e B
2
in conseguenza della solita
rotazione virtuale del corpo AB (assunta come coordinata lagrangiana), `e sucien-
te considerare che la distanza AC = a cos + a cos deve rimanere costante, per cui
dierenziando si ha la relazione:
a sin d a sin d = 0
inoltre, se si tiene conto che, nella congurazione data = , dalla relazione precedente si
ricava:
d = d
Poiche la quota verticale dei due punti B
1
e B
2
`e:
y
B
1
= a sin
y
B
2
= a sin
lo spostamento verticale (positivo verso lalto) dei punti B
1
e B
2
`e rispettivamente:
dy
B
1
= a cos d
dy
B
2
= a cos d = a cos d
pertanto, il lavoro virtuale complessivo dovuto a = d risulta:
L = M
0
d +T dy
B
1
T dy
B
2
= M
0
d +Ta cos d T (a cos d) =
= (M
0
+ 2Ta cos )
da cui per il P.L.V., si ottiene la risposta:
T =
M
0
2a cos
Come nella soluzione con le equazioni cardinali, il segno positivo o negativo del risultato
indica se il verso eettivo della reazione `e concorde o discorde da quello presunto nello
schema di corpo libero preliminare.
908
C.4. EFFICACIA DEL P.L.V.
C.4 Ecacia del P.L.V.
In alcuni problemi il P.L.V. si dimostra veramente ecace, come illustrato negli esempi
seguenti, il primo nel piano e il secondo nello spazio.
Esempio C.5: Pantografo moltiplicatore di forza
Determinare la forza agente sul cavo AB nel pantografo di gura C.9 al cui estremo `e
applicata la forza F.
Figura C.9: Pantografo moltiplicatore di forza
Volendo risolvere il problema con le equazioni cardinali, si dovrebbe impostare un
sistema lineare di oltre 20 equazioni. La soluzione `e peraltro univocamente determinabile,
essendo il problema isostatico. Si osservi peraltro che la struttura non `e reticolare. In
questo caso, per rispondere alla specica domanda, il P.L.V. `e ecacissimo. Eliminiamo
il cavo AB e lo sostituiamo con la forza che esso pu`o esercitare sul pantografo in B. Il
pantografo pu`o essere considerato come la sequenza di 7 triangoli isosceli uguali che si
allargano (o si restringono) tutti della stessa quantit`a. Pertanto, indicando con x
B
lo
spostamento orizzontale del punto B, lo spostamento orizzontale dellestremo C sar`a:
x
C
= 7x
B
.
Il tiro del cavo `e quindi 7 volte pi` u intenso del modulo della forza F. Pu`o essere interessante
osservare che il fattore di amplicazione della forza risulta indipendente dallangolo di
apertura del pantografo, pertanto il fattore di amplicazione si mantiene costante durante
il funzionamento anche se il pantografo modica sensibilmente la sua congurazione.
Esempio C.6: Morsa
Il meccanismo a vite di una morsa sfrutta `e tale per cui, in conseguenza di una rotazione
completa, le ganasce si avvicinano di p = 5 mm. Sulla vite di comando `e montata una
maniglia rettilinea di lunghezza b = 300 mm perpendicolare allasse della vite stessa.
Allestremit`a della maniglia `e esercitata una forza P = 200 N, in direzione normale al
piano individuato dagli assi della maniglia e della vite. Determinare la forza di chiusura S
della morsa.
Si tratta di un problema che, come il precedente, pu`o essere risolto in modo immediato
con il P.L.V., prescindendo dalle caratteristiche costruttive e dimensionali della morsa
909
Applicazioni del principio dei lavori virtuali
(ovviamente considerando gli elementi rigidi e gli attriti trascurabili). Infatti, supponendo
di produrre una rotazione della maniglia, il lavoro complessivo sar`a:
L = Pb S
p
2

e quindi
S =
2b
p
P = 377 P = 75.4 kN
Come `e tipico per le morse con attrito trascurabile, si osserva che il meccanismo amplica
notevolmente la forza (motrice) F nella forza (resistente) S. Il P.L.V. permette di eviden-
ziare in modo immediato che il fattore di amplicazione delle forze `e pari al reciproco del
rapporto tra i corrispondenti spostamenti dei punti di applicazione delle forze (misurati
nella direzione delle forze stesse).
In presenza di attrito nei vincoli, il problema si complica perche le reazioni vincolari sono in
grado di fare lavoro. In questi casi useremo il metodo delle equazioni cardinali.
910
Appendice D
Propriet`a geometriche delle sezioni
Nello studio del comportamento strutturale delle travi, lo stato di tensione prodotto dalle
caratteristiche di sollecitazione pu`o essere valutato in molti casi in modo analitico se sono note
alcune propriet`a geometriche globali della sezione. Le stesse caratteristiche di sollecitazione
sono denite con riferimento al sistema locale della sezione, determinato in base alle propriet`a
geometriche della sezione stessa. In particolare, lorigine del sistema locale `e localizzata nel
baricentro della sezione e lorientazione degli assi `e legata alle propriet`a dinerzia.
Nella presente appendice sono denite le principali propriet`a geometriche delle sezioni e
sono sviluppati metodi per la loro determinazione. Sono inoltre fornite indicazioni pratiche su
come ottenere tali propriet`a per sezioni di forma complessa a partire dalle caratteristiche degli
elementi costituenti reperibili dalla consultazione di manuali tecnici.
D.1 Denizioni
Nel seguito sono esaminate sezioni piane generalmente di area non nulla (gure non degeneri)
che occupano un dominio bidimensionale limitato indicato con avente contorno la linea chiusa
, come schematizzato in gura D.1. La sezione pu`o essere composta di pi` u parti separate, pu`o
presentare fori e quindi vi possono essere pi` u linee di contorno. Si assume che il contorno
sia costituito da un numero nito di tratti regolari di linea, ovvero continui e derivabili
(vedi Appendice E), in modo che, escluso al pi` u un numero nito di punti (gli eventuali punti
angolosi), sia denibile una retta tangente al contorno.
Per rappresentare le coordinate dei punti si far`a uso di vari sistemi di riferimento cartesiani
bidimensionali con gli assi giacenti nel piano della sezione. In conformit`a con la notazione
adottata per le caratteristiche di sollecitazione delle travi, la designazione classica x y sar`a
riservata agli assi del sistema di riferimento con origine nel baricentro e con le direzioni centrali
principali dinerzia. Per i sistemi di riferimento che non hanno queste caratteristiche saranno
impiegati simboli con (uno o pi` u) apici, come per esempio: x

o x

.
Nella gura D.1 `e visualizzata una sezione in un generico sistema di riferimento cartesiano
piano. Larea A della gura `e il valore (positivo) dellintegrale doppio:
A =
_

dx

dy

(D.1)
Questa operazione, come noto dallAnalisi Matematica, consiste nelleettuare la somma delle
aree innitesime di tutti i rettangoli elementari (aventi lati dx

e dy

) del piano che appartengono


al dominio della sezione (gura D.1).
911
Propriet`a geometriche delle sezioni
Figura D.1: Generica sezione in un sistema cartesiano piano
Esempio D.1: Area di un settore parabolico
Calcolare larea della sezione rappresentata in gura D.2, consistente nella porzione di
parabola di equazione y

=
1
4
_
x
2
+ 1
_
che si trova sotto la retta passante per i punti
B(2, 1.25) e C(4, 4.25) (le quantit`a numeriche sono espresse in mm).
Figura D.2: Esempio di sezione costituita da un segmento parabolico nel
sistema cartesiano x

La retta BC ha equazione y

= 0.5x

+ 2.25, pertanto larea si ottiene con il seguente


integrale doppio:
A =
4
_
2
_
_
0.5x

+2.25
1
4
(x
2
+1)
dy

_
dx

= 9 mm
2
Poiche le misure lineari sono state espresse in mm, larea risulter`a espressa in mm
2
.
Il ricorso al calcolo dellintegrale (D.1) per valutare unarea `e raro nei casi pratici. Molto
spesso, infatti, una sezione pu`o essere scomposta in un numero nito di parti (o sottosezioni) di
forma semplice (rettangoli, triangoli, porzioni di cerchio, ecc. . . ) le cui aree sono valutabili con
le formule della geometria elementare. Sfruttando la propriet`a di additivit`a dellintegrale, larea
della gura composta (similmente a molte altre propriet`a geometriche di seguito introdotte)
si ottiene come somma delle aree delle sue parti. Il calcolo dellintegrale diventa necessario
quando il contorno della gura `e formato da tratti non circolari o rettilinei dei quali lespressione
analitica `e nota, come nellesempio precedente.
912
D.2. MOMENTI STATICI E BARICENTRO
Esempio D.2: Area di una sezione composta
Calcolare larea della sezione in gura D.3 quotata in mm.
Figura D.3: Sezione scomponibile in porzioni di forma elementare
La sezione pu`o essere scomposta in un rettangolo di lati 50 mm e 40 mm, un triangolo
rettangolo di cateti 40 mm e 40 mm e un semicerchio di raggio 25 mm (tutte le misure sono
considerate precise al mm). Larea vale pertanto:
A = 40 50 +
1
2
40
2
+

2
25
2
= 3.78 10
3
mm
2
il risultato `e stato rappresentato con una precisione relativa pi` u che suciente, tenendo
conto delle caratteristiche di precisione dei dati di ingresso (come indicato nellappendice
B).
D.2 Momenti statici e baricentro
D.2.1 Denizione di momento statico e sue propriet`a
Dato un sistema di assi x

e origine O

(come in gura D.1), si denisce momento


statico (rst static moment) o momento del primo ordine della sezione rispetto allasse
x

il seguente integrale doppio:


S
x
=
_

dx

dy

(D.2)
in cui le aree dei rettangoli innitesimi appartenenti a sono moltiplicate per la loro ordinata
y

prima di essere sommate. In modo analogo `e denito il momento statico rispetto allasse y

:
S
y
=
_

dx

dy

(D.3)
Dalle denizioni dei momenti statici si possono eettuare le seguenti osservazioni:
il momento statico `e dimensionalmente equivalente a un volume (generalmente si misura
in mm
3
);
nellintegrale compare la distanza con segno dallasse indicato a pedice (il valore dellaltra
coordinata rispetto al pedice);
913
Propriet`a geometriche delle sezioni
a dierenza dellarea, per il momento statico `e rilevante anche la posizione della sezione
rispetto allasse; pertanto A `e una quantit`a invariante con il sistema di riferimento, mentre
i momenti statici S non lo sono;
il momento statico `e una quantit`a con segno; per esempio nel caso in gura D.1, S
x
e
S
y
sono entrambi positivi, invece se la sezione fosse contenuta completamente nel secondo
quadrante sarebbe S
x
> 0 e S
y
< 0;
se lorigine degli assi `e allinterno del contorno esterno di una sezione, il segno del momento
statico non `e immediatamente prevedibile, in questo caso S
x
potrebbe essere positivo,
negativo o anche nullo.
Il momento statico deve il suo nome a una evidente analogia meccanica. Si consideri una
lamiera di materiale omogeneo avente densit`a e spessore tale che il peso per unit`a di supercie
sia unitario. Se dalla lamiera viene ritagliata una porzione avente la stessa forma di e si
dispone tale corpo su un piano orizzontale con assi x

e y

, il momento statico della sezione S


x

`e numericamente uguale alla componente x

del momento risultante delle forze peso calcolato


rispetto allorigine O

e S
y
numericamente uguale alla componente y

.
Per il calcolo dei momenti statici di sezioni di forma complessa si possono ripetere consi-
derazioni analoghe a quelle fatte per larea. Anche in questo caso, le propriet`a di additivit`a
dellintegrale permettono di scomporre la sezione in sottosezioni aventi forme semplici.
D.2.2 Eetto del cambiamento del sistema di riferimento
Per sviluppare tecniche di calcolo basate sulla scomposizione della sezione in parti semplici, `e
utile analizzare in che modo i momenti statici variano se si modica il sistema di riferimento. In
primo luogo consideriamo leetto prodotto sul momento statico dallo spostamento dellorigine
del sistema di riferimento ovvero da una traslazione degli assi. Consideriamo una sezione i cui
Figura D.4: Traslazione di assi dal sistema originario x

al sistema nuovo
x

avente centro in O

che ha coordinate (a

, b

) nel sistema originario


momenti statici S
x
e S
y
sono noti rispetto al sistema x

(sistema originario). Valutiamo i


momenti statici rispetto agli assi x

di un sistema traslato (sistema nuovo) il cui centro `e


collocato nel punto O

. Il centro del nuovo sistema `e denito dalle coordinate (a

, b

) riferite al
sistema originario, come mostrato in gura D.4. Il singolo apice per le grandezze a

e b

indica
che sono coordinate riferite agli assi originari. In base alle denizioni (D.2) e (D.3), si ottengono
le relazioni:
S
x
=
_

dx

dy

=
_

_
y

_
dx

dy

=
_

dx

dy

dx

dy

(D.4)
914
D.2. MOMENTI STATICI E BARICENTRO
S
y
=
_

dx

dy

=
_

_
x

_
dx

dy

=
_

dx

dy

dx

dy

(D.5)
riassumibili nelle seguenti formule di facile memorizzazione:
S
x
= S
x
b

A (D.6)
S
y
= S
y
a

A (D.7)
`
E opportuno osservare che, esclusa larea A, le quantit`a indicate nelle relazioni (D.6) e (D.7)
hanno segno e, pertanto, la corretta applicazione di tali formule richiede rigore e attenzione nella
denizione degli assi, delle relative coordinate nonche nellidenticazione del sistema originario
(singolo pedice) e di quello nuovo (doppio pedice).
D.2.3 Denizione di baricentro
Se i momenti statici nel sistema originario sono noti, le relazioni (D.6) e (D.7) consentono
di rispondere alla domanda: esiste un punto, che chiameremo G, da considerarsi il centro del
sistema nuovo, rispetto al quale i momenti statici S
x
e S
y
sono entrambi nulli?
Per rispondere `e necessario discutere le equazioni che si ottengono dalle relazioni (D.6) e
(D.7) ponendo a zero i primi membri e considerando come incognite a

= x

G
e b

= y

G
(le
coordinate di G nel sistema originario):
S
x
y

G
A = 0 (D.8)
S
y
x

G
A = 0 (D.9)
Poich`e le (D.8) e (D.9) sono equazioni di primo grado con A > 0, esse hanno sempre ununica
soluzione:
y

G
=
S
x

A
(D.10)
x

G
=
S
y

A
(D.11)
Si pu`o quindi concludere che:
data una qualunque sezione e una coppia di direzioni perpendicolari, esiste sempre,
ed `e unico, un punto G tale per cui i momenti statici calcolati rispetto agli assi
passanti per G e paralleli alle direzioni date sono nulli.
Il punto G `e detto baricentro della sezione .
Un asse rispetto al quale il momento statico `e nullo `e detto centrale per la sezione. Nellam-
bito della geometria delle sezioni gli aggettivi centrale, baricentrale e baricentrico sono sinonimi.
Si indicano indierentemente come rette centrali o rette baricentriche le rette che passano per
G e quindi hanno momento statico nullo.
Esempio D.3: Calcolo del baricentro in base alla denizione
Determinare il baricentro del segmento di parabola di gura D.2 sulla base della denizione.

Rispetto agli assi cartesiani indicati nella gura D.2, possono essere valutati i momenti
statici tramite i seguenti integrali:
S
x
=
4
_
2
_
_
0.5x

+2.25
1
4
(x
2
+1)
y

dy

_
dx

= 16.65 mm
3
915
Propriet`a geometriche delle sezioni
Figura D.5: Determinazione delle coordinate del baricentro
S
y
=
4
_
2
_
_
0.5x

+2.25
1
4
(x
2
+1)
x

dy

_
dx

= 9.00 mm
3
da cui, ricordando che larea `e 9 mm
2
, si ha: x

G
= 9.00/9.00 = 1.00 mm e y

G
=
16.65/9.00 = 1.85 mm.
D.3 Propriet`a del baricentro e calcolo del momento statico di
gure complesse
D.3.1 Alcune propriet`a del baricentro
Si pu`o dimostrare che, partendo da un qualunque sistema di riferimento, anche con assi
diversamente orientati, si ottengono per G coordinate generalmente diverse ma che individuano
lo stesso punto sulla sezione. La posizione relativa del baricentro rispetto a una sezione `e
pertanto una propriet`a invariante della sezione stessa e pu`o essere determinata utilizzando
un sistema di riferimento qualsiasi. Ritornando allanalogia della piastra di densit`a uniforme
descritta nel paragrafo precedente, il baricentro corrisponde al centro di massa e appartiene
allasse centrale del sistema delle forze peso.
Sulla base delle considerazioni nora sviluppate o da esse deducibili, `e possibile elencare le
seguenti propriet`a del baricentro che possono essere utili nella soluzione dei problemi:
per una gura il baricentro `e unico e pu`o essere scelto il sistema di riferimento pi` u
conveniente per ottenerne le coordinate;
se il baricentro non `e noto, le sue coordinate sono ricavabili (come indicato dalle relazioni
(D.10) e (D.11) dal rapporto tra momenti statici e area;
in molte circostanze la posizione del baricentro `e nota a priori, in tal caso le relazioni
(D.10) e (D.11) possono essere utili per calcolare i momenti statici;
chiamati x

min
e x

max
rispettivamente i valori minimo e massimo (in senso algebrico,
ovvero x

min
< x

max
) delle ascisse dei punti di una sezione non degenere, deve essere
x

min
< x

G
< x

max
; analogamente per le ordinate. Questa propriet`a `e indipendente
dallorientamento del sistema di assi e si pu`o formulare anche come segue: se supponiamo
916
D.3. PROPRIET
`
A DEL BARICENTRO E CALCOLO DEL MOMENTO STATICO DI FIGURE COMPLESSE
di tendere un anello di elastico sul contorno esterno di una sezione in modo che non si
producano grinze, il baricentro della sezione `e interno alla gura sottesa dallelastico;
la posizione del baricentro non ha nulla di sico, nel caso di una sezione anulare (per
esempio la sezione di un tubo) il baricentro occupa una posizione in cui non vi `e materiale;
se una retta r del piano `e centrale (ovvero `e tale per cui `e nullo il suo momento statico:
S
r
= 0), allora r passa per il baricentro;
tutti e soli gli assi che hanno momento statico nullo per una sezione (linsieme degli assi
centrali) costituiscono il fascio di rette proprio con punto comune il baricentro;
se una gura `e simmetrica rispetto a un asse q, il momento statico S
q
`e nullo, quindi lasse
di simmetria `e una retta centrale e contiene il baricentro;
se una gura ha due assi di simmetria, il baricentro `e la loro intersezione, da questa
propriet`a, si ricava la posizione del baricentro di molte gure geometriche elementari:
quadrati, rettangoli, rombi, cerchi, corone circolari, ecc. . . ;
il baricentro di un triangolo `e lintersezione delle mediane, in particolare il baricentro
divide i segmenti di mediana in due parti, una di lunghezza doppia dellaltra.
Unaltra interessante propriet`a del baricentro, utile in varie circostanze, permette di calcolare
il volume V del toro generato per rotazione di una gura piana attorno a un asse esterno alla
gura stessa (lasse pu`o anche intersecare il contorno ma non punti interni al dominio ).
Consideriamo, come esempio, il solido generato per rotazione di attorno allasse x

come
rappresentato in gura D.6. Il volume pu`o essere ottenuto con un integrale doppio, sommando
i volumi innitesimi dV degli anelli di raggio y

generati dalla rotazione delle sezioni elementari


dx

dy

attorno allasse x

.
Figura D.6: Generazione di un solido torico tramite la rotazione della sezione
attorno allasse x

V =
_

2y

dx

dy

(D.12)
917
Propriet`a geometriche delle sezioni
sviluppando i calcoli si ottiene la relazione:
V = 2S
x
= 2y

G
A (D.13)
che si pu`o enunciare come segue (teorema di Guldino):
il volume di un toro ottenuto per rotazione di una gura piana (avente qualsiasi
forma) attorno a un asse non interno `e pari allarea della gura moltiplicata per il
percorso compiuto nella rotazione dal baricentro della gura.
Il teorema di Guldino `e valido anche nel caso di rotazioni non complete, e pu`o essre esteso
anche al calcolo dellarea della supercie laterale del solido torico. Per ottenere larea della
supercie `e necessario moltiplicare il perimetro della gura che lo genera per il percorso del
baricentro della linea stessa (attenzione: la linea di contorno `e una gura piana degenere e il
suo baricentro in genere non coincide con il baricentro della gura sottesa ).
Esempio D.4: Applicazione del teorema di Guldino
Calcolare il volume V e la supercie totale S
t
dellanello in gura D.7 con R
2
> R
1
.
Figura D.7: Sezione di un anello circolare completo
Sulla base del teorema di Guldino, poiche per simmetria il centro del cerchio `e il
baricentro sia della gura sia della circonferenza di contorno , sar`a:
V = R
2
1
2R
2
= 2
2
R
2
1
R
2
S
t
= 2R
1
2R
2
= 4
2
R
1
R
2
Nel prossimo esempio il teorema di Guldino `e utilizzato al contrario per determinare il
baricentro del semicerchio.
918
D.3. PROPRIET
`
A DEL BARICENTRO E CALCOLO DEL MOMENTO STATICO DI FIGURE COMPLESSE
Esempio D.5: Baricentro del semicerchio
Determinare il baricentro del semicerchio di raggio R con il teorema di Guldino.
Figura D.8: Baricentro del semicerchio
Il semicerchio ha un asse di simmetria, pertanto per determinare la posizione di G `e
suciente calcolarne la distanza c dal segmento di contorno (gura D.8). La rotazione
completa del semicerchio attorno al segmento di contorno genera la sfera di raggio R il cui
volume `e 4/3R
3
pertanto:
2c
R
2
2
=
4
3
R
3
da cui si ottiene la posizione del baricentro:
c =
4
3
R

= 0.4244R
Nota. Il lettore interessato pu`o determinare il baricentro del contorno.
D.3.2 Baricentro di gure composte
La relazione tra momento statico e posizione del baricentro `e utile per determinare il bari-
centro di una sezione scomponibile in parti semplici quando per ognuna delle parti sono note
(o facilmente ottenibili) larea e la posizione del baricentro. Il seguente esempio illustra una
applicazione.
Esempio D.6: Baricentro di sezioni composte
Individuare la posizione del baricentro per la sezione riportata in gura D.3.
919
Propriet`a geometriche delle sezioni
Figura D.9: Figura scomposta in parti semplici di cui sono note le posizioni
dei baricentri
Consideriamo un sistema di riferimento comodo per individuare le coordinate dei punti
della sezione, come riportato nella gura D.9. La sezione pu`o essere scomposta in tre
parti (
1
,
2
,
3
) diversamente ombreggiate in gura D.9, per ognuna delle quali larea
(A
1
= 981.7 mm
2
, A
2
= 2000 mm
2
, A
3
= 800 mm
2
) e la posizione dei baricentri `e di
immediata determinazione (valori in mm): G
1
(25.0, 50.6), G
2
(25.0, 20.0) e G
3
(63.3, 13.33).
Sfruttando le propriet`a di additivit`a e le relazioni (D.8) e (D.9), si ottengono larea e i
momenti statici complessivi della sezione:
A = A
1
+A
2
+A
3
= 3.782 10
3
mm
2
S
x
= 981.7 50.6 + 2000 20.0 + 800 13.33 = 1.004 10
5
mm
3
S
y
= 981.7 25.0 + 2000 25.0 + 800 63.33 = 1.252 10
5
mm
3
da cui le coordinate del baricentro della sezione composta si deducono immediatamente:
x

G
=
1.252 10
5
3.782 10
3
= 33.1 mm
y

G
=
1.004 10
5
3.782 10
3
= 26.5 mm
Il baricentro G della sezione composta `e rappresentato nella gura D.9.
Generalizzando il procedimento descritto nellesempio precedente, `e possibile dimostrare il
seguente teorema:
le coordinate del baricentro di una sezione composta sono le medie aritmetiche pon-
derate delle omonime coordinate dei baricentri delle sottosezioni con peso pari alle
rispettive aree
in forma analitica:
x

G
=
n

i=1
A
i
x

Gi
A
; y

G
=
n

i=1
A
i
y

Gi
A
(D.14)
in cui A
i
e G
i
(x

Gi
, y

Gi
) rappresentano rispettivamente larea e il baricentro della i-esima
sottosezione, con i = 1..n e n il numero delle sottosezioni.
920
D.4. MOMENTI DINERZIA
Lesempio precedente illustra la facilit`a con cui le propriet`a complessive possono essere
ottenute quando si pu`o eettuare una scomposizione in parti elementari aventi aree e baricentri
noti. La soluzione del problema avrebbe richiesto calcoli pi` u laboriosi se il baricentro fosse stato
determinato tramite integrazione. Il procedimento di scomposizione si applica anche a sezioni
con fori, un foro pu`o essere infatti considerato una regione di area negativa che si sovrappone a
una gura senza fori, come mostrato nellesempio seguente.
Esempio D.7: Baricentro di una semicorona circolare
Determinare il baricentro di una semicorona circolare di raggio esterno R
2
e raggio interno
R
1
(con R
2
> R
1
).
Con riferimento alla gura D.10, considerazioni di simmetria suggeriscono che x

G
= 0,
il problema si riduce pertanto alla valutazione dellordinata di G.
Figura D.10: Baricentro di una semicorona circolare
Il momento statico della sezione rispetto allasse x

(ottenuto come pieno meno vuoto)


vale:
S
x
=

2
R
2
2

4
3
R
2


2
R
2
1

4
3
R
1
=
2
3
_
R
3
2
R
3
1

da cui
y

G
=
S
x

A
=
4
3
R
3
2
R
3
1
R
2
2
R
2
1
D.4 Momenti dinerzia
D.4.1 Denizioni
I momenti del secondo ordine o momenti dinerzia (second order moments) di
una sezione rispetto a una coppia di assi cartesiani x

sono deniti dalle relazioni:


J
x
=
_

y
2
dx

dy

(D.15)
J
y
=
_

x
2
dx

dy

(D.16)
J
x

y
=
_

dx

dy

(D.17)
921
Propriet`a geometriche delle sezioni
Nei primi due integrali sono sommate le aree dei rettangoli elementari dx

dy

moltiplicati per il
quadrato della distanza rispetto allasse a cui si riferisce il momento (lasse indicato dal pedice).
Per tale motivo J
x
e J
y
sono chiamati momenti dinerzia assiali. Il terzo `e lintegrale
sullarea del prodotto delle coordinate ed `e chiamato momento dinerzia centrifugo o misto.
`
E denito anche il momento dinerzia polare, che si ottiene integrando sulla sezione il
quadrato della distanza r

del rettangolo elementare dallorigine O

degli assi:
J
O
=
_

r
2
dx

dy

(D.18)
Essendo r
2
= x
2
+y
2
si ottiene la relazione generale:
J
O
= J
x
+J
y
(D.19)
D.4.2 Principali propriet`a dei momenti dinerzia
In base alle denizioni, si possono ricavare alcune propriet`a dei momenti dinerzia per sezioni
non degeneri, che risultano particolarmente utili nella soluzione di molti problemi:
i momenti dinerzia sono, dimensionalmente, distanze elevate alla quarta potenza e,
generalmente, si esprimono in mm
4
;
il nome (e anche la denizione) ricorda le equivalenti propriet`a dinerzia di massa dei
corpi rigidi, le grandezze appena denite sono tuttavia quantit`a di natura geometrica.
Per evitare confusione, nel presente corso le omonime propriet`a dinerzia di massa sono
indicate con il simbolo I;
consideriamo una lamiera piana di piccolo spessore h avente forma equivalente a e
densit`a uniforme tale che il prodotto h (che rappresenta la densit`a per unit`a di
supercie) sia unitario; per un sistema di assi x

tale che il piano medio della


lamiera giaccia sul piano x

, si pu`o vericare che: il momento dinerzia di massa


attorno allasse x

(I
x
) `e numericamente uguale al J
x
della sezione, I
y
`e numericamente
uguale a J
y
e I
z
numericamente uguale a J
O
(a rigore le uguaglianze per gli assi x

e y

sono vericate al limite per h 0);


i momenti dinerzia assiali, e quindi anche quello polare, sono quantit`a strettamente
positive, qualsiasi sia la sezione (non degenere) e il sistema di riferimento;
il momento dinerzia centrifugo pu`o essere positivo, negativo o anche nullo (nel caso di
gura D.1, essendo la sezione completamente contenuta nel primo quadrante, il momento
centrifugo `e positivo);
data una retta n del piano, il momento dinerzia assiale rispetto a n, che indichiamo con
J
n
, `e denito assumendo un sistema di riferimento piano con lasse x

coincidente con n
(lorigine pu`o essere scelta in un qualunque punto di n) e calcolando il momento dinerzia
assiale J
x
;
anche i momenti dinerzia sono additivi e quindi `e possibile calcolarli ricorrendo alla
tecnica delle sottosezioni.
922
D.4. MOMENTI DINERZIA
Esempio D.8: Calcolo dei momenti dinerzia per un settore di parabola
Determinare i momenti dinerzia della sezione in gura D.2 rispetto agli assi.
J
x
=
4
_
2
_
_
0.5x

+2.25
1
4
(x
2
+1)
y
2
dy

_
dx

= 37.98 mm
4
J
y
=
4
_
2
_
_
0.5x

+2.25
1
4
(x
2
+1)
x
2
dy

_
dx

= 25.2 mm
4
J
x

y
=
4
_
2
_
_
0.5x

+2.25
1
4
(x
2
+1)
x

dy

_
dx

= 24.74 mm
4
J
O
= J
x
+J
y
= 63.18 mm
4
Esempio D.9: Propriet`a dinerzia di una semicorona circolare
Determinare le propriet`a dinerzia della semicorona circolare di gura D.10 rispetto agli
assi rappresentati.
Per considerazioni di simmetria possiamo anticipare che J
x

y
= 0, infatti a ogni rettan-
golo elementare con una denita ascissa ne corrisponde uno con lascissa opposta che annul-
la il contributo nellintegrale (D.17). I momenti assiali si calcolano pi` u convenientemente
in coordinate polari. Tenendo conto che:
x

= r cos , y

= r sin e dA = rddr
si ottiene:
J
x
=
R
2
_
R
1
_
_

_
0
r
2
sin
2
rd
_
_
dr =

8
_
R
4
2
R
4
1
_
J
y
=
R
2
_
R
1
_
_

_
0
r
2
cos
2
rd
_
_
dr =

8
_
R
4
2
R
4
1
_
Il risultato poteva essere ottenuto senza eseguire gli integrali, sulla base delle seguenti
considerazioni (valide per entrambi gli assi x

e y

):
il momento dinerzia `e una propriet`a additiva e si pu`o calcolare come pieno meno
vuoto;
rispetto al centro, un semicerchio ha il momento dinerzia polare pari alla met`a del
cerchio completo;
il momento dinerzia assiale di un cerchio completo rispetto a un suo diametro `e met`a
del momento dinerzia polare: J
x
=
1
2
J
O
,
923
Propriet`a geometriche delle sezioni
il momento dinerzia polare per un cerchio di raggio R rispetto al centro vale: J
O
=

2
R
4
.
D.5 Variazione dei momenti dinerzia per traslazione del siste-
ma di riferimento
Anche per la determinazione delle propriet`a dinerzia, la scomposizione in parti semplici `e
spesso comoda, per cui `e utile analizzare come variano i momenti del secondo ordine quando si
modica il sistema di riferimento.
Consideriamo, in primo luogo, leetto della traslazione degli assi come rappresentato in
gura D.4. Analogamente al procedimento adottato per i momenti statici, supponiamo di
conoscere le propriet`a dinerzia nel sistema originario x

e proponiamoci di valutarle nel


sistema nuovo traslato x

il cui centro ha coordinate (originarie) (a

, b

). Il calcolo `e
riportato solo per lasse x

:
J
x
=
_

y
2
dx

dy

=
_

_
y

_
2
dx

dy

=
_

y
2
dx

dy

2b

dx

dy

+b
2
_

dx

dy

lespressione per tutti i momenti dinerzia, tenendo conto delle precedenti denizioni, `e pertanto
la seguente:
J
x
= J
x
2b

S
x
+b
2
A (D.20)
J
y
= J
y
2a

S
y
+a
2
A (D.21)
J
x

y
= J
x

y
a

S
x
b

S
y
+a

A (D.22)
Si pu`o osservare che le formule di traslazione per i momenti dinerzia contengono, oltre ai
momenti dinerzia della sezione nel sistema originario, anche i momenti statici. Le relazioni
devono essere applicate con attenzione, in particolare riguardo ai segni delle quantit`a a

e b

(coordinate di O

nel sistema originario) e S


x
e S
y
.
Particolarmente interessanti risultano le formule che consentono di eettuare la traslazione
degli assi quando il sistema originario `e centrale, come in gura D.11:
Figura D.11: Traslazione rispetto a un sistema centrale
J
x
= J
x
+b
2
A (D.23)
924
D.5. VARIAZIONE DEI MOMENTI DINERZIA PER TRASLAZIONE DEL SISTEMA DI RIFERIMENTO
J
y
= J
y
+a
2
A (D.24)
J
x

y
= J
x

y
+a

A (D.25)
in cui (a

, b

) sono le coordinate del centro del sistema nuovo rispetto al baricentro della gura.
Dalle relazioni (D.23), (D.24) e (D.25) si deduce che: data una generica retta centrale m, ogni
altra retta n parallela e distinta ha un momento dinerzia maggiore, in simboli: J
n
> J
m
. Il
momento dinerzia assiale delle rette aventi una certa direzione cresce quindi con la loro distanza
dal baricentro. Le rette centrali godono pertanto di una interessante propriet`a di minimo:
data una qualunque direzione del piano, tra tutte le rette del fascio improprio con
tale direzione, quella centrale ha il minimo momento dinerzia assiale.
Esempio D.10: Propriet`a dinerzia di un rettangolo rispetto agli assi di simmetria
Calcolare i momenti dinerzia per un rettangolo di base B e altezza H (gura D.12)
rispetto al sistema centrale con assi paralleli ai lati.
Il calcolo pu`o essere eettuato direttamente nel sistema centrale x

, tuttavia, allo
scopo di esemplicare lapplicazione delle relazioni (D.23), (D.24) e (D.25), valutiamo prima
le propriet`a dinerzia nel sistema x

centrato nello spigolo, come rappresentato in gura


D.12.
Figura D.12: Determinazione delle propriet`a dinerzia di un rettangolo
Sulla base della denizione si ottiene:
J
x
=
B
_
0
_
_
H
_
0
y
2
dy

_
_
dx

=
B H
3
3
J
y
=
H
_
0
_
_
B
_
0
x
2
dx

_
_
dy

=
H B
3
3
J
x

y
=
B
_
0
x

_
_
H
_
0
y

dy

_
_
dx

=
B
2
H
2
4
925
Propriet`a geometriche delle sezioni
Le caratteristiche dinerzia del sistema centrale possono essere determinate dalle relazioni
(D.23), (D.24) e (D.25) tenendo conto che x

`e centrale e che il centro O

ha coordinate
a

= B/2 e b

= H/2:
J
x
=
B H
3
12
(D.26)
e quindi J
y
= H B
3
/12; J
x

y
= 0.
`
E utile memorizzare la relazione (D.26). Essa evidenzia che, per aumentare il momento
dinerzia di un rettangolo rispetto a uno degli assi di simmetria, `e pi` u ecace aumentare
la dimensione in direzione perpendicolare allasse piuttosto che in direzione parallela.
Dalle conclusioni dellesempio precedente si potrebbe erroneamente pensare che un sistema
centrale di assi ha il momento centrifugo nullo. Il lettore pu`o peraltro vericare che le propriet`a
di inerzia del segmento di parabola in gura D.2 rispetto al sistema centrale x

parallelo al
sistema dato valgono: J
x
= 7.17 mm
4
, J
y
= 16.2 mm
4
e J
x

y
= 8.1 mm
4
. In generale, si pu`o
invece dimostrare che per ogni origine O esiste (almeno) una coppia di assi cartesiani per i quali
il momento centrifugo `e nullo. Questa propriet`a vale ovviamente anche per i sistemi baricentrici
in cui O G.
D.6 Variazione delle propriet`a dinerzia per rotazione del siste-
ma di riferimento
D.6.1 Formule di rotazione
A dierenza dei momenti statici, per i quali le relazioni (D.8) e (D.9) rendono poco utile
lanalisi degli eetti prodotti della rotazione degli assi, per i momenti del secondo ordine questo
studio risulta particolarmente interessante. Consideriamo un sistema nuovo x

ottenuto
per rotazione della coordinata angolare dal sistema originario x

come indicato in gura


D.13.
`
E opportuno osservare che misura (in radianti) langolo di cui deve ruotare uno degli
assi originari per sovrapporsi (in direzione e verso) con lomonimo asse nuovo. La coordinata
angolare `e positiva quando la rotazione `e antioraria vista dalle z positive (come indicato in
gura D.13). Calcolando le propriet`a dinerzia nel sistema nuovo sulla base della denizione e
Figura D.13: Rotazione del sistema di riferimento
tenendo conto che tra le coordinate originarie e nuove esiste la relazione (vedi Appendice A):
x

= x

cos +y

sin
y

= x

sin +y

cos
926
D.6. VARIAZIONE DELLE PROPRIET
`
A DINERZIA PER ROTAZIONE DEL SISTEMA DI RIFERIMENTO
con semplici trasformazioni trigonometriche si ottiene:
J
x
= J
x
cos
2
J
x

y
sin 2 +J
y
sin
2
(D.27)
J
y
= J
x
sin
2
+J
x

y
sin 2 +J
y
cos
2
(D.28)
J
x

y
= J
x

_
cos
2
sin
2

_
+
J
x
J
y

2
sin 2 (D.29)
Le relazioni (D.27), (D.28) e (D.29) dimostrano che la rotazione degli assi modica i momenti
dinerzia con le regole analoghe alle componenti dei tensori. A tale proposito `e opportuno
notare un problema formale connesso con la notazione. La valutazione del momento assiale, per
ssare le idee consideriamo per esempio J
y
, richiede lintegrale del prodotto di due coordinate
riferite allasse x

. A rigore, usando la notazione a doppio pedice, tipica delle componenti


tensoriali, tale quantit`a dovrebbe essere pi` u propriamente rappresentata con il simbolo J
x

x
.
Analogamente, il momento assiale J
x
dovrebbe essere indicato come J
y

y
. Non ci sono problemi
di notazione per il momento centrifugo, che abbiamo gi`a rappresentato con il doppio pedice.
Luso della notazione a doppio pedice per i momenti assiali purtroppo non `e consueta nella
letteratura tecnica. Per uniformit`a con luso corrente, anche nel presente corso i momenti
assiali saranno quindi indicati con un solo pedice. Come conseguenza, allo scopo di impiegare
le formule generali dei tensori, `e necessario collocare opportunamente i momenti assiali nella
matrice indipendentemente dal simbolo usato come pedice. Per i due sistemi di riferimento in
esame, deniamo quindi le seguenti matrici dinerzia:
J

=
_
J
y
J
x

J
x

y
J
x

_
e J

=
_
J
y
J
x

J
x

y
J
x

_
nelle quali si riconosce che la posizione n, m `e occupata dal momento ottenuto integrando
sullarea il prodotto delle coordinate x
n
e x
m
. Le matrici dinerzia hanno quindi i momenti
assiali sulla diagonale principale e il momento centrifugo fuori diagonale e sono simmetriche per
denizione.
Le formule di rotazione possono essere memorizzate (vedi Appendice A) usando la matrice
di rotazione:
L =
_
cos sin
sin cos
_
le cui colonne raccolgono i versori del sistema nuovo (

e

j

rispettivamente), rappresentati
con componenti nel sistema originario. Si pu`o vericare infatti che le relazioni (D.27), (D.28) e
(D.29) sono equivalenti alla seguente relazione matriciale sintetica:
J

= L
T
J

L (D.30)
Luguaglianza (D.30) denisce il modo in cui le componenti della matrice dinerzia si modicano
per rotazione degli assi, e dimostra che le propriet`a dinerzia di una sezione costituiscono un
tensore cartesiano del secondo ordine simmetrico, per questo motivo detto: tensore dinerzia
della sezione.
Esempio D.11: Tensore dinerzia rappresentato in sistemi ruotati
Determinare il tensore dinerzia della sezione rettangolare B = 20 mm, H = 50 mm relativo
al sistema cartesiano centrale rappresentato in gura D.14 con gli assi ruotati di 30

in
senso orario rispetto ai lati.
927
Propriet`a geometriche delle sezioni
Figura D.14: Sistema centrale ruotato
Assumendo come riferimento originario il sistema centrale con gli assi paralleli ai lati
(sistema x

in gura D.14), = /6 e sulla base delle propriet`a dinerzia del rettangolo


ottenute nel paragrafo precedente, possiamo scrivere (valori in mm
4
):
J

=
_
0.333 0
0 2.083
_
10
5
la matrice di trasformazione da x

a x

`e la seguente:
L =
1
2
_
3 1
1

3
_
quindi la matrice richiesta vale (valori in mm
4
):
J

=
_
J
y
J
x

J
x

y
J
x

_
=
_
0.771 0.758
0.758 1.646
_
10
5
D.6.2 Propriet`a tensoriali dei momenti dinerzia: momenti principali e assi
principali
Identicati i momenti dinerzia come le componenti di un tensore doppio simmetrico, le
propriet`a dinerzia di una sezione possono essere studiate con le tecniche generali sviluppate per
le grandezze tensoriali. La legge di trasformazione tensoriale (D.30) `e valida per un generico
sistema di riferimento con origine in qualunque punto del piano. Tuttavia le caratteristiche
dinerzia pi` u interessanti di una sezione sono quelle relative ai sistemi centrali e lo studio si
concentrer`a prevalentemente su questi ultimi.
Fissata lorigine, la legge di rotazione (D.30), corrispondente alle (D.27), (D.28) e (D.29),
`e rappresentabile nel piano di Mohr in cui a ogni asse n corrisponde un punto avente ascissa
uguale al momento dinerzia assiale J
n
e ordinata legata al momento dinerzia centrifugo J
nm
(in cui m `e rappresenta lasse perpendicolare a n).
Per la corretta collocazione dei punti corrispondenti sul piano di Mohr, `e necessario ricor-
dare che la loro ordinata ha lo stesso segno del momento centrifugo quando `e riferita allasse
928
D.6. VARIAZIONE DELLE PROPRIET
`
A DINERZIA PER ROTAZIONE DEL SISTEMA DI RIFERIMENTO
antiorario (normalmente lasse y), mentre il punto corrispondente allasse orario (asse x) ha
ordinata di segno discorde. A causa della notazione a singolo pedice, la componente che si
riferisce allasse antiorario `e quindi la J
x
. Da ci`o consegue che i due punti che individuano una
generica matrice dinerzia nel piano di Mohr hanno coordinate rispettivamente:
_
J
x
, J
x

_
e
_
J
y
, J
x

_
.
Nella gura D.15 `e rappresentata la circonferenza di Mohr delle propriet`a centrali dinerzia
per il rettangolo 20 mm50 mm considerato nel paragrafo precedente. Si possono fare le seguenti
osservazioni:
Figura D.15: Circonferenza di Mohr per le propriet`a dinerzia dei sistemi
centrali del rettangolo 20 50 (valori in 10
5
mm
4
)
i punti diametralmente opposti sulla circonferenza di Mohr individuano due assi ortogo-
nali, infatti distano 180

sul cerchio che corrisponde a un angolo di 90

nel piano della


sezione;
i punti T e V rappresentano rispettivamente gli assi x

e y

della gura D.14, infatti


le loro coordinate nel piano di Mohr T(1.646, 0.758)10
5
mm
4
e V (0.771, 0.758)10
5
mm
4
corrispondono alle componenti della matrice dinerzia J

;
il punto T rappresenta lasse x

, la sua ordinata `e concorde con il momento centrifugo, il


segno del momento centrifugo `e invece discorde dallordinata del punto V che rappresenta
lasse y

;
il punto P sul circolo di Mohr si ottiene con una rotazione antioraria di /3 partendo da
T e quindi rappresenta un asse ottenuto per rotazione antioraria di /6 dellasse x

sul
piano della sezione;
P e Q sono i punti rappresentativi degli assi x

e y

(rispettivamente) in gura D.14, per


questi assi il momento centrifugo `e nullo.
Per ogni sezione non degenere e per ogni punto origine O nel suo piano, `e quindi denibile una
matrice dinerzia che risulta reale e simmetrica e con i momenti dinerzia assiali strettamente
positivi. Queste caratteristiche garantiscono lesistenza di due autovalori reali positivi per ogni
matrice dinerzia. Gli autovalori sono chiamati momenti principali dinerzia relativi al
centro O.
Per ogni origine O, in corrispondenza di uno dei momenti principali dinerzia (autovalore
della matrice dinerzia), `e determinabile una direzione principale dinerzia (lautovettore
associato) che rappresenta lasse passante per O rispetto al quale il momento assiale `e lautova-
lore. Nel piano di Mohr, i momenti principali dinerzia sono individuabili dalle intersezioni della
circonferenza con lasse dei momenti assiali. Dalla rappresentazione di Mohr si ricava anche
lequivalente denizione:
929
Propriet`a geometriche delle sezioni
una coppia di assi perpendicolari sono principali dinerzia se e solo se il momento
centrifugo `e nullo.
Particolare importanza nella Meccanica delle strutture riveste il sistema centrale principale
dinerzia di una sezione, che gode delle seguenti propriet`a:
`e centrale, ovvero ha lorigine nel baricentro G
`e principale, ovvero ha gli assi diretti nelle direzioni principali dinerzia.
Il sistema centrale principale dinerzia `e usato per denire le caratteristiche di sollecitazione
delle travi. Per questo motivo, agli assi di tale sistema sono riservati i simboli senza apici:
x, y, J
x
, J
y
. Il primo passo nello studio del comportamento strutturale di una trave consiste
nellindividuare i sistemi centrali principali dinerzia delle sue sezioni.
D.6.3 Determinazione delle propriet`a centrali principali dinerzia
Per valutare gli assi centrali principali dinerzia `e utile considerare le seguenti propriet`a:
se una sezione ha un asse di simmetria n, lasse n `e centrale principale dinerzia;
in presenza di un asse di simmetria n, il sistema centrale principale della sezione si deter-
mina appena individuato il baricentro G (che peraltro appartiene a n); infatti, laltro asse
centrale principale `e la retta perpendicolare a n passante per G;
se una sezione ha due assi di simmetria (che quindi sono necessariamente perpendicolari),
questi sono centrali e principali;
se una sezione ha i momenti dinerzia centrali principali uguali tra loro, la circonferenza
di di Mohr degenera in un punto e quindi tutte le direzioni centrali sono principali.
Questa propriet`a `e ovviamente posseduta dal cerchio e dalla corona circolare ma anche
dal quadrato e da tutti i poligoni regolari.
`
E inoltre possibile realizzare innte altre
sezioni, non necessariamente regolari o simmetriche, con questa caratteristica.
Esempio D.12: Propriet`a centrali dinerzia per il semicerchio
Determinare le propriet`a centrali principali dinerzia per il semicerchio.
Figura D.16: Sistema centrale dinerzia per il semicerchio
Nei paragra precedenti sono state determinate la posizione del baricentro del semicer-
chio e le propriet`a dinerzia rispetto al sistema x

(gura D.16). Data la simmetria,


930
D.6. VARIAZIONE DELLE PROPRIET
`
A DINERZIA PER ROTAZIONE DEL SISTEMA DI RIFERIMENTO
possiamo aermare immediatamente che il sistema x y rappresentato in gura D.16 `e
centrale principale dinerzia. Essendo: J
x
=

8
R
4
, in base alla relazione (D.23) risulta:
J
x
=

8
R
4

16R
2
9
2
R
2
2
=
_

8

8
9
_
R
4
= 0.1098R
4
pertanto il tensore dinerzia del semicerchio relativo al sistema centrale principale di gura
D.16 `e il seguente:
J =
_
/8 0
0 /8 8/(9)
_
R
4
Esempio D.13: Propriet`a centrali dinerzia per un triangolo rettangolo
Calcolare le propriet`a centrali dinerzia di un triangolo rettangolo con cateti H = 60 mm e
B = 35 mm.
Usiamo un sistema di riferimento comodo x

(vedi gura D.17) per valutare le


propriet`a dinerzia (le distanze sono espresse in mm e i momenti in mm
4
):
J
x
=
B
_
0
_
_
_
HHx

/B
_
0
y
2
dy

_
_
_
dx

=
BH
3
12
= 6.3 10
5
J
y
=
B
_
0
_
_
_
HHx

/B
_
0
x
2
dy

_
_
_
dx

=
HB
3
12
= 2.144 10
5
J
x

y
=
B
_
0
_
_
_
HHx

/B
_
0
x

dy

_
_
_
dx

=
H
2
B
2
24
= 1.838 10
5
Figura D.17: Propriet`a dinerzia di un triangolo rettangolo
931
Propriet`a geometriche delle sezioni
con le formule di traslazione si ottengono le propriet`a dinerzia nel sistema centrale
x

che ha assi paralleli ai cateti.


`
E possibile usare le relazioni (D.23), (D.24) e (D.25)
tenendo conto che a

= B/3 e b

= H/3:
J
x
= J
x
b
2
A = 2.1 10
5
J
y
= J
y
a
2
A = 0.715 10
5
J
x

y
= J
x

y
a

A = 0.613 10
5
Poiche il momento centrifugo non `e nullo, il sistema centrale x

non `e principale. La
circonferenza di Mohr (riportata in gura D.18) ha per diametro il segmento TV con:
T(2.1, 0.613) 10
5
e V (0.715, 0.613) 10
5
che rappresentano rispettivamente gli assi x

e
y

.
`
E immediato determinare centro C e raggio R
M
del cerchio di Mohr: C(1.407, 0.0) 10
5
e R
M
= 0.925 10
5
e quindi langolo 2 = arcsin(0.613 10
5
/R
M
) = 0.724 = 41.5

. Le
propriet`a centrali principali dinerzia sono quindi:
J
x
= (1.407 + 0.925) 10
5
= 2.332 10
5
mm
4
J
y
= (1.407 0.925) 10
5
= 0.483 10
5
mm
4
Lasse principale dinerzia x (punto P sulla circonferenza di Mohr) si trova ruotando lasse
x

di 20.75

in senso antiorario. Il sistema centrale principale `e rappresentato nella gura


D.19.
Figura D.18: Circonferenza di Mohr per le propriet`a centrali dinerzia del
triangolo di gura D.17
932
D.7. RAGGI DINERZIA ED ELLISSE CENTRALE DINERZIA
Figura D.19: Sistema centrale principale per il triangolo
Lassegnazione di x (o y) a uno degli assi centrali principali dinerzia per la sezione di una
trave `e arbitraria, anche se il sistema di riferimento nel suo complesso (xyz) dovrebbe essere
destrorso. Volendo conservare la nozione di rotazione positiva quando `e antioraria, `e opportuno
che tutti i sistemi di riferimento piani usati (originari e nuovi) siano osservati dal semispazio
con le z positive. Questa accortezza `e stata adottata in tutti gli esempi riportati.
Dalle considerazioni nora svolte, si deduce una interessante propriet`a degli assi centrali
dinerzia. Chiamato n lasse principale con il minore momento dinerzia (nel caso del trian-
golo di gura D.19 lasse y), ogni altra retta m del piano `e tale per cui: J
n
J
m
. Infatti,
considerando la circonferenza di Mohr, risulta immediato vericare che qualsiasi altra retta del
fascio proprio con centro G ha momento dinerzia pi` u elevato, e rispetto a una generica retta
baricentrica, qualsiasi altra retta parallela ha un momento dinerzia maggiore, come dimostrato
dalla relazione (D.23). Pertanto:
lautovalore minore del tensore centrale dinerzia `e il momento dinerzia assiale
minimo tra tutte le rette del piano.
Si pu`o osservare che il fatto che la retta con il minimo momento dinerzia assiale sia centrale
costituisce unulteriore propriet`a del baricentro.
D.7 Raggi dinerzia ed ellisse centrale dinerzia
Data una sezione e un asse n (non necessariamente centrale) rispetto al quale il momen-
to dinerzia assiale `e J
n
, si denisce raggio dinerzia la lunghezza
n
, denita dalla seguente
relazione:

n
=
_
J
n
A
(D.31)
Il raggio dinerzia rappresenta la distanza dallasse n alla quale dovrebbe essere idealmente
concentrata lintera area della sezione, per avere lo stesso momento dinerzia.
Data una sezione della quale sia stato individuato il sistema centrale principale dinerzia
x y, `e possibile determinare i corrispondenti raggi centrali principali dinerzia
x
e
y
.
Come in gura D.20, si possono riportare sullasse x i punti che distano
y
da G e sullasse y
933
Propriet`a geometriche delle sezioni
i punti che distano
x
da G. Questi quattro punti individuano gli assi di unellisse, chiamata
ellisse centrale dinerzia, che riassume le pi` u signicative propriet`a della sezione:
il centro dellellisse coincide con G;
gli assi dellellisse indicano le direzioni centrali principali dinerzia;
la lunghezza dei semiassi (raggi centrali principali dinerzia) permette di ricavare facil-
mente i momenti centrali principali dinerzia.
Per questi motivi, in molti manuali tecnici, le sezioni sono quotate insieme con le loro ellissi
centrali dinerzia.
Nel sistema centrale principale, lequazione dellellisse centrale dinerzia `e la seguente:
_
x

y
_
2
+
_
y

x
_
2
= 1 (D.32)
Per evitare possibili errori di memorizzazione, si osservi che il semiasse dellellisse sullasse x `e

y
(e viceversa) come evidenziato dalla relazione (D.32). Nel caso in cui i due momenti centrali
principali dinerzia siano uguali la circonferenza di Mohr degenera in un punto e lellisse centrale
dinerzia diventa un cerchio. Si comprende come, in questo caso, una qualunque coppia di assi
centrali tra loro perpendicolari siano un sistema principale.
Esempio D.14: Ellisse centrale dinerzia
Tracciare lellisse centrale dinerzia per la sezione triangolare dellesempio precedente.
Dai risultati ottenuti si ricava:

x
=

2.332 10
5
1.05 10
3
= 14.9 mm

y
=

0.483 10
5
1.05 10
3
= 6.78 mm
e lellisse centrale dinerzia della sezione `e rappresentata in gura D.20.
Figura D.20: Ellisse centrale dinerzia per una sezione triangolare di gura
D.17
934
D.8. CARATTERISTICHE DINERZIA DI FIGURE COMPLESSE
D.8 Caratteristiche dinerzia di gure complesse
I procedimenti di calcolo sviluppati nei paragra precedenti consentono di ottenere le carat-
teristiche dinerzia di sezioni composte elaborando con semplici operazioni algebriche le proprie-
t`a geometriche (area, posizione del baricentro, ellisse centrale dinerzia) dei costituenti. Questi
procedimenti sono utili perche spesso sono realizzate travi saldando prolati unicati e nei
manuali tecnici si trovano le propriet`a geometriche delle sezioni. unicate
Nellesempio che segue sono determinate le caratteristiche centrali principali dinerzia della
sezione composta di gura D.21 il cui baricentro stato individuato nel paragrafo D.3.2 .
Esempio D.15: Valutazione delle propriet`a dinerzia di una sezione composta
Determinare le propriet`a centrali dinerzia della sezione di gura D.21. Le propriet`a delle
sottosezioni sono riassunte nella seguente tabella in cui langolo
i
rappresenta linclinazio-
ne dellasse principale x
i
della i -esima sottosezione rispetto allasse x

(essendo i = 1, 2, 3
lindice della sottosezione).
Quantit`a
1
(i = 1)
2
(i = 2)
3
(i = 3) Unit`a
Area A
i
981.7 2000 800 mm
2
x

G
i
25 25 63.33 mm
y

G
i
50.61 20 13.33 mm

x
i
6.608 11.547 6.667 mm

y
i
12.5 14.434 11.547 mm

i
0 0 -45 gradi
Figura D.21: Caratteristiche geometriche delle sottosezioni
Per ottenere le caratteristiche dinerzia complessive rispetto al sistema centrale x

,
`e opportuno scrivere, per ognuna delle sottosezioni, le propriet`a dinerzia in sistemi di
riferimento locali (centrati nei baricentri delle singole sottosezioni) e con assi orientati
come x

, che indicheremo come x


i

y
i

.
Per le sottosezioni 1 e 2 il calcolo `e immediato poiche
1
=
2
= 0:
J
1,x
1
= J
1,x
1
= A
1
(
x
1
)
2
; J
1,y
1
= J
1,y
1
= A
1
(
y
1
)
2
J
2,x
2
= J
2,x
2
= A
2
(
x
2
)
2
; J
2,y
2
= J
2,y
2
= A
2
(
y
2
)
2
935
Propriet`a geometriche delle sezioni
J
1,x
1

y
1
= J
2,x
2

y
2
= 0
per il triangolo invece `e necessario operare una rotazione. Poiche lasse nuovo x
3

`e ottenuto
per rotazione antioraria di 45

dellasse x
3
locale, la matrice di trasformazione (
3
= +/4)
`e:
L =

2
2
_
1 1
1 1
_
quindi la matrice dinerzia del triangolo nel sistema locale di assi paralleli a x
3

y
3

`e:
_
J
3,y
3
J
3,x
3

y
3

J
3,x
3

y
3
J
3,x
3

_
=
1
2
_
1 1
1 1
__
A
3
(
y
3
)
2
0
0 A
3
(
x
3
)
2
__
1 1
1 1
_
A questo punto `e necessario eettuare tre traslazioni per ottenere i valori in corrispondenza
del baricentro globale con assi: x

. Nelle relazioni (D.23), (D.24) e (D.25), poniamo:


a

i
= x

G
x

G
i
b

i
= y

G
y

G
i
e quindi, denendo, per la generica sottosezione i-esima
J
i,x
i
= J
i,x
i
+b

i
2
A
i
J
i,y
i
= J
i,y
i
+a

i
2
A
i
J
i,x
i

y
i
= J
i,x
i

y
i
+a

i
b

i
A
i
si ottengono le caratteristiche globali sommando i tre contributi. I valori numerici sono
raccolti nella seguente tabella.
Momento dinerzia
1
(i = 1)
2
(i = 2)
3
(i = 3) Totale
J
i,x
i
0.4287 2.667 7.111
J
i,y
i
1.534 4.167 7.111
J
i,x
i

y
i
0 0 -0.356
J
i,x
6.119 3.521 2.106 11.745
J
i,y
2.180 5.482 8.019 15.681
J
i,x

y
-1.917 1.060 -3.547 -4.404
nellultima colonna sono riportati i momenti della sezione completa dai quali si possono
ricavare: i momenti principali, i raggi dinerzia e le direzioni principali:
J =
_
J
y
0
0 J
x
_
=
_
18.54 0
0 8.89
_
10
5
mm
4
lasse principale x risulta inclinato di 33

(in senso orario) rispetto allasse x

,
x
= 15.3 mm
e
y
= 22.1 mm (vedi gura D.22)
936
D.9. PROPRIET
`
A DI ALCUNE FIGURE ELEMENTARI
Figura D.22: Propriet`a centrali dinerzia della gura composta (quote in
mm)
Si pu`o notare che, nel caso di una gura complessa, `e necessario un certo lavoro algebrico
per giungere al risultato nale. Nella pratica, per eettuare questi calcoli `e opportuno avva-
lersi di adatti strumenti, come, per esempio, i fogli elettronici. Vale la pena anche ricordare
che i moderni programmi CAD forniscono direttamente le propriet`a geometriche delle sezioni,
eettuando in modo automatico le integrazioni e le trasformazioni necessarie. Nella pratica pro-
fessionale, pertanto, dovendo valutare le caratteristiche di una sezione complessa (per esempio
composta di pi` u di due o tre parti semplici) pu`o convenire munirsi di adatti strumenti operativi
prima di addentrarsi in un complesso e rischioso calcolo diretto. Questa appendice non ha infat-
ti lo scopo di sviluppare abilit`a di calcolo, ma di chiarire il signicato geometrico delle quantit`a
geometriche e il loro modo di variare con il sistema di riferimento.
D.9 Propriet`a di alcune gure elementari
La seguente tabella `e relativa a gure elementari dallunione delle quali `e possibile costruire
sezioni di forma complessa. Nella seconda colonna sono riportate indicazioni sullarea e sulla
posizione del baricentro, nella terza, quando opportuno, sono indicate le propriet`a dinerzia
rispetto a particolari sistemi di riferimento. Nellultima colonna sono fornite le caratteristiche
relative al sistema centrale principale dinerzia. Gli angoli sono espressi in radianti.
937
Propriet`a geometriche delle sezioni
938
D.9. PROPRIET
`
A DI ALCUNE FIGURE ELEMENTARI
939
Appendice E
Propriet`a dierenziali di linee e
superci
I principali elementi strutturali, travi, lastre, piastre e gusci, possono essere rappresentati
con modelli geometrici monodimensionali o bidimensionali. Lo studio delle propriet`a geome-
triche delle linee e delle superci `e quindi necessario per descrivere la forma di tali elementi.
In questa appendice sono richiamate le principali propriet`a di linee e superci e gli strumenti
matematici necessari per determinarle ricavabili da teoremi di Analisi Matematica e Geometria
Dierenziale. In genere, si assumer`a che gli enti geometrici studiati abbiano una suciente
regolarit`a (continuit`a e dierenziabilit`a) che consente di eettuare le operazioni richieste. Per
quanto questo modo di procedere non sia rigorosissimo dal punto di vista formale, si osserva
che la regolarit`a richiesta `e generalmente vericata nelle forme degli elementi di interesse per
lanalisi strutturale.
La prima parte dellappendice `e dedicata alle propriet`a delle linee e trova applicazione nella
descrizione geometrica delle travi delle travi (in particolare con assi non rettilinei e tridimen-
sionali) e nello studio della deformazione delle travi anche rettilinee (in particolare nella teoria
della linea elastica). La seconda parte tratta le superci ed `e utile per lo studio della defor-
mata delle piastre e nella teoria membranale dei gusci di piccolo spessore. In vista dellanalisi
dei gusci assialsimmetrici `e sviluppato lo studio delle propriet`a di curvatura delle superci di
rivoluzione.
E.1 Denizione e descrizione analitica di una linea
E.1.1 Linee regolari nello spazio
Per valutare quantitativamente le principali propriet`a geometriche di una linea, piana o
spaziale, `e utile rappresentarla in forma analitica. Un arco di linea (gura E.1) pu`o essere
descritto da una relazione parametrica del tipo:
OP () =
_
_
x
P
y
P
z
P
_
_
=
_
_
f
1
()
f
2
()
f
3
()
_
_
(E.1)
che individua in un sistema di riferimento cartesiano le coordinate del suo punto generico P,
essendo un parametro reale denito in un intervallo [
A
,
B
] di R
1
. Le coordinate dei
punti A e B, estremi dellarco, sono date da:
OP (
A
) = OA e OP (
B
) = OB
941
Propriet`a dierenziali di linee e superci
Figura E.1: Linea nello spazio
Assumeremo certamente che le funzioni parametriche nella relazione (E.1) siano continue e
quindi che la linea non sia spezzata ma, in generale, anche una pi` u elevata regolarit`a richiedendo
la derivabilit`a della funzione (E.1) rispetto a , almeno no al secondo ordine, escluso al pi` u
un numero nito di punti della linea. In presenza di punti di discontinuit`a della pendenza
(spigoli o punti angolosi della linea), la linea sar`a suddivisa in parti contigue per ognuna delle
quali sono vericate le condizioni di regolarit`a. In particolare, indicato con
0
il parametro che
corrispondente a un punto angoloso, assumeremo che esistano i limiti a cui le derivate (prima
e seconda) tendono quando tende a
0
sia da destra sia da sinistra (per quanto tali limiti
possano essere distinti).
Anche se non `e necessario che il parametro abbia un signicato (sico o geometrico),
nella pratica raramente esso `e del tutto arbitrario. Per esempio, quando la linea descrive la
traiettoria di un punto in movimento, solitamente si usa come parametro il tempo = t.
Per rappresentare forme geometriche, spesso si assume come parametro lascissa curvilinea,
che rappresenta la distanza con segno misurata lungo la linea a partire da un punto (origine)
stabilito preliminarmente sulla linea stessa. Lascissa curvilinea sar`a generalmente indicata con
la lettera s. Quando si usa lascissa curvilinea s, la parametrizzazione `e chiamata naturale.
Talvolta `e conveniente usare una parametrizzazione cartesiana nella quale coincide con una
delle coordinate cartesiane.
Le propriet`a geometriche della linea possono essere ricavate elaborando le funzioni parame-
triche (E.1), come mostrato nel seguito.
E.1.2 Versore tangente e retta tangente
Un vettore innitesimo d

t tangente alla linea si ottiene come limite del vettore secante PQ


(gura E.2) quando Q tende a P. Individuando Q con una variazone di dell parametro
rispetto al suo valore in P si pu`o scrivere:
d

t = lim
0
[OP ( + ) OP ()] =
_
_
df
1
()
df
2
()
df
3
()
_
_
=
dOP ()
d
d =
_
_
f

1
()
f

2
()
f

3
()
_
_
d
Un versore tangente alla linea (ovviamente ve ne sono due opposti) nel punto generico, e quindi
in funzione del parametro , si ottiene per normalizzazione:

t =
1
_
f

1
()
2
+f

2
()
2
+f

3
()
2
_
_
f

1
()
f

2
()
f

3
()
_
_
(E.2)
942
E.1. DEFINIZIONE E DESCRIZIONE ANALITICA DI UNA LINEA
Nel seguito saranno eettuate numerose derivazioni di funzioni scalari e vettoriali. Quando
si trattano funzioni di una sola variabile, e quindi non vi sono ambiguit`a sulla variabile indi-
pendente, la derivata sar`a indicata come di consueto con lapostrofo allapice del simbolo della
funzione (opportunamente ripetuto per le derivate di ordine superiore):
f

() =
df ()
d
, f

() =
df

()
d
=
d
2
f ()
d
2
Si pu`o osservare la grandezza normalizzante necessaria per ottenere il versore tangente `e la lun-
Figura E.2: Determinazione del vettore tangente
ghezza del tratto innitesimo di curva ds corrispondente alla variazione d del parametro. Per
semplicit`a supponiamo che lascissa curvilinea s sia una funzione (almeno localmente) crescente
del parametro per cui la lunghezza innitesima del tratto di curva `e ottenibile con il teorema
di Pitagora:
ds =
_
f

1
()
2
+f

2
()
2
+f

3
()
2
d
da questa uguaglianza si pu`o ottenere per integrazione la lunghezza l (A, B) del tratto di curva
compresa tra due punti A e B individuati dai parametri
A
e
B
:
l (A, B) =
_

ds =

B
_

A
_
f

1
()
2
+f

2
()
2
+f

3
()
2
d
che trasforma un integrale denito sulla linea (integrale di linea) in un semplice integrale in
R
1
. Con la parametrizzazione naturale si ottiene:
OP (s) =
_
_
g
1
(s)
g
2
(s)
g
3
(s)
_
_
il versore tangente `e fornito direttamente dalla derivata:

t =
_
_
g

1
(s)
g

2
(s)
g

3
(s)
_
_
(E.3)
in eetti: l (A, B) = [s
B
s
A
[. La verica della relazione (E.3) `e lasciata come esercizio al
lettore.
943
Propriet`a dierenziali di linee e superci
Esempio E.1: Tangente a una linea nello spazio
Calcolare il versore tangente nei punti estremi della linea elicoidale avente raggio R
0
e
passo p con [0, ]:
OP () =
_
R
0
cos(), R
0
sin(), p

2
_
T

In questo caso, il parametro della curva `e langolo di avvolgimento sullelica.


dOP ()
d
=
_
_
R
0
sin()
R
0
cos()
p
2
_
_
La lunghezza corrispondente a una variazione innitesima del parametro risulta:
ds =
_
R
2
0
+
_
p
2
_
2
d
e quindi:

t () =
1
_
R
2
0
+
_
p
2
_
2
_
_
R
0
sin()
R
0
cos()
p
2
_
_
Lelica pu`o essere rappresentata facilmente anche con parametrizzazione naturale essendo
s e proporzionali:
OP (s) =
_
R
0
cos
s

R
2
0
+(
p
2
)
2
, R
0
sin
s

R
2
0
+(
p
2
)
2
,
ps
2

R
2
0
+(
p
2
)
2
_
T
con s
_
0, 2
_
R
2
0
+
_
p
2
_
2
_
Il versore tangente consente di ottenere lapprossimazione lineare (al primo ordine) della
linea:
OP ( + )

= OP () +
_
_
f

1
()
f

2
()
f

3
()
_
_

_
f

1
()
2
+f

2
()
2
+f

3
()
2
relazione che con parametrizzazione naturale si semplica nella seguente:
OP (s + s)

= OP (s) + s

t
Dato un punto della linea (e quindi ssato ), queste ultime relazioni possono essere in-
terpretate come una funzione lineare nel parametro . Tali relazioni rappresentano in eetti
lequazione parametrica della retta tangente alla linea nel punto considerato.
In corrispondenza di un punto angoloso di ascissa curvilinea s
0
, le derivate non sono denite.
Tuttavia, per lesistenza dei limiti destro e sinistro della derivate, sono denibili una retta
tangente prima del punto angoloso (s s

0
) e una retta tangente dopo lo stesso (s s
+
0
).
Langolo formato da tali rette misura quindi la locale variazione brusca di direzione.
944
E.2. APPROSSIMAZIONE AL SECONDO ORDINE DELLE LINEE PIANE
Nel caso di parametrizzazione naturale, il versore tangente `e automaticamente diretto nel
verso di percorrenza naturale della linea denito dal senso di crescita di s mentre con una
generica parametrizzazione potrebbe risultare controverso.
E.2 Approssimazione al secondo ordine delle linee piane
E.2.1 Cerchio osculatore e curvatura
Consideriamo una curva nel piano x y denita dalla rappresentazione parametrica:
OP (s) =
_
x
P
y
P
_
=
_
g
1
(s)
g
2
(s)
_
lestensione al caso tridimensionale sar`a trattato successivamente. Sulla base di quanto ottenuto
nel paragrafo precedente, per un generico punto P di ascissa s possiamo determinare i due
versori:

t =
_
g

1
(s)
g

2
(s)
_
, n =
_
g

2
(s)
g

1
(s)
_
il primo dei quali `e il noto versore tangente alla linea in P mentre il versore n, chiamato
versore normale, individua la direzione della retta passante per P perpendicolare alla tangente,
chiamata retta normale.
In ipotesi di regolarit`a della linea nel punto generico P (in questo caso richiediamo che le
funzioni abbiano nel punto anche le prime due derivate continue), cerchiamo la circonferenza
del piano che meglio approssima localmente la linea. Tale circonferenza `e chiamata osculatrice
e il cerchio corrispondente osculatore. Dato che circonferenza osculatrice e linea devono avere
tangente comune in P, il centro C del cerchio osculatore, chiamato anche centro di curvatura
locale della linea, deve appartenere alla retta normale. La distanza tra C e P, ovvero il raggio
R del cerchio osculatore, chiamato anche raggio di curvatura locale, si ricava con il seguente
metodo. Consideriamo un punto Q della linea con ascissa curvilinea s + s e lunico cerchio
Figura E.3: Denizione del cerchio osculatore e sua determinazione
che passa per P e Q e ha centro sulla normale alla curva per P. Il centro C

di tale cerchio pu`o


essere considerato una approssimazione di C e possiamo prevedere che C

tenda a C quando Q
si avvicina a P. Se la distanza tra PQ `e molto minore di C

P, il raggio R

del cerchio di centro


C

sar`a:
R

945
Propriet`a dierenziali di linee e superci
dove rappresenta langolo tra PC

e C

Q (in radianti). Passando al limite per Q che tende


a P, R

tende al raggio di curvatura locale R e vale la seguente relazione:


R = lim
s0

ds
d

(E.4)
Osserviamo per`o che se P `e interno a un tratto rettilineo della linea, il limite (E.4) non `e
nito dato che `e identicamente nullo sotto una certa distanza PQ. Situazioni analoghe si
presentano anche se P `e un punto di esso e simili. Per evitare questa singolarit`a, si introduce
la curvatura, il cui modulo `e il reciproco del raggio di curvatura denito come:
[k[ =
1
R
= lim
s0

d
ds

(E.5)
La curvatura assume valori molto alti nelle zone con raggi di curvatura piccoli, mentre, nei
tratti rettilinei o nei punti di esso `e nulla. Una linea regolare ha pertanto curvatura nita in
ogni punto. Dalla denizione (E.5) deduciamo che la curvatura `e una grandezza che nel S.I. si
misura in m
1
, nel presente corso pi` u frequentemente sar`a espressa in mm
1
.
Quando P e Q sono vicini tanto che il tratto di curva PQ pu`o essere approssimato con
larco della circonferenza osculatrice, langolo sotteso dai raggi CP e CQ (vedi gura E.3)
`e lo stesso di quello formato dalle tangenti alla linea nei punti P e Q, essendo le tangenti
perpendicolari ai rispettivi raggi. Dalla denizione (E.5) si ricava pertanto che:
la curvatura di una linea piana misura la rapidit`a con cui cambia linclinazione della
tangente al variare dellascissa curvilinea.
Possiamo interpretare la curvatura di una linea in termini cinematici. Supponiamo di essere
su un carrellino molto corto (a rigore di lunghezza ds) che vogliamo si muova con velocit`a di
traslazione di modulo costante lungo la linea mantenendo anche, in ogni istante, la direzione
della tangente alla linea stessa. La curvatura della linea `e in questo caso proporzionale alla
velocit`a angolare del carrellino, e quindi proporzionale allangolo del volante necessario per
seguire la traiettoria. La circonferenza `e la linea piana che ha curvatura costante, coincide con
la sua circonferenza osculatrice, in eetti la variazione di pendenza che si produce spostandosi
di una denita quantit`a `e la stessa in ogni suo punto.
E.2.2 Il calcolo della curvatura
Consideriamo in che modo si pu`o ottenere la curvatura partendo dalla rappresentazione
parametrica della linea. La variazione di pendenza della linea pu`o essere ricavata dal pro-
dotto scalare dei due versori tangenti nei punti P e Q aventi ascissa curvilinea s e s + s,
rispettivamente:
cos () =

t (s)

t (s + s) =

t (s)
_

t (s) +

= 1 +

t (s)

t
in cui `e stato posto

t =

t (s + s)

t (s). Semplicando, si ottiene:


cos () 1 =

t (s)

t
e quindi, considerando che

t +

= 1, vale la seguente uguaglianza:


_

t (s) +

t
_

_

t (s) +

t
_
= 1 + 2

t (s)

t +

t = 1
che porta alla relazione:
2 [cos () 1] +

t = 0
946
E.2. APPROSSIMAZIONE AL SECONDO ORDINE DELLE LINEE PIANE
Dividendo per il quadrato della lunghezza PQ si ottiene:
2 [1 cos ()]
(s)
2
=

t
s

t
s
e quindi, passando al limite per Q che tende a P, il singolo fattore al secondo membro diventa:
lim
s0

t
s
=
d
ds
_
dOP
ds
_
=
d
2
OP
ds
2
Per il primo membro, si pu`o sviluppare il coseno no al secondo ordine, in modo da ottenere la
formula nale per la curvatura:
k
2
=
_
d
ds
_
2
=
_
d
2
OP
ds
2
_
2
(E.6)
In termini di componenti, il modulo della curvatura si pu`o esprimere pertanto come:
[k[ =
_
g

1
(s)
2
+g

2
(s)
2
(E.7)
Per una linea piana, il valore assoluto della curvatura `e quindi il modulo del vettore che si
ottiene derivando due volte rispetto alla ascissa curvilinea le componenti cartesiane del vettore
posizione.
Esempio E.2: Calcolo della curvatura per una circonferenza
Vericare la formula (E.7) nel caso della circonferenza.
Consideriamo una circonferenza parametrizzata in coordinate polari:
f
1
() = x
C
+R
0
cos ()
f
2
() = y
C
+R
0
sin ()
con [0, 2). In questo caso, si pu`o ottenere facilmente la parametrizzazione in funzione
dellascissa curvilinea s = R
0
:
g
1
(s) = x
C
+R
0
cos
_
s
R
0
_
g
2
(s) = y
C
+R
0
sin
_
s
R
0
_
calcolando le derivate seconde:
g

1
(s) =
1
R
0
cos
_
s
R
0
_
g

2
(s) =
1
R
0
sin
_
s
R
0
_
si ottiene:
[k[ =

_
1
R
0
cos
_
s
R
0
__
2
+
_
1
R
0
sin
_
s
R
0
__
2
=
1
R
0
che rappresenta la curvatura esatta, ovviamente indipendente da s.
947
Propriet`a dierenziali di linee e superci
E.2.3 Calcolo della curvatura con parametrizzazione cartesiana
Spesso le linee sono i risultati di equazioni dierenziali (lesempio tipico `e alla linea elastica
nelle travi) e hanno come parametro una coordinata cartesiana (gura E.4). In questi casi,
almeno localmente, la linea `e denita da una funzione:
y = f(x)
che pu`o essere interpretata come la parametrizzazione:
f
1
(x) = x
f
2
(x) = f (x)
Il calcolo diretto della curvatura di linee cos` rappresentate `e molto utile nel corso. Consideriamo
un caso semplice.
Figura E.4: Linea con parametrizzazione cartesiana
Esempio E.3: Curvatura nel vertice di una parabola
Calcolare la curvatura nel vertice della parabola
y = f (x) = ax
2

Scritta nella forma parametrica: f


1
(x) = x e f
2
(x) = ax
2
, la lunghezza dellarco
innitesimo si ottiene dal paragrafo E.1.2:
ds =
_
1 + (2ax)
2
dx
Nel vertice, dove linclinazione della linea `e nulla, la lunghezza dellarco innitesimo ds e
la variazione del parametro x coincidono (ds = dx), per cui risulta indierente derivare
rispetto a s oppure rispetto a x. Inoltre, la distanza della linea dalla tangente coincide
localmente con le dierenze di ordinate y. Sar`a quindi:
[k[ =
_
f

1
(x)
2
+f

2
(x)
2
=

(x)

= 2 [a[
Il risultato ottenuto nellesempio pu`o essere generalizzato nella seguente regola:
948
E.2. APPROSSIMAZIONE AL SECONDO ORDINE DELLE LINEE PIANE
la curvatura di una linea piana rappresentata da una funzione del tipo
y = f (x)
in cui x e y sono lunghezze, espresse nelle stesse unit`a di misura, `e data da
[k[ =

(x)

(E.8)
nei punti in cui la funzione ha derivata prima nulla.
Nel caso in cui la linea abbia nel punto P pendenza non nulla, il problema risulta pi` u complicato,
infatti, la dierenza tra la curvatura locale dierisce dalla derivata seconda della funzione per
due motivi:
la parametrizzazione non `e naturale e ds =
_
1 +f

(x)
2
dx ,= dx,
la dierenza tra la variazione angolare e la variazione di derivata prima (d ,=
d (f

(x))).
La derivata prima `e infatti la tangente trigonometrica della pendenza della linea rispetto allasse
x. La seconda dierenza `e giusticabile geometricamente se si considera che la funzione f misura
la proiezione sullasse y dello scostamento tra Q e P e non nella direzione della normale alla
linea in P (vedi gura E.5). Entrambe le dierenze possono essere annullate adottando un
sistema di riferimento cartesiano locale che, come mostrato in gura E.5, ha origine nel punto
P e lasse x
1
sulla tangente. Nel sistema locale lespressione della funzione diventa:
y
1
= f
1
(x
1
)
e le nuove ordinate della curva sono misurate nella direzione della normale in P. Il modulo della
curvatura `e quindi esattamente espresso dalla derivata seconda:
[k[ =

1
(x
1
)

Indicato con langolo di inclinazione dellasse x


1
rispetto a x, valgono le seguenti relazioni
nelle vicinanze del punto P:
Figura E.5: Sistema locale per il calcolo della curvatura esatta
y = f (x + x) f (x) x tan
f
1
(s) = y cos
949
Propriet`a dierenziali di linee e superci
s = x
1
=
x
cos
combinandole, si ottiene
f
1
(s) = [f (x + s cos ) f (x) s sin ] cos
La funzione f
1
pu`o quindi essere derivata direttamente (indierentemente rispetto a s o a x
1
dato che ds = dx
1
) per ottenere:
d
2
f
1
(s)
ds
2
= (cos )
2
d
2
f
[d (s cos )]
2
cos =
d
2
f
dx
2
(cos )
3
Tenendo conto che (cos )
2
=
1
1+(tan )
2
e tan = f

(x), si perviene alla formula esatta della


curvatura nel sistema originale valido per una linea piana in un punto con inclinazione generica:
[k[ =
[f

(x)[
[1 +f

(x)
2
]
3/2
(E.9)
Esempio E.4: Curvatura in un punto generico di una parabola
Calcolare la curvatura della parabola y = ax
2
nel punto (x
0
, ax
2
0
).
Le derivate prima e seconda valgono rispettivamente 2ax
0
e 2a, per cui la curvatura
diventa:
[k (x
0
)[ =
[2a[
_
1 + 4a
2
x
2
0
_
3/2
Come era prevedibile, la curvatura diminuisce (il cerchio oscillatore si allarga) allontanan-
dosi dal vertice della parabola e la derivata seconda misura la curvatura in modo esatto
solo nel vertice.
E.2.4 Calcolo approssimato della curvatura
La relazione (E.9) indica una dipendenza non lineare tra la curvatura e la derivata prima
della funzione. Tale non linearit`a si estende alle equazioni dierenziali in cui compare la curva-
tura, complicandone la soluzione in modo notevole. Per fortuna, in molte situazioni di pratico
interesse, la curvatura deve esser calcolata per linee rappresentate da funzioni la cui derivata
prima `e una quantit`a piccola rispetto allunit`a [f

(x)[ << 1. In queste circostanze, essendo a


maggior ragione f

(x)
2
<< 1, si commette un errore che `e spesso trascurabile se si accetta la
seguente approssimazione:
[k[

(x)

(E.10)
Il graco di gura E.6 riporta il rapporto tra la curvatura corretta e quella approssimata
data dalla relazione (E.10):
=
[k[
[f

(x)[
in funzione del modulo dellangolo di inclinazione locale della curva rispetto allasse x. Come
si pu`o osservare, anche per inclinazioni signicative ( = 6

= 0.1 radianti), lerrore `e contenuto
950
E.2. APPROSSIMAZIONE AL SECONDO ORDINE DELLE LINEE PIANE
Figura E.6: Errore introdotto dallipotesi di pendenza trascurabile
entro lunit`a percentuale. Per inclinazioni no a 20

il rapporto pu`o essere approssimato (con


la precisione del percento) dallespressione:

= 1
3
2
f

(x)
2
`
E opportuno rilevare che tutte le formule ottenute, esatte e approssimate, possono essere usate
direttamente solo se le quantit`a x e y sono espresse nelle stesse unit`a di misura. Solo in tal
caso, infatti, la derivata prima rappresenta la tangente trigonometrica dellinclinazione, appros-
simabile allangolo stesso per basse inclinazioni, e quindi il suo valore pu`o essere confrontato
con lunit`a per vericare che sia eettivamente piccolo.
La determinazione della curvatura sulla base della derivata seconda suggerisce unaltra in-
terpretazione geometrica della curvatura. Consideriamo infatti la funzione espressa nel sistema
di riferimento locale per cui la curvatura (esatta) `e data da:
[k[ =

d
dx
1
_
dy
1
dx
1
_

la curvatura esprime la rapidit`a con cui la derivata prima calcolata rispetto a x


1
si
modica in conseguenza di una variazione in direzione x
1
.
E.2.5 La curvatura con segno
Nei casi in cui la linea sia rappresentata da una funzione, `e talvolta utile denire anche il
segno della curvatura. La convenzione universalmente adottata `e la seguente:
k =
f

(x)
[1 +f

(x)
2
]
3/2
(E.11)
che, per curve con piccole inclinazioni, si approssima a:
k

= f

(x) (E.12)
Il seguente esempio giustica la convenzione adottata.
951
Propriet`a dierenziali di linee e superci
Esempio E.5: Calcolo della curvatura con segno
Determinare la curvatura con segno per la parabola y = f (x) = ax
2
nellorigine.
Applicando la relazione (E.12), la curvatura (esatta) nellorigine vale
k = 2a
Se la parabola ha a > 0, ovvero `e concava verso lalto (o meglio verso le y positive), il
vettore raggio di curvatura (che congiunge il centro di curvatura C con il vertice della
parabola) ha verso opposto allasse y.
Risulta quindi giusticato rappresentare la curvatura di una linea con parametrizzazione
cartesiana con una quantit`a negativa quando la concavit`a della curva `e verso lasse y, e quindi
la derivata seconda `e positiva. Il segno della curvatura `e pertanto cos` denito:
la curvatura in un punto P di un linea espressa dallequazione y = f (x) ha lo stesso
segno della componente y del vettore CP, essendo C il centro di curvatura.
E.3 Curvatura per una linea nello spazio (*)
Il concetto di curvatura pu`o essere esteso a una linea nello spazio. Si dimostra infatti che,
in ipotesi di locale regolarit`a, la linea ammette in ogni punto P un piano osculatore. Come per
il cerchio osculatore, il piano osculatore rappresenta, tra gli
2
piani che passano per P, quello
che localmente si avvicina di pi` u alla linea. Si pu`o dimostrare che il piano osculatore contiene
sia il versore tangente

t sia il seguente versore normale n alla curva in P:
n =
1
_
g

1
(s)
2
+g

2
(s)
2
+g

3
(s)
2
_
_
g

1
(s)
g

2
(s)
g

3
(s)
_
_
Sul piano osculatore `e quindi denibile il cerchio osculatore con centro C e curvatura in modulo
data da:
[k[ =
_
g

1
(s)
2
+g

2
(s)
2
+g

3
(s)
2
relazione che rappresenta lestensione tridimensionale della (E.7).
Sul punto P viene anche denito un terzo versore

b (detto binormale) :

b =

t n
che con

t e n forma la terna cartesiana ortonormale naturale locale della linea in P. I tre versori

t, n e

b sono chiamati versori principali della linea.
E.4 Superci regolari
E.4.1 Notazione
Nel seguente paragrafo sono analizzate le principali propriet`a dierenziali delle superci
regolari. Relativamente alla regolarit`a, faremo ipotesi analoghe a quelle assunte per le linee,
ovvero che sia possibile eettuare il calcolo delle derivate prime e seconde, e che queste siano
continue, in quasi tutti i punti della supercie stessa. Potranno essere escluse al pi` u alcune
952
E.4. SUPERFICI REGOLARI
linee della supercie, e quindi zone di area nulla, ai bordi delle quali le propriet`a di regolarit`a
saranno vericate almeno come limite.
Le caratteristiche dierenziali delle superci sono pi` u complesse di quelle delle linee. Nel
presente paragrafo ci limiteremo a richiamare le propriet`a elementari delle superci espresse
nella forma cartesiana:
z = f (x, y) (E.13)
Nel seguito, per semplicare le espressioni, le derivate parziali valutate rispetto alle coordinate
sono indicate riportando i relativi simboli tra parentesi in apice, come nel seguente schema:
f
(x)
(x, y) =

x
f (x, y) , f
(y)
(x, y) =

y
f (x, y)
f
(xx)
(x, y) =

2
x
2
f (x, y) , f
(xy)
(x, y) =

2
xy
f (x, y) , f
(yy)
(x, y) =

2
y
2
f (x, y)
Le variabili di derivazione non sono messe a pedice (come `e pi` u usuale) per non creare conitto
di notazione con i tensori.
E.4.2 Versore normale e piano tangente alla supercie
Consideriamo un punto generico P su una supercie denita dalla relazione (E.13). Come
illustrato in gura E.7, consideriamo le due curve che si ottengono intersecando la supercie
con due piani passanti per P e paralleli rispettivamente agli assi x z e y z. Sulle due curve,
con i metodi sviluppati nei paragra precedenti, sono denibili i vettori tangenti (innitesimi):
_
_
dx
0
f
(x)
(x, y) dx
_
_
e
_
_
0
dy
f
(y)
(x, y) dy
_
_
Il piano tangente alla supercie che passa per P contiene le direzioni dei due vettori appena
trovati che non sono perpendicolari, a meno che almeno una delle due derivate parziali sia nulla.
Un vettore normale al piano tangente si pu`o ottenere dal prodotto vettoriale dei due vettori
tangenti:

i

j

k
dx 0 f
(x)
(x, y) dx
0 dy f
(y)
(x, y) dy

=
_
_
f
(x)
(x, y)
f
(y)
(x, y)
1
_
_
dxdy
Dalle propriet`a del prodotto vettoriale (vedi appendice A) `e noto che modulo di tale vettore
normale esprime larea del parallelogrammo elementare appartenente al piano tangente la cui
proiezione sul piano x y `e il rettangolo innitesimo di lati dx e dy. Poiche stiamo consi-
derando elementi innitesimi, larea del parallelogramma elementare `e uguale anche a quella
della porzione innitesima della supercie che si proietta sullo stesso rettangolo di lati dx e dy
(ombreggiato in gura E.7), per cui:
dA =
_
1 +f
(x)
(x, y)
2
+f
(y)
(x, y)
2
dxdy
relazione che permette di ricondurre una integrazione denita sulla supercie a una integrazione
piana sulla sua proiezione sul piano xy. Scrivendo lequazione della supercie (E.13) in forma
implicita:
F (x, y, z) = z f (x, y) = 0
953
Propriet`a dierenziali di linee e superci
Figura E.7: Caratteristiche locali della supercie
un vettore normale al piano tangente `e espresso dal gradiente di F:
F =
_
_
F
(x)
(x, y, z)
F
(y)
(x, y, z)
F
(z)
(x, y, z)
_
_
e uno dei due versori normali alla supercie si ottiene per normalizzazione:
n =
F
[F[
=
1
_
1 +f
(x)
(x, y)
2
+f
(y)
(x, y)
2
_
_
f
(x)
(x, y)
f
(y)
(x, y)
1
_
_
(E.14)
dalla quale si riconosce anche che: dA = [F[ dxdy.
Lequazione del piano tangente nel punto P, di coordinate (x
P
, y
P
, f (x
P
, y
P
)), si ottiene
imponendo che il vettore generico (x x
P
, y y
P
, z f (x
P
, y
P
)) appartenente al piano sia
normale a F calcolato in P. Con semplici passaggi si trova quindi:
z f (x
p
, y
p
) = f
(x)
(x
p
, y
p
) (x x
p
) +f
(y)
(x
p
, y
p
) (y y
p
)
Dalla conoscenza del vettore normale `e deducibile la direzione di massima ripidezza della super-
cie, ovvero la direzione del piano x y lungo la quale scivolerebbe una goccia dacqua lasciata
in P sotto leetto della gravit`a agente in direzione z. Un vettore del piano x y con tale
propriet`a si ottiene proiettando su tale piano il vettore normale alla supercie:
_
_
f
(x)
(x, y)
f
(y)
(x, y)
0
_
_
Il valore della tangente trigonometrica della massima ripidezza (il massimo coeciente angolare
tra tutte le rette appartenenti al piano tangente) vale:
m
max
=
_
f
(x)
(x, y)
2
+f
(y)
(x, y)
2
(E.15)
Pu`o essere utile anche determinare la direzione di stazionariet`a del piano tangente, ovvero la
direzione del piano x y in corrispondenza della quale la quota del piano rimane costante.
La direzione di stazionariet`a `e perpendicolare alla direzione di massima ripidezza ed `e quindi
parallela al vettore:
_
_
f
(y)
(x, y)
f
(x)
(x, y)
0
_
_
954
E.5. APPROSSIMAZIONE DELLE SUPERFICI AL SECONDO ORDINE
E.5 Approssimazione delle superci al secondo ordine
E.5.1 Scostamento della supercie dal piano tangente
Analogamente alle linee, otteniamo una approssimazione quadratica (al secondo ordine)
della supercie z = f (x, y) valida nei pressi del punto P (x
P
, y
P
, f (x
P
, y
P
)). Se nel punto
P il piano tangente `e orizzontale, il problema risulta semplicato. Se il piano tangente non
`e orizzontale, si pu`o considerare la supercie denita dalla funzione dierenza (misurata in
direzione z) tra la supercie e il piano tangente stesso. In particolare, consideriamo un punto Q
di coordinate (x
P
+, y
P
+) posto nelle vicinanze di P (quindi con e piccoli) possiamo
denire la funzione:
(, ) = f (x
P
+, y
P
+)
_
f (x
P
, y
P
) +f
(x)
(x
P
, y
P
) +f
(y)
(x
P
, y
P
)
_
(E.16)
La supercie espressa dalla funzione (, ) ha nellorigine le stesse derivate seconde che la
funzione originaria f (x, y) ha in (x
P
, y
P
), ma non ha esattamente le stesse curvature. In eetti,
considerare la funzione (, ) per calcolare le curvature produce lo stesso tipo di errore che si
commette nelle linee quando si approssimano le curvature con le derivate seconde. Come nel
caso delle linee, per`o, tali errori sono tollerabili se le pendenze del piano tangente di z = f (x, y)
in P (in particolare la pendenza massima) sono piccole rispetto allunit`a.
Lo sviluppo della funzione (x, y) nellorigine fornisce la seguente relazione
(, ) =
1
2
_

()
(0, 0)
2
+ 2
()
(0, 0) +
()
(0, 0)
2
_
+.......
dalla quale, tenendo conto che le derivate seconde di f in P e di in (0, 0) coincidono, si ottiene
la seguente:
(, ) =
1
2
_
f
(xx)
(x
P
, y
P
)
2
+ 2f
(xy)
(x
P
, y
P
) +f
(yy)
(x
P
, y
P
)
2
_
+....... (E.17)
relazione che indica in che modo lo scostamento locale della supercie dal piano tangente
dipenda dal valore locale delle derivate seconde della funzione di partenza.
Figura E.8: Denizione della linea
x
E.5.2 Curvature normali
Per denire la curvatura locale della supercie, estendiamo il procedimento sviluppato per
le linee. Consideriamo la linea
x
, che si ottiene intersecando la supercie con il piano passante
955
Propriet`a dierenziali di linee e superci
per P e contenente le direzioni z e x, in modo da evidenziare landamento locale della supercie
nella direzione dellasse x (come illustrato in gura E.8). La curvatura in P della curva
x
si
pu`o ottenere con buona approssimazione come:
k
xx
= f
(xx)
(x
p
, y
p
)
Il doppio pedice che accompagna il simbolo k indica che la curvatura `e ottenuta con una doppia
derivazione rispetto alla coordinata x:
k
xx
=

x
_

x
f (x, y)
_
(x
P
,y
P
)
La curvatura k
xx
misura quindi quanto rapidamente la pendenza della curva intersezione
x
,
che si sviluppa in direzione x, cambia spostandosi nella direzione x stessa.
In modo simile, il piano per P contenente le direzioni a z e y `e usato per denire la curva

y
dalla quale si ottiene la curvatura normale relativa allasse y:
k
yy
= f
(yy)
(x
p
, y
p
)
Una componente di curvatura, come queste ultime, caratterizzata da due pedici uguali `e
detta normale. Le due curvature normali k
xx
e k
yy
individuano due diversi cerchi osculatori
che giacciono su piani perpendicolari con centri rispettivamente C
x
e C
y
. I punti C
x
, C
y
e P sono
allineati sulla retta normale alla supercie in P e generalmente sono distinti. Se le curvature
normali sono concordi (k
xx
k
yy
> 0) P `e esterno al segmento C
x
C
y
, se P `e intermedio tra C
x
e
C
y
le due curvature hanno segno opposto (k
xx
k
yy
< 0).
Ma la curvatura di una supercie in un punto `e caratterizzata se `e nota la curvatura di
ogni linea intersezione della supercie con un qualunque piano del fascio contenente z e
passante per P.
`
E interessante analizzare il seguente problema: le curvature normali k
xx
e k
yy
caratterizzano completamente la curvatura locale della supercie in P? Poiche per il punto P
passano
1
linee (una per ogni piano del fascio), mentre le curvature normali sono state
denite usando solamente due piani, `e lecito aspettarsi una risposta negativa. Consideriamo
infatti un versore m nel piano xy che forma un angolo con lasse x, come mostrato in gura
E.9:
m =
_
m
x
m
y
_
=
_
cos
sin
_
Il piano passante per P contenente la direzione dellasse z e il versore m individua sulla supercie
la linea
m
la quale in P ha una curvatura che, con naturale estensione dei simboli, si indica con
k
mm
. Per calcolare tale curvatura, determiniamo lespressione analitica della curva
m
, usando
come parametro con lascissa curvilinea sulla retta del piano xy con origine sulla proiezione
di P e direzione m. Dato che: = m
x
e = m
y
, sostituendo nella equazione (E.17), si
ottiene lespressione analitica per
m
:

m
() =
1
2
_
f
(xx)
(x
p
, y
p
) m
2
x
+ 2f
(xy)
(x
p
, y
p
) m
x
m
y
+f
(yy)
(x
p
, y
p
) m
2
y
_

2
+.......
da cui:
k
mm
=
_
f
(xx)
(x
p
, y
p
) m
2
x
+ 2f
(xy)
(x
p
, y
p
) m
x
m
y
+f
(yy)
(x
p
, y
p
) m
2
y
_
Osserviamo quindi che la curvatura della linea non dipende solo dalle due curvature normali
della supercie (rappresentate dal primo e dal terzo addendo), ma anche dalla derivata mista.
956
E.5. APPROSSIMAZIONE DELLE SUPERFICI AL SECONDO ORDINE
Figura E.9: Curvatura normale in direzione generica
Esempio E.6: Calcolo della curvatura di una supercie
Determinare tutte le curvature normali k
mm
nellorigine della funzione:
z = 3x
2
6xy 2y
2

Si tratta di una funzione che ha piano tangente orizzontale nellorigine, per cui le
curvature normali si ottengono in modo esatto dalle derivate seconde:

2
z
x
2
= k
xx
= 6,

2
z
y
2
= k
yy
= 4
la derivata mista `e:

2
z
xy
= 6
indicando con langolo di inclinazione della retta m rispetto allasse x si ottiene:
k
mm
= 6 (cos )
2
+ 12 cos sin + 4 (sin )
2
E.5.3 Curvatura svergolante o svergolamento
Nel punto precedente `e stato dimostrato che, per ottenere la curvatura normale per una
curva
m
genericamene orientata in un punto, `e necessario conoscere anche la derivata mista
f
(xy)
(x
P
, y
P
). Per questo, viene denito una nuova componente di curvatura, detta svergo-
lamento (o curvatura svergolante), grandezza che non ha una equivalente per le linee. In
analogia alle curvature normali, una supercie che ha piano tangente orizzontale in un punto
P, lo svergolamento (esatto) `e denito da:
k
xy
=

x
_

y
f (x, y)
_
(x
P
,y
P
)
(E.18)
957
Propriet`a dierenziali di linee e superci
Essendo la funzione f(x, y) regolare, vale lindipendenza della derivata mista dallordine di
derivazione per cui:
k
yx
=

y
_

x
f (x, y)
_
(x
P
,y
P
)
=

x
_

y
f (x, y)
_
(x
P
,y
P
)
= k
xy
Il signicato geometrico dello svergolamento si ottiene dalla denizione (E.18):
lo svergolamento k
xy
rappresenta quanto rapidamente cambia linclinazione in dire-
zione x quando ci si sposta in direzione y.
Possiamo osservare che:
la relazione E.18 `e simmetrica rispetto allordine degli assi, pertanto la denizione vale
anche se si scambiano x e y
il segno meno nella denizione dello svergolamento `e coerente con la denizione delle
curvature normali
linterpretazione geometrica rende conto del termine svergolante usato per questa gran-
dezza.
Si conclude che le tre curvature k
xx
, k
yy
e k
xy
sono necessarie e sucienti per denire la
curvatura normale in ogni direzione essendo:
k
mm
= k
xx
m
2
x
+ 2k
yx
m
x
m
y
+k
yy
m
2
y
(E.19)
Come le curvature normali, anche lo svergolamento dipende dallorientamento degli assi x y
usati nella rappresentazione della funzione. Possiamo chiederci: quale sarebbe lo svergolamento
in P se la funzione fosse riferita a una coppia di direzioni, sempre tra loro perpendicolari ma
non parallele agli assi x e y? Per rispondere a questa domanda consideriamo una coppia di
versori perpendicolari q e m appartenenti al piano x y:
q =
_
q
x
q
y
_
=
_
m
y
m
x
_
e calcoliamo, in modo simile a quanto fatto per k
mm
, lo svergolamento k
mq
associato alle
direzioni m e q. Applicando la denizione, dobbiamo valutare come linclinazione della supercie
in direzione m varia spostandosi in direzione q. Fissata una coordinata nella direzione q con
origine nella proiezione di P, tenendo conto che = m
x
+q
x
= m
x
m
y
e = m
y
+q
y
=
m
y
+m
x
, la funzione (E.17) pu`o scriversi come:
(, ) =
1
2
_
f
(xx)
(x
p
, y
p
) (m
x
m
y
)
2
+ 2f
(xy)
(x
p
, y
p
) (m
x
m
y
) (m
y
+m
x
) +
+ f
(yy)
(x
p
, y
p
) (m
y
+m
x
)
2
_
+..........
da cui, per derivazione mista si ottiene:
k
mq
= k
qm
=

2

= k
xx
m
x
q
x
+k
xy
(m
x
q
y
+m
y
q
x
) +k
yy
m
y
q
y
(E.20)
Lo svergolamento e le due curvature normali permettono quindi di calcolare ogni componente
di curvatura, normale e svergolante, per qualsiasi direzione nel piano tangente.
958
E.5. APPROSSIMAZIONE DELLE SUPERFICI AL SECONDO ORDINE
E.5.4 Il tensore di curvatura
Introducendo la seguente matrice simmetrica di curvatura, riferita agli assi x y,:
K =
_
k
xx
k
xy
k
yx
k
yy
_
(E.21)
le relazioni (E.19) e (E.20) possono essere scritte in forma compatta. Infatti, le curvature
normali e svergolanti, per una generica coppia di assi perpendicolari m e q, si ottengono con i
seguenti prodotti:
k
mm
= m
T
K m
e
k
mq
= m
T
K q = q
T
K m = k
qm
Poiche queste relazioni sono valide per qualunque coppia di rette ortogonali appartenenti al
piano xy, possono essere usate per denire la legge di trasformazione della matrice di curvatura
per rotazione degli assi attorno a z:
K

= L
T
KL (E.22)
dove L rappresenta la matrice di trasformazione 2 2 degli assi sul piano x y.
Dalla relazione (E.22) si deduce che:
la curvatura K `e un tensore doppio simmetrico piano.
Le propriet`a della curvatura di una supercie riportate nei seguenti punti sono ricavate diretta-
mente dalle propriet`a generali dei tensori.
In ogni punto di una supercie regolare, esiste sempre (almeno) una coppia di direzioni
perpendicolari giacenti sul piano tangente, le direzioni principali di curvatura, per i quali
lo svergolamento `e nullo e le corrispondenti curvature normali, le curvature principali,
assumono valori estremi.
Rispetto agli assi principali, la matrice di curvatura assume la forma diagonale:
K =
_
k
1
0
0 k
2
_
Come illustrato nella gura E.10, anche per la curvatura `e applicabile la rappresentazione
di Mohr.
Con il digramma di Mohr, sono immediatamente identicabili le curvature principali che
ordiniamo algebricamente in modo che k
1
k
2
ed `e possibile individuare le rispettive
direzioni principali di curvatura (tra loro perpendicolari).
Ogni curvatura normale `e compresa tra i valori principali: k
1
k
mm
k
2
.
I piani che contengono la normale e ognuna delle direzioni principali di curvatura sono
piani di simmetria locale per la supercie ottenuta come scostamento della supercie data
dal suo piano tangente.
Se in un punto passa un piano di simmetria per una supercie, esso individua necessaria-
mente una direzione principale di curvatura.
La presenza di un piano di simmetria comporta che anche la direzione a esso normale `e
principale di curvatura (a causa della ortogonalit`a degli autovettori della matrice reale
simmetrica).
Lo svergolamento massimo, il cui valore in modulo `e
1
2
[k
1
k
2
[, si manifesta su assi
inclinati di 45

rispetto ai piani che contengono direzioni principali di curvatura.


959
Propriet`a dierenziali di linee e superci
Figura E.10: Cerchio di Mohr per le curvature
E.5.5 Classicazione locale delle superci
La forma locale di una supercie regolare `e denita sulla base delle curvature principali.
Punto ellittico.
Un punto `e chiamato ellittico se tutte le sue curvature normali k
mm
hanno lo stesso segno.
Questo si verica quando per ogni direzione m, i centri di curvatura appartengono allo stesso
semispazio rispetto al piano tangente. Sono ellittici tutti i punti di un ellissoide o di un
paraboloide. Per un punto ellittico la circonferenza di Mohr delle curvature `e tutta a destra, o
tutta a sinistra, rispetto allasse verticale, ovvero le curvature principali sono concordi:
k
1
k
2
> 0
Quando le curvature principali sono uguali (non nulle):
k
1
= k
2
,= 0
il cerchio di Mohr degenera in un punto e la supercie non presenta in P svergolamento per al-
cuna coppia di assi. La supercie ha quindi forma localmente sferica e il punto P `e detto sferico.
Il punto sferico `e lunico per il quale lo svergolamento `e nullo per ogni coppia dassi. Sono punti
sferici, oltre ovviamente tutti punti di una sfera, anche i punti delle superci di rivoluzione in
corrispondenza dellasse di simmetria (purche ovviamente localmente dierenziabili), come per
esempio in un paraboloide circolare o in un ellissoide di rotazione (i punti pi` u lontani di una
palla da rugby)ma non in un cono.
Punto di sella.
Si ha un punto di sella quando le curvature principali sono discordi, e quindi i centri di
curvatura principali sono da parti opposte rispetto al piano tangente. Il cerchio di Mohr delle
curvature contiene in questo caso lorigine e si possono trovare due direzioni m
1
e m
2
in cui la
curvatura normale `e nulla. Intersecando la supercie con un piano contenente la direzione z e
una di tali direzioni, si individua una linea la cui circonferenza osculatrice degenera nella locale
retta tangente. Le direzioni m
1
e m
2
non sono in genere a 45

rispetto alle direzioni principali


(escludendo il caso particolare di sella perfettamente emisimmetrica con k
1
= k
2
, come la
funzione z = xy nellorigine). Punti di sella si trovano anche nelle superci di rivoluzione, per
esempio nelle zone del collo di una bottiglia.
Casi particolari.
`
E interessante considerare i casi in cui il cerchio di Mohr passa dallorigine ovvero quando
almeno una delle curvature principali `e nulla. Se laltra curvatura principale non `e nulla, la
960
E.5. APPROSSIMAZIONE DELLE SUPERFICI AL SECONDO ORDINE
supercie `e localmente riconducibile a un cilindro. Hanno questa caratteristica anche i punti di
un cono (escluso il vertice) e i punti delle superci di rotazione in cui la linea generatrice ha un
esso. Il caso estremo si verica quando:
k
1
= k
2
= 0
per cui il circolo di Mohr degenera nellorigine e la supercie `e localmente indistinguibile dal
piano tangente, a meno di termini del terzo ordine o superiori. Ovviamente, un piano ha
curvature principali nulle in ogni suo punto.
E.5.6 Valori esatti delle curvature per superci con parametrizzazione car-
tesiana (*)
Quando `e necessario determinare i valori esatti delle curvature, come per le linee, anche per
le superci le derivate seconde dovrebbero essere calcolate in un sistema di riferimento cartesiano
con gli assi collocati sul piano tangente locale. Se questo cambiamento di coordinate non viene
fatto, come `e stato vericato per le linee, le curvature calcolate con le derivate seconde sono
approssimate e da considerarsi accettabili solo se le pendenze del piano tangente sono piccole
rispetto allunit`a: m
max
1 (vedi equazione E.15). Se invece le pendenze sono signicative, il
valore esatto della curvatura `e ottenibile dalla rappresentazione cartesiana senza cambiamento
di sistema di riferimento introducendo espressioni non lineari delle derivate prime.
Come `e da aspettarsi, il calcolo esatto delle curvature per le superci `e pi` u complicato
rispetto a quello delle linee. Pu`o essere peraltro adottato il seguente procedimento (riportato
senza dimostrazione).
1. Traslare la funzione verticalmente di z
P
in modo che il punto P appartenga al piano
x y, ottenendo la funzione:
g (x, y) = f (x, y) f (x
P
, y
P
)
che ha le stesse derivate e le stesse curvature di f .
2. Individuare la direzione di massima pendenza del piano tangente nel punto P e calcolare
le quantit`a:
m
max
=
_
f
(x)
(x
p
, y
p
)
2
+f
(y)
(x
p
, y
p
)
2
= 1 +m
2
max
3. Scegliere sul piano xy due assi cartesiani x
1
e y
1
, con origine in P di cui uno (per ssare
le idee assumiamo x
1
) abbia la direzione della massima pendenza del piano tangente.
4. Calcolare la matrice di trasformazione delle componenti piane: L (la matrice dei coseni
direttori dei nuovi assi x
1
e y
1
rispetto ai vecchi x e y).
5. Esprimere la funzione g (che chiameremo g
1
(x
1
, y
1
)) nelle nuove coordinate tenendo conto
che:
_
x
y
_
= L
_
x
1
y
1
_
+
_
x
p
y
p
_
6. Sviluppare al secondo ordine la funzione g
1
(x
1
, y
1
) nelle componenti x
1
e y
1
in modo da
ottenere lespressione:
g
1
(x
1
, y
1
) = m
max
x
1
+
1
2
_
Ax
2
1
+ 2Bx
1
y
1
+Cy
2
2
_
+.....
961
Propriet`a dierenziali di linee e superci
e quindi ottenendo i coecienti A, B e C della parte quadratica. Il segno del termine
lineare dipende dal verso assunto per lasse x
1
ma tale arbitrariet`a non ha eetto sul
risultato.
7. Considerato un sistema di riferimento cartesiano x
2
e y
2
sul piano tangente, con lasse y
2
coincidente con y
1
, il tensore di curvatura esatto vale:
_
k
x
2
x
2
k
x
2
y
2
k
y
2
x
2
k
y
2
y
2
_
=
_
A/
3/2
B/
B/ C/
1/2
_
dove A, B e C sono i coecienti precedentemente valutati.
Lintroduzione della direzione di massima pendenza garantisce che le varie coppie di assi denite
nel procedimento siano mutuamente perpendicolari.
E.6 Superci di rivoluzione
E.6.1 Denizioni generali e sistema di riferimento locale
Molti gusci impiegati in pratica hanno superci medie di rivoluzione, per esempio: recipienti
in pressione, ugelli e tubazioni. Per le superci di rivoluzione le curvature principali (esatte)
possono essere determinate in modo pi` u semplice.
Una supercie di rivoluzione `e ottenuta ruotando, generalmente di 360

, attorno a una
retta, detta asse di rotazione, (zeta dellalfabeto greco) una linea piana complanare
g
, detta
linea generatrice. Allo scopo di evidenziarne le propriet`a geometriche in modo naturale, per le
superci di rivoluzione `e opportuno introdurre coordinate e assi locali. Per la denizione di tali
grandezze `e comoda lanalogia con il sistema di coordinate sferiche usate per la denizione delle
posizioni geograche. La linea generatrice
g
(per la Terra un meridiano) si ottiene intersecando
Figura E.11: Supercie di rivoluzione con gli assi locali (vista e sezione)
la supercie di rivoluzione con un semipiano (semipiano assiale) che si appoggia allasse . Per
semplicit`a, la generatrice `e supposta una linea regolare e non intersecante lasse di rotazione.
Sono convenzionalmente individuate:
una generatrice di riferimento
0
che denisce lorigine della coordinata angolare di
longitudine (sulla Terra `e il meridiano di Greenwich)
un verso di rotazione (vedi gura E.11).
962
E.6. SUPERFICI DI RIVOLUZIONE
La coordinata che determina la posizione angolare (attorno allasse ) del semipiano assiale che
contiene il punto generico P rispetto alla generatrice di riferimento, individua la longitudine, ed
`e indicata con .
La latitudine (o colatitudine) `e determinata dallangolo che misura linclinazione della
normale alla generatrice in P rispetto allasse di rotazione. In alcuni casi la denizione di
latitudine per una generica supercie di rivoluzione pu`o essere ambigua e potrebbe non
individuare univocamente la posizione del punto P lungo la sua generatrice. Infatti, a dierenza
della sfera, il centro di curvatura per una generatrice non semicircolare `e diverso da punto a
punto ed `e quindi possibile che lo stesso valore di inclinazione sia assunto dalla normale in pi` u
punti della generatrice (anche inniti, come per esempio nelle superci cilindriche o coniche).
Per superare questa dicolt`a, sulla generatrice viene assunta una ascissa curvilinea s, che
individua univocamente la posizione di P e stabilisce il senso di percorrenza della generatrice
stessa.
Su ogni punto della supercie `e denito un sistema di riferimento cartesiano locale con le
seguenti regole:
il versore

t

tangente alla generatrice `e diretto nel verso crescente dellascissa curvilinea


s,
il versore normale n `e orientato verso lesterno della supercie (ovvero dalla parte opposta
allasse di rotazione), a tale versore `e associato lasse rettilineo locale z della supercie,
il versore

t

`e ortogonale ai primi due e dato dalla relazione

=

t

n
in modo che la terna

t

, n (in questo ordine) sia ortonormale destrorsa. Il verso di



t

individua il senso crescente della longitudine.


Lintersezione della supercie con un piano per P normale allasse individua una circonferenza
(detta parallelo). Il vettore

t

, che localmente giace sul parallelo, individua il verso della


corrispondente ascissa curvilinea chiamata .
E.6.2 Curvature delle superci di rivoluzione
Per le superci di rivoluzione, le propriet`a locali di curvatura possono essere individuate
sulla base delle considerazioni seguenti:
la supercie di rotazione `e costruibile conoscendo le propriet`a geometriche della linea ge-
neratrice e la posizione della generatrice stessa rispetto allasse di rotazione, `e prevedibile
quindi che anche le curvature della supercie siano deducibili da queste informazioni
la supercie viene considerata nel sistema locale che ha assi deniti dai versori

t

,

t

e n e
le curvature sono ottenute in modo esatto, indipendentemente dallinclinazione del piano
tangente
essendo contenuta in un piano di simmetria, la direzione

t

`e principale di curvatura, e
quindi lo `e anche la direzione

t

.
Nel sistema locale, il tensore di curvatura pu`o quindi esprimersi come:
K =
_
k

0
0 k

_
963
Propriet`a dierenziali di linee e superci
Figura E.12: Locale conicit`a delle superci di rivoluzione
dobe, con il solito signicato dei simboli, sono indicate con k

e k

le curvature normali (e in
questo caso anche principali) nelle direzioni

t

e

t

rispettivamente, che sono chiamate curvature


longitudinale e latitudinale.
La curvatura latitudinale k

`e direttamente riconducibile alla curvatura della linea genera-


trice
g
(linea che ha una pendenza solitamente non trascurabile) e pu`o essere valutata con i
metodi riportati nei paragra precedenti. Per determinare k

`e utile considerare la gura E.12


che evidenzia come, localmente, la supercie di rivoluzione possa essere approssimata con un
cono che ha vertice in V intersezione tra lasse di simmetria e la retta tangente alla generatrice.
Lintersezione della supercie di rotazione con un piano normale al foglio e a

t

genera una
linea con centro di curvatura in C

che rappresenta il punto in cui la normale alla generatrice


interseca lasse di rotazione. La situazione generale `e schematizzata nella gura E.13 che mostra
entrambi i centri di curvatura e i rispettivi raggi.
Figura E.13: Curvature per una supercie di rivoluzione
Le seguenti considerazioni sul segno delle curvature sono utili per la soluzione di problemi
di statica dei gusci. Si noti che esse sono coerenti con le convenzioni sui segni nora assunte (in
particolare il verso dellasse z locale).
La curvatura k

`e sempre positiva.
La curvatura k

`e di segno positivo (come in gura E.13) in un punto ellittico. La


964
E.6. SUPERFICI DI RIVOLUZIONE
curvatura k

`e negativa quando il centro di curvatura C

`e dalla parte opposta di C

rispetto a P (ovvero C

`e esterno alla supercie come nel collo di bottiglia).


La curvatura k

pu`o essere anche nulla. In tal caso la supercie `e localmente cilindrica


o conica (per esempio nel esso della generatrice del collo di bottiglia).
I raggi di curvatura relativi alle direzioni principali (quando esistono niti), sono dati in
modulo dalle relazioni: R

= [PC

[ = 1/[k

[ e R

= [PC

[ = 1/[k

[
Esempio E.7: Curvature in un paraboloide di rotazione
Calcolare le curvature di un paraboloide di rotazione la cui generatrice `e espressa dalla
relazione (in cui a > 0 e R

`e la distanza del punto P dallasse di rotazione):


= aR
2

Figura E.14: Curvature di un paraboloide di rotazione


Il modulo della curvatura k

`e gi`a stato calcolato nellesempio E.4. Si deve solo porre


attenzione al segno, in quanto ora lasse z `e normale uscente dalla supercie, per cui:
k

(R

) =
2a
_
1 + 4a
2
R
2

_
3/2
laltra curvatura principale della supercie di rotazione si ottiene con considerazioni
elementari di geometria analitica piana:
k

(R

) =
2a
_
1 + 4a
2
R
2

_
1/2
Nella gura E.15 sono rappresentati gli andamenti delle curvature principali. Si pu`o osser-
vare che le due curvature principali coincidono (solo) nel vertice, che quindi, rappresenta
lunico punto sferico del paraboloide, tutti gli altri sono ellittici. Dal graco si pu`o ri-
cavare lerrore che si commetterebbe calcolando direttamente le derivate seconde della
rappresentazione cartesiana del paraboloide:
f (x, y) = a
_
x
2
+y
2
_
= aR
2

per il quale si stimerebbero k


1
= k
2
= 2 in ogni punto P.
965
Propriet`a dierenziali di linee e superci
Figura E.15: Andamento delle curvature principali in un paraboloide di
rotazione in funzione dellinclinazione della generatrice
Il lettore pu`o vericare che, applicando le relazioni del paragrafo E.5.6, le curvature
principali si possono ricavare in modo esatto anche partendo dalla rappresentazione car-
tesiana. Lunica dierenza che si ha, rispetto alla soluzione del solido di rivoluzione, `e il
segno. La causa di questa apparente incongruenza `e da ricercarsi nella diversa direzione
dellasse usato per denire le quote della supercie rispetto al piano degli assi di riferimento.
E.6.3 Relazioni tra quantit`a angolari e ascisse curvilinee per le superci di
rivoluzione
Talvolta `e utile esprimere il legame tra le coordinate angolari di latitudine e longitudine e le
corrispondenti ascisse curvilinee misurate rispettivamente lungo il meridiano e il parallelo. Per
uno spostamento lungo il meridiano la relazione `e immediata:
d = k

ds =
ds
R

Si noti che, come anticipato, per un solido di rotazione generico, la curvatura k

`e solitamente
funzione della posizione. In particolare, se la curvatura meridiana `e nulla, la relazione precedente
non consente di denire univocamente la latitudine.
Per calcolare il corrispondente spostamento sul parallelo basta ricordare che, per denizione,
la longitudine indica la rotazione del semipiano assiale per P rispetto al semipiano assiale della
generatrice
0
di riferimento. Langolo di longitudine pu`o essere misurato considerando la
rotazione del segmento C

P (di lunghezza R

) essendo C

il punto dellasse di simmetria pi` u


vicino a P. Vale pertanto la relazione:
d = R

d
come illustrato dalla gura E.16. Essendo R

= R

sin , risulta:
d =
d
k

sin
966
E.6. SUPERFICI DI RIVOLUZIONE
Figura E.16: Denizione del centro C

Le precedenti relazioni permettono di ottenere utili espressioni per larea dellelemento innite-
simo di supercie per superci di rivoluzione:
dA = ds d =
sin
k

dd =
R

dd
Nel caso di una sfera di raggio R
0
, essendo: k

= k

= 1/R
0
, la formula dellarea si semplica
in:
dA = R
2
0
sin dd
967
Glossario delle keywords
analisi dopo linstabilit`a post-buckling analysis 837
anima web . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217
anisotropia anisotropy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 490
antiorario counterclockwise . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 874
appoggio semplice simple support . . . . . . . . . . . . . 96
asse axis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
attorcigliamento twist . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 649
autoequilibrato self-balanced . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
baricentro centroid . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
biassiale biaxial . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372
braccio arm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
campo tensoriale tensor eld . . . . . . . . . . . . . . . . . . 354
carico load . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
carico critico buckling load . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 832
catene chain(s) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
cautelativo conservative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 577
cella di carico load cell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
centro di taglio shear centre . . . . . . . . . . . . . . . . . . 721
cerniera hinge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
cifre signicative signicant digit(s) . . . . . . . . . . . 896
cinghie belt(s) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
componente component . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
componente normale normal component . . . . . . 332
componente idrostatica hydrostatic
component . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 391
componente deviatorica deviatoric component 391
compressione compression, compressive stress 332
congruente compatible . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 403
continuo continuum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
contro-curvatura anticlastic curvature . . . . . . . . 623
coppia couple . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
corpo rigido rigid body . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
costanti elastiche elastic constants . . . . . . . . . . . . 496
criterio di snervamento yielding criterion . . . . . 556
curva carico-spostamento load-displacement
curve . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 495
deformabilit`a compliance . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 496
deformazione strain . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412
deformazione angolare angular strain . . . . . . . . . 415
deformazione estensionale extensional strain . 421
deformazioni elastiche elastic strains . . . . . . . . . . 488
deformazioni plastiche plastic strains . . . . . . . . . 546
deformazione vera true strain, natural strain . 466
densit`a di energia elastica elastic energy
density . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 492
densit`a volumica volumetric density . . . . . . . . . . . . 72
densit`a volumica media mean volumetric
density . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
destrorso right-handed . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 874
deviatore di tensione stress deviator . . . . . . . . . . 391
diagramma di corpo libero denitivo o nale nal
free body diagram . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
diagramma di corpo libero preliminare preliminary
free body diagram . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
duttilit`a ductility . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 549
elasticit`a elasticity . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 491
elastico elastic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 491
energia elastica elastic energy . . . . . . . . . . . . . . . . . 488
energia potenziale elastica elastic energy . . . . . 492
energia potenziale totale total potential
energy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 825
equazione di congruenza compatibility
equation . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 441
equazioni di congruenza compatibility
equations . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 395
equazioni costitutive constitutive equations . . . 395
equibiassiale equibiaxial . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372
equilibrio indierente neutral . . . . . . . . . . . . . . . . . 828
fase di carico loading phase . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545
fase di scarico unloading phase . . . . . . . . . . . . . . . 546
li o cavi cables . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
essione bending . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 601
essione su quattro punti four points bending 602
forza force . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
forza dinerzia o forza apparente inertia force . . 12
forza di taglio shear (or tangential) force . . . . . . 227
forza normale normal (or axial) force . . . . . . . . . 227
forza per unit`a di supercie traction . . . . . . . . . . . 76
969
ELENCO ...
fragile brittle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 544
fragilit`a brittleness . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 544
frattura fracture . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332
gradi di libert`a degrees of freedom . . . . . . . . . . . . . 92
grandezza tensoriale tensor quantity . . . . . . . . . . 352
guscio shell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212
incastro xed constraint, built-in constraint . . . . 99
incrudimento strain hardening . . . . . . . . . . . . . . . . 547
indierente neutral . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
ingobbamento warping . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 662
instabile unstable . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
linstabilit`a buckling . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 836
invariante invariant . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 364
isotropo isotropic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 490
lastra o membrana membrane . . . . . . . . . . . . . . . . 212
lavoro work . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
lavoro virtuale virtual work . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
legge costitutiva constitutive law . . . . . . . . . . . . . 489
libbra pound . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
linea isostatica stress trajectory . . . . . . . . . . . . . . . 645
linea neutra neutral line . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 460
lunghezza lenght . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
massa mass . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
materiale omogeneo homogenous material . . . . 489
modello costitutivo constitutive model . . . . . . . . 489
modulo di Young Young modulus . . . . . . . . . . . . . 518
modulo di rigidezza volumico bulk modulus . . 525
modulo di rigidezza tangenziale shear
modulus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 522
modulo elastico elastic modulus . . . . . . . . . . . . . . 518
molla spring . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 464
momenti dinerzia second order moments . . . . . 921
momento moment . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
momento ettente bending moment . . . . . . . . . . 227
momento statico rst static moment . . . . . . . . . . 913
momento torcente torque . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227
omogeneo homogeneus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
orario clockwise . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 874
ordine di grandezza magnitude . . . . . . . . . . . . . . . . 896
peso weight . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
piano ottaedrico octaedral plane . . . . . . . . . . . . . . 392
piastra plate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212
piattabanda ange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217
plastiche plastic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 488
pollice inch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 896
potenza power . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
precisione (assoluta) precision . . . . . . . . . . . . . . . . 896
precisione relativa relative precision . . . . . . . . . . . 896
progettazione a prova di stupido fool-proof
design . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151
provino specimen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 512
pulegge pulleys . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
punto materiale particle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
quantit`a di moto momentum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
rapporto di Poisson Poisson ratio . . . . . . . . . . . . . 519
reazione vincolare constraint reaction . . . . . . . . . . 11
resistenza strength . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 490
rigidezza stiness . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 496
rigidezza assiale axial stiness . . . . . . . . . . . . . . . . 578
rigidezza essionale bending stiness . . . . . . . . . 611
rigido (aggettivo) sti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
rigido rigid . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
risultante resultant . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
scarico elastico elastic download . . . . . . . . . . . . . . 547
sezione section . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
sezione a parte sottile channel section . . . . . . . . 668
sinistrorso left-handed . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 875
snellezza slenderness . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 856
snervamento yielding . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 544
spessore thickness . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210
spostamento displacement . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401
spostamento virtuale virtual displacement . . . . . 26
stabile stable . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 819
stato piano di tensione plane stress . . . . . . . . . . . 373
strizione necking . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545
struttura structure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
supporto support . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
taglio puro pure shear . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372
tempo time . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
tenacit`a toughness . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 549
tensione stress . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 356
tensione ammissibile allowable stress . . . . . . . . . . 549
tensione circonferenziale hoop stress . . . . . . . . . . 644
tensione di taglio shear stress . . . . . . . . . . . . . . . . . 332
tensione di rottura ultimate stress . . . . . . . . . . . . 550
tensione di snervamento yielding stress . . . . . . . 547
tensione equivalente equivalent stress . . . . . . . . . 558
tensione ideale ideal stress . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 558
tensione ingegneristica engineering stress . . . . . 541
tensione media mean stress . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 391
tensione normale normal stress . . . . . . . . . . . . . . . 332
tensione tangenziale tangential stress . . . . . . . . . 332
tensione vera true stress . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 541
tenso-irrigidente stress-stiening . . . . . . . . . . . . . . 508

ELENCO ...
tensore tensor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 352
tensore delle tensioni stress tensor . . . . . . . . . . . . 353
tensore di deformabilit`a compliance tensor . . . . 498
tensore di rigidezza stiness tensor . . . . . . . . . . . 497
telaio frame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
trave beam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213
triassiale triaxial . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372
trazione tension, tensile stress . . . . . . . . . . . . . . . . . 332
uniassiale uniaxial, monoaxial . . . . . . . . . . . . . . . . . 372
velocit`a di deformazione strain rate . . . . . . . . . . . 483
vettore tensione traction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 327
vincoli interni internal contraints . . . . . . . . . . . . . . 157
vincolo constraint . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
viscose viscous . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 488

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