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XIV) 30 (3)
Madrigale Fenice fù
a a b
Fenice fu' e vissi pura e morbida Arbore seco [mai né] aqua torbida Tal vissi e tal me vivo e posso scrivere
e or sun transmutata in una tortora, no me deleta; mai per questo dubito: ch'a dona non è più che onesta vivere.
che volo cun amor per le bele ortura. vane la state, 'l verno ven de subito.
La lirica qui musicata ha la forma tipica del madrigale del XIV secolo: due stanze di tre versi ciascuna seguite da un
ritornello di due versi. La musica della prima stanza è quindi udita per due volte e il ritornello per una (aab). Le due voci
cantano sul medesimo testo e sono destinate entrambe a un’esecuzione vocale. In due casi (miss. 7-9 e 24-25) sono presenti
delle imitazioni, e in due brevi passaggi (miss. 9 e 16) le parti indulgono in un’alternanza in stile di hoquetus*. Altrimenti, la
voce superiore è quella melodicamente più florida, estendendosi in fluenti melismi sull’ultima sillaba accentata di ciascun
verso.
Le date di nascita e di morte di Jacopo non sono note, ma nel 1346, nel 1349 e ancora nel 1350 è ben documentato il suo
servizio a Milano presso la famiglia regnante Visconti, inframmezzato da una presenza presso la corte di Mastino II e
Alberto della Scala a Verona. Fenice fù è probabilmente una delle sua ultime composizioni.
*
Si tratta di uno stile introdotto in alcune forme polifoniche dell’Ars antiqua e poi dell’Ars nova francese che consiste nel far
coincidere le pause in una voce con le note in un’altra, ottenendo un caratteristico effetto a singhiozzo; la denominazione
deriverebbe proprio dal francese hoquet, ‘singhiozzo’; l’hoquetus può interessare un’ intera composizione o anche soltanto
una parte di essa.
1
Gherardello da Firenze (fl. 1375 ca.), caccia Tosto che l’alba
2
evocazione del corno da
caccia