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L’Anatema ovvero la “santa maledizione”

(e in cosa differisce dalla scomunica)


di Giacomo Maria Prati

Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene,


che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre,
che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro!
Isaia, 5.20

Benedetto il Signore mia roccia


che addestra le mie mani alla guerra
le mie dita alla battaglia
Salmo 143

Guai a voi scribi e farisei ipocriti


che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito
e quando ci siete riusciti lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi
Matteo, 23, 15

C’è una logica e una teologia della e nella benedizione e c’è una logica e una teologia della
e nella maledizione. Anche le Sacre Scritture confermano l’esistenza di una ragionevolezza
della e nella maledizione: Come passero che svolazza, come rondine che volteggia, così la
maledizione immotivata resta senza effetto. (Proverbi, 26,.2) Certamente oggi è inattuale
parlare di “maledizione” e ancor di più parlarne in senso religioso, spirituale, rituale. Ma è
veramente così inattuale o dipende solo dalla scarsa conoscenza delle Sacre Scritture? Non
si riversano ogni giorno sui social web migliaia di invettive fra utenti più o meno
sconosciuti che si accendono in terribili minacce per le più futili divergenze di opinioni?
Non appartiene la “maledizione” alle dimensioni più ancestrali dell’animo umano e non è
presente come fenomeno culturale (e cultuale) in tutte le culture religiose? Anticipo una
semplice conclusione: la maledizione quale atto religioso, sacrale, è strutturalmente
coessenziale ad ogni religione rivelata, cioè fondata sulla convinzione dell’autorivelazione
di Dio quale Persona, e massimamente nel Cattolicesimo. Non a caso la prima alleanza,
biblica, israelitica, contempla la maledizione quale parte integrante della stessa divina
Alleanza, e questo aspetto viene ereditato in perfetta continuità dal Cattolicesimo, che
rinnoverà il senso della maledizione, “cristizzandolo”, ma senza alterarne in modo
sostanziale la natura sacrale, metafisica, difensiva rispetto alla Verità da Dio rivelata. Ma
anche nel politeismo esisteva la maledizione. Golìa maledice Davide in nome dei suoi dei.
(1Sam. 17,43) L’anatema non è un atto magico o una forma di superstizione ma un
fenomeno, una forma, un atto che discende coerentemente dalla visione di Dio quale
Logos, quale Legislatore supremo, quale Verità perfetta, autogena e autosussistente.
Distinguiamo quindi l’anatema dall’eccessivamente generico concetto di “maledizione”,
perché siamo di fronte ad una “santa maledizione”, diversa dall’islamica fatwa, che appare
invece una forma di umana condanna socio- religiosa, quasi tribalmente penalistica, che,
una volta emessa da un gruppo di uomini, attende la sua esecuzione da altri uomini, come
pure si distingue dalla scomunica ecclesiale, anche se ne condivide vari aspetti, pur senza
identificarsi del tutto con tale antica sanzione. Ne vedremo in seguito la differenza.
Anàthema (da anatithemi: metto sopra, imputo, ascrivo, offro, consacro, rinnego) in greco
antico significa offerta sacra, iscrizione commemorativa, maledizione. Identica
l’ambivalenza sacrale in latino dell’aggettivo sacer e dei relativi verbi: sacro, ma pure
maledetto, come nelle Dodici Tavole (s acer esto), la prima legislazione di Roma. Da sacer
deriva infatti sacerdos , quale persona separata da tutte le altre in quanto offerta a Dio, e la
relativa azione rituale con il suo risultato: consecro e consecratio. Identico quindi il senso
in greco e in latino. Sacro come “consacrato”, ma pure sacro quale maledetto, “votato agli
dei infernali”. Per Israele medesimo è il senso di herem e basti come esempio la
maledizione, perfettamente biblica, che la sinagoga di Amsterdaam lanciò contro Spinoza,
richiamandosi alle maledizioni del Deuteronomio. Se si benedice si introduce un
discrimine che rinvia ad una simmetrica maledizione. I romani, come Israele, sebbene
eterni nemici, avevano in comune il ritualizzare intensamente molti aspetti della loro vita
sociale e individuale. Persone e oggetti consacrati, cioè “offerti” a Dio, automaticamente
“producono” corrispondenti maledizioni nel caso vengano profanati. La lingua del divino
non lascia scampo nella sua iper - performatività: tertium non datur. Torniamo al nostro
anatema, reso così famoso dalla storia della Chiesa cattolica. Vediamo quindi come il senso
dell’etimo non varia dalle religioni precristiane greco-romane per passare al cristianesimo.
Muta ovviamente il contesto, lo scenario relazionale, la visione in cui l’anatema viene
inserito, l’oggetto/soggetto della sua funzionalità, ma non la propria genetica ambivalenza,
assolutamente non ambigua ma chiarissima nel suo scopo: maledire, cioè “separare” chi
non ha rispettato una previa consacrazione o una previa teofania. Consacrare significa
infatti “separare” qualcuno o qualcosa dal resto dell’indifferenziato soggettivo o oggettivo.
Dio in Genesi crea attraverso gradi e fasi di separazione dall’indistinto e dentro i primi
elementi. Chi infrange la divina separazione riporta il cosmo nel caos visto come segno di
morte e di annullamento, quindi deve essere a sua volta di nuovo “separato” con l’anatema,
che svolge quindi sempre anche una funzione di risacralizzazione, seppur escludente per i
propri specifici destinatari. L’anatema conferma una Legge divina proprio nello scagliarsi
contro chi la viola o l’attacca nei suoi fondamenti. Ripartiamo dall’inizio. Dalla prima
maledizione, fondante per la civiltà occidentale: quella che Dio indica contro il serpente
dell’Eden (Gen. 3, 14-24) La maledizione divina originaria è ampia e vasta, in quanto non
riguarda solo il “serpente”, che solo dopo la maledizione sembra assumere contorni bestiali,
ma colpisce anche Adamo ed Eva, e lo stesso creato, portando come conseguenza la fatica
dell’attività, il dolore del parto e il conflitto fra i sessi. Al primo peccato segue la prima
maledizione. I progenitori vengono infatti subito allontanati, per sempre, dal giardino di
Dio e a sua custodia Dio pone dei cherubini con spade fiammanti. (Gen. 3,24) Questo
aspetto di una nuova santa difesa posta a custodia del primo luogo santo, l’Eden,
rappresentato da angeli armati, che incutono timore, e dotati di fuoco, rappresenta una
delle più antiche visualizzazioni e precisazioni del senso dell’anatema quale divino sigillo,
quale sanzione immediata e intangibile dopo il trauma di una profanazione. Il primo
peccato e la prima maledizione presentano entrambi un aspetto importante che sarà
proprio anche dell’anatema: il perdurare degli effetti. La prima maledizione continua nella
sua efficacia fino a noi. La Redenzione di Cristo ha senso ed è comprensibile e predicabile
proprio sul suo presupposto. Il Salvatore ci salva dalla morte dell’anima ma non cancella la
morte corporale la quale, quale separazione di anima e corpo, è coerente conseguenza del
primo peccato che separa i progenitori dall’amicizia con Dio e dall’Eden quale luogo
deputato all’incontro con Dio. Adamo ed Eva vengono separati dall’Eden, scacciati “fuori”,
in un indistinta terra di sofferenza e fatica, proprio perché hanno introdotto la divisione
dove regnava l’unità, e, quindi, sono maledetti. Gli effetti della prima maledizione
continuano tanto da generare due stirpi: la stirpe del Serpente e la stirpe della Donna come
indicato nel celebre passo del “protovangelo” (Gen. 3,15) La vita diventa necessariamente
conflitto e giudizio. L’esistenza ruoterà ora nella continua necessaria scelta fra benedizione
e maledizione, le quali realtà diventano genetiche, dinastiche, coessenziali per l’umanità,
come emerge nel successivo episodio del maledetto Caino che uccide il benedetto Abele.
Sono divisi già prima del primo omicidio in quanto il sacrificio di Caino non viene
accettato da Dio che invece gradisce l’offerta di Abele il giusto. (Gen. 4,4.5) Ancora una
volta benedizione e maledizione si manifestano da un’offerta, in occasione di un sacrificio a
Dio. Quando Noè sacrifica a Dio per ringraziarlo della fine del Diluvio Dio si manifesta
ritirando la sua maledizione contro la terra e l’umanità e rinnovando la propria
benedizione verso gli uomini e ricollocando l’uomo al vertice della creazione (Gen. 8, 21)
Tutta la storia della salvezza può essere riletta e compendiata come un alternarsi di
benedizione e maledizione. Noè stesso appare come il primo uomo che maledice (ma lo fà
quale patriarca di Dio) quando dichiara: “ sia maledetto Canaan, schiavo degli schiavi sarà
per i suoi fratelli”(Gen. 9,24-25). Come per Caino, che vivrà separato ed errante, e così la
sua discendenza (Gen.4,12), così per Canaan giunge la maledizione perché ha infranto il
limite della sacralità dell’autorità paterna, garanzia della stessa stirpe santa, mentre per
Sem e Jafet giunge la benedizione di Noè. Questo figlio di Noè pecca profanando con la sua
curiosa morbosità l’intimità fisica del padre quale spazio sacro e interdetto. Guarda dove
non dovrebbe guardare e parla mentre non dovrebbe parlare. La contaminazione, la
dissacrazione non è retroagibile, non può essere revocata, in quanto incide su di una
materia divina, non disponibile, e quindi attira castighi divini immediati. Analogamente
Isacco quando benedice Giacobbe conferma l’alleanza logica e teologica fra maledizione e
benedizione con il suo: chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto. (Gen.
27,29) La stessa vicenda di Esaù ricorda il destino di Caino e l’inimicizia insanabile fra Esaù
e Giacobbe deriva proprio dalla separazione fra i due introdotta con l’irretrattabile
benedizione di Isacco. Electa una via non datur re ursus ad alteram , dicevano gli antichi
giuristi che erano buoni logici, cioè tertium non datur. Le parole di Isacco verso Esaù
veicolano l’eco di una maledizione, quasi necessitata anche se non voluta dal patriarca:
lungi dalle terre grasse sarà la tua sede …(Gen. 27,39). Abituati ad una retorica cristiana
fatta di sentimentalismo ci appare oggi ostico pensare a Dio come Giudice e Legislatore, e
come, quindi, fulcro di origine sia della benedizione che della maledizione, eppure il tema
era attuale già nei primi secoli del Cristianesimo tanto che Lattanzio lo trattò nella sua
opera “L’ira di Dio”, anche chiamata “Se Dio possa adirarsi”. Il precettore di Costantino,
letterato colto e raffinato e fervente cristiano, tratta il tema rispondendo affermativamente
alla domanda sulla base di un ragionamento di una logica potremmo definire gerarchica
nella sua dualità- binarietà: se Dio non si adirasse allora metterebbe sullo stesso piano bene
e male. Dio essendo il fondamento della scelta del bene come superiore al male giustifica
la discriminazione fra le due vie e, quindi, regge la stessa possibilità della giustizia. Dio è
amore anche in quanto odia il male. Se Dio non odiasse il male non sarebbe Amore. Ecco
rispiegata cristianamente la simile concezione israelitica della maledizione. Il precettore di
Costantino per spiegare e giustificare la ragionevolezza della collera divina premette una
teologia cristiana del cosmo e della storia per poi giungere a precisare il valore anche
sociale dell’ira di Dio, affermando, in relazione allo spergiuro e al flagello sociale della
violenza predatrice e dissoluta: sarebbe sacrilego se, vedendo commettere azioni simili, Dio
non si smuovesse, non si sollevasse per punire i criminali e sterminare questi pericoli
flagelli della società, patrocinando così l’interesse dei buoni . (16,5) Se Dio non discrimina
fra bene e male e non intervenisse allora sarebbe una divinità epicurea, filosofica,
indifferente e non il Dio cristiano, conclude il nostro filosofo. Ma l’uomo non è Dio! Come
giustificare allora un’anatema formulato dagli uomini se è azioni divina? Lo vedremo più
avanti nel precisare le caratteristiche dell’anatema cattolico.

Il pensiero di Lattanzio trova conferme nella sapienza dei Salmi che ci conforta sulla
possibilità e, anzi, doverosità, di un “santo odio” contro i nemici di Dio: “ Signore, non
soddisfare i desideri degli empi, non favorire le loro trame. Alzano la testa quelli che mi
circondano, ma la malizia delle loro labbra li sommerge. Fa' piovere su di loro carboni
ardenti, gettali nel bàratro e più non si rialzino. Il maldicente non duri sulla terra, il male
spinga il violento alla rovina. (Salmo 139, 9-12) Si tratta di una tipologia di preghiera molto
diffusa nei Salmi e secondo la quale il giusto invoca il soccorso di Dio Giusto Giudice
contro i malvagi che attentano alla sua vita e lo perseguitano. In gioco è la conservazione
della Fede e i connotati di questo modo di pregare sono mutuati dalle simili preghiere di
Israele e dei suoi re contro gli eserciti dei popoli nemici, pagani. Identica è la psicomachia
del giusto perseguitato che sia un fedele o l’intero Israele: si tratta di una preghiera in cui
si invoca la benedizione per se stessi e la maledizione contro quelli che possiamo definire
“figli delle tenebre”. Si chiede a Dio di maledire i suoi nemici, coloro che Lo maledicono e,
quindi, sono già nelle loro anime maledetti. Si chiede alla gloria di Dio di manifestarsi
come spesso troviamo nei Salmi la formula poi ripresa dal Cattolicesimo: Exurge Domine,
cioè: Svegliati Signore, Sorgi contro i tuoi nemici , a difesa della sua stessa Gloria. La
maledizione quale preghiera difensiva contro chi è maledetto in quanto maledice Dio e i
suoi fedeli.

Parla Davide, re consacrato a Dio, guerriero di Dio: “ Non odio, forse, Signore, quelli che ti
odiano e non detesto i tuoi nemici? Li detesto con odio implacabile come se fossero miei
nemici”. (Salmo 139,20-22) Questa logica di fa meglio comprendere la possibilità della
maledizione quale atto sacro compiuto pro Deo dall’uomo in quanto la ”santa maledizione”
opera per difendere i diritti di Dio, l’onore e la gloria divina offesa da chi opera contro Dio.
Il giusto non maledice dei nemici personali, non usa la maledizione come arma personale
contro propri avversari in una contesa solo umana, ma maledice chi si fa’ “figlio della
tenebra” bestemmiando e maledicendo Dio, usa cioè la maledizione come santa arma
contro i nemici di Dio che lo perseguitano in quanto fedele, “ in odium fidei”, e non in
quanto uomo.

La vendetta di Dio contro la superbia e l’empietà è sempre senza pietà e senza condoni:

Sodoma Gonmorre l’esercito del Faraone nel mar rosso…

Ora ripercorriamo altri casi eccellenti di sacre maledizioni bibliche. Uno snodo centrale è
certo la vicenda di Mosè e il patto fra Dio e gli uomini di cui fù profeta e patriarca. Il tema
non potrebbe essere sintetizzato in modo più chiaro: Non introdurrai questo abominio in
casa tua , perché sarai come esso votato allo sterminio: lo detesterai e lo avrai in abominio,
perché è votato allo sterminio (Dt. 7,26) Qui la Voce di Dio, riferita al suo profeta Mosè, si
riferisce agli idoli e ci spiega benissimo la dinamica della maledizione, ancora una volta in
riferimento al concetto di “offerta sacra”. Chi accoglie oggetti usati per sacrifici a chi non è
Dio incorre nella divina collera che commuta la benedizione in maledizione e allora l’idolo
da destinatario di offerta diventa esso stesso, e con esso chi lo accoglie, oggetto di
sterminio. Dio sacrifica chi sacrifica ai falsi dei. Dio distrugge chi si offre ad altri. Se
pensiamo che il sacrificio contemplava appunto la consumazione dell’offerta tramite il
fuoco, comprendiamo bene la precisa coerenza della maledizione quale divino sterminio,
quale sacrificio realizzato da Dio dove l’uomo e l’idolo diventano vittime al posto degli
animali da sacrificare. Pochi passi prima il Deuteronomio accosta la speciale e unica
benedizione che Israele riceve da Dio, quale popolo da Dio eletto, quindi separato da tutti
gli altri, con un divino incoraggiamento allo sterminio degli altri popoli. (Dt. 7,16) Il tema
dello sterminio, già manifestato con le piaghe d’Egitto, appare quale segno teofanico di
sacra demarcazione fra l’alleanza divina e l’empietà profanatrice e dissacrante. Dio
consegna, offre, dei popoli ad Israele perché li stermini e non perché si allei con loro o con
loro intrattenga amicizie o complicità. Se Israele è benedetto, gli altri popoli che occupano
la Terra della Promessa sono maledetti. Una duplice separazione permane costantemente.
Una divisione che ricorda il fuoco divino che divide l’offerta di Abramo sul far della sera.
(Gen. 15,17.18) Questo episodio è fondamentale per la storia della salvezza, anche per il
Cristianesimo, perché Dio mentre consuma le offerte di Abramo con il suo fuoco, non
acceso da mano umana, promette ad Abramo la Terra eletta e similmente Dio scenderà
come fuoco che divide, appunto fra benedetti e maledetti, anche nella contesa di Elìa
contro i sacerdoti di Baal. (1Re, 18,38) Altro episodio illuminante del Deuteronomio lo
troviamo fra le norme divine in tema di profezia: Ma il profeta che avrà la presunzione di
dire una cosa che io non gli ho comandato di dire o che parlerà in nome di altri dei, quel
profeta dovrà morire. (Dt. 18,20) Qui la maledizione è sanzione diretta posta da Dio come
Legislatore del suo popolo e il cui scopo è quello di preservare integra e fedele la stessa
Alleanza divina con gli uomini bandendo la falsa profezia, separando dal popolo eletto chi
usurpa il ruolo di mediatore fra Dio e gli uomini. Questa è un'altra matrice originaria
dell’anatema cristiano: custodire e difendere la Tradizione sacra, l’Alleanza con Dio,
l’integrità della Verità rivelata. La Legge data da Dio si conferma quale Legge che contiene
anche maledizioni e quale Legge che detta la sapienza su cosa sia la maledizione e sul suo
significato in un celebre passo che possiamo considerare la sintesi perfetta del rapporto Dio
e uomo, Verità e libertà: Vedete io pongo davanti a voi una benedizione e una
maledizione…(Dt.11, 26.28). Dio autotutela la sua Alleanza con gli uomini tramite la
maledizione quale suggello, muraglia, sigillo. Il tema è così importante che viene ripetuto
quasi uguale in un altro passo del Deuteronomio (30, 15): Vedi io pongo oggi davanti a te
la vita e il bene, la morte e il male. E’ la stessa dualità propria del frutto edenico della
conoscenza. Senza interdetto non è neppure riconoscibile lo spazio del sacro, l’ambito del
divino trascendente. La Legge di Dio fonda la divisione fra bene e male e le loro previste
conseguenze. Giosuè ripeterà fedelmente le prescrizioni della Legge rimemorandole ad
Israele: Giosuè lesse tutte le parole della Legge, la benedizione e la maledizione, secondo
quanto è scritto nel libro della Legge. (Giosuè, 8,34). Nel Deuteronomio si arriva ad
elencare le benedizioni e le maledizioni, come per dare l’idea della totalità del piano di Dio
e della vita in Dio. Fra le benedizioni abbiamo una promessa divina che rappresenta una
chiara illustrazione di cosa sia la benedizione: Il Signore ti renderà popolo a lui consacrato,
come ti ha giurato, se osserverai i comandi del Signore tuo Dio e se camminerai per le sue
vie, tutti i popoli della terra vedranno che porti il Nome del Signore . (Dt. 28,9.10) Se questa
è la benedizione, quale consacrazione a Dio che permane nel tempo, quale teoforia,
capiamo meglio il suo inverso. Al rifiuto di Dio e delle sue promesse permane e ritorna la
prima maledizione. Ne abbiamo conferma in quel passo dell’elenco delle maledizioni dove
si afferma: maledetto sarà il frutto del tuo seno e il frutto del tuo suolo . (Dt. 28,18) Ritorna
la maledizione del suolo comminata da Dio ai progenitori. Le benedizioni e le promesse
dell’Alleanza stornano da Israele una maledizione che permane per chi si aliena dalla
Volontà di Dio. La lingua latina aiuta nella sua chiarezza. Bene-dire e male-dire. La
performatività della benedizione/maledizione deriva dall’oggettività ontologica del bene
quale permanenza nella conformità con l’Essere di Dio e del male quale diminuzione,
alienazione, contaminazione, profanazione, scissione da e di questa unità e uniformità
divina-umana. Il Deuteronomio ci insegna anche un'altra tipologia di ”sante maledizioni”.
Si tratta di una formula di chiusura generale, quale garanzia difensiva in rapporto alla
Volontà di Dio Legislatore vista nella sua interezza e considerata verso Israele. Si tratta
dell’ultima “maledizione” del lungo elenco: Maledetto chi non mantiene in vigore le parole
di questa legge, per metterla in pratica. Tutto il popolo dirà: Amen . (Dt 27 26). Questa
tipologia la ritroveremo identica in San Paolo. Questo modello incarna l’esigenza di una
trasmissione fedele e integrale dell’Alleanza divina, stigmatizzando qualsiasi diminuzione o
deturpamento della santa perfezione della Volontà di Dio, quale realtà già conclusa a cui
siamo chiamati solo ad aderire e a partecipare pienamente, senza poterne disporre in
quanto la Legge è frutto di una sovrana concessione da parte di Dio per la nostra salvezza.
Concludendo questa osservazione sulle matrici bibliche degli anatemi cattolici possiamo
enumerare altri casi specifici significativi. Abbiamo il caso di frequenti ammonizioni
divine, che congiungono la profezia con la manifestazione della giustizia di Dio a difesa
della sacralità di Israele, come in Geremia contro gli Ammoniti (Ger.49,5) e contro Bozra
(Ger. 49 13), dove la maledizione resta producendo “rovine perenni”, e abbiamo il caso
terribile degli orsi che divorano i ragazzi che sbeffeggiano il profeta Eliseo (2Re2,24). Qui
la vendetta divina immediata serve appunto a “separare” i giovani empi dal resto di Israele,
punendone l’offesa alla sacralità del profeta di Dio. Un altro esempio notevole di
maledizione quale invocazione del giudizio divino contro i nemici di Israele lo troviamo
sempre in Geremia contro i falsi profeti Acab e Sedecia: Ecco li darò in mano a
Nabucodonosor re di Babilonia, il quale li ucciderà sotto i vostri occhi. Da essi di trarrà una
formula di maledizione in uso presso tutti i deportati di Giuda in Babilonia e si dirà: Il
Signore ti tratti come Sedecia e Acab, che il re di Babilonia fece arrostire sul fuoco (Ger. 29,
21-23) La falsa profezia porta maledizione dentro la benedizione contaminando la purezza
della verità rivelata da Dio e quindi deve essere espulsa con una maledizione che è santa
quale “contro maledizione” a difesa della gloria di Dio e dei diritti di Dio su Israele. I falsi
profeti proferiscono parole in nome di Dio senza mandato e ispirazione divina quindi si
auto- alienano dalla vita di Dio. E’ come se si automaledicano. In questo senso si coglie una
prima possibilità della maledizione quale azione possibile per l’uomo in senso sacrale e
rituale, fatta quindi pro Deo. L’uomo maledice quello che è già maledetto da Dio. Siccome
la Parola di Dio è autorealizzante, totalmente performante nella sua intrinseca creatività
allora i “maledetti”, e le produzioni che derivano dalla maledizione, lo sono come
conseguenza di un efficacia divina, immediata, per cui l’uomo si limita a riconoscere e
denunciare una maledizione già in essere, già perfezionata direttamente da Dio. La Parola
di Dio è infatti Dio. Dalla maledizione contro Acab e Sedecia deriva addirittura una
formula rituale da utilizzare per nuovi analoghi contesti. Questo significa che il
riconoscimento della maledizione divina manifesta nuova gloria a Dio. Tramite la
maledizione la gloria di Dio ritorna a Dio in un processo restaurativo che rinsalda il limite
e il discrimine fra bene e male. Se i giuramenti di Dio generano per sempre un insieme di
promesse e benedizioni, e relative maledizioni, così anche i giuramenti presi con Dio a
testimonio da parte degli uomini di Dio e del popolo di Dio come nel caso di Neemia: Così
Dio scuota dalla sua casa e dai suo beni chiunque chiunque non avrà mantenuto questa
promessa e così sia egli scosso e vuotato di tutto. Tutta l’assemblea disse: amen, e lodarono
il Signore. Il popolo mantenne la promessa . (Neemia, 5,13) Oltre che connessa con una
dimensione profetica, se non altro perché le promesse e le benedizioni dell’Eterno
attraversano i secoli nella loro efficacia, la santa maledizione appare interagente con la
dimensione salvifica e redentiva propria di Dio. Ascoltiamo un Zaccaria messianico: Come
foste oggetto di maledizione fra le nazioni oh casa di Giuda e di Israele, così quando vi avrò
salvati diverrete una benedizione. (8,13) Il popolo eletto cammina sempre su un delicato
crinale fra benedizione e maledizione, fra l’ombra luminosa di Dio e le tenebre del
tradimento. La maledizione formalizza un’alienazione da Dio già verificatasi come la
benedizione glorifica un appartenenza già in essere. Che la maledizione sia poi opera
divina e sia compiuta dall’uomo, quando sia atto sacro e, quindi, vera maledizione, mai
senza ispirazione divina ne abbiamo conferma nell’episodio solo apparentemente anomalo
di Davide maledetto pubblicamente da Simei (2Sam, 16,5-12) Maledire un re sacro a Dio
era atto meritevole di morte. Non solo: Simei scaccia con sassi Davide come fosse un cane,
cerca di proclamarne la separatezza dalla sua stessa regale e divina sacralità quale re scelto
da Dio, ne stigmatizza pubblicamente i peccati e invoca la vendetta divina sulla sua
persona. Davide con grande umiltà e sapienza accetta la maledizione e invoca la
misericordia di Dio che, unica, può commutare la maledizione sostituendovi una più
grande benedizione. Questo importante episodio evidenzia due aspetti: la maledizione
quale atto sacro e dovuto può essere veicolata dall’uomo su ispirazione divina, e la
maledizione non può essere revocata, è “ultrattiva”, cioè continua ad operare fino a diversa
divina decisione. Solo Dio può revocarla come fece per il diluvio con Noè e con fece
manifesta nel passo di Zaccaria che abbiano citato. “ Lascialo maledire, perché glielo ha
ordinato il Signore”, riconosce Davide. Neppure il consacrato di Dio può opporsi
all’evidenza veritativa di una sacra maledizione. Sacra perché manifesta una verità
garantita da Dio, che svela i cuori e restaura l’ordine stabilito da Dio stesso. In questo senso
la maledizione mossa da intenzione pura e santa partecipa dell’efficacia della Parola di Dio
Creatore, Reggitore, e Giudice. Sulla possibilità dell’uomo sacro a Dio di partecipare della
santità di Dio, anche nel suo aspetto giudicante e retribuente, chiarisce la stessa Voce di Dio
ad Aronne in modo assai fisico e rituale, anche se di tratta di una fisicità sacrale: Quanto
sarà consacrato per voto di sterminio in Israele sarà tuo (Numeri, 18,14) Ciò che viene
votato allo sterminio diventa offerta santa, res separata da tutto il resto, quindi materia di
sacrificio esclusivo per Dio. Ogni cosa votata allo sterminio è cosa santissima, riservata al
Signore (Lev. 27,28) per questo non può essere più riscattata. Ciò che si offre al Signore e
alla sua Giustizia non è retrattabile perché Dio è un Dio fedele, che giura, e mantiene i suoi
giuramenti., non muta la sua parola (

Questa logica è simile al ragionamento di san Bernardo da Chiaravalle nel suo De laude
novae militiae dove giustifica l’omidicio di chi si identifica così intensamente con il male
da rappresentare un flagello per i cristiani. Le ragioni di Dio superano così il rispetto
umano e il contesto solo individuale di una pratica dell’amore di Dio tanto da commutare
l’omicidio in necessario malicidio. Analogamente la maledizione sacra quale invocazione
religiosa del giudizio e della vendetta di Dio su di un uomo o un popolo si qualifica quale
atto di fede e di giustizia, quale legittima difesa dei diritti di Dio e del bene spirituale del
popolo di Dio. La vita spirituale secondo la Bibbia ha di fronte a se due alternative: o essere
offerta sacra a Dio quali soggettività spirituale a Lui appartenente, oppure rischiare di
essere offerti a Dio come oggetti di sterminio. Certo non ogni “non credente” viene
considerato da Israele “offerto per lo sterminio”, ma certamente quei popoli o quegli
individui che operano per la distruzione di Israele. “Allora Israele fece un voto al Signore e
disse: se tu mi metti nella mani questo popolo le loro città saranno da me votate allo
sterminio” (Numeri, 21,2). Al voto di Israele corrisponde la concessione da parte di Dio di
un investitura sacra per la quale Israele agisce come strumento della giustizia di Dio
contro i suoi nemici, coloro che offendono la sua gloria e mettono in pericolo la salvezza
del suo popolo. Dio è un Dio geloso (Giosuè, 24,19). Israele è sua proprietà (Salmo 59,
9.10), strumento per manifestare la sua gloria e chiamare a sé tutti i popoli. Israele quale
proprietà sacra vive infatti sempre nel pericolo della profanazione (Salmo 78, 1-4). Un
modello concreto e nel contempo metafisico di sacralità capace di portare a compimento la
maledizione contro i profanatori è l’Arca dell’Alleanza, la quale distrugge coloro che
tentano di contaminarla o usurparla. Quando Davide fece trasportare l'arca a
Gerusalemme, durante il viaggio un uomo di nome Uzzà, che non era levita, vi si appoggiò
per sostenerla, cadde morto sul posto (2 Samuele 6, 1-8) Non accade nulla se invece la sua
perdita dipende dall’infedeltà dello stesso Israele e viene quindi comminata da Dio quale
sanzione e segno del suo santo sdegno, come quando viene catturata dai Filistei. (1Sam,
4,11) L’Arca dell’Alleanza è come un incorporazione della gloria di Dio e anticipa
prefigurandola l’Incarnazione del Figlio di Dio.
Un altro tema intimamente connesso con quello della maledizione è quello
dell’”abominio”, assai presente in Ezechiele e in Daniele. L’”abominio” è la massima
profanazione della santità, la massima offesa alla Gloria di Dio. Accade nel Tempio di
Gerusalemme quando vengono offerti sacrifici agli idoli. Queste dissacrazioni attirano la
maledizione divina e i conseguenti castighi. La Gloria di Dio si allontana dal Tempio e i
nemici lo distruggeranno, portando in esilio Israele a Babilonia.

Se vogliamo provare una prima conclusione sul concetto biblico di “maledizione” possiamo
ridurre l’apparentemente varia fenomenologia scritturale in quattro categorie, distinte ma
assolutamente identiche nella loro comune e unitaria radice metafisica. Secondo l’aspetto
dell’intenzione e in merito al rapporto fra volontà umana e volontà divina possiamo
distinguere fra:

1) La maledizione quale atto di invocazione dell’intervento di Dio giusto giudice e


santissimo vendicatore, simile quindi ad un accorata preghiera;
2) La maledizione quale atto ispirato da Dio, quale strumento della sua giustizia, quale
comportamento quasi profetico, teoforico, dove l’uomo è mero strumento di uno
straordinario intervento diretto di Dio;

Secondo invece l’appartenenza o meno al popolo di Dio a livello di destinazione o


committenza possiamo distinguere fra:

a) La maledizione quale denuncia/sanzione di un tradimento da parte di un fedele


rispetto all’Alleanza divina a cui appartiene, con il fine di stigmatizzare e
formalizzare una separazione colpevole già avvenuta, di preservare il resto sano del
gregge di Dio e di punire con la correzione il colpevole;
La maledizione quale arma di una pneumomachia a cui si è chiamati a partecipare,
quale atto di un sacro combattimento contro i nemici di Dio e del suo popolo, al fine
di salvarlo dalla distruzione voluta, ciecamente, dai nemici stessi. Qui la battaglia
fisica, storica, è solo una maschera, uno strumento di una battaglia metafisica,
cosmica che rappresenta come un ordalìa, una prova dove splenderà la gloria di Dio
contro l’infamia e la falsità corrotta dell’idolatrìa. (l’onore stesso di Dio è impegnato
nello scontro, dove Dio sceglie una parte, Israele, e la fa vincere. (perché i popoli
direbbero: dov’è il loro Dio?) La prova sacra riguarda ogni fedele che può scegliere
la fedeltà nel coraggio e nel sacrificio o la viltà e il tradimento nella collusione e
nella complicità. Israele è sempre in guerra, anche quando non combatte. La guerra
spirituale del mantenersi fedele al proprio fedele Dio. Non devo odiare chi ti odia?
La battaglia non è contro gli israeliti: essi ne sono coinvolti per fedeltà al loro Dio e
per difenderne la gloria. La guerra è mossa dalle potenze infere contro Dio stesso
nella sua immagine riflessa nel suo amato popolo. In questo senso la maledizione è
una forma di partecipazione alla guerra spirituale e sacra necessitata dalla propria
appartenenza a Dio. Si maledice chi vorrebbe farci maledetti separandoci dal nostro
Dio. Maledendo i maledetti si resta consacrati a Dio, ci si rafforza quale nazione
spirituale. Con il Nuovo Testamento, cioè i Vangeli, le lettere di Paolo e degli altri
apostoli, l’Apocalisse, e i primi testi cristiani come la Didachè, la lettera al Papa
Damasio e i testi dei primi Concili Ecumenici il tema della maledizione viene da
una parte profondamente rinnovato rispetto alla tradizione israelitica e dall’altra
emerge con una struttura logica e teologica in piena continuità con il passato
scritturale e con quanto sopra evidenziato. Può sembrare strano e paradossale che il
Cristianesimo, religione dell’amore e del perdono, rivelata da un Uomo/Dio che si
lascia crocefiggere per salvarci, conservi un ambito sacrale alla maledizione e
all’anatema, addirittura approfondendone la fenomenologia, e invece accade proprio
così! Per capire questo e fugare ogni apparenza di paradosso e ogni sembianza di
incoerenza dobbiamo “tornare alle fonti” e rileggere la novità cristiana liberi dalle
incrostazioni di una certa vulgata “buonista”, televisiva e “politicamente corretta”
che riduce la religione e la fede cristiana ad un edulcorato, qualunquista e
sentimentale umanesimo. Le fonti del Cristianesimo sono, come per l’ebraismo e le
altre tradizioni rivelative-trascendenti, ovviamente di natura mistica, teofanica ed
escatologica, nel senso che quella che Giovanni Paolo II chiamava l’”autorivelazione
di Dio” corrisponde ad una benedizione straordinaria e permanente da parte di Dio,
l’”ano di grazia” dei Vangeli, a cui però non può non corrispondere un equivalente e
oppositiva nuovo tipo di “maledizione”. Nuova non nella qualità ma nel contesto e
nei presupposti. Se l’ebraismo aveva come baricentro la chiamata di Abramo, le
promesse di Dio e la mediazione profetica di Mosè e il relativo Decalogo di mandato
divino, il Cristianesimo pone quale fonte nuova della benedizione Cristo stesso con
la sua nascita, vita, morte sacrificale e resurrezione. Tutto il resto della struttura
mistica e del dinamismo predicatorio non muta ma si riaggrega attorno al nuovo
centro gravitazionale soteriologico della fede e della rivelazione divina: la persona di
Cristo. Quindi se Cristo è il nuovo aspetto di Dio e del rapporto fra umano e divino
anche la maledizione per chi è infedele a Dio ed è malvagio non è annullata ma va
riletta alla luce del nuovo cristocentrismo. Nel chiarire i rapporti con l’ebraismo il
Vangelo è dopotutto chiarissimo: Non crediate che io sia venuto ad abrogare la
legge o i profeti; non sono venuto ad abrogare ma a compiere. In verità vi dico :
finchè non passino il cielo e la terra, non uno iota, non un apice, cadrà dalla Legge,
prima che tutto accada. Mt. 5, 17.18 e Luc. 16, 17. E ancora: Poiché la Legge fù data
per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo (Gv. 1,17)
Sulla conferma della perfetta continuità fra prima e nuova ed eterna Alleanza sono
innumerevoli gli esempi nei padri della Chiesa e negli scritti dei grandi santi nei
lunghi secoli di storia della Chiesa cattolica che sempre reinterpretarono le scritture
riallegorizzandole e interiorizzandone in senso cristico. Basti pensare ai commenti ai
Salmi di S.Agostino e di San Cassiodoro e al commentario al Cantico dei cantici da
parte di San Bernardo. Qui ricordiamo solo il rinvio ad un preciso passo di Geremia,
Maledetto chi compie fiaccamente l’opera del Signore (Ger. 48.10), da parte di san
Francesco di Assisi e citato nella sua XII lettera, quella ai sacerdoti, per spronarli ad
uno zelo perfetto nelle azioni liturgiche. Come si concilia quindi la croce con la
possibilità costante di una maledizione divina? Proprio per il fatto della Redenzione.
La croce è oggetto e segno di maledizione e diventa veicolo redentivo grazie
all’offerta di Cristo, sacrificale in quanto innocente e sostituiva a favore di tutta
l’umanità di ogni tempo. Ma anche Dio non opera mai nel tempo senza condizioni,
pur essendo per definizione L’incondizionato. Forme e condizioni esistono sempre
nella religione nel definire e riconoscere i rapporti fra uomo e Dio: sacramenti,
preghiere, riti, formule…Cristo ci salva tramite la croce e quindi storna dall’uomo la
maledizione che pende per la colpa di Adamo ed Eva e i suoi effetti, ma per chi per
chi rifiuta Cristo e la sua opera redentiva e per chi rifiuta la Croce stessa quale via di
ascesi e liberazione allora non può che perdurare l’aspetto antico di Dio quale
Giustizia punitrice. Non lo dico io. Lo confermano i testi stessi dei Vangeli. Prima di
analizzarli consideriamo attentamente anche la Legge divina principale di Israele
che Gesù conferma: Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta
l’anima, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza. Il secondo comandamento è
questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso.” Mc.12, 29-31. Letto con superficialità
questo comando binario sembra indifferenziato come fosse un’univoca celebrazione
della devozione del cuore. In realtà si rivela più profondo e più declinato nella
distinzione fra il primo modulo e il secondo della Legge. Solo per Dio infatti si
comanda l’incondizionata adorazione e sottomissione, unicamente esclusiva di ogni
altra adorazione o dedicazione di se stessi. Per il prossimo si comanda un precetto
molto esigente e difficile nella sua elevata nobiltà, ma in realtà meno intenso del
primo. L’”essere se stessi”viene dopo l’abisso infinito di Dio e il “se stessi” viene
relativizzato da Gesù stesso quando prescrive il “rinnegare se stessi” e l’aderire alla
propria croce personale. L’amore di Dio quindi non è senza limiti verso i fratelli. E’
senza limiti solo verso Dio. Questo ragionamento è fondativo in quanto
sull’incondizionatezza del primo comando si regge la perdurante possibilità della
maledizione sia in senso oggettivo quale condanna anticipata da parte di Dio di certi
uomini/comportamenti umani, sia in senso soggettivo quale giudizio ispirato da Dio
contro il male da parte dei fedeli. Lo stesso atto del maledire quindi cristinamente si
può comprendere anche quale conseguenza del dovere restare fedele integralmente
al primo comando della fede e dell’adorazione incondizionata. Se l’uomo si oppone a
questo, se l’uomo relativizza la fede e il rapporto con Dio stesso allora cade nella
maledizione che incombe sempre su chi è fuori da Cristo, perché è come se si
opponesse a che l’efficacia della Redenzione di Gesù continui ad operare per lui. I
due comandamenti dell’amore non sono uguali e Dio resta Giudice perfetto anche
se è pure nel contempo fonte della misericordia. E solo amando Dio totalmente si
potrà amare il fratello come noi stessi. Ma noi stessi, nel rapporto interiore, non
siamo così importanti, non siamo il centro. Il centro è sempre Dio. C’è un primo
comandamento e un secondo che deriva dal primo. Giovanni spiega benissimo che
“l’ora della croce” è l’”ora di Dio”, cioè della sua glorificazione ma pure corrisponde
al momento decisivo di un definitivo giudizio divino sul “mondo” e contro il peccato.
Viene un’ora ed è questa in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e coloro che
l’avranno ascoltata vivranno. Gv. 5,25. Ora è il giudizio contro questo mondo, ora il
principe di questo mondo sarà cacciato fuori. Gv. 12,31 Fortissima conferma
dell’esattezza di questo scenario interprativo l’abbiamo ancora dal Vangelo di
Giovanni il quale nel momento in cui celebra la novità cristiana dell’immensa
misericordia di Dio connessa all’Incarnazione del suo Figlio nel contempo ricorda
immediatamente la persistenza di Dio quale Giudice inflessibile. La Legge ruota
attorno a Gesù ma non è eliminata dal suo sacrificio, pur definitivo e universale. E’
utile rileggere in questo ottica tutto il celebre passo (Giovanni 3,16-18) : Poiché Dio
ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque
crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Dio infatti non ha mandato il proprio
Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per
mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già condannato,
perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. Le nuove benedizioni
poste dal Cristianesimo sono appunto le otto rivoluzionarie “beatitudini” del
“discorso della montagna” (Mt 5,2-12)ma la loro stessa statuizione autorevole e fatta
con divina autorità implicitamente produce altrettante “maledizioni” contro chi
opera in senso radicalmente opposto ad esse! In altre parole, più rozze, chi rifiuta la
tavola di salvezza che è la Croce di Cristo, non esce dalla maledizione di Dio Padre
contro il peccato originario e le conseguenze della prima divina maledizione post-
edenica. E’ quindi possibile per il cristiano amare il prossimo come se stessi e pure,
in certe occasioni, operare contro il prossimo per la gloria di Dio e il suo stesso bene.
Che il dovere dell’amore verso i fratelli non escluda il giudizio contro l’errore e la
malvagità di determinati atti o stili di vita ce lo insegna il Vangelo a proposito del
dovere, di carità, della correzione fraterna: Se tuo fratello pecca, và, riprendilo fra te
e lui solo; se ti ascolterà riavrai acquistato il tuo fratello. Se invece non ti ascolterà
prendi con te una o due persone affinchè sulla bocca di due o tre testimoni si
stabilisca ogni cosa. Se non ascolterà neppure loro deferiscilo alla chiesa e se
neppure alla chiesa darà ascolto si egli per te come il pagano e il pubblicano. (Mt.
18,15-17) E ancora: se un tuo fratello di offende rimproveralo, ma se poi si pente
perdonagli (Luc. 17,3) Questo assimilare l’errante ostinato ai pagani e ai pubblicani
è operazione di giudizio spirituale, ad imitationem Dei, non lontano dall’operazione
della maledizione/anatema, quale atto etico-religioso da parte del fedele. Il tema del
giudizio quale volontà di Dio e manifestazione della sua superiore Verità da
prendere a modello di vita e a cui aderire sono numerose nei Vangeli quanto le
esemplificazioni di amore e di misericordia. Ricordiamo alcuni passi illuminanti: Se
qualcuno non rimane in me è gettato fuori come il tralcio e si dissecca; poi li si
raccoglie e li si getta nel fuoco e si bruciano. (Gv. 15,6). Sulla stessa lunghezza
d’onda: E’ giunto infatti il momento in cui ha inizio il giudizio a partire dalla casa di
Dio; e se comincia da noi quale sarà la fine di coloro che rifiutano di credere al
Vangelo di Dio? (1Pt. 4,17) San Pietro nella sua seconda lettera chiarisce con forza la
realtà di Dio quale Giudice della storia, quale Giudice anime anche nel tempo. Per
chi rifiuta il Vangelo di Dio incombe infatti permanentemente l’ira di Dio
visualizzata dal segno del fuoco purificatore. Il Vangelo stesso quindi quale ultimo e
definitivo intervento di Dio nella storia umana può essere visto, messianicamente ed
escatologicamente, quale liberatorio Giudizio divino contro il male, Giudizio che
ristabilisce il Decalogo sigillandolo nella carne di Cristo e nelle anime umane
tramite il battesimo. L’archetipo del giudizio è la separazione, la divisione, come
abbiamo visto nel tema del giudizio di Salomone contro la madre falsa e
nell’intervento di Dio sul sacrificio serale di Abramo. Ebbene il Vangelo abbonda di
immagini sacrali di giudizio, divisione e separazione. Il tema della separazione quale
divino giudizio contro il mondo e contro il male (uno dei presupposti della
maledizione cristiana) introdotto dall’Incarnazione del Figlio di Dio. L’Opera stessa
di Dio è paragonata ad un opera di smascheramento, di divisione fra luce e tenebre.
E’ Lui che vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco ; ha nella mano il ventilabro per
pulire la sua aia, raccoglierà il suo frumento nel granaio e brucerà la pula con fuoco
inestinguibile (Mt. 3,11.12) Similmente: La scure è già posta alla radice degli alberi.
Ogni albero che non darà frutto buono sarà tagliato e gettato nel fuoco . (Luc. 3,9).
Sembra quasi che il Vangelo stesso voglia togliere ogni dubbio allontanando ogni
possibile sua interpretazione in senso sentimentale e “buonista”: Non crediate che sia
venuto a portare la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma la spada.
Sono a venuto a separare l’uomo da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora da
sua suocera. (Mt. 10, 34-35 e Luc. 12,49-53) E così torniamo al discorso
dell’incondizionatezza della chiamata ad adorare e servire Dio; una chiamata che
può dividere anche i legami di sangue, nell’antichità così importanti, in quanto porta
inevitabilmente a separare giusto da malvagio, fedeltà da infedeltà.
Un altro aspetto che ci aiuta a comprendere il senso profondo e nuovo dell’anatema
cristiano è dato da una riflessione che pochi ormai fanno ma che resta scritturalmente
inoppugnabile: se è vero che la Rivelazione vangelica è l’ultima e la definitiva e l’unica
necessaria e bastante per la salvezza delle singole anime, è anche vero che la messianicità
del piano divino non è del tutto esaurita. Alcuni salmi profetici parlano di “nuovi cieli e
nuove terre” e Gesù stesso nei vangeli accenna ad un suo ritorno sulla terra e ai tempi di
una “restaurazione di Israele”, che succederanno ai “tempi della prova”, che sono quelli
della predicazione apostolica, e in cui ancora oggi ci troviamo. E’ proprio l’ora di Cristo che,
realizzando la “pienezza dei tempi” introduce le ultime fasi della manifestazione di Dio
nella storia. Non sono pochi i passi vangelici in cui si allude ad un ulteriore dispiegamento
del mistero della volontà di Dio sul mondo. Gesù stesso dopotutto profetizza nel Tempio di
Gerusalemme negli ultimi giorni della sua testimonianza terrena e più volte predica con
toni profetici. Guai a te Corazin! Guai a te Betsaida! Poiché se i prodigi che sono stati
compiuti in mezzo a voi fossero stati fatti a Tiro e a Sidone, da tempo in cilicio e cenere
avrebbero fatto penitenza. Ebbene vi dico che nel giorno del giudizio la sorte che toccherà a
Tiro e Sidone sarà più mite della vostra. E tu Cafarnao sarai forse innalzata fino al cielo?
Sino agli inferi sarai precipitata. Mt.11, 21-23 La venuta del Figlio di Dio apre ad un nuovo
tempo apocalittico proiettato verso il suo ritorno glorioso: Come fù ai giorni di Noè così
sarà alla venuta del figlio dell’uomo. Infatti come nei giorni che precedettero il diluvio la
gente mangiava, beveva, si sposava, si maritava, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e
non vollero credere finchè arrivò il diluvio e spazzò via tutti, proprio così sarà alla venuta
del figlio dell’uomo. Mt. 24, 37-39. Il tempo della fede cristiana, come aveva capito
benissimo Sergio Quinzio, è un tempo di tensione ideale fra un’apocalisse e un'altra, fra la
pienezza della prima venuta e il tempo della consumazione finale del mondo. Un tempo
fra due giudizi. “Ma in quei giorni dopo quella tribolazione il sole si oscurerà e la luna non
darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze del cielo saranno sconvolte.
Allora si vedrà il Figlio dell’uomo giungere fra le nuvole con grande potenza e gloria.” Mc.
13, 24-26. “Quindi dirà a quelli che stanno alla sinistra: andate via sa me oh maledetti, nel
fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi seguaci. Mt. 25,41 “Signore, aprici. Ma egli
risponderà: Non vi conosco, non so da dove venite. Allora cominceranno a dire: Noi
abbiamo mangiato e bevuto dinnanzi a te e tu sei passato insegnando nei nostri villaggi.
Alla fine egli dirà: Io non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori di
ingiustizia. Là voi piangerete e soffrirete molto. Luc. 13,25-27. Nella storia e nella propria
vita il cristiano è chiamato a far aderire il suo giudizio al Giudizio divino. Per chi resiste
alla grazia di Dio San Pietro ricorda che è pronto il fuoco della divina ira: Ora i cieli e la
terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del
giudizio e della rovina degli empi 1Pt. 3,7. Il giudizio di Dio nella storia contro i malvagi
resta sempre aperto alla prospettiva apocalittica della venuta del megas hemera theou dei
profeti e della Rivelazione data a Giovanni. Se ogni tempo è l’”ultimo tempo” in quanto già
tutto è compiuto con la morte e resurrezione di Cristo, allora comprendiamo meglio
l’invettiva di San Pietro contro i falsi cristiani e contro i peccatori superbi, assai simile ad
una maledizione quale atto sacrale, denominati dall’apostolo: fonti sen’acqua e nuvole
sospinte dal vento (2Pt.2,17). Invettiva che connette nella continuità del duro giudizio di
Dio il rifiuto delle tenebre di ogni tempo con il profetico mysterium iniquitatis degli
“ultimi tempi”: Verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi i quali si comporteranno
secondo le loro passioni e diranno:Dov’è la promessa della loro venuta? 2Pt. 3, 3,4 Quì
l’anatema si apprezza quale voce profetica che ricorda la teologia della giustizia di Dio che
pende su tutti i tempi e su tutte le anime. La teologia cristiana della storia resta
perfettamente biblica nel leggere i segni e le vicende del tempo quali episodi di un'unica
immensa psicomachia e pneunomachia fra Luce e tenebre, all’interno dell’unica e già data
Apocalisse, che è rivelazione sia del mistero di Dio che dell’enigma metafisico del male.
Nella sinagoga di Antiochia Ssan Paolo ricapitola brevemente la storia della salvezza
ricordando fra l’altro che Dio distrusse sette popoli nella terra di Canaan e diede ad essi in
eredità la loro terra. Atti, 13.19 e se Dio è “Misericordia che viene” per i giusti, gli innocenti
e i deboli, è pure Giustizia che incombe per gli empi: Razza di vipere! Chi vi ha insegnato a
cercare scampo dall’ira che viene? Mt. 3,7. Persino nelle parole della dolcissima Madre di
Dio, Maria, c’è il ricordo della bellezza della Giustizia di Dio, esse stessa opera di
Misericordia, come si dice nel “Magnificat”: Ha messo in opera la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi con i pensieri del loro cuore. Luc. 1,51. Dall’episodio della
presentazione di Gesù al Tempio (Egli è posto per la rovina e la resurrezione di molti in
Israele, come segno di contraddizione. Luc. 2,34) fino alla liberazione del Tempio dai
mercanti (Entrato nel tempio egli si mise a scacciare quanti in esso vendevano e
compravano, rovesciando i banchi dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e
disse loro: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera, voi invece ne fate una spelonca di
ladri”. Mt. 21, 12-13 e anche Mc. 11,15-17) l’Opera di Cristo appare tanto misericordiosa
quanto pure espressione di un liberatorio e purificatorio giudizio divino sul tempo e sulle
opere dell’uomo. Gesù introduce quasi la doverosità del giudizio contro il male e della
relativa “maledizione” della malvagità a differenti e molteplici livelli: quale profezia di
vendetta divina contro gli empi e chi resiste alla grazia di Dio (Per questo a questa gente
sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti, dalle origini del mondo in poi…Luc. 12,50),
quale parabola escatologica (Che cosa farà il padrone della vigna? Verrà, sterminerà i
coloni e assegnerà la vigna ad altri. Mc. 12,9), quale missione di militanza apostolica e
quale esorcismo apostolico per liberare il mondo dall’influenza del maligno (Se gli abitanti
di una città non vi accolgono nell’andarvene scuotete la polvere dai vostri piedi, in
testimonianza contro di loro. Luc. 9,5; Io vi ho dato il potere di calpestare serpenti e
scorpioni e di annientare ogni potenza del nemico. Luc. 10,19), e Cristo stesso si pone quale
modello di ogni giusta maledizione nell’episodio della maledizione del fico sterile,
immagine profetica dell’ingratitudine dell’umanità che non risponde con frutto alla
vendemmia divina: Il giorno dopo uscendo da Betania ebbe fame e avendo visto da lontano
un albero di fico andò a vedere se vi trovasse qualcosa ma avvicinatosi non vi trovò che
foglie, poiché non era stagione di fichi. Allora rivolto al fico disse: Mai più in eterno
qualcuno mangi frutti da te. Mc. 11, 12-14 anche Mc.11,12-14, Luc. 19, 45, 46. Gesù non
esita a maledire perfino Pietro quando cerca di distoglierlo dalla Croce (Và via da me
satana! Tu mi sei d’inciampo, perché i tuoi sentimenti non sono di Dio ma sono quelli degli
uomini. Mt. 16,23) e pone la maledizione anche quale avvertimento pedagogico estremo
per proteggere le anime innocenti e più deboli facendo barriera al dilagare della
dissoluzione: Ma se uno sarà di scandalo a uno di questi piccoli che credono in me, è
meglio per lui che gli sia legata al collo una mola asinaria e sia precipitato nel fondo del
mare. Guai al mondo per gli scandali. Infatti se è inevitabile che avvengano scandali guai
però a quell’uomo per mezzo del quale avviene lo scandalo. Mt. 18, 6,7. Il tema dello
“scandalo” quale peccato pubblico e ostinato è centrale per capire l’anatema cristiano il
quale serve appunto quale operazione di giustizia contro la malvagità e di misericordia a
protezione delle vittime dei peccati. Anatema e scandalo stanno e cadono insieme.
L’anatema serve a rimuovere l’ostacolo che lo scandalo pone alla diffusione del Regno di
Dio sulla terra e serve pure ad avvertire che altri non cadano nella stessa grave colpa. Qui
siamo alla radice della massima giustizia quale estrema misericordia. La serietà del
vangelo e della predicazione apostolica e la sua urgenza per la salvezza delle anime è tale
che negli Atti degli apostoli abbiamo due casi di immediata giustizia divina eseguita dopo
l’invocazione degli apostoli: Anania e Simon Mago. Anania come mai satana ti ha riempito
il cuore fino a cercare di ingannare lo Spirito Santo e trattenerti parte del prezzo del
campo? …Non hai mentito a uomini ma a Dio! All’udire queste parole Anania cadde a
terra morto. Atti, 5,3-5 Per Simona mago: Alla malora tu e il tuo denaro poiché hai creduto
che si potesse comperare con il denaro il dono di Dio. Non vi è parte alcuna per te in tutto
ciò, perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. …Vedo infatti che ti trovi immerso in
fiele amaro e avvolto in legami di iniquità. Atti, 8,20-23, da considerare quale primo
antema contro la mondanizzazione dei benefici divini. Il relativo peccato sarà appunto
chiamato di “simonia”, per il racconto dell’episodio di “Simon mago”.
Salmo 109 ira di Dio in scenario messianico

Nuovo Testamento

Dio Giustizia e Dio Amore

San Paolo…
1. il tema dell’anatema contro l’anticristo, i sovvertitori del Vangelo e i malvagi e
viziosi ( = i peccati contro lo Spirito Santo)

Ma colui che avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno, ma
sarà colpevole di peccato in eterno. Mc. 3,29

L’invettiva di San Pietro nella sua seconda lettera distingue chiaramente i due tipi di
malvagi a cui si rivolge l’anatema e il suo stesso chiaro e duro giudizio contro i falsi
maestri e i falsi profeti del suo tempo, e di ogni epoca cristiana, e contro i malvagi degli
“ultimi giorni”, viene ripreso dai due modelli cristiani di anatema: contro i peccatori
ostinati, viziosi impenitenti, che rappresentano un modello negativo che contraddice
pubblicamente al Vangelo, ostacolando il cammino dei giusti, e contro coloro che osando
rifiutare consapevolmente Cristo e il Suo Vangelo o sovvertendo la Sua Dottrina, aprono
scenari apocalittici attirando castighi escatologici. Il primo anatema è contro l’estrema
immoralità, l’estrema alienazione della volontà rispetto alla Volontà di Dio, il secondo è
contro l’estrema opposizione cognitiva e ragionativa alla Verità rivelata. In entrambi i casi
di tratta di peccatori gravi, di figli delle tenebre in quanto si tratta di fedeli che hanno
ascoltato e ricevuto il Vangelo di Cristo per poi voltargli il cuore. “ Sarebbe stato meglio per
loro non aver conosciuto la via della giustizia piuttosto che dopo a verla conosciuta voltar
le spalle al santo precetto che era stato loro dato. Si è verificato per essi il proverbio: Il cane
è tornato al suo vomito” 2Pt. 2,21,22 Le parole di San Pietro riecheggiano l’anatema di Gesù
Cristo contro Giuda: Guai a chi tradisce il figlio dell’uomo: sarebbe stato meglio per lui
non essere nato.

Se riflettiamo sulle lettere di San Giovanni l’anatema assume anche un ruolo di katekon
nel trattenere lo straripare dell’iniquità e la venuta dell’ora dell’anticristo. Poiché molti
sono i seduttori venuti nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il
seduttore e l’anticristo. 2Gv. 7 Giovanni mette in guardia i cristiani da questi anticristi (1Gv.
4,1.4) venuti per derubare quanto ricevuto dalla trasmissione della Fede. L’anatema serve
proprio a questo: come diga protettiva contro la distruzione della Fede ricevuta.

Il "maledetto" si distingue dal semplice peccatore, che è di solito un fedele che erra, per
essere un infedele consapevole e ostinato,
per essere un nemico dichiarato della Fede in Gesù Cristo. Per questo la Fede stessa spinge
i fedeli a combatterlo e a stigmatizzarlo quale "maledetto" proprio maledicendolo.
La parte conclusiva dell'Apocalisse presente quattro passi importanti e interconnessi fra di
loro. Il primo elenca una serie di categiorie di viziosi impenitenti per i quali è proclamata
l'esclusione dal Regno di Dio: i falsi, superstiziosi, gli idolatri, gli assassini e i depravati.
E' una condanna senza appello che riprende la condanna formulata poco prima contro
coloro ai quali è destinata la "palude di fuoco" che è la "seconda morte" : ai vili e agli
infedeli e ai dissoluti e agli assassini e ai sozzi e ai maghi e a coloro che adorano gli idoli e
ai falsi. Questo anatema che dichiara la realtà già perfezionata della separazione degli
infedeli dai fedeli rinvia agli "ostinati nel male" e agli "impenitenti finali" quali forme di
peccato, non perdonabile, contro lo Spirito Santo.
Simile è l'interdetto contro coloro che non potranno entrare nella Gerusalemme celeste: E
non potrà entrare in essa nessuna cosa volgare nè colui che si macchia di idolatria e di
falsità ma solo coloro che sono incisi nella pergamena della vita dell'Agnello".
Il quarto il passo di sacra maledizione che sigilla divinamente la stessa sacralità del testo
della Rivelazione data da Dio a Giovanni minacciando terribili pene a chi altera questo
testo santo e profetico: la perdita della salvezza, la pena della condanna eterna e
gravissima. Se qualcuno sovrappone qualcosa a queste parole Dio porrà sopra di lui i
castighi incisi in questa pergamena,mentre se qualcuno sottrae dalle parole della
pergamena di questa profezia Dio sottrarrà la sua parte dall'albero della vita e dalla città
santa degli inscritti in questa pergamena.

E' un anatema simile a quello di San Paolo contro chi osasse di sovvertire il Vangelo
predicandone uno falso al posto di quello vero
con lo scopo di ingannare gli uomini con proclamarlo falsamente vero.
Un anatema che colpisce eternamente, latae sententiae, cioè automaticamente chi profana
o attenta alla Parola di Dio , quindi
colpisce sia il sovvertitore che "aggiunge" alla Parola di Dio che l'eretico che "sottrae" dalla
Parola di Dio.

tutte le profezie moderne da Paria Le Monial a Fatima hanno in comune


la strategia della consacrazione come antidoto a tempi considerati
come maledetti in quanto eretici, apostatici e resistenti alla divina grazia.

anatema nel Nuovo Testamento citazioni:

San Paolo sintetizza magnificamente, come è suo stile,la novità cristocentrica del Vangelo
con il quale ora tutta la benedizione e la maledizione di Dio ruota attorno a Gesù Cristo
Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi,
poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno (Gal. 3,13) Se Gesù quale Figlio
di Dio e Uomo perfetto si sostuisce a noi sacrificalmente per subire come vittima innocente
la maledizione divina su tutto il peccato dell'umanità di ogni tempo, passato, presente e
futuro/futuribile, allora Gesù Cristo assurge a nuova, unica e perenne fonte di ogni
benedizione ma pure a pietra di paragone, per chi lo rifiuta, di ogni maledizione quale atto
sacro, religiosamente dovuto, perchè chi rifiuta Cristo rifiuta la benedizione e rifiuta Colui
che, solo, salva dalla maledizione e quindi invoca su se stesso la prima e permanente
maledizione di chi rifiuta la Legge di Dio.

“Se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi
abbiamo predicato, sia anatema!” (Galati 1,8) Clausola di chiusura e di difesa generale del
Vangelo quale nuova e definitiva Legge di Dio, analogamente alla funzione della
maledizione già citata da

Simile il ruolo di un altro fortissimo anatema formulato da San Paolo: Se qualcuno non
ama il Signore, sia anatema (1Cor. 16,22).Chi rifiuta la Legge di Dio realizzata
perfettamente e definitivamente di cui Gesù è incarnazione unica e piena, non può che
cadere nella maledizione originaria, autoescludendosi dai benefici della grazia di Nostro
Signore acquistati da Lui per noi con la sua Passione e Morte.

“Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli,
miei consanguinei secondo la carne” (Romani 9,3)

Quì San Paolo chiarisce perfettamente il senso cristiano e cristologico dell'anatema: la


separazione da Cristo e dal suo Corpo mistico che è la Chiesa. Il cristiano colpito da
anatema è parificato agli infedeli che non avendo ricevuto il battesimo sono esclusi dalla
salvezza.La differenza è che in alcuni casi, quando il peccato non è contro lo Spirito Santo,
l'anatemizzato può, pentendosi, rientrare nel seno di Cristo e della Sua Chiesa, mentre
l'infedele deve passare spontaneamente attraverso l'atto iniziale di fede.

...conservando la fede e una buona coscienza; alla quale alcuni hanno rinunciato, e così,
hanno fatto naufragio quanto alla fede. Tra questi sono Imeneo e Alessandro, che ho
consegnati a Satana affinché imparino a non bestemmiare . (1Timoteo 1,19-20) San Paolo
quì ci spiega la natura dell'anatema quale massima punizione correttiva.

Si ode addirittura affermare che vi è tra di voi fornicazione, una tale fornicazione che non
si trova neppure fra i pagani; al punto che uno si tiene la moglie di suo padre! E voi siete
gonfi, e non avete invece fatto cordoglio, perché colui che ha commesso quell'azione fosse
tolto di mezzo a voi! Quanto a me, assente di persona ma presente in spirito, ho già
giudicato, come se fossi presente, colui che ha commesso un tale atto. Nel nome del
Signore Gesù, essendo insieme riuniti voi e lo spirito mio, con l'autorità del Signore nostro
Gesù, ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana, per la rovina della carne, affinché lo
spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù (1Cor, 1-5) Anche in questo passo l'anatema è
strumento santo e provvidenziale per allontanare dal gregge dei fedeli coloro che lo
infestano e lo contaminano con la loro immersione nell'impurità e quale strumento per la
correzione e salvezza degli stessi viziosi e malvagi. L'anatema "di Paolo", cioè del quale San
Paolo è strumento ispirato da Dio, non pretende infatti di giudicare le anime, usurpando il
ruolo di Dio, ma giudica, in nome di Gesù Cristo, quindi secondo il Suo Vangelo, solo gli
atti e gli stili di vita dei malvagi e non pretende di punire le anime, compito di Dio, ma solo
"la carne", cioè l'attaccamento dei malvagi ad un mondo che è maledetto già nella sua
natura intrinseca di res alienata da Cristo.

Da San Paolo ricaviamo quindi due tipologie di anatemi: quelli scagliati "per sempre"
contro i peccatori che peccano contro lo Spirito Santo, e sono gli anatemi a difesa del
Vangelo contro i suoi dolosi e maliziosi sovvertitori che attentano alla radice della fede
mettendo in pericolo la salute delle anime di molti, e gli anatemi scagliati in determinate
occasioni contro individui peccatori di peccati gravi, viziosi, depravati, malvagi
particolarmente pericolosi per il gregge dei fedeli, contro insomma chi dà pubblico
scandalo invece di pubblica testimonianza di fede, e sono anatemi implicitamente
revocabili se sopraggiunge la conversione di questi gravi peccatori.Per questa seconda
tipologia l'anatema serve come presevazione dei fedeli nella fedeltà del Signore e come
punizione correttiva per la salvezza dell'anima degli stessi seminatori di scandali. Una sorta
di purgatorio anticipato.

Citare il Decretum Gratiani

Il Decretum Gratiani è una raccolta di tutte le leggi della Chiesa dalle più antiche fino alla
modernità. Questo testo è assai importante per la sua completezza e chiarezza e ci aiuta a
capire la natura dell’anatema e le sue differenze rispetto alla scomunica secondo
l’insegnamento della Chiesa cattolica.

Uno dei fondamenti teologici primi dell’antema è il potere divino del perdono dato da
Nostro Signore ai suoi apostoli il giorno della Pentecoste, a sua volta sintetizzato
magnificamente dalla formula del legare e dello sciogliere nel discorso fra Nostro Signore
e San Pietro a Cesarea di Filippi. Se gli apostoli, e i vescovi loro successori, hanno come
dono divino da ammisnitrare il potere dello sciogliere hanno anche il potere del legare. La
potestà del perdono implica che questo perdono possa anche non essere dato. La possibilità
che la Chiesa ha di non perdonare deriva quindi dallo stesso divino mandato e và connessa
con l’anatema quale paolina “consegna a satana” dell’anatemizzato. Il Decretum Gratiani
cita infatti San Paolo in tema di anatema: Tradidit hujusmodi hominem satanae in
interitum carnis ut spiritus salvus fiat . E ancora: Vides ergo quia non solum per apostolos
suos tradidit Deus delinquentes in manus inimicorum, sed et per eos, qui Ecclesiae
praesident, et potestatem habent non solum solvedi, sed etiam ligandi, traduntur peccatore
in interitum carnis, quum pro delictis suis a Christi corpore separantur. (Pars Secunda,
Causa XI, Quaest. III, C.XXI)

L’anatemizzato è quindi “separato dal Corpo di Cristo”, cioè escluso del tutto dalla Chiesa e
dalla sua comunione spirituale, mentre lo scomunicato ancora ne fa parte, e quindi viene
parificato spiritualmente al pagano. Diverso il caso di chi vive moralmente da pagano ma
non rappresenta un pubblico scandalo da anatemizzare o da considerare anatemizzato.
“Quum autem solo reatu occulte excommunicationis contraxerit poenam non est ab ejus
comunione cessandum.”

La scomunica impedisce solo la comunione sacramentale. Haec sententia excommunicatio


vocatur quia a comunione corporis et sanguinis Christi notatum prohibet, sicut et Adam ab
esu ligni vitae excommunicatus est, Domino dicente: Videte, ne forte sumatis de ligno vitae
Qua sententia non separatur quis a consortio fidelium (Pars secunda, Causa XI, Quaest. III,
C XXIV, B)

Al contrario l’anatema: Est at alia sententia, quae anathema vocatur, qua quisque separatur
a consortio fidelium. Questa distinzione viene fatta risalire a Papa Giovanni e poi
confermata da.

L’anatemizzato non può entrare in Chiesa, mentre lo scomunicato deve andarci come ogni
fedele.

Incorre in essa chi attenta ad un ecclesiastico.

La piena scomunica quindi avviene con l’anatema, a cui và predicato che: Omnis
Christianus qui a sacerdotibus excommunicatur, satanae traditur, quia extra Ecclesiam
diabiolus est, sicut in Ecclesia Christus, ac per hoc quasi diabolo traditur qui ab
ecclesiastica comunione removetur. Unde illos, quos Apostolus satanae esse traditos
praedicat, excommunicatos a se esse demonstrat (C. XXXII)

Nihil sic debet formidare Christianus quam separari a corpore Christi. Altrimenti non si è
più suoi membri

C. XLI: quia anathema est aeternae mortis damnatio destinata a quelli che aliter non potuit
corrigi

CLIX: Aeternum vae maledictionis inveniet qui bonos malos et malos bonos dixerit Isaia 5

Mentre la scomunica separa lo scomunicato dalla comunione sacramentale della Chiesa,


anche per impedire che profani i sacramenti e si condanni, e per impedire che il suo
scandalo diventi scandalo pubblico, che indebolisce la fede dei giusti, l’anatema sancisce
invece una separazione più grave: la separazione dal Corpo di Cristo stesso.

Lo scomunicato non è dispensato dai precetti religiosi fondamentali come l’obbligo della
Messa domenicale e nei giorni religiosamente festivi, e dall’obbligo della preghiera e di
una vita cristiana. L’anatemizzato è come il tralcio secco della Vite tagliato, è “consegnato a
satana”, cioè escluso dalla Chiesa (extra Ecclesia nulla salus) , quindi in balìa del diavolo.
Nonostante l’estrema durezza di questa denuncia-punizione spirituale resta intatta la natura
correttiva e salvifica della stessa, sia per il condannato che per il gregge dei fedeli.

L’ultima differenza fra scomunica e anatema è che l’anatema contro chi sovverte il
Vangelo e i Dogmi della Fede non è revocabile, è irretrattabile nella sua
autoperformativitò sacrale, mentre la scomunica è revocabile contro chi si pente. Entrambi
non sono revocabili nei loro presupposti. Nell’anatema la condanna si carica di un’aura
definitiva quale monito pubblico, solenne, come fosse l’ “esorcismo” di un errore, manifesta
e irradia un’attualità già perfetta dove non è dato distinguere nel suo porsi fra oggettività e
soggettività del destinatario, il quale resta come prigioniero di questa separazione
formalizzata dall’anatema, e questo fino al giudizio del Signore. La sofferenza prodotta
dall’anatema e dai suoi effetti deve servire per correggere l’anima dell’anatemizzato, che la
misericordia di Dio può sempre salvare.

TIMOTEO

E NON DATE PERLE AI PORCI

 E se qualcuno non ubbidisce a ciò che diciamo in questa lettera, notatelo, e non abbiate relazione
con lui, affinché si vergogni" (2 Tessalonicesi 3,14 e ss.)
 "Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi" (1 Corinzi 5,13).

 "Io ti darò le chiavi del Regno dei Cieli; tutto ciò che legherai in Terra sarà legato nei Cieli, e tutto ciò
che scioglierai in Terra sarà sciolto nei Cieli" (Matteo 16,19.
 "Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla Terra, saranno legate nel Cielo; e tutte le
cose che scioglierete sulla Terra, saranno sciolte nel Cielo" Matteo 18,18.
 "A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti" ( Giovanni
20,23).
 1 Timoteo 1,19
 2Tess.3,14
 1Cor 5,13
 2Cor. 2,5.-11

Scomuniche latæ sententiæ non riservate alla Santa Sede

È scomunicato automaticamente:
1. chi ricorre all'aborto ottenendo l'effetto voluto e chi procura tale aborto (can. 1398); attualmente la
remissione di questa scomunica è stata riservata al vescovo, il quale può decidere se e quali
sacerdoti hanno l'autorizzazione per rimetterla;
2. chi è responsabile di apostasia, eresia e scisma (can. 1364 §1).
3. l'appartenenza a logge massoniche è ancora causa di scomunica: nel 1983, vengono pubblicati
dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il nuovo codice di diritto canonico e, il 26 novembre,
la Dichiarazione sulla massoneria, l'ultimo documento vaticano in merito, firmato dall'allora
prefetto Joseph Card. Ratzinger (futuro papa Benedetto XVI) ed approvato da papa Giovanni
Paolo II.[5]Il documento ribadisce la condanna e la diffida relativa all'appartenenza, venendo così a
costituire interpretatio authentica del canone 1374[6]:

« Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni
massoniche...l’iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche
sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione. »

Anche la simonia o altri accordi condizionanti l'elezione del papa nel conclave, come stabilito dalla
costituzione apostolica Universi dominici gregis, fanno incorrerere nella scomunica latæ sententiæ.

Sa. Agostino commento al salmo 100

Il corpo di Cristo attende fiducioso il giudizio.

3. Orbene, fratelli, se ora siamo nel tempo della misericordia, non dobbiamo per questo lusingarci
né vivere con rilassatezza, dicendo: " Dio ci perdonerà per sempre. Ho peccato ieri e Dio mi ha
perdonato; pecco oggi e Dio mi perdona. Siccome Dio mi perdona peccherò anche domani ". Badi
alla sua misericordia ma non temi il suo giudizio! Se vuoi cantare la misericordia e il giudizio,
convinciti che, se egli ti perdona, lo fa perché tu ti ravveda, non perché persista nel male. Non
accumularti dell'ira per il giorno della vendetta e della manifestazione del giusto giudizio di Dio.
Riguardano il tempo della misericordia le parole di quell'altro salmo: Dio disse al peccatore: Come
fai a parlare dei miei precetti e a mettere sulle tue labbra il mio testamento? Tu hai odiato la
disciplina e ti sei gettato dietro le spalle la mia parola. Se vedevi un ladro, correvi insieme con lui e
partecipavi alle imprese degli adulteri. Seduto, sparlavi di tuo fratello e sollevavi scandalo ai danni
del figlio di tua madre. Tu facevi di queste cose e io tacevo. Ecco il tempo della misericordia. Ma
che significa quell'io tacevo? Significa forse: Non ti rimproveravo? No; significa soltanto: Io non
procedevo al giudizio. Come si può dire infatti che Dio taccia, se ogni giorno ci fa udire la sua voce
attraverso la Scrittura, il Vangelo e i predicatori della sua parola? Ho taciuto risparmiandoti il
giudizio, non gli ammonimenti. Tu facevi di queste cose e io tacevo. E siccome Dio taceva, cioè non
dava corso alla sua vendetta, cosa si diceva il peccatore in fondo al cuore? Ascolta! Tu pensasti,
prosegue, che fosse in me dell'ingiustizia e che io fossi simile a te. Cioè: non ti contentasti d'essere
un perverso, ma supponesti che io lo fossi altrettanto. Dopo avergli però descritto il tempo della
misericordia, lo spaventa prospettandogli il tempo del giudizio. Ti smaschererò e porrò te stesso
dinanzi a te 6. Tu poni te stesso dietro le tue spalle; io ti porrò dinanzi a te. Difatti, chiunque rifugge
dal prendere coscienza dei propri peccati, pone se stesso alle proprie spalle. Nota con oculatezza i
peccati altrui (non per zelo ma per malevolenza, con l'intenzione non di guarire chi li commette ma
di accusarlo), ma dimentica se stesso. Come appunto diceva il Signore parlando a tal sorta di gente:
Vedi la pagliuzza nell'occhio di tuo fratello, ma non vedi la trave nell'occhio tuo 7. Quanto a noi,
siccome ci si canta misericordia e giudizio, operiamo con misericordia e aspettiamo fiduciosi il
giudizio. Stiamo nel corpo di Cristo e cantiamo queste parole! Il Cristo infatti capta tutto questo ma,
se è solo il capo a cantare, il cantico lo eleva il Signore mentre noi ne siamo estranei. Se al contrario
lo canta il Cristo totale, cioè il capo e il corpo, sii fra le sue membra, stagli unito mediante la fede,
la speranza, la carità; e canta in lui e gioisci in lui, come lui soffre in te, in te ha fame e sete e
subisce tribolazioni. Egli seguita a morire in te; tu in lui sei già risorto. Se infatti egli non morisse
nella tua persona, non avrebbe chiesto che, in te, gli fossero risparmiati i colpi del persecutore,
quando disse: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 8 Dunque, fratelli miei, è Cristo che canta. Come
poi canti, voi lo conoscete, poiché spesso abbiamo insistito nel presentarvi il Cristo e so che queste
cose non vi sono sconosciute. Cristo Signore è il Verbo di Dio, per opera del quale furono create
tutte le cose. Questo Verbo per redimerci si fece carne e abitò in mezzo a noi 9. Il Dio eccelso sopra
tutte le cose, il Figlio di Dio uguale al Padre, si è fatto uomo. E si è fatto uomo perché, divenuto
Dio-uomo, potesse essere mediatore tra gli uomini e Dio, e riconciliasse chi era diviso,
congiungesse chi era separato, richiamasse chi si era allontanato, riportasse in patria chi era in
esilio. Per questo si fece uomo. Così è divenuto capo della Chiesa e ha un corpo e delle membra.
Chiama all'appello queste membra! Ora gemono in tutte le parti del mondo, ma alla fine saranno
allietate dalla corona di giustizia della quale dice Paolo: Me la conferirà in quel giorno il Signore,
giudice giusto 10. Cantiamo dunque ora nella speranza, uniti tutti insieme. Essendo infatti rivestiti
del Cristo, noi siamo Cristo, insieme col nostro Capo. E siamo anche discendenti di Abramo, come
dice l'Apostolo. Io ho affermato che noi siamo Cristo e l'Apostolo dice: Per questo voi siete
discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa. Voi siete discendenti di Abramo. Vediamo se
discendenza di Abramo sia anche Cristo. Nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti.
Non dice: Nelle discendenze, quasi che ne fossero molte, ma, poiché è una sola, dice: Nella tua
discendenza, e questa discendenza è Cristo 11. Sicché anche a noi è detto: Voi siete discendenza di
Abramo. Risulta pertanto chiaramente che noi apparteniamo a Cristo e, siccome siamo membra e
corpo di lui, insieme con lui formiamo un solo uomo; e quindi possiamo cantare: Misericordia e
giudizio canterò a te, o Signore.

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