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Il Pratico Mondo per Edunet books

Emile Zola

J’accuse
EMILE ZOLA

J'ACCUSE
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Il caso Dreyfus

PER GLI EBREI

Pubblicato su "Le Figaro" del 16 maggio 1896 e raccolto in "Nouvelle Campagne".

Da qualche anno, seguo la campagna che si tenta di montare in Francia contro gli ebrei con un
senso crescente di sorpresa e di disgusto. Mi ha tutta l'aria di una mostruosità, voglio dire di una
cosa completamente al di là del buon senso, della verità e della giustizia, di una cosa stupida e
cieca che potrebbe farci arretrare di secoli, di una cosa, insomma, che potrebbe sfociare nel
peggiore degli abomini, una persecuzione religiosa, che insanguinerebbe tutte le patrie.

E lo voglio dire.

Per cominciare, quale processo viene istruito contro gli ebrei, che cosa gli si rimprovera?

Certuni, perfino tra i miei amici, dicono di non poterli soffrire, di non poter dar loro la mano senza
provare un brivido di ripugnanza. E' l'orrore fisico, la repulsione tra razza e razza, del bianco per il
giallo, del rosso per il nero. Non mi chiedo se, in questa ripugnanza, non entri l'antica collera del
cristiano verso il giudeo che ha crocefisso il suo Dio, tutto un atavismo secolare di disprezzo e di
vendetta. Insomma, l'orrore fisico è una buona ragione, anzi la sola, giacché non si sa che cosa
rispondere a chi ti dice: "Li esecro perché li esecro, perché alla sola vista del loro naso vado fuori
di me, perché la mia carne si ribella, nel sentirli diversi e contrari".

Ma, in verità, questa ostilità tra razza e razza non è una ragione sufficiente. Ritorniamo alle
caverne, allora, ricominciamo la barbara guerra tra specie e specie, divoriamoci, per il solo fatto di
non lanciare lo stesso richiamo o di essere di pelo diverso. Lo sforzo delle civiltà è proprio quello di
cancellare questo bisogno selvaggio di gettarsi sul proprio simile quando non è del tutto simile. Nel
corso dei secoli, la storia dei popoli non è altro che una lezione di tolleranza reciproca, tant'è vero
che il sogno finale sarà di ricondurli tutti alla fratellanza universale, di sommergerli di una comune
tenerezza, perché tutti, per quanto è possibile, siano salvi dal comune dolore. E, ai nostri giorni,
odiarsi e azzannarsi, solo perché qualcuno non ha il cranio costruito proprio nello stesso modo,
rischia di essere la più mostruosa delle follie.
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Vengo al processo serio, che è soprattutto d'ordine sociale. E ne riassumo la requisitoria, la indico
a grandi linee. Gli ebrei sono accusati di essere una nazione nella nazione, di condurre in disparte
una vita di casta religiosa e di essere dunque, al di sopra delle frontiere, una sorta di setta
internazionale, senza una vera patria capace un giorno, qualora trionfasse, di mettere le mani sul
mondo. Gli ebrei si sposano tra loro, conservano strettissimi legami di famiglia; in mezzo alla
moderna rilassatezza, si sostengono e si incoraggiano; mostrano, nel loro isolamento, una
straordinaria forza di resistenza e di lenta conquista. Ma, soprattutto, sono pratici e avveduti per
natura, si portano nel sangue un bisogno di lucro, un amore per il denaro, un così prodigioso
senso degli affari che, in meno di cento anni, hanno accumulato nelle loro mani fortune enormi, e
che sembrano assicurare loro la regalità, in un'epoca in cui il denaro è re.

Ed è vero, verissimo. Però, una volta constatato il fatto, occorre spiegarlo. Ciò che bisognerebbe
aggiungere è che gli ebrei, così come sono oggi, sono opera nostra, l'opera dei nostri
milleottocento anni di imbecille persecuzione. Li abbiamo rinchiusi entro quartieri infami, come
lebbrosi, e ci meravigliamo che abbiano vissuto appartati, conservando tutte le loro tradizioni,
stringendo i legami familiari, vivendo da vinti in casa dei vincitori. Li abbiamo schiaffeggiati,
ingiuriati, colmati di ingiustizie e di violenze; niente di strano perciò se in fondo al cuore, magari
inconsapevolmente, hanno conservato la speranza di una lontana rivincita, la volontà di resistere,
di tirare avanti e di vincere. Soprattutto, abbiamo sdegnosamente lasciato nelle loro mani il
dominio del denaro, che noi disprezzavamo, facendone socialmente dei trafficanti e degli usurai, e
dunque perché meravigliarsi se, quando il regime della forza bruta ha lasciato il posto a quello
dell'intelligenza e del lavoro, li abbiamo trovati padroni di capitali, la mente agile, esercitata da
secoli di ereditarietà, pronti per l'impero?

Ed ecco che oggi, atterriti davanti a questa opera di accecamento, spaventati nel constatare ciò
che la fede settaria del medioevo ha saputo fare degli ebrei, non sappiamo immaginare niente di
meglio che tornare all'anno mille, riprendere le persecuzioni, ricominciare a predicare la guerra
santa affinché gli ebrei siano braccati, spogliati, risospinti nel ghetto, con la rabbia nell'anima,
trattati da vinti in mezzo ai vincitori.

Davvero intelligenti, parola mia! E che bella concezione sociale!

Ma via! Siamo più di duecento milioni di cattolici, gli ebrei sì e no sono cinque milioni, eppure
tremiamo, chiamiamo le guardie, ci mettiamo a schiamazzare di terrore come se orde di predoni si
fossero abbattute sul paese. Coraggiosi, molto coraggiosi!

Eppure le condizioni della lotta sembrano accettabili. Non potremmo, nel campo degli affari,
cercare di essere altrettanto accorti e altrettanto forti? Durante il mese in cui ho frequentato la
Borsa per tentare di capirci qualcosa, un banchiere cattolico mi diceva, riguardo agli ebrei: "Eh,
caro signore, sono più forti di noi, avranno sempre partita vinta". Se fosse vero, sarebbe
veramente umiliante. Ma perché dovrebbe essere vero? Avranno predisposizione, d'accordo, ma
pure se fosse? Il lavoro e l'intelligenza possono tutto. Ne conosco, di cristiani, che sono ebrei della
più bell'acqua. Il campo è libero, e se gli ebrei hanno avuto secoli a disposizione per imparare ad
amare e a guadagnare il denaro, a noi non resta che seguirli su questa via, vedere di acquisire le
loro qualità, di batterli con le loro stesse armi. Ma sì, mio Dio! smetterla di ingiuriarli inutilmente, e
conquistare la superiorità per vincerli. Non c è niente di più semplice e, in fondo, è la legge della
vita.
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Pensate alla loro soddisfazione orgogliosa, di fronte al nostro grido di sconforto! Non essere che
un'infima minoranza e scatenare un simile spiegamento di guerra! Ogni mattina gli scagliate i vostri
fulmini, suonate disperatamente l'adunata come se la città corresse il pericolo di venire presa
d'assalto! A sentirvi, bisognerebbe ristabilire il ghetto, avremmo di nuovo la via degli ebrei, da
sbarrare ogni sera con le catene. Sarebbe veramente piacevole questa quarantena, nelle nostre
città libere e aperte.

Io non mi meraviglio che non si commuovano e che continuino a trionfare sui nostri mercati
finanziari, poiché l'ingiuria è la freccia leggendaria che torna indietro per trafiggere l'occhio del
cattivo arciere. Continuate, continuate a perseguitarli, se volete che continuino a vincere!

La persecuzione: ma davvero siamo ancora a questo? Ci crogioliamo ancora in questa bella


fantasia, che perseguitando qualcuno lo si sopprima? Via, è proprio il contrario, se una causa s'è
ingrandita è perché è stata arrossata dal sangue dei martiri. Se ci sono ancora degli ebrei, la colpa
è nostra. Sarebbero scomparsi, si sarebbero fusi, se non li avessimo costretti a difendersi, a
raggrupparsi, a intestardirsi nella loro razza. E ancora oggi, la loro potenza più reale viene da noi,
che esagerandola la rendiamo importante. Si finisce per crearlo, un pericolo, gridando ogni mattina
che esiste. A forza di mostrare al popolo uno spauracchio, si crea il mostro reale. Non parliamone
più. Il giorno in cui l'ebreo sarà un uomo come noi, sarà nostro fratello.

Quanto alla tattica indicata, è assolutamente opposta. Spalancare le braccia, realizzare


socialmente l'uguaglianza riconosciuta dal codice. Abbracciare gli ebrei, per assorbirli e confonderli
con noi. Arricchirci delle loro qualità, poiché ne hanno. Far cessare la guerra delle razze
mescolando le razze. Incoraggiare i matrimoni, affidare ai figli la cura di riconciliare i padri. Solo
così si fa opera d'unità, opera umana e liberatrice.

L'antisemitismo, nei paesi dove ha un'importanza reale, non è altro che l'arma di un partito politico
o il risultato di una grave situazione economica.

Ma in Francia, dove non è vero, come si vorrebbe farci credere, che gli ebrei siano i padroni
assoluti del potere e del denaro, l'antisemitismo resta una cosa campata in aria, senza radice
alcuna nel popolo. Per creare una parvenza di movimento, che in fondo è soltanto uno schiamazzo,
c'è voluto il fanatismo di alcuni cervelli fumosi, in cui si agita un losco cattolicesimo settario che,
per un abuso di letteratura, perseguita perfino nei Rothschild i discendenti di quel Giuda che ha
tradito e crocefisso il suo Dio. E aggiungo che il bisogno di fare chiasso, la smania di farsi leggere
e di conquistare una notorietà clamorosa, sicuramente non sono stati estranei a questa
accensione e a questo pubblico discorrere di roghi, le cui fiamme sono per fortuna soltanto
decorative.
E che smacco penoso! Mesi e mesi di ingiurie, di delazioni, ebrei denunciati ogni giorno come ladri
e assassini, cristiani stessi tacciati di essere ebrei al fine di poterli colpire, l'intero mondo ebraico
braccato, insultato, condannato! E, al costrutto, null'altro che baccano, parole grosse, sfoggio di
basse passioni, ma non un atto, non un assembramento,
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fracassato! Il nostro popolo francese dev'essere proprio un popolo buono saggio, onesto, per non
ascoltare questi appelli quotidiani alla guerra civile, per conservare la ragione in mezzo a queste
istigazioni abominevoli, a questa quotidiana richiesta del sangue di un ebreo! Non è più con un
prete che il giornale fa colazione ogni mattina, ma con un ebreo, il più grasso, il più florido che si
possa trovare. Un pasto mediocre quanto l'altro, e per lo meno altrettanto sciocco. E che cosa
resta di tutto ciò?

Soltanto la bassezza dello sforzo compiuto, il più folle e il più esecrabile che si possa compiere.
Anche il più inutile, a Dio piacendo, poiché i passanti non si voltano neppure, per la strada,
trattando gli energumeni alla stregua di cani in chiesa, e per di più rognosi.

La cosa straordinaria è che costoro ostentano la pretesa di fare opera indispensabile e giusta.
Quanto li compiango, poveri diavoli, se sono in buona fede! E' un documento spaventoso, quello
che lasceranno di se stessi: un cumulo di errori, di menzogne, di invidia furibonda, di follia senza
limiti, che essi ammassano giorno per giorno. Quando un critico vorrà calarsi in questo pantano,
indietreggerà inorridito nel constatare che alla base c'è solo fanatismo religioso e squilibrio
dell'intelletto. E verranno messi alla berlina della storia come altrettanti malfattori sociali, i cui
crimini sono abortiti proprio in grazia dello stato di ottenebramento in cui sono stati commessi.

Perché la cosa che non finisce mai di stupirmi è che un simile ritorno di fanatismo, un tale tentativo
di guerra religiosa si sia potuto produrre nella nostra epoca, nella nostra grande Parigi, tra il nostro
bravo popolo. E per di più in questi nostri tempi di democrazia, di tolleranza universale, mentre si
manifesta ovunque un immenso movimento verso l'uguaglianza, la fraternità e la giustizia! C'è, in
noi, la tendenza a distruggere le frontiere, a sognare le comunità dei popoli, a riunire le religioni a
congresso perché i sacerdoti di tutti i culti si abbraccino, a sentirci fratelli nel dolore, a volerci
salvare tutti dalla miseria di vivere con l'elevare un unico altare alla pietà umana! E c'è un pugno di
pazzi, di imbecilli, o di furbi, che ogni mattina ci gridano: "Uccidiamo gli ebrei, divoriamo gli ebrei,
massacriamo, sterminiamo, ritorniamo ai roghi, alle persecuzioni care ai dragoni di Luigi
Quattordicesimo!". Veramente ben scelto, il momento! Non potrebbe esserci nulla di più idiota, se
non ci fosse niente di più abominevole.

Che ci sia, tra le mani di qualche ebreo, un doloroso accaparramento della ricchezza, è un fatto
innegabile. Ma lo stesso accaparramento esiste presso alcuni cattolici e alcuni protestanti.
Sfruttare le rivolte popolari col metterle al servizio di un fanatismo religioso, gettare soprattutto
l'ebreo in pasto alle rivendicazioni dei diseredati, con il pretesto di gettarci il riccone, è un
socialismo ipocrita e menzognero, che bisogna denunciare, marchiare d'infamia. Se un giorno la
legge del lavoro verrà formulata in nome della verità e della felicità, potrà ricreare l'umanità intera;
e poco importerà che uno sia ebreo o cristiano, poiché i conti da rendere saranno gli stessi, e gli
stessi saranno i nuovi diritti e i nuovi doveri.
Ah! questa unità umana, alla quale dobbiamo tutti insieme sforzarci di credere, se vogliamo avere
il coraggio di vivere e se, nella lotta, vogliamo conservare qualche speranza! E un grido ancora
incerto, ma che a poco a poco si libera, si gonfia, sale da tutti i popoli affamati di verità, di giustizia
e di pace.

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Disarmiamo i nostri odi, amiamoci nelle nostre città, amiamoci al di sopra delle frontiere, lavoriamo
a fondere le razze in un'unica famiglia, finalmente felice! Ammettiamo pure che occorrano i millenni,
ma confidiamo almeno nella realizzazione finale dell'amore, per cominciare se non altro ad amarci,
oggi, quel tanto che la miseria dei tempi attuali ce lo permetterà. E lasciamo i pazzi, lasciamo i
cattivi tornare alla barbarie e alle caverne, quelli che credono di poter fare giustizia a coltellate.

Che Gesù dica ai suoi fedeli esasperati che egli ha perdonato agli ebrei, e che gli ebrei sono
uomini!

SCHEURER-KESTNER

Articolo pubblicato su "Le Figaro" il 25 novembre 1897.

Quale dramma straziante, e quali splendidi personaggi! Di fronte a documenti di una bellezza così
tragica che la vita ci mette davanti, il mio cuore di romanziere freme di appassionata ammirazione.
Non so intravedere una psicologia più nobile.

Non è mia intenzione parlare del caso. Se talune circostanze mi hanno permesso di studiarlo e di
farmene un'opinione formale, non dimentico che un'inchiesta è in corso, che la giustizia se ne sta
occupando e che per onestà è giusto attendere, senza contribuire all'ammasso di pettegolezzi volti
a ostruire un caso così chiaro e così semplice.

Ma i personaggi, da questo momento, appartengono a me, che sono soltanto un passante con gli
occhi aperti sulla vita. E se il condannato di tre anni or sono, se l'accusato d'oggi per me
rimangono sacri fino a che la giustizia non avrà completato la sua opera, il terzo grande
personaggio del dramma, l'accusatore, non avrà certo a soffrire se parlerò di lui con onestà e con
coraggio.

Ecco che cosa ho visto di Scheurer-Kestner, ecco che cosa penso e che cosa affermo.
Forse un giorno, se le circostanze lo permetteranno, parlerò degli altri due.

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Una vita cristallina, la più nitida, la più diritta. Non una tara, mai la più piccola debolezza. Una
medesima opinione, costantemente seguita, senza ambizione militante, sfociata in un'altra
posizione politica dovuta unicamente alla simpatia rispettosa dei suoi pari.

E non un sognatore, né un utopista. Un industriale, che ha vissuto chiuso nel suo laboratorio,
dedito a ricerche particolari, senza contare la preoccupazione quotidiana di una grande ditta
commerciale da mandare avanti.

E, aggiungo, una situazione patrimoniale invidiabile. Tutte le ricchezze, tutti gli onori, tutte le gioie,
il coronamento di una bella vita interamente dedicata al lavoro e alla lealtà. Più un solo desiderio
da esprimere, ossia quello di finire in modo degno, in questa felicità e nella stima generale.

Eccolo, l'uomo. Lo conoscono tutti, non vedo chi mi potrebbe smentire. Ed è proprio l'uomo attorno
al quale si sta per svolgere uno dei drammi più tragici e più appassionati. Un giorno, un dubbio si
affaccia nel suo spirito, poiché è un dubbio che è nell'aria e che ha già rubato varie coscienze. Un
tribunale militare ha condannato, per alto tradimento, un capitano che, chissà, forse è innocente. Il
castigo è stato tremendo, la degradazione pubblica, l'internamento in un luogo lontano,
l'esecrazione di tutto un popolo che si accanisce, infierendo sull'infelice già a terra. E, qualora
fosse innocente, gran Dio!

che brivido di pietà, che orrore agghiacciante! al pensiero che non ci sarebbe riparazione possibile.

Nello spirito del signor Scheurer-Kestner, è nato il dubbio. Da quel momento, come ha spiegato lui
stesso, inizia il tormento, rinasce l'ossessione man mano che le cose gli giungono all'orecchio. E'
un'intelligenza solida e logica quella che, a poco a poco, finisce per essere conquistata dal bisogno
insaziabile della verità. Non c'è nulla di più alto, di più nobile e il travaglio che quest'uomo ha
vissuto è uno spettacolo straordinario ed entusiasmante, per me, portato come sono dal mio
mestiere a scrutare nelle coscienze. Il dibattito sulla verità e in nome della giustizia, non esiste lotta
più eroica.

In breve, alla fine Scheurer-Kestner giunge alla certezza. La verità la conosce, ora deve fare
giustizia. E' un momento pauroso e posso immaginare cosa debba essere stato per lui quel
momento d'angoscia. Non gli erano certo ignote le tempeste che stava per sollevare, ma la verità e
la giustizia sono sovrane, poiché esse soltanto assicurano la grandezza delle nazioni. Può
accadere che interessi politici le oscurino per qualche istante, ma un popolo che non basi su di
esse la sua unica ragione d'essere sarebbe, oggi, un popolo condannato.
Fare luce sulla verità, certo; ma potremmo avere l'ambizione di farcene un vanto. Alcuni la
vendono, altri vogliono almeno trarre vantaggio dall'averla detta.

Il progetto di Scheurer-KestnerIl era di restare


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per Edunet compiendo la sua opera. Aveva
deciso di dire al governo: "Le cose stanno così. Intervenite, abbiate voi stessi il merito d'essere
giusti, riparando a un errore. Chi fa giustizia, trionfa sempre".

Circostanze delle quali non voglio parlare fecero sì che non venisse ascoltato.

Da quel momento in poi, ebbe inizio la sua ascesa al calvario, un'ascesa che dura da settimane. Si
era sparsa la voce che egli fosse in possesso della verità, e chi detiene la verità, senza gridarla ai
quattro venti, che altro può essere se non un nemico pubblico? Stoicamente, per quindici giorni
interminabili, egli rimase fedele alla parola data di tacere, sempre nella speranza di non doversi
ridurre a prendere il posto di quelli che avrebbero dovuto agire. E sappiamo bene quale marea
d'invettive e di minacce si sia abbattuta su di lui durante questi quindici giorni; un vero torrente di
accuse immonde, di fronte al quale è rimasto impassibile, a testa alta. Perché taceva? Perché non
mostrava il suo incartamento a chiunque lo volesse vedere? Perché non faceva come gli altri che
riempivano i giornali delle loro confidenze?

Quanto, ah, quanto è stato grande e saggio! Taceva, perfino al di là della promessa fatta, proprio
perché si sentiva responsabile nei confronti della verità. Questa povera verità, nuda e tremebonda,
schernita da tutti e che tutti sembravano avere interesse a soffocare, lui pensava soltanto a
proteggerla contro l'ira e le passioni altrui. Aveva giurato a se stesso che non l'avrebbero fatta
sparire e intendeva scegliere il momento e i mezzi adatti per assicurarle il trionfo. Che può mai
esserci di più naturale, di più lodevole? Per me non esiste niente di più sovranamente bello del
silenzio di Scheurer-Kestner, dopo tre settimane di ingiurie e di sospetti da parte di un intero
popolo fuori di sé. Ispiratevi a lui, romanzieri! In lui sì avreste un eroe!

I più benevoli hanno avanzato dubbi sul suo stato di salute mentale. Non era per caso un vegliardo
indebolito, caduto nell'infantilismo senile, uno di quegli spiriti che il rimbambimento incipiente rende
inclini alla credulità? Gli altri, i pazzi e i delinquenti, l'hanno accusato senza tante cerimonie
d'essersi lasciato "comprare". Semplicissimo: gli ebrei hanno sborsato un milione per acquistare
tanta incoscienza. E non si è levata una risata immensa, come risposta a tanta stupidità!

Scheurer-Kestner, è là, con la sua vita cristallina. Fate un confronto tra lui e gli altri, quelli che lo
accusano e lo insultano, e giudicate. Bisogna scegliere tra questo e quelli.

Trovatela, la ragione che lo farebbe agire, al di fuori del suo bisogno così nobile di verità e di
giustizia. Coperto d'ingiurie, l'animo lacerato, sentendo vacillare il suo prestigio sotto di sé, ma
pronto a sacrificare tutto pur di portare a buon esito il suo eroico compito, egli tace, aspetta. Fino a
che punto si può essere grandi!

L'ho detto, del caso in sé non mi voglio occupare. Tuttavia, è bene che io lo ripeta: è il più semplice,
il più trasparente del mondo, per chi voglia prenderlo per quello che è.
Un errore giudiziario, eventualità deplorevole, sì, ma sempre possibile. Sbagliano i magistrati,
possono sbagliare i militari.

Cosa ha a che fare, questo, con l'onore dell'esercito?


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Mondo per Edunet bel gesto, qualora sia stato
commesso un errore, è di porvi riparo: e la colpa nascerebbe nel momento in cui qualcuno si
intestardisse a non voler ammettere di essersi sbagliato, nemmeno di fronte a prove decisive. Non
ci sono altre difficoltà, in fondo. Andrà tutto bene, purché si sia decisi a riconoscere di aver potuto
commettere un errore e di avere esitato, in seguito, a convenirne, perché era imbarazzante. Quelli
che sanno, mi capiranno.

Quanto al temere complicazioni diplomatiche, è uno spauracchio per gli allocchi. Nessuna delle
potenze vicine ha niente a che spartire con il caso e converrà dirlo forte. Ci troviamo soltanto di
fronte a un'opinione pubblica esasperata, sovraffaticata da una campagna che è tra le più odiose.
La stampa è una forza necessaria; sono convinto che nel complesso faccia più bene che male. Ma
certi giornali, quelli che gettano lo scompiglio, quelli che seminano il panico, che vivono di scandali
per triplicare le vendite, non sono certo meno colpevoli. L'antisemitismo idiota ha gettato il seme di
questa demenza. La delazione è dappertutto, nemmeno i più puri e più coraggiosi osano fare il loro
dovere per il timore di venire infangati.

E così, eccoci in questo orribile caos, nel quale tutti i sentimenti sono falsati, in cui non è possibile
volere la giustizia senza venire trattati da rimbambiti o da venduti. Le menzogne mettono radici, le
storie più assurde vengono riportate con sussiego dai giornali seri, l'intera nazione sembra in
preda alla follia, quando un po' di buon senso rimetterebbe subito a posto le cose. Oh, come sarà
semplice, torno a dirlo, il giorno in cui quelli che sono alla guida oseranno, nonostante la folla
aizzata, comportarsi da galantuomini!

Immagino che nel silenzio altero di Scheurer-Kestner, ci sia anche il desiderio di aspettare che
ciascuno faccia il suo esame di coscienza prima di agire. Quando ha parlato del suo dovere che,
perfino sulle rovine del suo prestigio, della sua felicità e dei suoi beni, gli ordinava, dopo averla
conosciuta, di servire la verità, quest'uomo ha detto una frase ammirevole: "Non avrei potuto
vivere". Ebbene, ecco che cosa devono dirsi tutte le persone oneste immischiate in questa storia:
che non potranno più vivere, se non faranno giustizia.

E, qualora ragioni politiche volessero che la giustizia venisse ritardata, si tratterebbe di una notizia
falsa che servirebbe soltanto a rinviare l'epilogo inevitabile,aggravandolo ulteriormente.

La verità è in cammino e niente la potrà fermare.


IL SINDACATO

Articolo Pubblicato su "Le Figaro" il primo dicembre 1897.


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Contavo di scrivere per questo giornale tutta una serie di articoli sul caso Dreyfus, un'intera
campagna, via via che gli avvenimenti si fossero svolti. Per caso, durante una passeggiata, ne
avevo incontrato il direttore, Fernand de Rodays. Ci eravamo messi a discorrere, accalorandoci,
proprio in mezzo ai passanti, e da lì era nata bruscamente la mia decisione di offrirgli degli articoli,
avendolo sentito d'accordo con me. Mi trovavo così impegnato, quasi senza volerlo. Aggiungo,
tuttavia, che prima o poi ne avrei parlato, poiché tacere mi era impossibile. Non dimentichiamo con
quale vigore "Le Figaro" cominciò e soprattutto finì per sposare la causa.

Il concetto è noto. Ed è di una bassezza e di una stupidità semplicistica, degne di quelli che
l'hanno immaginato.

Il capitano Dreyfus viene condannato da un tribunale militare per alto tradimento. Da quel
momento, diventa il traditore, non più un uomo ma un'astrazione, colui che incarna l'idea della
patria sgozzata, venduta al nemico vincitore. Non è soltanto il tradimento presente e futuro,
rappresenta pure il tradimento passato, poiché a lui si ascrive l'antica sconfitta, nell'ostinata
convinzione che solo il tradimento abbia potuto far sì che fossimo battuti.

Ecco l'anima nera, il personaggio abominevole, la vergogna dell'esercito, il bandito che vende i
fratelli proprio come Giuda ha venduto il suo Dio. E, trattandosi di un ebreo, è semplicissimo: gli
ebrei che sono ricchi e potenti e senza patria, del resto, lavoreranno sott'acqua, con i loro milioni,
per toglierlo dai guai; compreranno le coscienze e tesseranno attorno alla Francia un complotto
esecrabile pur di ottenere la riabilitazione del colpevole, pronti a sostituirgli un innocente.

La famiglia del condannato, anch'essa ebrea, naturalmente, entra nell'affare. Affare sì, poiché è a
peso d'oro che si tenterà di disonorare la giustizia, di imporre la menzogna, di sporcare un popolo
con la più impudente delle campagne. Il tutto per salvare un ebreo dall'infamia e sostituirlo con un
cristiano.

Insomma, si crea quasi un consorzio finanziario. Vale a dire che alcuni banchieri si riuniscono,
mettono dei fondi in comune, sfruttano la credulità pubblica. Da qualche parte, c'è una cassa che
paga per tutto il fango smosso. C'è una vasta impresa tenebrosa, uomini mascherati, forti somme
consegnate di notte, sotto i ponti, a degli sconosciuti, ci sono grandi personaggi da corrompere,
pagandone a prezzi folli l'antica onestà.
E a poco a poco questo sindacato si allarga, finisce per essere un'organizzazione potente,
nell'ombra, tutta una spudorata cospirazione per glorificare il traditore e per annegare la Francia
sotto una marea d'ignominia.

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Esaminiamolo, questo sindacato.

Gli ebrei si sono arricchiti, e sono loro a pagare l'onore dei complici, profumatamente. Mio Dio,
chissà quanto avranno già speso! Ma, se sono arrivati appena a una decina di milioni, capisco
benissimo che li abbiamo sacrificati. Siamo di fronte a cittadini francesi, nostri uguali e nostri fratelli,
che l'antisemitismo imbecille trascina quotidianamente nel fango. Si è tentato di schiacciarli per
mezzo del capitano Dreyfus; del crimine di uno di loro, si è cercato di fare il crimine di un'intera
razza. Tutti traditori, tutti venduti, tutti da condannare. E volete che questi non protestino
furiosamente, non cerchino di discolparsi, di restituire colpo su colpo in questa guerra di sterminio
della quale sono oggetto? Va da sé, naturalmente, che si augurino con tutto il cuore di vedere
risplendere l'innocenza del loro correligionario; e se la riabilitazione appare loro possibile, chissà
con quanto ardore si staranno impegnando per ottenerla.

Ciò che mi lascia perplesso è che, se esiste uno sportello dove si va a riscuotere, non ci sia nel
sindacato qualche autentico briccone. Vediamo un po', voi li conoscete bene: come si spiega che il
tale, o il tal altro, o il tal altro ancora, non lo siano?

E' incredibile, ma tutta la gente che si dice gli ebrei abbiano comprato gode di una solida
reputazione di probità. C'è forse un fondo di civetteria? Forse, gli ebrei vogliono soltanto merce
rara, essendo disposti a pagarla? Io, però, dubito molto di questo sportello, anche se sarei
prontissimo a giustificare gli ebrei qualora, portati all'esasperazione, si difendessero con i loro
milioni. In un massacro, ognuno si serve di quello che ha. E parlo di loro con la massima
tranquillità perché non li amo e non li odio. Non ho amici ebrei particolarmente vicini al mio cuore.
Per me sono uomini, e tanto basta.

Ma, per la famiglia del capitano Dreyfus, è ben diverso, e qui se qualcuno non comprendesse, non
s'inchinasse, sarebbe un cuore davvero arido. Sia ben chiaro! tutto il suo oro, tutto il suo sangue,
la famiglia ha il diritto e il dovere di offrirlo, se crede innocente il suo rampollo. Quella è una soglia
sacra che nessuno ha il diritto di insozzare. In quella casa che piange, dove c'è una moglie, dei
fratelli, dei genitori in lutto, è d'obbligo entrare con il cappello in mano; e soltanto gli zotici si
permettono di parlare ad alta voce e mostrarsi insolenti. Il fratello del traditore! è l'insulto che si
getta in faccia a quel fratello. Sotto quale morale, sotto quale Dio viviamo, mi chiedo, perché ciò
sia possibile, perché la colpa di uno dei componenti venga rimproverata a tutta la famiglia? Non c'è
niente di più vile, di più indegno della nostra cultura e della nostra generosità. I giornali che
ingiuriano il fratello del capitano Dreyfus, solo perché ha fatto il suo dovere, sono un'onta per la
stampa francese.

E chi mai doveva parlare, se non lui? E' compito suo. Quando la sua voce si è levata a chiedere
giustizia, nessuno più aveva il diritto di intervenire, si sono fatti tutti da parte. Lui solo aveva la
veste per sollevare la spinosa questione di un possibile errore giudiziario, della verità su cui far
luce, una verità lampante. Hanno un bell'accumulare ingiurie, nessuno potrà oscurare il concetto
che la difesa dell'assente l'hanno in mano quelli del suo sangue, che hanno conservato la
speranza e la fede.

E la prova morale più forte in Il


favore dell'innocenza
Pratico Mondo perdel condannato
Edunet books è proprio la convinzione
incrollabile di un'intera e onorata famiglia, di una probità e di un patriottismo senza macchia.

Poi, dopo gli ebrei fondatori, dopo la famiglia che ne è a capo, vengono i semplici membri del
sindacato, quelli che si sono fatti comprare. Due tra i più anziani sono Bernard Lazare e il
comandante Forzinetti. In seguito, sono venuti Scheurer-Kestner e Monod. Ultimamente, si è
scoperto il colonnello Picquart, senza contare Leblois. E spero bene, dopo il mio primo articolo, di
far parte pure io della banda. Del resto, appartiene al sindacato, viene tacciato d'essere un
malfattore e d'essere stato pagato, chiunque, ossessionato dall'agghiacciante brivido di un
possibile errore giudiziario, si permetta di volere che sia fatta la verità, in nome della giustizia.

Ma siete stati voi a volerlo, a crearlo, questo sindacato. Voi tutti che contribuite a questo
spaventoso caos, voi falsi patrioti, antisemiti sbraitanti, semplici sfruttatori della pubblica sconfitta.

La prova non è forse completa, di una luminosità solare? Se ci fosse stato un sindacato, ci
sarebbe stata un'intesa; e dov'è l'intesa? E' semplicemente nato in alcune coscienze, all'indomani
della condanna, un senso di malessere, un dubbio, di fronte all'infelice che grida a tutti la sua
innocenza. La crisi terribile, la pubblica follia alla quale assistiamo, è sicuramente partita da lì, dal
lieve brivido rimasto negli animi. Ed è il comandante Forzinetti l'uomo di quel brivido che tanti altri
hanno provato, quello che ce ne ha fatto un racconto così cocente.

Poi, c'è Bernard Lazare. Preso dal dubbio, egli lavora a far luce.

La sua inchiesta solitaria si svolge però in mezzo a tenebre che gli è impossibile diradare. Pubblica
un opuscolo, ne fa uscire un secondo alla vigilia delle sue rivelazioni di oggi; e la prova che egli
lavorava da solo, che non era in relazione con nessun altro membro del sindacato, è che non ha
saputo, non ha potuto dire niente della verità vera. Un sindacato proprio strano, i cui membri si
ignorano!

C'è poi Scheurer-Kestner, a sua volta torturato dal bisogno di verità e di giustizia, e che cerca,
tenta di arrivare a una certezza, senza sapere niente dell'inchiesta ufficiale ufficiale, dico - che
contemporaneamente veniva svolta dal colonnello Picquart, messo sulla buona strada dalle sue
stesse funzioni presso il ministero della Guerra. C'è voluto un caso, un incontro, come si saprà in
seguito, perché i due uomini che non si conoscevano, che lavoravano ognuno per conto proprio
alla stessa opera, finissero all'ultimo momento per raggiungersi e procedere fianco a fianco.
La storia del sindacato è tutta qui: uomini di buona volontà, di verità e di equità, partiti dai quattro
punti cardinali, senza conoscersi e lavorando a leghe di distanza, ma incamminati tutti verso uno
stesso fine, procedendo in silenzio, esplorando il terreno e convergendo tutti un bel mattino verso
lo stesso punto d'arrivo. Com'era inevitabile, si sono trovati tutti e presi per mano a quel crocevia
della verità, a quel fatale appuntamento della giustizia.
Il Pratico Mondo per Edunet books

Come vedete siete voi che, ora, li riunite, li costringete a serrare i ranghi per dedicarsi a un
medesimo sforzo sano e onesto, questi uomini che voi coprite d'insulti, che accusate del più nero
complotto, quando miravano unicamente a un'opera di suprema riparazione.

Dieci, venti giornali, ai quali si mescolano le passioni e gli interessi più diversi, una stampa ignobile
che non posso leggere senza che mi si spezzi il cuore per lo sdegno, non ha cessato, come dicevo,
di convincere il pubblico che un sindacato di ebrei fosse impegnato nel più esecrabile dei complotti,
acquistando le coscienze a peso d'oro. Lo scopo era in un primo momento quello di salvare il
traditore e sostituirlo con un innocente; poi, quello di disonorare l'esercito, di vendere la Francia
come nel 1870.

Sorvolo sui romanzeschi particolari della tenebrosa macchinazione.

E questa opinione, lo riconosco, è diventata quella della grande maggioranza del pubblico. Quante
persone ingenue mi hanno avvicinato in questi otto giorni, per dirmi con aria stupefatta:

"Come! Dite che Scheurer-Kestner non è un bandito? e vi mettete pure voi con quella gentaglia?
Ma non lo sapete che hanno venduto la Francia?". Il cuore mi si stringe per l'angoscia, perché so
bene che una simile perversione dell'opinione pubblica rende molto facile imbrogliare le carte. E il
peggio è che i coraggiosi sono rari, quando c'è da andare controcorrente. Quanti ti mormorano
all'orecchio di essere convinti dell'innocenza del capitano Dreyfus, ma che non se la sentono di
assumere un atteggiamento pericoloso, nella mischia!

Dietro l'opinione pubblica, sulla quale contano naturalmente di potersi appoggiare, ci sono gli uffici
del ministero della Guerra.

Non voglio parlarne, oggi, perché ancora spero che giustizia sarà fatta. Ma chi non si rende conto
che siamo di fronte alla cattiva volontà più cocciuta? Non si vuole riconoscere di aver commesso
degli errori e, vorrei dire, delle colpe. Ci si ostina a coprire i personaggi compromessi e si è pronti a
tutto, pur di evitare il tremendo repulisti. E la cosa è talmente grave, che quegli stessi che hanno in
mano la verità, dai quali si esige furiosamente che la dicano, esitano ancora, aspettano a gridarla
pubblicamente, nella speranza che essa si imponga da sé e che venga loro risparmiato il dolore di
doverla dire.

Ma è pur sempre una verità quella che, da oggi, io vorrei diffondere in tutta la Francia. Ossia che si
è sul punto di farle commettere, a lei che è la giusta, la generosa, un autentico crimine. Non è più
la Francia, dunque, perché si possa ingannarla a tal punto, aizzarla contro un infelice che, da tre
anni, espia, in condizioni atroci, un crimine che non ha commesso? Sì, esiste laggiù, in un'isola
sperduta, sotto un sole spietato, un essere che è stato separato dai suoi simili. E non solo il mare
lo isola, ma undici guardiani lo circondano notte e giorno come una muraglia vivente. Undici uomini
sono stati immobilizzati per sorvegliarne uno solo. Mai assassino, mai pazzo furioso è stato murato
in modo così totale. E l'eternoIlsilenzio e laMondo
Pratico lenta per
agonia sottobooks
Edunet l'esecrazione di una nazione intera!
Osereste dire, ora, che quest'uomo non è colpevole?

Ebbene, è proprio quello che affermiamo, noialtri, gli appartenenti al sindacato. E lo diciamo alla
Francia e ci auguriamo che prima o poi ci ascolti poiché sempre essa si infervora per le cause
giuste e belle. Le diciamo che noi vogliamo l'onore dell'esercito, la grandezza della nazione. E'
stato commesso un errore giudiziario e, finché non sarà riparato, la Francia soffrirà, malaticcia,
come per un cancro segreto che corrode a poco a poco le armi. E se, per farla ritornare sana, è
necessario ricorrere al bisturi, si faccia!

Un sindacato per agire sull'opinione pubblica, per guarirla dalla demenza in cui l'ha gettata certa
stampa ignobile, per riportarla alla sua fierezza, alla sua secolare generosità. Un sindacato per
ripetere ogni mattina che le nostre relazioni diplomatiche non sono in gioco, che l'onore
dell'esercito non è affatto in causa, che solo alcune individualità possono essere compromesse.
Un sindacato per dimostrare che qualsiasi errore giudiziario è riparabile, e che perseverare in un
errore del genere, con il pretesto che un consiglio di guerra non può sbagliarsi, è la più mostruosa
delle ostinazioni, la più spaventosa delle infallibilità. Un sindacato per condurre una campagna fino
a che verità sia detta, fino a che giustizia sia resa, al di là di tutti gli ostacoli, quand'anche
occorressero ancora anni di lotta.

Di questo sindacato, sì! faccio parte anch'io e spero tanto che voglia farne parte tutta la brava
gente di Francia!

PROCESSO VERBALE

Articolo pubblicato su "Le Figaro" il 5 dicembre 1897.

E' il terzo e ultimo articolo che mi fu permesso di dare a "Le Figaro". Ebbi perfino qualche difficoltà
a farlo passare e, come si vedrà, ritenni saggio congedarmi in esso dal pubblico, intuendo che mi
sarei trovato nell'impossibilità di continuare la mia campagna, che tanto turbava i lettori abituali del
giornale.

Riconosco perfettamente, a un giornale, la necessità di fare i conti con le abitudini e le passioni


della sua clientela. Perciò, ogni volta che ho subito questo genere di battuta d'arresto, me la sono
presa soltanto con me stesso, per essermi sbagliato sul terreno e sulle condizioni di lotta. Le
Figaro si è dimostrato ciò nondimeno coraggioso nell'accettare questi tre articoli, e io lo ringrazio.

Ah! quale spettacolo, dopo treIlsettimane, e qualiper


Pratico Mondo tragici,
Edunetindimenticabili
books giorni abbiamo attraversato!
Non ne ricordo altri che abbiano suscitato in me tanta umanità, tanta angoscia e tanta generosa
collera. Esasperato, ho vissuto nell'odio della stupidità e della malafede, a tal punto assetato di
verità e di giustizia da riuscire a comprendere i grandi moti dell'anima che possono portare un
placido borghese al martirio.

In verità, si è trattato di uno spettacolo inaudito, che per brutalità, per sfrontatezza, per ammissioni
ignobili andava al di là di tutto quello che di più istintivo e di più vile abbia mai confessato la bestia
umana. Un simile esempio di follia e di perversione da parte di una folla è raro ed è sicuramente
per questo che, oltre a ribellarmi come uomo, mi sono tanto appassionato come romanziere, come
drammaturgo, sconvolto dall'entusiasmo di fronte a un caso di così tremenda bellezza.

Oggi, ecco, la storia entra nella fase regolare e logica, quella che abbiamo desiderato, che
abbiamo incessantemente chiesto. Un tribunale militare è all'opera, il nuovo processo ha come
scopo la verità, e noi ne siamo convinti. Non abbiamo mai voluto altro. Non resta, ora, che tacere e
aspettare, perché non siamo noi a doverla dire, la verità, è il Consiglio di guerra che la deve
accertare, renderla lampante. E non ci sarà un nostro nuovo intervento, a meno che essa non ne
esca incompleta ed è un'ipotesi del tutto inammissibile.

Ma, essendo terminata la prima fase, vero caos in piena tenebra, vero scandalo in cui tante
coscienze sporche si sono messe a nudo, dev'esserne redatto il processo verbale, bisogna trarne
le conclusioni. Perché, nella profonda tristezza delle constatazioni che s'impongono, c'è
l'ammaestramento virile, il ferro rovente con cui si cauterizzano le piaghe. Riflettiamoci: l'orrendo
spettacolo che abbiamo appena dato a noi stessi deve guarirci.

Per cominciare, la stampa.

Abbiamo visto la stampa scadente in fregola, intenta a battere moneta con le curiosità malsane, a
guastare la folla per vendere le denigrazioni dei suoi scribacchini, che non trovano più compratori
da quando la nazione è calma, sana e forte. Sono soprattutto i facinorosi della sera, i giornali di
tolleranza che adescano i passanti con i loro titoli a caratteri cubitali, promettendo dissolutezza.
Facevano il loro commercio abituale, ma con un'impudenza significativa.

Abbiamo visto, un gradino più su, i giornali popolari, i giornali da un soldo, quelli che si rivolgono
alla massa e che formano l'opinione dei più, rinfocolare passioni atroci, condurre furiosamente una
campagna di settari, uccidendo nel nostro caro popolo di Francia ogni generosità, ogni desiderio di
verità e di giustizia. Voglio credere alla loro buona fede. Ma quale tristezza, questi cervelli di
polemisti invecchiati, di agitatori dementi, di patrioti meschini che, diventati conduttori di uomini,
commettono il più nero dei crimini, quello di ottenebrarne la coscienza pubblica e di fuorviare un
intero popolo! Quest'impresa è tanto più esecrabile quando è condotta, come in certi giornali, con
una bassezza di mezzi, un'abitudine alla menzogna, alla diffamazione e alla delazione che
rimarranno l'onta più grande della nostra epoca.
Il Pratico Mondo per Edunet books

Infine, abbiamo visto la grande stampa, la stampa detta seria e onesta, assistere a tutto questo
con un'impassibilità, direi quasi una serenità stupefacente. Questi giornali onesti si sono
accontentati di registrare tutto con cura scrupolosa, la verità come l'errore. Hanno lasciato che il
fiume avvelenato scorresse, senza omettere un solo abominio. Sì, certo, questa è imparzialità.

Però, a stento qua e là una timida valutazione, e non una sola voce alta e nobile, non una, capite?
che si sia alzata da questa stampa onesta, per schierarsi dalla parte dell'umanità, dell'equità
oltraggiata!

E abbiamo visto soprattutto - poiché in mezzo a tanti orrori è sufficiente scegliere il più ripugnante -
abbiamo visto la stampa, que

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