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OPERE DI ORIGENE

XI/6

Origene

COMMENTO A MATTEO
Series / 2

A cura di G u id o B e n d in e l l i

Traduzione di ROSARIO SCOGNAMIGLIO


Note di commento di MARIA IGNAZIA DANIELI

Città Nuova
2006
ΤΑ ΩΡΙΓΕΝΟΥΣ ΣΩΖΟΜΕΝΑ
ια'/6

Origenis

COMMENTARIORUM
SERIES
IN MATTHAEUM
C uravit G u id o B e n d in e l l i

MMVI
Testo latino (con frammenti greci) GCS, © Hinrich’sche Buchhandlung,
Leipzig 1933: Origenes Werke, elfter Band, Origenes Matthduserklàmng,
II, Die lateiniscbe Ubersetzung der Commentariorum series, hrsg. von
Erich Klostermann, pp. 174-299.

© 2006, Città Nuova Editrice - Via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma
tel. 063216212 - e-mail: comm.editrice@cittanuova.it

ISBN 88-311-9524-7

Finito di stampare nel mese di marzo 2006


dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M.
Via S. Romano in Garfagnana, 23
00148 Roma - tel. 066530467
e-mail: segr.tipografia@cittanuova.it
NOTA EDITORIALE

Come indicato a p. 6 del presente volume, il testo (con frammen­


ti greci) su cui è condotta la nostra versione italiana è quello dell’edi­
zione critica di E. Klostermann nella serie GCS (= Origenes Werke,
XI/II). Questa edizione di CMtS (del 1933), da tempo esaurita, è stata
presentata in ristampa anastatica nel 1976 a cura di Ursula Treu. A dire
della stessa curatrice, questa ristampa («Auflage») non ha subito alcu­
na modifica o aggiunta sigificativa rispetto alla prima edizione del
Klostermann, ragion per cui abbiamo preferito riprodurre il testo di
quella. Si sono solo inserite le maiuscole di termini riferiti a Dio o alle
Persone trinitarie (Deus, Dominus, Pater, Filius, Salvator, ecc.). Si sono
inoltre lasciate nel testo, tra parentesi uncinate, solo le integrazioni del­
l’editore tedesco da noi accolte e adottate nella traduzione italiana.
In molti casi, nell’edizione Klostermann, il testo della versione
latina è affiancato, in corrispondenza di senso, da frammenti greci. In
larga misura essi derivano da molteplice materiale attribuito ad
Origene, presente in catene greche non solo su Matteo, ma anche su
Luca e Marco (designate con le sigle Cb, Cc, O, Cv, Cmarc, Cluc). Un
cospicuo numero di frammenti risale ad un commento su Matteo di
scolli anonimi, compilato da un certo Pietro di Laodicea (ed. Heinrici
1908; sigla Π); un altro gruppo deriva da una compilazione dello stes­
so genere, tramandata sotto il nome di Vittore di Antiochia (ed.
Matthaei 1775; sigla B).
Si è ritenuto utile riportare e tradurre questi frammenti nella
medesima disposizione di Klostermann, perché, da una parte, sono
ulteriore conferma della sostanziale fedeltà di CMtS al testo originale
greco; dall’altra, aiutano in alcuni casi a meglio intendere il senso della
versione latina.
SIGLE DEI LIBRI DELLA BIBBIA
(latin o )

Abd. Abdias Lc. Evangelium secundum Lu­


Act. Actus Apostolorum cam
Ag. Aggaeus Lev. Leviticus
Am. Amos
Apoc. Apocalypsis 1 Mach. I Machabeorum liber
2 Mach. II Machabeorum liber
Bar. Baruch Mal. Malachia
Mc. Evangelium secundum Mar­
Cant. Canticum Canticorum cum
Col. ad Colossenses epistula Mich. Michaeas
1 Cor. I ad Corinthios epistula Mt. Evangelium secundum Mat­
2 Cor. II ad Corinthios epistula thaeum

Dan. Daniel Nah. Nahum


Deut. Deuteronomium Num. Numeri

Eccle. Ecclesiastes Os. Osee


Eccli. Ecclesiasticus
Eph. ad Ephesios epistula 1 Par. I Paralipomenon lib.
1 Esd. I Esdrae liber 2 Par. II Paralipomenon lib.
2 Esd. II Esdrae liber, qui dicitur Phil. ad Philippenses epistula
Nehemiae Philem. ad Philemonem epistula
Est. Esther Prov. Proverbia
Ex. Exodus Ps. Psalmorum liber
Ez. Ezechiel 1 Petr. I Petri epistula
2 Petr. II Petri epistula
Gal. ad Galatas epistula
Gen. Genesis Rom. ad Romanos epistula
1 Reg. I Regum liber (I Samuel)
Hab. Habacuc 2 Reg. II Regum liber (II Samuel)
Heb. ad Hebraeos epistula 3 Reg. III (I) Regum liber
4 Reg. IV (II) Regum liber
Iac. Iacobi epistula Rut. Ruth liber
Ier. Ieremias
Io. Evangelium secundum Io- Sap. Sapientia
annem Soph. Sophonias
Ilo . I Ioannis epistula
2 Io. II Ioannis epistula 1 Thess. I ad Thessalonicenses epist.
3 Io. III Ioannis epistula 2 Thess. Π ad Thessalonicenses epist.
Iob Iob Thren. Threni, id est Lamentatio­
Ioe. Ioél nes
Ion. Ionas 1 Tim. I ad Timotheum epist.
Ios. Iosue 2 Tim. II ad Timotheum epist.
Is. Isaias Tit. ad Titum epist.
Iu. Iudae Tob. Tobias
Iud. Iudith
Iudic. Iudicum liber Zach. Zacharias
SIGLE DEI LIBRI DELLA BIBBIA
(italian o )

Ab Abacuc Is Isaia
Abd Abdia
Ag Aggeo Lam Lamentazioni
Am Amos Lv Levitico
Ap Apocalisse Le Luca
At Atti
1 Mac 1 Maccabei
Bar Baruc 2 Mac 2 Maccabei
MI Malachia
Ct Cantico Me Marco
Col Colossesi Mt Matteo
1 Cor 1 Corinzi Mi Michea
2 Cor 2 Corinzi
1 Cr 1 Cronache Na Naum
2 Cr 2 Cronache Ne Neemia
Nm Numeri
Dn Daniele
Dt Deuteronomio Os Osea

Eb Ebrei lP t 1 Pietro
Ef Efesini 2Pt 2 Pietro
Esd Esdra Pr Proverbi
Es Esodo Qo Qoèlet
Est Ester
Ez Ezechiele 1 Re 1 Re
2 Re 2 Re
Fm Filemone Rm Romani
FU Filippesi Rt Rut
Gal Galati Sai Salmi
Gn Genesi 1 Sam 1 Samuele
Ger Geremia 2 Sam 2 Samuele
Gc Giacomo Sap Sapienza
Gb Giobbe Sir Siracide
Gl Gioele Sof Sofonia
Gio Giona
Gv Giovanni 1 Ts 1 Tessalonicesi
1 Gv 1 Giovanni 2 Ts 2 Tessalonicesi
2 Gv 2 Giovanni 1 Tm 1 Timoteo
3 Gv 3 Giovanni 2 Tm 2 Timoteo
Gs Giosuè Tt Tito
Gd Giuda Tb Tobia
Gdc Giudici
Gdt Giuditta Zc Zaccaria
SIGLE E ABBREVIAZIONI

A b b r e v ia z io n i d e l l e o p e r e o r i g e n ia n e

CC Contro Celso
CCol Commento ai Colossesi
CCt Commento al Cantico dei Cantici
CEz Commento a Ezechiele
CG&l Commento ai Galati
CGn Commento a Genesi
Ciò Commento a Giovanni (nelle citazioni è indicato il
libro e il paragrafo)
CMt Commento a Matteo
CMtS Serie (lat.) del Commento a Matteo
COs Commento a Osea
CPh Commento a Filemone
CPs Commento ai Salmi
CRm Commento alla Lettera ai Romani
CRmT Commento alla Lettera ai Romani (Papiro di Tura)
ClTs Commento alla I Lettera ai Tessalonicesi
CTt Commento alla Lettera a Tito
Dtal Dialogo con Eraclide
EM Esortazione al Martirio
EpAfr Lettera a Giulio Africano
EpCar Lettera agli amici di Alessandria
EpGr Lettera a Gregorio
FrCor Frammenti sulla I Lettera ai Corinti
FrCt Frammenti sul Cantico dei Cantici
FrDt Frammenti sul Deuteronomio
FrEph Frammenti sulla Lettera agli Efesini
FrEx Frammenti sull’Esodo
FrEz Frammenti su Ezechiele
FrGn Frammenti su Genesi
Frler Frammenti su Geremia
Frlo Frammenti su Giovanni
Frlob Frammenti su Giobbe
Frlos Frammenti su Giosuè
Friud Frammenti ai Giudici
FrLam Frammenti sulle Lamentazioni
FrLc Frammenti su Luca
FrLv Frammenti sul Levitico
12 SIG LE E A BBREV IA ZIO N I

FrMt Frammenti su Matteo


FrPr Frammenti sui Proverbi
FrPs Frammenti sui Salmi
FrRe Frammenti sui Re
FrRm Frammenti sulla Lettera ai Romani
HCt Omelie sul Cantico dei Cantici
HEx Omelie sull’Esodo
HEz Omelie su Ezechiele
HGn Omelie su Genesi
HHeb Omelie sulla Lettera agli Ebrei
Hler Omelie su Geremia
HlerL Omelie latine su Geremia
HIos Omelie su Giosuè
HIs Omelie su Isaia
Hlud Omelie sui Giudici
HLc Omelie su Luca
HLv Omelie sul Levitico
HNm Omelie sui Numeri
HReG Omelia sul I Libro dei Re (gr.)
HReL Omelia sul I Libro dei Re (lat.)
H36/37/38Ps Omelie sui Salmi 36, 37, 38
Orat La preghiera
Pas La Pasqua
Phil Filocalia
Prin I Principi
ProlPsFr Frammenti sui Prologhi dei Salmi
Res La resurrezione
SchApc Scolli sull’Apocalisse
Strom Stromati
Inoltre:
PanOrat Discorso di ringraziamento

A l t r e s i g l e e a b b r e v ia z io n i

ASE Annali di storia dell’esegesi, Bologna.


Blaise Dictionnaire latin-frangais des Auteurs Chrétiens,
Turnhout1993.
BLE Bulletin de Littérature Ecclésiastique, Toulouse.
CrSt Cristianesimo nella storia, Bologna.
DBS Dictionnaire de la Bible, Supplément, Paris.
DO Origene. Dizionario, a cura di A. Monaci Casta­
gno, Roma 2000.
DPAC Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, Casa­
le Monferrato 1994.
DS Dictionnaire de Spiritualité, Paris.
DSBP Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica, Roma.
SIG L E E A BBREV IA ZIO N I 13

EDB Edizioni Dehoniane, Bologna.


EphThLov Ephemerides Theologicae Lovanienses, Leuven.
GCS Die Griechischen Christlichen Schriftsteller der ersten
drei ]ahrhunderte, Leipzig.
JThS Journal of Theological Studies, Oxford.
LTP Lavai Théologique et Philosophique, Lavai.
NRT Nouvelle Revue Théologique, Tournai.
Orig. Origeniana prima, in Quaderni di VetChr 12, Bari
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Orig. II Origeniana secunda, a cura di H. Crouzel - A.
Quacquarelli, Roma 1980.
Orig. Ili Origeniana tertia, a cura di R. Hanson - H.
Crouzel, Roma 1985.
Orig. IV Origeniana quarta, a cura di L. Lies, Inns-
bruck/Wien 1987.
Orig. V Origeniana quinta, a cura di R.J. Daly, Leuven
1992.
Orig. VI Origeniana sexta, a cura di G. Dorivai - A. Le
Boulluec, Leuven 1995.
Orig. VII Origeniana septima, a cura di W.A. Bienert - U.
Kiihneweg, Leuven 1999.
Orig. VIII Origeniana octava, a cura di L. Perrone, Leuven
2003.
PG Patrologia Graeca, Paris.
PL Patrologia Latina, Paris.
PSV Parola, Spirito e Vita, Bologna.
RB Revue Biblique, Paris.
RHPhR Revue d’histoire et de philosophie religieuses, Paris.
RivBiblIt Rivista Biblica, Bologna.
RSR Recherches de Science Religieuse, Paris.
RTPh Revue de Théologie et de Philosophie, Lausanne.
SC Sources Chrétiennes, Paris.
StPatr Studia Patristica, in Atti delle conferenze patristiche
internazionali di Oxford.
TU Texte und Untersuchungen zur Geschichte der alt-
christlichen Literatur, Leipzig-Berlin.
ThQ Theologische Quartalschrift, Tiibingen.
VetChr Vetera Christianorum, Bari.
BIBLIOGRAFIA

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Opere di Origene citate

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Roma 2005 (= Simonetti 2005).
Homélies sur Josué, a cura di A. Jaubert, SC 71, Paris 1960.
Homélies sur Samuel, a cura di P.-M.T. Nautin, SC 328, Paris 1986.
In librum Regum Homilia II: PG 12, 1011-1028; Omelia sul I libro dei
Re (gr.), in Origene - Eustazio - Gregorio di Nissa, La maga di En-
dor, a cura di M. Simonetti, Firenze 1989 (= HReG).
Fragmenta in lob: PG 12, 1031-1050 (= Frlob).
Omelie sui Salmi (Homiliae in Psalmos XXXVI-XXXVII-XXXVIII), à
cura di E. Prinzivalli, Firenze 1991 (= Prinzivalli 1991).
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Commento di Origene al Cantico dei Cantici nella tradizione catenaria,
a cura di M.A. Barbèra, Messina 2002 (= Barbara).
Fragmenta in Threnos·. PG 13, 605-662 (= FrLam).
Fragmenta in Ezechielem: PG 13, 767-826 (- FrEz).
In Matthaeum Commentarii, in Oie Matthàuserklàrung, 1, Die grie-
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1), Leipzig 1941; Indices, a cura di E. Klostermann - L. Friichtel,
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Treu, GCS 41, 2 (XII, 2), Berlin 1968.
Commentane sur l’Évangile selon Matthieu I (livres X et XI), a cura di
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di M. Harl - N. De Lange, SC 302, Paris 1983 (= Harl 1983).
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1976 (= Junod).

Altri autori antichi

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Clemente Alessandrino, Les Stromates VI, a cura di P. Descourtieux,
SC 446, Paris 1999.
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A Diognète, a cura di H.I. Marrou, SC 33, Paris 1951 (= Marrou).
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Decreta, a cura di G. Alberigo et alii, Bologna 1991, pp. 177-182.
Filone, De Cherubim, a cura di J. Gorez, Paris 1963 (= cher.).
-, De ebrietate. De sobrietate, a cura di J. Gorez, Paris 1962 (= ebr.).
-, De praemiis et poenis. De exsecrationibus, a cura di A. Beckaert, Pa­
ris 1961 (= praem.).
-, De somniis, a cura di P. Savinel, Paris 1962 (= somn.).
-, De specialibus legibus, a cura di A. Mosès, Paris 1970 (= spec.).
-, La migration d’Abraham, a cura di R. Cadiou, Paris 1957 (= migr.).
-, Legatio ad Caium, a cura di A. Pelletier, Paris 1972 (= legatio).
-, Quaestiones in Exodum, a cura di A. Terian, Paris 1992 (= QH).
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bilis, a cura di A. Mosès, Paris 1963 (= quod Deus).
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Gregorio di Nissa, In diem natalem Christi·. PG 46, 1127-1150.
-, Oratio catechetica magna·. PG 45, 9-106.
Ignace d’Antioche, Lettres - Martyre de Polycarpe, a cura di PTh. Ca-
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Pascasio Radberto, In Matthaeum·. PL 120.
Plotino, Enneadi, a cura di G. Faggin - G. Reale - R. Radice, Milano
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Leipzig 1960.
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cura di A. D ’Anna, Brescia 2001 (= D ’Anna).
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Altre opere

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A. Hahn - G.L. Hahn, Bibliotek der Symbole und Glaubensregeln der
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The Commentary ofOrigen upon thè Epistle to thè Ephesians (Fragmen­


ta), a cura di J.A.F. Gregg, in JITiS III (1902), pp. 233-244.398­
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Origen on I Corinthians (Fragmenta), a cura di C. Jenkins, in JThS IX
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T r a d u z io n i

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Stuttgart 1983 (= Vogt 1983); II, Stuttgart 1990; III, Commenta­
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Commento al Cantico dei Cantici, a cura di M. Simonetti, Roma 1976.
Commento alla Lettera ai Komani, a cura di F. Cocchini, I (libri I-VII),
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Esortazione al martirio. Omelie sul Cantico dei cantici, a cura di N. An-
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Omelia Vili di Origene sopra l’Evangelio di san Giovanni, volgarizzata
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Omelie sul Levitico, a cura di M.I. Danieli, Roma 1985.
Omelie sui Numeri, a cura di M.I. Danieli, Roma 1988.
Omelie su Giosuè, a cura di R. Scognamiglio - M.I. Danieli, Roma 1993.
Omelie sui Giudici, a cura di M.I. Danieli, Roma 1992.
Omelie su Isaia, a cura di M.I. Danieli, Roma 1996.
Omelie su Geremia, a cura di L. Mortari, Roma 1995.
Omelie su Ezechiele, a cura di N. Antoniono, Roma 1987.
Omelie sul Cantico dei Cantici, a cura di M.I. Danieli, Roma 1990.
Omelie sul Cantico dei Cantici, a cura di M. Simonetti, Milano 1998 (= Si­
monetti 1998a).
Commento al Vangelo di Giovanni, a cura di E. Corsini, Torino 1968
(= Corsini 1968).
Contro Celso, a cura di A. Colonna, Torino 1971.
frammenti sulla Lettera agli Efesini, in Bibita - Lettera agli Efesini, a cu­
ra di U. Neri, Bologna 1995 (= Neri 1995).
I principi, a cura di M. Simonetti, Torino 1968 (= Simonetti 1968).
La preghiera, a cura di N. Antoniono, Roma 1997.
Sulla Pasqua - Il papiro di Tura, a cura di G. Sgherri, Milano 1989.
Testi ermeneutici, a cura di U. Neri, Bologna 1996 (= Neri 1996).

Altri autori antichi

Ambrosiaster, Commento alla prima lettera ai Corinti, a cura di L. Fa­


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Basilio, in Opere ascetiche, a cura di U. Neri - M.B. Artioli, Torino
1980: Morali, pp. 99-209; Regole brevi, pp. 333-511.
N. Cabasilas, La vita in Cristo, a cura di U. Neri - M. Gallo, Roma 2000.
Clemente Alessandrino, Quale ricco si salverà?, a cura di M.G. Bianco,
Roma 1999.
La Didachè, a cura di U. Mattioli, Ancona 1965.
Didimo il Cieco, Lezioni sui Salmi. Il Commento ai Salmi scoperto a Tu­
ra, a cura di E. Prinzivalli, Milano 2005.
Efrem il Siro, Inni pasquali - Sugli azzimi. Sulla crocifissione. Sulla risur­
rezione, a cura di I. De Francesco, Milano 2001.
BIBLIO G RA FIA 19

-, Inni sulla Natività e sull'Epifania, a cura di I. De Francesco, Milano


2003.
Eusebio, Storia Ecclesiastica I-II, a cura di F. Migliore - G. Lo Castro,
Roma 2001.
Filone, La creazione del mondo. Le allegorie delle leggi, a cura di G.
Reale - G. Calvetti - R. Bigatti, Milano 1978 (= leg. all).
Girolamo, Commento al Vangelo di Matteo, a cura di S. Aliquò - S. Co­
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Ignazio di Loyola, Gli scritti, a cura di M. Gioia, Torino 1988.
Ilario di Poitiers, Commentario a Matteo, a cura di L. Longobardo, Ro­
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Ireneo di Lione, Contro le eresie e gli altri scritti, a cura di E. Bellini,
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Massimo il Confessore, Meditazioni sull’agonia di Gesù, a cura di A.
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Altre opere

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T.R. Ashley, The Book of Numbers, Grand Rapids, Michigan, 1993
(= Ashley).
P. Bonnard, L’Évangile selon Matthieu, Neuchàtel 1970 (- Bonnard).
S.P Carbone - G. Rizzi, Aggeo-Gioele-Giona-Malachia, Bologna 2001
(= Carbone-Rizzi).
E. Corsini, Apocalisse prima e dopo, Torino 1993 (= Corsini 1993).
Giona/Biblia AT 35, a cura di G. Sgargi, Bologna 2004.
Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di M. Erbetta: 1/1, Casale
Monferrato 1982; 1/2, Genova 1992; II, Genova 1983.
Il Cantico dei Cantici. Targum e antiche interpretazioni ebraiche, a cura
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Il viaggio di Giona. Targum, Midrash, Commento di Rashi, a cura di C.
Bedini - A. BigareUi, Roma 1999.
I manoscritti di Qumràn, a cura di L. Moraldi, Torino 1986.
La Bible d’Alexandrie 2: L’Exode, a cura di A. Le Boulluec - P. Sande-
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COMMENTARIORUM SERIES IN MATTHAEUM
COMMENTO A MATTEO
COMMENTARIORUM SERIES IN MATTHAEUM

74. Et factum est postquam consummavit Iesus omnes sermones


bos, dixit discipulis suis
Volens ostendere quod omnia in pondere et numero et mensura 2
constituit Deus, dicit in aliquo loco ad matrem suam: Nondum venit
hora mea 3; item: Nunc anima mea turbatur, et quid dicam? pater, salva
me ex hac hora. Sed propter hoc veni in hanc horam 4; item: Pater, venit
175 hora; clarifica filium tuum, ut et filius tuus clarificet te 5; sic et horam
constituit passionis filii sui. Ideo etsi frequenter insidias passus est a Iu-
daeis, nihil potuit pati discedente ab eo diabolo usque ad tempus 6et ni­
hil pati poterat, donec consummaret omnes sermones suos, quos pro­
posuerat dicere discipulis suis. Propterea postquam consummavit om­
nes sermones hos, tunc dixit discipulis suis. Et vide quia non dixit sim­
pliciter postquam consummavit omnes sermones, sed addidit hos omnes,
id est quos iam locutus fuerat, non quos adhuc fuerat locuturus. Adhuc
enim oportebat eum etiam alios loqui sermones, priusquam traderetur,
et in Bethania in domo Simonis leprosi de muliere accedente ad se 7,
item et pascha facere cum discipulis suis 8 et convincere proditorem la­
tentem 9 et gratias agere et porrigere eis panem et calicem 10. Oporte­
bat eum et praedicere discipulis suis quod essent scandalizandi n , et
Petro quoniam ante galli cantum ter fuerat negaturus 12. Adhuc autem
oportebat eum hora adpropinquante magis orare, non semel nec bis
sed ter, donec hora plenius adveniret 13.

1 Mt. 26,1. 2 Cf. Sap. 11,20. 3 Io. 2,4. 4 i G i 2, 17. 5 Io.


17, 1. 6 Lc. 4, 13. 7 Cf. Mt. 26, 17ss. 8 Cf. Mt. 26, 20ss. 9 Cf.
Mt. 26, 26ss. 10 Cf. Mt. 26, 30ss. 11 Cf. Mt. 26, 31s. 12 Cf. Mt. 26,
33ss. 13 Cf. Mt. 26, 36ss.

(1) Pater, venit hora... Horam constituit passionis Filii sui. Origene rad
più testi a conferma dell’unicità di quell’ora attesa: da Cana, prima manifestazio­
ne della gloria, al turbamento e alla preghiera di Gesù ancora ricordati in testi
giovannei (cf. Gv 2; 12; 17), fino al passaggio decisivo del vangelo di Luca che
conclude la scena delle tentazioni: Il diavolo si allontanò da Gesù fino al tempo
fissato - άχρι καιροί - (Lc 4, 13); viene così ripercorso tutto l’arco redentivo,
fino alla passione che ne costituisce il vertice; se nelle tentazioni iniziali il
Salvatore vince il diavolo martello della terra intera, «quando, sopraggiunto il
tempo, (questi) ritornò, allora il martello della terra intera fu sminuzzato» (HlerL
COMMENTO A MATTEO

[ L a p a s s io n e ]

74. Ed avvenne che, quando ebbe terminati questi discorsi, G


disse ai suoi discepoli.
Volendo mostrare che Dio ha stabilito tutte le cose in peso, nume­
ro e misura, in un passo dice a sua madre: Non è giunta ancora la mia ora·,
e così pure: Ora l’anima mia è turbata, e che cosa dirò? Padre, liberami da
questa ora. Ma per questo sono giunto a questa ora-, come anche: Padre, è
giunta l’ora; glorifica il figlio tuo, perché egli glorifichi te\ ha stabilito co­
sì anche l’ora della passione di suo Figlio (1). Perciò, pur avendo spesso
subito insidie da parte dei giudei, non era possibile che patisse, finché
era lontano da lui il diavolo sino ad un tempo e niente aveva potuto sof­
frire, finché non avesse terminato tutti questi discorsi, che si era propo­
sto di dire ai suoi discepoli. Per cui, fu proprio allora, dopo aver termi­
nato tutti questi discorsi, che disse ai suoi discepoli. Bada, non dice sem­
plicemente: dopo aver terminato tutti i discorsi, ma aggiunge: tutti questi
discorsi, vale a dire quelli che aveva già pronunciati, non quelli che do­
veva ancora pronunciare. Infatti, prima di essere consegnato, doveva fa­
re ancora altri discorsi: a Betania, nella casa di Simone il lebbroso, circa
la donna che si avvicinava a lui, come pure doveva celebrare la Pasqua
con i suoi discepoli, svelare il traditore che si celava, rendere grazie, por­
gere loro il pane ed il calice, predire ai suoi discepoli che si sarebbero
scandalizzati e a Pietro che lo avrebbe rinnegato tre volte prima del can­
to del gallo. Doveva inoltre, avvicinandosi l’ora, pregare di più (2), non
una né due, ma tre volte, finché giungesse l’ora in pienezza.

3, 2, p. 286; cf. Steiner, p. 159); un frammento sottolinea la concentrazione del


turbamento in «un punto di tempo» - σημείοv ή v χρόνου -, perché quel
«momento presente bastava all’anima di Gesù per vincere tutta la potenza del
Maligno» (Frlo 88 su Gv 12, 27, pp. 886s.). La solennità dell’ora viene indicata
dal richiamo alla Sapienza divina che tutto dispone pondere numero mensura·,
Dio è in sé «l’Unico giusto» che «misura e pesa tutto, e circoscrive la natura di
tutte le cose con numeri, limiti e confini» (Filone, somn. II, 194, pp. 204s.; cf.
Vogt 1993, nota 1, p. 294). Il commento origeniano bene riprende l’intenzione
di Matteo, richiamando in compendio varie predizioni della passione, da un lato
accentuando la piena consapevolezza in Gesù della morte alla quale va incontro,
dall’altro riproponendo alla comunità cristiana la lettura di tutto l’evento -
Cristo alla luce della Pasqua (cf. per il rapporto sinottico: Prete, pp. 34-41).
(2) Adhuc oportebat alios loqui sermones... praedicere... orare. L’o
adempirà attraverso parole, gesti, silenzi: il tempo che incombe è gravido della
48 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 75

75. Scitis quia post biduum pascba fiet, et filius hominis tradetu
crucifigendum 14.
Si ergo etiam hora fuerat definita, secundum quod diximus, ut non
traderetur ante omnem doctrinam, quomodo non magis et dies fuerat
difinitus, ut pascha nostrum Christus 15 immolaretur, dissolvens Iudai-
cum pascha et tradens secundum novum testamentum discipulis suis?
Oportebat etiam mensem esse definitum paschae, ego autem pu­
to etiam annum, de quo et propheta dicebat praedicare annum Domini
acceptum et diem salutis 16. Praedicit ergo discipulis suis praemuniens
eos, ut ne, priusquam audiant quae fuerant eventura, subito videntes
tradi ad crucem magistrum, obstupescant pavore propter passionem
Domino accidentem. Ideo dixit eis: Scitis quia post biduum pascha fiet,
176 et filius hominis tradetur ad crucifigendum. Non autem, sicut arbitran­
tur quidam, hoc dicere vult quia post biduum paschae dies adveniet,
sed quia post biduum novum pascha fiet. Nec enim dixit: post biduum
pascha erit aut veniet, ut ne ostenderet illud pascha futurum quod fieri
solebat secundum legem, sed pascha fiet, hoc est quale numquam fue­
rat factum, ut per hoc novum pascha illud succidatur antiquum: deni­
que sic addit: et filius hominis tradetur ad crucifigendum. Post duos au­
tem dies factum est pascha, secundum quod fuerat prophetatum ab eo,
quando traditus est in nocte et dixit osculanti se Iudae: Amice, ad quod
venisti? 17. Si autem post biduum pascha factum est, <id est> quarta de­
cima luna, manifestum est quia quando ista dicebat secundum Iudaeos
undecima erat luna, quando et parabolas supradictas exposuit.

14 Mt. 26, 2. » c f. 1 Cor. 5, 7. 16 Is. 61, 2. i7 Mt. 26,50.


forza redentrice dell’economia divina, quindi creativo, non schiacciato da un’at­
tesa mortale ma aperto agli esiti della grazia pasquale: «i Vangeli... rosseggiano
del sangue di Cristo e rifulgono per tutto il mondo del sangue della sua passio­
ne» (HEx 2, 2, pp. 70s.); il racconto evangelico sta giungendo alla unificazione
dell’azione principale, orientata verso la fine e il fine dei detti e fatti che hanno
preceduto. Si ricorderà il mirabile commento a Mt 16, 21: «Da quel momento
Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a
Gerusalemme... In quel preciso momento in cui i discepoli riconobbero che
Gesù era il Cristo Figlio del Dio vivente... era come annunciare loro che...
dovessero credere in Gesù Cristo che sarebbe stato crocifisso... (e) che sarebbe
stato risuscitato dai morti» (CMt 12, 1 8 :1, pp. 314s.); racconto e interpretazione
sono legati, come si conviene alle «storie», che «devono essere costruite in forma
di dramma e incentrate su un’unica azione, che forma un tutto e va fino al ter­
mine, con un principio, una parte mediana e una fine» (cf. Aristotele, Poetica,
23, 59al7-20, citato da Bastit-Kalinowska 1995, p. 267). Sul tema del tempo in
Origene, cf. quanto abbiamo annotato per CMtS 44, nota 121:1, pp. 279s.; sot­
tolineiamo il rilievo dato alle Series nel saggio di Lupieri 2003, nella comparazio­
ne di varie letture patristiche; cf., più in generale, Filoramo-Roda, pp. 231-277,
e Lombardi Vallauri, pp. 425-447.
(3) Dissolvens ludaicum pascha... novum Pascha fiet... ut succidatur
quum. Nel passaggio da Pasqua a Pasqua, accadrà - fiet - un evento nuovo, che
C O M M E N TO A M ATTEO , 75 49

15. Sapete che fra due giorni sarà celebrata la Pasqua e che il figlio
dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso.
Se dunque anche l’ora era stata definita, stando a quanto abbiamo
detto, perché non fosse consegnato prima che si compisse tutto l’inse­
gnamento, come mai, a maggior ragione, non era stato altrettanto defi­
nito anche il giorno in cui sarebbe stato immolato Cristo Pasqua no­
stra, abolendo la Pasqua giudaica e consegnando ai suoi discepoli quel­
la della nuova alleanza?
Occorreva che fosse determinato non solo il mese della Pasqua, ma
anche l’anno, credo, del quale il profeta diceva: Predicare l’anno accetto
del Signore e il giorno della salvezza. [Gesù] dunque predice ai suoi di­
scepoli e li previene, perché, prima di udire le cose che sarebbero avve­
nute, nel vedere inaspettatamente il maestro consegnato alla morte di
croce, non provino sgomento per la passione che colpisce il Signore.
Perciò disse loro: Fra due giorni sarà celebrata la Pasqua ed il figlio del­
l’uomo sarà consegnato per essere crocifisso. Ma non intende già dire, co­
me ritengono taluni, che tra due giorni verrà il giorno di Pasqua, bensì
che tra due giorni ci sarà una nuova Pasqua (3). Non dice infatti: tra due
giorni sarà o verrà Pasqua, per non indicare che ci sarebbe stata quella
Pasqua che soleva venire secondo la Legge, ma diventerà la Pasqua, va­
le a dire quella che non era mai stata celebrata, in modo che grazie a
questa nuova Pasqua venga a cadere quella antica. Infine aggiunge: ed il
figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso. Ma dopo due gior­
ni ci fu la Pasqua, come era stato da lui profetizzato, allorché fu tradito
durante la notte, e a Giuda che lo baciava disse: Amico, perché sei venu­
to? Se invece la Pasqua è stata celebrata dopo due giorni, <ossia> il quat­
tordicesimo giorno dopo il novilunio, è evidente che per i giudei il mo­
mento in cui parlava di queste cose era l’undicesimo giorno, quando
spiegò anche le parabole riferite in precedenza.

«reciderà» l’antico o gli «succederà»; le espressioni dell’Alessandrino ci sembra­


no da leggere nella gioia della novità cristiana più che in venature antigiudaiche,
in movimento analogo ad Ignazio di Antiochia: «Non è il cristianesimo che ha
creduto nel giudaismo, ma il giudaismo nel cristianesimo» (Magn. 10,3, pp. 90s.;
cf. peraltro Buchingher, I, pp. 256-258). Altre opere contengono riflessioni ana­
loghe: « “La Pasqua dei giudei” consiste nell’immolazione di una pecora... Per
noi [cristiani], invece, è stata immolata la nostra Pasqua, Cristo»; la Pasqua è
nuova in senso misterico, perché «(si deve credere) che le cose corporee siano
tipo di realtà spirituali; i fatti storici di realtà intelligibili» (Ciò 10, 89.110, pp.
401.405) ed è nuova perché si celebra con Gesù: «Il Cristo venne non ad aboli­
re la Legge e i profeti, bensì [a portarli a compimento], ci mostrò qual è [la vera]
Pasqua» e «per chi passa... si dà [una specie di principio] di un’altra nascita,
.. .per chi viene al segno dato attraverso l’acqua a coloro che hanno sperato in
Cristo» (Pas 1,4, pp. 69s.; cf. ibid. Sgherri 1989, pp. 42-46; Id. 2000c, p. 343). Il
mistero trasforma i credenti; si approfondisce il «carattere prevalentemente
morale e mistico che ha assunto la Pasqua cristiana. Accanto alla Pasqua teologi­
ca o cristologica - la Pascha Domini - » assume rilievo «la Pasqua dell’uomo - la
Pascha populi - » , come «contraccolpo dell’incarnazione» (Cantalamessa, pp.
50 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 75-76

A quo autem traditus est, hic non est scriptum. Congregabis au­
tem de scripturis, quoniam et pater tradidit eum secundum quod scri­
ptum est: Qui unico filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradi­
dit illum 18; secundum alias autem Scripturas ludas tradidit illum 19,
sed et satanas qui intravit in ludam 20 tradidit eum, sed et principes sa­
cerdotum et seniores tradiderunt 21 eum. Propterea hic inpersonaliter
posuit tradetur non dicens a quo, quod verbum potest ad omnes respi­
cere qui tradiderunt eum. Sed non omnes eodem proposito tradide­
runt. Deus enim tradidit eum propter misericordiam circa genus hu­
manum, qui unico filio non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit eum
22. Ceteri autem tradiderunt eum iniquo proposito, unusquisque se­
cundum malitiam suam: ludas propter avaritiam, sacerdotes propter
invidiam, diabolus propter timorem, ne avelleretur de manu eius genus
humanum per doctrinam ipsius, non advertens quoniam magis eripien­
dum fuerat genus hominum per mortem ipsius, quam ereptum fuerat
per doctrinam et mirabilia. Traditus est enim ad crucifigendum, ut
exuens principatus et potestates fiducialiter 23 triumphet eos in ligno.

76. Tunc congregati sunt principes sacerdotum et scribae et


177 populi in atrium principis sacerdotum qui dicebatur Caiphas, et consilium
fecerunt, ut lesum dolo tenentes occidederent; dicebant autem: non in die
festo, ut ne tumultus fiat in populo 24.
Quod dixit propheta: Et principes convenerunt in unum adversus
Dominum et adversus Christum <eius> 25, tunc inpletum videtur cum
principes sacerdotum et seniores populi congregati sunt in domum prin­
cipis sacerdotum adversus Dominum et adversus Christum eius - non ve-

18 Rom. 8, 32. 19 Mt. 26, 47s. 20 Lc. 22, 3. 21 Mt. 27, ls.
22 Rom. 8, 32 . 23 Coi. 2, 15. 24 Mt. 26, 3ss. 25 Ps. 2,2 .
181.183): il cristiano deve muovere «in fretta verso la città di Dio» (CC 8, 22),
ascendere «con colui che di là è disceso a noi, per giungere là donde egli è disce­
so» (HNm 27, 3, p. 374; cf. de Lubac 1985, p. 146; Cacciari 2004a; Id. 2004b).
(4) A quo traditus est hic non est scriptum. L’interrogativo sulle conseg
Gesù appare essenziale ad Origene per entrare nella vicenda salvifica del Dio cro­
cifisso: il Padre «ha consegnato (il Figlio) per tutti noi, ma anche il Figlio conse­
gnò se stesso per noi alla morte... Fu consegnato al principe di questo mondo...
alle potenze ostili, e queste (lo consegnarono) in mano agli uomini·, tra questi era
G iu da...» (CMt 13, 8: II, pp. 38. 39s.; cf. Rm 8, 32; Gal 1, 4; Gv 14, 30; Mt 17,
22; Laeuchli, pp. 265s.); a monte delle consegne sono, dunque, la misericordia di
Dio da un lato e la malitia dei successivi anelli di catena dall’altro. Il male sprigio­
na le forze di cui è capace ma non riesce ad intaccare la sovranità di Dio sulla sto­
ria; la responsabilità degli uomini è reale ma all’interno di un dramma cosmico,
in cui molti sono gli attori, e che ha il suo fulcro nell 'autoinganno delle potenze
avverse; nel morire Cristo frantuma la morte: «Incontrandoti nelle sue profondi­
tà l’Ade fu amareggiato!... Distrutto... giocato... ucciso!... Aveva preso un
corpo e si trovò davanti Dio, aveva preso terra e incontrò cielo, aveva preso quel
che aveva visto e cadde per quel che non aveva visto»: la tradizione bizantina con-
C O M M EN TO A M A TTEO , 75-76 51

Da chi poi è stato consegnato, qui non è scritto (4). Ma dalle Scrit­
ture concluderai che è stato il Padre a consegnarlo, secondo ciò che è
scritto: Egli che non ha risparmiato il suo unico figlio ma lo ha consegna­
to per tutti noi·, ma secondo altri passi della Scrittura, non fu solo Giu­
da a consegnarlo, ma anche Satana che entrò in Giuda. Altresì i capi dei
sacerdoti e gli anziani lo consegnarono. Per questa ragione il verbo sarà
consegnato qui impiegato non indica la persona, non dichiara cioè da
chi, per cui esso potrebbe riferirsi a tutti quelli che lo hanno consegna­
to. Non tutti però lo consegnarono con lo stesso intento. Ed infatti:
Dio lo consegnò per misericordia verso il genere umano, egli che non
ha risparmiato il suo unico figlio ma lo ha consegnato per tutti noi. Gli
altri invece lo consegnarono con intenzione malvagia, ciascuno a se­
conda della propria malizia: Giuda per avarizia, i sacerdoti per invidia,
il diavolo per timore che gli strappasse di mano il genere umano me­
diante il suo insegnamento, e non si rendeva conto che quello avrebbe
rapito il genere umano con la sua morte, più di quanto non lo avrebbe
strappato con l’insegnamento ed i miracoli. Fu infatti consegnato alla
crocifissione, perché spogliando della loro forza i principati e le potestà
trionfasse con piena certezza su di loro nel legno (5).

76. Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riuni


nell’atrio del sommo sacerdote che si chiamava Caifa, e tennero consiglio
per arrestare con un inganno Gesù e metterlo a morte. Ma dicevano: Non
in giorno di festa, perché non avvenga un tumulto tra il popolo.
Ciò che aveva detto il profeta: Ed i capi si sono radunati insieme con­
tro il Signore e contro il <suo> Cristo, allora pare adempiuto, quando si
sono radunati i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo nella casa del
sommo sacerdote contro il Signore e contro il suo Cristo - quelli non era-

centra nella liturgia pasquale motivi già elaborati e celebrati nei primi secoli e
attinti da numerose fonti, ortodosse e gnostiche (cf. Catechesi di Giovanni
Crisostomo per il giorno di Pasqua, in Liturgia orientale, pp. 213s.; Simonetti
1993b, pp. 176.178.180-182; Steiner, pp. 144.159s.; Sgherri 1982, p. 84). Fino al
tempo opportuno «rimase occulta al principe di questo secolo la verginità di
Maria e il suo parto, e parimenti la morte del Signore» (Ignazio, Ephes. 19,1, pp.
74s.), affinché, come commenta Origene, «il principe di questo mondo... ingan­
nato, (credesse Gesù) figlio di Giuseppe, e lo perseguitasse come un uomo qual­
siasi e, una volta vinto, il diavolo precipitasse» (FrLc 11 [20], p. 250). Uno sguar­
do attento al tema delYinganno economico consente di andare oltre il tripudio per
la sua riuscita - dall’ardita ripresa del Nisseno: «(Dio) si servì del disegno dell’in­
ganno in vista della salvezza di colui che era stato rovinato (Adamo), portando
beneficio... anche a colui che a noi aveva arrecato la rovina (il diavolo)» (cf.
Gregorio di Nissa, or. cath. 26,4, con il commento di Somenzi, pp. 270-272) - fino
alla rilettura odierna nella riflessione antropologica di René Girard (cf. Remy).
(5) «Exuens principatus et potestates fiducialiter» triumphet eos in l
«Salvezza del Padre nel mondo è il Figlio, salvezza del Figlio nel mondo è la
croce» (FrPs 19 [20], 6: PG 12, 1248): tale certezza esprime il nostro passo con
il testo di Col 2, 15: άπεκδυσάμενος τάς άρχάς και τάς εξουσίας έδειγμάτισεν έν
52. CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 76

ri sacerdotes sed populi, et seniores non aliorum sed illius, qui videba­
tur populus Dei vere autem erat populus Gomorrhae, quoniam dixe­
runt: Crucifige, crucifige eum 26, et tolle talem de terra 27. Et quod dixe­
rat Esaias: Audite verbum Domini, principes Sodomorum, adtendite le­
gem dei, plebs Gomorrhae 28, convenit illis insidiantibus Iudaeis, qui
fuerunt in generatione temporis Christi. Et quod dicit Ezechiel ad Hie­
rusalem: lustificata est magis Sodoma ex te 29, magis convenit dici ad
Hierusalem, super quam Dominus flevit30, quam ad tempus prophe­
tae. Peiora enim Sodomis peccaverunt principes populi, quia non intel­
legentes summum sacerdotem Dei insidiati sunt ei, et seniores populi
non cognoscentes primogenitum universae creaturae 31 et seniorem om­
nibus creaturis consiliati sunt contra eum. Et propter atrium (puto) il­
lud, in quo consilium fecerunt, ut lesum dolo tenerent, desolata est Hie­
rusalem. Oportebat enim iam non esse civitatem, quae adversus totius
mundi egerat fundatorem, quae prius quidem occiderat prophetas 32,
postmodum autem dominum prophetarum.
Ut dolo eum tenerent. Ideo convenienter de eis dixit propheta: Dis­
perdat Dominus universa labia dolosa 33. Dolo autem eum tenere et occi­
dere voluerunt, ut ne tumultus fiat in populo illo 34, qui multa signa et
prodigia lesum viderat facientem. Et propterea multi quidem ex his
erant pro eo, qui forte dixerant, quia magnus propheta surrexit in Israel
35; alii autem erant adversus eum, qui dixerant: Hic non eicit daemonia
nisi in Beelzebub principe daemoniorum 36. Necesse ergo erat tumultum
fieri domino conprehenso propter diversa studia populi diligentis Chri­
stum et odientis, credentis et non credentis. Stetit enim consilium eo­
rum quasi firmum (cum ipsi qui consiliabantur staturi non essent), ut
non in die festo occideretur sed in alio die; videlicet ut pascha nostrum
immolaretur Christus 37, ut relinquentes azyma Iudaeorum festivemus
in spiritalibus azymis et veris 38. Considera autem, si potes, omne ver-

26 Lc. 23, 20. 27 Lc. 23, 18. 28 Is. 1, 10. 29 Ez. 16, 51s.
30 Cf. Lc. 19,41. 31 Col. 1,15; cf. Prov. 3 ,22ss. 32 Cf. Mt. 23,31; Act.
7 , 52 . 33 Ps. 11 (12), 3. 34 Mt. 26, 5 . 35 Lc. 7, 16. 36 Mt. 12,
24 . 37 Cf. 1 Cor. 5, 7. 38 Cf. 1 Cor. 5, 8.
παρρησίςι θριαμβεύσας αυτούς έν αύτώ; con una sfumatura complementare la
ripresa della Series 92 dirà che il Cristo comprendeva che per illum calicem pas­
sionis principatus et potestates triumphandas in corpore suo. Per cogliere il giro
della frase paolina occorre risalire anche al versetto precedente di Colossesi:
Avendo cancellato il manoscritto, con i suoi decreti, che era contro di noi... Egli
[Dio/Cristo] lo ha soppresso, dopo averlo inchiodato sulla croce; avendo disarmato
i principati e le potenze, li ha dati in spettacolo con sicurezza, celebrando con una
processione trionfale la sua vittoria su di loro, in lui-, il participio avendo disarmato
può riferirsi sia «alle potenze buone che a quelle cattive, perché Dio/Cristo ha
disarmato i suoi nemici, ma ancora ha tolto ad altri, fedeli questi, il potere puni­
tivo o coercitivo che era il loro, secondo la letteratura giudaica dell’epoca» (tr. e
C O M M E N TO A M A TTEO , 76 53

no veri sacerdoti, ma sacerdoti del popolo, e anziani non di altri, se non


di quello che apparentemente era popolo di Dio, ma in realtà era popo­
lo di Gomorra, perché avevano gridato: Crocifiggilo, crocifiggilo! e: Togli­
lo di mezzo! Le parole di Isaia: Udite la parola del Signore, voi capi di So­
doma; ascoltate la legge di Dio, popolo di Gomorra! ben si addicono a quei
giudei vissuti al tempo di Cristo, che gli tendevano insidie. Anche le pro­
fezie di Ezechiele rivolte a Gerusalemme: Sodoma è stata giustificata più
di te, si addicono più alla Gerusalemme su cui pianse il Signore, che non
a quella del tempo del profeta. Peccati peggiori di quelli di Sodoma fu­
rono quelli commessi dai capi del popolo giacché, senza capire che egli
era il Sommo Sacerdote di Dio, gli tesero insidie, mentre gli anziani del.
popolo, non riconoscendo il primogenito di ogni creatura, ed il più anzia­
no di tutte le creature, tennero consiglio contro di lui (6). E proprio per
quell’a g o (penso io), nel quale tennero consiglio per fare arrestare Gesù
con un inganno, Gerusalemme fu desolata. Occorreva infatti che non esi­
stesse più quella città, che aveva agito contro il fondatore dell’universo,
che prima aveva ucciso i profeti e poi il Signore dei profeti.
Per arrestarlo con un inganno. Ben si addiceva la minaccia detta dal
profeta a loro riguardo: Disperda il Signore tutte le labbra di inganno.
Vollero arrestarlo con inganno e farlo morire, perché non avvenga un tu­
multo tra il popolo, che aveva visto Gesù compiere molti segni e prodi­
gi. E per questo motivo tra loro c’erano molti a lui favorevoli, quelli
forse che avevano detto: Un grande profeta è sorto in Israele·, altri gli
erano invece contrari, quelli che avevano detto: Costui non scaccia i de­
moni se non per mezzo di Beelzebul, principe dei demoni. A causa dun­
que di queste diverse tendenze del popolo, che amava e odiava Cristo,
che credeva e si rifiutava di credere in lui, era inevitabile che avvenisse
un tumulto per la cattura del Signore. Irremovibile rimase in qualche
modo la loro decisione (mentre coloro che la prendevano non sarebbe­
ro restati così), che fosse messo a morte non in giorno di festa, ma in al­
tro giorno, ossia che fosse immolato il Cristo, nostra Pasqua, in modo
che noi, abbandonando gli azzimi dei giudei, celebrassimo la festa in
azzimi spirituali e veri. Ora considera se puoi identificare ogni parola,

commento in Aletti 1994, pp. 139.162). Per quanto riguarda Origene, il testo di
Colossesi, che può avere per soggetto Dio o Cristo, è letto abitualmente in senso
cristologico e collocato nello scenario della redenzione cosmica: «L e potenze cele­
sti, nell’assistere alla battaglia di Gesù, vedendo i principati e le potestà avverse
spogliate dei loro poteri, .. .han dato fiato alle loro trombe celesti» (HIos 7, 3, p.
122; cf. l’ampia disamina di testi in Simonetti 1993b, p. 175); Vogt nota che, se
nel testo latino della Series il trionfo è del Cristo, in Col le azioni salvifiche sem­
brano attibuite a Dio, così come nella ripresa della Series 92, sopra citata, con il
passivo che rinvia a Dio Padre (cf. Vogt 1993, nota 2, p. 294; Piscitelli, pp. 718s.).
(6) Peccaverunt principes populi... et seniores populi consiliati sunt c
eum. D passaggio fra le Senes 75 e 76 accosta C ol 2, 15 al Sai 2, 2; anche in altri
passi Origene considera l’intreccio fra le coalizioni delle potenze avverse e quel­
le degli uomini che si lasciano attrarre nella loro orbita, ponendo l’accento sulle
54 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 76-77

bum, quod profitetur quocumque modo doctrinam dei, dicere princi­


pem esse sacerdotum Dei. Cum sint autem multa falsorum dogmatum
verba, quasi sacerdotes Dei non autem dei, sed populi qui seductus ab
eis est, consiliantur adversus unum et verum Dei Verbum. Verbum au­
tem Dei praebet quidem se insidiantibus, nihilominus tamen resurget,
non inmutatum neque corruptum ab eis, et in caelum ascendet, ut su­
scipiat eos qui tollunt crucem suam et sequuntur eum 39.

77. Cum autem esset Iesus in Bethania, in domo Simonis lepros


cessit ad eum mulier habens alabastrum unguenti pretiosi et effudit super
caput eius recumbente eo. Videntes autem discipuli eius indignati sunt 40,
et cetera.
Multi quidem aestimant de [B II 69, 1] δοκεΐ μέν τισι,
una eademque muliere quattuor μία είναι καί ή αυτή παρά τοΊ,ς
evangelistas exposuisse, εύαγγελισταΤς άπασιν.
quia conscripserunt tale aliquid de muliere et omnes similiter alaba­
strum unguenti nominaverunt; Iohannes autem pro alabastro posuit li­
bram unguenti 41. Sed et quod dicitur potuit hoc venundari et pauperi­
bus dari 42, dixerunt Matthaeus et Marcus et Iohannes, et quoniam ad
sepulturam suam unguentum illud Christus pronuntiavit effusum 43,
ipsi exposuerunt, et quoniam in Bethania in domo Simonis leprosi 44 fa­
ctum est, ipsi tres conscripserunt; Iohannes autem Bethaniam quidem
dixit, ubi fecerunt ei cenam et Martha ministrabat et Lazarus unus erat ex
discumbentibus et Maria accepit libram unguenti nardi pistici pretiosi 45 et
cetera, ex quibus apparet quia ipsi ei fecerunt cenam. Lucas autem,
quamvis non leprosum posuit Simonem, tamen Pharisaeum dixit fuis­
se, qui rogaverat Iesum ut manducaret cum eo 46, sicut de nomine eius
Dominus ipse testatur dicens ad eum ibi; Simon, Simon, habeo aliquid
tibi dicere 47. Multa ergo similitudo et cognatio quaedam videtur de
muliere apud quattuor evangelistas.

39 Cf. Mt. 16, 24 . 40 Mt. 26, 6ss. 41 Io. 12, 3. 42 Cf. Mt. 26, 9;
Mc. 14,5; Io. 12,5. 43 Cf. Mt. 26,12; Mc. 14, 8; Io. 12,7. 44 Cf. Mt. '26,
6; Mc. 14, 9; Io. 12,1. & Io. 12, 2s. ^ Lc. 7, 36. 47 Lc. 7, 40.

une o sugli altri o su entrambi; nella nostra Series sono chiamati più direttamen­
te in causa i capi del popolo, in altri contesti i dominatori di questo mondo: «So­
no insorti i re della terra e i principi... Combattono anche contro di noi e ci muo­
vono guerra (i principati, lepotestà, i reggitori di questo mondo: E f 6,12). ...D ob­
biamo vigilare (per non rendere sterile) l’opera di colui che ha confitto alla sua
croce i principati e le potestà, trionfando sicuro su di loro in se stesso»; la vittoria
del Cristo - totale - deve permanere negli uomini liberati, vincendo in ciascuno
di noi (HGn 9, 3, pp. 257.259; il testo è richiamato da Simonetti 1993b, pp.
175s., con numerosi rinvìi). La coalizione di potenze e uomini ha diviso il popo­
lo giudaico: multi pro eo... alii adversus eum, in parte diligentis Christum e in
parte odientis, credentis e non credentis·, Origene sa che il peso grava particolar­
mente sui principes e seniores, come ha commentato riguardo ai “vignaioli omi­
cidi” : «Coloro che hanno tramato contro Gesù può darsi che l’abbiano ricono-
C O M M EN TO A M A TTEO , 76-77 55

che in qualsiasi modo proclama l’insegnamento di Dio, con un sommo


sacerdote di Dio. Essendo parecchie queste parole che portano a false
opinioni, ritenute come sacerdoti di Dio, ma in realtà sacerdoti non di
lui, bensì del popolo da loro tratto in inganno, si riuniscono in consi­
glio contro il solo e vero Verbo di Dio. Il Verbo di Dio si offre a colo­
ro che gli tendono insidie, ma tuttavia risorgerà (7), non alterato né
corrotto da loro, e ascenderà in cielo, per accogliere coloro che pren­
dono la loro croce e lo seguono.

77. Mentre Gesù si trovava a Betania, in casa di Simone il lebbroso,


gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro con unguento prezio­
so e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. I suoi discepoli, vedendo
ciò, si sdegnarono, eccetera.
Molti ritengono che i quat- Ad alcuni invero sembra
tro evangelisti abbiano parlato di che si tratti di una sola e medesi-
un’unica e medesima donna, ma [donna] in tutti [e quattro]
gli evangelisti,
poiché hanno scritto tale racconto circa una donna, e tutti hanno
ugualmente menzionato un vaso di alabastro con unguento. Ma Giovan­
ni parla, invece che di alabastro, di una libbra di unguento-, inoltre le pa­
role: si poteva vendere e dare ai poveri vengono riferite da Matteo, Mar­
co e Giovanni; e sono anche loro a riferire la dichiarazione di Cristo
che quell’unguento veniva versato per la sua sepoltura, e sono pure lo­
ro tre a scrivere che ciò avvenne a Betania, nella casa di Simone il leb­
broso. Giovanni invece parla di Betania, ove gli fecero Una cena; e Mar­
ta serviva e Lazzaro era uno dei commensali, e Maria prese una libbra di
olio profumato di nardo genuino, prezioso, eccetera, e ne risulta che fu­
rono questi a fargli la cena; Luca a sua volta, benché non designi Simo­
ne come lebbroso, tuttavia dice che era un fariseo, e chiese a Gesù di
mangiare con loro, come rende testimonianza del suo nome lo stesso Si­
gnore, dicendogli in questa circostanza: Simone, Simone, ho qualcosa da
dirti. Risulta dunque molta somiglianza ed una certa affinità nei quat­
tro evangelisti riguardo alla donna.

sciuto... e ciò nonostante l’abbiano eliminato. Pensavano infatti che uccidendo


il Cristo e senza pensare alla sua risurrezione... sarebbero diventati loro i padro­
ni delle realtà, dato che la loro perversione li aveva accecati, non avevano rico­
nosciuto i misteri di D io» (CMt 17, 11: ΙΠ, p. 167); peraltro sarà l’insieme dei
giudei a ritrovarsi populus Gomorrhae, che non serve al culto vero, non ha rico­
nosciuto il Primogenito di ogni creatura, ha ucciso nella propria città il fondato­
re del mondo (cf. Sgherri 1982, pp. 85.86.96.102).
(7) Pascha nostrum Christus... Verbum Dei resurget. Il passaggio dagli
azyma ludaeorum agli azyma spiritalia et vera avviene non nel die festo giudaico,
ma nella celebrazione della Pasqua nuova; il rinvio origeniano alla figura e alla
realtà è complesso e articolato: «L’agnello è immolato da safiti o nazirei, mentre
il Salvatore è immolato da iniqui e peccatori. E [se] l’agnello pasquale è immo­
lato da santi..., è immolato sì il Cristo secondo il tipo della Pasqua, “ma non” è
56 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 77

Dicam tamen ad eos, qui arbitrantur unam fuisse mulierem, de qua


omnes evangelistae scripserunt: putas quod haec mulier quae effudit
super caput Iesu pretiosum unguentum, sicut Matthaeus et Marcus ex­
posuerunt, ipsa et myro unxit pedes ipsius, sicut Lucas et Iohannes expo­
suerunt? Non est autem possibile, ut de eadem muliere exponentes
evangelistae, cum essent consummati in eodem intellectu et in eodem spi­
ritu et in eadem sententia 48, qui fuerant ministraturi salutem ecclesia­
rum, contraria sibi dixissent. Si autem aliquis arbitratur ipsam fuisse,
quae unxit unguento Domini pedes apud Lucam et Iohannem, dicat no­
bis si Maria hic ipsa erat, quae apud Lucam scribitur fuisse in civitate
peccatrix, quae indiscens quoniam recubuit in domo Pharisaei adtulit ala­
bastrum unguenti et stans retro secus pedes eius plorans lacrimis lavabat
pedes eius 49. Nec enim credibile est, ut Maria qnam Ailigebat Iesus 50,
soror Marthae quae meliorem elegerat partem 51, ut peccatrix in civitate
fuisse dicatur. Et putas quia mulier, quae secundum Matthaeum et Mar­
cum effudit super caput Iesu pretiosum unguentum, [eventu] non scribi­
tur fuisse peccatrix, quae autem secundum Lucam peccatrix refertur,
non fuit ausa ad caput Christi venire sed lacrimis pedes eius lavit quasi
vix etiam ipsis pedibus eius digna, prae tristitia paenitentiam in salutem
stabilem 52 operante? Et quae secundum Lucam est, plorat et multum
lacrimat, ut pedes Iesu lacrimis lavet, quae autem secundum Iohannem
est Maria, neque peccatrix neque lacrimans introducitur.

48 1 Cor. 1, 10. 49 Lc. 7, 37ss. 50 i a 5 51 Lc. 10, 42.


52 2 Cor. 7, 10.

immolato dai santi, e la Pasqua è sì tipo del Cristo, ma non della sua passione.
Dobbiamo infatti immolare noi il vero Agnello - qualora veniamo consacrati...
ma se questo non è avvenuto alla passione del Salvatore,.. .la Pasqua [diviene figu­
ra dello stesso] Cristo immolato da noi» (Pas 1,12-13, pp. 79s.); l’immolazione del­
l’agnello nell’Antico Testamento realizzava una piena obbedienza a Dio da parte
del popolo, mentre nella passione del Cristo viene rifiutato l’Agnello vero (cf. le
note 1-3 di Sgherri al testo di Pas sopracitato, con rinvio anche a Ciò 6,273-300,
in cui si esprime la lettura complementare sul sacrificio salvifico del
Cristo/agnello). Nella riproposizione del Pascha nostrum, nel vivo della narrazio­
ne storica di come Gesù si avvicina alla cattura, Origene ritorna sul travaglio del
Logos: se puoi chiamare sommo sacerdote la dottrina vera (leggiamo sul testo lati­
no: sipotes... dicere omettendo la virgola dopo potes), ne viene la passione del
verbum Dei ad opera delle false dottrine che vogliono dominarlo - quasi sacerdo­
tes non di Dio ma di un popolo sedotto Come si partecipa «alla carne del
Logos attraverso la conoscenza», con azione analoga a quella dell’adempimento
eucaristico, in cui l’una richiama l’altro (cf. Buchinger, II, p. 331; de Lubac 1985,
p. 385), così ci si può estraniare da lui, ma «quanti insidiosamente vogliono cat­
turare il Logos, perché - essendo tenuto prigioniero da parte loro - lo possano
eliminare, costoro non potrebbero catturarlo e metterlo a morte, visto che le
folle pensano che sia un profeta di D io» (CMt 17,13: III, p. 173; cf. Le Boulluec
1985, pp. 442.502)?
(8) Non est possibile evangelistae... ministraturi salutem Ecclesiarum c
ria sibi dixissent. L’assioma è fondato sulla comunione in intellectu, spiritu, sen-
C O M M E N TO A M ATTEO , 77 57

In ogni caso, vorrei chiedere a [uno di] coloro che ritengono trat­
tarsi di una sola donna nel racconto di tutti gli evangelisti: pensi tu che
questa donna che versò sulla testa di Gesù un unguento prezioso, come
riferiscono Matteo e Marco, sia la stessa che unse di profumo i suoi pie­
di, stando a Luca e Giovanni? Non può essere avvenuto che nel riferi­
re della stessa donna, gli evangelisti pur in perfetta comunione nello
stesso pensiero, spirito e intento, dovendo essere al servizio della salvez­
za delle chiese, si siano contraddetti tra loro? (8). Ora, se uno ritiene di
identificare la donna che con unguento unse i piedi del Signore in Lu­
ca con quella di Giovanni, ci spieghi se in questo Maria sia la stessa di
cui è riferito in Luca: era peccatrice di quella città, e sapendo che era a
mensa nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato, e
fermatasi dietro, presso i suoi piedi, piangendo lavava con le lacrime i
suoi piedi. Ma non è pensabile che Maria che Gesù amava, sorella di
Marta, colei che aveva scelto la parte migliore, sia designata come pec­
catrice di quella città\ E pensi che di quella donna, che secondo Matteo
e Marco effuse sulla testa di Gesù il prezioso unguento, non si scrive
che era peccatrice, mentre secondo Luca si dice di lei che era peccatri­
ce, e non osò avvicinarsi al capo di Gesù, ma con le sue lacrime ne lavò
i piedi, in quanto di quei piedi era appena degna, spinta da quella tri­
stezza che produce un pentimento duraturo che porta alla salvezza? La
donna di Luca piange e versa molte lacrime, al punto da lavare con la­
crime i piedi di Gesù, mentre quella di Giovanni è Maria, non presen­
tata né come peccatrice né nell’atteggiamento di versare lacrime.

tentia (cf. 1 Cor 1, 10) degli evangelisti, così come, commentando Mt 18, 19,
Origene aveva detto delle profezie, «pronunciate e messe per iscritto come da un
solo spirito, una sola voce, una sola anima, realmente operante nell’accordo» e
che tale «accordo non si realizza propriamente che a due fondamentali condizio­
ni: “essere perfettamente uniti (come dice l’Apostolo) nel pensiero” - νοΐίς - nel­
l’avere intenti secondo le medesime verità di fede - δόγματα e nel vivere in
conformità con lo stesso intento - γνώμη - » (CMt 14, 1: II, pp. 106.107s.). La
sinfonia, tema centrale nel pensiero dell’Alessandrino, non può non ritrovarsi fra
gli evangelisti, ma come l'armonia di dogmi e vita è compito della Chiesa nel suo
cammino (Vogt 1974, pp. 290-296), così il consenso del Vangelo va sapientemen­
te scoperto, fra le dissonanze, nell’unitario disegno dello Spirito: «Nei tre evan­
gelisti sono riferite le medesime realtà - τά αυτά - in termini diversi - διαφόροις
λέξεσι - » (CMt 15, 14), e si può parlare del Gesù giovanneo, matteano, marciano
e lucano (CMt 12,24), per imparare il Gesù tutto intero - πάντα τον Ίησσυν - (Cio
10,36; cf. Junod 2005). Di passaggio notiamo la esitazione degli editori su un ter­
mine - eventu - (Klostermann, p. 179), che trasmette una considerazione impor­
tante: non è per puro caso che della donna non scribitur fuisse peccatrix, come non
fortuitamente si verificano aggiunte, omissioni, varianti nei testi biblici; CMt 15,
6 avverte che non è κατά συντυχίαν - eventu - che non si dica da chi sono pre­
sentati i bambini a Gesù, ma per una discreta allusione al servizio angelico (su
CMtS 77 e il lavoro testuale origeniano, cf. Sgherri 1982, pp. 328-330, nota 291;
de Lubac 1985, pp. 224-226; Bastit-Kalinowska 1992, pp. 37-39.40-42).
5» CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 77

180 Forsitan ergo quis dicet [C1 n. 292] τάχα μεν ε’ίποι
quattruor fuisse mulieres, de qui­ τις τέσσαρας είναι τάς γυνα'ικας
bus conscripserunt evangelistae; περί ών ανέγραψαν οί εύαγγελι-
ego autem magis consentio tres σταί. Έγώ δε μάλλον προστίθημι
fuisse: et unam quidem, de qua τω τρεις αύτάς είνα ι, καί μίαν
conscripserunt Matthaeus et μέν περί ής ανέγραψε Ματθαίος
Marcus nullam differentiam ex­ καί Μάρκος έν πολλοίς άλλοις
positionis suae facientes in eo ca­ συνάδοντες τής ευαγγελικής
pitulo, alteram autem fuisse de γραφής, έτέραν δε περί ής ό Λου­
qua scripsit Lucas; aliam autem κάς, διαφέρουσαν δέ τινα των
de qua scripsit Iohannes, quo­ προειρημένων, περί ής ό Ιωάν­
niam differt aliis mulieribus non νης·
solum in his quae scripta sunt de
unguento, sed quoniam et dilige­
bat Iesus Mariam et Martham,
quamvis et ipsa in Bethania refe­ εί γάρ καί έν Βηθανία άνέ-
ratur fuisse, sicut et mulier de γραψαν τά κατά τήν γυναίκα γε-
qua exponunt Matthaeus et Mar­ νόμενα,
cus. Tertia differentia est, quo­
niam Matthaeus quidem et Mar­ Ματθαίος καί Μάρκος έν
cus./» domo Simonis leprosi hoc οίκίςι Σίμωνος τού λεπρού διη-
factum fuisse exponunt; Iohan­ γήσαντο τα περί τούτων α-
nes autem quoniam Iesus ante sex πηντηκέναι, Ιωάννης δέ φησιν
dies paschae venit in Bethaniam, δτι «προ εξ ήμερων τού πάσχα
ubi erat Lazarus quem suscitave­ ήλθεν Ιησούς εις Βηθανίαν,
rat Iesus, et fecerunt ei cenam δπου ήν Λάζαρος δν ήγειρεν έκ
νεκρών» καί τά εξής.
[et] non Simon, sed Maria et Martha, forte et Lazarus, et Martha mini­
strabat, Lazarus autem erat unus ex discumbentibus 53. Adhuc autem se­
cundum Iohannem ante sex dies Paschae venit in Bethaniam, quando et
fecerunt ei cenam Maria et Martha; hic autem quando et recumbente eo
in domo Simonis leprosi accessit ad eum mulier, post biduum pascha erat
futurum, sicut dictum est supra.
181 Restat ut aliquis dicat: si de altera muliere Matthaeus et Marcus
scripserunt de altera autem Iohannes de tertia vero Lucas, quomodo in
persona unius mulieris semel a Christo increpati discipuli (quasi male
indignantes de facto mulieris) non se emendaverunt, ut ne super alte­
ram mulierem similiter facientem indignarentur? Propterea sciat, quia
apud Matthaeum et Marcum discipuli indignantur ex bono proposito,
apud Iohannem autem solus ludas furandi adfectu, apud Lucam autem
murmurat nemo. Ex his ergo et aliis, quae et ipse poteris observare,
certum est quoniam aut sibi contraria dicunt evangelistae, ut quidam
eorum etiam mentiantur, aut (si hoc impium est credere) necesse est di-

53 Io. 12,3.
C O M M E N TO A M ATTEO , 77 59

Forse, dunque, qualcuno Forse qualcuno dirà che so­


dirà che erano quattro le donne no quattro le donne di cui scri­
di cui scrivono gli evangelisti, vono gli evangelisti. Io invece so­
mentre io sono più incline a pen­ no più incline a pensare che esse
sare che fossero tre: l’una, quella siano tre: l’una, quella di cui scri­
di cui scrivono Matteo e Marco, vono Matteo e Marco, concor­
che non presentano alcuna diffe­ danti in molti altri punti della
renza nel loro racconto in pro­ scrittura del vangelo; l’altra,
posito; la seconda, quella di cui quella di cui parla Luca; diversa
scrive Luca; la terza, quella di per alcuni versi dalle predette è
cui scrive Giovanni, essendo dif­ quella di cui parla Giovanni;
ferente dalle altre donne non so­
lo riguardo a ciò che è scritto
dell’unguento, ma perché Gesù
amava Maria e Marta, benché anche se infatti riferiscono
anche di lei si riferisca che fosse che il caso della donna è avvenu­
in Betania, come quella di cui to a Betania,
raccontano Matteo e Marco. Poi
c’è una terza differenza; Matteo Matteo e Marco raccontano
e Marco raccontano che ciò av­ che la circostanza si è verificata
venne nella casa di Simone il leb­ nella casa di Simone il lebbroso,
broso, mentre Giovanni riferisce: mentre Giovanni asserisce: Sei
Nei giorni prima della Pasqua giorni prima della Pasqua Gesù
Gesù venne a Betania, ove era venne a Betania, ove era Lazzaro
Lazzaro che Gesù aveva risuscita­ che egli aveva risuscitato dai mor­
to dai morti e gli fecero una cena, ti eccetera.
e non Simone, bensì Maria e Marta e probabilmente anche Lazzaro:
Marta serviva, e Lazzaro era uno dei commensali-, inoltre, secondo Gio­
vanni, Gesù andò a Betania sei giorni prima della Pasqua, quando Ma­
ria e Marta gli fecero la cena-, qui invece, quando, stando a mensa in ca­
sa di Simone il lebbroso, si avvicinò a lui una donna, la Pasqua doveva
avvenire tra due giorni, come è stato detto sopra.
Resterebbe poi da obiettare: se Matteo e Marco scrivono di una,
Giovanni di un’altra, e Luca di una terza donna, come mai i discepoli,
una volta rimproverati da Cristo a riguardo di quella sola donna (per­
ché provavano sdegno per il suo operato), non si sarebbero poi ravve­
duti per non indignarsi di nuovo nella circostanza di un’altra donna
che si comportava come quella? Pertanto si sappia, che in Matteo e
Marco i discepoli si indignano a fin di bene, in Giovanni, invece, solo
Giuda si indigna perché incline a rubare, mentre in Luca nessuno pro­
testa. Da questi ed altri dettagli, che tu stesso potrai osservare, risulta
certo, o che gli evangelisti si contraddicono, per cui uno di loro sta
mentendo, oppure (se è cosa empia credere ciò) dobbiamo necessaria-
6o CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 77

cere non de eadem muliere omnes conscripsisse evangelistas, sed aut de


tribus aut de quattuor. Dicet autem aliquis paulo audacior: forsitan se­
cundum historiam una quaedam mulier fuit, quae tale aliquid fecit, po­
ne autem et alteram (si vis) et tertiam, tamen principaliter evangelista-
rum propositum fuit respiciens ad mysteria, et non satis curaverunt ut
secundum veritatem historiae enarrarent, sed ut rerum mysteria quae ex
historia nascebantur exponerent. Propter quod et adtexuerunt quos­
dam sermones mysteriorum intellectibus convenientes et consonos.
De his autem, quae apud quattuor exponuntur evangelistas causa
mulierum vel imius mulieris (sicut aestimant multi), diligentius tracta­
vimus exponentes evangelium secundum Iohannem, quae videbantur
nobis, cum essent similia et cognata quasi contraria et distantia. Nunc
autem ea breviter perstringamus. Rationabiliter ergo Lucas cum de
peccatrice muliere loqueretur, introduxit eam flentem abundantius, ut
etiam pedes Iesu lavaret, et non infundentem quidem unguentum sed
tantum unguentem, et non caput sed pedes. Illa autem, quae non ac­
cusabatur peccatrix, non unxit sed effudit, et non super pedes, sed su­
per caput. Si autem quis et quae de Maria Lazari sorore scripta sunt
tractet, quae et ipsa unxit Domini pedes, notet sibi quod scriptum est
ibi quoniam omnis domus repleta est ex odore unguenti 54; quod non
est scriptum de ea quae dicebatur esse peccatrix, sed nec de muliere,
de qua scripserunt Matthaeus et Marcus, quae non dicebatur fuisse
peccatrix, tale aliquid scriptum est, quia omnis domus repleta est ex
odore unguenti.
Forsitan ergo per differentias istarum mulierum differentiae fide­
lium demontrantur, quorum quidam quidem effundunt super caput Ie­
su pretiosum unguentum, alii autem non caput ungunt, sed pedes, alii
autem non infundunt largiter, sed ungunt tantum. Unguentium vero

54 Io. 12, 3.

(9) Evangelistarum propositum fuit respiciens ad mysteria. L’insister


Origene sul tema delle unzioni è in ordine al significato stesso del nome del
Cristo, l’Unto nel quale confluiscono le unzioni - regale, sacerdotale, profetica
«Egli viene cosparso di unguenti... Il Padre... ha unto (il Figlio) di svariati pro­
fumi, lo ha fatto Cristo» (HCt 1 , 3, p. 43; cf. nota di Simonetti Ì998a, p. 117;
Barbara, pp. 114s.). Le donne dell 'unzione potrebbero essere quattro, o tre
(secondo Matteo/Marco, Luca, Giovanni), come propende Origene nel passo
presente, o due - «so che Luca ha parlato di una peccatrice, ma Matteo,
Giovanni e Marco non hanno parlato di una peccatrice» (così HCt 2 , 2 , p. 62)
la soluzione sembra essere quella accennata in HCt 1 , 4: «G li evangelisti non
hanno scritto favole e racconti, ma misteri» (pp. 45s.), e ribadita nella nostra
Series: gli evangelisti adtexuerunt - hanno aggiunto tessendo - «discorsi conve­
nienti e concordanti con l’intelligenza dei misteri»; «la verità spirituale spesso si
salva a prezzo... di una menzogna sul piano corporeo» (Ciò 10, 20, p. 386, con
il che non si deve né svalutare la connessione storica degli eventi, né impuntarsi
sul dettaglio dei “fatti” narrati: cf. Neri 1996, p. 184; Junod 2005; pp. 434s.). In
Pnn 4, 2, 9, sul rapporto fra avvenimenti storici e verità più nascoste, i passi atti
C O M M E N TO A M ATTEO , 77 6l

mente ammettere che tutti gli evangelisti non hanno scritto della stessa
donna, bensì di tre o quattro donne. Ma qualcuno un po’ più audace
potrebbe affermare: forse sul piano storico si dà una sola donna che fe­
ce qualcosa del genere, e metti pure una seconda, se vuoi, ed una ter­
za; l’intenzione degli evangelisti era però orientata principalmente a re­
altà misteriose (9); essi non si preoccuparono tanto di raccontare i fat­
ti secondo la verità storica, quanto piuttosto di esporre i sensi misterio­
si di realtà che nascevano dalla storia, ragion per cui tesserono alcuni
discorsi convenienti e adatti ad intelligenze di quei misteri.
Ma circa questi punti esposti nei quattro evangelisti a motivo di
più donne o di una (come molti ritengono), nello spiegare il Vangelo di
Giovanni, abbiamo più accuratamente trattato dei nostri punti di vista,
poiché elementi simili e affini sembravano quasi contrari e [tra loro]
lontani. Adesso però cerchiamo di riassumerli in breve. Ragionevol­
mente Luca, parlando della donna peccatrice, la presenta che versa ab­
bondante pianto al punto da lavare i piedi di Gesù e senza versare un­
guento ma solo ungendo, non la testa ma i piedi. Quella invece non ac­
cusata come peccatrice, non unse ma versò, non sui piedi ma sulla te­
sta. Ora se si esamina ciò che è scritto di Maria, sorella di Lazzaro, la
quale pure unse i piedi del Signore, si noterà che in quel passo è scrit­
to che tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento, cosa non riferi­
ta di colei che è chiamata peccatrice; ma neanche di quella donna di cui
scrivono Matteo e Marco, della quale non si diceva che fosse peccatri­
ce, si trova annotata una cosa del genere, che cioè tutta la casa si riem­
pì del profumo di unguento.
È dunque probabile che attraverso le differenze di queste donne
vengano indicate differenze tra i fedeli. Di questi alcuni versano prezio­
so unguento sul capo di Gesù, altri ungono non la testa ma i piedi, altri
non versano con larghezza, ma si limitano a ungere soltanto; e di questi

«a suscitare scandalo e difficoltà» sono visti come stimolo voluto dallo Spirito
per cercare un «senso degno di Dio»; è da notarsi la corrispondenza fra il latino
adtexuerunt della nostra Series e il greco συνυφαίνειν e προσυφαίνειν - συνύ-
φηνεν ή γραφή xfj ιστορίςι τό μή γενόμενσν - del citato testo di Prin (cf. Phil
1, 16, p. 92): il Verbo ha mescolato, aggiunto nella trama di fatti veridici e leggi
possibili anche fatti non storici e leggi impossibili alla tessitura del testo visi­
bile corrisponde il concatenamento del mistero soggiacente (cf. Harl 1983,
Introduzione, pp. 90-93; note di Simonetti 1968 a Prin cit., pp. 510-512; Id.
1998a, note, pp. 118s.l31; Vogt 1983, Introduzione, p. 15; Crouzel 1961, p. 339.
In CC 3, 28 συνυφα'ινεσθαι indica l’intrecciarsi fra natura divina e umana). Nella
Series si accenna a una trattazione di Cio - diligentius tractavimus - , che non ci
è pervenuta; abbiamo invece un rapido tratto di Ciò 1, 67 su «colei che, dopo
aver compiuto azioni cattive ed essersi convertita, potè in virtù del suo sincero
distacco dal male spandere su Gesù un unguento profumato» (p. 136), con
sovrapposizione di Lc 7, 37 a Gv 1 2 , 3, e la mirabile pagina di CCt 2 su Ci 1 , 1 2 :
Il mio nardo ha diffuso l’odore di lui.
62 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 77

quidam tali ungunt unguento, ut omnis domus inpleatur ex odore di­


vinitatis ipsius; alii autem non tali quidem, tamen et ipsi acceptabili
apud Christum, quoniam et ipsi ungunt pedes eius unguento, quos
Pharisaeus nec cum oleo 55 unxit. Oportebat autem haec in Bethania
fieri quae interpretatur DOMUS OBOEDIENTIAE, et ab hac quae super ca­
put Domini effudit unguentum non accusata quasi peccatrix in civitate,
et a Maria, apud quam cum fieret convivium Iesu accessit ad eum et
unxit. Domum autem oboedientiae ecclesiam intelligi oportere dubitat
nemo. Illa autem, quae apud Lucam dicebatur peccatrix, adhuc non
erat digna in Bethania esse, quamvis paenitentiam peccatorum suorum
agebat. Adhuc enim minus habebat, ut postmodum inveniretur in do­
mo oboedientiae facta (ut iam consummata) neque peccatrix diceretur
nec lacrimans et lavans Domini pedes, sed et ipsa effundens unguentum
super caput ipsius. Sed et Simon OBOEDIENTIAE mysterium est, quo-
183 niam sic interpretatur, sed oboedientiae litterae non spiritus 56: propter
quod Simon, elevatus a littera legis per Iesum ad legem spiritalem, iam
non erat Simon tantum, sed factus est etiam Petrus et pro aedifica­
tione Iudaica dignus habitus est aedificatione ecclesiae super petram
fundandae 57. Factus est ergo Iesus in domo Simonis quidem, alicuius
OBOEDIENTIS, tamen leprosi et adhuc opus habentis mundatione ab Ie­
su. Non autem memoratum est apud Lucam de Simone quoniam et le-
prosus erat, aestimo quoniam ipse debitor erat quinquaginta denariorum
et iam acceperat remissionem eorum, quoniam dilexerat modicum 58;
tamen diligens aliquantulum, rogavit eum ut manducaret cum eo 59.
Accessit autem mulier (non peccatrix) secundum Matthaeum et Mar­
cum, alabastrum habens unguenti pretiosi. Et considera quam caute
apud hos, qui peccatricem non rettulerunt, unguentum eius quasi pre­
tiosum laudatur. Apud Lucam autem, qui exposuit peccatricem, un­
guentum simpliciter nominatur, nec pretiosum nec nardi pistici, ut ex
odore eius inpleretur domus 60. Adhuc enim habere non poterat un­
guenta huiusmodi, sed hoc erat magnum, quia vel unguento poterat un­
gere Domini pedes. Huius autem mulieris pretiosum fertur unguen­
tum, nec enim decebat esse non pretiosum quod super caput salvatoris
effundebatur.

55 Cf. Lc. 7, 46. 56 cf. Rom. 2 , 29; 7, 6 , 14; 2 Cor. 3, 6 . 57 cf. Mt.
16,18. 58 cf. Lc. 7, 41.47. 59 l c. 7 , 36. 60 Cf. Io. 12, 3.

(10) Bethania domus oboedientiae... Simon oboedientiae myster


Ritorna una lettura su Betania, già interpretata come la « “casa dell’obbedienza”
che è la Chiesa», che offre riposo a Gesù (CMt 16, 26); ancora si legge, nei trat­
ti sulle unzioni cui abbiamo accennato: «Tutto quello che la peccatrice aveva, è
da riferirsi ai piedi·, tutto quello che aveva colei che non era peccatrice, al capo...
Nello stesso passo è scritto di Simone il lebbroso...» (HCt 1, 4, p. 46); la nostra
Series, pur con varianti, colloca in questa dimensione ecclesiale le differentiae
fidelium, riguardanti il cammino di conversione e fede dei credenti; già in CMtS
8 si era ricordata la donna ad pedes Iesu in principiis paenitentiae suae (cf. ivi nota
2 2 :1, p. 131; Sgherri 2000a, pp. 75s.); «la penitenza, la trasformazione morale di
C O M M E N TO A M A TTEO , 77 63

che ungono, alcuni lo fanno con unguento tale che tutta la casa si riem­
pie del profumo della sua divinità; altri non con tale unguento, tuttavia
anch’essi [lo fanno] con unguento gradito a Cristo, dal momento che
ungono con unguento i suoi piedi, che il Fariseo neanche con olio ave­
va unto. Ma questo doveva avvenire in Betania, che vuol dire CASA DI
OBBEDIENZA, non solo da parte di questa donna che versò l’unguento
sulla testa del Signore, non designata come peccatrice di quella città, ma
anche da parte di Maria, quella che si avvicinò a lui e lo unse, in casa sua
durante la cena di Gesù. Nessun dubbio che per casa dell’obbedienza
si debba intendere la Chiesa. Quella poi che in Luca veniva detta pecca­
trice, non era ancora degna di stare a Betania, anche se faceva peniten­
za dei suoi peccati: ancora molto le mancava per trovarsi in seguito nel­
la realizzata casa dell’obbedienza (realÌ2zata in quanto giunta a perfezio­
ne), non essere più chiamata peccatrice, non versare lacrime, né lavare i
piedi del Signore, ma effondendo lei stessa unguento sulla testa di lui.
Ma anche Simone è immagine misteriosa dell’OBBEDIENZA (10) perché
così si traduce: [immagine] però della obbedienza della lettera e non
dello spirito: per questo motivo Simone, grazie a Gesù elevato dalla let­
tera della Legge alla legge spirituale, non rimase solo Simone, ma diven­
tò anche Pietro, e, in luogo che di una costruzione giudaica, fu ritenuto
capace dell’edificazione della Chiesa che sarebbe stata fondata sulla pie­
tra. Gesù dunque venne nella casa di Simone, di uno OBBEDIENTE, ma
lebbroso, tuttora bisognoso di purificazione da parte di Gesù. Nessuna
menzione in Luca del fatto che Simone fosse lebbroso, perché era lui -
credo - il debitore di cinquanta denari e già ne aveva avuto il condono,
perché aveva poco amato. Tuttavia, pur non amando molto, gli chiese di
andare a mangiare con lui. Si avvicinò poi una donna (non peccatrice) se­
condo Matteo e Marco, con un vaso di alabastro di unguento prezioso.
Rifletti con quanta diligenza, in questi evangelisti, che non hanno parla­
to di donna peccatrice, il suo unguento venga poi elogiato come prezio­
so. In Luca invece, che parla di peccatrice, è semplicemente chiamato
l’unguento, senza dire che era prezioso, di nardo profumato, sicché la
casa si riempì del suo profumo. Non poteva ancora avere unguenti del ge­
nere; ma già questo era ima gran cosa: il poter, sia pur con unguento, un­
gere i piedi del Signore. L’unguento di questa donna viene presentato
come prezioso: sulla testa del Salvatore non si addiceva effondere una
realtà che non fosse preziosa.

cui la Sposa, la Chiesa offre al mondo lo spettacolo, è... questo buon odore di
cui è stato profumato» il mondo (Chènevert, p. 158). Quanto a Simone, in HCt
1, 4 esso appare come il lebbroso «principe di questo mondo... la cui casa fu
riempita di odore soave all’avvento del Cristo» [ibid.), mentre nel testo che esa­
miniamo l’esegesi è più complessa: c’è un Simone/Pietro, elevatus a littera legis
per lesum ad legem spiritalem - la lebbra nel caso esprime la necessità della puri­
ficazione che viene solo dal Cristo -; e c’è il Simone di L e i, 36ss., debitore - secon­
do la parabola introdotta nell’episodio da Gesù stesso - di 50 denari, dei quali
aveva ricevuto la remissione perché aveva amato un poco... Se ai personaggi
64 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 77

Et super unguentum quidem peccatricis unguentis Domini pedes


et non effundentis neque indignati sunt discipuli neque doluerunt, nec
dixit ludas: Quare unguentum hoc non est venundatum trecentis dena­
riis et datum est pauperibus? 61. Super mulierem autem apud Mat­
thaeum et Marcum indignati sunt discipuli et doluerunt perditionem
unguenti quod decurrebat a capite eius ad ceterum corpus. Nam etsi
poterat venundari unguentum illud multo pretio et dari pauperibus 62,
tamen non debebat fieri hoc, quia conveniens erat ut super caput Chri­
sti infunderetur sancta et decenti infusione. Qui autem contendunt in­
tellegere ista secundum simplicem textum, dicant effusum unguentum
184 super caput Iesu laudabiliter, qualem habebat secundum textum deco­
rem, ut effunderetur super caput talis et tanti magistri, non erat ergo un­
guentum illud pauperibus dignum nec conveniens (quantum ad suum
honorem) ut divideretur in multos, sed ut integrum manens effundere­
tur super caput tantummodo Iesu. propter quod et mulierem quae hoc
fecerat, suscipit Iesus et indignantibus discipulis dicit: Sinite eam, et
nolite ei molesti esse, quoniam bonum opus operata est in me 63. Usque
adeo autem efficax est huiusmodi laus operis boni, ut exhortetur om­
nes nos odoriferis et divitibus operibus inplere Domini caput, ut et de
nobis dicatur quia bonum opus fecimus super caput ipsius; quia semper
quidem habemus (quamdiu in hac vita consistimus) pauperes nobiscum
et opus habentes cura eorum, qui profecerunt in verbo et divites facti
sunt in sapientia Dei, non autem possunt sufficere, ut semper diebus et
noctibus habeant secum filium Dei Verbum Dei et sapientiam et om­
nia, quidquid est Dominus noster salvator 64.
Vide et quod ait: bonum opus operata est in me, quia non dixit de
peccatrice unguente pedes ipsius, quia bonum opus fecit in me 65. Si au­
tem oportet discutere et quod ait ad sepeliendum me fecit, conparabis
ei quod dicitur: consepulti sumus Christo per baptismum, et conresurre-
ximus ei 66. Adhuc autem hoc considera quoniam de muliere secun­
dum Lucam non est dictum amen dico vobis: ubicumque praedicatum

61 Io. 1 2 , 5. 62 Mt. 26, 9. 63 Mc. 14, 6. 64 Cf. 1 Cor. 1, 24.


65 Mc. 14, 8 . 66 Rom. 6 , 4.

evangelici variamente intrecciati aggiungiamo le reazioni dei discepoli e l’unita­


ria conclusione di Gesù - bonum opus operata est in me - assieme al voto per i
discepoli - et de nobis dicatur quia bonum opus fecimus super caput ipsius -, ne
risulta un quadro ecclesiale certo non privo di movimento anche se difficile da
seguire nei passaggi (cf. Vogt 1993, pp. 294s., nota 7; Sgherri 1982, pp.
329s.408s.).
(11) Bonum opus operata est in me... Proficiamus ab unctione pedum e
effundendum pretiosum unguentum super caput ipsius. Delineando il volto della
comunità cristiana nella gradualità delle unzioni, Origene esprime anche la sua
coscienza di maestro nella Chiesa, interpreta il suo ruolo, come spiega in
un’omelia: «Divide il vitello membro a membro chi può spiegare ordinatamente
ed esporre con le distinzioni adeguate qual progresso ci sia nel toccare la frangia
del Cristo (cf. Mt 9, 20), quale nel bagnare di lacrime i suoi piedi e asciugarli con
i capelli del capo (cf. Le 7,44); quanto poi sia meglio ungere il suo capo di unguen-
C O M M E N TO A M A TTEO , 77 65

Mentre per l’unguento con cui la peccatrice ungeva i piedi del Si­
gnore senza effonderlo, i discepoli non si sdegnarono né si rammaricaro­
no, e Giuda non disse: Perché questo unguento non si è venduto per tre­
cento danari e dato ai poveri?, per la donna, invece di Matteo e Marco, i
discepoli si sdegnarono e si dispiacquero per lo spreco di unguento che
dalla sua testa scorreva sul resto del corpo. Anche se l’unguento si pote­
va vendere ad alto prezzo e dare ai poveri, tuttavia non lo si doveva fare,
perché conveniva versarlo sul capo di Cristo con effusione santa e deco­
rosa. Ora, quelli che si sforzano di intendere ciò secondo il semplice te­
sto dicano quale pregio avesse, in base al testo, l’unguento versato lode­
volmente sulla testa di Gesù, perché venisse versato sulla testa di così
grande maestro. Quell’unguento non era quindi per ipoveri, non conve­
niva (quanto al suo pregio) dividerlo tra molti ma, lasciandolo indiviso,
versarlo soltanto sulla testa di Gesù. Ecco perché Gesù accoglie la don­
na che aveva compiuto questo gesto ed ai discepoli che si sdegnano di­
ce: Lasciatela stare, non le date fastidio. Ella ha compiuto verso di me
un’opera buona. Tale lode di un’opera buona è tanto efficace da indurre
tutti noi a riempire il capo del Signore di opere profumate e ricche, sic­
ché dicano di noi che abbiamo compiuto un’opera buona sopra il suo ca­
po. Perché i poveri li abbiamo sempre con noi (finché stiamo in questa vi­
ta), ed hanno bisogno della cura di quelli che sono progrediti nella paro­
la e divenuti ricchi nella sapienza di Dio, ma non possono avere la capa­
cità di avere sempre con sé, notte e giorno, il Figlio di Dio, il Verbo di
Dio, la Sapienza e qualunque realtà sia il Signore nostro salvatore.
Vedi anche ciò che egli dice: Ha compiuto una buona azione ver­
so di me (11), perché di quella peccatrice che ungeva i suoi piedi non
disse: ha compiuto verso di me un’opera buona. Se poi si devono di­
scutere le parole: lo ha fatto per la mia sepoltura, le potrai mettere a
confronto con quella espressione: Siamo stati sepolti col Cristo me­
diante il battesimo e siamo risorti con lui. Considera inoltre: circa la
donna di Luca non c’è stata la dichiarazione: In verità vi dico che do­
vunque, in tutto il mondo, sarà annunciato il vangelo, si dirà pure in

to (cf. Mt 26, 7) e inoltre quanto sia straordinario riposare sul suo petto (cf. Gv
13, 25)... Adattare (questi punti) ai principianti, ...a quelli che già progredisco­
no nella fede nel Cristo, ...a quelli (ormai) perfetti nella sua scienza e nel suo
amore, questo è dividere il vitello membro a membro (Lv 1, 6 )» (HLv 1,4, p. 40).
«Tutto Origene è in questo testo, del quale ritroveremo spesso le idee»
(Daniélou 1991, p. 71); è un brano «capitale per comprendere la risoluzione ori­
geniana dell’intera rivelazione in processo pedagogico divinamente guidato»
(Lettieri 2003, p. 40; cf. Monaci Castagno 2002a, pp. 56-58). Nella nostra Series
ci si chiede anche quid est oleum et quid unguentum, e quale Punguentum medio­
cre o pretiosum·, non sono domande superflue, perché fede e adorazione nelle
unzioni rispondono al dono di colui che essendo nella forma di Dio si è annien­
tato perché il suo Nome diventasse unguento effuso (cf. F ili, 7 e Ct 1,3-4): a quel­
l’odore corrono le anime fanciulle, e anche la Sposa «corre con le fanciulle die­
tro di lui», «perché tutti i perfetti diventano tutto a tutti per guadagnare tutti»
(cf. CCt 1 su Ct 1,3-4, pp. 90.99: e ibid. note di Simonetti 1976); Prin 2 , 6 , 6 reci-
66 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 77

fuerit evangelium hoc in toto mundo, dicetur et quod fecit haec in memo­
riam eius 67, de muliere autem secundum Matthaeum et Marcum hoc
scriptum est. Iustum enim erat non de illa quae unxerat pedes, sed de
hac quae unguentum effuderat super caput Iesu, dici ubicumque fuerit
praedicatum evangelium hoc in toto mundo, dicetur et quod fecit haec in
memoriam eius. Si ergo volumus, ut et de nobis dicatur quod facimus
in Iesu, effundentes pretiosum unguentum super caput ipsius, proficia­
mus ab unctione pedum eius ad effundendum pretiosum unguentum
super caput ipsius.
Quid autem est oleum et quid unguentum, unguentum autem
quod proficit ad corpus Christi ungendum et quod ad caput, difficile
185 quidem est explicare. Tamen id quod nobis videtur demonstrare tem­
ptabimus, certissime cognoscentes quia oleum ubique in scripturis aut
opus misericordiae intellegitur (quo lucerna verbi enutrita clarescit 68)
aut doctrina (cuius auditu adsiduo verbum fidei quod est accensum in
nobis, nutritur et clarius lucet). Sicut ergo generaliter omne quo quis
ungitur oleum appellatur, olei autem aliud est unguentum <aliud non
unguentum>, item unguenti aliud est mediocre unguentum aliud pre­
tiosum: sic omnis actus iustus opus dicitur bonum, operis autem boni
aliud est quod facimus propter homines vel secundum homines, aliud
autem quod propter Deum et secundum Deum. Item hoc ipsum, quod
facimus propter Deum, aliud est quod proficit ad usum hominum,
aliud autem quod non proficit ad usum hominum sed tantum ad glo­
riam Dei. Utputa bene quis facit homini, naturali iustitia motus non
propter Deum (quomodo faciebant interdum et gentes et multi faciunt
homines), opus illud oleum est vulgare non magni odoris, et ipsum ta­
men acceptabile apud Deum; sicut Daniel significat dicens ad Nabu-
chodonosor deum non cognoscentem: Audi consilium meum, rex, et
peccata tua eleemosynis redime 69. Tale aliquid dicit et Petrus apud Cle­
mentem, quoniam opera bona quae fiunt ab infidelibus in hoc saeculo
eis prosunt, non et in illo ad consequendam vitam aeternam, et conve­
nienter, quia nec illi propter Deum faciunt, sed propter ipsam naturam
humanam. Qui autem propter Deum faciunt, id est fideles, non solum
in hoc saeculo proficit eis, sed et in illo, magis autem in illo.
Quod autem fideles faciunt propter Deum, hoc est unguentum
boni odoris. Hoc ipsum autem opus fidelium propter Deum, quod est

67 Mc. 14, 9. 68 Cf. 1 Tim. 4, 6 ; 2 Cor. 4, 6 . 69 Dan. 4, 27 (Θ’).

ta: «Altro è l’odore del profumo altra la sostanza del profumo, così altro è Cristo
e altro coloro che di lui partecipano» (cf. ibid. note di Simonetti 1968, pp. 292s.;
Lettieri 2000, p. 388; Id. 2 0 0 1 , pp. 179-186).
(12) Opera bona quae fiunt ab infidelibus... Qui propter Deum faciunt, i
fideles. Si inserisce nel testo sulle unzioni un inciso che richiama Petrus apud
Clementem, ossia le Recognitiones pseudo-clementine: nel tratto cui si allude,
Pietro consiglia i figli di Faustiniano a lasciare libero il padre riguardo alla con­
versione, dicendo fra l’altro: «Arriveranno alla pace eterna, infatti, e saranno
C O M M EN TO A M ATTEO , 77 67

suo ricordo quello che ha fatto, mentre ciò sta scritto a riguardo della
donna secondo Matteo e Marco. Era giusto infatti dire, non già di
quella che aveva unto solo i piedi, ma di costei che aveva versato l’un­
guento sulla testa di Gesù: Ovunque sarà predicato questo vangelo, si
dirà pure in suo ricordo quello che ha fatto. Se pertanto vogliamo che
si dica anche di noi ciò che abbiamo fatto verso Gesù, versando un­
guento prezioso sulla testa di lui, progrediamo dall’unzione dei suoi
piedi fino a versare unguento prezioso sulla sua testa.
Ora, cosa siano rispettivamente l’olio, l’unguento, l’unguento che
serve per ungere il corpo di Cristo, e quello per ungerne il capo, è cer­
to difficile spiegare. E tuttavia tenteremo di dimostrare il nostro pare­
re, sapendo perfettamente che dappertutto nelle Scritture per olio si in­
tende o un’opera di misericordia (alimentata dalla quale la fiaccola del­
la parola risplende) oppure la dottrina (dal cui assiduo ascolto la paro­
la della fede, in noi accesa, viene alimentata e più luminosamente riful­
ge). Come, dunque, in generale tutto ciò con cui si unge è detto olio,
ma una cosa è 1’unguento di olio, <altra il non unguento>; e inoltre
analogamente c’è un unguento di basso costo ed un altro di caro prez­
zo, allo stesso modo ogni azione giusta è detta opera buona, ma una co­
sa è l’opera buona che compiamo a motivo degli uomini e secondo gli
uomini, un’altra quella che facciamo per Dio e secondo Dio. Riguardo
poi all’opera compiuta per Dio, una cosa è quella che serve alle relazio­
ni con gli uomini; un’altra è quella che non serve alle relazioni umane,
ma solo alla gloria di Dio. Ad esempio, se uno ha beneficato una per­
sona, spinto da giustizia naturale e non per Dio (questo facevano a vol­
te i pagani e fanno molti uomini), quell’opera è olio ordinario, non di
grande profumo, e tuttavia anch’essa gradita presso Dio; come fa capi­
re Daniele quando dice a Nabucodonosor che non conosceva Dio:
Ascolta o re il mio consiglio e redimi i tuoi peccati con elemosine. Una
cosa simile dice Pietro presso Clemente: le opere buone compiute dai
non credenti giovano loro in questo mondo, non in quell’altro, per il
conseguimento della vita eterna, e a giusta ragione, perché quelli non
agiscono così per amore di Dio, ma per la stessa natura umana. A co­
loro invece che agiscono per amore di Dio, cioè ai credenti, ciò giova
non soltanto in questo, ma anche in quell’altro mondo, anzi più nell’al­
tro [che in questo] (12).
Ciò che i fedeli compiono per Dio: è questo l’unguento dal buon
profumo. Ma questa stessa azione che i fedeli compiono per Dio, che è

accolti per sempre nel regno dei cieli coloro che hanno vissuto rettamente solo
per Dio e per attuare la sua giustizia. La salvezza non si ottiene con la coazione,
ma nella libertà; né come favore di uomini, ma per la fede in D io» (I ritrovamen­
ti 1 0 , 2 , p. 366). Pietro non fa differenze fra i pagani, cui le opere buone giove­
rebbero solo in questa vita, e i cristiani, cui gioverebbero anche nella vita futu­
ra, ma piuttosto afferma che per gli uni e per gli altri le opere giuste portano a
salvezza se sono compiute a motivo di Dio. Un testo simile a quello di CMtS 77
si trova invece nell'Opus imperfectum in Matthaeum su Mt 10, 41: «Se un fedele
68 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 77-78

unguentum, aliud fit ad utilitatem hominum, utputa eleemosynae, in­


firmorum visitationes, peregrinorum susceptiones, humilitas, mansue­
tudo, indulgentia, et cetera huiusmodi quae hominibus prosunt. Haec
186 qui facit in Christianos, pedes Domini ungit unguento, quia ipsi sunt
Domini pedes, cum quibus ambulat semper. Quod praecipue solent fa­
cere paenitentes pro remissione peccatorum suorum, et illud est opus
quod dicitur unguentum odoriferum quidem, non autem summum.
Qui autem castitatem studet, in ieiuniis et orationibus 70 permanet, in
adversis patientiam habet sicut Iob, in temptationibus veritatem Dei
non timet confiteri (quae omnia ceteris hominibus nihil prosunt, sed
tantum ad gloriam Dei proficiunt), hoc est unguentum quod ungit et
Domini caput Christi et exinde per totum corpus Christi, id est per to­
tam decurrit ecclesiam; et hoc est unguentum valde pretiosum ex cuius
odore tota repletur domus, hoc est ecclesia Christi; et hoc est opus pro­
prium non paenitentium, sed perfectorum sanctorum. Aut certe: do­
ctrina quae necessaria est hominibus, per quam nutriuntur animae
pauperes in spiritalibus bonis aut forte et debiles in peccatis, hoc est
unguentum mediocre quo pedes Domini unguntur; agnitio autem fidei
verae quae ad solum pertinet Deum, unguentum est pretiosum quo un­
gitur caput Christi Deus 71.

78. Tunc abiit unus de duodecim, qui dicitur ludas Scariotha


principes sacerdotum et dixit eis: Quid vultis mihi dare, et ego vobis eum
tradam? At illi constituerunt ei triginta stateres, et exinde quaerebat op­
portunitatem, ut eum traderet eis 72.
ludas interpretatur CONFESSOR. Cum sint ergo duo Christi disci­
puli hoc nomine nominati, secundum quod Lucas evangelista dinume­
rat inter duodecim fuisse apostolos ludam Iacobi et ludam Scariotham,
cum nihil ergo a mysterio vacuum sit apud Christum, aestimo duos
istos ludas in mysterio fuisse Christianorum confitentium fidem Chri­
sti. Quorum una quidem pars fideliter permanet apud Christum, cuius
mysterium fuit Iacobi ludas. Altera autem pars, postquam credidit et

70 Cf. Lc. 2 , 37. 71 1 Cor. 1 1 ,3 . 72 Mt. 26, 14ss.

fa un’opera buona, gli serve qui liberandolo dai mali, e nell’altro eone per il con­
seguimento del regno dei cieli... Se invece un infedele fa un’opera buona, quel­
la gli giova qui e qui Dio ricompensa la sua opera con del bene; ma nell’altro
eone la sua opera non gli giova... Egli ha fatto il bene mosso da bontà naturale,
non a causa di Dio» (PG 56, 770); il rapporto evidente fra i testi ha portato a
considerare l’allusione alle pseudo-clementine nella Series non tanto come affer­
mazione origeniana, ma piuttosto come intervento del traduttore latino del
Commentario su Matteo, che potrebbe coincidere con l’autore à é ì ’Opus imper­
fectum (cf. Junod, pp. 3 ls.; Norelli 2000a, pp. 35s.; Vogt 1993, pp. 295s., nota
11); notava del resto von Balthasar che la citazione «non rende il pensiero abi­
tuale di Origene, che riserva ai pagani virtuosi ricompense eterne» (von Balthasar
1972, pp. 73s., nota 15; cf. Mali e supra, Introduzione, pp. 12s.64). Pur nella incer­
tezza testuale e nella difficoltà di interpretazione si individua nel passaggio una
C O M M E N TO A M A TTEO , 77-78 69

l’unguento, o è compiuta a utilità degli uomini, ad esempio elemosine,


visite ad infermi, accoglienza di pellegrini, umiltà, mansuetudine, per­
dono e tutte le altre cose utili agli uomini; chi compie queste cose verso
i cristiani, unge i piedi del Signore di unguento, perché costoro sono i
piedi con cui il Signore è sempre in cammino. Quello che i penitenti so­
no soliti fare principalmente per la remissione dei loro peccati, anche
quell’opera è detta unguento profumato, ma non in massima intensità.
Se poi uno si impegna nella castità, persevera in digiuni e preghiere, ha
pazienza verso i nemici come Giobbe, non teme nelle persecuzioni di
confessare la verità di Dio (tutte cose che non sono utili agli uomini, ma
servono solo alla gloria di Dio), questo è unguento che unge la testa di
Cristo Signore e di lì defluisce per tutto il resto del corpo, cioè per tut­
ta la Chiesa. Ed è questo l’unguento assai prezioso (13), del cui profu­
mo si riempie tutta la casa, cioè la Chiesa di Cristo. E questa è l’opera
propria non dei penitenti ma dei santi perfetti. Oppure di certo (si può
dire): la dottrina necessaria agli uomini, grazie alla quale si nutrono le
anime povere di beni spirituali, o magari deboli per i peccati, è questo
l’unguento di basso prezzo, con cui si ungono i piedi del Signore; men­
tre la conoscenza della vera fede che riguarda solo Dio, è l’unguento
prezioso con cui si unge il capo di Cristo, Dio.

78. Allora uno dei dodici, detto Giuda Iscariota, andò dai cap
sacerdoti e disse loro: Che cosa mi volete dare, ed io ve lo consegnerò? E
quellifissarono trenta monete d’argento, e da quel momento cercava l'oc­
casione propizia per consegnarlo.
Giuda significa CONFESSORE. Essendo dunque due i discepoli di
Cristo designati con questo nome, stando al fatto che Luca evangelista
annovera tra i dodici che erano apostoli, Giuda di Giacomo e Giuda Isca­
riota, poiché in Cristo nulla è privo di senso misterioso, ritengo che que­
sti due Giuda rappresentassero nel mistero i cristiani che confessano la
fede in Cristo. Una parte rimane fedelmente presso Cristo e l’immagine
di questo mistero è Giuda di Giacomo; l’altra parte, però, dopo aver cre-

traccia di diffusione e recezione dell’origenismo in Occidente, immessa nella


riflessione sul libero arbitrio e nella polemica antipelagiana (cf. Studer 2000e, p.
305; Lettieri 2000a, p. 308; Bostock in Orig. VII).
(13) Unguentum quod ungit et domini caput Christi et exinde per totum
pus Christi valde pretiosum. Abbiamo cercato di mostrare quanto la Series 77 sia
fondamentale per la “ecclesiologia delle unzioni” , con i suoi molteplici riverbe­
ri nell’opera origeniana: «Il Signore nel Vangelo, a proposito di quella donna che
sparse sul suo capo un vasetto di unguento prezioso, dice: Ha compiuto nei miei
riguardi un’opera buona, mostrando che compie un’opera buona chi sparge l’un­
guento sulla parola di Dio, cioè chi associa alla parola le opere» (CRm 2, 5 : 1, p.
63). Le note origeniane conosceranno le riprese della spiritualità medievale, spe­
cie in san Bernardo, con continuità e originalità: «C i sono tre specie di profumi.
Il primo emana dal ricordo dei peccati, quando ce ne pentiamo... Questo pro­
fumo lo si sparge sui piedi del Signore, e lì esso riceve la ricompensa... Le sono
perdonati molti peccati perché ha amato molto (Lc 7, 47). Il secondo profumo
70 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 78

confessa est fidem Christi, propter avaritiam reliquit Christum et fa­


cta proditrix veritatis ipsius transiit ad haereses et ad falsos sacerdotes
Iudaeorum falsorum, id est simulatorum Christianorum, et tradidit
187 eis Christum (quantum ad se), id est verbum veritatis, ut crucifigatur
et occidatur Verbum veritatis 73 ab eis, cuius mysterium fuit ludas Sca-
riotha qui abiit ad sacerdotes et de traditione Christi pactus est pre­
tium. Audivi aliquem exponentem patriam proditoris Iudae secundum
interpretationem Hebraicam EXSUFFOCATAM vocari. Quod si ita est,
magna convenientia invenitur nominis patriae eius cum exitu mortis
ipsius, quoniam et ipse laqueo se suspendens 74, prophetiam nominis
patriae suae suffucatus inplevit. Hic ergo ludas, ad quem dictum est
per prophetam: Tu autem, homo unanimis mihi, dux meus et notus
meus 75, cecidit cum fuisset unus eorum, quos Christus ad ducatum
suscepit populi Christiani. Et vide quomodo, quod scriptum est: Vos
autem sicut homines moriemini, et sicut unus de principibus cadetis 7é,
refertur modo ad illum principem, qui cecidit tamquam fulgur de cae­
lo 77, modo ad ludam, qui electus ad principatum apostolatus et qua­
si in caelo constitutus et ipse quasi fulgur ante constitutus cecidit in
proditionis ruinam vadens (adversus unum principem sacerdotum,
qui in aeternum factus fuerat sacerdos secundum ordinem Melchise-
dec 78) ad multos principes sacerdotum et adversarios unius sacerdotis
summi, ut venderet pretio volentem redimere totum mundum a male­
dictione legis et totius peccati et redimere nos non corruptibilibus pe­
cuniis, sed pretioso sanguine 79 suo.

73 Cf. Eph. 1, 13. 74 Cf. Mt. 27, 5; Act. 1, 18. 75 Ps. 54 (55), 14.
76Ps. 81 (82), 7. 77 Cf. Lc. 10,18. 78 Cf. Heb. 6 ,20. 79 Cf. 1 Petr. 1,
18ss.

emana dal ricordo dei benefici di Dio. Questo lo si sparge propriamente sul capo,
perché le virtù devono essere riferite a D io... Il Signore approva questo sperpe­
ro... Dovunque sarà predicato questo Vangelo, . ..sarà detto anche ciò che essa ha
fatto (Mt 26, 13)... Il terzo profumo si compone di aromi preziosi... (Le donne)
comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare il corpo di Gesù... Questo
terzo profumo... il Signore non volle (che) fosse sparso sul suo corpo morto, ma
che fosse conservato (cf. Gv 12,7) per il suo corpo vivo, cioè per la santa Chiesa»
(serm. div. 87, 6 , pp. 474-477; cf. McGinn 2001, pp. 274-279; de Lubac 1988,
pp. 238-252).
(14) ludas interpretatur confessor... Duo Christi discipuli hoc nomine.
fideliter permanet... altera facta proditrix. Con affermazione tante volte ripetuta
e mai esaurita, l’Alessandrino ribadisce che nulla riguardante il Cristo è privo di
mistero - a mysterio vacuum - (cf. de Lubac 1985, pp. 195.217.221; Sfameni
Gasparro 1998b, pp. 207-209), e questo vale in maniera forte per la difficile figu­
ra di Giuda, per cui ricorderemo un passaggio del Commento a Giovanni su Gv
13, 1: Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani...·. «Anche i
nemici di Gesù facevano parte del tutto che egli, nella sua prescienza, sapeva gli
sarebbe stato dato dal Padre... (E) l’aveva dato in mani capaci di accogliere
tutto... (Gesù) venne perché gli esseri usciti fuori di Dio tornassero nelle sue
mani» (Ciò 32, 27.34.35, pp. 740.741. 742). Senza attenuare l’ombra che grava
C O M M EN TO A M A TTEO , 78 71

duto e professato la fede di Cristo, per amore del denaro ha lasciato Cri­
sto, traditrice della sua verità (14), è passata alle eresie e ai falsi sacerdo­
ti dei falsi giudei, ossia dei simulatori dei cristiani, e ha consegnato loro
il Cristo (nella misura che ciò dipendeva da loro), ha cioè consegnato «il
verbo di verità», perché quelli mettessero a morte il Verbo della verità.
Misteriosa immagine di ciò fu Giuda Iscariota, che andò dai sacerdoti e
con loro pattuì il prezzo del tradimento di Cristo. Ho sentito uno spie­
gare che la patria del traditore Giuda, secondo il significato ebraico, si
chiama SOFFOCATA. Se le cose stanno così, grande corrispondenza si ri­
scontra tra il nome della sua patria e l’esito della sua morte, giacché egli
stesso impiccandoci ad una corda, adempì la profezia del nome della sua
patria morendo soffocato. Dunque questo Giuda, al quale fu detto dal
profeta: Ma sei tu, uomo mio confidente, mia guida e mio conoscente, cad­
de, pur essendo stato uno di quelli scelti da Cristo perché fossero alla
guida del popolo cristiano. Ma rifletti un po’ in che senso le parole della
Scrittura: Eppure voi morirete come uomini, cadrete come uno dei princi­
pi si riferiscono ora a quel principe, caduto come folgore dal cielo, ora a
Giuda eletto alla preminenza dell’apostolato ed elevato quasi al cielo,
anch’egli in precedenza destinato ad essere come folgore, cadde nella di­
sgrazia del tradimento, recandosi (contro il solo sommo sacerdote, di­
ventato tale per sempre secondo l’ordine di Melchisedecb) presso molti
sommi sacerdoti e nemici dell’unico sommo sacerdote, per vendere per
denaro colui che voleva redimere tutto il mondo dalla maledizione della
Legge e di ogni peccato, e redimere noi a prezzo di danaro non corrutti­
bile, ma del suo prezioso sangue (15).

su Giuda, Origene vede anche lui, nella mano del Cristo, come uno che presta
comunque «il suo servizio all’economia di salvezza per il mondo» (Ciò 32, 295)
e partecipa così «della passione di Cristo: non solo nell’essere strumento incon­
sapevole del disegno di Dio, ma soprattutto nell’incamare... la profondità del
male... e la sua misteriosa relazione al mistero d’amore di Gesù Cristo» (Lettieri
1995a, pp. 170.194; Simonetti 2004b, pp. 198s.; cf. Laeuchli, p. 263; Drecoll, pp.
569s.). Vi è dunque potenzialità di scelta fra i discepoli e, all’interno dei Dodici,
un Giuda fedele e un Giuda che tradisce; il commento si volge dal giudaismo
storico al «giudaismo vero», costituito dai cristiani «circoncisi secondo lo spiri­
to» (HIs 3 ,1 ), acquistando rilievo intra-ecclesiale per le affermazioni eresiologi-
che: «G li eterodossi provengono dal seno della Chiesa, hanno cominciato con
l’essere cristiani e con l’avere la fede. Il tradimento di Giuda è figura del loro
abbandono» (Le Boulluec 1985, pp. 494.502; Sgherri 1982, pp. 356s.).
(15) Sicut unus de principibus cadetis... Refertur ad illum principem
ludam. La ripresa del Sai 81 (82), 7 colloca Giuda in uno scenario cosmico e
metacosmico, fra preesistenza, condizione umana e meta escatologica: «G iu da...
è decaduto dall’ordine apostolico... Pur essendo i principi parecchi, uno solo
cadde» (Ciò 32, 232.233, p. 779) - il riferimento è al Satana, a Giuda e
all’Adamo decaduto dalla beatitudine - (cf. Rius-Camps, p. 399). Queste letture
vertiginose non sono in contrasto con la prospettiva di aperture esegetiche
recenti: nella vicenda del discepolo che consegna Gesù potremmo leggere anche
il dramma di un giudeo dell’epoca, che spinge il Maestro nelle mani dei suoi
72 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 78

Quid autem dixit ludas ad sacerdotes audiamus: Quid vultis mihi


dare, et ego vobis eum tradam? Volebat enim accipere pecuniam et tra­
dere Verbum Dei, quod faciunt omnes, qui accipiunt aliquid corpora­
lium aut mundialium rerum, ut tradant et eiciant ab anima sua salvato­
rem et Verbum veritatis quod erat in eis. Et opportune hoc uteris exem­
plo ad omnes, qui quodcumque peccatum facientes, propter avaritiam
et causam pecuniarum aut alicuius lucri Verbum Dei contemnunt et
quasi tradunt. Nam huiusmodi homines quasi manifeste clamare viden­
tur et dicere virtutibus adversariis praestantibus lucrum aliquod pro
peccato transgressi Verbi Dei: Quid vultis mihi dare, et ego vobis eum
188 tradam? Quod etsi traditus fuerit, fit quidem extra tradentem: vincens
autem eos qui eum suscepisse videntur, operatur decentia se, ut evacua­
re cupientes eum nihil operentur in ipsum. At illi statuerunt ei dare tri­
ginta stateres 80, tantam ei dationem constituentes quantos annos salva­
tor peregrinatus fuerat in hoc mundo. Triginta enim annorum baptiza-
tus 81, coepit evangelium praedicare, quasi Ioseph factus triginta anno­
rum, ut erogaret frumenta fratribus suis 82. Nam sicut tunc propter fi­
lios quidem Israel a Deo fuerat praeparatum frumentum illud, eroga­
tum est autem etiam Aegyptiis, sic evangelium sanctis quidem fuerat
praeparatum, tamen praedicatum est etiam infidelibus et iniquis.
Ex tunc quaerebat opportunitatem ut traderet eum. Qualem autem
opportunitatem quaerebat ludas, Lucas manifestius explanavit dicens:
Et quaerebat opportunitatem, ut traderet eum eis sine turba 83, id est
quando populus non erat circa eum, sed secretus erat cum discipulis
suis. Quod et fecit tradens eum post cenam, cum secretus esset in
praedio Gethsemani; arbitrabatur enim ludas opportunitatem sibi es­
se post pactum quod fecit, quando cum multitudine non erat Iesus. Et
vide, nisi usque nunc opportunitas ista videtur proditoribus Verbi ve­
ritatis, qui volunt prodere Christum Deum Verbum in tempore perse­
cutionis Christianorum, quando multitudo credentium non est circa
Verbum veritatis nec potest inpedire aut prohibere persecutores, ma­
xime ubi pauci fideles habentur. Et cum sit omnium rerum tempus,

80 Mt. 26,16. 81 Cf. Lc. 3,23. 82 Cf. Gen. 41,46. 83 Lc. 2 2 , 6 .

nemici per forzarlo a un gesto di potenza che riveli l’intervento del Dio d’Israele
riguardo al suo Messia; si dovrebbe parlare, dunque, prima che di tradimento,
di incomprensione della via di amore, perdono, non violenza che Gesù ha por­
tato avanti in tutta la sua economia, e, successivamente, della delusione amaris­
sima di Giuda, perché lo stratagemma fallisce e il Maestro si avvia alla morte
ignominiosa (cf. Léon-Dufour). In ogni caso Giuda è tradito dal mondano che è
in lui e che ha soffocato la conoscenza dei divini disegni consegnata a lui come
agli altri discepoli; si ricorderà come Origene commenta il kerygma: «Se si pre­
dica Gesù Cristo, è necessario annunciarlo crocifisso. Incompleto è l’annuncio
che non parla della sua croce! Non così incompleto, mi pare, dire che Gesù è il
Cristo tralasciando qualcuno dei suoi prodigi, come invece il tralasciare la sua cro­
cifissione!» (CMt 12, 1 9 :1, p. 316). Lo scambio operato da Giuda fra il Verbum
C O M M EN TO A M A TTEO , 78 73

Ascoltiamo bene che cosa disse Giuda ai sacerdoti: Che cosa mi vo­
lete dare, ed io ve lo consegnerò? Voleva avere denaro e consegnare il
Verbo di Dio: fanno questo tutti quelli che prendono qualcosa delle re­
altà corporee o mondane, per consegnare e scacciare dalla loro anima
il Salvatore e il Verbo di verità che avevano in loro. E ti servirai ben a
proposito di questo esempio verso tutti quelli che nel commettere qual­
siasi peccato disprezzano e quasi consegnano il Verbo di Dio per ava­
rizia e per amore di denaro o di un guadagno. Gente del genere sem­
bra gridare quasi apertamente e chiedere alle potenze avverse che of­
frono un guadagno per il peccato della trasgressione della Parola di
Dio: Che cosa mi volete dare, ed io ve lo consegnerò? Anche se conse­
gnato, però, resta fuori di chi lo consegna. Vincendo invece su quelli
che sembrano averlo preso, compie ciò che a lui si addice, sicché quel­
li che vogliono privarlo della sua forza non riescono a fare niente con­
tro di lui. Quelli gli fissarono trenta denari, tanti denari gli fissarono co­
me prezzo, quanti erano stati gli anni che il Salvatore era vissuto pelle­
grino in questo mondo. Dopo essere stato infatti battezzato a trent’an-
ni, cominciò a predicare il Vangelo, e come Giuseppe giunse a trent’an-
ni per distribuire il grano ai fratelli. Come infatti allora Dio aveva prej·
parato quel frumento per i figli di Israele, e fu poi distribuito anche agli
egiziani, così ora aveva preparato il Vangelo per i santi, facendolo però
annunciare anche ai non credenti e ai peccatori (16).
E da allora cercava un’occasione propizia per consegnarlo. Quale oc­
casione cercasse Giuda, lo spiega in maniera più esplicita Luca, dicendo:
E cercava un’occasione propizia per consegnarlo loro, senza esserci la folla,
vale a dire, quando il popolo non lo circondava, ed era appartato con i
suoi discepoli. Ciò lo fece dopo la cena, nell’orto del Getsemani. Giuda
infatti riteneva che, dopo il patto concluso, avrebbe avuto quella occasio­
ne propizia in un momento in cui Gesù non era con la moltitudine. Ri­
fletti se, fino al giorno d’oggi, questa occasione propizia non sembri tale
ai traditori del Verbo di verità, che vogliono tradire Cristo Dio Verbo in
tempo di persecuzione dei cristiani, quando attorno al Verbo di verità né
c’è una moltitudine di credenti, né questa può opporsi o porre ostacoli
ai persecutori, specie lì dove i fedeli sono minoranza; e siccome c’è un

Dei e la pecunia perdura nei cristiani che abdicano al Vangelo, verbum veritatis,
per qualcosa delle realtà mondane - corporalium aut mundialium rerum - (per
questa terminologia cf. CMtS 49, nota 137: I, pp. 312s.; de Lubac 1985, pp.
6 8 s.).
(16) Frumentum illud... evangelium. Il rapporto Gesù-Giuseppe rit
«A trent’anni Giuseppe è tratto fuori dal carcere e riceve il potere su tutto
l’Egitto, per stornare con divina preveggenza il flagello dell’imminente carestia;
a trent’anni Gesù, venuto al battesimo, vide i cieli aperti e lo Spirito di Dio veni­
re su di lui» (HGn 2 ,5 , p. 99); con richiamo affine alla nostra Series: «Il secon­
do Giuseppe, che è Gesù, accumula un grano diverso da quello accumulato in
Egitto, accumula il frumento vero e celeste... Noi dobbiamo fare il pane...
nuovo, ...con il grano e la farina delle Scritture, macinato in Cristo Gesù» (HLc
74 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 78-79

Salomone dicente: Tempus pariendi, et tempus moriendi 84 et cetera,


tempus proditorum <Verbi> veritatis proprium hoc est, quando non
sunt circa Christum multi fideles.

79. Prima autem azymorum accesserunt discipuli ad lesum dicentes


ei: ubi vis paremus tibi pascha manducare? Iesus autem dixit: ite in civi­
tatem ad quemdam et dicite ei, et cetera 85.
Apud Marcum autem sic dicit: Et prima die azyumorum, quando
pascha immolabatur, dicunt ei discipuli eius: quo vis eamus et praepare-
189 mus tibi, ut manduces pascha? et misit duos ex discipulis suis dicens: ite
in civitatem, et ingredientibus vobis occurret vobis homo amphoram
aquae portans; et ubicumque ingressus fuerit, dicite patnfamilias: magi­
ster dicit: ubi est diversorium meum, ubi cum discipulis meis manducem
pascha? et ipse vobis ostendet locum in superioribus stratum magnum pa­
ratum; illic parate nobis 86.
Sicut ergo apparet, una ea- [B II 75, 4] 'έτερος δέ φησι·
demque dies erat paschae, quan- «προ μιας των άζυμων» 87, ήμέ-
do oportebat immolare pascha, ρας μνημονεύσας εκείνης, καθ’ήν
et azymorum, έν τη έσπέρα το πάσχα έμελλε
θΰεσθαι κτλ.
quando oportebat tollere fermentum vetus et azyma manducare cum
carnibus agni. Et dies quidem paschae una erat, azymorum autem
septem, connumerata videlicet die paschae cum ceteris sex. Secundum
haec forsitan aliquis inperitorum requiret cadens in Ebionismum (ex
eo quod Iesus celebravit more Iudaico pascha corporaliter sicut et pri­
mam diem azymorum et pascha), dicens quia convenit et nos imitato­
res Christi similiter facere; non considerans quoniam Iesus, cum venis­
set temporis plenitudo 88 et missus fuisset, factus est de muliere, factus
est sub lege 89, non ut eos qui sub lege erant sub lege relinqueret, sed
ut educeret eos ex lege. Si ergo ideo venit, ut educeret eos qui erant sub
lege, quanto magis non convenit illos introire in legem, qui prius fue­
rant extra legem?

84 Cf. Eccle. 3, ls. 85 Mt. 2 6 ,17ss. 86 Mc. 1 4 ,12ss. 87 Cf. Lc.


22, 7. 88 Gai. 4, 4. 89 Cf. Gai. 4, 4s.
28, 5.6, pp. 188s.; un suggestivo confronto fra Gesù e Giuseppe è dato dal silen­
zio di entrambi di fronte alle accuse: cf. Perrone 2005, p. 106). Il dono pasqua­
le è elargito a sanctis e iniquis per la vita (cf. Danieli 1999, pp. 123s.); le righe
conclusive della Series possono leggersi anche come un appello all’unità dei cri­
stiani intorno al verbum veritatis·, la defezione e il tradimento si insinuano nel
rarefarsi dei fedeli come prima radice di eresia (cf. Le Boulluec 2000a, p. 136).
Il dramma di Giuda è divisione da Dio e lacerazione interiore, ecclesiale: «Colui
che è uno diviene molti quando commette una colpa, perché si separa da Dio, si
divide e cade fuori dell’unità, mentre i molti che seguono i comandi di Dio sono
uno» (Phil 8 , 3, pp. 340s.: da COs su Os 12, 5; cf. Harl 1983, pp. 335.342-348;
C O M M E N TO A M ATTEO , 78-79 75

tempo per tutte le cose, e Salomone dice: Un tempo per soffrire ed un


tempo per morire, eccetera, il tempo proprio per i traditori del Verbo di
verità è questo: quando attorno al Cristo non ci sono molti fedeli.

79. Il primo giorno degli Azzimi, si avvicinarono i discepoli a Gesù


dicendogli: Dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la Pasqua? E Ge­
sù disse: andate in città da un tale e ditegli, ecc.
In Marco il testo dice: E il primo giorno degli Azzimi, quando si im­
molava la Pasqua, gli dicono i discepoli: Dove vuoi che andiamo e ti pre­
pariamo, perché mangi la Pasqua? E mandò due dei suoi discepoli, dicen­
do: Andate in città, e mentre entrate vi verrà incontro un uomo con una
brocca d’acqua, e dovunque entrerà, dite al padrone di casa: Il Maestro di­
ce: Dov’è la mia stanza, dove mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Ed
egli vi mostrerà un luogo al piano superiore, con grande tappeto prepara­
to; lì preparate per noi.
Come si vede, dunque, era Ma un altro dirà prima del
un solo e medesimo giorno quel- giorno degli azzimi, facendo me­
lo di Pasqua, quando si doveva moria di quel giorno in cui, a se-
immolare la Pasqua, quello degli ra, si doveva immolare la Pa-
azzimi, squa, eccetera.
quando si doveva togliere il «vecchio fermento» e mangiare i pani az­
zimi con le carni dell’agnello. Ed il giorno di Pasqua era uno solo, men­
tre quelli degli azzimi erano sette, computando il giorno di Pasqua con
gli altri sei. In base a questo, forse, imo inesperto cadendo nell’ebioni-
smo (17) (per il fatto che Gesù ha celebrato la Pasqua corporalmente
alla maniera giudaica, come primo giorno degli azzimi e Pasqua) esige­
rà che anche noi dobbiamo celebrare così, da imitatori di Cristo; e non
considera che Gesù, quando venne la pienezza del tempo e fu mandato,
nato da donna, nato sotto la Legge, non per lasciare sotto la Legge colo­
ro che vi erano sottoposti, ma per trarlifuori dalla Legge; se è dunque ve­
nuto per questo, per liberare coloro che erano sotto la Legge, quanto
più non conviene che entrino nella Legge coloro che prima erano fuo­
ri di essa?

Pennacchio 2000, p. 49; il frammento di COs era stato individuato come fonda­
mentale per il tema dell’unità della Chiesa da Móhler, pp. 118.354-356).
(17) Aliquis inperitorum requiret cadens in Ebionismum. Origene ritorna
più volte sugli ebioniti, «che giungono alla fede provenendo dai giudei, (e) a
volte ritengono (Gesù) nato da Maria e Giuseppe, altre volte nato solo da Maria
e dallo Spirito Santo, senza far discorso sulla divinità» (CMt 16, 12: III, p. 61 e
nota 1 1 ); «Ammettiamo inoltre che “alcuni accolgono Gesù”, ...“ma vogliono
vivere ancora secondo la legge dei giudei” ... : costoro formano le due sette degli
ebioniti, cioè di quelli che ammettono, come noi, che Gesù è nato da una vergi­
ne e di quelli che invece credono che non è nato in tal modo, ma come tutti gli
altri uomini» (CC 5, 61, p. 477); il termine ebionita ha di mira strati diversi fra i
convertiti dal giudaismo, che vanno da correnti al di fuori della “grande Chiesa”
74 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 78-79

Salomone dicente: Tempus pariendi, et tempus moriendi 84 et cetera,


tempus proditorum <Verbi> veritatis proprium hoc est, quando non
sunt circa Christum multi fideles.

79. Prima autem azymorum accesserunt discipuli ad lesum dice


ei: ubi vis paremus tibi pascha manducare? lesus autem dixit: ite in civi­
tatem ad quemdam et dicite ei, et cetera 85.
Apud Marcum autem sic dicit: Et prima die azyumorum, qmndo
pascha immolabatur, dicunt ei discipuli eius: quo vis eamus et praepare-
189 mus tibi, ut manduces pascha? et misit duos ex discipulis suis dicens: ite
in civitatem, et ingredientibus vobis occurret vobis homo amphoram
aquae portans; et ubicumque ingressus fuerit, dicite patnfamilias: magi­
ster dicit: ubi est diversorium meum, ubi cum discipulis meis manducem
pascha? et ipse vobis ostendet locum in superioribus stratum magnum pa­
ratum; illic parate nobis 86.
Sicut ergo apparet, una ea- [B II 75, 4] 'έτερος δέ φησι/
demque dies erat paschae, quan- «προ μιας των άζυμων» 87, ήμέ-
do oportebat immolare pascha, ρας μνημονεύσας εκείνης, καθ’ήν
et azymorum, έν τή έσπέρα τό πάσχα εμελλε
θύεσθαι κτλ.
quando oportebat tollere fermentum vetus et azyma manducare cum
carnibus agni. Et dies quidem paschae una erat, azymorum autem
septem, connumerata videlicet die paschae cum ceteris sex. Secundum
haec forsitan aliquis inperitorum requiret cadens in Ebionismum (ex
eo quod lesus celebravit more Iudaico pascha corporaliter sicut et pri­
mam diem azymorum et pascha), dicens quia convenit et nos imitato­
res Christi similiter facere; non considerans quoniam lesus, cum venis­
set temporis plenitudo 88 et missus fuisset, factus est de muliere, factus
est sub lege 89, non ut eos qui sub lege erant sub lege relinqueret, sed
ut educeret eos ex lege. Si ergo ideo venit, ut educeret eos qui erant sub
lege, quanto magis non convenit illos introire in legem, qui prius fue­
rant extra legem?

84 Cf. Eccle. 3, ls. 85 Mt. 2 6 ,17ss. 86 Mc. 1 4 ,12ss. 87 Cf. Lc.


22, 7. 88 Gai. 4, 4. 89 Cf. Gai. 4, 4s.

28,5.6, pp. 188s.; un suggestivo confronto fra Gesù e Giuseppe è dato dal silen­
zio di entrambi di fronte alle accuse: cf. Perrone 2005, p. 106). Il dono pasqua­
le è elargito a sanctis e iniquis per la vita (cf. Danieli 1999, pp. 123s.); le righe
conclusive della Series possono leggersi anche come un appello all’unità dei cri­
stiani intorno al verbum veritatis·, la defezione e il tradimento si insinuano nel
rarefarsi dei fedeli come prima radice di eresia (cf. Le Boulluec 2000a, p. 136).
Il dramma di Giuda è divisione da Dio e lacerazione interiore, ecclesiale: «Colui
che è uno diviene molti quando commette una colpa, perché si separa da Dio, si
divide e cade fuori dell’unità, mentre i molti che seguono i comandi di Dio sono
uno» (Phil 8 , 3, pp. 340s.: da COs su Os 1 2 , 5; cf. Harl 1983, pp. 335.342-348;
C O M M E N TO A M A TTEO , 78-79 75

tempo per tutte le cose, e Salomone dice: Un tempo per soffrire ed un


tempo per morire, eccetera, il tempo proprio per i traditori del Verbo di
verità è questo: quando attorno al Cristo non ci sono molti fedeli.

79. Il primo giorno degli Azzimi, si avvicinarono i discepoli a G


dicendogli: Dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la Pasqua? E Ge­
sù disse: andate in città da un tale e ditegli, ecc.
In Marco il testo dice: E il primo giorno degli Azzimi, quando si im­
molava la Pasqua, gli dicono i discepoli: Dove vuoi che andiamo e ti pre­
pariamo, perché mangi la Pasqua? E mandò due dei suoi discepoli, dicen­
do: Andate in città, e mentre entrate vi verrà incontro un uomo con una
brocca d’acqua, e dovunque entrerà, dite al padrone di casa: Il Maestro di­
ce: Dov’è la mia stanza, dove mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Ed
egli vi mostrerà un luogo al piano superiore, con grande tappeto prepara­
to; lì preparate per noi.
Come si vede, dunque, era Ma un altro dirà prima del
un solo e medesimo giorno quel- giorno degli azzimi, facendo me­
lo di Pasqua, quando si doveva moria di quel giorno in cui, a se-
immolare la Pasqua, quello degli ra, si doveva immolare la Pa-
azzimi, squa, eccetera.
quando si doveva togliere il «vecchio fermento» e mangiare i pani az­
zimi con le carni dell’agnello. Ed il giorno di Pasqua era uno solo, men­
tre quelli degli azzimi erano sette, computando il giorno di Pasqua con
gli altri sei. In base a questo, forse, uno inesperto cadendo nell’ebioni-
smo (17) (per il fatto che Gesù ha celebrato la Pasqua corporalmente
alla maniera giudaica, come primo giorno degli azzimi e Pasqua) esige­
rà che anche noi dobbiamo celebrare così, da imitatori di Cristo; e non
considera che Gesù, quando venne la pienezza del tempo e fu mandato,
nato da donna, nato sotto la Legge, non per lasciare sotto la Legge colo­
ro che vi erano sottoposti, ma per trarlifuori dalla Legge; se è dunque ve­
nuto per questo, per liberare coloro che erano sotto la Legge, quanto
più non conviene che entrino nella Legge coloro che prima erano fuo­
ri di essa?

Pennacchio 2000, p. 49; il frammento di COs era stato individuato come fonda­
mentale per il tema dell’unità della Chiesa da Mòhler, pp. 118.354-356).
(17) Aliquis inperitorum requiret cadens in Ebionismum. Origene ri
più volte sugli ebioniti, «che giungono alla fede provenendo dai giudei, (e) a
volte ritengono (Gesù) nato da Maria e Giuseppe, altre volte nato solo da Maria
e dallo Spirito Santo, senza far discorso sulla divinità» (CMt 16, 12: III, p. 61 e
nota 11); «Ammettiamo inoltre che “alcuni accolgono Gesù”, ...“ma vogliono
vivere ancora secondo la legge dei giudei” ... : costoro formano le due sette degli
ebioniti, cioè di quelli che ammettono, come noi, che Gesù è nato da una vergi­
ne e di quelli che invece credono che non è nato in tal modo, ma come tutti gli
altri uomini» (CC 5, 61, p. 477); il termine ebionita ha di mira strati diversi fra i
convertiti dal giudaismo, che vanno da correnti al di fuori della “grande Chiesa”
76 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 79

Ergo de littera quidem legis egredimur, infra virtutem autem spiri­


talem legis constituti, spiritaliter celebrantes inplemus omnia quae illic
corporaliter celebranda mandantur. Expellimus enim vetus fermentum
malitiae et nequitiae, et in azymis sinceritatis et veritatis 90 celebramus pa­
scha Christo nobiscum coepulante secundum voluntatem agni dicentis:
Nisi manducaveritis carnem meam et biberitis sanguinem meum, non ha-
190 bebitis vitam manentem in vobis 91; qui tollit peccatum mundi et prohibet
verum exterminatorem (non solius Aegypti, sed totius generis humani
exterminatorem) tangere nos celebrantes festivitatem paschae secum. Et
ascendimus ipso nobiscum Domino constituto ab inferioribus ad locum
superiorem, in quo diversorium est, quod demonstatur ab intellectu, qui
est in unoquoque homine paterfamilias, discipulis Christi. Haec autem
domus superior sit nobis magna, ut capiat Iesum Verbum Dei et Sapien­
tiam 92 et Veritatem 93 et Pacem 94 et omne quod est filius Dei, qui non
capitur nisi a magnis sensu. Et sit domus haec praeparata a patrefamilias
- intellectu - filio Dei, non solum in loco superiori nec tantummodo ma­
gna sed etiam mundata, nullo modo habens malitiae sordes, quasi a sco­
pis legis Coadunatas atque proiectas. Sit domus ista et in civitate Dei, id
est in ecclesia. Sit autem domus illius princeps non qualibuscumque co­
gnitum habens nomen: ideo et mystice dicit Iesus ite ad quendam, ut illi
dicant, qui Christo praeparant pascha: Magister dicit·. Apud te faciam pa­
scha cum discipulis meis 95, adnuntient etiam patrifamilias illi et quod di­
cit: Magister dicit: Ubi est diversorium, ubi cum discipulis meis manducem
pascha 96, ut paterfamilias ille qui praeparat diversorium Iesu et discipu­
lis eius, ostendat locum superiorem et stratum et paratum et magnum 97,
ut veniens illuc Iesus festivet cum discipulis suis.

90 Cf. 1 Cor. 5, 7s. 91 Io. 6 , 53. 92 Cf. 1 Cor. 1, 24. 93 Cf. Io.
14, 6 . 94 Cf. Eph. 2, 14. 95 Mt. 26, 18. 96 Mc. 14, 14. 97 Mc.
14, 15.

a linee interne. Nel complesso l’Alessandrino considera con comprensione chi,


venuto alla fede in Cristo da Israele, esita ad abbandonare pratiche ed osservan­
ze giudaiche (cf. Sgherri 1982, pp. 287.289); reagisce più fortemente, come nella
nostra Series, nei riguardi di eventuali cristiani dalle genti nostalgici di una
Pasqua celebrata corporaliter, che riporterebbe sotto la Legge chi ne è stato trat­
to fuori dal Cristo, e del quale si può dire: «Colui che ascolta in segreto le pre­
scrizioni della Legge sulla Pasqua, mangia dell’Agnello Cristo - poiché Cristo,
nostra Pasqua, è stato immolato -; e sapendo qual è la carne del Verbo... ne par­
tecipa» (Hler 1 2 , 13, p. 158; cf. Buchinger, I, p. 261; II, p. 325). Dal punto di
vista storico l’apporto di Origene per la conoscenza del giudeo-cristianesimo è
più considerevole di quanto si dica ordinariamente e in particolare appaiono ori­
ginali le sue informazioni sugli ebioniti, la loro esegesi e teologia (Dorivai 2001;
Le Boulluec 2000a, p. 137; su quanti paupertate sensus oberrant nell’interpreta­
zione delle Scritture, cf. HGn 3, 5, nota 28, p. 134; cf. anche CMtS 33, nota 89:
I, pp. 224s.; Le Boulluec 1985, pp. 522.528; Monaci Castagno 1987, pp. 103s.).
(18) De littera legis egredimur, infra virtutem spiritalem legis constit
celebramus pascha Christo nobiscum coepulante. Il discepolo resta dentro il vaio-
C O M M E N TO A M A TTEO , 79 77

Usciamo dunque dalla lettera della Legge, ma teniamoci sotto il po­


tere spirituale di essa e, celebrando sul piano spirituale, adempiamo tut­
ti i riti lì prescritti, da celebrarsi sul piano corporale. Togliamo via il vec­
chio lievito di malizia e perversità, celebriamo la Pasqua in azzimi di sin­
cerità e verità, mentre il Cristo siede a mensa con noi (18) secondo la vo­
lontà dell’agnello che dice: Se non mangerete la mia carne e non berrete il
mio sangue, non avrete la vita che permane in voi\ colui che toglie il pecca­
to del mondo e impedisce al vero sterminatore (che stermina non solo
l’Egitto ma tutto il genere umano) di stendere la mano su noi che con lui
celebriamo la festa pasquale. E una volta che lo stesso Signore è in no­
stra compagnia, ascendiamo dalle parti inferiori al piano superiore, dove
è la stanza indicata ai discepoli di Cristo dall’intelletto, che è il padrone
di casa in ogni uomo. Ma questo piano superiore della casa per noi de­
v’essere spazioso, per contenere Gesù Verbo di Dio, Sapienza, Verità,
Pace e tutto ciò che è il Figlio di Dio, il quale non viene compreso se non
da quelli che hanno la mente grande. Che sia, questa casa, ben prepara­
ta dal padrone di casa - l’intelletto - per il Figlio di Dio, non solo nel pia­
no superiore; e sia non soltanto spaziosa ma anche pulita, assolutamente
monda dalle sozzure della perversità, che la scopa della Legge ha come
raccolte e spazzate lontano. Sia, questa casa, nella città di Dio, ossia nel­
la Chiesa (19). Ma il padrone di questa casa non abbia un nome noto a
chiunque: per questo Gesù in senso mistico dice: Andate da un tale, per­
ché coloro che preparano la Pasqua dicano a lui: Il maestro dice: Farò da
te la Pasqua coi miei discepoli, a quel padrone di casa annuncino pure: Il
maestro dice: Dov'è la stanza, in cui mangerò la pasqua con i miei discepo­
li?, affinché quel padrone che prepara la stanza a Gesù ed ai suoi disce­
poli mostri il piano superiore, una sala con i tappeti, adorna e grande, per­
ché Gesù venga lì e celebri la festa con i suoi discepoli.

re spirituale della Legge, e il Cristo celebra la Pasqua con noi-, il passo opera una
sintesi fra la simbologia d é ì ’agnello - che porta il peccato del mondo, conducen­
do questo a salvezza -, il discorso del pane di Gv 6 e la celebrazione della notte
di Pasqua-, viene come attribuita al rapporto Ultima cena-Pasqua-eucaristia un’«effi-
cacia apotropaica», innestata sulla «metafora centrale» del celebrare la Pasqua con
Gesù (cf. Buchinger, Π, pp. 330.332s.). H Devastatore - Exterminator - dell’Esodo
non può tangere nos celebrantes festivitatem paschae secum-, «Infatti è stato immola­
to Cristo, la nostra Pasqua, che per noi è il vero Pane disceso dal cielo», sottolinea
ripetutamente Origene (HEx 7,4, pp. 216s.; cf. Cantalamessa, p. 224; Vogt 1993,
p. 297, nota 19); se «l’aspetto più importante della Pasqua... è cristologico» (cf.
Laporte, p. 75), va sottolineata la “metaforizzazione” della Pasqua, cioè il trasfe­
rimento dell 'immolazione pasquale di Cristo (1 Cor 5, 7) «dal piano dell’accadi-
mento storico al centro e al cuore dell’esistenza attuale del credente», con il pre­
valere di una «concezione soteriologico-antropologica attualizzante della
Pasqua, tutta focalizzata sul vitale rapporto dei credenti con Cristo» (così Visonà
2002, p. 184; cf. Buchinger, II, pp. 332-338, e i rinvìi a Pas in CMtS 75, nota 3,
Π, pp. 48ss., e CMtS 76, nota 7: II, pp. 55s.).
(19) Ascendimus... Sit domus in loco superiori... in Ecclesia. «Vi es
mo: Salite in alto... La Parola dice: Su di un monte eccelso sali...» (Hler 19,13,
78 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 79-80

Ego autem puto quod homo, qui ingredientibus discipulis in civi­


tatem occurrit eis amphoram aqme portans, quem voluit lesus ut seque­
rentur discipuli eius euntem in domum, qui subtilem illam aquam do­
mui adportabat, ut non solum esset mundata, sed etiam aquis plenius
elauta, [et] erat quidam ministrans patrifamilias (id est intellectui) por­
tans mundatoriam aquam in fictili vaso, ut sublimitas virtutis sit Dei 98,
i9i aut certe potabilem aquam subministrabat in illo fictili vaso " , ut filius
quidem Dei generationem praebeat vitis 10°, ille autem intellectus mini­
ster ex lege et prophetis aquam, quae misceatur cum vino evangelici ver­
bi. Nos ergo qui optamus de ecclesia esse, volentes celebrare pascha
cum Iesu, sequamur hominem illum qui vas baiulat huiusmodi aquae,
quem puto esse Moysen legis datorem, spiritalem doctrinam portantem
in corporalibus historiis. Qui autem accedunt ad legem et prophetas
quasi ad eloquia ipsius Dei, non autem sequuntur eum spiritaliter qui
vas baiulat aquae vivae m , non celebrant pascha cum Iesu nec calicem
bibunt novi testamenti 102. Praeparent autem discipuli pascha Iesu, et
post sermones discipulorum quibus catechizaverunt patremfamilias (id
est intellectum), veniat et divinitas unigeniti coépulans discipulis suis in
domo praedicta. Scire tamen debemus quoniam, qui in epulationibus et
sollicitudinibus saecularibus sunt 103, non ascendunt in domum illam
superiorem, nec vident magnitudinem eius nec considerant stratus illius
ornatum; propterea nec celebrant cum Iesu pascha nec accipiunt panem
benedictionis ab eo nec calicem novi testamenti 104.

80. Vespere autem facto discubuit cum discipulis suis, et edent


eis dixit: amen dico vobis, quoniam unus ex vobis tradet me 105.

98 Cf. 2 Cor. 4, 7. 99 Cf. Mc. 14, 13. 100 Cf. Mt. 26, 29 par.
101 Cf. Io. 4, 10. 102 Cf. Lc. 22, 20. cf. Rom. 13, 13; Mc. 4, 19.
104 Cf. Lc. 2 2 , 20. 105 Mt. 26, 20.21.

p. 247); il motivo sarà ripreso nella Series 8 6 , ove si inviterà de alto transire ad
altum (cf. Lago, pp. 55.89.90; Danieli 1996, p. 145). La «Pasqua è per definizio­
ne... passaggio (diabasis) e ascesa (anabasis)... La Pasqua si celebra sempre
salendo» (Cantalamessa, p. 183), e all’eucaristia, «partecipazione spirituale alla
Nuova Alleanza», i fedeli accedono con un intelletto che trascende le realtà
umane «per contenere davvero in se stessi... il Verbo di D io... Sapienza, Verità
e Pace» (cf. Gramaglia 2000a, p. 151); nella salita al locus superior, grande sala
che deve contenere tutti i doni del Figlio di Dio, si disegna come un’allegoria
della realtà ecclesiale nel suo apice pasquale-eucaristico. Quanto può essere per­
cepito come “problema”, cioè in che termini l’Alessandrino stabilisca il rappor­
to fra celebrazione eucaristica e immolazione del Cristo come “nostra Pasqua”,
e come veda il nesso teologico fra Ultima cena e passione, va confrontato con la
coscienza già espressa al termine di CMtS 10, in cui si dice dei cristiani - in occul­
to ludaei - che: manducant Pascha immolatum Christum pro nobis, secondo la
parola - nisi manducaveritis non habetis vitam aeternam - e che, bevendo il san­
gue del Cristo, unguent superlimina domorum animae suae (I, pp. 144.146; cf.
Buchinger, I, p. 262; II, pp. 333.336.337). Il linguaggio eucarìstico di cui
C O M M E N TO A M A TTEO , 79-80 79

Quanto a me, penso questo: l’uomo che va incontro ai discepoli


mentre entrano in città, portando una brocca d’acqua, Gesù volle che lo
seguissero mentre andava a casa, lui che portava quell’acqua leggera al­
la casa perché non solo fosse pulita, ma anche lavata da acque più ab­
bondanti, era un tale al servizio del padrone di casa (ossia dell’intelletto)
che portava l’acqua lustrale in vaso di creta, perché vi sia questa sublimi­
tà della potenza di Dio, oppure di certo egli distribuiva in quel vaso di
creta acqua da bere affinché, mentre il Figlio di Dio offre il frutto della
vite, quel servitore dell’intelletto offrisse acqua dalla Legge e dai profe­
ti, mescolata col vino della parola del Vangelo. Noi dunque che deside­
riamo appartenere alla Chiesa, se vogliamo celebrare la Pasqua con Ge­
sù, seguiamo pure quell’uomo (20), che porta un vaso con tale acqua:
quegli è Mosè, penso, il legislatore! Egli porta una dottrina spirituale
[contenuta] in storie corporali. Ora quelli che si avvicinano alla Legge
come alle stesse parole di Dio, ma poi non seguono colui che porta un
vaso d 'acqua viva, non celebrano la Pasqua con Gesù né bevono il cali­
ce del Nuovo Testamento. I discepoli invece preparino la Pasqua di Ge­
sù e dopo il discorso con cui essi hanno istruito il padrone di casa (cioè
l’intelletto) come un catecumeno, venga pure la divinità dell’Unigenito,
e segga a mensa coi suoi discepoli nella predetta casa. Dobbiamo però
essere consapevoli che quanti vivono in gozzoviglie e preoccupazioni del
secolo, non salgono al piano superiore di quella casa, non ne contempla­
no la grandezza, né considerano l’ornamento di quei tappeti. E per que­
sto non celebrano [neppure] la Pasqua con Gesù, non ricevono da lui
né il pane di benedizione né il calice della nuova alleanza.

80. Venuta la sera, si mise a mensa con i suoi discepoli e me


mangiavano, disse loro: In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà.

l’Alessandrino fa uso per indicare la presenza del Logos incarnato fra gli uomi­
ni come benedizione, anche quando non si riferisca propriamente all’eucaristia
sacramentale, sottolinea implicitamente che questa resta il modo più alto per
esprimere le molte azioni salvatrici con le quali il Logos dispensa beni agli uomi­
ni, nella Parola e nei misteri (cf. Lies 1983, pp. 160-165), nella globalità della
rivelazione (cf. Vogt 1999d, p. 288), per «ottenere una ininterrotta adesione del­
l’anima al Logos» (Grappone, p. 362).
(2 0 ) Nos qui optamus de Ecclesia esse, volentes celebrare pascha cum I
sequamur hominem illum. Dalla preparazione etica - distacco dalle cure monda­
ne -, alla catechesi - l’istruzione dell’intelletto -, all’ermeneutica spirituale delle
Scritture - il portatore d’acqua simboleggia sia il servo dell’intelligenza della
Scrittura, con allegoria di tipo filoniano, sia Mosè servo rispetto al Cristo Figlio -:
«Non meravigliarti che la Scrittura chiami il verbo che è nell’uomo la dimora del­
l’intelletto: infatti l’Intelletto universale, che è Dio, è detto avere per dimora il suo
proprio Verbo» (Filone, migr. 1 ,4 , p. 25). L’Antico Testamento - dottrina spiritua­
le in storie corporee -, è l ’aqua mundatoria chiamata a mescolarsi e fondersi con il
vino della parola evangelica: nella simbologia complessiva, «artificiale se (presa)
alla lettera, ecco riapparire i tre corpi [del Cristo: Scrittura, eucaristia, Chiesa] nella
loro unione indissolubile: si prepara l’Ultima cena, la nuova Pasqua,.. .segnata dal-
8o CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 80-81

Discipulis edentibus pascha secundum legis mandatum dixit lesus


- qui sciebat quid esset in homine, et propterea non habebat opus, ut ali­
quis testimonium daret ei de homine 106 - et dixit de Iuda cum consue­
to sibi iureiurando: Amen dico vobis, quoniam unus ex vobis me tra­
det 107. Cum enim potuisset a principio proditorem specialiter demon­
strare, hoc quidem non fecit, dixit autem generaliter, quia unus ex vobis
me tradet, ut testimonio percussi cordis singulorum qualitas probaretur,
ut et discipulorum ostende- [Π 305, 8] οι δε λοιποί μα-
ret bonitatem quia plus crede- θηταί, εί καί καθαρόν είχον τό
bant verbis Christi quam con- συνειδός, άλλ’ούν εκείνα» μάλλον
scientiae suae, ή έαυτοίς πιστεύοντες ήγωνίων.

192 et Iudae malitiam quia nec cognitori consiliorum suorum credebat, ut


turbaretur aut tristaretur - esto, quia in primis
putavit latere quasi homi- [Π 306, 10] ένόμιζε γάρ δτι
nem - έλαθεν τον κύριον κτλ.
qui postquam vidit conscientiam suam * * * positam in verbis ipsius,
quorum primum infidelitatis erat, secundum autem impudentiae.

81. Et contristati nimis coeperunt singuli dicere: numquid ego


Domine? 108.
Quaeret autem aliquis: si bonae conscientiae erant undecim apo­
stoli (quia mundi erant ab omni proditione magistri), utquid contrista­
ti sunt de auditu, quasi potuisset fieri ut unus esset ex ipsis de quo di­
cebatur? Aestimo autem quoniam unusquisque discipulorum sciebat
ex his, quae docuerat lesus, quoniam mutabilis et ad malum vertibilis
est natura humana et quoniam in conluctatione adversus principatus et
potestates et rectores huius mundi tenebrarum 109 potest fieri, ut decidat
homo aut circumventus aut vim passus ad adversariis virtutibus ad ma­
lum perficiendum. Hoc ergo considerantes unusquisque discipulorum,

106 Io. 2, 25. 107 Mt. 26, 21. 10« Mt. 26, 22. 109 Eph. 6 ,12.

l’istituzione dell’eucaristia, ...(passaggio) dall’Antico Testamento al Nuovo...


effettuato nel rito, che costituirà la Chiesa» (cf. de Lubac 1985, p. 401; Sgherri
1982, p. 370). Il sottofondo filoniano esprime la migrazione insita in ogni itinera­
rio spirituale, fino all’accoglienza alta da riservare al Logos-nutrimento: « “Mosè
disse loro: Questo è il pane che il Signore ci ha dato da mangiare; questa è la Parola
che il Signore ha stabilito”. Tu vedi qual è il nutrimento dell’anima: la Parola di
Dio» (leg. all. 169, p. 302); evidentemente per il maestro cristiano è centrale l’equi­
valenza Logos-Cristo: nella presenza incarnata, non ipostatizzata, ma storicamen­
te personalizzata, del Logos, si ha il vero pane dal delo, che è in diretto contatto
con il mondo, interviene nella vita umana, partecipa ai credenti, nella Chiesa, la
parola nelle Scritture e il corpo nell’eucaristia: «Si deve pregare onde divenire
degni (del pane supersostanziale), e, nutriti dal Verbo divino che in principio era
presso Dio, diventare Dio» (Orat 27, 13, p. 142; per il tema in rapporto a Filone-
Origene, cf. Paddle; Laporte, pp. 42-48).
C O M M EN TO A M A TTEO , 80-81 8l

Mentre i discepoli mangiavano la Pasqua secondo la prescrizione


della Legge, Gesù - che sapeva che cosa c’è nell’uomo e per questo non
aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza sull’uomo -, prese la
parola e si mise a parlare di Giuda, con la consueta formula di giuramen­
to: In verità vi dico: uno di voi mi tradirà. Pur potendo sin dall’inizio in­
dicare esplicitamente il traditore, non lo fece, ma disse in tono generico:
Uno di voi mi tradirà, affinché la qualità di ciascuno di loro venisse pro­
vata dalla testimonianza del cuore ferito (21),
sì da mostrare sia la bontà Gli altri discepoli, pur se
dei discepoli, poiché credevano avevano la coscienza pura, tutta-
di più alle parole di Cristo che via erano combattuti tra il crede-
alla loro coscienza, re a lui più che a se stessi.
sia la cattiveria di Giuda, che non credeva neanche al conoscitore dei
suoi progetti, in modo da turbarsi o rattristarsi - sia pure, perché sul­
le prime
pensò di celarsi a lui come pensava di celarsi al Signo-
ad un uomo - re, eccetera.
dopo aver visto la sua coscienza esposta nelle parole di Giuda...: la pri­
ma di esse era una parola di incredulità, la seconda di sfrontatezza.

81 .E d essi, assai addolorati, incominciarono ciascuno a chiedere: So­


no forse io Signore?
Qualcuno però potrebbe chiedere: se gli undici apostoli avevano
una buona coscienza (perché puri da ogni tradimento del Maestro),
perché mai si sono addolorati nell’udire questa parola, [immaginando]
quasi l’eventualità che uno di loro fosse quello indicato? A mio parere,
ognuno dei discepoli sapeva, da ciò che Gesù aveva insegnato, che la
natura umana è mutevole e si può volgere al male; [sapeva] che nella
lotta contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mon­
do di tenebra, può accadere che l’uomo cada, raggirato o soverchiato
dalle potenze avverse, sì da commettere il male. Per cui, nel considera­

c i ) Ut testimonio percussi cordis singulorum qualitas probaretur. I discepo­


li si affidano più alle parole di Gesù che alla propria coscienza, ed è in questo
che essa si dimostra pura, come rileva il frammento greco - καθαρόν συνειδός -
(cf. de Lubac 1985, p. 72), mentre Giuda si occulta dietro il silenzio e la profe­
zia del Cristo, il cui giudizio sui cuori scruta fedeli e infedeli. Origene attribui­
sce a Dio questa parola: «Così potrà dire l’Ordinatore di tutte le cose: “ ...(So)
che Giuda, mentre il Figlio mio abitava tra gli uomini, all’inizio sarà buono e vir­
tuoso, ma in seguito devierà e cadrà nei peccati degli uomini” ...Ciò previde...
per Giuda e gli altri misteri certamente anche il Figlio di Dio»; il richiamo viene
nell’ambito di una quaestio sul rapporto fra preghiera e preconoscenza divina:
«se Dio è conoscitore del futuro e bisogna che si avveri, vana è la preghiera; (se)
tutto accade conforme al volere di Dio ed immutabili sono i suoi disegni, e nes­
suna delle cose che vuole si può mutare, è inutile pregare» (Orat 6 , 5; 5, 6 , pp.
82 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 81

ne forte ipse esset qui praecognitus erat proditor, contristati sunt val­
de, propter quod dictum fuerat eis: Unus ex vobis me tradet, et coepe­
runt dicere quasi nescientes singuli futurum de se: Numquid ego sum,
Domine? Si autem habet rationem, quoniam propter hanc causam ti­
mens unusquisque eorum dixit: Numquid ego sum, Domine? de omni­
bus futuris timendum est nobis infimis, qui nondum sapientiam
perfectionis accepimus, secundum quam dicit apostolus: Confido enim,
quia neque mors neque vita et cetera potest nos separare a caritate Dei,
193 quae est in Christo Iesu no. Qui autem nondum perfectus est, dubitat
de seipso quasi possit et cadere; secundum quam infirmitatem huma­
nam scribens Corinthiis Paulus dicebat: Sed castigo corpus meum et in
servitutem redigo, ne forte cum aliis praedicaverim ipse reprobus effi­
ciar m . Et vide: quod dicit ne forte cum aliis praedicaverim ipse repro­
bus efficiar, sic pronuntiat quasi timens, ne forte et cadere possit et re­
probus fieri, quod autem dixit confido et cetera, confidentis et firmi ho­
minis est propter suam perfectionem, quoniam mille contraria separa­
re eum a caritate Christi non valeant. Quoniam autem apostoli adhuc
erant infirmi et iuste timebant, manifestum est ex eo, quod dicit qui
sciebat propositum singulorum, quoniam omnes vos scandalum patie­
mini in me in hac nocte 112.
Et quoniam proponens quis meliora, aliquotiens ad malitiam trans­
vertitur victus in conluctatione contrariarum virtutum, manifestum est
ex eo, quod scriptum est de Petro: quoniam ipse quidem considerans
propositum suum, qualem circa Christum haberet adfectum, respondit
non cum simulatione sed ex veritate cordis sui (quantum ad se), quo­
niam si omnes scandalizati fuerint, ego solus non scandalizabor 113; sal­
vator autem, sciens infirmum eum in suis promissionibus fore, et quo­
niam brevis timor hominis facturus esset eum recedere de proposito
meliori, dixit ad eum: Amen dico tibi quoniam in hac nocte, priusquam
gallus cantet, ter me negabis 114. Et talibus non est inportunum dicere
semper: Ne glorieris in Domino, nec enim scis quid pariat dies superven­
tura 115. Et Paulus similiter: Fratres, inquit, sipreoccupatus fuerit homo

no Rom. 8 ,38s. 111 1 Cor. 9,27. 112 Mt. 26,31. 113 Mt. 26,33.
114 Mt. 26,34. 115 Prov. 27,1.

54.48s.): la risposta dell’Alessandrino, che armonizza il libero arbitrio dell’uomo


con il mistero della prescienza e provvidenza divine, si avvale di esempi scrittu-
ristici, fra i quali appunto è Giuda (cf. Bendinelli 1997a, p. 34; Simonetti 1997,
p. 93). Nella nostra Series si parla di conscientia e di consilia, e il vocabolario
riporta alla considerazione che dai «pensieri buoni e cattivi che vengono ispira­
ti al nostro cuore a noi non derivi altro che impulso e incitamento che ci spinge
al bene o al male... Quando la potenza malvagia avrà cominciato a spingerci al
male, noi abbiamo la possibilità di respingere da noi le suggestioni cattive...
Quando la virtù divina ci spinge al meglio, noi abbiamo la possibilità di non
seguirla... conservando nell’uno e nell’altro caso la prerogativa del libero arbi­
trio» (Prin 3, 2 , 4, p. 417; cf. l’analisi di Pesthy in Orig. Vili, che mostra somi­
glianze e differenze fra i pensieri- διαλογισμοί - origeniani e gli ascendenti bibli-
C O M M E N TO A M A TTEO , 81 83

re se non fosse forse lui il traditore che Gesù già conosceva, ognuno dei
discepoli ha provato grande tristezza a motivo di quella parola rivolta
loro: Uno di voi mi tradirà. E siccome ognuno ignorava il suo futuro,
cominciarono a chiedere·. Sono forse io, Signore? Ma se c’è un senso per
cui, temendo per tale motivo, ognuno di loro prese a dire: Sono forse
io, Signore?, dobbiamo temere per tutti gli eventi futuri noi deboli, che
non abbiamo ancora ricevuto la sapienza perfetta, per cui l’Apostolo
dice: Sono convinto che né morte né vita, eccetera, può separarci dal­
l’amore di Dio che è in Cristo Gesù. Chi invece non è ancora perfetto, è
in dubbio su se stesso, in quanto potrebbe cadere (22). Data questa
umana instabilità, scrivendo ai Corinzi, Paolo diceva: Tratto duramen­
te il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che dopo aver
predicato agli altri, divenga io stesso reprobo. Bada: le parole dopo aver
predicato agli altri, divenga io stesso reprobo le pronunzia in certo tono,
quasi perché tema di poter cadere e diventare reprobo, mentre ciò che
ha detto: Sono convinto, sono parole da persona convinta e ferma, gra­
zie alla sua perfezione, persona che mille realtà contrarie non varreb­
bero a separare dall’amore di Cristo. Ma che gli apostoli fossero anco­
ra instabili e avessero buon motivo di temere, risulta chiaro dalle affer­
mazioni di colui che ben conosceva la volontà di ognuno: Voi tutti vi
scandalizzerete per causa mia in questa notte.
E che pur facendo propositi più virtuosi a volte uno si può volgere
verso il vizio, vinto nella lotta con le potenze avverse, risulta chiaro da
quello che è scritto di Pietro. Considerando quale amore verso il Cristo
avesse la sua volontà, rispose senza finzione ed in base alla verità del suo
cuore (per quanto dipendeva da lui): Anche se tutti si scandalizzassero di
te, io non mi scandalizzerò mai·, ma il Salvatore, ben sapendo che nel man­
tenere le sue promesse sarebbe stato incoerente e un timore umano di
breve durata lo avrebbe fatto retrocedere dal proposito più coraggioso,
gli disse: In verità ti dico, questa notte prima che il gallo canti, mi rinne­
gherai tre volte. A tali persone non sarebbe cosa importuna ripetere sem­
pre: Non ti vantare col Signore, perché non sai neppure che cosa generi il
giorno che sopraggiunge. E parimenti Paolo: Fratelli, se uno venga sorpre-

co-giudaici delle due vie, fino alle speculazioni rabbiniche su distinto cattivo-, e
ancora Bertrand in Orig. Vili).
(2 2 ) Qui nondum perfectus est, dubitat de seipso quasi possit et cade
timore e l’inquietudine degli Apostoli esprime una presa di coscienza del pro­
prio limite esistenziale alla luce della grazia: «Essendo uomini, veniva loro in
mente, credo, che i propositi di coloro che sono ancora per via sono mutevoli e
suscettibili di un’intenzione radicalmente opposta a quella precedente» (Ciò 32,
255, pp. 782s.); come osserva ancora Origene prendendo spunto da Lazzaro
«amico di Gesù (intimo a lui) con l’obbedienza», «la natura umana è soggetta a
mutare» e «anche un amico di Gesù può talora ammalarsi... in un momento in
cui Gesù non gli è vicino e ... non soltanto ammalarsi ma anche morire» (Frlo 77
su Gv 11, 1, p. 879; cf. Vogt 1974, p. 344). L’esempio di Paolo rafforza la pro­
spettiva, poiché egli dice insieme - secundum sapientiam perfectionis - che nulla
84 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 81-82

in aliquo delicto, vos qui spiritales estis confirmate huiusmodi in spiritu


mansuetudinis, considerans ne et tu tempteris 116, docens quoniam in­
certus est exitus noster de nobis, quamvis forte meliorum propositum
habeamus. Haec autem omnia recordantes, quoniam nescimus quid pa­
riat nobis dies superventura, non inflabimur neque superbiemus neque
gloriabimur aliquando, quamvis sciamus nos multa bona habere; sicut
et Paulus cum dixisset de se: Nihil mihi conscius sum, superaddit, sed
non in hoc iustificatus sum 117, tamquam sciens deum sanctificantem
quos praecognoscit et quos praedestinavit 118 vocantem.

194 82. Qui intingit mecum manum in paropside, hic me tradet119.


Videns eos de seipsis timentes demonstravit proditorem indicio pro­
pheticae vocis dicentis: Qui manducat panem meum mecum, amplificavit
adversus me supplantationem 120; nec enim discrepat illud ab hoc quod
dicit: qui intingit mecum manum in paropside, hic me tradet121. Et hoc
quoque considerandum est, quid utique nos volens docere salvator, si­
gnum dat discipulis suis de Iuda proditore ex eo, quod cum Iesu manum
suam in paropsidem intulisset, in quam (sicut aestimo) intingebant carnes
pascha edentes. Aestimo autem quod malitiam eius multam manifestam
facere volens hoc dixit, quoniam quem suscepit ad mensam communem
et commanducavit ei (forte quia a principio bene agebat), ipse lesum pro­
didit tantis honoribus se conplectentem et neque salis eiusdem neque
mensae neque panis communicati memor est factus, sed omnia illa trans-
grediens propter triginta staterum promissionem tradidit largitorem tan-

116 Gai. 6 , 1. 117 1 Cor. 4, 4. 118 Cf. Rom. 8 , 29s. 119 Mt. 26,
23. 120 Ps. 40 (41), 10. 121 Mt. 26, 23.

ci separerà dall’amore di Dio che è in Cristo, e - secundum infirmitatem huma­


nam - che castiga il suo corpo per non essere trovato reprobo (sull’ispirazione
paolina dell’ascetica-mistica origeniana, cf. Cocchini 2000c; Simonetti 2003); il
cammino del cristiano, segnato da fede e carità ricevute nel Cristo, è di consape­
vole adeguazione al dono: «L a libera autodeterminazione si concretizza in una
opzione di fondo, una pre-scelta (προαίρεσις), ...tensione che nei singoli
momenti trova la sua applicazione e verifica (e) si misura con la parola di Dio
(nelle) scelte di vita» (cf. Scognamiglio 1997, p. 265). L’esegesi origeniana ritor­
nerà in Basilio: «I santi apostoli... pur essendo pienamente certi della propria
sincera disposizione d’animo nei confronti del Signore, tuttavia, nel sentir dire:
Uno di voi mi tradirà, credettero piuttosto alla parola del Signore e domandava­
no tutti: Sono forse io, Signore?» (Regole brevi 301, 1296b, p. 499).
(23) Incertus est exitus noster de nobis. La scuola del Cristo attinge i d
poli, e per primo Pietro, nella loro fragilità; commentando la confessione di
Cesarea e la successiva reazione di Pietro, Origene notava che questi, nella sua
comprensione ancora da principiante, riteneva «la passione... indegna del
Cristo... e inferiore alla dignità del Padre che così grandi cose gli aveva rivelato
di lui», e allora Gesù lo aveva richiamato alla sequela nel profilarsi della croce,
come «parlando a uno che a motivo della sua ignoranza e del suo parlare non
retto aveva smesso di seguir(lo)» (CMt 12, 2 1 :1, p. 320); i Dodici non sono pre­
servati dalla prova della fede, anzi, per la loro vicinanza al Maestro, sono i primi
C O M M E N TO A M A TTEO , 81-82 85

so in qualche colpa, voi che siete spirituali correggetelo con spirito di man­
suetudine; e bada di non essere anche tu oggetto di tentazione, insegnan­
doci che la riuscita di noi stessi è incerta (23), anche se magari abbiamo
la volontà di azioni più virtuose. Ricordando però tutte queste cose, poi­
ché non sappiamo che cosa generi per noi il giorno che sopraggiunge, non
ci gonfìeremo, inorgogliremo e vanteremo talvolta, pur sapendo di pos­
sedere molte buone qualità; così come Paolo, avendo affermato di sé:
Anche se non sono consapevole di colpa alcuna, aggiunse: non per questo
sono giustificato, ben sapendo che Dio santifica quelli che da sempre ha
conosciuti, e chiama quelli che ha predestinati.

82. Colui che intinge con me la mano nel piatto, costui mi tradirà.
Vedendo che essi temevano circa se stessi, manifestò il tradito con
l’indizio di una parola profetica: Colui che mangia il pane con me, ha
esteso contro di me il suo calcagno. Quella parola non diverge infatti da
questa che dice ora: Colui che intinge con me la mano nel piatto, costui
mi tradirà. Ed è da considerare anche questo: che cosa appunto volesse
far capire il Salvatore dando questo segnale ai suoi discepoli riguardo a
Giuda traditore, perché avesse messo la sua mano nel piatto, in cui (co­
me ritengo) intingevano le carni quelli che mangiavano la pasqua. Ma, a
mio parere, disse questo perché voleva manifestare la sua grande malva­
gità: lui, che Gesù ha accolto alla mensa comune, nella cui compagnia
ha mangiato (forse perché all’mizio agiva bene), proprio lui tradì Gesù
che lo circondava di così grandi onori, e non si ricordò né del medesi­
mo sale né della mensa né del pane cui aveva partecipato (24), ma cal­
pestando tutto ciò per la promessa di trenta denari consegnò il datore

ad esserne attraversati, e il ministero di Pietro sarà confermato a partire dalla sua


storia dolorosa (cf. Gonneaud). L’incertezza del giorno - secondo il richiamo a
Prv 27, 1 - è un ulteriore sguardo alla fragilità dell’uomo che può confidare solo
nella santificazione operata da Dio in Cristo, rovesciando attese e incertezze
mondane; nel Vangelo di Giovanni, ai discepoli che dicono: Ora sappiamo. ..,
Gesù replicherà: Mi lascerete solo... (cf. Gv 16,30-32); se alle soglie della passio­
ne riemèrge quel mondo da cui pure Gesù trae fuori i suoi, è perché i discepoli
imparino che «la crisi della fede è parte costitutiva della fede» (cf. Dettwiler, p.
382; Zumstein). Il tema di Pietro sarà ripreso alla Series 8 8 , ove si parlerà anco­
ra dell’assoluto della Parola, secondo l’accenno già rilevato nella Series 80.
(24) Neque salis neque mensae neque panis communicati memor est factu
formula: Nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tm Dio (Lv
2,13), evoca simbolicamente nelle Scritture la perennità del patto che, non a caso,
con formula inversa, è definito in Nm 18, 19: Alleanza di sale (cf. Harlé - Pralon
1988, p. 90); nel patto scambiato fra uomini, come nell’offerta fatta a Dio, se il pane
è il simbolo comune del nutrimento, il sale evoca la incorruzione che lega i com­
mensali di un pasto di comunione, aggiungendovi il senso della perennità e della
grazia (cf. Dorivai et alii 1994, p. 373); Origene ha mirabilmente sviluppato il tema
del sale, riguardo ai discepoli sales terrae, in CMtS 37 (cf. nota 101:1, pp. 242s.). Se
è grave tradire un patto umano, scambiato con pane e sale, ben più amaro è rom­
pere la comunione in ordine a spiritalem mensam, cibum spiritalem, dominicam
86 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 82-83

torum bonorum. Et haec est vere propria consuetudo hominum nimis


malorum, ut post salem et panem insidientur hominibus, maxime nihil
nociti ab eis, cum quibus communicaverunt panem et salem. Denique
Daniel de quibusdam huiusmodi hominibus feralibus et valde malis ita
prophetans dicebat: Super mensam unam falsa loquentur 122.
Si autem potes spiritalem mensam et cibum spiritalem et domini­
cam intellegere cenam, quibus omnibus dignificatur fuerat a Christo,
abundantius videbis multitudinem malitiae eius, quibus magistrum et
concibum divinae mensae et calicis (et hoc in die paschae) tradidit sal­
vatorem, non recordatus nec in corporalibus bonis magistri dilectio­
nem, nec in spiritalibus doctrinam eius sine invidia semper communi­
catam 123. Tales sunt omnes in ecclesia, qui insidiantur fratribus suis,
cum quibus ad eandem mensam corporis Christi et ad eundem pocu­
lum sanguinis eius frequenter simul fuerunt.
Si autem oportet et ipsius paropsidis interpretationem accipere, nos
quidem ab huiusmodi nos abstineamus, ne aliquid frigidum quibusdam
dicere videamur. Tamen qui vult etiam in hoc aliquid invenire morale,
195 consideret in lege, ubi dona a principibus singularum tribuum offerun­
tur in dedicatione altaris, <et> forte intelleget ibi etiam paropsidem
aliquid esse intellegendam: in prima, inquit, die obtulit donum suum
Naason filius Aminadab princeps tribus Iuda. et obtulit donum suum
paropsidem argenteam, triginta et centum pondus eius, et phialam unam
argenteam siclorum septuaginta secundum siclum sanctum 124.

83. Et filius quidem hominis vadit, sicut scriptum est de eo; va


tem homini illi per quem filius hominis tradetur 125.
Et lesus quidem, secundum quod videbatur, ibat passurus per
crucem; secundum autem, quod vere erat, et ibat et remanebat in mun­
do cum discipulis suis custodiens eos in fide. Nec enim potuissent per-

i 22 Dan. 11, 27. 123 Cf. Sap. 7, 13. 124 Num. 7, 12. ^5 Mt.
26, 24.

cenam... In questa Series Origene vede nella Pasqua Γeucaristia, alla quale Giuda è
stato convocato - dignificatus - dal Signore, rispondendo con ingratitudine alla
dilectio e alla doctrina (cf. Lettieri 1995a, p. 182; Laeuchli, pp. 254.261.264); anco­
ra il dies paschae è il giorno della Pasqua storica: l’uno e l’altro aspetto si prolunga­
no nella realtà ecclesiale, e possono essere accolti nel massimo della verità o nel ver­
tice della menzogna (cf. Buchinger, I, pp. 264s.).
(25) Tales sunt omnes in Ecclesia qui insidiantur fratribus suis, cum qui
simul fuerunt. Il tradimento di Giuda si rinnova nel tradimento dei fratelli all’in­
terno della Chiesa: «Ascoltino queste parole coloro che lacerano le Chiese e,
introducendo dottrine straniere e perverse, ritengono di poter mangiare le carni
sacre fuori del tempio di Dio, fuori del recinto del Signore...» (HLv 4, 8 , p. 94);
il passo della Series 82 sembra designare l’eresia «come rottura sacrilega della
comunione eucaristica» e «turbamento interno della Chiesa», insidia ai fratelli
commensali alla mensa del Corpo e Sangue del Cristo; si può dire che questa ese­
gesi origeniana di Mt 26,23 «contiene la definizione cristologica ed ecclesiologi-
C O M M EN TO A M ATTEO , 82-83 87

di tanti beni. Questa davvero è la condotta solita propria degli uomini


assai malvagi: dopo aver mangiato insieme pane e sale, tendono insidie
a persone, specie se non hanno ricevuto alcun male da quelli con i qua­
li condivisero pane e sale. Anzi, Daniele, profetando di tali uomini bru­
tali e assai malvagi, diceva così: Sulla stessa mensa dicono il falso.
Ora, se hai la capacità di intendere il senso della mensa spirituale,
del nutrimento spirituale, e della cena del Signore, cose tutte di cui
(Giuda) fu reso degno da Cristo, vedrai più ampiamente la gravità del­
la sua malvagità; in quelle cose, egli tradì il Salvatore, maestro e parte­
cipe della mensa divina e del calice (e ciò nel giorno di Pasqua), senza
ricordarsi dell’amore del maestro buono nei beni corporali e senza ri­
cordarsi del suo insegnamento nei doni spirituali, comunicato sempre
senza invidia. Così sono, nella Chiesa, tutti quelli che tendono insidie
ai loro fratelli, con i quali spesso furono insieme alla stessa mensa del
corpo di Cristo e allo stesso calice del suo sangue (25).
Se poi occorre accogliere l’interpretazione dello stesso piatto, noi
vogliamo astenerci da ima cosa del genere, per non dare ad alcuni l’im­
pressione di dire qualcosa di insulso. Tuttavia chi vuole trovare un sen­
so morale in questo dettaglio, consideri, nella Legge, dove i capi delle
singole tribù offrono doni per la dedicazione dell’altare, e lì forse capirà
che anche il piatto è da intendere come una certa realtà: Nel primo gior­
no - dice - presentò l’offerta Naasson, figlio di Aminadab principe della
tribù di Giuda-, ed offrì il suo dono, un piatto d’argento di centotrenta si-
eli ed un recipiente d’argento di settanta sicli, secondo il siclo santo.

83. Il figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a


per mezzo del quale il figlio dell’uomo sarà tradito.
Stando a quanto appariva, Gesù andava verso la passione di cro­
ce; ma stando a quanto era in realtà, e andava e rimaneva al tempo stes­
so nel mondo con i suoi discepoli custodendoli nella fede (26). Non

ca della eresia», come «trasgressione del segno che definisce e manifesta l’appar­
tenenza alla Chiesa (cf. Le Boulluec 1985, pp. 496s.; Id. 2000a, p. 136) e, in que­
sto senso, diventa anche una testimonianza rilevante della centralità dell’eucari­
stia nella vita della Chiesa (pur mantenendo le proporzioni fra Parola ed eucari­
stia, in particolare secondo le analisi di Lies 1983). L’insistenza sul piatto - intin­
git mecum in paropside - fa chiedere conclusivamente all’Alessandrino se si deve
anche per questo aspetto cercare un significato mistico, senza rischiare di fare
una tropologia artificiosa - aliquid frigidum -; il rinvio a Nm 7, 1 2 ss. - l’offerta
dei capi tribù per la dedicazione dell’altare della Dimora - offre comunque uno
spunto di rapporto: da un lato il testo antico sottolineava il ruolo identico delle
tribù nel servizio del Tabernacolo, per cui Giuda che si sottrae ai Dodici rompe
l’insieme cultuale del popolo di Dio (cf. Ashley, p. 352); dall’altro la ripetizione
dei doni ammoniva a non mutare gli oggetti richiesti per l’offerta, a non trasfor­
mare «la parola di Dio», a non cambiare «in immagini diverse le cose di Dio»,
facendone immagini di uomini (HEz 7, 2 , p. 129).
(26) Secundum quod videbatur, ibat passurus... secundum quod vere era
et remanebat. La formula non contiene ombre di docetismo: Gesù Cristo, come è
88 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 83-84

manere in fide ipsius, praecipue cum mortuum eum vidissent, nisi ab


ipso invisibiliter custodita fuissent corda ipsorum, et non dixit: Vae ho­
mini illi a quo traditur sed per quem traditur, ostendens alterum a quo
tradebatur (id est a diabolo), ipsum autem ludam ministrum esse tra­
ditionis. Vae autem non solum Iudae, sed omnibus proditoribus Chri­
sti; quicumque enim Christi discipulos tradit, ipsum Christum tradit.
Propterea a diabolo quidem traduntur, tamen per homines illos, et ideo
vae illis. Nam si omnem malitiam in hominibus diabolus per homines
operatur, et quicumque interficitur ab aliquo, etsi non ab ipso tamen
per ipsum est interfectus. Et si iudex aliquem interfecerit, iniuste mor­
tis sententiam ferens in aliquem, sciendum est quia ipse, locum diabo­
lo 126 dans in se, ministrum se praebuit diabolo ad interfectionem ho­
minis innocentis. Bonum erat ei, si non fuisset natus homo ille 127, hoc
est: illi bonum erat si natus non fuisset, quia nec hoc bono fuerat dignus
ut nasceretur. Sed quoniam aptus fuerat ex arbitrio suo ut hoc ministe­
rium proditionis consummaretur per eum, ideo natus est malo suo, ut
in malum quod secundum propositum suum merebatur incideret.

84. Respondens autem ludas dixit: Numquid ego sum, Rabbi? 128.
Et vide quoniam expectans ludas tantum sermonem Christi de se
196 non praecidit narrationem eius sua responsione, sed post omnes re­
spondit dicens: Numquid ego sum, Rabbi? Non ex adfectu discendi,
sed secundum consudetudinem nominandi magistrum eum vocavit
magister, quasi subsannans eum, quia vocabatur magister cum non esset
hoc vocabulo dignus. Et dixit ei Iesus: Tu dixisti 129, ut ex ore 130 ipsius
iudicaret eum, quoniam ille quasi dubitans dixerat: Numquid ego sum,
Rabbi? Non quidem secundum conscientiam dubitans, sed fingens se
de hoc dubitare. Non enim habebat ipsum timorem, quem ceteri apo-

126 Cf. Eph. 4, 27. 127 Mt. 26, 24. 128 Mt. 26, 25. 129 Ibid.
130 Cf. Lc. 19,22.
nato, così «ha patito realmente, non in apparenza; morto realmente della morte
comune a tutti... realmente è risorto dai morti» (Prin 1, pref. 4, pp. 121s.); per la
“cristologia unitiva” dell’Alessandrino la formula di assenza/presenza sottolinea in
questo caso l’indivisibilità del mistero della Pasqua: l’itinerario del Cristo ha il suo
culmine nella risurrezione e come frutto la fede, ed è questa che proietta la sua
luce sull’evento della passione e della morte (cf. Fédou, p. 208). La grazia che ha
misteriosamente custodito i cuori dei discepoli nel vaglio della Pasqua prosegue
ora nella Chiesa, nel cui mistero e struttura sacramentale si mantiene una «dupli­
ce relazione al mondo: trascendenza senza mescolanza da una parte, immanenza
fino a lasciare indistinte le frontiere dall’altra» (von Balthasar 1972, p. 60; sulle
presenze e assenze del Cristo cf. CMtS 65, alle note 177 e 178: I, pp. 402-405;
Scognamiglio in Orig. IV; sulla forma o abito di servo assunta dal Logos e sul pas­
saggio dall’incorporazione del Logos nella Scrittura all’incarnazione propriamen­
te detta, cf. Noce 2002, pp. 137-145.294-297). Quanto al motivo delle consegne,
lo abbiamo già visto emergere nella Series 75 (cf. nota 4: CMtS Π, pp. 50-51).
(27) Aptus fuerat ex arbitrio suo ut hoc ministerium proditionis consu
retur per eum. «È certo che Dio non solo conosce il proposito e la volontà di
ognuno, ma anche li prevede. Sapendo poi e prevedendo, alla stregua di un
C O M M E N TO A M A TTEO , 83-84 89

avrebbero infatti potuto perseverare nella fede in lui, specie dopo aver­
lo visto morto, se i loro cuori con fossero stati invisibilmente custoditi
da Gesù. E non disse: Guai a quell’uomo dal quale è tradito, ma per
mezzo del quale è tradito, indicando l’altro da cui veniva tradito (cioè il
diavolo) mentre lo stesso Giuda non era che al servizio del tradimento.
Ma guai non solo a Giuda, ma a tutti i traditori di Cristo; chiunque in­
fatti tradisce i discepoli di Cristo, tradisce lo stesso Cristo. Ecco perché
sono traditi dal diavolo, e tuttavia traditi per mezzo di uomini, e perciò
guai a loro: perché se è il diavolo ad operare tutto il male che è negli
uomini per mezzo di loro, chiunque venga ucciso da qualcuno, anche
se non lo è proprio da costui, tuttavia lo è per mezzo di lui. E nel caso
che un giudice abbia messo a morte qualcuno, emettendo ingiusta sen­
tenza di morte contro di lui, si sappia che, dando occasione al diavolo
dentro di sé, quel giudice si mette al servizio del diavolo stesso per l’uc­
cisione di un uomo innocente. Sarebbe stato bene per lui, se quell’uomo
non fosse nato, cioè: sarebbe stato bene per lui se non fosse nato, non es­
sendo meritevole neanche di questo bene, di nascere. Ma poiché in vir­
tù del suo arbitrio sarebbe stato idoneo a che questo servizio del tradi­
mento si consumasse tramite lui (27), è nato perciò per suo male, per
cadere in quel male che meritava in base alla sua intenzione.

84. Ma rispondendo Giuda, disse: Sono forse io, Rabbi?


Osserva: pur aspettandosi un discorso di Cristo così forte a suo ri­
guardo, Giuda non ne interrompe il racconto con la sua risposta, ma
interviene dopo tutti dicendo: Sono forse io, Rabbi? Lo chiamò Mae­
stro, non per desiderio di sapere, ma per il suo modo solito di chiamar­
lo così, quasi a deriderlo: si faceva chiamare maestro, pur non essendo
degno di tale titolo! E Gesù gli disse: Tu l’hai detto, per giudicarlo dal­
la sua bocca·, quegli, come in tono di dubbio, aveva detto: Sono forse io,
Rabbi? non perché stesse dubitando nella sua coscienza, ma perché fa­
ceva finta di esprimere un dubbio circa se stesso. Gli mancava il timo-

dispensatore buono e giusto, utilizza i movimenti e il proposito di ognuno per


portare a compimento quelle opere che l’intenzione e la volontà di ciascuno scel­
gono di compiere» (CRm 7, 16: II, 15); il testo ora citato è fra quelli dedicati a
Faraone (cf. Perrone 2000d, pp. 241s.), ma in altri passi si ritrova direttamente
il mistero di Giuda: «Se togli la malizia di Giuda e sopprimi il suo tradimento,
togli parimenti la croce del Cristo e la sua passione... Se non ci fosse stata la
morte del Cristo, non ci sarebbe stata neanche la risurrezione... Dio si serve per
l’opera buona non solo dei beni, ma anche dei mali... (Dio) si serve del buon
proposito dell’uomo per il bene, e del proposito cattivo per ciò che è necessa­
rio» (HNm 14, 2 , pp. 192ss.; cf. Laeuchli, p. 263). «Il parallelo antitetico tra
Giuda e Gesù rinvia al comune eppure del tutto contrario uso della libertà
umana, sì che solo Giuda è responsabile del tradimento, e la stessa economia
redentiva divina si serve della autonoma libertà di Giuda senza condizionarla in
alcun modo» (Lettieri 1995a, p. 185, che offre un’interpretazione che si diffon­
de ampiamente su preesistenza ed apocatastasi; cf. peraltro Drecoll, p. 557); si
può ancora ricordare che il dramma di Giuda era stato inserito da Origene nella
90 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 84-85

stoli habuerunt; sed ille sine timore quasi timens dicebat. Et ideo forsi­
tan post omnium apostolorum singillatim interrogationes et post Chri­
sti narrationem de ipso vix aliquando et ipse interrogavit, quasi ex co­
gitatu quodam et versuto consilio, ut similia ceteris apostolis interro­
gando celaret interim proditionis suae consilium; nam vera tristitia et
urgens non sustinet moram, sicut nec apostolorum sustinuit.

85. Edentibus autem eis accipiens lesus panem et gratias agen


git et dedit discipulis suis dicens: Accipite et manducate, hoc est enim cor­
pus meum. Et accipiens calicem et gratias agens dedit eis dicens: Bibite ex
hoc omnes, hic est enim sanguis meus novi testamenti, qui pro multis ef­
funditur in remissionem peccatorum lil.
Panis iste, quem Deus Verbum corpus suum esse fatetur, Verbum
est nutritorium animarum, Verbum de Deo Verbo procedens et panis
de pane caelesti, qui positus est super mensa de qua scriptum est:
Praeparasti in conspectu meo mensam adversus eos quia tribulant
me 132. Et potus iste, quem Deus Verbum sanguinem suum fatetur,
Verbum est potans et inebrians praeclare corda bibentium, qui est in
poculo de quo scriptum est: Et poculum tuum inebrians quam praecla­
rum est! 133. Et est potus iste generatio vitis verae quae dicit: Ego sum
vitis vera 134, et est sanguis uvae illius, quae missa in torcular passionis
protulit potum hunc; sicut et panis est Verbum Christi factum de tri­
tico illo quod cadens in terram multum reddidit fructum 135. Non enim

131 Mt. 26, 26-29. 132 Ps. 22 (23), 5. 133 Ibid. 134 Io. 15, 1.
135 Io. 12, 24s.

trattazione sul fatalismo astrologico del perduto Commento alla Genesi·. «Se è
possibile che Giuda sia apostolo come Pietro, è possibile che Dio pensi riguar­
do a Giuda che resterà apostolo come Pietro. Se è possibile che Giuda diventi
traditore, è possibile che Dio pensi riguardo a lui che diventerà traditore...
Poiché queste due facoltà esistono, chi non ascolta gli appelli alla conversione e
le parole educative, si consegna alla facoltà malvagia» (Phil 23, 9, pp. 158-161;
cf. note di Junod ibid. e pp. 167-169). Il rapporto fra elezione, giustizia e libero
arbitrio è colto da Origene con varie sfumature: dalla dilatazione della loro cor­
nice temporale in eoni precedenti o successivi a questo mondo, all’approfondi­
mento del concetto di prescienza divina in cui si coordinano il disegno divino
provvidenziale e la libera scelta dell’uomo (cf. Monaci Castagno 1992, p. 97; Id.
1997a; sul rapporto fra l’uomo che dà spazio al diavolo e quest’ultimo, cf. Id.
2 0 0 0 d; molti testi origeniani relativi a libertà umana e provvidenza divina sono
ripresi in Benjamins, Lekkas; cf. anche Danieli 2004; Orazzo).
(28) Ut ex ore ipsius iudicaret eum... Sine timore quasi timens dicebat.
suto consilio. Gesù mette Giuda di fronte alla conoscenza e possibile confessio­
ne della colpa; giudicato dal proprio peccato, «ognuno dei peccatori accende da
sé la fiamma del proprio fuoco» {Prin 2, 10, 4, p. 336); se non è respinto il bru­
ciore di quell’incendio, ne viene la penitenza positiva: «Stavo infatti in piedi nel
peccato nel tempo in cui vivevo nel peccato; .. .fu quindi per me molto vantag­
gioso cadere...» (HLc 17, 3, p. 130); si può interpretare la parola di Gesù a
C O M M E N TO A M ATTEO , 84-85 91

re degli altri apostoli; o piuttosto parlava non avendo, ma affettando ti­


more (28). E per questo forse, dopo le domande rivolte ad uno ad uno
da tutti gli apostoli e dopo l’intervento di Cristo a suo indirizzo, anche
lui pose una volta la domanda, suggerita come da un pensiero e da scal­
tra avvedutezza, per cui, facendo la stessa domanda degli altri aposto­
li, camuffava intanto la decisione del suo tradimento: il dolore vero, in­
fatti, è incalzante e non tollera alcun rinvio, come non lo tollerò nean­
che quello degli apostoli.

85. Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prendendo del pane e


dendo grazie, lo spezzò, e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e
mangiate, questo è infatti il mio corpo. E avendo preso il calice e reso gra­
zie, lo diede loro dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue
dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.
Questo pane, che il Dio Verbo riconosce essere suo corpo, è il Ver­
bo che nutre le anime, Verbo che procede da Dio Verbo, pane che vie­
ne dal pane celeste, posto sulla mensa, della quale sta scritto: Davanti
a me hai preparato una mensa contro quelli che mi affliggono. E la be­
vanda è quella che il Dio Verbo riconosce come suo sangue, il Verbo
che abbevera e inebria magnificamente i cuori di quanti ne bevono. Es­
so si trova nel calice di cui sta scritto: Quanto è magnifico il tuo calice
che mi inebria. Questa bevanda è prodotto della vera vite che dice: Io
sono la vite vera, ed è bevanda di quell’uva, che gettata nel torchio del­
la passione ha prodotto tale bevanda (29); come il pane è Verbo di Cri­
sto fatto da quel grano che caduto per terra porta molto frutto. Non in-

Giuda come un invito - non accolto - a guardare il profondo delle sue parole e
gesti in quel momento supremo? «Una spada acuminata e incandescente... reca
un doppio tormento, dell’ustione e della ferita... Il Salvatore porta l’una e l’altra
cosa, la spada e il fuoco e ti battezza con la spada e con il fuoco» (HEz 5, 1 , pp.
99s.); sine timore timens e senza vera tristitia, Giuda non sa accogliere che «in
fondo all’essere» lo bruci il fuoco di Dio e la voce gli faccia «intendere il suo
appello dalla tomba del peccato» (cf. Rahner 1964, p. 737; Prinzivalli 2000a, p.
180; Perrone 2000e, pp. 347s.). Insistendo sulla ipocrisia di Giuda, la Series non
cambia peraltro la prospettiva abituale dell’Alessandrino: nel piano redentivo il
gesto di Giuda serve il mistero con la consegna stessa del Maestro, e d’altra parte
Giuda perde la libertà della verità in rapporto all’amore del Cristo che lo ha
chiamato fra gli intimi e gli prospetta un messianesimo del servizio fino al dono
di sé; ancora: affidare l’esito delle vicende storiche a una misericordia divina che
ecceda le attese dell’uomo e si espliciti nell’orizzonte dell’apocatastasi, non toglie
nulla all’impegno e alla lotta contro il peccato e le potenze (cf. Lettieri 1995a, p.
182; Léon-Dufour).
(29) Panis corpus suum... sanguis uvae in torcular passionis. Il comme
Mt 26, 26-29 - la Cena del Signore - che ricopre le Series 85 ed 8 6 , appare orche­
strato su un tono solenne, di anagogia - de alto transire ad altum -, già le due
moltiplicazioni dei pani di Mt 14, 15-21 e 15, 32-38 erano state commentate «in
posizione... di rilievo» all’inizio e alla fine di CMt 11, passando subito oltre «il
significato letterale del racconto», e sottolineando la funzione dei discepoli nel
tenere in alto «il nutrimento spirituale offerto dal messaggio evangelico» per i
92 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 85-86

197 panem illum visibilem quem tenebat in manibus corpus suum dicebat
Deus Verbum, sed Verbum in cuius mysterio fuerat panis ille frangen­
dus. Nec potum illum visibilem sanguinem suum dicebat, sed Verbum
in cuius mysterio potus ille fuerat effundendus. Nam corpus Dei Ver­
bi aut sanguis quid aliud potest esse, nisi Verbum quod nutrit, et Ver­
bum quod laetificat cor 136? Cur autem non dixit: Hic est panis novi
testamenti, sicut dixit: Hic est sanguis novi testamenti? Quoniam panis
est verbum iustitiae quam manducantes animae nutriuntur, potus au­
tem est Verbum agnitionis Christi secundum mysterium nativitatis
eius et passionis. Quoniam ergo testamentum Dei in sanguine passio­
nis Christi positum est ad nos, ut credentes filium Dei natum et pas­
sum secundum carnem salvi efficiamur, non in iustitia, in qua sola si­
ne fide passionis Christi salus esse non poterat, ideo tantum de calice
dictum est: Hic est calix testamenti.

86. Amen dico vobis, quod amodo non bibam de generatione


huius, nisi cum bibam illud vobiscum novum in regno patris mei 137.
Sed et de pane dictum est apud Lucam similiter: Desiderio deside­
ravi hoc pascha manducare vobiscum. Dico vobis quod amodo non man­
ducabo illud, nisi inpletum in regno Dei 138. Ergo manducabit salvator et
bibet panem illum et potum paschalem renovatum in regno Dei, et man­
ducabit et bibet cum discipulis suis. Sicut enim non rapinam arbitratus

136 Ps. 102 (103), 15. 137 Mt. 26,29. 138 Lc. 2 2 ,15s.

fedeli di tutti i tempi (Simonetti 2001a, pp. 86.91). Nelle spiegazioni dei tratti
eucaristici troviamo un parlare figurato e passaggi sul corpo tipico e simbolico del
Logos che si è fatto carne e vero cibo (Gv 6 , 56) (cf. CMt 1 1 , 14): «Coloro che
sono più semplici intendano il pane e il calice nel senso più comune, come rife­
riti cioè all’eucaristia; coloro invece che hanno appreso a ricercare un senso più
profondo li intendano in un senso più divino, (riferiti alla) promessa della Parola
di verità che nutre» (Ciò 32, 310, p. 793); questi testi ricordano «l’umanità del
Cristo come primo sacramento... Come Dio, che ci fu sempre presente “in sé”,
non lo divenne “quoad nos” che mediante l’incarnazione, così ...il Cristo non
diventa presente per noi... che mediante il segno efficace di questa presenza...
La manducazione tipica è una vera manducazione (che significa) una manduca-
zione più spirituale e, di conseguenza, più reale. La materialità del pane simbo­
lizza, mediante una trans-significazione ontologica, il Cristo fuori del tempo e
dello spazio» (von Balthasar 1972, pp. 70.72); il Verbo che procede dal Dio-Verbo
porta con sé la presenza anamnetica del sacrificio storico di Cristo che compie
l’economia della carne·, la realtà secondo il Logos, rappresentata dal pane e dal
vino, contiene dunque la presenza pneumatica di quel sacrificio che può così
essere partecipato (cf. Lies 1978, pp. 187s.).
(30) Corpus Dei Verbi aut Sanguis... Verbum quod nutrit... Verbum quod
tificat. L’insistenza sul Logos-Verbum ci ricorda che «la nostra iniziazione è avve­
nuta per mezzo di lui in un corpo umano», e che non potremo dimenticarlo
«anche quando giungeremo, una volta o l’altra, al vertice sommo della contem­
plazione del Logos» (Ciò 2, 61, p. 218); essendo “connaturale” alla verità escato­
logica del Cristo-Logos, la Parola - Verbum - costituisce il Corpo di Cristo anche
C O M M EN TO A M A TTEO , 85-86 93

fatti quel pane visibile che teneva tra le mani, il Dio Verbo chiamava
suo corpo, bensì il Verbo nel cui mistero quel pane doveva essere spez­
zato. E non quella bevanda visibile chiamava suo sangue, ma il Verbo
nel cui mistero quella bevanda doveva essere versata. Infatti che altro
potrebbe essere il corpo o il sangue del Dio Verbo, se non il Verbo che
alimenta ed il Verbo che allieta il cuore? (30). Ma perché non ha detto:
questo è il pane della Nuova Alleanza, così come ha detto: questo è il
sangue della Nuova Alleanza? Perché il pane è parola di giustizia, man­
giando il quale le anime vengono nutrite, mentre la bevanda è il Verbo
della conoscenza di Cristo secondo il mistero della sua nascita e passio­
ne (31). Poiché dunque l’alleanza di Dio è stata stipulata per noi nel
sangue della passione di Cristo, perché, credendo che il Figlio di Dio è
nato ed ha sofferto la passione secondo la carne, ci è data la salvezza
non grazie alla giustizia, che da sola non poteva dare la salvezza, senza
la fede nella passione di Cristo; ecco perché soltanto del calice viene
detto: Questo è il calice della nuova Alleanza.

86. In verità vi dico, che da ora non berrò più di questo frutto
vite, fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio.
Anche a proposito del pane è detto in Luca: Ho ardentemente desi­
derato mangiare questa Pasqua con voi. Vi dico che non la mangerò più fin­
ché essa non si compia nel regno di Dio. Dunque il Salvatore mangerà
quel pane e berrà quella bevanda pasquale rinnovata nel regno di Dio,
e mangerà e berrà insieme ai suoi discepoli. Come infatti non considerò

all'interno della eucaristia in maniera adeguata (Lies 1978, p. 192). Un tratto omi­
letico recita: «Π popolo cristiano... segue colui che ha detto:... La mia carne è
veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda... Colui che diceva queste
cose... è stato ferito per i nostri peccati, come dice Isaia (cf. Ir 5 3 ,5 )... Si dice che
beviamo il sangue di Cristo non solo nel rito dei sacramenti, ma anche quando
riceviamo i suoi discorsi, nei quali risiede la vita, come egli stesso dice: Le parole
che ho detto, sono spirito e vita ...» (HNm 16, 9, p. 230); nel rito come nell’annun­
cio della Parola siamo resi partecipi della carne e del sangue del Logos - i termi­
ni che descrivono l’uno e l’altro mezzo di comunione coincidono - e si può così
parlare per l’eucaristia di presenza reale spiritualizzata, verbale e commemorativa
(cf. Lies 1978, pp. 195s.); come la lettura spirituale della Bibbia ne cerca il senso
più vero, così «l’eucaristia introduce al Logos» (de Lubac 1985, p. 398; cf.
Crouzel 1986, pp. 306-309; Vogt 1999d); la parola con cui «Cristo indicava il pane
e il vino, presentandoli come suo corpo e suo sangue, aveva valenza di μυστήριον,
indicava cioè la vera realtà nascosta al di sotto dei segni eucaristici» (Gramaglia
2000a, p. 151). Quando Origene parla di «pani... che son divenuti per mezzo
della preghiera un corpo santo» (CC 8 , 33, p. 689), e della moltiplicazione di quei
«pani sui quali fu detto il ringraziamento (e) pronunciata la benedizione» (CMt
11, 19, p. 257), intende preghiera e benedizione in senso forte, come «parola di
Dio che conferisce un potere, una grazia» (Laporte, p. 21).
(31) Panis est verbum iustitiae... potus verbum agnitionis Christi secu
mysterium nativitatis et passionis. Il pane è il nutrimento della parola di giustizia,
e quindi della nostra giustificazione ad opera del Verbo, nella sua economia sal­
vifica dalla incarnazione alla passione, il cui simbolismo - il sangue versato - è
94 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 86

est esse se aequalem Deo, sed semetipsum humiliavit usque ad mortem 139,
sic manducabit panem et bibet de generatione vitis et bibet novum, et
propter multam bonitatem suam et dilectionem hominum manducabit
et bibet cum discipulis suis, cum tradiderit regnum Deo et patri 140.
Adtende enim quod dicit: Cum bibero eum vobiscum novum, in alio
tempore, nisi in regno patris m ei 141. Et alias autem non est regnum Dei
esca et potus 142. Corporaliter enim et secundum similitudinem praesen­
tis cibi et potus non est regni Dei esca et potus * * * his, qui exhibuerunt
198 se dignos pane caelesti et pane angelorum et esca illa, de qua dicit sal­
vator: Mea esca est, ut faciam voluntatem eius qui me misit et perficiam
opus eius 143. Quoniam autem in regno Dei manducabimus et bibemus,
ex multis locis Scripturarum est demonstrare, praecipue ex eo quod
scriptum est: beatus qui manducaverit panem in regno Dei 144. Ergo in-
plebitur in regno Dei hoc pascha et manducabit eum Iesus cum discipu­
li suis et bibet; et quod dicit apostolus: Nemo vos iudicet in esca et in po­
tu et cetera quae sunt umbra futurorum 145, revelationem habet ad futu­
ra mysteria de escis et potibus spiritalibus, quorum umbra fuerunt quae
de escis et potibus in lege fuerant scripta. Manifestum est autem quo­
niam veram escam et verum potum manducabimus et bibemus in regno
Dei, aedificantes per ea et confortantes verissimam illam vitam.

139 Phil. 2, 6 .8 . 140 1 Cor. 15, 24. 141 Mt. 26, 29. 142 Rom. 14,
17. 143 Io. 4,34. 144 Lc. 14,15. 145 Coi. 2 , 16s.
espresso dal vino·. «Il legno della passione di Gesù Cristo, entrando nella Parola,
ha reso il suo pane più dolce» (Hler 1 0 , 2 , p. 125); «Tu che sei venuto al Cristo,
pontefice vero, il quale con il suo sangue ti ha reso Dio propizio e ti ha riconci­
liato al Padre, non arrestarti al sangue della carne; ma impara piuttosto il sangue
del Verbo e ascoltalo dirti: Questo è il mio sangue che sarà sparso per voi in remis­
sione dei peccati. Colui che è stato iniziato ai misteri conosce (la) carne e il san­
gue del Verbo di D io» (HLv 9, 10, pp. 229s.). La lettura va oltre un certo «fon­
damentalismo eucaristico» e una prospettiva «raccorciata della presenza reale»,
dilatandosi alle vie con cui il Cristo si fa presente nei credenti per la loro parte­
cipazione al sacrificio del Cristo commemorato nei misteri (cf. Laporte, pp.
89s.17-22.25s.; Lies 1983, p. 181); la celebrazione eucaristica comprende ritual­
mente ciò che viene comunicato attraverso la Scrittura e l’annuncio della Chiesa,
perché «c’è una sola Parola, (che) era in principio presso Dio (ed) era Dio. (Si
può) vedere nella manducazione reale ed efficace del sacramento il segno di una
manducazione “più divina e più vera”, la manducazione ad opera dell’anima del
Logos stesso (nella parola) che lo rivela... La “verità” della comunione sacra­
mentale - quando più tardi sarà chiamata “res sacramenti” - è la comunione
della Parola dispensata dalla Chiesa (e) comunione con la C hiesa,.. .composta di
coloro che accettano la Parola» (de Lubac 1985, p. 397).
(32) Corporaliter non est regnum Dei esca et potus. C ’è una lacuna nel
testo, che Klostermann propone di integrare: «m a in senso spirituale è cibo e
bevanda».
(33) Futura mysteria de escis et potibus spiritalibus. «Spiegare (in) che
modo noi celebreremo le festività nelle cose celesti (di cui c’era un’ombra pres­
so i giudei corporei)... è compito di quella sapienza avvolta nel mistero, a cui
C O M M E N TO A M A TTEO , 86 95

un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma umiliò se stesso sino al­
la morte, così mangerà il pane e berrà del frutto della vite e lo berrà
nuovo, e per la sua grande bontà e amore verso gli uomini mangerà e
berrà in compagnia dei suoi discepoli, quando avrà consegnato il regno
a Dio e Padre.
Bada bene alle parole che dice: Quando lo berrò nuovo, insieme a
voi, nel regno del Padre mio, cioè non in altra circostanza se non nel
regno del Padre mio. Altrove sta scritto: Il regno di Dio non è questio­
ne di cibo o di bevanda. In senso corporeo, infatti, e stando alla analo­
gia col cibo e con la bevanda di questo tempo, il regno di Dio non è
questione di cibo e bevanda (32), ...per coloro che si mostrarono de­
gni del pane celeste, del pane degli angeli, ed è quel cibo di cui il Sal­
vatore dice: Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato a
compiere la sua opera. Ora, che nel regno di Dio mangeremo e berre­
mo, è dimostrabile in base a molti passi della Scrittura, specialmente
quello in cui è scritto: Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio. Dun­
que, è nel regno di Dio che la pasqua di quaggiù troverà compimen­
to e Gesù la mangerà e berrà insieme ai suoi discepoli. Pure il moni­
to dell’Apostolo: Nessuno vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda
o riguardo a tutte le altre cose che sono ombra delle realtà future con­
tiene una rivelazione in ordine alle future realtà misteriose di cibi e
bevande spirituali (33), di cui le prescrizioni della Legge su cibi e be­
vande non erano che ombra. Ma è chiaro che il vero cibo e la vera be­
vanda non li mangeremo e berremo se non nel regno di Dio, edifican­
do e confermando con essi quella verissima vita.

spetta pure di contemplare le prescrizioni relative ai cibi, meri simboli di quel­


li che dovranno nutrire e corroborare la nostra anima»; poiché è stata immola­
ta la nostra Pasqua, Cristo (1 Cor 5, 7), è questo « l’agnello di cui si deve man­
giare la carne durante la notte, cioè durante il tempo di questo mondo» (Ciò 10,
85.99, pp. 400.403): la Pasqua di Cristo «partecipa, sebbene a un grado supe­
riore, della ratio symboli·, è anch’essa un tipo, anche se più trasparente, di qual­
cosa che deve ancora manifestarsi... Pasqua-passaggio e Pasqua-eucarestia·. sono
i due pilastri sui quali riposa (la) ricchissima catechesi pasquale di Origene»
(Cantalamessa, pp. 179.223). Lo sviluppo del commento a Mt 26, 26-29 con­
sente di intendere bene il significato di quel corpo tipico e simbolico di cui si era
detto ricordando CMt 11, 14 (cf. nota 29): «il simbolo dice sempre realtà e pre­
senza, pur nascondendola nel rito... (Il) tipo è l’annuncio dell’avvenimento
stesso... copia fedele dell’originale» (Marsili, p. 58), nella protensione escato­
logica: «Dopo aver sostituito la prima Pasqua con la seconda, ci occorre anco­
ra. .. (tendere) verso la terza... passaggio dallo specchio e dall’enigma alla vista
faccia a faccia» (de Lubac 1985, pp. 240.396.400). Poiché l’Ultima cena stori­
ca e l’eucaristia sacramentale sono simboli della comunione con la realtà pneu­
matica di Cristo in quanto Logos (cf. Lies 1978, p. 189), la celebrazione della
Chiesa «offerta a Dio per la mediazione del Verbo divino, ...prepara la ricapi­
tolazione e il ritorno di tutte le creature al Padre nell’unità del culto celeste
escatologico» (Laporte, p. 48; cf. Crouzel 1961, pp. 347.350; Rius-Camps, p.
438; Vignolo, p. 94).
96 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 86

Et quod dicit: accipiens Iesus panem, similiter et accipiens calicem,


qui parvulus quidem est in Christo 146 et in Christo adhuc carnalis, in­
tellegat communiter; prudentior autem quaerat, a quo accipiens Iesus.
Deo enim dante accipit et dat eis qui digni sunt a Deo accipere panem
et calicem. Quomodo autem dat Deus panem, significat et Iacob di­
cens: Si fuerit dominus Deus meus mecum, et dederit mihi panem ad
manducandum, et vestimentum ad vestiendum, omnia quaecumque mi­
hi, Domine, dederis, decimam decimabo tibi 147. Item scriptum est in
evangelio secundum Iohannem: Non Moyses dedit vobis panem, sed pa­
ter meus dat vobis panem de caelo verum 148. Et semper Iesus <edenti­
bus> his, qui secum pariter agunt festivitatem, accipiens panem a patre
gratias agit, et frangit, et dat discipulis suis secundum quod unusquisque
eorum capit accipere, et dat dicens·. Accipite et manducate, et ostendit,
quando eos hoc pane nutrit, proprium esse corpus, cum sit ipse Ver­
bum, quod et nunc necessarium habemus et cum fuerit in regno Dei in-
pletum. Sed nunc quidem nondum inpletum, tunc autem inpletum,
cum et nos praeparati fuerimus ad capiendum pascha plenum, quod
199 venit ut inpleat, qui non venit solvere legem sed adinplere 149, et nunc
quidem inplere quasi per speculum in aenigmate inpletionis: Tunc autem
facie in faciem inplere, cum venerit quod perfectum est 150.
Si ergo et nos volumus panem benedictionis accipere ab Iesu qui
consuetus est eum dare, eamus in civitatem in domum cuiusdam ubi fa­
cit Iesus pascha cum discipulis suis, praeparantibus eum ei notis ipsius,
et ascendamus ad superiorem partem domus magnam et stratam et
praeparatam 15!, ubi accipiens a patre calicem et gratias agens, dat eis qui
cum ipso ascenderint, dicens·, bibite, quia hic est sanguis meus novi te­
stamenti 152. Qui et bibitur et effunditur: bibitur quidem a discipulis,
effunditur autem in remissione peccatorum commissorum ab eis, a qui­
bus bibitur et effunditur. Si autem quaeris, quomodo etiam effunditur,

146 Cf. 1 Cor. 3, 1. 147 Gen. 28, 20.22. “ 8 Io. 6 , 32. « 9 Mt.
5 ,1 7 . !50 1 Cor. 13,10. » 1 Mc. 14, 15. 152 Mt. 26,28 par.; 1 Cor.
11,25.

(34) Eamus... ubi facit Iesus pascha... et ascendamus. Qual significato


ste il salire al cenacolo? «Vedi dunque se per caso Gesù, che Paolo dice che ha
pacificato mediante il suo sangue non solo le cose che sono sulla terra, ma anche
quelle che sono nei cieli, non sia proprio lui quel vitello che è stato presentato nei
cieli non per il peccato ma come offerta, e sulla terra invece, dove il peccato ha
regnato da Adamo fino a Mosè (cf. Col 1, 20; Rm 5, 14) è stato offerto per il pec­
cato» (HLv 2,3, p. 51 ) ; il sacrificio di Cristo ha una dimensione terrena - l’espia­
zione - e una celeste - la intercessione per gli uomini ancora viventi sulla terra -;
quanto più il discepolo si eleva, tanto più partecipa alla Pasqua escatologica di
Cristo, che è la consegna del regno al Padre in un atto sacrificale (cf. Lies 1978,
p. 190). La tradizione bizantina assumerà il dinamismo origeniano fra presenza e
tensione escatologica nel mistero eucaristico·. «D a una mensa passeranno a un’al­
tra mensa: da questa ancora coperta di veli a quella svelata... Infatti ora il Cristo
C O M M E N TO A M ATTEO , 86 97

Ciò che dice il testo: Gesù, preso il pane e così pure preso il calice,
chi è ancora piccolo in Cristo ed ancora carnale in lui, la intenda pure
in senso comune; ma chi è più intelligente, si chieda da chi Gesù lo
prendesse. Lo prende perché è Dio che [glie]lo dà, e lo dà a coloro che
sono degni di ricevere il pane ed il calice. In che senso poi Dio dia il pa­
ne, lo fa capire Giacobbe quando dice: Se il Signore mio Dio sarà con me,
e mi darà pane da mangiare e veste per coprirmi, di quanto mi darai, o Si­
gnore, io ti offrirò la decima. Nel Vangelo di Giovanni è scritto pure:
Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal
cielo, quello vero. Mentre [sono a mensa] coloro che con lui celebrano
la festa, incessantemente Gesù prende del pane dal Padre, rende grazie,
10 spezza e lo dà ai suoi discepoli, nella misura in cui ognuno di loro è
capace di riceverne, e nel darlo dice: prendete e mangiate, e così fa capi­
re, quando li alimenta di questo pane, che si tratta del suo proprio cor­
po, essendo lui stesso il Verbo, di cui non solo ora abbiamo bisogno, ma
anche quando esso si sarà realizzato nel regno di Dio. Ma mentre ora
realizzato non lo è ancora, allora lo sarà pienamente, quando saremo noi
pronti ad accogliere la pasqua nella sua pienezza: pienezza che viene a
dargli colui che non è venuto per abolire la Legge ma per adempierla-, e
mentre in questo tempo viene a darle pienezza come in uno specchio e in
maniera confusa rispetto al compimento, allora invece la pienezza verrà
a dargliela faccia a faccia, quando verrà ciò che è perfetto.
Orbene, se vogliamo anche noi ricevere il pane di benedizione che
Gesù è solito elargire, rechiamoci in città, nella casa di un tale dove Ge­
sù celebra la pasqua con i suoi discepoli, essendo i suoi conoscenti a pre­
parargliela, e saliamo (34) pure noi al piano superiore della casa, in una
grande sala con i tappeti, già pronta; è lì che Gesù prendendo dal Padre
11suo calice, e rendendo grazie, lo darà a coloro che in sua compagnia vi
sono ascesi, e dirà: bevetene, perché questo è il sangue mio della nuova al­
leanza. Questo sangue viene e bevuto e versato: bevuto dai discepoli,
versato in remissione dei peccati, commessi da coloro che lo bevono e lo
versano. Se poi ti poni la domanda, in che senso esso sia versato, metti a

è pane per i suoi che ancora vivono la vita umana, e pasqua per essi che di qui
camminano verso la città che è nei cieli... Unica infatti è la potenza della mensa,
uno solo colui che imbandisce il convito nell’uno e nell’altro mondo» (Cabasilas,
Vita 625ab, pp. 237s.); se c’è «una unità analogica delle mànducazioni sacre, la
cui piena verità sarà celebrata nell’altra vita» (von Balthasar 1972, p. 72), nel
tempo della Chiesa «Cristo è a tavola assieme ai credenti ed è il contenuto stes­
so della mensa» e la sua virtus-bùvαμις rende capaci del nutrimento che egli stes­
so consuma e dona accettando la «volontà del Padre» (cf. Gramaglie 2000a, p.
152). La Pasqua-eucaristia del Cristo compie la prima economia e fa guardare il
cristiano «verso i cieli», con «movimento ascensionale il cui termine sarà soltan­
to (la) realizzazione piena del Vangelo nel futuro escatologico» (cf. Sgherri 1982,
pp. 211.222; Id. 2000c, p. 343; Buchinger, I, pp. 265s.; II, pp. 334s.).
98 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 86-87

discute cum hoc verbo etiam quod scriptum est: Quoniam caritas Dei dif­
fusa est in cordibus nostris 153. Si autem sanguis testamenti infusus est in
corda nostra in remissionem peccatorum nostrorum, effuso eo potabili
sanguine in corda nostra, remittuntur et delentur omnia quae gessimus
ante peccata. Ipse autem qui accepto calice dicit: Bibite ex hoc omnes,
nobis bibentibus non discedit a nobis, sed bibit eum nobiscum (cum sit
in singulis ipse), quoniam non possumus soli et sine eo vel manducare de
pane illo vel bibere de generatione vitis 154 illius verae. Nec mireris quo­
niam ipse est et panis et manducat nobiscum panem, ipse est et potus ge­
nerationis de vite et bibit nobiscum. Omnipotens enim est Verbum Dei
et diversis appellationibus nuncupatur, et innumerabilis est ipse secun­
dum multitudinem virtutum, cum sit omnis virtus unus et ipse.
Deinde docebat discipulos qui festivitatem celebraverant cum ma­
gistro et acceperant benedictionis panem et manducaverant corpus Ver­
bi et biberant calicem gratiarum actionis, pro his omnibus hymnum di­
cere Patri et de alto transire ad altum, quia fidelis non potest aliquan-
200 do aliquid agere in convalle. Propter quod ascenderunt in montem Oli­
veti, in quo unaquaeque oliva quasi arbor faciens fructum dicere po­
test: Ego autem sicut oliva fructifera in domo Dei 155. Et qui nondum
sunt facti quasi oliva fructifera in domo Dei, sed sunt adhuc quasi no­
vella olivarum in circuitu mensae 156 spiritalis patris sui, possunt esse in
monte Oliveti, de quo prophetat et Zacharias 157. Et quam apte mons
misericordiae est electus, ubi praenuntiaturus fuerat scandalum infir­
mitatis discipulorum suorum: quia non optabat ut fieret, sed praenun­
tiabat quod erat futurum, iam tunc praeparatus non ut repelleret disci­
pulos discedentes, sed ut reciperet convertentes.

87. Tunc dicit eis lesus: omnes vos scandalum patiemini in me


nocte; scriptum est enim: percutiam pastorem, et dispergentur oves gre­
gis. Cum autem surrexero, praecedam vos in Galilaeam 158.
Qui scandalizantur, non in die scandalizantur sed in nocte, et in
nocte illa, in qua proditur lesus. Sic enim et Petrus denegans non in
die denegat sed in nocte, et in nocte cui nondum adproperat lux; ante
enim cantum galli negat 159. Si quis autem quaerat, quomodo post

i? 3 Rom. 5, 5. 154 Io. 15, 1. 155 Ps. 51 (52), 10. 1* p s. 1 27


(128),3. 157 Cf.Zach. 14,4. 158 M t.26,31-32. 159 c f.M t .26,75 par.

(35) De alto transire ad altum. «Colui che ha compreso che il Cristo, n


Pasqua, è stato immolato (1 Cor 5, 7), e che si deve celebrare la festa nutrendosi
della carne del Verbo, non vi è istante in cui non celebri la Pasqua... Egli “passa”
continuamente col pensiero, con ogni parola, con ogni azione, dalle opere di
questa vita a Dio, .. .si trova sempre nei giorni della Pentecoste, soprattutto nei
momenti in cui, salito nella stanza superiore (At 1, 13), ...si dedica alla supplica
e alla preghiera» (CC 8 , 2 2 , p. 678); non si tratta di uno «spiritualismo disincar­
nato» che si ponga al di fuori del culto cristiano, ma di interpretare la vita cri­
stiana come plasmata dal mistero pasquale (cf. Fédou, p. 342; Mazzucco 2000b,
pp. 109s.; Lettieri 1995, pp. 6 6 s.). La verità escatologica della eucaristia è tocca-
C O M M EN TO A M A TTEO , 86-87 99

confronto con questa parola ciò che sta scritto: Lamore di Dio è stato ri­
versato nei nostri cuori. Ora, se il sangue dell’alleanza è stato versato nei
nostri cuori in remissione dei peccati, una volta che quel sangue da bere è
stato versato nei nostri cuori, sono rimessi e cancellati tutti i peccati che
abbiamo commessi prima. Egli poi che, dopo aver preso il calice, dice: Be­
vetene tutti, mentre noi ne beviamo non si allontana da noi, ma lo beve
con noi (essendo in ciascuno), dato che non possiamo da soli, senza di lui,
né mangiare di quel pane né bere di quel frutto della vera vite. Non ti me­
ravigliare che egli stesso sia pane e ne mangi insieme a noi, che egli stesso
sia bevanda del frutto della vite e ne beva con noi. Il Verbo di Dio infatti
è onnipotente e viene indicato con diversi appellativi, egli è innumerevo­
le a seconda delle molte forze, essendo l’imo e lo stesso ogni forza.
In seguito, ai discepoli che avevano celebrato la solennità col mae­
stro ed avevano ricevuto il pane di benedizione, mangiato il corpo del
Verbo e bevuto il calice del rendimento di grazie, insegnava a recitare per
tutto questo un inno al Padre e di passare da un’altezza all’altra (35), per­
ché a volte non può il fedele compiere una [tale] azione giù nella valle.
Ecco perché salirono verso il monte Oliveto, dove ogni ulivo come albe­
ro che porta frutti può dire: Io come ulivo fruttifero nella casa di Dio. E
coloro che non sono ancora divenuti come ulivo fruttifero nella casa di
Dio, ma sono ancora come virgulti d’ulivo intorno alla mensa spirituale
del loro padre, possono essere sul monte Oliveto, di cui profetizza Zac­
caria. Ed è stato così convenientemente scelto come monte di misericor­
dia, quello in cui avrebbe preannunziato lo scandalo della debolezza dei
suoi discepoli; non voleva che avvenisse, ma preannunziava che sarebbe
avvenuto, ed era fin da allora pronto non già a respingere i discepoli che
si sarebbero allontanati, bensì ad accoglierli quando si sarebbero pentiti.

87. Allora Gesù disse loro: Tutti voi vi scandalizzerete per causa
in questa notte. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disper­
se le pecore del gregge. Ma quando sarò risorto, vi precederò in Galilea.
Per loro che si scandalizzano, ciò avviene non di giorno, ma di
notte, e in quella notte in cui viene tradito Gesù. Così infatti Pietro
quando rinnega non lo fa di giorno ma nella notte, a cui non si è an­
cora avvicinata la luce. Nega infatti prima del canto del gallo. Se poi

ta, anche se mai compiutamente nella via, da chi si eleva in progressiva adesione
al Cristo-Logos: «Nessuno dunque che faccia la Pasqua come vuole Gesù è al di
sotto della camera in alto. .. ; e se tu sali con lui a celebrare la Pasqua, ti dà il cali­
ce della nuova alleanza, ti dà il pane della benedizione, ti fa dono del suo corpo e
del suo sangue. Per questo vi esortiamo: Salite in alto (cf. Is 40, 9)» (Hler 19,13,
p. 247; cf. Lago, pp. 88-96; Grappone, p. 362; Danieli 1996, pp. 142-145; sulla
complessiva theologia ascendens di Origene, von Balthasar 1972, pp. 85-107).
(Abbiamo cercato di ripercorrere le letture di CMtS 85/86 quali emergono da
una ricerca plurisecolare sulla eucaristia in Origene·, segnaliamo ancora per
l’aspetto del «sacrificio incruento compiuto nel tempio interiore» nel «suo rap­
porto con la ritualità visibile», Monaci Castagno 2002a e i Seminari di Sacrofano
100 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 87

tanta et talia signa et prodigia, et sermones non ex inferiori virtute


(quam ex qua facta fuerat signa et prodigia) dictos scandalizantur di­
scipuli, sciat quia vult ostendere per haec sermo quoniam, sicut nemo
potest dicere dominum lesum, nisi in Spiritu Sancto 160, sic nemo potest
sine scandalo esse sine Spiritu Sancto. Quando autem inplebatur, quod
dixerat Iesus: Omnes vos scandalum patiemini hac nocte, nondum erat
Spiritus Sanctus adhuc, quoniam Iesus nondum fuerat honorificatus 161.
Nos autem postquam confessi fuerimus dominum lesum in Spiritu
Sancto, quoniam qui spiritu Dei aguntur, hifilii Dei su n t162, si post Spi­
ritum Sanctum scandalum passi fuerimus aut denegaverimus, non ha­
bebimus excusationis locum, quasi scandalizati sine Spiritu Sancto aut
201 denegantes sine Spiritu Sancto. Et illi quidem scandalizati sunt quasi
adhuc consistentes in nocte, nobis autem iam nox promovit, dies autem
adpropinquavit, propter quod sicut in die honeste ambulemus 163. Qui
autem honeste ambulat in luce est, qui autem in luce est non denegat
Christum, quia non est in nocte. Adhuc autem ideo illi scandalizati sunt
in nocte (sicut Dominus ipse testatur), quoniam secundum Scripturam
pro nobis omnibus pater filio unico non pepercit, sed tradidit eum pro
nobis 164 in passionem, ut ad modicum dispergantur oves gregis scanda­
lum passi, post hoc autem congregentur a resurgente Christo et p r e ­
cedente eos in Galilaeam, qui se sequi voluerint in Galilaeam gentium,
ut populus qui sedebat in tenebris videat lumen magnum et qui <sede­
bant> in regione et umbra mortis lux eis oriatur 165.

!60 Cf. 1 Cor. 12, 3. 161 Mt. 26, 30; Io. 7, 39. 162 Rom. 8, 14.
163 Rom. 1 3 ,12s. 164 Rom. 8,32. Cf. Mt. 4,16; Is. 8,23.

su II sacrificio nel giudaismo e nel cristianesimo [ASE 18/1(2001)] e I cristiani e


il sacrificio pagano e biblico [ASE 19/1(2002)]; sull’effetto protratto della
Paschatheologie di Origene, cf. Buchinger 2003; sul rapporto Parola-sacramento
nell’attuale dialogo fra le Chiese, saggi come quelli di Lienhard e Chauvet
mostrano la fecondità delle proposte origeniane).
(36) Omnes vos scandalum patiemini hac nocte... Nondum erat Sp
Sanctus adhuc. La Series precedente si è chiusa con l’immagine del monte degli
Ulivi come mons misericordiae, così che la profezia dello scandalo dei discepoli
avviene insieme nell’orizzonte della debolezza e della conversione; la comunità
del Cristo prima della Pasqua non è ancora investita del dono dello Spirito e vien
meno nella notte della passione; questo non significa che la Chiesa post-pasqua­
le sia impeccabile, ma indica per essa un grado diverso di esperienza e possibili­
tà di portare la prova, nella notte o nel giorno, come nota ancora l’Alessandrino:
«ai discepoli i quali intendono seguire Gesù non con il corpo (σωματικώς), ...il
Signore dice: Dove io vado, voi non potete venire per adesso (Gv 13, 33). Infatti,
anche se intendevano seguire il Logos e confessarlo senza prender scandalo di
lui, non erano ancora in grado di farlo: Allora infatti non c’era ancora lo Spirito,
perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Ciò 32, 398s., p. 809; cf. Rius-
Camps, pp. 38s.245: «L a testimonianza di Gv 7 ,39 è frequentemente addotta da
Origene a mo’ di premessa, per provare che lo Spirito Santo non fu dato [sul
piano storico] prima della glorificazione di Gesù»; cf. Simonetti 2 0 0 0 a; quanto
al motivo della apostasia nella Chiesa, accennato nella nostra Series, sarà più
C O M M EN TO A M A TTEO , 87 101

qualcuno chiedesse, come mai i discepoli si scandalizzano dopo tanti e


tali segni, prodigi e discorsi pronunciati da potenza non inferiore (a
quella per cui erano stati compiuti segni e prodigi), sappia che la paro­
la intende indicare con ciò che, come nessuno può dire: Gesù è il Signo­
re, se non nello Spirito Santo, così nessuno può essere libero da scanda­
lo senza lo Spirito Santo. Ora, quando si compiva ciò che aveva detto
Gesù: Voi tutti vi scandalizzerete in questa notte, non c’era ancora lo Spi­
rito Santo perché Gesù non era stato ancora glorificato (36). Ma se noi,
dopo che abbiamo confessato il Signore Gesù nello Spirito Santo, poi­
ché coloro che sono guidati dallo Spirito sono figli di Dio, dopo aver ri­
cevuto lo Spirito Santo soffriremo scandalo o rinnegheremo, non avre­
mo ragione di scusa, come se ci scandalizziamo perché non c’è lo Spi­
rito Santo o rinnegassimo perché senza Spirito Santo. E se quelli si so­
no scandalizzati in quanto erano ancora fermi nella notte, per noi inve­
ce la notte è avanzata, il giorno si è avvicinato, per cui comportiamoci
onestamente come di giorno. Ora chi si comporta onestamente è nella
luce, e chi è nella luce non rinnega il Cristo, perché non è [più] nella
notte. Anche per questo motivo quelli si sono scandalizzati nella notte
(come testimonia lo stesso Signore), perché secondo la Scrittura per
amore di tutti noi il Padre non ha risparmiato il suo Unigenito, ma l’ha
consegnato per noi alla passione, affinché le pecore del gregge che ha su­
bito scandalo non si disperdano che per poco, ma dopo siano raccolte
dal Cristo che risorge e precede in Galilea coloro che vorranno seguir­
lo nella Galilea delle nazioni (37), perché il popolo che stava nelle tene­
bre veda una grande luce e a quelli che erano nella regione e nell’ombra
della morte, sorga la luce.

ampiamente ripreso nella Series 114: cf. Gramaglia 2000b, p. 350). In un testo
importante, Origene nota che lo Spirito «posto nel cuore dei discepoli» ha «rim­
picciolito se stesso» per conferire il dono di distogliersi «dagli affari terreni»,
facendosi «simili ai bambini che hanno portato lo Spirito Santo» (CMt 13, 18 :
II, p. 65); la novità post-pasquale consisterà anche in una capacità nuova di con­
formarsi alla piccolezza del Cristo e dello Spirito (cf. Cocchini 1998c).
(37) Oves gregis scandalum passi... congregentur a resurgente Christo
Galilaeam. H peccato ha disperso gli uomini, figli di Dio; la morte di Cristo li radu­
na: «fu il Padre a consegnare il Figlio... (perché) fosse messo alla prova, combat­
tesse e soffrisse per gli uomini, o meglio per tutto il mondo onde toglierne il pecca­
to (cf. 1 Gv 2, 2; Gv 1, 29)» (CMt 13, 8 : II, p. 38); Cristo «di cui tutto il genere
umano, anzi forse la totalità della creazione, è corpo» (H36Ps 2, 1, p. 177) non è
soltanto anima del mondo (cf. Prinzivalli 1991, p. 418), ma colui che porta la natu­
ra umana al Calvario, la risuscita e la salva (cf. de Lubac 1948, p. 23). D testo di
Rm 8,32 - prò nohis omnibus Pater Filio unico non pepercit - dice il valore univer­
sale della redenzione: Dio ha consegnato il Figlio, «generato da Dio stesso con una
nascita che non si può descrivere... Sopportò che egli... annientasse se stesso...
fino alla morte di croce... Lo consegnò... non solo per i santi, non solo per i gran­
di, ma anche per i più piccoli... Ci ha resi preziosi facendo spargere per noi il san­
gue prezioso» (CRm 7, 9 :1, pp. 393s.; cf. Simonetti 1993b, pp. 149s.; Id. 2003, p.
203). La nostra Series conclude sulla Galilea, luogo di raduno per l’Israele che ha
102 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 88

88. Respondens autem Petrus dixit ei: Si omnes scandalizati


rint, ego numquam scandalizabor. Et dixit ei Iesus: Amen dico tibi, quo­
niam in ista nocte, priusquam gallus cantet, ter me negabis. Dicit ei Pe­
trus: Etsi fuerit me tecum mori, non te negabo, similiter et omnes disci­
puli dixerunt 166.
Dicit apostolus in epistola ad Romanos: Sit autem Deus verax, om­
nis autem homo mendax, sicut scriptum est 167, non praecipiens omnem
hominem fieri mendacem sed pronuntians esse mendacem, de Psalmo
dicente: Ego dixi in excessu mentis meae: omnis homo mendax 168. Hic
autem Petrus audiens salvatorem dicentem omnes vos scandalum patie­
mini in me hac nocte 169 Dominum nostrum profitebatur facere men­
dacem per ea, quae sibi confidens dicebat: Si omnes scandalizatifuerint,
ego non scandalizabor 170, non considerans quoniam, qui dixit: Ego
202 sum veritas 171, mentiri non poterat. Propter hoc (sicuti aestimo) omnes
quidem discipuli scandalizati sunt tantum in Iesum, Petrus autem, qui
aestimavit mendacem posse facere veritatem, non tantum scandalizatus
est, sed etiam derelictus propter audacem suam promissionem iuxta
scandalum etiam denegavit.
Et quoniam non solum inconsiderate, sed paene etiam impie di­
xit: Et si omnes scandalizati fuerint in te, ego non scandalizabor 172,
nec cogitans lubricam naturam humanam magnum protulit verbum,
ideo nec ad modicum est derelictus, ut etsi denegaret, vel semel de­
negaret. Sed abundantius derelinquitur ut ter denegaret, ut arguatur
audacia promissionis eius per unam ancillam et hoc verbum interro­
gantem et dicentem: Et tu cum Iesu Galilaeo eras? 173* * * , et denega­
ret coram omnibus dicens: Nescio quid dicis 174, et iterum denegaret
non simpliciter sed cum iuramento, et tertia vice non solum cum iu-
ramento sed cum devotatione: Quia nescio hominem 175. Per hoc au-

166 Mt. 26, 33-35. 167 Rom. 3, 4. 168 Ps. 115 (116), 11.
169Mt. 26, 31. 170 Mt. 26, 33. 171 Io. 14, 6 . 172 Mt. 26, 33. 173
Mt. 26, 69s. 174 Mt. 26, 72. 175 Mt. 26,74.

seguito Cristo e per le genti, zona di confine cui giunge il messaggio - parola e
adempimento -: dalla notte della passione sorgerà la grande luce del Cristo risor­
to; il popolo ebraico, che vedeva «una lampada in ognuno dei profeti» non aveva
riconosciuto «il Sole di giustizia che sorgeva», mentre il popolo dei pagani, nella
sua tenebra, vide la «grande luce... il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo»
(CMt 16, 3: ΙΠ, pp. 20s.); verso il suo termine, il commentario origeniano sottoli­
nea lo spazio unitario di salvezza offerto a giudaismo e gentili (per il tema della
Galilea, cf. ancora CMtS 141, nota 150: Π, pp. 296-297).
(38) Aestimavit mendacem posse facere veritatem. Il rapporto di Piet
Gesù passa attraverso la Parola: su questa Pietro avrebbe potuto appoggiarsi per
ottenere una grazia specialissima di fedeltà; di per sé, senza il dono dello Spirito,
Pietro non avrebbe potuto confessare pienamente il Signore Gesù e quindi la sua
negazione sarebbe stata di una infedeltà minore rispetto a quella della comunità
post-pasquale (cf. Rius-Camps, p. 245; Sgherri 1982, p. 256; il motivo riemerge-
C O M M EN TO A M A TTEO , 88 103

88. Rispondendo Pietro disse: Anche se tutti si scandalizzerann


non mi scandalizzerò mai. E Gesù a lui: In verità ti dico: In questa not­
te, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte. Gli disse Pietro: An­
che se dovrò morire con te, non ti rinnegherò. Allo stesso modo parlaro­
no gli altri discepoli.
Dice l’Apostolo nella lettera ai Romani: Resti fermo che Dio è ve­
race, ma ogni uomo è mendace, come sta scritto, non invitando ogni uo­
mo a diventare mendace, ma dichiarando che egli è tale, in base all’af­
fermazione del Salmo: Io ho detto, nello sgomento della mia anima: ogni
uomo è mendace. Qui invece Pietro, nel sentire dire dal Salvatore: Tut­
ti voi soffrirete scandalo per causa mia in questa notte, promise solenne­
mente un impegno, che faceva ricadere l’essere mendace [proprio] su
nostro Signore mediante le parole che diceva, pieno di fiducia in se
stesso: anche se tutti si scandalizzeranno, io non mi scandalizzerò, non
considerando che colui che aveva detto: Io sono la verità, non poteva
mentire. Per questo motivo (penso io) tutti i discepoli si sono scanda­
lizzati soltanto a causa di Gesù, mentre Pietro che ritenne di poter ren­
dere mendace la verità (38), non soltanto si scandalizzò, ma abbando­
nato per la sua audace promessa, oltre che nello scandalo cadde anche
nel rinnegamento.
E poiché asseri in modo non solo avventato ma addirittura empio:
Anche se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò, senza ri­
flettere alla vacillante natura umana, proferì una parola grossa. Per que­
sto fu abbandonato non per un po’ di tempo, in modo che, in caso che
avesse rinnegato, lo avrebbe fatto una sola volta; ma fu lasciato in balia
di se stesso per più lungo tempo, in modo da rinnegare tre volte, perché
la temerità della sua promessa fosse confusa per mezzo di una serva che
rivolge una domanda e dice questa parola: Anche tu eri con Gesù il Ga­
lileo?. .. e in modo da rinnegare davanti a tutti, dicendo: Non so che cosa
dici, e una seconda volta non nega semplicemente, ma con giuramento, e
la terza con giuramento e imprecazione: Non conosco quell'uomo. Ma

rà nelle Series 95 e 104). L’opera di purificazione del Cristo accompagna la vita


della Chiesa, come rileva Origene commentando la reazione di Pietro alla cena:
Gesù cominciò a lavare i piedi dei discepoli e portò a termine la lavanda in segui­
to; «più di una volta la Scrittura ci fa vedere Pietro (pieno) di ardore eccessivo...
Non c’è dubbio (che) le parole di Pietro: .. .Io non mi scandalizzerò sono dette
senza riflettere e per rifiutare l’affermazione fatta da G esù... Per questo egli
meditò a lungo sulla sua temerarietà e ne trasse tanto frutto da diventare saldis­
simo» (Ciò 32, 61.63, pp. 747s.; sul valore dell’episodio evangelico, l’evento nar­
rato e la sua descrizione, «il “fatto” e il “testo”», cf. Cocchini 2005). Nel ribadi­
re la virtù divina e non umana del Vangelo, così Origene sottolinea a Celso: «Se
non fossero stati cultori della verità (i discepoli) non avrebbero certo scritto di
Pietro che rinnegò o dei discepoli di Gesù che si scandalizzarono... Ben sapen­
do che il Verbo avrebbe conquistato gli uomini con la sua potenza, riferirono
anche particolari di tal genere» (CC 2,15, pp. 148s.; sulla veridicità dei fatti della
vita di Cristo, cf. Simonetti 1998b, p. 98; su Pietro, parte dell’umanità-Chiesa in
cammino sotto la guida del Cristo, cf. Galiuccio, pp. 63-75).
10 4 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 88

tem instruimur, ut numquam sine consideratione aliquid promitta­


mus super habitudinem nostram humanam, quasi qui valeamus inple­
re Christi confessionem ex nobis aut aliquid praeceptorum Dei, am­
monente nos apostolo et dicente: Noli altum sapere, sed time 176. De­
buerat enim, postquam audivit quia omnes vos scandalum patiemini
hac nocte, ut postulasset dominum et dixisset: Et si omnes scandaliza­
ti fuerint in te, esto in me, ut ego non scandalizer, et: dona mihi prae­
cipue gratiam hanc, ut in tempore cum omnes discipuli tui fuerint
scandalum passi, ego in denegationem non cadam nec ab initio scan­
dalizer. Si enim postulasset, forsitan amotis ab eo ancillis ceterisque
ministris non denegasset; nec enim poterat fieri, ut facta interrogatio­
ne potuisset dicere Dominum lesum in Spiritu Sancto 177 aut confes­
sus fuisset, cum Spiritus Sanctus nondum fuisset datus 178.
Quaeres autem, si possibile erat, ut nec scandalizaretur semel salva­
tore dicente, quia omnes vos scandalum patiemini in me. Ad quam quae­
stionem aliquis respondebit, quoniam necesse erat ore verissimo praedi-
203 cente, quia omnes vos scandalizabimini, fieri quod praedictum erat ab
Iesu. Alius autem dicet quoniam, qui exoratus a Ninivitis quae praedi­
xerat per Ionam non fecit (propter paenitentiam Ninivitarum) 179, huic
possibile fuit ut repelleret etiam a Petro scandalum deprecante. Nunc
autem promissio eius audax ex adfectu quidem prompto non tamen
prudenti facta est ei causa, ut non solum scandalizaretur verum etiam ter
denegaret. Quaerens adhuc, si postquam audivit lesum dicentem: Amen
dico tibi, priusquam gallus cantet in hac nocte, ter me negabis, non addi­
disset: sifueri mihi mori tecum, non te negabo, sed deprecatus fuisset ut
repelleretur ab eo praecognita ipsi denegatio eius, si forte non denegas­
set. Et aliquis quidem dicit, quoniam locum quidem habebat deprecatio
Petri, cum dixisset: omnes vos scandalum patiemini in me, auxilium ac­
cipere ut ne scandalizaretur; nec enim cum «Amen» prolatum fuerat
dictum: omnes vos scandalum patiemini. Postquam autem cum adfirma-
tione iuramenti pronuntiavit, non erat possibile ut non denegaret. Si
enim iuramentum erat Christi «Amen», mentistus fuisset dicens: Amen
dico tibi, si verum dixisset Petrus quia non te negabo.

176 Rom. 11,20. 177 1 Cor. 12,3. 178 Cf. Io. 7,39. 179 Ion. 3,10.

(39) Si postulasset, forsitan non denegasset... Possibile fuit ut repelleret e


a Petro scandalum deprecante. Ancora una volta ci troviamo di fronte al “problema
della preghiera”, che è fra le istanze ricorrenti nell’Alessandrino: dal momento che
Gesù aveva predetto lo scandalo, si sarebbe potuto impedirne l’accadimento? Ma
la Scrittura non ci riporta anche a un agire divino in cui la misericordia ha fatto
recedere da castighi annunciati, proprio in risposta alla domanda? Si ricorderà l’in­
terrogativo del trattato su La preghiera·. «Essendo Dio immutabile ed avendo pre­
visto tutte le cose e poiché è fedele a quello che ha prestabilito, è assurdo pregare
credendo di mutare la sua volontà in virtù della preghiera» (Orai 5 ,5 , p. 48.; cf. i
testi citati per CMtS 80, nota 2 1 : Π, pp. 81-83); dietro le quaestiones, il cui formu­
lario è schematizzato nella Series, s’intravede «una problematica dibattuta tra filo-
C O M M E N TO A M A TTEO , 88 105

questo ci insegna a non promettere mai, sconsideratamente, qualcosa che


è al di sopra del nostro limite umano, quasi che siamo in grado da soli di
realizzare pienamente la confessione di Cristo o qualcuno dei comanda­
menti di Dio, mentre l’Apostolo ci ammonisce e dice: Non montare in su­
perbia, ma temiì Dopo infatti aver udito le parole: Tutti voi subirete que­
sta notte scandalo per causa mia, avrebbe dovuto supplicare il Signore e
dirgli: anche se tutti si scandalizzeranno per causa tua, sii presente in me,
perché non mi scandali2 zi, e: donami soprattutto questa grazia, di non ca­
dere nel rinnegamento e scandalizzarmi dall’inizio, dal momento che tut­
ti i tuoi discepoli avranno subito scandalo. Se questo l’avesse chiesto con
insistenza, forse - una volta allontanati da lui serve e altri inservienti - non
avrebbe rinnegato; e infatti non poteva avvenire che, rivoltagli la doman­
da, avesse potuto dire Gesù è il Signore nello Spirito Santo o avesse fatta
esplicita confessione, giacché lo Spirito Santo non era stato ancor dato.
Ma ti chiederai se fosse possibile che non si scandalizzasse neppu­
re una volta, visto che il Salvatore aveva detto: Tutti voi vi scandalizzere­
te per causa mia. A tale interrogativo si potrà rispondere: dal momento
che la bocca più veridica aveva predetto: tutti voi vi scandalizzerete, era
necessario che si verificasse ciò che Gesù aveva predetto. Un altro dirà:
a colui che scongiurato dai niniviti non compì quello che era stato pre­
annunziato per mezzo di Giona (a motivo della penitenza dei niniviti),
sarebbe stato possibile allontanare lo scandalo anche da Pietro se lo
avesse pregato (39). Ma la sua promessa, audace per la [sua] pronta di­
sposizione, ma non prudente, divenne per lui motivo non solo di scan­
dalizzarsi, ma di rinnegare tre volte. Ti chiederai inoltre se non avrebbe
rinnegato nel caso che, dopo aver sentito Gesù dire: In verità ti dico, pri­
ma che il gallo canti in questa notte tu mi avrai negato tre volte, non
avrebbe proseguito col dire: dovessi anche morire con te, non ti rinneghe­
rò, ma avrebbe implorato di tenere lontano da lui il rinnegamento an­
nunciatogli in precedenza. E qualcuno certo direbbe che, avendo detto
Gesù: Tutti voi soffrirete scandalo per causa mia, la preghiera di Pietro
avrebbe potuto ottenere aiuto per non scandalizzarsi; infatti la frase:
Tutti voi soffrirete scandalo non fu pronunciata con la formula «Amen»;
ma dopo aver confermata un’affermazione con solenne formula di giu­
ramento, era impossibile che non rinnegasse. Se l’«Amen» di Cristo era
un giuramento, allora avrebbe mentito nel dire: In verità, in verità ti di­
co, se era Pietro a dire la verità: Non ti rinnegherò.

sofi, che si gioca sul rapporto fra la provvidenza e Dio»: nel trattato, e nell’opera
origeniana in genere, la risposta non è tanto sul piano filosofico, ma rimanda alla
«paternità divina», poiché «Dio è un οικονόμος infinitamente buono e prudente
delle sorti degli uomini» (Perrone 1997, pp. 22.25; cf. Id. 2000f); per grazia il
Signore «si trasforma in amico per coloro di cui era già prima il Signore» (Orat 1 ,
1; cf. Le Boulluec, in Orig. Vili·, CMtS 80, nota 21: Π, pp. 81-83). La conclusione
della Series evidenzia la necessità e universalità della redenzione mediante la croce:
come già alla trasfigurazione, Pietro non si rendeva conto di «qual è il bene della
economia secondo Gesù» (CMt 1 2 , 41), e che la morte di un uomo non avrebbe
io 6 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 88-89

Videntur autem mihi ceteri discipuli Iesu cum prospectu et cogi­


tatu (quod primum quidem fuerat dictum omnes vos scandalum patie­
mini in me hac nocte) nihil dixisse neque professos fuisse quasi non es­
sent scandalizandi; videbant enim veracem esse lesum haec praedicen­
tem. Ad hoc autem quod soli dictum est Petro: Amen dico tibi, ante­
quam gallus cantet, ter me negabis, promiserunt similiter Petro: et si fue­
rit nobis mori tecum, non te negabimus 180. Quod Petrus quidem non
convenienter fecit post Christi prophetiam de eo negaturo ter ante gal­
li cantum; ceteri autem, quasi qui non erant conprehensi in illa prophe­
tia nec tenebantur in illis quae ad Petrum fuerant dicta, responderunt
promittentes, non promissionibus suis mendacem dominum facere cu­
pientes, sicut facere voluit Petrus. Sicut enim cum transfiguratus fuis­
set in monte excelso, apparentibus in gloria simul cum Iesu Moyse et
Elia 181 dixit: Vis faciamus hic tria tabernacula, unum tibi et unum Moy­
si et unum Eliae? 182, nesciens quid loqueretur 183 (sicut Scriptura testa-
204 tur de eo), sic et hic nesciens quid loqueretur, dixit: Si fuerit mihi mori
tecum, non te negabo. Cum Iesu enim mori pro nobis omnibus morien-
te, ut nos vivamus, hominum non erat, quoniam omnes fuerant in pec­
catis 184 et omnes opus habebant, ut pro eis alius moreretur non ipsi
pro aliis.

89. Tunc venit Iesus cum illis in praedium quod dicitur Gethsemani 185.
Scienti Hebraicorum nominum interpretationem etiam nomen
huius praedii quod vocatur Gethsemani prodest ad manifestationem
loci istius, quoniam non sine causa positum est apud Matthaeum et
Marcum etiam praedii nomen. Nos autem, praetermittentes illud, hoc
solum suggerimus, quomodo Iesus cum discipulis venit ad praedium
hoc quod vocatur Gethsemani, accipiens eos ex loco illo, in quo pascha
manducavit cum eis. Nec enim conveniebat, cum proderetur, ab illo ca­
pi loco, ubi cum discipulis manducaverat pascha. Conveniebat autem
et, priusquam proderetur, orare et orandi eligere locum mundum ad
orationem; sciebat enim quoniam, sicut differt aér ab aere mundiore,
sic terra sancti loci et sanctioris, sicut scriptum est: Locus in quo tu stas,
terra sancta est 186. Et quaeres si praeter adfectum orantis etiam ex lo-

180 Cf. Mt. 26, 35. 181 Cf. Mt. 17, 3. 182 Mt. 17, 4 . 183 Lc. 9,
33; cf. Mc. 9, 6 . 184 Cf. Rom. 3, 23. 185 Mt. 26, 36. 186 Ex. 3,5 .

giovato per la salvezza, mentre la morte di Cristo, Figlio del Dio vivente, sarebbe
stata per la vita di tutti - pro nobis omnibus... ut nos vivamus -; commenta altro­
ve Origene: «Gesù sapeva come e perché moriva... La morte di Gesù diventa una
spiga di grano che produce molto di più e in abbondanza ciò che è stato semina­
to» (Hle 10, 3, p. 126; cf. Simonetti 1993b, p. 155).
(40) Conveniebat priusquam proderetur orare et orandi eligere locum. Ori
che pure connette valore a etimologie e geografia spirituale, non si sofferma sul
nome e il luogo della preghiera al Getsemani: prende l’avvio dalla storicità del­
l’evento per approfondirne il senso; non è tanto il luogo ad autenticare la preghie­
ra, ma la preghiera del Cristo a segnare di sacralità il Getsemani (cf. Crouzel 1961,
C O M M E N TO A M A TTEO , 88-89 107

A me pare che gli altri discepoli di Gesù, a seguito di attenta rifles­


sione (per il fatto che prima era stato detto: Voi tutti subirete scandalo
per causa mia in questa notte), evitarono di parlare e fare dichiarazioni
che non si sarebbero scandalizzati. Vedevano bene che nel fare quelle
predizioni Gesù diceva la verità. Però, in reazione a ciò che era stato
detto al solo Pietro: In verità, in verità ti dico, prima che il gallo canti mi
rinnegherai tre volte, si misero a promettere allo stesso modo di Pietro:
anche se dovessimo morire con te, non ti rinnegheremmo. Ma mentre
Pietro non fece bene a dire questo dopo la profezia di Cristo che
l’avrebbe negato tre volte prima del canto del gallo, gli altri discepoli
invece, non sentendosi inclusi in quella profezia e coinvolti dalle paro­
le rivolte a Pietro, risposero col fare promesse, ma con le loro promes­
se non presumevano mostrare che il Signore non diceva la verità, come
invece intese fare Pietro. Come infatti, dopo che Gesù fu trasfigurato
sull’altissima montagna, mentre apparivano nella gloria insieme a lui
Mosè ed Elia, Pietro disse: Vuoi che facciamo qui tre tende, una per te,
una per Mosè, ed un per Elia?, non sapendo che cosa diceva (come testi­
monia la Scrittura su di lui), così anche in questa circostanza, non sa­
pendo che cosa diceva, asserì: se anche dovessi morire con te, non ti rin­
negherò. Morire infatti con Gesù che muore per tutti noi, perché noi vi­
viamo, non era cosa di uomini, perché tutti erano nei peccati e tutti
avevano bisogno, che un altro morisse per loro, e non loro per gli altri.

89. Allora Gesù venne insieme a loro in un podere chiamato


semani.
A chi conosce il significato dei nomi ebraici, anche quello del po­
dere chiamato Getsemani serve alla spiegazione di questo passo, perché
non senza ragione il nome di questo podere è posto anche in Marco e
Matteo. Noi invece, lasciando da parte quel nome, vogliamo suggerire
[di riflettere] solo su questo punto: come mai Gesù venne in compagnia
dei suoi discepoli in questo podere detto Getsemani, portandoli con sé
da quel luogo in cui avevano mangiato insieme la pasqua. Non era con­
veniente che, mentre era tradito, fosse catturato da quel luogo dove ave­
va mangiato la pasqua con i suoi discepoli. Conveniva invece che, pri­
ma di essere tradito, pregasse e per pregare scegliesse un luogo che fos­
se puro, adatto alla preghiera (40). Ben sapeva infatti che come c’è dif­
ferenza fra aria e aria più pura, così c’è differenza tra la terra di un luo­
go santo e quella di un luogo più santo, come sta scritto: Il luogo nel qua­
le stai, è terra santa. E ti chiederai se, oltre che per lo zelo dell’orante, la

pp. 318-320; de Lubac 1985, p. 136; Simonetti 2000, p. 429; Buchinger, I, p. 267;
sul luogo della preghiera cf. Orat 31, 4-7). Lo sguardo esegetico accosta la scena
del Getsemani, e il sedete hic detto da Gesù ai discepoli, alla salita al Moria di
Abramo che rimane solo con il figlio, dopo aver detto ai servi: Mettetevi a sedere
qui. ..lo e il ragazzo attraverseremo fin là e, dopo aver adorato, torneremo da voi (Gn
22,5 [LXX]; cf. Marcheselli); in quel momento supremo Gesù percorre la via alla
terra alta per cui il patriarca aveva vinto «il contrasto tra l’affetto e la fede, l’amo-
Ιθ 8 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 89

co orationis, in quo quis orat, fit oratio mundior et magis acceptabilior,


secundum quod scriptum est: Domus mea domus orationis vocabi­
tur 187, de qua et alibi dicitur: Et exaudivit de templo sancto suo vocem
meam 188. Et vir quidem Iudaicus nec dubitat de huiusmodi, qui autem
propter Christi doctrinam recessit a Iudaicis fabulis 189 et ab omnibus,
quae corporaliter ab eis intelleguntur, dicet non propter locum fieri ora­
tionem distantem ab oratione, sed quia melius est cum nullo orare quam
cum malis orare. Ad demonstrationem autem traditionis istius utetur
exemplo, quod lesus in domo Iairi sacerdotis oraturus pro mortua filia
eius omnes eiecit foras 190 et tres tantum elegit secum, qui et super
monte facti fuerant testes transfigurationis 191 ipsius. Propter hoc enim
et in ecclesiis Christi consuetudo tenuit talis, ut qui manifesti sunt in
205 magnis delictis, eiciantur ab oratione communi, ut ne modicum fer­
mentum 192 non ex corde mundo 193 orantium totam unitatis conspar-
sionem et consensus corrumpat.
Habet autem et hic sensus quod iuste obiciatur his, qui non quo­
modo debent sic intellegunt, accipientes occasionem ut dicant proximo
suo: Ne adpropinques mihi, quia mundus sum 194. Quod fecit et Phari-
saeus ad publicanum longe stantem et pectus suum percutientem et di­
centem: Domine, propitius esto mihi peccatori195. Mensurate ergo face­
re hoc debemus, ut nec cum indignis oremus propter honorem oratio­
nis (secundum eum qui dixit: Si duo in vobis convenerint in idipsum, de
omni re quamcumque petierint, fiet eis 196), nec inferiores spernamus
nos praeponentes propter iactantiae casum (secundum eum qui dixit:
Qui se exaltat humiliabitur 197). Haec autem tractavimus propter quod
dictum est: Sedete hic, donec eo illuc orare 198

187 Is. 56, 7. 188 Ps. 17 (18), 7. 189 Cf. Tit. 1,14. 19°C f.M c .5 ,
40. 191 Cf. Mt. 17, 4ss. 192 Cf. 1 Cor. 5, 6 . 193 Cf. 2 Tim. 2, 22.
194 Is. 65, 5. 195 Lc. 18, 13. 196 Mt. 18, 19. 197 Lc. 18, 14.
198 Mt. 26, 36.

re di Dio e l’amore della came» (HGn 8 , 3, p. 227), così come unifica in sé ogni
voce dei santi antichi. La preghiera di Gesù al Getsemani evidenzia la dimensione
agonica della sua, come di ogni esistenza umana, e insieme esprime la sottomissio­
ne spirituale del suo desiderio - βσύλημα - alla volontà - θέλημα - del Padre (EM
29), la sua pietà —ευσέβεια -, grandezza d’animo —μεγαλοψυχία -, rassegnazio­
ne —παρασκευή - e fermezza - ευτονία - (CC 2 , 24; cf. Perrone 2001d, p. 7; Id.
2001b, pp. 134s.; Id. 2002b).
(41) Nec cum indignis oremus... nec inferiores spernamus. Se la consu
ne della Chiesa separa i peccatori pubblici, questo non deve divenire occasione
per orientarsi alla preghiera orgogliosa del pubblicano; i passaggi della Series
mostrano l’attenzione origeniana alla preghiera come fondamentale nella vita
della Chiesa: nei suoi aspetti interiori ed esteriori, personali e liturgici (cf.
Perrone 2000f; Id. 2000c, specie pp. 207s.; Id. 2003b, p. 284, nota 64). Dietro
l’orgoglio di non toccare il peccatore può di fatto celarsi l’eresia o lo scisma dei
puri, come Origene ripete, con formula analoga alla nostra Series, riguardo ai
Catafrigi che dicono: «Non avvicinarti a me poiché sono puro: non ho preso
moglie, la mia gola non è un sepolcro aperto, ma sono un Nazireo di Dio, non
C O M M E N TO A M A TTEO , 89 109

preghiera non diventi più pura e accettabile anche per il luogo in cui la
si fa: secondo ciò che è scritto: La mia casa sarà chiamata casa di orazio­
ne, di cui altrove sta scritto: Dal suo santo tempio ascoltò la mia voce. Ma
mentre un giudeo non ha alcun dubbio a riguardo, colui invece che a
motivo dell’insegnamento di Cristo si è allontanato dalle favole giudai­
che, e da tutto ciò che da esse viene inteso in senso corporale, dirà che
c’è differenza tra preghiera e preghiera in ragione non già del luogo,
bensì del fatto che è meglio non pregare con nessuno che pregare con i
malvagi. A riprova di questa tesi, citerà questo caso [del Vangelo]: Ge­
sù, sul punto di pregare nella casa del sacerdote Giairo per sua figlia
morta, fece uscire tutti fuori, e scelse per sua compagnia solo quei tre
che erano stati testimoni sul monte della sua trasfigurazione. Per questa
ragione anche nelle chiese di Cristo si è mantenuta tale consuetudine:
allontanare dalla preghiera comune coloro che manifestamente si trova­
no in grandi colpe, perché un po' di lievito di coloro che pregano non
con cuore puro non abbia a corrompere tutta la pasta dell’unità e della
unanimità.
Ma anche questo senso si presta a una giusta obiezione rivolta a
coloro che non intendono come dovrebbero, e prendono pretesto da
qui per dire al loro prossimo: Non avvicinarti a me, sono puro. Questo
fece il fariseo nei confronti del pubblicano che stando da lontano si bat­
teva il petto e diceva: Signore, sii propizio a me peccatore. Tale atteggia­
mento va praticato perciò con giusta misura, per evitare sia di pregare
insieme agli indegni per onorare la preghiera (secondo colui che ha
detto: Se due tra voi si raduneranno insieme, qualunque cosa chiederan­
no verrà loro àccordata) sia di tenere in disprezzo gli inferiori (41), met­
tendoci al di sopra di loro, e cadere nell’orgoglio (stando alla parola di
[Gesù] che dice: Chi si esalta sarà umiliato). Questo punto l’abbiamo
trattato perché è detto: Sedetevi qui, mentre io vado lì a pregare.

bevo vino» (CTt: P G 14,1306); si tratta nel caso di atteggiamenti e decisioni uni­
laterali che ancor più feriscono la comunione (cf. Le Boulluec 1985, pp. 536s.).
Vero è che il peccato ha una dimensione ecclesiale e non resta isolato: un po’ di
fermento basta a corrompere totam unitatis consparsionem, ripete Origene con
l’Apostolo; il peccatore si trova nei confronti della Chiesa in posizione dialettica:
«Chi è fra noi e pecca, per la parte in cui crede a Dio» appartiene al popolo, «per
la parte in cui pecca» è di razza straniera (cf. HLv 14, 2, p. 284) - dove i termi­
ni riguardano la duplice e non stabile appartenenza alla generazione da Dio o
all’estraneità da essa -; quando il peccato consiste in magnis delictis, comporta la
scomunica, e i penitenti non possono partecipare al servizio liturgico della
comunità - eiciantur ab oratione communi -. la terminologia può riguardare l’eu­
caristia, suddivisa in raduno, ascolto delle Scritture, prece (cf. Rahner 1964, pp.
759.782.786s.; Gramaglia 2000b, p. 352). Si ricordi peraltro che l’Alessandrino
confuta l’ipocrisia dei “giusti” che «non hanno timore del futuro giudizio di
Dio» e, a chi si fa avanti «in mezzo all’assemblea (per) levarsi come accusatore
di se stesso», «invece di soffrire con chi soffre, ...dicono: Scostati da me e non
avvicinarti perché sono puro!» (H37Ps 2, 1, p. 293).
no CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 90

90. Accipiens autem Petrum et duos filios Zebedaei coepit


taediari 199, vel sicut Marcus exponit, coepit pavere et taediari 200. Hos
ipsos autem discipulos adsumpsit et super montem, cum esset tranfigu-
randus 201, et ad filiam Iairi sacerdotis 202. Et quaero, si aliquid secretius
forte vidit, in tempore priusquam pateretur, Iesus ubi vadens voluit ora­
re. Forsitan enim vidit adsistentes reges terrae et principes congregatos in
unum adversus Dominum et adversus se Christum eius 203. Propter quod
quasi multis illis constitutis et in malitia potentibus, coepit tristari et tae­
diari, vel et pavere, et considera, quia non dixit: tristabatur et taediaba­
tur, sed: coepit tristari et taediari. Multum enim interest inter tristari et
incipere tristari. Si ergo aliquis defendens passiones humanas profert no-
206 bis etiam ipsum tristatum fuisse lesum, audiat quoniam, qui temptatus
est per omnia secundum similitudinem praeter peccatum 204, hic non est
tristatus tristitia passionis ipsius, sed factus est secundum humanam
naturam tantum in ipso principio tristitiae et pavoris, ut ostendat disci­
pulis suis praesentibus (maxime Petro magna de se existimanti) rebus
ipsis, quod et postea eis dixit, quia spiritus promptus est, caro autem in­
firma 205, et non est aliquando confidendum in ea sed semper timendum
de ea; quoniam incauta confidentia ad iactantiam ducit, timor autem
infirmitatis ad auxilium Dei confugere adhortatur, sicut et Dominum
ipsum paululum progredi et cadere in faciem et orare. Ergo
coepit quidem tristari <et tae- [B II 87, 6] το δε τής λύπης
diari> secundum humanam natu- πάθος ή τής αδημονίας ού περί
ram, quae talibus passionibus αϋτήνγένοιταντήνθείανφυσι.ν·
subdita est, non autem secundum παντός γάρ έπέκεινα πάθους έ-
divinam virtutem, quae ab huiu- στί.
smodi passione longe remota est.
Et haec dicimus de Iesu, ut Θελήσαι δέ φαμεν τον σαρ-
non arbitreris, sicut quaedam κωθέντα λόγον καί των τής άν-
haereses, hominem eum fuisse, θρωπότητος καθικέσθαι μέτρων
sed deum veram humani corpo- κτλ.
ris suscepisse naturam,
qui poterat conpati infirmitatibus nostris 206, quoniam et ipse circumda­
tus erat infirma natura humani corporis similiter et ipse participans 207
corpus et sanguinem, quoniam et pueri (de quibus dicit: ecce ego et
pueri quos mihi dedit Deus) participant carnem et sanguinem 208. Videns

199 Mt. 26, 37 . 200 Mc. 14, 33 . 201 Cf. Mt. 17, 4ss. 202 Cf. Mt.
8, 10; Mc. 5, 37 . 203 Ps. 2, 2. 2 ° 4 Heb. 4, 15. 2°5 Mt. 26, 41.
206 Heb. 4, 15. 207 Heb. 2,14. 208 Heb. 2, 13.

(42) Factus est secundum humanam naturam in principio tristitiae et pa


Nell’agonia al Getsemani il Cristo ha la visione del male - secretius forte vidit -,
trovandosi di fronte «le potenze avverse, signore della terra, coalizzate contro di
lui» (Simonetti 1993b, p. 175), donde la preghiera; nella reale natura umana egli
conosce la portata della lotta cui si consegna e questo suscita in lui un principio
C O M M EN TO A M A TTEO , 90 III

90. Ma prendendo Pietro e i due figli di Zebedeo, cominàò a pro


tristezza e angoscialo, secondo la redazione di Marco, cominciò a sentire
paura e angoscia. Questi stessi discepoli li aveva presi anche sulla monta­
gna, quando stava per essere trasfigurato e nel caso della figlia del sacer­
dote Giairo. E mi chiedo se per caso Gesù abbia visto qualcosa di più na­
scosto nel tempo anteriore alla passione, quando se ne andava e voleva
pregare. Può darsi infatti che abbia visto presenti i re ed i principi della
terra riuniti insieme contro il Signore e contro di lui, il Cristo suo. Per cui,
essendosi quelli costituiti in molti e potenti nel male, cominciò a provare
tristezza e angoscia, anzi paura. E considera che non ha detto: provava tri­
stezza e angoscia, ma cominàò a provare tristezza, e angoscia. C’è gran dif­
ferenza, infatti, tra rattristarsi e cominciare a rattristarsi. Se perciò qual­
cuno, nel difendere le passioni umane, adduce il fatto che lo stesso Ge­
sù si è rattristato, ascolti: Colui che fu tentato in ogni cosa, a somiglianza
di noi, escluso il peccato, qui non si è rattristato già per l’angoscia della
sua passione, ma è giunto all’inizio stesso della tristezza e della paura sol­
tanto riguardo alla natura umana (42), per mostrare per via di fatti, ai
suoi discepoli che erano presenti (specie a Pietro, che aveva grande opi­
nione di sé), ciò che avrebbe detto in seguito, che lo spirito è pronto ma
la carne è debole, e non c’è a volte da confidare in essa ma essere sempre
timorosi a suo riguardo. Perché una fiducia incauta porta all’orgoglio,
mentre il timore della debolezza induce a rifugiarsi nell’aiuto di Dio, co­
me ha indotto lo stesso Signore ad avanzarsi un poco, a prostrarsi con la
faccia per terra e pregare. Dunque
cominciò a provare tristezza La passione della tristezza o
<e angoscia> secondo la natura dell’angoscia non si sarebbe veri­
umana che è soggetta a tali pas­ ficata riguardo alla natura divi­
sioni, non già secondo la sua po­ na: infatti [questa] è superiore
tenza divina che è molto superio­ ad ogni passione.
re ad una passione del genere.
Questo lo diciamo di Gesù, Ma asseriamo che il Verbo
sicché tu non abbia a pensare, incarnato volle scendere sino ai
come fanno alcune eresie, che limiti dell’umanità, eccetera.
egli fosse un uomo, bensì Dio ha
assunto la vera natura del corpo
umano,
egli che poteva compatire le nostre infermità, perché lui stesso avvolto
dalla natura inferma del corpo umano, ugualmente partecipe del corpo e
del sangue, poiché anche i figli (di cui è detto: Eccoci, io e i figli che Dio
mi ha donato) partecipano della carne e del sangue. Vedendo dunque in­

di angoscia esistenziale (per il rilievo antidoceta e antiebionita del passo, cf. de


Lubac 1985, pp. 108s.; Le Boulluec 1985, pp. 522.528.532). I tre discepoli
assunti sono stati testimoni della trasfigurazione, in cui il Cristo secondo la carne
è stato contemplato nella condizione divina (cf. CMt 12, 37): anche nell’agonia si
incontrano la divina impassibilità - απάθεια - e la passibilità umana; Origene
112 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 90-91

ergo instans sibi certamen, quod non erat ei adversus carnem et sangui­
nem 209 sed adversus tantos reges terrae adsistentes et principes congrega­
tos in unum adversus 210 se quantos numquam, coepit pavere vel tristari,
nihil amplius tristitiae vel pavoris patiens nisi principium tantum. Nec
207 enim scriptum est, quia pavit vel tristatus est, sed coepit pavere et coepit
tristari, quando et dixit: Tristis est anima mea usque ad mortem 2n. Quod
ipsum tale aliquid significare videtur, tamquam si dicat: tristitia coepta
est in me, ut non omnimodo sim sine gustu tristitiae; non semper sed
usque ad tempus mortis in me est, ut cum mortuus fuero peccato 212, mo­
riar et universae tristitiae, cuius principium tantum fuit in me.

91. Sustinete hic, et vigilate mecum 213; ac si dicat: etsi aliis d


pulis dixi: Sedete hic, donec vado illuc orare 214 et adduxi vos tres
usque huc, nolo vos ulterius progredi, necdum enim potestis. Propter
hoc manete hic vigilantes, sicut et ego vigilo, scientes quoniam ceteros
quidem iussi sedere ibi quasi inferiores, ab agone isto servans eos secu­
ros, vos autem quasi firmiores adduxi, ut mecum conlahoretis in vigiliis
et orationibus 215. Tamen et vos manete hic, ut unusquisque in gradu
suae vocationis consistat 216, quoniam et omnis gratia (quamvis fuerit

209 Eph. 6 ,12. 210 Ps. 2 , 2 . 2“ Mc. 14,33. 212 Cf. Rom. 6 ,10.
213 Mt. 26, 38. 214 Mt. 26, 36. 215 Rom. 15, 30. 216 1 Cor. 7, 20.
sottolinea il coepit come un principio di passione in Gesù, che ne dice la piena uma­
nità; si può ritrovare nel passo il tema della pre-passione - προπάθεια -, analizzata
dagli stoici come reazione presto dominata e vinta - Girolamo tradurrà il termine
con propassio o antepassio -. Va peraltro notato che l’esitazione origeniana a rico­
noscere le passioni nella natura umana del Cristo resta localizzata e va bilanciata
con altri sviluppi più propriamente biblici, che mettono in certo senso in discus­
sione Yapatheia divina: «(Il Salvatore) è disceso sulla terra mosso a pietà del gene­
re umano, ha sofferto i nostri dolori prima ancora di patire la croce... Prima ha
patito, poi è disceso... (Per noi ha sofferto) la passione dell’amore. Persino il
Padre... non soffre anche lui in certo qual modo? .. .Nemmeno il Padre è impas­
sibile. .. Se lo preghiamo, prova pietà e misericordia, soffre di amore...» (HEz 6 , 6 ,
p. 119). L’esemplificazione potrebbe continuare: preso dalla considerazione della
misericordia divina, l’Alessandrino «riconosce a Dio, senza voler rinnegare Yapa­
theia che gli è naturale, un pathos di un altro ordine, in cui Dio si impegna senza
esservi sottomesso» (cf. Spanneut, p. 209, e in generale pp. 202-209; Vogt 1993, p.
301, nota 44; Perrone 1994a; Psephtogas). Sullo stadio iniziale della passione nel­
l’anima del Cristo rifletterà Didimo il Cieco (cf. le sue Lezioni sui Salmi, per es. Sui
SallA , 222, 39,282; 40, 293, e Introduzione, pp. 532s.; 703s.; 739s.; 76-79).
(43) Ipse participans corpus et sanguinem... videns certamen non ad
carnem et sanguinem. «Era estraneo alla natura e divinità (del Salvatore) assume­
re sangue e carne (Eb 2, 14); ma proprio per noi assunse quelle realtà che gli
erano estranee, al fine di rendere familiari a sé noi che eravamo divenuti estranei
a motivo del peccato» (HIs 7, 1, p. 145); e ancora: «(il Salvatore) non avrebbe
potuto salvare l’uomo intero se non avesse assunto l’uomo intero» (Diai 7, 5-7,
in II Cristo, p. 339); la soteriologia consente alle formule di mantenere la loro
audacia: «allo stesso modo che Dio nei suoi rapporti con uomini, come in para­
bole, è detto uomo, e forse in certo modo lo diventa, così anche il Salvatore, che
C O M M E N TO A M A TTEO , 90-91

combere il combattimento, per lui non contro la carne e il sangue (43),


ma contro così grandi re della terra che assistono e principi coalizzati in­
sieme contro di lui, così grandi come mai, cominciò ad aver paura e a
provare tristezza, non soffrendo che l’inizio della paura e della tristez­
za. Non è scritto infatti che ebbe paura e tristezza, ma che cominciò ad
aver paura e cominciò a sentir tristezza, quando disse: Uanima mia è tri­
ste fino alla morte. E sembra voler significare proprio una tale situazio­
ne, come se dicesse: è cominciata in me la tristezza, perché non me ne
manchi minimamente il gusto; tristezza che non per sempre, ma sino al
momento della morte è in me, affinché, essendo io morto al peccato,
muoia a tutta la tristezza di cui in me ci fu solo l’inizio.

91. Restate qui e vigilate con me, come se dicesse: anche se ag


tri discepoli ho detto: Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare, ed ho
condotto sin qui solo voi tre, non voglio che voi avanziate oltre, perché
non ne siete ancora capaci. Per questo motivo rimanete qui vegliando,
come veglio io, ben consapévoli che mentre agli altri ho detto di sedere
lì, essendo essi come inferiori, per preservarli immuni da questa lotta,
voi invece, in quanto più forti, vi ho condotti fin qui, perché vi impe­
gniate con me nelle veglie e nelle preghiere (44). Però a vostra volta fer­
matevi qui, perché ognuno permanga nel grado della sua vocazione, dato

propriamente è Figlio di Dio e Dio, ...per disposizione divina diventa figlio


d’uomo» (CMt 17,20: III, p. 198). Nella passione ha il suo culmine e insieme si
placa «l’antinomia fra il tema dell’impassibilità divina e la rivelazione biblica di
un Dio che si è fatto uomo» (cf. Fédou, p. 153), perché ne viene immessa nel
mondo l’azione salvifica: «Salvezza del Padre nel mondo è il Figlio, salvezza del
Figlio nel mondo è la croce» (FrPs 19 [20], 6 : testo già citato per CMtS 75, nota
5: II, p. 51); al Getsemani il rapporto fra Dio e l’uomo si piega nel principium tri­
stitiae vel pavoris, ma giungerà alla sconfitta di ogni tristezza: Mortuus peccato
moriar et tristitiae (cf. Psephtogas; Studer 2000a e 2000b).
(44) Manete hic vigilantes sicut et ego vigilo. La gradualità e diversit
cammini disposti dal Cristo è dato fondamentale della vita spirituale nella
Chiesa; Origene lo ricordava ai suoi ascoltatori: «Nel popolo di Dio vi sono alcu­
ni (che combattono) per il resto del popolo e per quelli che sono più deboli...
Combattono con le preghiere e i digiuni... la giustizia e la pietà ...la mansuetu­
dine e la castità e tutte le virtù della continenza, come muniti di armi di guer­
ra. ..» (HNm 25, 4, p. 346): del progresso cristologico ed ecclesiale fa parte anche
l’andare oltre una concezione individualistica della salvezza, così che i più avan­
zati si facciano carico dei più deboli (cf. Lettieri 2000, pp. 387s.). L’invito a rima­
nere nella vocazione cui si è chiamati (1 Cor 7, 20) è essenziale per cogliere tutti
gli stati della vita cristiana come reale comunione con il Cristo: l’offerta del
discepolo, che si inserisce nell’apice di preghiera e donazione del Getsemani, si
verifica per gli apostoli, i martiri, i vergini, i continenti, gli sposati (cf. CRm 9,1);
le chiamate e i gradi vanno riconosciuti e custoditi nella tensione alla santità
come vocazione unificante (cf. Alviar, pp. 70-77.161s.). Origene spiega quanto
avviene nell’incontro con Gesù: «G esù si ferma·, colpito dal grido e dalla richie­
sta (dei due ciechi), li chiamò a sé, ma già nel momento in cui li chiamava, dava
inizio al beneficio. Non lo avrebbe fatto a vuoto e senza far sgorgare niente in
H4 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 91-92

magna) habet et superiorem. Quod autem hoc significat dicens: mane­


te hic, manifestum est ex eo, quod in sequentibus dicitur: Progressus
autem pusillum cecidit in faciem suam 217. Propter quod maneamus, ubi
praecipit Iesus, secundum quod et apostolus mandat: Unusquisque, in
qua vocatione vocatus est, in hac maneat apud Deum 218, ut omnia facia­
mus ut cum eo pariter vigilemus, qui non dormit neque dormitat custo­
diens Israel 219. Ad hoc autem adduxit eos, maxime Petrum magna de
se confidentem, ut videant et audiant, ubi est posse hominis et quomo­
do impetratur. Videant quidem cadentem in faciem suam 220, audiant
autem dicentem: Pater, si possibile est, transeat calix iste a me, et discant
non magna de se sapere sed humilia aestimare, nec veloces esse ad pro­
mittendum sed solliciti ad orandum. Ideo et illos duxit, qui videbantur
fideliores et fortes similes Petro, in quibus similiter facile poterat locum
invenire iactantia propter fiduciam fidei, mediocres autem (quantum
ad periculum dico iactantiae) ipsa fidei exiguitate muniti sunt.

92. Et progressus pusillum cecidit in faciem suam orans et dic


Pater, si possibile est, transeat calix iste a me.
208 Qui dixit: Discite a me, quia mitis sum et humilis corde 221, lauda­
biliter se humilians, et nunc cadit in faciem orans et adhuc amplius po-
stmodum humiliat se factus oboediens usque ad mortem 222; quoniam
pretium exaltationis humilitas est, nec enim exaltatur a Deo nisi qui hu­
miliaverit se propter Deum. Cadit autem in faciem orans non multum
progressus sed pusillum a tribus discipulis suis manentibus secum; nole­
bat enim longe fieri ab eis, sed iuxta eos constitutus orare, qui autem
dicit orans: si possibile est, transeat calix iste a me, manifestans in ora­
tione suam devotionem, quasi dilectus filius 223 et conplacens disposi­
tionibus patris, addidit: Sed non sicut ego volo, sed sicut tu 224, docens
ut non oremus nostram fieri voluntatem sed Dei, quando factum fuerit
ut aliquid aliud velimus quam Deus. Pater, si possibile est, transeat calix

217 Mt. 26, 39. 218 1 Cor. 7, 20. 219 Ps. 120 (121), 4 . 220 Mt.
26, 39. 221 Mt. 11, 29. 222 Cf. Phil. 2 , 8 . 223 Cf. Mt. 3, 17.
224 Mt. 26, 39.

quelli che aveva chiamati» (CMt 16, 11: III, p. 57); il dono porterà frutto nella
vigilanza (cf. il commento alle parabole su vigilanza e attesa, in CMtS 61-73 su
Mt 24, 45 - 25, 4 6 :1, pp. 374-447; per il rapporto fra l’azione di Dio, che è gra­
zia, e la risposta dell’uomo, cf. Studer 2000c; Danieli 2002).
(45) Non veloces ad promittendum sed solliciti ad orandum. Il persis
richiamo all’umiltà non vuole attenuare lo zelo verso Dio, ma frenarne ogni pos­
sibile presunzione; l’Alessandrino ha presenti prove e rischi di ogni condizione
spirituale: per i migliori c’è la possibilità dell’orgoglio, della fiducia in se stessi;
per i mediocri c’è da fare i conti con la pochezza della fede, che certo non è un
bene in sé, anche se può nel caso risparmiare dal cadere nella superbia. In que­
sti varchi l’anima origeniana si esprime nella sottolineatura del valore della pre­
ghiera in tutte le circostanze: dalla persecuzione - «Fratelli, supplichiamo il
Signore, confessandogli la nostra debolezza, di... non consegnarci in potere di
C O M M E N TO A M ATTEO , 91-92

che ogni grazia (per grande che sia) ne ha una superiore. Il senso delle
parole: rimanete qui, risulta chiaro da ciò che è detto in seguito: e avan­
zandosi un poco, si prostrò con la faccia a terra. Ecco perché noi dobbia­
mo rimanere lì dove ci comanda Gesù, per cui anche l’Apostolo racco­
manda che ciascuno resti nella vocazione in cui era quando fu chiamato e
vi resti presso Dio, in modo da fare di tutto per vegliare al pari di lui, che
non si addormenta né prende sonno nel custodire Israele. A questo pun­
to poi ha condotto quelli, e specialmente Pietro, che nutriva grande fi­
ducia in se stesso, affinché vedano e ascoltino fin dove giunge la possi­
bilità dell’uomo ed in che modo egli impetri pregando. Lo vedano pro­
strarsi con la faccia a terra, lo ascoltino mentre dice: Padre, se è possibi­
le, passi da me questo calice, ed imparino a non farsi un’idea troppo
grande di se stessi, ma a stimare le cose umili, e a non essere precipito­
si nel promettere, bensì solleciti nel pregare (45). Per questo condusse
quelli che sembravano più fedeli e forti, come Pietro, nei quali poteva
facilmente trovare spazio la presunzione per la fiducia della loro fede,
mentre i mediocri (parlo per il pericolo della presunzione) sono difesi
dalla stessa esiguità della loro fede.

92. E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra, pregan


dicendo: Padre se è possibile, passi da me questo calice.
Colui che disse: Imparate da me perché sono mite ed umile di cuore,
umiliandosi in modo lodevole, anche adesso si prostra con la faccia a ter­
ra, e dopo si umilia ancora di più, facendosi obbediente sino alla morte:
perché il prezzo dell’esaltazione è l’umiliazione, e non viene esaltato da
Dio colui che non si è umiliato per amore di Dio. Si prostra poi con la
faccia per terra, avanzandosi non molto, ma un po’ dai tre discepoli che
restavano in sua compagnia. Non voleva infatti allontanarsi molto, ma
fermarsi a pregare vicino a loro. Egli, che dice nel pregare·, se è possibile,
passi da me questo calice, nella preghiera manifesta la sua devozione co­
me figlio diletto e condiscendendo alle disposizioni del Padre aggiunge:
Però non come voglio io, ma come vuoi tu, ci insegna a non pregare che
si compia la volontà nostra, ma quella di Dio, qualora accada che voglia­
mo qualcosa di diverso da Dio. Padre, se è possibile, passi da me questo

coloro che dicono: Quando verrà il momento opportuno, in cui ci sarà dato il
potere contro i cristiani?... Ma se poi siamo consegnati, e ricevono potere su di
noi, preghiamo di ricevere da Dio la forza di poter restare saldi...» (Hlud 7, 2 ,
pp. 13 ls.) -, alla impetrazione di doni come la castità, da custodire anche con
l’ascesi, ma ancora di più «tramite preghiere... (il buon dono), l’assoluta purez­
za nel vivere il celibato e la castità, Dio lo darà a quelli che con tutta l’anima, con
fede e incessantemente glielo avranno chiesto con preghiere» (CMt 14,25: II, pp.
175.177). Poiché Dio «approva ugualmente la fede in lui degli uomini semplici
- ιδιωτών - e la pietà razionale - μετά λόγου ευσέβειαν - verso di lui degli uomi­
ni più intelligenti, che fanno salire le loro preghiere al creatore dell’universo...»
(CC 7, 46, p. 629), la preghiera può avere un «ruolo differenziato» nell’ambito
della comunità credente, tenendo conto della «varietà di gradi della vita spiritua­
le» (Perrone 2000c, p. 217; Id. 2001d, p. 11).
ii 6 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 92

iste a me; sed non sicut ego volo, sed sicut tu. Secundum quod coepit pa­
vere et tristari, secundum illud et orat calicem passionis transire a se;
sed non sicut vult ipse, sed sicut pater. Suscipiens enim naturam camis
humanae omnes proprietates inplevit, ut non in phantasia habuisse car­
nem aestimaretur, sed in veritate; secundum quod in hoc loco orat ca­
licem passionis transire a se, sed non sicut vult ipse, sed sicut vult pater:
quoniam proprium est omnis hominis fidelis, primum quidem nolle pa­
ti aliquid doloris, maxime quod ducit usque ad mortem, quia homo est
carnalis, si autem sic voluerit Deus, adquiescere etiam contra volunta­
tem suam, quia fidelis est ne plus videatur in se desperare quam in
Deum sperare. Nam sicut multum confidere non debemus, ne nostram
virtutem videamur profiteri, sic multum pusillanimiter agere et diffide­
re non debemus, ne Dei adiutoris nostri inpotentiam videamur pro­
nuntiare. Haec ergo voluntas, quam dicit: si possibile est, transeat calix
iste a me; sed non sicut ego volo, sed sicut tu, non est secundum substan­
tiam eius divinam et inpassibilem, sed secundum naturam eius huma­
nam et infirmam.
209 Altera autem interpretatio loci huius est talis, quoniam quasi filius
caritatis Dei 225, secundum praescientiam quidem diligebat eos, qui ex
gentibus fuerant credituri; Iudaeos autem quasi semen patrum sancto­
rum, quorum adoptio et gloria et testamenta et repromissiones 226, dilige­
bat quasi ramos bonae olivae 227. Diligens autem eos videbat, qualia
erant passuri petentes eum ad mortem et Barabbam eligentes ad vi­
tam 228; ideo dicebat dolens de eis: Pater, si possibile est, transeat calix iste
a me·, rursus revocans desiderium suum et videns, quanta utilitas mundi
totius esset futura per passionem ipsius, dicebat sed non sicut ego volo,
sed sicut tu. Videbat adhuc propter illum calicem passionis etiam ludam,
qui ex duodecim unus erat, filium fore perditionis 229; rursus intellege­
bat per illum calicem passionis principatus et potestates triumphandas in
corpore suo 2}0. Propter hos ergo, quos in passione sua nolebat perire,
dicebat: Pater, si possibile est, transeat calix iste a me\ propter salutem au­
tem totius humani generis, quae per mortem eius Deo fuerat adquiren-
da, dicebat quasi recogitans: sed non sicut ego volo, sed sicut tu, id est: si

225 Cf. Col. 1,13 . 226 Rom. 9,4. 227 Cf. Rom. 1 1 ,16ss. 228 Cf.
Mt. 27,21 par. 229 Cf. 2 Thess. 2 , 3 . 230 Cf. Coi. 2 , 14s.

(46) Suscipiens naturam carnis humanae omnes proprietates inplev


primo livello di lettura della preghiera del Cristo riguarda l’umiliazione della
carne assunta - non in phantasia, è detto con affermazione antidoceta rispetto
a quella contraria, marcionita: quod phantasma carnis fuerit in Christo (cf. Noce
2 0 0 2 , p. 138; Scott, p. 155) -; dalla sua vera condizione umana il Figlio prega
il Padre: Si possibile est... sed non sicut ego volo-, nota altrove Origene: «G esù
rivela, parlando come uomo, tanto la debolezza della natura umana quanto la
vigoria dello spirito: la debolezza nelle parole: ...se è possibile, passi da me...·,
la forza dello spirito: ...ma come vuoi tu (CC 2, 25, p. 160; cf. Dupuis 1967, pp.
76s.); la reale sofferenza del Salvatore in quanto uomo, così come il non venir
C O M M E N TO A M A TTEO , 92 117

calice; però non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu. Stando al fat­
to che cominciò a sentire paura e tristezza, prega che passi da lui il ca­
lice della passione; però non come vuole lui, ma come vuole il Padre.
Nell’assumere infatti la natura della carne umana, ne ha avute piena­
mente tutte le proprietà (46), perché si ritenesse che possedeva la car­
ne non in apparenza, ma nella realtà; in questo senso, appunto, prega
qui perché passi da lui il calice della passione, però non come vuole lui,
bensì come vuole il Padre: perché è proprio di ogni uomo fedele, in un
primo momento non voler soffrire qualche dolore specie quello che
porta sino alla morte, perché l’uomo è di carne, ma se così vorrà Dio vi
acconsente, anche contro la sua volontà, perché è fedele: non sembri
essere più carente di speranza in sé, che pieno di speranza in Dio. In
realtà, come non dobbiamo essere molto sicuri di noi, per non dare
l’impressione che presumiamo della nostra virtù, così neppure dobbia-*
mo agire con pusillanimità e mancare di fiducia per non dare l’impres­
sione di proclamare l’impotenza di Dio, nostro aiuto. Dunque questa
volontà, di cui dice: Se è possibile, passi da me questo calice, però non co­
me voglio io, ma come tu vuoi, non è già secondo la sua natura divina
impassibile, bensì secondo la sua natura umana debole.
Ecco un’altra interpretazione del brano. Essendo figlio dell’amore di
Dio, secondo la sua prescienza amava coloro che sarebbero giunti alla fe­
de dalle nazioni, mentre i giudei essendo seme dei padri santi, che posse­
devano l’adozione, la gloria, le alleanze e le promesse, li amava come rami
del buon olivo. Ma amandoli, vedeva quali mali sarebbero loro toccati
chiedendo che lui fosse messo a morte e scegliendo Barabba perché fos­
se lasciato in vita; per questo, dolendosi di essi, diceva: Padre, se è possi­
bile passi da me questo calice-, ma d’altra parte, revocando il suo desiderio
e vedendo quanto grande sarebbe stato il vantaggio di tutto il mondo gra­
zie alla sua passione, diceva: però non come voglio io, ma come vuoi tu.
Inoltre egli vedeva che per quel calice della sua passione anche Giuda,
che pure era uno dei Dodici, sarebbe diventato figlio della perdizione;
ma d’altra parte che grazie a quel calice della passione avrebbe trionfa­
to su principati e potestà nel suo corpo. Per costoro dunque, che non
voleva perissero nella sua passione, diceva: Padre, se è possibile, passi da
me questo calice, ma per la salvezza di tutto il genere umano, che Dio
avrebbe acquistata attraverso la sua morte, diceva quasi ripensandoci:
però non come io voglio ma come vuoi tu. Vale a dire: se è possibile che

meno della volontà secondo la sostanza divina, vanno considerati nella dinami­
ca della cristologia origeniana (cf. quanto già si è rilevato per la Series 90, alle
note 41 e 42; Fédou, pp. 205-207; Spanneut, p. 205). Nella Esortazione al marti­
rio la preghiera di Gesù al Getsemani esprime insieme la disposizione di chi sta
per dare la vita in testimonianza e la capacità di liberarsi dalla propria volontà
umana - βσύλημα - per compiere unicamente ciò che vuole Dio - θέλημα - (EM
29: testo già ricordato per CMtS 89, nota 40: II, p. 108; cf. Niculescu, pp. 11­
16; Perrone 2001d, pp. 6 -8 ). Sarà Massimo il Confessore a mettere in luce la
pienezza del volere in Cristo di fronte al calice della passione: «egli, che è per
π8 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 92

possibile est, ut sine passione mea omnia illa bona proveniant, quae per
passionem meam sunt proventura, transeat passio haec a me, ut et
mundus salvetur et Iudaei in passione mea non pereant. Si autem sine
perditione quorundam multorum salus non potest introduci, quantum
ad iustitiam tuam, non transeat sicut ego volo, sed sicut tu. Ac si dicat:
ista quidem est mea voluntas, sed quoniam tua voluntas multo eminen-
tior est (quasi ingeniti Dei, quasi patris omnium), propterea magis vo­
lo tuam voluntatem fieri quam meam.
Calicem autem hunc qui bibitur passionis in multis locis nominat
210 Scriptura, praecipue qui a martyribus proprie bibitur, sicut est ibi:
Quid retribuam Domino pro omnibus, quae retribuit mihi? calicem salu­
taris accipiam, et nomen Domini invocabo 231. Si ergo calix salutaris ca­
lix martyrii est, necesse est ut salvemus calicem illum, totum eum bi­
bentes, quia calix est salutaris, ut nihil fundamus ex eo. Bibit ergo ca­
licem totum, qui patitur pro testimonio quidquid fuerit ei inlatum; ef­
fundit autem accipiens, qui vocatus ad martyrium denegat ne aliquid
patiatur. Est et alterius generis calix inebrians 232, quem bibit quis
postquam manducaverit praeparatam sibi mensam a Deo adversus illos
qui tribulant iustum.
Notandum est autem, quoniam Marcus quidem et Lucas hoc ipsum
scripserunt 233, qui et temptatum exponunt a diabolo lesum 234; Iohan-
nes autem passionem quidem exponit quemadmodum alii, orantem
autem lesum ut transiret ab eo calix non introducit, sicut nec tempta­
tum exponit a diabolo lesum. Causam autem hanc arbitror esse, quo­
niam hi quidem magis secundum humanam eius naturam exponunt
de eo quam secundum divinam, Iohannes autem magis secundum di­
vinam quam secundum humanam (propterea quia secundum huma-

231 Ps. 115 (116), 3 . 232 Ps. 22(23), 5. 233 Cf. Mc. 14,32ss.; Lc. 22,
40ss. 234 Cf. Mc. 1 , 2 s.; Lc. 4, lss.

natura Dio, anche come uomo aveva come volontà l’adempimento della volon­
tà del Padre. Di conseguenza, secondo entrambe le nature da cui e in cui e di
cui era costituita la sua persona, si rivelava essere colui che naturalmente vuole
ed opera la nostra salvezza: da un lato, acconsentendo a questa insieme con il
Padre e lo Spirito; dall’altro, facendosi ubbidiente per questa al Padre fino alla
m orte...» (Massimo il Confessore, Sull'agonia 6 , p. 19; cf. Lafontaine).
(47) Et mundus salvetur et Iudaei in passione mea non pereant. Una sec
lettura si inoltra nel mistero del Filius caritatis Dei: «Io debbo dire di conoscere
anche una interpretazione diversa di questo luogo... Mosso soltanto dalla pietà
verso i giudei (il Salvatore) pronunziò le parole: Padre, se è possibile.. .» (CC 2,25,
pp. 160s.): Gesù pregherebbe perché siano tenute lontane da Israele le conse­
guenze tragiche della sua morte; Origene accetta questa esegesi e la propone; se si
suppone questa lettura originata nell’ambiente cristiano, forse palestinese, del III
secolo, ci troveremmo di fronte a «una viva sensibilità per i problemi connessi con
l’abbandono d’Israele» in cristiani di origine pagana (cf. Sgherri 1982, pp. 90-92;
Perrone 2000f, pp. 369s.). L’agonia di Gesù sta fra il sine passione mea e il per pas­
sionem meam, tra Israele, le genti e le potenze, e lo sguardo dell’esegeta si fa gran-
C O M M E N TO A M A TTEO , 92 119

senza la mia passione provengano tutti quei beni che risulteranno da


essa, passi da me questa passione, perché e il mondo sia salvato e i giu­
dei non periscano nella mia passione (47); ma se la salvezza non può es­
sere introdotta senza la perdizione di molti, quanto attiene alla tua giu­
stizia, non passi, come voglio io, ma come vuoi tu. Come se dicesse:
questa è la mia volontà, ma perché la tua volontà è di molto più eccel­
sa (essendo quella di Dio non generato, di Padre di tutti), per questo
voglio che si compia la tua volontà più che la mia.
Ma questo calice della passione che viene bevuto, la Scrittura lo
menziona in molti passi, principalmente quello bevuto propriamente dai
martiri, come in questo testo: Che cosa renderò al Signore per tutto quel­
lo che mi ha elargito? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del
Signore. Se dunque il calice della salvezza è quello del martirio, è neces­
sario che noi salviamo quel calice bevendolo tutto, essendo esso calice di
salvezza, non ne riversiamo niente. Perciò il calice lo beve tutto colui che
soffre per dare testimonianza, qualunque male gli venga inflitto. Ma nel
prenderlo lo riversa chi, chiamato al martirio, rinnega la fede, per non
soffrire alcun male. Di altro genere è il calice inebriante, che si beve do­
po aver mangiato ad una mensa preparata da Dio davanti a coloro che
fanno tribolare il giusto.
E da notare poi che questo stesso episodio lo descrivono anche
Marco e Luca, che riferiscono altresì di Gesù tentato dal diavolo; Gio­
vanni invece presenta la passione come gli altri, però non inserisce la pre­
ghiera di Gesù, che passi da lui il calice, come pure non presenta Gesù
tentato dal diavolo. Il motivo di questa differenza è, credo, che i primi
raccontano di lui sul piano della natura umana più che su quello della na­
tura divina, mentre Giovanni lo presenta sul piano della natura divina,
più che su quello della natura umana (48) (per il fatto che veniva ten­

de, spazia sulla salvezza che riguarda realtà insieme divise e unificate dalla risonan­
za cosmica della passione di Cristo (cf. CMtS 76, nota 6 : II, pp. 53-55; per la stes­
sa dilatazione cf. la Series 135; Prinzivalli 2005a; Danieli 1997a). La citazione di
Col 2, 15 suona nel nostro testo: intellegebat principatus et potestates triumphan­
das in corpore suo; nella frase formulata al passivo si può intendere che nel corpo
di Cristo avviene il trionfo di Dio Padre sulle potenze (cf. Vogt 1993, p. 294, nota
2 , e per altri aspetti della Series, pp. 302s., note 50 e 51); la libertà con cui il Cristo
si consegna agli assalti del male «mette l’accento insieme sulla sua obbedienza
riguardo al disegno “filantropico” del Padre e sulla certezza della sua vittoria
paradossale» (Steiner, p. 135; per l’estensione del testo alla realtà della Chiesa, cf.
Simonetti 1993b, pp. 175-178; sul tema del Filius caritatis, cf. Studer in Orig. VII).
Un accenno riprende poi il motivo del calix salutaris come calix martyrii·, «(il) cali­
ce con sofferenza viene bevuto da colui che accetta le lotte del martirio sino a
svuotarne il contenuto», e questo è insieme il calice della salvezza: «al Signore
(non) possiamo rendere niente di più grande per i benefici da lui ricevuti» (CMt
16, 6 : III, p. 33; cf. dal Covolo 2000a; Monaci Castagno 2 0 0 2 , pp. 76s.; Prinzivalli
2002, pp. 43s., nota 56).
(48) Tres evangelistae magis secundum humanam eius naturam expon
Iohannes magis secundum divinam. Abbiamo già notato la lettura dinamica con
120 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 92-93

nam temptabatur naturam, divinitas autem intemptabilis erat). Ideo


tres quidem evangelistae exposuerunt temptatum, Iohannes autem,
secundum quod coeperat: In principio erat Verbum, et Verbum erat
apud Oeum, et Deus erat Verbum 235, nescit Deum Verbum posse tem­
ptari. Sic et hic tres quidem isti rettulerunt lesum postulasse a patre,
ut transiret calix ab eo, quoniam et proprium hominis erat (quantum
ad infirmitatem pertinet carnis) velle evadere passionem, Iohannes
autem propositum habens exponere lesum Deum Verbum, sciens
quia ipse est vita et resurrexio, nescit deum inpassibilem refugere pas­
sionem.

93. Et venit ad discipulos suos et invenit eos dormientes, et dici


tro: Sic non potuistis una hora vigilare mecum? Vigilate et orate, ne in­
tretis in temptationem 236.
Quamdiu quidem adfuit Iesus discipulis suis non dormierunt, pu-
211 sillum autem progrediente eo ab eis nec una hora potuerunt vigilare eo
absente. Propter quod oremus, ut nec modicum aliquando Iesus pro­
grediatur a nobis, sed inpleat quod promisit in nobis dicens: Ecce ego
vobiscum ero omnibus diebus usque ad consummationem saeculi 237. Sic
enim vigilabimus eo excutiente somnum ab anima nostra, sine quo pos­
sibile non est inplere mandatum quod dicit: Nec des somnum oculis
tuis, aut palpebris tuis dormitationem, ut evadas sicut damula ex retibus
et sicut avis ex laqueo 238. Tamen veniens ad discipulos et inveniens dor­
mientes suscitat eos verbo ad audiendum, ut iam quasi audientibus di­
cat, quod dicit: Sic non potuistis una hora vigilare mecum. Praecipit au­
tem vigilare, ut vigilantes oremus. Vigilat autem qui facit opera bona,
vigilat qui sollicite agit de fidei veritate, ne in aliquod tenebrosum dog­
ma incurrat. Qui enim sic vigilans orat, illius exauditur oratio; hoc
enim significat dicens: Vigilate et orate, ut primum vigilemus et sic vi-

235 Io. 1, 1. 236 Mt. 26, 40s. 237 Mt. 28,20. 238 Prov. 6 , 4s.
cui Origene affronta la tentazione nel Cristo: «Preghiamo di esser liberati dalla
tentazione non nel senso di non venir tentati (ma) di non soccombere. Colui che
soccombe nella tentazione, vi entra, penso, avvolto nelle sue reti in cui, per la sal­
vezza di quelli che erano già caduti, entrò il Salvatore osservando tra le grate,
come è detto nel Cantico dei Cantici. E si rivolge a quelli che sono caduti nelle
reti e sono entrati in tentazione, e dice loro, come alla sua sposa: Levati, amica
mia, bella mia, colomba mia» (Orat 29, 9, pp. 162s.; il testo è citato da Fitzmyer,
p. 267). La nostra Series sottolinea il proprio del Vangelo di Giovanni - medita­
zione sul Deus Verbum, che non contiene il racconto dell’agonia - rispetto alla
narrazione sinottica che bene approfondisce la infirmitas carnis di Gesù; analo­
ga riflessione è fatta per il racconto delle tentazioni, riferite «soltanto in Matteo,
Luca e Marco. Giovanni infatti, nel suo Prologo, aveva preso le mosse da D io...
E poiché Dio, cui si riferiva il suo dire, non può certamente essere tentato, egli
non lo ha mostrato alle prese con la tentazione del diavolo» (HLc 29, 6 , p. 193);
la considerazione ha reale interesse esegetico e teologico (cf. Steiner, p. 139; de
Lubac 1985, p. 224), ma va contemperata con le felici contraddizioni, già rileva­
te, che l’Alessandrino incontra per la sua aderenza al mistero dell’amore divino
C O M M E N TO A M A TTEO , 92-93 121

tato secondo la natura umana, mentre la divinità non era oggetto di


tentazione). Per cui che tre evangelisti ne descrivono le tentazioni,
mentre Giovanni, per aver cominciato così: In principio era il Verbo, ed
il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo, non ammette che il Verbo Dio
possa essere tentato. Così anche in questo caso i tre evangelisti hanno
riferito che Gesù abbia chiesto intensamente al Padre che passasse da
lui il calice, perché era proprio dell’uomo (per quanto riguarda la de­
bolezza della carne) il voler sfuggire alla passione, mentre Giovanni,
avendo l’intenzione di presentare Gesù come Dio Verbo, sapendo che
egli è la vita e la risurrezione, non conosce un Dio impassibile che ri­
fugge dalla passione.

93. E andò dai suoi discepoli e li trovò che dormivano; dice a Pietro:
Così, non avete potuto vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate,
per non entrare in tentazione.
Fino a quando Gesù fu presente ai suoi discepoli, essi non si ad­
dormentarono; ma essendosi avanzato un po’ da loro, non poterono ve­
gliare un’ora sola in sua assenza. Per questo, preghiamo perché Gesù
non si avanzi neppure un po’ lontano da noi, ma compia quel che ci
promise: Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. Co­
sì veglieremo, scuotendo lui il sonno dalla nostra anima, ma senza il suo
aiuto non è possibile realizzare il precetto che dice: Non dare sonno ai
tuoi occhi e assopimento alle tue palpebre, per sfuggire come una gazzel­
la dalle reti e come uccello dal laccio. Ad ogni modo, venendo dai disce­
poli e trovandoli che dormono, li risveglia con una parola che è per
l’ascolto, per rivolgere loro la parola che dice come se fossero già in
ascolto: Così non avete potuto vegliare un’ora sola con me? E comanda
di vegliare, perché vegliando preghiamo (49). Ma veglia chi compie
opere buone; veglia chi si occupa della verità della fede, perché non ab­
bia a inciampare in un qualche opinione tenebrosa. La preghiera di co­
lui che prega nel vegliare così, sarà esaudita. Ed è questo che intende
col dire: Vegliate e pregate, che prima vegliamo e così vegliando pre­

che compatisce avendo pietà, poiché Dio non è senza viscere di misericordia - συμ­
πάσχει τω έλεήσαι' συ γάρ άσπλαγχνος ό Θεός - (cf. FrEz 16: P G 13, 812): per
cui si può prospettare una sensibilità divina - θεία αίσθησις - (CC 8, 20), in cui
l’uomo incontra Dio per la mediazione del Cristo (cf. Spanneut, pp. 208s.).
(49) Praecipit vigilare ut vigilantes oremus. In Origene è presente la soll
dine per la fede nel complesso di una vita intessuta dei doni dello Spirito:
«Coltiviamo una fede piena, opere perfette, preghiere ininterrotte, meditazione
della parola divina e una sua intelligenza spirituale» (HIos 16, 5, p. 234; cf. de
Lubac 1985, p. 75); il rapporto ita fede ed opere si esprime in tensione feconda fra
vigilanza - non attivismo - e preghiera - adesione del cuore -: «Non diranno sol­
tanto a metà Padre nostro costoro, il cui cuore - fonte e principio delle opere
buone - anche per mezzo delle opere crede per ottenere la giustizia, e la cui bocca
fa confessione per essere salvati (Rm 10, 10)»; ma «nelle pause (delle) tentazioni
ergiamoci contro il pericolo che ci sovrasta e stiamo preparati a tutto quello che
può accadere, affinché, qualunque cosa accada,. . .ci mostriamo addestrati perfet-
IZZ CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 93-94

gilantes oremus. Ut ne intretis in temptationem·, hoc (secundum quod


multi intellegunt) tale est ac si dicat: ut non temptemini; si autem sic
placuerit Deo, adquiescite Deo, sicut me audistis orantem. Considera
autem, si possibile est sic intellegere magis, quoniam vita nostra ipsa
temptatio est secundum lob 239; «intrare» autem in temptationem aut
«venire» in temptationem est cadere in temptationem et vinci ab ea. Et
puto quia nemo venit ad lesum simul et in temptationem·, sed si quidem
venit ad lesum, non venit in temptationem, si autem venit in temptatio­
nem, non venit ad lesum. Ad lesum enim nemo venit nisi quem trahit
pater ad lesum, ut resuscitetur ab eo 240. Ad lesum ergo venimus, ut et­
si temptator nos fuerit persecutus et mala ex eo, non conprehendamur
ab eis, sicut scriptum est: Persequentur te mala et non conprehen-
dent 241. Ad peccatorem autem dicitur consequenter: Persequentur te
mala et conprehendent te 242.

94. Spiritus quidem promptus, caro autem infirma 243, sicut


o Petre, spiritus fuit promptus ad promittendum, caro autem erit infir-
212 ma ad confitendum. Sed hoc est considerandum, utrum sicut omnium
hominum caro infirma est, sic omnium spiritus promptus est, an om­
nium quidem hominum caro infirma est, non autem et omnium homi­
num spiritus promptus est sed tantum sanctorum. Ergo ad solos aposto­
los vel ad eos qui similes eis inveniuntur dicit, quoniam spiritus prom­
ptus est, caro autem infirma·, infidelium autem et spiritus segnis est et
caro infirma. Si ergo ad sanctos tantum Christum dicere hoc procedit,
provocat nos ut quaeramus quoniam est et alias caro infirma, eorum ta-

239 lob. 7,1 (LXX). 240 Cf. Io. 6 ,44. 241 Prov. 13,21. 242 Ibid.
243 Mt. 26,41.

tamente; quello poi che ci manca a causa dell’umana debolezza, dopo che avre­
mo fatto tutto ciò che dipende da noi, lo compirà Dio che volge tutte le cose al
bene di quelli che lo amano (Rm 6 ,2 8 )» (Orai 2 2 ,3 ; 29,19, pp. 108.173). La vigi­
lanza esprime il proprio di un cammino di santità, come «autenticità integrale,
in stretto raccordo fra orazione e vita» (cf. Perrone 1997, p. 31; Id. 2002b).
Riguardo alla vigilanza/preghiera non va dimenticato il grande antecedente di
Filone, per cui il conosci te stesso del precetto delfico è talora identificato con il
veglia su te stesso - πρόσεχε σεαυτω - di Es 23, 21: l’atteggiamento di chi ha
imparato a misurare la propria nullità sfocia fiducioso nella preghiera: «Per la
creatura il momento giusto per incontrare il Creatore viene quando essa ha
conosciuto il proprio niente - ούδένεια» (heres. 29,30, pp. 180s.; cf. Mazzanti in
Orig. Vili).
(50) Vita nostra ipsa “temptatio est" secundum lob. La citazione si rife
Gè 7, 1, e il commento della Series riprende lo svolgimento della “sesta doman­
da” del Padre nostro, che abbiamo già ricordato per la Series 92, alla nota 47:
«Preghiamo di esser liberati dalla tentazione non nel senso di non venir tentati
(che questo è impossibile, soprattutto per quelli sulla terra), ma se tentati, di non
soccombere» (Orat 29, 9, p. 162); nei frammenti rimastici del Commento a
Giobbe, troviamo profondi rilievi in ordine alla prova, al silenzio di fronte al miste-
C O M M EN TO A M ATTEO , 93-94 123

ghiamo. Perché non entriate in tentazione·, questo (stando a quello che


intendono molti) equivale a dire: perché non siate tentati; ma se così
piacerà a Dio, acconsentite a Dio, come mi avete sentito pregare. Ma
considera se sia possibile intendere piuttosto così: la nostra stessa vita,
secondo Giobbe (50), è tentazione; «entrare» in tentazione o «venire»
in tentazione è cadere nella tentazione ed essere vinti da essa. Ed io ri­
tengo che nessuno nello stesso tempo viene a Gesù e viene in tentazio­
ne. Ma se uno viene a Gesù, non viene in tentazione; e se uno viene in
tentazione non viene a Gesù. E infatti da Gesù non viene se non colui
che il Padre attira a Gesù, per essere risuscitato da Lui. Noi veniamo
dunque da Gesù in modo che se anche il tentatore ci ha perseguitato e
sono venuti dei mali da lui, non ne veniamo catturati, come sta scritto:
Ti perseguitino pure i mali, ma non ti afferrino, mentre al peccatore è
detto: I mali ti hanno perseguitato, e ti hanno afferrato.

94. Lo spirito è pronto, la carne è debole, come anche il tuo s


to, o Pietro, fu pronto a promettere, mentre la tua carne sarà debole
nel confessare. Ma questo bisogna considerare: come la carne di tutti
gli uomini è debole, così è pronto lo spirito di tutti? Oppure, mentre è
debole la carne di tutti gli uomini, non è invece pronto lo spirito di
tutti, ma solo quello dei santi? (51). Dunque pronto è lo spirito e de­
bole la carne dei soli apostoli, o di quelli che sono come loro; debole
la carne e fiacco lo spirito di quelli che non credono. Se perciò risul­
ta che Cristo dica ciò soltanto ai santi, questo ci induce a chiedere il
motivo per cui altrove debole è la carne, ma solo di coloro il cui spi­

ro del male, alla ripresa del dialogo con Dio: «Dio dà (a Giobbe) il premio e la
ricompensa delle prove subite, parlandogli attraverso la nube e il turbine» e «Dio
gli dà la franchezza - παρρησία - di parlare. Tale è la bontà di Dio che assume il
volto non di chi giudica ma di chi sostiene il giudizio assieme all’uomo... Dio lo
ricompensa perché interroga l’uomo, s’informa su di lui, gli dà la possibilità di
rispondere... Se non avesse vittoriosamente lottato, non avrebbe ricevuto il pre­
mio. .. Nessuno può rispondere a Dio sino a quando non sia diventato un uomo
perfetto e si sia fasciato di una dimensione spirituale» (Frlob su Gb 40: PG 1 2 ,
1045; tr. Pazzini 1996). La Series sottolinea più volte l’andare ad lesum·. al Cristo
si va per averne il soccorso nella lotta spirituale: il combattimento che è l’esisten­
za umana trova forza nella vittoria del Cristo, ha pace nella sua risurrezione - ut
resuscitetur ab eo -; Origene si sofferma sui molteplici modi di andare a Gesù:
«non ci accostiamo a lui tutti nello stesso modo, ma ciascuno secondo la propria
capacità» (HGn 1 ,7 , p. 51; sullo sguardo incessante di Origene al Cristo storico e
nella Chiesa, cf. Bertrand F., pp. 67-69.112s,144-146; sul rapporto fra adesione al
Cristo e combattimento spirituale: cf. de Lubac 1985, pp. 201s.; Bettiolo 2000a).
(51) Caro infirma... spiritus promptus. La lettura usuale delle paro
Gesù è altrove prospettata con chiarezza da Origene: «Quale (sia) la nostra
debolezza, il Signore stesso ce lo indica quando dice: Lo spirito è pronto ma la
carne è debole. La nostra debolezza dunque deriva dalla debolezza della carne.
È questa infatti che ha desideri contrari allo spirito; e mentre ispira i suoi desi­
deri, impedisce la purezza dello spirito e offusca la sincerità della preghiera.
124 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 94-95

men solorum quorum spiritus promptus est. Ego enim dico carnem in­
firmam esse illius, qui non habet peccatum nec carnis sapientiam 244
fortem sed defectam, qui cum spiritu prompto opera carnis 245 mortifi-
cavit et sapientiam carnis ad nihilum reduxit, ut semper mortem Chri­
sti circumferat in corpore suo 246, praevalente videlicet spiritu in concu­
piscentiis suis adversus concupiscientias camis, quoniam caro concupi­
scit adversus spiritum, spiritus autem adversus carnem 247. Et haec in in-
perfectis quidem invicem adversantur, in perfectis autem iam non ad­
versatur caro, sed mortificata est, et infirmata est sapientia carnis in
carne et concupiscentia eius extincta est; vivit autem in ea sapientia spi­
ritus, vivit autem et operatur. De qua infirmitate et Dominus ad apo­
stolum dicit quoniam virtus in infirmitate perficitur 248, id est in infir­
mitate camis et sapientiae eius, propter quod ait apostolus: Cum enim
infirmor, tunc potens sum 249; potens enim tunc fit unusquisque no­
strum, cum infirmata fuerit caro ipsius, ut non perficiat opera carnis,
sed habitet virtus Christi in ea. Unde dicebat: Sic certe pugno, et casti­
go corpus meum et servituti redigo 250, quoniam per multas castigatio­
nes facit homo carnem suam infirmam proficiens spiritu et mortificans
213 opera carnis. Hoc ergo dicere vult ad discipulos suos secundum istam
traditionem: Vigilate et orate, ne intretis in temptationem 251 vos quo­
rum spiritus quidem promptus est, caro autem infirma·, quoniam qui
spiritalior et perfectior est, sollicitior esse debet, ne magnum bonum
ipsius gravem habeat lapsum.

95. Iterum vadens lesus oravit dicens: pater meus, si non potes
transire a me nisi illud bibam, fiat voluntas tua 252.
Petit autem nunc ut transeat calix ab eo, et si non sic, quomodo vo­
luit ipse, transeat quomodo vult pater. Hic iam secundum quod possu­
mus intellegere exponemus, ut cum hoc etiam praecedentia videamur
exposuisse. Aestimo enim, quoniam calix ille passionis omnino quidem
ab Iesu fuerat transiturus, sed cum differentia: ut, si quidem biberet
eum, et ab ipso transiret postmodum et ab universo genere hominum;

244 Cf. 2 Cor. 1, 1 2 . 24? Cf. Rom. 8 , 13 . 246 Cf. 2 Cor. 4, 10.
247 Gai. 5, 17 . 248 2 Cor. 1 2 , 9. 249 2 Cor. 1 2 , 10. 250 1 Cor. 9, 26s.
251 Mt. 26,41. 252 Mt. 26, 42.

Quando però lo Spirito di Dio avrà visto il nostro spirito affaticarsi nella lotta
contro la carne, allora unendosi a lui gli porge la mano e aiuta la sua debolezza»
[CRm 7, 6 : 1, p. 381); altri passi ribadiscono, con sfumature, l’antropologia tri-
cotomica carne - anima - spirito: «Nelle mani del Padre (Gesù) affida non l’ani­
ma ma lo spirito, e quando dice debole la carne, non dice che è preparata l’ani­
ma ma lo spirito; per cui sembra che l’anima sia qualcosa di intermedio fra la
carne debole e lo spirito preparato» (Prin 2 , 8 , 4, p. 313). Nel nostro passo la
riflessione origeniana si volge dal senso letterale a un ulteriore percorso spiritua­
le: se per tutti gli uomini la carne è debole, lo spirito non è pronto in tutti, ma
solo nei santi; e anzi è da vagliarsi il senso di questa debolezza della carne, che
può trapassare dal simbolo negativo della pesantezza alla positività di una caro
C O M M E N TO A M ATTEO , 94-95 125

rito è pronto. Sì, io dico che è debole la carne di colui che non ha al­
cun peccato e ha una sapienza della carne non forte ma infiacchita,
egli che con spirito pronto ha messo a morte le opere della carne ed ha
annientato la sapienza della carne per portare sempre la morte di Cri­
sto nel suo corpo, cioè prevalendo lo spirito con le sue brame contro
le concupiscenze della carne, giacché la carne ha desideri contrari allo
spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne, e queste cose si oppon­
gono a vicenda in coloro che sono imperfetti, mentre nei perfetti la
carne non fa più opposizione, ma è stata messa a morte, e la sapienza
della carne è stata indebolita nella carne, e la sua brama è stata estin­
ta; in essa vive ormai la sapienza dello spirito (52), vive ed opera. Cir­
ca questa debolezza il Signore dice all’apostolo: La potenza si manife­
sta pienamente nella debolezza, si manifesta cioè nella debolezza della
carne e della sua sapienza; per questo l’Apostolo dice: Quando sono
debole, è allora che sono forte. Potente infatti lo è stato ognuno di noi,
allorché è stata resa debole la sua carne, per non compiere le opere
della carne, ma perché la potenza di Cristo abiti in essa. Per cui dice­
va: Così certamente combatto, e tratto duramente il mio corpo, e lo ri­
duco in schiavitù, perché mediante molti duri trattamenti l’uomo ren­
de debole la sua carne, progredendo nello spirito e mettendo a morte
le opere della carne. È questo dunque che vuol dire ai suoi discepoli
secondo questa spiegazione: Vegliate e pregate per non entrare in ten­
tazione, voi il cui spirito è pronto ma la carne è debole-, perché chi è più
spirituale e perfetto, deve essere più solerte perché il suo grande be­
ne non abbia a subire grave caduta.

95. Di nuovo, andandosene, Gesù pregò dicendo: Padre mio, se


sto calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua vo­
lontà.
Ora egli chiede che passi il calice da lui, e se non come vuole lui,
passi come vuole il Padre. Qui daremo già una spiegazione in base alle
nostre capacità, perché si veda, con ciò, che abbiamo spiegato anche
quel che precede. In realtà io ritengo che quel calice della passione sa­
rebbe comunque passato da Gesù, ma con questa differenza: se l’aves­
se bevuto, dopo sarebbe passato sia da lui, sia da tutto il genere umano;

mortificata che porta sempre in sé la morte di Cristo. Gesù richiama a quella zona
di spirito in cui l’uomo sta davanti a Dio, e dice che essa si consolida e si dilata
vegliando e pregando, tanto più se la «preghiera per ottenere (grazie) spirituali
e mistiche (è) fatta da colui che... mortifica gli atti della carne secondo lo spirito
(cf. Rm 8 , 13)» ( Orat 13, 4, p. 76; cf. Perrone 2001d, pp. 7s.).
(52) In perfectis infirmata est sapientia carnis, vivit autem sapientia spi
«Ricordo che una volta ragionavo di quel capitolo del Vangelo nel quale sta scrit­
to: Lo spirito è pronto, ma la carne debole e dicevo un qualcosa di simile, che il
nostro Salvatore, prima di salire sulla croce, di crocifiggere la carne e di metter­
la a morte, ...disse che questa era debole (e) lo spirito era pronto. Quando inve­
ce la consegna alla croce, . . .allora fa conoscere non già che il suo spirito è pron-
126 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 95

si autem non biberet eum, ab ipso quidem forsitan transiret, ab homini­


bus autem non transiret, sed maneret apud eos donec perficeret eos.
Hunc ergo calicem passionis principaliter quidem volebat a se transire
sic, ut omnino neque gustaret amaritudinem eius, si tamen possibile es­
set quantum ad iustitiam Dei. Quod enim dicebat si possibile est 253 non
ad potentiam Dei referebat solam sed etiam ad iustitiam eius: quoniam
quantum ad potentiam quidem Dei omnia possibilia sunt sive iusta sive
iniusta, quantum autem ad iustitiam eius - qui non solum potens est sed
etiam iustus - non sunt omnia possibilia sed ea sola quae iusta sunt. Si
autem non poterat fieri, magis volebat ut biberet eum et sic transiret ab
eo et ab universo genere hominum, quam ut faceret contra voluntatem
paternam bibitionem eius effugiens. Propter exitum ergo bonum, qui
erat furutus post bibitam amaritudinem calicis, orat vice secunda di­
cens: Pater meus, si non est possibile ut transeat nisi bibero eum, fiat vo­
luntas tua 254.
Manifestum est itaque, quia bibere eum volebat. Quantum ad con-
parationem enim melius erat, ut propter bibitionem eius transiret, quam
ut non transiret propter quod non biberat eum. Pone enim Dominum
non bibisse calicem illum et propter hoc eum non transisse, sine dubio
nec a genere humano transissent spiritus operantes peccata, convenien­
ter autem neque poenae transissent quae debebantur peccatis. Ergo ex-
214 pediebat omnibus, ut transiret calix ab eo, propter quod biberat eum
salvator, ut nos omnes credentes in eum, qui biberat eum, non bibamus
calicem illum vini meri, qui potat et potaturus est omnes gentes, ut bi­
bentes inebrientur et evomant, et insanire desistant 255. Sicut enim pro
nobis omnibus mortuus est 256, ut transeat nos mors inimica Christi, sic
pro nobis omnibus (qui debitores 257 eramus, ut in aeternum biberemus)
calicem illum bibit, ut per hoc ipsum quod transit ab eo calix, transeat
et a nobis non bibentibus eum. de quo calice dicit Hieremias: Dixit Do­
minus Deus Israel ad me: accipe calicem vini meri huius de manu mea, et
potabis omnes gentes ad quas ego mitto te, et bibent et evoment et insa­
nire desistent a facie gladii quem ego mitto in medio eorum 258. Qui er-

253 Mt. 26,39. 254 Mt. 26,42 . 255 Ier. 32, ls. (LXX). Cf. 2
Cor. 5,15. 257 Cf. Rom. 8 , 1 2 . Ier. 32, ls. (LXX).

to, ma che riposa ormai nelle mani del Padre. Descrivendo l’evoluzione del suo
intimo offriva un esempio per la nostra educazione» (H37Ps 1, 2 , pp. 271.273;
cf. Prinzivalli 1991, nota a p. 452). Il testo presenta affinità con la Series 94, e
nella sua complessità distingue una vitiosa sanitas della carne che ama i piaceri e
una caro infirma in cui i vizi sono messi a tacere, fino a che la carne sia emortua
(il testo è commentato da Fernàndez 1999, pp. 84-89). Nei perfetti la carne è
stata mortificata e in questa debolezza agisce la potenza di Cristo; è secondo que­
sta interpretazione - traditionem - che Gesù nel Getsemani dice ai discepoli di
vegliare, perché chi è più spirituale e perfetto non perda il bene che ha conse­
guito; si può ricordare l’austerità origeniana che non esita nelle omelie a parlare
di «carne ritorta e costretta», consumata «con l’astinenza, le veglie, la fatica delle
C O M M E N TO A M A TTEO , 95 127

se invece non lo avesse bevuto, da lui forse sarebbe passato, ma dagli


uomini non sarebbe passato, ma rimasto presso di loro fino a quando
li avrebbe resi perfetti. Questo calice della passione, dunque, egli vole­
va in primo luogo che passasse da lui, sì da non gustarne assolutamen­
te l’amarezza, se questo però fosse possibile per la giustizia di Dio. Ciò
che diceva, infatti: se è possibile, non lo riferiva solo alla potenza di Dio,
ma anche alla sua giustizia; giacché per la potenza di Dio tutto è possi­
bile, sia ciò che è giusto sia ciò che è ingiusto, mentre per la sua giusti­
zia - Dio non è solo potente ma anche giusto - non tutte le cose sono
possibili, ma solo quelle che sono giuste. Ora, se non poteva avvenire,
egli preferiva berlo e farlo passare da lui e da tutto quanto il genere
umano (53), anziché agire contro la volontà paterna, evitando di berlo.
Dunque per un esito buono, che ci sarebbe stato dopo aver bevuto
l’amarezza del calice, prega ora per la seconda volta e dice: Padre mio,
se non è possibile che passi questo calice senza che io lo beva, sia fatta la
tua volontà.
Risulta chiaro così che egli voleva berlo. Se infatti si fa un confron­
to, era meglio che passasse per averlo bevuto, che non passasse per non
averlo bevuto. Metti il caso che il Signore non avesse bevuto il calice, e
che per questo motivo esso non fosse passato: certamente non si sareb­
bero allontanati dal genere umano neanche gli spiriti che commettono i
peccati, e logicamente non sarebbero passate neanche le pene dovute ai
peccati. Perciò era vantaggioso per tutti che il calice passasse da lui per­
ché lo aveva bevuto il Salvatore, perché tutti noi, che crediamo in colui
che l’ha bevuto, non abbiamo a bere quel calice di vino puro, calice che
abbevera e dovrà abbeverare tutte le genti, perché bevendone ne restino
inebriate, e lo vomitino e smettano di uscire di senno. Come appunto è
morto per tutti noi, perché la morte, nemica di Cristo, passi oltre noi, co­
sì ha bevuto per tutti noi (che eravamo debitori di berlo in eterno) quel
calice, affinché, per il fatto stesso che passa da lui, esso passi anche da
noi pur se non lo beviamo. Di questo calice parla Geremia: Il Signore
Dio d’Israele disse a me: Prendi dalla mia mano una coppa di questo vino
puro, lo farai bere a tutte le genti alle quali ti mando. E berranno e vomi­
teranno e smetteranno di uscire di senno dinanzi alla spada che manderò

meditazioni» (HEx 13, 5, pp. 404s.; cf. Blanc) e notare come, in riferimento al
Cristo dell’agonia, la carne possa anche non avere il senso di antagonista dello
spirito nel combattimento spirituale (cf. Dupuis 1967, pp. 61.76-89); del resto,
anche se la vita non può essere esente da lotta, come abbiamo sopra ricordato,
nella vita del discepolo sono avvertibili le fasi di un progresso che matura: dal­
l 'esercizio delle virtù al portare sempre nel proprio corpo la morte di Gesù al sape­
re che nulla potrà separare dall’amore di Cristo (cf. CRm pref.: I, pp. 5-7 e com­
mento di Cocchini 1994).
(53) Magis volebat ut biberet eum et sic transiret calix ab eo et ab un
genere hominum. L’assunzione da parte del Cristo del calice della passione si
pone nella zona della giustizia divina: «l 'ira di Dio contro la negazione dell’amo­
re divino coglie (Γamore) del Figlio che si espone a questa ira, la disarma e la
128 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 95

go audiunt Dominum et vivunt secundum verbum eius et sunt emunda­


ti per fidem ipsius, iam non opus habent illa mundatione quae fit per ca­
licem illum irae. Sicut enim qui loti sunt non opus habent lavari, quia
sunt mundi (quia Christi discipuli sunt) 259, sic qui non sunt mundi, ne­
cessarium habent calicem illum Domino eos hortante: bibite et inebria­
mini et evomite 26°. Audi enim quomodo loquitur Hieremias (magis au­
tem Deus in Hieremia) exhortans eos, qui necessarium habent calicem
illum talem, quoniam voluntarie debent eum bibere qui necessariam
habent talem mundationem. Quoniam autem exhortans ad bibendum
haec dicit Deus, considera quod dicit inferius: Et erit, inquit, cum nolue­
rint suscipere calicem de manu tua ad bibendum, dices eis: haec dicit Do­
minus virtutum: bibentes bibetis, quoniam in civitate super quam invoca­
tum est nomen meum, super ipsam incipiam ego inducere mala, et vos
mundatione mundabimini 261.
Vide autem quoniam post primam orationem venit ad discipulos et
invenit eos dormientes 262, similiter post secundam veniens invenit eos
dormientes, quoniam erant oculi eorum gravati 263, puto autem non tan­
tum corporum eorum oculi quantum animarum eorum. Adhuc enim
nondum amoverat ab oculis discipulorum suorum gravamen inposi-
215 tum, nec enim fuerat adhuc honorificatus 2(A. Et sicut nondum erat Spi­
ritus Sanctus, quoniam Iesus nondum erat honorificatus 265, sic oculi eo­
rum nondum fuerant revelati a gravamine quoniam Iesus nondum fue­
rat honorificatus. Unde non eos reprehendit, sed vadens iterum tertia vi­
ce oravit idipsum 266, docens et nos per hoc ipsum, ut non deficiamus
in oratione sed permaneamus in ipso verbo orationis, donec impetre­
mus ea quae postulare iam coepimus.

259 Cf. Io. 13, 10. 260 Ier. 32, 14s. 261 Ibid. 262 Mt. 26, 40.
263 Mt. 26, 43 . 264 Io. 7, 39. 265 Ibid. 266 Mt. 26, 44.

rende letteralmente priva di oggetto» (von Balthasar 1986, p. 326); il Salvatore


muore bevendo la coppa perché sia vinta per tutti gli uomini la morte nemica del
Cristo; egli è «l’albero della vita a cui dobbiamo venir compiantati e la sua morte
diventa per noi albero di vita grazie a un dono di Dio del tutto nuovo e amabi­
le» (CRtn 5, 9 : 1, pp. 286s.; cf. de Lubac 1985, p. 101). La morte nemica è quel­
la per il peccato - «pane morto» di fronte al «Pane vivo disceso dal cielo» (cf.
CMt 1 2 , 33) -; la morte comune è quella «intermedia, la quale ha potere (sul)
corpo finché esso è animale e corruttibile e non ancora trasformato mediante la
gloria della risurrezione» {CRm 5, 10: I, p. 296); vi è poi la morte amica del
Cristo, «per la quale moriamo con lui per vivere con lui (2 Tm 2 , 1 1 )... vivificati
con il Cristo» (HNm 1 2 ,3 , p. 167; cf. Psephtogas, pp. 316s.; dal Covolo 2 0 0 0 b).
Nel testo già ricordato della Esortazione al martirio, il desiderio del Figlio di un
«beneficio più universale che raggiungesse un maggior numero di uomini» si
piega alla «volontà del Padre» che dispone «gli eventi in un modo e in un ordi­
ne diversi da quelli che vedeva il Salvatore» (EM 29, p. 140; cf. CMtS 89, nota
39, e CMtS 92, nota 45: II, pp. 114-115; Sgherri 1982, pp. 90.91; Niculescu); se
in precedenza lo sguardo si è rivolto a Israele e alle conseguenze drammatiche in
cui esso si troverà a partire dalla morte di Cristo, nel nostro passo l’attenzione è
C O M M E N TO A M A TTEO , 95 129

in mezzo a loro. Coloro dunque che danno ascolto al Signore, vivono se­
condo la sua parola e sono purificati grazie alla fede in lui, non hanno
più bisogno di quella purificazione che si realizza mediante quel calice
di collera. Come infatti quelli che sono lavati non hanno più bisogno di
lavarsi, perché sono già mondi (essendo discepoli di Cristo), così quelli
che non sono mondi hanno bisogno di quel calice, per esortazione del
Signore: bevetene, restatene inebriati e vomitate. Sì, ascolta come parla
Geremia (piuttosto Dio che parla in Geremia) esortando coloro che
hanno bisogno di quel genere di calice: volontariamente devono berlo
coloro che hanno bisogno di tale purificazione (54). Ma poiché, esortan­
doli a bere, Dio dice queste parole, considera che cosa dice più giù: Se
rifiuteranno dalla tua mano il calice da bere, dirai loro: Dice il Signore de­
gli eserciti: Certamente berrete. Se io comincio a castigare proprio la città
su cui è invocato il mio nome, anche voi sarete certamente purificati.
Vedi poi che dopo la prima preghiera venne dai suoi discepoli e li
trovò che dormivano, così dopo la seconda venendo li trovò che dormi­
vano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. Ritengo fossero non tan­
to gli occhi del loro corpi quanto quelli delle loro anime. Non aveva in­
fatti ancora rimosso dagli occhi dei suoi discepoli il grave peso posto
[su di essi]: infatti non era stato ancora glorificato. E poiché non c’era
ancora lo Spirito Santo, perché Gesù non era stato ancora glorificato, co­
sì dai loro occhi non era stato ancora rimosso il pesante velo, perché
Gesù non era stato ancora glorificato. Per cui non li rimproverò, ma an­
dando pregò di nuovo per la terza volta dicendo le stesse parole, inse­
gnandoci con ciò stesso a non venire meno nella preghiera, ma a perse­
verare nella stessa parola di preghiera, fino ad impetrare ciò che abbia­
mo già cominciato a chiedere insistentemente.

alla passione come «azione redentrice di Dio nel mondo» (Psephtogas, p. 311) e
alle relazioni intertrinitarie nella economia della salvezza (cf. Pazzini 2000a;
Simonetti 2000b; Studer 2000a).
(54) Voluntarie debent eum bibere qui necessariam habent talem mund
nem. «Dio agisce con i peccatori nella stessa maniera con cui i medici curano i
malati... (In Geremia) si minaccia che chi non berrà (il calice dell’ira) non sarà
purificato (cf. Ger 2 5 ,15ss.). Di qui si capisce che il furore della vendetta di Dio
serva a purificare le anime» (Prin 2 , 10, 6 , pp. 339s.); se i discepoli del Cristo
sono mondi della purezza escatologica (cf. Zumstein, p. 354), è per il calice che
il Cristo ha bevuto e per la fede con cui i discepoli sono innestati in lui; dobbia­
mo augurarci «di essere sedotti da Dio, per il presente e per il futuro», perché
se egli «mi fa forza, se mi seduce all’inizio mentre sono ancora un infante in
Cristo, .. .facendo forza prevale; ma se non fa forza, allora io ho bisogno di pene»
(Hler 20, 3.4, pp. 264.267; cf. Perrone 2001e, p. 104). Nel Getsemani il Cristo
ripetutamente ritorna ai discepoli, offrendo loro come un frutto anticipato della
sua Pasqua: di questa devono essere rivestiti, perché nondum erat Spiritus, dal
momento che Iesus nondum erat honorificatus-, al Tabor come al Getsemani gli
occhi dei discepoli erano gravati dall’impedimento che stringeva tutta l’umanità
in attesa dello Spirito (cf. Series 8 8 e 104; Sgherri 1982, p. 256). «(Si cerchi) di
CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 96

96. Tunc veniens dixit discipulis suis: Dormite nunc et requies


ecce <adpropiavit hora, et filius hominis tradetur in manibus peccatorum.
Surgite, eamus; ecce> adpropia<vi>t qui me tradet 267.
Tunc sine dubio post tertiam orationem. Non autem est ille ipse
somnus, quem iubet nunc discipulos suos dormire, et ille, qui bis supe­
rius scribitur contigisse discipulis. Illic enim dormientes invenit 268 non et
requiescentes, et iterum dormientes invenit 269 gravatos oculos habentes;
nunc autem praecipit eis non simpliciter dormire, sed cum requie. Mul­
tum enim differt secundum praeceptum Christi dormire et requiescere a
dormitione contra voluntatem ispius dicentis: Manete hic et vigilate me­
cum 270 et inproperantis propter somnum et dicentis: Sic non potuistis
una hora vigilare mecum 271. Non ergo contraria sibi dixit dicens illic: Vi­
gilate mecum, hic autem: dormite et requiescite, sed ut ordo servetur, ut
primum quidem vigilemus orantes ut non intremus in temptationem, et
postea dormiamus et requiescamus secundum Christi praeceptum.
Quem somnum et Salomon ponit in promissione bene viventibus,
dicens in Proverbiis suis: Si enim sederis, sine timore eris; si autem dor­
mieris, suaviter dormies, et non timebis pavorem supervenientem nec im­
petus impiorum inruentes 272. Et David, diversas sciens vigilias et dormi­
tiones, iuravit Domino et votum vovit Deo Iacob, non ascendere supra
lectum stratus sui nec dare somnum oculis suis nec palpebris suis dor­
mitationem, et hoc tamdiu facere, donec inveniat locum Domino, taber­
naculum Deo Iacob 273, ut cum invenerit locum Domino, ascendat supra
lectum stratus sui et det somnum oculis suis renovantibus se et post re-
216 quiem praeparantibus ad novam et diviniorem surrectionem, secundum
quod solet corporalibus hominibus evenire post somnum naturalem et
sanum. Forsitan autem et anima non potens semper sufferre labores

267 Mt. 26, 46. 268 Mt. 26, 40. 269 Mt. 26, 43 . 270 Mt. 26, 38.
271 Mt. 26, 40. 272 Prov. 3 , 4s. 273 Ps. 131 (132), 2-5.

capire l’esatta situazione di Pietro e degli altri apostoli: essi avevano bisogno
(essendo ancora proprietà di altri) di Colui che doveva riscattarli dal nemico e
comprarli col suo sangue prezioso... Ci dicano, quelli che vogliono affermare che
gli apostoli fossero perfetti anche prima della passione di Gesù, come mai Pietro
e i suoi compagni fossero oppressi dal sonno al momento della trasfigurazione di
G esù» (CMt 1 2 , 4 0 :1, p. 358). All’impotenza dei discepoli e dell’umanità intera
risponde la passione salvatrice del Cristo in cui traluce la «teologia del Dio sof­
ferente»: «il Verbo potrebbe essere fin dall’origine portatore delle passività di
Gesù», che trasmette l’amore trinitario interpersonale come «amore misericor­
dioso nei confronti dell’umanità» (cf. Spanneut, pp. 298.300).
(55) Primum vigilemus orantes et postea dormiamus et requiesca
(Traduciamo il lemma senza integrazione). Il commento ripropone temi svolti
per Mt 25, 5 - le parabole della vigilanza -: nella durata della vita si inserisce il
rischio dell’assopimento della fede, della caduta di attenzione, dell’affievolirsi
della tensione spirituale - Sponso tardante i discepoli del Cristo possono trovar­
si quasi in nocte mundi dormitantes (CMtS 63, nota 173: I, pp. 394s.; cf.
Scognamiglio 1998-1999) -, e il pesante sonno del Getsemani ne è la prova; men­
tre quando il Cristo invita i discepoli a dormire cum requie lo fa in grazia del com-
C O M M EN TO A M A TTEO , 96 131

96. Allora venendo disse ai suoi discepoli: Dormite ormai e rip


te! Ecco <si avvicina l’ora, e il figlio dell’uomo sarà consegnato nelle ma­
ni dei peccatori. Alzatevi, andiamo, > si avvicina colui che mi tradirà.
Allora·, indubbiamente dopo la terza preghiera. Ma non è lo stesso
sonno per cui adesso dice ai suoi discepoli di dormire, e quello di cui
due volte è scritto in precedenza che colse i discepoli. Lì infatti li trovò
che dormivano e non che riposavano; di nuovo li trovò che dormivano
con gli occhi appesantiti; adesso invece comanda loro non semplice­
mente di dormire, ma anche di riposare. Stando al comando di Cristo
c’è molta differenza tra il dormire e il riposare da un sonno contrario al­
la volontà di colui che dice: Rimanete qui e vegliate con me, che li rim­
provera a motivo del sonno e dice: Così non avete potuto vegliare un’ora
sola con me? Dunque, non si è contraddetto nel dire, allora: Vegliate con
me, e adesso dormite e riposatevi, ma parla così, perché si osservi un or­
dine: che prima vegliamo pregando per non entrare in tentazione, e do­
po dormiamo e riposiamo (55), secondo il precetto di Cristo.
Questo sonno Salomone lo colloca nella promessa fatta a coloro
che vivono rettamente, affermando nei suoi Proverbi: Se infatti stai se­
duto, sarai senza timore; se dormirai, il tuo sonno sarà dolce, e non teme­
rai uno spavento che sopraggiunge né aggressioni irruente degli empi. E
Davide, sapendo [che ci sono] vari modi di vegliare e riposare, giurò al
Signore e fece un voto al Dio di Giacobbe, di non salire sul letto del suo
giaciglio, non concedere sonno ai suoi occhi, né riposo alle sue palpe­
bre, finché non trovi una sede per il Signore, una dimora per il Dio di
Giacobbe, sì che, quando troverà una sede per il Signore, salirà sul let­
to del suo giaciglio, concederà sonno ai suoi occhi, che si rinnoveran­
no e dopo il riposo si prepareranno ad un nuovo e più divino risveglio,
così come suole accadere agli uomini carnali dopo un sonno naturale e
sano. Ma forse anche l’anima, che essendo creata e incarnata non può

battimento, già da lui vinto, e come profezia della vittoria escatologica della
risurrezione. Questo risulta anche dal richiamo al testo di Prv 3, 24-25, altrove
commentato dall’Alessandrino in relazione a Dt 6 , 7 (e 11, 19), come metafora
del cammino della vita, del riposo della morte e della risurrezione: «Dirai questi
precetti (seduto) in casa, ...per via, quando ti riposerai, quando ti alzerai...
Possiamo interpretare...: quando sediamo (nella) casa di D io... nella presente
condizione carnale. Quando ci incamminiamo per via, significa dire la parola di
Dio per quella via che dice: Io sono la Via. Quando infine ci alziamo, significa
che, una volta destati dal sonno della morte nella risurrezione, allora parliamo il
linguaggio della perfezione, alzandoci dal sonno della morte. Anche Salomone
dice. ..-.Se starai seduto, sarai senza timore; se dormirai, prenderai sonno volentie­
ri...» (H36Ps 5 ,1 , p. 217 e Prinzivalli 1991, nota a p. 442); la tradizione ebraica
ha lavorato sul sonno della sposa-Israele, applicando il passaggio del Cantico·. - Io
dormivo e il mio cuore vegliava (Ct 5 , 2 ) - alla durezza dell’esilio: «Erano come un
uomo addormentato e che non sappia svegliarsi dal suo sonno; e la voce dello
Spirito Santo li ammoniva per mezzo dei profeti, e voleva svegliarli dal sonno del
loro cuore» (TgCt su Ct 5, 2 , tr. Neri, p. 137).
132 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 96-97

quasi creata et incarnata et non sufficiens sine intermissione servare bo­


num, remissiones sine reprehensione aliqua consequetur, quae moraliter
somni atque dormitiones dicuntur, ut usque aliquantulum temporis ha­
bens remissionem surgens renovata resuscitetur. Si autem hoc erit sem-
per aut non, abundantius quaerat qui potest de talibus et quaerere et in­
tellegere de divinis scripturis et sine periculo pronuntiare.

97. Ecce adpropiavit hora, et filius hominis tradetur in manibus


catorum. Propter hanc horam puto et ad matrem suam dicebat: Non­
dum venit hora mea 274. Et hic enim docet, quoniam hora adpropians
hoc agebat, ut filius hominis traderetur in manus peccatorum. U tinam
et in illorum peccatorum tantummodo manus Iesus traditus tunc fuis­
set! Nunc autem arbitror semper in manus peccatorum traditur Iesus,
quando hi, qui videntur in lesum credere, habent lesum in manibus
suis cum sint peccatores. Sed et quotienscumque iustus habens in se le­
sum in potestate factus fuerit peccatorum facientium ei quod possunt,
Iesus est traditus in manus peccatorum.

274 Io. 2 ,4 .

(56) Anima non potens semper sufferre labores. II commento origenia


fa anche discorso sull’esperienza dell’anima, riflessione metafisica e psicologica
insieme, come in altri passi in cui la dicotomia anima-corpo sta in equilibrio con
la tricotomia che aggiunge l’elemento dello spirito·. «N oi siamo composti di
anima e corpo (dire se anche di spirito per ora lasciamolo stare). Siamo tenuti,
in certo senso, a pagare un tributo per i (nostri) corpi...: si tratta del nutrirsi, del
vestirsi, del riposo necessario, del dormire. Poiché per natura l’anima è ad imma­
gine di Dio, dobbiamo altre cose a D io... adatte alla natura e all’essenza dell’ani­
ma: queste sono le vie che conducono alla virtù e agli atti di virtù... Il nostro
Salvatore, la Parola di Dio, distinguendo nettamente tra ciò che ragionevolmen­
te è dovuto al corpo e ciò che è dovuto all’anima, dice: Rendete a Cesare quel che
è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio (cf. Mt 22, 21)» (CMt 17, 27: III, pp.
217s.219). Quando Origene usa la prospettiva dicotomica, lo fa con riguardo alla
vita dell’essere umano inserito nel mondo visibile, terrestre: «Noi uomini siamo
esseri animati composti dall’unione di corpo e anima, e solo così ci è stato pos­
sibile abitare sulla terra» (Prin 1,1, 6 , p. 135), e in questa connessione sono viste
sia la morte, che sottrae il corpo all’influenza dell’anima, sia la risurrezione, indi­
viduale ed escatologica, che li riunisce, facendo «ritornare un’anima già spirata»
(CMt 12, 2). In questa dimensione esperienziale ritorna il motivo già considera­
to del torpore - remissio - che coglie il singolo nelle sue facoltà naturali e spiri­
tuali, quasi immagine del sonno della morte (cf. CMtS 64, nota 174:1, pp. 396s.);
la realtà umana non regge continuatamente a una tensione alta, ma ha bisogno
di una qualche requie ut surgens renovata resuscitetur, rispetto a queste conside­
razioni, emerge nell’uomo lo spirito che «distinto dallo Spirito Santo ne è tutta­
via come una partecipazione creata» (Crouzel 1986, p. 131), segno indicatore e
dinamico di una possibilità di «trascendenza dell’uomo al di sopra di se stesso»
(de Lubac 1985, p. 176): «Per causa (del Salvatore) io non sono più uomo se
osservo le sue parole, ma dice: Io ho detto: Voi siete dèi...» (Hler 15, 6 , p. 196;
cf. Dupuis 1967, pp. 67-69).
C O M M EN TO A M A TTEO , 96-97 133

sempre sopportare le fatiche (56) e non resiste nell’osservare il bene in­


cessantemente, si concederà senza biasimo alcune soste, che in senso
morale si chiamano sonni e assopimenti, sì che prendendo respiro per
un po’ di tempo ridestandosi risorga rinnovata. Ma se questo sarà o no
per sempre, lo ricerchi più ampiamente chi ha capacità di ricercare di
tali argomenti, di avere intelligenza circa le divine Scritture e di deci­
dere senza correre pericoli.

97. Ecco si avvicina l’ora, ed il Figlio dell’uomo sarà consegnato


le mani dei peccatori. A proposito di questa ora, penso, diceva anche a
sua madre: Non è venuta ancora la mia ora. Ed anche a questo punto
insegna che l’ora che si avvicinava comportava che il Figlio dell’uomo
fosse consegnato nelle mani dei peccatori (57). E volesse il cielo che al­
lora Gesù fosse stato consegnato solamente nelle mani di quei peccato­
ri! Io però ritengo che Gesù anche adesso venga continuamente conse­
gnato nelle mani dei peccatori, quando coloro che apparentemente cre­
dono in Cristo hanno Gesù nelle loro mani pur essendo peccatori. Ma
ogni volta che il giusto, avendo in se stesso Gesù, viene a trovarsi in po­
tere dei peccatori che fanno a lui quello che possono, Gesù è consegna­
to nelle mani dei peccatori.

(57) Hora adpropians hoc agebat ut Filius hominis traderetur in manus p


torum. È stato notato come nel Commento a Matteo, «attraverso la discontinuità
e la varietà delle interpretazioni» è possibile ritrovare «una ακολουθία effettiva,
che poggia sulla scoperta di una organizzazione drammatica del racconto evange­
lico, proteso verso la sua fine» (Bastit-Kalinowska 1995, p. 274): il tempo della
«economia relativa alla passione» volge «al suo fine buono» (Ciò 32, 25.34), e
grandemente significativo appare il richiamo alla parola di Cana in Gv 2, 4;
Origene accosta i testi nell’unicum della rivelazione: iniziatasi con un atto enigma­
tico la cui comprensione verrà nell’epoca post-pasquale, e che salda la «cristolo­
gia dell’invio» con il ritomo dell’Inviato al Padre, essa viene annunciata dal Cristo
anche in questo momento supremo, e quel che egli aveva cominciato a mostrare a
Cesarea, è portato compiutamente a termine (cf. CMt 12,20; Zumstein, pp. 349s.).
In quest’ora si attua la consegna di Gesù nelle mani dei peccatori, consegna che
perdura nella storia della comunità quando cristiani - qui videntur in lesum cre­
dere - ma non sono discepoli nella verità, habent lesum in manibus suis; l’espres­
sione può anche contenere un’«allusione alla maniera in cui si riceveva allora la
santa comunione» (von Balthasar 1972, p. 214), a rovescio del richiamo origenia-
no alla recezione autentica e devota: «Voi, che siete soliti partecipare ai misteri
divini, quando ricevete il corpo del Signore sapete come custodirlo con ogni pre­
cauzione e venerazione, affinché non ne cada la più piccola parte e nulla vada per­
duto del dono consacrato...» (HEx 13, 3, pp. 398s.). Congiuntamente si sottoli­
nea la dimensione ecclesiale dei veri discepoli; quando essi sono consegnati, in
loro è Gesù ad essere dato nelle mani dei peccatori: «E lui ad essere processato in
quelli che rendono testimonianza alla Verità; e sarai persuaso ad accogliere ciò
vedendolo dire che non sei tu in prigione... ma lui stesso; non sei tu che hai
fam e... ma lui stesso; non sei tu che hai sete, ma lui stesso» (Hler 14,7, pp. 173s.;
cf. CMtS 39, nota 106:1, pp. 251-253; de Lubac 1985, p. 229); emerge la vicenda
del Cristo attualizzata nella Chiesa (cf. Pieri, p. 59).
134 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 98-99

98. Surgite, eamus; ecce adpropiavit qui me tradet 275. Postquam su­
scitavit eos ab illo somno quem diximus, consequenter dicit discipulis
suis: Surgite, eamus. Et videns in spiritu adopropinquantem ludam tra­
ditioni, qui nondum videbatur a discipulis eius, dicit: Ecce adpropiavit
qui me tradet. Ego autem puto non esse idipsum ecce adpropiavit mihi,
et ecce adpropiavit qui me tradet, nec enim ipsi Iesu adpropinquabat
traditor eius (qui se elongaverat peccatis suis ab Iesu et proditione, qua
tradere eum consiliatus est), sed adpropiavit ad tradendum filium Dei,
quem iam prodiderat. Sed et omnes transgressores prius produnt le­
sum, postea tradunt.

99. Et adhuc eo loquente, ecce ludas unus ex duodecim venit, et cum


eo turba multa cum gladiis et fustibus missi a principibus sacerdotum et
senioribus populi 276.
217 Quaeret autem aliquis etiam causam cur multa turba fuerit congre­
gata cum gladiis et fustibus super eum; erat autem secundum Iohannem
multa haec turba cohors militum et ministri a principibus sacerdotum
transmissi 277. Et potest dicere aliquis, quoniam propter multitudinem
eorum qui iam crediderant in eum ex populo, tanti venerunt adversus
eum, timentes ne multa multitudo credentium de manibus eorum rape­
rent eum. Ego autem aestimo etiam alteram causam congregatae multi­
tudinis contra eum, quoniam qui putabant eum in Beelzebub eicere so­
lere daemonia 278, arbitrabantur eum ex quibusdam maleficis discipli­
nis et magicis posse effugere de medio volentium eum tenere. Et forsi­
tan quidam eorum audierant, quomodo aliquando cum iam praecipi­
tandus fuisset de supercilio montis 279, effugit manus iam tenentium se,
non fuga simplici et humana sed alia quadam extra naturam humanam.

275 Mt. 26, 46. 276 Mt. 26, 47 . 277 Cf. Io. 18, 3. 278 Cf. Mt.
12, 24 . 279 Cf. Lc. 4, 29s.

(58) Videns in spiritu adpropinquantem ludam. Non diversamente dal


giovanneo, il Gesù di Matteo mantiene la signoria degli eventi, profetizzati nella
loro portata salvifica e visti prima che gli altri ne abbiano coscienza e notizia.
Nota Origene che il traditore non si avvicinava a Gesù, piuttosto se ne era già
allontanato, e si apprestava alla consegna come atto ultimo di un tradimento con­
sumato nella lontananza. L’abituale introspezione è espressa dal gioco delle
parole, mantenuto nella traduzione latina, con fine esegesi come nell’agraphon
caro a Origene: «H o letto in qualche luogo come se il Salvatore dicesse...: “Chi
mi è vicino è vicino al fuoco; chi mi è lontano è lontano dal Regno” ... Se uno,
temendo il fatto che “chi è vicino a me è vicino al fuoco”, si è “allontanato da
me” per non trovarsi “vicino al fuoco”, sappia costui che sarà tenuto “lontano
dal Regno”» (HlerL 3 ,3 , pp. 292s.; abbiamo ricordato questo testo per CMtS 1 ,
nota 1 : 1, p. 106). I gradi del rapporto con Gesù sono interiori, tanto che, per gli
uomini, averlo nel mezzo non implica il conoscerlo se non lo si accoglie nella veri­
tà: «Quelli che, pur avendo il Logos nella loro parte centrale, non comprendo­
no, per quanto riguarda la sua natura, né la sorgente e la fonte da cui deriva, né
C O M M E N TO A M A TTEO , 98-99 135

98. Alzatevi, andiamo; ecco, si è avvicinato colui che mi tradisce.


Dopo averli svegliati da quel sonno di cui abbiamo parlato, dice di con­
seguenza ai suoi discepoli: Alzatevi, andiamo. E vedendo nello spirito
l’avvicinarsi al tradimento da parte di Giuda (58), che i suoi discepoli
ancora non vedevano, dice: Ecco, colui che mi tradisce si è avvicinato.
Ora io ritengo non sia la stessa cosa dire: Ecco, si è avvicinato a me, ed
ecco, si è avvicinato chi mi tradisce, e infatti non si avvicinava allo stes­
so Gesù il suo traditore (che si era allontanato da Gesù con i suoi pec­
cati e col tradimento con cui aveva deciso di consegnarlo), ma si avvi­
cinava a consegnare il Figlio di Dio, che aveva già tradito. Ma tutti i tra­
sgressori fanno così: prima tradiscono Gesù, poi lo consegnano.

99. E mentre egli parlava, ecco venire Giuda uno dei Dodici, e con
lui una grande folla con spade e bastoni, mandati dai sommi sacerdoti e
dagli anziani del popolo.
Qualcuno si chiederà, anche, per quale motivo si sia radunata una
grande folla, con spade e bastoni per sopraffarlo; questa gran folla, stan­
do a Giovanni, era una coorte di soldati, e servi forniti dai sommi sacer­
doti. E qualcuno potrà dire che a motivo della moltitudine di quelli del
popolo che già avevano creduto in lui, vennero in tanti contro di lui, te­
mendo che la massa dei credenti lo rapissero dalle loro mani. Io invece
ritengo ci sia anche un altro motivo per cui la moltitudine si era coaliz­
zata contro di lui: loro, che pensavano che solesse espellere i demoni in
Beelzebub, ritenevano che egli, per effetto di alcune arti malefiche e ma­
giche potesse sfuggire dalle mani di coloro che volevano arrestarlo (59).
Può anche darsi che alcuni di essi avessero sentito dire in che modo un
giorno, stando per essere gettato giù nel precipizio dal ciglio del monte,
sfuggì alle mani di quelli che già lo trattenevano, non con semplice fuga
umana, ma con altro modo di fuga al di là della natura umana. Per que­

ll modo in cui vive e opera in loro, pur avendo il Logos in mezzo a loro, non lo
conoscono» (Ciò 6 , 190, p. 345): senza voler penetrare il mistero di Giuda, si
può comunque dire che, giungendo per consegnare il Maestro, egli ne è lontano
e non lo conosce (cf. Lomiento 2 0 0 2 , p. 40).
(59) Arbitrabantur eum ex maleficis disciplinis et magicis posse effu
L’accenno iniziale alla multitudo credentium che avrebbe potuto difendere Gesù
è messa quasi subito da parte, sia perché Origene considera in maniera non uni­
voca la consistenza dei convertiti da Israele durante la vita di Gesù e la predica­
zione degli apostoli, vedendola, per motivazioni storico-teologiche, a volte esi­
gua a volte ingente (cf. Sgherri 1982, pp. 282-285), sia perché gli preme avanza­
re un’altra ipotesi. La spiegazione che una turba multa cum gladiis et fustibus sia
venuta per arrestare Gesù può consistere negli interrogativi serpeggianti tra le
folle sul Gesù mago, già documentati nei Vangeli e presenti nelle tradizioni pole­
miche sulla nascita, vita e morte di Gesù, e di cui Origene fornisce ripetuta testi­
monianza, ribadendo poi le sue argomentazioni: «(Celso) paragona i fatti riguar­
danti Gesù con quelli della magia. E il paragone potrebbe andare se Gesù aves­
se compiuto i suoi miracoli, come i maghi, per dare una semplice dimostrazione
136 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 99-100

Propter hanc etenim causam etiam apud Marcum ludas dicebat turbae,
quae veniebat cum ipso cum gladiis et fustibus·. Quemcumque osculatus
fuero ipse est; tenete eum et abducite diligenter 280; dicens enim abduci­
te dilegenter maligne et cum significatione videtur dixisse, tamquam si
dicat, nisi diligenter eum tenentes abduxeritis, cum voluerit effugiet
vos. Illi autem audientes secundum aestimationem Iudae, quasi non pa­
terna divinitate adiutus hoc ageret vel alia multa, omnia faciebant ut di­
ligenter eum tenerent et custodirent. Multi sunt et nunc cum spiritali­
bus gladiis spirituum malignorum et fustibus similiter contra lesum mi­
litantes, quemadmodum illi; quorum insidiis omnino melior fit lesus,
quamvis pro tempore suscipiat in se eorum incursus, ut inpleantur pec­
cata insidiandum ei et manifesta fiat malitia voluntatis eorum adversus
veritatem unigeniti Dei Verbi. Qui autem sic cum gladiis et fustibus mi­
litant contra lesum, variis et diversis de Deo dogmatibus venientes ex
proposito insidiantur Iesu. Sunt autem et qui a presbyteris impii popu­
li sui transmissi contra verbum militant veritatis, quod est in Iesu.

100. Qui autem tradidit eum, dedit eis signum dicens: quemcum
osculatus fuero, ipse est, tenete eum. et confestim accedens ad lesum di­
xit: ave, Rabbi, et osculatus est eum. at lesus dixit ei: amice ad quod ve­
nisti? 281.
Dignum est quaerere, quam ob causam, cum palam docuisset le­
sus per singulas civitates et vicos et synagogas praedicans evangelii ver­
bum (ita ut fama eius exiret in omnem regionem 282) et secundum fa­
ciem manifestatus esset omnibus habitantibus in Iudaea, quasi non co­
gnoscentibus effigiem eius dedit signum ludas missis a principibus sa­
cerdotum dicens: quemcumque osculatus fuero, ipse est. Quoniam au­
tem et ipsi, qui venerant cum Iuda ad conprehendendum eum, fre­
quenter eum vidissent, manifestatur ex eo quod ipse lesus dicit ad tur­
bas: Quasi ad latronem venistis cum gladiis et fustibus conprehendere
me: cottidie vobiscum in templo sedebam docens, et non tenuistis me 283.
Similiter et Iohannes refert eum dixisse: Ego palam locutus sum huic
mundo; ego semper docui in synagoga et in templo, ubi omnes Iudaei
conveniunt 284.

280 Mc. 14, 44. 281 Mt. 26, 48-50a. 282 Cf. Mt. 9, 26. 283 Cf.
Mt. 26,55. 284 Io. 18, 20.

del suo potere: ora, invece, nessun mago usa i suoi incantesimi per invitare gli
spettatori alla riforma morale dei loro costumi, e non educa col timore di Dio la
gente colpita dagli spettacoli prodigiosi... (Colui che) si è servito dei miracoli...
per chiamare alla riforma morale dei costumi... ha offerto se stesso come esem­
pio per la vita più bella, non solo ai suoi discepoli veraci, ma anche a tutti gli
altri» (CC 1 , 6 8 , pp. 1 2 2 s.); proprio la potenza cui Gesù rinuncia nella passione
mostra che in lui agisce non «un “uomo stregone”, ma l’opera di Dio che per
recare il suo messaggio ha inviato il suo Verbo in Gesù» (CC 8 , 43, pp. 698s.): la
discriminante sulla sua magia sarà dunque la fede o non fede in lui. In questa
C O M M E N TO A M A TTEO , 99-100 137

sto motivo, in Marco, Giuda dice alla folla che veniva insieme a lui con
spade e bastoni·, quèllo che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via con
buona scorta; l’aggiunta infatti: conducetelo via con buona scorta, pare
averla espressa astutamente e con certa intenzione, come per dire: se
non lo arrestate e lo porterete via con buona scorta, volendo vi sfuggi­
rà. Quelli poi, intendendo le cose secondo il parere di Giuda, che Gesù
operasse questa o molte altre cose, non in quanto aiutato dalla volontà
del Padre, facevano di tutto per arrestarlo e custodirlo sotto buona scor­
ta. Ma anche al giorno d’oggi sono molti coloro che, come quelli, si met­
tono in guerra contro Gesù con spade spirituali di spiriti maligni e con
bastoni dello stesso tipo. Gesù risulta assolutamente più abile delle loro
insidie (60), pur subendo in sé, per il momento, i loro assalti, perché si
compiano i peccati di quanti lo insidiano e sia manifesta la malvagità
della loro volontà contro la verità dell’unigenito Verbo di Dio. Ma quel­
li che sono in guerra proprio così, con spade e bastoni contro Gesù, ve­
nendo con varie e diverse opinioni circa Dio, tendono insidie di propo­
sito a Gesù. Ci sono poi di quelli che, mandati dai presbiteri del loro po­
polo empio, militano contro la parola di verità che è in Gesù.

100. Colui che lo tradì, diede loro un segnale dicendo: Quello


bacerò è lui; arrestatelo. E subito si avvicinò a Gesù e disse: Salve, Rab­
bi. E lo baciò. Ma Gesù gli disse: Amico, per quale motivo sei venuto?
Vale la pena porsi la questione, per quale motivo, pur avendo Ge­
sù insegnato apertamente, predicando la parola del Vangelo per ogni
città, nei villaggi, nelle sinagoghe (al punto che la sua fama si era diffu­
sa in ogni regione), e a tutti gli abitanti della Giudea era noto di aspet­
to, agli inviati dei sommi sacerdoti Giuda dà un segnale come se non
ne conoscessero la figura, dicendo: quello che bacerò è lui. Ma che an­
che quelli che erano venuti insieme a Giuda per catturarlo, spesse vol­
te lo avessero visto, è messo in evidenza da ciò che lo stesso Gesù dice
alle folle: Siete venuti come contro un brigante con spade e bastoni per
catturarmi: ogni giorno stavo seduto con voi nel tempio ad insegnare, e
non mi avete arrestato. E parimenti Giovanni riferisce che avrebbe det­
to: lo ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sina­
goga e nel tempio, dove tutti i giudei si riuniscono.

prospettiva possiamo collocare l’ipotesi esegetica di cui si è fatta menzione per


CMtS 78, nota 15: II, pp. 71-73, che cioè nel gesto stesso di consegna da parte di
Giuda avrebbe potuto prendere forma l’aspettativa di un giudeo dell’epoca, che
si attende un gesto di magia-forza, grandioso, che mostri in Gesù il Messia vitto­
rioso (sul rapporto di miracoli-magia con debolezza-potenza di Cristo, cf.
Mosetto, pp. 49-58.139-144; per le tradizioni e fonti relative al “Gesù mago”, cf.
Norelli 1998, pp. 141-148; Danieli 2000a; per il paradigma interpretativo di
Origene e la magia , cf. Sfameni Gasparro in Orig. V ili; Monaci Castagno 2000i).
(60) Insidiis omnino melior fit Iesus. Lo sguardo sempre più ravvicinat
passione di Gesù suscita la considerazione delle insidie tese al Verbo da parte di
dogmi diversi che fanno guerra alla Verità: da questa tribolazione prò tempore
138 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 100

Venit autem traditio talis ad nos de eo, quoniam non solum duae
formae in eo fuerunt (una quidem secundum quam omnes eum vide­
bant, altera autem secundum quam transfiguratus est coram discipulis
suis in monte, quando et resplenduit facies eius tamquam sol 285), sed
etiam unicuique apparebat secundum quod fuerat dignus. Et cum fuis­
set ipse, quasi non ipse omnibus videbatur, secundum quod de manna
219 est scriptum, quando Deus filiis Israel panem misit de caelo, omnem de­
lectationem habentem et ad omnem gustum convenientem, quando desi­
derio offerentis obsequens ad quod quis voluerat .vertebatur 286. Et non
mihi videtur incredibilis esse traditio haec, sive corporaliter propter ip­
sum lesum, ut alio et alio modo videretur hominibus, sive propter ip­
sam Verbi naturam, quod non similiter cunctis apparet. Si autem hoc
ita se habet, possibile est solutionem eius invenire quod quaeritur. Quo­
niam etsi frequenter eum viderunt turbae venientes cum Iuda, nihilo­
minus opus habebant (propter transformationes eius) qui eum ostende­
ret eis, habens notitiam eius familiariorem per multam commorationem
cum eo, ut intellegeret transformationes eius secundum quas suis appa­
rere solebat. Hoc idem significatur etiam per Iohannem evangelistam,
ubi sciens Iesus, quae supervenura fuerant ei, procedens foras dixit: Quem
quaeritis? At illi dixerunt: lesum Nazarenum. Et dixit eis: Ego sum et
abierunt et ceciderunt retrorsum 287. Vides quia non eum cognoscebant,
cum frequenter vidissent, propter transfigurationes ipsius.

285 Mt. 17, 2. 28<S Sap. 16, 20s. 287 Io. 18, 4-6.

Gesù esce alla fine vittorioso (cf. CMtS 76, nota 7: II, pp. 55ss.). «Interpretando
anagogicamente, in costoro che adesso cercano di prendere Gesù si potrebbero
vedere quelli che intendono dare la caccia al Logos che si manifesta nel cristia­
nesimo. Ma siccome la Sapienza non entrerà in un’anima perfida (Sap 1, 4), men­
tre la provata potenza che è nella Parola (Logos) confonde gli stolti (Sap 1 ,3 ),
.. .nel momento in cui a quelli che hanno messo le mani sul Logos di verità sem­
bra di tenerlo, egli sfugge e si libera dalle loro mani... Non lo sconfiggono, per­
ché non lo comprendono» (Frlo 76, pp. 876s.); l’errore, «immediatamente asso­
ciato al male, è per essenza incapace di dominare la verità, poiché questa sfugge
sempre alla sua presa», ma va comunque combattuto con la fiducia nella vitto­
ria della Parola (cf. Le Boulluec 1985, p. 442). Gli assalti al Verbum veritatis sono
visti nel commento alle tentazioni di Gesù come pietre diventate pane - menzo­
gne delle dottrine eretiche, inganno diabolico al posto del pane di Dio - , le quali
attingono il Signore «nella carne che ha assunta... perché anche noi possiamo
vincere grazie alla sua vittoria» (HLc 29, 3, p. 192; Steiner, pp. 174-176).
(61) Venit traditio ad nos de eo... quoniam unicuique apparebat secun
quod fuerat dignus. «Gesù, essendo vicino a trasfigurarsi sulla cima del monte,
non prese con sé tutti gli apostoli, ma soltanto Pietro e Giacomo e Giovanni...
perché li riteneva i soli capaci di fissare lo sguardo nella sua gloria di quel
momento... Gesù non apparve certo lo stesso a quelli che soffrivano ed avevano
bisogno del suo soccorso, come a quelli che avevano la forza... di ascendere al
monte insieme con lui... Abbiamo una tale opinione di Gesù non solo riguardo
alla divinità che era dentro di lui... nascosta alla maggior parte degli uomini, ma
anche riguardo al suo corpo di cui cambiava l’aspetto...» (CC 2, 64, pp. 197s.).
C O M M EN TO A M A TTEO , 100 139

Ma ci è giunta una tradizione su di lui, secondo la quale non solo


c’erano in lui due forme (l’una, nella quale lo vedevano tutti, l’altra nel­
la quale ebbe a trasfigurarsi davanti ai suoi discepoli sulla montagna,
quando il suo volto brillò come il sole) ma appariva altresì ad ognuno a
seconda che ne era degno (61). Anzi, pur essendo lo stesso, a tutti si mo­
strava come se non lo fosse, stando a ciò che sta scritto della manna,
quando ai figli di Israele Dio mandò un pane dal cielo, che aveva in sé
ogni delizia e adatto ad ogni gusto, allorché ossequiente al desiderio di chi
l’offriva si trasformava in dò che ognuno voleva. A me questa tradizione
non sembra priva di credibilità, sia sul piano corporeo in riferimento al­
lo stesso Gesù, che agli uomini si mostrava in uno o un altro modo, sia
sul piano della stessa natura del Verbo che non appare a tutti allo stes­
so modo. Ma se le cose stanno così, è possibile trovare una soluzione al
nostro quesito. Poiché anche se la massa di gente che accompagnava
Giuda lo ha visto spesse volte, nondimeno aveva bisogno (a motivo del­
la sua trasformazione) di chi lo indicasse loro, avendone una conoscen­
za più familiare grazie alla lunga convivenza con lui, sì da intendere le
trasformazioni, secondo cui egli soleva apparire ai suoi. Questa medesi­
ma realtà viene espressa da Giovanni evangelista, lì dove sapendo Gesù
che cosa stava per accadergli, si fece innanzi e disse loro: Chi cercate? Ma
quegli risposero: Gesù, il Nazareno! E disse loro: Sono io. E indietreggia­
rono e caddero a terra. Vedi, che non lo conoscevano, pur avendolo vi­
sto tante volte, a motivo delle sue trasfigurazioni (62).

Le tradizioni cui Origene si riferisce vanno ricercate soprattutto in circoli e testi


gnostici: «noi vedemmo la piccolezza del suo corpo con gli occhi nostri, ma dalla
fede conoscemmo la sua grandezza e l’abbiamo vista nei fatti», recitano gli Atti di
Tommaso (143, in Erbetta 1983, p. 366); i passi mostrano che «nel cristianesimo
primitivo la questione dell’“aspetto” di Gesù non è stata posta in senso storico­
biografico, ma in senso teologico» (cf. Grillmeier, p. 233; Danieli 2000a). La pro­
spettiva origeniana della polimorfia per cui il Cristo, nel rivelarsi e nel nasconder­
si, tiene conto delle varie capacità degli uomini, «non prescinde (dal) livello del­
l’economia storico-salvifica», e non propone perciò una Stufenchristologie, «una
cristologia a gradi, .. .funzionale alla conoscenza raggiunta dai singoli credenti»
(cf. Scognamiglio 1998 in CMt I, Excursus 2, p. 389, in riferimento a Strutwolf,
pp. 291-295); si pone piuttosto nella linea della condiscendenza: l’umanità del
Cristo è come una finestra «attraverso la quale percepiamo non tutta la luce
(della divinità), ma quanta è sufficiente agli occhi e alla nostra vista» (HIos 3 ,5 ,
p. 81; cf. Scognamiglio in Orig. I V e Harl 1958, pp. 236.238). «L a Sapienza, pur
facendosi molteplice per la varietà dei modi con cui può essere compresa, nella
sostanza è una sola» (HCt 2 , 9, secondo la traduzione e le annotazioni di
Simonetti 1998a, pp. 89.145: accettando la variante intellectuum, vi si può legge­
re sotto έπίνοιαι); «il Logos - che non differisce dalla Sapienza - facendosi ali­
mento degli uomini, (assume) tutte le forme» (de Lubac 1985, p. 158).
(62) Non eum cognoscebant, cum frequenter vidissent, propter transfigu
nes ipsius. Origene insiste sul motivo delle “differenti forme del Cristo”, che certo
non trapassa in prospettive docetiste: la divinità traspare attraverso l’umanità reale
di Gesù, ma «il divino si scorge attraverso l’umano solo se il Logos lo vuole e se il
contemplatore ne è degno»; del resto «più si fa fiducia allo spirituale, lo si prende
140 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 100

Si autem etiam illam causam quaerat aliquis, cur osculo ludas tra­
didit lesum, hanc dabimus rationem:
quoniam, secundum quo- [Π 314, 6] φασί δέ τινες δτι είχε
sdam quidem, voluit reverentiam τι αίδους προς τον διδάσκαλον ό
quandam ad magistrum servare, Ιούδας.
non audens manifeste in eum irruere et inpudenter profiteri se prodito­
rem magistri, secundum alios autem hoc ideo fecit ludas, timens ne for­
te, si manifestum se adversarium praebuisset et proditorem magistri, ip­
se ei fieret causa evasionis, cum posset (quantum ad ipsius opinatio­
nem) ex quibusdam secretioribus disciplinis effugere et facere se in par-
220 vum. Ut ergo nihil tale suspicans Iesus (secundum quod ludas opinaba­
tur) sed putans eum amicum (quomodo nescit) sic insperate conpre-
hendatur, ideo hoc dedit signum, nesciens iam quoniam si noluisset
conprehendi, numquam conprehensus fuisset, sed volens praebuit se
manibus peccatorum. Ego autem puto, quod etiam omnes proditores
veritatis, amare veritatem fingentes et osculi signo utentes quasi quo­
dam indicio caritatis, produnt Verbum Dei volentibus eum tenere ad­
versariis eius, nihil pacificum indutis, bellicos autem gladios et iniurias
et fustes habentibus. Et dicit proditor Iesu: Rabbi·, omnes enim haere­
tici, quemadmodum ludas, sic Iesu dicunt: Rabbi 288, qui et osculantur
eum sicut et ludas. Ad quos omnes placabilia dicit Iesus, cum sint om­
nes ludas proditor: luda, osculo filium hominis tradis? 289 Dicit autem
ei inproperans simulationem amicitiae eius: Amice, ad quod venisti?

288 Cf. Mt. 26, 47 . 289 Lc. 22, 48.

sui serio e lo si vive, più lo si scorge» (Crouzel 1961, p. 474; cf. Rius-Camps, pp.
294-296; von Balthasar 1972, pp. 46s.). Riprenderà Efrem nei suoi mirabili versi:
«Come angeli gli angeli lo guardavano. Ciascuno lo vedeva secondo il grado della
propria conoscenza. Ciascuno, secondo la misura del proprio discernimento, per­
cepiva Colui che è più grande di tutto. Solo nel Padre suo c’è la misura perfetta
della conoscenza di Lui: egli sa quanto Lui sia. In misura diversa acquistano dun­
que conoscenza di lui le nature celesti e le terrestri» (Efrem, Sulla Natività IV,
199-202, p. 204). Altrove l’Alessandrino ribadisce che «le forme differenti in cui
Gesù appariva erano in rapporto con la natura del Verbo divino» e come potreb­
bero «i nemici del Verbo divino... comprendere il significato dei diversi aspetti
di Gesù?» (CC 6 , 77, pp. 572s.; cf. Grillmeier, p. 235); in verità Gesù lo si vede
credendo·. «L’inimicizia verso il Logos divino, npn cercato con amore di verità,
.. .rende incapaci di vedere i reali aspetti, condizioni - formae - dell’economia sal­
vifica per cui il Cristo è venuto agli uomini dalla μορφή Θεοΰ alla μορφή δούλου
(Vii2, 6-7: CC 4, 15)» (Danieli 2000a, p. 193; Lugaresi, pp. 674s.). E la dottrina
delle έπίνοιαι - nominazioni - del Cristo, che «hanno un fondamento reale nel
“divenire carne” del Cristo (e insieme) si identificano con il “divenire” dell’uomo
che riceve il Verbo secondo l’uno o l’altro aspetto» (Wolinski, p. 484; Perrone
1999a, p. 364; Pazzini 2000a, p. 164; Lettieri 2000, p. 387; Vogt 1993, p. 305, alla
nota 65, si esprime criticamente sulle interferenze gnostiche del passo).
C O M M E N TO A M A TTEO , 100 141

Se poi imo cerca anche il motivo, per cui Giuda abbia tradito Ge­
sù con un bacio, forniremo questa ragione:
per alcuni, avrebbe voluto ma alcuni dicono che Giuda
serbare un certo rispetto verso il aveva una certa riverenza verso il
maestro, maestro.
non ardiva aggredirlo apertamente e dichiararsi sfacciatamente tradito­
re del maestro; per altri invece questo Giuda lo fece proprio perché,
per timore che se si fosse presentato come aperto avversario e tradito­
re del maestro, sarebbe stato lui stesso occasione per quegli di evasio­
ne, potendo (stando al suo parere) sfuggire per alcuni segreti espedien­
ti e farsi piccolo. Perché dunque Gesù non avesse da sospettare una ta­
le cosa (secondo quel che pensava Giuda) ma ritenendolo amico (in
che modo, non lo sa) si lasci catturare così in maniera inattesa, per que­
sto diede loro un segnale, senza sapere ormai che se non avesse voluto
farsi catturare non lo avrebbero preso mai, ma volontariamente si con­
segnò in mano ai peccatori. Quanto a me, penso che tutti i traditori del­
la verità, facendo finta di amarla e valendosi del segnale di un bacio co­
me di un segno di amore, consegnano il Verbo di Dio ai suoi nemici che
vogliono arrestarlo, non avendo indosso alcun indumento pacifico, ma
spade da guerra, insulti e bastoni. Dice 0 traditore a Gesù: Rabbi. Sì,
tutti gli eretici al pari di Giuda dicono a Gesù: Rabbi (63), e lo bacia­
no persino, come Giuda. A tutti costoro Gesù dice parole pacifiche, es­
sendo tutti Giuda il traditore: Giuda, con un bacio tradisci il figlio del­
l’uomo? Ma rinfacciandogli la simulazione dell’amicizia per lui, gli di­
ce: Amico, per quale motivo sei venuto?

(63) Dicit proditor Iesu: Rabbi... Haeretici sic Iesu dicunt: Rabbi. Le sp
zioni diverse del bacio di Giuda vanno dalla consuetudine della riverenza al
Maestro, all’attendersi un saggio della polimorfia di Gesù - le sue transformationes
esse non colgono le motivazioni profonde della economia, orientano piuttosto al
timore che Gesù, per una qualche magia, sfugga alla presa, magari assumendo
l’aspetto di un bambino - effugere et facere se in parvum -. Nel passaggio stringa­
to si riflette una serie non piccola di “visioni” di Atti apocrifi, che esprimono in
vari modi l’alternanza dell’aspetto del Cristo a sostegno dei suoi testimoni: «fan­
ciullo», «uomo ben formato», «giovanetto con una barba recente» (Atti di
Giovanni 88-89), «bimbo dodicenne con un manto liscio di sotto e di fuori» (Atti
didietro e Andrea 16) (cf. Erbetta 1983, pp. 57.533; vari esempi in Vogt 1993, p.
305, nota 6 6 ; in rapporto a CC: Mosetto, pp. 156-168). Nessuna delle ipotesi, nota
Origene, coglie il senso vero della consegna, per cui Gesù volens si offre ai pecca­
tori: «Fu preso perché umiliò se stesso, facendosi obbediente e obbediente fino
alla croce (FU 2, 8 ) a quelli che lo prendevano» (Ciò 28,205; cf. Fédou, p. 201); si
può invece andare più avanti nella applicazione ecclesiale per quel che riguarda i
traditori della Verità: «Tutti loro chiamano Gesù loro maestro e lo baciano: .. .è il
bacio di Giuda» (de Lubac 1985, p. 78; cf. la Series 78 e Le Boulluec 1985, pp.
494s.502); anche a loro, come a Giuda nel giardino della cattura, Gesù rivolge
parole di pace, mettendo a nudo, con il vocabolo stesso dell 'amicizia, la simulazio­
ne nel rapporto. L’Alessandrino ricorda che questa celebre domanda amice ad quid
venisti risuona con sfumature diverse nell’apostrofe a colui che mormora per le
142 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 100-101

Hoc enim nomine neminem [CI n. 304] τσύτω τώ όνο­


bonorum in Scripturis cognosci­ ματι ούδένα ο’ίδαμεν των α­
mus appellatum. στείων καλσύμενον
Ad malum enim et non in­ καί γάρ και ό μή έχων ένδυ­
dutum nuptialibus vestimentis μα γάμου ουτω έκλήθη· «έταΧρε,
dicit: Amice, quid huc venisti non πώς είσήλθες ώδε;» 291, καί προς
habens vestem nuptialem?290. τον γογγΰσαντα εργάτην λέλεκε-
Malus autem est, qui et in para­ ται· «έταΧρε, ούκ άδικώ σ ε»292.
bola denarii audit: Amice, non ti­
bi facio iniuriam;
nonne ad denarium convenisti mecum? Accipe, quod tuum est, et vade;
volo autem et huic novissimo dare sicut et tibi 293.

101. Tunc accedentes manus iniecerunt in lesum et tenuerunt eum 294.


Post osculum continuo nihil differentes turbae illae, forsitan ti­
mentes ne de manibus eorum effugiat lesus, manus iniecerunt in eum.
Et ecce unus ex his, qui erant cum Iesu, extendens manum exemit gla­
dium suum, et percutiens servum principis sacerdotum amputavit auricu-
221 lam eius 295. Unus autem eorum, qui erant cum Iesu, nondum manifeste
concipiens apud se evangelicam patientiam illam traditam sibi a Chri­
sto nec pacem quam dedit discipulis suis 296, sed secundum potestatem
datam Iudaeis per legem de inimicis 297, extendens manum accepit gla­
dium et percussit servum principis sacerdotum et amputavit auriculam
eius. Sicut autem dicit Iohannes: * * * et dextram auriculam amputavit
298; apud quem et nomen servi dicitur, quia Malchus 299 vocabatur. Et
forsitan quod agebat Petrus mysterium erat, quoniam Iudaei populi
dextra auditio fuerat amputanda propter malitiam eorum demonstatam
in lesum. Nam etsi videntur audire legem, modo cum sinistro auditu
audiunt umbram traditionis de lege non veritatem, cum sint servi ser-

29° Mt. 22, 12. 291 Ibid. 292 Mt. 20, 13s. 293 Ibid. 294 Mt.
26, 50. 295 Mt. 26, 50-51. 296 Cf. Io. 14, 27. 297 Cf. Deut. 7, 2 .
298 Cf. Io. 18, 10. 299 Ibid.

ricompense paradossali del padrone della vigna (cf. Mt 20,13 e CMt 15,35) e nel­
l’interrogativo drammatico all’invitato a nozze privo della veste nuziale (cf. Mt 22,
12 e CMt 17, 16; Orbe, p. 276); comunque la si interpreti, essa vuole mettere l’in­
terlocutore di fronte alla verità (cf. Menken, p. 322: Amico, perché sei qui?).
(64) Unus eorum nondum concipiens apud se evangelicam patientiam
pacem. Secondo Gv 18,10 - la citazione è lacunosa, ma comprensibile - il disce­
polo è Pietro: mettendo mano alla spada, mostra di non aver ancora concepito
in sé i doni pasquali, frutto dello Spirito elargito dal Cristo; l’anima in cui è pian­
tato il Logos e che ne asseconda lo sviluppo «porta frutti, grappoli perfetti di
amore, gioia, pace, pazienza» (CMt 17, 8 : III, p. 160: cf. G a l 5, 22); la corrispon­
denza misterica tra questi frutti e le beatitudini indica la restaurazione im­
magine nel credente, il suo passare·. «Affrettiamoci dunque a passare, cioè a
C O M M E N TO A M ATTEO , 100-101 143

A nostra conoscenza, infat­ Non conosciamo nessuna


ti, nessuna persona buona è chia­ persona proba chiamata con
mata «amico» nelle Scritture. questo nome;
A quel tipo cattivo, invece, e infatti colui che era senza
che non ha gli indumenti nuziali, veste nuziale fu chiamato così:
dice: Amico, perché sei venuto Amico come mai sei entrato qui?
pur non avendo la veste nuziale? E a quell’operaio che mormora­
Ed è ancora un uomo cattivo co­ va è stato detto: Amico, non ti
lui che nella parabola del denaro faccio torto.
si sente dire: Amico, non ti faccio
torto:
non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene.
Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te.

101. Allora si avvicinarono, misero le mani addosso a Gesù e l


restarono.
Immediatamente dopo il bacio, senza alcuna dilazione, forse te­
mendo che Gesù sfugga alle loro mani, quelle folle gli misero le mani
addosso. Ed ecco uno di quelli che erano con Gesù, messa la mano alla
spada la estrasse e percuotendo un servo del sommo sacerdote gli ampu­
tò un orecchio. Ma uno di quelli che erano con Gesù, che chiaramente
non aveva ancora accolto in sé né quella pazienza evangelica, trasmes­
sagli dal Cristo, né la pace (64) che egli aveva dato ai suoi discepoli, ma
in base a quel potere dato ai giudei con la legge sui nemici, stendendo
la mano, prese la spada e percosse un servo del sommo sacerdote, e gli
staccò l’orecchio. Come precisa Giovanni..., gli staccò l’orecchio destro-,
presso questo evangelista è indicato anche il nome del servo: si chiama­
va Malco. Forse il gesto compiuto da Pietro costituiva un mistero:
l’udito destro del popolo giudaico avrebbe dovuto essere amputato a
motivo della malvagità da loro mostrata verso Gesù. Anche se apparen­
temente ascoltano la Legge, con l’udito di sinistra sentono appena
l’ombra della tradizione sulla Legge, e non la verità, perché sono servi

dare... compimento a ciò che è stato scritto: Beati ipoveri in spirito, ...deposta
ogni arroganza e assunta l’umiltà di Cristo... Abbiamo fame e sete di giustizia...
Passare in fretta anche al resto: diventare miti e pacifici e per questo sentirci chia­
mare figli di Dio. Dobbiamo affrettarci a sostenere con la virtù della pazienza il
peso delle persecuzioni» (HIos 5, 1, p. 94: cf. Gs 4, lOss. e Mt 5, 3ss.). Il gesto
armato è lontano dalla lettura evangelica origeniana: «siamo giunti (a) forgiare in
falci le lame primieramente impiegate nella lotta. Infatti noi non impugniamo
più la spada contro alcun popolo, non impariamo più a combattere, poiché siamo
divenuti figli della pace a causa di Gesù, che è il nostro capo» (CC 5, 33, pp.
446s.: il testo fonde Is 2 , 1-4 con Lc 10, 6 ; sulla proposta di Origene “tra realtà
e utopia”, cf. Grossi; sulla «ειρήνη caratteristica del νόμος cristiano come dottri­
na e sua peculiarità religiosa», cf. Rizzi 1998, p. 187).
144 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 101-102

monis profitentis servitium Dei, non autem servientis in veritate. Huius


sermonis mysterium erat adversus Christum * * * adversarius Christi
princeps sacerdotum Caiphas. Videtur autem mihi, quoniam qui ex
gentibus crediderunt omnes, unus populus constituti in Christo, per
hoc ipsum quod crediderunt in Christum facti sunt causa, ut praecide­
retur Iudaeorum auditio dextra, secundum quod fuerat prophetatum
de eis: Grava aures populi huius, et oculos eorum deprime, ut ne viden­
tes videant et audientes intellegant, et convertantur, et sanem eos 300.

102. Tunc ait ei Iesus: Converte gladium tuum in locum suum 301.
Mox Iesus ad eum, qui fuerat gladio usus et abstulerat auriculam
servi illius dextram, non dicit: Exime gladium, sed: Converte gladium in
locum suum. Est ergo gladii aliquis locus, ex quo non licet accipere eum,
qui non vult perire, maxime in gladio. Pacificos enim vult esse Iesus di­
scipulos suos 302, ut bellicum hunc gladium deponentes alterum pacifi­
cum accipiant gladium, quem dicit Scriptura gladium spiritus 303. Simi-
222 le autem mihi videtur quod dicit: Omnes qui accipiunt gladium, gladio et
peribunt 304, id est, omnes qui non sunt pacifici sed belli concitatores, in
eo bello peribunt quod concitant, ut sit in eis gladius mysterium belli et
litis. Et puto quod omnes tumultuosi et concitatores bellorum et con­
turbantes animas hominum, maxime ecclesiarum, accipiunt gladium in
quo et ipsi peribunt; quoniam qui fodit foveam, ipse incidet in eam 305,
quoniam convertetur dolor eorum in caput ipsorum, et iniquitas eorum
in cerebrum eorum descendet 306. Sed et simpliciter audientes quod di­
cit: Qui accipiunt gladium, gladio peribunt cavere nos convenit, ut ne oc­
casione militiae aut vindictae propriarum iniuriarum eximamus gladium
aut ob aliquam occasionem, quam omnem abominatur evangelica haec
Christi doctrina, praecipiens ut inpleamus quod scriptum est: Cum his
qui oderunt pacem eram pacificus 307. Si ergo cum odientibus pacem de­
bemus esse pacifici, adversus neminem gladio uti debemus.

3°0 Is. 6 , 10. 3°i Mt. 26, 52a. 302Cf. Mt. 5, 9. 303 Eph. 6 , 17.
304 Mt. 26, 52. 3°5 Eccle. 10, 8 . 306 Ps. 7, 17. 307 Ps. 119 (120), 7.

(65) Mysterium... ut praecideretur Iudaeorum auditio dextra. Si può a


oltre l’accadimento e vedere un’azione simbolica nell’amputazione dell’orec­
chio? La irruenza ancora umana e poco evangelica del gesto di Pietro può figu­
rare in qualche modo la recisione della dextra auditio al popolo giudaico? Il de
Lubac tende a considerare il passaggio fra le allegorie abbastanza arbitrarie (de
Lubac 1985, p. 230, in nota); peraltro, da una riflessione che può apparire
eccessiva, l’Alessandrino fa emergere ancora una volta la sua attenta lettura di
Is 6 - testo che esprime una tesi centrale del Nuovo Testamento: l’ombra calata
su Israele rientra nel piano divino che a quella cecità e sordità è sotteso -:
«Consideriamo (quello) che il Signore comanda di dire al popolo: Va e di’ al popo­
lo: Ascolterete con gli orecchi e non intenderete, guarderete con gli occhi e non
vedrete... Sapendo che i discorsi possono intendersi in due maniere e conoscen­
do la duplice natura che è in loro, sia carnale che spirituale, (Dio) si rivolge al
C O M M E N TO A M A TTEO , 101-102 145

del discorso che pur professando il servizio di Dio non lo serve in ve­
rità. Il mistero di questo discorso era contrario al Cristo..., e il sommo
sacerdote Caifa era avversario di Cristo. A mio vedere, però, tutti quel­
li che dalle nazioni giunsero alla fede, costituiti in un solo corpo in Cri­
sto, per il fatto stesso di aver creduto in lui, diventarono il motivo per
cui fu stroncato l’udito destro dei giudei (65), secondo quanto era sta­
to profetizzato a loro riguardo: Rendi duri gli orecchi di questo popolo,
acceca i loro occhi, perché vedendo non vedano e udendo non intendano,
né si convertano ed io li sani.

102. Allora Gesù disse: Riponi la spada al posto suo.


Subito dopo, rivolto a colui che aveva usato la spada e asportato
l’orecchio destro, Gesù non dice: Trai la spada, ma rimetti la spada al suo
posto. C’è dunque un posto per la spada, dal quale non deve prenderla
colui che non vuole perire, specialmente di spada. Sì, Gesù vuole che i
suoi discepoli siano pacifici, perché deponendo questa spada da guerra
impugnino l’altra spada di pace, che la Scrittura chiama spada dello spi­
rito. Un senso simile mi sembrano avere le parole di lui: Tutti quelli che
brandiscono la spada, di spada periscono. Vale a dire: quelli che non sono
già pacifici, bensì provocatori di guerre, periranno in quella stessa guer­
ra che sollevano, perché in loro la spada sia mistero di guerra e di con­
tesa. E penso che tutti i sobillatori e gli istigatori di guerre, che gettano
turbamento negli animi di uomini, specie delle chiese, brandiscono una
spada in cui essi stessi periranno; perché chi scava una fossa, proprio lui
ci cascherà dentro, in quanto il loro dolore ricadrà sul loro capo e la loro
iniquità discenderà sul loro cervello. Ma anche intendendo in senso sem­
plice la frase: Quelli che brandiscono la spada, di spada periranno, ci con­
viene guardarci dal trarre la spada, sotto pretesto del servizio militare e
di vendette per le offese ricevute, o con qualche altro movente, che vie­
ne del tutto aborrito da questo insegnamento evangelico di Cristo, che
ci insegna di adempiere quanto sta scritto: Con quelli che hanno odiato
la pace io ero pacifico. Se dunque con quelli che odiano la pace dobbia­
mo essere pacifici, contro nessuno dobbiamo usare la spada (66).

popolo profetizzando quanto sarebbe accaduto all’avvento del Cristo... Quando


udirono il mio Signore Gesù Cristo, udirono soltanto il suono, e non il senso delle
parole!» (HIs 6 ,3, pp. 127s.; cf. Evans, pp. 156.221; Sgherri 1982, pp. 116.318s.).
Il passaggio di questa Series è commentato nella sua drammaticità esegetico-teo-
logica da Crouzel 1961, pp. 312s.316, e da von Balthasar 1972, pp. 48.197; segna­
liamo di quest’ultimo anche le pagine di II tempo della Chiesa e la conversione
d’Israele, che colgono nella “ostinazione” d’Israele la «continua dimostrazione
visibile che la Chiesa terrena nella sua essenza rimane pellegrina» e che tutto il
suo tempo «è sotto il segno della provvisorietà» (von Balthasar 1990, pp. 139s.).
(6 6 ) Adversus neminem gladio uti debemus. Si conferma la radicale d
na sulla pace (cf. CMtS 101, nota 64: II, pp.142-143); Gesù vuole pacificos disci­
pulos, che facciano uso unicamente della spada spirituale - gladium Spiritus
ogni movenza di guerra è lontana dalla dottrina del Vangelo; l’interesse del
146 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 102

Ita volens (ad eum qui non didicerat loquens)


docere nos omnes, quoniam [Π 314, 15] Ταΐτα δε εϊπεν,
volens tradidit semetipsum 'ίνα μή οίηθώσιν δτι άκων έπα-
θεν.
pro nobis omnibus 308, addit et dicit: Aut putas quoniam non possum
modo rogare patrem meum, et exhibebit mihi plus duodecim legiones an­
gelorum? Tamquam si dicat: tu quidem sic gladium exemisti et percus­
sisti principis servum quasi mihi auxilium praestans, ego autem si vo­
luissem poteram rogans patrem non humanum auxilium impetrare sed
meliorum, id est angelorum, nec unius sed plus duodecim legionum. Ex
hoc demonstratur, quoniam secundum similitudinem legionum militiae
mundialis sunt et angelorum legiones militiae caelestis, militantium
contra legiones daemonum habitantium in sepulcris. Nam et apud Lu­
cam multitudo militiae caelestis audita est laudantium Deum 309 prop­
ter Christi nativitatem. Si autem multitudo militiae caelestis erat laudan­
tium Deum, militia autem omnis propter adversarios intellegitur con­
stituta, consequenter et illa militia propter adversarios militat Deo. Sed
223 etiam Iacob locum aliquem vocavit castra Domini, quoniam militiam il­
lic aspexit angelorum 31°; et ubicumque sunt Deum timentes, circa eos
sunt castra angelorum; inmittet enim angelus Domini in circuitu timen­
tium eum et eripiet eos 311, sicut fuisse et circa Elisaeum liber refert Re­
gnorum 312.

308 Eph. 5, 2. 309 Cf. Lc. 2 , 13. 310 Cf. Gen. 32, 2. 3“ Ps. 33
(34), 18. 312 Cf. 4 Reg. 6 , 16s.

nostro passo sta anche in quell’accenno a occasione militiae che sembra implica­
re un rifiuto all’arruolamento nell’esercito: «Nel cristianesimo preniceno l’istan­
za di Origene... ebbe forse in alcune parti anche valenza normativa» se la
Traditio apostolica «proibiva ad un catecumeno e ad un battezzando di potersi
arruolare nell’esercito» (Grossi, p. 715). La pace evangelica che Origene sottoli­
nea è avvalorata dall’unitaria lettura biblica, per cui la guerra santa, di cui parla
l’Antico Testamento, è figura delle battaglie spirituali nel Nuovo: Gesù di Nave
«uccise i nemici: con ciò non insegna la crudeltà, come pensano gli eretici, ma
nelle azioni che compie prefigura i misteri futuri»; il nostro Gesù «ordina di
impossessarsi con violenza del regno dei cieli» (HIos 11, 6 ; 1 2 , 2 , pp. 182.186; cf.
Bondavalli - Gianotti 1998). La pace richiede la guerra contro le potenze:
«Quando viene l’occasione noi rechiamo agli imperatori un aiuto, per così dire,
divino, rivestendoci dell’armatura di Dio (E f 6 , 11)... Con le nostre preghiere,
noi, distruggendo tutti i demoni che suscitano le guerre e fanno violare i giura­
menti e turbano la pace, rechiamo un maggiore aiuto ai regnanti di quelli che
apparentemente fanno la guerra» (CC 8 , 73, pp. 734s.; cf. Rizzi 1998, p. 197;
Grossi). Su attualizzazioni del tema, come il Now thè Servant’s Name was
Malchus di Thomton Wilder, cf. la rassegna di Bdhler, pp. 167s.
(67) Ubicumque sunt Deum timentes, circa eos sunt castra angelorum.
pensa insieme al suo rapporto con il Padre e con gli angeli. La parola sulle dodi­
ci legioni di angeli e più, che egli potrebbe richiedere, si dilata: l’«esercito cele­
ste» disceso sulla terra annunzia «la nascita di Cristo», sa «della pace che per
C O M M EN TO A M A TTEO , 102 147

E così (parlando a colui che non aveva ancora imparato),


poiché a noi tutti voleva far E disse questo perché non
capire che volontariamente si era pensino che egli avesse sofferto
consegnato non volontariamente.
per tutti noi, aggiunse le parole: O pensi che io non possa pregare ades­
so il Padre mio, e mi mostrerà più di dodici legioni di angeli? Come di­
re: tu hai sguainato la spada e percosso il servo del capo come per dar­
mi aiuto, ma se volessi, potrei pregare il Padre mio per impetrare un
aiuto non già di uomini, ma di esseri migliori, cioè di angeli, e non di
uno solo, ma di più di dodici legioni. E ciò sta a dimostrare che a somi­
glianza delle legioni dell’esercito di questo mondo ci sono anche legio­
ni di angeli dell’esercito celeste che fanno guerra alle legioni di demo­
ni che dimorano nei sepolcri. Infatti in Luca si sentì una moltitudine
dell’esercito celeste che lodava Dio per la nascita di Cristo. Ora se era
una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio, ed ogni esercito si
intende costituito a motivo di avversari, di conseguenza quell’esercito
milita per Dio a causa dei suoi avversari. Però anche Giacobbe chiamò
un certo luogo «accampamento» del Signore, perché lì aveva visto un
esercito di angeli; e ovunque siano uomini che temono Dio, attorno a
loro ci sono accampamenti di angeli (67); sì, l’angelo del Signore si ac­
camperà attorno a quelli che lo temono e li libererà, come anche il libro
dei Regni narra sia avvenuto intorno ad Eliseo.

mezzo di Cristo regnerà sulla terra, il luogo della guerra, dove è caduto dal cielo
Lucifero... calpestato da G esù» (Ciò 1 , 76-78, p. 138) e conosce, in quanto mili­
tiae e castra di Dio, che deve prestare aiuto agli uomini nel combattimento con­
tro i nemici - propter adversarios -. D cielo, aperto per il servizio angelico a Gesù
(cf. Trio 120), è anche a disposizione dei credenti; Origene fa notare il parados­
so racchiuso nella frase di Gesù, l’Unigenito, il vero aiuto degli angeli: Aut
putans quia non possum rogare Patrem meum...} (si accoglie a riguardo la lezio­
ne putans del cod. B. [cf. Klostermann, p. 223, 5]). Dal rinvio al salmo 90 (91)
risulta chiaramente la preminenza del Figlio di Dio ma, per l’economia dell’in­
carnazione, il soccorso delle schiere celesti può intendersi rivolto al Cristo secun­
dum humanam naturam o ad ogni viro iusto che il Cristo porta in sé - in persona
Christi-·, il passaggio ha un ampio parallelo in HLc 31, 4-5 e sottolinea l’uso di
πρόσωπον/persona in sfumature diverse: si può dire che «il Cristo assume la per­
sona dei santi» e insieme che «nella persona del Cristo si trova ogni santo», il che
«indica il carattere “personale”, escludente ogni monismo, che presiede a que­
sta relazione» (cf. Rondeau, p. 135 e CMtS 24, nota 62: I, p. 184; cf. supra,
Introduzione, pp. 19s., per il confronto Figlio-angeli; sulle riprese successive,
come in Agostino: cf. Simonetti 2004c). Notiamo il rilievo dato alla lotta delle
angelorum legiones contro le schiere demoniache habitantium in sepulcris·, nei
testi monastici con deserto - monte - tombe si indicano le terre aride e montagno­
se al limite della zona abitata, in cui sono i sepolcri, dimore di anacoreti e teatro
dei loro combattimenti con i demoni (cf. Vita Antonii 8 ; Monaci Castagno 2000a
e 2000d); la Series si conclude sottolineando che eum pati conveniebat·, è la pas­
sione volontaria del Cristo per la salvezza del mondo - tò εκούσιον διδάσκει
του πάθους - (FrMt 560; cf. Psephtogas, pp. 314s.).
148 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 102-103

Et adtende: Putas quasi inferior angelis salvator aut indigens auxi­


lio angelorum dicebat: Aut putas quia non possum rogare patrem meum,
et exhibebit mihi plus duodecim legiones angelorum ? - aut forte secun­
dum aestimationem Petri volentis ei auxilium ferre et gladium profe­
rentis et amputantis auriculam servi talia est locutus? Magis enim ange­
li opus habent auxilium unigeniti filii Dei, quam ipse illorum. Propter
hoc et quod scribitur: Quoniam angelis suis mandabit de te, ut custodiant
te in omnibus viis tuis 313, non de filio Dei unigenito intellegitur dictum,
sed aut in persona Christi de omni viro iusto, quem Christus portabat
in corpore suo, aut de Christo secundum humanam eius naturam. De­
nique et quod dicit: liberabit te a ruina et daemonio meridiano 314, ne­
quaquam convenit filio Dei, sed et quod dicit: Non timebis a timore
nocturno, a sagitta volante per diem, a negotio perambulante in tenebris
315, magis convenit viro iusto quam filio Dei. Cum ergo posset accipe­
re legiones, nolebat accipere, ut per patientiam eius inplerentur Scri­
pturae prophetantes de ipso 316, quoniam ita eum pati conveniebat.

103. In illa hora dixit lesus ad turbas: Sicut ad latronem existis


gladiis et fustibus conprehendere me? Cottidie apud vos in templo sede­
bam docens, et non tenuistis me 317.
Voluntas eorum, quae in hoc loco dicuntur, talis mihi videtur,
quod dicit salvator ad turbas: si quis latronem vult tenere, non est in-
congruum cum gladiis et fustibus venire ad eum, quia talis est et latro,
ut omnia audeat dummodo nihil mali patiatur, et si potest <potius> pa­
ratus est et gladio uti et fuste adversus conprehendere se volentes, quam
224 ut ultro tradat se in manus eorum. Ego autem quoniam non sum talis,
omnes qui sunt in Iuadaea sciunt, alii quidem videntes doctrinam me­
am et opera mea, alii autem auditum habentes de me aut conversatio­
nem meam sequentes; quoniam cottidie sedens in loco sancto templi
(quasi congruo ad doctrinas divinas) manifestabam, quae pertinentia
erant ad pietatem et vitam sanam secundum legem Dei, et per hoc
commendabam pacificum me esse. Quoniam autem nullam habet ra­
tionem idoneam neque insidiatio vestra adversus me neque militia ve-

313 Ps. 90 (91), 11. 314 Ps. 90 (91), 6. 315 Ps. 90 (91), 5s.
316 Cf. Mt. 26,54. 317 Mt. 26, 55.

(6 8 ) Voluntas eorum quae dicuntur talis mihi videtur quod dicit Salvat
turbas. Abbiamo nel passo un esempio della prosopopea applicata al Cristo: il
suo atteggiamento e le sue parole al momento della cattura riprendono il magi­
stero nel tempio che riassumeva e concentrava i doni fondamentali della incar­
nazione del Verbo - la Parola divina si offre come allora -, e Gesù parla in prima
persona come quando spiegava ai discepoli il senso delle sue parole, «quasi gri­
dando e dicendo apertamente: Voi pensate che questa grande folla,.. .se si allon­
tana da me, troverà da mangiare... Io invece vi assicuro: ...proprio di colui di
cui pensate che non abbiano bisogno, ...è proprio di me - al di là di quanto pos­
siate immaginare - che hanno bisogno» (CMt 11, 1: I, p. 174; sul valore del
C O M M E N TO A M A TTEO , 102-103 149

E bada bene: il Salvatore pensando da inferiore agli angeli o da bi­


sognoso di aiuto, diceva: O pensi che io non possa pregare adesso il Pa­
dre mio, e mi mostrerà più di dodici legioni di angeli? - o forse si è
espresso in questi termini adeguandosi al modo di pensare di Pietro
che voleva portargli aiuto, sfoderò la spada e staccò un orecchio al ser­
vo? Sono infatti gli angeli ad aver bisogno dell’aiuto dell’unigenito Fi­
glio di Dio, e non lui di loro. E per questo motivo ciò che è scritto: Per
te darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie si intende det­
to non a proposito dell’unigenito Figlio di Dio, ma o di ogni uomo giu­
sto in persona di Cristo, portato dal Cristo nel suo corpo, oppure di
Cristo secondo la sua natura umana. E quindi anche le parole che di­
ce: ti libererà dalla rovina e dal demonio che devasta a mezzogiorno non
si adeguano assolutamente al Figlio di Dio, e neppure quelle che dice:
Non temerai il terrore della notte, né la freccia che vola di giorno, né pe­
ste che vaga nelle tenebre, si adattano più all’uomo giusto che al Figlio
di Dio. Pur potendo dunque avere le legioni, preferiva non averle, per­
ché grazie alla sua pazienza si adempissero le Scritture che su di lui ave­
vano profetizzato che avrebbe dovuto soffrire in quel modo.

103. In quell’ora disse Gesù alle folle: Siete usciti come contr
brigante con spade e bastoni, per catturarmi? Ogni giorno stavo seduto
presso di voi nel tempio ad insegnare e non mi avete arrestato.
Tale mi sembra essere l’intenzione di ciò che è detto in questo ver­
setto. Il Salvatore dice alle folle (68): volendo arrestare un brigante,
non sarebbe sconveniente venire contro di lui con spade e bastoni, per­
ché il brigante è tale, che osa di tutto, pur di non patire alcun male, e,
se ne ha la possibilità, è pronto a servirsi di una spada e di un bastone
contro quelli che vogliono catturarlo, anziché consegnarsi nelle loro
mani. Ma che io non sia tale, tutti quelli che sono in Giudea lo sanno,
alcuni perché vedono il mio insegnamento e le mie opere, altri perché
sentono parlare di me o seguono il mio modo di vivere. Poiché stando
seduto ogni giorno nel luogo santo del tempio (come luogo adatto agli
insegnamenti divini) rivelavo ciò che era attinente alla pietà e alla vita
retta secondo la legge di Dio e con ciò dimostravo di essere un uomo
pacifico. Ma che il vostro agguato nei miei confronti ed il vostro drap­

passo, cf. Perrone 2001c, pp. 62s.). Questa personalizzazione esegetica della
intenzione - voluntas - delle parole di Gesù esprime la costante ricerca, da parte
dell’Alessandrino, del senso del Vangelo «che potremmo chiamare “cristico”,
fondato cioè su ciò che Cristo stesso ha detto, esplicitamente o implicitamente»
(Danieli - Scognamiglio 2000, p. 272); riguardo all’ermeneutica aperta, «i vange­
li appaiono... come un dizionario sacro in cui si trova consegnato il senso di certi
termini»: campo, colomba, tempio, regno dei cieli, e così via (cf. Bastit-Kalinowska
in Orig. VI, pp. 682s.); per l’estensione del non-detto, è il Logos che induce al
significato da trarre fuori - έπιδιηγσύμένος ό Λόγος - e l’esegeta ricerca néTami­
cizia con Gesù il segreto di quelle spiegazioni - ώς αυτός άν έσαφήνισεν ό
ΊησσΟς - che lui solo può dare - άποφαίνομαι μηδένα διηγήσασθαι ε’ι μή Ίη-
IJO CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 103-104

stra cum gladiis et fustibus facta, manifestum est omnibus cognoscenti­


bus me. Quomodo autem et non estis placati cottidie permansionem
meam videntes in templo Dei et praebentem me omnibus volentibus
me audire, ut coniungerem eos mihi ad prodificationem eorum per ver­
bum et vitam ad beatitudinem Dei, aut tunc quidem non tenuistis me
videntes docentem et nihil facientem dignum reatu, nunc autem quasi
mutatum me aestimatis, ut quasi latronem debere conprehendi putetis?
Sed nec in hoc occasionem aliquam invenitis, quasi ad verbum muta­
tum ab eis, quae in primis proposueram, prodesse volentibus verbis et
factis. Et vide postquam dixit ad Petrum: Reconde gladium tuum in the­
cam suam 318 (quod est patientiae), postquam auriculam restituit am­
putatam, sicut alter dicit evangelista 319 (quod et summae benignitatis
indicium fuerat pariter et divinae virtutis), tunc ista verba locutus est,
ut fidelia viderentur ex praecedentibus verbis et factis, ut etsi praeteri­
ta benefacta non recordantur, vel praesentia recognoscant.

104. Hoc autem totum factum est, ut inplerentur Scriptura


tarum 32°. De huiusmodi * * * multum autem est nunc eligere de pro­
phetis, qualia sunt quae tunc inpleta sunt eloquia prophetarum, quan­
do haec se pati Christus dicebat; et studiosi hominis est et multa scien­
tis congregare verba prophetarum quae sunt inpleta. Et in centesimo
octavo Psalmo forte pleraque invenies convenientia istis, qui venerunt
cum Iuda conprehendere lesum, sicut et alia de Iuda in eodem dicta
225 sunt Psalmo. Tunc simul omnes derelicto eo fugerunt 321. Timentes ergo
turbas et principem eorum ludam fugerunt. Nec enim habebant adhuc
spiritum, quoniam Iesus nondum fuerat honorificatus 322, et spiritum
virtutis et caritatis 323; quem si habuissent, non essent infirmati nec ali­
quid aliud extra divinam caritatem egissent.

318 Io. 18, 11. 319 Cf. Lc. 22, 51. 320 Mt. 26, 56a. 321 Mt. 26,
56b. 322 Io. 7 , 39. 323 Cf. 2 Tim. 1 , 7.

σσΰς - (CMt 14,1.5.11). II magistero di Gesù trapassa dal tempio alla croce unifi­
cando l’annuncio in una proposta di discepolato: il Cristo va cercato sciscitantem
et audientem eos (HLc 18, 3; cf. Bendinelli 2001, p. 195); si pensi alla perenne
drammatizzazione delle Esposizioni sui salmi di Agostino: «Siamo dunque inter­
rogati e rispondiamo... Riprenda il Maestro e di nuovo ci chiami... Come par­
leremo se non avremo imparato da te?» (enarr. in ps. 109, 6 : III, pp. 956s.).
(69) Ut coniungerem eos mihi ad prodificationem eorum per verbum et
ad beatitudinem Dei. Alla esegesi del non-detto segue un gesto salvifico - la sana­
zione dell’orecchio amputato - che esemplifica plasticamente l’intenzione dei
discorsi nel tempio e della ripresa retorica nel Getsemani: allora e nell’istante
drammatico presente quel parlare era ed è per realizzare un’utilità, per investire
di un beneficio - ad prodificationem eorum -; ritroveremo in una delle ultime
Series, la 139, questo stesso termine del latino tardivo - prodificatio, prodificari-,
sotto il quale traspare la ωφέλεια, del testo originale, applicato a uno sviluppo
sullo squarciarsi del velo del Santo; nel contesto della nostra Series è ribadito il
C O M M E N TO A M A TTEO , 103-104

pello armato di spade e bastoni non abbiano motivazione adeguata,


questo è evidente a tutti quelli che mi conoscono. Ma come mai non vi
siete rassicurati, vedendo ogni giorno che mi trattenevo nel tempio di
Dio, e mi proponevo a quanti volessero ascoltarmi, sì da associarli a me
per il loro bene, mediante la parola e la vita, in vista della beatitudine
di Dio? (69). E perché mai non mi avete arrestato allora che mi vedeva­
te insegnare, senza commettere alcunché degno di reato, mentre ades­
so mi ritenete così cambiato, da credere che sia da catturare come fos­
si un brigante? Ma neppure in ciò voi trovate un appiglio nei confron­
ti di una parola che sia alterata rispetto a parole e opere apertamente
mostrate da me agli inizi, ai fini di fare del bene. Vedi: è dopo aver det­
to a Pietro: Rimetti la spada nel suo fodero (gesto di pazienza!), è dopo
aver rimesso a posto l’orecchio amputato, come dice l’altro evangelista
(indice in uguale misura e di somma bontà e di potenza divina), che
pronunciò queste parole, tali da apparire credibili e coerenti con le pa­
role e le azioni compiute in precedenza, perché almeno riconoscessero
i benefici presenti, anche se si erano dimenticati di quelli passati.

104. Ma tutto questo è avvenuto, perché si compissero le Scri


dei profeti.
Sarebbe adesso cosa troppo lunga, in proposito..., mettersi a sce­
gliere dai profeti e dire quali siano le parole dei profeti compiutesi
quando Gesù diceva di patire queste cose; ed è proprio da persona di­
ligente e a conoscenza di molte realtà, mettere insieme le parole dei pro­
feti che si sono compiute (70). Nel salmo centesimo ottavo troverai for­
se la maggior parte delle profezie adatte al caso di costoro venuti insie­
me a Giuda per catturare Gesù, come pure nello stesso salmo si riferi­
scono altri particolari sul conto di Giuda. Allora tutti insieme, abbando­
natolo, fuggirono via. Fuggirono dunque, perché avevano paura delle
folle e di Giuda loro guida. Non avevano infatti ancora ricevuto lo Spi­
rito perché Gesù non era stato ancora glorificato e non avevano lo spirito
difortezza e carità. Se l’avessero avuto, non si sarebbero indeboliti e non
avrebbero commessa alcuna azione che fosse fuori della carità divina.

senso di profitto nel bene - il prodesse attuato da Gesù verbis et factis -: ωφέλε­
ια appare così «un termine soteriologico che ha di mira un bene escatologico»
(cf. Gògler, p. 200; Crouzel in Orig. VI, p. 337). Il risanamento dell’orecchio non
è un beneficio da lasciar passare inosservato, poiché guarisce insieme il ferito e
l’impazienza di Pietro - reconde gladium in thecam suam quod est patientiae -. il
Cristo che affronta la morte redentrice semina di benefacta praesentia quegli
istanti supremi (sull’importanza del paradigma medico nell’argomentazione di
Origene, come implicante una proposta universale di salvezza, cf. Fernàndez
1999; Roselli; Perrone 1998a, pp. 251s.).
(70) Studiosi hominis est et multa scientis congregare verba prophet
quae sunt inpleta. Origene esprime nel breve tratto la propria ricerca e convin­
zione in ordine alle profezie, così come nella sua opera è incessante il richiamo
al loro contenuto - fra lettera e spirito - e ai dibattiti suscitati al riguardo da
ebrei e cristiani: «Anche certi giudei, quando cercano la connessione tra la prò-
152 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 105-106

105. At illi tenentes lesum duxerunt ad Caipham prinàpem sacer­


dotum, ubi scribae et seniores convenerant 324.
Arbitror enim, quoniam sermo deservitionis Iudaicae, qua nunc
derelicti deservire profitentur, Caiphas est, qui adversus veritatem mi­
litat Iesu, qui dicitur princeps sacerdotum; Iesus autem secundum ve­
ritatem sacerdos est, Verbum Dei, sub quo constituti sunt omnes, qui
acceptabiliter deserviunt Deo patri. Ubi autem Caiphas est princeps sa­
cerdotum, illic congregantur scribae, id est litterati qui praesunt litterae
occidenti 325. Et secundum qualitatem scribarum sunt et seniores, qui
non in veritatem sed in vetustatem litterae 326 simplicis sunt recumben­
tes et nihil amplius negotiari volentes.

106. Petrus autem sequebatur eum de longe usque in atrium princi­


pis sacerdotum, et ingressus intro sedebat cum ministris ut videret exitum
rei 327.
Cum duceretur autem magister, sequebatur quidem Petrus, non
autem poterat de proximo eum sequi, sed de longinquo, nec omnino
recedens ab eo nec cum eo incedens, nec iuxta eum sed de longe se­
quens pervenit ad atrium principis sacerdotum. Et ingressus Petrus in­
tus sedebat, neque secundum quod illi ministri ministrans neque fa­
ciens quae docuerat Iesus, sed expectabat exitum omnium horum vo-

324 Mt. 26,57. 325 Cf. 2 Cor. 3, 6 . 32* Cf. Rom. 7, 6 . 327 Mt.
26, 58.

fezia e quanto è narrato intorno a Gesù, ci pongono con insistenza la doman­


d a ...» (C/o 10, 163, p. 419), sia per qualche aspetto puntuale, che per il nucleo
dell’attesa messianica (cf. CMtS 27, nota 70: I, pp. 196s.; Cocchini 1997b, p.
110; Pesthy in Orig VI). Nel tratto presente si rinvia al salmo 108 (109), le cui
parole confluiscono negli eventi in atto nella passione di Gesù: «l’intero salmo
108 abbraccia la profezia su Giuda; esso comincia: O Dio, non tacere la mia lode,
perché la bocca del peccatore e dell’ingannatore si è aperta contro di me. In esso
viene anche predetto che Giuda si tolse volontariamente dal numero degli apo­
stoli, ed un altro fu assegnato al suo posto...: e la sua carica la prenda un altro»
(CC 2 , 1 1 , p. 143); il testo del salmo prende luce dall’adempimento evangelico
e la pagina della passione si legge nell’annuncio profetico (cf. de Lubac 1985, p.
336). Così è per il dramma di Giuda, così per la fuga dei discepoli, in cui si rea­
lizza la parola di Zaccaria - percuoterò il pastore e si disperderanno le pecore del
gregge (Zc 13, 7) - (cf. Ciò 32, 61). La gravità degli accadimenti e l’orizzonte
profetico che li preparava fanno riemergere una considerazione già presente
nella Series 87 (cf. nota 35) - nec enim habebant adhuc Spiritum -; l’impotenza
è soprattutto in ordine alla divina caritas, dono della Pasqua del Cristo: «Vedo
che la venuta dello Spirito Santo fra gli uomini si è propriamente manifestata
dopo l’ascesa di Cristo in cielo più che prima della sua venuta» (Prin 2, 7, 2, pp.
297s.; cf. Sgherri 1982, p. 256; Bammel in Orig. VI, p. 555; Rius-Camps, p. 245;
Simonetti 2000a).
(71) Scribae qui praesunt litterae occidenti et seniores in vetustatem li
recumbentes. Si fronteggiano due sacerdozi, discorsi, servizi; sappiamo quanto
l’opera di Origene sia attenta a pesare gli equilibri in ordine al mistero d’Israele
C O M M EN TO A M A TTEO , 105-106 153

105. Ma quelli, arrestato Gesù, lo condussero da Caifa sommo sacer­


dote, dove scribi e anziani si erano radunati.
Io ritengo che quel discorso del servizio dei giudei, al quale oggi,
pur essendone stati privati, dichiarano di essere dediti, sia proprio Cai­
fa; è lui che combatte contro Gesù, lui che viene chiamato sommo sa­
cerdote! Intanto è Gesù il sacerdote secondo verità, Verbo di Dio, sot­
to il quale si trovano quanti sono al servizio di Dio Padre in maniera a
lui gradita. Ma dov’è Caifa, sommo sacerdote, lì si radunano anche gli
scribi, ossia uomini di lettere che presiedono alla lettera che uccide, ed
in linea con questa prerogativa degli scribi ci sono anche gli anziani,
che si adagiano non sulla verità, bensì sulla vetustà della semplice lette­
ra (71), senza alcuna volontà a realizzare di più.

106. Pietro intanto lo seguiva da lontano sino all’atrio del sommo


sacerdote e stava seduto dentro, all’ingresso in compagnia dei servi, per
vedere la conclusione della cosa.
Mentre il maestro era portato via, Pietro lo seguiva, sì, ma da lon­
tano: non si staccava completamente da lui, ma neppure camminava con
lui, o accanto a lui, ma lo seguiva da lontano, e giunse nell’atrio del som­
mo sacerdote. Ed entrato, stava seduto all’interno: non svolgeva il ser­
vizio di quei servi, ma neppure faceva ciò che Gesù aveva insegnato di
fare; aspettava, volendo vedere la conclusione di tutta quella vicenda,

e alla questione giudaica, con le polarità che ne emergono: «quanti (hanno) con­
segnato Gesù sono stati abbandonati, i sommi sacerdoti hanno cessato di esser­
lo, sicché dopo di loro non ce ne sono stati altri; anche gli scribi, che hanno con­
dannato a morte Gesù, con l’intelligenza offuscata e la mente accecata, non riu­
scivano più a vedere l’intenzione delle sacre lettere»; quando così si parla della
colpa dei giudei, subito la si contestualizza nel piano divino che si dilata da un
popolo ai molti popoli: «Tutto ciò (il rifiuto giudaico riguardo a Gesù) avvenne
perché la vigilanza - επισκοπή - (di Dio) venisse meno loro e fosse traslata ai sal­
vati dalle nazioni e nel contempo al resto conforme ad un’elezione... Crollò il
tempio fatto di pietre morte, per essere innalzato un tempio fatto di pietre
vive...» (CMt 16, 3: III, pp. 16.17s.; cf. Vogt 1999c, che parla di due filoni di
pensiero, in particolare pp. 231-233.237). Il passaggio dalla lettera allo spirito è
alla base della rilettura del sacerdozio, in Cristo e nel popolo che a lui si ricon­
duce: «I sommi sacerdoti, tutto il culto giudaico corporeo, i farisei e tutto l’in­
segnamento letterale della Legge tendono insidie a Gesù, che è la verità: al fine
di continuare a sussistere, cercano di ostacolare la manifestazione della verità...
Quello del nostro Salvatore è un vero sommo sacerdozio; il suo insegnamento è
spirituale...» (Ciò 28, 95.96, p. 707); quanto al «sacerdozio dei cristiani», esso
si comprende all’intemo del cristocentrismo origeniano, a sua volta tutto
«orientato al mistero ineffabile del Padre» (cf. Hermans, p. 245). L’opzione cri­
stologica fonda l’ermeneutica (cf. de Lubac 1985, p. 146; Sgherri 1982, pp. 8 6 s.;
Crouzel 1961, pp. 280-285), e la lettura della Bibbia nella Chiesa, «testimonian­
za della presenza divina mediata attraverso Cristo», «indica come raggiungere lo
stato di un regno di sacerdoti» (cf. Piscitelli 2003, p. 84; dal Covolo 1998; Id. in
Orig. VI-, Id. in Orig. Vili; Monaci Castagno in Orig. VIII, pp. 170s.l89).
154 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 106-107

lens videre, quoniam adhuc non intellegebat neque videbat exitum di­
spensationum Christi quo tenderent. Nec enim est exitus eorum in
226 atrio Caiphae, nec ubi scribae et seniores illius populi congregantur. Si
tamen proprie quis videat exitum , ipsum videbit Verbum Dei et sa­
pientiam dicentem: E go sum A et Ω, principium et fin is 328.

107. Princeps autem sacerdotum et seniores et universum conc


quaerebant falsu m testim onium contra lesum , ut eum m orti traderent, et
non invenerunt; et m ulti f a ls i testes accesserunt, et non invenerunt 329.
Et per haec manifestum est quoniam peccatum non fe cit lesus, nec
fu it dolus in ore eius 33°. Mundissimam autem fuisse vitam ipsius et om­
nino inreprehensibilem et auferentem occasiones eorum, qui quaerunt
occasiones, ex hoc demonstratur, quia non inveniebant adversarii eius
quod dicere possent adversus eum vel colorare (sed quaerebant omnes
sacerdotes et concilium universum et nihil verisimile poterant invenire);
quoniam falsa testimonia tunc locum habent quando cum colore aliquo
proferuntur, adversus lesum autem nec color inveniebatur, qui posset
contra lesum adiuvare mendacia. Et hoc, cum essent m ulti volentes
gratiam tribuere Caiphae et principibus sacerdotum et scribis et senio­
ribus et universo concilio hoc ipsum audire desideranti. Et haec qui
considerant, maximam laudem exhibent Iesu propter vitam eius et
doctrinam ipsius, qui sic omnia inreprehensibiliter et dixit et fecit, ut
nullam verisimilitudinem reprehensionis invenirent in eo, nec mali nec
multi nec tam astuti et ingeniosi.

328 Apoc. 21,6. 329 Mt. 26, 59.60a. 330 Is. 53, 9.

(72) Non intellegebat neque videbat exitum dispensationum Christi.


quale sequela Pietro andava dietro al Maestro? Il testo, così minuto nel conside­
rare i passi che avvicinano o allontanano da Gesù, diventa paradigmatico del
cammino spirituale in prossimità o a distanza da Gesù; a Pietro che, dopo la rive­
lazione cristologica di Cesarea, inciampa all’annuncio della passione, il Cristo
dice: «Vai dietro a me, come se stesse parlando a uno che, a motivo della sua
ignoranza e del suo parlare non retto, aveva smesso di seguire Gesù» {CMt 12,
2 1 :1, p. 320) e, rispetto alle folle che non di rado si accalcano, nota l’Alessan­
drino: «Sono sempre molti (come le folle) quelli che seguono, senza né alzarsi
per seguire, né lasciare le cose del passato. Pochi sono invece quelli che si alza­
no e (lasciando tutto) lo seguono» (CMt 14, 15: II, p. 147); ancora, riguardo ai
ciechi guariti: «Il nostro recuperare la vista concorre a che non facciamo altra
cosa che seguire colui che ci ha fatto vedere di nuovo» (CMt 16, 11: III, p. 58;
cf. Bertrand F., p. 107; Alviar, p. 77). Rispetto all’ultimo testo citato, da CMt 16,
anche nella nostra Series Pietro non segue perché non vede; l’esito del processo
notturno non può infatti collocarsi nell’atrio di Caifa, perché consiste nel vedere
l’operazione salvifica di colui che è Alfa e Omega, dalla «umana dispensazione del
Salvatore» alla «sua seconda venuta» al «suo ristabilimento tra le realtà sante»
(CMt 16, 18: III, p. 8 6 ); Pietro rappresenta in questo momento un’aspettazione
non già vigile, ma piuttosto impotente e non ancora illuminata dallo Spirito (cf.
Sgherri 1982, p. 256).
C O M M E N TO A M A TTEO , 106-107 155

perché non capiva e non vedeva ancora verso quale epilogo tendessero
i piani salvifici di Cristo (72). L’esito di questi piani non si realizzava né
nell’atrio di Caifa né lì dove erano radunati gli scribi e gli anziani di quel
popolo. Qualora, tuttavia, se ne vedesse propriamente la conclusione, si
contemplerebbe lo stesso Verbo di Dio e la Sapienza che dichiara: Io so­
no l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine.

107. Intanto il sommo sacerdote, gli anziani e tutto il sinedrio c


vano di trovare una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a mor­
te, ma non ne trovarono. Si presentarono molti falsi testimoni, e non ne
trovavano.
Anche queste parole mettono in evidenza che Gesù non commise
peccato e nella sua bocca non ci fu inganno. Che la sua fosse una vita pu­
rissima, del tutto irreprensibile, una vita che toglieva pretesti a coloro
che ne cercavano, è dimostrato dal fatto che i suoi nemici non trovava­
no alcuna cosa che potessero affermare contro di lui o almeno presen­
tare come parvenza (intanto tutti i sacerdoti e l’intero sinedrio stavano
cercando, senza trovare alcun elemento plausibile). Perché le false testi­
monianze trovano spazio, quando le si proferisce con una certa parven­
za di verità, mentre contro Gesù non si trovava neanche questa parven­
za che potesse assecondare le menzogne dette contro di lui (73); e ciò,
pur essendo molti a voler rendere un favore a Caifa, ai sommi sacerdo­
ti, agli scribi, agli anziani e a tutto il sinedrio, che proprio questo bra­
mavano ascoltare. Quelli che hanno in considerazione questi aspetti
esternano a Gesù la più grande lode a motivo della sua vita e del suo
insegnamento; egli ha detto e fatto tutto in maniera talmente irrepren­
sibile da non trovare alcuna parvenza di rimprovero, né i cattivi né i
molti né persone tanto astute e perspicaci.

(73) Adversus lesum nec color inveniebatur qui posset adiuvare men
Non si riesce a trovare color, pretesto fallace e tendenzioso contro Gesù; per
questo egli,«allorché veniva deposto il falso contro di lui, taceva,.. .persuaso che
tutta la sua vita e le sue opere... fossero più eloquenti di una replica pronunzia­
ta contro le false testimonianze» e così «trascurò gli accusatori con animo
fermo... Sempre viene accusato con false accuse, e non accade mai ch’egli non
sia accusato, sino a quando il male dimora tra gli uomini. Ed egli in verità anche
adesso tace dinanzi alle accuse, e non risponde con la voce; ma la sua difesa sta
nella vita dei suoi discepoli veraci, quella vita che grida ad alta voce le cose
importanti» (CC Proemio 1-2, pp. 37.38; cf. CMtS 1, nota 2 : 1, pp. 107s.); il tema
della testimonianza, che la nostra Series condensa nella maxima laus da accordar­
si alla vita e doctrina di Gesù, percorre con intensità il Contro Celso, nell’incon­
tro fra il vigore argomentativo della rivelazione cristiana e lo spessore morale che
la sostiene (cf. Satran 1998, con risposta di Pazzini, pp. 223s.; Dorivai 1998, p.
41; Perrone 2005, p. 105). Gesù appare l’unico giusto (cf. Is 53, 9), irreprensibi­
le nella vita e nella dottrina, e di fronte a lui stanno gli accusatori: mali... multi...
astuti... ingeniosv. «Appunto perché egli non ha conosciuto peccato, Dio lo ha
votato alla morte, lui puro, per tutti i peccatori» (CC 1, 69, p. 123). Dal punto di
vista espressivo, notiamo ricorrenti nella Series i termini color, colorare, usati dal
156 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 108

108. Novissime autem accedentes duo falsi testes dixerunt: hic


possum destruere templum Dei et post triduum illud reaedificare 331.
Non arbitreris Matthaeum duos hos testes sine causa falsos dixis-
227 se, cum vera viderentur esse testimonia eorum ex eo, quod exponit Io­
hannes Christum dixisse: Solvite templum hoc, et ego in tribus diebus
suscitabo illud 332, quando et additur: Hoc autem dicebat de templo cor­
poris sui 333.
Sed vide versutiam falsorum [Π 316, 3] κ α ί oi δύο ουτοι
testium duorum, qua persuasione συμφωνήσαντες ψ ευδή εΐπ ο ν ού
utentes sumpta ab aliquo dicto γάρ εΐπεν ό κύριος, ό τι λύω τον
vero quod dixerat Iesus, finxe­ να όν, ά λλ α « λ ύ σ α τ ε » , κ α ι ούκ
runt testimonium falsum. Iesus είπε «λύ σ α τε τόν ναόν τού θεού»,
enim non dixit: Solvo templum ά λλα «λύ σ α τε τόν ναόν τούτον».
hoc, et in tribus diebus suscito
eum, sed: Solvite * * * templum
hoc, et in tribus diebus suscitabo
eum.
Falsi autem testes rettulerunt eum dixisse, quod non fuerat di­
ctum ab eo, nec dixit: possum solvere templum Dei et in tribus diebus
reaedificare illud. Impietatem ergo solutionis templi non ipse promisit
facere, sed illis qui fuerant apti ad huiusmodi opus commisit, dicens:
Solvite templum hoc, sibi autem quid reservavit, id est: Et ego in triduo
suscitabo eum.
Et quod ille dixit de templo π ερ ί τού ίδ ιο υ σώματος
corporis sui Iudaei praepediti λέγων, οί δε Ιο υ δ α ίο ι κ α ί ψευδή
malitia transaudierunt et intelle­ ο ύ σ α ν τα ύ τη ν τ η ν φωνήν έδε-
xerunt de templo illo lapideo, ξαντο.

quod manifestum est ex eo, quod respondentes dixerunt: Quadraginta


et sex annis aedificatum est templum hoc, et tu in tribus diebus suscitas
eum?334. Et considera quia non unus falsus testis processit in testimo­
nium hoc (nec enim sufficiebat unus volentibus interficere lesum, quo­
niam lex praecipiebat: Non manebit testis unus testimonium dare adver­
sus hominem 335), sed nec tres erant; multis enim accedentibus testibus
falsis vix duo inventi sunt, qui aliquid dicere viderentur.

331 Mt. 26, 60b.61. 332 Io. 2, 19. 333 Io. 2, 21. 334 Io. 2, 20.
” 5 Deut. 19,15.
traduttore nel senso di copertura ingannevole e finzione (per tale accezione, cf.
Blaise; l’eresia è colorazione estranea - άλλότριον χρώμα -: cf. Ignazio, Rom.
Proem., p. 108).
(74) Ab aliquo dicto vero quod dixerat Iesus, finxerunt testimonium fa
Può accadere, dice Origene, che le fonti sulla vita e sulle parole di Gesù risulti­
no falsate «o da fatti male riferiti - παρακουσμάτων - o da passi del Vangelo
male intesi - αναγνωσμάτων - o da storie - διηγμάτων - inventate dai giudei»
(CC 2 , 1 0 , p. 140; cf. Danieli 2 0 0 0 a, p. 194); il Cristo ha parlato del tempio del
C O M M E N TO A M A TTEO , 108 157

108. finalmente si presentarono due falsi testimoni e dissero: C


ha dichiarato, posso distruggere il tempio di Dio e riedificarlo dopo tre

Non pensare che Matteo questi due testi li abbia chiamati falsi
senza ragione, dando le loro parole l’impressione di essere vere per il
fatto che Giovanni riferisce che Cristo abbia detto: Distruggete questo
tempio, ed io lo farò risorgere in tre giorni, lì dove si aggiunge: Questo
però lo diceva del tempio del suo corpo.
Ma osserva la malizia dei Anche se concordanti, que­
due falsi testimoni: valendosi sti due dissero menzogne; infatti
della convinzione desunta da il Signore non disse: distruggo il
una vera affermazione compiuta tempio, ma «distruggete»; e non
da Gesù, hanno escogitato una disse: distruggete il tempio di
falsa testimonianza (74). Di fatto Dio, ma: «distruggete questo
Gesù non aveva detto: Distruggo tempio»,
questo tempio ed in tre giorni lo
farò risorgere, bensì: Distruggete
questo tempio ed in tre giorni lo
farò risorgere.
Invece i falsi testimoni riferirono che egli aveva affermato ciò che
non aveva detto; ed egli non aveva asserito: Posso distruggere il tempio
di Dio e in tre giorni posso riedificarlo. Quindi egli non aveva promesso
di commettere l’empietà della distruzione del tempio, ma l’aveva ri­
messo a quelli che erano idonei ad un’opera simile, dicendo: Distrugge­
te questo tempio, mentre aveva riservato qualche cosa a se stesso, vale a
dire: ed io in tre giorni lo farò risorgere.
E che egli questo lo avesse parlando del proprio cor­
detto del tempio del suo corpo, i po, mentre i giudei compresero
giudei ostacolati da malizia, lo in­ questa parola che era anche
tesero in senso diverso e capirono mendace.
trattarsi del tempio di pietra,
cosa che risulta chiara dalla loro stessa replica: questo tempio è stato co­
struito in quarantasei anni, e tu lo farai sorgere in tre giorni? Considera
inoltre che non si presentò un solo falso teste a dare questa testimo­
nianza (del resto non ne bastava uno a coloro che volevano mettere a
morte Gesù, in quanto la Legge prescriveva: Non rimarrà un solo teste
a dare testimonianza contro alcuno) ma neppure tre; pur presentandosi
infatti molti falsi testimoni, se ne trovarono appena due, che sembrava­
no dire qualcosa.

suo corpo (cf. Gv 2 , 19), affermando: - Solvite... et suscitabo - , e questa parola,


trasferita all’edifìcio di pietra quasi con intenzionalità distruttiva - possum solve­
re. .. et reaedificare - diventa un pesante capo d’accusa - ό μέγας ελεγχος -; il
rapporto fra la costruzione fatta da mano d’uomo, cuore della Legge antica, e
Gesù - edificio non manufatto - è senza rottura solo accettando in lui - per l’in-
15« CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 108-109

228 Sed nec ipsorum testimonia convenientia erant, sicut Marcus ex­
ponit; dicit enim hoc modo, quoniam principes sacerdotum et concilium
universum quaerebant contra lesum testimonium, ut morti traderent
eum, et non invenerunt; multi enim falsum testimonium dixerunt adver­
sus eum, et convenientia non erant testimonia eorum. Alii autem exsur­
gentes falsum testimonium dicebant adversus eum: quoniam nos audivi­
mus eum dicentem: quoniam ego solvo templum hoc manibus factum, et
in tribus diebus alium non manibus factum faciam, sed nec sic convenien­
tia erant eorum testimonia 336. Tunc enim est conveniens testimonium
quando eadem dicunt, non autem sunt convenientia quando dissonant
sibi, qualia erant testimonia horum qui adversus lesum testimonia pro­
ferebant. Et si verum dicunt Matthaeus et Marcus (quod credere nos
oportet), temptemus ostendere, quomodo non erant convenientia ne­
que duorum ipsorum testimonia, quoniam non eadem protulerunt. Se­
cundum Matthaeum enim dixerunt: Hic dixit: Possum solvere templum
Dei et in tribus diebus reaedificare illud, secundum Marcum autem:
Quoniam nos audivimus eum dicentem: Quoniam ego solvo templum
hoc manibus factum, et in tribus diebus aliud reaedificabo non manibus
factum. Sive ergo bis dicentes haec, quoniam non eadem dixerunt, non
sunt inventa testimonia eorum convenientia sibi; sive autem unus
quidem dixit quod exponit Matthaeus, alter autem secundum quod
scripsit Marcus, ac per hoc testimonia eorum non erant convenientia sibi.

109. Et exsurgens princeps sacerdotum dixit ei: Nihil responde


ea, quae isti testificantur adversus te? Iesus autem tacebat 337.
Potest in istis inpleta intellegi prophetia quae dicit: Dum consistit pec­
cator adversus me, obmutui et humiliatus sum et silui a bonis 338, ut pecca-

336 Mc. 14, 55-59. 337 Mt. 26, 62.63a. 338 Ps. 38 (39), 3s.
carnazione - «il vero tempio di Dio, dei Verbo, della sapienza e della verità»
[ibid.). Nell’assoluto del Cristo, presupposto delle considerazioni origeniane, il
rapporto con il tempio cambia di segno: «A desso... siamo in terra estranea e ci
auguriamo di fare il contrario di quanto fecero i figli di Israele nella terra santa,
poiché quelli nella terra santa hanno adorato divinità estranee, noi invece in
terra estranea adoriamo il Dio estraneo alla terra... Noi cerchiamo un luogo. ..
per cantare il canto del Signore... su una terra estranea... Io l’ho trovato. E
venuto su questa terra portando il corpo salvifico, ... affinché in questo
luogo... io possa qui adorare D io ...» (Hler 7, 3, p. 101); recedendo dalla veri­
tà che è la piena rivelazione in Cristo, le testimonianze falsate potranno giun­
gere fino ad esprimere - è il caso di Caifa - un traboccare di male morale (cf.
Ciò 28,120, p. 711; ibid. Corsini 1968, nota 18; per il tema del Cristo vero tem­
pio, cf. Rossetti 1998, in particolare pp. 39-62; Manns, pp. 64-69).
(75) Sed nec tres erant... Sed nec ipsorum testimonia convenientia eran
numero di due testimoni è il minimo per soddisfare la Legge giudaica, ma c’è il di
più negativo che le testimonianze così faticosamente trovate non convergono, sono
dissonanti; Origene sottolinea i dati storici dell’evento, ricercando attraverso le
maglie del processo a Gesù il mistero salvifico sfuggito agli oppositori (cf. Bammel
in Orig. VI, p. 553; Vogt 1993, p. 307, note 77 e 78; de Lubac 1985, pp. 215-226).
C O M M EN TO A M A TTEO , 108-109 159

Ma neppure le loro testimonianze erano concordanti (75), come


spiega Marco. Dice infatti così: I sommi sacerdoti e tutto il Sinedrio cer­
cavano una testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte, ma non la
trovarono; molti infatti attestarono il falso contro di lui, e le loro testimo­
nianze non erano concordi. Ma altri si alzarono per attestare il falso con­
tro di lui dicendo: Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò
questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro
non fatto da mani d’uomo. Ma neppure su questo punto le loro testimo­
nianze erano concordi. Infatti delle testimonianze sono concordi allor­
quando affermano le medesime cose, mentre non lo sono quando di­
scordano tra loro, com’erano le testimonianze di coloro che le produ­
cevano contro Gesù. E se Matteo e Marco dicono il vero (e dobbiamo
crederlo), tentiamo di mostrare come mai non erano concordi neppu­
re le testimonianze di quei due, giacché non citarono le stesse parole.
Stando a Matteo, infatti, dissero: Costui ha detto: posso abbattere que­
sto tempio e in tre giorni riedificarlo, mentre secondo Marco: Noi lo ab­
biamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani
d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo.
Dunque, o questo lo dicevano due volte e, siccome non riferivano le
stesse parole, le loro testimonianze non furono trovate tra loro concor­
di, oppure l’uno disse ciò che riferisce Matteo, l’altro parlò secondo la
versione di Marco: per questo motivo le testimonianze di essi non era­
no concordi tra loro.

109. E alzatosi il sommo sacerdote gli disse: Non rispondi nulla


che questi attestano contro di te? Ma Gesù taceva.
In queste circostanze si può ritenere realizzata la profezia che di­
ce (76): Mentre il peccatore si è messo contro di me, sono stato in silenzio,
mi sono umiliato e ho taciuto privo di bene, per cui per quel peccato-

Nel riprendere i testi di Matteo e Marco citati nella nostra Series, l’esegeta fa un
esame che passa dalla historia come narrazione alla sua spiegazione letterale e al
suo senso metaforico: se «non seguiremo con grande attenzione il contenuto lette­
rale, non ci si aprirà facilmente il senso interiore» (HLv 14,1, p. 282; cf. Studer in
Orig. Vili); in particolare, i passi di Gv 2, 19, Mt 26, 61, Mc 14, 58 emergono in
Ciò 10, 251ss., fino a dare «una conoscenza, sia pure sommaria, delle realtà relati­
ve al tempio, alla casa di Dio, alla Chiesa, a Gerusalemme...: l’esame molto preci­
so e spinto anche ai minimi particolari lo debbono fare coloro che non rifiutano le
fatiche che s’incontrano nell’accostarsi alle profezie e nel cercarvi il significato spi­
rituale» (Ciò 10, 296-297, p. 449). Quanto alla dissonanza delle false testimonian­
ze contro Gesù, si ricorderà per contro la presentazione della Chiesa come sinfo­
nia (cf. CMt 14, 1-4), in cui l’accordo, visto come ideale da perseguire incessante­
mente in dipendenza dal dono della fede, diventa fondamentale testimonianza che
il Cristo è presente già nella ricerca - che così si fa gioia - (CMt 14, 4).
(76) Potest in ipsis inpleta intellegi prophetia. La Scrittura contiene la
degli eventi del Cristo, supremamente quelli della passione e risurrezione; se il giu­
sto del salmo era chiamato a libere et fortiter silere di fronte a false testimonianze
e calunnie, quanto più il Cristo! Nell’omelia dedicata al salmo 38 (39) qui citato,
ΐ6 θ CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 109-110

tor ille in istis prophetatus intellegatur Caiphas qui constitit contra lesum.'
Simul et discimus ex hoc loco contemnere calumniantium et falsorum te­
stium voces, ut nec responsione nostra dignos eos habeamus, nec defen­
dere nosmetipsos, ubi non sunt convenientia quae dicuntur adversus nos.
Quid enim opus est illis resistere, qui sibi ipsi contraria dicentes resistunt?
229 Maxime ubi maius est libere et fortiter silere quam defendere sine ullo
profectu, ut non humiliemur a testibus falsis et calumniatoribus inprobis.

110. Et dixit ei princeps sacerdotum: Adiuro te per deum vivum


dicas nobis si tu es Christus filius Dei. Et dixit ei Iesus: Tu dixisti 339.
Et in lege quidem adiurandi usum aliquotiens invenimus. In Nu­
meris enim dicit lex, quoniam adiurabit eam sacerdos (id est mulierem il­
lam, in cuius viro factus est spiritus zeli), et dicet mulieri (hoc est sacer­
dos): Si non dormiit aliquis tecum, et nisi transgressa es ut maculeris a vi­
ro non tuo, innocens eris ab aqua arguitionis hac maledicta 340. Et post
pauca: Et adiurabit, inquit, sacerdos mulierem in adiurationibus maledic­
tionis huius 341. Item in tertio Regnorum dicit rex Achab ad Michaeam:
Adhuc bis adiuto te, ut loquaris ad me veritatem in nomine Domini 342.
Adiuravit autem rex prophetam, et adiuravit non sicut sacerdos in Nu­
meris; ille enim ex legis praecepto, iste autem ex arbitrio suo. Et nunc
in loco praesenti lesum sacerdos adiurat per Deum vivum. Aestimo au­
tem quoniam non oportet, ut vir, qui vult secundum evangelium vivere,
adiuret alterum. Simile enim est, quod dicit in evangelio Dominus ipse:
Ego autem dico non turare omnino 343 et non adiurare omnino;
si enim iurare non licet [C1 n. 308] άλλο τι έστιν ό
quantum ad evangelicum Christi δρκος παρά τόν έξορκισμόν
mandatum, verum est quia nec
adiurare alterum licet.

339 Mt. 26, 63b.64a. 340 Num. 5, 19. 341 Num. 5 , 21. 342 3
Reg. 22, 16. 343 Mt. 5, 34.

Origene elenca tre possibili atteggiamenti del giusto di fronte al peccatore che «si
pone contro di lui e gli trafigge le orecchie con insulti»: «Se anch’io sono un uomo
meschino cerco, mettendomi sul suo stesso piano, la soluzione dell’occhio per
occhio... e restituisco maledizione per maledizione. Se invece ho già fatto qualche
progresso, .. .sto zitto e sopporto con pazienza gli insulti e non rispondo affatto.
Se però ho raggiunto la perfezione, non sto zitto, ma se vengo maledetto, benedi­
co» (H38Ps 1,4, p. 335; la nota di Prinzivalli 1991, pp. 458s., sottolinea l’«inten-
sa penetrazione psicologica» e l’«eco autobiografico» del commento origeniano).
Nella Series siamo di fronte al silenzio di Cristo, non commisurabile a livelli di per­
fezione umana, che congiunge in sé l’impassibilità divina del Logos e la condiscen­
denza dell’incarnazione fino alla morte, assunta per quell’umanità peccatrice - il
peccator - che gli sta appunto davanti (sul valore ecclesiale e il fascino che il silen­
zio del Cristo ha esercitato su Origene, cf. Bammel, in Orig. VI; CMtS 1, nota 2 ,
ripresa per la Series 107, nota 73; Monaci Castagno 1987, pp. 205s.). In un fram­
mento sulla Prima lettera ai Corinti l’Alessandrino nota che «le lingue taceranno
quando con la mente mi sintonizzerò con quello che voglio si dica - νφ ομιλήσω
C O M M E N TO A M A TTEO , 109-110 161

re profetizzato in queste parole si intende Caifa, che si è levato contro


Gesù. Nello stesso tempo da questo passo impariamo a non tenere con­
to delle parole di calunniatori e falsi testimoni, al punto da non ritenerli
meritevoli neanche di una risposta, e a non difenderci, lì dove le accuse
rivolte contro di noi non sono concordanti. Che bisogno c’è, infatti, di
fare resistenza a coloro che proprio tra loro si oppongono nel dire cose
contrastanti? Specie in quel caso, vale più restare liberamente e coraggio­
samente in silenzio, che stare a difendersi senza alcun vantaggio, in mo­
do da non essere umiliati da falsi testi e da calunniatori disonesti.

110. Gli disse allora il sommo sacerdote: ti scongiuro per il Dio


affinché ci dica se tu sei il Cristo figlio di Dio. Gesù gli rispose: Tu l’hai
detto.
Anche nella Legge troviamo talvolta l’usanza di far giurare. Nei
Numeri infatti la Legge dice: Il sacerdote la farà giurare (la donna cioè,
nel marito della quale si è abbattuto lo spirito di gelosia) e dirà (il sacer­
dote) alla donna·. Se nessun uomo è venuto a dormire con te e non ti sei
traviata, sì da farti contaminare da un estraneo, sarai resa innocente da
questa maledetta acqua del rimprovero. E dopo un po’ afferma: E farà
giurare la donna con i giuramenti di questa maledizione. Così pure nel
terzo libro dei Re il re Acab dice rivolto a Michea: Ti faccio giurare an­
cora due volte, perché tu mi dica la verità in nome del Signore. Ed il re
fece giurare il profeta, ma non allo stesso modo del sacerdote nel libro
dei Numeri: questo infatti agiva in base al precetto della Legge, il re in­
vece in base al suo arbitrio. Anche adesso, in questo passo, il sacerdo­
te fa giurare Gesù per il Dio vivente. Io sono del parere che un uomo
deciso a vivere secondo il Vangelo non debba far giurare un altro.
Quello che infatti lo stesso Signore dice nel Vangelo: Io invece vi dico
di non giurare affatto equivale a non far giurare affatto;
in realtà, se per quanto ri- il giuramento è qualcosa di
guarda un comandamento evan- diverso rispetto allo scongiuro,
gelico di Cristo non è lecito far
giuramenti (77), è anche vero
che non è lecito neppure scon­
giurare un altro.

5) βούλομαι διαλεχθήναι - » (FrCor 52; trad. e commento in Schirone - Sco­


gnamiglio, pp. 50s.); se nel testo su 1 Cor si intende che «ogni lingua finisce il suo
compito quando si ha la perfetta sintonia tra quello che si pensa e quello che si
esprime», nel dialogo-confronto della passione silenzio e parola sono entrambi
vertice del dono del Logos - misterioso e proferito -, che si è offerto agli uomini
(sul motivo ricorrente di silenzio e testimonianza, cf. CMtS 78, nota 16; 1 1 0 , nota
79; 115, nota 91; 119, nota 101; 124, nota 110: Π, pp. 74.166.212-214.229).
(77) In lege adiurandi usum aliquotiens invenimus... lutare non licet
tum ad Christi mandatum. Origene «spiega la solenne domanda che Caifa fa a
Gesù mediante i passi della Legge in cui figura un genere simile di scongiuro...
In fondo, quel che Origene raccomanda e pratica che altro è se non un ricorso a
ι6ζ CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 110

Propterea manifestum est, quoniam princeps sacerdotum inlicite


lesum adiuravit, quamvis videatur per Deum vivum adiurasse.
Quaeret aliquis, si convenit ο ι γά ρ δα ίμο νες πνεύμα τα
vel daemones adiurare. Et qui αόρατα οντες έξορκίζοντα ι, ϊν α
respicit ad multos, qui talia face­ έξομολο γή σ ω ντα ι. σύ δέ, ώ
re ausi sunt, dicet non sine ratio­ Κ αϊάφα, έώρας το ν Ί ησ ού ν
ne fieri hoc; qui autem aspicit Ie- έσ τώ τα κ α ί χω ρίς έξο ρ κ ισ μ ο ΰ
230 sum * * * imperantem daemoni­ έτιτά σ σ ο ν τα τ ο ΐς δ α ίμ ο σ ι κ α ί
bus, sed etiam potestatem dan­ τοια ύτην εξουσίαν τοΐς μαθητάϊς
tem discipulis suis super omnia χαρισάμενον.
daemonia
et ut infirmitates sanarent, dicet quoniam non est secundum potesta­
tem datam a salvatore adiurare daemonia: Iudaicum enim est. Hoc (et­
si aliquando a nostris tale aliquid fiat) simile fit ei, quod a Salomone
scriptis adiurationibus solent daemones adiurari. Sed ipsi, qui utuntur
adiurationibus illis, aliquotiens nec idoneis constitutis libris utuntur,
quibusdam autem et de Hebraeo acceptis adiurant daemonia.
Tamen non decebat Domi­ επει ουν ου γνησιω ς αυτσν ο
num nostrum ad adiurationem έπηρώτησεν, άρνήσασθαι
principis sacerdotum respondere,
quasi vim passum ab adiu-
rante contra propriam volunta­ μεν έα υ τόν οϋκ έδΰνατο ό
tem. Propter quod nec denegavit Χ ρ ισ τό ς υ ιό ν ε ίν α ι τοΰ θεού,
se Christum filium esse Dei nec ά λλ'ούδε διά τ η ν π ροπ έτεινα ν
manifeste confessus est, sed qua­ του έρωτώντος άπεκρίθη.
si ipsum testem accipiens adiu-
rantem (quoniam ipse est, qui in
interrogatione sacerdotis
pronuntiatus est Christus filius Dei) dicens: Tu dixisti.
Et quoniam omnis qui facit peccatum ex diabolo natus est 344, fa­
ciebat autem peccatum et princeps sacerdotum insidians Iesu, [et]
propterea de diabolo erat natus et quasi de diabolo natus imitabatur
proprium patrem, qui bis dubie interrogat salvatorem: Si tu es filius Dei,
sicut scriptum est in tentationibus eius 345; simile est enim: Si tu es filius
Dei, et: Si tu es Christus filius Dei. Recte enim quis dicere potest in loco

344 1 Io. 3 , 8 . 345 Mt. 4, 3.6.

quel principio che (con) un’espressione di san Paolo è chiamato “analogia della
fede” ?» (de Lubac 1985, pp. 338.341); lo scongiuro del sommo sacerdote sem­
bra un abuso più che un attenersi alle istanze della Legge (cf. Bammel in Orig.
VI, p. 553).
(78) Non est secundum potestatem datam a Salvatore adiurare daemo
Iudaicum enim est. Π tratto sull 'esorcismo è messo in rapporto dall’editore con
un frammento greco, in cui il commentatore rivolge la parola al sommo sacer-
C O M M E N TO A M A TTEO , 110

Perciò risulta chiaro che il sommo sacerdote illecitamente scon­


giurò Gesù anche se apparentemente lo fece per il Dio vivente.
Qualcuno si chiederà se sia Infatti i demoni, essendo
conveniente scongiurare anche i spiriti invisibili, sono scongiurati
demoni. Se uno bada a quanti [esorcizzati] perché confessino;
hanno osato farlo, dirà che que­ ma tu, o Caifa, vedevi Gesù che
sto non si fa senza motivo, mentre stava in piedi e senza scongiura­
se uno considera il fatto che Ge­ re, comandava ai demoni, e lar­
sù... comanda ai demoni, ma al­ giva siffatto potere ai discepoli.
tresì conferisce ai suoi discepoli
il potere di guarire malattie, affermerà che scongiurare i demoni non
è conforme al potere conferito dal Salvatore, perché è usanza giudai­
ca (78). Questa (anche se un rito del genere viene praticato talvolta an­
che dai nostri) assomiglia alla consuetudine di scongiurare i demoni
mediante esorcismi redatti da Salomone. Ma proprio quelli che si av­
valgono di questi scongiuri, talvolta non si servono neppure dei libri
adatti stabiliti, e intanto grazie a questi presi dalla lingua ebraica scon­
giurano i demoni.
Ad ogni modo, non era con­ Poiché dunque non lo aveva
veniente che il Signore nostro ri­ interrogato con sincerità,
spondesse allo scongiuro del
sommo sacerdote quasi costretto
da lui e contro la propria volon­
tà. Ecco perché egli non rinnegò il Cristo non poteva certo
ma neanche confessò aperta­ rinnegare di essere lui stesso il
mente di essere il Cristo figlio di Figlio di Dio, ma neppure rispo­
Dio, e in certo, modo prese come se a motivo della temerarietà di
testimone lui che lo scongiurava colui che faceva la domanda.
(giacché è proprio lui che nell’in­
terrogazione del sacerdote
viene dichiarato Cristo figlio di Dio) col dire: Tu l’hai detto.
E poiché chiunque commette peccato è nato dal diavolo, il peccato
lo commetteva anche il sommo sacerdote che tendeva insidie a Gesù e
perciò era nato dal diavolo ed, in quanto nato da lui, imitava suo padre
che per ben due volte pone la domanda al Salvatore: Se tu sei il Figlio
di Dio, com’è scritto nel racconto delle tentazioni. Infatti le parole: Se
tu sei il Figlio di Dio e: Se tu sei il Cristo figlio di Dio sono simili. Ed a

dote: «Tu, Caifa, hai visto Gesù che stava là in piedi e comandava ai demoni
senza scongiuro...»; Vogt nota che il parallelo corrisponde solo parzialmente al
testo latino, e lo considera, più che opera di catenista, squarcio omiletico ispira­
to ad Origene, non direttamente origeniano (cf. Vogt 1993, p. 307, nota 80).
L’interesse del brano è comunque dato dall’accenno agli Scritti di Salomone; in
effetti, sulla base della fama sapienziale del re biblico (cf. 1 Re 5), si elaboraro-
164 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 110-111

hoc, quoniam dubitare de filio Dei utrum ipse sit Christus, opus dia­
boli est et principis sacerdotum insidiantis Domino nostro. Sed non
talis inventus est Petrus; nam sine aliqua dubitatione pronuntiavit: Tu
es Christus filius Dei vivi 346, nec posuit ibi si. Propter quod beatus est
appellatus, quia non caro et sanguis revelaverat ei, sed Deus pater qui
231 est in caelis 347. Qui autem cum dubitatione dicunt: Si tu es filius Dei,
ab omni beatitudine sunt alieni. Nam quia non erat dignus princeps il­
le sacerdotum Christi doctrina, propterea non eum docet nec dici,
quia: Ego sum, sed verbum oris eius accipiens in redarguitionem ipsius
convertit dicens: Tu dixisti, ut eo modo videretur argui non doceri.

111. Tamen dico vobis: Amodo videbitis filium hominis sedent


dextris virtutis et venientem super nubibus caeli 348.
Quoniam non est scriptum a dextris Dei, sed apud omnes evan­
gelistas ad dextram virtutis (et non est additum Det), dignum est per­
videre, quid est ad dextram virtutis sedere filium hominis. Item tres
evangelistae similiter scribunt: Videbitis sedentem 349; et simplicibus
quidem conceditur, qui nihil altum possunt audire in eo quod dicit se­
dentem, ac si dicat supra virtutem fundatum. Quibus autem possibile
est spiritu omnia perscrutari etiam altitudines Dei 35°, cintellegent
quod> et quod scriptum est: Qui sedes super cherubin appare 351 et: Vi­
di Dominum sedentem super sedem excelsam et elevatam 352 et: Dixit
Dominus Domino meo: Sede a dextris meis, donec ponam inimicos tuos
scabellum pedum tuorum 353 et alia similia, quae de Deo sedente dicta
sunt, similiter et de Christo dicuntur. Quae conferre oportet cum dicto
praesenti, ut ex humili aestimatione et fabulosa videamus, quid si­
gnificet more humano sessio Christi. Videtur autem mihi quoniam

346 Mt. 16, 16. 347 Mt. 16, 17. 348 Mt. 26, 64. 349 Ibid.·, Mc.
14, 62; Lc. 22, 69. 350 1 Cor. 2, 10. ” i p s. 7 9 (80), 2 . ” 2 Is. 6 , 1.
3*> Ps. 109 (110), 1.
no leggende haggadiche in cui magia, astrologia, angelologia, demonologia e
medicina primitiva variamente si combinavano con la fortuna e la caduta del
personaggio regale (cf. il Testamento di Salomone, in Charlesworth 1983; Vogt,
alla nota 81, seguente quella sopra segnalata, rimanda al Decretum Gelasti e
all’elenco ivi presentato di libri da non prendere in considerazione perché scrit­
ti da eretici, scismatici, tali da mettere in comunicazione in vario modo con
potenze demoniache [cf. Denzinger, pp. 196-201]). Origene ritorna esplicita­
mente sull’uso di nomi biblici negli scongiuri non solo da parte di «componen­
ti della nazione giudaica», ma «anche da quasi tutti quelli che esercitano gli
incantesimi e la magia» (CC 4, 33, p. 331); il cenno della Series invita a cogliere
il proprio della ritualità esoreistica nella Chiesa, il che non è un unicum nella
riflessione origeniana: «S e ... dovessimo occuparci della guarigione di un sogget­
to, affetto (dal “mal di luna”), non mettiamoci a far giuramenti, domande e
discorsi allo spirito impuro, come se quello ci ascoltasse;, ma dedicandoci a pre-
C O M M E N TO A M A TTEO , 110-111

proposito di questo passo si potrebbe giustamente affermare che dubi­


tare se il Figlio di Dio sia Cristo è impresa del diavolo e del sommo sa­
cerdote quando mette alla prova nostro Signore. Non furono però que­
ste le disposizioni di Pietro; perché proferì senza alcun dubbio le paro­
le: Tu sei il Cristo, figlio di Dio, senza aggiungervi il se. E fu per questo
chiamato beato, perché né la carne né il sangue glielo aveva rivelato, ma
Dio Padre che è nei cieli. Quelli poi che dicono in senso dubitativo: Se
tu sei il Figlio di Dio sono lontani ad ogni beatitudine. Infatti proprio
perché quel sommo sacerdote non era degno dell’insegnamento di Cri­
sto, non glielo insegna (79) né gli dice: Lo sono, ma prende la sua stes­
sa parola e la ribalta in sua confutazione, dicendo: Tu l’hai detto: così
si vedeva che non riceveva una informazione ma una confutazione.

111. Tuttavia vi dico: Da questo momento in poi vedrete il F


dell’uomo seduto alla destra della potenza e venire sulle nubi del cielo.
Dal momento che non è scritto alla destra di Dio, ma presso tutti
gli evangelisti sta alla destra della potenza (senza l’aggiunta di Dio), è il
caso di esaminare cosa voglia dire che il Figlio dell’uomo sia seduto al­
la destra della potenza. Così pure i tre evangelisti scrivono allo stesso
modo: vedrete il Figlio dell’uomo seduto. Per i più semplici che non so­
no in grado di intendere alcun senso profondo nell’espressione: sedu­
to, si può ammettere che essa equivale a: fondato sopra la potenza. Per
coloro invece che hanno la possibilità di scrutare tutto, anche le pro­
fondità di Dio, il testo della Scrittura: Tu che siedi sui cherubini, mostra­
ti·, come pure: Ho visto il Signore sedere sopra una sede sublime ed ele­
vata, e ancora: Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, fin­
ché non abbia posto i miei nemici a sgabello dei suoi piedi, e altri testi
simili circa il Signore che siede si possono ugualmente applicare al Cri­
sto. Occorre confrontare questi testi con la presente locuzione affinché
partendo da questa considerazione elementare e immaginifica, possia­
mo vedere che cosa voglia dire in termini umani la sessione di Cristo.
A me sembra che la sessione del Figlio dell’uomo stia a significare un

ghiere e digiuno riusciamo... pregando... e col nostro proprio digiuno, ad allon­


tanare da lui lo spirito impuro» (CMt 13, 7: II, pp. 35s.). È ancora sottolineato
che «non è certo con gli incantesimi che (gli esorcisti) esplicano il loro potere,
ma lo fanno nel nome di Gesù, con la recitazione delle storie scritte su di lui»
(CC 1 , 6 , p. 47; cf. Dillon in Orig. Ili-, Monaci Castagno 2000Ì, p. 256; Gramaglie
2000c, p. 46; Sfameni Gasparro in Orig. Vili; Sgherri 1982, pp. 380s.; ampio
spazio ad Origene dedica la tesi di N icolotti.
(79) De diabolo erat natus... Non eum docet. Le domande del sommo
dote sono accostate a quelle del tentatore, perché il dubbio sulla filiazione divina
di Gesù rientra nella ignoranza del diavolo, mentre la confessione di fede riporta
all’illummazione del Padre: «Non la carne e il sangue ci hanno rivelato che Gesù
Cristo è il Figlio del Dio vivente, bensì il Padre, che è negli stessi cieli in cui siamo
noi perché è lì che abbiamo la nostra patria, ci ha fatto una rivelazione, che innal­
za ai cieli coloro che hanno tolto dal cuore ogni velo, e hanno ricevuto lo spirito
della sapienza di Dio e della sua rivelazione» (CMt 1 2 , 10:1, p. 292); la Sinagoga
166 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 111

fundationem quandam et firmitatem regalem significat sessio filii ho­


minis. Iuxta virtutem ergo, qui solus est virtus et proprie nominatur,
et a dextris fundatus est, [et] qui accepit omnem potestatem a patre si-
232 cut in caelo et in terra, et hanc fundationem aliquando videbunt etiam
adversarii, postquam cum laetitia viderint eum beati.
Sed secundum Marcum quidem non habet amodo sed puriter, id
est: Videbitis filium hominis a dextris sedentem virtutis 354; secundum
quem nihil erit contrarium his quae tradidimus. Secundum Matthaeum
autem, qui dicit: Amodo videbitis, et secundum Lucam dicentem: Ex
hoc erit filius hominis 355 et cetera, quaerendum est si ex quo haec di­
xit salvator, inpleta sunt et in eis, qui audierunt quod dixit: Amodo vi­
debitis filium hominis sedentem a dextris virtutis. Et dicimus quoniam
potest inpletum videri, quoniam ex illo, id est a tempore dispensatio­
nis, filius hominis sedit ad dextram virtutis, et viderunt eum discipuli
eius resurgentem a mortuis, et per hoc viderunt eum fundatum ad dex­
tram virtutis, secundum quod tradidimus supra. Aut ita: vide si potes
horam et diem metiri non secundum brevitatem quae est apud homi­
nes horarum atque dierum, sed secundum longitudinem quae est apud
Dominum sempiternum, cui a constitutione mundi usque ad consum­
mationem eius unus est dies: quod demonstratur parabola, ubi dicit de
conductis mane in vineam et tertia hora et sexta et usque ad undeci­
mam 356. Nihil ergo mirum est, quod hic dicit salvator amodo spatium
esse brevissimum usque tunc, in quo spatio dicebat: Videbitis filium ho­
minis sedentem a dextris virtutis ad illos qui tunc eum audiebant - for­
te tunc quando dixit Dominus Domino meo: sede a dextris meis, donec
ponam inimicos tuos scabellum pedum tuorum 357, in quibus erant et il­
li, ad quos dicebat amodo videbitis·, inimicus enim erat et Caiphas qui
insidiabatur Christo.

554 Mc. 14, 62. 355 Lc. 22, 69. 356 Cf. Mt. 20, lss. 357 Ps. 109
(110), 1.
si mette dalla parte del tentatore, mentre Pietro accetta dal Padre la fede cristo­
logica (cf. Steiner, pp. 13 ls.174). Il sommo sacerdote merita arguì non doceri, per­
ché non si accosta al Logos con umile fede; un ampio brano di CMt mostra «il
Salvatore» che non risponde a «sommi sacerdoti e capi del popolo» che gli pon­
gono la domanda sull’autorità delle sue parole ed opere: «Egli infatti non li con­
siderava degni di aver risposta alla loro domanda e soluzione al loro problema...
Se fossero stati sommi sacerdoti santi e beati... coloro che allora interrogavano
Gesù, ...probabilmente il Salvatore - considerandoli non come tentatori, ma
come desiderosi di apprendere e degni di (avere) così grandi conoscenze - avreb­
be cominciato a presentare loro un discorso che neanche il mondo intero potreb­
be contenere... Ma anche adesso, nel tempio che è la Chiesa, c’è il Cristo e vi inse­
gna, mentre alcuni simili a quei sommi sacerdoti e anziani del popolo gli pongo­
no domande, senza averne risposta, indegni di sapere ciò che vorrebbero sapere»
(CMt 17, 1-3: ΠΙ, pp. 127.132s.135s.). Il silenzio stesso di Gesù affida alle opere
la prova della sua divinità (cf. Perrone 2005, pp. 105s.), ma il sommo sacerdote
non accoglie neanche questa risposta: «Il non esser “capace” (ικανός) non è lo
C O M M EN TO A M A TTEO , 111 167

certo fondamento e fermezza regali (80). Secondo la potenza, dunque,


egli che solo è, e viene propriamente nominato potenza, è stabilito alla
destra, lui che ha ricevuto dal Padre ogni potere, come in cielo così in
terra ed anche gli avversari vedranno un giorno tale fondazione, dopo
che con gioia l’avranno visto anche i beati.
Il vangelo secondo Marco non ha: «da questo momento in poi»,
ma la semplice espressione: Vedrete il Figlio dell’uomo che siede alla de­
stra della potenza, e stando a Marco non risulterà alcun elemento con­
trario a quanto abbiamo spiegato; stando invece a Matteo, che dice: da
questo momento in poi vedrete, e a Luca che dice: da questo momento
starà il Figlio dell’uomo, ecc., è da porsi la questione, se dal momento
che il Salvatore pronunciò le parole: da questo momento in poi, esse si
siano realizzate anche per coloro che ebbero ad ascoltare la frase detta:
Da questo momento in poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra
della potenza. Diciamo che questa predizione la si può considerare pie­
namente realizzata, giacché è da quel tempo, vale a dire dal tempo del­
l’economia, che il Figlio dell’uomo siede alla destra della potenza, i suoi
discepoli lo videro risorto da morte e per ciò stesso fondato alla destra
della potenza, in linea con quanto abbiamo esposto in precedenza. In
alternativa, considera se puoi misurare l’ora e il giorno non già in base
alla brevità delle ore e dei giorni presso gli uomini, bensì secondo la
lunghezza che è presso il Signore sempiterno, per il quale dalla fonda­
zione del mondo sino alla sua fine non è che un unico giorno. Lo di­
mostra la parabola nella quale [Gesù] parla degli [operai] condotti nel­
la vigna al mattino, all’ora terza, sesta nona e undecima. Nessuna me­
raviglia, pertanto, che in questo punto il Salvatore dica che da questo
momento ci sia una durata molto breve sino a quel momento nella cui
durata diceva: Vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della poten­
za, rivolto a coloro che allora stavano ascoltando, probabilmente allo­
ra, quando disse il Signore al mio Signore, siedi alla mia destra, finché io
ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Tra quei [nemici] erano an­
che coloro ai quali aveva detto: da questo momento in poi vedrete-, ne­
mico lo era infatti anche Caifa che tendeva insidie al Cristo.

stesso che non esser “degno” (άξιος)... È proprio della bontà divina superare con
i benefici colui che è beneficato, prevenire colui che sarà degno, concedendogli
la capacità prima ancora che ne diventi degno, in modo che dopo la capacità que­
sti giunga a diventarne degno; e non, viceversa, datl’esser degno giunga a esser
capace, precorrendo Dio che dona e prevenendone le grazie» (CIo 6,180.181, pp.
342s.); se ci si accosta da nemici al Verbo divino, non si ascolta da lui la rivelazio­
ne dei misteri (cf. Crouzel 1961, pp. 428-430; Bammel in Orig. VI-, Bertrand F.,
pp. 8 8 s.; CMtS 100, nota 62; 143, nota 152: Π, pp. 139-140. 299-300).
(80) Fundationem et firmitatem regalem significat sessio Filii homin
discorso esegetico è penetrazione misterica, che si pone fra i simplices e quanti
possono spiritu omnia perscrutari-, l’Alessandrino richiama nel passo testi più
distesamente ricordati nel Commento a Matteo sulle sessioni di Dio 0 del Cristo
- t à περί καθίσεων Θεσυ ή του Χριστοί -: «Perché mettere ancora insieme
altri passi del genere? Per presentare, oltre quella poco importante, piuttosto
ι 68 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 111-112

Et non solum sedentem eum ad dextram virtutis visuros hos pro­


phetabat, sed etiam visuros eum venientem (sicut Matthaeus quidem
dicit) super nubibus caeli. Quae sunt autem nubes super quibus veniet
233 qui fundatus est a dextris virtutis aut cum quibus veniet aut ad quas
pertinget veritas Dei, secundum quod scriptum est: Et veritas tua usque
ad nubes 358? Hae sunt vivae nubes prophetae Dei et apostoli Christi,
quibus mandat pluere, cum oportuerit, aut non pluere super vineam si­
ne fructu 359. Si quis autem non vult esse huiusmodi nubes, super qui­
bus et cum quibus veniet filius hominis apparens, ipse sciat. Semper
enim super illis et cum illis venit, ostendens suum adventum dignis se,
Deus Verbum et sapientia et veritas et iustitia. Hae autem, quas tradi­
dimus nubes, quasi portantes imaginem caelestis nubes sunt caeli non
transeuntis, sede Dei et regno Dei dignificatae, quasi heredes Dei et co­
heredes Christi 36°, et conregnant ei.

112. Tunc princeps sacerdotum conscidit vestimenta sua dicens:


sphemavit361.
Haec Domino prophetante inimicus Domini sacerdos ille, quasi
qui non erat propinquus ut videret filium hominis et virtutem a cuius
dextris sedebat, quasi inclinatus et non potens aspicere sursum, non
audiens quae dicebat, conscidit vestimenta sua,

358 Ps. 35 (36), 6 . 3” Cf. Is. 5, 6 . ^ R o m . 8> 17. 361 Mt. 26,
65a.

semplice e modesta, un’interpretazione più mistica della “sessione” di Cristo nel


regno... Forse lo stabilirsi di Cristo sul trono della sua gloria consiste nel suo
ristabilirsi nel regno, dopo aver ricevuto la sua autorità, dopo aver ridotto al
nulla il peccato che regna...» (CMt 16, 4.5: III, 26.28s.); la metodologia del con­
ferre fa uscire da una considerazione “bassa e fabulosa” e attinge l’analogia della
fede (abbiamo ricordato al riguardo uno sviluppo di de Lubac: cf. CMtS 1 1 0 ,
nota 77: II, pp. 161-162). Il testo di Matteo sottolinea che al sommo sacerdote
Gesù dice un amodo, cui corrisponde in Luca un ex hoc. quando e dove colloca­
re questo sguardo da ora, per cui la stabile fermezza del regno appare ai nemici
come ai beati? L ’amodo indica certo la vittoria pasquale di Cristo, compimento
della economia salvifica, e insieme attraversa il tempo - a constitutione mundi
usque ad consummationem - come un giorno solo: escatologia realizzata ed esca­
tologia da compiersi esprimono l’unità del disegno salvifico; discriminante è la
fede che convoca sia i discepoli che Caifa in quell’istante di decisione di fronte
alla presenza del Figlio dell’uomo «in azione nel mondo degli uomini» e al suo
posto «nel mondo di Dio» (cf. Guillet, pp. 630). Ricordiamo il testo di Orat 25,
1-3, che commenta la petizione del Padre nostro·. Venga il tuo regno, come un
«metterci in cammino» per «spianare la via» a «Colui che è perfetto di scienza e
di sapienza», «pregando incessantemente» con la «disposizione ispirata dal
Verbo» (ibid., p. 122; cf. Perrone 2002b, pp. 280s.).
(81) Quae sunt autem nubes... Vivae nubes prophetae Dei et apostoli Ch
«Considerami... la nube spirituale. Mosè era una nube, Gesù figlio di Nave era
una nube... Geremia era una nube, Baruc era una nube... Se puoi, raccogli dalle
C O M M EN TO A M A TTEO , 111-112 169

Ed egli profetizzava non soltanto che costoro l’avrebbero visto se­


dere, ma che l’avrebbero visto anche venire (come dice Matteo) sulle
nubi del cielo. Che realtà poi sono quelle nuvole sulle quali verrà colui
che è fondato alla destra della virtù, o con le quali verrà, o alle quali si
estende la verità di Dio, secondo il testo della Scrittura: e la tua verità
sino alle nubi? Queste nubi vive sono i profeti di Dio e gli apostoli di
Cristo (81), ai quali dà ordini di piovere, se ci sarà bisogno, o di non
piovere, sulla vigna che non dà frutti. Ma se uno si rifiuta [di ammette­
re] che siano di questo genere le nubi sulle quali o in compagnia delle
quali verrà quando apparirà il Figlio dell’uomo, tocca a lui saperlo [di­
re]. Il Figlio dell’uomo non fa che venire continuamente su di esse e
con esse indicando la sua venuta a coloro che sono degni di lui, Dio
Verbo, sapienza, verità e giustizia. Mentre queste nubi che abbiamo
spiegato, in quanto portano l’immagine dello spirituale, appartengono
al cielo che non passa, rese degne della sede di Dio e del regno di Dio,
come eredi di Dio e coeredi di Cristo e regnano con lui.

112. Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: Ha


stemmiato.
Mentre il Signore pronunciava queste profezie, quel sacerdote ne­
mico del Signore, come se non fosse stato vicino a vedere il Figlio del­
l’uomo e la potenza alla cui destra era seduto, come se fosse inchinato
e incapace di guardare in alto, non udendo quel che diceva, si stracciò
le vesti,

Scritture in che modo viene il lampo: anche nel Nuovo Testamento Paolo e
Silvano erano due nubi; si sono congiunte, è nato il lampo dell’Epistola» (Hler
8 ,5 , p. 109); Origene ha già ricordato che dalle Scritture profetiche ed apostoli­
che cade la pioggia della parola di Dio sulla terra, brilla la rivelazione che illumi­
na cottidie i credenti e la Chiesa nel suo insieme (cf. CMtS 5 0 :1, nota 141, pp.
320-323; Sgherri 1982, pp. 130s.). L’intendere le nubi in questo significato pre­
valentemente traslato e spirituale non porta a disprezzare chi intenda il quadro
della parusia in senso più esteriore (cf. lo sviluppo nella Series 50), ma
all’Alessandrino preme sottolineare che come il Cristo è l’unità delle denomina­
zioni - έπίνοιαι - che lo esprimono - verbum, sapientia, veritas, iustitia -, così le
nubi che lo portano e lo porteranno fanno parte di un cielo che non passa (cf. de
Lubac 1985, p. 219; Vogt 1974, p. 17); nota Bendinelli che è indubbia in questi
passaggi origeniani «una tendenza fortemente deescatologizzante, o meglio, una
escatologia realizzata» che costituisce la «interpretazione privilegiata» dell’an­
nuncio sulle cose ultime nella Chiesa (cf. supra, Introduzione, pp. 22s.). La nostra
Series riporta anche al FrCt 26, in cui si nota come Giovanni Battista segni il ces­
sare della pioggia - parola della Legge e dei profeti: la Legge e i profeti fino a
Giovanni - di fronte alla επιδημία del Cristo, per cui i fiori appaiono sulla terra
(cf. Barbàra, pp. 36.161).
170 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 112

ostendens turpitudinem [Π 317, 4] δεικνύς αύτσΰ


suam et nuditatem animae suae τήν άσχημοσΰνην (την γΰμ-
et mysterium manifestans, con- νωσιν τής ψυχής) καί σΰμβολον
scindendum esse sacerdotium τού διερρήχθαι τής παλαιός
vetus et stolam sacerdotii eius άρχιερωσύνης τό ένδυμα.
et culturae, quae secundum litteram fuerat.
Blasphemiam autem arbitratus est esse magnitudinem verborum
Christi, et gloriam aestimavit Iudaicam et fabulosam historiam litterae
occidentis. Et putabat (quasi intellegens) Christi sermones sufficientes
esse ad testimonium contra ipsum, qui testes erant divinitatis ipsius
(quantum ad eos qui intellegere possunt), et dicit ad eos, qui eadem sa­
piebant: Ecce nunc audistis blasphemiam eius; quid vobis videtur, donec
respondentes et ipsi adversus animam suam pronuntient de Iesu, quo­
niam reus est mortis. Quantum putas fuit erroris, ipsam principalem
omnium vitam ream mortis pronuntiare et tantorum resurgentium te-
234 stimonio non aspicere fontem vitae, de quo in omnes viventes vita flue­
bat, quoniam sicut pater vitam habet in se, sic et filio dedit vitam habe­
re in semetipso 362P

362 io. 5,26.


(82) Sacerdos ille quasi non propinquus... quasi inclinatus...
audiens... ostendens nuditatem animae suae. L’immagine della donna curva,
che non può alzare in alto lo sguardo (cf. Lc 13, 11), esprime la situazione del
sacerdozio antico nelle sue impotenze; esso potrebbe invocare con parole in
cui si riconoscerà più tardi l’anima credente: Domine, incurvatus non possum
nisi deorsum aspicere; erige me, ut possim sursum intendere (Anseimo di Aosta,
Proslogion 1), ma il sommo sacerdote non lo fa, e si straccia le vesti, mentre il
divieto di Lv 21, 10 non consentiva a chi era investito della funzione suprema
del culto manifestazioni di disperazione e lutto, segno della nudità iniziale del­
l’uomo. «Tale gesto crea una scissione all’interno della comunità di Israele, che
si divide in quanti credono a Gesù e quanti non gli prestano fede, scissione che
sembra trovare un corrispondente nella scissione del velo del tempio» (Noce
2002, p. 25); la parola di Gesù sulla gloria trascendente del Figlio dell’uomo
non ha rilevanza giuridica in senso stretto, e Origene non prolunga il commen­
to su quell’annuncio che tale risulta solo a chi ne ha l’intelligenza; non è esclu­
so che i dottori giudaici, ogni tanto consultati da Origene, gli abbiano spiega­
to che il testo non poteva di fatto essere assunto come parola blasfema contro
Dio (cf. Bammel in Orig. VI, p. 554). Stracciandosi le vesti, il sommo sacerdo­
te indica la fine del culto giudaico secondo la lettera (cf. de Lubac 1985, p.
136); se tutti gli eventi della vita del Cristo hanno valore di segno, particolar­
mente lo hanno gli eventi della passione (cf. Sgherri 1982, pp. 8 6 s.; Crouzel
1961, p. 281; si veda anche CMtS 105, nota 71: II, pp. 152-153; Vogt 1999c);
in un’omelia coeva, convogliando le considerazione all’unicità del sacerdozio
del Cristo, Origene vedrà espresso nelle vesti intatte di lui il mistero della sua
divina purezza (cf. HLv 12, 3; Navascués, p. 120).
C O M M EN TO A M A TTEO , 112 171

mostrando la sua vergogna mostrando la sua vergogna


e la nudità del suo ànimo (82) e (la nudità dell’anima), ed il sim­
rivelando un mistero, che cioè si bolo del lacerarsi della veste del­
sarebbe lacerato il vecchio sacer­ l’antico sommo sacerdozio.
dozio, con la veste del suo sacer­
dozio

e del culto praticato secondo la lettera.


Ritenne infatti essere bestemmia la grandiosità delle parole di Cri­
sto e stimò essere gloria la storia giudaica e mitica, storia della lettera
che uccide. Inoltre pensava (quasi che capisse) che bastassero a testi­
moniare contro di lui quelle parole di Cristo che in realtà erano testi­
moni della sua divinità (quanto a coloro che sono in grado di capirle) e
rivolto a quelli che la pensavano come lui, dice: Ecco, adesso avete udi­
to la sua bestemmia; che ve ne pare? Fino a che quelli, rispondendo con­
tro la loro stessa anima, proclameranno riguardo a Gesù: È reo di mor­
te. Quanto grande pensi tu fosse l’errore di dichiarare rea di morte la
stessa vita, principio di tutte le vite e pur con la testimonianza di tanti
che risorgevano non contemplare la fonte della vita (83), fonte dalla
quale scaturiva la vita in tutti i viventi, giacché come il Padre ha la vita
in sé, così ha dato al Figlio di avere la vita in lui stesso?

(83) Quantum fuit erroris non aspicere fontem vitae. Il periodo svol
poche frasi incalzanti, con ricchezza percepibile dalla traduzione stessa, il tema
del Cristo-Vita; nel momento in cui paradossalmente la fonte della vita è giudi­
cata rea di morte riemerge uno sviluppo della confessione di Cesarea, quando
Pietro aveva riconosciuto nel Cristo il Figlio del Dio vivente (cf. Mt 16, 16):
«Vita, come da sorgente di vita, che è il Padre, è colui che ha detto: Io sono la
vita (Gv 14, 6 )» e il testo ribadiva il rapporto: «Come la sorgente di un fiume non
si identifica col fiume, così la sorgente della vita non si identifica con la vita...
Occorreva (che) nell’affermazione sul Dio e Padre di tutte le cose si precisasse
questo aspetto, in quanto il Figlio vive vicino alla Vita-in-sé e agli esseri che ne
partecipano» (CMt 12, 9: I, pp. 290s.). La Series chiama il Figlio fons vitae (cf.
Gv 4, 14); come nota Bendinelli: «La predicazione epinoetica (del Verbo
Sapienza, Via, Verità e Vita) consente di riaffermare la sua divinità, la figliolanza
eterna, la superiorità rispetto a tutte le creature, secondo le parole della
Scrittura, la sessione eterna alla destra del Padre (ovviamente intesa in senso spi­
rituale), come pure la coscienza piena, divino-umana, che il Cristo ha di se stes­
so», affermazioni tutte «di grande rilevanza teologica che però non impediscono
a Origene di riconfermare il principio per il quale il Figlio eterno è detto il
secondo Dio in relazione al Padre, riconosciuto come suo capo e Signore; supe­
riorità ribadita anche nell’asserzione che il Cristo, portata a compimento l’eco­
nomia della passione, trova conforto e riposo nel Padre, definito come seno e
grembo suo» (cf. supra, Introduzione, p. 18; Simonetti 2000b; Id. 1993a; Rius-
Camps in Orig. IV ; si veda Fédou, pp. 271-310, che conclude: «Quello che in un
primo tempo si dà a leggere come “inferiorità” del Figlio designa di fatto, secon­
do i casi, il mistero del Verbo che si è fatto carne o il mistero di Dio che da tutta
l’eternità si comunica al Figlio... Il Figlio eternamente generato non è altro che
la Sapienza dell’Altissimo, essa stessa mediatrice fra Dio e il mondo»).
172 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 113

113. Tunc expuerunt in faciem eius et colaphis eum ceciderunt.


autem palmas in faciem ei dederunt dicentes: Prophetiza nobis, Christe,
quis est qui te percussit? 363.
Pessime, sicut arbitror, illi qui audierunt dicentem lesum: Tamen
dico vobis, quoniam amodo, videbitis filium hominis sedentem a dextris
virtutis et venientem in nubibus caeli 3é4, ausi sunt expuere in faciem
eius. Arbitrabantur enim in eo, quod confunderent eum mentientem et
quia non sustineret expuitionis opprobrium, qui sedebat ad dextram
virtutis et venturus erat in nubibus, quoniam ignorabant sermones Esa-
iae prophetae haec eadem prophetantis de eo et dicentis ex persona
ipsius Domini salvatoris: Quid quoniam veni, et non erat homo? Voca­
vi, et non erat qui oboediret? Numquid non valet manus mea eruere?
Aut non possum eripere? Ecce increpatione mea desertum faciam mare,
et ponam flumina deserta, et siccabuntur pisces eorum ex eo quod non ha­
bent aquam, et morientur in siti. Et induam caelum tenebris, et sicut sac­
cum amictum eius. Dominus dat mihi linguam doctrinae, ut sciam quo­
modo me oporteat dicere verbum; posuit me mane, adposuit mihi aurem
ad audiendum, et doctrina Domini aperiet aures meas, ego autem non
sum incredulus neque contradico. Dorsum meum praebui ad flagella, et
maxillas meas ad palmas, faciem autem meam non averti a confusione
sputamentorum, et Dominus Deus factus est adiutor meus 365. Omnes
enim, qui sunt ab ecclesia, confitentur Christum esse, qui dicit: Domi­
nus Dominus dedit mihi linguam doctrinae et cetera quae exposui.
Ego autem convenienter et ea, quae superius his erant coniuncta
exposui, volens ostendere de illo glorioso esse hoc prophetatum, ut
expuatur et colaphizetur. Cui autem alii convenit dicere: Veni, nisi
235 Christo qui venit in mundum? Aut quem decebat dicere: Vocavi, et
non erat qui oboediret, nisi eum, qui venit ad vocandum populum Iu­
daeorum et non est auditus et ideo non eruit populum neque eripuit
eum, sed dereliquit? Christus est autem, qui dicit: Ecce increpatione

363 Mt. 26, 67.68. 364 Mt. 26, 64. ^ Is. 50,2-7.

(84) Omnes qui sunt ab Ecclesia confitentur Christum esse qui d


Dominus dedit mihi linguam doctrinae. La lettura cristologica del testo di Isaia fa
risaltare già nel profeta la gloria della passione di Cristo: il mistero non è razio­
nalizzato, ma annunciato; poiché il legno della croce rende dolce l’acqua amara
della profezia che lo mostrava (cf. HEx 7, 3), la Pasqua, come pienezza del
Vangelo temporale, anticipa ed è tutt’uno con lo splendore escatologico (cf.
Crouzel 1961, pp. 295.346). «In senso più semplice, lo stesso Gesù, come padro­
ne di casa, può estrarre dal suo tesoro sia cose nuove, cioè l’insegnamento evan­
gelico, sia cose vecchie, cioè il confronto con i testi desunti dalla Legge e dai pro­
feti, di cui si possono trovare esempi - παραδείγματα, testimonianze - nei
Vangeli» (CMt 10, 15: I, p. 125; cf. Rigolot in Orig. VI, pp. 382.387.390); nel
testo di Isaia, di fronte al non ascolto del popolo (cf. Is 50, 1-3) si pone in con­
tinuità l’obbedienza del Servo (cf. Is 50, 4-7); di fronte al Dio che viene e non
trova risposta, il Servo rappresenta «non colui che riceve la redenzione di Dio
C O M M EN TO A M A TTEO , 113 173

113. Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri in


gli diedero ceffoni sul volto dicendo: Facci da profeta, o Cristo: chi è che
ti ha percosso?
Coloro che avevano sentito Gesù che diceva: Anzi vi dico: D’ora
innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza e ve­
nire sulle nubi del cielo, osarono - così ritengo - un gesto estremamen­
te perfido nello sputargli in faccia. Essi infatti ritenevano di metterlo al­
la berlina perché non indovinava e non resisteva all’oltraggio degli spu­
ti, lui che si sarebbe seduto alla destra della potenza e sarebbe venuto
sulle nubi, in quanto ignoravano gli oracoli del profeta Isaia, il quale
pronunciava queste stesse profezie sul suo conto e rappresentando la
persona dello stesso Signore salvatore chiedeva: Per quale motivo sono
venuto e non c’era alcun uomo, ho chiamato e nessuno obbedisce? Forse
la mia mano non è in grado di salvare, oppure io non ho la forza per li­
berare? Ecco, col mio rimprovero farò prosciugare il mare, e dei fiumi fa­
rò un deserto. I loro pesci non avendo più acqua resteranno all’asciutto,
e moriranno di sete. Rivestirò i cieli di tenebre, e sarà un sacco il loro
mantello, il Signore mi darà una lingua di dottrina, perché io sappia qua­
le parola io debba dire. Di mattina mi ha fatto sorgere, mi ha dato un
orecchio per ascoltare. Linsegnamento del Signore mi aprirà gli orecchi,
ma io non sono incredulo e non mi oppongo. Ho presentato il mio dorso
ai flagelli, le mie guance agli schiaffi; non ho sottratto la mia faccia dal­
l’insulto degli sputi. Il Signore Dio è venuto in mio aiuto. Tutti coloro
che appartengono alla Chiesa, infatti, professano essere il Cristo colui
che dice: Il Signore Dio mi ha dato una lingua da dottrina (84), con tut­
to il testo che segue da me citato.
Io però ho riportato opportunamente anche il contesto che prece­
de il nostro passo, volendo mostrare che di colui che è glorificato si
profetizza che sarà oggetto di sputi e schiaffi. Ora, a chi altri si addico­
no le parole: Sono venuto, se non al Cristo che è venuto nel mondo?
Oppure a chi si addiceva dire: (per quale motivo) ho chiamato e nessu­
no obbedisce, se non a chi è venuto a chiamare il popolo dei giudei e
non è stato ascoltato, per cui non ha né salvato né liberato il popolo,
ma lo ha abbandonato? A dire poi: Ecco, col mio rimprovero farò pro-

riguardo al suo popolo, ma l’agente di essa» (Oswalt 1998, p. 323). Traluce nella
sofferenza e nell’ignominia che segna l’umanità del Servo Gesù, la nobiltà del
Dio che si dona; la risurrezione brilla nella morte: «Anche i cristiani più sempli­
ci. .. si rifiuterebbero di dire che la Verità, o la Vita, o la Via, o il Pane vivente...
o la Risurrezione, siano soggetti alla morte... In quanto uomo, più adornato di
ogni altro della sublime partecipazione al Verbo verace... egli ha sopportato,
come perfetto sapiente, ciò che doveva sopportare colui che aveva il potere di
compiere tutto, per il vantaggio di tutta la stirpe degli uomini» (CC 7, 16.17, pp.
595.596s.; cf. Simonetti 1998b, pp. 107s.).
174 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 113

mea desertum faciam mare, et ponam flumina deserta, qui consumma­


tionem facturus est mundi. Ipse est enim qui caelum induet tenebras
et induet eum velut saccum, et accipiens a patre linguam doctrinae
sciebat quomodo oporteat dicere verbum quod commiserat ei Deus; et
adposuit ei aurem, ut amplius audiat audientibus cunctis, et doctrina
patris aperuit ei aurem, quia non fuit incredulus patri mittenti se ne­
que contradicens, et opere ipso docuit discere cupientes mansuetudi­
nem laudabilemque humilitatem. Opus autem erat in eo, quod factis
ista docebat, dorsum suum exhibens ad flagella et maxillas ad palmas
et faciem non avertens a confusione sputamentorum, ut nos (sicut ar­
bitror) qui digni fueramus omnes has infamias pati, erueret ipse pro
nobis patiens eas. Non enim mortuus est pro nobis, ut non moriamur,
sed ut pro nobis non moriamur; et alapis caesus est pro nobis et ex-
putus est, ut ne nos qui digni fueramus omnibus his propter nostra
peccata patiamur ea, sed ut pro iustitia patientes ea gratanter excipia­
mus. Et Paulus quidem dicit de salvatore, quoniam humiliavit se fa ­
ctus oboediens usque ad mortem, mòrtem autem crucis 366. Non enim
est indecorum ei, qui vult numerare in quantis se Christus humiliavit,
ut dinumeret (extra ea, quae Paulus exposuit dicens: Humiliavit se
factus oboediens <usque ad mortem>)\ usque ad palmas, usque ad con­
fusionem sputamentorum et flagellorum et mortis, propter quae omnia
exaltavit eum Deus 367. Nec enim propter mortem solam quam pertu­
lit propter nos exaltavit eum, sed etiam propter palmas et sputamen­
ta et cetera.
Quoniam autem ad extremam iniuriam accipitur sputamentorum
iniuria, manifestum est etiam in lege, in qua scriptum est ut mulier defun­
cti, si noluerit frater viri eius accipere eam, accedens ad eum qui noluit
eam accipere sibi uxorem, coram senioribus excalciabit calciamentum
eius unum ex pedibus et expuet in faciem eius et dicet: Sic facient homini
236 qui non aedificaverit domum fratris su i 3é8. Non ergo avertit faciem suam
Christus a confusione sputamentorum, ut magis glorificetur vultus eius,
quam fuit vultus Moysi glorificatus 369, tanta et tali gloria ut (conparatio-
ne glorificationis istius) vultus illius glorificatio destruatur, sicut in con­
spectu solis lumen lucernae destruitur et sicut scientia, quae ex parte est,
destruitur cum venerit quod perfectum est 370. Sed et colaphis ceciderunt
sanctum ecclesiae caput, propter quod ipsi colaphizantur a satana, non ut
non extollantur neque ut virtus eorum perficiatur, sed ut traditi inimico
et vindici recipiant, quod fecerunt peccatum colaphizantes lesum. Et non

566 Phil. 2 , 8 . 367 Phil. 2 , 9. 368 Deut. 2 5 ,7ss. 369 Cf. 2 Cor. 3,
7ss. 37° Cf. 1 Cor. 13, 10.

(85) Opere ipso docuit... pro nobis patiens. «Io per te ho sostenuto la
bia delle tempeste, ho sopportato i flutti che erano dovuti a te; la mia anima è
divenuta per te triste fino alla morte... Risorgendo dai morti, ho sedato la tem­
pesta. ..» (HCt 2 , 1 2 , p. 90); il maestro di Scrittura Origene è cristiano che com-
C O M M EN TO A M ATTEO , 113 175

sciugare il mare, e dei fiumi farò deserti, è il Cristo che verrà a realizza­
re la fine del mondo; è lui che rivestirà i cieli di tenebre, come di un sac­
co e ricevendo dal Padre una lingua di dottrina sapeva come doveva di­
re la parola che Dio gli aveva affidato; e gli aggiunse un orecchio perché
udisse più di tutti gli altri che ascoltavano e l’insegnamento del Padre
gli aprì l’orecchio: ché non fu incredulo verso il Padre che lo aveva in­
viato né gli fece opposizione, ma con la sua stessa azione insegnò a
quelli che lo desideravano ad apprendere la mitezza e l’umiltà degna di
lode. In lui poi c’era [un modo di] agire che queste cose le insegnava
in pratica, presentando il dorso ai flagelli e le guance agli schiaffi, non
sottraendo la faccia all’oltraggio degli sputi, per liberare noi (come ri­
tengo) che saremmo stati meritevoli di soffrire questi obbrobri, aven­
doli lui sopportati al posto nostro (85). Infatti non è morto per noi per­
ché noi non moriamo, bensì perché non moriamo per noi stessi; ed è
stato schiaffeggiato e coperto di sputi per noi, perché noi, che avrem­
mo meritato tutto questo, non avessimo a subirlo a causa dei nostri
peccati, ma perché, quando lo subiamo a titolo di giustizia, lo accoglia­
mo con animo lieto. Anche Paolo, appunto, riguardo al nostro Salvato­
re dice: Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla
morte di croce. Non è infatti disdicevole, per chi voglia passare in ras­
segna in quante cose Cristo si è umiliato (oltre ciò che ha riferito Pao­
lo dicendo: Umiliò se stesso, facendosi obbediente), prolungare ancora
fino agli schiaffi, fino all’insulto degli sputi, ai flagelli, e alla morte; e per
tutte queste cose, Dio lo ha esaltato. Non lo ha esaltato infatti soltanto
a motivo della morte sofferta per noi, ma anche a motivo degli schiaf­
fi, degli sputi e di tutto il resto.
E che l’ingiuria degli sputi sia ritenuta offesa estrema, risulta chia­
ro anche nella Legge. In essa sta scritto che una vedova, nel caso che il
cognato si rifiuti di prenderla in moglie, si avvicini a lui che non ha vo­
luto sposare, e in presenza degli anziani, gli tolga il sandalo dal piede e
gli sputi in faccia, e gli dica: così sarà fatto all’uomo che non ha ricostrui­
to la casa del fratello. Ma il Cristo non sottrasse la faccia dall’insulto de­
gli sputi, perché il suo volto venisse glorificato maggiormente di quan­
to lo fu il volto di Mosè, con tanta e tale gloria che (in confronto alla
sua) la glorificazione del volto di Mosè scompare, così come avviene
con la luce della lucerna al cospetto del sole e così come viene meno la
scienza che è parziale, quando giungerà ciò che è perfetto. Ma anche con
schiaffi hanno colpito il capo santo della Chiesa, per questo essi stessi
sono schiaffeggiati da satana, non già perché non montino in superbia
e si manifesti la loro potenza, bensì perché, consegnati al nemico e ven­
dicatore, scontino il peccato commesso nello schiaffeggiare Gesù. E

patisce le sofferenze e le umiliazioni della passione di Cristo, evocate con reali­


smo e pur trascese per la fede nel piano redentivo: «Fino ad oggi Gesù non ha
volto indietro il suo viso dall’onta degli sputi·, chi di coloro che disprezzano la sua
dottrina non è come se ancor oggi sputasse su Gesù che sopporta?» (Hler 19,
176 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 113-114

contenti tantummodo expuere in faciem eius et colaphis eum caedere,


adhuc et palmis eum ceciderunt et deludentes dixerunt: Prophetiza nobis,
quis te percussit? Propter quod receperunt alapam aeternam, et ab omni
prophetia privati sunt, percussi et castigati, et nec sic volentes suscipere
disciplinam, secundum quod prophetaverat hoc ipsum de eis Hieremias:
Flagellasti eos et non doluerunt, et noluerunt suscipere disciplinam 371. Et
nunc qui iniuriant unum aliquem de ecclesia et faciunt ei haec, in faciem
expuunt Christi et Christum colaphis caedentes castigant et palmis.

114. Petrus vero sedebat foris in atrio; et accessit ad eum una e


cillis dicens: Et tu eras cum Iesu Galilaeo. At ille negavit coram omnibus
dicens: Nescio quid dicis. Exeunte autem illo ianuam vidit illum alia an­
cilla et ait ei ibi: Et hic erat cum Iesu Nazareno. Et iterum negavit cum
iuramento, quia non novi hominem. Post pusillum autem accedentes, qui
stabant, dixerunt Petro: Vere ex illis es tu, etenim loquela tua manife­
stum te facit. Tunc coepit devotare et turare, quia nescio hominem. Et
continuo gallus cantavit. Et rememoratus est Petrus verbi Iesu dicentis ei:
Quia priusquam gallus cantet, ter me negabis; et egressus foras amarissi­
me ploravit 372.
Abundantius considerantes Petri negationem dicimus,
quoniam nemo potest dicere [Π 318, 7] εί δε μηδείς δύνα-
Dominum lesum, nisi in Spiritu ται ε’ιπεΐν «κύριον Ίησοΰν, εί μή
Sancto (sicut Paulus nos docet 373) έν πνεύματι άγίω»375, «ούπω» δε
237 et nondum erat tunc in hominibus «η ν πνεύμα άγιον, δτι Ιησούς
Spiritus Sanctus quoniam Iesus ούδέπω έδοξάσθη» 376, ούχ οΐόν
nondum fuerat honorificatus (sicut τε ήν ούδε Πέτρον όμολογήσαι,
dicit Iohannes 374), propterea non διό ούδε έγκαλεΐται·
erat possibile neque illum talem
Petrum tunc lesum confiteri.

371Cf. 2 Cor. 12 , 7.9. 372 Ier. 5, 3 . 373 1 Cor. 12 , 3 . 374 Io. 7,


39. 375 1 Cor. 12,3. 376 Io. 7, 39.

12, p. 245; cf. de Lubac 1985, pp. 72. 229). Commentando l’espressione dei
Levitico: Se un uomo fra voi fa un’offerta, offrirà in olocausto un vitello immaco­
lato dai buoi (cf. Lv 1, 2.3), Origene ricorda la parabola del figliol prodigo in Lc
15: «In questo passo ritengo che quello che ha chiamato uomo.. . sia da intender­
si come tutto il genere umano... Considera poi se questo vitello immacolato non
sia quel vitello grasso che il Padre ammazzò per il figlio che era ritornato e gli era
stato restituito, ...che era perduto e fu ritrovato (cf. Lc 15, 27.32» (HLv 1 , 2 , p.
36): la «creatura razionale non ha più nihil propriae substantiae, è ormai aliena­
ta dal fondamento divino dell’essere. Grazie al sacrificio del vitello grasso
(Cristo), l’unico homo è però richiamato indietro dal Padre» (Lettieri 2003, p.
31). Il pro nobis patiens fa sostare l’Alessandrino sulla carica d’amore portata nel
mondo dal sacrificio e dalla riconciliazione della croce: «Se i racconti tramanda­
tici dai greci [sugli eroi delle pestilenze] non sono vani, e se sono esatte le cose
che si dicono sui martiri... e sugli apostoli..., che cosa dobbiamo pensare e in
C O M M E N TO A M ATTEO , 113-114 177

non contenti di sputargli in faccia e di colpirlo con schiaffi soltanto, pre­


sero anche a dargli ceffoni e nel prendersi gioco di lui gli chiesero: Fac­
ci da profeta: chi ti ha percosso? Ecco perché hanno ricevuto uno schiaf­
fo per sempre, e sono stati privati di ogni profezia (86), percossi e pu­
niti, e si sono rifiutati di accogliere la correzione, secondo la stessa pro­
fezia che Geremia aveva detto a loro riguardo: L i ha colpiti con flagelli,
e non hanno mostrato dolore, e rifiutarono di accogliere la correzione.
Anche adesso, coloro che offendono una sola persona della Chiesa, e
commettono tali cose verso di essa, è al Cristo che sputano in faccia, è
il Cristo che vilipendono colpendolo con schiaffi e ceffoni.

114. Pietro intanto era seduto fuori, nell’atrio. Una serva gli si
cinò dicendo: Anche tu eri con Gesù, il Galileo. Ma egli negò davanti a
tutti: Non so che cosa dici. Mentre usciva verso la porta, lo vide un’altra
serva e gli disse proprio lì: Costui era con Gesù il Nazareno. Ma egli ne­
gò di nuovo giurando: Non conosco quell’uomo. Dopo un poco, i presen­
ti si avvicinarono e dissero a Pietro: Veramente anche tu sei di quelli, di­
fatti la tua parlata ti tradisce. Allora egli cominciò ad imprecare e a giu­
rare: Non conosco quell’uomo. E subito un gallo cantò. E Pietro si ricor­
dò della parola di Gesù: Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre vol­
te. E uscito fuori, pianse molto amaramente.
In una considerazione più ampia della negazione di Pietro,
diciamo che nessuno può di­ ma se nessuno può dire: Ge­
re: Cristo è il Signore se non nello sù Signore se non nello Spirito
Spirito Santo (come ci insegna Santo e non c’era ancora lo Spiri­
Paolo), e tra gli uomini allora non to Santo, perché Gesù non era
c’era ancora lo Spirito Santo per­ stato ancora glorificato, non era
ché Gesù non era stato ancora glo­ possibile che Pietro confessasse,
rificato (come dice Giovanni), ec­ per cui non è neppure da biasi­
co perché non era possibile che mare;
Pietro in quella situazione con­
fessasse Gesù.

qual misura intorno all’agnello di Dio, che si è sacrificato per prender su di sé il


peccato non di pochi ma del mondo intero...?» (Ciò 6 , 284, p. 371; cf. Studef
2000a, pp. 104s.; Bostock in Orig. VII, p. 390).
(8 6 ) Receperunt alapam aeternam... ab omni prophetia privati. La pag
Isaia assume, alla luce dell’evento-Cristo, nuova autorità e gloria (cf. Wallraff);
non accogliendo la voce profetica Israele è privato di quel lume e come colpito
da uno schiaffo eterno·, le espressioni hanno un suono duro - colaphizantur a sata­
na. .. traditi inimico et vindici... percussi et castigati - e ricordano il passaggio del
Commento a Matteo sulla morte del Battista: «Il capo della profezia i giudei non
ce l’hanno più, avendo rinnegato Cristo Gesù, il punto capitale di ogni profe­
zia. .. Non credendo a lui, non credono neanche ai profeti, e imprigionando la
parola profetica la mutilano; hanno questa parola morta, mutilata, senza alcuna
parte sana, perché non la comprendono» (CMt 10, 2 2 : 1, pp. 157s.). Qual signi­
ficato dare in questo contesto all’espressione aeternus? In armonia con il pensie-
178 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 114

Nec tamen erat reprehen­ προς γοΰν τούς όμολογούν-


dendus non confitens lesum, τας λέγει ό σωτήρ· «ούχ ύμεΐς
quoniam ad confitentes dicitur: έστε οί λαλούντες, άλλα τό
Non estis vos qui loquimini, sed πνεύμα τού θεού τό λαλούν έν
spiritus patris vestri qui loquitur ύ μ ΐν »378.
in vobis 377.
Nos autem, cum sit potens spiritus ille patris nostri loqui in nobis
et cum in nostra sit potestate «locum» dare in nobis Spiritui Sancto et
non diabolo 379, si denegaverimus, excusationem nullam habebimus.
Forsitan autem et
quicumque est in atrio Cai­ [Π 318, 3] έν δε τή αυλή τού
phae principis sacerdotum, non άποκτιννύντος γράμματος έτι
potest confiteri Dominum le ­ ών 381 καί έν Ίουδαϊκαΐς παρα-
sum, nisi fuerit egressus ex atrio δόσεσι καί έντάλμασι καί διδα-
eius et foris fuerit factus ab omni σκαλίαις ανθρώπων 382 ούχ ομο­
doctrina contraria Iesu et Iudai- λογεί Χριστόν.
cas tradente traditiones, et non
secundum voluntates Scriptura­
rum, sed secundum mandata ho­
minum et doctrinas 380.
Considera enim, quoniam
Petrus foris sedens, ab Iesu segre­
gatus et in atrio principis constitu­
tus, coram omnibus lesum dene­ [Π 318, 13] τήρει δε δτι ή
gavit, et iterum vice secunda simi­ δεύτερα άρνησις ούκ εξω τού
liter non extra ianuam foris factus, πυλώνος, άλλ’ έν αύτψ.
sed volens exire nondum autem
egressus ianuam denegavit,
238 sed et tertia vice, quando qui stabant dixerunt. Vere ex illis es et quan­
do coepit se devotare et iurare, quia nescio hominem 383, adhuc non erat
foris.

377 Mt. 1 0 ,20. 378 Ibid. 379 Cf. Eph. 4,27. 380 Cf. Mc. 7 ,7 par.
381 Cf. 2 Cor. 3, 6 . 382 Cf. Mc. 7 ,7 par. 383 Mt. 26,73.

ro origeniano la intenderemmo nel senso di eone - settimana del mondo: per gli
επτά ημέρας di Nm 1 2 , 14s., l’esegeta stabilisce un rapporto fra Maria lebbrosa
e la Sinagoga non credente, riprendendo similmente Dt 25, 5ss.: «E a lei che suo
padre ha sputato in faccia... Maria sta separata fuori del campo per sette giorni;
... (essi) significano la settimana di questo mondo» (HNm 7, 4, pp. 92s.); la prova
di estradizione dura per 1’eone presente. «Nelle Scritture il concetto di eternità
talvolta è impiegato nel senso di qualcosa che non conosce fine, talvolta nel senso
di qualcosa che (ha fine nel secolo) futuro... (A volte come) durata di un qual­
che periodo o anche di una vita umana (o che) rivela il tempo del secolo presen­
te (o anche per) la vita eterna (che) non ha alcuna fine» (CRm 6 , 5 : 1, p. 317; cf.
Monaci Castagno 2000h su “Αιών come omonimo”, pp. 457s.). A conclusione
della Series è ripresa l’identificazione del Cristo con chi è colpito nella Chiesa,
C O M M EN TO A M A TTEO , 114 179

E tuttavia non era da biasi­ perché è proprio a quelli


mare per non aver confessato che confessano che Gesù dice:
Gesù, perché a coloro che lo
confessano è detto: Non siete voi
a parlare, ma è lo Spirito del Pa­ Non siete voi a parlare ma è
dre vostro che parla in voi. lo Spirito di Dio che parla in voi.

Quanto a noi, essendo potente quello Spirito del Padre nostro che
parla in noi, ed essendo noi in grado di dare spazio dentro di noi allo
Spirito Santo, e non al diavolo, non avremo alcuna scusa se rinneghe­
remo [il Signore] (87).
Ora, può darsi che
chiunque si trovi nell'atrio di essendo ancora nell’atrio
Caifa sommo sacerdote non può della lettera che uccide, e tra le
confessare che Gesù è il Signore, tradizioni giudaiche, i precetti e
a meno che non sia uscito dal suo gli insegnamenti di uomini, non
atrio e si sia messo fuori da ogni confessa il Cristo.
insegnamento contrario a Gesù,
insegnamento che trasmette tra­
dizioni giudaiche ed attinenti non
alle intenzioni delle Scritture, ma
a precetti e dottrine di uomini.
Considera infatti che Pietro, Osserva, poi, che il secondo
sedendo fuori, segregato da Ge­ rinnegamento è compiuto non
sù e trovandosi nell’atrio del fuori ma dentro la porta.
sommo [sacerdote], ha rinnega­
to Gesù davanti a tutti, e di nuo­
vo, la seconda volta, essendo
ugualmente non all’aperto, fuori
della porta, ma pur volendo an­
dare fuori, non era ancora uscito
dalla porta, lo rinnegò;

ma anche la terza volta, quando i presenti dissero: Veramente sei di


quelli, e quando cominciò a imprecare e giurare: Non conosco quell’uo­
mo, non era ancora fuori.

tema che riguarda poi il rapporto con l'uomo in quanto tale: «Quando tu... nel
giudicare o sei stato parziale nei riguardi di un potente, oppure hai occultato
degli elementi che sono veri per favorire un amico, non hai reso l’onore dovuto
né alla giustizia né alla verità...: e poiché Cristo è la giustizia e la santificazione
e la verità, tu sarai simile a quelli che schiaffeggiarono Cristo e gli sputarono in
faccia» (CRm 2 , 5 : 1, p. 65).
(87) Non erat possibile Petrum tunc lesum confiteri... Nos cum sit Sp
in nobis, si denegaverimus, excusationem nullam habebimus. Il dono dello Spirito
è discriminante per la confessione cristologica e la conseguente vita in Cristo;
senza l’infusione di forza dall’alto i discepoli, «anche se intendevano seguire il
ι 8ο CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 114

Et omnes denegationes fac­ [P 319, 1] αί ούν τρεις


tae sunt ei in nocte et in tenebris, αρνήσεις έν νυκτί καί πριν ε-
priusquam veniat dies et signum πιστήναι τό σημεΐον τής ήμέρας
diei, id est galli cantus qui susci­ τό διανιστάν έξ ύπνου πεφυκός.
tat volentes a somno. Et, ut ver­ τάχα δέ εί μεταλεκτοροφωνίαν
bi gratia dicam, si post galli can­ ήρνεΐτο, δτε λέγεται «ή νυξ προ-
tum Petrus negasset, ut dicere­ έκοψεν, ή δέ ήμέρα ήγγικεν» 385,
tur: Nox promovit, dies autem ad- ασύγγνωστος ην.
proprinquavit, sicut in die hone­
ste ambulemus 384, nulla excusa­
tione dignus fuisset Petrus.
Forsitan autem et omnes homines quando denegant lesum, ita ut
peccatum denegationis eorum recipiat medicinam, ante galli cantum
denegare eum videntur, nondum eis nato sole iustitiae 386 nec adpro-
pinquante eis ortu ipsius. Si autem post ortum huiusmodi solis ad ani­
mam volentes peccaverimus postquam accepimus scientiam veritatis, iam
non relinquitur nobis sacrificium pro peccato, sed terribile iudicium et ze­
lus ignis, qui comesturus est inimicos 387.

384 Rom. 13, 12.13. 385 Ibid. 386 Cf. Mal. 3, 20; Lc. 1, 78.
387 Heb. 10, 26ss.
Logos e confessarlo senza prender scandalo di lui, non erano ancora in grado di
farlo: Allora infatti non c'era ancora lo Spirito» (Ciò 32, 399, p. 809); la lavanda
compiuta da Gesù era «un insieme di gesti e di parole anticipatrici di qualcosa
che i discepoli avrebbero compreso solo in seguito, in quanto solo in seguito si
sarebbe realizzato nella verità» (Cocchini 2005; cf. Rius-Camps, p. 245; Sgherri
1982, p. 256). L’era dello Spirito si è aperta e sta ai credenti locum dare Spiritui
Sancto, uno spazio unitario, «giacché lo Spirito Santo non può sopportare parte­
cipazione e unione con lo spirito del male» (HNm 6 , 3, p. 78; cf. Simonetti
2000a, p. 456). Nell’atrio di Caifa Pietro non ha trovato la sua verità di discepo­
lo e apostolo; chi resta in tale αυλή - cortile della lettera che uccide, di precetti
e dottrine di uomini, come precisa il frammento greco - non confessa Cristo (cf.
Crouzel 1961, p. 281); l’abbandono di tale corte, vale ancora precisarlo, non
vuol dire distaccarsi dal ceppo d’Israele, perché, anche se «i rami infedeli» sono
stati amputati, non lo è stata «la radice dell’albero» (cf. HLc 23, 2; Sgherri 1982,
p. 360); implica invece l’immettersi pienamente nella voluntas Scripturarum, nel
pensiero che anima la Scrittura, nella redenzione che essa esprime (cf. de Lubac
1985, pp. 327s.; e CMtS 15, nota 42; CMtS 50, nota 138:1, pp. 160.314s.). Si può
ricordare, per questo tratto sul valore dell’opera dello Spirito, il giudizio di
Basilio che vede ben presente nelle pagine origeniane la παράδοσις - tradizione
scritturistica e patristica - sullo Spirito Santo, al di là di ogni limite, incertezza e
contraddizione, sempre possibili nei singoli credenti «anche eccelsi per intelli­
genza e acume teologico» (cf. Girardi in Orig. Vili, p. 1076).
(8 8 ) Homines quando denegant lesum ante galli cantum denegare eum v
tur. .. Si post ortum solis peccaverimus non relinquitur sacrificium pro peccato. «Chi
pecca avendo lo Spirito Santo presente nella sua anima, bestemmia con azioni e
parole peccaminose contro lo Spirito Santo presente» (Ciò 28, 125, p. 712);
Origene fa oggetto di riflessione la situazione dei cristiani che hanno ricevuto lo
C O M M EN TO A M ATTEO , 114 181

Inoltre tutti i rinnegamenti Dunque i tre rinnegamenti


sono avvenuti di notte e nelle te­ avvengono di notte e prima che
nebre, prima che spuntasse il spunti il segnale del giorno, per
giorno ed il suo segno, cioè il natura adatto a risvegliare dal
canto del gallo che risveglia dal sonno; ma forse, se avesse rinne­
sonno quelli che lo vogliono. E gato subito dopo il canto del gal­
se, per fare un caso, Pietro aves­ lo, quando si dice: La notte è
se negato dopo il canto del gallo, avanzata, e il giorno è vicino, sa­
sì da potersi dire: La notte è rebbe stato inescusabile.
avanzata, e il giorno è vicino,
comportiamoci onestamente come
di giorno, in tal caso Pietro non
avrebbe meritato alcuna scusa.
Ma forse tutti gli uomini, nel momento in cui negano Gesù, sì che
il peccato del loro rinnegamento abbia a ricevere rimedio, sembra che
lo neghino prima del canto del gallo, visto che non è nato ancora per
loro il sole di giustizia e neppure si sta avvicinando l’aurora. Se invece
dopo il sorgere di simile sole nell’anima pecchiamo volontariamente do­
po aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrifi­
cio per il peccato (88), ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la
vampa di un fuoco che divorerà i nemici.

Spirito Santo e di quanti si trovano al di fuori di questo dono, riprendendo i testi


di Eh 6 , 4-6 - sono diventati partecipi dello Spirito Santo - e 10, 29 ove si ricorda
lo Spirito della grazia·, «i peccati contro lo Spirito Santo presente nell’uomo posso­
no essere commessi soltanto dopo la morte del Cristo, da coloro che, grazie a que­
sta morte, hanno ricevuto lo Spirito nel Battesimo» (Rahner 1964, p. 701; cf.
Sgherri 1982, p. 61; de Lubac 1985, p. 322); nella Series il canto del gallo assurge
a simbolo della svolta pasquale, e il rinnegamento di Pietro sarebbe stato inescu­
sabile - ασύγγνωστος - dopo il signum diei. D ’altra parte l’impossibilità della
άφεσις, perdono connesso all’evento battesimale, dopo il segno del giorno non
implica che i peccati post-battesimali non potranno più essere cancellati; la Series
dirà ancora con le parole della Scrittura che proprio chi pecca post galli cantum
non deve dire: Quomodo vivemus?, perché è il Signore a dire: Nolo mortem pecca­
toris, sicut paenitentiam (rimandiamo per questi passi a Rahner 1964, pp. 702-719,
e Rius-Camps, pp. 37-44). La profondità delle intuizioni origeniane invita a tener­
ne presenti tutte le gamme: nel nostro passo è sottolineato il motivo pasquale della
santificazione nel sangue di Cristo - sanguis novi testamenti - (espressione vaglia­
ta da Buchinger Π, p. 327); quando troviamo testi nei quali si parla di infermità
incurabili, in apparente contraddizione con altri in cui si afferma la medicina sem­
pre vincitrice del medico divino, dobbiamo contestualizzarli nell’ampio sguardo
di fede in Gesù Cristo «venuto dai cieli per sanare l’insanabile - 'iva τά ανίατα
ίάσηται - » (Frlob su Gb 35, 6 : PG 12,1044; cf. Femàndez 1999, pp. 171-174). È
ancora Origene a connettere il battesimo della Chiesa al battesimo escatologico
che purificherà eternamente: «Quanto a me, che sono stato lavato una volta per
tutte, ho bisogno di quel battesimo del quale il Signore afferma: Ho un altro bat­
tesimo del quale devo essere battezzato (cf. Lc 12,50)» (HIs 5 , 2 , p. 113; cf. Perrone
2000e, pp. 347-349; Gramaglia 2000b, pp. 350s.).
l 82 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 114

Et in Petro quidem tunc de­ [Π 318, 12] τάχα δε καί


negante non conveniebat dicere:
Quomodo non putatis peiora me­
reri supplicia qui filium Dei con­
culcaverint et sanguinem testa­
menti communem aestimaverint,
unde santificati sunt, et spiritum
gratiae iniuriaverint? 388; non­
dum enim sanctificatus fuerat ο «το πνεύμα τής χαρι-
Petrus sanguine Christi (qui fue­ τος» 390 ένυβρίσας ούχ αρμόζει
rat sanguis novi testamenti) nec Πέτρψ· ού γάρ ην «πνεύμα».
iniuriavit Spiritum gratiae quem
239 a principio nec acceperat, quo­
niam lesum nondum fuerat hono­
rificatus, nec erat in hominibus
Spiritus Sanctus 389.
Si autem in nobis hoc impium fuerit factum denegationis pecca­
tum, omnia haec dicere convenit, quoniam et sanguine testamenti san-
ctificati sumus et spiritum gratiae suscepimus. Propterea «communem»
putare «sanguinem testamenti» pretiosissimum et inumare spiritum
gratiae omnibus peccatis deterius est, ita ut nec in hoc saeculo nec in fu­
turo 391 remissionem possimus accipere, si Dei filium denegemus.
Quoniam ergo nobis nox promovit, dies autem adpropinquavit 392 et si­
gnum diei galli cantus insonuit nobis, propterea usque ad sanguinem
stemus contra peccatum certantes 393 et propter caritatem numquam ex­
cidentem omnia sufferamus 394, ut cum perfectis in ea consequamur
hereditatem. Et hoc adtende, quoniam ante galli cantum et ante Spiri­
tum Sanctum et in tempore noctis profundae, etiamsi frequenter dene­
gaverit quis, vivere potest; quod manifestum est ex eo quod ter dene­
gavit Petrus. Si autem post galli cantum vel semel in quocumque peri­
culo constitutus denegaverit quis, impossibile est eum renovari in pae-
nitentiam, ut iterum crocifigat sibi filium Dei 395. Qui autem in huius-
modi denegationis peccato fuerit conprehensus, aspiciat illud quod
scriptum est: Vae his qui adtrahunt peccata sua sicut funem longum, et
sicut iugi lorum vituli iniquitates 396, et non dicat: Peccata nostra in no­
bis sunt, et quomodo vivemus? Vivo, inquit Dominus, quoniam nolo
mortem peccatoris, sicut paenitentiam 397. Ipse autem scit Deus, de quo
scriptum est: Et ipse sapiens adducet super eos mala 398, qualia mala ad­
ducet super denegantes et non paenitentes et qualia super denegantes
et poenitentes, et qualia bona super eos qui numquam denegaverunt
neque verbo coram hominibus 399 neque operibus. Longe autem efficia-

388 Heb. 10,29. 389 Ιο. 7,39. 390 Heb. 10,29. 391 Mt. 12, 32.
392 Rom. 13,12. 393 Heb. 12, 4. 394 Cf. 1 Cor. 13, 8 . 39? Heb. 6 , 6 .
396 Is. 5, 18. 397 Ez. 33, lOs. 398 Is. 3 1,2. 399 Mt. 10, 33.
C O M M E N TO A M A TTEO , 114 183

Anche nel caso di Pietro che


in quel tempo rinnegava [Gesù]
non sarebbe conveniente chiede­
re: Di quanto peggiore castigo pen­
sate che saranno ritenuti degni co­
loro che avranno calpestato il Fi­
glio di Dio e ritenuto profano quel
sangue dell’alleanza per cui sono
stati santificati e avranno disprez­
zato lo Spirito di grazia?
Pietro infatti non era stato
ancora santificato dal sangue di
Cristo (che doveva essere il san­
gue della nuova alleanza) né eb- Ma può anche darsi che co-
be a disprezzare lo Spirito di gra- lui che ha disprezzato lo Spirito
zia, che non aveva ricevuto dal- della grazia non convenga a Pie-
l’inizio: Gesù non era stato anco- tro; infatti non c’era lo Spirito.
ra glorificato e non c’era ancora
tra gli uomini lo Spirito Santo.
Ma nel caso che tra noi si sarà commesso questo empio peccato
del rinnegamento, allora tutto questo è lecito dirlo, dal momento che
siamo stati santificati col sangue dell’alleanza e abbiamo ricevuto lo Spi­
rito di grazia. Ecco perché profanare il preziosissimo sangue dell’allean­
za e disprezzare lo Spirito di grazia è il più grave di tutti i peccati, al
punto che se rinneghiamo il Figlio di Dio non possiamo riceverne re­
missione né nel secolo presente né in quello futuro. Poiché dunque per
noi la notte è avanzata, ed il giorno si è avvicinato, ed è risuonato per
noi il segnale del canto del gallo, per questo resistiamo fino al sangue
nella lotta contro il peccato e sopportiamo tutto per la carità che non
viene mai meno per conseguire l’eredità con quelli che in essa sono
giunti a perfezione. E fa’ attenzione a ciò: prima del canto del gallo, pri­
ma dello Spirito Santo, nel tempo in cui è notte fonda, anche se rinne­
ga spesso [il Signore], uno può ancora vivere: ciò risulta chiaro dal fat­
to che Pietro abbia rinnegato tre volte. Ma se dopo il canto del gallo,
uno rinnega sia pure una volta sola, trovandosi in pericolo qualsiasi, è
impossibile rinnovarlo per portarlo alla conversione in modo che crocifig­
ga di nuovo per conto suo il Figlio di Dio. Ma chi fosse preso prigionie­
ro in simile peccato di rinnegamento, consideri ciò che sta scritto: Guai
a coloro che si attirano addosso i peccati come una lunga fune, e le iniqui­
tà come corde da giogo di vitello, e non dica: I nostri peccati sono sopra
di noi: in che modo potremo vivere? Ma io vivo, dice il Signore, perché
non voglio tanto la morte del peccatore quanto la conversione. Dio stes­
so conosce ciò di cui sta scritto: Lo stesso Dio [sapiente] manderà su di
loro dei mali-, [sa] quali mali manderà su quelli che rinnegano e non si
pentono e quali su quelli che rinnegano e si pentono; e sa quali beni
manderà su quelli che non l’hanno mai rinnegato né a parole davanti
agli uomini, né con le opere. Ma teniamoci lontani sia dalla prima ser-
184 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 114

mur a priori ancilla et altera et ab omnibus qui stant in atrio eius vel in
ianua eius, ut ne in proximo existamus facientibus denegare eum, qui
fuerit iuxta eis.
240 Cognoscemus autem quae [Π 318, 5] άλλα καί ό γνούς
sit ancilla principis, si intellexeri­ τό «εγώ δούλος σός καί υιός τής
mus quae sit ancilla Dei, de qua παιδίσκης σου» 401 έξω γίνεται
scriptum est: Ego servus tuus et τής άρνεΐσθαι Χριστόν πο-
filius ancillae tuae 40°. ιούσης παιδίσκης.

Quae sint autem atria principis poteris scire,


si intellexeris quae sint atria [Π 319, 5] Ό τοίνυν άκού-
domus Dei, de quibus scriptum σας τό «ιδού δή εύλογεΐτε τον
est: Ecce nunc benedicite Domi­ κύριον πάντες οί δούλοι κυρίου
num, omnes servi Domini, qui οί έστώτες έν ο’ίκω κυρίου, έν
statis in domo Domini, in atriis αύλάϊς οίκου θεού ήμών»403 κτλ.
domus Dei nostri 402.
Si autem et de altera ancilla [Π 318, 14] ΐνα δέ καί τής
debemus aliquid dicere, ut etiam άλλης παιδίσκης άποστώμεν,
ab illa recedamus, intellegamus νοήσωμεν τό «ώς οφθαλμοί παι­
quod scriptum est: Sicut oculi an­ δίσκης εις χεΐρας τής κυρίας
cillae in manibus dominae suae, αύτής, ούτως οί οφθαλμοί ήμών
ita oculi nostri ad Dominum προς κύριον τον θεόν ήμών» 404.
Deum nostrum,
donec misereatur nostri405. Puto primam ancillam intellegi principis fa­
cientem denegare discipulos Christi synagogam esse Iudaeorum secun­
dum carnem, qui denegare frequenter conpulerunt fideles; secundam au­
tem ancillam congregationem gentium, qui et ispi persequentes Christia­
nos denegare cogebant; tertios autem stantes in atriis ministros esse hae-
resium diversarum, qui et ipsi veritatem Christi denegare conpellunt. In
nocte autem non solum ter denegat Petrus, sed etiam devotat seipsum et
iurat quia nescio hominem. Et quidem tunc adhuc secundum carnem

4°0 Ps. 115 (116), 7. 401 Ibid. 402Ps. 133 (134), 1; 134 (135), 1.
403 Ibid., 1. 404 Ps. 1 2 2 (123), 2 . 405 Ibid.

(89) Longe efficiamur a priori ancilla et altera et ab omnibus qui stant in atrio
eius vel in ianua eius. II testo presenta tre realtà che possono portare i cristiani al
rinnegamento: la prima ancella viene assunta coma la synagoga Iudaeorum, anco­
ra attiva nella prima metà del III secolo; abbiamo già trovato accenni al proseli­
tismo ebraico - Circumeunt plurima loca ut advenas iudaizare suadeant - (CMtS
16, nota 4 4 :1, p. 162; il fenomeno resta tuttora controverso e da vagliare nell’ef­
fettualità; cf. de Lubac 1985, p. 63); la seconda ancella è la congregatio gentium,
la cui persecuzione può passare alternativamente da quella cruenta a quella dei
«letterati greci e barbari, estranei all’insegnamento di Gesù (che) vorrebbero
farlo perire ma non ci riescono» (CMt 17,14: III, pp. 180s.); la terza ancella sono
i ministri haeresium diversarum. Si tratta di un’associazione ricorrente, che la
C O M M EN TO A M A TTEO , 114 185

va che dalla seconda, e da tutti quelli presenti nell’atrio o sulla porta di


lei (89), per non stare vicini a quelli che inducono al rinnegamento co­
lui che è vicino a loro.
Ma sapremo chi è questa Ma anche colui che ha capi­
serva del sommo [sacerdote] se to le parole: Io sono tuo servo e
capiremo chi è l’ancella di Dio, figlio della tua ancella si allonta­
della quale sta scritto: Io sono na da quella serva che induce a
tuo servo efiglio della tua ancella. rinnegare il Cristo.
Quali poi siano gli atri del sommo [sacerdote] potrai saperlo,
quando intenderai quali sia­ Colui che pertanto ha inteso
no gli atri della casa di Dio, dei le parole: Ecco sì, benedite il Si­
quali è scritto: Ecco adesso bene­ gnore, voi tutti servi del Signore,
dite il Signore, voi tutti servi del che state nella casa del Signore,
Signore, che state nella casa del negli atri della casa del nostro
Signore, negli atri della casa del Dio, eccetera.
nostro Dio.
Se poi dobbiamo dire qual­ Ma perché ci teniamo lonta­
cosa anche della seconda serva, ni anche dall’altra serva, cerchia­
perché ci teniamo lontani anche mo di capire le espressioni: Co­
da lei, cerchiamo di capire quello me gli occhi di una serva tile ma­
che sta scritto: Come gli occhi del­ ni della sua padrona, così i nostri
la serva sono attenti alle mani del­ occhi al Signore Dio nostro.
la sua padrona, così i nostri occhi
sono attenti al Signore Dio nostro,
finché abbia pietà di noi. Ritengo che la prima serva del sommo sacer­
dote, che induce i discepoli di Cristo al rinnegamento, sia la sinagoga
dei giudei secondo la carne, i quali spesse volte hanno costretto i fede­
li a rinnegare Gesù; la seconda serva è la società dei gentili che perse­
guitando i cristiani li obbligavano a rinnegare; in terzo luogo, quelli
presenti negli atri sono i ministri delle diverse eresie: anch’essi co­
stringono a rinnegare la verità di Cristo. Durante la notte Pietro non
solo rinnega tre volte, ma anche impreca e giura: Non conosco quel­
l’uomo. Certo allora non lo conosceva che secondo la carne e non po-

polemica sugli avversari della Chiesa tende a convogliare: «Se (vedrai) gli eretici
richiamarsi al nome di Cristo, ma poi combattere la Chiesa... e rivolgere le armi
contro la fe d e ,.. .attaccare il popolo del Signore, .. .non esitare a dire di loro che
certamente essi sono figli d’Oriente [cioè hanno ricevuto il nome del Cristo-
Oriente], ma che vengono insieme ai Madianiti e ad Amalec a combattere il
popolo di D io... Assieme a pagani e giudei, anche gli eretici perseguitano la
Chiesa di D io» (Hlud 8 ,1 , p. 137). Il passo ora richiamato pone un accento par­
ticolare sulla terza ancella così come la nostra Series·. «Bisogna notare (che)
Origene non menziona “l’atrio” se non a proposito di quelli che simboleggiano
gli eretici, probabilmente per suggerire insieme la prossimità più grande degli
eterodossi e la loro alterità, dal momento che il testo evangelico non fornisce
184 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 114

mur a priori ancilla et altera et ab omnibus qui stant in atrio eius vel in
ianua eius, ut ne in proximo existamus facientibus denegare eum, qui
fuerit iuxta eis.
240 Cognoscemus autem quae [Π 318,5] αλλά καί ό γνσυς
sit andlla principis, si intellexeri­ τό «έγώ δούλος σός καί υιός τής
mus quae sit ancilla Dei, de qua παιδίσκης σου» 401 εξω γίνεται
scriptum est: Ego servus tuus et τής άρνεΐσθαι Χριστόν πο-
filius ancillae tuae 400. ιούσης παιδίσκης.

Quae sint autem atria principis poteris scire,


si intellexeris quae sint atria [Π 319, 5] Ό τοίνυν άκσύ-
domus Dei, de quibus scriptum σας τό « ’ιδού δή ευλογείτε τόν
est: Ecce nunc benedicite Domi­ κύριον πάντες οί δούλοι κυρίου
num, omnes servi Domini, qui οί έστώτες έν οίκω κυρίου, έν
statis in domo Domini, in atriis αύλαΐς οίκου θεού ήμών» 40:3 κτλ.
domus Dei nostri 402.
Si autem et de altera ancilla [Π 318, 14] ίνα δε καί τής
debemus aliquid dicere, ut etiam άλλης παιδίσκης άποστώμεν,
ab illa recedamus, intellegamus νοήσωμεν τό «ώς οφθαλμοί παι­
quod scriptum est: Sicut oculi an­ δίσκης εις χεΐρας τής κυρίας
cillae in manibus dominae suae, αυτής, ούτως οί οφθαλμοί ήμών
ita oculi nostri ad Dominum προς κύριον τόν θεόν ήμών» 404.
Deum nostrum,
donec misereatur nostri405. Puto primam ancillam intellegi principis fa­
cientem denegare discipulos Christi synagogam esse Iudaeorum secun­
dum carnem, qui denegare frequenter conpulerunt fideles; secundam au­
tem ancillam congregationem gentium, qui et ispi persequentes Christia­
nos denegare cogebant; tertios autem stantes in atriis ministros esse hae-
resium diversarum, qui et ipsi veritatem Christi denegare conpellunt. In
nocte autem non solum ter denegat Petrus, sed etiam devotat seipsum et
iurat quia nescio hominem. Et quidem tunc adhuc secundum carnem

400 Ps. 115 (116), 7. 401 Ibid. 402 Ps. 133 (134), 1; 134 (135), 1.
403 Ibid., 1. 404 Ps. 122 (123), 2. 4°5 Ibid.

(89) Longe efficiamur a priori ancilla et altera et ab omnibus qui stant in


eius vel in ianua eius. II testo presenta tre realtà che possono portare i cristiani al
rinnegamento: la prima ancella viene assunta coma la synagoga Iudaeorum, anco­
ra attiva nella prima metà del III secolo; abbiamo già trovato accenni al proseli­
tismo ebraico - Circumeunt plurima loca ut advenas iudaizare suadeant - (CMtS
16, nota 4 4 :1, p. 162; il fenomeno resta tuttora controverso e da vagliare nell’ef­
fettualità; cf. de Lubac 1985, p. 63); la seconda ancella è la congregatio gentium,
la cui persecuzione può passare alternativamente da quella cruenta a quella dei
«letterati greci e barbari, estranei all’insegnamento di Gesù (che) vorrebbero
farlo perire ma non ci riescono» (CMt 17,14: III, pp. 180s.); la terza ancella sono
i ministri haeresium diversarum. Si tratta di un’associazione ricorrente, che la
C O M M EN TO A M A TTEO , 114 185

va che dalla seconda, e da tutti quelli presenti nell’atrio o sulla porta di


lei (89), per non stare vicini a quelli che inducono al rinnegamento co­
lui che è vicino a loro.
Ma sapremo chi è questa Ma anche colui che ha capi­
serva del sommo [sacerdote] se to le parole: Io sono tuo servo e
capiremo chi è l’ancella di Dio, figlio della tua ancella si allonta­
della quale sta scritto: Io sono na da quella serva che induce a
tuo servo e figlio della tua ancella. rinnegare il Cristo.
Quali poi siano gli atri del sommo [sacerdote] potrai saperlo,
quando intenderai quali sia­ Colui che pertanto ha inteso
no gli atri della casa di Dio, dei le parole: Ecco sì, benedite il Si­
quali è scritto: Ecco adesso bene­ gnore, voi tutti servi del Signore,
dite il Signore, voi tutti servi del che state nella casa del Signore,
Signore, che state nella casa del negli atri della casa del nostro
Signore, negli atri della casa del Dio, eccetera.
nostro Dio.
Se poi dobbiamo dire qual­ Ma perché ci teniamo lonta­
cosa anche della seconda serva, ni anche dall’altra serva, cerchia­
perché ci teniamo lontani anche mo di capire le espressioni: Co­
da lei, cerchiamo di capire quello me gli occhi di una serva alle ma­
che sta scritto: Come gli occhi del­ ni della sua padrona, così i nostri
la serva sono attenti alle mani del­ occhi al Signore Dio nostro.
la sua padrona, così i nostri occhi
sono attenti al Signore Dio nostro,
finché abbia pietà di noi. Ritengo che la prima serva del sommo sacer­
dote, che induce i discepoli di Cristo al rinnegamento, sia la sinagoga
dei giudei secondo la carne, i quali spesse volte hanno costretto i fede­
li a rinnegare Gesù; la seconda serva è la società dei gentili che perse­
guitando i cristiani li obbligavano a rinnegare; in terzo luogo, quelli
presenti negli atri sono i ministri delle diverse eresie: anch’essi co­
stringono a rinnegare la verità di Cristo. Durante la notte Pietro non
solo rinnega tre volte, ma anche impreca e giura: Non conosco quel­
l’uomo. Certo allora non lo conosceva che secondo la carne e non po-

polemica sugli avversari della Chiesa tende a convogliare: «Se (vedrai) gli eretici
richiamarsi al nome di Cristo, ma poi combattere la Chiesa... e rivolgere le armi
contro la fe d e ,.. .attaccare il popolo del Signore,.. .non esitare a dire di loro che
certamente essi sono figli d’Oriente [cioè hanno ricevuto il nome del Cristo-
Oriente], ma che vengono insieme ai Madianiti e ad Amalec a combattere il
popolo di D io... Assieme a pagani e giudei, anche gli eretici perseguitano la
Chiesa di Dio» (Hlud 8 ,1 , p. 137). Il passo ora richiamato pone un accento par­
ticolare sulla terza ancella così come la nostra Series·. «Bisogna notare (che)
Origene non menziona T atrio ” se non a proposito di quelli che simboleggiano
gli eretici, probabilmente per suggerire insieme la prossimità più grande degli
eterodossi e la loro alterità, dal momento che il testo evangelico non fornisce
ι 86 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 114-115

Christum sciebat, nec adhuc poterat dicere: Etsi Christum cognovimus


aliquando secundum carnem [cognovimus], sed nunc iam non cognosci­
mus 406; quamdiu enim signum diei non existebat, denegans Petrus ver-
241 borum Iesu non fuit memor, postquam autem angelus diei clamavit ei,
tunc recordatus est verbum Iesu dicentis ad se: Antequam gallus cantet, ter
me negabis 407. Et quando recordatus est verbum Christi, iam non erat in
atrio principis sacerdotum nec iuxta ianuam eius sed foris; alioquin ne­
quaquam plorasset, sic enim scriptum est: Egressus foras amarissime plo­
ravit 408. Ergo et secundum Lucam peccatrix mulier iuxta Domini pedes
paenitens flevit409,

et hic Petrus egressus atrium [Π 319, 11] έν τοΰτοις ό Πέ-


principis ad ianuam eius plorat τρος έξελθών άπό των άρνεΐ-σθαι
ex amaritudine peccati, examari- ποιοΰντων αυτόν έκ τής έν τω
cans in paenitentia fletum suum. ήμαρτηκέναι πικρότητος πι-
κροποιόν έποιήσατο έν τή μετα-
νοία τόν κλαυθμόν.

115. Mane autem facto consilium acceperunt omnes principes s


dotum et seniores plebis adversus lesum, ut eum morti traderent; et vin­
ctum eum abduxerunt et tradiderunt Pontio Pilato praesidi 409a.
Qui in tenebris et nocte of­ [Π 319, 14] Οί μεν Χρίστου
fendit venia dignus est, qui au­ μαθηταί νυκτός σκανδαλίζον­
tem in die clara offendit num- ται, ούτοι δέ ούκ έν σκότει πρσε-
quam potest culpare errorem χοντες διά τό περιέχον, άρχμένης
quasi continentem se (maxime δέ αύτοΐς ή μέρας έν άπροσεξίςι
quando habens in se lucernam άμαρτάνοντες ού συγγνωστοί.
corporis 410 offendit) sed inconti­
nentiam suam. Hoc autem dixi­
mus ostendentes quoniam Chri­
sti quidem discipuli in nocte
scandalizantur,

secundum quod Dominus eis praedicit: Omnes vos scandalum patiemi­


ni in me in hac nocte411, et quia Petrus ante galli cantum ter denegavit.
Qui autem consilium accipiunt contra lesum omnes principes et senio­
res plebis mane facto 412, in lumine peccant id est scientes, secundum

406 2 Cor. 5, 16. 407 Mt. 26, 75. 408 Ibid. 409 Lc. 7, 37s.
409a Mt. 27,1-2. 410 Mt. 6 ,22. 411 Mt. 26, 31. 412 Mt. 27,1.

esplicitamente questa localizzazione se non nel caso di Pietro» (Le Boulluec


1985, p. 488s.; ibid., pp. 465.502). La tentazione triplice che coglie Pietro dà il
senso della universalità della persecuzione: chi «non mette sotto processo il Verbo
dei cristiani? Chi tra le genti...? Chi tra i giudei? ...Chi tra i greci?...
Dappertutto Gesù è processato... giudicato... condannato» (Hler 14, 8 , p. 174:
C O M M E N TO A M A TTEO , 114-115 187

teva ancora sostenere: anche se un tempo abbiamo conosciuto il Cristo


secondo la carne, adesso ormai non lo conosciamo più così. Sino al mo­
mento in cui non c’era il segnale del giorno, Pietro nel rinnegare non
si ricordò delle parole di Gesù. Ma dopo che il messaggero del gior­
no glielo gridò, allora si ricordò della parola di Gesù: Prima che il gal­
lo canti, mi rinnegherai tre volte. E quando si ricordò della parola di
Cristo, non stava più nell’atrio del sommo sacerdote e neppure pres­
so la porta, bensì fuori-, altrimenti non avrebbe pianto affatto, come
difatti sta scritto: ed uscito fuori pianse molto amarameμte. Orbene,
anche in Luca la donna peccatrice, nel pentimento, pianse presso i pie­
di di Gesù,

mentre qui Pietro una volta intanto Pietro, uscito lonta­


uscito dall’atrio verso la porta, no da quelli che lo inducevano a
piange per l’amarezza del pecca­ rinnegare, per l’amarezza prova­
to, rendendo più amaro il pianto ta nell’aver peccato fece sì nel
nel pentimento. pentimento che quel pianto ap­
portasse amarezza.

115. Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani de


polo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire; e messolo in cate­
ne lo condussero e lo consegnarono al governatore Ponzio Pilato.
Chi commette errore nelle I discepoli di Cristo subi­
tenebre e nella notte è degno di scono scandalo di notte, mentre
perdono. Ma chi pecca in pieno costoro non sono attenti nelle te­
giorno, la colpa non può darla nebre (sono scandalizzati) a cau­
mai all’errore in quanto lo avvol­ sa di ciò che circonda, e quando
ge (specialmente quando pecca inizia il giorno per loro, se pec­
pur avendo in sé la fiaccola del cano per negligenza, non sono
corpo), bensì alla sua incontinen­ perdonati.
za. Questo lo abbiamo detto mo­
strando che i discepoli di Cristo
subivano scandalo di notte,
stando a quanto 0 Signore aveva predetto: Voi tutti vi scandalizzerete per
causa mia in questa notte e Pietro tre volte rinnegò prima del canto del gal­
lo. Invece tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo che tengono con­
siglio quando è venuto il mattino commettono peccato in piena luce, sa-

testo ricordato per CMtS 39, nota 106:1, pp. 251-253; cf. Sgherri 1982, pp. 26s.).
Peraltro Pietro esce dall’atrio di Caifa, dai legami giudaici come dalle altre insi­
die; se per il momento egli non appare molto diverso da Giuda (cf. Bammel in
Orig. VI, p. 555), vale per lui, come per altri personaggi del Vangelo, che la pas­
sione di Gesù rivelerà il loro entrare nello spazio dello Spirito o il protrarsi della
lontananza; per Pietro il rinnegamento diventerà forza di testimonianza che ini­
zia non con nuovi discorsi, ma nell’amarezza di lacrime di conversione - πικρο-
ποιόν έποιήσατο έν τη μετάνοιςι τον κλαυθμόν - (Fr greco).
ι 88 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 115

quod scriptum est de hoc consilio, quod consiliati sunt ex consensu in


unum 413 sicut scriptum est in Psalmis, ut morti traderent Christum 414
242 putantes per mortem extin- Πεπλάνηνται δε καί οίόμε-
guere eius doctrinam et fidem νοι θανατώσαντες τον Ίησούν
eius apud eos, qui crediderunt in σβέσαι αύτού τήν διδασκαλίαν
eum quasi in filium Dei. καί παΰσειν τούς πιστεύοντας.

Talia autem contra eum consiliantes principes culturae litterae oc­


cidentis 415, et ministerii damnationis seniores
alligaverunt lesum solven­ αύτοί μεν συν έδησαν τον
tem a vinculis et dicentem eis qui «λέγοντα το'ΐς έν δεσμοΐς έξέλθε-
sunt in vinculis: Exite 416 et con- τε» 418 καί τοίίς πεπεδημένοις
peditos solventem «λύεσθε», πληροϋντες τήν λέ-
γουσαν προφητείαν «δήσωμεν
τον δίκαιον δτι δύσχρηστος ήμΐν
atque dicentem: Disrumpa- έστιν» 419. Αύτός δε είπών «διαρ-
mus vincula eorum, et proiciamus ρήξωμεν τούς δεσμούς αύτών»
a nobis iugum ipsorum 417, λέγει καί τά εξής έν τω ψαλ-
μω420.
et qui filiam Abrahae ligatam a satana decem et octo annis 421 a vinculis
solverat, ut iam nequaquam sit inclinata quae non poterat penitus sur­
sum aspicere prius 422. Et alligaverunt eum volentem et in eo quod alli­
garetur vinculis ipsis insidiantes <et> disrumpentem ea, ut iam non ha­
beant principes sacerdotum et seniores Iudaeorum adversus homines
vincula, domino ea videlicet disrumpente in se.

413 Ps. 2, ls. 414 Ps. 2, 2. 41? Cf. 2 Cor. 3, 6.9. 416 Is. 49, 9.
417 Ps. 2, 3. 418 Is. 49, 9. 419 Is. 3, 10. 420 Ps. 2, 3. 421 Lc. 13,
16. 422 Lc. 13,11.

(90) Alligaverunt lesum solventem a vinculis et dicentem eis qui sunt i


culis: Exite. Gesù «ha detto, come molto tempo prima aveva profetizzato il pro­
feta Isaia riferendosi proprio a lui, a quelli che sono nelle catene: Uscite! E a quel­
li che sono nelle tenebre: Venite alla luce! (Is 49, 9)» (CC 8 , 54, p. 711); ritrove­
remo le contrapposizioni espresse nella Series fra la potenza del Cristo e la sua
volontaria kenosi nella forza teologica delle ufficiature bizantine: «I prigionieri
trattenuti nei ceppi dell’Ade videro la tua incommensurabile misericordia e con
passo esultante si affrettavano, o Cristo, verso la luce, applaudendo alla Pasqua
eterna» (La grande e santa domenica di Pasqua, in Liturgia orientale, p. 196). Il
Cristo è per eccellenza colui che scioglie dai vincoli, proprio perché, come
annuncia un misterioso versetto del Cantico nel testo greco, egli è il re legato nei
suoi passaggi - βασιλεύς δεδεμένος έν παραδρομαΐς (Ct 7, 6 [LXX]) - , e in lui si
adempie la profezia: Leghiamo il giusto perché ci è molesto (Ir 3,10 [L X X ], paral­
lelo ma non identico a Sap 2, 12: Tendiamo insidie al giusto perché ci è molesto).
Nelle righe degli evangelisti si ripete, anche quando non parrebbe necessario,
C O M M EN TO A M A TTEO , 115 189

pendo cioè, in base a quello che è scritto a proposito di questo consiglio,


che si sono riuniti insieme di comune accordo, come sta scritto nei Sal­
mi, per consegnare alla morte il Cristo,
ritenendo di spegnere con Ma si sono ingannati anche
la morte il suo insegnamento e la nel ritenere che mettendo a mor­
fede in lui in coloro che credono te Gesù avrebbero spento il suo
in Gesù come Figlio di Dio. insegnamento e fatto cessare
quelli che credevano.
Ma prendendo simile decisione contro di lui, i sommi sacerdoti
del culto della lettera che uccide e gli anziani, ministri della condanna,

misero in catene quel Gesù ma questi misero in catene


che scioglie dai vincoli (90) e che colui che dice a coloro che sono in
dice a coloro che sono in catene: catene: Uscite, ed a quelli che so­
Uscite e sciogliete i legami a quel­ no in ceppi·. Scioglietevi, dando
li che sono in ceppi, e dichiara: compimento alla profezia che di­
Spezziamo le loro catene e gettia­ ce: Mettiamo in prigione il giusto
mo via il loro giogo, perché ci è di impaccio, e quello
stesso che ha detto: Spezziamo le
loro catene e gettiamo via il loro
giogo, continua a dire il seguito
del salmo.
lui che aveva sciolto dai legami la figlia di Abramo che satana teneva le­
gata diciotto anni, in modo che non restasse più assolutamente ricurva,
lei che prima non poteva in nessun modo guardare verso l’alto. Misero
in catene lui che accettava ciò liberamente, lui che proprio perché si la­
sciava mettere in catene, metteva in scacco e faceva a pezzi quegli stes­
si vincoli, affinché i sommi sacerdoti e gli anziani dei giudei non impo­
nessero più vincoli contro gli uomini, visto che il Signore li aveva in se
stesso spezzati.

che Gesù è legato nei suoi spostamenti; può essere un riemergere del sottofondo
del Cantico, un’allusione alla «gloriosa regalità di quel prigioniero condotto
incatenato e trascinato come vittima dall’uno all’altro» (Neri 2003, p. 46), in
realtà re che scioglie dai vincoli del satana (cf. CMtS 112, nota 82: II, p. 170;
Fernàndez, p. 99), e libera dai legami dell’economia antica, ora che la figura ha
ceduto il posto alla verità (cf. Sgherri 1982, pp. 53.86). L’ampio sviluppo orige-
niano è inserito nel rapporto fra la notte nella quale Christi discipuli scandalizan­
tur e il giorno in cui si accoglie o si rifiuta la fede in Filium Dei: «L a sera e il mat­
tino, la notte e il giorno, corrispondono ai periodi nei quali scompare questo
Sole, oppure brilla» (Crouzel 1986, p. 179).
19 0 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 115-116

Si quis autem exigit a me Scripturam haec de disrumpendis vincu­


lis ostendentem, quibus alligaverunt lesum principes sacerdotum et se­
niores, intellegat quod propter hoc ipsum dicit ipse Iesus per prophe­
tam: Disrumpamus vincula eorum, tamquam si dicat principum sacer­
dotum et seniorum, aut multo magis eorum principum qui sunt opera­
ti in eis, et regum terrae illorum qui adstiterunt, et principum qui con­
venerunt in unum adversus Oominum et adversus Christum eius 423,
quorum et iugum proiciamus a nobis. Adhuc autem amplius te placabit,
ut suscipias quoniam, etsi alligantes lesum duxerunt qui consilium fe­
cerunt adversus eum, tamen disrupit Iesus vincula, si intellexeris quae
243 scripta sunt de Samson, qui frequenter fuit ligatus et disrupit alienige­
narum vincula, quoniam Nazaraeus fuerat Dei et habebat comam ple­
nam virtutis. Si ergo ille propter comae virtutem, quam habebat in ca­
pite, potuit rumpere vincula alienigenarum, quibus alligaverant eum
frequenter, quanto magis Christus, qui post tanta prodigia et virtutes
quas fecit volens tradidit se ad vincula (soporans in se divinitatis virtu­
tem et adquiescens, ut alligaretur), sine dubio disrupit vincula circum­
dantia se! quorum vinculorum mysteria vincula Samsonis fuerunt.

116. Et tradiderunt eum Pontio Pilato 424.


Utrum autem etiam nomina utraque praesidis habeant aliquam ra­
tionem convenientem dispensationi Domini salvatoris <an non>, non
facile est sententialiter respondere. Poterunt enim aliquem movere
principalia ex quibus haec vocabula deducuntur, Pontius et Pilatus;
utrum autem bene quis moveatur an non, unusquisque potentium con­
siderare cognoscat.

423 Ps. 2, 3 . 424 Mt. 27, 2.

(91) Disrumpamus vincula eorum... disrupit Iesus vincula. Gesù spezz


catene come il Sansone di un tempo; là era la forza di un nazireo sul quale scen­
deva lo Spirito, qui si tratta dei misteri della potenza divina che volontariamente
si consegna - volens tradidit se ad vincula - (in precedenza il testo diceva: alliga­
verunt eum volentem)·, l’Alessandrino aveva già richiamato il Salmo 2 per le conse­
gne del Figlio: «Re e principi sono insorti... contro il Signore e contro il suo Cristo.
Quanto a noi, a cui è giovato il fatto che l’hanno consegnato nelle mani degli
uomini e l’hanno ucciso, diciamo: Spezziamo le loro catene, gettiamo via da noi il
loro giogo. Quando infatti diventiamo conformi alla morte di Cristo, non siamo più
oppressi né dalle catene dei re della terra... né dal giogo dei principi di questo
mondo uniti in congiura» (CMt 13, 9: Π, p. 42). Nel testo ora citato è un rovescia­
mento delle parti: non più le potenze in congiura, ma i credenti liberati dicono:
Spezziamo i vincoli... L’immagine è nitida: Cristo «dopo aver incatenato l’uomo
forte (cf. Mt 12,29) e aver trionfato su di lui per mezzo della propria croce, pene­
trò... nella sua casa... e da lì rubò i suoi beni... le anime che egli tratteneva»
(CRm 5 ,1 0 :1, pp. 297s.; cf. Somenzi, pp. 264s.). Per operare questa vittoria, Gesù
placa - soporans et adquiescens - in sé la virtus della divinità: «Se Gesù, una volta
divenuto uomo, avesse fatto ogni cosa come se fosse veramente Dio, il suo esser
diventato uomo non sarebbe stato riconosciuto, così come la sua divinità sarebbe
C O M M EN TO A M A TTEO , 115-116 191

Ma se uno mi richiedesse una pagina della Scrittura che mostri il


senso delle catene da spezzare, catene con cui sommi sacerdoti e anzia­
ni legarono Gesù, cerchi di capire ciò che per questo stesso motivo Ge­
sù afferma mediante i profeti: Distruggiamo le loro catene, come rife­
rendosi ai principi dei sacerdoti e agli anziani, o molto più a quei prin­
cipi che hanno operato dentro di loro e a quei re terreni che si sono sol­
levati e a quei principi che si sono radunati insieme contro il Signore e
contro il suo Cristo, e riferendosi a coloro il cui giogo gettiamo via da
noi. Ma ancor più ti sentirai appagato nell’ammettere che, pur tenen­
dolo legato, coloro che avevano tenuto consiglio contro di lui condusse­
ro Gesù, tuttavia Gesù spezzò quei vincoli (91), se saprai intendere le
vicende descritte circa Sansone, che molte volte fu legato eppure spez­
zò le catene degli stranieri, dato che era un Nazireo di Dio e aveva la
sua chioma colma di forza. Se dunque quello, in virtù della chioma del
suo capo, potè spezzare le catene con cui gli stranieri lo avevano lega­
to, quanto più il Cristo, che dopo aver compiuto tanti prodigi e mira­
coli si consegnò liberamente per lasciarsi mettere in catene (lasciando
quasi sopire in sé la potenza della divinità e lasciandosi incatenare ac­
quiescente), senza alcuna esitazione sciolse le catene che lo avvolgeva­
no! Di queste catene, quelle di Sansone non furono che un mistero.

116. E lo consegnarono a Ponzio Pilato.


Se entrambi i nomi del governatore abbiano <o no> anche essi un
senso (92) che corrisponda all’economia del Signore Salvatore, [è una
domanda alla quale] non è facile dare una risposta categorica. I termi­
ni fondamentali di cui sono composti questi due nomi - Ponzio e Pila­
to - potrebbero anche suscitare l’interesse di qualcuno. Ma se tale sol­
lecitazione sia buona o no, lo decida ciascuno di quelli che possono de­
dicarvi attenzione.

stata velata, se avesse fatto ogni cosa come uomo» (Frlo 53, pp. 860s.); l’enigma
della vita di Gesù giunge all’apice nella passione volontaria, come sottolinea un
mirabile testo sul silenzio del Verbo incarnato: «Insegnando nel tempio, Gesù non
fu preso da nessuno, perché le sue parole erano più forti di quelli che lo volevano
afferrare. E fino a che egli parla non lo afferra nessuno di quelli che gli tendono
insidie... Ecco perché, quando Pilato lo interroga e lo fa flagellare egli tace: egli
era deciso a subire la passione a favore del mondo» (Ciò 19, 60-61, p. 579; sull’à -
σθένεια dell’uomo e la δύναμις divina, cf. Harl 1958, pp. 232-237).
(92) Utrum nomina praesidis habeant aliquam rationem. Origene ha g
cennato a Pilato come «propenso a liberare G esù» e «ad evitarne la condanna»
(CMt 12, 1 :1, p. 264); successivamente ne riparlerà a vari livelli. Come intende­
re questo breve tratto? Considerando che nel testo greco del Commento a Mat­
teo non accade di riscontrare passaggi interpretativi così raccorciati, nel caso del­
la nostra Series e di non molte altre, condividiamo la valutazione di Bendinelli:
«In via congetturale si possono supporre ripetuti interventi di amputazione del
traduttore su sezioni esegetiche che verosimilmente Origene avrebbe dovuto
svolgere con ben più ampio e generoso impegno. A nostro giudizio un gruppo
di Series brevissime, caratterizzate come entità autonome perché contraddistin-
192 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 117

117. Tunc videns ludas, qui eum tradidit, quoniam damnatus


paenitentia ductus rettulit triginta argenteos principibus sacerdotum et
senioribus dicens: Peccavi quod tradiderim sanguinem iustum. At illi di­
xerunt: Quid ad nos? Tu videris. Et proiectis argenteis in templo recessit,
et abiens laqueo se suspendit. Principes autem sacerdotum acceptis argen­
teis dixerunt: Non licet mittere eos in corbanam, quia pretium sanguinis
est. Consilio autem accepto inter se emerunt agrum figuli in sepulturam
peregrinorum. Propter hoc vocatus est ager ille Acheldemach, quod est
ager sanguinis, usque in hodiernum diem. Tunc inpletum est quod di­
ctum est per Hieremiam prophetam dicentem: et acceperunt triginta ar­
genteos, pretium adpretiati, quod adpretiaverunt a filiis Israel, et dede­
runt eos in agrum figuli, sicut constituit mihi dominus 425.
Respondeant mihi qui de naturis quasdam fabulas introducunt,
244 aestimantes se dicere vera et non cognoscentes quod eorum opinio
iniquitatem creatoris accusat, qui fecit quaedam quidem vasa in hono­
rem 426 non ex causa virtutis eorum ducentis eos ad honorem, quae­
dam autem in contumeliam non propter peccata eorum ducentia eos
ad contumeliam.
Si enim perdibilis naturae erat ludas, quomodo
paenitentiam tantam susce- [Π 320, 16] ’Α λλ’ουν τό έν
pit, ut non vinceretur cupiditate αύτω λειμ μ α των Χ ρίστου λόγων
triginta argenteorum, ένί,κησε τή ν φιλαργυρίαν.

425 Mt. 27,3-10. 426 Cf. Rom. 9,21.

te da un proprio lemma che è fatto oggetto di commento, lasciano probabilmen­


te intendere un intervento riduttivo da parte del traduttore» (cf. supra, Introdu­
zione, p. 10). Non è escluso che l’interrogativo sui due nomi del governatore sia
apparso ad Origene stesso una sottigliezza sulla quale non soffermarsi (cf. Sgher­
ri 1982, p. 81); in ogni caso le sottolineature origeniane che vedremo anche nel­
le Series seguenti possono indicare la conoscenza di tradizioni relative a Pilato
che per molti rivi confluiscono in una ricca letteratura fino all’età medievale (cf.
gli Atti di Pilato, il Martirio di Pilato, la Morte di Pilato, la Sentenza di Pilato, in
Erbetta 1992). Gli sviluppi e le tradizioni su Pilato, con le vicende della eventua­
le conversione al Cristo - di lui e della moglie - , vanno in ogni caso confrontati
e vagliati con il severo giudizio delle fonti storiche, che parlano delle sue «cor­
ruzioni, violenze, rapine, brutalità, torture, continue esecuzioni sommarie e cru­
deltà senza fine» (così Filone, legatio 302, pp. 276s.; cf. Lohse, p. 33).
(93) Si perdibilis naturae erat ludas, quomodo paenitentiam tantam susc
II commento riprende Mt 7, 18 - Non potest arbor mala fructus bonos proferre -
più volte addotto dall’Alessandrino per confutare le dottrine gnostiche sulle
nature differenti e irrecuperabili, con la conseguente distinzione fra il Dio
dell’Antico Testamento e il Dio del Nuovo: «Secondo noi fra tutte le creature
razionali non ce n’è alcuna che non sia capace così di bene come di male» (Prin
1, 8 , 3, p. 224; cf. Simonetti 1968, p. 223, nota 8 ; Le Boulluec 1985, pp. 509s.;
Norelli 2000c, p. 212). E ancora: «Considera (quanto) terribile e bruciante si
fece sentire in (Giuda) il dolore, proveniente dal pentimento dei suoi peccati, da
spingerlo a non poter neanche sopportare più la vita, ma ad allontanarsi, dopo
C O M M E N TO A M A TTEO , 117 193

117. Allora Giuda, colui che lo tradì, vedendo che Gesù era
condannato, spinto dal pentimento, riportò le trenta monete d’argento ai
sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: Ho peccato, perché ho tradito san­
gue giusto. Ma quelli dissero: Che ci riguarda? Veditela tu. Ed egli, get­
tate le monete di argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi.
Ma i sommi sacerdoti, raccolte le monete d’argento, dissero: Non è lecito
metterle nel tesoro, perché è prezzo di sangue. E tenuto consiglio tra lo­
ro, comprarono il campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò
quel campo fu denominato Aceldama, cioè Campo del sangue, sino al
giorno d’oggi. Allora si adempì quello che era stato detto dal profeta Ge­
remia: E presero trenta denari d’argento, il prezzo del venduto, che i figli
d’Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, co­
me aveva stabilito per me il Signore.
Mi diano una risposta coloro che, partendo dalle nature, presen­
tano storie inventate, supponendo di dire cose vere, senza sapere che
la loro tesi accusa di iniquità il Creatore, perché fa alcuni vasi per uso
nobile, non a motivo della loro virtù che li porta ad uso nobile, altri va­
si invece li fa per uso volgare, ma non a causa dei loro peccati che li por­
tano ad uso volgare.
Mettiamo che Giuda fosse uomo di natura da perdizione: come
mai
ebbe così grande pentimen- Ma dunque ciò che restava
to (93), da non lasciarsi vincere in lui delle parole di Cristo ebbe
dalla cupidigia delle trenta mo- il sopravvento sulla cupidigia di
nete d’argento, denaro.

aver buttato nel tempio il danaro, ed andare ad impiccarsi. Egli infatti fece così
giustizia a se stesso, mostrando quale potere avesse nel peccatore Giuda, ladro e
traditore, l’insegnamento di Gesù, dal momento che questi non riuscì a scaccia­
re completamente dall’animo quelle cose che aveva imparato da Gesù» (CC 2,
11, p. 142). La natura di Giuda non è predestinata alla perdizione, ma «capace
di conversione... di coscienza del bene... di pentimento... Addirittura Giuda
sarebbe stato perdonato se avesse atteso penitente la risurrezione di Cristo, di
cui ricorda le profezie», e «lo stesso suicidio ubbidisce ad una certo distorta e
ancora peccaminosa, ma non del tutto negativa intenzione di affrettare la reden­
zione»: - occurrere ei cum anima nuda - (cf. Lettieri 1995a, p. 191, che nota come
nel suicidio così concepito, come atto di giustizia «e in fondo momento di riscat­
to morale... emergono evidenti suggestioni stoiche»). In questa sottolineatura
dell’anima denudata, liberata dal corpo, si potrebbero cogliere accenti plotiniani,
ricordando peraltro l’ammirevole monito di Plotino a «non separare violente­
mente l’anima dal corpo, affinché non se ne vada così... Piuttosto attenderà che
il corpo si stacchi tutto da lei» (Enneadi 1, 9 [16], pp. 172s.). In ogni caso Giuda
non è per Origene “il malvagio” per eccellenza, e la sua figura è disegnata quasi
con simpatia (cf. Bammel in Orig. VI, p. 555; Laeuchli, pp. 258-260; Fernàndez
1999, pp. 121.132).
194 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 117

propter quam impiam proditionis suscepit audaciam? Si enim ad pro­


prietatem naturarum referunt quod est dictum: Non potest arbor mala
fructus bonos proferre 427, dicant, nisi bonitatem aliquam spiret etsi non
perfecte neque sicut debuit conversus ludas: hoc ipsum quod rettulit
triginta artenteos unde est, et quod dixit cognoscens peccatum suum:
Peccavi tradens sanguinem iustum, nisi ex bona plantatione mentis et ex
seminatione virtutis, quae seminata est in omni rationabili anima, quam
non coluit ludas et ideo cecidit in tale peccatum? Si autem naturae pe­
reuntis est aliquis hominum, sine dubio magis huiusmodi naturae pe­
reuntis fuit et ludas. Quod sine dubio fuisse videretur, si tradens san­
guinem iustum aut non rettulisset pecunias condelectatus in eis, aut re­
ferens non dixisset, quia peccavi tradens sanguinem iustum.
Et si quidem post resurrex- [Π 321, 4] Διό ού μετά την
tionem Christi ex mortuis dixis­ άνάστασιν αύτοΰ οιον έκβιαζό-
set ludas quae dixit, forsitan ve­ μενος, προ δέ τής υπό Πιλάτου
risimiliter erat dicendum, quo­ κατακρίσεως τήν μετάνοιαν
niam conpulit eum paenitere de δείκνυσιν.
facto et confiteri de suo peccato
ipsa virtus resurrectionis ipsius.
Nunc autem mox ut vidit [Π 321,2] Τάχα δέ και ίδών
eum traditum esse Pilato, con- τόν Ίησούν παραδοθέντα Πι-
punctus paenituit; forsitan au­ λάτω ύπεμνήσθη δτι καί τούτο
tem et recordatus ea, quae fre­ είρήκει ό Ιησούς καί δτι άνα-
quenter Iesus dixerat discipulis στήσεται.
suis de resurrectione sua futura.
Videns igitur ludas magnitudinem facinoris sui, paenituit quidem
et locutus est ex paenitentia cordis confessus peccatum suum, eo quod
tradiderit sanguinem iustum,

non autem et secundum [C1 n. 312] ’Απήγξατο μέν εί


scientiam 428 paenituit, sicut de­ καί διαπύρως μετανοών, «αλλού
buit paenitere. κατ επιγνωσιν». 429

Aestimavit enim praevenire [Π 321, 13] ’Ίσως δέ ώήθη


in morte moriturum magistrum προλαβών τόν Ίησούν τεθνηξό-
et occurrere ei cum anima nuda, μενον καί ύπαντήσας αύτφ ίκε-
ut confitene et deprecane miseri­ τεύειν γυμνή τή ψυχή όμολογών
cordiam mereatur. τήν καθ'έαυτού κρίσιν, ώς δεχ-
θήναι αύτού έξομολόγησιν.
C O M M EN TO A M A TTEO , 117 195

per le quali aveva pur preso la temeraria iniziativa di tradirlo? Se infat­


ti è vero quel detto della Scrittura che loro applicano alla proprietà del­
le nature: Non può un albero cattivo dare frutti buoni, dicano se dal
cambiamento di Giuda non spiri una certa bontà, anche se non si è
convertito in modo perfetto e come avrebbe dovuto; [donde proven­
ne] il gesto stesso di riportare le trenta monete di argento e l’aver det­
to, riconoscendo il suo peccato: Ho peccato tradendo sangue giusto, se
non dal buon germe della mente e dall’inseminazione della virtù, virtù
inseminata in ogni anima ragionevole, che Giuda però non continuò a
coltivare, e cadde in simile peccato? E se vi è un essere umano che ab­
bia una natura votata alla perdizione, Giuda indubbiamente lo sareb­
be più di lui. E se fosse stato tale, lo si sarebbe certamente visto, nel ca­
so che tradendo sangue innocente, o non avesse riportato le monete,
preso dall’attaccamento per esse, oppure se riportandole non avesse
ammesso: Ho tradito sangue innocente.
E se Giuda avesse detto ciò Mostra perciò il pentimen­
che ha detto, ma dopo la risurre­ to, non dopo la risurrezione di
zione di Cristo dai morti, in quel lui, quasi costretto, ma prima del­
caso forse si sarebbe potuto ve­ la condanna da parte di Pilato.
rosimilmente supporre che sia
stata la potenza stessa della risur­
rezione ad obbligarlo a pentirsi
del suo operato.
In questo caso, invece, ap­ Appena ebbe visto Gesù
pena vide che Gesù veniva con­ consegnato a Pilato, si ricordò
segnato a Pilato, preso da com­ che Gesù aveva detto anche que­
punzione, si pentì; può anche sto e che sarebbe risorto.
darsi che si sia ricordato di quel­
lo che tante volte Gesù aveva
detto ai suoi discepoli circa la
sua risurrezione futura.
Orbene, Giuda nel constatare la gravità del suo delitto, certo si
pentì, esternò il pentimento del cuore confessando il suo peccato, per
aver tradito sangue innocente.
Ma non si pentì secondo una Si impiccò, e pur provando
retta conoscenza, così come avreb­ un cocente rimorso, non si pentì
be dovuto. secondo una retta conoscenza...
In realtà pensò di precedere Forse pensò di precedere
nella morte il maestro che stava Gesù che stava per morire, di an­
per morire, e di andargli incon­ dargli incontro e supplicarlo con
tro con l’anima nuda, per merita­ l’anima nuda, riconoscendo il
re misericordia confessando e giudizio contro di lui, perché ac­
pregando. cogliesse la sua confessione.
196 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 117

Propter quod ipse se iudicavit et condemnavit in eo quod sciens


peccavit,
et non aspexit in hoc quod [C1 n. 312] .. ,ούδε μνησθείς
dixerat Iob in tantis cladibus μεθ’δσας περιστάσεις Ίώβ λέγει
constitutus: Utinam possim me « ε ί γάρ όφελον έμαυτόν χειρ-
interficere, aut aliquem rogare ut ώσασθαι ή δεηθείς γε ετέρου καί
faceret mihi hoc 43°, nec vidit π ο ιή σ ει μοι τούτο» 431 ατινα το
quia non convenit servum Dei όπωσοΰν έξάγειν εαυτόν τού β ί­
seipsum expellere de hac vita, ου α να ιρεί.

sed expectare etiam de hoc Dei iudicium.


Videamus nunc, si (quod latet multos * * * loci istius) Deo donan­
te possimus explicare quod dictum est: Videns autem ludas, qui tradi­
dit eum, quoniam condemnatus est, paenitentia ductus rettulit triginta
argenteos principibus sacerdotum 432, et cetera.
Si enim scriptum fuisset [Π 321, 4] Διό ού μετά τήν
post sententiam Pilati, postquam άνάστασιν αύτού οΐον έκβιαζό-
flagellis caesum lesum tradidit μενος, προ δέ τής ύπό Πιλάτου
Iudaeis ut crucifigerent eum, κατακρίσεως τήν μετάνοιαν
quod ista fecisset ludas, nihil si­ δείκνυσιν.
ne dubio huiusmodi quaerere­
mus in eo
246 quod dictum est: Videns autem quia condemnatus est.
Nunc autem quomodo vidit [Π 320, 10] Επειδή μήπω
ludas, quoniam condemnatus est κατακέκριτο ύπό Πιλάτου ό Ιη ­
(nec enim adhuc condemnatus σούς, «ό παραδιδούς αύτόν»
fuerat lesus neque a Pilato inter­ Ιούδας ού νομίζων θανάτου
rogatus)? Forsitan ergo dicet ali­ ■ψήφον έξοίσειν κατ'αύτού τούς
quis (vim faciens), quoniam con­ άρχιερεΐς καί προγνούς τούτο
sideratione mentis suae vidit exi­ γεγονός έν συμβουλίω δυνάμει
tum rei 433 quia condemnatus est ειδεν τον Ίησούν διολου κατα-
ex eo, quod traditum aspexit a κριθέντα.
princibus sacerdotum et seniori­
bus plebis.

430 Iob 30, 24. 431 Ibid. 432 Mt. 27,3. 433 Cf. Mt. 26,58.
(94) Videns autem ludas, qui tradidit eum, quoniam condemnatus est...
sensit malum suum ludas. Origene fa una lettura ardita di quella condanna: la sen­
tenza del magistrato romano su Gesù non è ancora stata pronunciata, lo sarà fra
breve, ma in ogni caso chi è già stato condannato è Giuda stesso: - ad ipsum
ludam refertur-, nelle sue ambiguità e oscillazioni. Abbiamo ricordato l’ipotesi di
Léon-Dufour sulla consegna da parte di Giuda: potrebbe leggersi come una sfida
del messianismo terrestre a Gesù perché intervenga in maniera trionfale, ma il
Messia si lascia legare e condurre alla morte (cf. CMtS 78, nota 15: II, pp. 71-73);
C O M M E N TO A M A TTEO , 117 197

Per questo motivo si giudicò e condannò da se stesso, per aver


peccato consapevolmente,
e non aver riflettuto a quel .. .e non si ricordò tra quan­
che aveva detto Giobbe, quando ti malanni Giobbe abbia a dire:
si trovò tra così gravi malanni: Oh, se potessi stendere la mano
Oh, se potessi uccidermi o magari contro me stesso, o pregare un al­
chiedere a qualcuno di darmi la tro di fare questo, il che elimina
morte, senza però capire che ad che egli si togliesse in qualche
un servo di Dio si addice non già modo la vita.
bandire se stesso da questa vita,
bensì restarvi,
in attesa del giudizio di Dio anche su questa decisione.
Ora vediamo se (il senso di questo passo non è chiaro a molti...)
con l’aiuto di Dio possiamo spiegare quello che è detto: Allora Giuda,
colui che lo tradì, vedendo che era stato condannato (94), spinto dal pen­
timento, riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti, eccetera.
Se fosse stato scritto dopo la Mostra perciò il pentimento,
sentenza di Pilato, il quale aven­ non dopo la risurrezione di lui,
dolo fatto flagellare lo consegnò quasi costretto, ma prima della
poi ai giudei perché lo crocifig­ condanna da parte di Pilato.
gessero, e se ne sia stato Giuda il
responsabile, ad un quesito del
genere non si presta di certo
l’espressione: ma vedendo che era stato condannato.
Ora, in che senso Giuda ve­ Poiché Gesù non era stato
de che è stato condannato? Gesù ancora condannato da Pilato,
non era stato ancora né condan­ Giuda che lo tradiva, non imma­
nato né interrogato da Pilato! ginando che i sommi sacerdoti
Qualcuno forse potrebbe soste­ avrebbero emesso contro di lui
nere (in modo forzato) che egli la condanna a morte, e cono­
avrà intuito mediante la conside­ scendo già da prima ciò che sa­
razione della sua mente l’esito rebbe avvenuto nel consiglio, vi­
della cosa, la condanna a morte, de potenzialmente che Gesù era
perché lo vide consegnato dai stato già del tutto condannato.
sommi sacerdoti e dagli anziani
del popolo.

la lettura di Origene si inserisce negli interrogativi antichi e moderni su Giuda,


facendone emergere il drammatico duello con Satana che alternativamente lo
cerca e lo abbandona, per tentarlo fino alla disperazione. E nello spazio vuoto
dalla potenza nemica che Giuda riceve la luce: Vidit quoniam tradens sanguinem
iustum condemnatus a Deo est; Origene riprende per gli agguati del diavolo a
Giuda l’andare e venire che si verifica per le tentazioni di Gesù - diabolus rece-
198 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 117

Alius autem dicet hoc mo­ Ήτοι έπί τόν Ιούδαν άνα-
do, quoniam quod scriptum est: φέρεται τό «κατεκρίθη» αίσθό-
Videns autem ludas quia condem­ μενον οΐον κακόν ην ύπό θεού
natus est 434, ad ipsum ludam re­ καταδικασθείς,
fertur. Cum enim tradidissent le­
sum principes sacerdotum et se­
niores plebis Pilato, tunc sensit
malum suum ludas et intellexit,
quoniam qui talia ausus est, sine
dubio iudicatus et condemnatus
a Deo est.
Forsitan et satanas qui post ή ο «μετα το ψωμιον ει-
panem intinctum fuerat ingres­ σελθών εις αύτόν σατανάς» 437,
sus in ludam 435, praesto fuit ei, παρών αύτώ, εως Ιησούς παρε-
donec Iesus traderetur Pilato, δόθη Πιλάτω, «άπέστη άπ'αύτού
postquam autem fecit quod vo­ εως καιρού» 438,
luit recessit ab eo 436; recedente
autem diabolo intellexit et vidit,
quoniam tradens sanguinem iu­
stum condemnatus a Deo est, et
potuit intellegere sensus eius iam
vacans et non habens diabolum
operantem in se.
Potuit ergo, a se recedente ώς χωρήσαι τήν μεταμέλε­
diabolo, capere paenitentiam ιαν..

247 et referre triginta argenteos his, qui dederant eos. Et potuit dicere, re­
cedente diabolo, quod priusquam ab eo recederet dicere non potuisset;
nec enim adhuc inplente diabolo cor eius potuit dicere: Peccavi tradens
sanguinem iustum. Sed non hoc dicimus, quoniam diabolus recedens
ab aliquo tali iam nequaquam ei insidiatur. Sed observat iterum tem­
pus, si potuerit iterum se adponere ei; et postquam cognoverit et se­
cundum peccatum suum quis, observat etiam tertiae deceptionis locum
in eo diabolus.
Si autem opus est et exemplis uti, videamus in epistola ad Corin­
thios prima eum qui uxorem habuit patris 439, nec enim in huiusmodi ma­
lo sine magno opere diaboli potuit esse. De quo malo paenituit, sicut

434 Mt. 27 , 3 . 435 Cf. Io. 13, 26s. 436 Lc. 4, 13. 437 Io. 13, 27.
438 Lc. 4, 13. 439 1 Cor. 5,1.

dens observat iterum tempus tertiae deceptionis -: Γάχρι καιρού di Le 4 , 13 risuo­


na dunque come risvolto negativo, in controluce, nella “tentazione” a Giuda,
iscrivendola anche per questo aspetto nell’orizzonte dell’opera della redenzione
(cf. Steiner, p. 159).
C O M M E N TO A M A TTEO , 117 199

Un altro invece potrebbe Oppure si riferisce a Giuda


dire così: la frase vedendo Giuda il verbo «fu condannato», sugge­
che era stato condannato è scritta rendo quale male fosse essere
in riferimento allo stesso Giuda. stato condannato da Dio,
Infatti dopo che i sommi sacer­
doti e gli anziani del popolo l’eb­
bero consegnato a Pilato prese a
rendersi conto del suo male e a
capire che chi era giunto a osare
colpe così gravi era stato senza
dubbio [già] giudicato e condan­
nato da parte di Dio.
E probabile che satana, il oppure [riferendosi al fatto
quale dopo Pintinzione del boc­ che] quel satana che dopo il boc­
cone era entrato in lui, gli fu cone era entrato il lui ed era pre­
dappresso fino a che Gesù non sente in lui sino a quando Gesù
venne consegnato a Pilato; una fu consegnato a Pilato, si allonta­
volta realizzato il suo intento, si nò da lui fino ad un certo tempo,
allontanò da lui\ ma con l’allon­
tanarsi del diavolo, prese co­
scienza e vide che tradendo san­
gue innocente era stato condan­
nato da Dio; non più catturato
dal diavolo e non avendolo ope­
rante in sé, il suo intelletto fu in
grado di capire.
E pertanto, allontanandosi sì da dare spazio al rimor­
il diavolo da lui, egli potè dare so...
spazio al pentimento
e riportare i trenta pezzi d’argento a quelli che glieli avevano dati; e fu
capace, dato che il diavolo si allontanava da lui, di dire quello che non
avrebbe potuto dire, prima che il diavolo andasse via da lui. Infatti
mentre il diavolo occupava il suo cuore, non avrebbe potuto dire: Ho
peccato, perché ho tradito sangue giusto. Non stiamo affermando che dal
momento che il diavolo retrocede da una tale persona, dopo non gli
tenda assolutamente più alcuna insidia. Il diavolo si mette di nuovo a
spiare il momento in cui la può affrontare un’altra volta. E dopo che
uno ha fatto esperienza del suo secondo peccato, il diavolo si mette a
spiare anche la terza occasione per ingannarlo.
Ora, se occorre servirsi di esempi, vediamo nella Prima epistola
ai Corinzi il caso di colui che ebbe rapporti con la moglie di suo padre
e non avrebbe potuto trovarsi in un vizio del genere, senza un gran­
de intervento del diavolo. Di questo vizio ebbe a pentirsi, come atte-
200 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 117

Scriptura ipsa testatur, et tristatus est tristitiam secundum Deum, tristi­


tiam quae paenitentiam in salutem stabilem operatur 440. Sed postquam
suscepit huiusmodi tristitiam, adposuit iterum se ei diabolus, volens ip­
sam tristitiam eius supra modum exaggerare, ut iam non esset secun­
dum Deum ipsa tristitia, sed ut abundantior facta absorberet tristantem
supra mensuram et ultra quam tristari debuerat, et sic eum absorberet
satanas in abundantiori tristitia. Quod praecognoscens apostolus con­
silium Corinthiis dat, ut confirment caritatem in eum 441, dicens huius­
modi causam: Ut ne, inquit, abundantiori tristitia absorbeatur qui huiu­
smodi est, non enim versutias eius ignoramus 442. Simile aliquid factum
est et in Iuda, qui tradidit lesum, et secundum similitudinem illius tri­
stitiae quae paenitentiam in salutem stabilem operatur 443, tristatus et
ipse, postquam paenitentia ductus <est>, rettulit triginta argenteos
principibus sacerdotum
dicens: Peccavi tradens san­ tii 321, 5] Φησί δε «ήμαρ-
guinem iustum. Quod ipsum τον παραδούς αίμα άθωον» 446
paenitentiae erat et tristitiae sa­ οίόμενός τ ι άνΰσειν. Διό άκού-
lutaris, sed quia numquam serva­ σας δτι « τ ί προς ή μάς; συ
vit cor suum neque sapienter tri­ σψει» 447 ρίπτει τό άργύριον καί
status est, sed suscepit abundan- άπάγχεται μή φέρων «τήν περισ-
248 tiorem tristitiam a diabolo sibi σοτέραν λύπην» 448.
submissam (qui voluit eum ab­ [C1 η. 312] ...κ α ί γέγονε
sorbere in abundantiori tristitia), πνικτικός καί άκάθαρτος άπο-
ideo referens argenteos illos in μείναντος τή σαρκί τού αίμα­
templum abiens laqueo se suspen­ τος 449. Καί τάχα δευτέρω κακω
dit 444. Si enim postquam rettulit «τή περισσοτέρα λύπη» καταπο­
pecuniam et confessus est se θείς τούτο ποιεί, ού ζητήσας
peccasse eo, quod tradidit san­ όρθώς «τόπον μετανοίας» 450...
guinem iustum, non abiens la­
queo se suspendisset sed locum
paenitentiae 445 requisisset et
tempus paenitentiae observasset,

440 2 Cor. 7, 9s. 441 2 Cor. 2, 7. 442 2 Cor. 2 , 1 1 . 443 2 Cor. 7,


10. 444 Mt. 27 , 5. 445 Cf. Heb. 12, 17. 446 Mt. 27 , 4. 447 Ibid.
448 2 Cor. 2-7. 449 Cf. Act. 15,20; Lev. 19, 26. ™ Heb. 12, 17.

(95) Tristitiam secundum Oeum diabolus volens supra modum exagge


Nella coscienza lasciata libera dal diavolo Giuda ha potuto dire: Peccavi tradens
sanguinem iustum·, peraltro non resta nella tristezza sapiente, ma si lascia ulterior­
mente ingannare dal diavolo fino all’angoscia mortale; la porta del perdono di Dio
è aperta, ma Giuda non trova lo spazio del pentimento perché non si lascia trova­
re da colui che ha detto: Nolo mortem peccatoris (cf. Sgherri 1982, p. 98). La tri­
stezza secondo Dio «va assunta con misura e senza eccessi, per non esser di nuovo
assorbiti da Satana a causa dell’eccessiva tristezza» (Ciò 28, 26, p. 692: ritorna il
testo di 2 Cor 7,9-11); la Scrittura insegna l’arte spirituale, e Origene dipinge il tor­
mentoso fluttuare dell’anima di Giuda, vinta dall’incapacità di farsi largo fra i pen­
C O M M EN TO A M A TTEO , 117 201

sta la stessa Scrittura, e se ne addolorò di tristezza secondo Dio (95),


tristezza che produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvez­
za. Ma una volta che egli ha accolto una tristezza di questo genere, ec­
co il diavolo mettersi di nuovo accanto a lui, con il proposito di far
crescere la stessa tristezza oltre misura, in modo che essa non riman­
ga più tristezza secondo Dio, ma, diventata eccessiva, faccia soccom­
bere lui che è triste oltre misura, ed oltre quella in cui si sarebbe do­
vuto addolorare, per cui satana lo riduce in balìa di un dolore troppo
forte. L’Apostolo stesso, prevedendo ciò, dà ai Corinzi un consiglio:
Facciano prevalere nei riguardi di quel tale la carità, ed è per amore di
lui che afferma: Perché quel tale non soccomba ad un dolore più forte,
non ignoriamo infatti le sue macchinazioni. Qualcosa di simile è acca­
duto nel caso di Giuda, che aveva tradito Gesù: provò anch’egli una
tristezza analoga a quella che produce pentimento irrevocabile che por­
ta alla salvezza dopo che, preso da pentimento, ebbe riportato i tren­
ta pezzi d’argento ai sommi sacerdoti,

dicendo: Ho peccato traden­ . Dice poi: Ho peccato, tra­


do sangue giusto. Già questo fa­ dendo sangue innocente, pensan­
ceva parte del pentimento e del­ do di ristabilire un certo equili­
la tristezza che porta alla salvez­ brio. Perciò dopo che ebbe sen­
za; ma poiché non custodì il suo tito dire: Che ci riguarda? Vedite­
cuore in maniera saggia, e accol­ la tu, getta il denaro e si va ad
se un dolore troppo forte intro­ impiccare, non sopportando la
dotto in lui dal diavolo (col pro­ tristezza troppo forte.
posito di soggiogarlo in un dolo­ ...e divenne soffocato ed
re troppo forte), per tale motivo, impuro, restando il sangue nella
riportato quel denaro nel tempio, [sua] carne. E forse sopraffatto
andò via e s’impiccò. Se dopo da un secondo male, da tristezza
aver riportato il denaro e confes­ troppo forte, compie questo ge­
sato di aver peccato perché ave­ sto, non avendo correttamente
va tradito sangue innocente, non cercato uno spazio di penitenza...
fosse andato ad impiccarsi, ma
avesse ricercato un’opportunità
per fare penitenza e avesse spiato
un momento per il pentimento,

sieri disperati che legano la sua più profonda libertà, immettendo quell’amarezza
che impedisce la conversione nella pace (cf. HIos 24,1); il discepolo che ha conse­
gnato Gesù non riesce ad operare il discernimento spirituale, parte costitutiva del
libero arbitrio, «lotta da intelligenza a intelligenza con gli angeli e contro i demo­
ni» (cf. Bertrand in Orig. Vili, p. 974). Non è diffìcile cogliere nel passo il cammi­
no spirituale di tutti i tempi: «E proprio del cattivo spirito rimordere, rattristare,
creare impedimenti, turbando con false ragioni, affinché non si vada avanti; men­
tre è proprio del buono spirito dare coraggio, forza, consolazioni, lacrime, ispira­
zioni e pace, ...affinché si vada avanti nel bene operare» (Ignazio di Loyola,
Esercizi 315, p. 171: il testo è richiamato da Lies in Orig. VII, p. 721).
202 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 117

forsitan et invenisset eum qui dixit: Vivo ego, quoniam nolo mortem
peccatoris, sicut paenitentiam eius 451.
Ego autem aestimo quo- [Π 321, 8] όρα δε εί μεϊζόν
niam et maius aliquid de salvato- τι περί του σωτήρος έννοών εκεί
re intellegens ludas non alibi ερριψε τά αργύρια.
proiecit triginta argenteos nisi in
templum,
ubi sciebat dominum facto eiecisse de templo oves et boves, et dixis­
se venditoribus columbarum: tollite haec hinc, et nolite facere domum
patris mei domum negotiationis 452, Satis ergo desperans ex se quod
intellexit magnitudinem sui peccati, iactans argenteos illos in tem­
plum, abiit et laqueo se suspendit. Accipientes autem argenteos illos in
templum, abiit et laqueo se suspendit. Accipientes autem argenteos il­
los voluerunt aliquid legitimum observare, et <non> mittere eos in
corbanam, ubi data populi propter necessitates pauperum congrega­
bantur; sanguinis enim pretium impium aestimabant mittere in corba­
nam 453. Propter quod consilium accipientes conparaverunt ex pecunia
illa agrum figuli et operantis lutum; videbant enim quoniam circa mor­
tuos magis eam pecuniam conveniebat expendi et circa locum mor­
tuorum et sepulturae, quoniam pretium sanguinis erat, quam in cor-
bana aut in aliqua necessitate honesta. Sed quia et inter loca mortuo­
rum differentiae sunt (quoniam multi quidem secundum votum opta­
biliter sepeliuntur in monumentis suis paternis, quidam autem prop-
249 ter quasdam calamitates frequenter in peregrinis monumentis sepe­
liuntur) ideo accipientes pretium sanguinis Iesu usi sunt eo ad conpa-
rationem agri figuli alicuius, ut in eo peregrini mortui sepeliantur,
non secundum votum sed secundum casum aliquem contrarium hoc
promerentes. Si autem et peregrinos spiritaliter intellegere convenit,
peregrinos dicimus esse, qui usque ad finem extranei sunt a Deo 454
et peregrini testamentorum eius. Tales igitur peregrini huiusmodi ha­
bent finem, ut in agro figuli sepeliantur, qui pretio sanguinis est con-
paratus. Nam iusti sunt, qui dicunt: Consepulti sumus Christo 455, in
novo monumento quod excisum habetur in petra, in monumento dola­
to, ubi nondum quisquam mortuorum positus est 456. Qui autem usque

45i Ez. 33, 11. 452 Cf. Io. 2, 15s. 4” Cf. Mt. 27, 6. 454 Cf.
Eph. 2, 12. 455 Rom. 6 , 4. 456 Mt. 21, 60; Lc. 23, 53.

(96) Conparaverunt ex pecunia illa agrum figuli et operantis lutum.. ■.


eo peregrini mortui sepeliantur. Come risulta dalla discussione esegetica del testo,
a monte di Mt 27, 9-10 e della sua interpretazione sono due passaggi profetici:
Z e l i , 12-13 e Ger 32, 6-9; la combinazione scritturistica esprime la prima rifles­
sione cristiana post-pasquale e l’elaborazione dell’evangelista: il Pastore di
Zaccaria è venduto per denaro e con quel prezzo viene acquistato il campo del
vasaio di cui parla Geremia (cf. la lettura recente di Menken; Fusco, pp. 122s.).
Inserendosi e proseguendo la lettura della prima Chiesa, Origene vede emerge­
re nel testo evangelico la voce di quei peregrini a Christo et alieni a Deo che ora
C O M M EN TO A M A TTEO , 117 203

forse avrebbe trovato colui che ha detto: Io vivo, perché non voglio la
morte quanto il pentimento del peccatore.
Ma io reputo che Giuda, fa- Ma vedi se non fu per l’es-
cendosi un’idea troppo severa sersi fatta un’idea troppa severa
del Salvatore, gettò i trenta pezzi del Salvatore, che gettò lì i pezzi
d’argento, non altrove, bensì nel d’argento.
tempio,
egli sapeva che il Signore aveva di fatto espulso dal tempio pecore e
buoi, e aveva detto ai venditori di colombe: Portate via queste cose e non
fate della casa del Padre mio una casa di mercato. Non avendo pertanto
abbastanza speranza per se stesso, perché si era reso conto della gravi­
tà del suo peccato, gettando quei pezzi d’argento nel tempio, si allonta­
nò e andò ad impiccarsi. Presi quei pezzi d’argento, loro vollero osser­
vare una parvenza di legalità, e <non> metterli nel tesoro, dove si rac­
coglievano le offerte del popolo per le necessità dei poveri. Stimavano
infatti cosa empia mettere nel tesoro il prezzo del sangue. Per questo, te­
nuto consiglio, comprarono con quel denaro il campo del vasaio, che la­
vora con il fango (96). In realtà consideravano essere più conveniente
spendere quel denaro per i morti e per il luogo di morti e la loro sepol­
tura, poiché quel denaro era il prezzo disangue, anziché metterlo nel te­
soro o investirlo in qualche decorosa necessità. Ma poiché ci sono dif­
ferenze tra i luoghi dei morti (molti esprimono il desiderio di essere se­
polti nei sepolcri dei loro padri, mentre alcuni a causa di calamità tan­
te volte si fanno seppellire nei sepolcri degli stranieri), per questo mo­
tivo, preso il prezzo del sangue di Gesù, lo utilizzarono per comprare il
campo di un certo vasaio, per farvi seppellire i morti stranieri, ai quali
toccava questa sorte, non già in conformità al loro desiderio, bensì in
base ad un circostanza avversa. Ora, se occorre intendere i pellegrini in
senso spirituale, diremo che sono quelli che sino alla fine sono estranei
a Dio e stranieri alle sue alleanze. Questo tipo di pellegrini, dunque, so­
no destinati ad essere sepolti nel campo del vasaio, comprato col prez­
zo del sangue. Infatti sono i giusti a dire: Siamo consepolti col Cristo,
nel sepolcro nuovo che si è fatto scavare nella roccia, in un sepolcro inta­
gliato nella roccia, in cui nessuno è stato ancora sepolto. Ma quelli che

entrano a far parte delle promesse per il sangue del riscatto cui si deve quel
campo (cf. E f 2, 12-13); «in Gesù si compie la volontà salvifica di Dio, sigillata
nella profezia e dissigillata dall’evento escatologico, che in lui si realizza»
(Segalla, p. 113). Si può cogliere nelle righe origeniane il ricordo di quei lavori
di fango e mattoni con i quali Faraone sfinisce i figli d’Israele nella schiavitù (cf.
HEx 1, 5). Girolamo assume lo sviluppo origeniano della nostra Series: «N oi...
che eravamo privi della Legge e dei profeti, abbiamo tratto profitto per la nostra
salvezza dai loro perversi sforzi e abbiamo trovato la pace nel prezzo del suo san­
gue. E il campo è chiamato del vasaio, perché il nostro vasaio è Cristo»
(Commento IV, pp. 289s.).
204 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 117

ad finem peregrini sunt a Christo et alieni a Deo, dicent sine dubio


consequenter: Consepulti sumus peregrinis in agro figuli operantis lu­
tum, qui pretio sanguinis est conparatus, et sumus in agro, qui ager san­
guinis nominatur.
Sed quoniam quod post haec dicit evangelista (tunc inpletum est
quod dictum fuerat per Hieremiam prophetam dicentem quae scripta
sunt), non invenitur hoc Hieremias alicubi prophetasse in libris suis
qui vel in ecclesiis leguntur vel apud Iudaeos referuntur - si quis autem
potest scire, ostendat ubi sit scriptum. Suspicor autem aut errorem es­
se Scripturae et pro Zacharia positum Hieremiam, aut esse aliquam se­
cretam Hieremiae Scripturam, in qua scribitur. Talis est autem textus
apud Zachariam prophetam: Et dicam ad eos: Si bonum est in conspectu
vestro, date mercedem meam, aut abnegate; et statuerunt mercedem me­
am triginta argenteos. Et dixit dominus ad me: Depone eos in fornacem,
250 et vide si probum est, sicut probatus sum pro eis. Et accepi triginta argen­
teos, et misi eos in domum Domini in fornacem 457. Si autem hoc dicens
aliquis aestimat se offendere, videat ne alicubi in secretis Hieremiae
hoc prophetetur, sciens quoniam et apostolus Scripturas quasdam se­
cretorum profert, sicut dicit alicubi: Quos oculus non vidit nec auris au­
divit 458; in nullo enim regulari libro hoc positum invenitur, nisi in se­
cretis Eliae prophetae. Item quod ait: Sicut lamnes et Mambres restite­
runt Moysi 458a non invenitur in publicis libris, se in libro secreto qui
suprascribitur Liber lamnes et Mambres. Unde ausi sunt quidam epi­
stolam ad Timotheum repellere quasi habentem in se textum alicuius
secreti, sed non potuerunt; primam autem epistolam ad Corinthios
propter hoc aliquem refutasse quasi adulterinam, ad aures meas num-
quam pervenit.

4?7 Zach. 1 1 ,12s. 4 58 1 Cor. 2, 9. 4 58* 2 Tim. 3, 8 .

(97) Suspicor autem aut pro Zacharia positum Hieremiam, aut esse aliq
secretam Hieremiae scripturam. Origene fa notare la complessità della citazione
di cui abbiamo già riferito nella nota precedente; aggiunge peraltro la notizia o
l’ipotesi di un apocrifo di Geremia, e il passaggio è reso particolarmente signi­
ficativo dalla ripresa di Girolamo: «H o letto poco tempo fa in un libro che mi
è stato portato da un ebreo della setta dei Nazareni - è un libro apocrifo di
Geremia - queste parole testualmente riportate. Tuttavia a me sembra che que­
sta testimonianza sia tratta piuttosto da Zaccaria» (Commento IV, p. 290); Ilario
non segnala la difficoltà (cf. Bastit-Kalinowska in Orig. VI, p. 675, nota 2).
L’ipotesi dell’Alessandrino risulta ancora una volta significativa per l’attenzione
equilibrata data agli apocrifi; si ricorda «che in 1 Cor 2, 9 Paolo cita un brano
che non si trova in alcun libro riconosciuto (regularis), ma negli apocrifi di Elia,
e che alcuni hanno preteso, benché vanamente, di respingere 2 lm perché con­
tiene in 3, 8 un riferimento a Iannes e Mambres che non si trova nelle Scritture
pubbliche ma nell’apocrifo intitolato Uhm di Iannes e Mambres» (Norelli
2000a, p. 30; cf. Dorivai in Orig. Vili·, Acerbi, pp. 34s., e inoltre CMtS 28, nota
C O M M E N TO A M A TTEO , 117 205

sino alla fine restano stranieri, lontani da Cristo ed estranei a Dio, sen­
za dubbio diranno per logica conseguenza: Siamo stati consepolti con
gli stranieri nel campo del vasaio che lavora il fango, comprato al prez­
zo di sangue, e ci troviamo in un campo detto campo del sangue.
L’aggiunta dell’evangelista: Allora si adempì quello che era stato
detto dal profeta Geremia, che dice (le parole ivi scritte) non si trova
profetata in nessun punto dei libri di Geremia, né in quelli letti nelle
chiese, né in quelli tramandati presso gli ebrei. Se qualcuno può in­
formarsene, ci faccia saper dov’è che si trovi scritto il testo. Ho il so­
spetto però che o si tratti di una svista contenuta nella Scrittura, per
cui al posto di Zaccaria è stato messo Geremia, oppure si tratti di
qualche libro della Scrittura apocrifa di Geremia, in cui potrebbe tro­
varsi scritto quel brano (97). Ad ogni modo, ecco il testo nel profeta
Zaccaria: E dirò loro: Se vi pare giusto, datemi la paga, se no, lasciate
stare. Essi allora stabilirono come mia paga trenta pezzi d’argento. Ma
il Signore mi disse: Gettali nella fornace, e vedi se è giusto il modo con
cui sono stato valutato per loro. E presi i trenta pezzi d’argento e li get­
tai nella casa del Signore nelle fornace. Nel caso che qualcuno si sen­
ta disturbato da questa nostra affermazione, cerchi di vedere se da
questo sia profetato in qualche parte dei libri apocrifi di Geremia e
sappia che anche l’Apostolo cita alcuni brani dei libri apocrifi, come
dice da qualche parte: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio
udì. In nessun altro libro canonico si trova posto questo testo eccet­
to che nei libri apocrifi del profeta Elia. Così pure le parole: Come
Iamnes e Mambre hanno fatto resistenza a Mosè non si riscontrano nei
libri ufficiali, ma in un testo apocrifo intitolato Libro di lamnes e di
Mambres. Per questo alcuni hanno audacemente tentato di respinge­
re l’Epistola a Timoteo, perché conteneva frasi di qualche libro apo­
crifo ma non ci sono riusciti; non è mai giunto ai miei orecchi che
qualcuno, per questo stesso motivo, abbia respinto come non auten­
tica la Prima epistola ai Corinzi.

74: I, pp. 202s.); l’annotazione su 1 Cor 2, 9 ritornerà altrettanto pacatamente


nell’Ambrosiaster: «Ciò che occhio non vide né orecchio udì. .. Questo è scritto
nel profeta Isaia con altre parole e un'Apocalisse di Elia fra gli apocrifi»
(Commento ad locum, p. 52). L’opera di Origene contiene non solo informazio­
ni generali sul pensiero o le tradizioni di questo o quell’autore eterodosso, su
dottrine esoteriche, sulle correnti gnostiche, ma anche annotazioni puntuali,
che hanno efficacia di magistero esegetico e insieme rilevanza strategica perché
mostrano la conoscenza precisa delle argomentazioni riportate (cf. Le Boulluec
1985, pp. 512s.).
206 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 118

118. Iesus autem stetit ante praesidem; et interrogavit eum pr


dicens: Tu es rex ludaeorum? Dicit ei Iesus: Tu dicis 459.
Vere Iesus non rapinam [C1 n. 313/314] ...ό δε Ιη ­
arbitratus est esse se aequalem σούς ήρέμα ύπαινιττόμένος τό
Deo 46°, et non semel sed fre­ ναι ώς πάντων ανθρώπων βασι­
quenter pro hominibus seipsum λεύς έφη τό «σύ λέγεις».
humiliavit. Et nunc ergo iudex
totius creaturae constitutus 461 a
patre, rege regum et domino
dominorum, vide in quantum se
humiliavit, ut adquiesceret stare
ante iudicem tunc terrae Iudae- 'Ως έπί δημοσίω έγ κ λή μ α τι
ae, et vocatus interrogatus est παραδοθέντα αύτόν έρωτςί ό Π ι­
interrogationem, quam forsitan λά τος λέγω ν «σ ύ ε ί ό βα σ ιλεύ ς
deridens aut dubitans Pilatus των Ιου δα ίω ν;» ζη τή σ εις ε ί μυκ-
interrogavit dicens: Tu es rex lu­ τη ρ ίζ ω ν ή άμφ ιβά λλω ν ού τως
daeorum? 462, έρωτά.

ad quam interrogationem quod putavit esse condecens respondit di­


cens: Tu dicis. Et a principe quidem sacerdotum adiuratus, ut diceret si
ipse est Christus filius Dei, respondit: Tu dixisti 463, a Pilato autem in-
25i terrogatus tu es rex ludaeorum? respondit tu dicis. Vide interrogatio­
nes, nisi illa quidem interrogatio: Si tu es Christus filius Dei, Iudaicae
conveniebat personae, Romano autem iudici dicenti interrogatorie iam
non: tu es Christus, sed: Tu es rex ludaeorum?
Qui autem caute considerat ...έ π ε ί ό μεν ά ρχιερεύς δι-
ipsos apices evangelicorum ser­ στατικώ ς ήρώ τησε λ έγ ω ν «είπ ε
monum, videbit quoniam prin­ ή μ ϊν , ε ί σύ ε ι ό Χ ρ ισ τό ς »,
ceps quidem sacerdotum dubi­ Π ιλάτος δε άποφαντικώς.
tanter dixit: Si tu es Christus filius
Dei («si» enim syllaba dubitatio­
nem interrogationis ostendit), Pi­
latus autem pronuntiative:

459 Mt. 27, 1 1 . 460 Phil. 2, 6. 461 Act. 10, 42. 462 Mt. 27, 11.
4« Cf. Mt. 26, 63.

(98) Iesus non semel sed. frequenter pro hominibus seipsum humiliav
Series inizia con un richiamo esplicito a Έίΐ2, 6-11, con la rilevanza teologica che
l’Inno ha nell’opera origeniana riguardo alla kenosi nell’incarnazione e nella
croce, e che nel passo evoca i ripetuti atti - frequenter - con cui il re si è umilia­
to per salvare gli uomini: «Immaginiamo un re giusto e nobile che vuole far guer­
ra contro un qualche ingiusto tiranno in mòdo tale che non appaia che egli abbia
vinto con un conflitto violento e cruento, dal momento che erano suoi i soldati
sottomessi al tiranno ed egli desiderava non perderli, ma liberarli... Diviene nel­
l’aspetto del tutto simile a loro fin tanto che, stando sotto il dominio del tiranno,
persuade coloro che gli obbedivano a separarsene... Incatena poi nel tempo
C O M M E N TO A M A TTEO , 118 207

118. Gesù intanto comparve davanti al governatore e il govern


l’interrogò dicendo: Tu sei il re dei giudei? Gesù rispose: Tu lo dici.
È vero che Gesù non ha ri­ ...ma Gesù lasciando deli­
tenuto tesoro geloso la sua ugua­ catamente intentere il sì, disse
glianza con Dio e che non una «tu lo dici», come re di tutti gli
volta sola, ma tante si è umiliato uomini.
per amore degli uomini (98).
Perciò anche attualmente,
pur avendolo il Padre, che è re
dei re e Signore dei dominanti,
stabilito giudice di ogni essere
creato, vedi a quale punto di
umiliazione è giunto, da accetta­
re di comparire davanti a colui
che allora era giudice della regio­ Pilato lo interroga come per
ne della Giudea: lo chiamò e gli un crimine pubblico, dicendo:
pose una domanda probabil­ Tu sei il re dei giudei? Ti chiede­
mente in tono di scherno e di rai se faccia questa domanda per
dubbio; Tu sei il re dei giudei? deriderlo o metterlo in dubbio.

Gesù vi replica con la frase che ritiene conveniente: Tu lo dici. Quando


fu interrogato dal sommo sacerdote, che lo scongiurò di dirgli se egli
fosse il Cristo, Figlio di Dio, rispose: Tu l’hai detto, mentre alla doman­
da di Pilato: Tu sei il re dei giudei? replica: Tu lo dici. Considera se tra
i due interrogativi, l’uno: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio», non si adat­
tasse alla persona di un giudeo, e l’altro a un magistrato che chiedeva
non già: Tu sei il Cristo?, bensì: Tu sei il re dei giudei?
Chi considera attentamente .. .poiché il sommo sacerdo­
le stesse particelle usate nei di­ te in tono dubitativo l’interrogò
scorsi dei Vangeli, scoprirà che il dicendo: Dicci, se tu sei il Cristo,
sommo sacerdote la domanda: mentre Pilato [pose la domanda]
Se tu sei il Cristo la fece in senso in senso affermativo.
dubitativo; la particella «se»
esprime il dubbio in chi doman­
da; mentre in Pilato la frase ha
senso affermativo:

opportuno quell’uomo forte... Allo stesso m odo... Cristo... annientò se stesso e


assunse la forma di servo... (Per mezzo della morte) distrusse colui che ne aveva
il dominio...» (CRm 5, 1 0 : 1, p. 297). Il breve tratto coglie il index interrogatus
nella sua divina nobiltà umiliata, che diventa forma e modello per i salvati (cf.
Noce 2002, pp. 137-145; Bostock in Orig. VI; CMtS 12, nota 36, e CMtS 50, nota
140: I, pp. 152s.318s.). L’attenzione ai dettagli, il confronto sinottico, il ricorso
alle Scritture confluiscono in una proposta esemplare di lettura della passione
del Cristo; i fatti «sono quasi trattenuti amabilmente davanti agli occhi, affinché
la pia riflessione ne possa assimilare tutta la portata» (Sgherri 1982, p. 79); la
persona storica, l’umanità del Cristo, è al principio e al termine di quel movi-
2θ 8 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 118-119

tu es rex Iudaeorum. Quoniam autem pronuntiative hoc dixit Pilatus,


illud quoque confirmat, quod etiam alibi suprascribit in titulo rex Iuda­
eorum tribus linguis, Hebraice, Graece, et Latine, ut et Hebraei et Grae­
ci et Romani cognoscerent, quoniam et Pilatus sciebat eum regem Iu­
daeorum esse. Propter quod apparet cum qua reverentia requirebat de
Iesu et provocabat populum, ut lesum magis ad dimittendum peterent
quam Barabbam. Reverentiae autem Pilati illud etiam fuit signum,
quod lavans manus suas dixit: Innocens ego sum a sanguine huius; vos
videritis 464.
Quod autem dixit ad prin- 'Ό ρα δέ ε ί μή τό μέν «σ ύ
cipem sacerdotum: Tu dixisti du- είπας» τφ ά ρχιερ ει λεγόμενον τόν
bitationem eius oblique arguens δ ισ τα γμ ό ν α υτού λεληθό τω ς
convincit, et quod ait Pilato tu έλέγχει, τό δε «σ υ λ έγ εις » τφ Πι-
dicis sententiam eius pronun- λάτω τ ή ν άπόφασιν α ύτοΰ
tiantis confirmat. κ υ ρ ο ΐ...
Marcus autem pro: Si tu es Christus filius Dei sic scribit: Tu es fi­
lius benedicti465? Forsitan aut illud quod simpliciter scriptum est, aut
hoc quod dubitanter, nescio si non mendum habeant exemplaria, cum
debuissent ambo aequaliter dicere: Si tu es, aut ambo: Tu es.

119. Et cum accusaretur a principibus sacerdotum et senior


252 bis, nihil respondebat. Tunc dicit ei Pilatus: Non audis quanta adversus
te dicunt testimonia? Et non respondit illi ullum verbum, ita ut mirare­
tur praeses vehementer 466.
Iudaicae litterae occidentis 467 ministri et seniores filii sunt eorum
sacerdotum et seniorum, qui accusaverunt lesum, accusationem eorum
usque nunc suscipientes et accusantes lesum. Propterea permanente eis
ipso peccato et praeveniente eos semel ira usque in finem adhuc patiun­
tur operationes ipsas, derelicti cum populo universo sicut tabernaculum
in vinea, et sicut casula in cucumerario, et sicut civitas quae expugnatur 468.

464 Mt. 27, 24. 465 Mc. 14, 61. 466 Mt. 27, 12-14. 467 Cf. 2
Cor. 3 , 6 . 468 Is. 1, 8 .

mento di trascendenza, o anagogico, che è l’essenziale della esegesi e della spiri­


tualità origeniane (cf. Bertrand F., p. 146).
(99) Princeps sacerdotum dixit: Si tu es Christus Filius Dei... Pilatus pr
tiative: Tu es rex Iudaeorum. Se all’inizio Pilato può aver chiesto deridens aut dubi­
tans, successivamente sembra affermare una vera regalità di Gesù, come se il
silenzio e le parole di questi avessero la meglio sulle ambiguità del magistrato,
facendolo almeno passare dallo scetticismo a un interrogativo sul mistero di colui
che gli sta di fronte (cf. Sgherri 1982, pp. 79-82). Le domande del sommo sacer­
dote e del governatore permangono nelle proprie sfere d’influenza, religiosa e
politica, ma il mistero intreccia gli aspetti confluenti nella persona di Gesù; la pos­
sibile espressione asseverativa di Pilato viene posta in parallelo alla frase dubita­
tiva del sommo sacerdote, suggerendo discretamente l’indicazione di due itinera-
C O M M EN TO A M A TTEO , 118-119 209

Tu sei il re dei giudei (99); e che queste parole abbiano senso afferma­
tivo è confermato peraltro dall’iscrizione fatta apporre in un altro pas­
so: il titolo «Re dei giudei» è scritto in tre lingue: ebraico, greco e lati­
no, perché ebrei romani e greci si rendessero conto che anche Pilato lo
riconosceva come re dei giudei. Ecco perché si vede bene con quanto
riguardo inquisisse su Gesù e sollecitasse il popolo a chiedere la libera­
zione di Gesù anziché di Barabba. Segno di tale riguardo da parte di
Pilato fu anche il fatto che nel lavarsi le mani affermò: Sono innocente
del sangue di quest’uomo. Vedetela voi.
Ora, quello che dice al som- Ma considera se la risposta
mo sacerdote: Tu l’hai detto, in- detta al sommo sacerdote non
direttamente gli rinfaccia il dub- rinfacci in modo velato il suo
bio e lo convince, mentre ciò che dubbio, mentre la parola [detta]
risponde a Pilato: Tu lo dici, va a a Pilato: Tu lo dici dà conferma
dare conferma all’opinione che alla sua affermazione...
quello esprime.
Marco invece, in luogo di: Se tu sei il Cristo figlio di Dio, scrive: Tu
sei il figlio del benedetto? Forse, è la stessa espressione scritta, oppure
la parola che ha un senso dubitativo? Io ignoro se sia un errore nei co­
dici; perché in entrambi i vangeli avremmo dovuto avere: Se tu sei, e in
entrambi: Tu sei.

119. E mentre veniva accusato dai sommi sacerdoti e dagli an


del popolo, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: Non senti quan­
te cose attestano coloro di te? Ma non gli rispose neanche una parola, con
enorme meraviglia del governatore.
Sia i ministri della lettera giudaica che uccide, sia gli anziani, sono
figli di quei sacerdoti e anziani che accusarono Gesù; non fanno che ri­
prendere quell’accusa e rilanciarla contro Gesù sino ad oggi. Perciò,
poiché lo stesso peccato rimane in loro, e li precede l’ira sino alla fine,
essi stanno ancora soffrendo per le loro proprie azioni, abbandonati lo­
ro e tutto quanto il popolo, come capanna in una vigna, come un casot­
to in campo di cocomeri, come una città che viene espugnata.

ri aperti tra fede e non-fede. Nel commento si nota il ruolo della lettura del testo,
e questo risulta anche dal frammento greco, con la sottolineatura delle due diver­
se interrogazioni, da parte dell’autorità religiosa giudaica - διστατικώς ήρώτησε -
e di Pilato - άποφαντικώς -; il testo rimane sospeso, così come le vie degli uomi­
ni possono orientarsi verso il riconoscimento o la messa fra parentesi del “caso
Gesù” (cf., per vari esempi di letture intenzionalmente lasciate aperte, Bendinelli
1997b, pp. 96-101; Vogt 1999e; Perrone 1994, pp. 30-37). I temi enunciati - la
scritta sulla croce, la scelta di Barabba, il lavarsi le mani - saranno ripresi nelle
successive scene della passione: qui sono come posti davanti agli occhi del letto­
re attento - sia della Scrittura che del commentario che ne viene dato -; siamo nel
campo della recezione, che «assume un ruolo strutturale» nell’argomentazione
origeniana, in cui l’accento è messo sulla ricerca (cf. Perrone 2003a, p. 282).
210 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 119

Accusatus autem Iesus sicut tunc nihil respondit, sic et modo ad­
versus accusationes istorum sacerdotum et seniorum nihil respondit.
Tacet enim eis Verbum Dei, et iam non audiunt Verbum Dei, sicut ali­
quando factum fuerat ad prophetas et in consummatione saeculorum
caro factum est et inhabitavit in nobis 469.
Et non solis principibus sa- [Π 322, 10] διά τό άμεταν-
cerdotum et senioribus plebis fai- τρεπτον αυτών ούδέν αύτοΐς
sa accusantibus non respondit άντιφθέγγεται,
sed neque Pilato, quoniam volebat eum audire defendentem se contra
accusationes eorum mendaces. Quando enim dixit ei Pilatus post accu­
sationes principum sacerdotum et seniorum: Non audis quanta te accu­
sant?
Neque ipsi respondit. Nec Καλώς δε ούδε τώ Πιλάτω
enim erat dignum respondere vel άπεκρίθη, δτι αμφιβάλλει εί χρή
dubitanti, utrum debeat adver­ αύτόν προς τάς άδικους κατηγο­
sus accusationes eorum falsas re­ ρίας άπολογεισθαι
spondere.
Hoc diximus non obliti quod dictum est de Pilato, quia vel mo­
mentum aliquod benignum erga Christum habebat (hoc ènim verum
esse de Pilato ex omni narratione eius ostenditur).
Non autem dicere quis au- και δτι διχογνώμων έστί
debit, quoniam permanens et fir- περί αύτόν.
mum erat in eo de Christo iudi-
cium. Trahebatur enim et ad
contraria;
25J propterea et nunc trahenti ad deteriorem opinionem dominus non re­
spondit, contemptis omnibus quae dicta fuerant in accusationem ipsius.

469 Io. 1, 14.

(100) Tacet eis verbum Dei sicut factum fuerat ad prophetas et in consum
tione saeculorum caro factum est. «I pozzi che aveva scavato Abramo, cioè le
Scritture dell’Antico Testamento, sono stati riempiti di terra... sia dai cattivi
maestri, scribi e farisei, sia dalle potenze avverse: le loro vene sono state ostrui­
te, affinché non offrano da bere a quanti provengono da Abramo. Quel popolo
infatti non può bere dalle Scritture, ma patisce la sete della parola di D io... (Il
figlio di Abramo, il Cristo) è venuto e ci ha aperto i pozzi...» (HGn 13, 3, p.
331); i ministri della lettera giudaica che uccide sono figli degli accusatori diretti
di Gesù, e la nostra Series è uno dei passi in cui Origene sembra proporci i «giu­
dei del suo tempo sulla stessa linea di quelli del tempo di Cristo, e metterli in
parallelo come se lo stesso atteggiamento fosse passato dagli uni agli altri»
(Sgherri 1982, p. 30); si protrae per la Sinagoga l’incredulità del momento della
visita·, per essa tace il Verbo, si verifica il silenzio di Dio: - διά ταΰτα έσίγησεν
C O M M E N TO A M A TTEO , 119 211

Ma quando Gesù viene accusato, come allora non diede alcuna ri­
sposta, così adesso contro le accuse di questi sacerdoti e anziani non ri­
sponde nulla: per loro il Verbo di Dio rimane in silenzio, e non lo ascol­
tano più, il Verbo di Dio, come un tempo [quando] era rivolto ai pro­
feti e alla fine dei secoli, si fece carne ed abitò tra noi (100).
E non risponde non solo ai A motivo della loro inflessi-
sommi sacerdoti ed agli anziani del bilità, non rispone loro nulla.
popolo che rivolgono false accuse
ma neanche a Pilato, che voleva sentirlo difendersi contro le menzo­
gnere accuse di quelli. Quando infatti, a seguito delle accuse dei som­
mi sacerdoti e degli anziani, Pilato gli disse: Non senti di quante cose di
accusano?
Gesù neanche a lui diede ri­ E fece bene a non risponde­
sposta. Non valeva la pena, infat­ re né a Pilato, perché era esitan­
ti, dare risposta a chi esitava, te se dovesse difenderlo contro
persino se debba rispondere alle le ingiuste accuse
loro false accuse.
Ciò lo abbiamo detto, pur senza dimenticare quanto affermato in
merito a Pilato: che cioè avesse qualche attimo di benevolenza nei ri­
guardi di Cristo (che questo sia vero, emerge da tutto il suo racconto).
Ma non si oserà dire che Pi- Anche perché era fluttuante
lato, pur avendo un’idea costan- sul suo conto,
te e solida di Cristo, fosse incline
a fare il contrario;
e per questo motivo il Signore adesso non risponde a lui che propende
verso una opinione peggiore, pur avendo diprezzato tutto quello che
avevano detto per accusare Gesù.

αύτοις ό Θεός - (FrPs 49 (50), 16; cf. Sgherri 1982, p. 113). Origene estende abi­
tualmente il giudizio sul letteralismo biblico, dal riferimento storico ai giudei,
alla Cesarea cristiana del suo tempo, all’assemblea liturgica nella quale egli spie­
ga le Scritture come l’unico libro del Cristo, nell’intento di aprire il cuore dei
fedeli (cf. Simonetti 1999; Id. 2000, pp. 424.426.429); peraltro nella scena del
processo a Gesù le applicazioni restano sullo sfondo; immediata risalta l’unità
del «Verbo che parla e la cui parola è nello stesso tempo presenza»; se tutta la
Scrittura dona l’acqua che disseta, la fonte rimane nascosta per chi non conosce
il vero Pozzo, il Figlio di Dio (cf. Fédou, pp. 64.66s.).
212 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 119-120

Miratus est autem Pilatus


constantiam eius, forsitan sciens Δήλον γάρ ή ν δ τι, εί άπελο-
quomodo, cum idoneus esset γήσατο κ α ι παρέστησεν εαυτόν
pronuntiare et remittere crimen σ ύ δ ενί ένοχον έγ κ λ ή μ α τ ι, άπ-
* * * miratus est videns eum in έλ υ σ εν α ν ό δ ικ α σ τή ς λαβώ ν
tranquilla et quieta sapientiae όδόν του χρησ τά περί αύτού ά-
gravitate et inturbabili cum iudi- ποφήνασθαι· δθεν κ α ί ό ήγεμών
cio stare, in quo ad mortem peri­ «έθ α ύ μ α ζ εν » α υτό ν, πώς δυνα-
clitari aestimabatur ab his qui μενος ε ίπ ειν πολλάς απολογίας
fuerant ibi, et fortior erat huma­ έσιώ πα...
na natura
et omni eius infirmitate volente < ndere virtutem spiritus eius, non
autem praevalente facere hoc.

Quod autem scriptum est, Ο ύχ άπλώς δέ θ α υ μ ά ζ ει,


non solum mirari Pilatum, sed ά λ λ α κ α ί « λ ία ν » 4693 τά χ α μέν
etiam valde mirari, movet me ut διά τό άτρεπτον αύτού κ α ί άτά-
aestimem, quoniam dignum ei ραχον προς θά να τον κ α ί τό έν
videbatur magno miraculo, ut τούτοις γα ληνόν τού προσώπου,
exhibitus ad criminale iudicium τά χα δέ έθαύμαζε κ α ί τ ή ν ύπέρ
Christus inturbabilis maneret et άνθρωπον μακροθυμίαν.
staret ante mortem, quae apud
omnes homines terribilis aesti­
matur.
120. Per diem autem sollemnem consueverat praeses dimitter
pulo unum vinctum quem voluissent 469b.
Non mireris si adhuc pri­ [Π 323, 1] είκός άρτι ύπο-
mordium habens Romanus prin­ σπόνδων γενομένων 'Ρωμαίοις
cipatus in eis, et noviter Iudaeis Ιουδαίων τον κεχαρισμένον αύ-
254 iugum suscipientibus Romano­ τοΐς έν τή έορτή συγχωρέίσθαι.
rum, quia donatum erat Iudaeis
ut in sollemnitate paschali pete­
rent unum quem voluissent,

469a Mt. 27, 14. 469b Mt. 27,15.


(101) Pilatus trahebatur ad contraria... miratus videns eum in tranq
sapientiae gravitate. «Era infatti cagione di meraviglia... il fatto che l’accusato, il
convinto di falsa testimonianza, pur avendo la possibilità di difendersi e procla­
mare se stesso immune da accusa, e di fare l’elogio della sua esistenza e delle sue
facoltà, quali provenienti da Dio, al fine di additare al giudice la strada per un
giudizio più favorevole a suo riguardo, tutto ciò egli non fece, e tenne così in
dispregio e trascurò gli accusatori, con animo fermo» (CC Proemio 2 , p. 38; cf.
CMtS 1 , nota 2 : 1, pp. 107s.; CMtS 107, nota 73; 109, nota 76; 115, nota 91: II,
pp. 155-156,159-161,190-191); nelle righe traluce quell’ammirazione di Orige­
ne che illumina la figura di Gesù tracciandone la vita/il bios, non tanto «come
C O M M E N TO A M A TTEO , 119-120 213

Pilato invece ammira la co­ Era infatti evidente che se si


stanza di lui, forse perché si sta fosse difeso e presentato come
rendendo conto che pur avendo innocente di ogni delitto, il giu­
quello il potere di condannare e dice lo avrebbe forse lasciato li­
assolvere un crimine, <non ri­ bero, trovando un modo per
sponde agli accusatori e si stu- prendere decisioni positive; per­
pice di vederlo rimanere fermo ciò il governatore si stupiva che
in quella gravità di sapienza sere­ pur potendo proferire tante dife­
na, quieta (101) e con la sua de­ se, se ne stesse silenzioso...
cisione imperturbabile, mentre i
presenti lo ritenevano esposto al
pericolo di morte. Ma egli era
più forte della natura umana
e di ogni sua infermità che voleva fiaccare la forza del suo spirito, sen­
za però riuscirci.
Il fatto però che stia scritto E non si stupisce semplice­
che Pilato si stupisce non sem­ mente, ma molto. Forse provò
plicemente, ma molto, mi induce [tanto] stupore per la inalterata
a credere che apparisse a lui co­ imperturbabilità di lui di fronte
sa degna di grande stupore che, alla morte, e per la serenità del
pur esposto ad una condanna ca­ [suo] volto, e probabilmente eb­
pitale, restasse impertubabile, be ad ammirare anche la capaci­
fermo davanti alla morte che per tà di sopportazione fuori dal co­
tutti gli esseri umani è ritenuta mune per gli uomini.
terribile.
120. Il governatore era solito, per ogni giorno di festa, rilascia
popolo un prigioniero, a loro scelta.
Visto che l’autorità romana È probabile che essendo i
era appena agli inizi [del domi­ giudei da poco sottoposti ai ro­
nio] su di loro e dato che da po­ mani, fosse concesso loro qual­
co i giudei subivano il giogo ro­ cuno graziato nelle feste.
mano, non ti meravigliare che
fosse elargito ai giudei che nella
festa di Pasqua chiedessero uno
a loro scelta,

racconto biografico, ma come disciplina di vita» e in cui «il punto di vista di un


cristiano colto sulla divinità di G esù» istituisce inevitabilmente una «compara­
zione con altri uomini divini anch’essi oggetto di culto» (Monaci Castagno 2004,
pp. 90.89). Questo motivo emergerà nelle pagine di Eusebio in cui la biografia
di Gesù diverrà sottolineatura della natura divina che vi si esprime: «Il Verbo
divino e celeste di Dio si manifestò in un corpo umano... (Secondo le profezie)
il facitore di opere miracolose sarebbe venuto fra gli uomini... si sarebbe mostra­
to a tutti i popoli quale maestro della saggezza del Padre, ...sarebbe morto nel
modo che conosciamo .. .risuscitato .. .ritornato in cielo» (hist. eccl. 1, 2, 2 3 :1, p.
214 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 120

quamvis mille hominidiis obnoxius videretur. Sic enim quasdam gratias


praestant gentes eis quos subiciunt sibi, donec confirmetur super eos
iugum ipsorum. Tamen consuetudo haec absolvendi vincti fuit aliquan­
do et apud Iudaeos.
Nam cum Saul decrevisset, Και Σαούλ δέ συγχωρήσας
ut ne quis acciperet cibum 470, τφ λαφ τόν Ίωνάθαν δηλοΐ πά­
Ionathas autem favum mellis gu- τριον αύτοις τό τοιούτο.
stasset contra regis decretum 47
invenit obnoxium Ionathan et
quamvis filium constitutum ta­
men propter aliquod iuramen-
tum suum decreverat interficere
eum; sed non interfecit, omni
populo Israel interveniente et
petente eum ad vitam 472.
Sed quod Pilatus dimisit unum vinctum populo, vel Saul secundum
petitionem populi quod dimisit Ionathan, non est mirum; sub culpa
enim erat amborum petentium vita, quoniam Iudaei semper obnoxii
erant. Sed illud quaeramus, si tale aliquid fiat et in iudicio Dei, ut om­
nis ecclesia petere possit aliquem peccatorem ut solvatur a condemna­
tione peccati, maxime autem si quando habeat perditionis cetera ope­
ra, ad benefaciendum autem ecclesiae inpiger sit. Tales enim invenies
saepe in potentatibus constitutos, alias quidem peccatores, tamen pro
Christianis quantum possibile eis est multa agentes. Adduceris autem
magis ad requirendum talia, si rationem habet idoneam, quod etiam
Israel pro vita Nabuchodonosor et Balthasar filii eius Deum orabat 473.
Sed hoc, si videtur alicui dignum requisitione, requiret. Quod autem
255 manifestum est, omnes curare temptemus, ut ex petentibus inveniamur
esse et in ordine eorum qui bene vixerunt, magis quam ex illis, pro qui­
bus petitur quasi pro hominibus malis. Nam etsi concedatur aliquis
peccatorum ad preces ecclesiae, non tamen iustum est gloriam et bea-
titudinem consequi eum, qui huiusmodi est, sufficit enim quod a poe­
na dimittitur.

470 Cf. 1 Reg. 14, 24. 471 Cf. ibid. 472 Cf. 1 Reg. 14, 45ss.
473 Cf. Bar. 1 , 1 1 .

55; cf. Monaci Castagno 2004, p. 104). Pilato, che vive un momentum benignum
erga Christum, nell’ammirazione per la imperturbabilità di Gesù di fronte alla
morte, resta peraltro prigioniero del suo mandato e potere (sul silenzio di Gesù,
cf. ancora Bammel in Orig. VI, pp. 554s.; de Lubac 1985, p. 72; Perrone 2005,
pp. 103-111).
(1 0 2 ) Gratias praestant gentes donec confirmetur iugum... Quaeram
omnis ecclesia petere possit aliquem peccatorem ut solvatur. Riguardo alla proposta
di Pilato di fare grazia a Barabba, Origene ricorda l’usanza degli imperi all’inizio,
che fanno saggio di benevolenza per rendere più saldo il giogo, e cita il biblico
C O M M E N TO A M A TTEO , 120 215

anche se appariva colpevole di mille omicidi. Così infatti i pagani ac­


cordano favori ai propri sudditi, finché non abbiano consolidato su di
loro la loro autorità. Tuttavia questo costume di rilasciare un prigionie­
ro, un tempo vigeva anche presso i giudei.
Quando Saul, ad esempio, Anche Saul, con la grazia
stabilì che nessuno prendesse ci- concessa a Gionata a motivo del
bo, e Gionata aveva assaporato popolo, mostra come questo fos-
un favo di miele contro il decreto se un fatto usuale per loro,
del re, lo riprese come trasgresso­
re, anche se era suo figlio, e a mo­
tivo di un suo giuramento aveva
decretato di ucciderlo; ma non lo
fece per intervento di tutto il po­
polo che lo reclamava alla vita.
Nessuna meraviglia che Pilato rilasciasse un prigioniero al popolo,
a sua scelta o Saul rilasciasse Gionata su richiesta del popolo; nell’uno
e nell’altro caso la vita dei richiedenti era sotto il peso della colpa, per­
ché i giudei erano sempre rei. Ma chiediamoci se tale avvenimento non
si verifichi, anche nel giudizio di Dio: che ogni chiesa possa chiedere di
fare assolvere un peccatore dalla condanna del peccato (102), specie
nel caso in cui abbia tutte le altre opere degne di perdizione, e tuttavia
è sollecito nel beneficare la chiesa. Gente così la trovi spesso tra colo­
ro che esercitano dei poteri, e benché sotto altri aspetti siano peccato­
ri, nella misura del loro possibile fanno del gran bene al mondo cristia­
no. Ti sentirai poi maggiormente indotto ad approfondire questi argo­
menti, se trovi una ragione plausibile al fatto che anche Israele pregas­
se Dio per Nabucodonosor e suo figlio Balthasar. Ma se questo pare
degno di ricerca a qualcuno, lo ricerchi pure. Ciò che risulta chiaro è
che tutti dobbiamo cercare di aver cura di trovarci piuttosto tra quelli
che pregano e nella compagnia di quelli che sono vissuti bene, piutto­
sto che tra quelli per i quali si prega come per gente cattiva. Infatti, an­
che se un peccatore viene consegnato per indulgenza alle preghiere
della Chiesa, non sarebbe giusto che una persona di questo genere ot­
tenga gloria e beatitudine. Basta che gli venga condonata la pena.

esempio di Saul che deve cedere al popolo che ama Gionata; dalle vicende della
vita di Origene si può anche ricavare la sua diretta conoscenza di umori e strate­
gie dei potenti (cf. Vogt 1993, nota 24, p. 361). La digressione sul beneficio impe­
trato per colpe a livelli e significati diversi si sofferma conclusivamente sulla gloria
et beatitudo riservate a quanti bene vixerunt e sulla realtà minimale di uno cui suf­
fia t qtiod a poena dimittitur, il passo può essere messo in relazione con altri nei
quali si parla di situazioni intraeedesiali umbratili, vissute da persone «la cui fede
si limita soltanto a venire in Chiesa, inchinare il capo ai sacerdoti, esibire i loro ser­
vizi, onorare i servi di Dio, a dare anche un contributo al decoro dell’altare e della
Chiesa, senza però impegnarsi a coltivare i loro costumi, correggere le loro azioni,
spogliarsi dei vizi», mentre il meglio è evidentemente una salvezza senza alcun mar-
2 l6 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 120-121

Arbitror autem propter istum diem festum Iudaeorum, in quo Ba-


rabbas ad vitam electus est Christus autem neglectus, dominum dicere
per prophetam: leiunia et ferias et dies festos vestros odit anima mea 474.
Et quia magis sollemnitatem agere voluerunt cum latrone dimisso
quam cum Iesu, verbi gratia dicam: si egissent sellemnitatem recte si­
cut Iosias aut aliquis similis ei 475, et data eis fuisset quem vellent pe­
tenti licentia, sine dubio lesum postulassent Barabbam autem condem-
nassent. Nos autem oremus, ut festum diem colentes, non in fermento
veteri neque in fermento malitiae et nequitiae, sed in azymis sinceritatis
et veritatis 476, Barabbam quidem condemnare, lesum autem ab omni­
bus vinculis liberum accipere nobis mereamur in regem et dominum.
Et quamdiu haec facimus, non convertentur dies festi nostri in luctum,
neque cantica nostra in lamentationem 477, sed erunt in nobis sollem­
nitates verae, sollemnitates Dei.

121. Habebant autem tunc vinctum insignem, qui dicebatur Ba


bas. Congregatis ergo eis dixit eis Pilatus: Quem vultis dimittam vobis,
lesum Barabbam, aut lesum qui dicitur Christus? Sciebat enim quod per
invidiam tradiderunt eum 478.
In multis exemplaribus non [Π 323, 4] Παλαιόϊς δε πά-
continetur quod Barabbas etiam νυ άντιγράφοις έντυχών εύρον
lesus dicebatur, et forsitan recte, και αύτόν τον Βαραββάν Ίησσΰν
ut ne nomen Iesu conveniat ali­ λεγόμενον, ούτως γούν ειχεν ή
cui iniquorum. τού Πιλάτου πεύσις έκεΐ· «τίνα
θέλετε των δύο άπολύσω ύμΐν,
Ίησσΰν τον Βαραββάν ή Ίησούν
τον λεγόμενον Χριστόν;» 479.

474 Is. 1, 13s. 475 Cf. 4 Reg. 23, 22ss. 476 1 Cor. 5 , 8 . 477 Cf.
Am. 8 ,10. 478 Mt. 27,16-18. 479 Cf. Mt. 27,21.

chio d’infamia (Hlos 10, 3, 1, pp. 172.169; cf. Perrone 2000e, pp. 348s.). La Series
considera particolarmente persone costituite in autorità, quanto a sé viventi nel
peccato, ma benevole verso i cristiani (sul rapporto fra comunità politica e irruzio­
ne della trascendenza tra gli uomini per l'incarnazione del Logos, cf. Rizzi 1998;
Id. 2000c); è stato notato, quanto alle riprese dell’episodio e del significato dello
scambio Gesù-Barabba, che Girolamo accoglie accenti origeniani, fermo restando
che «il centro dell’argomentare (di Origene) è diretto non tanto al biasimo antigiu­
daico quanto all’esortazione nei confronti del singolo, che deve nel suo intimo
compiere la scelta per Cristo» (Prinzivalli 1997a, pp. 198s.).
(103) Barabbas ad vitam electus est Christus autem neglectus. Nell’artic
commento alla “purificazione del tempio”, Origene aveva notato che Gesù scac­
cia dal tempio «i ladri, che di Gesù hanno detto: Crocifiggilo, crocifiggilo!, men­
tre di Barabba, che era ladrone, hanno chiesto: Dacci libero Barabba. Per questo
motivo, fino ad oggi, i giudei non hanno Gesù perché non hanno creduto nel
Figlio di Dio, ma hanno con sé Barabba il ladrone» (CMt 16, 23: III, p. 103): la
casa deserta è così letta come la Sinagoga non credente, che chiede lo scambio fra
C O M M E N TO A M A TTEO , 120-121 217

Sono poi dell’opinione che a motivo del giorno di festa dei giudei in
cui Barabba fu scelto per vivere, e Cristo messo da parte (103), il Signo­
re abbia parlato così per mezzo del profeta: I vostri digiuni, le vostre fe­
rie, i vostri giornifestivi, l’anima mia li odia in riferimento appunto a que­
sto giorno festivo dei giudei, in cui Barabba è stato scelto perché vivesse
e Cristo abbandonato. E siccome preferirono celebrare la solennità con
un brigante rilasciato anziché con Gesù, io faccio un’ipotesi: se avessero
celebrato in rettitudine la festa, come Giosia o un altro a lui simile, e fos­
se stato accordato loro il permesso di chiedere quello che volevano, cer­
tamente avrebbero richiesto con insistenza Gesù e fatto condannare Ba­
rabba. Quanto a noi invece, preghiamo di onorare questo giorno di festa
non già con vecchiofermento né confermento di malizia e di nequizia, ben­
sì con azzimi di sincerità e verità·, condannare Barabba, ed essere degni di
accogliere come nostro re e Signore Gesù, libero da ogni legame. E fin
quando agiremo così, i nostri giorni non si volgeranno in lutto, né i no­
stri canti in lamento, ma tra noi ci saranno solennità vere, le solennità di
Dio.

121. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso detto Bara


Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: Chi volete che vi ri­
lasci, Gesù Barabba, oppure Gesù chiamato il Cristo? Sapeva bene, infat­
ti, che glielo avevano consegnato per invidia.
In molti manoscritti non è Leggendo in antichissimi
contenuta l’indicazione che Ba­ esemplari ho trovato che Barab­
rabba fosse chiamato anche Gesù. ba è detto anche Gesù. Così ap­
E forse a giusto motivo, perché il punto suonava la domanda di Pi­
nome Gesù non corrisponda pure lato a quel punto: Chi dei due vo­
a qualcuno degli empi (104). lete che vi liberi, Gesù Barabba, o
Gesù detto Cristo?

Gesù e il malfattore. È chiara la distinzione operata da Origene fra i giudei oppo­


sitori di Gesù e i giusti dell’Antico Testamento: la critica cultuale svolta da Isaia,
riguardo all’ipocrisia morale che svuota i segni religiosi, così come la pia memo­
ria del re Giosia sono richiamate di fronte all’Israele contemporaneo di Gesù
come vera alternativa di fede rispetto all’incomprensione del mistero del Cristo
(cf. Buchinger I, pp. 267s.); le parole con cui l’Alessandrino riprende l’episodio
di Barabba, vagliate con discernimento, appariranno segnate da pacato monito
alla Chiesa più che venate di antigiudaismo. Barabba diventa altrove figurativa­
mente l’immagine di uno sposo demoniaco, una potenza avversa cui si consegna
la Sinagoga adultera da Cristo - il Verbo divino già contenuto nel dono della
Legge -, ma la deiezione della sposa non sarà per sempre; proprio questo «ulti­
mo uomo» prenderà in odio la moglie e «alla fine di tutte le cose, sarà lui a scri­
verle il libello di ripudio, e ciò per disposizione di Dio» (CMt 14,19: II, p. 160;
cf. Sgherri 1982, pp. 88.122-127); la sposa Israele ritornerà così al suo marito di
prima e il Cristo reintegrerà la ripudiata nelle uniche nozze - da Israele e dalle
genti - (cf. ancora CMt 14, 20 e Pennacchio 2000, pp. 29-34).
(104) Ne nomen Iesu conveniat alicui iniquorum. «Trovo per la prima
il nome Gesù nel libro dell’Esodo, e vorrei vedere qual è questa prima volta in
2 l8 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 121

256 In tanta enim multitudine Scripturarum neminem scimus lesum


peccatorem, sicut in aliis nominibus invenimus iustorum et eiusdem no­
minis inveniantur esse etiam iniqui, utputa ludas apostolus zelotes et lu­
das patriarcha item et Machabaeus ludas omnes laudabiles, sed et ludas
proditor; et in Genesi inveniuntur eiusdem nominis esse filii Seth et fi­
lii Cain, sicut Enoch et Lamech et Mathusalem 480. Non autem conve­
niebat esse tale aliquid et in nomine Iesu. Et puto, quod in haeresibus
tale aliquid superadditum est, ut habeant aliqua convenientia dicere fa­
bulis suis de similitudine nominis Iesu et Barabbae. Aestimo enim in
istis rerum aliquod mysterium demonstrari, ut Barabbas quidem consti­
tutus sit ad seditionem et bella et homicidia facienda in animabus homi­
num, lesum autem quasi filius Dei et pax constitutus et verbum et sa­
pientia ad omnia bona. Hi ergo duo cum sint vincti in rebus humanis et
corporibus, populus ille sibi postulavit absolvi Barabbam; propter
quem non cessat gens illa habens seditiones et homicidia et latrocinia,
secundum quosdam gentis suae in rebus quae foris habentur, secundum
omnes autem Iudaeos qui non credunt in lesum intus in anima. Ubi
enim non est Iesus, illic seditiones et lites et proelia sunt; ubi autem est
Iesus, ut dicere possint: Si autem Christus in nobis, corpus quidem mor­
tuum propter peccatum, spiritus autem vita propter iustitiam 481, ibi sunt
omnia simul bona et innumerabiles divitiae spiritales in manibus eius, et
pax; ipse est enim pax nostra, qui fecit utraque unum 482. Et si quis vide-

480 Cf. Gen. 4,17; 5,21.25. 481 Rom. 8 , 10. 482 £ ph. 2 , 14.

cui esso viene menzionato! Dice la Scrittura: Amalec venne e combatteva contro
Israele; disse Mosè a Gesù in Refidim: .. .Scegliti alcuni uomini forti... ed esci per
batterti contro Amalec (cf. Es 17, 8 s.)... A questo punto faccio la prima conoscen­
za col nome di Gesù, ed è qui che scorgo immediatamente il senso simbolico del
suo mistero»; «Qui per la prima volta rifulse lo splendore di questo nome... Mosè
chiama Gesù, la Legge invoca Cristo...» (HIos 1,1, p. 49; HEx 1 1 , 3, pp. 338s.);
le linee della Scrittura congiungono inscindibilmente il nome Giosuè-Gesù alla
futura redenzione (cf. Scognamiglio 1986), ed è sulla base di questa precompren­
sione cristologica che la nostra Series svolge anche l’iniziale considerazione testua­
le, emblematica dell’approccio critico origeniano. Il rilievo teologico di fondo
nulla toglie, anzi avvalora la ricerca (cf. Hannah, pp. 4s.); peraltro le considerazio­
ni sulla esclusività del nome salvifico riserbato a Gesù, da non attribuirsi con faci­
lità a un malfattore, trasmettono alcune note mistiche del rapporto
dell’Alessandrino con il Cristo, esprimendo «le delicatezze di (un’)adorazione
attenta più che un amore materno e rispettosa più di qualunque affetto filiale»
(Hausherr, p. 48; cf. Bertrand F., p. 148; de Lubac 1985, p. 71; Danieli 2000a). In
questo quadro, il sovrapporre i nomi di Gesù e Barabba può essere ricondotto non
tanto a problemi di codici, quanto a favole eretiche (cf. Le Boulluec 1985, p. 512;
sul problema delle lezioni testuali di Mt 27, 17: Gesù Barabba e Gesù detto Cristo,
cf. Gnilka, p.661, con richiamo esplicito alYOrigene latino della nostra Series).
(105) Non cessat gens illa habens seditiones et homicidia et latroc
L’espressione va considerata a vari livelli; il primo è in ordine al mistero dello
scambio, già ricordato: «Di Gesù hanno detto: Crocifiggilo, crocifiggilo!, men-
C O M M EN TO A M A TTEO , 121 219

In così gran numero di testi scritturistici, infatti, non conosciamo


nessun Gesù peccatore, come invece tra altri nomi di giusti si trovano
omonimi di persone ingiuste; così ad esempio c’erano Giuda Zelota
l’apostolo, Giuda il patriarca e Giuda Maccabeo, tutte persone lodevo­
li, ma c’è anche Giuda il traditore. Così nel Libro del Genesi si trova­
no ad avere lo stesso nome figli di Set e figli di Caino, come Enoch, La­
mech e Matusalemme. Niente di simile conveniva al nome di Gesù, ma
qualcosa fu aggiunto, credo, in ambito delle eresie, per avere motivi
plausibili da esporre nelle loro favole circa la somiglianza di nomi tra
Gesù e Barabba. Sono infatti del parere che in queste cose viene mani­
festato un mistero di [profonde] realtà: Barabba fu costituito per pro­
durre insurrezione, guerre, omicidi nelle anime degli uomini; Gesù in­
vece è stato costituito come Figlio di Dio, Pace, Verbo, Sapienza per
ogni bene. Questi due, quindi, erano imprigionati tra realtà umane e
corporee, ed il popolo chiese insistentemente che fosse liberato Barab­
ba; per causa sua, quella nazione non smette di avere sedizioni, omici­
di, rapine (105): per alcuni della sua gente, in ambito di fatti che si rea­
lizzano esteriormente, ma per tutti i giudei che non credono in Gesù,
interiormente, nell’anima. Sì: lì dove non c’è Gesù, lì ci sono sedizioni,
contese, battaglie. Lì dove invece è presente Gesù, sicché possano di­
re: Se il Cristo è in noi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma
lo spirito è vita a causa della giustizia, lì ci sono tra le sue mani tutti
quanti i beni e le innumerevoli ricchezze spirituali, e c’è la pace: È lui
la nostra pace, colui che ha fatto delle due una sola cosa. Ma se si consi-

tre di Barabba, che era ladrone, hanno chiesto: Dacci libero Barabba... Perciò
chi comanda ai giudei che non credono, è Barabba il ladrone» (CMt 16, 23: III,
p. 103; cf. CMtS 120: II, pp. 212-217); il riferimento della Series potrebbe d’al­
tra parte collocarsi in contesti storici e spaziali determinati - come per episodi
violenti accaduti fra la guerra del 70 e quella del 135 - (cf. Sgherri 1982, p. 13).
Il sóttofondo del richiamo ci sembra comunque esplicitato da quel ubi non est
lesus, illic proelia sunt, poiché egli solo è Pace, secondo il richiamo a E f 2, 14,
e in ini figlio della pace (cf. Le 10, 6 ) è «l’uomo nuovo in Gesù Cristo, dove la
pace è, al medesimo tempo, condizione e frutto dell’adesione a Cristo» (Grossi,
p. 711; cf. CMtS 34, nota 94: I, pp. 231s.); certo i cristiani possono scadere da
questo dono in cui sono costituiti, ma per i giudei perdura la situazione onto­
logica di un Barabbas solutus e di un Christus vinctus, con il dramma che ne
consegue per la stessa coscienza giudaica: «N on ci accada quello che di se stes­
si dicono i giudei: che non avendo altare né tempio né sacerdozio, e perciò non
offrendo vittime, i nostri peccati, dicono, rimangono in noi senza che ne con­
seguiamo il perdono» (HNm 10, 2, p. 127). Lo scambio fra Gesù e Barabba
muove in Origene pietà, supplica, sdegno, speranza e ricorso al mistero-, questo
appare l’atteggiamento stesso di Girolamo, al di là della contrapposizione reto­
rica di singoli passaggi: i giudei «hanno i libri, noi il Signore dei libri; posseg­
gono i profeti, noi la comprensione dei profeti; essi sono uccisi dalla lettera, noi
vivificati dallo Spirito, presso di loro è lasciato libero il ladrone Barabba, per
noi è sciolto il Cristo, il Figlio di D io» (In Jonam, Prologus-. PL 25, 1 1 2 0 ; cf.
Prinzivalli 1997a).
220 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 121-122

at contrariam illam operationem, cognoscet quoniam ipse est in homi­


nibus vinctus insignis Barabbas, quem sibi solvi desiderant, non solum
tunc peccans Israel secundum carnem 483, sed et omnes qui ei similes
sunt vel in dogmate vel in vita. Quicumque ergo mala agit, solutus est in
257 corpore eius Barabbas, Christus autem vinctus: qui autem bona agit,
Christus ei solutus est, Barabbas autem vinctus.

122. Sedente autem eo pro tribunali misit ad eum uxor eius di


nihil sit tibi et iusto illi; multa enim passa sum hodie per visum propter
eum 484.
Et lesum quidem per invi­ [Π 322, 16] 'Ότι γάρ φθόνω
diam traditus erat, et ita per invi­ παρεδόθη, καί Πιλάτω δήλσν ήν.
diam manifestam, ut etiam Pila­
tus eam non ignoraret.
Voluit autem evangelista [Π 324,3] "Αλλως τε δε προ-
non praeterire rem divinae pro­ νοίας έργον τό δναρ,
videntiae laudem Dei continen­
tem, qui voluit per visum con­
vertere Pilati uxorem, ut quan­
tum ad se vetaret virum suum, ut
ne audeat contra lesum proferre
sententiam. Et visum quidem ού λεγόμενον μεν τ ί ην, δείκνυαν
non exposuit Matthaeus, tantum δε δ τ ι οΰχ ΐν α μή πάθη ό Ιησούς
autem dixit quia multa passa erat έδείχθη, άλλ'ίνα σωθή ή γυνή.
per visum propter lesum, et ideo
per visum passa est, ut ne am­
plius pateretur, ut beatam dica­ Μ α κα ρία δέ άπέχουσα έν όνεί-
mus fuisse Pilati uxorem, quae ροις τό παθείν, ίν α μή ύπερπάθη.
per visum passa est multa propter
lesum, et recepit per visum quod
erat passura.
Ex quo audebit quis dicere, quoniam melius est recipere aliquem
mala in visu quam recipere in vita. Quis enim non eligat per visum ma­
la sua recipere <quam recipere> in vita sua (nisi forte talia mereatur ut

483 1 Cor. 10,18. 484 Mt. 27,19.

(106) Voluit (Deus) per visum convertere Pilati uxorem... Continetur h


scripturis non publicis. Così recitano gli Atti di Pilato·. «Pilato, rivolgendosi alla
folla dei giudei, dice loro: “Voi sapete che mia moglie è timorata di Dio ed è molto
incline a condividere con voi le usanze giudaiche”. Gli dicono: “Sì, lo sappiamo”.
E Pilato a loro: “Ebbene, mia moglie mi ha mandato a dire: Non t’impicciare di
questo giusto; ho sofferto molto per causa sua di notte”. Ma i giudei rispondono
a Pilato: “Non ti abbiamo detto che è un mago? Ecco che costui ha procurato un
sogno a tua moglie”» (Atti 2, 1, in Erbetta 1992, p. 241); che la visione diventi
C O M M EN TO A M A TTEO , 121-122 221

dera l’opera del nemico, ci si renderà conto che è lui, quel famoso Ba­
rabba, tenuto prigioniero tra gli uomini, che questi desiderano venga
sciolto per loro stessi: non solo l’Israele secondo la carne, che peccò al­
lora, ma anche tutti coloro che gli sono simili sia in ciò che credono che
in ciò che vivono. Nel corpo di colui che commette il male, quindi, Ba­
rabba è rilasciato libero, il Cristo imprigionato; in chi invece compie il
bene, Cristo è liberato, Barabba imprigionato.

122. Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a


Non avere niente a che vedere con quel giusto: oggi ho sofferto molto per
una visione per causa sua.
Certo Gesù fu consegnato Che infatti fosse stato con­
per invidia, un’invidia così evi­ segnato per invidia, risultò chia­
dente, da rendersene conto per­ ro anche a Pilato.
sino Pilato.
Intenzione dell’evangelista Del resto fu opera della
fu quella di non trascurare una Provvidenza il sogno,
realtà della divina Provvidenza
che racchiude una lode a Dio,
egli che per mezzo di una visione
ha voluto condurre a conversio­
ne la moglie di Pilato (106).
Sicché, per quanto dipende­
va da lei, cercò di impedire al
marito di osare di emettere una
sentenza contro Gesù.
Matteo non riferisce la vi­ non è detto di che cosa si
sione; si limita a dire che lei ave­ trattasse, ma lo si rivela non già
va sofferto molto per una visione, per evitare che Gesù avesse a
a motivo di Gesù, e quindi che ha soffrire, ma perché la donna
sofferto durante la visione, per giungesse alla salvezza.
non avere a soffrire di più.
Per cui diciamo che fu bea­ Beata lei che nei sogni tenne
ta la moglie di Pilato, che soffrì lontano il soffrire, per non avere
molto per una visione a motivo di a soffrire di più.
Gesù e per visione apprese ciò
che avrebbe sofferto.
Da ciò si oserebbe concludere che alcuni mali è meglio riceverli in
visione che in vita. Chi non preferirebbe ricevere i suoi mali per visio­
ne, <piuttosto che riceverli> nella sua vita (a meno che i suoi meriti sia-

principio di conversione al Cristo è apertamente sviluppato in testi più tardivi del


“ciclo di Pilato”, cui abbiamo già accennato per CMtS 116 (nota 92: Π, pp. 191­
192; cf. Norelli 2000a, p. 35). La Series si sofferma sul valore di quella passione a
motivo di Gesù che la moglie di Pilato patisce nel sonno: anche nei Vangeli del­
l’infanzia è il sogno a segnare alcune direttive divine, e nella passione di Gesù in
22 2 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 122-123

expediat ei acriora recipere in vita sua potius quam recipere leviora in


visu)? Consolatur enim et requiescit in sinibus Abrahae qui recepit ma­
la in vita sua 485 (et non haec mala quae recepit in visu suo), secundum
quod et consolationem habebit. Utrum autem et initium habeat con-
258 versionis ad Deum ex eo quod multa propter lesum fuerat passa per vi­
sum, Deus scit; tamen continetur etiam hoc in quibusdam scripturis
non publicis.
Et vide (quia iustum appel­ Ei δε σύμβολόν έστιν αύτη
lavit lesum uxor Pilati) ne forte τής ποτε ύπό Πιλάτου κυριευό­
mysterium sit haec uxor Pilati ec­ μενης από των έθνών εκκλησίας
clesiae ex gentibus, quae aliquan­ καί ούκετι ούσης αύτω υποχει­
do quidem regebatur a Pilato, ρίου διά τήν εις Χριστόν πίστιν,
nunc autem iam non est sub eo ζητεσεις· αλλόφυλος γάρ ή γυνή.
propter fidem suam in Christo.

123. Principes autem sacerdotum et seniores persuaserunt popu


peterent Barabbam, lesum vero perderent, respondens autem praeses dixit
illis: quem vultis de duobus dimittam vobis? at illi dixerunt: Barabbam 486.
Et est videre usque nunc quomodo populus Iudaeorum a seniori­
bus suis et Iudaicae culturae doctoribus suadetur et excitatur adversus
lesum, ut perdant eum (quantum ad se) et habeant Barabbam solutum;
credunt enim turbae principibus et sacerdotibus suis. Plerumque et prae­
ses quidem dixit ad populum: Quem vultis de duobus dimittam vobis?,
turbae autem, quasi verae turbae et multae, quae spatiosam et perducen­
tem ad perditionem 487 ambulant viam, petierunt Barabbam solvi, vo­
lentes eum sibi habere solutum.

4«5 Cf. Lc. 16, 23.25. 486 Mt. 27, 20-21. 487 Cf. Mt. 7,13.

Matteo emerge questo richiamo dal mondo sovraumano, non estraneo del resto
alla letteratura giudaica e greco-romana (per cui si veda Gnilka, pp. 661s.665s.,
che ricorda il sogno della moglie di Cesare nella notte precedente l’assassinio del
marito). Rispetto alle tradizioni cui accenna, Origene si limita a dire che ne è a
conoscenza, ma che solo Deus scit quanto è avvenuto nel cuore della donna (né
di più dice un sobrio passaggio di CC 2 ,34); la proliferazione delle leggende, oltre
i cicli già ricordati, ha continuato nei secoli, fino ad attingere la letteratura con­
temporanea (cf. Gnilka, p. 675, e la panoramica di Biihler).
(107) Ne forte mysterium sit haec uxor Pilati ecclesiae ex gentibus. AI
ne latino mysterium corrisponde nel frammento greco σΰμβολον, il che non
implica una precisazione, ma una estensione della terminologia; lo stesso voca­
bolo indicherà, nella successiva Series 125, più che il simbolo, la cosa simbolizza­
ta: « Coccinea chlamys mysterium erat coccinei signi» (cf. von Balthasar 1972, p.
15; Mazzanti, p. 14). Nel passaggio riguardante le domande di Pilato e le inquie­
tudini della moglie - che confluiscono nel riconoscere la giustizia di Gesù -
emerge simbolicamente la ricerca e la confessione di fede delle genti - gentilis
populi testimonium, dirà Girolamo (cf. Commento IV, p. 291) - ; non è proposta
una figura “maggiore” della Chiesa: nell’opera origeniana ci sono anche scorci,
C O M M E N TO A M A TTEO , 122-123 223

no tali, da convenirgli subire esperienze più aspre in questa vita anzi­


ché riceverne di più leggere in visione)? Si consola, infatti, e si riposa
nel seno di Abramo colui che ha ricevuto i suoi mali in questa sua vita
(non quelli avuti in visione), ed in base a ciò riceverà la sua consolazio­
ne. Se poi l’inizio della conversione a Dio l’abbia dal momento che
molto per Gesù abbia sofferto in visione, lo sa Dio. Anche questo argo­
mento, tuttavia, non è contenuto che in alcuni libri apocrifi.
Cerca di vedere (dal mo­ Ti chiederai se costei non
mento che la moglie di Pilato sia simbolo della chiesa dalle
Gesù l’abbia chiamato giusto) se genti, una volta sotto il dominio
questa donna non sia per caso fi­ di Pilato, ora non più nelle sue
gura misteriosa della chiesa dalle mani a motivo della sua fede in
genti (107) che un tempo era go­ Cristo. La donna è infatti stra­
vernata da Pilato, adesso invece niera.
non è più sotto di lui, grazie alla
sua fede in Cristo.

123. Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero il popolo a


dere Barabba, e a far morire Gesù. Allora il governatore rispose e disse
loro: Chi dei due volete che vi lasci libero? Ma quelli risposero: Barabba.
Si può vedere come fino a tutt’oggi la folla dei giudei si lasci fa­
cilmente persuadere dai suoi anziani e dai dottori del culto ebraico, e
si lasci incitare contro Gesù, per far mettere a morte lui (in quanto ciò
dipende da loro) e lasciare libero Barabba (108). Le folle credono ap­
punto ai lori capi, ai loro sacerdoti; per lo più, è un governatore a di­
re al popolo: Chi dei due volete che vi rilasci libero? Ma le folle, da fol­
le vere e numerose che sono, che percorrono la via spaziosa che condu­
ce alla perdizione, chiesero che si lasciasse libero Barabba, volendolo te­
nere sciolto per loro.

quasi “dissolvenze” esegetiche; nel caso, le oscillazioni di Pilato, del quale pure
si sono notati i segni di benevolenza verso Gesù, possono anche farlo avvertire,
per un aspetto, quasi come un volto del Maligno da cui la moglie si libera pas­
sando al Cristo. Questo scioglimento dal vincolo del male avviene per il mistero
della Ecclesia ex gentibus - che, nella donna presentata dal frammento greco
come αλλόφυλος, straniera, vive una sua rifrazione -; rispetto ai non numerosi
credenti dalla circoncisione, i discepoli sono in maggioranza dalle genti, aventi
«abbandonato le loro tradizioni» (cf. CC 5, 35); ancor più: la Chiesa si caratte­
rizza solo per la fede in Cristo, e il perno della supposta conversione sarebbe per
la moglie di Pilato proprio il chiamare Gesù giusto, confessandosi partecipe della
giustificazione per grazia che deriva dalla fede. La penetrazione origeniana non
scava nelle leggende pie sulla morte e risurrezione di Cristo e riguardo ai co-pro­
tagonisti, ma sottolinea il frutto della Pasqua: la fede nel Giusto che giustifica (cf.
Sgherri 1982, pp. 82.318.346; de Lubac 1985, pp. 196s.; Id. 1948, pp. 152-155;
Ledegang 2001, pp. 6.11; Scheck).
(108) Populus Iudaeorum excitatur adversus lesum... ut habeant Bara
solutum. Davanti a Gesù sta il popolo nelle sue strutture: folla, anziani, dottori,
sacerdoti; nella scena, di fronte alla prospettiva teologica certo mai dimenticata di
224 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 124

124. Dicit illis Pilatus: Quid ergo faciam lesum qui dicitur Chri
Dicunt omnes: Crucifigatur, et cetera 488.
Volens eis pudorem tantae iniquitatis incutere Pilatus dicit eis: Quid
ergo faciam lesum qui dicitur Christus?, non solum autem sed et mensu­
ram colligere volens impietatis eorum, illi autem, nec hoc erubescentes
quod Pilatus lesum Christum esse confitebatur nec modum impietatis
259 servantes, dixerunt omnes: crucifigatur. Et si quidem Barabbam petissent
dimittere, non autem econtra et Christum postulassent ad crucem, utpu­
ta Barabbam quidem petissent absolvi, hunc autem non petissent cruci­
figi sed in potestate dimisissent Pilati, ut faceret de eo quod vellet, adhuc
magnae esset impietatis, quod relicto iusto homicidam petissent. Nunc
autem multiplicaverunt impietatis suae mensuram, non solum homici­
dam postulantes ad vitam, sed etiam iustum ad mortem et ad mortem
turpissimam crucis 489. Adhuc autem permanens in eo ipso, quod con­
fundere eos volebat, ut vel confusi ad electionem iusti venirent (etsi non
ex iudicio cordis), dicit eis: Quid enim mali fecit? Contra hoc nihil ha­
bentes quod responderent, amplius clamaverunt non deponentes sed au­
gentes iram, animositatem, blasphemiam et dixerunt·. Crucifigatur.
Pilatus autem, videns quod
nihil proficeret 490, Iudaico usus
est more, volens eos de Christi
innocentia non solum verbis, [Π 324, 9] Ώς άφοσιοΰμε-
sed etiam ipso facto placare si νος τό πράγμα τούτο έποίησεν ό
voluerint, si autem noluerint Πιλάτος δίκαιον λέγων τον
condemnare, faciens non secun- σωτήρα. Παρά δέ τά νυν έθη
dum aliquam consuetudinem 'Ρωμαίων ένίψατο τάς χεΐρας,
Romanorum, ίσως Ιουδαϊκόν εθος ποιων.

accepit enim aquam in conspectu omnium, et lavans manus suas dixit:


Innocens ego sum a sanguine <iusti> huius; vos videritis 491. Et ipse qui-

488 Mt. 27,22-26. 489 Cf. Phil. 2, 8 . 490 Mt. 27, 24. 491 Ibid.

Israele - termine più inclusivo di giudaismo e che comprende sia l’Israele della
carne che della fede (cf. Sgherri 2000b, p. 205; Heither) -, prevale l’atteggiamen­
to manovrabile delle folle storiche che passano dall’opposizione alla scelta che
umanamente perde il Cristo: «Tutto il popolo gridò che (Pilato) rilasciasse Barabba
e consegnasse Gesù alla morte. Ecco: hai il capro che è stato mandato vivo nel
deserto portando con sé i peccati del popolo che grida e dice: Crocifiggilo, crocifig­
gilo! Questi è dunque il capro vivo mandato nel deserto, e l’altro è il capro che è
stato offerto come vittima al Signore per espiare i peccati e ha compiuto in sé la
vera propiziazione per i popoli che credono in lui (cf. Lv 16)» (HLv 10, 2 , p. 236;
cf. Piscitelli 2003, p. 91; Sgherri 1982, p. 29, nota 101). L’Alessandrino, così atten­
to alle sfumature anche psicologiche degli stati umani, vede qui le turbae multae
giudaiche nella via spatiosa della perdizione: «E loro, che dicevano di esser saliti a
Gerusalemme per purificarsi, tutti a gridare:.. .Non liberare costui, ma Barabba!...
Questo era esattamente ciò che il Salvatore aveva annunziato profeticamente:
C O M M E N TO A M A TTEO , 124 225

124. Disse loro Pilato: Che farò dunque di Gesù chiamato il Cr


Tutti risposero: Sia crocifisso, eccetera.
Nell’intento di incutere in loro vergogna per così grossa ingiustizia,
Pilato dice·. Chefarò dunque di Gesù chiamato il Cristo? Non si limita a ciò,
ma intende anche misurare le dimensioni della loro empietà. Ma quelli
non arrossendo neanche per il fatto che Pilato abbia confessato che Ge­
sù è Cristo e non osservando neanche la misura dell’empietà, si misero tut­
ti a dire: Sia crocifisso. Ah, se almeno avessero chiesto di lasciare libero Ba­
rabba, senza chiedere la crocifissione per Cristo! Se si fossero cioè limita­
ti a chiedere la libertà per Barabba, senza chiedere anche la crocifissione
di Cristo, ma lasciandolo in potere a Pilato: ne facesse pure quel che vo­
leva. Già questo era gesto di grande empietà, abbandonare il giusto e re­
clamare un omicida! Invece la misura della loro empietà l’hanno adesso
moltiplicata, non soltanto esigendo la vita per un omicida, ma addirittura
reclamando per il giusto la morte più turpe della croce. Pilato persiste nel­
l’intento di confonderli, sicché almeno a motivo della confusione (se non
per decisione del cuore) giungessero alla scelta del giusto; perciò dice lo­
ro: Che cosa ha fatto di male? Non avendo niente da rispondere a tale do­
manda, si misero a gridare più forte-, non riducendo ma aumentando la col­
lera, l’animosità, la bestemmia dissero-, sia crocifisso.
Pilato, allora, vedendo che Pilato compì questo gesto,
non otteneva nulla, si avvalse di quasi a purificarsi di ciò chia­
una consuetudine giudaica, nel­ mando giusto il Salvatore, e con­
l’intento di placarli riguardo al­ tro la prassi abituale che vige at­
l’innocenza di Cristo, e non solo tualmente nei romani, se ne lavò
con le parole ma anche con i fat­ le mani, adeguandosi forse ad
ti, se volevano condannarlo; se una prassi giudaica.
invece non volevano condannar­
lo, compiendo un gesto non con­
forme ad una prassi romana,
prese dell’acqua e davanti a tutti, lavandosi le mani disse: Sono innocen­
te del sangue di costui (109). Vedetevela voi. Lui certo se ne lavò le ma-

... Viene l’ora che chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio», ma la svolta
fa precipitare anche quell’attesa di morte nella salvezza, che include giudei e gen­
tili: «L a purificazione vera non era prima della Pasqua, bensì durante la Pasqua,
quando Gesù morì come agnello di Dio per quelli che dovevano purificarsi e prese
su di sé il peccato del mondo» (Ciò 28,233.235.237, pp. 732s.). Se l’evento Cristo,
con il culmine della passione, opera una spaccatura nel “popolo dei giudei” , la sal­
vezza è speranza di riunificazione: «Quest’operazione di prendere [su di sé] il pec­
cato egli la compie per ciascun uomo che è nel mondo, fino a che il peccato sia
rimosso da tutto il mondo» (Ciò 1,235, p. 183); la discriminante della fede rispon­
de al dono della redenzione operata da Dio stesso (cf. Simonetti 1993b, pp. 155­
158; Sgherri 1982, pp. 89.92).
(109) Pilatus lesum Christum esse confitebatur... Lavans manus suas
Innocens ego sum a sanguine iusti. Origene ha già sottolineato nella Series 118 la
domanda di Pilato sulla regalità di Gesù; nel passaggio presente l’espressione
226 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 124-125

dem se lavit, illi autem non solum se mundare noluerunt a sanguine


Christi, sed etiam super se susceperunt dicentes: Sanguis eius super nos,
et super filios nostros 492. Propter hoc rei facti sunt non solum in san­
guine prophetarum, sed inplentes mensuram patrum suorum facti sunt
rei etiam in sanguine Christi, ut audiant Deum sibi dicentem: Cum ex-
260 panderitis manus vestras ad me, avertam oculos meos a vobis; manus
enim vestrae sanguine plenae sunt 493. Propterea sanguis Iesu non so­
lum super eos factus est, qui tunc fuerunt, verum etiam super omnes
generationes Iudaeorum post sequentes usque ad consummationem.
Propterea usque nunc domus eorum derelicta est eis deserta 494. Pila­
tus autem oblitus verborum suorum bonorum, quibus coeperat defen­
dere innocentiam Christi, declinans ad malum non solum tradidit le­
sum, sed etiam flagellis caesum tradidit, ut crucificerent eum 495.

125. Tunc milites praesidis susceperunt lesum in praetorium et


gregaverunt ad eum totam cohortem, et induerunt eum chlamydem coc­
cineam et purpuram circumdederunt ei, et coronam de spinis posuerunt
super caput eius et arundinem in dextera eius, et adgeniculantes se delu­
debant eum dicentes: Ave, rex Iudaeorum 49é.
Verisimile est, ut (in pri­ [Π 325, 7] Εικός δε κατ’άρ-
mordiis tunc noviter erecti impe­ χάς τής 'Ρωμαϊκής βασιλείας τήν
rii Romani) milites nondum di­ στρατιωτικήν έπιστήμην οΰπω
sciplinae ordinem conservantes τήν πρέπουσαν τάξιν εχειν, διό
decentem, extra consuetudinem παρά τά 'Ρωμαίων έθη συνά-γε-
disciplinae quae nunc est, face­ ται έπ’αϋτόν ή σπείρα καί πο-ιεΐ
rent in salvatorem, quando acci­ τά γεγ ραμμένα,
pientes eum in praetorium et
congregaverunt totam cohortem
et fecerunt quae fecisse dicuntur,
lusum sibi lesum facientes,
propter quod nominatus fuerat
rex Iudaeorum.

492 Mt. 27,25. 493 Is. 1,15 . 494 Cf. Mt. 23,38. 49^ Mt. 27,26.
496 Mt. 27, 27-29.

Iesus qui dicitur Christus assume anche sulla bocca del governatore una sfumatu­
ra religiosa, unificante il re-messia; non si tratta di forzature, ma dell’estrema
attenzione con cui l’esegeta ripercorre i dialoghi della passione, attribuendo ai
personaggi la responsabilità di parole e gesti a seconda della luce o meno che sem­
brano averne (cf. Sgherri 1982, pp. 80-82). Così il lavarsi le mani, assunto da un
costume giudaico e non romano, va oltre il semplice significato di “non prender
posizione”, ma vorrebbe piuttosto placare i giudei, indurli a riflettere, proporre in
qualche modo un gesto di purificazione; nell’omelia sul Levitico ricordata per la
Series 123, Origene così proseguiva: «Pilato stesso può essere inteso come l’uomo
C O M M EN TO A M A TTEO , 124-125 227

ni, ma loro non solo si rifiutarono di purificarsi nel sangue di Cristo,


ma addirittura lo fecero ricadere su di loro: Il suo sangue cada su di noi
e sui nostri figli. Ecco perché sono diventati colpevoli non solo del san­
gue dei profeti, ma colmando la misura dei loro padri sono diventati
colpevoli anche del sangue di Cristo, sì da udire l’invettiva di Dio:
Quando stendete le vostre mani verso di me, allontanerò i miei occhi da
voi\ le vostre mani grondano sangue. Ecco perché il sangue di Gesù è ri­
caduto non solo su quelli di allora, ma anche su tutte le generazioni di
giudei che si sono susseguite, sino alla fine (110). Perciò la loro casa,
che fu abbandonata fino a questo momento, sarà per loro lasciata de­
serta. Quanto a Pilato, egli dimenticò le buone parole con cui aveva co­
minciato a difendere l’innocenza di Cristo, declinando verso il male,
non solo lo consegnò, ma lo consegnò addirittura dopo averlo fatto fla­
gellare, perché fosse crocifisso.

125. Allora i soldati del governatore portarono Gesù nel preto


gli radunarono attorno tutta la coorte; gli misero addosso una clamide
rossa e lo rivestirono di porpora; gli posero sul capo una corona di spine,
ed una canna nella destra; e mentre si inginocchiavano davanti, lo scher­
nivano dicendo: Salve, re dei giudei.
È probabile che (essendo, È probabile che agli inizi
come agli inizi dell’impero roma­ dell’impero romano la disciplina
no, eretto da poco) i soldati non militare non avesse ancora l’or­
rispettando ancora la prassi disci­ dine conveniente, per cui contra­
plinare che si addice, si compor­ riamente alle [attuali] consuetu­
tassero verso il Salvatore in dif­ dini romane si raduna per lui la
formità con la prassi della disci­ coorte e si mette a fare quel che
plina attuale, allorché portandolo sta scritto;
nel pretorio gli radunarono attor­
no tutta la coorte e si comportaro­
no con lui nel modo riferito,
prendendosi gioco di lui, per cui
lo proclamarono re dei giudei.

preparato [a condurre il capro nel deserto]. Era giudice di quel popolo stesso che
per la sua sentenza lo mandò nel deserto. Senti poi come si sia lavato e sia diven­
tato puro... Tutto il popolo gridava... Allora Pilato chiese dell’acqua e si lavò le
mani... dicendo: Sono puro del sangue di costui» (HLv 10,2, p. 236). D ’altra parte,
nell’omelia sul Levitico precedente, l’uomo preparato è interpretato come il mini­
stro di Dio e ancora come lo «stesso Signore e Salvatore nostro» che conduce nel
deserto «la sorte del capro emissario» (cf. HLv 9, 4.5, pp. 212.214); «Cristo, per
il fatto che ha preso su di sé le vesti della nostra natura, e cioè la carne e il san­
gue, le lava alla sera nel vino, cioè nel suo sangue» (Piscitelli 2003, p. 95).
(110) Sanguis Iesu non solum super eos factus est verum etiam super o
generationes ludaeorum. «Hanno dato la morte più a se stessi che a lui, dicendo:
Il suo sangue cada su noi e i nostri figli... E noi certo non abbiamo detto loro:
228 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 125

Ego autem puto milites hoc διά τό άκοϋσαι αυτόν


fecisse, operantibus in se invisi­ βασιλέα χλευαστικώς ταϋτα
bilibus regibus et principibus ποιούντες. εί δέ ή σπείρα σύμβο-
saeculi huius, qui adstiterunt et λον τής στρατιάς του πονηρού
convenerunt in unum adversus και ε’ι ύπό των αοράτων βασι­
dominum et adversus Christum λειών ένηργούντο άγνοουσών
eius 497, ut videatur illa delusio τήν οικονομίαν, ζητήσεις·
261 eorum potius fuisse quam homi­
num - eorum autem qui non co­
gnoverunt in illa dispensatione
sapientiam Dei: Si enim cogno­ « ε ι γαρ εγνωσαν, ουκ αν
vissent, numquam dominum ma- τόν κύριον τής δόξης έσταύ-
iestatis crucifixissent 498. Ergo ρωσαν» 500 φησιν ό απόστολος.
cohors illa mysterium erat mili­
tiae alicuius malignae 4" .

Et expoliaverunt eum vestimenta eius, quae desursum habebat, tu­


nicam inconsutilem et stolam (haec enim vestimenta eius talia describit
Iohannes501), et induerunt eum (deludentes propter nomen eius rega­
le) coccineam chlamydem 502

non intellegentes quod [Π 326, 12] μή νοούντες ά


agunt. έποίουν.

497 Ps. 2, 2 . 49» 1 Cor. 2 , 8 . 499 Cf. Eph. 6 , 12. 500 χ Cor. 2 , 8 .
501 Cf. Io. 19,23s. 502 Lc. 23, 34.

Non avrete parte su quest’altare o sull’eredità del Signore; sono loro che di pro­
pria iniziativa hanno respinto l’altare vero e il pontefice celeste, e si sono spinti
a tal punto di infelicità da perdere l’immagine senza accogliere la verità; per que­
sto viene detto loro: Ecco la vostra casa vi sarà lasciata deserta {Le 13, 35)» (HIos
26, 3, pp. 315s.; cf. Sgherri 1982, p. 89; Id. 2000b, p. 203). Accostato alla nostra
Series, il tratto delle Omelie su Giosuè esprime una comprensione del dramma
d’Israele, uno stare nel mezzo difficile quanto insolito: è come se l’equilibrio ese­
getico perseguito da Origene nel raffronto del testo biblico ebraico-greco fosse
l’emblema stesso del confronto teologico Israele-Chiesa: per «non svalutare la
moneta delle chiese che sono sotto il cielo» e non ignorare i testi ebraici «quan­
do dialoghiamo con i giudei» (EpAfr 9, pp. 534s.); questa ponderatezza fu una
delle motivazioni non ultime di incomprensioni e sofferenze venute da una parte
e dall’altra (cf. Sgherri 2000b, p. 201). Si pensi, riducendo al massimo l’esempli­
ficazione su il suo sangue su di noi, alla lettura di Efrem: «Il sangue del quale essi
gridavano venisse su di loro è mescolato nelle loro feste e nei loro sabati... Che
non vi macchi l’aspersione del sangue» (Sugli azzimi XIX, 25.28, pp. 228s.),
mentre Pilato «giusto: dichiarò l’innocenza dell’Innocente... Con acqua si lavò
le mani da quel sangue vivente» (Id., Sulla crocifissione IV, 7, p. 279; cf. ibid.
introduzione e note di De Francesco). Quanto a Origene, che pure conosce le
tradizioni su Pilato, non ne resta prigioniero: le ultime righe della Series notano
C O M M E N TO A M A TTEO , 125 229

Per conto mio ritengo che e fanno questo per il motivo


questo i soldati lo facessero, per­ che lo prendono come re per
ché dentro di loro operavano in­ scherno; ti chiederai se poi que­
visibili i re e i principi di questo sta coorte sia simbolo della mili­
mondo che insorsero insieme e zia del maligno e se fossero mos­
congiurarono contro il Signore e si ad agire da regni invisibili che
contro il suo Cristo. Sicché quel­ non conoscevano il piano [di
lo scherno risultasse come azio­ Dio],
ne di loro più che degli uomini -
di loro che, in quella economia
divina, non riconobbero la sa­
pienza di Dio: Se infatti l’avesse­ Se infatti l’avessero cono­
ro conosciuta, non avrebbero mai sciuto, non avrebbero mai croci­
crocifisso il Signore della gloria. fisso il Signore della gloria, dice
Dunque quella coorte non l’Apostolo.
era che il segno misterioso di una
potenza di male (111).

E lo spogliarono dei suoi vestiti, quelli che aveva al disopra, cioè


una tunica inconsutile e un mantello (sono questi gli indumenti di cui
parla Giovanni) e lo rivestirono (schernendolo a motivo del suo nome
di re) di una clamide scarlatta,
non comprendendo quello non comprendendo quello
che fanno. che facevano.

come le oscillazioni del magistrato romano non lo portino a una vera conversio­
ne al mistero di Gesù, che viene flagellato e consegnato alla crocifissione; nota
un esegeta dei nostri giorni: «Se non si conosce Gesù e se non si capisce il suo
silenzio, che rivela tante cose, non si comprende se Gesù stia di fronte a uno
solamente così, sul semplice piano storico, non si sa che cosa gli stia accadendo
e come ci si debba comportare nei suoi confronti» (Schlier 1979, p. 81).
( I li ) Cohors illa mysterium erat militiae alicuius malignae. La coort
schernisce Gesù non esprime solo la rozzezza della τάξις iniziale dell’impero, che
non ha ancora trovato il modo di tenere a freno ogni situazione, nel caso gli istin­
ti della soldataglia; ben di più in quella milizia agiscono i principi invisibili di que­
sto secolo «di cui parlano il salmista e san Paolo» (de Lubac 1985, p. 221; cf.
CMtS 76, nota 6 : Π, pp. 53-55, per il richiamo a Sai 2, 2 ; Bammel in Orig. VI, p.
555). L’economia della passione presenta quel risvolto doppio che si sigilla nel Cro­
cifisso: «La croce fu doppia, essa cioè è composta di due aspetti correlativi: l’uno
visibile, secondo cui il Figlio di Dio fu crocifisso nella carne, l’altro invisibile, per
cui su quella croce fu crocifisso il diavolo, con i suoi principati e le sue potestà...
Duplice pertanto è il senso della croce del Signore. Uno è quello per cui... Cristo
crocifisso ci lasciò un esempio...; l’altro quello secondo cui la croce fu un trofeo
sul diavolo» (HIos 8 ,3, pp. 136s.; cf. Simonetti 1993b, pp. 173-182; Studer 2000a,
p. 105; Somenzi, p. 264; sulla dinamica fra vittoria della croce e vissuto cristiano
nella lotta contro le potenze, cf. Monaci Castagno 1996, pp. 107s.).
230 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 125

Illa enim coccinea chlamys mysterium erat coccinei signi quod


scriptum est in Iesu Nave, quod ad salutem suam habuit illa Raab 503,
et in Genesi, quod factum est in imo filiorum Thamar ad manum na­
scentis, ut coccum alligaretur in signo futurae passionis Christi 504. Ergo
et nunc suscipiens dominus coccineam chlamydem in se sanguinem
mundi suscepit,

et in spinea illa corona su- ό «στέφανος» δέ ό «έξ ά-


scepit spinas peccatorum nostro- κανθών» a i υπό μεριμνών τοΐί
rum intextas in capite suo. βίου συμφυείσαι άμαρτίαι505, ας
αναλίσκει τη εαυτου κεφαλή ώς
θεός.

Et de chlamyde scriptum est quoniam denuo spoliaverunt eum


chlamydem coccineam, de corona autem spinea nihil tale evangelistae
scripserunt, propter quod nos quaerere voluerunt exitum rei de coro­
na spinea semel inposita et numquam detracta. Ego igitur arbitror quo­
niam spinea illa corona consumpta est a capite Iesu, ut iam non sint
262 spinae nostrae antiquae, postquam semel eas a nobis abstulit Iesus super
venerabile caput suum.
Si autem et de calamo quem posuerunt in dextera eius, aliquid di­
cere convenit, huiusmodi dicimus rationem. Calamus ergo ille myste­
rium fuit sceptri vani et fragilis, super quem incumbebamus omnes
priusquam crederemus, sceptrum malignum; confidebamus enim in
virga calamina Aegypti 506 vel Babylonis vel cuiuscumque regni contra­
rii contra regnum Dei.

503 Cf. Ios. 2 , 18. 504 cf. Gen. 38, 27s. 505 cf. Mc. 4,19. 506 is.
36,6.

(1 1 2 ) Illa coccinea chlamys mysterium erat coccinei signi. È ancora


non consapevolezza - non intellegentes quod agunt - che i soldati rivestono
Gesù della veste purpurea, celebrando un mistero (abbiamo già ricordato il
senso della espressione: cf. CMtS 1 2 2 , nota 107: II, pp. 222-223); riemerge uno
dei temi maggiori di Origene, quello del sangue di Cristo, il cui colore è adom­
brato nel segno salvifico dato a Raab e alla sua casa, la cordicella scarlatta, per
cui quella dimora diviene spazio salvifico per le genti e per « l’antico popolo»:
«Se dunque uno vuole salvarsi... venga in questa casa, nella quale c’è il sangue
di Cristo, in segno di redenzione» (HIos 3, 5, p. 80). Nel testo omiletico ora
citato, come nella nostra Series e in altri sviluppi origeniani, quello che salva è
la fede nella potenza del sangue purificatore di Cristo che, mediante il Vangelo,
rosseggia e rifulge nel mondo (cf. H Ex 2 , 2 , citato per CMtS 74, nota 2 : II, pp.
47-48; de Lubac 1985, p. 193; Sgherri 1982, p. 330; il messaggio cristologico ed
ecclesiale che ricapitola e contempla i misteri nel sangue di Cristo si diffonderà
anche per rivi immaginativi nelle linee didascaliche e morali della pietà popo­
lare: cf. Girardi 1989, pp. 906s.).
C O M M E N TO A M A TTEO , 125 231

In realtà quella clamide scarlatta, nel mistero, si riferiva al segno


scarlatto (112) di cui è scritto in Giosuè, [figlio] di Nave, segno che Ra-
ab accolse a garanzia della sua salvezza e che nel libro della Genesi ap­
parve sulla mano di uno dei figli di Tamar, mentre nasceva, perché il
rosso fosse legato come segno della futura passione di Cristo. Anche
adesso, dunque, il Signore assumendo la clamide di porpora non fa che
assumere in sé il sangue del mondo,
ed in quella corona di spine La corona di spine sono i
assunse le spine dei nostri pecca- peccati intrecciati sopra la nostra
ti, intrecciate sopra la sua testa. testa dalle sollecitudini della vi­
ta, che [egli] consuma sulla sua
testa in quanto Dio.

Circa la clamide poi sta scritto che di nuovo gli tolsero di dosso la
clamide scarlatta, mentre della corona di spine gli evangelisti non han­
no scritto niente del genere, per cui vogliono che noi, riguardo alla co­
rona di spine, ci chiediamo cosa ne sia avvenuto, una volta che fu po­
sta sul capo di Gesù, e non gli fu più tolta. Ecco dunque quello che
penso: quella corona di spine è stata eliminata dal capo di Gesù per­
ché non ci fossero più le nostre antiche spine (113), dopo che Gesù
una volta per sempre le ha sottratte a noi per assumerle sul suo vene­
rabile capo.
Se poi c’è da dire ancora qualcosa circa la canna che gli posero
nella mano destra, ecco quale pensiero esprimiamo: quella canna era
misterioso simbolo di vano e fragile scettro, su cui tutti noi ci reggeva­
mo, prima di giungere alla fede: lo scettro del male. Sì, noi confidava­
mo nel sostegno di canna di Egitto oppure di Babilonia o di qualunque
regno avverso, in contrasto con il regno di Dio.

(113) Spinea illa corona consumpta est a capite Iesu ut iam non sint s
nostrae antiquae. Secondo questa lettura «piena di profondo sentimento» (de
Lubac 1985, p. 103), le spine dell’umanità sono assunte e assorbite da quel
Capo in quanto Dio - ώς Θεός puntualizza il frammento greco «Il più puro
tra gli esseri viventi... ha preso su di sé i nostri peccati e le nostre infermità,
perché era in grado di assumere su di sé tutto il peccato dell’universo mondo
e scioglierlo» (Ciò 28, 160, p. 719); «Pose dunque anche la sua mano sul capo
del vitello (Lv 1, 4), cioè impose sul suo corpo i peccati del genere umano: lui
che è il Capo del corpo della sua Chiesa» (HLv 1, 3, p. 38; sull’ampliarsi del
testo, cf. Lettieri 2003, pp. 3 ls.). «In collegamento col tema dell’espiazione
Origene vede concretarsi l’umiliazione di Gesù soprattutto nel suo addossarsi
i peccati degli uomini... Origene sfrutta in questo senso contesti esegetici
diversi» (Simonetti 1993b, p. 159); se con la clamide purpurea Cristo assume
il sangue del mondo - l’immagine fonde l’umanità della carne e la sofferenza
redentrice -, le spine restano sul capo del Cristo: «L a differenza consiste nel
fatto che dell’umanità egli si spoglia, ma non della corona dei nostri peccati,
dei quali costantemente si fa carico» (Noce 2 0 0 2 , p. 167; Id. 2 0 0 1 , p. 383).
232 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 125-126

Et accepit calamum illum et [Π 326, 16] Ήν λαβών ά-


virgam fragilis regni de manibus φ’ήμών ό Χριστός αυτός μεν ούκ
nostris, ut triumphet eum et con- έβλάβη, έποίησε δε ισχυρόν, πο-
terat in ligno crucis 507. Et pro λύ τής προτέρας στερροτέραν. ά-
calamo illo priori, super quem ντέδωκε δέ ήμΐν σκήπτρον οΰ-
prius recumbebamus, dedit no- ρανών βασιλείας,
bis sceptrum regni caelestis
et virgam de qua scriptum est: Virga aequitatis virga regni tuP0&\ vel vir­
gam, quae corripiat eos qui opus habent correptione, de qua dicit apo­
stolus: Quid vultis? In virga veniam ad vos? 509 Dedit nobis et bacu­
lum, ut celebremus pascha secundum quod scriptum est: Baculi vestri
in manibus vestris sint 510, ut celebremus pascha deponentes virgam ca­
lami eam, quam habebamus priusquam celebraremus Domini pascha.
Percutiunt autem cum hoc fragili et vano calamo caput Iesu venerabi­
le, quoniam et semper regnum illud contrarium conviciat et verberat
Deum patrem, caput Domini salvatoris. Et in his omnibus unigenita
virtus nocita non est, sicut nec passa est aliquid, facta pro nobis male­
dictum 511, cum naturaliter benedictio esset; sed cum benedictio esset,
consumpsit et solvit et dissipavit omnem maledictionem humanam.

126. Exeuntes autem invenerunt hominem Cyrenaeum nomin


monem; hunc angariaverunt ut tolleret crucem eius 512.
Sicut enim secundum tres evangelistas temptatur a diabolo lesus,
secundum Iohannem autem (qui spiritalis naturae eius fecit sermonem)
26} non temptatur - nec enim temptatur veritas et vita 513 et resurrectio 514
et lumen verum 515, sed temptabatur secundum hominem quem susce­
perat unigenitus Deus - sic
secundum Iohannem qui- [C1 n. 316] κατά μέν τους
dem salvator, inponentibus eis τρεις Σίμων βαστάζων άναφέρε-
qui susceperunt eum, crucem ται τόν Ίησου σταυρόν, κατά δέ
suam portans egressus est in locum Ίωάννην έαυτώ βαστάζων ό Τη-
qui dicitur Calvariae locus 516, se- σοϋς αυτόν,
eundum reliquos autem sibi eam
non portat.

507 cf. Col. 2,15 . 508 p s. 4 4 (45)j 7 . 509 1 Cor. 4,21. 510 Ex. 12,
11. 511 c f. Gai. 3,13. 512 Mt. 2 7 ,32.33. 513 i 0 . i 4 ; 6 . 514 ι 0 . n ,
25. 515 io . i ; 9 . 516 i o . 19) 17.

(114) Calamus mysterium fuit sceptri vani... Dedit nobis sceptrum regni
stis. .. Dedit nobis et baculum ut celebremus pascha. Con sintesi ardita, Origene
interpreta la canna da un lato secondo il simbolismo delle Scritture che mettono in
guardia dall’appoggiarsi ai fragili sostegni dei poteri umani, tentazione ricorrente
per il popolo di Dio (cf. Is 36, 6 ), e dall’altro vede in essa il realizzarsi della reden­
zione di Cristo, nello scettro giusto del suo regno (cf. Sai 44 [45], 7); le metafore
della canna-scettro-verga di correzione culminano nel bastone pasquale - da Es 12,
C O M M EN TO A M ATTEO , 125-126 233

E quella canna e quella verga E la prese da noi lo stesso


di fragile regno la prese dalle no- Cristo e non ne patì danno, anzi
stre mani, perché trionfi su di essa fu lui a renderla robusta e molto
e lo schiacci nel legno della croce. più solida della precedente. E a
E in luogo della canna precedente noi diede in cambio uno scettro
in cui prima confidavamo, ci ha di regno celeste,
dato lo scettro del regno celeste
e la verga di cui sta scritto: È verga giusta la verga del tuo regno; oppu­
re il bastone che correggerà quelli che hanno bisogno di correzione, di
cui l’Apostolo dice: Che cosa volete? Debbo venire a voi con il bastone?
Ma ci ha dato anche un bastone per celebrare la pasqua secondo la pa­
rola della Scrittura: Abbiate in mano i vostri bastoni, sicché celebriamo
la pasqua (114), lasciando quello scettro di canna, che avevamo prima
di celebrare la Pasqua del Signore. Si mettono poi a percuotere con
questa canna fragile e vuota il venerabile capo di Gesù, poiché il regno
del nemico non fa che oltraggiare e percuotere sempre Dio Padre, ca­
po del Signore Salvatore. Ma in tutto ciò la potenza unigenita non ha
subito danno, così come non ha sofferto alcunché, facendosi per noi
maledizione, pur essendo per natura benedizione; ma poiché era bene­
dizione, esaurì, dissolse e disgregò ogni maledizione umana.

126. Mentre uscivano, trovarono un uomo di Cirene, di nome S


ne, e lo costrinsero a prendere su la croce di lui.
Come nei tre evangelisti [sinottici] Gesù viene tentato dal diavolo,
mentre in Giovanni (che fece un discorso sulla sua natura spirituale) non
lo è: non può essere tentata la verità e la vita, la risurrezione e la luce vera,
ma la tentazione riguarda l’uomo che l’Unigenito Dio ha assunto, così
nel vangelo di Giovanni, il secondo i tre [sinottici] è ri­
Salvatore, quando coloro che lo ferito che Simone porta la croce
presero gliela misero addosso, di Gesù, secondo Giovanni Ge-
portando la sua croce uscì verso il sù la porta per sé.
luogo detto del Calvario, mentre
secondo gli altri evangelisti non
fu lui a portarsi la croce (115).

11 alla Pasqua nuova cui ci conduce il Cristo -. Si noterà che l’esegeta cede quasi
il posto al pastore liturgico, e che la pagina vibra di un ardore celebrativo cui sono
sottesi i riti e le letture pasquali - celebremus pascha -·. celebrazione che è «l’espres­
sione della svolta nella storia della salvezza» e del «cambiamento del dominio» in
un regno fondato sulla croce di Cristo, «simbolo dell’esistenza redenta» (cf.
Buchinger I, p. 268; Id. 2003, sul tema generale e i passaggi nell’omiletica latina:
cf. in particolare p. 154, nota 131; ancora de Lubac 1985, p. 221; Sgherri 1989, p.
46, nota 18; sulla simbolica della verga nella tradizione ecclesiale e nelle estensio­
ni, cf. Bastit-Kalinowska in Orig. Vi, p. 684).
(115) Secundum lohannem crucem suam portat, secundum reliquos eam
portat. «H Gesù giovanneo (se così posso chiamarlo), portava la croce “per se stes-
2.34 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 126

Exeuntes enim qui ducebant eum ad crucifigendum517, invenerunt


quendam Cyrenaeum, nomine Simonem, quem angariaverunt ut accipe­
ret crucem Christi. Non autem solum salvatorem conveniebat accipere
crucem suam, sed et nos conveniebat eam portare, salutarem nobis an­
gariam adinplentes. Nec iterum autem sic prodificandi fueramus cru­
cem eius accipientes, quantum modo prodificamur a cruce eius, cum et
ipse sibi accipiat eam et portet.
Quaeres autem si secundum Εί δε γέγονε κατά τό ρητόν
textum utrumque est factum et άμφότερα, ζητήσεις, και τ ί πρό-
non dissonant sibi evangelistae τερον,
ab invicem, et quid eorum prius
est factum: utrum enim qui su­
sceperunt lesum ad crucifigen­
dum et inponentes ei crucem, ut
portans eam exeat in locum Cal­ πότερον τό τέλος τού βα-
variae, hoc primum fecerunt, an­ στάζειν τόν σταυρόν Ιησούς
tequam angariarent Simonem έλαβεν ή Σίμων είκός γάρ μηδε-
Cyrenaeum - aut egressi quidem νός θελήσαντος βαστάσαι τόν
angariaverunt Simonem, facti au­ σταυρόν ουτος έσωθεν πρώτον έ-
tem ad locum in quo eum fue­ βάστασεν αύτόν, εν δε τή όδφ έ-
rant suspensuri, posuerunt cru- πέθηκαν αύτόν έπι Σίμωνα,
264 cem ei ipsi, ut ipse eam portaret,
et qui potest discutere, quaerat
discutiens in utroque, ut inveniat
utrum finem portandae crucis
accepit, aut magis Cyrenaeus Si­
mon, non fortuito angariatus, ού συντυχικώς μέν άγγα-
sed secundum aliquam de eo ρευθέντα, προορισθέντα δέ ύπό
praescientiam Dei, secundum di­ θεού διακονήσαι τω σταυρψ Ιη ­
spositionem Dei ductus ad hoc, σού, έν ω «κόσμος έσταύρωται»

517 Mt. 27, 31-32.

so”, e portandola uscì (cf. Gv 19, 17), mentre quello matteano, marciano e lucano
non la prende per se stesso: è Simone di Cirene a portarla. E costui forse rappre­
senta noi, che abbiamo preso la croce per Gesù, mentre Gesù la prende per se stes­
so. E così ci sono due modi di intendere la croce: una croce è quella che porta
Simone di Cirene, l’altra quella che Gesù porta “per se stesso”» (CMt 12,24:1, pp.
326s.); Origene tiene conto della prospettiva teologica propria a ciascun evangeli­
sta, degli orientamenti diversi nel sottolineare, nell’unità del Cristo uomo-Dio,
questo o quell’aspetto: «Giovanni non ha narrato la tentazione del Salvatore... Nel
C O M M E N TO A M A TTEO , 126 235

Infatti, mentre uscivano, coloro che lo portarono via per crocifìgger­


lo, trovarono un uomo di Cirene, di nome Simone, e lo costrinsero a pren­
dere la croce di Cristo: non era conveniente che solo il Salvatore pren­
desse la sua croce, ma che anche noi la portassimo, adempiendo un du­
ro servizio, che per noi è fonte di salvezza. E d’altra parte, non assu­
mendo in questo modo la sua croce, non avremmo ottenuto i benefici,
quanti ne otteniamo adesso dalla sua croce, essendo egli a prenderla
per sé e a portarla.

Ti chiederai poi se, stando Ma chiediti se, stando al te­


al testo, non si siano verificate sto non si siano verificate en­
l’una e l’altra cosa, e gli evangeli­ trambe le cose, e quale sia avve­
sti non discordino tra loro; chie­ nuta prima:
diti quale dei due fatti si sia veri­
ficato per primo: se cioè coloro
che portarono via Gesù per cro­
cifiggerlo e gli misero addosso la
croce, in modo che portando la
croce si avviasse verso il luogo del se l’ultimo tratto nel portare
Calvario, abbiano fatto ciò prima la croce toccò a Gesù o a Simone.
di costringere Simone di Cirene, E infatti probabile che non es­
oppure quando uscirono costrin­ sendoci nessuno ad accettare di
sero Simone, ma quando giunse­ portare la croce, lui (Gesù) per
ro sul luogo dove l’avrebbero ap­ primo la portò dall’interno; du­
peso, gli misero addosso la cro­ rante il cammino la posero poi
ce, perché fosse lui a portarla. addosso a Simone,
Chi è in grado di fare questa ri­
cerca, si chieda pure, nella ricer­
ca su entrambi i casi, per trovare
se nell’ultimo tratto portò la cro­
ce, o piuttosto Simone di Cirene
fu costretto non per caso, ma se­ non per puro caso, essendo
condo la prescienza di Dio a suo stato costretto, e fu preordinato
riguardo e secondo il piano di da Dio a rendere servizio alla

suo prologo aveva preso le mosse da D io... Matteo presenta il libro della genealo­
gia di Gesù Cristo... (Luca) descrive la sua generazione umana, e, in Marco, è l’uo­
mo che è tentato» (HLc 29, 6 , pp. 193s.). Abbiamo già notato una simile prospet­
tiva nell’affrontare il tema dell’agonia (cf. CMtS 92, nota 47: II, pp. 118-119); la
tentazione, Γagonia e il portare la croce sono quindi luoghi teologici di rivelazione,
attraverso la debolezza della carne assunta dall’uomo Gesù, della divinità e della
gloria del Verbo, e questo emerge dal confronto fra i Sinotdci e Giovanni, con pro­
spettive esegetiche di rilievo sorprendentemente “moderno”: «Non mi sento di
riprendere (gli evangelisti) neppure se essi talora, a vantaggio della considerazione
mistica di queste realtà, hanno trasformato qualcosa che, sul piano storico, è acca­
duto in altro m odo... e hanno riferito con qualche mutamento ciò che era annun­
ziato in un certo determinato modo» (Ciò 10, 19, p. 385; cf. Steiner, pp. 138s.; de
Lubac 1985, p. 224; Danieli 1996, p. 135; cf. CMtS 77, nota 9: Π, pp. 60-61).
236 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 126

ut evangelica Scriptura dignus τοις αγιοις «κ α ι» οι άγιοι


inveniretur et ministerio crucis «κόσμω»519.
Christi, in qua mundus crucifigi­
tur sanctis et sancti mundo 518.
Quidam autem et moraliter ’Επεί δε Κυρήνη τής Πεντα-
exponere voluerunt hunc ipsum πόλεώς έστιν, τροπικώς φασιν
Simonem Cyrenaeum, ex eo quod τάς αισθήσεις βαστάζειν τον τής
de Pentapoli esset Cyrenes secun­ οικονομίας σταυρόν.
dum Libyam, accipientes occa­
sionem de sensibus quinque ut
dicant, quasi quinque sensus por­
taverint dispensationis illius cru­
cem. Simon autem interpretatur
OBOEDIENTIA: cui autem magis Και έπεί Σίμων ερμηνεύεται
conveniebat, ut crucem Christi Υπακοη ό τής ύπακοής επώνυμος
portaret, nisi oboedientiae αίρει αύτόν.

aut (sicut secundus Liae filius vocabatur520) Simeon? Dupliciter enim


apud Graecos nominatur et patriarcha et Petrus (secundum proprieta­
tem Hebraici sermonis), ut conveniat ei qui ita vocatur, ut et Simon di­
catur et Simeon, quoniam <iisdem> ipsis litteris scribunt Hebraei et Si-
meonis nomen et Simonis. Locus autem Calvariae dicitur non qualem-
cumque dispensationem habere, ut illic, qui pro hominibus moriturus
fuerat, moreretur.
265 Venit enim ad me traditio [C1 n. 317] Περί τού κρανί­
quaedam talis, quoniam corpus ου τόπου ήλθεν εις έμέ, δτι
Adae primi hominis ibi sepultum Εβραίοι παραδιδόασι τό σώμα
est ubi crucifixus est Christus, ut του Άδάμ εκεί τετάφθαι, ίν'έπεί
sicut in Adam omnes moriuntur έν τω Άδάμ πάντες άποθνήσκο-
sic in Christo omnes vivificen- μεν, άναστή μέν ό Άδάμ, έν

518 Cf. Gal. 6,14. 519 jfe/. 520 c f. Gen. 29, 33.

(116) Cyrenaeus Simon nonfortuito angariatus ductus ad hoc ut dignus


niretur ministerio crucis Christi. Qual è il fine - τέλος ο σκοπός, termine tempo­
rale o intenzione salvifica - del portare la croce? La chiamata alla sequela dei
santi - per i quali il mondo è stato crocifisso ed essi al mondo - si compone con
l’unicità della croce redentrice portata dal Cristo solo: Origene sottolinea sia la
dimensione assoluta della croce, sia la «collaborazione con Cristo» che ne rende
«effettivo e operante il valore salvifico» (Simonetti 1993b, p. 157); l’una e l’al­
tra accentuazione non tolgono che nec sic prodificandi fueramus crucem eius
accipientes, quantum modo prodificamur a cruce eius, e la sinergia resta sottopo­
sta alla grazia, quale che sia il punto di partenza. La reale partecipazione dei cre­
denti - santi, άγιοι - all’opera del Cristo avviene attraverso «una assimilazione
progressiva alle sue sofferenze» (von Balthasar 1972, p. 62; cf. CMtS 39, nota
C O M M E N TO A M A TTEO , 126 237

Dio, fu condotto a questo punto, croce, nella quale il mondo è cro­


per essere trovato degno della cifisso ai santi e i santi al mondo.
Scrittura del vangelo e del mini­
stero della croce di Cristo (116),
grazie al quale il mondo è crocifis­
so ai santi e ì santi al mondo.
Alcuni però intesero spiega­ Ma poiché Cirene fa parte
re anche in senso morale questo della Pentapoli, affermano in sen­
stesso Simone di Cirene, per il so traslato che sono i [cinque]
fatto che Cirene in Libia fosse sensi a portare la croce dell’eco­
una città della Pentapoli; e pren­ nomia [di Dio].
dono spunto dai cinque sensi per
dire che i cinque sensi abbiano
portato in certo modo la croce
appartenente a quel piano divi­
no. Simone infatti vuol dire OB­ E poiché Simone vuol dire
BEDIENZA; ma a chi maggiormen­ OBBEDIENZA, a prendere su di sé
te conveniva di portare la croce la croce è colui che porta il nome
di Cristo se non alla obbedienza, dell’obbedienza.

ovvero (come è chiamato il secondo figlio di Lia) Simeone? In due mo­


di infatti viene chiamato in greco il patriarca e Pietro (stando alla dizio­
ne propria della lingua ebraica), in modo che a colui che viene deno­
minato così si adatti essere chiamato sia Simone che Simeone, perché
gli ebrei scrivono entrambi i nomi, Simone e Simeone, con le <stesse>
lettere. Quanto poi al luogo del Calvario, si dice che non ha un senso
qualsiasi il fatto che morisse proprio lì colui che sarebbe morto per
l’umanità.
È pervenuta infatti sino a me Circa il luogo del cranio è
una tale tradizione: il corpo del giunta a me [la voce] che gli
primo uomo Adamo sta sepolto lì ebrei hanno tramandato che lì fu
dove fu crocifisso il Cristo (117), sepolto il corpo di Adamo, affin-

107: I, pp. 254s.); la conversione ha una portata soteriologica: «Ognuno di noi


ha in sé il suo olocausto e infiamma l’altare con il suo olocausto, affinché arda
sempre» (HLv 9, 9, p. 227); il rapporto fra sacerdozio dei fedeli, gerarchia della
santità e gerarchia ministeriale si attua nel discepolato richiesto a tutti in obbe­
dienza alla Parola, nel distacco dallo spirito del mondo, nella fraternità, nell’oriz­
zonte del martirio (cf. la sintesi di dal Covolo in Orig. Vili; Pisciteli! 2003, p. 82).
Con questa portata, l’interpretazione origeniana dell’episodio del Cireneo non
sfocia in allegorizzazione e tropologia a discapito dei dati storici; l’Alessandrino,
che certo non rifugge da indagini su nomi ed etimologie (nel caso Cyrenes e
Simon), le vuole ancorate al dato storico salvifico (cf. de Lubac 1985, p. 223;
accettiamo l’integrazione iisdem, segnalata a p. 264 del Klostermann, riferita alle
lettere ebraiche di Simeone/Simone).
(117) Venit ad me traditio quoniam corpus Adae sepultum est uhi cruc
est Christus. La tradizione giudaica e cristiana ha lavorato non poco su Adamo;
238 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 126-128

/« r 521; ut in loco illo, qui dicitur Χριστώ δε πάντες ζωοποιηθώ-


Calvariae locus, id est locus capi- μεν522.
tis, caput humani generis resur­
rectionem inveniat cum populo
universo
per resurrectionem domini salvatoris, qui ibi passus est et resurrexit,
inconveniens enim erat, ut cum multi ex eo nati remissionem accipe­
rent peccatorum et beneficium resurrectionis consequerentur, non ma­
gis ipse pater omnium hominum huiusmodi gratiam consequeretur.

127. Et dederunt ei acetum bibere felle mixtum; et cum gustasset,


noluit bibere 523.
Sufficiebat enim nobis ut tantum gustaret pro nobis, sicut mortem
tridui temporis non longiorem, sic et acetum felle permixtum. Aliud au­
tem vinum, non mixtum cum felle nec cum alio aliquo contrario acce­
pit et bibit et gratias agens discipulis dedit et promisit se bibiturum no­
vum eum in regno 524 Dei.

128. Postquam autem crucifixerunt eum, diviserunt sibi vestimenta


eius sortem mittentes, et sedentes servabant eum 525.
Et sunt usque nunc, qui ipsum quidem non habentes, vestimenta
autem, verba in Scripturis posita, habent, nec ipsa ad plenum sed ex
parte, nihilominus hoc ipsum propheta dicente mysterium quod nunc
est inpletum. Utrum autem conscissum est aliquod vestimentorum eius
266 in illa partitione aut mansit unumquodque eorum integrum sicut fuit,
et qualia illa vestimenta fuerunt, non legimus apud tres evangelistas;

521 Cf. 1 Cor. 15 , 22 . 522 jbid. 523 Mt. 27 , 34. 524 c f. Mt. 26,
27.29. 525 Mt. 27,35.36.

nell’Apocalisse di Mosè, composizione giudaica con interpolazioni cristiane, si


racconta che Adamo e Abele «furono sepolti tutt’e due nei dintorni del paradi­
so, nel luogo in cui Dio aveva trovato il fango con cui aveva plasmato Adamo»
(ApMos 40, in Sacchi, p. 606), e nel Libro dei Giubilei, opera di ispirazione esse-
nica risalente circa al II sec. a.C., sta scritto che Adamo fu seppellito «nella terra
ove era stato creato» (Giub. IV, 29, in Sacchi, p. 143); il Combattimento di
Adamo ed Èva, compilazione tarda, con materiali di fonte giudaica e dei primi
secoli cristiani, si diffonde sulla sepoltura di Adamo nel centro della terra, ove,
un giorno, il suo cranio sarà irrorato dal sangue del Verbo di Dio (cf. Frey, pp.
106-111; Manns, pp. 284-286); il frammento greco parla di tradizioni giudaiche
- έβραΧοι παραδιδόασι -). La Series pone l’accento su Adamo - pater omnium
hominum - che riceve in Cristo - Dominus Salvator - la risurrezione; nell’acco­
gliere linee ebraiche e cristiane, la rilevanza teologica è data alla lettura di san
Paolo: «Il peccato ha regnato da Adamo fino a Cristo, il quale, mandato dal
Padre nella somiglianza della carne peccatrice, per mezzo del peccato ha distrut­
to il peccato»; questo è il significato della «vecchia tradizione che voleva Adamo
sepolto nel luogo ove Cristo sarebbe stato crocifisso» (Simonetti 1993b, p. 160;
C O M M EN TO A M A TTEO , 126-128 239

sicché come tutti muoiono in Ada­ ché come in Adamo tutti moria­
mo, così tutti sono vivificati in Cri­ mo, e Adamo è risorto, tutti sia­
sto·, perché in quel luogo che è det­ mo vivificati in Cristo.
to del Calvario, cioè del capo, il ca­
po del genere umano trovi la ri­
surrezione insieme con tutto
quanto il popolo,

grazie alla risurrezione del Signore Salvatore, che qui ha sofferto ed è


risorto. Non era infatti conveniente, che pur essendo molti nati da
Adamo a ricevere la remissione dei peccati e a conseguire il beneficio
della risurrezione, lo stesso padre di tutti gli esseri umani non conse­
guisse maggiormente tale grazia.

127. Gli diedero da bere aceto misto a fiele, ma egli assaggiatolo,


non ne volle bere.
Ci bastava, infatti, che lo assaggiasse soltanto per noi: come la
morte che non durò più a lungo di tre giorni di tempo (118), così l’ace­
to misto a fiele. Altro invece è il vino, non misto a fiele né ad alcun ele­
mento contrario, che egli prese e bevve e rendendo grazie diede ai di­
scepoli e promise di berlo nuovo nel regno di Dio.

128. Dopo averlo crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sor­


te. E sedutisi gli facevano la guardia.
Ci sono ancor oggi quelli che, pur non possedendo lo stesso Ge­
sù, ne hanno però le vesti, le parole riposte nelle Scritture; e quelle
stesse parole non le hanno in pienezza ma in parte, e tuttavia è pro­
prio un profeta ad annunziare questo mistero che ora si è compiuto.
Se invece qualcuna delle sue vesti sia stata lacerata in quella spartizio­
ne o una qualsiasi sia rimasta tutta d’un pezzo, così com’era, e quali
furono quelle vesti, non lo leggiamo nei tre evangelisti [sinottici]. In

cf. Sgherri 1982, pp. 46.134; sul valore della testimonianza origeniana nelle tra­
dizioni dei luoghi santi, cf. Bagatti, pp. 18-22).
(118) Sufficiebat nobis ut tantum gustaret pro nobis mortem. Massaggi
l’amarezza della morte contiene il seme vittorioso della risurrezione; la liturgia
bizantina esprimerà questa medesima percezione, ascoltando il pianto degli abis­
si vinti: «Oggi l’Ade, gemendo, grida: “È stata distrutta la mia potenza! Ho
accolto un morto come uno dei mortali, ma non posso assolutamente trattener­
lo ... ”» (Vespro de II grande e santo sabato, in Liturgia orientale, p. 173). H richia­
mo al vino passa subito oltre 1’acetus felle permixtus per ritrovare il segno euca­
ristico dell’Ultima cena e il collegamento al vino nuovo che si berrà nel regno di
Dio; nelle Series 85 ed 8 6 si sottolineava fra l’altro il permanere del Donatore con
i suoi nell’attesa del convito del regno: nobis bibentibus non discedit a nobis
(CMtS 8 6 : II, p. 98); ora riemerge il motivo dell 'attesa del Cristo: «Il mio Signore
G esù... non vuole... bere da solo il vino nel regno di Dio ; aspetta noi: infatti ha
240 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 128-129

apud Iohannem autem discimus quoniam milites postquam crucifixe­


runt Christum, acceperunt vestimenta eius et fecerunt quattuor partes,
unicuique militi partem, tunicam autem, quoniam erat non consutilis sed
a sursum textilis per totum, dixerunt ad invicem: non conscindamus eam,
sed sortiamur de ea 526. Non ergo omnes acceperunt eam, sed qui sor­
titus est. Disputans autem aliquis de differentia eorum, qui vestimenta
Domini habent, inveniet sine dubio qui in dogmatibus suis etsi non ha­
bent ipsum, tunicam tamen desursum textilem per totum habent, alii
autem nec ipsam sed aliquam particulam vestimenti eius.
Et hoc considera quoniam [Π 328, 7] Τόν γάρ οίνον
secundum Matthaeum quidem μετά χολής έφη Ματθαίος γ ευ-
Iesus accipiens acetum cum felle σάμενον μή θελήσαι πιεΐν, μή
permixtum gustavit et noluit hi- γεΰσασθαι δε τήν αρχήν έσμυρ-
here, secundum Marcum autem νισμένον οίνον Μάρκος,
cum daretur ei myrrhatum vi­
num, non accepit 527.

129. Et sedentes servabant eum ibi. Et milites quidem serva


corpus submissi a principibus sacerdotum, quasi furandum a discipu­
lis eius si non servaretur; dispensatio autem resuscitavit eum et testes
resurrectionis eius esse fecit non duos tantum aut tres, sed multo plu-
res. Visus est enim Cephae, postea illis undecim, deinde apparuit amplius
quam quingentis fratribus simul, novissime autem omnium 528 Paulo. Et

526 Io. 19,23s. 527 Mc. 15, 23. 528 c f. 1 Cor. 15,5s.8.

detto così: finché lo beva con voi. Siamo dunque noi che, con la negligenza della
nostra vita, ritardiamo la sua letizia» (HLv 7, 2, p. 153; testo che abbiamo ripre­
so in CMtS 30, nota 81; 51, nota 142; 55, nota 153; 73, nota 198: I, pp.
214.324s.352s.442s.; cf. supra, Introduzione, p. 76). Dal vino dell’amarezza al
vino del regno: il Cristo attende il ricongiungimento di tutta l’umanità redenta
dalla sua morte; questo è uno dei fili conduttori - palese o segreto - della esca­
tologia origeniana, realizzata nel Cristo glorioso e insieme aperta, in trepida atte­
sa, alla glorificazione di tutte le membra, tanto da postulare una gioia rinviata e
una speranza per i santi e i beati (cf. de Lubac 1948, pp. 102-105; Bendinelli
1998, p. 26). Quanto di opposizione al Vangelo viene tuttora patito dal Cristo
nelle sue membra è sotto il segno duplice della debolezza e della vittoria:
«Avviene sempre che coloro i quali cospirano contro il Vangelo della verità
danno al Cristo di Dio il fiele che scaturisce dalla loro malvagità e l’aceto che
sgorga dalla loro perversità; e Cristo dopo averlo gustato, non vuol bere» (CC 7,
13, pp. 592s.).
(119) Etsi non habent Christum tunicam habent, alii aliquam particulam v
menti eius. «Vesti di Gesù sono le parole e le lettere dei Vangeli, di cui si è rive­
stito. Ma penso che vesti di Gesù siano anche le rivelazioni su di lui che troviamo
presso gli apostoli...» (CMt 1 2 , 3 8 :1, p. 354); «G li “abiti” del Verbo sono i detti
della Scrittura: queste parole sono la veste dei divini pensieri... Se sali, vedrai la
C O M M EN TO A M A TTEO , 128-129 241

Giovanni invece veniamo a sapere che i soldati quando ebbero crocifis­


so Cristo, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun
soldato-, ora la tunica, era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da ci­
ma a fondo. Perciò dissero tra loro-. Non stracciamola, ma tiriamo a sor­
te a chi tocca. Dunque non la ebbero tutti, ma solo quello a cui toccò
in sorte. Ora, se qualcuno si mette a discutere sulla differenza tra
quelli che hanno in sorte le vesti del Signore, troverà indubbiamente
quelli che nelle loro opinioni pur non avendo lo stesso [Cristo] ne
hanno però la tunica tessuta da cima a fondo tutta di un pezzo, men­
tre altri non hanno la tunica, ma solo una piccola parte del suo vesti­
to (119).
Ma anche questo devi pren­ Matteo infatti asserisce che
dere in considerazione: che in dopo aver assaggiato vino e fiele,
Matteo Gesù prendendo del- non ne volle bere, mentre Marco
Yaceto misto a fiele lo assaggiò, dice che assaggiò solo inizial­
ma non volle berlo; mentre in mente del vino mirrato.
Marco, quando gli venne dato vi­
no misto a mirra, non ne prese.
129. E sedutisi, gli facevano lì la guardia. Anche i soldati face
la guardia al suo corpo, essendo sottoposti ai sommi sacerdoti, nel so­
spetto che sarebbe stato rubato dai suoi discepoli se non fosse stato
custodito. Ma il disegno di Dio lo risuscitò e fece sì che i testimoni
della sua risurrezione fossero non solo due o tre, ma molti di più. Ap­
parve infatti a Cefa, e dopo a quegli undici e in seguito apparve a più di
cinquecento fratelli in una sola volta; ultimo tra tutti, a Paolo. E non

bellezza e la luce degli abiti, e ammirerai il volto di Gesù trasfigurato... Sempre


infatti il Verbo si è fatto carne nelle Scritture, per dimorare fra noi (cf. Gv 1 , 14)»
(Phil 15, 19, pp. 436-439); emerge nel nostro passo il parallelismo fra “vedere
Gesù” e “leggere la Scrittura”, fra “corpo di Gesù” e “testo della Scrittura” (cf.
Harl 1983, p. 444; Villey, p. 90). Postquam crucifixerunt eum\ l’incarnazione è la
tessitura delle vesti nell’unione di divino e umano in Cristo, e la croce suprema­
mente vela e rivela l’annientamento e la gloria dell 'economia-, «Chi sarà capace di
osservare... il suo manto? Chi comprenderà la ragione della sua tunica? » (Ciò 6 ,
164, p. 338; cf. Noce 2002, pp. 186.196). Nella Series la tunica sembra essere la
Scrittura nel suo complesso e le vesti le parole delle Scritture divise fra coloro che
hanno falsi dogmi o comunque non accettano in totalità le divine parole (così
Sgherri 1982, p. 254); interpretazione cristologica e scritturistica si intrecciano per
l’Alessandrino che ha parlato di Scriptura divina incorporata (cf. CMtS 27, nota 69:
I, pp. 194s.): nella lettera e nella carne incontriamo il Logos; un testo vicino a quel­
lo che consideriamo, un frammento (pseudo-)Ippoliteo, parla del telaio come
della «passione che ebbe luogo sulla croce» per la trama della «santa carne intes­
suta nello Spirito» (cf. testo e commento in Voicu). La chiusa della Series ripren­
de il motivo già trattato del vino, in comparazione sinottica (per cui cf. CMt 16,1:
Ut, p. 1 1 , nota 1 ); l’annotazione resta evidentemente sospesa! È un intervento del
traduttore? (cf. supra, Introduzione, p. 10).
242 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 129-130

non erat modicum signum resurrectionis eius, quod a tantis est visus,
his qui susceperunt periculum, ut praedicent eum viventem in populis
qui petierant eum ad crucem. Et nunc novi principes sacerdotum (vi­
delicet filii principum illorum) Verbum veritatis positum in Scripturis
crucifigunt falsis expositionibus suis et occidunt mendaciis; Verbum
267 autem veritatis, quia apud illos quidem occiditur vivit autem in sua na­
tura, semper invenit et eligit sibi vasa, in quibus resurgat et vivat et
adhuc confundat suos interfectores, multis testimoniis vivere demon­
stratum.

130. Et inposuerunt super caput eius causam eius scriptam: hi


lesus, rex Iudaeorum 529.
Sive occasione sive veritate Christus pronuntiatur 530 et omnis litte­
ra regnum eius testatur, sive Graecorum sive Romanorum sive Hebrai­
corum 53!. Et pro corona super caput eius sit scriptum: Hic est lesus, rex
Iudaeorum. Et cum nulla inveniatur causa alia mortis eius (nec enim
erat), haec habeatur sola quia rex fuit Iudaeorum, de qua et locutus est
dicens: Ego autem constitutus sum rex ab eo super Sion montem sanctum
eius 532. Et princeps quidem sacerdotum secundum litteram legis por­
tabat in capite suo formam signi sanctificationem Domini 533 scriptam
in petalo, verus autem princeps sacerdotum et rex lesus in cruce qui­
dem habet scriptum: Hic est rex Iudaeorum, ascendens autem ad pa­
trem et suscipiens patrem in se pro litteris et pro nomine habet, qui no­
minatur, et habet eum coronam et dignus eo effectus et domus Dei pa­
tris digna effectus, solus sufficienter patrem capere potest.

529 Mt. 27, 37 . 530 phil. i, 18. 531 c f. Io. 19, 20. 532 Ps. 2 , 6 .
533 Cf. Ex. 28,32.36.

(120) A tantis est visus ut praedicent eum viventem in populis qui pet
eum ad crucem. L’economia della risurrezione di Cristo si prolunga nella testi­
monianza di quanti vedono il Risorto e lo annunciano viventem in populis, cioè
fra le nazioni da cui proviene la Chiesa dalle genti; i primi testimoni sono giu­
dei - appartenenti al popolo che ha chiesto la crocifissione di Gesù - che hanno
creduto in lui e ora lo trasmettono vivo ai pagani (cf. Sgherri 1982, p. 319).
Quanto ai giudei che non hanno creduto, possono passare dalla non accoglien­
za del Vangelo alla resistenza al desiderio di contraddire (cf. Sgherri 1982, pp.
28s.), e sul medesimo fronte si allineano le parole dell’eresia ad opera di novi
principes sacerdotum, ma il Verbo di verità, crocifisso dalle menzogne, incessan­
temente risorge in nuovi vasi di elezione, rivelando l’impotenza dell’errore: «Nel
momento in cui a quelli che hanno messo la mano sul Logos di verità sembra di
tenerlo, egli sfugge e si libera dalle loro mani, perché essi non sono in grado di
trattenerlo. Per questo, anche quando sembra loro di sconfiggerlo, in realtà non
lo sconfiggono, perché non lo comprendono» (Frlo 76, p. 877, citato per CMtS
99, nota 60: II, pp. 137-138; cf. de Lubac 1985, pp. 229s.368; von Balthasar
1972, p. 47; Le Boulluec 1985, pp. 442.502; si veda anche CMtS 35, nota 9 7 :1,
pp. 235-237). Origene ha sempre presente il dato storico salvifico e l’attualità del
C O M M E N TO A M A TTEO , 129-130 243

era segno di poco conto della sua risurrezione, che sia stato visto da
così gradi uomini, da costoro che affrontarono il pericolo di predica­
re lui vivente tra la gente che aveva chiesto che fosse crocifisso (120).
Ma anche adesso, i nuovi sommi sacerdoti (vale a dire figli di quei
sommi sacerdoti) crocifiggono la parola che si trova nella Scrittura
per mezzo delle loro false spiegazioni e lo uccidono mediante le loro
menzogne. Ma il Verbo di verità, dal momento che viene ucciso pres­
so di loro ma vive nella sua natura, trova continuamente e si sceglie
dei vasi in cui risorgere e vivere e confondere i suoi uccisori, il Verbo
che mediante molte testimonianze si è mostrato in vita.

130. E posero sul suo capo la scritta: questi è Gesù re dei giudei.
Per ipocrisia o per verità, il Cristo è proclamato ed ogni lettera, sia
dei greci, sia dei romani che degli ebrei, sta a testimoniare il suo regno.
Al posto della corona sul suo capo ci sia pure la scritta: Questi è Gesù
il re dei giudei. E non trovandosi alcun altro motivo di morte (perché
non c’era) non ci sia che questo solo, che era re dei giudei, ciò di cui
aveva parlato dicendo: Egli mi ha costituito re su Sion suo santo monte.
Certo, anche il sommo sacerdote portava sul suo capo una lettera del­
la legge a forma di sigillo, incisa su lamina [d’oro] (121): Santificazione
del Signore-, il vero sommo sacerdote e re, Gesù, sulla croce porta la
scritta: Questi è il re dei giudei, ma ascendendo e accogliendolo in sé,
ha il Padre al posto delle lettere e del nome citato. Non solo lo ha co­
me corona, il Padre, ma è anche il solo che lo può adeguatamente con­
tenere, essendo divenuto degno di lui e dimora degna del Padre.

mistero di Cristo: «L a sua nascita, la sua educazione, la sua potenza, la sua pas­
sione, la sua risurrezione non hanno avuto luogo soltanto in quei tempi, ma si
compiono anche oggi in noi» (HLc 1, 7, p. 77).
(1 2 1 ) Princeps sacerdotum portabat “sanctificationem Oomini” script
verus princeps sacerdotum habet scriptum: Hic est rex. Per il Cristo «era gloria
anche la passione della croce; però questa gloria non era gloriosa, ma umile... In
tutti questi eventi il Signore fu glorificato, ma, per così dire, umilmente» (HEx
6 , 1, pp. 170s.); c’è una portata di segno in tutti i movimenti della crocifissione,
riletti come profezia della gloria che si manifesterà al di là degli accadimenti
umani, e il cui pegno è oggi il grido della fede - omnis littera regnum eius testa­
tur -. La scritta della condanna esprime la regalità del Cristo, è la sua corona·, al
testimone del Vangelo viene così donata la gioia nella tribolazione: Purché in
ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne ral­
legro (cf. Fil 1,18; Sgherri 1982, pp. 76s.; Danieli 2000b, p. 146). Le ultime righe
della Series parlano del Cristo glorificato come della domus digna Dei Patris·.
«Non troverai tra gli uomini nessun’anima tanto beata ed eccelsa, se non quella
sola in cui il Verbo di Dio ha trovato tanta larghezza e tanto spazio in modo che
si dica che anche lo Spirito Santo non solo vi abita, ma pure distende le ali...»
(CRm 3, 8 : 1, p. 158); Cristo Gesù è dimora della divinità «in quanto è il luogo
umano che tende maggiormente a Dio» - luogo della propiziazione avvenuta
storicamente sulla croce - e insieme è il princeps sacerdotum che può essere «con­
templato nella sua dimensione trans-storica di Intercessore celeste»; il Santo dei
244 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 131-132

131. Tunc crucifixerunt cum eo duos latrones, unum a dextris et


unum a sinistris 534.
Crucifixus inter latrones dominus sicut ipsi latrones inplevit pro­
phetiam dicentem de se: Et cum iniquis deputatus est 535. Et est videre
discipulos eius, testimonium dantes culturae Dei quae per eum est in­
troducta, cum iniquis reputari et crucifigi cum eis aut passiones reliquas
sustinere, sicut et illi. Mundus enim et spiritus qui in eo est, summos
semper persequitur viros et punit malitiae quidem summos propter uti­
litatem multorum, summos autem virtutis, quoniam non est dignus
268 mundus iste eis qui non considerant quae videntur, sed quae non viden­
tur 536 et contemnunt eum, sicut et olim sancti ambulantes in melotis et
in pellibus caprinis, egentes, afflicti, in desertis errantes, in montibus, et
in speluncis et in foveis terrae, quorum non erat dignus mundus 537.

132. Transeuntes autem blasphemabant eum moventes capita sua et


dicentes: Vah qui destruebas templum et in triduo reaedificabas; libera
teipsum, si filius Dei es, descende de cruce. Similiter et principes sacerdo­
tum deludentes eum cum scribis et senioribus et Pharisaeis dicebant:
Alios salvos fecit, seipsum salvum non potest facere; si ipse est rex Israel,
descendat nunc de cruce et credimus illi. Confidit in Deum, liberabit
nunc eum si vult eum; dixit enim, quia filius Dei sum 538.
Nemo stans lesum blasphemat neque recte incedens; transeuntes
enim blasphemabant eum [vel, sicut in Graeco habet, praetereuntes],
qui etiam macerie vineae dissoluta a Deo vindemiant eos, qui reman­
serunt; scriptum est enim: Ut quid deposuisti maceriem eius, et vinde­
miant eam omnes qui praetereunt viam? 539. Quamdiu ergo quis non
praeterivit viam neque declinavit a via, aut stans dicere potest Deo:
Statuisti supra petram pedes meos 540, non blasphemat lesum; si autem

534 Mt. 27, 38. 535 is. 5 3) u . 536 c f. 2 Cor. 4,18. 537 Heb. 11,
37s. 538 Mt. 27, 39-43. 539 p s. 79 (8 o), 13. 540 p s. 3 9 (4 0 ), 3 .

santi ora «non è più il luogo del sacrificio cruento di Cristo bensì il seno stesso
del Padre» (Rossetti 1998, pp. 48.51). Forse la Series, che concisamente ci parla
della gloria umile della croce come rivelatrice della identità del Cristo, ci inter­
pella sulla via per approfondire identità del cristianesimo, sulla quale oggi
ci si toma a interrogare (cf. Perrone 2003b; Ruggieri).
(122) Crucifixus inter latrones... discipulos eius crucifigi... sicut et olim
cti. Meditando sulla non accoglienza abitualmente riserbata alla vita profetica,
Origene nota che quanto vale per i singoli profeti, e per eccellenza si applica al
Salvatore, si estende ai discepoli: «D opo l’avvento del Salvatore nelle chiese
venute dai gentili... coloro che prima appartenevano al mondo e per il fatto di
credere non sono più del mondo... essendo diventati profeti, non ne ricevono
onore ma disprezzo... Perciò, beati quelli che hanno sofferto come i profeti»
(CMt 1 0 ,1 8 :1, p. 141). Cristo, i profeti, i discepoli, che si pongono nella via della
condizione profetica, sono usciti dal mondo e ne sono perseguitati; la Chiesa vive
C O M M EN TO A M A TTEO , 131-132 245

131. Allora lo crocifissero con due ladroni, l’uno a destra e l’altro a


sinistra.
Il Signore crocifisso tra due ladroni al pari degli stessi ladroni: ha
realizzato la profezia che di lui dice: È stato annoverato con gli iniqui.
E si può vedere che anche i suoi discepoli, per dare testimonianza al
culto di Dio introdotto per opera sua, si fanno annoverare con gli ini­
qui, crocifiggere in loro compagnia e sostenere come loro tutti gli altri
tormenti. Il mondo ed il suo spirito non fa che perseguitare gli uomini
più grandi: ma mentre i più grandi malviventi li punisce a utilità dei
molti, i più grandi virtuosi [li perseguita] perché questo mondo non è
degno di coloro che considerano non già ciò che si vede, bensì ciò che
non si vede, sprezzanti del mondo, come i santi di una volta (122) che
andavano in giro coperti di pelli di pecore e di capre, bisognosi, tribolati,
vagando per i deserti, sui monti, e tra le caverne e le spelonche della ter­
ra, loro dei quali il mondo non era degno.

132. Quelli che passavano lo insultavano, scuotendo il capo e dicen­


do: Ehi, tu che distruggevi il tempio e lo riedificavi in tre giorni, libera te
stesso se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce. Allo stesso modo anche i
sommi sacerdoti lo schernivano insieme agli scribi e i farisei dicevano: Ha
salvato gli altri, non può salvare se stesso; se è lui il re di Israele, scenda
adesso dalla croce, e gli crediamo. Ha confidato in Dio, lo libererà se gli
vuole bene; ha detto infatti: Sono figlio di Dio.
Nessuno insulta Gesù se sta al suo posto o cammina dritto. Lo in­
sultavano infatti quelli che passavano [o come dice il greco, andavano ol­
tre], coloro che avendo Dio abbattuto la cinta della vigna vendemmiano
quelli che sono rimasti. Sta scritto: Per quale ragione hai abbattuto la sua
cinta e la vendemmiano tutti quelli che passano per la via? Fino a quando
non si va oltre la via e ci si allontana da essa, o restando fermi, si può di­
re a Dio: Hai reso stabili i miei piedi sopra una roccia, non lo bestemmia;

il suo presente nella stessa testimonianza dei Padri: «la pietà dei tempi antichi
era sacra e accettabile a Dio per la comprensione, la fede e l’aspettazione di
Cristo», anche se il nome di testimoni/martiri in senso proprio viene riservato «a
quelli che hanno reso testimonianza al mistero della vera religione con l’effusio­
ne del sangue» (Ciò 2 , 209.210, p. 267). Poiché la passione del Cristo continua
nelle membra, contro cui si agita il mondo che passa, il martire diviene così pro­
feta e amico «del Padre celeste e del Maestro», conosce «le cose nella loro real­
tà e non per enigmi», è proteso «verso la bellezza della verità» (ΈΜ 13, pp. 12 ls.)
e assume vera rilevanza ecclesiale ed escatologica (cf. de Lubac 1985, pp. 6 8 s.;
Sgherri 1982, pp. 324.396; Peri 1974; Lucca; Danieli 2000b). A questa luce va
riletta la stessa biografia di Origene, nelle sue istanze di cristianesimo radicale,
disposto al martirio pubblico e insieme consapevole del valore della testimonian­
za portata avanti in una vita sempre più conforme al Cristo che sappia raggiun­
gere anche «la perfezione del martirio nascosto» (cf. EM 21; Rizzi 2000a;
Mazzucco 2004).
246 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 132

ceciderit aut praeterierit vel transierit vel declinaverit, tunc eum bla­
sphemat. Sicut adhuc, qui in mala opera ceciderunt, et sicut qui dere­
liquerunt terminos aeternos 541 et viam ecclesiae caelestis, et fluctuantur
et circumferuntur ab omni vento doctrinae in fallacia hominum, in astu­
tia ad remedium erroris 542. Omnes enim haereses praetereuntes et decli­
nantes esse si quid dixerit, non peccabit, propter quod et ipsi inter prae­
tereuntes habentur et blasphemant lesum, non habentes caput firmum,
sed moventes eum sursum et deorsum, quoniam non sunt prudentes
nec habent oculos suos in capite suo, in quo habere debuerant Eccle­
siaste dicente: Sapientis oculi in capite eius sunt 543. Praetereuntium
269 ergo et declinantium opus est lesum blasphemare filium Dei, quia ne­
mo in spiritu Dei loquens dicit: Anathema Iesu 544.
Diversi autem blasphemantium sermones habentur, quorum
unum blasphemium est quod dicitur ab eis, qui non intellegunt nec
audiunt quae dicuntur nec de quibus adfirmant 545: Iesus enim dixit:
Solvite templum hoc, et ego in triduo suscitabo eum 546, praetereuntes
autem quasi falsi testes 547 contra lesum dicebant quod non erat di­
ctum de eo, adpetentes eum: Vah qui destruit templum Dei, et in tri­
duo reaedificat eum 548. Non enim ipse destruit templum, sed quod
alii destruunt ipse aedificat; sive templum proprium corporis, quod a
Iudaeis fuerat traditum morti, sive templum testium suorum et om­
nium qui habuerunt verbum Dei in se et ex insidiis impiorum prop­
ter pietatem mortui sunt (venit enim hora, quando omnes, qui in mo­
numentis sunt, audient vocem filii Dei et resurgent 549). Et non solum

5 « Prov. 22,28. 542 Eph. 4,14. 543 Eccle. 2,14. 544 1 Cor. 1 2 ,
3. 545 Cf. 1 Tim. 1, 7. 546 Io. 2,19. 547 Mt. 26, 60s. 548 Mt. 27,
40. 549 io. 5> 28s.

(123) Haereses praetereuntes blasphemant lesum non habentes caput firm


II commento ha un forte rilievo ecclesiologico; la figura dei passanti che scuotono
la testa - giustamente si fa richiamo al greco παραπορευόμενοι, coloro che vanno
oltre - «evoca il carattere secondario dell’eresia, posteriore alla verità», che si
distoglie dallo “Spirito di Dio”; l’errore nasce nei percorsi esistenziali, terrestri,
della Chiesa, ma la devianza stessa è in rapporto al modello della Chiesa celeste,
negata dal suo contrario (cf. Le Boulluec 1985, pp. 495s.502; Id. 2000a, p. 136).
L’espressione ecclesia caelestis va colta nella sua dimensione misterica e storica di
ούράνιος έκκλησία - Chiesa celeste di Gesù Cristo secondo la successione degli apo­
stoli - (Prin 4, 2 , 2; cf. Bardy, p. 147; Sgherri 2000a; Cocchini 2005a); «il corpo di
Cristo non è realtà a parte, diversa dalla Chiesa, essendo questa suo corpo e sue
membra, ciascuno per sua parte·, e fu proprio Dio a congiungere questi che non
sono più due, ma sono diventati una sola carne, ordinando che l’uomo non sepa­
ri la Chiesa dal Signore» (CMt 14, 17: Π, p. 155). Nel tempo presente la Chiesa
vive la sua passione - il suo sonno - come prolungamento del mistero pasquale
dello Sposo, fino a che «quasi dopo la fine del mondo, allorché sarà giunto il
tempo della resurrezione, le vien detto: Alzati... Costei Cristo risveglia e a lei
annunzia il vangelo di resurrezione, perciò le dice: Alzati...» (CCt IV, su Ct 2 , 10­
13, pp. 257.264s.); «quando avverrà la risurrezione di questo vero e più perfetto
C O M M EN TO A M ATTEO , 132 *47

lo bestemmia invece allorquando cade, trasgredisce, passa oltre o devia.


Come tuttora fanno coloro che sono caduti in opere malvagie, e come
quelli che hanno abbandonato i termini eterni ed il cammino della Chie­
sa celeste: sono fluttuanti e sono portati in giro da ogni vento di dottrina,
nella fallacia degli uomini, nell’astuzia come rimedio agli errori. Non si
sbaglia infatti chi dice che tutte le eresie sono aberranti e devianti, per il
fatto che proprio loro sono ritenuti tra i trasgressori e bestemmiano Ge­
sù, non tenendo il capo fermo (123) ma scuotendolo su e giù, perché non
sono prudenti e non tengono gli occhi sulla loro testa, dove avrebbero
dovuto tenerli, dal momento che l’Ecclesiaste dice: Gli occhi della perso­
na saggia sono sulla sua testa. E proprio infatti di quanti trasgrediscono e
deviano bestemmiare Gesù Figlio di Dio, perché nessuno parlando nello
Spirito di Dio dice: Gesù è anatema.
Diversi sono però i discorsi tra quanti bestemmiano. Uno di questi è
la bestemmia detta da quelli che non comprendono e non ascoltano quan­
to si dice e neppure ciò di cui si parla. Gesù infatti aveva detto: Distrugge­
te questo tempio ed io lo riedificherò in tre giorni. Ma quelli che passavano,
come falsi testimoni contro Gesù, asserivano ciò che non era stato detto
su di lui, per attaccarlo: Ehi, egli distrugge il tempio ed in tre giorni lo rie­
difica. Ma non è lui a distruggere il tempio, bensì edifica quello che non
lui, ma altri distruggono (124); e ciò sia che si tratti del tempio del suo cor­
po, consegnato alla morte dai giudei, sia del tempio dei suoi testimoni e di
tutti quelli che hanno avuto in sé il Verbo di Dio e sono morti per la loro
pietà a motivo delle insidie degli empi (viene infatti l’ora in cui tutti quel­
li che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio e risorgeranno) ed

corpo di Cristo, allora le membra di Cristo... si ricomporranno, osso a osso e giun­


tura a giuntura... Allora le molte membra saranno un unico corpo» (Ciò 10,
236.237, p. 434; cf. von Balthasar 1972, p. 41). Origene non giustappone l’inter­
pretazione escatologica alla lettura concernente la vita presente della Chiesa, ma le
unisce l’una all’altra e le mette in continuità (cf. Chènevert, pp. 204s.).
(124) Non enim ipse destruit templum, sed quod alii destruunt ipse aedif
transeuntes bestemmiano il mistero pasquale per cui Gesù, costruttore e suscitato­
re, fa risorgere il suo corpo e farà risorgere il corpo ecclesiale-, commentando la pro­
fezia di Balaam sulla economia della passione - Si è addormentato come un leone...
Chi lo farà sorgere? - (Nm 24, 9), Origene notava: «Ora è detto risuscitato dal
Padre, ora egli stesso dice che farà risorgere il tempio del suo corpo dopo tre gior­
ni» (HNm 17, 6 , p. 249), e altrove spiegava come «quelli che non sapevano ascol­
tare secondo l’intenzione di lui... credevano che si trattasse del tempio di pietra»
più che del «vero tempio di Dio» (CC 2 ,10, p. 140, testo ricordato per CMtS 108,
nota 74: II, pp. 156-158). La vita della Chiesa è compenetrata dal mistero dei tre
giorni-, «C ’è già stata una risurrezione e ce ne sarà ancora un’altra... Siamo stati
sepolti con Cristo e siamo risorti con lui. Ma poiché il siamo risorti con lui non
basta per la risurrezione completa, ecco che tutti saranno vivificati in Cristo...
prima Cristo... poi .. .quelli di Cristo; poi il completamento» (Ciò 10, 243-244, p.
436; cf. Ledegang 2001, pp. 64-77; Prinzivalli 2000c, p. 405). La «teologia giovan­
nea del corpo di Cristo» si unisce alla «dottrina paolina della Chiesa come corpo
e tempio di Dio»: il «corpo ecclesiale si conformerà in tutto al suo capo... deve
morire... sarà sepolto... risorgerà» (Rossetti 1998, p. 84).
248 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 132-133

in eo quod dicebant: Qui destruit templum, mentiti sunt, sed etiam il­
lud quod dixerunt: Et egò in triduo reaedificabo eum. Nec enim dixit
reaedificaturum se templum, sed suscitaturum 550; sermo enim aedifi­
cationis non ostendit subitaneum opus, suscitationis autem ostendit.
Et qui quidem deridebant, dicebant salva teipsum, ipse autem (ac­
cipiens virtutem a patre) et hoc fecit et amplius; cunctis enim capienti­
bus verbum suum salutem suam ostendit. Et illi quidem deridentes di­
cebant: Si filius Dei es, descende de cruce, ipse autem filium Dei se de­
ridentibus quidem non ostendebat, ostendit autem credentibus sibi,
postquam dispensavit quae oportebat eum dispensare in tribus illis die­
bus, postquam descendens ad inferos mortificatus corpore vivificatus
autem in spiritu, spiritibus qui erant in carcere praedicavit, qui non cre­
diderant aliquando, quando expectabatur patientia Dei in diebus Noe
cum fabricaretur arca, in qua pauci, id est octo animae, sunt salvati per
aquam 551. Et non est derelictus illic (sicut ipse dicebat: Quoniam non
270 derelinques animam meam in inferno 552), oportebat autem eum et
ascendere ad proprium patrem et Deum, ut ascendens in altum capti­
vet captivitatem et accipiat dona in homines 553, et post haec ostendat
se fortiorem morte dicens ad eam: Ubi est, mors, aculeus tuus? 554.
Similiter autem (ceteris praetereuntibus et blasphemantibus eum)
principes quoque sacerdotum et scribae praetereuntes et ipsi dicebant ad
eum, victi virtutibus ante gestis ab eo: alios salvos fecit, seipsum salvum
facere non potest (videlicet non credentes quoniam qui alios salvare po­
tuit, multo amplius poterat et seipsum salvare) et promittebant se cre­
dituros in eum quasi in regem Israel, si descendens a cruce videretur ab
eis. Ipse autem non curabat indignum aliquid agere propter derisionis
iniuriam et facere, quod dicebatur ab eis extra rationem et ordinem.

133. Idipsum autem et latrones, qui crucifixi erant cum eo, inp
rabant ei 555.
Et apud Iohannem sicut potuimus exposuimus de duobus latroni­
bus, qui fuerunt crucifixi cum Christo,

550 Cf. Io. 2 , 19. 551 i petr. 3, 18-20. 552 p s 15 (16); 10.
553 Cf. Eph. 4, 8 . 554 1 Cor. 15 , 55 . 555 Mt. 27, 44.

(125) In tribus illis diebus descendens ad inferos non derelictus il


Oportebat eum ascendere. È condensata in queste righe una riflessione su l ’econo­
mia della croce, vincitrice e liberante fino agli inferi·. «I medici debbono andare
dove stanno i soldati feriti ed entrare dov’è il lezzo delle loro ferite. Questo impo­
ne la filantropia propria del medico; e così questo ha ispirato il Logos al Salvatore
e ai profeti: di venire sulla terra e di scendere - καταβήναι - all’inferno» (HReG Π:
Nautin, pp. 200s.; trad. Simonetti, p. 69); «Cristo legò a sé - ύπεδήσατο - l’uo­
mo. .. anche (l’uomo) morto; Cristo infatti è morto ed è tornato alla vita per essere
il Signore sia dei vivi che dei morti (Rm 14, 9)... Ha legato a sé... quello che è sulla
terra e quello che è nell’Ade» (Ciò 6 , 176-177, pp. 341s.); incarnazione e discesa
agli inferi sono in stretto rapporto, «al punto che la parola κατάβασις (discesa) .. .si
C O M M E N TO A M A TTEO , 132-133 249

hanno mentito non solo su quel punto che dicevano loro: Lui che distrug­
ge il tempio, ma altresì lì dove affermarono: Ed io in tre giorni lo riedifi­
cherò, giacché non disse che avrebbe riedificato il tempio, ma che lo
avrebbe fatto risorgere. H termine edificazione non indica un’opera im­
provvisa, mentre quello del far risorgere sì.
E se coloro che lo deridevano, dicevano: Salva te stesso, lui (rice­
vendo la forza dal Padre) fece questo e anche di più; a tutti quelli che
ne accoglievano la parola mostrò infatti la sua salvezza. E se quelli nel
deriderlo dicevano: Se sei Figlio di Dio, discendi dalla croce, non ai suoi
derisori mostrava di essere Figlio di Dio, bensì a quelli che credevano
in lui, dopo che ebbe disposto quanto doveva disporre in quei tre gior­
ni, dopo che discendendo agli inferi (125) messo a morte nel corpo, ma
reso vivo nello spirito, annunciò [la salvezza] agli spiriti che erano in pri­
gione, essi che un tempo si erano rifiutati di credere, quando la magnani­
mità di Dio attendeva nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nel­
la quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua.
Non fu abbandonato in quel luogo (come diceva lui stesso: Non lasce­
rai la mia anima nell’inferno) ma occorreva che ascendesse al proprio
Padre e Dio, affinché ascendendo in alto conducesse prigioniera la pri­
gionia e ricevesse doni dagli uomini, e a seguito di ciò si mostrasse più
forte della morte dicendole: Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?
Allo stesso modo (mentre gli altri passavano e bestemmiavano) an­
che i sommi sacerdoti e gli scribi (andando oltre pure loro) dicevano rivol­
ti a lui, colpiti dai prodigi da lui compiuti prima: Ha salvato gli altri, non
può salvare se stesso (ossia rifiutandosi di credere che chi ha potuto sal­
vare gli altri, a maggior ragione poteva salvare se stesso), e promettevano
di credere in lui come re di Israele, se l’avessero visto scendere dalla cro­
ce. Ma egli si rifiuta di fare un gesto in reazione all’offesa dello scherno,
e compiere quello che dicevano loro, al di là della ragione e dell’ordine.

133. Anche i ladroni che erano crocifissi con lui, lo oltraggiavan


lo stesso modo.
In Giovanni abbiamo dato spiegazioni, come abbiamo potuto, cir­
ca i due ladroni che erano stati crocifissi col Cristo,

applica a tutta la dinamica dell’abbassamento del Cristo inglobante le sue due


venute» (Bendinelli 200la, p. 190). H mistero viene espresso con la ricorrente cita­
zione di Sai 67 (6 8 ), 19: «Cristo è disceso nell’inferno: non solo per non essere egli
stesso trattenuto dalla morte, ma per strappare anche quelli che vi si trovavano...
Salendo in alto condusse schiava la schiavitù (Sai 67 [6 8 ], 19)... Mediante la sua
risurrezione ha distrutto ormai i regni della morte... Gli schiavi che erano tenuti
in suo potere sono stati portati via» (CRm 5 , 1 : 1, p. 253); riprendendo la 1 Pt, la
nostra Series sottolinea che il Cristo libera non solo i santi, ma anche gli increduli
- che Noè non aveva potuto salvare per la loro mancanza di fede e che ora sono
salvati credendo al Cristo, di cui Noè era figura -. «Il Signore (ha) smussato il pun­
giglione della morte e distrutto la sua potenza, dando modo agli spiriti custoditi
nell’Ade di saltar oltre mediante la predicazione del Vangelo» (Pas 2, 48, p. 130):
2J0 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 133

qui secundum Matthaeum [Illu c] Ό μεν Μ ατθαίος πα-


quidem et Marcum inproperave- ρατρέχω ν εΐπ εν δ τ ι κ α ί ο ί συ-
runt ei ambo in cruce, secundum σταυρωθέντες ώ νείδιζον αύτόν·
Lucam autem dicentem quo­
niam unus de pendentibus latro­
nibus blasphemabat eum dicens:
Tu es Christus; salva teipsum et
nos. Respondens autem alter in­ άκριβέστερον δε οίπτος —ώσ­
crepabat eum dicens: περ κ α ί έπ η γγ είλ α το - έξηγου-
μενος ένα φ ησίν ε ΐν α ι τον βλα-
σφ ημησάντα, τον δ ’ ετερον επι-
τιμ α ν αυτω 556

non times tu Deum quod in eadem damnatione es? et nos quidem iuste,
271 nam condigna factis recipimus; iste autem nihil mali fecit. Et dicebat ad
lesum: memor esto mei cum veneris in regnum tuum, respondens autem
Iesus dixit ad eum, qui increpaverat blasphemantem: «Amen dico tibi:
hodie mecum eris in paradiso» 557.
Conveniens ergo est, ut in Ε ίκός δε κ α ί κα τά μεν τή ν
primis quidem ambo latrones in­ α ρχή ν άμφοτέρους ώ νειδ ικένα ι,
tellegantur dominum blasphe- ύ σ τερ ο ν δε το ν έτερ ο ν μεταβε-
masse, post hoc autem unum ex β λ η κ ένα ι επί τό π ισ τεύσ α ι αύτώ,
eis conversum esse et credidisse ύ π ο μ νη σ θ έντα τε ών έπ ο ίει
tractantem apud seipsum et de σ η μ είω ν κ α ί ίδό ντα ά ρχόμενον
his miraculis, quae audiebat fac­ σ κ οτίζεσ θα ι τόν άέρα.
ta ab eo, forsitan autem et videns
conversionem aéris et tenebras
fieri insolitas, et non sicut fieri
frequenter solebant.
Aut ne forte, sicut et illic diximus, alii sunt hi duo latrones, ex qui­
bus unus blasphemabat eum alius autem increpabat blasphemantem,
et alii fuerunt illi duo latrones, qui ambo blasphemaverunt.

556 Lc. 23, 39-43. 537 Ibid.


questi passi sono importanti per l’interpretazione della Pasqua in chiave cristolo­
gica (cf. Buchinger in Orig. VIII, p. 572; per il tema del descensus ad inferos nei
primi secoli del cristianesimo, cf. Bendinelli 2001a, che considera il discorso orige-
niano dalla sua fondazione scritturistica fino alla ripresa teologica contemporanea;
Pesthy 1996; Prinzivalli 2002, pp. 137-150).
(126) Apud lohannem exposuimus de duobus latronibus... secun
Matthaeum et Marcum... secundum Lucam. Origene dà prova anche in questo
passaggio di considerazione dei dati storici e di attenta lettura sinottica degli
evangeli, rinviando inoltre, a un tratto non pervenutoci di Ciò (come segnala
Klostermann, p. 270); la divergenza sulle parole dei due concrocifissi con Gesù
può implicare la conversione sulla croce di uno, di per sé condannato come l’al-
C O M M E N TO A M A TTEO , 133 251

i quali in Matteo e Mar­ Matteo sorvolando si limita


co (126) lo oltraggiarono, en­ a dire che anche i due che erano
trambi sulla croce; Luca invece stati crocifissi con lui lo insulta­
dice che uno dei ladroni appesi al­ vano; esponendo più precisa­
la croce lo insultava dicendo: Tu mente costui (Luca) così come
sei il Cristo, salva te stesso e noi. aveva promesso —esplicita e dice
L!altro invece replicando lo rim­ che l’uno era quello che lo ol­
proverava dicendo: traggiò, l’altro quello che biasi­
mò costui.
Non temi tu Dio, che sei nella stessa condanna? Noi giustamente, perché
riceviamo pene giuste per i nostri misfatti; questi invece nulla di male ha
fatto. E diceva a Gesù: ricordati di me quando verrai nel tuo regno. Ri­
spondendo Gesù, disse a colui che rimproverava il bestemmiatore: In ve­
rità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso.
Conviene dunque pensare È verosimile però che en­
che inizialmente i due ladroni ab­ trambi sulle prime l’abbiano in­
biano oltraggiato il Signore e che giuriato, in seguito, poi, l’altro si
dopo uno di loro si sia convertito sia cambiato nel credere a lui, ri­
ed abbia creduto, riflettendo in cordandosi di quei segni che
se stesso anche su questi miracoli aveva compiuti e vedendo che
che sentiva dire compiuti da lui, l’aria cominciava a oscurarsi.
ma forse anche nel vedere il mu­
tamento dell’aria e il farsi di tene­
bre insolite, non come di fre­
quente solevano avvenire.

O potrebbe anche darsi, come abbiamo detto in quella spiegazio­


ne, che questi due ladroni, di cui uno lo oltraggiava e l’altro rimprove­
rava quello che oltraggiava, siano due persone diverse da quei due al­
tri ladroni che entrambi lo hanno oltraggiato.

tro e inizialmente come l’altro nemico; quanto al racconto evangelico può esse­
re, nella espressione sinottica, il medesimo - τό αύτό - e diverso - διάφορον τά
οώτά διαψόροις λέξεσι παρά τοΐς τρισίν άναγέγραπται (CMt 15, 14). Si può
anche avanzare l’ipotesi di due coppie di ladroni; peraltro l’acribia origeniana è
sempre sottoposta al vaglio teologico: chi «è alla ricerca di un’interpretazione
più profonda di tutto ciò, dirà che si tratta di un’unica e medesima realtà pre­
sentata in testi diversi» (CMt 16, 12: III, p. 60; cf. Bastit-Kalinowska 1992, pp.
37-40; Junod 2005); a Origene preme, in questa Series su Matteo, indicare nel
parallelo di Luca la simbologia del buon ladrone come primizia dell’umanità sal­
vata dalla e sulla croce. A livello di tradizioni si può ricordare che gli Atti di
Pilato danno un nome ai due concrocifissi: Disma e Gesta, e Disma sarebbe,
salvo che per qualche variante, il ladrone che si converte; la leggenda non ha
mancato di ampliare la vicenda, sobriamente descritta dagli evangelisti e come
tale commentata da Origene, velando peraltro l’annuncio fondamentale del testo:
1'hic et nunc della salvezza per la fede (cf. Atti [I gr A1] 9,5; 10, 2; [I gr B 1] 10, 6 ,
in Erbetta 1992, pp. 244s.261, e nota 14, p. 264).
252 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 133-134

Sed ille latro, qui salvatus "Ορα δέ ε ί ό σωζόμενος


est, potest esse mysterium eo­ λη σ τή ς σύμβολόν έσ τιν των μετά
rum, qui post multas iniquitates α μ α ρ τία ς εις Ί ησ ο ύ ν πιστευ-
crediderunt in Christum et dixe­ σάντων κ α ί λεγό ντω ν «Χ ρ ισ τφ
runt: Christo confixi sumus 558 et συνεσταύρω μαι» 561,
configurati in morte Christi 559, συμμορφ ιζομένω ν τφ θα-
et semper dicunt filio Dei: Me­ νάτω αύτού, ο ι κ α ί τής έν παρα-
mor esto nostri cum veneris in re­ δείσω κ α τα ρ ιο ύ ν τα ι δ ια τρ ιβ ή ς
gnum tuum et ideo in paradiso 560 δ ιά τό είρ η κ έν α ι τόν κ ύ ρ ιο ν τό
sunt cum ipso. «σ ήμερον μετ'έμού έση έν τω πα-
ραδείσω » 562.

134. A sexta autem hora tenebrae factae sunt super universam


ram usque ad horam nonam 563.
272 Ad hoc textu quidam calumniantur evangelicam veritatem, dicen­
tes: quomodo secundum textum potest esse verum quod dicitur, quia
factae sunt tenebrae super omnem terram a sexta hora usque ad nonam,
quod factum nulla refert historia? Et dicunt quia, sicut solet fieri in so­
lis defectione, sic facta est tunc defectio solis.
Defectio autem solis a sae­ [Π 331, 3] Τότε γάρ γίνον­
culo semper fuit in suo tempore ται έκλείψεις ότε πλησιάσωσιν
facta. Sed defectio solis quae se­ άλλήλοις οί δύο ούτοι φωστήρες.
cundum consuetudinem tempo­ Γίνεται γάρ έκλειψις ήλίου, συ-
rum ita currentium fieri solet, νόδω ύποδραμούσς αύτόν σε­
non in alio tempore fit nisi in λήνης, ού πανσελήνφ ότε διάμε­
conventu solis et lunae, quando τρός έστιν τή σελήνη.
luna subtus currens solis inpedit
radios occurrens ei, et occursu
suo lumen eius obtundit. In tem­
pore autem, quo passus est Chri­
stus, manifestum est quoniam
conventus non erat lunae ad so­
lem, quoniam tempus erat pa­
schale, quod consuetudinis est
agere, quando luna solis plenitu­
dinem habet et in tota est nocte.

558 Gal. 2 , 19. 559 Phil. 3, 10. 560 Cf. Lc. 23 , 43 . 561 Gal. 2,
19. 562 Lc. 23, 43. 563 Mt. 27, 45.

(127) Vìe latro qui salvatus est potest esse mysterium eorum qui post m
iniquitates crediderunt in Christum. L 'oggi del ladro salvato è commentato anco­
ra da Origene: «Diciamo, attenendoci dapprima al senso più semplice, che forse
Gesù, prima di andare nel cosiddetto cuore della terra (Mt 1 2 , 40) collocò nel
paradiso di Dio colui che gli aveva detto: Ricordati di me quando verrai nel tuo
regno; e passando al senso più profondo, diciamo che nella Scrittura l’espressio-
C O M M E N TO A M A TTEO , 133-134 2-53

Ma quel ladrone che si salvò Ma considera se il ladrone


potrebbe essere la figura miste­ che si salva non sia il simbolo di
riosa di coloro che pur avendo coloro che dopo [aver commes­
commesso molte iniquità sono so] peccati sono giunti alla fede
giunti alla fede in Cristo (127) ed in Gesù e dicono: Sono crocifisso
hanno proclamato: Siamo stati col Cristo, essendosi resi confor­
crocifissi col Cristo e diventati mi alla sua morte, i quali sono re­
conformi al Cristo nella morte e si degni di vivere in paradiso gra­
continuamente dicono al Figlio zie al fatto che il Signore ha det­
di Dio: Ricordati di noi quando to le parole: Oggi sarai con me in
verrai nel tuo regno, e per ciò so­ paradiso.
no con lui in paradiso.

134. Dall’ora sesta si fecero tenebre su tutta la terra sino all’ora nona.
Sulla base di questo testo alcuni denigrano la verità del Vangelo,
col dire: come può essere vera l’affermazione del testo, per cui si fece­
ro tenebre su tutta la terra dall’ora sesta all’ora nona, ciò che nessun rac­
conto storico riferisce essere avvenuto? E poi affermano che allora ci
fu un’eclisse di sole, come solitamente avviene in un’eclisse di sole.
Ma un’eclisse di sole dal Allora infatti si verificano
mondo si è sempre verificata nel eclissi, quando questi due lumi­
suo determinato momento. Ad nari si avvicinano l’uno all’altro.
ogni modo, l’eclisse solare che L’eclisse solare si verifica infatti
solitamente si verifica secondo dall’incontro con la luna che
tale decorso dei tempi non avvie­ compie il suo corso al di sotto
ne in altro momento se non nel­ [del sole], ma non in plenilunio,
l’incontro tra sole e luna, quando quando il sole è diametralmente
la luna, procedendo nel suo cor­ opposto alla luna.
so al di sotto del sole, ne ostaco­
la i raggi, sovrapponendosi ad
esso e a motivo di tale sovrappo­
sizione ne offusca la luce. Ma è
chiaro che nel momento in cui il
Cristo subì la passione non ci fu
incontro tra sole e luna, perché
era il tempo pasquale, tempo che
è consuetudine celebrare quan­
do c’è il plenilunio che dura per
tutta la notte.

ne oggi si estende spesso fino a comprendere la totalità del tempo di questo


mondo attuale - αιών - » (Ciò 32, 395-396, p. 809); nello scorcio della croce si
esprime la subitaneità della salvezza donata per grazia: «Sommamente felice mi
pare il fatto che uno meriti di entrare nella terra della promessa in quello stesso
giorno nel quale è pure sfuggito agli errori di questo mondo» (HIos 4, 4, p. 90;
cf. Cocchini 2001b, che esamina i passi origeniani sull'oggi nella continuità e
254 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 134

Quomodo ergo poterat fieri defectio solis, cum luna esset plena et
plenitudinem solis haberet?
Quidam autem credentium volentes defensionem aliquam intro­
ducere contra haec, angustati sermonibus profitendum talia, ita dixe­
runt: si nullum prodigium novum factum fuisset in tempore passionis
Christi sed omnia secundum consuetudinem, crederetur secundum
consuetudinem facta fuisse illa defectio solis; nunc autem cum constet
cetera prodigia, quae tunc facta sunt, non secundum consuetudinem
273 facta fuisse, sed nova et miranda (nam et velum templi scissum est in
duas partes a sursum usque deorsum, et terra contremuit, et petrae dis-
ruptae sunt, et monumenta aperta sunt et multa corpora dormientium
sanctorum resurrexerunt 564), manifestum est quoniam et illa defectio
solis consequenter secundum cetera prodigia nova contra consuetudi­
nem facta est. Item adversus haec filii saeculi huius qui prudentiores
sunt filiis lucis in sua generatione 565, talia dicunt: pone quia extra con­
suetudinem facta est illa defectio solis in tempore non antiqua sub
principatu Romanorum, ita ut tenebrae fierent super omnem terram
usque ad horam nonam - quomodo hoc factum tam mirabile nemo
Graecorum, nemo barbarorum factum conscripsit tempore illo, maxi­
me qui chronica conscripserunt et novaverunt, sicubi tale aliquid no­
vum factum est aliquando, sed soli hoc scripserunt vestri auctores?
Et Phlegon quidam in [Π 331, 1] Καί Φλέγων δέ τις
Chronicis suis scripsit in princi- παρ’ Έλλησι φιλόσοφος μέμνηται
patu Tiberii Caesaris factum, τούτου του σκότους κτλ.

sed non significavit in luna piena hoc factum.

564 Mt. 27, 51s. 565 Lc, 16, 8

nella novità rispetto alla riflessione precedente e coeva). Nel ladrone che si con­
verte si può cogliere una simbologia ecclesiale generale: il passaggio alla fede di
chi è onerato da gravi peccati, con il richiamo implicito alla Chiesa dalle genti;
Girolamo sviluppa la seconda accezione: «Nei due ladroni ambedue i popoli,
quello dei pagani e quello dei giudei, hanno dapprima bestemmiato il Signore;
poi, atterrito dalla grandezza dei prodigi, uno si è pentito e fino a oggi rimpro­
vera i giudei perché ancora lo bestemmiano» (Commento IV, p. 298; cf. Sgherri
1982, p. 346; de Lubac 1985, p. 221). La lettura origeniana è bene espressa dalla
liturgia bizantina: «Emise un debole grido il ladro sulla croce; ma raggiunse una
grande fede, in un attimo fu salvo, per primo entrò nel paradiso e ne aprì le
porte!... (Il ladro), crocifisso con lui, confessò il Dio nascosto... Noi leviamo
verso di lui la voce del ladro riconoscente: Ricordati anche di noi, o Salvatore, nel
tuo regno... Concedi anche a noi, o Signore, la conversione del ladro...»
(Venerdì della grande e santa settimana, in Liturgia orientale, pp. 72s.76s.79).
(128) Quomodo poterat fieri defectio solis cum luna esset plena et plenit
nem solis haberet? Quomodo hoc factum nemo conscripsit? II testo sollecita 1’ese-
geta a qualche nota di explanatio rerum, a quegli approfondimenti storico-scien­
tifici che costellano sensibilmente l’opera origeniana (cf. Bendinelli 1997b, pp.
121-132; Scott, pp. 114s.); Origene è contemplatore delle stelle, ammiratore della
C O M M EN TO A M A TTEO , 134 255

Come poteva esserci dunque eclisse di sole, dal momento che


c’era luna piena e aveva la pienezza del sole? (128).
Ora alcuni dei credenti, volendo addurre una difesa contro queste
ragioni, messi alle strette dai discorsi di quanti proclamano tali idee, han­
no detto così: se non fosse avvenuto alcun prodigio nuovo al momento
della passione di Cristo e tutto si fosse svolto come al solito, si potrebbe
credere che quell’eclisse di sole si sia verificata secondo il solito; ma ora
siccome consta che tutti gli altri prodigi, che allora ebbero luogo, non av­
vennero secondo il solito, ma furono fatti nuovi e straordinari (infatti
non solo il velo del tempio si squarciò in due parti, da cima a fondo, ma an­
che la terra si scosse, e le rocce si spezzarono, ed i sepolcri si aprirono e mol­
ti corpi dei santi morti risuscitarono) è evidente che anche quell’eclisse di
sole, in linea con tutti gli altri nuovi prodigi, si sia verificata contro la con­
suetudine. Così, i figli di questo secolo che sono più scaltri dei figli della
luce nella loro generazione, contro queste affermazioni replicano in que­
sto modo: metti pure che quell’eclisse si sia verificata fuori del solito non
troppo lontano nel tempo sotto l’impero romano, sicché si fece buio su
tutta la terra sino all’ora nona, come mai nessun greco, nessun barbaro
ha descritto questo evento così stupendo prodottosi a quel tempo, spe­
cialmente coloro che misero per iscritto e annotarono le cronache, se mai
da qualche parte o in qualche tempo si è realizzato un fatto del genere, e
siano stati solo i vostri autori a scrivere questo?
Anche un certo Flegonte ha Anche Flegonte, filosofo
scritto nelle sue Cronache che [un presso i greci fa menzione di
evento del genere] si è verificato questo buio, ecc.
al tempo dell’impero di Tiberio,
ma non ha segnalato che questo è avvenuto durante il plenilunio.

vita dei corpi celesti: «È stato osservato che nei grandi eventi e nei cambiamenti
più forti che avvengono sulla terra, si levano gli astri di natura cotale, che presa­
giscono o rivoluzioni di regni, o guerre, o altri fatti che possono capitare agli
uomini, capaci di scuotere il mondo. Io ho letto nello scritto Sulle comete dello
stoico Cheremone, come delle comete siano apparse talvolta» in occasione di
«grandi eventi della terra» (CC 1 , 59, pp. 108s.). I quesiti posti dalle tenebre che
avvolgono la passione di Cristo, dall’ora sesta fino all’ora nona, riguardano da un
lato l’attendibilità di un’eclisse di sole nel tempo della Pasqua, contraddistinto dal
plenilunio, e dall’altro la testimonianza delle fonti estranee al dato evangelico su
eventuali fenomeni straordinari; tacciono? oppure segnalano una defectio solis,
ma senza specificare se l’evento sia accaduto in luna piena? Flegonte è già stato
richiamato in CMtS 40 (cf. nota 1 1 1 : I, pp. 260s.) e viene citato in CC 2, 33.59
riguardo al tema della nostra Series. Una fonte su cui si discute riguardo a que­
sta tenebra pasquale è anche Giulio Africano, Fr. 50; peraltro sembra emergere
più l'originalità che la dipendenza del discorso origeniano (cf. Buchinger in
Orig. Vili, pp. 575-578); ciò che determina le affermazioni dell’Alessandrino è
la precomprensione di fede: «O tu non devi credere a nessuna cosa dei Vangeli,
e non devi servirtene per accusare; oppure devi credere a tutto quel che dicono,
e allora devi ammirare il Verbo di Dio fatto uomo e destinato a recar salute a tutto
il genere umano» (CC 2 , 33, p. 167; cf. Buchinger I, p. 269).
2 j6 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 134

Vide ergo nisi fortis est obiectio haec et potens movere omnem
hominem sapientem (qui nec illis dicentibus nec istis scribentibus con­
sentit, sed omnia cum ratione et iudicio audit), et non est quidem du­
rum * * * et unusquisque fidelium (qui credit quidem, non tamen cum
ratione et cum iudicio credit), ut ita sit constans in fide, ut etsi mille cri­
mina obiciant contra evangelicam fidem volentes destruere fidem no­
stram, ut in nulla parte eorum commoveatur sermonibus, qui (fingen­
tes se credere scripturis evangelicis) per occasionem unius aut alterius
quaestionis aut difficilis aut forte et indissolubilis adversantes scriptu­
ris festinant fidem Christi et evangeliorum eius tollere de anima nostra,
introducentes quasdam morales res et mirabilia Dei virtute consumma­
ta ad saeculares quasdam consuetudines transferre volentes. ludicavi
igitur bonum, ut accipiens bonum propositum eorum, qui in fide con-
274 stantes esse desiderant, solutiones criminationum eorum (in quantum
mihi ex Deo est virtus) inveniam pro evangelii veritate, ut fideles non
solum fide simplici, sed etiam ratione fidei muniantur in fide.
Dicimus ergo, quoniam [nluc] Ματθαίος τε καί
Matthaeus et Marcus non dixe- Μάρκος ούτε ήλιον ούτε εκλει-
runt defectionem solis tunc fac- ψιν ώνόμασαν, Λουκάς δε...
tam fuisse, sed neque Lucas,

secundum pleraque exemplaria habentia sic: Et erat hora fere sexta et


tenebrae factae sunt super omnem terram usque ad horam nonam, et ob­
scuratus est so l 566. In quibusdam autem exemplariis non habetur: Te­
nebrae factae sunt et obscuratus est sol·, sed ita: Tenebrae factae sunt
super omnem terram sole deficiente. Et forsitan ausus est aliquis (quasi
manifestius aliquid dicere volens) pro: Et obscuratus est sol, ponere: de­
ficiente sole, aestimans quod non aliter potuissent fieri tenebrae nisi so­
le deficiente.
Puto autem magis, quoniam insidiatores ecclesiae Christi mutave­
runt hoc verbum, quoniam tenebrae factae sunt sole deficiente, ut veri­
similiter evangelia argui possint secundum adinventiones volentium ar­
guere ea.

566 Lc. 2 3 ,44ss.

(129) Fideles non solum fide simplici, sed etiam ratione fidei muniant
fide. La formulazione rende bene il movimento di molti testi: «Conoscere - γινώ-
σκειν - Dio è una cosa diversa dal credere semplicemente - πιστεΰειν ψιλώς - in
lui» (Ciò 19, 16, p. 567); «ci adoperiamo a rafforzare la fede col ragionamento»
(Prin 4,1 , 1, p. 484); «vi son di quelli ai quali predichiamo soltanto la nostra esor­
tazione alla fede, perché non sono capaci di ricevere altro; vi sono invece di quel­
li ai quali noi ci accostiamo, per quanto ci è possibile, con argomenti razionali»
(CC 6 , 1 0 , pp. 494s.); «capita (di) aver creduto invano a quanti non si curano
della sapienza in modo tale da cogliere in ciò che hanno creduto anche l’intelli­
genza della verità» (CRm 8 , 1: II, p. 33); la fede è la «condiscendenza razionale
- λογική συγκατάθεσις - di un’anima libera» (in FrPs 115, 1 [116, 10]: P G 1 2 ,
1576; cf. Perrone 2000a, p. 158). Accostandosi «alla Scrittura da credente e ani-
C O M M E N TO A M A TTEO , 134 257

Considera un po’, se questa non sia un’obbiezione valida e in gra­


do di scuotere qualunque persona assennata (che non accondiscende
né a questi che parlano né a quelli che scrivono, ma tutte le cose ascol­
ta con riflessione e giudizio), e considera se non sia un punto gravoso
...e ciascun credente (che arriva sì alla fede, ma non la vive con rifles­
sione e giudizio) per perseverare continuamente nella fede, in modo
che benché coloro che mirano ad abbattere la nostra fede adducano
mille critiche contro la verità del Vangelo, non venga scosso da nessu­
na parte dai discorsi di coloro che (pur fingendo di credere alle scrit­
ture dei Vangeli) hanno premura di togliere dalla nostra anima la fede
in Cristo e nei suoi Vangeli, mettendosi in contrasto con le Scritture col
pretesto dell’una o l’altra questione difficile o forse anche insolubile; e
lo fanno presentando alcune realtà morali e volendo ridurle a certi abi­
tuali modi di pensare del mondo. Ho pertanto ritenuto bene accoglie­
re la buona intenzione di coloro che desiderano restare perseveranti
nella fede, e trovare soluzione di quelle critiche (nella misura in cui ne
ho la forza da parte di Dio), soluzione per la verità del Vangelo affin­
ché i credenti siano fortificati nella fede non soltanto con una fede sem­
plice, ma anche con una fede ragionata (129).
Orbene, noi diciamo che Né Matteo né Marco men-
sia Matteo che Marco non af- zionano il sole e l’eclisse, mentre
fermano essersi verificato allora Luca...
un’eclisse di sole, ma neppure
Luca lo dice
stando alla maggior parte dei manoscritti, che recitano così: era circa
l’ora sesta, e si fece buio su tutta la terra sino all’ora nona, ed il sole si
oscurò. In alcuni manoscritti però non c’è: si fece buio e si oscurò il so­
le, bensì: al tramonto del sole, si fece buio su tutta la terra. Probabilmen­
te qualcuno (quasi a voler dire qualcosa di più chiaro) avrà osato scri­
vere al tramonto del sole, anziché: si oscurò il sole, ritenendo che non si
potesse fare buio se non tramontando il sole.
Ma a mio vedere, furono piuttosto quelli che insidiano la Chiesa
a trasformare l’espressione: si fece buio al calar del sole, in modo da
poter dimostrare la verosimiglianza dei Vangeli in base agli espedien­
ti di coloro che vogliono provarli.

mato dalla fides quaerens intellectum», Origene trova «nei recessi anche oscuri
del testo sacro l’esatta risposta agli interrogativi proposti da uno spirito inquie­
to» (Simonetti 1998b, p. 100; Id. 1994); esaminando il racconto evangelico,
Origene vede i fenomeni straordinari riferiti in Mi 27, 45 legati al luogo e al
tempo della passione, alla sola Gerusalemme o, al massimo, alla sola Giudea, e
dà una spiegazione teologica delle tenebre cadute sulla terra d ’Israele. Anche per
questo straordinario lettore del III secolo, «il modo particolare della narrazione
biblica è di far sì (che egli s’interroghi) su quello che sta leggendo, o più esatta­
mente sulla sua propria recezione»; la Scrittura fa del nostro rifiuto o assenso «la
cifra stessa del nostro rapporto alla rivelazione» (Boyer, pp. 346s.).
258 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 134

Arbitror ergo, sicut cetera ώσπερ ή περί τήν Ίουδαίαν


signa quae facta sunt in passione γή καί αί πέτραι καί τά μνημεία.
ipsius, in Hierusalem tantummo­
do facta sunt, sic et tenebrae tan­
tummodo super omnem terram
Iudaeam sunt factae usque ad ho­
ram nonam. Quae autem dico in
Hierusalem tantummodo facta,
haec sunt: quod velum templi
scissum est, quod terra contre­
muit, quod petrae disruptae sunt,
275 quod monumenta aperta sunt.
Nec enim extra Iudaeam petrae Πολλαχοϋ γάρ ή γραφή
disruptae sunt, aut monumenta πάσαν γήν τήν Ίουδαίαν ονομά­
aperta sunt alia nisi ea tantum, ζ ε ι...
quae in Hierusalem erant aut
forte in terra Iudaea,
nec alia terra tremuit turic nisi terra Hierusalem - nec enim refertur ali­
cubi, quod omne elementum terrae tremuerit in tempore illo, ut senti­
rent (verbi gratia) et qui in Aethiopia erant et in India et in Scythia
(quod si factum fuisset, sine dubio inveniretur in historiis aliquibus eo­
rum, qui in chronicis conscripserunt nova aliqua facta). Sicut ergo,
quod dicitur terra contremuit, hic refertur ad terram Hierusalem aut (si
latius voluerit quis extendere) ad terram Iudaeam, sic et tenebrae factae
sunt ab hora sexta usque ad nonam super omnem terram Iudaeam sunt
factae aut certe super Hierusalem tantum.
Sic ergo qui intellegit, sine culpa intellegit, ut non magnitudinem
miraculi ostendere volens incidat in risum sapientium saeculi huius 567,
et magis infidelitatem in hominibus sapientibus operetur quam fidem.
Dicit autem aliquis contra haec: si non ex defectione solis factae
fuerunt tenebrae tunc super omnem terram Iudaeam et Hierusalem
sed ex altera causa, ostende causam. Cui talia respondemus: primum
quidem, quod omnino evangelistae nec nominaverunt solem in isto
loco, sed tantum quia tenebrae factae sunt super omnem terram. Si ergo
tenebrae factae sunt super omnem terram sole non nominato, sine du­
bio consequens est intellegere
quasdam tenebrosissimas είτε σκοτεινής νεφέλης ή
nubes, et forte non unam sed νεφών ύποδραμουσών τάς φθα-
multas et maiores, concurrisse su­ νούσας έπί τήν Ίουδαίαν γήν
per terram Iudaeam et Hierusa­ ήλιακάς ακτίνας
lem ad cooperiendos radios solis,

567 Cf. 1 Cor. 3,18.

(130) Consequens est intellegere tenebrosissimas nubes concurrisse supe


ram Iudaeam et Hierusalem. Il richiamo alle tenebre dell’Esodo serve, assieme al
C O M M E N TO A M A TTEO , 134 259

Sono poi dell’opinione che come la terra attorno alla


come tanti altri segni verificatisi Giudea, le rocce e i sepolcri.
durante la sua passione non sono
avvenuti che a Gerusalemme,
così non si fece buio sino all’ora
nona se non su tutta la terra del­
la Giudea. Ed ecco i segni che
dico essersi verificati soltanto a
Gerusalemme: il velo del tempio
si squarciò, la terra si mise a tre­
mare, le rocce si spezzarono, i se­
polcri si aprirono. In realtà fuori In molti passi la Scrittura
della Giudea non si spezzarono chiama la Giudea tutta la terra...
le rocce, né si aprirono altri se­
polcri se non quelli che erano in
Gerusalemme o per caso nella
regione della Giudea;
né quel momento un’altra terra tremò se non la terra di Gerusalemme
- e da nessuna parte si riferisce che in quel tempo tremò tutta la super­
ficie della terra, sì da essere percepito (mettiamo) da quelli che erano
in Etiopia, in India, ed in Scizia: se tale fatto si fosse verificato, ne tro­
veremmo notizia in alcune storie di coloro che nelle loro cronache re­
gistrarono alcuni avvenimenti strani. Come dunque il dire che si mise
a tremare la terra si riferisce qui al territorio di Gerusalemme o (se lo
si vuole prendere in senso più lato) alla regione della Giudea, così dal­
l’ora sesta all’ora nona si fece il buio sopra tutta la terra, cioè sulla terra
della Giudea o di certo soltanto su Gerusalemme.
Chi la intende dunque così non commette alcun errore di compren­
sione, ad evitare che, volendo mettere in risalto la grande dimensione del
miracolo, non abbia ad incorrere nella derisione dei sapienti di questo
mondo e tra uomini sapienti abbia a produrre più incredulità che fede.
Al che qualcuno potrebbe replicare: se quel giorno si fece buio su
tutta la regione di Giudea ed in Gerusalemme, non per un’ecclisse di
sole ma per altra causa, indicacela! Ecco la nostra risposta a costui: in
primo luogo, gli evangelisti non menzionano affatto il sole in questo
passo, ma si limitano a dire che si fece buio su tutta la terra. Se dunque
si fece buio su tutta la terra, senza menzionare il sole, ne consegue in­
dubbiamente che si deve capire che

alcune nubi molto oscure, e sia di una nube oscura o di


magari non una sola ma parec­ nuvole che passavano al di sotto
chie e più grandi si siano adden­ dei raggi solari che giungevano
sate sulla regione (130) della alla regione della Giudea
Giudea e di Gerusalemme per
coprire i raggi del sole,
26ο CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 134

276 et ideo profundae factae sunt tenebrae a sexta hora usque ad nonam.
Quoniam autem facti sumus in tali loco, dicimus, ne forte et tenebrae
palpabiles in Aegyptum hoc modo factae fuerunt tribus diebus 568,
non ex solis defectione, sive autem ex eo quod nubes tenebrosae con-
currenrunt in unum,
sive quod aer illic tunc spis- ή τού έκεΐσε άέρος παχυν-
sior factus est super Aegyptios θέντος συμπαθούντος καί, αύτοΰ
tantum - omnibus enim filiis τω γεγονότι... δτε «τοΧς Αίγυπτι-
Israel, sicut testatur Scriptura, οις πεπολέμηκε δίαύτοΰς».
fuerat lumen <in omnibus locis>, in quibus fuerant commorati569. Nam
et inpossibile est in solis defectione, quae fit ex concursu lunae ad so­
lem, tribus diebus continuis fieri-tenebras; et crederetur aliqua alia te­
nebrarum causa fuisse in Aegypto, si vel nominatus fuisset sol, sive
quasi obscuratus in tempore illo. Nunc autem Scriptura Exodi nihil
aliud dicit nisi quia Moyses extendit manum suam in caelum, et factae
sunt tenebrae et caligo et cetera super omnem terram Aegypti tribus die­
bus; et nemo vidit fratrem suum, neque surrexit aliquis de lecto suo tri­
bus diebus 570.
Quod autem dico super omnem terram Iudaeam vel Hierusalem,
ut non omne elementum terrae intellegamus, illud est argumentum,
quod scriptum est in tertio libro Regnorum, ubi Abdias dispensator
Achab dixit Eliae: Quid peccavi, quia dedisti servum tuum in manus
Achab, ut mortificet me? Vivit Deus tuus, si est gens aut regnum ubi non
misit dominus meus quaerere te, et dixi: Non est, et conbussit regnum et
regiones eius, quoniam non invenit te 571. Quis enim tam lapideus sit le­
gens ista, ut aestimet quoniam rex Israel Achab in omnem gentem
mundi et in omne regnum orbis terrae misit quaerens Eliam, et con­
bussit ubicumque dictum est: Non est Elias? Sed sine dubio exaggera-
torie dicta sunt illa, ostendentia quoniam satis eum quaesivit in genti­
bus quae fuerunt circa Iudaeam, secundum quod potuit requirere. Di­
ximus autem etiam in aliis locis quoniam, cum duae creaturae genera­
les in sexta die factae fuissent, primum quidem animalia, deinde autem

568 Cf. Ex. 10, 21s. 569 Ex. 10, 23 . 570 ibid, [LX X ]. 571 3
Reg. 18, 9s.

ricorso a 1 Re, per riprendere dalla storia sacra eventi significativi per la fede: il
cammino salvifico ha conosciuto interventi di Dio imprevisti e imprevedibili,
che, senza forzare le vicende umane, ne fanno uno strumento di pedagogia divi­
na (cf. Biguzzi). Le tenebre della passione riportano alle tenebre d’Egitto con
«grandiosità tragica», perché il parallelo è rovesciato: Israele si è messo dalla
parte del popolo estraneo alla rivelazione, mentre Mosè resta nella luce perché
si è posto dalla parte del Cristo (cf. Sgherri 1982, pp. 117s.); il testo prende forza
dalla meditazione che già i libri sapienziali avevano elaborato sull’Esodo, per cui
luce e tenebra sono il segno dell’essere o meno dentro il disegno di Dio: Tutto il
mondo era illuminato di luce splendente... Soltanto (sugli egiziani) si stendeva una
notte profonda... Per i tuoi santi risplendeva una luce vivissima (Sap 17, 19.20 -
C O M M E N TO A M A TTEO , 134 261

e per questo motivo un buio intenso si è fatto sulla terra da sesta fino al­
l’ora nona. Giacché siamo giunti a tal punto, diciamo che forse in Egit­
to si produssero in questo modo tenebre tali da potersi palpare per tre
giorni, non per eclisse di sole, ma sia per l’addensarsi insieme di nubi
oscure,
sia per essere l’aria divenuta oppure perché, essendosi lì
più densa allora, in quel luogo, addensata l’aria, anch’esso soffrì
soltanto in Egitto - perché per di questo evento... quando si è
tutti i figli di Israele, come attesta messo in guerra contro gli egizia­
la Scrittura, ni per causa loro.
vi era luce in tutti i luoghi in cui fossero abitati. Non è infatti possibile
nel caso di un’eclisse solare, che si verifica per l’interposizione della lu­
na davanti al sole, che si faccia buio per tre giorni continui; si potreb­
be credere esserci stata un’altra causa delle tenebre in Egitto nel caso
in cui o si fosse menzionato il sole oppure questo si fosse in certo mo­
do oscurato in quel periodo. Ora però il libro dell’Esodo non dice al­
tro, se non che Mosè stese la mano verso il cielo, e vennero tenebre, ca­
ligine eccetera su tutto il paese di Egitto per tre giorni; e nessuno vedeva
suo fratello e nessuno potè alzarsi dal letto per tre giorni.
Che io dica però su tutta la terra di Giuda o di Gerusalemme, sen­
za intendere tutta la superfìcie terrestre, diventa argomento di quanto è
scritto nel terzo libro dei Re, lì dove Abdia economo di Achab disse ad
Elia: Che peccato ho fatto, che hai consegnato il tuo servo in mano ad
Achab, perché mi metta a morte? Ver la vita del tuo Dio, non esiste popo­
lo 0 regno dove il mio signore non mi abbia mandato a cercarti; ho detto:
Non c’è, e mise in fiamme il suo regno e le sue regioni perché non ti ha
trovato. Chi è così duro come pietra da pensare, leggendo queste paro­
le, che Achab re di Israele abbia mandato a cercare Elia in ogni popo­
lazione del mondo ed in ogni regno della terra e abbia messo a fuoco
ogni luogo in cui fu detto: Elia non c’è? Ma si tratta senz’altro di espres­
sioni iperboliche: esse evidenziano che Elia ricercò al più tra le popola­
zioni vissute attorno alla Giudea, secondo le sue possibilità. D ’altronde,
già in merito ad altri passi abbiamo detto che nel sesto giorno furono
realizzate le creazioni di due generi: prima gli animali e poi

18, 1). Origene esemplifica con espressioni iperboliche della Scrittura la dilata­
zione degli orizzonti spirituali (per Vexaggeratio, cf. CMtS 24, nota 6 3 :1, p. 185);
poi osa un accostamento ardito: diximus etiam in aliis locis...·, in effetti, in CCt,
l’ora sesta, che nel racconto genesiaco è l’ora della creazione dell’uomo, appare
fecondamente, per la croce del Cristo, l’ora della redenzione·. «(La Sposa del
Cantico) voleva apprendere dove lo Sposo facesse pascolare il gregge e riposas­
se, perciò ha parlato di mezzogiorno. Invece gli evangelisti in ciò che narravano
indicarono non il mezzogiorno ma l’ora sesta, in quanto narravano il sacrificio
della vittima che fu offerta nel giorno di Pasqua per la redenzione dell’uomo·, e
l’uomo fu creato da Dio il sesto giorno, dopo che la terra ebbe prodotto ogni ani­
male vivente...» (CCt 2, su Ct 1, 7, p. 143).
2Ó2 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 134

277 homo 572 secunàum Dei [C1 320] καί έπεί έν τή έκτη
imaginem 573 factus, consequens ήμέρςι γεγένηται ό άνθρωπος,
est, ut et dies ille sextus tunc di­
visus fuisse intellegatur in duas
species creaturae, ut ante sex­
tam quidem animalia intellegan­
tur fuisse creata, in sexta autem
hora dixisse dominum: Facia­ καί είκός τον άνθρωπον τή
mus hominem ad imaginem no­ έκτη ώρα έσφάλθαι, τάχα διά
stram 574 et fecisse eum tunc. τούτο ό ύπέρ σωτηρίας άν-
* * * propter quod conveniebat θρωέπων πάσχων ώρα έκτη έκρε-
pro salute eiusdem hominis mo- μάσθη (Illuc: τής έκτης ήμέρας.
rientem in ipsa hora sexta sus­ Theophyl.: έκτη ήμερα καί έκτη
pendi, ac a sexta hora, ώρς»).
propter hoc tenebras fuisse factas super omnem terram usque ad no­
nam. Et sicut Moyse manus extendente in caelum factae sunt tenebrae
super Aegyptios, servos Dei tenentes in servitutem, imago futurarum
tenebrarum quae conprehensurae fuerant Aegyptios, similiter et Chri­
sto in sexta hora manus extendente in cruce ad caelum super popu­
lum qui clamaverat: Tolle de terra hunc 575, et Crucifige, crucifige eum
576, factae sunt tenebrae, et ab omni lumine sunt privati.
Et imago fuit tenebra illa fu­ [C1 n. 320] Ε ίκ ώ ν δέ τό
turarum quae conprehensurae σκότος του σ κ ο τίζεσ θα ι τούς έ-
fuerant gentem Iudaeam, quia πιβαλόντας χ εΐρα τω φωτί'
ausi sunt lumini vero manus suas
inferre 577.
Unde ex tunc omnis illa gens tenebris est repleta, sicut dicit pro­
pheta: Obscurentur oculi eorum ne videant 57S.

572 Cf. Gen. 1,24-27 . 573 Gen. 1,26. 574 Ibid. 575 Lc. 23,18.
576 Lc. 23 , 21. 577 c f. Io. 1, 9. 578 p s. 6 8 (69), 24.

(131) Ausi sunt lumini vero manus suas inferre. La conseguenza, d


frammento greco, è: luce per la Chiesa, tenebra per i giudei - τή μεν έκκλησίςι φως,
χοις δέ Ίουδαίοις σκότος nell’affermazione non solo non c’è trionfalismo, ma
si inserisce dolore e speranza per Israele; la privazione delle tre ore di luce è meta­
fora della non conoscenza della Trinità - lumen Patris, splendor Christi, inlumi-
natio Spiritus Sancti- φωτός πατρικοί, απαυγάσματος Χ ρισ τοί, έλλάμψεως άγιου
πνεύματος - (cf. Crouzel 1961, pp. 131.149.217.244.313.316.328); anche in que­
sta considerazione qualcosa del «carattere patetico del racconto della passione» si
riverbera dal Crocifisso sul popolo nella tenebra (cf. de Lubac, p. 221). In questa
contemplazione suprema, affermando la tenebra della cecità del popolo, Origene
C O M M EN TO A M A TTEO , 134 263

l’uomo fatto secondo l’im­ e poiché l’uomo è stato


magine di Dio-, ne consegue che creato nell’ora sesta, e verosimil­
quel sesto giorno fu diviso allora mente l’uomo peccò nell’ora se­
in due specie di creazione, sicché sta, forse per questo motivo co­
si intende che prima dell’ora se­ lui che subiva la passione per la
sta furono creati gli animali, e al­ salvezza degli uomini fu sospeso
l’ora sesta il Signore disse: Fac­ (al sesto giorno) (il sesto giorno,
ciamo l’uomo a nostra immagine, all’ora sesta).
e fu allora che lo creò. Ecco per­
ché era conveniente che colui
che muore per la salvezza dello
stesso uomo sia sospeso [alla
croce] proprio all’ora sesta, e che
dall’ora sesta
si faccia buio su tutta la terra sino all’ora nona. E come quando Mosé
stese le mani verso il cielo vennero le tenebre tra gli egiziani che teneva­
no in schiavitù i servi di Dio, figura delle tenebre future che avrebbero
circondato gli egiziani, allo stesso modo, quando Cristo all’ora sesta
stese le mani sulla croce verso il cielo, vennero le tenebre sul popolo
che aveva gridato: Togli costui dalla terra e Crocifiggilo, crocifiggilo! e
furono privati di ogni luce.
Inoltre la tenebra era figura ...il buio [era] immagine
di quelle tenebre future che dell’ottenebrarsi di coloro che
avrebbero avvolto tutta la popo­ avevano messe le mani addosso
lazione della Giudea per aver alla luce.
messo le mani addosso alla luce
vera (131).
Ecco perché da allora in poi tutta quella popolazione è stata riem­
pita di tenebre, secondo la parola del profeta: si offuschino i loro occhi,
perché non vedano.

ribadisce la parola di speranza di Paolo: quella notte avrà un termine - sono solo
tre le ore! si nota anche altrove: «Bada bene all’espressione: Vi passeranno
davanti nel regno di Dio. Essa non esclude che Israele entri “un giorno” nel regno
di Dio: non si precede chi non potrebbe affatto trovarsi in quel luogo, nel quale
(l’altro) andò prima. Considera quindi se questo passo non voglia semmai evi­
denziare che quando saranno entrate tutte le genti, allora tutto Israele sarà salva­
to (Rm 11, 26)» (CMt 17, 5: III, p. 142; cf. Sgherri 1982, p. 443; Id. 2 0 0 0 b, p.
204; Bammel in Orig. VI, p. 557). Sulla croce «le linee dell’ira e dell’amore di
Dio si toccano... L’assunzione della tenebra del mondo [Israele e le genti] nella
luce intratrinitaria significa un miracolo di trasfigurazione, la distanza della pec­
caminosa notte viene superata e abbracciata dalla distanza volontaria dell’obbe-
diente sì divino» (von Balthasar 1986, pp. 324.326). Si può ricordare che sulle
ore della passione - con i molti significati ad esse collegati - sarà ritmato l’awi-
cendarsi della preghiera cristiana, conferendo risvolto evangelico ai moduli del
tempio giudaico e della sinagoga (cf. Perrone 2003b, p. 277, nota 41).
264. CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 134-135

Item sub Moyse factae sunt Ώ ς γάρ Αίγυπτί,οις σκότος


tenebrae et caligo super omnem
terram Aegypti tribus diebus; et
nemo vidit fratrem suum, neque
surrexit aliquis de lecto suo tribus καί τ ο ϊς υ ίο ΐς Ισ ρ α ή λ
278 diebus; omnibus autem filiis Isra­ φως 580,
el erat lumen in omnibus locis, in
quibus commorabantur 579. Sub ουτω κ α ί νυν
Christo autem tenebrae factae
sunt super omnem terram Iudae­
am tribus horis, lumen autem
fuit super omnem reliquam ter­
ram, quod ubique inluminat om­ τή μεν εκ κ λη σ ία φως, τοΐς δε
nem ecclesiam Dei in Christo. Ίουδαίοις σκότος.

Et si usque ad nonam horam tenebrae fuerunt super omnem terram


Iudaeam, manifestum est quoniam iterum lumen eis refulsit, quia cum
multitudo gentium intraverit, tunc omnis Israel salvus futurus est 581.
Quod autem tribus horis factae sunt tenebrae super omnem terram Iu­
daeam, illud ostendit quoniam propter peccata sua privati sunt
a lumine trium horarum, a τρ ιώ ν ώρών, φωτός π α τρ ι­
lumine Dei patris et a splendore κού, α παυγάσματος Χ ρ ισ το ύ ,
Christi et ab inluminatione Spiri­ έλλάμψεως άγίου πνεύματος.
tus Sancti.
135. Circa nonam autem horam clamavit Iesus voce magna di
Eli, eli, lama sabacthani? Hoc est: Deus meus, Deus meus, ut quid me de­
reliquisti? Qui autem illic stantes erant et audientes, dicebant, quia
Eliam vocat iste 582.
Digne Domino requirendum est quae fuerit illa magna vox
Christi, utrum magna rebus significantibus magna mysteria, aut ma­
gna sensibili et corporali magnae vocis auditu. Puto autem quod om­
nis vox Christi filii Dei magna est, etsi fuerit lenis et testatur de hoc
ipso Scriptura in locis maxime illis, in quibus vult erigere auditorem,

579 Ex. 10, 22s. 580 Cf. ibid. 581 Rom. 11, 25s. 582 Mt. 27,
46.47.
(132) Digne Domino requirendum est quae fuerit illa magna vox Christ
magna vox Christi invita ad attingere un absconditum magnum·. «Bisogna infatti
avere il coraggio di dire che la bontà di Cristo, nel momento in cui egli umiliò se
stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce, si manifesta più
grande, più divina e veramente conforme all’immagine del Padre che non nel
caso che egli avesse tenuto per sé gelosamente Vesser pari a Dio (Fil 2, 8 .6 ), rifiu­
tando di farsi uomo per la salvezza del mondo» (Ciò 1,231, p. 182; cf. Simonetti
1993b, p. 159). Non ci si orienta a forme di docetismo che a n n u llin o lo scandalo
della croce, ma si ritrova in questa il mistero del Servo sofferente, gli abissi del
Dio crocifisso (cf. de Lubac 1985, pp. 104.109.333s.); la magna vox proclama il
C O M M E N TO A M A TTEO , 134-135 265

Così sotto Mosè vennero te­ Come infatti ci furono tene­


nebre e caligine su tutta la terra bre per gli egiziani e per i figli di
dell’Egitto per tre giorni; e nessu­ Israele ci fu luce,
no vedeva il proprio fratello né si
alzava dal suo letto per tre giorni:
invece per tutti quanti i figli di
Israele c’era la luce, in tutti i posti
dove abitavano. Sotto Cristo in­
vece vennero le tenebre su tutta così anche adesso, c’è luce
la terra della Giudea per tre ore, per la Chiesa e oscurità per i giu­
ma ci fu luce in tutto il resto del­ dei.
la terra, la luce che illumina in
Cristo ogni Chiesa di Dio.
E se ci furono tenebre su tutte la terra della Giudea sino all’ora no­
na, è evidente che la luce è tornata a brillare per loro, giacché quando
sarà entrata la moltitudine delle nazioni, allora tutto Israele sarà salvato.
Il fatto poi che siano arrivate le tenebre su tutta la regione della Giu­
dea sta a mostrare che a motivo dei loro peccati siano stati privati
della luce di tre ore, della di tre ore, della luce del Pa-
luce di Dio Padre, dello splendo- dre, dello splendore del Cristo e
re del Cristo e della illuminazio- della illuminazione dello Spirito
ne dello Spirito Santo. Santo.
135. Verso l’ora nona, Gesù gridò a gran voce: Eli, eli, lama sa
thani? che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Ora
quelli che stavano lì ed ascoltavano dicevano: Costui chiama Elia.
Occorre indagare in maniera degna del Signore quale senso avesse
quella gran voce emessa dal Cristo (132): fu voce grande nel senso che
disse cose che significavano grandi misteri, o fu grande solo nel senso che
sul piano corporeo e sensibile si udì una voce possente? A mio parere,
ogni voce di Cristo figlio di Dio è grandiosa, anche quando è flebile. Di
questo è testimone la stessa Scrittura, specialmente in quei passi in cui in­

nucleo del messaggio cristiano, così come il Battista aveva annunciato il Logos
gridando ad alta voce, perché «i duri d’orecchio si rendano conto della grandez­
za di ciò che si dice dalla grandezza del tono di voce con cui è annunziato» (Ciò
6 , 100, p. 317); dirà conclusivamente la Series che occorre ascoltare sotto 1’hu­
mano more la vox divina. Sono accenti che permarranno nella posterità origenia­
na: «Questo Gesù dal principio del mondo emise nelle sue membra salvate
un’unica voce, che gradualmente crebbe, fino a che divenne grandissima in lui,
quando spirò... Dopo aver risuonato durante secoli, dopo essersi ampliata inin­
terrottamente fino a Giovanni, che era la voce gridante nel deserto, e che addi­
tò il Salvatore, questa grande voce s’è incarnata... Mostrando che di tutte le cose
terribili la più terribile deve essere scelta per amore della verità,.. .avendo emes­
so un alto grido, essa spirò» (Niccolò di Cusa, Excitationes 3, in de Lubac 1948,
p. 395).
266 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 135

ut transgrediatur illud, quod multi intellegere possunt in locis, et non


maneat in eo (quamvis secundum simplicem intellectum habeat in eo
aliquam veritatem), ut intellegere possit aliqua digne propter ma­
gnam domini vocem. Quoniam ergo his verbis ostendit aliquid esse
absconditum magnum, quod clamat ad Deum dicens: Quare me dere­
liquisti, ideo requirendum est, quid est quod a Deo derelictus est
279 Christus; nec enim fas est credere eum mentiri dicentem: Quare me
dereliquisti.
Et quidam colore religionis pro Iesu, et quia non possunt expone­
re, quid sit Christum derelinqui a Deo, arbitrantur et dicunt: verum
quidem est quod dictum est, tamen per humilitatem dictum est. Nos
autem videntes eum qui in forma Dei fuerat constitutus ab huiusmodi
magnitudine descendentem et semetipsum exinanientem per hoc quod
formam servi suscepit 583, et videntes in his voluntatem eius, qui ad ha­
ec talia eum transmisit, intellegimus quoniam, quantum ad illa in quibus
fuerat forma Dei invisibilis et imago secundum patrem, derelictus a pa­
tre est 584, quando suscepit servi formam, et derelictus est pro homini­
bus, ut talia et tanta susciperet, ut usque ad mortem veniret, et mortem
crucis 585, quae inter homines turpissima esse videtur. Extremum enim
derelictionis eius factum est, quando crucifixerunt eum et posuerunt su­
per caput eius quasi deridentes eum litteras dicentes: Hic est Iesus rex
Iudaeorum 586. Extremum autem derelictionis eius erat et illud quod in­
ter latrones est crucifixus 587, et quod praetereuntes blasphemabant eum
moventes super eum capita sua, et quod principes cum scribis dicebant:
alios salvos fecit, seipsum non potest salvare 588, adhuc autem et illud
quod etiam latrones inproperabant ei 589 in cruce. Ergo manifeste intel­
legere poteris, quid sit quod dicit quare me dereliquisti?, faciens conpa-
rationem gloriae illius quam habuit apud patrem 590 ad confusionem
quam contemnens sustinuit in cruce. Sedes enim illius erat sicut sol in
conspectu Dei, et sicut luna perfecta in aeternum; et erat testis eius fide-

5S3 Cf. Phil. 2, 6 ss. 584 c f. Coi. 1, 15. 585 phil. 2 , 8 . 586 Mt.
27, 37. 587 c f. Mt. 27 , 38 . 588 Mt. 27 , 39.42 . 589 Mt. 27, 44.
59° Cf. Io. 17,5.
(133) Derelictus a Patre est quando suscepit servi formam et derelictus
usque ad mortem veniret. La parola: Quare me dereliquisti? (Sal 21 [22], 2 ) è
«l’espressione ultima di una kenosi che segnava già l’incarnazione di Dio e che rag­
giunge il suo apice nelle sofferenze del Crocifisso» (Fédou, p. 201); Gesù grida:
ίνατί με έγκατέλιπες - perché mi hai abbandonato? -, e Gv 3, 16 dice che Dio ha
consegnato - εδωκεν - il Figlio, con un crescendo di intensità. Se la morte in croce
è obbedienza umana, l’incamazione del Verbo - mandato nel mondo come
Salvatore - era già obbedienza divina, che contraddistingue il Figlio di Dio stesso e
non solo qualità dell’uomo umiliato (cf. Vogt 1999b, pp. 222s.). Nel dramma della
croce si attualizzano molti salmi, fra cui il Sai 8 8 [89], 37-40 - tu autem reppulisti...
distulisti Christum tuum Origene riprende le parole che fluiscono ex persona
Christi - έκ προσώπου τού Χρίστου - (FrPs 29 [30], 3: PG 12, 1293); la cristolo­
gia, in rapporto dialettico fra teologia ed economia, più che occuparsi delle due
nature del Cristo, ne coglie gli stati nell’orizzonte di Fil 2 , 6-11: «Quando il Figlio
C O M M E N TO A M A TTEO , 135 267

tende elevare chi ascolta perché oltrepassi quel senso alla portata dei
molti che sono capaci di cogliere, e non si soffermi ad esso (benché vi sia
contenuta una qualche verità anche in base alla semplice intelligenza), in
modo da poter intendere, grazie alla gran voce del Signore, messaggi in
senso degno [di lui]. Dal momento, dunque, che in queste parole [il Cri­
sto] indica celato qualcosa di grande, il fatto che egli si rivolga a Dio gri­
dando: Perché mi hai abbandonato? quale senso ha questo suo essere ab­
bandonato da Dio? Non è lecito infatti credere che egli stia mentendo,
dicendo: Perché mi hai abbandonato?
Alcuni hanno un’opinione velata da pietà religiosa per Gesù, e sic­
come non sanno spiegare che cosa sia questo abbandono di Cristo da
parte di Dio, asseriscono: quello che egli disse è vero, però lo disse per
umiltà. Noi invece, vediamo che lui, pur trovandosi prima nella forma di
Dio, discende da tale grandezza e umilia se stesso con l’assumere forma
di servo-, e nel vedere in ciò la volontà di colui che lo inviò proprio a ta­
le missione, comprendiamo che, rispetto a quello stato nel quale egli era
la forma del Dio invisibile e l’immagine corrispondente del Padre, fu ab­
bandonato dal Padre quando assunse la condizione di servo, e fu abban­
donato in favore degli uomini, per assumerne tali e tante cose fino al
punto da giungere alla morte (133), e alla morte di croce, morte che tra
gli uomini appare essere la più vergognosa. Ed il colmo del suo abban­
dono fu quando lo crocifissero e sul suo capo misero la scritta, CQme a
schernirlo: Questi è Gesù re dei giudei. Punto estremo del suo abbando­
no fu anche l’essere crodfisso tra due ladroni, che i passanti l’oltraggias­
sero scuotendo la testa su di lui e che i capi con gli scribi dicessero: Ha
salvato gli altri, non può salvare se stesso, ed in più che persino i ladroni
l'ingiuriassero sulla croce. Potrai perciò chiaramente intendere che senso
abbia l’espressione che dice sulla croce: Perché mi hai abbandonato?, fa­
cendo il confronto tra quella gloria che egli aveva presso il Padre e la
confusione insieme al disprezzo subito in croce. In realtà il suo trono era
come il sole davanti a Dio e come la luna piena per sempre, ed era suo te-

è nel Padre, nella sua condizione di natura divina anteriore al suo annientarsi, il suo
luogo è appunto D io... (E venuto a noi) quasi uscendo fuori da colui che l’ha man­
dato, ancorché... il Padre non l’abbia lasciato solo, ma sia con lui, in lui» (Ciò 20,
153.155, p. 632). Il testo di Sai 29 [30], 10 - quae utilitas in sanguine meo dum
descendo in corruptionem - si inserisce in questa cristologia unitiva - dalla gloria che
il Cristo aveva presso il Padre alla condizione di schiavo alla morte di croce -: «Non
è estraneo alla divinità - άλλότριον τής θεάτητος - del nostro Salvatore, vedendo
i peccati degli uomini, dire subito 1’ohimè...» (Hler 15, 4, p. 193); l’anima del
Cristo «irreversibilmente unita al Verbo, parla da agente dell’incamazione e della
redenzione» (cf. Rondeau, pp. 117.101s.l06.112-119). La kenosi non è degradazio­
ne, ma amore: il «Figlio dell’amore... per l’amore che aveva verso di noi... non
ricercò le cose che sono sue, essendo eguale a Dio, ma ricercò le cose nostre e per
questo... annientò se stesso» (HLv 2, 7, p. 152; sul «soggetto della kenosi come
Cristo qua Deus», cf. Simonetti 1993b, pp. 161-164; Lettieri 2003; Prinzivalli 2005;
sulla lettura di Fil 2, 6-7, cf. Bostock in Orig. VI, p. 546; Fédou, pp. 205-207. 314­
328; Falque; e ancora CMtS 1 2 , nota 36; 50, nota 140; 55, nota 151: I, pp.
152s.318s.346s.; 100, note 62 e 63; 118, nota 98: Π, pp. 139-142.206-208).
268 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 135

lis in caelo 591. Postea autem et, pro quibus dicit: Quare me dereliqui­
sti, superaddidit dicens: Tu autem reppulisti, et pro nihilo deduxisti, et
distulisti Christum tuum, evertisti testamentum servi tui, profanasti in
terra sanctitatem eius 592, et cetera.
280 Et quamdiu quidem fuit solis lumen, etiam tanta et talia sustinens
non dicebat quare me dereliquisti? Postquam autem vidit super omnem
terram ludaeam usque ad nonam horam tenebras factas, dixit magna vo­
ce sua quare me dereliquisti, illud ostendere volens per haec, quoniam
volens dereliquisti me, pater, et talibus exinanitum calamitatibus tradi­
disti, ut populus qui fuerat apud te honoratus recipiat quae in me au­
sus est, inplens mensuram patrum 593 suorum, et quae super prophetas
fecit, ut privetur a lumine tuae prospectionis et efficiatur in tenebris
quasi te Deo iam nequaquam eis praesente. Sed et pro salute gentium
dereliquisti me, ut delicto Israel fieret gentium salus 594. Quid autem
tam bonum fecerunt qui ex gentibus crediderunt, ut pretioso sanguine
meo 595 super terram effuso pro eis emerem eos a maligno qui tenuerat
eos? Et quare faciem tuam avertisti, et factus sum conturbatus 596 ut di­
cam: Tristis est anima mea usque ad mortem 597? Aut quid tale dignum
facturi sunt homines, pro quibus patior ista, ut pro eis ego patiar haec?
Sicut et propheta iam ante de hoc ipso praedixit, quasi clamans ad te
et dicens: Quae utilitas, pater, hominibus facta est in sanguine meo,
dum descendo in corruptionem? numquid confitebitur tibi pulvis, aut an­
nuntiabit veritatem tuam? 598. Forsitan autem et videns peccata homi­
num, pro quibus patiebatur, dicebat: Quare me dereliquisti, ut fierem
quasi qui colligit stipulam in messe, et sicut qui colligit racemos in vinde­
mia, cum non sit botrio ad manducandum primitiva? 5" . Et haec dico,
quia periit timoratus a terra, et qui corrigat inter homines non est 600.
Unde non aestimes humano more salvatorem ista dixisse propter cala­
mitatem, quae conprehenderat eum in cruce. Si enim ita acceperis, non
eris audiens magnam vocem in qua ista locutus est, nec digna voce di­
vina requires. Ergo tenebrae quidem a sexta hora factae sunt super om­
ini nem terram usque ad nonam\ prius autem quam finiatur nona, clamavit
dominus circa eam voce magna, dicens quae scripta sunt, quasi postu­
lans ut oriatur sol terrae, solvens in ea tenebras trium horarum secun­
dum quod tradidimus supra.

591 Ps. 8 8 (89), 37-38. 592 p s 8 8 (89); 3 9 . 4 0 . 593 Mt. 23, 32.
594 Rom. 11,11. 595 1 P etr. i , 1 9 . 596 p s 2 9 (30), 8 . 597 Mt. 26,38.
™ Ps. 29 (30), 10. 599 Mich. 7 ,1 [LX X]. 600 Mich. 7 ,2 [LXX],

(134) Populus honoratus privetur a lumine tuae prospectionis... Quid


bonum fecerunt qui ex gentibus crediderunt. Il Cristo patisce, nell’agonia e sulla
croce, il dramma dell’Israele che non ha creduto; il buio che segna la passione
indica anche «l’abbandono del popolo che Dio aveva scelto e dal quale si è appa­
rentemente allontanato» - motivo già emerso nella Series 92 -, ma c’è per il
Cristo ima desolazione ulteriore: «Nulla, nel comportamento passato o futuro
dei credenti, sembra poter giustificare la prova inaudita del sangue versato»
C O M M E N TO A M A TTEO , 135 269

stimone fedele nel cielo. In seguito però, ed in riferimento alla situazione


di cui dice: Perché mi hai abbandonato?, ha aggiunto ancora: ma tu lo hai
respinto e ripudiato per nulla, hai scacciato il tuo Cristo, hai rotto l’allean­
za con il tuo servo, hai profanato nella terra la sua santità, eccetera.
E finché ci fu la luce del sole, pur subendo così numerosi e gravi
supplizi, non gridò: Perché mi hai abbandonato? Dopo che vide invece
che si fece buio su tutta la terra della Giudea sino all’ora nona, gridò con
la sua gran voce: Perché mi hai abbandonato? Proprio questo voleva in­
dicare: di proposito, o Padre, mi hai abbandonato, mi hai svuotato con
tali flagelli e consegnato, affinché il popolo che era stato presso di te
onorato riceva ciò che ha ardito fare contro di me, colmando la misura
dei loro padri e di ciò che ha fatto ai profeti, per essere privato della lu­
ce della tua vista ed entri nelle tenebre non essendovi tu, o Dio, asso­
lutamente presente. Ma è per la salvezza delle nazioni che mi hai abban­
donato, perché grazie alla caduta di Israele, si realizzasse la salute delle
genti. Quale opera così buona hanno compiuto coloro che dalle genti
giunsero alla fede (134), per cui io per mezzo del mio sangue prezioso
sparso sulla terra per loro, li riscattai dal Maligno che li aveva tenuti in
suo potere? E perché hai allontanato da me il tuo volto e mi sono tur­
bato, così da dire: Inanima mia è triste sino alla morte} Oppure: quale
opera degna compiranno gli uomini, per i quali io sto soffrendo questa
passione, perché io l’abbia a patire per loro? Nel passato il profeta ave­
va già predetto questo, gridando verso di te: Quale vantaggio, o Padre,
è derivato agli uomini dal mio sangue mentre discendo nella corruzione?
Ti potrà forse lodare la polvere e annunziare la tua fedeltà? Forse pro­
prio perché vedeva i peccati degli uomini, per i quali soffriva la passio­
ne, diceva: Perché mi hai abbandonato?, perché diventi come chi racco­
glie paglia durante la mietitura, come chi racimola raspi durante la ven­
demmia, non essendoci un grappolo primitivo da mangiare? Dico que­
sto, perché è scomparso l’uomo timorato dalla terra e tra gli uomini non
c’è più chi pratichi la correzione. Ecco perché tu non devi credere che il
Salvatore abbia detto queste parole in senso umano a motivo dei tor­
menti che lo avevano colto sulla croce. Se la prendi così, non sarai in
grado di intendere la «gran voce» con cui ha pronunciato tali parole, e
invano cercherai realtà degne della voce divina. Orbene, si fece buio su
tutta la terra dall’ora sesta all’ora nona. Ma prima che terminasse l’ora
nona, il Signore gridò a gran voce attorno a quell’ora, dicendo le paro­
le che sono scritte, quasi a chiedere con insistenza che sorgesse il sole
della terra, e facesse dileguare in essa le tenebre delle tre ore, nel sen­
so che abbiamo spiegato precedentemente.

(Fédou, p. 202). Israele si ritrova privato della luce della visita, l’amoroso vigila­
re di Dio (cf. CMtS 29, nota 7 9 :1, pp. 211s.); il Logos se ne è andato nel deserto
delle genti: «G rande... è la folla che sta fuori: il Logos di Dio uscì verso di essa,
vi effuse la luce della sua visita - επισκοπή -, la vide e, nel vederli più meritevo­
li di pietà... nel suo amore per gli uomini patì, lui l’Impassibile - πέπονθεν ό
απαθής - nel sentire compassione» {CMt 10, 23: I, p. 163). Il tema riemerge:
270 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 136-137

136. Quidam autem illic stantes et audientes dicebant: quia Eliam


vocat iste * * * ceteri autem dicebant: sine videamus si veniat Elias et li­
beret eum 601.
Tamquam si audissent quoniam Deum vocavit, atque mirati fuis­
sent orationem eius in cruce maiorem, quam fuit oratio Ionae orantis
in utero ceti 602, et prodificati fuissent, ut etiam in extremis calamitati­
bus constituti orare non desinant Deum. Maiorem autem dico oratio­
nem Christi fuisse quam Ionae in utero ceti propter magnitudinem re­
rum quae demonstrantur ex ea, et propter magnum effectum volunta­
riae passionis eius.

137. Ei continuo accurrens unus ex eis accepta spongia inplevit ace­


to et inposuit arundini, et dabat ei bibere 603.
Et sic inplevit prophetiam in se dicentem de se: Et dederunt in
escam meam fel, et in siti mea potaverunt me aceto 604. Ideo et secundum
Iohannem cum accepisset Iesus acetum cum felle, dixit: Consummatum
est 605 etiam hoc, quod de me Scriptura praedixerat. Iucunde autem
quis potest uti hoc textu adversus eos, qui maligna vel scripserunt vel
scribunt adversus Christum, de quibus dicit Esaias: Vae qui scribunt ma­
ligna; scribentes enim maligna scribunt 606 (dico autem de illis, qui con­
scriptiones aliquas dimiserunt, iniquitatem in excelsum 607 loquentes).
Et utetur quis hoc textu videns eos ex quibusdam auditionibus sive
ethnicorum verborum sive barbaricorum sermonum congregantes et fa­
cientes narrationem quasi spongiam quandam, adinplentes eam non de
282 verbo potabili neque de vino laetificante cor hominis 608 neque de aqua
refectionis 609, sed de aliquo contrario et nocivo et non potabili aceto in-

60! Mt. 27,47.49. 602 Cf. Ion. 2 , 2ss. 603 Mt. 27,48. 604 Ps. 68
(69), 22. 605 io. i 9) 3 0 . 606 j s. 10) i. 607 p s. 7 2 (7 3 ), 8 . 608 p s.
103 (104), 15. 609 ps. 22 (23), 2 [LXX].

«Tutto ciò avvenne perché la vigilanza (di Dio) venisse meno (ai giudei) e fosse
traslata ai salvati dalle nazioni e... al resto» (CMt 16, 3: III, pp. 17s., già cit. per
CMtS 105, nota 71: II, pp. 152-153; cf. ancora CMt 16, 20.21; 17, 7.25); l’oscu­
rità della Sinagoga non credente interpella qui ex gentibus crediderunt·, di fronte
al Crocifìsso, la Chiesa dalle genti coglie l’assoluta gratuità della fede e si inter­
roga sulla sua fedeltà alla chiamata. A completare il pathos della prosopopea del
Cristo, che parla in prima persona a Israele e alle genti, Origene fa esprimere
altrove a Gerusalemme abbandonata il suo annientamento e la sua speranza:
« Ascoltate, vi prego, poiché gemo... Le prime parole le dice profeticamente a
quelli dalle genti, le altre a Dio. Sono stata abbandonata alla passione, affinché
riceviate il posto, e a causa vostra sono divenuta nemica di Dio, pur essendo
ancora amata - secondo l’elezione - a motivo dei padri... Questo mi giova: che,
dopo che essi saranno stati salvati in pienezza, anch’io consegua, o Signore, la
salvezza... (Imploro) la tua visita» (FrLam su Lam 1, 2 1 : PG 13, 632; cf. Sgherri
1982, pp. 297.104.117; von Balthasar 1969; Id. 1990; Danieli 1997a, pp. 217s.;
Romanello).
C O M M EN TO A M A TTEO , 136-137 271

136. Alcuni che erano lì e ascoltavano, dicevano: Costui chiama


Elia... Gli altri invece dicevano: Lascia, vediamo se viene Elia a liberarlo.
Come se avessero udito che aveva chiamato Dio, e si fossero stupi­
ti che la sua preghiera sulla croce fosse più grande di quella di Giona
orante nel ventre del pesce, e ne avessero avuto utilità, in modo che pur
trovandosi in estreme congiunture, non cessassero di pregare Dio (135).
Voglio dire che la preghiera di Cristo fu più grande di quella di Giona
nel ventre del pesce, a motivo della grandezza delle cose che vengono di­
mostrate da parte di questa, ed anche a motivo dell’efficacia grande del­
la sua volontaria passione.

137. E subito uno di loro corse a prendere una spugna, e imbevuta-


la di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere.
E così portò a compimento in sé la profezia che dice di lui: Misero
delfiele nel mio cibo e quando ebbi sete mi diedero da bere aceto. Perciò,
nel Vangelo di Giovanni, quando Gesù ebbe preso dell’aceto con fiele
disse: E compiuto anche questo dettaglio predetto dalla Scrittura su di
me. Qualcuno potrebbe volentieri citare questo testo contro coloro che
hanno scritto e scrivono cose perfide contro il Cristo, dei quali Isaia ha
detto: Guai a coloro che scrivono cose perfide; e se scrivono, non fanno che
scrivere perfidie (mi riferisco a quelli che hanno messo fuori alcuni scrit­
ti, parlando di iniquità contro l’eccelso). E qualcuno citerà questo testo
nel vedere coloro che, dopo aver attinto da alcuni racconti [in ambito]
sia di letteratura pagana che di tradizioni barbariche e componendo un
racconto a guisa di spugna, la impregnano non di parola da bere, né di
vino che rallegra il cuore dell’uomo né di acqua di ristoro, ma di aceto in-

(135) Etiam in extremis calamitatibus constituti orare non desinant D


La preghiera di Giona è definita, nel greco dei LX X , προσευχή (cf. Gio 2, 2), e
Origene ne parla come della oratio «di chi domanda cose più grandi, fatta con
intenzione più elevata e per dar gloria», l’accosta alla preghiera di Azaria «in
piedi... in mezzo al fuoco», di Tobia che «pregò con dolore», di Anna che «pian­
se con gemito e fece voto», di Abacuc: Signore, ho udito la tua voce e ne ebbi
timore» (Orat 14,2.4, pp. 80s.). Se la preghiera del Cristo è superiore a quella di
Giona, lo è per la sua portata soteriologica, perché non solo ottiene salvezza, ma
la genera, vincendo il mostro marino, ed essendo così causa di un beneficio
incomparabile (per l’accezione di prodificatio, cf. CMtS 103, nota 69; 126, nota
116; 139, nota 144: II, pp. 150-151.236-237.285); per questa speranza nuova
l’orante sa di poter essere strappato dalla belva di cui quella marina era solo sim­
bolo: «Pentendosi preghi: di là uscirà» (Orat 13, 4, p. 77). In forza della volun­
taria passio di Gesù, il Verbo di Dio «sta in mezzo persino di coloro che non lo
conoscono, .. .non abbandona la preghiera di nessuno, .. .prega il Padre insieme
a colui del quale è mediatore» (Orat 10, 2, p. 64; riguardo all’importanza di
Giona nella Chiesa primitiva, espressa anche con ricca e suggestiva iconografia,
cf. Perrone 1993, p. 352; Id. 1997, p. 29; Harl et alii 1999, pp. 133.136s.l46-152;
Carbone-Rizzi, pp. 274-287; Bedini-Bigarelli; Sgargi).
272 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 137-138

teUegibili; et hanc spongiam inponunt calamo Scripturae suae et (quan­


tum ad se) laesiones inferunt Iesu ex huiusmodi potu. Et quidam qui­
dem dant Iesu bibere vinum cum felle permixtum, quod non vult bibere
Iesus filius Dei, alii autem non vinum sed acetum. Et forsitan quanti-
cumque secundum doctrinam quidem ecclesiasticam sapiunt, vivunt
autem male, dant ei vinum bibere felle permixtum, qui autem alienas a
veritate sapientias adplicant Christo quasi eo ea dicenti, hi spongiam in-
plentes aceto inponunt calamo et potant eum. Sunt autem qui et acetum
et fel, sicut Iohannes scribit, offerunt ori eius 610. Et forsitan qui sapiunt
tantummodo male, spongiam inplent aceto et inponunt calamo Scriptu­
rae suae et potant eum, qui autem et sapiunt male de dispensationibus
Christi et vivunt nequiter, hi spongiam plenam ex aceto cum felle et hys­
sopo inponentes calamo Scripturae offerunt ori eius. Qui autem neque
vinum eius bibere vult propter fellis commixtionem, multo magis non
bibet acetum, neque acetum felle permixtum. Propterea nos vinum
mundum ab omni acerbitate et amaritudine, vinum quod laetificat cor
hominis 611 et cor ipsius filii Dei, accipientes ex eo ipso salvatore no­
stro Iesu (qui est vitis vera 612) potemus eum et discipulos eius, ut di­
cat de nobis bene potantibus eum et discipulos eius: Sitii et dedistis mi­
hi potum 613. Accipiamus et aquam refectionis 614 cum qua nutrit iustos
pastor bonus 615, ut qui pascuntur ab eo dicant: Super aquam refectionis
educavit nos 616.

138. Iesus autem iterum clamans voce magna emisit spiritum 617.
Quantum ad Matthaeum quidem dicentem, iterum clamasse le­
sum voce magna et emisisse spiritum, non autem manifestantem, quae
fuerit vox illa magna quam clamavit iterum, erat dicere quoniam ean-.
dem vocem clamavit iterum, quam supra clamaverat dicens: Deus
<meus>, Deus meus 618. Sed quia Lucas manifeste scribit, quam vocem
283 clamavit, cum emitteret spiritum, dicens: in manus tuas commendo spi­
ritum meum 619,

610 Io. 19,29. 611 Ps. 103 (104), 15 . 612 Cf. Io. 15,1. 613 Mt. 25,
35. 614 Ps. 22 (23), 2. 615 Cf. Io. 10,11.14. 616 Ps. 22 (23), 2. 617
Mt. 27,50. 618 Mt. 27,46. 619 Lc. 23,46.

(136) Quidam dant Iesu bibere vinum cum felle... alii acetum... sunt a
qui acetum et fel offerunt ori eius. II consummatum est di Gesù sulla croce adem­
pie la Scrittura: da questa rivelazione Origene considera il mistero nella Chiesa,
in qua tota totus est adventus Filii hominis (cf. CMtS 41: I, p. 294); la spugna
imbevuta data a Gesù sulla croce è immagine delle ferite arrecate alla Parola,
delle persecuzioni ai credenti: «Preghiamo dunque che, vedendo tutti i fatti degli
Evangeli, li vediamo nel loro duplice aspetto... Tutto quello che accadeva secon­
do la carne era, infatti, figura e tipo di realtà future» (Hls 6 ,3, pp. 13 ls.) e «nella
realtà avviene sempre che coloro i quali cospirano contro il Vangelo della verità
danno al Cristo di Dio il fiele che scaturisce dalla loro malvagità e l’aceto che
sgorga dalla loro perversità» (CC 7, 13, pp. 592s.). Nella Series lo sviluppo ese­
getico diventa fondamento della vita etica, per l’analogia strutturale uomo-
Scrittura: allo stesso modo che l’organismo della fede unifica i credenti «nella
virtù, nella fede e nella conoscenza» (cf. Frlo 7, p. 821), così il vario connubio
C O M M EN TO A M A TTEO , 137-138 273

teso in senso spirituale, contrario, nocivo, imbevibile; questa spugna la


pongono poi sulla canna della loro Scrittura e (per ciò che dipende da
loro) alcuni mediante una simile bevanda arrecano lesioni a Gesù. Ecco
che alcuni danno da bere a Gesù del vino misto a fiele (136), ma Gesù,
Figlio di Dio, si rifiuta di berlo; altri invece gli danno non vino ma ace­
to-, e può darsi che mentre tutti quelli che hanno un certo senso della
dottrina della Chiesa, ma poi vivono male, gli danno da bere vino misto
a fiele, mentre coloro che al Cristo attribuiscono principi di saggezza
estranei alla verità, come se fosse lui a dire ciò, sono quelli che impre­
gnano la spugna di aceto, la póngono su di una canna e gli danno da be­
re. Ci sono poi di quelli che offrono alia sua bocca aceto e fiele, come di­
ce Giovanni. E può darsi che coloro che pensano soltanto male, impre­
gnano di aceto la spugna e la fissano sulla canna della loro Scrittura e
glielo danno da bere. Quelli invece che hanno una opinione non retta
dei piani di Cristo e vivono con malizia, questi sono coloro che ponen­
do una spugna piena di aceto con fiele e issopo sulla canna della Scrittu­
ra lo offrono alla sua bocca. Ma colui che si rifiuta di bere anche il vino
di lui, perché misto a fiele, a maggior ragione non beve né l’aceto né
l’aceto misto a fiele. Per questa ragione noi, nel ricevere dallo stesso Sal­
vatore nostro Gesù (che è la vite vera) il vino puro da ogni asprezza e
amarezza, il vino che rallegra il cuore dell’uomo, ed il cuore dello stesso
Figlio di Dio, lo diamo da bere a lui e ai suoi discepoli (137), perché egli
abbia a dire di noi che abbiamo bene abbeverato lui ed i discepoli: Ho
avuto sete e mi avete dare da bere. Prendiamo anche l’acqua di ristoro, di
cui il buon pastore abbevera i giusti, in modo che quelli pascolati da lui
possano dire: ad acqua di ristoro ci ha portati.

138. Ma Gesù, gridando ancora ad alta voce, emise lo spirito.


Limitandoci al solo Matteo, che dice che Gesù gridò ancora ad al­
ta voce ed emise lo spirito, ma non esplicita che senso avesse quella gran
voce emessa ancora, sarebbe possibile affermare che quella voce con
cui ha gridato ancora era la stessa di prima, quando gridò: Dio, Dio
mio. Ma poiché Luca scrive chiaramente quale fu la voce, quella con
cui gridò: Nelle tue mani affido il mio spirito,

fra errore dottrinale e vita corrotta disgrega i credenti, ed è respinto dal Cristo,
che non lo assume, non lo beve (cf. Schockenoff, pp. 61.23 ls. 294-297; de Lubac
1985, pp. 67.229; Le Boulluec 1985, pp. 502.512). Il giustapporsi di dottrina e
condotta erronea porta al rovescio dell’essere del cristiano, che deve tendere a
fare tutto secondo il Logos - πάντα κατά τον λόγον - così che tutto l’agire sia
preghiera - πάσαν πράξιν εύχήν - (FrPs 1, 2 : PG 1 2 , 1088) e la vita un’unica
grande preghiera intrecciata (Orat 12, 2; cf. Perrone 1997, pp. 30-32).
(137) Nos vinum mundum accipientes ex Salvatore et aquam refectionis
mus eum et discipulos eius. Commentando i cibi dell’Emmanuele Origene nota­
va come egli «cerca da ognuno di noi... burro e miele\ Le nostre opere dolci, le
nostre parole più soavi e buone, sono il miele che mangia l’Emmanuele, che man­
gia il Nato dalla Vergine-, ma se i nostri discorsi sono pieni di amarezza, di ira, di
animosità, di tristezza, di parole turpi, di vizi, di contese - ha dato fiele alla mia
bocca (cf. Sai 9, 28 [10, 7]; 6 8 [69], 22) - da questi discorsi non mangia il
274 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 138

est intellegere et in isto loco [Π 334, 1] ή δε φωνή έστιν


quoniam vox illa, quam iterum αυτή' «πάτερ, εις χεΐράς σου πα-
clamavit emittens spiritum, fuit ρατίθημι τό πευμά μου» 620.
ista: in manus tuas commendo
spiritum meum.
Si ergo emittere spiritum aut (sicut Iohannes scribit) tradere spiri­
tum 621 idipsum erat quod est mori, simpliciter erat intellegendum,
quod dicitur in hoc loco emisit spiritum. Nunc autem, cum mortem ni­
hil aliud esse definiant sapientes nisi separationem animae a corpore,
videamus ne forte aliud est simpliciter mori, aliud autem magna voce
clamare et emittere spiritum (sicut praesens exponit Matthaeus) aut in
manus Dei commendare spiritum et dimittere spiritum (secundum
quod dicit Lucas) aut inclinare caput et tradere spiritum (sicut Iohan­
nes exponit). Et mori quidem omnium hominum est, etiam malorum,
quoniam omnium hominum animae separantur a corpore, etiam ini­
quorum, qui dicere ista non possunt quae dixit Christus exiens de cor­
pore suo. Magnam autem vocem clamare et sic emittere spiritum, quod
est in manus Dei commendare spiritum et sic dimittere spiritum, aut in­
clinare caput et tradere spiritum, non est nisi tantum sanctorum, qui
bonis operibus Deum sibi praeparaverunt sicut et Christus, ut possint
exeuntes de mundo fiducialiter in manus Dei commendare vel tradere
spiritum suum.
Si ergo intelleximus quid est magnam vocem clamare et sic emit­
tere spiritum, id est in manus Dei commendare (sic enim exposuimus
supra proferentes expositionem evangelistae Lucae), si intelleximus
quid est inclinare caput et tradere spiritum, festinemus vitam nostram

620 Ibid. 621 Io. 19, 30.


Salvatore... Davvero noi ceniamo con lui se ceniamo di lui! Mangiando in verità
dai nostri buoni discorsi, opere e intelligenza, nutre noi con i suoi cibi spirituali,
divini e migliori» (HIs 2, 2 , pp. 82s.). Questi accenti ritornano nel commentare
l’ultima sete di Gesù, al compimento dell 'economia salvifica e della kenosi dell’in­
carnazione: «Cristo confessa di stare davanti alla porta a bussare, affinché entrato
in casa di colui che gli ha aperto, insieme banchetti delle sue cose per dare Lui in
seguito delle proprie sostanze...» (Orat 27, 11, p. 140). Nel desiderio di porgere
da bere, a Gesù e ai suoi discepoli, il vino che letifica e l’acqua che ristora, traspare
Γamore per Gesù - προς ΤησσΟν αγάπη -, con cui Origene si dedica alle Scritture:
«Ritengo necessario che chi è in grado di farlo con sincerità d’intenzioni si erga a
difesa della dottrina della Chiesa, confutando questi manipolatori di quella che è
falsamente chiamata “gnosi”, contrapponendo alle fantasticherie degli eretici la
sublimità della predicazione evangelica»; se questa ricerca è fatta per andare oltre
«una fede irragionevole e inconsapevole» e «per amore verso Gesù» non fallirà lo
scopo e otterrà un «buon uso della capacità di giudicare» le dottrine (cf. Ciò 5, Fr
8 , pp. 283s.; sul tema dei nutrimenti: Crouzel 1961, pp. 166-191; Id. 1986, pp. 180­
184; Rossetti 1998, pp. 137s.; Cacciali 2004a, pp. 121-124).
(138) Magnam vocem clamare et sic emittere spiritum non est nisi sancto
La terminologia esprime bene il discorso origeniano sulla morte: essa è separatio
animae a corpore, ma d’altra parte Gesù ha rimesso il suo spirito - emisit spiritum -
C O M M E N TO A M A TTEO , 138 275

si può capire, anche in que- ma la voce è proprio questa:


sto brano, che quèlla voce con Padre, nelle tue mani affido il
cui gridò ancora fu proprio que- mio spirito.
sta: nelle tue mani affido il mio
spirito.
Se dunque è vero che emettere lo spirito o (come scrive Giovanni)
rendere lo spirito equivale a morire, l’espressione riferita in questo luo­
go: emise lo spirito sarebbe da intendere nel senso più semplice. Ora pe­
rò, siccome i sapienti non definiscono altrimenti la morte che come se­
parazione dell’anima dal corpo, vediamo se per caso una cosa sia mori­
re soltanto, altra cosa sia gridare a gran voce ed emettere lo spirito (come
riferisce il presente passo di Matteo), altra cosa ancora affidare lo spiri­
to nelle mani di Dio e lasciarlo andare (stando al racconto di Luca), al­
tra cosa infine inclinare la testa e rendere lo spirito (secondo la esposizio­
ne di Giovanni). Morire è di tutti gli esseri umani, anche dei cattivi, per­
ché le anime di tutti gli uomini si separano dal corpo; anche quelle de­
gli iniqui, i quali non possono dire di sé queste stesse cose che ha detto
il Cristo uscendo dal suo corpo. Gridare a gran voce e così emettere lo
spirito, cioè affidare lo spirito nelle mani di Dio e così lasciare andare lo
spirito o inclinare il capo e rendere lo spirito è solo dei santi (138) che si
sono procurati l’amicizia di Dio tramite le loro buone opere come ha
fatto il Cristo, perché alla loro uscita da questo mondo possano con pie­
na fiducia affidare o consegnare il loro spirito nelle mani di Dio.
Se dunque abbiamo ben capito che cosa significhi gridare a gran
voce e quindi emettere lo spirito, ossia affidarlo nelle mani di Dio (così
abbiamo spiegato più su, citando il racconto dell’evangelista Luca), se
abbiamo capito cosa voglia dire inclinare il capo, e consegnare lo spiri-

ndle mani del Padre; Origene interpreta Mt 27,50 in rapporto con Lc 23,46 e Gv
19, 30, e non riprende lo svolgimento della Series 135; in altro passo si sottolinea
che «l'anima del Figlio di Dio è stata data in riscatto per noi: non il suo spirito (pre­
cedentemente infatti era stato consegnato al Padre col dire: Padre, nelle tue mani
affido il mio spirito) e neanche il corpo.. .» (CMt 16, 8 : ΠΕ, p. 47). L’attenzione ori­
geniana sa ben concentrarsi sugli elementi del composto umano del Cristo:
«Questi tre elementi furono separati nel momento della passione... Π corpo nel
sepolcro, l’anima nell’Ade, lo spirito fu deposto presso il Padre» (Diai 7,14-18, in
Il Cristo, pp. 339.341); peraltro nella nostra Series l’accento è posto sul valore para­
digmatico della consegna del Cristo al Padre, che esprime anche il desiderio e
l’anelito dei credenti all’incontro con Dio nel passaggio della morte: « Finché infat­
ti siamo nel corpo, siamo lontani dal Signore: ma preferiamo essere lontani dal corpo
ed essere vicini al Signore e ci sforziamo di piacergli sia quando siamo da lui lontani,
sia quando gli siamo vicini (2 Cor 5, 6.8-9): volendo indicare che siamo lontani
quando stiamo nel corpo, mentre siamo vicini quando usciamo dal corpo. E
mostra che i santi si sforzano di piacere a Dio, anche quando escono dal corpo»
(CRm 7, 1 2 : I, p. 401; cf. Noce Cel. 1995; dal Covolo 2000b). D patire la morte
diventa così offerta ultima di fede, riposo nel seno divino affidato all’amore del
Padre e preparato dai semi di purificazione presenti in una vita orientata a Dio -
qui bonis operibus Deum sibi praeparaverunt... festinemus vitam nostram servare...
ζγ6 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 138

servare, ut in exitu nostro possimus et nos magnam vocem clamare et


sic emittere spiritum aut inclinare caput et tradere spiritum, sicut Iesus
qui inclinavit caput et quasi supra patris gremium illud repausans exiit,
qui poterat illud in sinu suo fovere et confortare. Quodsi vis audire,
quid profuit Christo magnam vocem clamasse et sic emisisse spiritum,
id est in manus Domini commendasse spiritum et sic emisisse aut incli­
nasse caput super gremium patris et tradidisse spiritum, audi quod di­
cit propheta: propter hoc enim non dereliquit anima eius in inferno, nec
dedit» eum videre corruptionem 622. Si ergo et nos ita nos gesserimus,
ut possimus commendare spiritus nostros in manus Dei aut inclinare
caput super gremium Dei et sic tradere spiritum, sine dubio neque no­
stras animas derelinquet in inferno nec dabit nos in corruptione in per­
petuum remanere. Sed qui illum post diem tertium revocavit ab infe­
ris, et nos revocabit in tempore opportuno, et qui illi donavit ut non vi­
deat caro eius corruptionem, nobis donabit, non quidem ut non videat
caro nostra corruptionem, sed ut liberetur a corruptione tempore op­
portuno - quoniam ille quidem peccatum non fecit, neque dolus inven­
tus est in ore eius 623, nos autem iusti erimus si vel aliquando a peccatis
recesserimus.
Deinde autem quoniam iterum voce magna clamans et dicens: Pa­
ter, in manus tuas commendo spiritum meum, emisit spiritum, ideo eo
spiritum emittente signa facta sunt super eum et prodigia testificantia
dignitatem eius hoc modo: Et ecce velum templi scissum est in duas par­
tes a summo usque deorsum 624.
Quamdiu quidem Iesus non [Π 335, 8] Άλλ’ εως μεν
susceperat pro hominibus mor- οϋπω τής ήμετέρας ύπερα-
tem, ipse expectatio gentium 625 θλήσας ζωής τον τής σαρκός θά-
constitutus, velum templi inte- νατον ύπέμεινεν ό Χριστός,
riora templi velabat; ήπλωτό πως ετι τό καταπέτασμα.
oportebat enim ea velari, donec ille qui solus ea poterat revelare mani­
festa faceret ea videre volentibus, ut per mortem Iesu Christi destruen­
tis credentium mortem, qui liberati fuerint a morte possint aspicere
quae sunt intra velum. Quae autem fuerint illa, non est temporis huius
exponere, quoniam multam et difficilem interpretationem sunt haben­
tia. Opportunius autem convenit ea exponere in tertio libro Regnorum
626 et in secundo Paralipomenon 627, in quibus scriptum est de templo

622 Cf. Ps. 15 (16) 10. 623 1 Petr. 2 , 2 2 . 624 Mt. 27,51. 625 Gen.
49,10. 626 3 Reg. 6 , 2ss. 627 2 Par. 3,10-14.

nos iusti erimus si a peccatis recesserimus - (cf. von Balthasar 1972, p. 213;
Lomiento, p. 33; supra, Introduzione, p. 70).
(139) Et ecce velum templi scissum est... Oportebat interiora templi v
donec ille qui solus ea poterat revelare manifesta faceret. «Quasi a morire fosse
stato un re che con grande potenza e autorità ha messo in opera ciò che aveva
ritenuto giusto fare, subito la cortina del tempio si squarciò in due...» (Ciò 19,
C O M M EN TO A M A TTEO , 138 277

to, premuriamoci di salvare la nostra vita, affinché alla nostra morte an­
che noi possiamo gridare a gran voce e quindi emettere lo spirito o in­
clinare il capo e consegnare lo spirito, come fece Gesù: inclinò la testa,
e andò via, facendo come riposare il capo nel grembo del Padre, che lo
poteva sostenere e confortare nel suo seno. E se vuoi intendere quale
vantaggio ebbe il Cristo nel gridare a gran voce ed emettere quindi lo
spirito, ossia nell’affidarlo nelle mani del Signore, e nell’averlo così
emesso, reclinando il capo sul grembo del Padre e consegnando lo spi­
rito, ascolta che cosa dice il profeta: perciò, non abbandonò la sua ani­
ma nell’inferno e non gli lasciò vedere la corruzione. Se pertanto anche
noi avremo agito in modo da poter affidare il nostro spirito nelle mani
di Dio, da reclinare la testa sul suo grembo, e così rendere lo spirito,
nessun dubbio che egli non abbandoni neanche le nostre anime nell’in­
ferno e non ci lasci per sempre nella corruzione. Ma colui che dopo il
terzo giorno richiamò il Cristo dall’inferno, di lì farà tornare anche noi
ad un momento opportuno, e colui che concesse che la sua carne non
vedesse corruzione, concederà anche a noi in tal modo che la nostra
carne non veda già corruzione, bensì venga liberata dalla corruzione nel
momento opportuno - giacché mentre lui non commise peccato e non
si trovò inganno sulla sua bocca, noi invece saremo giusti se almeno
qualche volta stiamo lontani dai peccati.
Dopo però che ebbe emesso lo spirito, avendo gridato ancora a
gran voce e detto: Padre, nelle tue mai affido il mio spirito, si verificaro­
no dei segni per lui, mentre emetteva lo spirito, e dei prodigi attestan­
ti in tal modo la sua dignità: Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in
due, da cima a fondo.
Fino a quando Gesù non eb- Ma fino al momento in cui il
be accettato la morte a favore de- Cristo, non avendo ancora coni­
gli uomini, essendo lui stesso l’at- piuto il suo agone in difesa della
tesa delle genti, il velo del tempio nostra vita, subì la morte della
velava l’interno del tempio; carne, il velo era in qualche mo­
do ancora spiegato.
occorreva che quello fosse velato sino al momento in cui colui che so­
lo poteva svelarlo lo rendesse palese (139) a quanti volessero vedere,
perché grazie alla morte di Gesù Cristo che distruggeva la morte dei
credenti, quelli che erano stati liberati dalla morte potessero contem­
plare le cose che sono all’interno, oltre il velo. Quali fossero quelle co­
se, non è il momento di spiegare, perché esse esigono una lunga e dif­
ficile spiegazione. Più opportunamente conviene spiegare ciò nel terzo
libro dei Regni e nel secondo dei Paralipomeni, dove si descrivono le

103, p. 588; cf. Rossetti 1998, pp. 79-88). Qual è il significato dell’evento?
Leggiamo un’esegesi di oggi: «Il velo del tempio si squarcia...: 1. Si tratta di un
segno (che) annuncia la fine del culto del tempio. Con la morte di Gesù il tem­
pio ha perso ogni significato...; 2. Si tratta di un segno di promessa, poiché rap­
presenta il libero accesso nel sancta sanctorum acquisito mediante la morte di
Gesù, il libero accèsso a Dio per tutti» (Gnilka, p. 694; cf. Biguzzi), Nella lettu-
278 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 138

et de his quae posita sunt intra velum. Hic autem hoc tantum scriptum
est, quia velum templi conscissum est in duas partes, a sursum usque de­
orsum.
Quaret autem aliquis, qui non neglegenter intellegit Scripturas, et
aspici<e>t duo esse vela, unum quidem interius quod velat sancta san­
ctorum, alterum autem exterius sive tabernaculi sive templi, quae figu­
rae erant tabernaculi sancti, quod praeparavit ab initio pater. Quorum
velorum templi unum scissum est in duas partes a sursum usque deor­
sum, quando voce magna clamans Iesus emisit spiritum, hoc ostendens
(sicut puto) mysterium, quoniam in passione Domini salvatoris velum,
quod erat a foris, conscissum est a sursum usque deorsum, ut <a sursum
(id est> ab initio mundi) usque ad deorsum (id est usque ad finem eius)
conscisso velamine mysteria publicentur, quae usque ad Christi adven­
tum rationabiliter fuerant occulta. Et nisi ex parte cognosceremus 628,
sed iam nunc manifestarentur omnia adhuc in corpore constitutis di­
lectis Christi discipulis, utrumque velum fuerat conscindendum, id est
quod a foris est et interius. Nunc autem quoniam ad scientiam rerum
novarum producimur, ideo quod a foris quidem fuerat velum, interim
conscinditur a sursum usque deorsum, ut quando venerit quod perfectum
est 629 et revelata fuerint cetera quae restabant, tunc auferatur etiam se-
286 eundum velum 630, ut videamus etiam quae intra secundum velum sunt
occultata, veram arcam testamenti et, sicut ipsa se habet natura, videa­
mus cherubin et propitiatorium verum et repositionem mannae in au­
reo vaso, et omnia manifesta atque maiora illis, quae per legem Moysi
fuerant demonstrata, in quibus dixit Deus ad eum: Facies omnia secun­
dum formam eorum, quae tibi ostensa sunt in monte 631.
Nihil ergo est mirum, quod velum templi conscissum est quod in­
teriora velabat mysteria, ut videant discipuli Christi (accipientes oculos
spiritales) ea, quae nulli ante lesum fuerant demonstrata. Nemo enim
nisi solus princeps sacerdotum, quae fuerant intra velum secundum, vi­
det. Sed et Aaron quidem et qui ex eo erant neque virtutem neque di­
gnitatem habebant revelare, quae ipsi videbant, alicui alteri; solus au­
tem qui cum iureiurando 632 factus est princeps sacerdotum in aeter­
num secundum ordinem Melchisedec 633, potuit per dispensationem
mortis suae conscindere velum templi in duas partes a sursum usque de­
orsum, ut videantur quae fuerant intus oculis, qui talia possunt videre.

« 8 Cf. 1 Cor. 13 , 9. 629 1 Cor. 13, 10. 630 Cf. Heb. 9, 4ss. 631
Ex. 25, 40. 632 Heb. 7, 20-21. 633 Heb. 7,17.

ra origeniana sono presenti entrambe le dimensioni; in primo luogo è l’invito al


culto nuovo: «Abbandonando la terra, ...seguendo la parola di Cristo, tu possa
ascendere al cielo con tutta la mente e tutto lo spirito e cercare colà la magnifi­
cenza del tabernacolo eterno» (HEx 9, 2, pp. 282s.; cf. Noce 2002a; Prinzivalli
2002a); «Contemplando la mente le realtà mostrate per una manifestazione del
Logos, si è compiuta la manifestazione per chi questi misteri ha volontà e capa­
cità di contemplarli, e li contempla» (CMt 12, 2 0 :1, p. 318; cf. de Lubac 1985,
C O M M E N TO A M A TTEO , 138 2-79

realtà del tempio e gli oggetti posti all’interno del velo. Qui è scritto so­
lo questo: il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo.
Ma qualcuno, che comprende le Scritture non in maniera disatten­
ta, potrà chiedersi e osservare che ci sono due veli: imo interiore, che co­
pre il santo dei santi; l’altro esteriore sia al tabernacolo che al tempio,
[entrambi] figure del tabernacolo santo che il Padre preparava sin dal
principio. Di questi due veli, uno solo si squarciò in due parti, da cima a
fondo allorché Gesù, gridando a gran voce emise lo spirito, a mostrare
(come penso) un mistero: nella passione del Signore Salvatore, il velo
che era di fuori, si squarciò da cima a fondo: perché una volta squarcia­
to da cima (ovvero dall’inizio del mondo) a fondo (ossia, sino alla sua fi­
ne) venissero svelati i misteri che a ragione erano rimasti nascosti sino
all’avvento di Cristo. Se noi non conoscessimo in parte, ma fin da ades­
so fosse rivelato tutto ai diletti discepoli di Cristo tuttora nel corpo, en­
trambi i veli si sarebbero dovuti squarciare, quello di fuori e quello di
dentro. Ma intanto, finché avanziamo verso la conoscenza delle realtà
nuove, solo il velo di fuori si squarcia da cima a fondo, mentre quando
verrà ciò che è perfetto, e verrà rivelato tutto il resto, allora anche il se­
condo velo sarà tolto (140), e potremo guardare anche le realtà nasco­
ste all'interno del secondo velo: contemplare la vera arca dell’alleanza,
e secondo la natura intrinseca degli esseri, i cherubini, il vero propizia­
torio, la manna riposta in vaso d’oro, e tutte le realtà manifeste e supe­
riori a quelle che furono mostrate a Mosè in vista della Legge, in riferi­
mento alle quali Dio gli aveva detto: Esegui tutto secondo il modello di
quelle cose che ti furono mostrate sul monte.
Nessuna meraviglia, perciò, che si sia squarciato il velo che copriva
i misteri di dentro, in modo che i discepoli di Cristo (assumendo occhi
spirituali) contemplassero ciò che prima di Gesù a nessuno era stato an­
cora rivelato. Nessun altro lo vede, eccetto il sommo sacerdote, che at­
traversa il secondo velo. Però neppure Aronne ed i suoi discendenti,
avevano la forza e la capacità di rivelare ad alcun altro ciò che vedeva­
no loro. Solo infatti colui che è stato eletto con giuramento sommo sa­
cerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec ha potuto, grazie al­
l’economia della sua morte, squarciare il velo del tempio in due, da cima
a fondo, perché ciò che si trova all’interno possa essere contemplato da
occhi che ne hanno la capacità.

p. 300). Quanto all’ingresso sacerdotale aperto al popolo cristiano: «H ai sentito


che ci sono due santuari, uno come visibile e aperto ai sacerdoti, l’altro come
invisibile e inaccessibile... Ritengo che questo primo santuario possa intendersi
come questa Chiesa, nella quale siamo ora, posti nella carne... Non meravigliar­
ti che questo santuario sia aperto ai soli sacerdoti. Giacché tutti quelli che sono
stati unti con l’unguento del sacro crisma, sono divenuti sacerdoti... Da questo
santuario esce il pontefice rivestito di abiti sacri ed entra nell’intimo del velo»
(HLv 9, 9, pp. 226s.; cf. Piscitelli 2003, pp. 81s.; Rossetti 1998, pp. 79-81).
(140) Quando venerit qtiod perfectum est tunc auferatur etiam secun
velum. «Si adorni in questa maniera per Dio il nostro uomo interiore, quasi fosse
un pontefice, per poter entrare non solo nel Santo ma anche nel Santo dei
CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 139

139. Et terra mota est et petrae scissae sunt et monumenta ap


sunt et multa corpora sanctorum dormientium resurrexerunt; et exeuntes
de monumentis post resurrectionem ipsius introierunt in sanctam civita­
tem et apparuerunt multis 634.
Et terra mota est, id est omnis caro novo verbo et novis rebus se­
cundum novum testamentum et novo cantico et novis omnibus atque
caelestibus venientibus super eam, sicut et propheta de hoc ipso in ali­
quo dicit loco: conturbati sunt omnes, qui videbant eos, id est discipu­
los Christi, et timuit omnis homo 635. Item per alterum prophetam Do­
minus dicit: Adhuc semel ego movebo caelum et terram et mare et ari­
dam 636. Dicentes autem parva de motu terrae, non inutiliter iterum di­
camus et de petris fissis in passione Domini salvatoris, quae mysterium
287 fuerunt (sicut arbitror) prophetarum, manifestatae sunt enim in Chri­
sti adventu lex et prophetae; propter quod ad dominum convertentibus
cum legitur Moyses, velamen quod positum fuerat super cor eorum, tolli­
tur, et quod in lectione veteris testamenti positum erat velamen, in Chri­
sto aboletur 637. Apertae sunt ergo nunc petrae et fissae sunt, ut in pro­
fundis eorum posita spiritalia mysteria videamus. Probamus autem fis­
sas tunc petras esse prophetas, primum quidem

ex eo, quod Christus dicitur [Π 336, 12] έπεί δε καί «πέ-


«petra» 638 spiritalis, et rationis τρα ό Χριστός» 639, καί οί μιμη-
est omnes imitatores Christi dici ταί αυτού απόστολοι καί
similiter petras, προφήται πέτραι ονομάζονται...

« 4 Mt. 2 7 ,51b-53. 635 Ps. 63 (64), 9s. 636 Ag. 2, 6. 637 2 Cor.
3,14.15.16. 638 Cf. 1 Cor. 10,4. 639 Ibid. '

santi... Il Santo può significare una santa condotta di vita nel secolo presente; il
Santo dei santi, nel quale si entra soltanto una volta, ritengo che significhi il pas­
saggio al cielo... dove Dio potrà apparire ai puri di cuore» (HEx 9 , 4, pp. 300ss).
L’ingresso nel santuario aperto dalla morte di Cristo consente l’edificazione della
Chiesa, in senso comunitario e personale, attuando la parola: M i farai un santua­
rio - o spazio di santità·, άγιασμα - e mi mostrerò a voi (Es 25, 8), «e se nel tem­
pio si adombra la grandezza del mondo intero (macrocosmo), lo stesso si riflette
nell’anima santificata del fedele (microcosmo)» (Scognamiglio 1997a, p. 46); lo
squarciarsi del primo velo, rivelando la storia del mondo e conducendo alla rive­
lazione suprema, fa desiderare che sia tolto anche il velo interiore (cf. Crouzel
1961, pp. 328.345.360). Il segno adempiuto rinvia a sua volta alla realtà escato­
logica finale: «Ricerca anche tu ogni segno presente nelle Antiche Scritture, e
vedi di quale realtà sia figura nella Nuova Scrittura; e quello che nel Nuovo
Testamento viene designato col nome di “segno” , ricerca di quale realtà sia indi­
cativo o nel secolo futuro, oppure nelle generazioni successive al segno dato»
(CMt 12, 3: I, p. 272); la scissione del primo velo illumina il passaggio dalla
Legge al Vangelo, e quest’ultimo, «inteso come lo svolgimento intemporale del­
l’economia cristiana fino all’ultimo giorno» orienta alla realtà definitiva, il
Vangelo eterno, in un «continuo sforzo di trascendenza, in un “volo”, in un
movimento incessante di anagogia» (cf. de Lubac 1985, pp. 239.360s.). La «ten­
denza a superare i simboli, a strappare gli ultimi veli, a sorpassare anche il Logos
C O M M E N TO A M A TTEO , 139 281

139. E la terra si scosse, le rocce si spaccarono, i sepolcri si apr


e molti corpi di santi che si erano addormentati risuscitarono, ed uscen­
do dalle tombe dopo la sua risurrezione entrarono nella città santa e ap­
parvero a molti.
La terra si scosse, ossia, fu scossa ogni carne dal nuovo Verbo, dal­
le nuove realtà secondo la nuova alleanza, dal nuovo cantico e da tutte
le cose nuove e celesti che giungono sulla terra, così come ha annunzia­
to il profeta di questo evento in qualche passo: Sono stati presi da tur­
bamento tutti quelli che li vedevano, vale a dire i discepoli di Cristo, ed
ogni uomo fu preso da timore. Allo stesso modo, per mezzo di un altro
profeta il Signore annuncia: Ancora una volta muoverò il cielo e la ter­
ra ed il mare e la terraferma. Nel dire poche cose circa il terremoto, non
senza utilità torneremo a parlare delle rocce che si spezzarono durante
la passione (141) del Signore Salvatore: esse furono immagine misterio­
sa (penso io) dei profeti, e infatti la Legge e i profeti si manifestarono
alla venuta del Cristo, e per questo motivo, quando ci sarà la conversio­
ne al Signore, quando si legge Mosè, il velo che è posto sul loro cuore è
rimosso e quello che nella lettura dell’Antico Testamento rimane non ri­
mosso, in Cristo viene eliminato. Le rocce si sono dunque aperte, si so­
no divise, perché abbiamo a contemplare i misteri spirituali riposti nel­
le loro profondità. E possiamo poi provare che quelle rocce divise fos­
sero i profeti, in primo luogo con l’argomento che

Cristo è chiamato pietra spi- poiché anche Cristo è la pie­


rituale, e logicamente tutti gli tra, i suoi imitatori, apostoli e
imitatori di Cristo si chiamino profeti, vengono chiamati pie-
ugualmente pietre, tre...

per “vedere” l’abisso del Padre» resta peraltro ben salda nello spirito cristiano,
perché «Origene sa che il vero sapere è l’amore» (von Balthasar 1972, p. 80).
(141) Oicamus de petris fissis in passione... apertae sunt ut in profundis
talia mysteria videamus. La Scrittura già comprendeva le profondità che il Cristo,
morendo, rivela, ma «se il Vangelo non avesse tolto il velo dalla faccia di Mosè, non
si potrebbe vedere il suo volto, né comprendere il suo senso» (HLv 4, 7, p. 92; cf.
Prin 1, 1, 2); rispetto ai testi di 2 Cor 3, 15-18, la nostra Series si esprime con
«un’immagine: ma stupenda e fortissima. La morte di Cristo ha squarciato le rocce
che sigillavano e nascondevano misteri tenuti segreti fin dall’etemità (cf. Rm 16,
25), e ora finalmente svelati al compimento del disegno di Dio» (Neri 1996, p.
185). La fenditura della passione compendia quella delle molte rocce: «Come
(Cristo) ha un’apertura attraverso la quale si scorge ciò che è dietro a Dio (cf. Es 33,
23), allo stesso modo ciascuno, offrendo la via di comprendere Dio mediante le
parole da lui pronunciate, fa in se stesso un’apertura o... una fenditura: dalla
quale... vedrai tramite Mosè la Legge, tramite Isaia la sua profezia, tramite
Geremia altre parole di Dio» (Hler 16,3, pp. 201s.; cf. Vogt 1974, p. 17; de Lubac
1985, p. 300; Simonetti 2000, pp. 429s.; Cocchini 1997b, p. 114; Sgherri 1982, p.
268). Tutta la vita del Cristo è disvelamento dei misteri dell’Antico Testamento, e
la passione, per il dono dello Spirito, ne è il vertice soteriologico ed ermeneutico:
«La folgore della verità... la Legge, i profeti, i Vangeli e gli apostoli... venendo
282 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 139

sicut et lux mundi640 dicuntur ex eo, quod ipse dominus eorum lux est
mundi 641, deinde ex eo, quod etiam Petrus ab ipso domino petra est
appellatus, cum dicitur ei: Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo
ecclesiam meam, et portae inferorum non praevalenbunt ei 642. Maxime
autem hoc demonstratur ex eo, quod omnes quibus non praevalent
portae inferorum, qui opus nominis petrae habent in se (id est apostoli
et prophetae) petrae sunt et ipsi, et sunt fundamenta eorum, qui super
eis aedificantur, secundum quod ait apostolus:
Superaedificati super funda- «έπ οικοδο μηθέντες έπ ι τω
mentum apostolorum et propheta- θ εμ ελ ίφ τω ν αποστόλων κ α ί
rum, ipso summo angulari lapide προφητών, όντος ακρογωνιαίου
Iesu Christo Domino nostro 643. Ίησου Χ ρ ίσ το υ » 644.

Superaedificantur autem apostolis et prophetis maxime, qui sunt


de ecclesia immaculata 645 et apostolos Christi mirantur et prophetas
non spernunt, sed scrutantur etiam eorum Scripturas.
Nunc et de monumentis apertis dicamus. Venit autem hora, secun­
dum quod promiserat Christus, ut qui in monumentis sunt, audiant
vocem filii Dei, et vivant 646. Propterea audientibus eis vocem filii Dei,
288 monumenta sunt aperta, quae clusa quidem fuerant quamdiu mortui
erant in eis, aperta sunt autem, ut qui resurrexerant egrediantur ex monu­
mentis, non ante resurrectionem primogeniti ex mortuis 647, sed post
resurrectionem ipsius, et resurgentes derelinquant quidem monumenta,
ingrediantur autem in civitatem sanctam, et appareant et manifestentur
multis volentibus et potentibus sanctam civitatem Dei videre et quae in
ea resuscitata sunt corpora sanctorum. Monumenta enim dicuntur corpo­
ra peccatricium animarum, id est mortuarum Deo. Cum autem per gra­
tiam Dei animae huiusmodi fuerint suscitatae ad fidem, corpora earum
quae fuerant prius monumenta mortuarum animarum, efficiuntur cor­
pora sanctarum et videntur a seipsis exire, cum desierint esse monumen­
ta mortuarum animarum et coeperint corpora esse sanctarum. Magna

640 Mt. 5,14. 641 Io. 8,12; 9,5. 642 Mt. 16,18. 643 Eph. 2,20.
644 Ibid. 645 Eph. 5,27. 646 Io. 5, 25. 647 Col. 1,18.
dall’Oriente - dagli inizi del Cristo - brilla fino ad Occidente, nell’economia della
passione» (CMtS 47, nel frammento greco: I, pp. 290s.; cf. Crouzel 1961, p. 328).
(142) Christus petra... Petrus... petrae de ecclesia immaculata. Nella strut­
tura della Chiesa carattere mistico e gerarchico si fondono: «Pietra... è ogni imi­
tatore di Cristo. Da Cristo attingevano coloro che si dissetavano a una pietra spi­
rituale che li accompagnava (cf. 1 Cor 10, 4). E su ogni pietra di tal genere viene
edificato tutto l’insegnamento della Chiesa e il modo di vivere conforme ad
esso... Lo stesso nome di “pietra” hanno tutti gli imitatori di Cristo... Membra
di Cristo si chiamarono “Cristi”, . ..“Pietri” dalla Pietra» (CMt 12, 10-11:1, pp.
292s.295; cf. Rius-Camps, p. 460; Galluccio, pp. 120-125). Pietra è Cristo e la sua
Parola-, viene poi Pietro - ab ipso Domino petra appellatus -, gli apostoli, i profe­
ti, e tutti i cristiani, la ecclesia immaculata di coloro che ammirano gli apostoli,
non disprezzano i profeti e ne scrutano le Scritture (cf. E f5 , 27; Ledegang 2001,
C O M M EN TO A M A TTEO , 139 283

come pure si chiamano luce del mondo, perché lo stesso loro Signore è
luce del mondo, in secondo luogo perché anche Pietro fu denominato
pietra dallo stesso Signore quando gli fu detto: Tu sei Pietro, e su que­
sta pietra io edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarran­
no su di essa. Ma soprattutto ciò è dimostrato dal fatto che tutti coloro
sui quali le porte degli inferi non prevalgono, che hanno bisogno in sé
del nome pietra (ovvero: gli apostoli e gli evangelisti), sono essi stessi
pietre e fanno da fondamenta a coloro che vengono edificati su di lo­
ro, stando a quello che dice l’Apostolo:
Edificati sopra il fondamen- Edificati sopra il fondamen­
to degli apostoli e dei profeti, es- to degli apostoli e dei profeti, es­
sendo somma pietra angolare lo sendo pietra angolare Gesù Cri­
stesso Cristo Signore nostro. sto.
Ma sono edificati sugli apostoli e sui profeti principalmente colo­
ro che sono della Chiesa senza macchia (142), ammirano gli apostoli e
non disprezzano i profeti, ma ne scrutano anche le Scritture.
Parliamo adesso dei sepolcri aperti. Secondo la promessa di Cristo,
viene l’ora in cui quelli che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di
Dio e vivranno. Per questo, mentre quelli ascoltano la voce del Figlio di
Dio, si sono aperti i sepolcri, restati chiusi fino a quando in loro c’erano
dei morti, e aperti perché quelli che erano risorti uscissero dai sepolcri,
non anteriormente alla risurrezione del Primogenito dai morti, ma dopo
la risurrezione di lui, e una volta risorti, da una parte abbandonassero i
sepolcri, dall’altra entrassero nella città santa, apparissero e si mostras­
sero a molti che vogliono e possono vedere la città santa di Dio e i cor­
pi dei santi. Si chiamano poi sepolcri i corpi delle anime peccatrici, ossia
di quelle che sono morte a Dio. Ma quando, per opera della grazia di
Dio, tali anime saranno risuscitate alla fede, i loro corpi che prima era­
no sepolcri di anime morte, divengono corpi di anime sante, e sembra­
no uscire da se stessi, nel momento in cui cessano di essere sepolcri di
anime morte e cominciano ad essere corpi di anime sante. Grandi fatti

pp. 141.276s.279). I profeti di E f 2, 20 sono intesi abitualmente da Origene come


quelli antichi, investiti della profezia protesa al Cristo «fino a Giovanni» e il cui
carisma permane nella Chiesa, nell’edificazione, nella didascalia, nella vita di
croce che assimila al Cristo (cf. CRm 9, 3: Π, pp. 107s.; CMtS 131, nota 122: II,
pp. 244-245; per la rilettura odierna, cf. Aleni 2001, pp. 161-163). «L’immagine
dell’edificio è perciò fondamentalmente quella dell’unità e dell’interdipendenza
della Chiesa... Ma è anche quella del legame con Israele» (Sgherri 1982, pp.
360.389.416); i profeti del Nuovo Testamento sono quelli «ai quali Dio ha affida­
to i misteri arcani e ha consegnato i segreti dei giudizi occulti della sua provviden­
za» (HNm 5, 3, p. 73; cf. Rossetti 1998, pp. 68s.); si noterà nella nostra Series
l’espressione di imitatores Christi - μιμηταί αυτού (nel frammento greco)-: l’imi­
tazione indica nell’aderire al Cristo la via del progresso spirituale daViimmagine
alla rassomiglianza con Dio (cf. Crouzel 1956, pp. 222-227; Lettieri 2000, pp. 381­
387; per il tema dell 'imitazione in CMt, cf. l'Indice tematico di CMt III, p. 289).
282 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 139

sicut et lux mundi640 dicuntur ex eo, quod ipse dominus eorum lux est
mundi 641, deinde ex eo, quod etiam Petrus ab ipso domino petra est
appellatus, cum dicitur ei: Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo
ecclesiam meam, et portae inferorum non praevalenbunt ei 642. Maxime
autem hoc demonstratur ex eo, quod omnes quibus non praevalent
portae inferorum, qui opus nominis petrae habent in se (id est apostoli
et prophetae) petrae sunt et ipsi, et sunt fundamenta eorum, qui super
eis aedificantur, secundum quod ait apostolus:
Superaedificati super funda- «έπ οικοδο μηθέντες έπ ί τω
mentum apostolorum et propheta- θ εμ ελ ίφ των αποστόλων κ α ί
rum, ipso summo angulari lapide προφητών, οντος ακρογωνιαίου
Iesu Christo Domino nostro 643. Ίησοΰ Χ ρ ίσ το υ » 644.

Superaedificantur autem apostolis et prophetis maxime, qui sunt


de ecclesia immaculata 645 et apostolos Christi mirantur et prophetas
non spernunt, sed scrutantur etiam eorum Scripturas.
Nunc et de monumentis apertis dicamus. Venit autem hora, secun­
dum quod promiserat Christus, ut qui in monumentis sunt, audiant
vocem filii Dei, et vivant 646. Propterea audientibus eis vocem filii Dei,
288 monumenta sunt aperta, quae clusa quidem fuerant quamdiu mortui
erant in eis, aperta sunt autem, ut qui resurrexerant egrediantur ex monu­
mentis, non ante resurrectionem primogeniti ex mortuis 647, sed post
resurrectionem ipsius, et resurgentes derelinquant quidem monumenta,
ingrediantur autem in civitatem sanctam, et appareant et manifestentur
multis volentibus et potentibus sanctam civitatem Dei videre et quae in
ea resuscitata sunt corpora sanctorum. Monumenta enim dicuntur corpo­
ra peccatricium animarum, id est mortuarum Deo. Cum autem per gra­
tiam Dei animae huiusmodi fuerint suscitatae ad fidem, corpora earum
quae fuerant prius monumenta mortuarum animarum, efficiuntur cor­
pora sanctarum et videntur a seipsis exire, cum desierint esse monumen­
ta mortuarum animarum et coeperint corpora esse sanctarum. Magna

640 Mt. 5,14. 641 Io. 8,12; 9,5. 642 Mt. 16,18. « 3 Eph. 2,20.
644 Ibid. 645 Eph. 5, 27 . 646 Io. 5, 25. 647 Col. 1,18.
dall’Oriente - dagli inizi del Cristo - brilla fino ad Occidente, nell’economia della
passione» (CMtS 47, nel frammento greco: I, pp. 290s.; cf. Crouzel 1961, p. 328).
(142) Christus petra... Petrus... petrae de ecclesia immaculata. Nella s
tura della Chiesa carattere mistico e gerarchico si fondono: «Pietra... è ogni imi­
tatore di Cristo. Da Cristo attingevano coloro che si dissetavano a una pietra spi­
rituale che li accompagnava (cf. 1 Cor 10, 4). E su ogni pietra di tal genere viene
edificato tutto l’insegnamento della Chiesa e il modo di vivere conforme ad
esso... Lo stesso nome di “pietra” hanno tutti gli imitatori di Cristo... Membra
di Cristo si chiamarono “Cristi”, . .. “Pietri” dalla Pietra» (CMt 12,10-11:1, pp.
292s.295; cf. Rius-Camps, p. 460; Galiuccio, pp. 120-125). Pietra è Cristo e la sua
Parola-, viene poi Pietro - ab ipso Oomino petra appellatus -, gli apostoli, i profe­
ti, e tutti i cristiani, la ecclesia immaculata di coloro che ammirano gli apostoli,
non disprezzano i profeti e ne scrutano le Scritture (cf. £ / 5 , 27; Ledegang 2001,
C O M M EN TO A M A TTEO , 139 283

come pure si chiamano luce del mondo, perché lo stesso loro Signore è
luce del mondo, in secondo luogo perché anche Pietro fu denominato
pietra dallo stesso Signore quando gli fu detto: Tu sei Pietro, e su que­
sta pietra io edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarran­
no su di essa. Ma soprattutto ciò è dimostrato dal fatto che tutti coloro
sui quali le porte degli inferi non prevalgono, che hanno bisogno in sé
del nome pietra (ovvero: gli apostoli e gli evangelisti), sono essi stessi
pietre e fanno da fondamenta a coloro che vengono edificati su di lo­
ro, stando a quello che dice l’Apostolo:
Edificati sopra il fondamen- Edificati sopra il fondamen­
to degli apostoli e dei profeti, es- to degli apostoli e dei profeti, es­
sendo somma pietra angolare lo sendo pietra angolare Gesù Cri­
stesso Cristo Signore nostro. sto.
Ma sono edificati sugli apostoli e sui profeti principalmente colo­
ro che sono della Chiesa senza macchia (142), ammirano gli apostoli e
non disprezzano i profeti, ma ne scrutano anche le Scritture.
Parliamo adesso dei sepolcri aperti. Secondo la promessa di Cristo,
viene l’ora in cui quelli che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di
Dio e vivranno. Per questo, mentre quelli ascoltano la voce del Figlio di
Dio, si sono aperti i sepolcri, restati chiusi fino a quando in loro c’erano
dei morti, e aperti perché quelli che erano risorti uscissero dai sepolcri,
non anteriormente alla risurrezione del Primogenito dai morti, ma dopo
la risurrezione di lui, e una volta risorti, da una parte abbandonassero i
sepolcri, dall’altra entrassero nella città santa, apparissero e si mostras­
sero a molti che vogliono e possono vedere la città santa di Dio e i cor­
pi dei santi. Si chiamano poi sepolcri i corpi delle anime peccatrici, ossia
di quelle che sono morte a Dio. Ma quando, per opera della grazia di
Dio, tali anime saranno risuscitate alla fede, i loro corpi che prima era­
no sepolcri di anime morte, divengono corpi di anime sante, e sembra­
no uscire da se stessi, nel momento in cui cessano di essere sepolcri di
anime morte e cominciano ad essere còrpi di anime sante. Grandi fatti

pp. 141.276s.279). I profeti di E f 2 , 20 sono intesi abitualmente da Origene come


quelli antichi, investiti della profezia protesa al Cristo «fino a Giovanni» e il cui
carisma permane nella Chiesa, nell’edificazione, nella didascalia, nella vita di
croce che assimila al Cristo (cf. CRm 9, 3: Π, pp. 107s.; CMtS 131, nota 122: II,
pp. 244-245; per la rilettura odierna, cf. Aletti 2001, pp. 161-163). «L’immagine
dell’edifìcio è perciò fondamentalmente quella dell’unità e dell’interdipendenza
della Chiesa... Ma è anche quella del legame con Israele» (Sgherri 1982, pp.
360.389.416); i profeti del Nuovo Testamento sono quelli «ai quali Dio ha affida­
to i misteri arcani e ha consegnato i segreti dei giudizi occulti della sua provviden­
za» (HNm 5, 3, p. 73; cf. Rossetti 1998, pp. 68s.); si noterà nella nostra Series
l’espressione di imitatores Christi - μιμητού αυτού (nel frammento greco)-: l’imi­
tazione indica nell’aderire al Cristo la via del progresso spirituale dall’immagine
alla rassomiglianza con Dio (cf. Crouzel 1956, pp. 222-227; Lettieri 2000, pp. 381­
387; per il tema dèi'imitazione in CMt, cf. l’Indice tematico di CMt III, p. 289).
284 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 139

ergo sunt facta ex eo, quod magna voce clamavit Iesus et emisit spiri­
tum 648, et semper haec eadem magna cottidie fiunt. Velum enim tem­
pli ad revelanda quae intus habentur, quando non scinditur sanctis a
sursum usque deorsum et a principio usque ad finem? Quando et terra
eis, qui salute sunt digni, non movetur et tremit quae ante Christi mor­
tem inmobilis erat? Quando et petrae secundum quod tradidimus non
finduntur? Sic semper et monumenta aperiuntur et multa corpora (sancto­
rum quidem dormientium autem) surgunt et egrediuntur de monumentis
(post resurrectionem tamen eius in eis, qui mortuus est pro nobis 649) et
sequuntur eum qui resurrexit et in novitate vitae 650 ambulant cum eo.
Sic et qui digni sunt habere conversationem in caelis, dicentes: Nostra
autem conversatio in caelis est 651, ingrediuntur in sanctam civitatem
per singula tempora, et lumen eorum lucet coram hominibus, et multis
apparent videntibus et intellegentibus opera bona ipsorum, et propte­
rea glorificantibus patrem eorum qui est in caelis 652.
289 Sed et dicere debemus de istis et sapere, quoniam omnis quidem lit­
tera evangelii quasi littera vivificat evangelicos (ut ita eos appellem) scri­
bas; spiritus autem, qui supergreditur litterarum naturam, divinioribus
motibus magis eos inluminat quibus evangelium non est velatum 653;
omnia enim agunt ut videant quae in anima sua per resurrectionem
Christi fiunt mysteria. Prodificatur enim quadam prodificatione et qui
credit scripturis, maiori autem repletur scientia qui videt, quod con­
scinditur velum Scripturae a sursum usque deorsum, et videt quae sunt
intra eum. Beatus est autem et cui terra et omnia terrena moventur

648 Mt. 27, 50. 649 Cf. 1 Thess. 5, 10. 650 cf. Rom. 6, 4.
651 Phil. 3 , 20. 652 cf. Mt. 5, 14-16. «3 Cf. 2 Cor. 4, 3.
(143) De monumentis apertis dicamus... Semper monumenta aperiunt
corpora dormientium surgunt et sequuntur eum qui resurrexit. La cittadinanza
nella Chiesa è da risorti·, il cammino è cominciato nella sequela storica del Cristo,
come esplicita un brano di CMt su Mt 16, 21: «Allora (Gesù) cominciò a mostra­
re. .. Nel momento (in cui) si apprende dal Logos la conoscenza perfetta di que­
sti misteri, (si) è compiuta la manifestazione per chi questi misteri ha volontà e
capacità di contemplarli... Per questo doveva andare a Gerusalemme, perché...
messo a morte in quella città, offrisse le primizie della risurrezione dai morti...
Finché non sono risorti con lui coloro che sono diventati conformi alla sua morte
e risurrezione, si ricercavano quaggiù la città di Dio, il tempio... e tutte le altre
realtà. Ma una volta che tutto questo si è realizzato, sono da cercare non più le
cose di quaggiù, bensì quelle di lassù! .. .Risorse dai morti il terzo giorno perché,
avendo sottratti quei morti al Maligno, ...acquistasse per i credenti il diritto di
essere battezzati» (CMt 12, 20: I, pp. 317-319). I sepolcri che si sono aperti al
momento della morte di Gesù continuano ad aprirsi, e da essi «l’anima esce rin­
novata», perché Dio imprime la Pasqua nei credenti con un’operazione in sé
definitiva, anche se «il nostro modo di riceverla permane ancora imperfetto» (cf.
de Lubac 1985, pp. 230.232.253.300); nei cristiani deve permanere la coscienza
del dono: «Sia che si trovi in te la mortificazione della carne e dei vizi, essa non
ha tratto origine da te ma ti è stata donata dalla morte di Cristo; sia che tu abbia
la novità di vita e pur camminando sulla terra abbia nei cieli la cittadinanza, hai
C O M M E N TO A M A TTEO , 139 285

dunque si produssero dal momento che Gesù gridò a gran voce ed emi­
se lo spirito·, ma ancora oggi si stanno verificando queste medesime,
grandiose realtà! Quando è infatti, che non si squarcia per i santi, da ci­
ma a fondo, e dal principio sino alla fine, il velo del tempio per rivelare
le cose che sono dentro? Quand’è che la terra, che prima della morte
di Cristo era priva di movimento, non si scuote e non trema per colo­
ro che sono degni di salvezza? Quand’è che quelle rocce, nel senso che
abbiamo spiegato, non si fendono? Così di continuo si aprono i sepol­
cri, e molti corpi (di santi, che sono nel sonno della morte), sorgono ed
escono dai sepolcri (solo dopo però la risurrezione di colui che è mor­
to per noi) e si mettono al seguito di colui che è risorto (143) e con lui
camminano in novità di vita. Così pure quelli che sono degni di avere
la loro cittadinanza nei cieli quando dicono: La nostra cittadinanza è nei
cieli, in ogni tempo, fanno ingresso nella città santa e la loro luce brilla
davanti a tutti gli uomini e appaiono a molti che vedono e comprendo­
no le loro opere buone e perciò glorificano il loro padre che è nei cieli.
Ma dobbiamo ancora parlare di queste cose e capire che ogni let­
tera del Vangelo in quanto tale vivifica tutti gli scribi (li chiamerei co­
sì) evangelici, mentre lo Spirito, che trascende la natura delle lettere, il­
lumina di più mediante impulsi più divini coloro per i quali il Vangelo
non è coperto da velo; essi, infatti, fanno di tutto per vedere quali mi­
steri si verificano nella loro anima grazie alla risurrezione di Cristo. Ha
un certo vantaggio anche colui che crede alle Scritture, mentre una pie­
nezza di scienza superiore l’ottiene chi vede (144) che si squarcia il ve­
lo delle Scritture da cima a fondo e contempla le realtà che sono all’in­
terno di esso. Beato anche colui per il quale la terra e tutte le cose ter-

meritato ciò grazie alla risurrezione di Cristo» (CRm 9, 40: II, p. 143; cf. HNm
15, 3; Ledegang 2001, pp. 494s.501, anche per gli sviluppi su F il 3, 20).
(144) Littera evangelii vivificat, spiritus inluminat... Frodi)'icatur qui cr
repletur scientia qui videt. Il commento si è iniziato con il sussultare della terra per
la novità apportata dalla morte e risurrezione del Cristo: «Allorché (il Cristo) gia­
cendo avrà dormito come un leone e... il Padre lo avrà risvegliato, ...coloro che
si saranno conformati alla sua resurrezione... apprenderanno che... il velo ch’è
nel Santo dei santi e copre le cose divine e segrete è la sua carne; e altri innume­
revoli misteri diventeranno manifesti grazie alla sua resurrezione» (CCt 2, su Ct 1,
11-12, pp. 171s., cf. Simonetti 1993b, p. 147); lo sguardo conclusivo è ancora alla
risurrezione presente nella vita della Chiesa (cf. Prinzivalli 2000c, p. 405; Id. 2002,
p. 102). La novità ermeneutica si intreccia alla dinamica ecclesiale nell’evento
creativo e rivelativo della morte del Cristo (cf. supra, Introduzione, pp. 32s., e pp.
47s. sulla ecclesia immaculata)·, ritroviamo le grandi certezze origeniane sul signifi­
cato salvifico della stessa littera Evangelii (cf. CMtS 27, nota 7 1 :1, pp. 198s.), con
l’indicazione della progressione fra il credere e il vedere. Abbiamo già incontrato
il trovar profitto (cf. CMtS 103, nota 69: II, pp. 150-151); nel presente testo la pro-
dificatio /ωφέλεια è legata allo squarciarsi del velo del Santo, per cui la fede pene­
tra nella conoscenza sino allora velata del senso cristologico e spirituale delle
Scritture; la rottura del velo del Santo dei santi consentirà di vedere nél'eschaton i
misteri divini «al di là delle Scritture» (cf. Crouzel in Orig. VI, p. 337; Id. 1961, p.
336; von Balthasar 1972, p. 51; Cocchini 1997b, p. 115).
286 C O M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 139-140

(propterea enim et a Christo sunt mota): non movebuntur pedes eius,


nec dicet: Mei autem paene moti sunt pedes 654; quantum autem beatior
est qui videt oculis animae fissas petras, quam illi qui tunc corporaliter
fieri ista viderunt! Si autem quis videns et monumenta aperta et corpo­
ra multa dormientium sanctorum surgentia et de monumentis egredien-
tia post resurrectionem corporis Christi omnino alienus efficitur a
monumentis et domesticus efficitur civitati Dei ingressus in eam, quan­
to magis prodificabitur amplius eis qui corporaliter prodigia ista vide­
runt? Satis autem puto distare hunc, qui ingreditur in civitatem san­
ctam et apparet multis quia est in ea, ab illo, qui secundum historiam
credit et non ascendit a fide simplici ad altiora mysteria.

140. Centurio autem, et qui cum eo erant custodientes lesum,


terrae motu et his quae fiebant timuerunt valde, dicentes: Vere filius Dei
erat iste 655.
Marcus autem sic scribit: Videns centurio que adstabat ibi, quoniam
clamans expiravit, dixit: Vere hic homo filius erat Dei 656; Lucas autem:
290 Videns centurio quae facta sunt, glorificavit Deum dicens: vere hic homo
iustus erat 657. Secundum Marcum quidem centurio, non quia 'velum
templi fuerat scissum a sursum usque deorsum nec quia alia facta sunt
signa secundum quod refert Matthaeus (id est quia mota est terra, quia
petrae sunt fissae, aut aperta sunt monumenta) est admiratus. Dignum
est ergo videre, quid postea factum est super illud quod scriptum est
apud Marcum, ut miraretur centurio dicens: Vere hic homo filius erat
Dei 658. Et vide, si dicere possumus secundum unum quidem modum,
quia miratus est in his, quae dicta fuerant ab eo ad Deum cum clamo­
re et magnitudine sensuum, secundum quod capiebat intellegere, * * *
suspicans admiratus est et dixit: Vere hic homo filius erat Del·, secundum
alterum autem modum, quoniam forte praestare volens Pilatus populo
universo qui dixerat: Crucifige, crucifige eum 659, et timens populi totius
tumultum, non iussit, secundum consuetudinem Romanorum de his
qui crucifiguntur, percuti sub alas corporis Iesu - quod faciunt ali­
quando qui condemnant eos qui in maioribus sceleribus sunt inventi

654 Ps. 72 (73), 2. 655 Mt. 27, 54. 656 Mc. 15, 39. 657 l c. 23,
47. 658 Mc. 15, 39. 659 Lc. 23, 21.

(145) Marcus... Lucas... Matthaeus. In modi diversi gli evangelisti ra


tano «gli argomenti attestanti la divinità di Gesù», i «segni divini» (cf. CC 2, 36,
p. 170); Gesù «voleva far comprendere ai suoi discepoli il carattere straordina­
rio della sua dipartita quando disse queste parole: Nessuno mi toglie la mia
anima, ma io la do da me stesso (Gv 10,18)... Se si comprende questo, allora non
c’è più nulla di oscuro in quelle parole che, in questo senso appunto, il Salmo 87
pone in bocca al Salvatore: Libero tra i morti» (Ciò 19,101.102, pp. 587s.; cf. Sai
87 [88], 5); l’insistenza molto giovannea sulla iniziativa del Salvatore e la sotto­
lineatura del dialogo mai interrotto del Figlio con il Padre - che trova il suo
apice nella passione - nulla tolgono all’intensità del dramma che si svolge sulla
C O M M E N TO A M A TTEO , 139-140 287

rene si muovono (è per questo infatti che il Cristo le ha fatte muovere);


i suoi piedi non vacilleranno e non dirà: per poco non inciamparono i
miei piedi-, ma chi con gli occhi dell’anima vede fendersi le rocce, quan­
to più beato è rispetto a coloro che allora videro avvenire ciò sul piano
corporeo! Ma se, nel vedere anche i sepolcri aperti e molti corpi di san­
ti morti risorgere e uscire dai sepolcri, dopo la risurrezione del corpo di
Cristo, uno diventa assolutamente estraneo alle tombe e familiare alla
città di Dio, in cui è entrato, quanto maggiore utilità riceve, rispetto a
quelli che allora quei prodigi non li videro se non sul piano corporeo?
10 ritengo che colui che entra nella città santa e, giacché è in essa, ap­
pare a molti, sia ben distante da colui che pur credendo sul piano del­
la storia, non si eleva dalla fede semplice ai misteri più alti.

140. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù


sto il terremoto e quel che succedeva, furono presi da grande timore e di­
cevano: Davvero costui era Figlio di Dio.
Marco invece scrive così: Il centurione che era lì presente, vedendo
che spirò gridando, disse: Davvero costui era Figlio di Dio. E Luca: Il cen­
turione, vedendo quel che era avvenuto, glorificò Dio dicendo-. Davvero co­
stui era un giusto. Stando a Marco, il centurione si è stupito non perché
11velo del tempio si squarciò da cima a fondo, né perché si verificarono gli
altri segni riferiti da Matteo (ossia la terra si scosse, le rocce si speziarono,
o i sepolcri si aprirono) (145). E il caso perciò di vedere che cosa sia av­
venuto in seguito, rispetto a ciò che è descritto in Marco, perché il cen­
turione se ne stupisse, dicendo: Davvero costui era Figlio di Dio. E con­
sidera se possiamo dire, per un verso, che il centurione era stupito per le
parole dette da Gesù rivolto a Dio, con grida e grandezza di significati,
secondo quel che poteva capire... e manifestando una sua supposizione,
disse: Davvero costui era Figlio di Dio; e se, per altro verso si può dire: Pi­
lato voleva forse concedere qualcosa a tutto quanto il popolo che grida­
va: Crocifiggilo, crocifiggilo! e temendone un tumulto generale non die­
de ordini - secondo la prassi solita dei romani riguardo a quelli che ven­
gono crocifissi - di fiaccare sotto le ascelle il corpo di Gesù - cosa che a
volte ordinano quelli che condannano i colpevoli di più gravi misfatti

croce (cf. Fédou 1995, p. 201; Studer 2000a). Nel considerare in sinossi l’escla­
mazione del centurione - vere filius Dei iste, vere hic homo filius Dei, vere hic
homo iustus -, Origene non dimentica gli atteggiamenti, le parole, i possibili sen­
timenti di Pilato, dei soldati di guardia, dei giudei; accenna anche a un suo
Tractatus de scriptura Marci, che non ci è stato conservato (cf. Bammel in Orig.
VI, p. 551). Nella dinamica fra debolezza e forza, morte e libertà, Cristo, divenu­
to libero tra i morti, fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio
(cf. CMt 10, 22: I, p. 157); «Se anche egli si è trovato nella morte, ciò è stato
volontariamente e non, come nel caso nostro, per necessità del peccato. Egli è il
solo... libero fra i morti» (CCt 3 su Ct 2, 9-10, p. 249); per la nascita e per la
morte il Cristo è veramente alpha e omega, primo e ultimo (cf. Ciò 1, 220;
Simonetti 1993b, pp. 178-180, con rinvio a numerosi testi).
288 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 140

(quoniam ergo maiorem sustinent cruciatum qui non percutiuntur post


fixionem, sed vivunt cum plurimo cruciatu, aliquando autem et tota
nocte et adhuc post eam tota die). lesus ergo cum non fuisset percus­
sus et speraretur diu pendens in cruce maiora pati tormenta, oravit
patrem et exauditus est et statim, ut clamavit ad patrem, receptus est;
aut sicut qui potestatem habebat ponendi animam 660 suam, posuit eam
quando voluit ipse, quod prodigium stupuit centurio factum et dixit:
Vere hic homo filius erat Dei. Miraculum enim erat quoniam post tres
horas receptus est, qui forte biduum victurus erat in cruce secundum
consuetudinem eorum, qui suspenduntur quidem non autem percu­
tiuntur, ut videretur beneficium Dei fuisse quod expiravit, et meritum
291 orationis eius magis quam violentia crucis. Illud etiam quod in sequen­
tibus Marcus exponit, cum Ioseph intrasset apud Pilatum et petisset cor­
pus Iesu 661, hoc ipsum significat. Sic enim dicit, quoniam Pilatus mira­
tus est si iam mortuus esset, et vocans centurionem interrogavit eum si
iam mortuus esset; et cum audisset a centurione, donavit corpus eius
Ioseph 662. Si enim consuetudo, quae apud Romanos fuerat de crucifi­
xis atque percussis, in Christo servata fuisset, quomodo miratus fuisset
Pilatus si iam mortuus est? Vide ergo nisi novum demonstret miracu­
lum, quod iam mortuus erat et quod vocavit centurionem Pilatus et
interrogavit si iam mortuus est. Vide autem nisi huiusmodi cruciatum
fuisse Christi etiam Matthaeus ostendit, dicens: Centurio et qui cum eo
erant, servantes lesum. Quare autem eum servabant nisi ut diutius pen­
dens in cruce amplius cruciaretur, neque interfectus neque depositus?
Tamen centurio secundum Matthaeum non tantum dixit de Iesu: Vere
Dei filius erat iste, sed et timuit eum, terrae motu eum in timorem mit­
tente. Forsitan autem et experimento sciebat super terrae motus, qui in
gentibus fiunt, eum terrae motum fuisse, et in hoc stupuit videns.
Et observa quoniam apud Marcum, ubi centurio nullum miracu­
lum vidisse refertur, hominem dicit lesum filium Dei; qui autem a con­
scissione veli vel a terrae motu stupuit, hominem illum fuisse non dicit
sed filium Dei. Consentit autem nobis ad tractatum quem fecimus de

660 Cf. Io. 10,18. 661 Cf. Mc. 15, 43. 662 Mc. 15, 44-45.

(146) lesus oravit Patrem et exauditus est... beneficium Dei quod expi
et meritum orationis magis quam violentia crucis. II testo del Vangelo di Pietro 5,
19-20 recita: «Il Signore gridò ad alta voce: “O forza mia, o forza mia, tu mi hai
abbandonato!”. Detto ciò, fu assunto. In quel momento il velo del tempio di
Gerusalemme si spaccò in due» (in Erbetta 1982, p. 142); un lettore gnostico
poteva scorgere in quella forza «l’essere celeste o il Cristo superiore che avrebbe
abbandonato Gesù sulla croce. Cristo sarebbe così morto solo di morte apparen­
te» (ibid., nota 19). Il commento origeniano esprime una impostazione tutta
diversa, che penetra la lettera della passione nella fede che si fa contemplazione:
«Il Padre rispose accogliendolo, ...ricevendo nelle sue mani l’anima (o spirito)
C O M M E N TO A M ATTEO , 140 289

(se infatti dopo la crocifissione non vengono percossi, sostengono un


supplizio più a lungo, e continuano a vivere, tra moltissimo strazio, tal­
volta per tutta la notte e il giorno successivo). Gesù dunque non era sta­
to colpito e ci si attendeva che pendendo a lungo sulla croce, avesse a
soffrire più grandi supplizi: ma egli pregò il Padre e ne fu esaudito, e non
appena lo pregò, fu accolto. Anzi, siccome aveva il potere di offrire la sua
anima, la diede quando volle lui. E fu per Tessersi verificato questo pro­
digio che si stupì il centurione e disse: Damerò quest’uomo era Figlio di
Dio. Sì, era un miracolo che se ne andasse [appena] dopo tre ore, men­
tre avrebbe dovuto vivere per altri due giorni sulla croce, come solita­
mente avveniva con quelli che venivano sospesi senza essere fiaccati. Per
cui l’essere spirato appariva più un beneficio di Dio ed un merito della
sua preghiera, che l’effetto violento della croce (146). Questo è indicato
anche dalla circostanza riferita in seguito da Marco, quando Giuseppe si
recò da Filato per chiedere il corpo di Gesù. Dice infatti che Filato si me­
ravigliò che fosse già morto, e chiamato il centurione lo interrogò se fosse
morto già da tempo. Informato dal centurione, concesse il corpo a Giusep­
pe. Se la prassi consueta che vigeva presso i romani [sui condannati] cro­
cifissi e fiaccati, fosse stata osservata nel caso di Cristo, come mai Pilato
si meravigliò che fosse già morto? Perciò considera se l’essere lui già
morto e il fatto che Pilato chiamasse il centurione e si informasse se fosse
già morto non dimostri un nuovo miracolo. Ma vedi se anche Matteo non
indichi che tale fu il supplizio di Cristo quando dice: Il centurione e quel­
li che con lui facevano la guardia a Gesù. Perché mai facevano la guardia
a Gesù, se non perché pendendo più a lungo dalla croce fosse maggior­
mente suppliziato, senza ucciderlo e deporlo? In ogni modo, il centurio­
ne in Matteo non dice solo: Davvero costui era Figlio di Dio, ma ne sen­
te pure timore, avendolo il terremoto messo in uno stato di timore. For­
se egli, che anche in base ad esperienza sapeva di terremoti che avvengo­
no tra i popoli, capì che quello era un terremoto e nel vedere ciò ne pro­
vò stupore.
Inoltre, osserva: il centurione, in Marco dove non è riferito che ab­
bia assistito ad alcun miracolo, Gesù, Figlio di Dio, lo chiama uomo;
quello invece che si stupì dello squarciarsi del velo o del terremoto, non
dice che quegli era uomo, ma Figlio di Dio. Ma si accorda con noi, nel-

che Gesù consegnava liberamente, non a causa dei tormenti della croce... Gesù
depone ciò che il Padre riceve... L’assoluto assumptus est (άνελήφθη) non evoca
l’idea di ascensione o elevazione - fu innalzato -, bensì quella di “ricezione” in
deposito, e si oppone all’idea di mortuus est (violentia crucis). Alla consegna libe­
ra e spontanea di Gesù il Padre risponde accogliendolo con pari libertà» (Orbe
1995, p. 446); l’anticipata morte di Gesù dipende sia dalla sua volontà sia dalla
risposta del Padre alla preghiera a lui rivolta (cf. Simonetti 1993b, p. 179). Come
nota un frammento, per il volontario affidamento dello spirito di Gesù al Padre,
per il pegno e primizia - απαρχή - del Cristo, anche «le anime dei santi non sono
più racchiuse nell’Ade, ma sono presso Dio» (FrMt 560, su Mt 27, 50.51; cf.
Dupuis 1967, p. 86).
290 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 140

Scriptura Marci etiam sermo conscriptionis Lucae, quoniam et ipse sic


scribit: Vere hic homo iustus erat 663. Apud quem nihil aliud dicitur nisi
de velo: Videns, inquit, centurio quae facta sunt, glorificavit Deum
dicens: Vere iustus erat hic homo 664. Quoniam autem tale aliquid fa­
ctum est in tempore condemnationis Christi, et non iussit Pilatus con­
suetudinem servare ut percutiatur corpus Christi, manifestat etiam
Iohannes hoc modo scribens, quoniam rogaverunt Pilatum, ut frange-
292 rentur crura eorum et tollerentur 665. Quid autem necessarium fuerat
rogare et preces offerre de hoc, si secundum consuetudinem factum
fuisset? Miserti sunt ergo Iudaei post crudelem condemnationem
eorum, qui quantum ad aestimationem eorum vivebant in cruciatu ter­
ribili, et prioris quidem crura fregerunt, similiter et secundi 66é; Iesus
autem non opus habuit intercessionibus eorum aut precibus quas obtu­
lerunt Pilato, propter quod venientes ad lesum, quoniam iam mortuus
erat, crura eius non fregerunt. Aut forte non propter misericordiam hoc
fecerunt Iudaei, sed principaliter propter sabbatum, ut non maneant
corpora super cruce in sabbato. Erat enim magnus dies illius sabbati 667.
Haec tractavimus propter quod scriptum est, quia centurio, et qui cum
eo servabant lesum, videntes terrae motum, et quaecumque fiebant
timuerunt et cetera. Verisimile est enim quoniam viderunt quomodo
velum templi erat conscissum usque deorsum, et cetera mysterium
ostendentia eorum, quae supra tradidimus, et timuerunt valde, hoc
enim significat quod dicitur valde.
Vide autem ne forte et moralem expositionem suscepit sermo hoc
modo: quoniam sunt quidam, qui suscipiunt Christum et servant; qui
si quando viderint secundum quod tradidimus velum scindi et petras
sicut exposuimus findi et monumenta secundum quod exposuimus
aperiri et corpora mortuorum sanctorum exeuntia de monumentis et
introeuntia in civitatem sanctam (id est ecclesiam), adducuntur in timo­
rem Dei et testimonium perhibent ei, quoniam filius Dei est qui talia
passus est. Et non erit mirum, si confessus fuerit aliquis filium Dei
Verbum et Sapientiam et Veritatem 668 et omnia quaecumque dicitur

663 Lc. 23, 47. 664 Ibid. 665 Io. 19, 31. 666 Io. 19, 32s. 667
Io. 19, 31. 668 Cf. Io. 1, 1; 14, 6; 1 Cor. 1, 14.

(147) Miserti sunt ergo Iudaei... aut forte non propter misericordiam bo
runt sed propter sabbatum. In un primo tempo Origene pensa a compassione dei
giudei, che vogliono uccidere i condannati per non lasciarli in un supplizio atro­
ce; poi ha un ripensamento, perché il motivo del sabato può aver giocato il ruolo
fondamentale; ma è significativa la prontezza ad attenuare lo sguardo puntato
contro il popolo che ha ratificato la condanna del sinedrio, la protensione a
distinguere e sfumare i gradi di partecipazione e responsabilità nel dramma della
croce (cf. Sgherri 1982, p. 90). Nelle tradizioni giudaiche sulla morte di Gesù tro­
viamo: «Si appese Jeshu alla vigilia di Pasqua. E quaranta giorni prima l’araldo
uscì (e gridò): “Egli esce per essere lapidato per magia e per aver traviato e allet­
tato Israele. Chiunque possegga elementi a sua discolpa, venga e ce li illustri”. Ma
C O M M E N TO A M A TTEO , 140 291

la spiegazione che abbiamo fatto del testo scritto di Marco, anche


l’espressione della redazione di Luca, poiché egli scrive così: Davvero
quest’uomo è giusto. Non si parla se non di velo. Nel vedere, dice, ciò
che era avvenuto, il centurione glorificò Dio dicendo: Davvero quest’uo­
mo era giusto. Ma che un fatto del genere avvenne al momento della
condanna di Cristo, e Pilato non aveva dato disposizioni di non osser­
vare la prassi di percuotere il corpo di Cristo, anche Giovanni lo chia­
risce scrivendo in questi termini: chiesero a Pilato che fossero loro spez­
zate le gambe e portati via. Che bisogno ci sarebbe stato di chiedere e
presentare suppliche in merito, se si fosse già proceduto come al soli­
to? I giudei ebbero dunque compassione dopo la crudele condanna di
quelli che a loro giudizio vivevano in uno strazio terribile, e al primo
spezzarono le gambe, così pure al secondo; Gesù però non ebbe biso­
gno delle loro intercessioni o delle suppliche che presentarono a Pila­
to, per questo venuti da lui, e vedendo che era già morto, non gli spez­
zarono le gambe. Anzi, i giudei lo fecero non per clemenza, ma princi­
palmente a motivo del sabato (147), perché i corpi non rimanessero in
croce durante il sabato. Era infatti un giorno solenne quel sabato. Abbia­
mo dato queste spiegazioni per quello che sta scritto: Il centurione e
quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, vistoti terremoto e quel che
succedeva, furono presi assai da timore, eccetera. È probabile infatti che
abbiano visto in che modo il velo si era squarciato sino in fondo, e ab­
biano assistito ad altri fenomeni che rivelavano il mistero delle realtà
che abbiamo precedentemente esposte, e furono presi assai da timore.
Questo è il senso dell’aggiunta assai.
Ma cerca di vedere se mai il discorso non accolga anche una inter­
pretazione morale, in questo senso: ci sono alcuni che prendono il Cri­
sto e gli fanno la guardia; ma se un giorno vedono, come abbiamo inse­
gnato, squarciarsi il velo e come abbiamo spiegato, spezzarsi le rocce, e
vedono i sepolcri aprirsi nel senso esplicato e corpi dei morti santi uscire
dai sepolcri e fare ingresso nella città santa (ossia la Chiesa), questi sono
indotti al timore di Dio e rendono a lui testimonianza che è il Figlio di
Dio colui che ha subito tale passione. E nessuna meraviglia che uno con­
fesserà che il Figlio di Dio è Verbo, Sapienza, Verità e qualunque realtà

non si trovarono elementi a sua discolpa. E alla vigilia di Pasqua lo appesero»


(Bab. Sanhedrin 43a, in Kippenberg-Wewers, p. 274); un altro testo parla di due
gemelli di cui «l’uno divenne re di tutto il mondo, l’altro si diede al brigantaggio»;
quando il brigante «venne catturato, e lo crocifissero sulla croce, (chi) andava o
veniva diceva: Sembra che sia stato crocifisso il re!» (tSanh 9, 7, in Maier 1994, p.
234): se il passo si può applicare a Gesù, il che è discusso, il re potrebbe essere
Dio e il gemello l’appeso che gli assomiglia - in senso positivo dunque un’immagi­
ne di Dio, in senso negativo uno che a Dio si è ribellato -. In ogni caso il suppli­
zio della croce aveva un suo posto nella tradizione giudaica antica, che conferma i
dati del processo, condanna, esecuzione di Gesù descritti dal Nuovo Testamento
(cf. Puech); le ultime righe della Series riprendono la lettura tropologica - o tra­
slata -, secondo cui la fede può essere suscitata dal vedere i risorti in Cristo entra­
re nella città santa che è la Chiesa (cf. supra, Introduzione, p. 51).
292 CO M M EN TARIO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 140-141

filius Dei. Et laudabilis est, qui non conturbatur in his quae videntur
contigisse ei more humano, et confitetur quia filius erat Dei.

141. Erant autem ibi mulieres multae a longe videntes, quae sec
fuerant lesum a Galilaea ministrantes ei; inter quas erat Maria Magdalena,
et Maria Iacobi et Ioseph mater, et mater filiorum Zebedaei 669.
293 De istis mulieribus prophetasse referunt Esaiam dicentem:
Mulieres venientes ad spectaculum venite; non enim est populus habens
sapientiam 670. Vocat enim mulieres quae fuerant de longe et de longe
videbant lesum, vocat eas ad Verbum, ut derelinquant quidem popu­
lum insensatum et derelictum et accedant ad novum testamentum.
Beatas autem arbitror esse mulieres quae aedificantur ad beatitudinem
a spectaculo Verbi et a morte corporis Iesu; omne enim quod est in
Christo, si vere videatur, beatum facit videntem.
Aspiciunt ergo mortificatio­ [B (Matthaei) II, 111, 25]
nem corporis Iesu et modum, Κ α ί ν υ ν δε ή κατα λυπούσα τ ή ν
quo cum precibus spiritum suum κατακυλιώίκην κ α ί ΑΓΓΑΤΟΝ Γ α ­
commendavit patri. Hae pri­ λ ιλ α ίο ν ψ υ χ ή κ α ί επ ομ ένη τω
mum secutae sunt a Galilaea, et λόγω κ α ί π ο ιο ύ σ α τ α προστατ-
ut audens dicam (utens auctori­ τό μ εν α όρφ κ α τά α λ ή θ εια ν κ α ί
tate scipturae docentis) a Gali­ τ ή ν ν ε κ ρ ό τ η τ α τ ο υ σ ώ α το ς
laea gentium secutae 671 sunt, non Ιη σ ο ύ κ α ί τ ο ν τρό π ο ν το υ
a recta neque a firma sed circui­ μ ε τ ’εύ χή ς α υ τό ν π α ρ α θ έσ θ α ι τό
tum quendam habente (hoc π ν εύ μ α τ φ π α τ ρ ί...
enim intellegitur Galilaea, id est
VOLUTATIO VEL VERTIGO) quam
relinquentes secutae sunt lesum
non otiosae, sed facientes quae
mandabantur ab eo, et delecta­
bant eum; ministrantes enim
sequebantur eum.

«<9 Mt. 27,55-56. 670 Is. 27,11 [LX X]. 671 c f. Mt. 4,15.

(148) Mulieres venientes ad spectaculum venite... Omne quod est in Ch


si vere videatur, beatum facit videntem. II testo richiamato è Is 27·, l’ebraico reci­
ta (w. 10-11): La fortezza è divenuta desolata, un luogo spopolato... I suoi rami
seccandosi si spezzeranno. Le donne verranno ad accendervi il fuoco. Certo, si trat­
ta di un popolo privo di intelligenza·, il greco legge (v. 11): Dopo del tempo non vi
sarà alcun verde per Γinaridimento. Donne che venite dallo spettacolo, avvicinate­
vi - έρχόμεναι από θέας, δεύτε -. Non è infatti un popolo che abbia intelligenza.
Se per il testo ebraico la desolazione colpirà la città santa nella sua mondanità
(cf. Oswalt, p. 499), la misteriosa lettura dei LX X , cui si attiene Origene, invita
a cogliere una luce profetica sulla primizia della comunità cristiana - le donne
che accompagnano con il loro sguardo il Crocifisso, giungendo poi a fare il giun­
to con il Risorto -; riprenderà Cirillo di Alessandria: «Forse riguardo a queste
donne evangelizzatrici della risurrezione, Isaia dice in spirito: Donne che venite
C O M M EN TO A M ATTEO , 140-141 293

di cui prende nome il Figlio di Dio. Ed è da ritenersi beato colui che non
si lascia prendere da turbamento tra le cose che sembrano capitargli sul
piano umano, e arriva a confessare: Costui è il Figlio di Dio!

141. C’erano lì molte donne che stavano ad osservare da lontan


se avevano seguito Gesù dalla Galilea servendolo. Tra queste era Maria
di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli
di Zebedeo.
Riferiscono che Isaia abbia profetato a riguardo di queste donne, di­
cendo: Avanti, donne, venite allo spettacolo; questo non è un popolo che
abbia la sapienza. Chiama infatti donne, quelle che stavano da lontano e
da lontano osservavano Gesù. Le invita [ad andare] verso il Verbo, a la­
sciare il popolo insensato e derelitto, ad avvicinarsi alla nuova alleanza.
Ma io ritengo beate le donne che sono edificate nella beatitudine dallo
spettacolo del Verbo e dalla morte del corpo di Gesù, perché tutto quel­
lo che è in Cristo, se contemplato in verità, rende beato chi lo vede (148) !
Guardano dunque alla mor­ Ma anche adesso, l’anima
tificazione del corpo di Gesù ed che ha lasciato la Galilea TOR­
al modo con cui egli affidò con TUOSA E INCOSTANTE si mette al­
preghiere il suo spirito al Padre. la sequela del Verbo e realizza
Queste in un primo momento lo ciò che riceve [da Lui], contem­
seguirono dalla Galilea e, per dir­ pla in verità il corpo morto di
la in termini audaci (valendomi Gesù ed il modo della preghiera
dell’autorità della Scrittura che con cui egli affida al Padre lo
ce lo dice), lo hanno seguito dal­ spirito.
la Galilea delle genti, da regione
non regolare né stabile, ma con
forma tortuosa (così infatti è in­
tesa la Galilea·. TORTUOSITÀ, VOR­
TICE), abbandonando la quale,
seguirono Gesù, non da oziose,
ma eseguendo quello che lui co­
mandava, e gli dava piacere, in­
fatti lo seguivano per servirlo.

dallo spettacolo, venite; non è infatti un popolo che abbia intelligenza, indicando
i giudei» (In Amos: PG 71, 557; cf. ancora Cornelio a Lapide, In Isaiam 27,252:
le donne sono invitate allo spettacolo per passare dal popolo antico a quello del
Nuovo Testamento). Si noterà che Origene commenta la heatitudo a spectaculo
verbi et a morte corporis Iesu, congiungendo il testo di Mt 27, 55 a Lc 23, 48, ove
si dice che le folle che erano insieme venute a questo spettacolo (θεωρία), veden­
do (θεωρήσαντες) le cose accadute, se ne tornavano percuotendosi il petto·, θεωρία
è intesa come lo spettacolo concreto «di Gesù di Nazareth “re dei giudei” cro­
cifìsso», quella «pubblica crocifissione e morte di Gesù, accompagnata da segni
manifesti e prodigiosi che inducono... a glorificare Dio» (Dossetti 1997a, pp.
108.105); parimenti lo sviluppo origeniano intende il vedere della fede come con­
templare e comprendere (cf. Simonetti 2004a).
294 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 141

Omnis autem anima divisionem aliquam gratiarum 672 et ipsum


dominum participans, ministrat Iesu ministerium simile ministeriis
angelorum, de quibus scriptum est, quoniam accedentes angeli mini­
strabant ei 673.
Multae ergo erant spectan­ [B (Cramer) I, 442, 30; B
tes tunc lesum, praecipuae (Matthaei) II, 111, 14] Πολλών
autem nominatae sunt et quasi δε ούσών και άλλων γυναικών
attentius spectantes et amplius κατ’εξοχήν αυται ώνομάσθησαν
ministrantes et melius sequentes: αί μάλλον θεωροΰσαι καί διακο-
Maria Magdalena magis interpre­ νουσαι καί κρεΐττον άκολου-
tationi nominis patriae suae con- θοΰσαΓ ή από του μεγαλυσμοΰ
294 veniens, quae Magdala appella­ Μαρία (Μάγδαλα γάρ μ ε γ α λ υ -
tur (interpretatur autem MAGNI­ ς μ ο ς ερμηνεύεται).

FICATIO locus ille).

Et erat haec Maria Magdalena de «magnificatione» propter nihil


aliud, nisi quia secuta fuerat lesum et ministraverat ei et spectaverat
mysterium passionis ipsius. Erat autem inter praecipuas
et Maria lacobi et Ioseph και ή των επωνύμων των
mater aut (sicut Marcus dicit) πατριαρχών μήτηρ, τσΰ π τ ε ρ ν ι -
lacobi minoris et Ioseph mater 674, ς α ν τ ο ς τον αδελφόν, καί έφ'ώγεν-

secundum nomen patriarchae νηθέντι λέγει ή μήτηρ «προσθέτω


Iacob SUPPLANTATORIS fratris sui μοι ό θεός υιόν έτερον» 676,
et Ioseph, super quem natum
genetrix dixit: Adiciat mihi domi­
nus filium alterum 675.
Et haec igitur sequens dominum et ministrans et spectans dispen­
sationem passionis ipsius, quoniam fidelis alicuius fuerat mater, non
magni alicuius (qualis fuerat patriarcha) Iacob sed minoris et Ioseph
alterius. Erat autem inter mulieres

672 Cf. 1 Cor. 12,4. 673 Mt. 4,11. 674 Mc. 15,40. 675 Gen. 30,
24. 676 Ibid.
(149) Spectantes ministrantes sequentes - nel frammento greco: θεωρο
διακσνοΰσαι. άκολουθοΰσαι -, Le donne sono qui il simbolo della conversione
della Chiesa che passa dal primo al Nuovo Testamento: gratificata dalla visione
del Verbo incarnato nella sua morte e risurrezione, avendo abbandonato la ver­
tigine della Galilea, da cui ha preso le mosse, per un servizio obbediente e una
sequela fedele. Nel leggere CMt abbiamo riepilogato la sezione della salita a
Gerusalemme in tre titoli: la Chiesa-sequela, la Chiesa-servizio, la Chiesa-veggen­
za, che ora ritroviamo personalizzati nelle donne alla croce: «Se talvolta veniamo
a conoscere le dolorose prove che ci attendono, ciò nonostante muoviamo verso
di esse»; «se uno vuole essere ritenuto grande da parte del Padre mio e più eccel­
lente rispetto ai propri fratelli, si ponga a servizio di tutti quelli di cui vuole esse­
re più grande»; «(al tocco del Salvatore) non soltanto recupereremo la vista, ma
ci metteremo persino al suo seguito... Sia lui a guidarci verso Dio (e) contem-
C O M M EN TO A M A TTEO , 141 295

Ma ogni anima che ha parte ad una distribuzione di grazie e allo


stesso Signore, esercita il servizio verso Gesù simile a quello degli an­
geli, dei quali è scritto: Avvicinandosi gli angeli lo servivano.
Molte erano dunque quelle Pur essendoci molte altre
che stavano ad osservare Gesù donne, vengono menzionate
allora, ma particolarmente sono principalmente queste che lo
menzionate per nome quelle che avevano più contemplato e servi­
più attentamente lo avevano os­ to, e meglio seguito: Maria che è
servato, in maggiore misura ser­ da quel «far grande» che è Mag-
vito e con migliore disposizione dala (quel luogo infatti si traduce
seguito (149), ossia: Maria di con FAR GRANDE).
Magdala, cui maggiormente con­
viene l’interpretazione del nome
della sua patria, chiamata così da
Magdala (località il cui nome
vuol dire FARE GRANDE).
E questa Maria Maddalena veniva dal «fare grande» non per altro
motivo, se non perché aveva seguito Gesù, lo serviva e stava ad osser­
vare il mistero della sua passione. Tra le donne più importanti
c’era anche Maria madre di anche la madre dei pariar-
Giacomo e Giuseppe o (come di­ chi aventi lo stesso nome, del
ce Marco), madre di Giacomo SOPPIANTATORE del fratello, per
minore e di Giuseppe, secondo il la cui nascita la madre dice: Il Si­
nome del patriarca Giacobbe, gnore mi aggiunga anche un altro
SOPPIANTATORE di suo fratello, e figlio.
di Giuseppe, per la cui nascita la
genitrice disse: Il Signore mi ag­
giunga un altro figlio.
Anche costei seguiva il Signore, lo serviva e stava ad osservare
l’economia della sua passione, perché era madre di un fedele, non già
di un certo Giacomo grande (quale era stato il patriarca) bensì minore,
e di un altro Giuseppe. C’era poi tra le donne

pliamo D io» (CMt 16, 1.8.11: III, pp. 13.41.58s.; cf. Ledegang 2001, p. 273;
Sgherri 2000a). Le donne appaiono nel passo in una dimensione sciolta da sche­
mi fissi, e nei loro nomi rinviano ad eventi di grazia: Maddalena-Magdol alla
magnificenza delle realtà future, alle grandi speranze di cui si nutre l’anima (cf.
HN/n 27, 9; Cacciari 2004a, pp. 133-135), la madre di Giacomo e Giuseppe ai
patriarchi, la madre dei figli di Zebedeo è portatrice di pace: Salome-, sono figu­
re femminili unificate nel simbolo della Chiesa sequens Dominum et ministrans
et spectans dispensationem passionis·, Origene dà il meglio di sé quando intrave­
de nelle donne bibliche «significati spirituali in relazione con aspetti della Chiesa
e dell’anima individuale» (Mazzucco 2000c, p. 128; cf. Mattioli, p. 70; Prinzivalli
1996. Per una ripresa recente del tema delle donne al sepolcro nelle Quaestiones
di Eusebio, con i rinvìi alle Series origeniane 77 - sull’unzione - e 141, cf.
Zamagni, pp. 58-60bis.l82-184).
296 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 141-142

et mater filiorum Zebedaei, κ α ι ή τω ν υ ιω ν τ η ς β ρ ο ν τ ή ς


f o r s it a n a liq u a c o n s is te n s in μ ή τ η ρ ό νο μ α ζο μ ένη
m in iste rio TONITRUS

propter fidem et vitam sanctam et quia dominum sequebatur et mini­


strabat <ei> et spectatrix fuerat omnium quae gesta fuerant circa eum,
quia filii Zebedaei vocati sunt «FILII TONITRUI». Erant enim filii eius
Iohannes et Iacobus: ideo Iohannes audivit septem tonitruum verba 677,
quae quasi eminentiora omni Scriptura 678, ut non scriberet, accepit
mandatum. Si autem oportet opinari et dicere etiam nomen matris fi­
liorum Zebedaei,
dico quoniam haec ipsa fue- Σ α λ ώ μ η δ έ σ τ ιν e ip h n h .
rat Salome PACIFICA appellata.
295 Opinatus sum autem hoc, videns apud Matthaeum et Marcum
tres praecipuas mulieres nominatas, de quibus praesens sermo habetur,
et duas quidem esse praesens evangelista exponit Mariam Magdalenam
et Mariam Iacobi, tertiam autem matrem dici filiorum Zebedaei·, apud
Marcum autem tertia illa «Salome» appellatur. Et secundum Marcum,
quae secutae fuerant lesum a Galilaea, cum Christo ascenderunt in
Hierusalem 679.
Iste est enim finis eorum [B (Matthaei) II, 112, 3]
qui derelinquunt Galilaeam gen- Τ έλο ς δε τω ν κ α τα λ ιπ ό ν τω ν τ ή ν
tium et sequuntur lesum, ut non Γ α λ ιλ α ία ν τω ν έθνώ ν κ α ι ά κ ο -
solum ascendant in Hierusalem, λο υθο ύντω ν Ιη σ ο ύ τό μ ή μόνον
sed etiam cum Iesu ascendant in ά ν α β α ίν ε ιν ε ις Ί η ρ ο υ σ α λ ή μ ,
eam. ά λ λ α κ α ί σ ύ ν αύτω.

Hoc enim significat quod simul ascendisse referuntur cum Christo.

142. Cum sero autem factum fuisset, venit quidam homo dive
Arimathia, nomine Ioseph, qui et ipse discipulus erat Iesu; hic accessit ad
Pilatum et petiit corpus Iesu. Tunc Pilatus iussit reddi corpus 68°.
Qui petit corpus domini a Pilato, non qualiscumque aliquis erat,
sed laudabilibus divitiis dives. Et quia decurio constitutus mysterium

677 Cf. Apoc. 10, 3 . 678 Cf. Apoc. 10, 4. 679 Cf. Mc. 15, 40ss.
6S0 Mt. 27, 57-58.

(150) Ascendant in Hierusalem cum Iesu. La sequela è iniziata dalla G


delle genti, il cui nome ricorda l’instabilità dei percorsi fuori della rivelazione e
la paradigmaticità della conversione da quella linea di confine: nel ministero di
Gesù in Galilea sono confluite le profezie messianiche, quella contrada ha senti­
to risuonare il primo annuncio del regno, da essa riparte la missione della Chiesa
(cf. Giesen, pp. 31-36). I luoghi mantengono la loro fisionomia storica e insieme
sono tappe simboliche del cammino con Gesù, come Origene aveva commenta­
to per l’ultimo tratto della salita da Gerico: «L a grande folla segue Gesù, affin­
ché, camminando dietro di lui e valendosi della sua guida, possa ascendere verso
Gerusalemme», e questo perché «occorreva che (Gesù) fosse ucciso nella
C O M M E N TO A M A TTEO , 141-142 297

a n c h e la madre di figli di Ze- a n c h e co le i ch e e ra ch ia m a ­


l e deo, u n a c h e e r a a s s id u a n e l ta m a d re d e i FIGLI DEL TUONO,
serv izio d e l TUONO,

grazie alla fede e alla vita santa e al fatto che seguiva il Signore, lo ser­
viva, e lei fu spettatrice di tutto quanto avvenne attorno a lui, perché i
figli di Zebedeo furono chiamati FIGLI DEL TUONO. Figli di lui erano in­
fatti Giovanni e Giacomo: perciò Giovanni udì le parole dei sette tuo­
ni, ed ebbe ordine di non metterle per iscritto, essendo più eccellenti
di ogni Scrittura. Se poi si deve esprimere un’opinione circa anche il
nome della madre dei figli di Zebedeo,
dico che questa fu Salome, Salome, ossia PACE,
detta la PACIFICA.
Ma mi sono fatto questa opinione nel vedere che in Matteo e Mar­
co vengono nominate tre donne importanti di cui stiamo parlando
adesso: il nostro evangelista dice che due erano Maria Maddalena e Ma­
ria madre di Giacomo, della terza indica che la chiamavano madre dei
figli di Zebedeo-, in Marco invece quella terza donna è chiamata Salome.
Secondo Marco, furono quelle che avevano seguito Gesù dalla Galilea
e col Cristo salirono a Gerusalemme.
Sì, questo è lo scopo di Questo è lo scopo di quanti
quelli che abbandonano la Gali- abbandonano la Galilea delle
lea delle genti, e seguono Gesù: genti e seguono Gesù: non solo
non salire semplicemente a Ge- salire a Gerusalemme, quanto
rusalemme, ma salirvi in compa- piuttosto salirvi in compagnia di
gnia di Gesù (150). lui.

Questo il senso della notizia che vi salirono insieme al Cristo.

142. Venuta la sera, giunse un uomo ricco di Arimatea, di n


Giuseppe, che era anche lui discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e chie­
se il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che il corpo gli fosse consegnato.
A chiedere il corpo del Signore non fu uno qualsiasi, ma un ricco
di lodevoli ricchezze. E poiché, costituito decurione, portava il miste-

Gerusalemme di quaggiù, per regnare da risorto... nella città del Dio vivente,
nella Gerusalemme celeste» (CMt 16, 9: III, p. 54; 12, 2 0 :1, p. 319). Si sale dun­
que a Gerusalemme con Gesù; la città santa non è destoricizzata e despazializ-
zata, ma vista nelle potenzialità che attendevano un culto non nella carne ma
nello spirito, non nel tipo ma nella verità (cf. Ciò 13, 85); «se c’è Israele nella stir­
pe delle anime e c’è in cielo la città di Gerusalemme, ne consegue che le città
d’Israele hanno per capitale la Gerusalemme celeste... Quanto perciò viene pro­
fetato su Gerusalemme e detto di lei... dobbiamo interpretarlo nel senso che la
Scrittura parla della città celeste» (Prin 4, 3, 8, p. 525). Se la Gerusalemme ter­
rena è soprattutto colta da Origene «come allegoria della Chiesa, o dell’anima e
della sua vita spirituale» (Perrone 1996, p. 454), essa «mantiene tutta la sua con­
cretezza, anche topografica: solo che questa città concreta va cercata nei cieli»
(Sgherri 1982, p. 411).
298 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 142-143

nominis Christi portabat in veritate (quod est decem), ideo libenter pro
beneficio magno postulavit corpus Iesu a Pilato, et non permisit eum
pendere in ligno. Propterea laudatur ab evangelistis, quia iustus et vir
bonus 681 et discipulus fuerat Iesu, et fructus discipulatus sui reddidit
forte, sicut in multis, sic et in corpore Christi, quia expectans erat
regnum Dei 682, sicut docuerat Iesus.

143. Et accepto corpore Ioseph involvit in sindone munda, et p


eum in monumento suo novo quod excidit in petra, et advolvit lapidem
magnum ad ostium monumenti et abiit 683.
296 In sindone munda involvit et in monumento posuit novo, ubi nemo
mortuus erat, servans corpus Iesu ad resurrecionem praecipuam. Puto
autem magis munditiam sindo illa habebat, ex quo involutum est cor­
pus Christi quam prius; corpus enim Iesu etiam in morte constitutum,
quasi corpus Iesu mundabat omnia quaecumque tangebat et magis
innovabat monumentum illud novum quod fuerat excisum in petra, et
ne aestimes quia fortuito scriptum est et eventu dictum est, quoniam
involvit corpus in sindone munda et in monumento posuit novo, et quia
monumentum illud excisum erat in petra, monumentum mundum,
quod a corpore Iesu mundius erat factum quam fuerat priusquam pone­
retur Iesu corpus in eo. Quaeres autem, si sunt homines nihil amplius
habentes quam corpus Iesu, novi quidem et excisi in petra, et monu­
mentum sunt eius mundum, et ideo salvi efficiuntur. Consequenter
autem et alii sunt extra eos qui habent lesum viventem: et quidam
eorum habent lesum et ante passionem viventem, quidam autem
resurgentem a mortuis; et quidam secundum quod multis apparet et
non habentem speciem neque decorem 684, alii autem habent in gloriam
reformatum 685, alii autem vident eum ascendentem et sperant rapi
cum eo in nube 68é, ut semper habeantur cum ipso 687.

681 Lc. 23, 50. 682 Mc. 15, 43. 683 Mt. 27, 59-60. 684 c f. Is.
53,2. 685 c f. Mt. 17, 2. 686 c f. Act. 1, 9. 687 c f. 1 Thess. 4,17.

(151) Ioseph decurio constitutus mysterium nominis Christi portabat in


tate (quod est decem). Abbiamo nel commento un interessante sviluppo che
riguarda il dieci, numero perfetto indicato dalla lettera greca I (iota)·, l’argomen­
to delle gammadiae - lettere numerico/simboliche - si traduce in riflessione cri­
stologica: «L a Chiesa è sfuggita alle dieci piaghe e ha ricevuto i dieci comanda­
menti (e) ha creduto nello iota, iniziale del nome di Gesù (ίησούς, Iesus)»; il
discepolo che crede in lui diventa di sua appartenenza, la lettera cristologica I
diventa la sua lettera, e il numero dieci che vi corrisponde un contrassegno di
discepolato; così le gammadiae entrano «nella letteratura, nella liturgia e special­
mente nelle arti figurative» (Quacquarelli 1989, pp. 148s.). Questo discepolo,
ricco di ricchezze lodevoli, opera in una solitudine coraggiosa e il suo intervento
conclude la giornata della passione, iniziata presto la mattina e che ora termina
tardi la sera (cf. Mt 27, 1.57); Giuseppe rispetta il sabato, ma è in ogni caso con­
taminato dal toccare un cadavere (cf. Lupieri 2003, pp. 61s.); anche in questo
gesto si mostra la fecondità di un discepolato germinato fra i “credenti dalla cir-
C O M M E N TO A M ATTEO , 142-143 299

ro del nome di Cristo in verità (cioè dieci) (151), per questo chiese vo­
lentieri il corpo di Gesù a Pilato, a titolo di grande beneficio, e non la­
sciò che continuasse a pendere dal legno. Ecco perché viene elogiato
dall’evangelista: Era uomo giusto e buono, era stato discepolo di Gesù e
forse ricambiò i frutti del suo discepolato, come già in molti casi, così
anche nel corpo di Cristo, perché egli aspettava il regno di Dio, come
aveva insegnato Gesù.

143. Preso il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose


la sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolò poi una
gran pietra sulla porta del sepolcro e se ne andò.
Lo avvolse in lenzuolo mondo e lo depose in una tomba nuova, do­
ve non c’era stato alcun morto, conservando il corpo di Gesù per una
singolare risurrezione. Ma penso che quel lenzuolo avesse più purezza
di prima per il fatto che avvolse il corpo di Cristo. Perché questo cor­
po, anche in morte, rendeva monda qualunque cosa toccasse e anzi
rendeva più nuovo (152) quel sepolcro che era stato scavato nella roc­
cia. Non credere detto a caso e scritto a cose fatte, che egli avvolse il
corpo in lenzuolo mondo e lo depose in sepolcro nuovo, che quel sepol­
cro era scavato nella roccia, sepolcro puro, reso ancora più puro dal
corpo di Gesù di quanto lo fosse prima che il corpo di Gesù fosse de­
posto in esso. Chiediti invece se ci siano uomini che non hanno altro
che il corpo di Gesù: gente nuova, intagliata nella roccia, che sono se­
polcro mondo di lui e per questo giungono a salvezza. Ne consegue che
oltre questi, ci siano altri che hanno con loro Gesù vivente: alcuni di lo­
ro hanno il Gesù che vive anche prima della passione, altri quello che
risorge dai morti; alcuni hanno il Gesù così come appare a molti senza
aspetto né bellezza, altri quello trasfigurato nella gloria, altri lo vedono
ascendere al cielo, nella speranza di essere con lui rapiti nella nube, per
trovarsi sempre con lui.

concisione”, che riceve in dono nel corpo di Gesù un sacramento del regno di
Dio atteso. Si ricorderanno i molteplici passaggi di CMt sul Cristo regno dei deli·.
«Il Cristo, infatti, è venuto e parla, lui che è ogni virtù, e per questo motivo il
regno di Dio non è in questo o in quel luogo, ma dentro i suoi discepoli» (CMt
12, 1 4 :1, p. 304; cf. CMt 10, 5.14; 12, 32); espressione pregnante è Cristo regno-
in-sé - αύτοβασιλεία -: «questo regno dei cieli venne in una carne simile a quel­
la del peccato...; si rese simile ad un uomo, un re, inteso come Gesù: il Regno si
unì a lui che ci teneva di più (se si deve avere l’audacia di dir così) ad unirsi e
diventare una cosa sola, in tutto, con il Primogenito di tutta la creazione» (CMt
14, 7: II, pp. 120s.).
(152) Corpus Iesu mundabat omnia quaecumque tangebat et innov
monumentum novum. Sindone monda e sepolcro nuovo sono segno della purifi­
cazione e novità realmente donate dal corpo di Gesù: così si esprime una splen­
dida ripresa della tradizione origeniana, ad opera di Jacopo Passavanti: «La
Pasqua non si sozza da questo morto, ma rinnovellasi tutta e rinfresca. Questo
morto non sozza i mondi e i netti; ma sana i peccatori e gl’immondi» (in
Marzuttini, p. 103; sulla purificazione vera offerta da Gesù, cf. Ciò 28, 237 e
CMtS 123, nota 108: II, pp. 223-225). «Era necessario che un morto..., per dir
300 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTHAEUM , 143-144

Ergo Matthaeus novum esse monumentum conscripsit, et in petra


excisum [non] exposuit manifeste. Et quoniam novum erat ab omni cor­
pore mortuo, manifestaverunt Lucas et Iohannes, quorum unus quidem
dixit: In quo nondum erat aliquis positus 688, Iohannes autem: In quo
nondum aliquis positus erat 689 - plane si numquam aliquis positus fue­
rat ibi, postea autem positi sunt; nam quod dicit: In quo nondum aliquis
positus erat, caute considerantibus verbum hoc significatur. Dicimus
ergo (ne forte simpliciter intellegere debemus hunc locum), quoniam,
qui dixit: Consepulti sumus Christo per baptismum 690 et consurreximus
ei, in monumento novo et intelligibili exciso in petra consepultus est et
ipse post Christum cum Christo, et omnes qui consepulti sunt Christo
297 in baptismo, ut resurgant cum eo ex novo monumento primogeniti ex
mortuis et in omnibus primatum 691 tenentis. Volvit autem Ioseph non
lapides multos ad ostium monumenti sed unum, et magnum, et maiorem
quam poterat esse insidiantium virtus, non tamen maiorem quam virtus
erat angeli descendentis de caelo et revolventis ab eo lapidem, et seden­
tis super eum\ quoniam omnia, quae sunt circa corpus Iesu, munda sunt
et nova, et non simpliciter magna sed valde omnia magna.

144. Erat autem ibi Maria Magdalena et altera Maria sedentes c


sepulcrum 692.
Post haec caritas duarum Mariarum, Magdalenae et matris Iacobi
et Ioseph, colligavit eas ad monumentum novum, propter corpus Iesu
quod fuerat ibi. Et hoc observa, quoniam superius duae istae Mariae et
mater filiorum Zebedaei, quam aestimamus ipsam esse Salomen, de

688 Lc. 23, 53 . 689 Io. 19, 41. 690 Rom. 6, 4. 691 Col. 1, 18.
692 Mt. 27, 61.

così, di una nuova specie, fosse posto in un sepolcro nuovo, ed anche puro, affin­
ché, come la sua nascita era stata la più pura di tutte le nascite, non provenendo
da unione mortale, ma da una vergine, così allo stesso modo anche la sua tomba
fosse nuova» (CC 2, 69, pp. 203s.); i particolari descritti non sono casuali - for-
tuito/σνντυχ ικώς -; l’indicazione che ne viene è di cogliere nella segnaletica del
mistero l’intenzione dello Spirito; le formule di invito - ne aestimes, quaeres
autem - manifestano anche lo sforzo che il maestro pone in atto per familiariz­
zare la comunità cristiana con le profondità della parola di Dio (cf. de Lubac
1985, p. 108; Bendinelli 1997b, pp. 54-58). Tale penetrazione di fede induce
l’esegeta a riprendere, in maniera rapida ma significativa, il tema delle forme,
degli aspetti di Gesù: «Soltanto coloro che partecipano a quel Logos, a differen­
za di quelli che non vi hanno parte, sanno le cose che a quelli non giungono»
(Ciò 2,60, p. 218); «(Come potrebbero) i nemici del Verbo divino, che non inda­
gano la dottrina cristiana con amore di verità, comprendere il significato dei
diversi aspetti di Gesù? Ed io aggiungerei anche il significato dei vari momenti
della sua vita, e di tutto quel che ha potuto fare, prima della sua passione, e dopo
la sua risurrezione dai morti» (CC 6,77, p. 573; testo in parte richiamato a CMtS
100, nota 62: II, pp. 139-140).
(153) Consepulti sumus Christo per baptismum et consurreximus ei. «F
lecitudine dello Spirito Santo tramandare, per mezzo delle Scritture, sia che fu
C O M M EN TO A M A TTEO , 143-144 301

Orbene, Matteo scrive che quello era un sepolcro nuovo ed espli­


cita chiaramente che era scavato nella roccia. A esplicitare che era nuo­
vo, [non toccato] da qualsiasi corpo morto sono Luca e Giovanni; di
questi l’uno dice: nel quale nessuno era stato ancora deposto, e Giovan­
ni: nessuno ancora vi era stato posto. Ed è ben chiaro che se non vi era
stato mai posto qualcuno, in seguito però vi furono deposti: questo stan­
no a significare, per quelli che cautamente considerano questa espres­
sione, le parole: nel quale nessuno era stato ancora deposto. Asseriamo
dunque (per non intendere per forza questo brano in senso semplice)
che chi ha detto: Siamo sepolti col Cristo mediante il battesimo e siamo
risorti insieme con lui (153), in un sepolcro nuovo e immateriale, inta­
gliato nella roccia, è stato lui stesso sepolto dopo Cristo con Cristo, e tut­
ti quelli che sono consepolti col Cristo nel battesimo, affinché risorgano
con lui dal nuovo sepolcro del primogenito dai morti, che ottiene il pri­
mato su tutte le cose. Giuseppe poi rotolò non molte pietre davanti alla
porta del sepolcro, ma una sola, una grande, più grande certo di quanto
potesse la forza di attentatori, non però più grande della forza dell’an­
gelo disceso dal cielo, per far rotolare da esso la pietra, e che stava sedu­
to su di essa. Perché tutte le cose che circondano il corpo di Gesù sono
pure e nuove, non semplicemente grandi ma assai grandi.

144. Erano lì, sedute di fronte al sepolcro, Maria di Magdala e


tra Maria.
In seguito l’amore associò le due Marie, la Maddalena e la madre di
Giacomo e Giuseppe, al sepolcro nuovo (154) per il corpo di Gesù che vi
era stato. Fa’ attenzione a questo dettaglio: precedentemente, queste due
Marie e la madre deifigli di Zebedeo, che a nostro giudizio si identifica con

un sepolcro nuovo quello nel quale è stato sepolto Gesù sia che egli fu avvolto
in una sindone immacolata, affinché chiunque voglia essere seppellito con Cristo
mediante il battesimo sappia che non si deve portare nulla di vecchio nel sepol­
cro nuovo, nulla di immondo nella sindone immacolata» (CRm 5, 8: I, p. 280).
Se «tutta l’attività del Cristo partecipa all’unico mistero della sua morte e della
sua resurrezione», se «tutti i suoi atti trovano il loro significato ultimo in questo
gran gesto redentore» (de Lubac 1985, p. 233), compete ai credenti, ai battezza­
ti di «trasformare il Vangelo sensibile in spirituale» (cf. Ciò 1, 45) conformando
alla Pasqua la novità del loro essere nella prima risurrezione «secondo cui con la
mente, l’intenzione e la fede risorgiamo con Cristo dalle realtà terrene per medi­
tare sulle realtà celesti e ricercare quelle future (protesi alla) risurrezione genera­
le di tutti nella carne» (CRm 5, 9 :1, p. 292; cf. Crouzel 1956, pp. 226s.). La Series
si conclude con un’annotazione preziosa: oltre alla purezza e alla novità c’è una
misteriosa grandezza che circonda il sepolcro di Gesù, quasi a sigillare che il cam­
mino kenotico del Verbo, di fronte alla cui perfezione «tutti gli uomini sono pic­
coli» (cf. HIs 7,1), fa ora una sosta, l’ultima, per aprirsi alla magna virtus de caelo.
(154) Caritas duarum Mariarum colligavit eas ad monumentum no
L’insistenza è sull’amore come fondamento della perseveranza e quindi della
testimonianza delle donne al sepolcro: «L e caratteristiche umane (di Gesù) pote­
vano essere viste da tutti, ma le sue caratteristiche divine... non potevano essere
accessibili a tutti» (CC 2, 70, p. 205); la sequela si prolunga nell’eco interiore
302 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 144-145

longe spectabant mirabilia, quae in passione Christi fiebant, et corpus


eius suspensum in ligno. Hic autem non permanserunt tres: mater
enim filiorum Zebedaei non scribitur cum Maria Magdalena et cum
Maria matre Iacobi et Ioseph simul sedere contra sepulcrum. Forsitan
enim usque hoc pervenire potuit mater filiorum Zebedaei; istae autem,
quasi maiores in caritate, neque his, quae postea gesta sunt, defuerunt.

145. Altera autem die, quaé est post parasceuen, convenerunt


cipes sacerdotum et Pharisaei ad Pilatum dicentes: Domine, rememorati
sumus quod ille seductor dixit adhuc vivens: post tertium diem resurgam.
Iube ergo custodiri sepulcrum usque in diem tertium, ne forte veniant
discipuli eius et furentur eum et dicant plebi: Resurrexit a mortuis; et erit
novissimus error peior priore. Ait autem illis Pilatus: Habetis custodes;
ite custodite sicut scitis. Illi autem euntes munierunt sepulcrum signan­
tes lapidem cum custodibus 693.
Rationis est interrogare principes sacerdotum, qui venerunt ad
Pilatum, ut dicerent haec quae dixerunt: Dicite, sacerdotes, cum dixis-
298 set lesus: Solvite templum hoc, et ego in triduo suscitabo illud 694, quo
proposito eum dixisse putatis? De solutione et resurrectione corporis
sui aut de templi destructione et reparatione ipsius? Si enim intellexi­
stis sic, quia de resurrectione sua ista dicebat, quomodo testimonium
dantes adversus eum dixistis, quoniam Hic dixit: Possum solvere tem­
plum hoc et in triduo reaedificare eum 695? Si autem vere de templo illo

693 Mt. 27, 62-66. 694 Io. 2, 19. 695 Io. 2, 21.
della parola e presenza del Cristo, cui le donne continuano a essere congiunte,
per la fede amante, fino a che lo ritroveranno nella dimensione che non si può
più perdere. «Poiché Dio è amore e il Figlio, che è da Dio, è amore, egli ricerca
in noi qualcosa di simile a sé, affinché per mezzo di questo amore, che è in Cristo
Gesù, noi ci uniamo a Dio, che è amore, quasi in parentela e affinità derivata da
questo amore, così come colui che era già unito a Dio diceva: Chi ci separerà dal­
l’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore? (Rm 8,35.39)» (C O pref., p.
46). Quanti, maiores in caritate, non possono separarsi dall’oggetto del loro desi­
derio, potrebbero dire con Ignazio: «Il mio amore è stato crocifisso» - ό έμός
ερος έαταύρωτοα - (in Rom. 7, 2, pp. 116s., ripreso da Origene in CCt pref., p.
48); è questo eros, letto dall’Alessandrino non come la brama terrestre da vince­
re, ma il Cristo da abbracciare, che conduce le donne fino alla risurrezione (per
una sintesi sul testo di Ignazio nella lettura origeniana, cf. Cocchini 1998a, pp.
35-38; Pietras 1988, pp. 71-78). La meditazione sulla passione ha dilatato even­
ti e protagonisti alla grandezza che ad essi conviene; si può ricordare nello stes­
so senso Ireneo, che vede unificata e purificata l’umanità nei gesti di Cristo:
«Come all’inizio nei primi uomini [Adamo ed Èva] tutti fummo fatti schiavi,
divenendo debitori della morte, così alla fine negli ultimi uomini tutti quelli che
furono discepoli fin dall’inizio... purificati e lavati dalle macchie della morte»,
giungiamo alla vita di Dio (adv. haer. 4, 22, 1, p. 355).
(155) Oicite sacerdotes: Quo proposito eum dixisse putatis? De solution
resurrectione corporis sui aut de templi destructione et reparatione? L’episodio
narrato in Mt 27, 62-66 si trova anche, con varianti, nel Vangelo di Pietro:
C O M M E N TO A M A TTEO , 144-145 303

Salome, stavano ad osservare da lontano i fatti miracolosi che si verificava­


no durante la passione di Cristo ed il suo corpo sospeso sul legno; ora in­
vece non continuano ad essere tre, infatti non si scrive che la madre dei
figli di Zebedeo sia seduta di fronte al sepolcro in compagnia di Maria di
Magdala e Maria madre di Giacomo e Giuseppe. Forse sin qui potè arri­
vare la madre dei figli di Zebedeo. Mentre queste, più grandi nell’amore,
non sono assenti neanche ai fatti che si sono realizzati dopo.

145. Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono


so Pilato i sommi sacerdoti e i farisei dicendo: Signore ci siamo ricordati
che questo impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. Or­
dina dunque che sia custodito il sepolcro fino al terzo giorno, perché non
vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato
dai morti! E questa ultima impostura sarebbe peggiore della precedente!
Pilato disse loro: Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come cre­
dete. Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e
mettendovi la guardia.
Sarebbe ragionevole rivolgere una domanda ai sommi sacerdoti che
vennero da Pilato a dirgli quel che hanno detto: dite un po’, o sacerdoti,
quando Gesù disse: Distruggete questo tempio ed io in tre giorni lo risusci­
terò, che cosa pensate intendesse dire? Parlava della distruzione e risurre­
zione del suo corpo, oppure della distruzione del tempio e della sua riedi­
ficazione (155)? Se infatti è così che avete capito, che cioè diceva questo
della sua risurrezione, come mai, producendo testimoni contro di lui, ave­
te detto: Costui ha affermato: Posso distruggere questo tempio e in tre gior­
ni riedificarlo? Se invece avete capito che parlava davvero di quel tempio,

«Udendo che tutto il popolo mormorava e si batteva il petto dicendo: “Se per la
morte di lui sono capitati prodigi così strepitosi, vedete un po’ che giusto dove­
va essere!”, gli anziani si spaventarpno e si recarono da Pilato con la supplica:
“Dacci soldati per custodire per tre giorni il suo sepolcro. I suoi discepoli
potrebbero andare a rubarlo e il popolo potrebbe farci del male, credendo che
è risorto da morte” . Pilato diede loro il centurione Petronio con soldati... Di
buon mattino, quando il sabato cominciava ad albeggiare, una folla da
Gerusalemme e dintorni andò a vedere il sepolcro sigillato» (ev. Pt. 8, 28-34, in
Erbetta 1982, p. 143). Origene coglie queste tradizioni, utilizzate anche daU’j4-
scensione di Isaia, e che hanno come loro Sitz im Leben un «confronto polemico
con il giudaismo», sviluppato «a scopi apologetici, per rispondere a obiezioni
degli ebrei contro la propaganda cristiana» (Norelli 1994, p. 165); i capi di accu­
sa a Gesù diventano annunci di risurrezione da mettere a tacere - Il Piglio del­
l’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della tena·. Mt 12, 40; Distruggete
questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere... Parlava del tempio del suo corpo·.
Gv 2, 19.21; Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo
in tre giorni: Mt 26, 61 -. Ponendo la impietas di fronte alle proprie contraddi­
zioni, l’appello origeniano si rivolge soprattutto ai sacerdotes: essi dovrebbero
sapere che l’economia del tempio prevedeva un mistero più grande di «una
costruzione di pietre insensibili» (cf. HLv 13, 5, p. 279), ma per coglierlo occor­
re non rifiutare «il significato spirituale» delle profezie (Ciò 10, 297; cf. Rossetti
1998, pp. 39-43.81-86; Ledegang 2001, p. 65).
304 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M ATTHAEUM , 145

intellexistis, secundum quod et testimonium praebuistis, unde modo


scitis quoniam dixit post tres dies a mortuis se resurrecturum? Vide
ergo quomodo impietas seipsam suis verbis expugnat. Per haec enim
verba ipsi testimonium suum illud condemnant, quoniam vere intelle­
gentes eum de resurrectione corporis sui illa dicere et scientes conver­
terunt sermones eius ad destructionem et reparationem illius insensibi­
lis templi.
Adhuc autem interrogo: Quid dicitis, sacerdotes? Nempe quia
dicebat hominibus: Post tres dies resurgam 696, et secreto mandabat
discipulis suis ut furentur eum noctu et dicant post tres dies quia resur­
rexit a mortuis? Sed hoc ex hoc ipso incredibile est, post tantos sermo­
nes morales quos in populo docuit universo et post tales et tantas virtu­
tes quas ubique in omni Iudaea ostendit, ut falleret discipulos suos ver­
bis, ut etiam ipsi culparent ista mandantem, et ideo nequaquam facerent
quod mandabat, maxime propter periculum quod imminebat eis a
populo, si confiterentur eum qui ante modicum fuerat crucifixus et do-
ctorem se habere et Christum. Si autem hoc eum dixisse incredibile est,
vide nisi consequens est, ut sicut prodigia fecit, ut sicut evangelium
suum praedicandum in toto mundo 697 praedixit, et sicut: Ante praesi­
des et reges stabitis 698, et sicut: Hierusalem destruetur ab exercitu 6" , sic
et de resurrectione sua praedixit quod ait: Solvite templum hoc, et ego in
triduo suscitabo eum 70°. Propterea et in praeiudicium suum locuti sunt
sacerdotes et Pharisaei ad Pilatum dicentes, quoniam ille seductor dixit
adhuc vivens, quoniam post tres dies resurgam.
299 Adhuc autem vide quoniam quidam venientes de custodibus in
civitatem nuntiaverunt, non aliis, sed ipsis principibus sacerdotum
omnia quaecumque fuerant facta 701, ut ex omni parte inexcusabilis
eorum constituatur impietas; illi autem nec sic miserrimi adquieverunt
documentis tantis, ut susciperent, quia Iesus erat Christus, sed et post
haec omnia malignabantur propter duritiam cordis sui. Quia sicut
induratum fuerat cor Pharaonis super tantis et talibus prodigiis, quae
in Aegypto fuerant facta 702, sic et isti sunt indurati, ut congregati cum
senioribus et consilium accipientes darent pecuniam avaris ut dicant,

696 Cf. Mc. 8, 31. 697 Mt. 26, 13 . 698 Mc. 13 , 9. 699 Lc. 21,
24.20 . 700 Io. 2, 19. 701 Mt. 28, 11. 702 Cf. Rom. 9, 18; Ex. 7,
3.13.22; 8, 11.

(156) Sicut induratum fuerat cor Pharaonis sic et isti sunt indurati. Abb
già incontrato il richiamo alle tenebre dell’Egitto che calano sul popolo dell’Eso­
do (cf. CMtS 134, nota 130: II, pp. 258-261); ora viene riproposta la figura di
Faraone, che tanta parte ha avuto nelle riflessioni origeniane sul libero arbitrio;
le polarità delle interpretazioni dell’Alessandrino riguardo al cuore indurito del
Faraone non vanno dimenticate nella prospettiva della nostra Series, specie per
le parole che sottolineano come il Faraone «sia stato inghiottito nel mare, ma
non per esserne totalemte annientato, come si potrebbe pensare, bensì perché
rigettando i suoi peccati ne sia alleggerito» (Phil 27, 5, pp. 286s.; cf. Junod, note
ibid., gli studi contenuti in Perrone 1992; Id. 2000d). Ormai alla fine del
Commento a Matteo, Origene riafferma il nodo cristologico del dramma d’Israele:
C O M M E N TO A M A TTEO , 145 305

secondo la testimonianza che avete presentato, come fate a sapere adesso


che egli disse che sarebbe risorto dopo tre giorni? Vedi dunque come l’em­
pietà si espugna da se stessa, con le proprie parole! Infatti con queste pa­
role sono loro stessi a condannare la loro testimonianza: pur compren­
dendo che egli faceva quelle affermazioni circa la risurrezione del suo cor­
po, consapevolmente le piegarono nel senso della distruzione e riedifica­
zione di quel tempio inanimato.
Una domanda ancora: che cosa andate dicendo, o sacerdoti? Che
cioè dicesse alla gente: Risorgerò dopo tre giorni e comandasse poi se­
gretamente ai suoi discepoli di rubarlo di notte e dire dopo tre giorni
che è risorto dai morti? Ma ciò, di per sé, non è credibile: che dopo tan­
ti insegnamenti morali impartiti a tutto il popolo, e dopo tali e tanti mi­
racoli realizzati apertamente in ogni parte di tutta la Giudea, con paro­
le deludesse poi i suoi discepoli, così da accusarlo anche loro di coman­
dare una cosa simile, ragion per cui non avrebbero minimamente ese­
guito tale ordine, dato specialmente il pericolo che li minacciava da
parte del popolo, se avessero confessato di avere come maestro e Cri­
sto colui che poco prima era stato crocifisso. Ora, se non è credibile
che egli dicesse ciò, considera se non sia anche logica conseguenza, che
come fece dei prodigi, come predisse che il Vangelo sarebbe stato an­
nunciato in tutto il mondo, e [come aveva detto]: Comparirete davanti
a governatori e re e Gerusalemme sarà distrutta dall’esercito, così.aveva
predetto riguardo alla sua risurrezione: Distruggete questo tempio ed io
lo farò risorgere in tre giorni. Ragion per cui, fu a loro scapito che i sa­
cerdoti e i farisei parlarono a Pilato, dicendo: Quell’impostore disse
mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò.
Ma osserva ancora: Alcune delle guardie, giungendo in città annun­
ziarono non ad altri, ma agli stessi sommi sacerdoti quanto era accaduto,
in modo che la loro empietà risultasse inescusabile da tutti i punti di vi­
sta. Ma non si piegarono, poveri sventurati, neanche a prove tanto
grandi, sì da accettare che Gesù era il Cristo, ma malgrado tutto ciò,
erano lì a malignare a motivo della durezza dei loro cuori. Perché co­
me il cuore del Faraone si indurì pur dopo così grandi e tali prodigi ve­
rificatisi in Egitto, così anch’essi si sono induriti (156), al punto che ra­
dunatisi con gli anziani e avendo deliberato di dare del denaro a gente

Non adquieverunt documentis tantis ut susciperent quia lesus erat Christus·, alla
motivazione misterica possono affiancarsi motivazioni “di ragione”: «L’amor di
polemica e il pregiudizio... fanno respingere anche le cose evidenti, pur di non
abbandonare i sentimenti che sono quasi nati con noi, e dei quali la nostra anima
è compenetrata. Egualmente riesce più agevole disfarsi di tutte le altre abitudi­
ni... che rinunziare alla dottrina religiosa in cui si crede... E questa perciò è la
causa, per cui molti dei giudei al loro tempo hanno disprezzato l’evidenza delle
profezie che parlavano di G esù» (CC 1,52, p. 101; cf. Simonetti 1998b, pp. 104­
108). Il testo della Series è stato accostato, per la vivacità della dialettica interna,
a talune riflessioni agostiniane: «Uccidere Cristo significava - per loro - cancel­
lare il nome di Cristo affinché nessuno avesse a credere in lui... cancellare la
fama della sua resurrezione e far prevalere la menzogna sopra il Vangelo...
30 6 CO M M EN TA R IO RU M SE R IE S IN M A TTH A EUM , 145

quia discipuli eius venientes noctu furati sunt eum dormientibus nobis 703.
Et qui legebant in lege: Non falsum testimonium dices 704, etiam alios
ad falsum testimonium invitabant, expendentes pecuniam multam ut
milites quidem falsum testimonium dicant (propter avaritiam periculis
se subdentes si furatum esset corpus Iesu), praesidem autem multo
magis placarent et ei suaderent (tantis pecuniis quantis poterat praeses
placari sive autem et precibus), volentes eos eruere de periculo, qui
adversus seipsos falsum testimonium praebuerunt dicentes contra
disciplinam militarem obdormisse se tunc tanto somno, ut discipuli
ausi essent venire simul et multi (confidentes quoniam milites dor­
miunt abundantius) et sic furarentur corpus Iesu.
Et haec omnia gerebantur ab operantibus contrariis virtutibus
contra Christi doctrinam, aestimantibus quoniam poterant extinguere
a vita hominum de resurrectione Domini providentiam Dei et fidem.
Et sicut nimia duritia Pharaonis non est mollita multis prodigiis factis
per Moysen, sic aut amplius duritia cordis istorum non solum factis
signis et prodigiis non est flexa, sed neque custodibus nuntiantibus cre­
diderunt, qui venerunt in civitatem et nuntiaverunt omnia quaecumque
fuerant facta 705. Et Pharaoni quidem dictum est: ad hoc ipsum te susci­
tavi, ut ostendam in te virtutem meam, et ut annuntietur nomen meum
in universa terra 706, istos autem supportavit magnanimitas Dei, vasa
irae praeparata in interitum 707, ut fiat salus in gentibus 70S.

703 Mt. 28,13 . 704 Ex. 20, 16. 7® Mt. 28, 11. 706 Rom. 9, 17.
707 Rom. 9 ,22 . 708 Rom. 11, 11.

Interroga pure, o incredulità, dei testimoni addormentati! Ti rispondano che


cosa sia accaduto nel sepolcro. Se dormivano, come fanno a saperlo? Se erano
svegli, perché non hanno catturato i ladri? (enarr. in ps. 58, 1, 3: II, pp. 246s.; cf.
Sgherri 1982, pp. 87s.).
(157) Haec omnia gerebantur ab operantibus contrariis virtutibus. La in
sabilis impietas e la duritia cordis dei capi giudei, che in vari modi cercano di
manovrare il governatore e le guardie, rinviano anch’esse alla catena di respon­
sabilità nel dramma della croce, più volte richiamata da Origene: «Dev’essere
stato pérciò il Padre... a consegnare dapprima il Figlio alle potenze ostili, e poi
queste a consegnarlo in mano agli uomini... Il Padre, ...nel suo amore per gli
uomini, lo ha consegnato per tutti noi, mentre le potenze ostili... - per quanto
dipendeva da loro, perché nessuna di esse conosceva la sapienza di Dio nascosta
nel mistero - lo consegnarono perché morisse» (CMt 13, 8: II, pp. 39s.; abbiamo
ripreso questi rapporti in CMtS 75, nota 4; 87, nota 36: II, pp. 50-51.100-101; cf.
Sgherri 1982, p. 84). Nel commento a Mt 27, 62-66, Origene anticipa e intreccia
C O M M EN TO A M ATTEO , 145 307

avida perché dica: i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato,
mentre noi dormivamo. Ed essi che pur leggevano nella Legge: Non di­
re falsa testimonianza, invitavano altri a dare falsa testimonianza, spen­
dendo molto denaro perché dei soldati attestassero il falso (sottoponen­
dosi per cupidigia a noie, in caso dell’awenuto furto della salma di Ge­
sù), e molto di più avrebbero placato il governatore e lo avrebbero per­
suaso (con tante somme di denaro quante ce ne volevano per placare il
governatore, anziché con suppliche), se avessero voluto scongiurare da
un processo coloro che avevano presentato una testimonianza falsa do­
po tutto a loro sfavore, affermando che, in contrasto con la disciplina
militare, stavano dormendo allora di sonno così profondo, da aver osa­
to i discepoli venire insieme e in parecchi (contando sul fatto che i sol­
dati dormissero più a lungo) e aver rubato così la salma di Gesù.
A compiere ciò erano potenze avverse che operavano in contra­
sto (157) con l’insegnamento di Gesù, e che pensavano di poter elimi­
nare, dalla vita degli uomini, il piano provvidenziale di Dio e la fede
circa la risurrezione del Signore. E come la ostinata durezza del cuore
del Faraone non si addolcì coi molti prodigi realizzati grazie a Mosè,
così, anzi di più, la durezza del cuore di costoro non si piegò agli av­
venuti segni e prodigi, ma neppure credettero all’annuncio delle guar­
die, che giunsero in città, e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era
accaduto. Al Faraone fu detto: Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la
mia potenza, e perché il mio nome sia annunziato su tutta la terra-, costo­
ro invece furono sopportati dalla magnanimità di Dio, vasi di collera già
pronti per la perdizione, affinché la salvezza giungesse tra i pagani.

i testi del contro-annuncio giudaico di Mt 28, 11-15, sottolineando il lavorio


delle potenze umane, religiose e politiche, congiunte per far tacere - in quel
sabato - l’eloquente riposo del Cristo (cf. Lupieri 2003, p. 63, che rileva come le
autorità si riuniscono quasi «controparte terrena di Ade»). Peraltro il congedo
dalle Series, al termine del lungo percorso, è una parola di speranza - fiat salus
in gentibus -: «L’Apostolo... dichiara che l’errore stesso d’Israele fu di un gene­
re tale da far sì, non che essi cadessero, ma che dessero ai gentili, mediante il loro
sbaglio, la salvezza... Adesso certo, fintantoché tutti i gentili giungono alla sal­
vezza, le ricchezze di Dio vengono raccolte dalla moltitudine dei credenti; ma
finché Israele persiste nell’incredulità, non si potrà ancora dire che sia completa
la pienezza della porzione del Signore: manca infatti per la completezza il popo­
lo d’Israele... Se dunque per fare entrare la pienezza delle nazioni la cecità è toc­
cata ad Israele a causa di tutto quello che commise, senza dubbio non appena
sarà entrata la pienezza delle nazioni, la cecità cesserà» (CRm 8, 9.12: II, pp.
65.68s. 81). L’analisi origeniana del nodo Israele - Cristo - Chiesa non perde di
vista alcun elemento - responsabilità, libero arbitrio, anche condizionamenti
sociologico/religiosi -, ma la sintesi che tutto lega e vince è la speranza connes­
sa al mistero salvifico di Dio rivelantesi nel dono di Cristo.
INDICI
INDICE SCRITTURISTICO

A n t ic o T e st a m e n t o 38, 27s.: II, 230 2, 13: II, 85


41, 4 6 :1, 30; II, 72 13,26: II, 200
49, 10: Π, 276 16: II, 224
49, 10 (LXX): I, 262 21, 10: II, 170
G en esi

1, 16:1, 298 E so d o N um eri


1, 24-27: Π, 262
1, 26: II, 262 1, 8ss.: I, 376 5, 19: II, 160
1, 26-27:1, 364 1 ,2 2 :1, 244 5,21:11, 160
2, 2 :1, 280 3 ,3 :1 , 278 7, 12: II, 86
2 ,7 :1,316 3, 5 : 1, 278; II, 10 7, 12ss.: II, 87
3, 1:1, 294 3, 14 (LXX): I, 391 10, 1 :1, 15
3, 6 :1, 176 7,3.13.22:11,304 10, 1-10:1, 330
3, 19:1,362 8, 11:11,304 10, 14ss.: I, 326
4, 1:1, 26, 352 10, 21s.: II, 260 12, lss.: I, 120
4, 2 :1, 360 10, 22s.: II, 264 18, 19: II, 85
4, 8 :1, 192 10, 23:11, 260 24, 1 :1, 127
4, 10:1, 200 10,23 (LXX): II, 260 24, 9: II, 247
4, 17:11,218 12, 11:11, 232 24, 17:1, 126
5, 1-3:1,364 12, 2 2 :1, 146
5,21.25:11,218 13, 9.16:1, 146
5, 29 (LXX): I, 280 13, 2 2 :1, 320 D e u t e r o n o m io
7, llss.: I, 354 15, 4 : 1, 198
9, 6 :1, 364 16, lss.: I, 246 5, 3 2 :1, 226
9, 2 0 :1, 360 16, 18:1,416 6,7:11, 131
15, 6 :1, 414 17, 8s.: II, 218 6, 8 :1, 146
19, 17:1, 272 20, 16: II, 306 7, 2: II, 142
19, 21s.: I, 356 22, 2s.: I, 366, 368 11, 18:1, 146
22, 5 (LXX): II, 107 25, 8: II, 280 11, 19: II, 131
27, 2 7 :1, 272 25, 40: II, 278 14, 22-29:1, 430
27, 42ss.: I, 270 28, 32.36: II, 242 1 6 ,5 :1, 142
28, 20.22: II, 96 33, 23: II, 281 16, 16:1, 142
28,21:1, 445 19, 15: II, 156
29, 33: II, 236 22ss.: I, 172
30, 24: II, 294 L e v it ic o 22, 12:1, 146
31, 20s.: I, 270 2 5 ,5ss.: II, 178
32, 2: II, 146 1,2.3:11, 176 25, 7ss.: II, 174
32, 3 2 :1,270 1,4: II, 231 28,3:1, 272
37, 11:1, 120 1, 6: II, 65 32, 11:1, 208
312 IN D IC E SC R IT T U R IST IC O

G io s u è 20, 2 6 :1, 442 39 (40), 8 :1, 273


30, 24: II, 196 40 (41), 1 :1, 382
2, 18: II, 230 35, 6: II, 181 40 (41), 10: II, 84
4, 10ss.: II, 143 40: II, 123 44 (45), 7: II, 232
18, 16:1, 164 44 (45), 14:1, 139
51(52), 10:1,218; II,
S alm i 98
1 R e (1 S a m u e l e )
54 (55), 14: II, 70
1,3:1, 336 56(57), 11:1,316
5: II, 163
12, 17:1, 244 2, ls.: II, 188 63 (64), 9s.: II, 280
14, 24: II, 214 2, 2: II, 50, 53, 110, 67 (68), 19: II, 249
. 112, 188, 228, 68 (69), 22: II, 270,
14, 45ss.: 11,214
24, 11:1, 264 229 273
2, 3: II, 188, 190 68 (69), 24: II, 262
25, 2 8 :1, 236
2, 6: II, 242 71 (72), 7 :1, 242
28, 19:1, 358
7, 17: II, 144 72 (73): I, 284
9, 14s.: I, 226 72 (73), 2: II, 286
3 Re (1 R e ) 9, 28 (10, 7): II, 273 72 (73), 7s.: I, 204
10 (11), 5 (LXX): I, 72 (73), 8: I, 286; II,
1, 6 :1, 358 118 270
6, 2ss.: II, 276 11 (12), 2 :1, 290 72 (73), 8s.: I, 228,
14, 12:1, 358 11 (12), 3: II, 52 248
18, 9s.: II, 260 11 (12), 7 : 1, 406 79 (80), 2: II, 164
22, 16:1, 160 13 (14), 3 : 1, 242 79 (80), 13: II, 244
15 (16), 10: II, 248, 81 (82), 6s.: I, 184
276 81 (82), 7: II, 70,71
4 R e (2 R e )
17 (18), 7: II, 108 86 (87), 1 :1, 278
18 (19), 5:1, 290 87 (88), 5: II, 286
1, 6 :1, 358 19 (20), 8-9:1, 198 88 (89), 37-38: II,
2, 11:1,316
21 (22), 2: II, 266 268
6, 16s.: II, 146
21 (22), 17: I, 246, 88 (89), 37-40: II,
23, 22ss.: II, 216
304 266
21, 17:1, 304 88 (89), 39-40: II,
2 C ronache 22 (23): I, 180 268
22 (23), 2: II, 272 89 (90), 1 :1, 340
3, 10-14: II, 276 22 (23), 2 (LXX): II, 90 (91), 5s.: Π, 148
18, 2 6 :1, 202 270 90 (91), 6: II, 148
24, 2 0 :1, 202 22 (23), 5: Π, 90, 118 90 (91), 11: Π, 148
24, 20s.: I, 188 23 (24), 3s.: I, 226 90 (91), 15: I, 443,
29 (30), 8: II, 268 444
29 (30), 10: II, 267, 94 (95): 1,280
G io b b e 268 99 (100), 2 :1, 428
32 (33), 6 :1, 262 101 (102), 2 7 :1, 240
7, 1 (LXX): II, 122 33 (34), 18: II, 146 102 (103), 15: II, 92
9, 25-26:1, 326 33 (34), 2 0 :1, 254 103 (104), 15: II, 272
13,27:11, 198 35 (36), 6: II, 168 108 (109): II, 152
15, 3 5 :1, 244 38 (39), 3s.: II, 158 108 (109), 7 :1, 202
39 (40), 3: II, 244 109 (110): 1 ,126,130
IN D IC E SC R IT T U R IST I CO 313

109 (110), 1: I, 122, 2 1 ,2 2 :1, 236 2, 5 :1, 326


126, 128, 132, 22, 28: II, 246 2, 12: II, 188
246; II, 164, 166 23,5:1, 296 3 ,2 0 :1, 152
109 (110), 4 : 1, 126 23, 5 (LXX): I, 296 7, 13: II, 86
109 (110), 5:1, 128 27, 1: II, 82, 85 9, 4 : 1, 276
111 (112), 9: I, 418, 9, 6 :1, 424
419 10, 17:1, 320
114-115 (116), 9: I, E c c l e s ia st e 11,20: II, 46
194 (Q o è l e t ) 11,23:1, 444
115 (116), 3: II, 118 16, 20s.: II, 138
115 (116), 7: II, 184 1 ,4 :1, 340 17, 19.20: Π, 260
115 (116), 11:11, 102 2, 14: II, 246 18, 1:11,260
118(119), 18:1, 142 3, ls.: II, 74 21, 2 :1, 270, 278
119 (120), 7: II, 144 3 ,7:1, 106
120 (121), 1 :1, 278 6, 4 : 1, 246
120 (121), 4: Π, 114 7, 2 : 1, 244 E c c l e s ia s t ic o
120 (121), 6 :1, 306 8, 5 : 1, 26, 350 (S ir a c id e )
121 (122), 5:1, 430 10, 8: II, 144
122 (123), 2: II, 184 12, 7 :1, 362, 386 24, 33:1,312
127 (128), 3: II, 98 46, 10:1, 308
131 (132), 2-5: II,
130 C a n t ic o
131 (132), 4: I, 358, d e i C a n t ic i I sa ia
364, 372, 374,
402 1: II, 285 1,2:1,316
133 (134), 1: II, 184 1,3:1,398, 400 1, 8 :1, 212; II, 208
134 (135), 1: II, 184 1, 3-4:1, 415; II, 65 1, 10:1, 320; II, 52
143 (144), ls.: I, 236 1, 7: II, 261 1, 13s.: II, 216
144 (145), 15:1, 246 1 ,8 :1, 431 1, 15: II, 226
147, 15:1, 290 1, 11-12:1, 325 2, 1-4: II, 143
1, 12: II, 61 3, 10: II, 188
1, 16:1, 306 3, 10 (LXX): Π, 188
P roverbi 5, 6:1,316; II, 168
2, 3 :1, 306
2, 5 :1, 225 5, 18: II, 182
1 ,2 0 :1, 262 6: II, 144
2, 8 :1, 246, 402
2, 5 : 1, 67, 390, 408 6, 1: Π, 164
2, 9 :1, 342
3, 4s.: II, 130 6, 10: II, 144
2, 9-10:1, 216
3, 22ss.: II, 52 7, 11:1, 127
2, 10-13:1, 337
3,24-25: II, 131 7, 14:1, 126
2, lls .:I , 336
6, 4s.: II, 120 10, 1: Π, 270
3, 2 :1, 150
7, 4s.: I, 380 13,9-11:1,300,310
5,2:11, 131
8, 2 2 :1, 124 7, 6 (LXX): II, 188 19, 1 :1, 320
12, 18:1,236 22, 2 :1, 236
13, 4 :1, 306 26, 17-18,1, 343
13, 21: Π, 122 S a p ie n z a 26, 17-18 (LXX): I,
15,32 (LXX): I, 118 275
16,3:1, 118 1,3:11, 138 26, 18: I, 248, 272,
16, 2 5 :1, 228 1, 4: II, 138 344
20, 9 :1, 226 2 : 1, 442 27: II, 292
314 IN D IC E SC R IT T U R IST IC O

27,11 (LXX): II, 292 24, 3 :1, 336 G io e l e


29, 13:1, 166 25, 15ss.: II, 129
30, 2 6 :1, 302 32, ls. (LXX): Π, 126 2, 10s.: I, 300
31,2:11, 182 32, 6-9: II, 202 2, 10s.30s.: 1,310
33, 13:1, 400 32, 14s.: II, 128 2, 30s.: I, 300
33, 15:1, 398 38, 6 (LXX): I, 202
33, 15 (LXX): 1,400 39, 2 4 :1, 244
36, 6: II, 230, 232 Am os
3 7 :1, 294
38,3:1, 338 L a m e n t a z io n i 8, 10:11,216
38, 8 :1, 340
38,21:1, 338 2, 1 :1, 130
40, 9: II, 99 G io n a
40,31:1, 296
49, 9: II, 188 B aruc 2,2:11, 271
50, 1-3: II, 172 2, 2ss.: II, 270
50, 2-7: I, 28, 40; II, 1, 11:1, 70; 11,214 3, 10: II, 104
172
50, 4-7: II, 172
E z e c h ie l e
50, 6 :1, 32 MICHEA
52, 13:1,439
16, 5 ls.: II, 52
53, 2: II, 298 4 ,4 :1, 338
29, 3 .9 :1, 106
53, 2s.: I, 21, 220, 7, 1 (LXX): II, 268
33, 10s.: II, 182
352 7, 2 (LXX): II, 268
33, 11:11, 202
53,4:1, 438 3 4 :1, 180
5 3 ,5 :Π, 93
5 3 ,7 :1, 432 A bacuc
5 3 ,8 :1, 439 D a n ie l e
53, 9: II, 154, 155 3, 8 :1, 198
53, 12: II, 244 3, 86 (LXX): I, 386
56, 7: Π, 108 4, 27: II, 66
59, 4 :1, 244 7, 15:1, 244 Aggeo
61, 2: Π, 48 9, 24-27 (LXX): I,
64,3:1, 354 260 2, 6: II, 280
65, 5 :1, 174; II, 108 9, 26 (LXX): I, 262
66, 1 :1 ,130 9,27:1,244,260,262
66, 2 4 :1, 440 9, 27 (LXX): I, 256 Z a c c a r ia
11,27:11,86
11,31:1,244 1, 1 :1, 188
G e r e m ia 13 ,5 9 :1, 378 9, 9 :1, 196
9, 9s.: I, 197
1, 6 :1, 346 11, 12s.: II, 204
2, 21: 1, 110 O sea 11, 12-13:11, 202
4, 19:1, 408 12,9-14:1, 302,310
5, 3: II, 176 6, 6 :1, 172 13,7:11, 152
6, 4 :1, 236 10, 12:1, 306 14, 4: II, 98
9, 2 2 :1, 424 12, 5: II, 74
13, 17:1, 163
IN D IC E SC R IT T U R IST IC O 315

M a l a c h ia 7, 24-27:1, 336 15 8s.: I, 166


8, LO: II, 110 15 13:1, 272
3,20: II, 180 8, 2 0 :1, 442 15 32-38: II, 91
4, 2 :1, 368 9,«?: I, 422 16 1 :1, 106
9, 20: II, 64 16 16:1,230; II, 164,
9, 26: II, 136 171
10 20: II, 178 16 17:1,230; II, 164
Nuovo T e s t a m e n t o 10 2 5 :1, 110, 162 16 18: II, 62, 282
10 2 8 :1, 362, 386 16 21: II, 48, 284
10 3 2 :1, 248 16 23:1, 438
M atteo 10 33: II, 182 16 24: II, 54
10 41: II, 67 17 lss. e parr.: 1,426
3, 17: II, 114 11 12:1, 156 17 1-3:1,314
4, 3.6: II, 162 11 13: I, 192, 260, 17 2: II, 138, 298
4, 11:11, 294 292 17 3: II, 106
4, 15: II, 292 11 2 7 :1, 346 17 4: II, 106
4, 16: II, 100 11 28-30:1, 144 17 4ss.: II, 108, 110
4, 19:1, 308 11 29: I, 150, 432, 17 5:1,314,316
4, 23:1,318 446; II, 114 17 22: II, 50
5, 1-3:1, 134 11 3 0 :1, 138, 177 18 6 :1, 154, 156
5, 3ss.: II, 143 12 24: I, 156; II, 52, 18 19: II, 57, 108
5, 4 :1, 200 134 18 2 0 :1, 402
5,5:1,414 12 2 6 :1, 246 18 23-35:1,412
5, 9: II, 144 12 29: II, 190 19 3-12:1,9
5, 13:1, 242 12 32: II, 182 19 2 8 :1, 150
5, 14: I, 242, 308; II, 12 3 3 :1, 360 20 lss.: II, 166
282 12 4 0 :1 ,148; II, 252, 20 13:1, 15; II, 142
5, 14-16: II, 284 303 20 13s.: II, 142
5, 15:1, 422 12 4 6 :1, 134 20 2 3 :1, 128
5, 16:1,310,392 12 46-50:1, 250 20 2 5 :1, 56
5, 17: II, 96 12 4 7 :1, 134 20 25ss.: I, 376
5, 19:1, 112, 138 12 48-50:1, 134 21 8:1,318
5, 2 8 :1, 178 13 I, 134 21 10:1, 206
5, 3 4 :1, 168; II, 160 13 1-3:1, 134 21 19s.: I, 336
6, 2 :1, 144 13 10:1, 136 21 2 5 :1, 192
6, 3s.: I, 144 13 2 3 :1, 406 21 2 6 :1, 192
6, 4 .6 :1, 146 13 24ss.: I, 322 21 4 3 :1, 212
6, 5 : 1, 144 13 2 7 :1, 322 22 s.: I, 126
6, 6 :1, 144 13 3 8 :1, 360 22 12:1, 15; II, 142
6, 9 :1, 110, 150, 446 13 39-43:1, 324 22 21: II, 132
6, 22: II, 186 13 4 3 :1, 324, 356 22 2 3 :1, 106
7,2:1, 164 13 4 4 :1, 272 22 23ss.: I, 122
7, 6 :1, 434, 435 13 44ss.: I, 168 22 3 4 :1, 106, 108
7, 7 : 1, 247 13 4 7 :1, 324 22 34-40:1, 106
7, 13:1, 230; II, 222 13 5 2 :1, 161, 198 22 3 5 :1, 108
7, 14:1, 230 14 15-21: II, 91 22 3 6 :1, 108, 110
7, 18: II, 192, 194 15 1-20:1, 166 22 3 7 :1, 110, 416
7, 22s.: I, 228 15 6 :1, 166 22 3 9 :1, 112, 114
316 IN D IC E SC R IT T U R IST IC O

22 4 0 :1, 114, 118 24, 6 :1, 22, 230, 238 24, 4 2 :1, 23, 364
22 41-46:1, 122 2 4 ,7 :1,240,244,250 24, 4 3 :1, 68, 366
22 4 6 :1, 124 24, 7s.: I, 238 24, 45: I, 55, 374,
23 1-12:1, 134 24, 7 .8 :1, 34 376, 378, 382,
23 2 : 1, 53, 136 24, 8 :1, 244 386; II, 114
23 3 :1, 138 24, 9 :1, 22 24 45ss.:1,53,54
23 4 :1, 142 24, 9-14: I, 34, 52, 24 4 6 :1, 384
23 5 : 1, 140, 146 250, 252 24 46s.: I, 384
23 6-7:1, 140, 148 24, 12:1, 242, 356 24 4 7 :1, 384, 386
23 8 :1, 140, 150 24, 13:1, 238, 372 24 4 8 :1, 386
23 11:1, 150 24, 14:1, 256 24 4 9 :1, 386
23 12:1, 150 24, 15: I, 35, 244, 24 50:1,37,378,386
23 13:1,36,152,156 256, 264, 266, 24 51:1, 378,386
23 13ss.: 1,53 282,292,310 25 I, 439
23 15:1, 160 24, 16: I, 264, 270, 25 1-2:1, 388
23 15b: I, 163 278 25 1-9:1, 393
23 16-22:1,71, 166 24, 18:1, 264 25 3 :1, 394
23 17.19:1, 166 24, 19: I, 68, 264, 25 4 : 1, 392
23 23.24:1, 172 272,274 25 5 : 1, 394; II, 130
23 23.27-28:1, 182 24, 20: I, 264, 276, 25 6 :1, 396
23 2 5 :1, 178 280 25 6-12:1, 394
23 25-26:1, 176 24,21:1, 264,282 25 8 :1, 396
23 28: II, 226 24, 2 2 :1, 284 25 9 :1, 392, 398
23 29-36:1 ,186, 190 24,23:1, 264 25 11:1,398, 400
23 3 0 :1, 186 24, 23s.: I, 266 25 12:1, 398
23 30.29:1, 190 24, 23-28:1, 286 25 13:1, 400
23 31:1,190,198; II, 24, 2 4 :1, 266, 294 25 14: I, 402, 405,
52 24, 2 5 :1, 344 412
23 32: I, 186, 196, 24, 2 6 :1, 52,288 25 15ss.: I, 406
198; II, 268 24, 26s.: I, 430 25 15-30:1, 410
23 3 3 :1, 186, 192 24, 2 7 :1, 290 25 16:1, 408
23 34: I, 186, 194, 24, 28:1,51 25 18:1, 408
198 24, 2 9 :1, 35, 306 25 19:1, 412
23 3 5 :1, 188, 200 24, 29-30a: I, 296 25 2 0 :1, 414
23 37: I, 20, 206, 24, 3 0 :1, 23, 33, 306 25 20-23:1,414
208, 210 24, 30b: 1,312 25 21:1,414
23 37-39:1, 202 24, 31: I, 15, 322, 25 24-27:1, 416
23 3 8 :1, 208, 212 324,330, 332 25 2 6 :1, 410, 414
23 3 9 :1, 208, 210 24, 32-35:1, 334 25 2 8 :1, 422
23 41.42:1, 356 24, 3 3 :1, 340 25 2 9 :1,64,422,440
24 1:1,218 24,34:1,51,340 25 3 0 :1, 410
24 1-2:1,210 24, 3 5 :1, 238, 344 25 31:1, 426
24 1-44:1, 3767 24, 3 6 :1, 346, 352 25 31-34:1,426
24 2:1,214,218,340 24, 37-39:1, 354 25 31-40:1,419
24 3:1,21,216,218, 24, 4 0 :1, 364 25 31-46:1, 109
222 24, 40.41:1, 360, 361 25 32: I, 426, 428,
24 4s.: I, 220, 222 24, 41a: I, 364 430
24 5 : 1, 226, 232 24, 41b: I, 364 25 3 4 :1, 432, 440
IN D IC E SC R IT T U R IST I CO 317

25 34ss.: I, 418 26 29 par.: II, 78 26, 6 4 :1, 33, 229; Π,


25 35: I, 49, 418; II, 26 30: II, 100 164, 172
272 26 30ss.: II, 46 26 65a: II, 168
25 35.36:1, 350 26 31: I, 63; II, 46, 26 67.68: II, 172
25 35-41:1, 434 82, 102, 186 26 69s.: II, 102
25 35.42:1, 108 26 31-32:11, 98 26 72: II, 102
25 35.43:1, 108 26 33: II, 82, 102 26 73: II, 178
25 3 6 :1, 444 26 33ss.: II, 46 26 74: Π, 102
25 3 7 :1, 438 26 33-35: Π, 102 26 7 5 :Π, 186
25 3 9 :1, 446 26 34: II, 82 26 75 par.: II, 98
25 40: I, 108, 418, 26 3 5 :1, 29; II, 106 27 1: II, 186
436, 438 26 36: II, 106, 108, 27 ls.: II, 50
25 41: I, 440, 441, 112 27 1-2: II, 186
442 26 36ss.: II, 46 27 1.57: Π, 298
25 41ss.: 1,418 26 37: II, 110 27 2: II, 190
25 42ss.: I, 442 26 38: II, 112, 130, 27 3: Π, 196, 198
25 43:1, 444 268 27 3-10: II, 192
25 4 5 :1, 446 26 39: I, 24, 28, 61, 27 4: II, 200
25 4 6 :1,376; II, 114 72; II, 114, 126 27 5: II, 70, 200
25 4 9 :1, 376 26 40: Π, 128, 130 27 6: Π, 202
26 1: II, 46 26 40s.: II, 120 27 9 :1,42
26 2: II, 48 26 41: II, 110, 122, 27 9-10: II, 202
26 3ss.: II, 50 124 27 11:11, 206
26 5: II, 52 26 42: Π, 124, 126 27 12-14: II, 208
26 6ss.: II, 54 26 43: II, 128, 130 27 14: Π, 212
26 6-7:1, 48 26 44: II, 128 27 15: II, 212
26 7: II, 65 26 4 5 :1, 72 27 16-18: Π, 216
26 9: II, 54, 64 26 46: II, 130, 134 27 17:11,218
26 12: II, 54 26 47: II, 134, 140 27 19: II, 220
26 13:11, 70,304 26 47s.: II, 50 27 20-21: II, 222
26 14ss.: II, 68 26 48-50a: II, 136 27 21:11,216
26 16: II, 72 26 50: II, 48, 142 27 21 par.: II, 116
26 17ss.: II, 46, 74 26 50-51: II, 142 27 22-26: II, 224
26 18: Π, 76 26 52: II, 144 27 24: II, 208, 224
26 20ss.: II, 46 26 52a: II, 144 27 25: II, 226
26 20.21: II, 78 26 54: II, 148 27 26: II, 226
26 21: II, 80 26 55: II, 136, 148 27 27-29: II, 226
26 22: II, 80 26 56a: II, 150 27 31-32:11, 234
26 23: II, 84, 86 26 56b: II, 150 27 32.33: II, 232
26 24: II, 86, 88 26 57: II, 152 27 34: II, 238
26 25: II, 88 26 58: II, 152, 196 27 35.36: II, 238
26 26ss.: II, 46 26 59.60a: II, 154 27 37: Π, 242, 266
26 26-29: II, 90, 91, 26 60s.: II, 246 27 38: II, 244, 266
95 26 60b.61: II, 156 27 39-43: II, 244
26 27.29: II, 238 26 61:11, 159,303 27 40: II, 246
26 28 par.: II, 96 26 62.63a: II, 158 27 44: II, 248, 266
26 29: I, 76; II, 92, 26 63: II, 206 27 45:1,300; II, 252,
94 26 63b.64a: II, 160 257
318 IN D IC E SC R IT T U R IST IC O

27 4 6 :1, 25; II, 272 13, 9: II, 304 7, 3 7 :1, 50; II, 61
27 46.47: II, 264 13,27:1, 330 7, 37s.: II, 186
27 47.49: II, 270 13, 35: I, 358, 366, 7, 37ss.: I, 130; II, 56
27 48: II, 270 372 7, 40: II, 54
27 50: II, 272, 274, 14, 5: II, 54 7, 41.47: II, 62
284 14, 6: II, 64 7, 44: II, 64
27 50.51:11, 289 14, 8: II, 54, 64 7, 46: II, 62
27 51: II, 276 14, 9: II, 54, 66 7, 47: II, 69
27 51s.: II, 254 14, 12ss.: II, 74 8 :1, 134
27 51b-53: II, 280 14, 13:11, 78 8, 4ss.: I, 134
27 54: II, 286 14, 13-14:1, 58 8, 9 :1, 136
27 55: II, 293 14, 14: II, 76 8, 16:1, 422
27 55-56: II, 292 14, 15: I, 436; II, 76, 8,23:1, 278
27 57-58: II, 296 96 8, 2 4 :1, 278
27 59-60: II, 298 14, 32ss.: II, 118 8, 46:1,318
27 60: II, 202 14, 33:11, 110, 112 9, 29:1,318
27 61: II, 300 14, 44: II, 136 9, 33: II, 106
27 62-66: II, 302, 14,55-59: II, 158 9, 6 2 :1, 272, 410
306 14, 58: II, 159 10, 6: I, 232; II, 143,
27 6 6 :1, 7 14, 61: II, 208 219
28 11:11,304,306 14, 62: II, 164, 166 10, 18:1, 306; II, 70
28 11-15:11,307 15, 23: Π, 240 10, 27:1, 114
28 13: II, 306 15, 39: II, 286 10, 42: II, 56
28 18:1, 384 15, 40: II, 294 11, 3 2 :1, 160
28 2 0 :1,294,402; II, 15, 40ss.: II, 296 1 1 ,3 9 :1, 178
120 15,43:11, 288, 298 11,46:1, 144
15, 44-45: II, 288 11,52:1, 161
12, 35s.: I, 370, 374
M arco 12, 35ss.: I, 66, 370
L uca 12, 4 1 :1, 374
1, 2s.: II, 118 12, 4 2 :1, 376, 378
I, 15:1,412 1,35:1,316 12, 4 5 :1, 376
4, 1-3:1, 134 1, 78: II, 180 12, 4 6 :1, 362, 386
4, 10:1, 136 2, 10:1, 248 12, 50: II, 181
4, 19: II, 78, 230 2, 13: II, 146 13, 7 :1, 336
4, 3 9 :1, 108 2, 14:1, 248 13, 11: II, 170, 188
5,37:11, 110 2, 37: II, 68 13, 16: II, 188
5, 40: II, 108 2, 5 2 :1, 346 13, 2 4 :1, 156
7, 7 par.: II, 178 3, 23:11, 72 13, 3 3 :1,206
7, 10:1, 166 4, lss.: II, 118 13, 35: II, 228
7, 3 4 :1, 400 4, 13: II, 46, 198 14, 15: II, 94
8,31:11,304 4, 29s.: II, 134 15: II, 176
8, 33:1, 116 6, 2 0 :1, 134 15, 27.32: II, 176
9, 6: II, 106 6,21:1,414 16, 8 :1, 380; II, 254
II, 13s.: I, 336 6,25:1,200,308,388 16, 23.25: II, 220
11, 14:1, 336 7, 16: II, 52 17, 3 4 :1, 360
13, 1:1,212 7, 36: II, 54, 62 18, 13: II, 108
13, 8 :1, 238 7, 36ss.: II, 63 18, 14: II, 108
IN D IC E SC R IT T U R IST I CO 319

19 10:1, 208 1,3:1, 344 10, 11.14: II, 272


19 11:1, 354 1, 9 :1, 226, 268, 294; 10, 18: II, 286, 288
19 17:1, 384 II, 232,262 10, 2 5 :1, 229
19 19:1, 384 1, 12:1, 162 11, 1:11,83
19 21:1,418 1, 13:1, 150 11,5:11,56
19 22: II, 88 1, 14:11,210, 241 11,25:1, 124; II, 232
19 24.26:1, 432 1, 26s.: I, 402 11 ,5 2 :1, 208
19 41:11,52 1, 29: II, 101 12: II, 46
20 3 6 :1, 442 1, 4 0 :1, 422 12, 1: II, 54
21 9 :1, 52, 230 1, 4 5 :1, 422 12, 2s.: II, 54
21 11:1, 238 2: II, 46 12, 3: I, 130; II, 54,
21 2 0 :1, 258 2, 4: II, 46, 133 61,62
21 24.20: II, 304 2, 15s.: II, 202 12,5: II, 54, 64
21 3 6 :1,358 2, 19: II, 156, 157, 12, 7: II, 54, 70
22 3:11,50 159, 246, 248, 12, 13: II, 60
22 6: II, 72 302, 304 12, 17: II, 46
22 7: II, 74 2, 20: II, 156 12, 24s.: II, 90
22 15s.: II, 92 2,21:11, 156,302 12, 2 7 :1, 404; II, 47
22 20: II, 78 2, 25: II, 80 12, 3 5 :1, 303
22 2 7 :1, 150 3 ,3 .5 :1, 150 13, 1: II, 70
22 40ss.: II, 118 3, 8: II, 162 13, 10: II, 128
22 48: II, 140 3, 16: II, 266 13, 13:1, 56, 110
22 51: II, 150 3, 19:1,224 13, 13ss.: I, 376
22 6 7 :1, 229 4, 10: II, 78 13,26s.: II, 198
22 69: II, 164, 166 4, 14: II, 171 13,33:11, 100
23 18:1, 162; II, 52, 4, 34: II, 94 14, 6: I, 124, 226,
262 5, 25: II, 282 294; II, 76, 102,
23 20: II, 52 5, 26: II, 170 171,232,290
23 2 1 :1, 162; II, 5, 28s.: Π, 246 14, 16:1,268
262, 286 6: II, 77 14, 27: Π, 142
23 34: Π, 228 6, 32: II, 96 14, 2 8 :1, 284
23 39-43: II, 250 6, 4 1 :1, 124 14, 30: II, 50
23 43: II, 252 6, 44: II, 122 15, 1: I, 338; II, 90,
23 44ss.: II, 256 6, 53:11, 76 98, 272
23 45.44:1, 300 6, 53ss.: I, 144 16, 30-32: II, 85
23 46: II, 272, 274 6, 5 5 :1, 144 17: II, 46
23 47: II, 286, 290 6, 56: II, 92 17, 1: II, 46
23 48: II, 293 7, 39: Π, 100, 104, 17, 10:1, 350
23 50: II, 298 128,150,176,182 17, 14:1, 436
23 53:11,202,300 8, 12:1, 268; II, 282 17, 2 4 :1, 432
8,31s.:I, 136 18,3:11, 134
8, 5 6 :1, 324 18, 4-6: II, 138
G io v a n n i 8, 5 8 :1, 124 18, 10: II, 142
9, 5: II, 282 18, 11:11, 150
1, 1: I, 318; II, 120, 9, 11-12:1, 158 18, 20: II, 136
290 10, 1 :1, 366 18, 3 7 :1, 229
1, ls.: I, 124 10, 2 :1, 366 19, 17: II, 232, 234
1 ,2 :1, 346 10, 9 :1, 124, 156 19, 20: II, 242
320 IN D IC E SC R IT T U R IST IC O

19, 23s.: II, 228, 240 2, 29: II, 62 11,25:1,210


19, 29: Π, 272 3, 4: II, 102 11, 25s.: II, 264
19,30:11, 270, 274 3,21:1, 156 11,26:1,387; II, 263
19,31: II, 290 3,23:11, 106 12, 11:1,215
19, 32s.: II, 290 3 ,2 9 :1, 342 1 3 ,9 :1, 114
19, 41: II, 300 3 ,3 0 :1, 342 13,12:1,370; II, 100,
20, 2 2 :1, 334 5, 5: II, 98 182
21, 18:1,412 6, 4: II, 64, 202, 284, 13, 12s.: 1,303
300 13, 12.13: II, 180
6, 10: II, 112 13,13:1,370,372; II,
Am DEGLI 6, 17s.: I, 206 78
A po sto li 6, 28: II, 122 13, 14:1,436
7, 6: I, 270; II, 62, 14, 9: II, 248
1,3:1, 260 152 14, 17: II, 94
1, 6 :1, 348 8, 10: II, 218 15,30:11, 112
1, 9: II, 298 8, 12: II, 126 16, 25: II, 281
1,9-11:1, 320 8, 13: II, 124, 125
1, 13: II, 98 8, 14: II, 100
1, 14:1, 258 8,15:1,110,150,440 1 C o r in t i
1, 18: II, 70 8, 16:1,362
2, lss.: I, 258 8, 1 7 :1, 352, 384; II, 1, 10: I, 238; II, 56,
4, 2 4 :1, 432 168 57
4, 3 2 :1, 238 8, 19:1, 344 1, 14: II, 290
6 ,5 :1, 140 8 ,21.22:1, 240 1, 17:1, 180
6, 8:1,318 8, 2 2 :1, 344 1,21:1,234
7,51-52:1,204 8, 2 9 :1, 352 1, 24: I, 112, 326,
7, 52: II, 52 8, 29s.: II, 84 391; II, 64, 76
7, 5 8 :1, 412 8,32: II, 50,100,101 1,27:1,380
7, 58ss.: I, 204 8, 35-36:1, 120 2, 6 :1, 220, 238
8, 9ss.: I, 222, 223, 8, 35.39: II, 302 2, 8: II, 228
266 8, 3 7 :1, 120 2, 9: I, 42, 170, 204,
8, 10: 1, 222 8, 38s.: Π, 82 354; II, 204, 205
8, 3 2 :1, 432 9,4:11, 116 2, 10:1, 174; II, 164
10, 42: II, 206 9, 5 : 1, 124 2, 13:1, 330, 332
11, 28ss.: I, 206 9, 17: II, 306 3, 1: I, 156, 322; II,
15, 10-11:1, 144 9, 18: II, 304 96
15, 20: II, 200 9, 21: Π, 192 3, 2s.: I, 274
15, 23ss.: I, 140 9, 22: II, 306 3,11-15:1, 177
15, 2 9 :1, 140 10, 2:1,410; Π, 194 3, 12:1, 176
21,8-10:1, 206 10, 4 : 1, 292 3, 16:1,212
24, 14:1, 163 10, 10: Π, 122 3, 18: II, 258
1 1 ,5 :1, 266 4, ls.: I, 374
11, 11:11, 268, 306 4, 4: II, 84
Romani 11, 16ss.: II, 116 4 , 5 : 1, 368
11, 16-20:1,218 4 ,2 0 :1, 180
1, 3s.: I, 124 11, 17.24:1,218 4, 21: II, 232
1, 14:1, 158 11,20:1,218; II, 104 5, 1: II, 198
2, 28-29:1, 144 11 ,2 2 :1, 420 5, 3-5:1, 402
IN D IC E SC R IT T U R IST IC O 321

5, 6: II, 108 15, 8 :1, 292 9, 9:1,418,419


5,7:1,142; II, 48,52, 15, 20-28:1, 132 10, 5 : 1, 284, 306
77, 95, 98 15, 22: II, 238 1 1 ,6 :1, 180
5, 7ss.: I, 144; II, 76 15, 2 3 :1, 330, 363 11, 14:1, 228,304
5, 8 :1, 142, 144, 176; 15, 23ss.: I, 332 11 ,2 0 :1,56
II, 52, 216 15, 24: II, 94 11, 20s.: I, 376
6, 17:1, 404 15, 2 8 :1, 132, 348 11, 29: I, 282, 438,
6, 18:1, 270, 276 15, 4 8 :1, 308 442
6, 19.15:1, 212 15, 4 9 :1, 306 12, 7.9: Π, 176
7, 20: Π, 112, 113, 15,51:1, 15 12, 9: II, 124
114 15,51s.: I, 334 12, 10: II, 124
8, 5 : 1, 402 15, 55: II, 248 13,3:1, 158
8, 6 :1, 402 16, 9 :1, 158 13, 4 :1, 438
8, 16:1, 110
9, 12:1, 158
9, 14:1, 382 2 Ο ο κ ιν ή G a lati
9, 16:1, 410
9, 26s.: II, 124 1 12: II, 124 1, 4: II, 50
9, 27: II, 82 2 7: II, 200 1 , 6s.: I, 200
10, 4: II, 280, 282 2 11:1, 268; II, 200 2, 19: II, 252
10, 18: II, 220 2 15:1, 398, 400 2, 2 0 :1, 274, 358
11, 1 :1, 274 3 3:1,216 3, 13: II, 232
11,3:11, 68 3 6: I, 198; II, 62, 4, 4 :1, 412; II, 74
11, 25: II, 96 152, 178, 208 4, 4s.: II, 74
12:1, 49, 136 3 6.9: II, 188 4, 19:1,248,274,406
12, 3: II, 100, 104, 3 7ss.: II, 174 4, 2 6 :1, 206, 258
176,246 3 11:1,318 5, 17: II, 124
12, 4: II, 294 3 14:1, 142, 147 5, 22: II, 142
12, 8 :1, 118 3 14.15.16: II, 280 6, 1: II, 84
12, 16:1, 50 3 15-18: II, 281 6, 8:1,418
12, 2 6 :1, 282 3 18:1, 172 6, 14: I, 220, 232,
12, 2 7 :1, 285, 442 4 3:11, 284 233,360; Π, 236
12,31:1, 136 4 6: II, 66
12,31.8:1, 136 4 7: II, 78
1 3 ,2 :1, 121 4 10: II, 124 E f e s in i
13, 4-7:1, 120 4 18: I, 144, 238,
13, 7 : 1, 120 442; II, 244 1, 1 :1, 392
13, 8: I, 120, 330; II, 5 4.1:1,361 1, 3:1, 272,434
182 5 6.8-9: II, 275 1, 13: II, 70
13,9:11, 278 5 7 :1, 404 1, 23:1, 350
13, 9-10.12:1, 172 5 8 :1, 404 2, 12: II, 202
13, 10: I, 172, 326, 5 15: Π, 126 2, 12-13: II, 203
338; II, 96, 174, 5 16:1, 232; II, 186 2, 14:11, 76,218,219
278 5 21:1, 26, 352 2, 20: II, 282
13, 12: I, 172, 215, 7 9s.: II, 200 4, 8: II, 248
405,430 7 9-11:11, 200 4, 14: II, 246
15, ls.: I, 203 7 10: II, 56, 200 4, 2 4 :1, 274
15, 5s.8: II, 240 8 15:1, 416 4, 27: II, 88, 178
322 IN D IC E SC R IT T U R IST IC O

5, 2: II, 146 1, 18: II, 282, 300 2, 14s.: 274


5, 13:1, 367 1, 2 0 :1, 298 2, 14-15: 275
5, 27: II, 282 1 ,2 8 :1, 234, 236 2, 15:1, 274
5, 3 2 :1, 392, 393 2, 8 :1, 234 3, 2ss.: I, 148
6, 2s.:I, 112 2, 14s.: II, 116 3, 3s.: I, 376
6, 11:11, 146 2, 15: II, 50, 51, 53, 3, 6 :1, 152
6, 12: I, 254; II, 54, 119,232 3, 15:1, 294
80, 112,228 2, 16s.: II, 94 3, 16:1, 426
6, 17: II, 144 2, 17:1, 160 4, 6: II, 66
3 ,9:1, 272 5,23:1, 276
3, l l . I, 160 6,20:1,238,278,284
F il ip p e s i 3, 12:1,436

1, 1 8 :1, 388; II, 242, 2 T im o t e o


243 1 T e s s a l o n ic e s i
2 ,3 :1 ,3 9 1, 7: II, 150
2, 5-9:1, 152 2, 7 :1, 56 2, 2 : 1, 422
2.5-11:1, 152 2, 7ss.: I, 376 2, 11: II, 128
2, 6: II, 206 2, 14s.: I, 204 2, 22: II, 108
2, 6ss.: II, 266 4, 15:1, 15 2, 2 4 :1, 56
2, 6-7: II, 140 4, 15s.: I, 332 2, 24s.: I, 376
2.6-11:11, 206, 266 4, 17:1, 320; Π, 298 2, 2 5 :1, 376
2, 6.8: II, 94 5, 2 : 1, 358 3, 8 :1, 204; Π, 204
2, 7 :1, 346, 352, 354, 5, 2ss.: I, 356 3, 16:1, 168
430; II, 65 5 , 5 : 1, 370 4 ,3:1, 256
2, 8: II, 114, 141, 5, 10: II, 284
174, 224, 266 5, 14:1, 376
2, 8.6:1, 316; II, 264 5, 2 1 :1, 204, 423 T it o
2, 9: I, 32, 316, 348; 5, 21s.: I, 222
II, 174 5, 21-22:1, 224 1, 9 :1, 106
3, 3 :1, 142 5, 2 2 :1, 204 1, 14: II, 108
3 ,8 :1 , 232 5,23:1,364 2, 8 :1, 206
3, 10: II, 252 3,3:1, 132
3, 13:1, 272,370 2 T e s s a l o n ic e s i 3,4:1, 132
3, 20: I, 215, 234,
308, 342; II, 284, 2, ls.: 346
285 E brei
2, 2 : 1, 346, 370
4, 7 :1, 234 2,3:11, 116
7 :1, 438 2, 3 .2 :1, 254 1, 14:1, 396
9 :1,412 2, 4 : 1, 216, 258 2, 13:11, 110
2, 8 :1, 258, 268, 278 2, 14:11, 110, 112
2, 10-12:1, 282 3, 12:1,214
COLOSSESI 4,15:11, 110
5, 12s.: I, 274
1, 6 :1, 430 1 T im o t e o 5, 14:1, 232, 408
1, 13: II, 116 6, 1 :1, 234
1, 15: I, 224, 346; II, 1, 5-7:1, 142 6, 4-6: II, 181
52,266 1, 7 :1, 142; II, 246 6, 6: II, 182
1, 16s.: I, 332 2, 8 :1, 424 6, 20: II, 70
IN D IC E SC R IT T U R IST IC O 323

7, 17: II, 278 1 P ie t r o 4,3:1, 404


7,20-21: II, 278 5, 10:1, 308
8, 5 : 1, 160, 332 1, 18ss.: II, 70
8, 13:1, 240 1, 19: II, 268
2 ,5 :1,366 G iu d a
9, 4ss.: II, 278
10,1:1,326,330,332 2 ,9 :1 ,5 1
2, 22: II, 276 1 :1, 324
10, 26: II, 180
3, 18-20: II, 248 13:1, 306
10, 29: II, 181, 182
11,5-6:1,211 5, 6 :1, 424
11, 37s.: I, 204; II, A p o c a l is s e
244
1 1 ,3 9 :1, 26 1 G io v a n n i I,7 :1 , 320
11, 39s.: I, 352 2, 9 :1, 258
11,39-40:1,211 1,1:1, 398, 400 3, 2 0 :1, 436
12, 4: I, 228, 432; II, 1,2:1, 232,318 8, 12:1,310
182 1, 14:1, 232 10,3:11, 296
12, 17: II, 200 1,29:1,316 10, 4: II, 296
12, 22ss.: I, 150 2, 2: II, 101 I I , 8 : 1, 320
2, 18:1, 220 12, 3s.: 1,308
2, 19.21: II, 303 12, 4 :1, 308
G ia c o m o 3, 2 :1, 428 19, 13:1, 255
3, 15:1, 360 19, 16:1, 385
2,23:1, 322 3,21:1, 170 21,6: II, 154
INDICE DEI NOMI

Acerbi A.: I, 210; II, 204 Beauchamp P.: I, 439


Aeby G.: I, 20 Bendinelli G.: I, 13, 14, 15, 73,
Agostino: I, 12, 153, 225, 273, 110, 117, 165, 231, 294, 304,
353,372,399; II, 147, 150 311, 326, 393, 397, 402, 417;
Agourides A.: I, 377, 427 11,82,150,169,171,191,209,
Aletti J.-N .:I, 181; Π, 53,283 240, 249, 254, 300
Alexe S.C.: I, 141, 297 Benjamins H.S.: I, 179; Π, 90
Alviar J.J.: I, 219, 423; II, 113, Bernardo: I, 131, 395; II, 69
154 Bertrand D.: I, 257, 283, 423; II,
Ambrogio: I, 220, 221 83, 201
Anonimo Quartodecimano: I, Bertrand F.: I, 123, 220; II, 123,
389 154,167,208,218 .
Anseimo di Aosta: II, 170 Bettiolo P.: I, 67, 221, 279, 392,
Atanasio (Vita Antonii)·. II, 147 399; II, 123
Biguzzi G .: II, 260, 277
Bagatti B.: II, 239 Blanc C.: I, 239; II, 127
Balthasar H.U. von: I, 12, 131, Bondavalli G .: I, 111, 151; II, 146
141, 149, 153, 171, 197, 199, Bonnard P.: I, 164
210, 225, 230, 235, 238, 255, Bornkamm G .: I, 292
275, 279, 295, 319, 345, 362, Bostock G .: I, 153, 319,352,425;
390, 392, 403, 424, 425, 433, II, 69, 177, 207, 267
443; II, 68, 88, 92, 97, 99,127, Boulnois M.-O.: I, 317
133, 140, 145, 222, 236, 242, Boyer F.: II, 257
247,263,271,275,280, 285 Buchinger Η.: 1 ,138,145,161; II,
Bammel E.: II, 152, 158, 160, 56, 76, 77 , 78, 86, 97, 100,
162, 167, 170, 187, 193, 214, 107, 181, 217, 233, 250, 255
229, 263, 287 Biihler P.: II, 146
Barbèra M.A.: I, 337, 431; II, 60, Bunge G.: I, 441
169
Bardenhewer Ο.: I, 9 Cabasilas Nicola: I, 297; II, 97
Bardy G: 1 ,159,376,390,437; II, Cacciari A.: I, 320; II, 50, 274,
246 295
Basilio: I, 401; II, 84, 180 Cacitti R.: I, 195
Bastit-Kalinowska A.: I, 9, 227, Calabi F.: I, 429, 445
307,338,393,413,422; II, 48, Cantalamessa R.: II, 49, 77, 78
57, 133, 149, 204, 233, 251 Carbone S.P.: I, 447; II, 271
Batiffol P.: I, 9, 10, 13 Cardellino L.: I, 138, 177, 187,
Baumgartner Ch.: I, 425 190, 196
Baus Κ.: I, 254 Canicci Viterbi B.: I, 217
IN D IC E D E I N O M I 3*5

Cassiodoro: I, 16, 17 Dogniez C.: I, 148


Chauvet L.M.: II, 100 Donati G.: I, 372
Chènevert J.: I, 131; II, 63, 247 Dorivai G.: I, 199, 238, 266, 316,
Ciccarese M.P.: I, 280, 440 317, 379; II, 76,85, 155,204
Cignelli L.: I, 125 Dossetti G.: 1 ,125,130,194,241,
Cirillo di Alessandria: II, 292 372; II, 293
Clemente Alessandrino: I, 173, Drecoll V.H.: II, 71
195, 217, 326, 367 Dupuis J.: I, 116, 177, 361, 366;
CocchiniF.: 1 ,115,120, 122,127, II, 116, 127, 132,289
155, 160, 161, 172, 181, 194, Duval Y.M.: I, 303
197, 199, 213, 215, 217, 271,
275, 279, 284, 291, 332, 333, Erbetta Μ.: I, 189, 235; II, 139,
347, 371, 415, 428, 430, 435; 141, 192, 220, 251,288, 503
II, 84,101,103,127,152,180, Eusebio: I, 7, 205, 266, 277, 375;
246, 253, 281, 285, 302 II, 213, 295
Colonna A.: I, 261 Evans C.A.: II, 145
Cornelio a Lapide: II, 293
Corsini E.: 1 ,18,222,309,363; II, Falque E.: II, 267
158 Fédou Μ.: I, 18, 23, 25,123,149,
Covolo E. dal: I, 139, 149, 156, 200, 201, 209, 242, 255, 273,
381; Π, 119,128,153,237,275 319, 347, 366, 374, 403, 434,
Crouzel Η.: I, 13, 116, 128, 129, 439, 443; II, 88, 98, 113, 117,
131, 133, 136, 145, 160, 172, 141, 171,211,266, 269, 287
177, 199, 215, 221, 224, 225, Fernàndez S.: I, 327, 339, 364,
235, 247, 251, 257, 274, 289, 426, 438, 443, 447; II, 126,
291, 307, 308, 316, 317, 327, 151, 181, 189, 193
345, 351, 353, 362, 364, 383, Filone: I, 116,117,148, 195,212,
385, 387, 392, 399, 405, 409, 217, 250, 307, 426, 428, 444,
411, 422, 426, 428, 430, 433, 445; II, 47, 79, 122, 192
435, 436; II, 61, 93 , 95, 107, Filoramo G.: I, 165, 240, 248,
132, 140, 145, 151, 153, 167, 256, 284, 311, 381, 441; II, 48
170, 172, 180, 189, 262, 274, Fitzmyer J.A.: II, 120
280, 281, 283, 285, 301 Flavio Giuseppe: I, 188, 264
Flegonte di Tralles: 1,261; II, 255
Danieli M.I.: I, 109, 122, 147, Folliet G.: I, 426
180, 184, 218, 253, 344, 371, Frend W.H.C.: I, 255
393, 403, 425; II, 74, 78, 90, Frey J.-B.: II, 238
99, 114, 118, 137, 139, 140, Friichtel L.: I, 8, 9
149, 156, 218, 235, 243, 245, Fusco V.:I, 127, 210; II, 202
271
Daniélou J.: I, 149, 185,216, 223, Gagey H.-J.: I, 124
245, 299; II, 65 Galluccio G.A.: II, 103, 282
D ’Anna A.: I, 365 Garcia J.: I, 279
De Lange N.R.M.: I, 379 Giannarelli E.: I, 364
De la Rue C.: I, 139 Gianotti D.: II, 146
Dequeker L.: I, 217 Giesen Η.: II, 296
Dettwiler A.: II, 85 Girardi Μ.: I, 117, 367; II, 180,
Dillon J.M.: I, 429; II, 165 230
326 IN D IC E D E I N O M I

Girod R : 1,7, 8, 9,10, 11, 14,15, Kabasele Mukenge A.: I, 217


16, 17, 324 Kamin S.: I, 160, 217
Girolamo: 1,7,8,258,277,333; Π, Kannengiesser Ch.: I, 175, 283
112, 203 , 204, 216, 219, 222, Kelly J.N .D .:I, 431
254. Kippenberg H.G.: I, 188, 265; II,
Gnilka J.: I, 162, 163, 187, 188, 291
191, 264, 377, 389, 421, 444; Klostermann E.: I, 8, 10, 77; II,
11,218, 222,277 57, 94, 146, 237, 250
GòglerR.: 1,304, 423; II, 151 Kovacs J.: I, 383
Gonneaud D.: II, 85 Kraus Reggiani C.: I, 270
Gramaglie P.A.: I, 75, 145; II, 78,
93, 97, 101, 109, 165, 181 Lafontaine R.: II, 117
Grappone A.: II, 79, 99 Lago J.F.: I, 271, 279, 323; II, 78,
Gregorio di Nissa: I, 189; II, 51 99
Grillmeier A.: I, 19, 347; II, 139, Lampert J.: I, 280
140 Laporte J.: 1 ,145,171,250; II, 77,
Grossi V.: 1,232; II, 143,146,219 80, 93, 94, 95
Gryson R.: I, 275 Laeuchli S.: II, 50,71, 86, 89,193
Guidoboni E.: I, 251 Le Boulluec A.: I, 43, 45, 139,
Guillet J.: II, 168 148, 169, 179, 181, 197 , 203,
217, 222, 223, 224, 225, 231,
Hahn A.: I, 11 236, 237, 238, 249, 267, 276,
Hahn G.L.: I, 11 283,295,307,325,368; II, 56,
Hàllstròm G. Af.: I, 149, 197, 71, 74, 76, 87, 105, 109, 111,
263,312 138, 141, 186, 192, 205 , 218,
Hannah D.D.: II, 218 242, 246, 272
Harl Μ.: I, 19, 148, 160, 163, Ledegang F.: I, 48, 109, 200, 217,
180, 209, 221, 234, 247, 273, 218, 297, 374, 393, 443; II,
291,310,314,319, 322, 379, 223, 247, 282, 285, 295, 303
438; II, 61, 74, 139, 191, 241, Lekkas G.: II, 90
271 Léon-Dufour X.: II, 72, 91, 196
Hamack A.: I, 7, 9 Leone Magno: I, 11
Hausherr I.: II, 218 Lettieri G.: I, 65, 117, 195, 215,
Heither T.: I, 147; II, 224 271, 281, 327, 333, 363, 370,
Henry P.: I, 153 411,421; II, 65,66,69, 86, 89,
Hermans TTi.: II, 153 91, 98, 113, 140, 176, 193,
231,267, 283
Ignazio di Antiochia: I, 140; II, Lienhard F.: II, 100
49, 51, 156, 302 Lies L.: 1 ,145,195,207,237,255,
Ignazio di Loyola: I, 237; II, 201 289; II, 79, 87, 92, 93, 94, 95,
Ilario: I, 8; II, 204 96, 201
Ingelaere J.-C.: I, 137 Lohse E.: I, 162; II, 192
Ippolito: I, 223; II, 241 Lombardi Vallauri L.: II, 48
Ireneo: I, 130; II, 302 Lomiento G.: I, 135, 220, 339,
435; II, 135, 275
Jacobsen A.L.: I, 317 Lot-Borodine Μ.: I, 425
Jeremias J.: I, 388 Lubac H. de: I, 108, 124, 128,
Junod É.: I, 299; II, 68, 90, 304 130, 131, 138, 142, 144, 154,
IN D IC E D E I N O M I 327

155, 160, 161, 163,169, 172, Meslin Μ.: I, 8


180, 182, 195, 197,199, 201, Miegge Μ.: I, 421
208, 213, 214, 216,218, 221, Móhler J.A.: II, 75
225, 232, 233, 236,238, 246, Monaci Castagno A.: I, 20, 35,
247, 255, 256, 257,271, 273, 110, 129, 135, 138, 157, 160,
275, 281, 286, 288,291, 294, 167, 176, 199, 221, 225, 239,
296, 304, 309, 314,319, 322, 240, 257, 276, 280, 289, 299,
325, 329, 344, 351,356, 359, 305, 309, 311, 313, 369, 381,
360, 362, 372, 383,392, 437, 396,402,415,433,435; II, 65,
443; II, 50, 56, 57, 70, 73, 80, 76, 90, 99, 119, 137, 147, 153,
81, 93, 94, 95, 101, 107, 111, 160, 165, 178,213,229
121, 123, 127, 132,133, 139, Morin G.: I, 7, 8, 9, 10, 11, 17
141, 144, 152, 153,158, 162, Mortali L.: I, 151
168, 169, 170, 176,180, 181, Mosetto F.: II, 137, 141
184, 214, 218, 223,229, 230, Munk E.: I, 147
231, 233, 235, 237,240, 242,
245, 254, 262, 264,272, 278, Nautin P.: I, 7, 8, 17, 317; II, 248
280, 281, 284, 300, 301 Navascués P. de: II, 170
Lucca C.: I, 189; II, 245 Neri U.: 1 ,109,143,161,169,199,
Lugaresi L.: I, 174, 184; II, 140 201, 203, 259, 267, 281, 291,
Luneau A.: I, 372 345,392; 11,60,131,189,281
Lupieri E.: I, 280, 308; II, 48, Neuschàfer A.: 1,26.
298, 307 Niculescu V.: II, 117, 128
Lusini G.: I, 251 Nispel M.D.: I, 184
Noce C.: I, 195, 235, 437; II, 88,
Maier J.: I, 113, 119, 167, 168; II, 116, 170, 207,231,241,278
291 Noce Cel.: I, 247; II, 275
Main E.: I, 212 Norelli E.: I, 12, 43, 154, 189,
Mali F.: I, 17; II, 68 203, 206, 210, 249, 287, 289,
Manns F.: I, 113, 119, 126, 167, 320,336,365; II, 68,137,192,
265, 443, 445; II, 158, 238 204, 221,303
Marcheselli Μ.: II, 107
Marguerat D.: I, 124 O ’Leary J.S.: I, 20, 147,366 ,
Marin Μ.: I, 207, 210, 211, 215, Orazzo A.: II, 90
393,395,401 Orbe A.: I, 203 , 386, 405 , 407,
Maritano Μ.: I, 151, 243, 249, 412, 414, 417, 420, 423; II,
317 142, 189
Marrou H.I.: I, 242 Osbome C.: I, 153
Marsili S.: II, 95 Oswalt J.N.: I, 305; II, 173, 292
Mattioli U.: II, 295 Otranto G.: I, 162
Mazzanti A.M.: II, 122, 222
Mazzucco C.: I, 176, 309, 313, Paddle A.: II, 80
333; II, 98, 245, 295 Parrinello R.M.: I, 359, 392
McGinn B.: I, 122, 424; II, 70 Pascasio Radberto: I, 228, 370
McGuckin J.A.: I, 289 Pazzini D.: I, 18, 125, 185, 226,
Meeks W.A.: I, 381 347 , 374, 392, 403 , 437; II,
Melitone: I, 439 123, 128, 140, 155
Menken M.J.J.: II, 142, 202 Penna R.: I, 385, 447
328 IN D IC E D E I N O M I

Pennacchio M.C.: I, 173, 377; II, Rashi di Troyes: I, 146


75,217 Ravasi G.: I, 130
Peretto E.: I, 126 Reale G.: I, 270, 302
Peri V.: 1 ,141,149,156,207,312, Remy G.: H, 51
377; II, 245 Rigolot I.: I, 144; II, 172
Perrone L.: I, 129, 137, 145, 175, Rius-Camps J.: I, 111, 136, 177,
185, 194, 200, 214, 221, 236, 221, 224, 227, 233, 235, 251,
240, 247. 257 , 263 , 271, 272, 275, 315, 319, 328, 332, 343,
304, 363, 385, 403, 429, 434; 359, 361, 364, 378, 386, 405,
II, 74, 89, 91, 105, 108, 112, 409, 423, 440; II, 71, 95, 100,
115, 117, 118, 122, 125, 129, 102, 140, 152, 171, 180, 181,
140, 149, 151, 155, 166, 168, 282
181, 209, 214, 216, 244, 256, Rizzerio L.: I, 367
263,271,273,297,304 Rizzi G.: I, 447; II, 271
Pesce Μ.: 1,57, 187 Rizzi Μ.: I, 109, 213, 241, 243,
Pesthy Μ.: II, 82, 152,250 253, 257, 259, 263, 279, 294,
Pieri E: I, 191, 207, 252; II, 133 393; II, 143, 146,216, 245
Pietras Η.: 1 ,116,118,327; Π, 302 Roda S.: I, 381; II, 48
Pietro di Laodicea: I, 77 Romanello S.: II, 271
Piscitelli Carpino T.: I, 302; II, Rondeau M.-J.: I, 184, 347; Π,
53, 153,224,227,237,279 147, 267
Pizzamiglio P.: I, 299 Roselli A.: I, 245; II, 151
Platone: I, 316, 439 Rossetti C.L.: I, 168, 210, 212,
Plotino: II, 193 213 , 215, 267 , 367, 426; Π,
Plutarco: I, 307 158, 244, 247, 274, 276, 283,
Prete B.: II, 47 303
Prigent P.: I, 309 Ruggieri G.: II, 244
Prinzivalli E.: 1,36,111,165,177, Runia D.T.: I, 217, 426
245, 275, 306, 309, 313, 317, Rufino: I, 7, 12, 433
336, 356, 357, 360, 365, 383,
387,407,412,430,441; II, 91, Sandevoir P.: I, 148
101, 118, 126, 131, 160, 216, Sanz R.: I, 253
219, 247, 250, 267, 278, 285, Satran D.: I, 200; II, 155
295 Scheck T.P.: I, 414; II, 223
Psephtogas C.: II, 112, 113, 128, Schirone S.: II, 161
147 Schlier Η.: I, 185; Π, 229
Pseudo-Clemente: I, 12; II, 66 Schockenhoff E.E.: I, 246, 363,
Pseudo-Giustino: I, 365 370
Puech É.: II, 291 Schòkel L.A.: I, 169
Schoon S.: I, 265
Quacquarelli A.: I, 232, 297, 407; Scognamiglio R.: 1 ,151, 179,209,
II, 298 235, 315, 317, 323, 325, 366,
370, 371, 381, 390, 392, 393,
Raponi S.: I, 117, 172 397, 398, 403 , 405, 406, 409,
Rahner Η.: I, 374 411, 412, 414, 417, 419, 420,
Rahner Κ.: I, 159, 239, 369, 390, 423, 426; II, 84, 88, 130, 139,
391, 396, 399, 409, 439, 443; 149, 161,218, 280
II, 91, 109, 181 Scott A.: I, 299, 305; II, 116, 254
IN D IC E D E I N O M I 329

Segalla G.: II, 203 Steiner Μ.: II, 47, 51, 119, 121,
Senior D.: I, 265 138, 166, 198, 235
Sesboué B.: I, 165 Stemberger G.: I, 119, 167
Sesto Giulio Africano: I, 261; II, Stroumsa G.G.: I, 162
255 Strutwolf Η.: II, 139
Sfameni Gasparro G.: I , 177,183, Studer B.: I, 17, 124, 137, 209,
250, 307, 312, 317, 361, 367, 302, 323, 347, 425; II, 69,
417; II, 70, 137, 165 113, 119, 128, 159, 177, 229,
Sgherri G.: I, 57, 108, 119, 123, 287
130, 131, 135, 138, 139, 141,
144, 155. 160,161, 162, 163, Talbert C.H.: I, 443
176, 180, 182, 187, 193, 197, Treu U.: I, 77
199, 201, 203,206, 207, 210, Torjesen K. Jo: I, 197, 231
211, 213, 216,217, 218, 225, Tournai R.J.: I, 165
241, 243, 252,255, 259, 261, Troiani L.: I, 162
263, 264, 266,267, 279, 289,
291, 292, 294,296, 311, 319, Van den Hoek A.: I, 184, 195,
320, 323, 325,327, 329, 332, 217, 336, 368
333, 336, 337,343, 344, 353, Vanhoye A.: I, 212
357, 379, 385; II, 49, 51, 55, Vian G.M.: I, 445
56, 57,62,71,76, 80,97, 102, Vignolo R.: II, 95
118, 128, 130, 135, 145, 152, Villey L.: I, 235; II, 241
153, 154, 165, 169, 170, 180, Visonà G.: I, 139, 156, 179, 181,
181, 187, 189, 192, 200, 207, 221, 376; II, 77
208, 210, 217,219, 223, 224, Vittore di Antiochia: I, 77
225, 226, 228,230, 233, 239, Vittorino: I, 8
241, 242, 243,245, 246, 254, Vogt H.J.: I, 9,10,12,17,64,106,
260, 263 , 271,281, 283 , 290, 117, 121, 125, 128, 131, 135,
295, 297, 306 137, 155. 165, 185, 195, 197,
Siegmund: I, 17 209, 211, 221, 224, 228, 229,
Simeone il Nuovo Teologo: I, 359 249, 255, 270, 287, 291, 295,
Simonetti Μ.: I, 24, 28, 29, 30, 298, 302, 305, 313, 327, 347,
127, 133, 145, 151, 155, 161, 357, 392, 403 , 409, 419,' 429,
169, 183, 193, 194, 195, 197, 443; II, 47, 53, 57, 61, 64, 68,
208, 221, 231, 256, 262, 271, 77, 79, 83 , 93, 112, 119, 140,
280, 290, 291, 304, 306, 326, 141, 153, 158, 163, 169, 170,
332, 344, 347, 351, 356, 363, 209, 215, 266, 281
383, 386, 392, 424, 433, 435, Voicu S.J.: II, 241
441; II, 53, 54, 60, 65, 71, 82,
84, 92, 100, 101, 103, 106, Wallraff Μ.: II, 177
107, 110, 119, 128, 139, 147, Wewers G.A.: I, 188,265; II, 291
152, 171, 173, 180, 192, 211, Williams R.: I, 225, 256
225, 229, 231, 236, 239, 248, Wolinski J.: I, 284; II, 140
257, 264, 267, 281, 285, 287,
289, 293, 305 Xeravits G.: I, 126
Siniscalco P.: I, 261
Somenzi C.: II, 51, 190, 229 Zamagni C.: II, 295
SpanneutM.: Π, 112,117,121,130 Zumstein J.: II, 85, 129, 133
INDICE ANALITICO

CHIESA e gruppi eretici: I, 223-225,


Corpo di Cristo: I, 351, 443; II, 249. 267, 287; figure dell’ere­
61-69; Sposa celeste: I, 151, sia: II, 141, 185, 270-273; mil­
235, 393, 397, 399; II, 283; lenarismo: I, 347; ortodossia e
Chiesa dalle Genti: I, 219, ortoprassi: I, 225-229.
341-343; II, 223; Chiesa e
«Regula fidei»: I, 257, 289­ ESCATOLOGIA
295; «Compassio» fra le mem­ Escatologia ed eresia: I, 255-257;
bra: I, 283; divisioni nella eventi storici e conflitti con le
Chiesa: I, 239, 243; gerarchia potenze: I, 239-257; raduno
visibile e invisibile, ministeri degli eletti dalla creazione del
nella Chiesa: richiamati alla mondo: I, 325-331; attesa del­
verità·. I, 137-147, 149-159, la creazione: I, 345; i segni ce­
183-185, 207, 375-389; «tu es lesti: I, 297-313; la fine del
Petrus»·. II, 283; immagini del­ mondo - nella storia e nell’ani­
la Chiesa: casa dell’obbedien­ ma: I, 239-241, 355-361;
za·. Π, 63; città di Dio: II, 74­ l’abominio della desolazione -
79, 291; donna dell’unzione: I, fra assedio di Gerusalemme e
131-133; raduno regale: 1,297; Anticristo: I, 217, 257-273,
sgabello dei piedi di Dio: I, 283-285; l’apparizione del Fi­
131; tenero ramo·. 1,337; catte­ glio dell’uomo e il Giudizio: I,
dra e trono di Cristo·. I, 137; le 313-323, 427-447; la Geenna:
donne al sepolcro·. II, 292-296; I, 165-167, 387-389; pedago­
santità deÙa Chiesa: I, 243, gia divina nei castighi e premi:
447; tribolazioni - persecuzio­ I, 129-133, 153, 193-195,243­
ni - martirio: I, 117, 251-257; 247, 385-389, 425-427; realiz­
II, 73, 176-179, 245; il calice zata e finale: II, 167-169, 239­
della passione: II, 114-121. 240.

e r e s ia GESÙ CRISTO - IL FIGLIO LOGOS


Segnata dalla divisione, divide la Unto riconosciuto dai profeti: I,
Chiesa al suo interno: I, 223, 263; Verbo prima della crea­
239, 247; II, 84-87; in ordine zione, uomo e Dio: I, 317,
alla Scrittura: I, 199-201, 283­ 347, 405; II, 111, 117, 119­
285, 287-289; eresia e Anticri­ 121, 149, 233; gloria e umilia­
sto: I, 227-229, 293-295; dot­ zione - ignoranza e passibilità
trina delle nature - il caso di del Verbo: I, 319, 347-355; II,
Giuda: II, 86-89, 192-205; 110-113, 164-169, 172-177,
ebionismo: II, 75-76; eponimi 186-191, 207, 264-269; il Cri­
IN D IC E A N ALITICO 331

sto capo della Chiesa si identi­ stiani giudaizzanti: I, 159-161;


fica e patisce con le sue mem­ patimenti e castighi di Israele:
bra: 1 ,109,243,351-355,435­ fine del Tempio·. I, 211-213;
439, 443-447; II, 61-69, 149, distruzione di Gerusalemme:
175-177; il Figlio e gli angeli: II, 53, 269; sottrazione della
II, 147-149; le «epinoiai» o profezia·. II, 172-177; fine del
denominazioni del Figlio: I, sacerdozio·. II, 152-153, 168­
125, 215, 291, 391, 405, 437; 173, 240-243; sterilità, turba­
11,65,77,99,169,219,291; le menti, incapacità di compren­
venute del Verbo: I, 209, 211, dere, tenebre·. I, 337; II, 142­
219, 221, 233, 247, 249, 255, 145, 219-221, 252-269, 302­
313-323, 365, 403, 405; II, 87, 307; sinagoga contemporanea
97; polimorfia del Cristo: I, a Origene: I, 163-165; II, 179,
233, 235; II, 136-143; regalità 185; speranza per la conver­
universale dalla croce: II, 206­ sione e salvezza di Israele: I,
209, 242-243; risurrezione, 209-211; II, 263-265
glorificazione, parusia: I, 315­
323; II, 164-169, 242-243; sof­ p e c c a t o e c o n v e r s io n e
ferenza, passione, morte, di­ Coscienza del male, ondeggia­
scesa agli inferi di Gesù - mento, discernimento: I, 175­
eventi salvifici e rivelazione: I, 177, 255-257, 281-285; II, 80­
439,443-445; II, 47-55,68-79, 85, 187-189, 244-249; icone
98-107, 114-121, 124-129, della conversione: il ladrone
134-143, 172-177, 186-191, pentito·. II, 248-253; il tempio
208-213, 224-239, 244-249, interiore·. I, 215; la moglie di
252-271, 272-279, 302-307; Pilato·. II, 220-223; la donna
aspetti di subordinazionismo - dell’unzione: I, 131; II, 54-69;
«Dominus Deus» e «Secun­ Pietro: II, 176-187; il dramma
dus Dominus»: 1 ,123; II, 233, di Giuda: II, 48-51, 68-75,
275-277 78-81, 84-91, 132-143, 150­
151, 192-205; le veglie della
ISRAELE - GIUDAISMO conversione: I, 359, 371-375;
Oggetto dell’amore del Cristo: II, intercessione della Chiesa: I,
116-121; funzione propedeu­ 215, 243-247, 279-281; II,
tica e intenzione della Legge: 215
I, 141-143; II, 74-79; il rifiuto
di Gesù: nel metterlo alla pro­ VERBO E SCRITTURA
va·. I, 123-125; nel ritenere be­ Il Verbo di Dio verginifica i cre­
stemmia le sue parole·. II, 165, denti: I, 389-395; la Parola: è
168-173; nell’anteporgli Ba­ performativa: 1,345-347; in es­
rabba : II, 212-221, 222-227; sa è la forma regale di Dio e
nel portarlo fino alla croce·. I, l’immagine del Verbo: I, p.
187, 265; II, 171-173, 175, 423; nel confronto con verità
224-227; nell’opporsi ai cre­ ed eresia: I, 233-239; in dialo­
denti in lui: II, 189; lettura go con teorie filosofiche e
giudaica della Scrittura: non scientifiche: I, 239-241, 297­
vi legge il Cristo·. I, 125-127, 299, 303-313, 355-361, 363­
155-157,197; II, 171,189; cri­ 365, 423-443; II, 111, 193,
332 IN D IC E A N ALITICO

195, 253-259; la Scrittura: cit­ VITA NELLO SPIRITO


tà, tempio, cielo: I, 169-173, Vita nello Spirito e liturgia: Euca­
199-201, 215-217, 267-269, restia: II, 90-99; Pasqua, giu­
287, 329; II, 164-169; in cor­ daica e di Cristo, simbolo del­
po-anima-spirito (i sensi della l’esistenza redenta: II, 74-79,
Scrittura)·. I, 193-203, 215, 231-233; discepolato e seque­
233-235; lettura spirituale e la: nell’accoglienza della Paro­
cristologica di Antico e Nuo­ la: I, 111, 135-137, 147-149,
vo Testamento: I, 137, 159­ 183; nella vita nel segreto: I,
161, 169, 181-183, 197-201; 145-149, 151, 219-221; nel­
II, 67, 77-79, 152-153, 280­ l’imitazione di Cristo, nostro
293; metodologie esegetiche - Sabato: I, 281-283, 431-433;
critica e confronto di testi, at­ II, 143, 144-149, 158-165;
tenzione a espressioni lingui­ nell’intercessione: I, 215, 243;
stiche, a “scritto e non scrit­ secondo il modello del Cire­
to”, ricorso alla «quaestio», neo: II, 232-239; la prova di
approfondimenti: I, 109, 185, Pietro: II, 83, 102-107, 152­
251, 275 , 295 , 331, 351-353, 155, 176-187; il dono dello
403-405, 427-429; II, 139, Spirito: I, 213, 257-259, 339;
143, 161-169, 206-209, 216­ II, 98-101,129,151,177,183;
221, 252-265 , 286-293; mini­ la preghiera: sollecita e mode­
stero della Parola: «Docere est rata: II, 112-115, 130-133;
prophetare»·. I, 295, 313, 397­ umile e separata dal male: II,
399; il discorso della croce·. I, 106-109; nell’ora della prova:
179-181; «inopia sensuum» e I, 277-279; II, 105, 114-117,
tribolazioni nel rapporto con le 120-123, 270-271; sull’altare
Scritture·. I, 247-249, 255-257; del cuore: I, 171; il Padre No­
la «dispensatio» delle parole di stro: I, 111; II, 123; progresso
Dio: I, 407-423; Vangeli: qua­ spirituale: esemplato nell’un­
dro sinottico e Giovanni·. I, zione a Betania: II, 60-69; di­
365-371; II, 54-69, 119-121, namismo della salvezza: I,
238-241, 286-293; unità di 335-341, 365-371; II, 112­
Legge e Vangeli·. I, 153-155, 115, 122-125, 280-287; forme
291-293; II, 280-287; scritture del Cristo e capacità dei cre­
- apocrifi - tradizioni: discerni­ denti: I, pp. 195-197, 233­
mento riguardo agli apocrifi·. I, 239; II, 136-143, 265-267,
203-205; il deserto di scritture 298-301; discepoli e folle, sem­
estranee alla Chiesa: I, 287­ plici e perfetti: I, 135-139,
289; il «Pastore di Erma» e le 145, 195, 219-221, 273-277,
«Recognitiones» pseudocle­ 361, 383-385; II, 92-99, 112­
mentine: 1,336,337,368,369; 115, 152-155, 175, 222-223;
II, 66-69; rapporto fra scritti di uomo nuovo: tempio di Dio: I,
Paolo e apocrifi: II, 205; tradi­ 213-215; II, 244-249; vergine
zioni riguardanti Adamo, i pro­ per la fede: I, 389-391; conce­
feti, la verginità di Maria, la pisce il Verbo: I, 249, 273-277,
passione di Gesù, i luoghi san­ 345; è generato nel battesimo:
ti: I, 189-191, 203-207; II, I, 151, 163, 393; II, 183, 301;
205, 220-223, 237-239 ha i sensi spirituali: I, 389-
IN D IC E A N ALITICO 333

403, 409; II, 129, 279; muore 389-395, 423-427, 437; II, 67­
consegnando lo spirito a Dio: 69, 112-115; la morale dell’in­
I, 361-363; II, 277; vita etica: tenzione: I, 169-173, 177-179,
il primato dell’amore·. I, 109­ 369-371; II, 65-69, 80-85;
123; II, 300-303; i precetti e i l’ipocrisia: I, 177-179, 183-
condimenti delle osservanze·. I, 185, 197; II, 88-91; falsa virtù
147-149, 175-177; II, 75 gra­ degli eretici: I, 177-179, 221­
zia e virtù·. I, 215, 369-371, 231; II, 141
OPERE ORIGENIANE CITATE

Contro Celso 19:1,168; 8,20: II, 121; 8,22:


II, 50, 98; 8, 33: II, 93; 8, 43:
II, 141 II, 136; 8, 47: I, 57; 8, 54: II,
Proemio 1: I, 107; Proemio 1-2 188; 8, 70: I, 242; 8, 72: I,
II, 155; Proemio 2: II, 212; 1 241,426; 8,73:11, 146
6: II, 165; 1, 4 7 :1, 264; 1, 48
1, 67, 208; 1, 52: II, 305; 1
54-55:1,27,439; 1,57:1,223 Commento al Cantico dei Cantici
I,59: II, 255; 1,68: II, 136; 1
69:11, 155; 2, 2:1,333; 2, 6:1 Pref.: I, 114, 115, 232; II, 302; 1:
119; 2, 10:11, 156, 247; 2, 11 I, 393, 415; II, 65; 2: I, 196,
II, 152,193; 2,13:1,254,264 325,431; II, 61, 261, 285; 3:1,
2, 1 4 :1, 261; 2, 15: II, 103; 2 40, 67, 216, 225, 246, 306,
24:11, 108; 2,25: II, 116, 118 342, 402; Π, 287; 4 : 1, 337; Π,
2, 30: I, 243; 2, 33: I, 261; II 246
255; 2, 34: II, 222; 2,36: II
286; 2, 59: II, 255; 2,64: II
138; 2, 69: II, 300; 2,70: II Commento a Giovanni
301; 3 ,2 -6 :1,57; 3, 8:1,57; 3
28: I, 11; II, 61; 3, 40: I, 116 1, 26: I, 366; 1, 33: I, 40, 216; 1,
3, 68: I, 290; 3, 81: I, 12; 4 4 5 :1, 144, 201; II, 301; 1, 67:
15: II, 140; 4, 2 2 :1, 258, 260 II, 61; 1, 76-78: II, 147; 1,
4, 31: I, 57, 263 ; 4, 32: I, 57 231:11,264; 1,235: II, 225; 1,
4,33:11, 164; 4, 57:1,316; 4 161: I, 305; 1, 191: I, 347; 1,
73:1, 263; 5, 15:1, 165; 5, 22 192: I, 347; 1, 197: I, 347; 1,
I, 345; 5, 29: I, 435; 5, 33: II 220: II, 287; 2, 60: II, 300; 2,
143; 5, 35: II, 223; 5, 38: I 61: I, 255; II, 92; 2, 109: I,
254; 5, 43:1, 57; 5, 5 4 :1, 287 110; 2, 160: I, 120; 2, 164: I,
5, 61: II, 75; 6, 2 : 1, 382; 6, 6 27, 438; 2, 209: II, 245; 2,
I, 288; 6, 9: I, 251; 6, 10: II 210: II, 245; 5, Fr 6 :1, 273; 5,
256; 6, 11: I, 223; 6, 25: I Fr 8:11,274; 6,100:11,265; 6,
165; 6, 26: I, 165; 6, 28: I 164: II, 241; 6, 176-177: II,
224; 6, 3 9 :1, 254; 6, 7 7 :1, 19 248; 6, 180: II, 167; 6, 181: II,
234; II, 140, 300; 6, 8 0 :1, 57 167; 6, 190: II, 135; 6, 256: I,
7, 13: II, 240, 272; 7, 16: II 118; 6,273-300:11,56; 6,284:
173; 7, 17: II, 173; 7, 25: I II, 177; 6, 2 9 4 :1, 153; 6, 295­
143; 7, 34:1, 67; 7, 4 1 :1, 136 296:1 ,133; 10, 19:11,235; 10,
7, 42: I, 12, 64; 7, 44: I, 429 20: II, 60; 10, 36: II, 57; 10,
7,46: II, 115; 8, 1 7 :1, 171; 8, 4 5 :1, 233, 359; 10, 8 5 :1, 428;
O PER E O R IG E N IA N E CITATE 335

II, 95; 10, 8 9 :1, 30; II, 49; 10, 176, 198; II, 299; 10, 15: I
99: II, 95; 10, 108:1, 172; 10, 180, 332; II, 172; 10, 17: I
109:1 ,172; 10,110: II, 49; 10, 264; 10, 18: I, 42, 188, 206
163:1, 197; II, 152; 10, 229:1, 311; II, 244; 10, 19:1, 64,424
285; 10, 236: II, 247; 10, 237: 10,21:1,262; 10,22:1,295; II
II, 247; 10, 243-244: II, 247; 177, 287; 10, 23: II, 269; 11
10, 251ss.: II, 159; 10, 296­ 11, 91; 11,1:1,279; II, 148; 11
297: II, 159; 10, 297: II, 303; 2 :1, 145; 1 1 ,4 :1 ,134; 11, 6:1
13, 67: I, 363; 13, 73: I, 363; 125,373; 1 1 ,8 :1 ,166; 11,9:1
13,85:11,297; 13,162:1,222; 166; 11, 11: I, 166; 11, 14: I
13, 173: I, 119; 13, 219: I, 166, 440; II, 92, 95; 11, 15: I
437; 13, 241: I, 437; 13, 243: 178; 11, 19: II, 93; 12, 1: I
I, 437; 13, 246: I, 437; 13, 106; II, 191; 12, 2: II, 132; 12
378-379: I, 196; 13, 397: I, 3: Π, 280; 12, 4 : 1, 131; 12,7
129; 13, 3 9 8 :1, 129; 19, 6-10: 1 ,178; 12,9: II, 171; 12,10:11
I, 12; 19,16: II, 256; 1 9 ,4 4 :1, 166; 12, 10-11: Π, 282; 12, 13
416, 422; 19, 45: I, 416; 19, I, 227; 12, 14: I, 158; Π, 299
46: I, 416; 19, 60-61: II, 191; 12,18: II, 48; 12,19: Π, 72; 12
19, 101: II, 286; 19, 102: II, 20: I, 216; II, 133, 278, 284
286; 19, 103: II, 276; 19, 149­ 12, 21: Π, 84, 154 12,24:1,9
150:1, 432; 20, 6 8 :1, 117; 20, II, 57,234; 12,29:1, 352,427
6 9 :1, 117; 20, 153: II, 267; 20, 12, 29-43: I, 234; 12, 30: I
155: II, 267; 20, 292: I, 122; 427; 12, 32: I, 129; 12, 33: II
20,308:1,328; 28,26: II, 200; 128; 12, 36: I, 234; 12, 37: I
28, 63: I, 426; 28, 95: I, 209; 315; II, 111; 12, 38: II, 240
11, 153; 28, 96: II, 153; 28, 12,40:11, 130; 12,41:11, 105
120: II, 158; 28, 125: II, 180; 12, 43: I, 315, 323; 13, 1: I
28, 160: II, 231; 28, 205: II, 241; 13, 2 : 1, 9; 13, 7: II, 165
141; 28, 233: II, 225; 28, 235: 13, 8: I, 28; II, 50, 101, 306
II, 225; 28, 237: II, 225, 299; 13, 9: I, 9; II, 190; 13, 10: I
32,5-7:1, 183; 32, 11:1, 185; 307; 13,11:1, 9; 13,12:1,422
32, 25: II, 133; 32, 27: II, 70; 13, 13: I, 422; 13, 15:1, 9; 13
32, 34: II, 70, 133; 32, 35: II, 17: I, 9, 439; 13, 18: II, 101
70; 32, 61: II, 103, 152; 32, 13, 19: I, 385; 13, 24: I, 158
63:11,103; 32,215:1,217; 32, 13,26:1, 9; 13,28:1, 9; 13,30
232: II, 71; 32,233: II, 71; 32, I, 9; 13,30-31:1, 158; 14,1:1
255:11, 83; 32, 295: II, 71; 32, 9, 238; II, 57, 150; 14, 1-4: II
310: II, 92; 32, 395-396: II, 159; 14, 4: II, 159; 14, 5: II
253; 3 2 ,398s. II, 100; 32,399: 150; 14,7:1,295,403, 417; II
II, 180 299; 14, 8 :1, 413, 417; 14, 11
II, 150; 14, 12: I, 413; 14, 13
1,9; 14,14:1,9,183; 14,15:11
Commento a Matteo 154; 14, 16: I, 9; 14, 16-25: I
9; 14, 17: I, 121, 442; II, 246
10,1:1,66,134,135,220,288; 10, 14, 18-19:1, 9; 14, 19:11,217
3: I, 324; 10, 5: II, 299; 10, 6: 14,20: II, 217; 14,21:1, 9; 14
I, 211, 438; 10, 8: I, 434; 10, 22: I, 149; 14, 25: II, 115; 15
11: I, 64; 10, 14: I, 143, 161, 1-4:1, 199; 1 5 ,5 :1,249; 15, 6
336 O PER E O R IG E N IA N E CITATE

II, 57; 15, 10:1, 431; 15, 11:1, 190, 207; 6, 5: II, 178; 6, 7: I,
154; 15, 14:1, 202; II, 57,251; 266; 6, 9:1,369; 7,4:1,240; 7,
15, 15: I, 380; 15, 17: I, 380; 5 :1,26,350; 7, 6: II, 124; 7, 9:
15, 18: I, 308; 15, 23: I, 133; II, 101; 7, 12: II, 275; 7,16:11,
15, 24: I, 318, 347; 15, 31: I, 89; 8, 1: II, 256; 8, 9: II, 307;
280; 15,35:1, 144; II, 142; 16, 8, 1 1 :1, 218; 8, 12: II, 307; 9,
1: II, 241, 295; 16, 3: II, 102, 1:11, 113; 9, 2:1,215; 9, 3: II,
153, 270; 16, 4: I, 15, 128; II, 283; 9,32:1,428; 9 ,3 6 :1,408;
168; 16, 4-8: I, 128; 16, 5: II, 9 ,3 8 :1, 410s.; 9, 40: II, 285
168; 16, 6: II, 119; 16, 8: I,
139, 365, 375, 385; II, 275,
295; 16, 9: Π, 297; 16, 11: II, Commento alla Lettera a Tito
114, 154, 295; 16, 12: II, 75,
251; 16, 18:1,318; II, 154; 16, II, 109
20: I, 211; II, 270; 16, 21: II,
270; 16, 22: I, 139; 16, 23: II,
216,219; 16, 2 6 :1, 337; II, 62; Dialogo con Eraclide
16, 2 9 :1, 280; 17, 1-3:11, 166;
17,2:1,227,307; 17,3:1,108; 6,7:1, 11; 6,14-8,17:1,365; 7 ,5­
17, 5: II, 263; 17, 6 : 1, 64; 17, 7: II, 112; 7, 14-18: II, 275; 8:
7:1,267,291; II, 270; 17,8:11, I, 151; 12-15:1, 435
142; 17, 9: I, 371; 17, 11: II,
55; 17, 13: II, 56; 17, 14: I,
200; II, 184; 17, 15:1, 393; 17, Esortazione al martirio
16: I, 107; II, 142; 17, 19: I,
118, 172; 17, 20: II, 113; 17, 13: II, 245; 21: II, 245; 29: II, 108,
23: I, 200; 17, 24: I, 426; 17, 117, 128
25: II, 270; 17, 25: II, 270; 17,
27: II, 132; 17, 28: I, 227; 17,
31: I, 224; 17, 33: I, 414; 17, Lettera a Giulio Africano
3 6 :1, 151,416
9: I, 202; II, 228; 11 [7] I, 379;
13 [9] I, 379; 14:1, 204
Commento a Osea

II, 74 frammenti sulla prima Lettera ai


Corinti

Commento alla Lettera ai Romani 3:1, 131; 9 :1, 136; 11:1, 257; 18:
I, 122, 383; 20: I, 181; 49: I,
Pref. Al, 127; 1,15:1,144; 2,5: II, 122; 52: II, 161
69,179; 2, 7:1,12; 2, 9:1,362;
2, 11: I, 139; 2, 13: I, 145; 2,
14:1, 154, 286; 3, 3 : 1, 420; 3, frammenti sul Cantico dei Cantici
8: I, 149; II, 243; 4, 1: I, 414;
4, 5:1,425; 4, 8:1,239; 5, 1:1, 10: I, 431; 13: I, 131; 26: II, 169;
181; II, 249; 5, 8: II, 301; 5, 9: 3 0 :1, 327; 3 2 :1, 327; 4 4 :1, 12
II, 127, 301; 5, 10: II, 128,
O PER E O R IG E N IA N E CITATE 337

frammenti sulla Lettera agli Efesini 361; 500: I, 393 , 396; 503: I,
405; 506: I, 410; 513: I, 427;
1 :1, 392; 9 :1, 109; 19:1, 274; 26: 560: II, 147, 289
1,367

Omelie sul Cantico dei Cantici


Frammenti su Ezechiele
1, 1: I, 399; 1, 3: II, 60; 1, 4: II,
16: II, 121 60, 62; 1 ,7 :1, 67,247; 2,2: Π,
60; 2, 8 :1, 118; 2, 9 :1, 280; II,
139; 2, 12: II, 174
Frammenti su Giovanni

7: II, 272; 53: II, 191; 76: I, 236; Omelie sull’Esodo


II, 138, 242; 77: II, 83; 88: II,
47; 120: II, 147 1,5:11,203; 2,2: II, 48, 230; 3, 2:
I, 278; 3, 3: I, 393; 6, 1: II,
243; 7, 3: II, 172; 7, 4: Π, 77;
Frammenti su Giobbe 9,2:11, 278; 9, 4:11, 279; 11,
2 : 1, 182; 11, 3: Π, 218; 13, 3:
II, 123, 181 II, 133; 13,5: Π, 127

Frammenti sulle Lamentazioni Omelie su Ezechiele

4 :1, 187; II, 271 2, 2 : 1, 157, 257, 287; 5, 1 :1, 378,


441; II, 91; 6, 6: II, 112; 7, 2:
II, 87; 7, 3:1, 225; 9, 2 :1, 153;
Frammenti sui Salmi 10, 1 :1, 159; 13, 1 :1, 107

1,2:11, 273; 1,5:1,316; 4 : 1, 64;


4, 6: I, 173; 11[12], 2: I, 120, Omelie su Genesi
290; 19[20], 6: II, 51, 113;
29[30], 3: Π, 266; 49[50], 16: 1,2:1,360; 1,4:1,360; 1,5:1,306;
II, 211; 115, 1[116, 10] II, 1,7:1,306,407; Π, 123; 2,3:1,
256; 118[119], 8 9 :1, 342 280, 363; 2, 5 :1, 278; Π, 73; 3:
I, 145; 3, 5: Π, 76; 4, 5 : 1, 152;
4, 6 :1, 276; 5 ,5 :1,272; 6, 3 :1,
Frammenti su Luca 40, 216; 8, 3: Π, 108; 9, 3: Π,
54; 11, 3: I, 370; 13, 2: I, 155;
11: II, 51; 73:1, 110 1 3 ,3 :1 ,160; Π, 210

Frammenti su Matteo Omelie su Geremia

11:1, 195; 139:1,67,247; 152:1, 1, 7: I, 346; 1, 8: I, 346; 5, 4: I,


336; 279: I, 282; 281: I, 250; 266; 7, 2 : 1, 192; 7, 3: II, 158;
461:1,210; 464:1, 210; 488:1, 8, 1 :1, 434; 8, 2 : 1, 392; 8, 5:
338 O PER E O R IG E N IA N E CITATE

II, 169; 8, 8: 1,319, 381,434; Omelie sui Giudici


9, 4: I, 151; 10, 2: II, 94; 12,
13:1, 163; II, 76; 1 3 ,2 :1, 199; 1,2:1, 284; 1,3:1, 281, 285; 3, 2:
13, 3: I, 278; 14, 7: I, 252; II, I, 156; 3,5:1,431; 6, 3 :1,384;
133; 14, 8: I, 252; II, 186; 14, 7, 2: I, 359; II, 115; 8, 1: II,
13:1,260; 14,14:1,207; 15,4: 185; 8, 5 : 1, 437
II, 267; 15, 6:11, 132; 16,3:1,
267; II, 281; 16, 4: I, 267; 18,
5 : 1, 109; 19, 12: II, 175s.; 19, Omelie su Luca
13: II, 77, 99; 19, 14: I, 294;
20,1:1, 125; 20,3: II, 129; 20, 7,7:11,243; 15,2:1,439; 17,3:11,
4: II, 129 90; 18,3:11,150; 20,3:1,211;
23, 2: II, 180; 28, 5: II, 73s.;
28, 6: II, 73s.; 29, 3: II, 138;
Omelie latine su Geremia 29, 6: II, 120, 235

1, 3: I, 106; 2, 6: I, 192; 3, 2: II,


46s.; 3, 3: II, 134 Omelie sul Levitico

1, 1 :1, 39, 194; 1, 2: Π, 176; 1, 3:


Omelie su Giosuè Π, 231; 1,4: Π, 65; 1 ,5 :1,225,
393; 2, 2 :1,393; 2, 3: II, 96; 2,
1, 1: II, 218; 1, 3: I, 329; 3, 5: II, 4: I, 171; 2, 5: I, 173; 2, 7: Π,
139, 230; 4, 4 : 1, 371; II, 253; 267; 3, 8: I, 179, 423; 4, 5: I,
5,1:11, 143; 5, 6 :1, 213; 7, 1: 397; 4,7: Π, 281; 4, 8:11,86; 4,
1,333; 7,2:1,333; 7,3: II, 53; 10:1,171; 7,2:1,214,325,353,
7, 5: I, 218; 7, 6: I, 377; 7, 7: 442; II, 240; 9, 4: Π, 227; 9, 5:
I, 403; 8, 2: I, 278; 8, 3: II, Π, 227; 9, 9: Π, 237,279; 9,10:
229; 8, 4: I, 172; 8, 5: I, 387; Π, 94; 10, 1: I, 259; 10, 2: II,
8, 6 :1, 278; 9, 9:1,313; 10,1: 224,227; 12,3: Π, 170; 13,2:1,
II,216; 10,3:11,216; 11,3:1, 393; 13, 5: II, 303; 14, 1: II,
303; 11, 4: I, 439; 11, 6: II, 159; 14,2: Π, 109; 14,3:1,158
146; 14, 1: I, 255; 16, 2: I,
141; 16, 3: I, 255, 304; 16, 5:
I, 281; II, 121; 17, 1: I, 40, Omelie sui Numeri
216; 18, 3: I, 237; 20, 5: I,
200, 295; 24, 1:11, 201; 26, 3: 1, 3: I, 329; 2, 1: I, 156; 4, 3: I,
1,210; II, 228 219; 5, 3: II, 283; 6, 3: II, 180;
7,4: II, 178; 7, 6 :1, 64; 9, 1 :1,
224; 9 ,3 :1, 208; 10,2: II, 219;
Omelie su Isaia 12,3:11, 128; 14,2:11, 89; 15,
3: II, 285; 16, 7: I, 358; 16, 9:
1, 5 : 1, 209; 2 : 1, 127; 2, 2 : 1, 436; II, 93; 17, 4: I, 181; 17, 6: II,
II, 273; 3,1:11,71; 3,3:1,185; 247; 18:1 ,127; 18,3:1,12; 23,
5, 2: II, 181; 6, 1: I, 378, 385; 9 : 1, 333; 23, 11:1, 305; 25, 4:
6,3:11, 145,272; 7, 1:11, 112, II, 113; 27, 3: II, 50; 27, 9:11,
301; 8, 1:1, 295 295; 27, 11: I, 283; 28, 3: I,
215; 28, 4 : 1, 329, 385, 428
O PER E O R IG E N IA N E CITATE 339

Omelia sul I Libro dei Re (gr.) 1 ,4 :1, 30; Π, 49; 1, 12-13: Π, 56;
1, 2 5 :1, 145; 2, 48: II, 249
II, 248

Filocalia
Omelia sul salmo 36
1, 16: II, 61; 1, 2 8 :1, 169; 2, 3 : 1,
2, 1: I, 133, 430; II, 101; 3, 6: I, 217; 5,4:1,291; 5 ,5 :1,273; 8,
383; 3, 1 1 :1, 173; 4, 3 : 1, 274; 3: II, 74; 11, 1-2: I, 180; 15,
5, 1:1, 199; II, 131
19:1,234; II, 241; 23,9: II, 90;
23 ,2 0 :1,299; 27,4:1,245; 27,
Omelia sul salmo 37 5 :1, 245; II, 304

1, 2: II, 126; 2, 1: II, 109; 2, 4: I,


157 I Principi

1, pref. 1 :1, 208; 1, pref. 2 : 1, 44,


Omelia sul salmo 38 290; 1, pref. 3: I, 256; 1, pref.
4:11,88; \,pref. 4-10:1,224; 1,
1, 4: II, 160; 2, 1: I, 308; 2, 2: I, prefJ·. 1,356; 1,1,2: II, 281; 1,
327 1, 6: Π, 132; 1, 1, 9 :1, 67; 1, 2,
1:1,11; 1,2,7:1,429; 1,2, 13:
1,414; 1,3,1:1,169; 1,8,3: Π,
Lìz preghiera
192; 2,3,3:1,64; 2,6,6:11,65;
2,7,2:11,152; 2,8,3:1,215; 2,
1, 1: II, 105; 5, 5: II, 104; 5, 6: II,
81; 6, 5: II, 81; 10, 2: II, 271; 8,4: Π, 124; 2,9,2:1,281,411;
11, 1-2: I, 214; 12, 2: II, 273; 2, 10,4: Π, 90; 2, 1 0 ,5 :1, 441;
13, 4: II, 125, 271; 14, 2: II, 2,10,6: Π, 129; 2,10,7:1,386;
271; 14, 4: II, 271; 16, 1:1, 2,11,4:1, 424; 2, 11,6:1,415;
111; 20,1:1,145; 20,2:1,145, 2,11,7:1,326; 3,1,13:1,245;
174; 22, 2: I, 150; 22, 3: II, 3, 1, 17: I, 12, 245, 435; 3, 1,
122; 23,2:1,318; 25,1:1,129; 19:1, 64, 424; 3, 1,2 4 :1, 64; 3,
25, 1-3: II, 168; 26, 3: I, 130; 2, 4: II, 82; 3, 5, 4 :1,433; 3,5,
27, 11:1, 436; II, 274; 27, 13: 7 :1, 130, 351; 3, 6,1:1, 117; 3,
I, 415, 430; II, 80; 28, 7: I, 6, 8 :1,344; 3, 6, 9 :1,326; 4, 1,
118; 29, 9: II, 120; 29, 19: II, 1:11,256; 4,1,3:1,262; 4,1,6:
122; 31, 4-7: II, 107 I, 137,198; 4 ,2 :1 ,127; 4,2, 1:
1 ,197; 4,2,2:1,256; 11,246; 4,
2,3:1,155; 4,2, 7:1,194,240,
La Pasqua 435; 4, 2, 9: Π, 60; 4, 3, 6-7:1,
194; 4, 3, 8: II, 297; 4, 4, 1 :1,
II, 77 279; 4, 4, 10:1, 67
INDICE GENERALE

N o ta e d it o r ia l e ............................................................................... pag. 7

S ig l e d e i lib r i d e l l a B ib b ia (l a t in o ) ..................................... » 8

Sig l e d e i lib r i d e l l a B ib b ia (it a l ia n o ) ................................. » 9

S ig l e e a b b r e v ia z io n i ...................................................................... » 11

B i b l i o g r a f i a ........................................................................................ » 15

COMMENTARIORUM SERIES IN MATTHAEUM


COMMENTO A MATTEO

[La passione].......................................................................... » 47

INDICI

I n d ic e s c r i t t u r i s t i c o .................................................

I n d ic e d e i n o m i ................................................................................ » 324

I n d ic e a n a l it ic o ................................................................................. » 330

O pere o r ig e n ia n e c i t a t e .............................................................. » 334

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