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Obiettivo 16

Pace, giustizia, istituzioni. A che punto siamo?

Il Goal 16 dell’Agenda 2030 punta a realizzare società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile, in cui
tutti abbiano uguali diritti e con istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli. L’obiettivo è molto
ambizioso e copre una prospettiva molto ampia, intrecciandosi con gli altri Goal dell’Agenda.

Negli ultimi anni non sono stati compiuti progressi sostanziali riguardo le violenze (soprattutto verso le donne), la
promozione dello stato di diritto, il rafforzamento delle istituzioni a tutti i livelli o l’aumento delle possibilità di
accesso alla giustizia.

Milioni di persone sono state private della sicurezza, dei diritti e delle opportunità, mentre non sono diminuiti gli
attacchi contro attivisti per i diritti umani e giornalisti che denunciano situazioni di ingiustizia.
Corruzione e violenza
Uno dei principali ostacoli al raggiungimento di
questi scopi è la corruzione diffusa tra le
istituzioni e le imprese. In occasione della
Giornata Internazionale contro la corruzione il
Segretario Generale delle Nazioni Unite, António
Guterres, ha affermato che “Ogni anno, migliaia di
miliardi di dollari – l’equivalente di oltre il 5% del
PIL globale – vengono pagati in tangenti o sottratti
attraverso pratiche corrotte che minano
seriamente lo stato di diritto e sostengono attività
criminali quali i traffici illeciti di persone, droga o
armi”.

Questo flusso di denaro illegale (evasione fiscale, riciclaggio ecc..) attira risorse economiche che
sarebbero essenziali per l’istruzione, la sanità e le infrastrutture di base. Costituiscono quindi uno
degli ostacoli principali al finanziamento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Identità perdute

In parecchi Paesi è carente anche la registrazione


delle nascite: nel mondo sono troppi i bambini che
ufficialmente non esistono. La registrazione della
nascita è fondamentale per l’identità giuridica delle
persone e garantisce l’accesso ai propri diritti
individuali, come i servizi sociali di base e la giustizia
legale.

Purtroppo poco meno di tre quarti (73%) dei bambini sotto i 5 anni di età in tutto il mondo hanno registrato le loro nascite, secondo i
dati provenienti da 161 Paesi nel periodo dal 2010 al 2018. In molti Paesi è stata raggiunta una copertura anagrafica totale o quasi
totale, ma in alcune parti del mondo questo rimane un obiettivo lontano: per esempio, nell’Africa subsahariana meno della metà (46%)
di tutti i bambini i minori di 5 anni sono registrati. E anche l’Asia centro-meridionale è in ritardo con il 68% delle registrazioni.

Molto lavoro è stato fatto per migliorare i sistemi di registrazione e per sensibilizzare i cittadini a dotarsi di uno status giuridico, ma
sono necessari sforzi continui per garantire che tutti i bambini possano reclamare il loro diritto a un’identità.
Vite a rischio per la giustizia

Le Nazioni Unite hanno registrato nel 2018 ben 397 uccisioni


di persone che difendevano i diritti umani. Si trattava di
attivisti, giornalisti e sindacalisti che vivevano in Paesi
particolarmente a rischio sicurezza e che si battevano per
costruire una società più giusta e inclusiva.

Questa cifra non è purtroppo molto diversa da quelle degli


anni precedenti, quando gli omicidi di questo tipo si sono
verificati con una frequenza simile. Uccisioni di difensori dei diritti umani nel periodo
2015-2018 (Fonte: The Sustainable Development
Goals Report 2019)
Le vittime operavano con le comunità locali su questioni che
riguardavano l’ambiente, la povertà, i diritti delle minoranze e
l’impatto delle attività commerciali.
Tra loro, un posto particolare lo occupano
giornalisti e blogger (che rappresentano un
quarto del numero totale delle vittime) a tragica
testimonianza del fatto che l’informazione e la
denuncia attraverso i media può dare fastidio ai
traffici e agli affari illeciti.

Proteggere coloro che difendono i diritti e le


libertà fondamentali di altri, soprattutto dei più
deboli, deve essere uno degli obiettivi principali di
una politica socialmente sostenibile: le voci che
denunciano le ingiustizie vanno rispettate e
ascoltate.
Pace, giustizia, istituzioni. Che fare?

Raggiungere una pace mondiale, eliminando i conflitti, combattendo il terrorismo, la criminalità e la corruzione a ogni livello
è indispensabile per permettere uno sviluppo sostenibile che includa tutti.

Se si pensa che, ancora alla fine del 2017, 68,5 milioni di persone erano state sfollate con la forza a causa di
persecuzioni, conflitti, violenze o violazioni dei diritti umani, si capisce che il cammino da compiere è davvero ancora molto
lungo.

In questo contesto, alcune categorie sono particolarmente fragili e subiscono più di altre le conseguenze delle ingiustizie.
Oltre ai bambini, destinati a rimanere “fantasmi giuridici” o a essere sfruttati nel mondo del lavoro o in altri traffici illeciti,
sono le donne a essere maggiormente penalizzate da situazioni precarie e violente.

La pressione internazionale ha portato a ottenere qualche risultato importante: in 46 Paesi, le donne detengono
attualmente più del 30% dei seggi in almeno una Camera del parlamento nazionale. È un traguardo significativo, che
evidenzia come le azioni politiche e legislative possano determinare cambiamenti sostanziali nella società e nel rispetto dei
diritti individuali.

Va però ricordato come, ancora oggi, in 49 Paesi le donne non siano protette in alcun modo da leggi che puniscano le
violenze domestiche. Un dato che conferma la necessità di un’azione politica incisiva.
L’impegno dell’ONU nelle zone più a rischio

In Guatemala il progetto UNDP aiuta le vittime sopravvissute al


genocidio del 1982, perpetrato dai militari nei confronti della popolazione
maya, a far sentire la propria voce e ad avere giustizia. Nel processo
tenutosi nel 2013, oltre trent’anni dopo il massacro, l’ONU ha dato
assistenza legale ai parenti delle vittime, sostenuto procuratori e giudici
fornendo corsi di formazione e coordinamento con antropologi forensi,
anche per aiutare a ritrovare i resti dei familiari scomparsi.In
Afghanistan un progetto UNDP è mirato a mantenere contatti sempre più
stretti con i Paesi vicini, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan,
facilitando il commercio, riducendo la criminalità e migliorando lo sviluppo
economico. Concretamente si sono costruiti ponti sul fiume Panj,
affluente dell’Amudarja, che costituisce il confine tra Afghanistan e
Tagikistan. Oltre alla costruzione dei ponti, il progetto mira a rafforzare le
forze di polizia afgane per gestire le frontiere e le emergenze. E molte
sono le attrezzature tecnologicamente avanzate fornite insieme a corsi di
formazione.A Cipro, uno dei pochi Paesi ancora oggi divisi, l’UNDP ha
allestito un comitato di archeologi, architetti, storici dell’arte e urbanisti di
entrambe le comunità per la salvaguardia dell’importante patrimonio
culturale dell’isola che, abitata da oltre diecimila anni, è ricca in
particolare di monumenti fenici, veneziani, francesi e ottomani. Il progetto,
che vuole riconciliare le due zone, ha avuto l’appoggio dell’Unione
Europe
Focus
Il lavoro minorile
Il Goal 16 dell’Agenda 2030 si propone di raggiungere una condizione sociale ed economica di pace e uguaglianza.
Promuovere e sostenere azioni per contrastare fenomeni di discriminazione e sfruttamento rientra dunque tra i suoi
scopi principali. È il caso della denuncia di una realtà tragicamente ancora molto diffusa nel mondo: il lavoro minorile, la
cui eliminazione viene presentata come urgente e necessaria dal Goal 8.

Dati che fanno riflettere

Il dato è impressionante: nei Paesi più poveri del mondo, più di 1 bambino su 4 è impegnato nel lavoro minorile (dai 5 ai
17 anni).

Secondo le recenti stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), i bambini sfruttati come lavoratori sono
152 milioni i bambini (68 milioni sono bambine e 88 milioni sono bambini). Circa la metà è costretta a operare in
attività pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e la vita stessa.
Che cos’è?
È l’attività lavorativa che impiega con la coercizione i bambini (statisticamente in una fascia di età compresa tra i 5 e i 17 anni) per
scopi di profitto economico altrui (in questa categoria rientrano anche casi non direttamente legati alla sfera economica, come i
bambini-soldato). In questo modo essi vengono privati illegalmente e ingiustamente della loro infanzia, della loro dignità e di un
sano sviluppo psico-fisico.

A questi bambini, spesso reclusi ed emarginati, viene negato il diritto di andare a scuola, la possibilità di giocare e di godere dei
loro affetti.

Il lavoro minorile comprende varie forme di sfruttamento lavorativo e di abuso psicologico e fisico, spesso in contesti degradati di
estrema povertà. Molti di questi lavori riguardano i processi dell’economia globalizzata: agricoltura, miniera, servizi e industrie
per la produzione di beni destinati all’esportazione.
Le Convenzioni internazionali
La questione del lavoro minorile è sottoposta a tre importanti Convenzioni internazionali: la Convenzione 138
dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che regola l’età minima per l’entrata nel mondo del lavoro; la
Convenzione 182 della stessa organizzazione, relativa alla necessità di eliminare le peggiori forme di lavoro minorile; e la
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia.

Queste convenzioni costituiscono il riferimento principale per definire il concetto di lavoro minorile e rappresentano la base
della legislazione sul lavoro minorile emanata dai Paesi firmatari.

Diffusione del lavoro minorile


Le aree maggiormente interessate da questo fenomeno sono quelle del continente africano, dove la percentuale media dei
bambini lavoratori raggiunge ben il 29%.

Questo dato, nell’ambito dei Paesi meno sviluppati, è in netto contrasto con il Medio Oriente e il Nord Africa, dove la
percentuale si riduce al 5%
Percentuale di bambini lavoratori dai 5 ai 17 anni nei Paesi più poveri
Percentuale di bambini dai 5 ai 17 anni impegnati nel lavoro minorile, per sesso e regione
E in Italia?
L’indice composito preparato dall’ASviS riguardo il sedicesimo Goal in Italia rileva
un andamento altalenante tra il 2010 e il 2015, con una recente tendenza al
miglioramento.

Nonostante questo, la situazione del nostro Paese fa registrare dati non molto
confortanti legati a problemi di vecchia data: per esempio, l’eccessiva durata dei
processi, la corruzione, la struttura poco efficiente della Pubblica Amministrazione.
Tra gli altri, un dato risulta tristemente significativo: l’aumento del sovraffollamento
Andamento dell’indicatore elaborato
delle carceri (114 detenuti per 100 posti disponibili nel 2017).A livello geografico, la dall’ASviS per l’Italia per la promozione di
una società pacifica, inclusiva e sostenibile
maggior parte delle tendenze negative si registrano nel Nord e nel Centro Italia,
mentre nell’area meridionale la recente tendenza segna un’inversione di marcia.

In generale va però sottolineato come l’Italia abbia sottoscritto negli anni alcuni
impegni, tra i quali la parità di accesso alla giustizia, la riduzione dei finanziamenti
illeciti e della criminalità organizzata, la lotta a corruzione e concussione, il
miglioramento delle istituzioni, la protezione delle libertà fondamentali.

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