Autore: Sconosciuto
Cornice intagliata e dorata, decorata con motivi floreali e vegetali, racemi e putti risalente alla
prima metà del diciannovesimo secolo, tipico esempio dello stile neo barocco, gusto che si
identifica con la consueta tendenza ottocentesca al "revival " cioè all' utilizzo delle antiche
istanze formali rivisitate e reinterpretate.
Il retaggio estetico ottocentesco si identifica nel recupero di molte tradizioni artistiche ma negli
arredi la preferenza si è senz'altro orientata decisamente sul neobarocco soprattutto negli anni
che vanno dal 1870 al 1890.
Preziosità dell' intaglio, finezza decorativa, complessità formale fanno di questa cornice
Cornice intagliata e dorata con mascheroni e volute elementi tipici del repertorio decorativo
geometrici classici ma non si è ancora evoluta in una foglia d' acanto che
riproduce fedelmente la natura (vedi foto 4); inoltre il barocco e quindi il neo barocco pur
elevando a protagonista dell' opera la decorazione non rinuncia mai a mantenere un rapporto
equilibrato fra forma e motivo ornamentale.
Molto interessante è l' impiego delle tecniche per la lucidatura della doratura; qui infatti
l'artista ha sfruttato a pieno la resa data dall'accostamento tra brunitura (lucidatura con pietra
d' agata) e velatura.
Il risultato è un assemblaggio di sfumature e di riflessi che conferiscono ai volumi una
suggestione straordinaria.
In alcuni punti poi porzioni sono andate completamente perdute (vedi foto 8)
(parti di alcune foglie, visino del putto).
La cornice "a mascheroni" invece manifestava rotture solo nelle parti aggettanti
(vedi foto 7) ma purtroppo, molte di queste lacune erano andate, a loro volta, perdute
costringendoci in questi casi, all'inevitabile scelta di procedere alla ricostruzione e
reintegrazione.
Fortunatamente la doratura si è conservata in ottime condizioni in entrambe le opere tanto da
richiedere una pulitura leggera; ovviamente si è comunque dovuto procedere all'applicazione
della foglia d'oro in quei punti, non originali, reintegrati da noi.
reintegrazione.
Il consolidamento della struttura della cornice "con puttino" ci ha imposto l'applicazione di
una sverza in legno tenero che ricongiungesse l'intelaiatura alla parte decorata che, nella
porzione sottostante (quella del puttino), era completamente distaccata e oscillava
vistosamente (vedi foto 9).
Abbiamo poi proceduto a un paziente consolidamento delle parti fessurate tramite iniezioni di
Disinfestazione
Approfondimenti:
Caratteristiche
Provenienza: Essenza indigene
Aspetto: colore variabile in tutta la gamma del bruno, tessitura media, fibre
spesso ondulate
Durezza: media
Resistenza all'urto:medio - alta
Segagione:senza alcun problema
Stagionatura:agevole
Unione con chiodi e viti: agevole e di buona tenuta
Unione a colla: agevole e tenace
Piallatura:agevole e di buoni risultati
Finiture: eccellenti
Considerazioni
è stato l' assoluto protagonista della nostra ebanisteria nei secoli XV XVI; il
Noce italiano è considerato il più pregiato fra quelli europei.
Olmo Descrizione
L'olmo è assai usato per vari tipi di mobili rustici. E' di colore marrone chiaro
però si scurisce col tempo. La caratteristica più importante dell'olmo è la sua
vena fibrosa e concatenata che lo rendono ideale per i sedili delle sedie. Infatti
le gambe possono essere incastrate senza alcun pericolo di spaccare il legno.
La resistenza all'usura di questo legno, lo rende ideale per ripiani meccanici e
per giunti meccanici nei mobili. Purtroppo è soggetto a deformazioni ed è
facilmente attaccabile dai tarli.Viene lucidato sia a gommalacca che a cera.
Palissandro Descrizione
Esistono due qualità di questo legno duro esotico. La più pregiata è quella
brasiliana che ha una natura compatta e una grana grossa e aperta. E' di colore
marrone con striature nere. Il Palissandro è un legno ostinato e difficile da
lavorare Si scheggia facilmente e a causa della sua natura oleosa è difficile
preparare le superfici all'incollatura. Nella impiallacciatura , il palissandro tende
a formare piccole crepe e a rompersi nelle sezioni dentellate. Per la
lucidatura,dopo aver chiuso bene i pori, si usano vernici a spirito come la
gommalacca.
Pero Descrizione
Legno di rado usato per la costruzione di mobili in massello era ottimo per le
torniture, usato ma di rado per fare impiallacciature e piccole decorazioni.
Questo legno dipinto in nero viene molto usato per sostituzioni o imitazioni del
legno Ebano. Nella foto un esempio con legno non in patina.
Pino Descrizione
Legno molto resinoso usato per la costruzione di mobili popolari praticamente
in tutta Italia data la sua diffusione. Ne esistono moltissime varietà con
caratteristiche diverse.
Quercia Descrizione
Legno di colore giallo bruno ravvivato da striature dorate. E' forte duro pur
essendo a grana rada e a poro aperto e, non è certo fra i più semplici da
lavorare. Utilizzato inizialmente per le strutture complete di mobili finì col
essere sostituito dal noce , quindi impiegato come legno di base o di fondo dei
mobili placcati, ma anche in questo caso, superato dal noce che facilitò
notevolmente l'operazione esecutiva. E' un legno che se non stagionato, tende
a deformarsi e a spaccarsi, ma resiste all'aggressione degli insetti.
Rovere Descrizione
Molto meno resistente della quercia (è sempre della famiglia della quercia) ma
ha le stesse caratteristiche. Questo legno, giallo con picchiettature scure ,
viene utilizzato per la costruzione dei mobili di pregio per un lunghissimo
periodo: dal Duecento al Quattrocento, mentre in Inghilterra resistette fino al
Settecento. Viene poi prevalentemente usato per la costruzione delle strutture
interne. Un altro uso, poco attinente con l'ebanisteria, che si è fatto di questa
essenza e la costruzione delle toghe delle botti, che garantiscono un grande
invecchiamaento ai vini rossi e ai distillati
Tek Descrizione
Ulivo Descrizione
la Cornice
Perché mi piacciono le cornici antiche ...
Ma se guardassimo con più attenzione, vedremmo che ogni opera è impreziosita da una cornice e
se la cornice è originale, probabilmente assomiglierà almeno per qualche aspetto ad un'altra che
circonda un altro quadro coevo. La cornice come il dipinto, deve essere considerata un'opera di
tutto rispetto, sarebbe uno sbaglio non soffermarsi ad osservarla meglio.
Molte cornici rappresentano come il dipinto, l'espressione artistico - culturale dell'epoca a cui
appartengono. Il loro concepimento è spesso opera dello stesso pittore o di artisti e architetti al
quale con consuetudine egli si affidava. Lo scopo della cornice è di impreziosire il dipinto senza
che questo possa esserne soffocato, in altre parole dovrà essere in armonia con esso. Affinché la
visione dell'insieme avesse il giusto equilibrio, la cornice doveva essere studiata nelle dimensioni,
nella larghezza dei volumi e negli spessori, ma non era ancora sufficiente, si dovevano anche
studiare le cromie e i contrasti dei metalli.
A questo punto diventa importante conoscere le tecniche che permettevano di raggiungere gli
effetti più disparati. I materiali che venivano usati erano gli stessi che ancora oggi vengono
utilizzati.
Esistono ancora gli artigiani in grado di utilizzare correttamente il gesso di Bologna, i boli, i
metalli preziosi e di creare con essi oggetti in tutto e per tutto simili a quelli antichi, naturalmente
utilizzando le tecniche tipiche delle varie epoche.
E' facilmente intuibile, quanto fossero importanti le sinergie fra il lavoro degli artisti e quello
degli artigiani, e quanto fossero determinanti le conoscenze tecnico-pratiche dell'artigiano che
doveva realizzare l'opera cercando di incontrare il gusto dell'artista.
Per coloro che si dovessero appassionare agli oggetti di antiquariato in legno dorato, sarà
sicuramente affascinante entrare in un laboratorio di un restauratore dove ancora oggi è
possibile respirare una aria romantica, fatta di piccole soddisfazioni. Il restauratore
rappresenta una figura professionale che si pone, per chi lo osserva, a metà fra il tecnico e
l'alchimista, non è raro infatti vederlo mescolare sostanze curiose non meglio identificate.
In realtà molte delle sostanze che si vedono sui palchetti sono di origine antica e molte
addirittura introvabili in diverse parti del mondo.
Premessa
La presente dispensa, che per forza di cose non può esaurire il vastissimo argomento del
restauro della ceramica, ha il compito di introdurre alle problematiche e l'ambizione di fornire
gli strumenti concreti per affrontare gran parte degli inconvenienti che possono verificarsi.
La conoscenza delle tecniche, degli strumenti e dei materiali da utilizzare, costituisce la base
necessaria di partenza per chi intende intraprendere l'attività di restauro delle ceramiche.
E' ovvio che trattandosi di operazioni manuali la quantità di ore spese nell'esercitazione, nella
pratica quotidiana, sono di fondamentale importanza per migliorare, perfezionare, correggere e
velocizzare il lavoro.
Quest'ultimo aspetto è di grande importanza per i restauratori di professione, perché incide in
modo determinante sui tempi di produzione - che comunque non devono mai inficiare la
qualità del restauro - sulla quantità di lavoro occorrente e quindi sui preventivi di spesa per il
cliente committente.
Prendere "cantonate", commettere errori anche macroscopici, in sede di effettuazione di
preventivi, sulla prevedibile durata del lavoro e sui costi dei materiali sono inconvenienti nei
quali possono incorrere anche restauratori con una certa esperienza. E' solo la pratica che dà la
possibilità di quantificare con una bassa dose di approssimazione la quantità di lavoro
occorrente nei singoli specifici casi.
La presente dispensa (...), è il frutto di oltre venti anni di esperienza che ha consentito la
messa a punto di un sistema per l'apprendimento della materia, senza fronzoli, nozioni inutili o
metodiche superate.
Se, per quanto riguarda il restauro specifico delle porcellane, esistono testi ed una scuola,
quella inglese, che in una certa misura "esaurisce" l'argomento e dà risposte ai problemi, non
altrettanto si può dire per tutti gli altri tipi di ceramica.
Di scritto esiste molto poco oppure è molto specifico.
Ciò rafforza di molto l'utilità e l'originalità della presente lavoro.
1. Introduzione al restauro.
L'attività di restauro delle ceramiche di solito viene considerata un'operazione facile che può
essere svolta con buoni risultati senza una specifica preparazione. E' infatti diffusa l'idea che si
tratti di una materia di serie B nell'ambito del restauro. Secondo questa idea, occorrerebbero
soltanto una buona colla e un po' di buona volontà e precisione.
La realtà è ben diversa. Le operazioni di restauro degli oggetti ceramici, a qualsiasi periodo
essi appartengano, necessitano della stessa cura, cautela e preparazione di qualsiasi altro
materiale. Anzi, per certi aspetti si può dire che l'infinita produzione di ceramiche che ovunque
nel mondo ha accompagnato la storia dell'uomo amplifica la specificità dell'intervento del
restauratore. A infinite qualità di ceramica corrispondono infinite forme e dimensioni degli
oggetti ed a infinite possibilità di deterioramento dovuto a fattori chimici corrispondono infinite
possibilità di mancanze, fratture, lesioni o rotture di tipo meccanico o fisico.
Per questo, nel settore in questione più che in altri, non si finisce mai di imparare, di
sperimentare.
Inoltre l'approccio al restauro, anche per le ceramiche, non può prescindere dalla conoscenza
di alcuni concetti che ne stanno alla base.
Questi riguardano, ed il restauratore deve sempre tenerli presente, tutti i campi della
conservazione perché tutti i materiali costituiscono testimonianza di livelli artistici, storici e
culturali che fanno parte della storia e della civiltà umana.
Per questo tale patrimonio deve poter essere conservato al meglio per le generazioni future.
I principi ispiratori e universali sono descritti nella famosa "Carta del restauro", varata ad
Atene oltre 60 anni fa, che è stata fatta propria da tutto il mondo civile ed è ancora attuale.
Essa esprime i seguenti concetti:
Fatta questa premessa teorica, che spesso sarà ripresa nella presente dispensa, è opportuno
soffermarsi sulle motivazioni che spingono diverse persone a dedicarsi all'attività di restauro di
qualsiasi manufatto - di legno, di ceramica, di materiale lapideo, di metallo.
Di solito si presentano tre casi:
Altra regola da tener presente, già illustrata dalla "Carta", e che riguarda principalmente la
ceramica archeologica e di scavo, ma anche quella di epoca medievale e rinascimentale,
consiste nella cosiddetta individuabilità delle parti non originali e ricostruite.
Queste parti devono presentarsi integrate in modo armonico ed esteticamente pregevole con
quelle autentiche che, in ogni caso, dal punto di vista quantitativo, del volume o della
superficie, dovrebbero essere prevalenti.
Del resto, un oggetto, anche se presenta parti rotte o mancanti, testimonia pur sempre e
"arricchisce" in qualche modo la conoscenza delle vicende che lo hanno caratterizzato ed
accompagnato nel corso dei secoli.
Un oggetto fratturato e ricostruito ha quindi un suo pregio storico ed artistico; l'opera del
restauratore sarà perciò tanto più apprezzabile, quanto più l'oggetto, pur frammentato ma
ricomposto a regola d'arte, manterrà intatta la testimonianza storica, le sue vicende specifiche
ed il suo valore artistico.
Ogni problema che si incontra nel restauro deve poter suggerire il metodo per risolverlo e
quindi, se una ulteriore regola si può dare, è quella del regolarsi attraverso un'analisi del "caso
per caso". Buon lavoro.
2. Cos'è la ceramica
Sotto il nome "ceramica" devono essere compresi tutti i materiali cosiddetti "fittili", cioè
composti di argilla - prima manipolata e poi cotta - che l'uomo ha utilizzato sin dalla preistoria,
per costruire gli oggetti che oggi necessitano di restauro.
Dell'argilla si hanno infiniti tipi, a seconda della combinazione del componente base che è il
silicio con altre materie.
Quando l'uomo l'ha imparata ad usare, impastare e cuocere per ottenere gli oggetti artistici o
d'uso quotidiano di cui aveva bisogno, si è servito di tecniche diverse, ma anche della sua
fantasia, del suo estro creativo, tramandandoci così gli oggetti che sono ora tra le nostre mani.
Se lo storico dell'arte ha il compito di collocare storicamente i manufatti e di capirne
l'espressione artistica e culturale, il restauratore ha quello di riconoscere i vari tipi di ceramica,
l'impasto utilizzato, gli elementi specifici che determinano l'usura ed il peggioramento delle
condizioni e di essere aggiornato sulle tecniche e i materiali da utilizzare per il restauro e la
conservazione nel tempo.
A prescindere dal valore storico artistico di ciascun pezzo da restaurare, è necessario per il
restauratore conoscere di che tipo di ceramica si tratti e le sue principali caratteristiche.
In tutti i campi del sapere si applicano semplificazioni, schematizzazioni, vengono introdotte
categorie, che a volte appaiono arbitrarie.
Ma ciò si rende necessario per meglio affrontare i problemi da un'ottica specifica.
Per quanto riguarda il punto di vista del restauratore, la semplificazione operata è in relazione
alla composizione e alle qualità specifiche dell'impasto ceramico.
Da questo punto di vista i tipi di ceramica più noti e diffusi, ridotti in categorie sono:
Ceramica detta di "Impasto": E' un tipo di C. usata da sempre, dall'età preistorica ad oggi,
per realizzare oggetti e vasellame soprattutto d'uso comune.
L'argilla adoperata non è depurata; è impastata spesso con pietra tritata, sabbia, paglia,
polvere di carbone ed altri materiali per evitare il verificarsi di screpolature o fratture durante
la cottura, che, come si sa, produce sempre una più o meno piccola percentuale di ritiro.
Si tratta di C. cotta a fuoco libero e, successivamente, in forni molto poco controllabili in
quanto a gradazione di calore e spesso presenta delle vere e proprie "sfiammate"
caratterizzate da diversità di colori, da toni e sfumature non omogenee.
Il colore prevalente può variare: si va dal bruno al nero, dal grigio al rosso all'ocra, più o meno
scuri.
Non presenta quasi mai decorazioni pittoriche, anche se da un certo periodo in poi (circa XII -
XI sec a.C.) vengono introdotti sistemi di graffitura e poi (IX - VIII sec a.C.) si perfezionano
forme di ingobbio, steccatura e verniciatura.
C'è da aggiungere che ancora oggi viene utilizzato questo tipo di impasto un po' grossolano;
Terracotta: E' il frutto, più evoluto e perfezionato dell'"impasto", prodotto dalla cottura di
argille più o meno ricche di ossido di ferro (che determina la colorazione prevalentemente
rossastra) e di carbonato di calcio (che produce la colorazione tendente al giallo ocra).
La T. è stata ed è utilizzata in tutte le epoche e da tutte le culture.
La T. si presenta più o meno depurata e porosa e può essere realizzata al tornio o a mano
libera, a colaggio o a stampo, per realizzare recipienti o oggetti plastici;
Ceramica della Grecia classica: E' quella che viene prodotta nella Grecia del massimo
splendore artistico.
E' caratterizzata da una grande varietà di forme e dalla raffinatezza delle decorazioni
pittoriche.
Si può dire che la massima espressione dell'arte ceramica nella intera storia dell'uomo è stata
raggiunta nella C. attica, corinzia, ecc, e in quella prodotta nella Magna Grecia.
Il periodo d'oro è quello compreso tra il VII e il III sec a.C..
Gli stili principali di produzione (che riguardano soprattutto la decorazione) si possono
riassumere in quattro: geometrico, orientalizzante, a figure nere e a figure rosse.
L'impasto ceramico è moderatamente poroso ed i colori utilizzati sono ottenuti con argille
molto depurate che subiscono processi laboriosi di lavorazione, decantazione e purificazione; i
colori variano dal rosso, al nero, al rosa, al giallo, al violaceo, al bianco;
Bucchero etrusco: Si tratta di diverse tipologie di vasi con impasto moderatamente poroso di
colore dal grigio scuro al nero.
Si distinguono due tipi di Bucchero: quello cosiddetto leggero con spessori molto sottili (VII -
VI sec a.C.) decorato col bulino, graffito a motivi geometrici o stampigliato con bassorilievi e
quello pesante (V sec a.C.) più grossolanamente lavorato.
Non ha decorazioni pittoriche;
Maiolica o Faience: Si chiama maiolica una terracotta smaltata e decorata - e per questo non
mostra il colore naturale della ceramica - in uso dall'VIII-X sec. in poi.
L'apice artistico si ebbe nel periodo rinascimentale.
E' costituita da una terracotta più o meno porosa, rivestita di smalto ed invetriata che la rende
impermeabile. Tale metodo di realizzazione di C. fu importato dall'oriente islamico, che a sua
volta lo ereditò dagli antichi fenici.
In Italia le "Faience" sono di tre tipi: M. ricoperte di vernice cristallina, M. ingobbiate, M.
rivestite di smalto stannifero.
Nel periodo più antico la gamma dei colori era limitata alle terre naturali ed agli ossidi metallici
e questi erano: il verde ottenuto dall'ossido di rame, il bruno viola dall'ossido di manganese, il
giallo dall'antimonio, l'azzurro dal cobalto, il bianco dallo zinco, il rosso dall'ossido di ferro, il
nero dall'ossido ferroso, ecc;
Gres: Il G. è un prodotto ceramico cotto ad alte temperature. Presenta corpo compatto, molto
resistente e non poroso.
Il colore varia dal grigio al bruno scuro, raramente al biancastro. E' ottenuto cuocendo fino alla
vetrificazione un impasto di argilla di roccia sedimentaria con sabbia quarzifera;
Porcellana: E' un tipo di C., diffusa in Cina sin da epoche remote, contenente feldspati e
caolino ed è ottenuta a grandi temperature.
Si presenta compatta, resistente all'usura, lucente, impermeabile e assolutamente non porosa.
Il colore dell'impasto semi-trasparente è prevalentemente bianco, bianco crema, bianco
azzurrognolo.
La decorazione, realizzata in Europa in seconda e terza cottura, è la più varia. Sono frequenti
le decorazioni con oro zecchino;
Creta "autoindurente" o Das: E' un tipo di creta mescolata a sostanze gommose. Una volta
essiccata viene dipinta a freddo.
Non può essere definita ceramica, mancando la fase della cottura.
Ciò nonostante rientra tra i materiali che il restauratore di ceramiche deve provvedere a
restaurare.
Allo scopo di avere le idee ancor più chiare sui procedimenti di realizzazione degli oggetti in
ceramica, si illustra di seguito, sia pure in maniera schematica, il ciclo della ceramica:
Per quanto riguarda la definizione delle forme tipologiche di contenitori e vasi in ceramica, va
detto che queste, per la maggior parte, si rifanno ai canoni di produzione e alle definizioni della
Grecia classica.
Esse sono: l'Anfora (tirrenica, ovoidale, a pannelli, panatenaica, a collo separato, nicostenica,
nolana, ecc.), il Pelike, il Deinos, il Psikter, il Lebes, il Cratere (a colonnette, a calice, a volute,
a campana), lo Stamnos, l'Hydria, il Kalpis, lo Oinochoe, l'Olpe, il Lekitos, la Pixis, il Kantharos,
il Kiathos, lo Skyphos, la Kylix, l'Ariballos.
3. Il laboratorio
Per restaurare al meglio oggetti ceramici sono richiesti alcuni requisiti minimi.
In questo, come in tutti gli altri settori del restauro, la pura manualità e l'arte di improvvisare
soluzioni con fantasia, creatività ed inventiva hanno uno spazio molto rilevante, per risolvere,
come si vedrà, problemi particolari.
Il restauro delle C. consiste in una sequenza di operazioni, ognuna delle quali è caratterizzata
dall'utilizzo di materiali diversi e dall'applicazione di tecniche appropriate.
Per poter restaurare oggetti ceramici è necessario disporre di strumenti adatti e appropriate
condizioni di lavoro.
Per raggiungere gli obiettivi prefissati, il lavoro deve essere svolto innanzitutto in un ambiente
idoneo e nelle migliori condizioni possibili.
Il laboratorio o l'angolo di casa dove il restauratore di C. opera deve essere comodo, ben
illuminato e con le attrezzature necessarie a portata di mano.
Per questo l'ordine deve essere curato particolarmente.
Ogni volta che si finisce di lavorare, bisogna dedicare del tempo alla pulizia del banco di lavoro,
degli attrezzi e a sistemare ogni cosa al suo posto.
Molta cura deve essere prestata alla eliminazione ed alla protezione dalla polvere.
A questo proposito va detto che due fasi particolari del restauro, quella della levigatura nella
quale si produce polvere, e quella della decorazione o ritocco pittorico, andrebbero svolte in
locali distinti.
Se però si dispone di un solo locale, particolare cura deve essere dedicata per eliminare la
polvere via via formatasi.
Per stipare i vari attrezzi, oggetti e materiali sono da preferirsi armadi o contenitori dalla
chiusura ermetica a prova di polvere.
Il restauro di C. è un lavoro di assoluta precisione. Per questo va svolto con calma, tranquillità
e pazienza.
Se si va di fretta, è preferibile rimandare ad altro momento e non cominciare affatto.
Il rischio, come si vedrà più avanti, è quello di sprecare tempo ed energie in operazioni non
eseguite a regola d'arte. Ciò spesso implica di dover riprendere il lavoro dall'inizio.
L'illuminazione deve essere adeguata.
La luce migliore in assoluto è quella del sole.
Se questa purtroppo per vari motivi non la si ha o non la si può quasi mai utilizzare per via
degli orari a disposizione, si deve ricorrere alla luce artificiale.
La condizione ottimale di illuminazione artificiale è quella di posizionare la lampada (meglio
ancora se due) a circa 40 - 50 cm dall'oggetto da restaurare, alle spalle di chi lavora.
Le lampadine da preferirsi sono quelle "a luce solare", di colore azzurro, da 100 watt, perché
non alterano i colori reali come invece accade se si utilizza il neon o le normali lampadine
bianche o opache a resistenza che tendono ad ingiallire ed alterare i colori.
Vale la pena a questo punto spendere due parole sulla nocività specifica del lavoro del
restauratore per richiamare l'attenzione su alcune precauzioni da osservare.
L'attività di restauro è svolta completamente a livello manuale, con scarsissimo utilizzo di
utensili elettrici. Il lavoro presenta perciò rischi specifici da non sottovalutare per la tutela della
propria salute.
I problemi sono soprattutto per l'apparato respiratorio per via delle polveri che si respirano e
dei vapori derivanti dall'uso di sostanze volatili contenute in solventi, diluenti, resine chimiche
e sintetiche di cui molto spesso non si conoscono neppure i componenti ed il loro grado di
nocività per via del segreto industriale.
E' quindi opportuno sin dall'inizio abituarsi all'uso di maschere protettive.
Queste sono di due tipi: ad azione fisica per quanto riguarda il filtraggio delle polveri
(difficilmente si può disporre di un'efficace aspiratore elettrico) e ad azione anche chimica, in
grado con gli appositi filtri di neutralizzare le sostanze volatili e i vapori nocivi.
In certi casi poi, quando si manipolano determinati materiali, è importante l'uso di guanti sottili
per prevenire forme di dermatite allergica ed eczemi.
Infine, il locale o l'angolo della casa destinato ad ospitare il lavoro di restauro, deve essere
dotato di una buona ventilazione con possibilità di veloce ricambio dell'aria; non deve essere
umido, né particolarmente freddo per non compromettere incollaggi, impasti, ecc.
4. L'attrezzatura.
• fornellino a spirito;
• torniello in ferro (più pesante è, meglio è);
• 2 - 3 cassette di sabbia asciutta di fiume;
• uno o più bisturi a lame intercambiabili;
• varie spatole, spatoline, mirette, stecche in metallo e legno;
• vasetti a chiusura ermetica di varia misura preferibilmente in vetro;
• bacinelle di varia misura in polurietano;
• pennelli di varie misure e qualità;
• fornellino elettrico;
• asciugacapelli elettrico (meglio la pistola termica);
• lente d'ingrandimento;
• calibro;
• compasso;
• trapano con relative punte.
Nel lavoro si ha di solito bisogno di molta ferramenteria (pinze, pinzette, viti, spine metalliche,
seghetti, tenaglie, ecc) e persino di utensileria casalinga (bacinelle, passini, colini, imbuti,
cucchiai, cinghie, elastici, ecc).
Bisogna anche naturalmente disporre di vari materiali da utilizzare (colle, stucchi, resine,
solventi, diluenti, smacchiatori, carte abrasive, rotoli di carta adesiva, ecc).
Di questi materiali è comunque inutile farne elencazione a questo punto: saranno descritti
momento per momento, fase per fase, secondo le necessità specifiche, che variano molto per il
tipo di ceramica su cui si deve operare e per il tipo di intervento che si deve effettuare.
5. La pulitura
L' oggetto per il quale si richiede l'intervento del restauratore si può presentare nelle condizioni
più diverse: da quello bisognoso solo di piccoli ritocchi pittorici a quello corroso e ridotto
completamente in frantumi.
In tutti i casi la prima operazione da compiere è quella della pulizia.
Per pulizia s'intende l'eliminazione della sporcizia e di tutto ciò (depositi, incrostazioni, ecc) che
non ha a che fare con le superfici originarie.
La pulizia è di due tipi: ad azione chimica (ad esempio i vari solventi) e meccanica (ad esempio
il bisturi).
Una regola generale da tenere sempre presente per la pulizia degli oggetti d'arte è quella
secondo la quale si inizierà sempre con il mezzo più dolce, per terminare, se necessario, con il
più brutale.
Ci si dichiarerà vinti solo quando l'ultimo metodo finirà per intaccare lo smalto, il decoro e la
stessa struttura originale di un pezzo.
I vecchi restauri
Un argomento molto rognoso per tutti i restauratori riguarda la pulizia di oggetti che hanno già
subito restauri precedenti.
In questi casi, se gli interventi precedenti non risultano soddisfacenti, è necessario il loro
smontaggio e la rimozione totale delle tracce del vecchio restauro.
Si tratta di rimuovere cavicchi, spine e rivette, vecchie colle, riempitivi, stucchi, smalti e
vernici.
A questo proposito bisogna dire che l'esperienza dimostra che una ceramica rotta tornerà
difficilmente alla sua forma o stato originale se sono state già eseguite operazioni o tentativi di
restauro maldestri e con sostanze non idonee.
Le rivette o graffette
Di frequente ci si imbatte in ceramiche nelle quali in epoche passate, per sopperire alla
mancanza di colle di forte tenuta, venivano applicati dei fili metallici attraverso dei piccoli fori
paralleli alla fessura per tenere assieme le parti rotte o separate.
Questi venivano poi ribattuti o legati assieme; successivamente venivano stuccati i due fori.
L'eliminazione di queste rivette è un'operazione che deve essere eseguita con molta
delicatezza.
In primo luogo si immerge l'oggetto in acqua calda (non bollente). Ciò ammorbidirà il solfato di
calcio o lo stucco con il quale sono riempiti i fori e ne permetterà la rimozione con l'aiuto di un
bisturi. Successivamente si utilizzeranno delle pinzette per sollevare, "aprire", tagliare e
rimuovere il filo metallico.
Qualora questa operazione non fosse possibile sarà necessario tagliare il filo metallico con una
seghetta a ferro, badando a non intaccare gli strati superficiali di ceramica.
Si procederà poi alla pulitura ed eliminazione dello stucco che spesso è costituito da solfato di
calcio o gesso.
Inoltre in molti casi il filo metallico, ossidando, ha macchiato la ceramica intorno ai piccoli fori.
Per l'eliminazione di tale macchie si veda l'apposito ricettario al successivo cap 5.3.7.
Una volta eliminate le rivette, lo stucco e le eventuali macchie si detergerà accuratamente il
pezzo con acqua tiepida o con un batuffolo di ovatta imbevuto di Acetone puro.
Le vecchie colle.
Per togliere ogni vecchia colla (con l'aiuto del bisturi) è necessario bagnare o effettuare
impacchi o spennellare ripetutamente con le seguenti sostanze:
I detergenti principali.
I detergenti da preferirsi sono, nell'ordine:
Altri detergenti.
Qualora le macchie persistano e lo sporco resista, si può passare a detergenti più duri e
specifici:
• una parte di Candeggina e quattro parti di Acqua, fino ad arrivare ad una proporzione di
1 a 1 , da usarsi con un batuffolo di ovatta, oppure, nei casi più resistenti, lasciandoci il
pezzo a bagno per qualche ora;
• una parte di Soda e cinque di Acqua, da usarsi con un batuffolo di ovatta;
• Acqua Ossigenata a 130 volumi con qualche goccia di Ammoniaca, da usarsi con un
batuffolo di ovatta;
• un cucchiaio di Acido Ossalico in mezzo bicchiere d'acqua, da usarsi con un batuffolo di
ovatta.
Avvertenze
Quando si adoperano tali sostanze è bene avere sempre a mente due avvertenze:
Ricettario.
Qualora (ciò accade molto raramente) si conosca la natura delle macchie si tenga presente il
seguente ricettario chimico:
La pulizia meccanica.
Per quanto riguarda la pulizia meccanica (quella che utilizza il bisturi) bisogna dire che in linea
generale questa metodologia si integra con quella ad azione chimica.
Molto spesso, è il caso di incrostazioni, vecchie stuccature, vecchie incollature, parti ricostruite
malamente, queste dapprima vanno ammorbidite (per esempio con qualche goccia d'Olio
Paglierino o di Vasellina nel caso di gesso) con le sostanze descritte precedentemente e poi si
rimuovono con molta delicatezza e cautela con il bisturi.
Il bisturi da preferire è quello a lama intercambiabile, di cui esistono le più diverse forme in
grado di rimuovere le incrostazioni, le precedenti stuccature e incollature, ecc, nel miglior
modo possibile.
Tale strumento va adoperato lentamente, con assoluta precisione (utilizzando se necessario la
lente d'ingrandimento) e con cautela per non rovinare la superficie e le decorazioni dell'oggetto
da restaurare.
E' soprattutto l'esperienza a determinare l'ottimizzazione e la scioltezza nell'uso del bisturi.
• il trapanino con flessibile da orefice (utile anche per molte altre operazioni),
microtrapani Dremmler, Black & Deker ai quale si possono applicare vari accessori
abrasivi;
• la microsabbiatrice adatta soprattutto per la pulizia della terracotta e delle componenti
architettoniche fittili (mattoni, "cotto", ecc).
Tutto ciò che si è depositato impedisce infatti di ridurre la frattura "alla minima possibile".
Per verificare la qualità di pulizia di una frattura si effettuano delle prove "a secco", di
congiungimento dei due o più pezzi fratturati che bisogna assemblare.
La linea di frattura deve essere la minima possibile e per far questo deve essere eliminato tutto
ciò che si è depositato nelle fratture.
Tale deposito può avere le cause più disparate. Dipende dall'epoca in cui si è verificata la
frattura dell'oggetto.
In generale si può dire che tanto più le rotture sono di vecchia data, tanto più tempo sarà
necessario per rimuovere accuratamente le incrostazioni.
Parecchie grane procurerà al restauratore e notevole perdita di tempo può essere necessaria
per rimuovere i depositi di sudiciume e di sostanze grasse. Questo accade quando le
fessurazioni o incrinature sono state progressive nel tempo ed hanno preceduto la rottura vera
e propria della ceramica.
Il materiale archeologico
Per quanto riguarda le delicate ceramiche archeologiche, o per meglio dire quelle di scavo, c'è
da dire che il trattamento di pulizia deve essere, valutando il grado di conservazione delle
decorazioni, il più dolce possibile.
In linea generale devono perciò essere utilizzate l'Acqua (preferibilmente Demineralizzata) o
l'Acetone puro, unitamente all'uso del bisturi, attraverso il quale è possibile rimuovere buona
parte delle incrostazioni di origine calcarea.
Per entrare più nello specifico la pulizia delle ceramiche archeologiche, che riguarda soprattutto
l'eliminazione delle incrostazioni, si presuppone la possibilità di distinguere tra carbonati,
calcari, sali da solubilizzare. Per esempio una goccia di Acido Cloridrico divenendo
effervescente rivela la presenza di carbonato di calcio.
In conseguenza di questo semplice test è possibile sottoporre anche solo la zona interessata
del reperto al trattamento più adatto.
In generale risultati apprezzabili si ottengono attraverso l'immersione in Acqua Demineralizzata
addizionata nella misura del 5% di Acido Acetico e del 10% di Acido Citrico.
Si consiglia però sempre estrema cautela nell'uso di acidi, perché un trattamento forte con tale
tipo di ingredienti può produrre danni anche gravi in reperti che non abbiano avuto un'elevata
temperatura di cottura o in vasi, come ad esempio quelli figurati, in cui la trasformazione degli
ossidi di ferro non è stata completata, oppure in quelli che hanno subito la verniciatura senza
che la fase di essiccazione fosse compiuta del tutto.
Altro metodo per la rimozione delle incrostazioni tipiche della ceramica archeologica che ha
dato ottimi risultati è quello dell'immersione del reperto in un bagno contenente il 10% di
Esametafosfato di Sodio disciolto lentamente in Acqua Demineralizzata, oppure in una
soluzione, a 30 gradi, di Acqua Demineralizzata addizionata di Acido Solforico in ragione del
10%.
E' opportuno ripetere ancora che tali metodologie vanno tenute sotto controllo, osservando
costantemente il comportamento della ceramica.
Una volta ottenuto il risultato è obbligatorio sottoporre immediatamente il reperto ad
abbondante lavaggio con Acqua o Acetone puro che tamponi e neutralizzi gli acidi.
6. L'Assemblaggio e l'incollaggio
Sono assai rari i casi di oggetti di ceramica da restaurare che non si presentino fratturati in due
o più parti. La corretta incollatura dei "cocci" costituisce la fase centrale e più delicata
dell'intero restauro. Dalla buona, mediocre o ottima qualità dell'assemblaggio dipende l'esito
stesso del restauro che di conseguenza sarà buono, mediocre oppure ottimo.
Da tutto questo deriva che è impossibile fare una casistica generale o individuare leggi generali
in grado di standardizzare le tipologie delle rotture.
Anzi, al contrario, si può dire che ogni ceramica fratturata costituisce storia a sé, con i propri
problemi specifici da risolvere.
In ogni caso, la prima regola che il restauratore deve suggerire di praticare non appena si sia
verificata la rottura, è quella di raccogliere tutti i frammenti, anche quelli più piccoli o
apparentemente insignificanti.
In proposito è importante osservare una regola per la buona conservazione dei frammenti:
tutti i "cocci", non appena raccolti, devono essere avvolti separatamente in pezzi di stoffa (va
bene anche la carta di giornale), per evitare che, sfregando gli uni con gli altri, abbiano a
produrre ulteriori schegge e fratture che peggiorano la situazione.
Nel caso di ceramiche di scavo è assai frequente che queste si presentino frammentate,
scheggiate, usurate non in conseguenza ad urti traumatici, ma a seguito dell'azione dell'acqua,
dell'acidità e corrosività del terreno, delle radici degli alberi, del lavoro in profondità di ruspe e
trattori. Tali fattori e più in generale le rotture "vecchie" e usurate costituiscono una
complicazione per la ricostruzione.
La conservazione ottimale di questo tipo di frammenti deve seguire un'accurata pulizia (vedi
capitolo precedente) ed un eventuale consolidamento.
Successivamente si ragiona in base alla forma e alle dimensioni dei frammenti e, partendo dal
centro dell'oggetto da restaurare (piede di un vaso, base di una statua, centro di un piatto) o
dal frammento più grande, si individua quale debba essere la cronologia nell'assemblaggio.
In questa operazione fondamentale bisogna fare molta attenzione a che l'eventuale attaccatura
di due o più pezzi non lasci sottosquadri che siano di ostacolo ed impediscano l'inserimento
successivo degli altri pezzi. Per semplificare si può dire che in linea generale ogni incollatura
non dovrebbe lasciare "aperti" angoli inferiori ai 90°.
Effettuate queste prove preliminari e verificato che non sussistano nei lati di frattura
impedimenti dovuti a vecchie colle, sporcizia, polvere, granelli di ceramica (vedi capitolo
precedente), si deve procedere alla numerazione dei frammenti. A tal fine si possono numerare
piccole strisce di carta adesiva con i numeri progressivi della sequenza di incollaggio.
A volte si può verificare il caso di dover incollare simultaneamente 3 o più pezzi. In tal caso la
numerazione sarà per esempio 1, 2, 2, 2, 2, 2, 3, 4, ecc.
La prima "rivoluzione" in questo senso, che consentì l'eliminazione delle orribili grappe
metalliche, fu l'utilizzo di colle animali (di coniglio, di tendini e soprattutto di vesciche natatorie
di storione) che però difettavano per via della solubilità in acqua, nell'assorbimento di umidità,
nell'ingiallimento e nello spessore notevole che inevitabilmente creavano.
La continua ricerca scientifica, da 20 anni a questa parte (ed ancora in corso), ha consentito di
realizzare collanti sempre più rispondenti a tali caratteristiche.
Vinavil
Si tratta di una colla molto nota, da non disdegnare nell'assemblaggio delle ceramiche porose.
Stendere un leggero velo di colla in entrambi i lati da incollare, attendere un paio di minuti,
quindi allineare e avvicinare le parti. Togliere subito con una garza di cotone imbevuta di acqua
tiepida e strizzata l'eccesso di colla, quindi applicare le solite strisce di carta adesiva ben in
tiro.
I Cianoacrilati (Attak)
Tali prodotti chimici, di ritenuta alta tossicità, oggi di diffusissimo uso anche in versione Gel
(che ha la qualità di non colorare, ma che si conserva peggio), in generale non sono adatti per
il restauro conservativo delle ceramiche. Tuttavia il crescente uso "di fatto" consiglia un
qualche utilizzo come nel caso precedente.
Nel caso di utilizzo dei cianoacrilati, va detto che i margini da saldare devono essere
perfettamente puliti, spazzolettati e preferibilmente non essere mai stati attaccati in
precedenza.
Questa colla aderisce istantaneamente per cui l'attaccatura deve essere eseguita con assoluta
precisione e molto velocemente. Ciò implica una abilità e sicurezza che solo con l'esperienza e
la pratica si possono acquisire.
Tenere in ogni caso a portata di mano dell'Acetone puro, che è in grado di sciogliere i
cianoacrilati.
Tale tipo di adesivi però, al di là dell'apparenza miracolosa, ha il grave inconveniente di
irrigidirsi e cristallizzarsi con il tempo in conseguenza dei mutamenti di temperatura e di
umidità. Ha pertanto una tenuta "provvisoria", elemento questo in contraddizione alla
concezione del restauro non solo estetico, ma conservativo e duraturo.
Il suo uso più frequente è dunque legato alla necessità "di appuntare", fermare e immobilizzare
i pezzi (vedi 6.5.2.) in modo da consentire l'attaccatura forte della resina epossidica.
Un ottimo sistema di utilizzo dei cianoacrilati, dato dalla altissima capacità di penetrazione,
consiste nel dosare piccole gocce di adesivo dopo aver assemblato a secco le rotture.
7. La stuccatura e la ricostruzione
In linea generale si può dire che ogni stucco è composto da un legante (colle o semplicemente
acqua), da polveri riempitive (Gesso, Talco, Polvere di porcellana, ecc), da eventuali pigmenti
coloranti (Terre o Ossidi) e da eventuali pigmenti anti-ingiallenti (bianco di Titanio, di Zinco,
ecc.).
Moltissimi sono gli stucchi, i riempitivi e le sostanze che si possono utilizzare, ma per
esemplificare ne indicheremo sostanzialmente due:
Lo stucco più semplice e diffuso per le ceramiche porose è costituito dal gesso alabastrino, dal
gesso scagliola fine o, meglio ancora, dal gesso bianco del dentista.
Si tratta di un riempitivo a scarso ritiro e costo, di facile uso e reperibilità.
Quando è necessario (molto spesso si presenta questa necessità) che la stuccatura a gesso, di
colore bianco (esclusi ovviamente i casi di terraglia dura o tenera che sono anch'essi di colore
bianco), sia conforme al colore dell'impasto della terracotta, della maiolica, (anche nel caso si
preveda una successiva fase di colorazione o decorazione superficiale), è necessario preparare
uno stucco di colore in tono, del tutto o in parte, in sintonia al colore dell'originale.
La colorazione del gesso si ottiene con l'utilizzo di pigmenti. Si tratta delle terre o argille
polverizzate: terra ocra, chiara e scura, della terra di Siena bruciata o naturale, della terra
ombra di Cipro bruciata, del cocciopesto più o meno rosso, della terra nera (da utilizzare nel
caso di ceramiche di impasto o di bucchero etrusco), della terra bruna, ecc.
La coloritura del gesso non può essere improvvisata, non può essere effettuata "a gesso
sciolto" (perchè le terre coloranti bagnate scuriscono il colore), bensì deve avvenire a secco,
precedentemente all'affogatura del gesso nell'acqua.
In un sacchettino di cellophane trasparente o in un vaso di vetro si versa con un cucchiaio la
quantità che ad occhio e croce occorre di polvere di gesso e a questa si aggiungono piccole
quantità di pigmenti colorati cercando di trovare il tono giusto di colore. E' bene in proposito
effettuare preliminarmente delle prove di colore, dapprima bagnando un pizzico del gesso
colorato (che diventerà molto più scuro) su un foglio di carta, poi favorendo con una fonte di
calore, l'immediata asciugatura, che lo schiarirà.
Le terre (da preferirsi per la facilità di ottenimento dei colori giusti) possono essere sostutuite
dagli ossidi metallici che, a differenza delle terre, assorbono molta meno acqua e quindi non
indeboliscono la consistenza del gesso, ma che sfavoriscono il controllo dei colori.
Chiudere quindi ermeticamente il sacchetto, agitarlo bene finchè il colore non si sia
omogeneizzato, e metterlo a confronto avvicinando il sacchetto all'oggetto da restaurare.
Per sopperire al problema dell'indebolimento del gesso addizionato delle terre colorate, è
buona norma aggiungere (a secco) una quantità di gesso odontoiatrico (molto duro e
resistente) pari alla quantità delle terre colorate utilizzate.
Nel caso si desideri dare al gesso una maggiore consistenza si può sciogliere molto bene
nell'acqua una piccola quantità di Vinavil, prima di aggiungere il gesso.
In questo caso si tenga presente però che la presenza di Vinavil avrà l'effetto di scurire la
miscela ed è quindi quantomai opportuno effettuare preliminarmente le prove di colore.
Per favorire una maggiore aderenza del gesso alle pareti delle fessure da riempire, si consiglia
di inumidirle con un pennello imbevuto di acqua qualche minuto prima dell'applicazione del
gesso.
La stuccatura (di piccole o grandi dimensioni) a gesso deve essere profonda e deve impedire la
formazione di bolle d'aria la cui presenza potrebbe minare la tenuta stessa della stuccatura.
Per evitare ciò è necessario premere a fondo il gesso nelle fratture utilizzando spatole e
spatoline delle giuste misure affinchè il gesso stesso si espanda nella frattura.
Badare che la stuccatura sia abbondante (ma senza esagerare), nel senso che è da preferirsi
togliere un eventuale eccesso di gesso che doverne aggiungere successivamente.
Lo stucco da preferirsi per la porcellana o le ceramiche non porose in genere è quello che si
ottiene utilizzando come legante la resina epossidica (Uhu Plus). Questa, come si è detto nel
precedente capitolo, è un prodotto semifluido e vischioso soggetto a scivolare per la forza di
gravità. Per addensare il composto è pertanto necessario aggiungere (oltre al biossido di
titanio che ne impedisca l'ingiallimento) la polvere di talco o altri pigmenti bianchi come la
polvere di porcellana, di caolino, il bianco argento, il bianco di zinco, la polvere finissima di
marmo, ecc.
E' ovvio che più si aggiungono polveri, più la consistenza dell'impasto a base di resina
epossidica aumenta. La consistenza giusta dello stucco così ottenuto è quello della mollica di
pane. La stuccatura va eseguita utilizzando spatole o stecche di legno da modellismo. Per
impedire l'attaccatura di questo stucco alle spatole è necessario inumidirle continuamente con
alcool alcool etilico a 94 gradi, che serve da antiadesivo (va bene anche l'acqua o qualsiasi
altro liquido).
I tempi di essiccazione dello stucco epossidico sono leggermente inferiori a quelli della colla
epossidica.
Attendere l'essiccatura parziale della superficie stuccata che avviene nel giro di due/quattro ore
e, quando lo stesso è a "durezza cuoio", rasarne l'eccesso utilizzando bisturi o lame affilate.
Altro stucco, utilizzabile sia per le ceramiche porose che per le porcellane è quello a base di
Colla animale e Gesso di Bologna, il tradizionale stucco utilizzato nel restauro ligneo.
Si tratta di uno stucco dall'ottima tenuta, molto adatto alla chiusura di fessure, scalfitture e
piccole lacune, ed è facilmente carteggiabile. Non risulta utile in caso di riempitura di parti
grandi.
Lo stucco base è ottenuto dalla miscela del Gesso di Bologna, acqua tiepida e Colla animale
calda. Quest'ultima (in commercio sotto forma di perline o tavolette) va sciolta in acqua
ponendo un recipiente (preferibilmente metallico) a cuocere a bagnomaria almeno per un'ora.
Dalla quantità di Colla animale dipende la durezza dello stucco che si vuole ottenere. A
maggiore quantità di colla corrisponde maggiore durezza e resistenza dello stucco.
Elemento negativo di questo stucco è il notevole suo ritiro in essiccazione che determina la
necessità di procedere a nuove stuccature.
Se è necessario dare una colorazione allo stucco per ottenere le tonalità della terracotta, è
necessario aggiungere i pigmenti, terre o ossidi, all'impasto.
Quando si devono ricostruire parti di cui non è possibile avere l'impronta, la ricostruzione si
dice complessa: al lavoro tipicamente tecnico si aggiunge una parte creativa, la necessità di
"inventarlo" ex novo, di immaginarlo e studiarlo. In questo caso può essere utile sfogliare libri,
pubblicazioni, enciclopedie.
Si potranno presentare i casi più disparati, i più difficili o fuori dalla norma, che in questa sede
è impossibile prendere in esame, considerando le infinite situazioni diverse possibili.
L'importante è prendere dimestichezza con i diversi materiali, e dare spazio alla propria
inventiva e creatività.
Bisogna ricordare infine che ogni errore di ricostruzione compiuto è una lezione acquisita...
Necessità particolari.
Nei casi in cui le parti da ricostruire completamente dovranno essere sottoposte a diverse e
forti sollecitazioni, ad esempio il manico di una pesante brocca, è opportuno e doveroso
rafforzare le incollature, le stuccature e le ricostruzioni con supporti metallici e perni,
preferibilmente di acciaio o ottone (perché non arrugginiscono) che dovranno risultare invisibili
una volta ultimato il lavoro.
Per far questo si deve utilizzare il trapano elettrico con punte diamantate da 1, 2, 3 mm. Si
devono praticare dei piccoli fori perfettamente simmetrici di profondità 5 - 7 mm.
E' questo un intervento di assoluta precisione. Una tecnica per individuare il punto preciso
dove fare i fori consiste nell'applicare su un lato della rottura da assemblare una piccolissima
quantità di rossetto per labbra che, una volta unite a secco le due parti, lascia l'impronta di
colore anche nell'altra parte. I due punti così realizzati indicano dove operare i fori.
A questo punto si incastrano nei fori le barrette, i rinforzi metallici con un adesivo a forte presa
(si consiglia l'Uhu Plus) e si immobilizza l'oggetto che successivamente andrà stuccato.
Ricostruzioni particolari
E' sempre più diffuso, nel restauro delle ceramiche archeologiche o delle maioliche medievali o
rinascimentali, l'uso di effettuare ricostruzioni e stuccature "sottolivello", cioè di 0,5/1 mm più
basse del livello originale della superficie della ceramica.
Si tratta dei casi in cui, al contrario del restauro effettuato "per mimetizzare" o nascondere
completamente le rotture, è importante valorizzarne la storia, il "vissuto" dell'oggetto,
ricostruendone però l'insieme.
Inoltre la stuccatura o ricostruzione "sottolivello" con tonalità di colore in sintonia all'originale
consente una indubbia valorizzazione estetica.
CERATOFABIOALDOArchitetto
E M A IL : f a b i o c e r a t o @ v i r g i l i o . i t
Genericamente una resina può essere definita come prodotto organico d’origine naturale o
sintetica, generalmente d’alto peso molecolare. Molte resine sono polimeri, le resine
epossidiche argomento di questo intervento, sono dei polimeri.
Le resine trovano molte applicazioni in numerosi settori industriali. Anche nel campo edile si
sta rilevando un aumento dell’interesse verso questi tipi di prodotti. L’attenzione è qui rivolta
alle applicazioni nel restauro architettonico, in particolare nel restauro del legno nella sua
specifica funzione strutturale, e del mobile.
Molto sviluppato è il mondo delle resine nel campo tessile e dei materiali compositi.
La principale distinzione che viene fatta è quella tra le resine termoplastiche e quelle
termoindurenti.
Le resine TERMOPLASTICHE sono polimeri lineari o ramificati che possono essere fusi
fornendo loro una appropriata quantità di calore; durante la fase di plastificazione non
subiscono alcuna variazione a livello chimico. Tramite il calore si ottiene la fusione e
successivamente alla formatura (stampaggio, estrusione, trafilatura) solidificano per
raffreddamento. Il ciclo di fusione solidificazione del materiale può essere più volte ripetuto
senza apportare variazioni notevoli alle prestazioni della resina. I polimeri termoplastici non
cristallizzano facilmente e anche quelle che cristallizzano non formano mai dei materiali
perfettamente cristallini ma caratterizzati da zone amorfe e cristalline. Le regioni cristalline
hanno una propria temperatura di fusione (Tm dall’inglese “melting temperature”). Le regioni
amorfe sono caratterizzate da una loro temperatura di transizione vetrosa (TG dall’inglese
“glass transition temperature”).
Le resine TERMOINDURENTI sono costituite da polimeri reticolati nei quali il moto delle
catene polimeriche è fortemente limitato dall’elevato numero di reticolazioni esistenti. Le
resine sotto l’azione del calore nella fase iniziale, fondono diventando plastiche e
successivamente, sempre per effetto del calore, solidificano indurendo per effetto della
reticolazione. Durante la fase di trasformazione subiscono una modificazione chimica
irreversibile. Le resine termoindurenti sono intrattabili una volta che siano state formate e
degradano invece di fondere a seguito dell’applicazione di calore.
Consigli per gli operatori alle primi armi – se si utilizza la resina epossidica per la prima
volta, iniziare con un piccolo quantitativo di prova in modo da acquisire dimestichezza con il
processo di miscelazione e catalisi prima di procedere all’applicazione vera e propria della
miscela. In questo modo l’utente potrà stabilire la vita utile della miscela resina/indurente alla
temperatura ambiente presente e verificare la corretta misurazione del rapporto della miscela.
Miscelare piccoli quantitativi fino a quando non sarà raggiunta la dovuta dimestichezza con le
caratteristiche di manipolazione della resina epossidica.
Aspetto
Gocciola su Cola su superfici
Aderisce su Aderisce su
superfici verticali verticali superfici verticali e superfici verticali e
Caratteristiche le creste si le creste
ripiegano rimangono in
posizione
Rivestimento, Laminazione/ Incollaggi generici, Riempimenti di
impregnazione assemblaggio di cordonature, vuoti, cordonature,
prima pannelli piatti con assemblaggio di stuccature,
Impieghi dell'incollaggio, ampia superficie, componenti assemblaggio di
applicazione di iniezione con metallici superfici irregolari
vetroresina, grafitesiringa
e altre fibre
Le resine epossidiche se vengono usate allo stato liquido, grazie alla loro estrema capacità di
insinuarsi nelle fessurazioni, nelle screpolature, nei buchi dei tarli, facilmente fuoriescono nei
punti più impensabili, creando colature o macchie che se non controllate sono pressoché
irreversibili.
Si consiglia dunque di eseguire arginature ed occorre prestare una particolare attenzione a
sigillare ogni possibile via di fuga. A tale scopo c’è chi usa della creta, ma molto meglio
sarebbe usare gomma siliconica bicomponente da formatore: è costosa, ma non macchia il
legno e, a lavoro finito, la si elimina con estrema facilità.
Durante lo svolgersi delle operazioni è buona norma tenere sempre a portata di mano solvente
nitro o altro specifico e stracci, per ovviare immediatamente ad ogni inconveniente ed a tutta
quella serie di piccoli incidenti che immancabilmente si verificano anche lavorando con il
massimo rigore. Il potere di penetrazione e, quindi, di fuga di queste resine è inimmaginabile.
Nelle colate conviene sempre procedere per gradi, anche se così facendo si allungano i tempi di
lavorazione. In tal modo si risparmierà tempo nel non dover cancellare macchie che comunque
potrebbero lasciare residui.
La Gommalacca in scaglie la si trova nei negozi di ferramenta che vendono prodotti e articoli di
Belle Arti.
In un recipiente introdurre gr. 150-200 di gommalacca in scaglie, ricoprirla con un litro di
alcool etilico a 94° (meglio se maggiore gradazione).
Dopo aver ben chiuso il recipiente occorre attendere che la gommalacca si sciolga
completamente. Per questo occorre lasciare riposare il recipiente per una giornata. Al termine
delle 24 ore, occorre filtrare il contenuto travasandolo in una bottiglia di vetro per poterla
conservare. Per filtrarlo si può usare una vecchia calza di nylon da donna messa sopra ad un
imbuto. Quando si è riempita la bottiglia, la si chiude con un turacciolo di sughero. Riposta così
in un luogo fresco e buio, dura praticamente sempre. La si può usare anche subito. Quando la
si va ad usare, conviene filtrarla nuovamente.
Non esistono regole fisse per quello che riguarda la concentrazione della resina perché dipende
dalla fase di procedimento in cui la vernice viene usata. In linea di massima per la verniciatura
a tampone si sciolgono 100 gr. di gommalacca in 1 lit. di alcool. La vernice così preparata
potrà essere colorata usando aneline all'alcool.
Concentrazione della Gommalacca:
• Chiusura dei pori: 1 etto in 2 litri di alcool
• Lucidatura: 1 etto in 1 litro di alcool
• Brillantatura: 1 etto in 2 litri di alcool
Si pesano circa 120 gr. di cera d'api e si riducono in piccoli pezzi con un coltello, si aggiungono
80 gr di cera carnauba; si mette il tutto in un pentolino da usarsi solo per questo scopo, e vi si
unisce 80 cl di essenza di trementina. Si scalda a bagnomaria mescolando di tanto in tanto. In
questa fase occorre prendere tutte le precauzioni del caso al fine di evitare disastri in quanto la
trementina e infiammabile (non deve quindi schizzare sul fuoco) e la cera calda è altamente
ustionante. Quando la cera è perfettamente sciolta, si toglie dal fuoco e con molta cautela va
versata in vasi di vetro. Dopo che si è raffreddata, i vasi vanno ermeticamente chiusi e
conservati al buio.
La concentrazione suggerita (12% di cera, 8% di carnauba, 80% di essenza di trementina),
non è tassativa: con l'esperienza si saprà meglio aumentarla o diminuirla in relazione al tipo di
legno che si deve lucidare. Legni duri richiedono un prodotto più diluito, mentre i legni teneri
(quindi con pori più aperti) si lucidano con un prodotto più concentrato. Questa diluizione è
ottimale per l'applicazione della cera a pennello una volta riscaldata prima dell'utilizzo.
L'encaustico può essere opportunamente colorato.
Risponde - Pino
Ciao Cristina. non esiste un dosaggio preciso per la preparazione della cera da impiegare nella
lucidatura dei mobili e l`indicazione che hai avuto metà cera metà essenza di trementina,
secondo me crea eccessiva concentrazione e difficoltà di applicazione. in genere si usa 250 o
300 grammi di cera per litro di essenza di trementina ma non è una dose fissa, dipende dal
lavoro da eseguire. per una lucidatura a sola cera questa dose dovrebbe andar bene. Per la
mezza cera è consigliabile una maggiore diluizione (forse da ciò l`indicazione 80gr./l.) in
quanto la superficie ha già due o tre mani di gommalacca ed assorbe molta meno cera, per cui
un`eccessiva concentrazione provoca inutili impiastricciamenti che rendono difficile la
successiva lucidatura con panno riscaldato. Certo che la stessa dose applicata su legno da
lucidare esclusivamente a cera sarebbe assolutamente insufficiente, salvo che si agisca su
legno molto inossato già lucidato in precedenza che ha poche possibilità di assorbimento. a mio
modo di vedere si tratta di scegliere la concentrazione, tra quelle cui ho fatto cenno, in base
alla presumibile capacità di assorbimento del legno, avendo cura di evitare eccessi di cera
(meglio passare due volte che eccedere alla prima passata). ciao. pino.
Questo stucco ha essenzialmente due difetti: il primo è la sua tendenza a diminuire di volume
durante l'essiccazione richiedendo quindi una seconda applicazione, l'altro è quello di
macchiare il legno richiedendo alcune precauzioni.
Durante tutta la lavorazione, andrà conservato avvolto in un panno umido messo all' interno
di un sacchetto di nylon.
Terre colorate
Prima applicazione
Come si è accennato, lo stucco classico ha il difetto di lasciare un alone sul legno. Per ovviare
a questo, una volta terminate tutte le operazioni di restauro ligneo, prima di iniziare la
stuccatura, conviene passare una mano di gommalacca a pennello su tutta la superficie
ottenendo una sorta di pellicola protettiva che impedirà allo stucco di macchiare il legno.
Inoltre la mano di gommalacca farà risaltare il colore definitivo del legno, dando preziose
informazioni sul colore che dovremo dare allo stucco. Lo stucco classico si applica sul mobile
con una spatola, e quando si rende necessario anche con le dita. Se si deve stuccare un mobile
intarsiato con vari tipi di legno, quindi con varie colorazioni, sarà necessario preparare lo
stucco nelle varie gradazioni necessarie.
Quando si applica lo stucco sul legno, occorre esercitare una certa pressione al fine di fare
penetrare il composto in profondità nel foro. Inoltre per evitare di chiuderlo solo parzialmente,
la spatola va passata da sinistra a destra e poi nel senso opposto descrivendo con essa un
movimento circolare attorno al foro in modo da lasciare una certa abbondanza di stucco su di
esso, prevenendo in tal modo il ritiro del volume in fase di essiccazione.
Una volta stuccati i fori e le piccole fessurazioni o crepe, lo stucco va lasciato asciugare per
alcune ore a seconda della temperatura ambiente.
Carteggiatura
A questo punto occorre carteggiare tutto il mobile usando una carta vetrata con grana media
(120) al fine di togliere praticamente tutto lo stucco in eccesso. Si carteggerà anche nelle zone
non stuccate dove si era passata precedentemente la gommalacca.
In questa fase non bisogna assolutamente cedere alla tentazione di usare una levigatrice
elettrica. Ci sono almeno tre motivi per continuare con le nostre mano:
1) - Le vibrazioni della levigatrice, nel migliore dei casi rischiano di fare saltare le stuccature,
e nel peggiore di danneggiare la struttura.
2) - Le levigatrici, sono pensate per lavorare su superfici perfettamente piane, cosa che non
sono quelle dei nostri mobili. Pertanto si porterebbe via il legno nella parte sporgenti e si
lascerebbe lo stucco negli avvallamenti.
3) - Ultimo, ma no per importanza è che stiamo operando su di un mobile antico, è il lavoro,
va portato a termine manualmente: altrimenti che senso avrebbe il ostro hobby, se la fretta
prendesse il sopravvento.
Seconda applicazione
Terminata la carteggiatura, è opportuno ripassare una seconda mano di gommalacca per
mettere in evidenza i piccoli difetti ancora rimasti, e le parti stuccate che , a seguito del ritiro
dello stucco, necessitano di una seconda stuccatura. La seconda stuccatura (quasi sempre
necessaria) va applicata col metodo già descritto. Dopo che lo stucco si è asciugato e si è
effettuata una seconda carteggiatura, si può passare alla fase successiva conservando da parte
lo stucco che, potrebbe tornare utile per qualche imperfezione che si presenti in fase di
lucidatura e finora sfuggita.
Selezione dal Forum
Come si fa a modulare il colore con le terre per fare lo stucco ? E' possibile utilizzare le terre
per colorare la gomma lacca? Quali sono le terre piu idonee per far ciò ed in quali proporzioni
ed ingredienti vanno mescolate? grazie Giovanni.
Risponde - Pino
Ciao Giovanni, l'uso delle terre per colorare lo stucco è abbastanza semplice, non ritengo
invece consigliabile usare terre per colorare la gommalacca, posto che il solvente della
gommalacca è l'alcool si ottengono migliori risultati con le aniline ad alcool. Per evitare poi la
penetrazione delle aniline nel legno (sempre sconsigliabile nel restauro perché irreversibile o
difficilmente irreversibile, basta passare prima il pezzo con gommalacca diluita non tinta e
sovrapporre la gommalacca tinta una volta asciutto il primo strato. Quanto alla formulazione
dello stucco colorato si tratta di miscelare alla carica dello stucco (normalmente gesso di
Bologna) un quantitativo di terre scelto opportunamente per ottenere il colore desiderato. In
genere le più usate sono terra d'ombra, terra d'ombra bruciata, giallo di Siena, rosso di
Pozzuoli, nero di vite, ocra gialla, miscelando in diverse proporzioni queste terre puoi ottenere
tutte le tonalità di stucco che Ti servono. Conviene andare per tentativi usando le terre e lo
stucco come se dovessi dipingere, ricercando quindi a poco a poco la tonalità che occorre.
Ottimi risultati (forse migliori) si ottengono anche con gli ossidi delle corrispondenti tinte,
sempre miscelati alla carica dello stucco. Posso darTi un consiglio sulla ricerca della tonalità.
Tieni presente che la tinta finale dello stucco è quella dello stucco bagnato, perché, dopo lo
schiarimento dovuto all'asciugatura, riprende colore con l' applicazione della finitura,
soprattutto se a gommalacca. Per contro la tonalità del legno da imitare deve essere
individuata bagnando il legno poiché anche quest' ultimo con la finitura assume colore simile
allo stesso legno bagnato. Buona lavoro. Ciao. Pino.
Risponde - Giuseppe
A quello che ti ha suggerito Pino non ho molto da aggiungere anche perchè lui sa essere
sempre chiaro e competente. E' sottointeso, in quanto non richiesto nella domanda, che il
gesso di Bologna con l'aggiunta delle terre per la colorazione va miscelato con acqua e colla
garavella, tenendo presente che la colla garavella è quella che dà consistenza allo stucco.
Occorre anche in questo caso dosarla in modo oculato, in quanto se ne metti poca lo stucco
tenderà facilmente a sfarinare, se ne metti troppa, al momento di carteggiare avrai difficoltà a
rimuovere la parte in eccesso. L'esperienza ti aiuterà a trovare le giuste proporzioni. L'impasto
finale deve avere una consistenza facilmente spalmabile (un pò più densa della nutella!!!!)
Ciao
Risponde - Andrea
Salve, concordo con Giuseppe e Pino, voglio solo aggiungere la mia esperienza fatta con la
gommalacca più le terre. Ad esempio, uso gommalacca più terra gialla, per fare la doratura a
"mecca", devo dire che l' ho scoperto per caso , dovendo restaurare una cornice antica, dorata
a mecca, la vernice mecca , già pronta non era disponibile da mio negoziante bisognava
aspettare qualche settimana, ho fatto delle prove, con risultati, più che soddisfacenti. Dopo
questa, esperienza ho usato gommalacca più terra nera, per ebanizzare delle modanature di
mobili, precedentemente usavo aniline all`alcool, dovevo sempre fare più passate e stare
molto attento quando passavo il tampone, se era troppo bagnato rischiavo di tirar via il colore;
mentre con questo metodo (gommalacca + terra nera) basta una sola mano mi copre subito,
poi appena asciutto passo la paglietta 00 o della cartavetra 600 oppure 800 per tirar via i
granellini di terra che rendono ruvido al tatto, poi qualche passata con il tampone fino ad
averla della desiderata brillantezza. E' qualche mese che sto usando questo metodo, non ho
avuto nessuna reazione negativa, o sgradite sorprese, penso che sia un metodo da potersi
usare. Aspettando vostre osservazioni o chiarimenti un saluto a tutti Andrea da Benevento
Risponde - Pino
Be! è proprio vero che nel restauro non si finisce mai di imparare e ringrazio Andrea del suo
intervento. In effetti mi ha fatto venire in mente che io stesso uso gommalacca e terre per la
patinatura delle dorature. Alla ebanizzazione non avevo mai pensato, io uso abitualmente
aniline o lacca nera in polvere solubile in alcool (credo sia simile alle aniline), proverò alla
prima occasione. Ho invece qualche dubbio sull'uso delle terre con gommalacca per colorare la
lucidatura o per tingere una superficie che poi dovrà essere lucidata a gommalacca. Temo che
possa pregiudicare l'effetto della lucidatura finale o che comunque crei difficoltà gratuite in un
procedimento che di difficoltà ne ha già per suo conto. In genere cerco di non crearmi problemi
maggiori di quelli che già debbo affrontare ma lo spunto è interessante e potrebbe avere
applicazioni particolari che ora non mi vengono in mente. Attendo anch'io di sapere cosa ne
pensa il gruppo storico del forum: Giuseppe (ovviamente), Milo, Michele, Giacomo e tutti gli
altri. Saluto tutti. Pino.
Anche per me l'uso del giallo di Siena per la meccatura è una novità. Io ho sempre usato un
misto di gommalacca e sandracca corretto con le aniline. Certo sarebbe opportuno sapere se
ad Andrea non hanno venduto un colorante sintetico al posto della terra gialla. Molto
interessante l'uso per le ebanizzazioni, ho sempre usato gommalacca tinta all`anilina e
inevitabilmente al passaggio del tampone si producevano effetti indesiderati. Proverò alla
prima occasione. Un altro uso delle terre è quello di mischiarle alla cera per tappare i buchi di
tarlo sulla doratura. Si ottengono facilmente tutte le tonalità del giallo (usando anche il rosso e
il verde e il nero) e in più la cera perde la sua trasparenza evitando così di evidenziare il foro
anziché mimetizzarlo. A presto Giacomo
Risponde - Giuseppe
Quando ho messo mano ad un tavolino da gioco Napoleone III, mi sono trovato nella necessità
di ebanizzare il bordo del biano per una larghezza di circa 3 cm. La restauratrice mia amica mi
ha consigliato di usare il nero fumo, che pensandoci bene non so se appartenga alla categoria
delle terre. Comunque è una polvere finissima, quasi impalpabile che viene dissolta in
gommalacca. La concentrazione nero fumo-gommalacca è abbastanza alta. Viene applicata con
pennello, una volta asciutto si spaglietta e si ripassa nuovamente senza preoccuparsi troppo
delle eventuali striature che il pennello lascia. Dopo 3 o 4 passaggi si ottiene l'effetto
desiderato. I successivi passaggi di tampone in fase di lucidatura esaltano il nero intenso
completandone l'effetto. I risultati sono stati buoni. Voglio fare notare che quando sono andato
ad acquistare il nerofumo, mi è stato sconsigliato l'uso indirizzandomi sulle aniline. Quindi
penso che non sia usato comunemente questo metodo, proprio per le ragioni che sono state
esposte negli altri interventi: il rischio dei residui di polvere e non ultimo forse che l'uso delle
aniline porta ad ugualmente ottimi risultati Giuseppe.
Lo stucco a cera può anche essere preparato in casa nel seguente modo: Si prende una certa
quantità di scaglie di cera vergine d'api e la si fa sciogliere a bagnomaria con l'aggiunta di una
piccola quantità di essenza di trementina ( senza dimenticare le necessarie precauzioni data
l'infiammabilità di questo prodotto). Quando la cera è sciolta, si aggiungono pigmenti secchi
(terre colorate) ottenendo la colorazione voluta. Una volta che si è mescolata bene la cera , e i
pigmenti si sono completamente sciolti, la si versa in semplici stampi di carta stagnola ottenuti
facilmente con la forma terminale del manico di uno scalpello.
Una volta raffreddato, lo stucco a cera è pronto per l'uso.
Applicazione dello stucco a Cera
L'uso dello stucco a cera va limitato nelle zone non soggette a urti perchè questi stucchi non
assumono mai una durezza come per gli altri stucchi.
Sono stucchi ideali per i mobili che andranno rifiniti a cera perchè si uniformeranno al mobile in
modo perfetto. vanno usati per piccole imperfezioni come fori di tarli o chiodi.
Gli stucchi a cera non sono soggetti a calo di volume, ma tendono a macchiare, pertanto vanno
usati su superfici già trattate con vernice (ad esempio con sottofondo a gommalacca).
La modalità di applicazione degli stucchi a cera è semplice ed alla portata di tutti: non esistono
rischi di provocare danni irreversibili.
Dallo stick sui stacca una piccola parte, la si manipola per ammorbidirla e le si fa assumere la
forma di uno spaghetto appuntito. Lo si infila per quanto possibile nel foro e poi con una
spatola lo si comprime dentro al foro.
Dopo aver rimosso con una spatola in legno l'eventuale stucco in eccesso, con un panno di
lana si strofina energicamente la zona. Il lavoro di stuccatura a cera può risultare piuttosto
lungo, se i fori da stuccare sono molti: se il mobile va poi comunque lucidato, può risultare più
veloce l'uso dello stucco classico.
Preparazione:
Prendo un panno di cotone, ci metto dentro delle scaglie di gommalacca, lo chiudo in modo da
formare una specie di sacchetto, legando l'estremità con un filo di spago o di plastica, immergo
il tutto in acqua bollente, per qualche minuto, la gommalacca all'interno si scioglierà solo
parzialmente, diventerà tipo un impasto da pane solo più duro, poi lo tolgo dl sacchetto e su
un piano liscio di laminato o marmo ne stacco delle parti e strofinandolo tra le mani ne faccio
delle bacchette tipo grissini, per ri-ammorbidire la parte rimanente basta re-immergerla
nuovamente qualche minuto in acqua bollente qualche minuto anche senza sacchetto non
succede niente.
Applicazione:
Per usarlo esistono svariati modi uno e' di metterlo a contatto con un oggetto metallico
rovente, o un saldatore da stagno elettrico in quel caso si ha un colore nero ottimo per
recuperare spaccature dei nodi, o fiamma diretta come accendini e simili , si avrà sempre
colore nero, oppure può essere sciolto su un cucchiaio o imbuto da profumo metallico se la
fonte di calore non e' a contatto diretto lo stucco sarà di colore ambrato come la gomma lacca
in origine.
Essendo molto duro sostituisce in maniera egregia stucchi a due componenti paste di legno e
simili.
Per toglierlo ci vuole solo pazienza non va assolutamente fatto riscaldare, si scarta poco per
volta con carta buona e mano leggera per evitare che si sciolga e si distenda...se succede si
pulisce ai margini con panno imbevuto di alcool 99° o acetone puro. Si usa su legni nuovi o
puliti da evitare su qualsiasi superficie verniciata ottimo per stuccare fori e fessure anche
profondi ricostruire angoli mancanti in questo caso procedere a più riprese. La colorazione a
lavoro ultimato sarà molto simile alle venature del noce scuro, una volta colorata e lucidata la
superficie trattata cosi non si avrà l'effetto stuccatura classica .
• innanzi tutto deve possedere una buona elasticità per potersi adattare ai ritiri del
legno che cambiano a seconda dell'essenza, della sua percentuale di umidità residua,
del tipo di taglio e dei fattori climatici esterni.
• altra caratteristica di una buona colla da restauro deve essere la reversibilità, ovvero
la possibilità di scollare facilmente le parti precedentemente unite al fine di permettere
in futuro nuovi interventi di restauro.
Le colle sintetiche sono quindi sconsigliabili in applicazioni di restauro dato il loro carattere
definitivo.
Pertanto l'uso di colle organiche che uniscono caratteristiche di buona capacità adesiva a quelle
di elasticità e reversibilità, è quindi da preferire.
Inoltre tale scelta è dettata anche dai fondamentali Principi di Restauro che devono essere
sempre tenuti presente nel momento in cui ci si avvicina con criterio e coscienza al restauro.
Superfici Pulite: Tutte le parti da unire devono essere pulite, asciutte e prive di
grasso. Ciò è essenziale per ottenere una buona tenuta . Inoltre non devono essere
presenti residui della vecchia colla, unica eccezione è il caso di colla animale dove,
anche se comunque è consigliabile togliere i residui di colla vecchia, questa col calore
della nuova, si amalgama nuovamente.Metodo d applicazione: premesso che vanno
seguite le istruzioni presenti sulla confezione, generalmente si può dire che le superfici
da unire devono essere entrambe coperte di colla, ma meno ne avanza a unione
ultimata meglio è. Un buon fissaggio dipende dallo stretto contatto delle superfici, non
dalla quantità di colla. Ogni volta sarà possibile è meglio usare morsetti e fermi al fine
di fare uscire la colla in eccesso e per mantenere una pressione costante fino a
completo indurimento della colla. Se il laboratorio è ben riscaldato, la maggior parte
delle colle asciugherà più velocemente. Conviene che le superfici da incollare non siano
ben levigate ma ruvide, infatti viene usata un ferradenti (pialla con un particolare ferro)
per rendere più ruvida la superficie da incollare.
La Colla Garavella
La Colla Garavella è comunemente nota anche come colla forte, colla gelatina o colla animale,
è tradizionalmente la colla da falegname e le sue origini si perdono nei secoli, quando gli
antichi artigiani iniziarono l'uso di adesivi nella unione di giunti e lastronature in aggiunta al
semplice uso di chiodi o incastri.
Questa colla fu praticamente l'unica usata fino agli anni 30 quando entrarono in uso le colle
sintetiche o viniliche.
Essa consiste in una gelatina , ottenuta facendo bollire i cascami di animali, pelle, ossa, unghie
e una volta asciutta, viene commercializzata nei negozi di Belle Arti normalmente in perle color
ambra ma anche in polvere o tavolette viene usata oltre naturalmente per l'incollaggio anche
per la preparazione degli stucchi a base di terre colorate.
L'uso di questa colla non è semplice in quanto occorre attenersi a rigide regole di preparazione
e uso per poter ottenere il meglio, ed è forse per questo che sono state sostituite con le colle
moderne che sicuramente sono di più pratica utilizzazione.
Poiché noi noi non ci accostiamo alla costruzione di nuovi mobili ma al restauro di quelli
costruiti almeno un centinaio di anni fa , o quasi, siamo "tenuti" a usare materiali e tecniche di
costruzioni adottate originalmente.
Comunque, a parte le difficoltà iniziali che saranno superate con la pratica, questa colla ha le
caratteristiche ideali di elasticità e reversibilità che ne fanno la colla principe del nostro lavoro.
Quando le parti vengono unite, la colla precedentemente spalmata, dovrà essere ancora
tiepida, pertanto può risultare utile, soprattutto d'inverno, riscaldare prima le parti da unire.
L'operazione d' incollatura deve essere eseguita velocemente pertanto tutta l'attrezzatura
necessaria per mettere in pressione i pezzi dovrà essere pronta e a portata di mano. Nel caso
di assemblaggi complessi, potrebbe risultare utile eseguire una prova a secco per verificare la
sequenza delle varie azioni predisponendo morsetti, molle, spessori e tutto quanto può
risultare utile per un tempestivo impiego.
La prima fase di indurimento della colla animale è di qualche minuto: l'adesivo si presta quindi
bene per tutte quelle operazioni che necessitano di un certo tempo per la "messa in opera". La
colla, data la sua elevata elasticità a caldo, è idonea anche per fissare ampie superfici di
impiallacciatura senza dover ricorrere a complicati sistemi di pressatura.
Per tenere in posizione il pezzo finché la colla non ha fatto presa si utilizzano i morsetti a G o i
morsetti a traversa mobile, se il pezzo è di piccole dimensioni sono sufficienti strisce di carta
adesiva da carrozziere ben tesa, se sono parti di impiallacciatura non accessibili da morsetti si
usano adeguate tavolette di compensato da inchiodare sopra con interposto un pezzo di carta
di giornale per evitare che la tavoletta di compensato si incolli anch'essa sul piano . I morsetti
vanno sempre utilizzati interponendo dei pezzi di legno morbido tra le ganasce e le parti da
incollare, per evitare che resti il segno dell' ammaccatura. È bene evitare l'uso di colle viniliche,
poiché non sono removibili.
Per un completo indurimento della colla occorrono almeno 24 ore, durante le quali le parti
dovranno rimanere morsettate.
La Colla Caesina
La Colla Caseina ha origini antiche, oggi raramente viene usata nel restauro. Era assai in uso
nel XV secolo ed il suo componente principale era il formaggio pecorino come attestano alcuni
documenti.
La colla di caseina è a base proteica ed è indicata per incollare superfici non ben levigate.
L'aggiunta di alcali come soda caustica, ne aumenta il potere collante.
Questo tipo di colla può essere a base di caseina lattica o a base di caglio; quest'ultima ha un
minore potere adesivo
In generale, i principali costituenti di una buona colla sono i seguenti: caseina, calce purissima
in polvere , borace oppure carbonato di sodio, soda caustica. La durata della colla diminuisce
proporzionalmente con la maggior quantità di calce impiegata e con la maggior
concentrazione; anche la temperatura ambientale influisce sulla conservabilità della colla che
aumenta in inverno.
Caratteristiche
Costa poco, ed è resistente all'acqua; è elastica e di buona resistenza meccanica. Può
macchiare alcuni legni (soprattutto quelli duri) a causa degli alcali in essa contenuti ed,
essendo molto acquosa, può gonfiare il legno. Usando le dovute precauzioni per evitare
macchie superficiali, viene usata raramente anche nel restauro.
Le Colle Chimiche
Pur non facendo parte delle colle usate nel restauro di mobili importanti, precedenti alla fine
dell'Ottocento, penso che nel laboratorio di ogni restauratore non manchi questo tipo di colla,
Vinavil, che fu commercializzato intorno agli anni Trenta. La facilità di uso e la disponibilità
immediata (non necessita di alcuna preparazione) sono due motivi sufficienti a convincere
molti al suo uso. Anche questa colla, come la colla Garavella, può essere usata per la
preparazione degli stucchi a base di terre colorate. Consiglio di usare questa colla nel restauro
di quei mobili per i quali già in origine fu usata. Pertanto per i soli mobili successivi agli anni
20-30 del Novecento.
Uno dei tipi più utilizzati e l'acetato di polivinilico (PVA) è a base di resina e va usata fredda. E'
estremamente tenace, ed il liquido bianco e denso può essere usato direttamente dal
contenitore.
Non è reversibile, pertanto, una volta fatta presa, se si ha la necessità di separare i pezzi
precedentemente incollati sarà impossibile farlo se non rovinando il legno stesso. (vedi
selezione dal Forum)
Quale colla?
Quesito? E' proprio necessario usare la colla in perle(garavella) ho si può utilizzare un buon
vinavil per legno molto più pratico e veloce, perchè ho l'impressione che molti restauratori non
raccontano la verità, in quale situazione si usa la prima o la seconda ipotesi? La colla garavella
e veramente affidabile come forza di incollaggio,le malizie per usarla bene quali sono?Ci sono
delle colle alternative moderne piu' pratiche che rispettano la coscienza di restauro?grazie.
Giovanni
Risponde Pino
Condivido alcune tue affermazioni: ci sono restauratori che non vanno tanto per il sottile e
usano vinavil in molte occasioni. Questo dipende dalla maggior comodità ma anche da un
atteggiamento culturalmente discutibile verso il restauro. Ci sono anche colle moderne che
garantiscono reversibilità e sono di pari o di maggiore efficacia (non so dirti i tipi perché ne ho
letto da qualche parte e le ho dimenticate avendo scelto di non usarle mai, se possibile). Il
problema di fondo è rendersi conto che il pezzo su cui si sta lavorando è destinato a durare nel
tempo e vale in quanto espressione di un determinato ambito culturale in un certo momento
storico, di cui sintetizza conoscenze tecniche, stilistiche, gusto e funzione. Questo valore deve
essere preservato anche mediante il culto della fedeltà alle pratiche tecniche che hanno
orignato il mobile, ogni qual volta si tratti di impiegare un materiale o una sostanza destinato a
permanere nel mobile. Ciò non vuol dire rendere meno efficace il restauro privandosi di
prodotti moderni validissimi (si pensi alle resine acriliche ecc...) Occorre però trovare una
soluzione di compromesso introducendo le nuove tecniche quando effettivamente risolvono un
problema prima irresolubile. A questo punto perché modificare una colla che per centinaia di
anni ha garantito la funzionalità del pezzo e che è parte della procedura tenica che lo ha
generato? Soprattutto perchè sostituirla con il vinavil di cui è nota l'irreversibilità. Tra cent'anni
qualche disgraziato potrebbe trovarsi a fare i conti con il nostro incollaggio a vinavil nella
necessità di restaurare nuovamente il nostro pezzo e almeno nella tomba sarebbe meglio
essere lasciati in pace!!!!!!
A parte gli scherzi il restauro deve essere condotto in modo da poter in qualsiasi momento
tornare al momento iniziale del lavoro cioè alla fase precedente al restauro che ci accingiamo a
fare, senza particolari danni al pezzo. Quanto alle modalità di impiego della colla caravella non
ci sono segreti particolari, si tratta di fare pratica soprattutto nella sua diluizione. Deve essere
ben calda ma non deve superare i 60 gradi per evitare deterioramenti e perdite di capacità
adesiva. E' bene aggiungere un conservante apposito per colle per garantire una maggior
durata alla colla e ritardarne il processo di deterioramento con il tempo. Il pezzo da incollare
non deve essere liscio (nelle lastronature usavano un attrezzo detto ferradenti per creare una
superficie con tante piccole righettature che favoriscono l'incollaggio. Occorre sempre pressare
i pezzi con colla ancora calda o rigenerata mediante ferro da stiro o lastra metallica calda,
Nelle giunture bisogna studiare prima il serraggio e fare le prove per essere veloci quando si
sarà applicata la colla...
Altro non so dirti. Ciao. Pino. domenica 14 aprile 2002 - 22.03.10
Risponde Milo
L' utilizzo di prodotti e materiali nel rispetto dei principi del restauro è un aspetto molto
delicato, che si ramifica profondamente nell' etica e nella cultura personale. Vi sono parecchi
studi e molte teorie sulla filosofia del restauro ( cito:" teorie del restauro " di Cesare Brandi e
"restauro " di Alessandro Conti. in essi i principi di restauro vengono trattati quasi a livello
metafisico).
Rimane comunque il fatto che la scelta dei materiali deve essere operata con consapevolezza,
in base alla propria etica di rispetto dell' opera su cui si lavora.
Per quanto riguarda i prodotti incollanti e le metodologie di applicazione trovi ampie
spiegazioni nei cataloghi di ditte specializzate e nei manuali di restauro in commercio.
buon lavoro...Milo lunedì 15 aprile 2002 - 10.57.08
Domanda: Marco
Ciao a tutti,chi mi può suggerire il metodo per separare una unione eseguita con spinatura e
incollata con Vinavil ??
In tale unione uno dei 2 pezzi è incollato di costa mentre l'altro è incollato di testa.
La struttura completa è assimilabile ad una cornice.
Grazie in anticipo a tutti quelli che parteciperanno
Risponde: Franco
Se non riesci a trovare un solvente per la vinavil (io non li ho mai visti) e non ti interessa
mantenere la spinatura originale prova a tagliare le spine usando un seghetto a lama libera
molto fine. Con un po' di pazienza e fortuna dovresti riuscirci. L'intervento è un po' distruttivo
ma, a mali estremi ... Auguri .
Risponde: Milo
Un solvente specifico in grado di staccare un' unione con vinavil non esiste, ma il
polivinilacetato non ha alcuna resistenza all' umidità, puoi quindi sfruttare questo fattore
facendo penetrare una mista di acqua e alcool ( che aggredisce maggiormente i legami
coesivi ) nell' incastro, utilizzando magari una siringa; ripetendo l' operazione più volte riuscirai
ad allentare la tenuta della colla.
Per quanto riguarda la spina puoi eliminarla con una punta di trapano: inizia a praticare un
foro piccolo nel centro di essa allargando il diametro della punta fino a quello della spina, così
non rischierai di decentrare il foro; potrai poi rifissare il tuo incastro con una spina nuova a
lavorazione ultimata ( questo è forse il sistema meno distruttivo)....
ps: se il vinavil in questione dovesse essere un PVA alifatico incontrerai maggiori resistenze
nell' ammorbidirne i legami.....spero di esserti stato utile... fammi sapere...
Replica di Marco
Grazie del suggerimento. Ho tentato di "immaginare" sul come inserire l'ago della siringa nella
unione, ma non ci sono riuscito.
Pertanto ho separato l'unione utilizzando una sega x cornici che ho fatto scorrere sul bordo di
una "spalla", quest'ultima fissata alle 2 estremità. Sono riuscito ad ottenere un taglio
perpendicolare e la quantità di legno "mangiato" non è stata molta.
Per quanto riguardo la rimozione delle spine, non sono passato attraverso forature successive
in quanto ho valutato che se il primo foro fosse non centrato i fori successivi sarebbero stati a
loro volta fuori asse. Pertanto ho praticato un unico foro e tutto sommato sono stato fortunato
nel ricentrare i fori esistenti.
ciao e comunque grazie ancora per i suggerimenti che utilizzerò senz'altro alla prima
occasione.
L'uso principale che si fa della cera in restauro è senz'altro la lucidatura. Un uso non meno
frequente ne importante lo si ha in fase di stuccatura: infatti per quei mobili che poi andranno
lucidati a cera, si possono usare gli stick che si trovano in commercio (tra l'altro colorati in
varie tonalità di essenze) per chiudere i piccoli fori dei tarli o piccole imperfezioni.
Non è adatta per sostituire lo stucco vero e proprio in quanto la sua consistenza non lo
permette.
Tratteremo dei materiali più utilizzati nella costruzione e decorazione del mobile e di quelli che
sono stati e continuano ad essere impiegati nel restauro di questi manufatti. La conoscenza dei
materiali tradizionalmente utilizzati nella costruzione del mobile, delle loro proprietà, del
trattamento superficiale e del comportamento nel tempo, è un requisito fondamentale sia per
la formazione del restauratore sia per lo sviluppo della sua attività professionale. Una
conoscenza che, applicata ad un'opera specifica, lo aiuterà ad identificare i materiali in essa
presenti. Questo fattore condizionerà in misura notevole gli interventi imponendo la scelta di
materiali compatibili con quelli di cui è costituita l'opera, al fine di evitare che questi si alterino
per reazione con i nuovi, così come per poter rispondere all'indispensabile requisito del rispetto
verso il progetto originale del mobile. L'identificazione dei materiali presenti in un'opera in
molti casi obbligherà ad evitare, per esempio, materiali che in un mobile nuovo potrebbero
invece essere considerati idonei. È il caso, molto frequente, di alcuni mobili inglesi con finiture
brillanti, che il restauratore, di solito, identifica come gommalacca, ma che, quando prova a
rigenerarle con questa sostanza, si disintegrano in quanto non se ne conoscono con esattezza
gli ingredienti e le proporzioni di composizione.Conoscere questi materiali spesso non basta: è
necessario avere cognizioni anche sul trattamento superficiale o decorativo che si usava dar
loro (il modo in cui si tingevano, intagliavano, incidevano ecc.) cercando di produrre
determinati effetti. L'ignoranza di tali procedimenti può indurre ad errori irreparabili durante il
processo di restauro.Alcuni materiali venivano trattati in un certo modo con l'obiettivo di
simularne altri (come, ad esempio, l'avorio che imita la tartaruga): un trattamento intenzionale
che voleva "giocare" con l'occhio dello spettatore e che nessun restauratore ha il diritto di
eliminare. D'altra parte, dato che è responsabilità del restauratore scegliere il materiale
corretto da utilizzare nell'intervento, è necessario conoscere quali sono stati e continuano ad
essere i materiali più usati nel restauro dei mobili (anche per poterli identificare nel mobile su
cui si deve intervenire), le loro proprietà, vantaggi ed inconvenienti.
La selezione dei materiali da utilizzare non è un compito facile; il prodotto perfetto, infatti, non
esiste. Molte volte ci troviamo nella situazione in cui il prodotto scelto non risponde a tutte le
caratteristiche idealmente necessarie per cui dobbiamo accontentarci di quello che, con tutte le
sue limitazioni, si adatta meglio di altri alle necessità identificate. Alcuni materiali poi non sono
negativi in termini assoluti ma vengono applicati in modo scorretto; ossia, un materiale può
funzionare bene per un determinato oggetto e rispondere male alle necessità di un altro. Di
fatto ci sono materiali perfettamente reversibili in alcuni casi ed irreversibili in altri. II
restauratore deve possedere le conoscenze necessarie per poter valutare tutto ciò. I materiali
utilizzati nel restauro del mobile si possono dividere in materiali naturali, materiali naturali
modificati o artificiali e materiali sintetici.
a) Materiali naturali. Sono quelli utilizzati tradizionalmente sia nella costruzione sia nel
restauro del mobile fino al XIX secolo (pasta di fecola, resine, gomma, adesivi proteinici, colla
di albumina, cera, grassi, oli ecc.).Questi materiali presentano l'enorme vantaggio derivante
dal fatto che se ne conoscono le reazioni col passare del tempo; questo non significa però che
si possano applicare in ogni caso poiché, come hanno dimostrato le ricerche scientifiche, alcuni
di essi (o il modo in cui sono stati applicati) hanno avuto risultati negativi purtroppo poco
conosciuti (come nel caso degli oli, dei bitumi ecc.) a livello conservativo ed anche ad altri
livelli, ad esempio per l'eccessiva tossicità (come nel caso del mercurio per gli specchi).
b) Materiali modificati o artificiali. Sono quelli risultanti dalla trasformazione chimica dei
materiali naturali.
c) Materiali sintetici. Come i precedenti, sono il risultato dei progressi della chimica
organica sviluppatasi a partire dal XIX secolo, ma si differenziano da questi poiché non hanno
nessun legame con i materiali naturali. Tuttavia non vanno considerati come meri sostituti di
questi giacché molti posseggono proprietà che non esistono in nessun prodotto naturale. La
maggior parte dei materiali sintetici, come quelli naturali o artificiali, ha una struttura chimica
polimerica; ossia formata da lunghe catene di unità semplici denominate monomeri. Questi
polimeri sintetici prendono normalmente il nome dal monomero di cui sono composti. I
materiali sintetici, come quelli artificiali, offrono una serie di vantaggi, poiché essendo
fabbricati per un'applicazione specifica possono rispondere a necessità concrete. Oltre a ciò
presentano proprietà più costanti di quelli naturali. Tuttavia presentano l'inconveniente che,
essendo di fabbricazione molto recente, non se ne conoscono le reazioni col passare del tempo.
Fattore che deve essere tenuto in considerazione da parte del restauratore, che non deve
lasciarsi guidare nelle scelte esclusivamente dai risultati immediati che un prodotto gli offre,
ma deve pensare al suo comportamento futuro. Un prodotto può essere efficace in un primo
momento ma non sappiamo come reagirà con il passare del tempo.
Da quanto esposto si deduce che non conviene propendere a priori per un certo materiale e
che la scelta più corretta sarà quella di combinare l'uso di prodotti diversi a seconda di ogni
caso specifico. Sarà quindi evidentemente corretto evitare l'impiego di tutte quelle sostanze
la cui composizione non sia conosciuta con esattezza (come nel caso di alcuni prodotti
commerciali che garantiscono risultati spettacolari ma che sono poco affidabili giacché in essi
non viene riportata la composizione).
Da quanto esposto si deduce che non conviene propendere a priori per un certo materiale e
chela scelta più corretta sarà quella di combinare l'uso di prodotti diversi a seconda di ogni
caso specifico. Sarà quindi evidentemente corretto evitare l'impiego di tutte quelle sostanze la
cui composizione non sia conosciuta con esattezza (come nel caso di alcuni prodotti
commerciali che garantiscono risultati spettacolari ma che sono poco affidabili giacché in essi
non viene riportata la composizione).
seconda parte
La scelta di un determinato materiale sarà in funzione dei vantaggi e degli svantaggi che
questo può presentare. Gli aspetti più importanti da considerare sono:- Che il prodotto non
modifichi esteticamente l'oggetto né lo alteri chimicamente o fisicamente al momento
dell'applicazione o invecchiando. Ossia che l'innocuità dei materiali sia stata provata per
quanto riguarda l'integrità estetica e fisica dell'oggetto. Cosa che non si verifica, ad esempio,
con alcuni consolidanti o vernici che, col tempo, possono alterare l'aspetto di un oggetto .
• Che il prodotto sia reversibile e che la sua futura eliminazione non causi alcun danno
all'opera, né condizioni futuri interventi. Ciò significa che il materiale in questione deve
poter essere eliminato in caso di necessità senza danneggiare il mobile. La reversibilità
dei materiali costituisce, in teoria, un requisito indispensabile al momento di restaurare
un'opera, ma non possiamo ignorare che questo nella pratica è quasi un'utopia poiché
pochi materiali risultano assolutamente reversibili o, che è lo stesso, totalmente
eliminabili, non solo per il materiale in sé ma per altri fattori ad esso estranei, come ad
esempio le caratteristiche della zona in cui è stato applicato: eccesso di porosità,
inaccessibilità con gli attrezzi da restauro ecc. Per questa ragione bisognerà far sì che,
nella misura possibile, gli inevitabili residui che in alcuni casi possono rimanere sul
mobile non condizionino interventi futuri. In ogni caso, e anche ammettendo ciò,
bisognerà riporre speciale attenzione nella scelta di materiali la cui reversibilità sia stata
sperimentata anche nella pratica e non solo enunciata teoricamente. Perciò, davanti a
due prodotti con caratteristiche simili, sarà preferibile propendere per i materiali
tradizionali di cui si sia potuta constatare ampiamente la reversibilità, al posto di altri
più moderni, teoricamente reversibili, il cui periodo di sperimentazione è stato però
ovviamente breve. D'altra parte la reversibilità di un materiale dipende anche dalle
caratteristiche dell'oggetto sul quale viene applicato e dal tipo di problemiche presenta.
Così un certo materiale potrà essere reversibile in un determinato caso e irreversibile in
un altro. Inoltre esistono materiali reversibili in un primo momento ma che smettono di
esserlo con il tempo, come nel caso di un polimero che produca cross linking.
• Che sia quanto più stabile possibile; ossia che non si alteri o deteriori in un periodo
di tempo ragionevole. Un materiale può invecchiare alterandosi chimicamente per
azione della luce, del calore, dell'ossigeno, dell'umidità, dell'inquinamento ecc., cosa
che può tradursi in trasformazioni quali ritrazione, espansione, rottura, insolubilità,
cambiamento di colore, debilitazione, assorbimento di sporco ecc. Per questo, oltre ad
essere coscienti del fatto che i prodotti non sono eterni, occorre cercare di usare
sempre quelli che si mantengono stabili per almeno venti anni, con la speranza che
arrivino ad esserlo per un periodo di tempo molto maggiore.
• Che il prodotto sia in buono stato. Per poterlo verificare occorre conoscere le sue
caratteristiche allo stato di normalità: colore, consistenza, grado di trasparenza, odore
ecc. In questo senso è di grande aiuto la consultazione di tavole di prodotti ove siano
specificate tutte le informazioni necessarie. Un'altra soluzione, in caso di dubbio, è
quella di rivolgersi al fabbricante in questione o di inviare il prodotto ad analizzare,
gettando sempre via quello che non sia in perfette condizioni poiché, in caso contrario,
il suo uso può, nel migliore dei casi, risultare inefficace e, nel peggiore, procurare danni
all'opera. Pochi materiali riuniscono i requisiti che abbiamo fin qui e numerato. Per tale
motivo bisognerà stabilire un ordine di priorità per poter così scegliere il prodotto che
meglio si adatti alle necessità di ogni caso e che comporti il minor danno possibile.
Bisogna però segnalare che a volte i fabbricanti alterano la composizione sia dei
prodotti naturali sia di quelli sintetici senza dichiararlo, con la conseguente modifica
delle proprietà, causando serie difficoltà operative l restauratore. È possibile che la
stessa sostanza chimica, a seconda della marca commerciale o del periodo di
fabbricazione, possieda proprietà diverse. Così possiamo trovare cere d'api adulterate
che induriscono le finiture, colle forti troppo gommose che si prestano male alla
realizzazione di stucchi, acetati polivinilici più elastici del normale ecc. Infine va detto
che è urgente avviare ricerche per la creazione di prodotti specifici per il restauro dei
mobili. Si sono già compiuti passi da gigante nei materiali specifici per il legno: adesivi,
vernici ecc., ma sempre rivolti alla creazione ex novo eq uasi mai applicabili al campo
della conservazione.
la Sverniciatura
La sverniciatura della superficie, viene intrapresa quando la vernice attuale non può essere
recuperata, o quando si vuole applicare una finitura diversa da quella esistente. Sui mobili di
particolare pregio, la cui "patina" originale va salvaguardata a ogni costo, tale procedimento
non deve assolutamente essere eseguito se non da esperti. In tali casi occorre limitarsi alla
semplice pulizia superficiale della vernice, in modo che sia pronta per ricevere la nuova
lucidatura. Nell'operazione di sverniciatura è consigliabile iniziare con metodi blandi per
arrivare a quelli più drastici.
Sverniciatura con alcool a 95 La pulitura eseguita con alcool è adatta a tutte le superfici
molto sporche. La si esegue con lo stesso metodo visto per la pulizia di superfici lucidate a
gommalacca, ma essendo ora il solvente costituito da solo alcool, viene asportata anche gli
ultimi strati della vernice.
L'uso dello sverniciatore è descritta sulla confezione, dove non dimenticate di leggere anche le
precauzioni necessarie da adottare durante l'utilizzo.
Lo sverniciatore agisce ammorbidendo la vernice che poi va asportata con una paglietta di
acciaio o con una spatola di legno duro.
Vi consiglio di operare comunque a piccole zone per non sciupare inutilmente il prodotto, che si
essicca facilmente. Appena riscontrate che la paglietta di acciaio sta per saturarsi, sostituitela.
Ricordate di asportare completamente ogni traccia di sverniciatore passando, alla fine, con uno
straccio umido di alcool per tutta la superficie.
Sverniciatura con Soda Caustica La soda è uno degli alcali più potenti, ed è altamente
corrosiva. Si usa sui mobili veramente disastrati e quando, ogni altro mezzo sperimentato non
porta a nessun risultato. In passato era molto diffuso l'impiego della soda caustica per la
sverniciatura dei mobili. Si tratta di un metodo poco consigliabile e di solito utilizzato su
mobili di poco valore in quanto può procurare gravi danni al legno.
Bisogna anche tenere presente che la soda caustica è un preparato estremamente pericoloso
da maneggiare, richiede di essere usata in un luogo adatto, vista la grande quantità d'acqua
necessaria, inoltre impone di bagnare molto i mobili, azione spesso dannosa. Ricordate che la
soda caustica sbianca considerevolmente il legno, e pertanto non è certo un metodo da
usare nel restauro..
Risponde: MassimoProva se non l'hai fatto ancora con paglietta e sverniciatore, poi con il
solvente della vernice: acquaragia o diluente. Se ciò non da' esito, l'unica è colorare con
mordente le parti colorate.
Pazienza e buon lavoro.
Risponde F.C.
Meglio ancora, dopo aver pulito i residui di sverniciatore bagna bene il legno con acquaragia e
distribuisci sul legno per asciugarlo segatura abbastanza fine, poi strofina con spazzola fino a
che il legno sia asciutto.Alla fine lava con ragia 80% + alcool 20%.
la Disinfestazione
La disinfestazione deve precedere qualsiasi intervento sul mobile, quando esistano segni o
rischi d'infestazione.Può essere portata a termine attraverso differenti metodi, naturali, fisici o
chimici.
Tra i metodi naturali, sebbene scarsamente efficaci, possiamo citare l'uso di alcune sostanze
ampiamente utilizzate fin dai tempi antichi; fra queste ricordiamo l'olio di cedro, l'olio di
zafferano e i pezzi di legno di cipresso levigato che venivano collocati all'interno dei mobili.
Per quanto riguarda i trattamenti fisici, va detto che alcuni dei metodi attualmente usati
erano già conosciuti in passato, quando però mancavano le attrezzature adeguate per
impiegarli con successo. Così, per esempio, fin dagli anni Trenta di questo secolo era noto che
il calore poteva sterminare gli insetti xilofagi; elevando la temperatura del legno fino a 70
80 °C, infatti, tutti gli insetti larve e uova in esso presenti muoiono. Ma solo alcuni anni fa si è
constatato che, per portare a termine questa operazione senza causare danni al legno, è
necessario aumentare il livello di umidità ambientale, al fine di mantenere invariato il livello di
umidità relativa dell'oggetto prima del trattamento. Tuttavia bisogna tenere presente che
questo può essere pericoloso per certi elementi del mobile a basso punto di fusione, come ad
esempio le resine naturali presenti nelle vernici.Altri metodi fisici attualmente impiegati sono
l'emissione di ultrasuoni e la radio sterilizzazione attraverso i raggi gamma.
Quest'ultimo sistema consiste nell'esporre l'oggetto a una fonte di raggi di questo tipo che,
penetrando nel legno, provocano la distruzione degli organismi vivi. E' un procedimento che
offre il vantaggio di non sottoporre il mobile al contatto di prodotti chimici, ma che presenta il
rischio di intaccare la struttura del materiale esposto ai raggi.
I trattamenti chimici (vedi Trattamento antitarlo) possono essere applicati attraverso due
tipi di procedimenti: per iniezione o impregnazione di liquidi insetticidi e per fumigazione
di gas. I vantaggi dei sistemi di distruzione degli insetti con l'uso di prodotti liquidi sono la
facilità di applicazione e il fatto che costituiscono una forma di prevenzione di nuovi attacchi;
mentre gli inconvenienti sono la mancanza di potere di penetrazione assoluto, il fatto che
lasciano un residuo grasso sulla superficie e che la maggior parte di questi prodotti, di solito,
sono altamente tossici.
Proprio per questo si stanno sviluppando numerose ricerche, non solo per riuscire a mettere a
punto prodotti a bassa tossicità o a tossicità nulla, ma anche per definire specifici metodi di
applicazione. Un esempio in tal senso è l'esperimento compiuto in Canada in una metropolitana
quando, nelle stazioni e in alcuni punti della linea, si verificò un attacco particolarmente grave
di una specie di termiti chiamata Reticulitermes Flavites. Il sistema impiegato in quel caso si
basa su un comportamento tipico di tutti gli insetti sociali: la loro particolare forma di pulizia
reciproca detta grooming. Si applicò così un insetticida ad effetto lento a un piccolo gruppo di
termiti che venne successivamente esteso da loro stesse, attraverso la pulizia reciproca, a
tutta la colonia. Questo è un modo per ridurre la contaminazione ambientale, generalmente
associato ai trattamenti abituali. Il vantaggio della fumigazione consiste nel fatto che viene
applicata in una camera o contenitore chiuso e controllato da macchine particolari, motivo per
cui gli oggetti infestati possono stare a contatto con il gas tutto il tempo ritenuto necessario
affinché gli insetti muoiano. II suo grado di penetrazione nel legno, così come i residui
superficiali, dipendono dal tipo di gas impiegato. Fino a poco tempo fa, questo sistema
presentava però un grave inconveniente: i gas utilizzati erano nocivi per l'uomo, alcuni
addirittura letali. Ciò nonostante, recentemente sono stati sperimentati nuovi metodi di
sterminio degli insetti per fumigazione non tossici, uno dei quali è a base di gas inerti in luoghi
chiusi ermeticamente. Questo sistema, fra l'altro, non altera i materiali di cui è costituito il
mobile. Tutti i metodi di fumigazione si applicano in luoghi perfettamente stagni o in recipienti
sigillati.Sia i trattamenti fisici sia quelli chimici mediante fumigazione richiedono
un'attrezzatura di cui normalmente i laboratori di restauro non dispongono, per cui occorre
realizzare tali interventi in centri specializzati. Al contrario, i trattamenti chimici per
impregnazione o iniezione di sostanze liquide possono essere effettuati con facilità nei
laboratori di restauro.
È auspicabile che in futuro si possa disporre di metodi e di prodotti che non siano tossici in
assoluto e che, nello stesso tempo, siano in grado di eliminare gli insetti infestanti sotto
qualsiasi forma si presentino, adulti, larve, pupe o uova.
il trattamento Antitarlo
Sotto la comune dizione "trattamento antitarlo", si intendono tutti quei procedimenti che
prevedono l'uso di prodotti specifici atti alla eliminazione definitiva del tarlo dai nostri mobili
( o strutture lignee).
Mettere in pratica quanto si è detto così semplicemente non è altrettanto facile: eliminare
definitivamente il tarlo non sempre riesce, e spesso occorre ricorrere più volte ai trattamenti
senza tuttavia avere una garanzia totale della riuscita.
Questo si spiega in quanto il tarlo, annidandosi a volte nelle profondità delle gallerie, non
sempre è raggiungibile dai gas o liquidi velenosi con i quali tentiamo di avvelenarlo. Inoltre, se
il trattamento lo eseguiamo quando il nostro acerrimo nemico si trova nello stadio di "uovo", il
trattamento risulta quasi sempre inefficace.
Cerchiamo di affrontare il problema prendendo in esame le varie fasi in cui questo si può
presentare:
Manutenzione ordinaria: Supponiamo di renderci conto della presenza del tarlo nei nostri
mobili di casa, attraverso l'improvvisa comparsa dei piccoli cumuli di polvere di legno di cui
abbiamo già parlato. Per questo tipo di intervento, dobbiamo procurarci un buon prodotto
antitarlo e uno stic di cera del colore più simile al mobile sul quale dobbiamo intervenire:
entrambi i prodotti li possiamo trovare facilmente in ogni ferramenta. Il tipo di intervento è
semplice e alla portata di tutti (adottando chiaramente le precauzioni necessarie in occasione
di utilizzo di prodotti velenosi) : è sufficiente iniettare il liquido antitarlo in ogni singolo foro
chiudendolo poi con uno spaghetto ottenuto dallo stic di cera.
Quando si inietta il liquido, occorre prestare attenzione affinché questo traboccando dal foro
non macchi il mobile, soprattutto se rifinito a gommalacca. Mentre si inietta il liquido quindi,
con l'altra mano, tenete uno straccetto o un batuffolo di cotone nei pressi dell'ago pronti a
fermare ogni fuoriuscita di liquido.
In questo caso, sempre con le dovute precauzioni, e sempre che le dimensioni del mobile lo
permettano, possiamo intervenire col metodo della "camera a gas": Questa volta occorre
avere una quantità sufficiente di antitarlo (uno o due litri) che con un pennello adeguatamente
largo, spennelleremo abbondantemente su tutte le parti del mobile non verniciate. Schiena ,
interni e fondi dei cassetti e del mobile dovranno essere trattati. Avremo precedentemente
preparato un telo o sacco di nylon per avvolgere completamente il mobile,. all'interno del quale
lasceremo un recipiente con antitarlo. Il Nylon che avvolge il mobile lo fermeremo con nastro
di carta gommata. Lasceremo il mobile in queste condizioni per almeno tre settimane. E'
consigliabile fare questa operazione o in tarda primavera o in autunno quando si schiudono le
uova. Trascorse le tre settimane, , toglieremo il nylon lasciando asciugare il mobile per due o
tre giorni in un luogo areato. A questo punto passeremo a siringare ogni singolo foro come
abbiamo visto in precedenza. Per quello che riguarda la chiusura, potremmo usare cera oppure
stucco con gesso di Bologna se i fori sono molti e la finitura prevista è a gommalacca.
Questo tipo di intervento, possibile solo in un ambiente adeguato, da non farsi assolutamente
in casa per ovvi motivi, è più efficace del precedente in quanto comporta l'avvelenamento di
gran parte della struttura lignea attraverso l'abbondante spennellatura di antitarlo, la quasi
completa saturazione delle gallerie con gas venefici (mediante la camera a gas) e invasione
delle gallerie di liquido velenoso tramite iniezione.
Il prodotto antitarlo deve poter essere esteso sulla superficie lignea in modo da garantire una
penetrazione in profondità e quindi una efficace protezione. Deve sviluppare un'azione
altamente tossica nei confronti degli insetti xilofagi, ma non tossica nei confronti di qualunque
altro organismo. Non deve essere facilmente dilavabile ne a base di composti volatili e la sua
azione si deve sviluppare il più possibile in profondità del legno senza però produrre corrosioni
sulle parti metalliche contigue ne presentare effetti negativi su colle o vernici di finitura. Deve
avere un colore neutro trasparente. Deve poter essere applicato semplicemente a pennello,
spruzzo o iniezione con siringa. Deve essere resistente alla radiazione ultravioletta e non deve
occludere la naturale porosità del legno nè formare pellicole destinate ad esfoliare.Deve
consentire di eseguire le normali operazioni di finitura a cui il manufatto va sottoposto. Deve
esercitare un'azione sia curativa che preventiva. La sua efficacia deve però essere favorita da
interventi che eliminano eventuali fonti di umidità ed assicurano una buona ventilazione
dell'ambiente.
XIREIN Prodotto Antitarlo ProTector N - protettivo per legno - Sul catalogo di una noto
distributore milanese di materiali e attrezzature per il restauro (Bresciani), viene riportata la
scheda di questo antitarlo:
Con ProTector N abbiamo risolto non solo il problema di avere un protettivo efficace,
utilizzando come principio attivo la permethrina ma anche poco nocivo per l'uomo (non
contiene endosolfuro, lindano o DDT). Il solvente di questo prodotto, permette di veicolare il
principio attivo in modo ottimale per avere una efficace penetrazione nel legno ( in 24 ore, per
capillarità può penetrare nel legno per più di 50 cm) e non è tossico per l'uomo. E' inodore ed
incolore non altera rivestimenti di tessuto o carta.
ProTector N
per info:
Bresciani : www.brescianisrl.it
Help on-line della Phase 348-7274676
Approfondimento:
Il Consolidamento
I Consolidanti
Disinfestazione
Il consolidamento del cassettonato ligneo di palazzo Barbò
Vedo purtroppo che l'estate ha riproposto a molti il problema dei tarli,e mi permetto di dire la
mia in proposito,rispondendo un pò a tutti.
Innanzitutto io credo che tutti i prodotti antitarlo siano efficaci, se vengono in contatto con
l'insetto:riprova ne sia che questi viene eliminato da qualsiasi insetticida di uso domestico, se
posto all'aperto.
Questo può essere verificato da chiunque. Il problema allora è legato alla capacità di
penetrazione dei prodotti sino agli insetti ed alle loro uova,e ciò dipende non solo dalle
caratteristiche intrinseche dell'insetticida,ma anche dal suo modo di applicazione. La maggior
parte degli insuccessi nella guerra ai tarli è causata dalla fretta e dalla scarsità di prodotto
impiegato, più che dalla inefficacia del prodotto stesso! Tutti i consigli dati su queste pagine
sono giusti; io però ne aggiungerei alcuni.
Io personalmente, se è possibile portare all'aperto l'oggetto intaccato, inizio soffiando a lungo
con l'aria compressa nei forellini, per pulirli il più possibile. Non fate però questo in
casa:rischiate di seminar tarli in ogni luogo!
Successivamente si può dare l'antitarlo, prima con siringa e poi con pennello, avendo cura di
applicarlo in modo che penetri dall' alto verso il basso (ovvero capovolgendo il mobile,se
occorre,e non applicandolo da sotto, con la improbabile pretesa che possa penetrare più di
tanto). Quindi camera a gas, come descritto, ma nuova applicazione, almeno nei punti più
colpiti, dopo una dozzina di ore. Io personalmente dopo venti giorni farei una terza
applicazione....cambiando prodotto!!!
E non per sfiducia nel primo, ma partendo dal presupposto che tutti gli insetti sono capaci di
sviluppare resistenza nei confronti degli insetticidi dei quali sono venuti a contatto. Dopo
qualche altro giorno di camera a gas si possono chiudere i forellini con cera, o con stucco alla
gommalacca. Ovviamente vi sono trattamenti molto più efficaci, ma questi non sono alla
portata dell'utilizzatore dilettante, ovvero risultano troppo pericolosi, se posti in essere senza
precauzioni adeguate, per cui preferisco non parlarne neppure.
In genere però un trattamento come quello descritto è efficace nella maggior parte dei casi.
Ci si chiede se i tarli presenti in un mobile possano intaccarne altri:difficile dirlo, ma
impossibile escluderlo,per cui lotta senza quartiere!!!! E, se del caso, non è male portare il
mobile...abitato dai tarli in luogo sicuro, sino a constatata eliminazione degli stessi; io di
certo,ad esempio,non lo lascerei su un parquet. A proposito di parquet, quanto detto vale
anche per i tarli che hanno attaccato il pavimento .
Ciao Carlo,grazie dei consigli per i trattamenti antitarlo.Devo dire che ho sempre fatto come te
finché i forellini erano piccoli ed erano solo 3 o 4...poi quest'anno ho capito che nel mio caso
non bastava.Io personalmente sono dovuta ricorrere alla camera a gas professionale (camera
stagna di fumigazione)in quanto avevo riscontrato la presenza di tarli all'esterno e, catturato
l'indesiderato ospite, ho scoperto che era il temuto capricorno delle case che aveva fatto dei
fori di sfarfallamento delle diametro di più di mezzo centimetro! Non fori ma buchi.
Siccome non era solo ma in comitiva sono dovuta passare alle maniere forti. Il mio contributo
al forum posso darlo affermando che si, purtroppo le simpatiche bestiole sono più ghiotte di
legno che appartiene a mobili disabitati quindi è certo ( anziché probabile) che tutti i mobili
della stessa stanza vengano contaminati.Chiaramente contando i tempi di schiusa
intercorreranno mesi o anni prima che ci si accorga di altri fori o della classica polverina.
Insomma,meglio un trattamento "collettivo" di tutti mobili della stessa stanza del mobile
contaminato seguito da una puntuale manutenzione preventiva con i migliori prodotti antitarlo,
piuttosto che l'estenuante disillusione annuale di fronte a nuovi fori nonostante i nostri
perpetui sforzi..Chiaramente se siete esperti di materiali lignei saprete valutare da voi se
qualche mobile può venire escluso dal trattamento in quanto costruito in essenze non
predilette da insetti xilofagi. Buona fortuna comunque..Silvia
Bene Silvia...penso che tu abbia eliminato il problema;di solito la camera stagna è la soluzione
più definitiva. Io personalmente la uso sempre, a meno che non sia impossibile infilarvi
l'oggetto;ho parlato dei metodi antitarlo "convenzionali" perché sono pochi, in realtà, a
disporre della camera stagna, e soprattutto perché alcuni dei gas usati per la disinfestazione
sono estremamente nocivi, se usati impropriamente. Comunque ho ricevuto varie email, con
richieste di chiarimenti, per cui mi sembra giusto approfondire un concetto. I tarlicidi
"commerciali" agiscono in due modi:innanzitutto diffondendosi nel legno per capillarità,e
parallelamente creando,per evaporazione,vapori tossici per i tarli che penetrando nelle gallerie
eliminando gli insetti. Il principio di capillarità "funziona" sino a che c'è del liquido da
assorbire;quando il liquido è tutto assorbito,od evaporato,la penetrazione nel legno si arresta.
Il principio della occlusione con fogli di plastica della parte trattata (la c.d. "camera a gas") ha
due funzioni:la prima è quella di rallentare l`evaporazione del prodotto,migliorandone così
l'assorbimento; la seconda,quella di concentrare i vapori nel legno. Questo con danno per i
tarli...e beneficio per gli esseri umani presenti, anche se non mi stancherò mai di dire di non
fare trattamenti antitarlo nei locali adibiti al soggiorno di persone-ovvero di non soggiornare
dove sono in corso trattamenti. A questo punto è chiaro che varie applicazioni ripetute quando
la mano precedente è stata assorbita, ma non è ancora del tutto secca, garantiscono una
penetrazione nel legno molto più` profonda, ed una concentrazione di vapori molto più
efficace.
Trattamento Anitarlo
Ciao e grazie per le utilissime informazioni che si possono trovare sul sito.
La mia domanda e' la seguente:
Ho letto sul trattamento in oggetto, le varie possibiltà che ci sono per combattere i tarli.
Personalmente le conoscevo già, però, per la camera a gas,ho sempre utilizzato, al posto di un
prodotto antitarlo, l'ammoniaca pura.
E' corretto utilizzare tale prodotto o sono meglio i prodotti già preparati che si trovano in
commercio?
Ringraziando anticipatamente per la risposta, saluto tutti
Giampietro giovedì 7 marzo 2002 - 14.54.13
Risponde: Pino
A mio modo di vedere occorre utilizzare prodotti antitarlo specifici e possibilmente non nocivi
per l'uomo. questi prodotti, la cui efficacia migliora con la camera a gas, hanno il vantaggio di
essere studiati per una agevole penetrazione nelle fibre del legno, quindi applicati anche a
pennello sul mobile, danneggiano poco le finiture o la patina, e penetrano in profondità nelle
fibre. La camera a gas migliora poi il loro risultato.
Io uso prodotti a bassa nocività e ad alta capacità di penetrazione nelle fibre; si tratta di
prodotti specialistici commercializzati da Sinopia di Cartiglione Torinese (sinotar) e da Bresciani
srl di Milano (protector N). Ti consiglio un'occhiata al sito internet di Bresciani molto bello con
un catalogo veramente dettagliato. Il principio attivo è la permetrina veicolato da solventi a
bassa tossicità ed inodori, con alta capacità di penetrazione capillare. Ovviamente l'azione
migliora se, una volta applicato, chiudi il tutto in camera a gas (nailon sigillato nel migliore dei
modi con all'interno, oltre al pezzo da disinfestare un vasetto contenente uno straccio ben
imbevuto del prodotto) e lo lasci una ventina di giorni, ripetendo eventualmente l'operazione.
Il periodo migliore è l'autunno e la primavera. Buona caccia! Pino.
Risponde: Milo
L' ammoniaca oltre ad avere uno scarso potere penetrante non volatilizza e permane sulla
superficie del legno imbibendolo in maniera deleteria : alterazione della finitura e
rigonfiamento; essa non è inoltre particolarmente nociva per gli insetti xilofagi . Ti consiglierei
di usare prodotti specifici che contengano un principio attivo efficace veicolato da un solvente
ad alto potere penetrante ma al contempo volatile, che intacchi il meno possibile la finitura in
questione... se non dovessi trovare prodotti soddisfacenti in commercio prova con permetrina
in acquaragia al 3 %, va usata preferibilmente su mobili da sverniciare o ancor meglio già
sverniciati, ma come antitarlo è una bomba! ciao..
Milo giovedì 7 marzo 2002 - 22.37.34
Replica : Giampiero
Grazie a Pino e Milo che con le loro risposte mi hanno chiarito le idee. Abbandonerò'
sicuramente l'ammoniaca pura e utilizzerò' i prodotti da voi consigliati.
Visto che non li conosco vi sarei veramente grato se vorrete indicarmi qualche nome o qualche
marca di prodotti (da voi già sperimentati) facilmente reperibili in commercio.
Saluti a tutti, Giampietro Giampietro martedì 12 marzo 2002 - 16.13.30
Risponde: Serena
Non so se si possa fare pubblicità però visto che lo chiedi specificatamente io mi sono trovata
molto bene con un prodotto della" Phase" che si chiama PERMETAR (ndr. usata anche nel
Restauro di un Tavolo Impero) è permetrina dissolta in petrolio e c'è anche la versione
inodore . Ti assicuro che puoi utilizzarla anche in casa.
Provalo e mi dirai
Risponde: Pino
Esistono in commercio dei consolidanti acrilici meno invasivi del paraloid che, soprattutto,
penetrano con più facilità e creano minori problemi nelle successive operazioni di finitura. Si
possono usare sia a pennello che per immersione (meglio per immersione ove possibile).
Io uso un prodotto della Sinopia (sede in Castiglione Torinese e negozio in Torino, Lungodora
Firenze) di nome Acrilegno ed un analogo prodotto della Bresciani ( www.brescianisrl.it ) di cui
non ricordo il nome. Non so dire se siano accettati dalla Sovrintendenza ma mi era stato detto
che sono più specifici e meno invasivi del paraloid.
Pino
Risponde Vittorio
Il Paraloid va bene come consolidante del legno ed è ammesso all'uso dalla Soprintendenza.
E' consigliabile il tipo "Paraloid B-72" diluito in diluente nitro o acetone in concentrazioni che
vanno dal 10% al 30%per le siringature.
Importante è non far snervare il legno con una concentrazione eccessiva poiché ciò può
procurare tensioni interne pericolose.
Le siringature vanno eseguite gradualmente in più fasi successive e con concentrazioni
differenziate dalla più bassa alla maggiore,tali concentrazioni si possono usare anche con le
spennellature.
Buon lavoro
Tarli e umidità
Ho da poco acquistato un armadio in gattice del '700 in discrete condizioni con l'unico difetto
che sulle porte in corrispondenza dei buchi di sfarfallamento (e anche in altre zone) ci sono
macchie scure (forse muffe) dovute credo a cattiva conservazione in ambiente umido.
Qualcuno sa come posso eliminare le suddette?
Devo usare acqua ossigenata?
Grazie anticipatamente
Risponde: Pino
Difficile fare ipotesi senza vedere. Potrebbe trattarsi in alternativa di degrado in profondità del
legno, in corrispondenza dei fori del tarlo, dovuto alla impregnazione per umidità. Molte volte
lo strato superficiale protetto da finitura, anche se malandata, e l'umidità degrada la finitura,
mentre la sua penetrazione nei fori di sfarfallamento altera il legno nella parte interna non
protetta, facendo apparire le caratteristiche macchie in corrispondenza dei fori. Potrebbe anche
trattarsi di residuo di vecchi ed empirici trattamenti anti tarlo mediante iniezioni di sostanze
sbagliate. In ogni caso il pezzo sembrerebbe da pulire e se del caso da sverniciare il più
superficialmente possibile. Al seguito occorre disinfestare con chiusura in sacco per venti trenta
giorni, dopo adeguato trattamento antitarlo. Quindi occorre lasciare asciugare bene e poi
consolidare con paraloid o altro consolidante acrilico per legno. Se a seguito del procedimento
e una volta ben asciugato il mobile conserva macchie dovrà essere trattato con schiarenti nelle
parti occorrenti e uniformato nella tinta con mordenti, contenendo questi interventi nel minimo
indispensabile, quindi finito a mezza cera o gommalacca a seconda della finitura originaria e
delle sue caratteristiche.
Nel restauro del legno, a volte, si ha la necessita di replicare un elemento a rilievo es.
riprodurre o ricostruire un angolo di una cornice in stile, un particolare aggettante di un
mobile, un piede di un cassettone, un particolare di un capitello etc.
• Costruire una cassetta di legno lievemente più grande del pezzo da riprodurre in modo
da contenerlo abbondantemente (ogni faccia deve essere distante dal modello almeno
cm.1,5). La cassetta può essere un cubo o un parallelepipedo, privo di una faccia.
• Preparazione della colla siliconica (1): in un recipiente si versa la quantità di colla
sufficiente a riempire la cassetta contenente l'oggetto che si vuole replicare
• si unisce al prodotto liquido l'indurente, in rapporto uno a 10 e si mescola bene (se la
quantità d'indurente e maggiore il liquido si trasforma in gomma più velocemente).
• Si versa una piccola quantità di colla siliconica nel fondo della cassetta (almeno di
cm.1);
• si attende per almeno due o più ore per essere certi che la colla si sia trasformata in
gomma (e sempre utile attenersi alle norme indicate dall'industria);
• si sistema sopra lo strato di gomma l'oggetto e si versa la colla siliconica sino a coprirne
la meta;
• si attende il tempo necessario per la solidificazione della gomma;
• si passa con un pennello intinto d'olio su tutta la superficie di gomma per facilitarne il
distacco dal successivo stampo;
• si versa altra colla siliconica sino a coprire la seconda meta dell'oggetto rimasto
scoperto.
• Dopo che anche quest'ultima colata di colla siliconica si e trasformata in gomma, si può
togliere dalla cassetta l'oggetto avvolto nella gomma.
• Si staccano le due valve del calco elastico dall'oggetto e si può procedere alla
riproduzione (2).
All'interno dei calchi s'introduce, tramite spatole di ferro, dello strucco di legno che si trova già
pronto in commercio, prodotto da "Sintolit" (in colore chiaro e scuro). Il prodotto e venduto in
pasta e contenuto in barattoli da 125mle ed oltre . Ogni barattolo ha il suo catalizzatore che è
in rapporto con la pasta di legno come un chicco di grano ad una quantità grande come una
noce. Il prodotto si solidifica in pochi minuti ed e consigliabile aggiungere la pasta di legno allo
stampo in piccole quantità.
Per un oggetto a tutto tondo: appena i due calchi sono stati riempiti di pasta di legno, si
uniscono e si rimettono nella cassetta per ottenere un ottimo risultato. Dopo pochi minuti,
quatto o cinque, si possono togliere dalla cassetta e staccarli. Le sbavature di sutura si
eliminano subito con un taglierino (4).
dopo aver posto lo stampo di gomma nella sua controforma, si riempie con la pasta di legno
ben mescolata con il catalizzatore, dopo pochi minuti l'oggetto è riprodotto e può essere già
lavorato per le successive fasi (stuccatura, doratura etc.). Si possono adoperare anche altri
materiali per ottenere, secondo le esigenze, ottimi risultati come la scagliola, la pastiglia etc.
Per oggetti che non hanno la funzione di sostegno come per i piedi dei tavoli, se si adopera la
pasta di legno, gli oggetti possono essere anche vuoti.
Nota 1 La gomma siliconica si può trovare nei negozi che vendono prodotti per belle arti o
per restauro. E' venduta in barattoli da un litro ed oltre. Ogni barattolo e accompagnato da un
catalizzatore contenuto in un piccolo recipiente. La gomma siliconica, con l'aggiunta del
catalizzatore, vulcanizza a freddo ed e antiaderente. Si ottengono dagli stampi che sono
perfettamente fedeli all'originale sin nei minimi dettagli. (torna su)
Nota 2 I due stampi, per la loro elasticità, si staccano con grande facilita dal modello
nonostante i sottosquadri. (torna su)
Nota 3 Per il pezzo a tutto tondo, la cassetta funziona da controforma. (torna su)
Sì dice chìaramente che il Chelante (25 125 g Idranal, cioè EDTA sale bisodico) viene aggiunto
solo nel caso di uso localizzato, in presenza di Carbonati e Ossalati. Purtroppo, però, oggi non
é infrequente riscontrare che quest'aggiunta viene sempre fatta al fine di velocizzare l'azione,
senza tenere in considerazione il possibile rischio di interazione col supporto.
Per manufatti quali sculture lignee policrome, l'azione chelante può essere sfruttata per
l'assottigliamento di strati pigmentati (in quanti i pigmenti sono sali di metalli), in particolare
quando il legante sia costituito da Caseina (precisamente Caseina e Calce, cioè Calcio Cascato)
o Uovo (perché anche qui si può avere presenza di Calcio Ossalato e altri sai di Calcio).
Su altri manufatti policromi, quali appunto i dipinti, i Chelanti, in particolare l'Acido Citrico e i
suoi sali, mostrano efficace azione di pulitura.
Quest'azione é però difficile da razionalizzare solo in base al modo d'azione cha abbiamo
descritto, cioè la capacità di "sequestrare" ioni metallici.
É vero che il generico "sporco" di deposito é in parte costituito da elementi inorganici:
particelle di Ossidi metallici disgregati e particelle di Carbonio, in generale tenute coese
dall'altra componente dello sporco, quella lipofila, costituita da idrocarburi, grassi, ecc.
Sulla parte inorganica il Chelante può agire complessandone gli ioni metallici, tuttavia questo
non é sufficiente a spiegare l'azione di pulitura.
Due ricercatori Inglesi hanno fornito un'ottima interpretazione al meccanismo d'azione in
questi casi , che prende in considerazione la natura di poli elettroliti di queste sostanze: cioè il
fatto che siano ioni con numerose cariche negative.
L'interpretazione fornita può essere riassunta così.
Nel caso della pulitura di una superficie, i Tensioattivi non sono gli unici composti ad avere
attività superficiale: anche ioni con molte cariche negative (come sono appunto i sali dell'EDTA,
i Citrati, e il Sodio Tripolifosfato) mostrano assorbimento preferenziale alle interfacce. Già
quest'azione può contribuire a diminuire la Tensione Interfacciale, e di conseguenza a rendere
la superficie più bagnabile.
Ma c'è un'azione più profonda che possiamo descrivere in questo modo:
- questi ioni possono agire in modo da neutralizzare elettrostaticamente uno strato di vernice,
così da favorire il distacco del materiale dideposito;
- la repulsione elettrostatica tra le cariche dello stesso segno, che si sono depositate sulla
superficie, fa si che lo strato di deposito cominci a disgregarsi e i frammenti passino nella fase
acquosa;
Anche nel caso della pulitura di una vernice é fondamentale valutare la possibile interazione
con strati pigmentati originari.
Vista la minore attività chelante, l'Acido Citrico é più raccomandabile dell'EDTA.
Diciamo che la semplice azione chelante può non essere sufficiente ad ottenere il livello di
pulitura desiderato, ma diventa senz'altro una componente fondamentale: l'ambiente alcalino
(che tra l'altro serve ad ottenere l'anione del Chelante), l'attività detergente svolta da un
Tensioattivo, e l'attività chelante possono spesso portare, in ambiente acquoso, ad un risultato
paragonabile a quello che si otterrebbe con solventi organici.
- il fatto che i Chelanti, in quanto poli elettroliti, possono avere effica ce interazione con le
proteine, anch'esse poli elettroliti, e quest'interazione influisce sulla solubilità;
- e il fatto che le proteine sono spesso associate a ioni metallici (a mag gior ragione nel caso di
applicazione a beni artistici), suscettibili all'azione complessante di un Chelante.
Questo gel si dimostra sempre decisamente più attivo di uno simile, ma addensato con Eteri di
Cellulosa, e questa differenza non é spiegabile solo in termini di maggiore viscosità (e quindi
migliore ritenzione del mezzo acquoso). Come sempre nel caso del Carbopol, si ipotizza un
ruolo attivo dell'addensante stesso, verosimilmente causato dalle sue proprietà acide.
In alcuni casi si é verificata l'abilità di gel Chelanti a produrre ammorbidimento di ridipinture al
Caseinato su pittura mirale a buon fresco.
Pur senza arrivare a completa dissoluzione, l'applicazione consentiva di ottenere notevole
ammorbidimento dello strato, che poteva così essere asportato meccanicamente in modo
molto più agevole.
II gel era come quello sopra descritto, solo con EDTA invece di Acido Citrico, e con aggiunta di
solventi organici che aiutano nel rigonfiamento del materiale proteico: 5 ml di Dimetilsolfossido
e 5 di Alcool Benzilico.
Prima di scegliere il consolidante bisognerà valutare alcuni aspetti fondamentali: In primo luogo
occorrerà considerare i danni che tali sostanze possono procurare al mobile, come ad esempio
disomogeneo alle pareti del legno, tirandolo e provocando di conseguenza una deformazione),
gli effetti negativi che possono avere degradandosi (riducendosi allo stato di polvere all'interno
del legno), o i danni che la mancanza di plasticità di un determinato consolidante può produrre
(non adattandosi ai movimenti naturali dei legno possono prodursi rotture). D'altra parte,
bisognerà evitare che il loro peso specifico possa alterare, per eccesso, il peso totale
dell'oggetto. È poi necessario tenere presente che i consolidanti acquosi, come la colla
animale, possono aumentare l'umidità contenuta nelle cellule del legno e che le resine
termoindurenti (ossia che non solidificano per evaporazione di un solvente ma per reazione tra
due componenti) liberano calore, determinando un repentino e non sempre positivo aumento
estetiche al legno, conferendogli una brillantezza impropria o una diversa caratteristica tattile.
In secondo luogo bisognerà valutare la penetrabilità del consolidante. È necessario che abbia
un grande potere di penetrazione, affinché possa raggiungere tutte le gallerie del legno senza
dover praticare nuovi fori, ingrandire quelli già esistenti o dover sommergere l'oggetto in un
bagno di consolidante (soluzione che non risulta quasi mai praticabile poiché, oltre a non poter
essere applicata a mobili grandi, potrebbe danneggiare gli altri materiali che compongono il
mobile).
Un altro modo di potenziare la penetrabilità del prodotto consiste nel mettere il mobile
sottovuoto mentre si sta consolidando (operazione non facile data la complessità e l'elevato
tingere, che agisca come adesivo e conferisca la consistenza necessaria richiesta da ogni caso
specifico (che dovrà essere maggiore nelle zone strutturali), e che sia quanto più reversibile
possibile. In relazione a quest'ultimo punto è noto che alcuni consolidanti sono reversibili in
un'operazione praticamente irrealizzabile visti i danni che provocherebbe non solo al legno ma
anche alle tinture, alle vernici ecc. Per portare a termine quest'operazione bisognerebbe inoltre
porre l'oggetto sottovuoto al fine di estrarre il consolidante (già allo stato solido) da tutti i
meandri del legno. Si tratta di un metodo eccessivamente traumatico per l'opera (allo stato
attuale della tecnologia applicata al restauro) per poter essere preso in considerazione.
In definitiva il restauratore deve sapere che quando utilizza un consolidante compie
un'operazione quasi sempre irreversibile, dato che ciò che viene introdotto nella materia
difficilmente potrà essere estratto da essa. I consolidanti utilizzati nel restauro possono essere
Consolidanti naturali
Colla animale
Cera d'api
È prodotta dalle api in forma di favi. Si usa come consolidante introducendola a caldo
nell'oggetto sia attraverso gli interstizi del legno, per iniezione, sia immergendo
l'oggetto in un bagno di cera calda. L'immersione non è possibile per un oggetto di
grandi dimensioni o che presenti materiali che possano venire intaccati dalla cera calda.
E' solubile in solventi organici: essenza di trementina, trielina e, parzialmente, in alcol
caldo. La cera d'api ha il vantaggio di essere il materiale organico più durevole e stabile
che esista. E insensibile alla contaminazione, ai cambiamenti ambientali e all'umidità.
Non provoca contrazioni. Tra i suoi inconvenienti come consolidante segnaliamo la sua
scarsa penetrabilità e i l fatto che attrae la polvere. La cera d'api non può essere
impiegata quando la materia da consolidare svolge funzioni di sostegno. La sua tossicità
dipende dal solvente
Consolidanti sintetici
All'interno della grande varietà di resine sintetiche che possono essere utilizzate come
consolidanti ci limiteremo a segnalare quelle più utilizzate, i cui risultati siano stati
provati scientificamente e riconosciuti ad oggi idonei.
Paraloid B72
Si tratta di una resina acrilica chiamata anche Acriloid B72. È solubile in solventi
idrocarburici (toluene, xilene ecc.) e può esserlo anche in alcol etilico. II Paraloid è stato
ampiamente studiato a livello scientifico come consolidante del legno e di molti altri
elementi che costituiscono il mobile. Tra i suoi vantaggi segnaliamo la flessibilità, il fatto
che non attrae la polvere, non produce deformazioni plastiche ed è molto stabile. Uno
dei suoi inconvenienti è che conferisce al mobile un aspetto plastificato poco naturale.
Non può essere utilizzato nei casi in cui è necessaria una notevole resistenza
strutturale. La sua reversibilità è ipotetica per i motivi già esposti e sia il suo grado di
penetrabilità sia la sua tossicità variano a seconda del solvente impiegato.
Se si applicano in grandi quantità, si corre il rischio che si secchino gli strati superficiali,
formando una pellicola che isolerà gli strati interni impedendo che questi a loro volta si
secchino. La loro tossicità varia a seconda del solvente utilizzato. Questi prodotti non
sono quasi mai commercializzati allo stato puro, ma vengono di solito sofisticati.
Resina epossidica.
Si inizia ad utilizzare come consolidante del legno a partire dal 1950. E' composta da
una resina epossidica propriamente detta e da un indurente che, quando vengono uniti,
induriscono a temperatura ambiente liberando calore (per questo motivo tali resine si
chiamano termoindurenti). Queste resine hanno un grande potere di penetrazione. Sono
ideali per consolidare le parti strutturali del mobile poiché trasmettono grande
resistenza al materiale a cui vengono applicate. Non contenendo solvente, non si
contraggono asciugandosi, motivo per cui non trasmettono tensioni al legno. Hanno un
basso peso molecolare. Teoricamente sono reversibili se sottoposte a temperature tra i
100 e i 160 °C o mediante un trattamento prolungato a base di di-cloro metano o di-
metilformammide a caldo. Trattamenti che sono però impraticabili in quanto
danneggerebbero il mobile. Tra gli inconvenienti segnaliamo che tendono ad ingiallire
con il tempo (fenomeno che si accentua in quelli sofisticati commercialmente),
provocando un mutamento cromatico nell'oggetto trattato. Per di più sono tossiche
poiché tra i componenti che si utilizzano nella loro preparazione, al fine di indurirle, ci
sono le ammine, che causano forti irritazioni alla pelle. Vengono inoltre intaccate
dall'umidità, sono irreversibili poiché non più solubili in nessun tipo di solvente e
liberano calore al momento della reazione tra i componenti, motivo per cui possono
essere dannose per il materiale consolidato.
Cera polietilenglicolica.
Non sono incluse in questa sezione molte altre sostanze: alcune, che pure sono state
largamente impiegate come consolidanti per il legno, a causa dei loro risultati negativi;
altre, invece, perché hanno avuto un periodo di sperimentazione a tutt'oggi troppo
breve.
PARALOID B67 isobutil-metacrilato Forma un film leggermente più duro del B72. Utilizzato
in miscela con altre resine per aumentare la durezza
superficiale. Co,patibile con resine alchidiche, medie e
lungo olio. Solubile in white spirit, toluolo, xilolo ecc.