Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
BIBLIOGRAFIA
G. ACQUARONE, La denuncia di inizio attività. Profili teorici, Milano, 2000; E. BOSCOLO, Diritti soggettivi a
regime amministrativo. L’art. 19 della l. 241/90 ed altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001; V. CERULLI
IRELLI, F. LUCIANI, La semplificazione dell’azione amministrativa, in DA, 2000, 617 ss.; S. DEL GATTO, Poteri
pubblici, iniziativa economica e imprese, Roma, 2019; W. GIULIETTI, Articolo 19. Dichiarazione di inizio attività,
in N. PAOLANTONIO, A. POLICE, A. ZITO (a cura di) La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla
legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Torino, 2005, 369 ss.; ID., Attività privata
e potere amministrativo. Il modello della dichiarazione di inizio attività, Torino, 2008; G. GRECO, La SCIA e la
tutela dei terzi al vaglio dell’Adunanza plenaria: ma perché, dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non
si può prendere in considerazione anche il silenzio diniego?, in DP AMM, 2011, 359 ss.; ID., Ancora sulla s.c.i.a.:
silenzio e tutela del terzo, ivi, 2014, 645 ss.; F. LIGUORI, Attività liberalizzate e compiti dell’amministrazione,
Napoli, 1999; ID., Le incertezze degli strumenti di semplificazione. Lo strano caso della d.i.a.-s.c.i.a., in Giu-
stamm.it, 2014; M. LIPARI, La SCIA e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi, in
Federalismi.it, 2015; G. LONGOBARDI, Attività economiche e semplificazione amministrativa. La “direttiva
Bolkestein” modello di semplificazione, in Amministrazioneincammino.it, 2009; M. OCCHIENA, Le certificazioni
nei processi decisionali pubblici e privati, in F. FRACCHIA, M. OCCHIENA (a cura di) I sistemi di certificazione tra
qualità e certezza, Milano, 2006, 91 ss.; N. PAOLANTONIO-W. GIULIETTI, Commento all’art. 19, in M.A. SANDULLI
(a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 898 ss.; A. POLICE, Contributo allo studio della
dichiarazione di inizio attività e della sua natura giuridica, in N AUT, 2008, 17 ss.; M.A. SANDULLI, Riflessioni
sulla tutela del cittadino contro il silenzio della pubblica amministrazione, in GC, 1994, II, 485 ss.; ID., Denuncia
di inizio attività, in RG ED, 2004, 121 ss.; ID., La s.c.i.a. e le nuove regole sulle tariffe incentivanti: due esempi
di ’non sincerità’ legislativa. Spunti per un forum, in Federalismi.it, 6, 2011; ID., Il regime dei titoli abilitativi
edilizi tra semplificazione e contraddizioni, in RG ED, 2013, 301 ss.; ID., Le novità in tema di silenzio, in Libro
dell’anno del diritto, Roma, 2015; ID., Poteri di autotutela della pubblica amministrazione e illeciti edilizi in
Federalismi.it, 2015; ID., Gli effetti diretti della l. 7 agosto 2015 n. 124 sulle attività economiche: le novità in
tema di s.c.i.a., silenzio-assenso e autotutela, ivi, 2015; ID., Postilla all’editoriale ‘Gli effetti diretti della l. 7
agosto 2015 n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio-assenso e autotutela’,
ivi, 2015; ID., Semplificazione e certezza delle regole nel rapporto tra Amministrazione e amministrati: il caso della
SCIA, in M. GOLA, F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Forma e riforma dell’amministrazione pubblica tra crescita
economica e servizio ai cittadini: la l. n. 124/2015 e la sua attuazione”, Quaderni Spisa, Bologna, 2017, 111
ss.; ID., Segnalazione certificata di inizio attività, in Libro dell’anno del diritto, Roma, 2017; ID., Controlli
sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, in Federalismi.it, 2019; ID., Edilizia, in RG ED, 3, 2022,
121 ss.,; M.A. SANDULLI, G. TERRACCIANO, La semplificazione delle procedure amministrative a seguito della
attuazione in Italia della Direttiva Bolkestein, in Monografie Aragonesa Journal of public administration,
Governo di Aragona, 2010, 47 ss.; E. SCOTTI, La segnalazione di inizio attività, in A. ROMANO (a cura di),
L’azione amministrativa, Torino, 2016, 584 ss.; G. STRAZZA, La s.c.i.a. nei decreti attuativi della “riforma
Madia”, in M.A. SANDULLI (a cura di), Le nuove regole della semplificazione amministrativa, Milano, 2016, 74
ss.; ID., Il potere di intervento “tardivo” sulla s.c.i.a. tra disciplina statale, regionale ed esigenze di certezza, in RG
ED, 1-2, 2016, 14 ss.; ID., La s.c.i.a. tra semplificazione, liberalizzazione e complicazione, Napoli, 2020; A.
TRAVI, La DIA e la tutela del terzo: fra pronunce del g.a. e riforme legislative del 2005, in UA, 2005, 1332 ss.;
ID., Pubblica amministrazione. Burocrazia o servizio al cittadino?, Milano, 2022; E. ZAMPETTI, D.i.a. e s.c.i.a.
dopo l’Adunanza Plenaria n. 15/2011: la difficile composizione del modello sostanziale con il modello processuale,
in DA, 2011, 811 ss.
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 2 SESS: 19 USCITA:
SOMMARIO 1. Premessa. Dalla d.i.a. alla s.c.i.a. — 2. Le nuove “certezze” sull’utilizzabilità dello
strumento e le nuove garanzie di stabilità del titolo nella l. n. 124 del 2015 e nei relativi decreti di
attuazione. — 3. La “nuova” attenzione per la (precaria) posizione del segnalante e le questioni
irrisolte. — 4. I riflessi della riforma del 2015 sulla tutela del terzo: premessa e rinvio. — 5.
Conclusioni.
1. Premessa. Dalla d.i.a. alla s.c.i.a. Una delle più evidenti testimonianze
della “storicità” del diritto amministrativo è rappresentata dall’evoluzione del
sistema dei controlli sull’esercizio delle attività economiche impattanti su interessi
pubblici (ambiente, governo del territorio, sanità pubblica, commercio, istruzione,
ecc.).
Nel tempo, sulla scorta del potere riconosciutogli dall’art. 41 Cost., il legisla-
tore aveva invero progressivamente introdotto strumenti di controllo preventivo
della compatibilità di tali attività con il quadro normativo di riferimento e con gli
interessi pubblici coinvolti (autorizzazioni, abilitazioni, permessi, licenze, nulla
osta, ecc.; cfr. la classificazione di A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo,
Napoli, 1952 e 1989). Le complessità burocratiche e le tempistiche delle ammini-
strazioni avevano tuttavia tradizionalmente costituito un fortissimo ostacolo all’ef-
fettivo esercizio della libertà d’impresa, spingendo verso la progressiva elabora-
zione di strumenti di tutela avverso l’inerzia degli uffici pubblici e di meccanismi di
semplificazione procedimentale (cfr. i contributi di G. MARI e di M.A. SANDULLI,
supra, e di G.B. CONTE, S. TRANQUILLI, infra).
Negli ultimi decenni, anche e soprattutto sotto la spinta dei principi di libertà
di stabilimento e di libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione Europea
(tradotti nella direttiva n. 2006/123/CE, c.d. direttiva servizi o direttiva Bolkestein,
su cui v. M.A. SANDULLI, G. TERRACCIANO), si è tuttavia registrata una netta inver-
sione di tendenza e, accanto alla menzionata introduzione di strumenti di sempli-
ficazione (silenzio assenso e conferenza di servizi), il legislatore ha concepito una
formula sostitutiva di controllo, di tipo meramente successivo, di cui ha gradual-
mente esteso la portata a sempre più vasti settori di attività, consentendone
l’intrapresa sulla base di autocertificazioni (spesso trasformate, di fatto, in autova-
lutazioni) di conformità giuridica (emblematica quella di conformità del fabbricato
alla normativa urbanistico-edilizia) rimesse agli stessi interessati (o a loro tecnici) e
sotto la loro esclusiva responsabilità (cfr. amplius sul tema il precedente contributo
su “La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di
atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio”, di seguito più brevemente “contributo sulle
“dichiarazioni sostitutive”).
Il percorso ha avuto inizio nel 1990, quando la l. n. 241, nell’estendere
l’ambito di applicazione dello strumento “semplificatorio” del silenzio assenso (art.
20), introdusse, nell’art. 19, quello, parzialmente “liberalizzatorio”, della “denuncia
di inizio dell’attività” (d.i.a.), devolvendo ad apposito regolamento governativo il
compito di individuare i casi in cui, in considerazione del carattere sostanzial-
mente vincolato dell’atto di assenso e dell’assenza di limiti o contingenti comples-
sivi e di rischi di pregiudizio per la tutela dei valori storico-artistici o ambientali e
per la sicurezza dei lavoratori, l’esercizio di un’attività privata, già subordinato ad
autorizzazione, licenza, nulla-osta o altri atti di consenso comunque denominati,
poteva essere intrapreso con mera d.i.a. all’amministrazione competente, cui
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 3 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 365
2015 n. 124) — dispone infatti che “ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscri-
zioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o
artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti
di legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o
contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli
atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato con la sola esclusione dei casi in cui
sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle ammini-
strazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo,
alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi
compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco,
nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti
dalla normativa comunitaria”.
L’amplissimo ambito di operatività dell’istituto ne determina il ruolo assolu-
tamente centrale nello studio dei rapporti tra cittadino e pubblica amministra-
zione e pone in primo piano l’esigenza di certezza delle regole che ne conformano
l’utilizzo e delle garanzie di efficacia e di stabilità che esso offre nei confronti dei
poteri pubblici e dei terzi controinteressati.
Significativamente, la riscrittura della disciplina dello strumento costituisce
uno dei più importanti interventi del “pacchetto” di riforme della pubblica ammi-
nistrazione avviato dalla l. n. 124 del 2015, sul quale sono intervenuti già due
decreti delegati (nn. 126 e 222 del 2016, meglio noti come decreti “s.c.i.a. 1” e
“s.c.i.a. 2”), cercando il difficile (e forse impossibile) equilibrio tra tali opposti
interessi, nel tentativo di evitare che la (pur indubitabilmente giusta) preoccupa-
zione di impedire l’abuso dell’autolegittimazione si traduca in una perenne incer-
tezza del titolo, scoraggiando gli operatori dall’intrapresa dell’attività che la sua
introduzione avrebbe dovuto incentivare e semplificare.
Con il riferito radicale trasferimento di responsabilità dal pubblico al privato,
il medesimo comma 1 dell’art. 19 rimette invero all’interessato il compito di cor-
redare la segnalazione, che lo abilita all’immediato esercizio dell’attività, delle di-
chiarazioni, attestazioni e asseverazioni necessarie, nonché dei relativi elaborati tec-
nici, con l’ulteriore precisazione (da leggere comunque alla luce delle surrichiamate
esclusioni dall’ambito di operatività della s.c.i.a. delle attività condizionate dai c.d.
interessi sensibili e dunque escludendo gli atti, i pareri e le verifiche relativi a tali
interessi) che “nei casi in cui la normativa vigente prevede l’acquisizione di atti o pareri di
organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti
dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma,
salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti”.
Il comma 2 stabilisce quindi che la presentazione della segnalazione all’am-
ministrazione competente (recte, allo sportello unico indicato a norma dell’art.
19-bis, inserito dal d.lgs. “s.c.i.a. 1” n. 126 del 2016) o, nei casi in cui siano
necessarie altre s.c.i.a., a una delle amministrazioni competenti (rimettendone, in
termini alquanto criticabili, la scelta allo stesso segnalante, cui è affidato il potere/
dovere di curarne la trasmissione alle altre amministrazioni interessate per i
relativi controlli e di raccoglierne le proposte motivate eventualmente pervenutele
fino a 5 giorni prima dalla scadenza del termine di verifica) consente l’inizio
immediato dell’attività, mentre la verifica della sussistenza dei requisiti e dei
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 5 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 367
LA S.C.I.A. 369
stiche ridotte della verifica ordinaria e, nei limiti di cui si dirà infra, anche con
quelle della verifica postuma.
LA S.C.I.A. 371
dei diversi regimi, alla luce dei principi eurounitari di accesso alle attività di servizi,
proporzionalità e ragionevolezza, la disgiuntiva “o” implicherebbe che la salvezza
delle discipline vigenti sia limitata ai settori estranei a quelli che abbiano già
costituito oggetto di catalogazione (ad oggi, commercio, edilizia e ambiente),
mentre all’interno di tali settori le attività non espressamente individuate dovreb-
bero considerarsi comunque effettivamente “libere”. Come rilevato in sede di
primo commento della riforma (M.A. SANDULLI, Segnalazione certificata di inizio di
attività), la ricostruzione proposta dal parere non convince, ponendosi peraltro in
contrasto con la previsione, accettata dallo stesso organo consultivo (pur con
l’invito al Governo a meglio definirne i criteri, la cui eccessiva genericità espone al
rischio di facili eccessi da parte degli enti locali), che le singole amministrazioni
possono ricondurre “le attività non elencate, anche in ragione della loro specificità
territoriale, ma riconducibili a quelle elencate (...) a quelle corrispondenti elencate, dandone
pubblicità sul proprio sito istituzionale” (art. 2, commi 1 e 2, d.lg. 126).
Per quanto concerne la disciplina generale, il decreto ha innanzitutto regolato
le modalità di presentazione delle istanze, segnalazioni, comunicazioni (art. 2) e la
documentazione da allegare a tali atti, facendo obbligo alle amministrazioni com-
petenti di predisporre e pubblicare sul proprio sito istituzionale moduli standar-
dizzati e — per ciascuna tipologia di procedimento — l’elenco degli stati, qualità
personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di
notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle
dichiarazioni di conformità dell’Agenzia delle imprese, necessari a corredo della
segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione.
Per garantire l’effettiva osservanza della prescrizione, l’art. 2, comma 5, del
decreto dispone che la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti
alle informazioni pubblicate e/o la mancata pubblicazione delle stesse costituiscono
illecito disciplinare (“punibile con la sospensione con privazione della retribuzione da tre
giorni a sei mesi”). La previsione, come era stato immediatamente segnalato da chi
scrive e ripreso anche dal Consiglio di Stato (parere n. 839/2016) appare eccessi-
vamente rigida e sarebbe stato opportuno sostituire le parole « costituiscono illecito
disciplinare » con “sono valutabili ai fini dell’illecito disciplinare”, in quanto, in caso di
richieste “logiche”, non sembra giusto punire chi le ha effettuate, ma, al più, chi
non ha inserito i documenti negli elenchi. Si segnala piuttosto l’opportunità di
chiarire che (almeno secondo quello che appare l’intentum legis) le richieste di
integrazioni documentali non incidono comunque sul termine di conclusione del
procedimento e, dunque, non possono pregiudicare il consolidamento della
s.c.i.a..
A garanzia dei suddetti obblighi di pubblicità, l’art. 2, comma 3, disciplina un
doppio potere sostitutivo (che costituisce un’ulteriore costante della riforma Ma-
dia, tradotta nel d.P.R. n. 194 del 2016), affidato, rispettivamente, alle Regioni nei
confronti degli enti locali — “anche su segnalazione del cittadino”, “nel rispetto della
disciplina statale e regionale applicabile nella relativa materia” e allo Stato nei riguardi
delle Regioni (ex art. 8, l. n. 131 del 2003).
Sono fatti in ogni caso espressamente salvi gli obblighi di trasparenza, le
sanzioni e i rimedi del d.l. n. 33 del 2013 (c.d. “Decreto trasparenza”), con cui
peraltro il Consiglio di Stato (parere n. 839) aveva vanamente rappresentato
un’esigenza di coordinamento.
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 10 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 373
LA S.C.I.A. 375
LA S.C.I.A. 377
La mancanza di rilievi nel termine fissato dalla legge per l’esercizio immediato
del potere di verifica, pur non formalmente equiparata a verifica positiva, esplica
dunque un effetto di stabilizzazione del titolo, preclusivo dei successivi interventi
della p.a. senza le garanzie richieste per l’autoannullamento (così ora testualmente
anche l’art. 2, comma 8-bis, introdotto dal d.l. n. 76 del 2020, su cui subito infra).
Anche con riferimento alla s.c.i.a., istituzionalmente sostitutiva di un atto
autorizzatorio, dunque, oltre all’obbligo di motivazione sull’attualità dell’interesse
pubblico all’adozione della misura e al limite generale di ragionevolezza della
medesima, in considerazione dei diversi interessi incisi e del lasso temporale
intercorso, valgono i rigorosi limiti temporali (e relativi contro-limiti) rispettiva-
mente previsti dai commi 1 e 2-bis dell’art. 21-nonies.
Nel rinviare per una più ampia analisi di tali disposizioni all’apposito contri-
buto di M. SINISI (infra), merita qui segnalare in particolare il dibattito sulla
necessità dell’accertamento penale richiesto dal suddetto comma 2-bis anche per le
“false rappresentazioni dei fatti” (oggetto di apposita appendice al suddetto contri-
buto e di specifico approfondimento nel più volte richiamato contributo sulle
“dichiarazioni sostitutive”, cui pertanto si rinvia) e fermare l’attenzione sulle pecu-
liarità che la nuova disciplina dell’autoannullamento (applicabile, come detto, in
forza dell’art. 19, comma 4, alla verifica postuma dei requisiti per l’utilizzo del
titolo) presenta con riferimento alla s.c.i.a..
Rispondendo (almeno in questa parte) alle sollecitazioni della dottrina (vd. an-
che la prima edizione di questo Volume) e del Consiglio di Stato (in entrambi i sur-
richiamati pareri nn. 839 e 1784 del 2016), il decreto “s.c.i.a.2” ha opportunamente
chiarito che il termine di diciotto (portato nel 2020 a dodici) mesi per la verifica
postuma inizia a decorrere dalla scadenza di quello per la verifica immediata.
Un ulteriore problema interpretativo peculiare alla s.c.i.a. (e al silenzio assenso
provvedimentale, su cui v. infra il contributo di G. MARI) è stato individuato nel
rapporto tra l’art. 21-nonies e l’art. 21, comma 1, l. n. 241, sul quale, senza eviden-
temente percepirne la potenziale contraddittorietà con il nuovo testo dell’art. 21-
nonies (di cui non vi è significativamente traccia nei lavori preparatori), la l. n. 124
del 2015 si è limitata a un mero intervento di drafting, consistente nella sostituzione
formale del termine “denuncia” con quello “segnalazione”. Come anticipato nel già
segnalato contributo sulle “dichiarazioni sostitutive”, la disposizione, nel richiamare
l’obbligo del segnalante di dichiarare (sotto la propria responsabilità) “la sussistenza
dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti”, stabilisce pertanto ancora oggi che “In caso
di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività
e dei suoi effetti a legge (omissis) ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall’articolo
483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato”.
Nei richiamati pareri sui decreti delegati s.c.i.a., il Consiglio di Stato, pren-
dendo atto delle perplessità, in realtà eccessive, avanzate da alcuni primi commen-
tatori (M. LIPARI, La SCIA, cit.; diversamente, M.A. SANDULLI, Semplificazione e
certezza delle regole), ha dunque rilevato l’esigenza di chiarire se la previsione debba
considerarsi come un’ulteriore deroga al limite temporale massimo di intervento
postumo previsto dall’art. 21-nonies, aggiuntiva rispetto a quella prevista dal
comma 2-bis dello stesso articolo.
Lo spirito della riforma, l’abrogazione dell’art. 21, comma 2, e il chiaro
disposto dell’art. 21-nonies, comma 2-bis, inducono invero ragionevolmente a
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 17 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 379
circoscrivere la portata dell’art. 21, comma 1, alla verifica ordinaria che l’ammini-
strazione deve compiere nei primi sessanta (o per l’edilizia trenta) giorni. Gli stessi
menzionati pareri hanno del resto giustamente sottolineato che, se avesse inteso
effettivamente aderire alla seconda ipotesi prospettata (per garantire il rispetto del
principio di legalità sostanziale: cfr. C. cost. n. 115 del 2001), il legislatore avrebbe
dovuto specificare “quali siano i poteri ulteriori esercitabili ex art. 21, co. 1, rispetto a
quelli di intervento ex post alle condizioni dell’art. 21-nonies (...)”. Il decreto “s.c.i.a.2”
si limita però, purtroppo, a un generico richiamo alla riferita disposizione (nel-
l’art. 2, comma 4), che, comunque, in doverosa coerenza con la riforma, non può
avere altro significato se non quello di ribadire che la conformazione non è mai
possibile — e la norma risulta speciale e applicabile senza limiti di tempo — nei
(soli) casi di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni riconducibili alla fattispe-
cie penale di cui all’art. 483 c.p. accertata (come richiesto dall’art. 21-nonies,
comma 2-bis) con sentenza di condanna passata in giudicato. Come anticipato nel
contributo sulle “dichiarazioni sostitutive”, la riferita chiave di lettura trova ormai
conferma nel surricordato comma 8-bis dell’art. 2 l. 241, introdotto dall’art. 12 d.l.
n. 76 del 2020 (c.d. “Decreto Semplificazioni”), che, ribadendo la volontà legisla-
tiva a favore della stabilità del titolo tracciata dalla riforma Madia, precisa testual-
mente che “i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli
eventuali effetti, di cui all’articolo 19, comma 3 e 6-bis, adottati dopo la scadenza dei termini
ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando [soltanto: n.d.r.] quanto previsto dall’art.
21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni”.
Dovrebbe ritenersi così definitivamente superato l’orientamento che, sulla
scorta dell’art. 21, comma 1, continuava a sostenere la mancata formazione del
silenzio assenso e del titolo autocertificato (s.c.i.a.) in assenza dei requisiti e pre-
supposti di legge.
Il legislatore ha invece perso un’importante occasione per risolvere il pro-
blema, sopra anticipato, della pretesa possibilità di distinguere, all’interno dell’ec-
cezione di cui al comma 2-bis dell’art. 21-nonies, tra le “false dichiarazioni sostitutive
delle certificazioni e degli atti di notorietà” e le “false rappresentazioni dei fatti” e di
limitare alle prime la condizione dell’accertamento del reato con sentenza penale
di condanna (così anche, tra le più recenti, Cons. St., Sez. IV, 30 giugno 2023, n.
6387), per di più indebitamente estendendo le seconde (nonostante il chiaro
riferimento normativo al “falso”) agli errori di qualificazione delle fattispecie
attraverso una ricostruzione e valutazione del quadro normativo e tecnico non
condivisa dall’amministrazione (tipica, l’applicabilità o meno della s.c.i.a. per
l’esercizio di una determinata attività, la sussistenza o meno di un vincolo, ecc.). Sul
tema si rinvia alle più ampie considerazioni svolte nel contributo sulle “dichiara-
zioni sostitutive”.
Non dovrebbero, invece, toccare la s.c.i.a., stante il chiaro limite del loro
oggetto (indebito conseguimento di benefici), le “reazioni” amministrative previ-
ste (sotto il titolo generico e atecnico di “sanzioni”) dal Capo VI del d.P.R. n. 445 del
2000 quale conseguenza della non veridicità delle “dichiarazioni sostitutive delle
certificazioni e degli atti di notorietà” rese per il conseguimento di “benefici”, seria-
mente inasprite dall’art. 264 del d.l. n. 34 del 2020 (convertito, senza modificazioni
in parte qua, nella l. n. 77 del 17 luglio) attraverso l’introduzione di un comma 1-bis
all’art. 75, che ha aggiunto alla misura, tradizionale (e non propriamente sanzio-
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 18 SESS: 19 USCITA:
natoria), della decadenza (con effetto ex nunc) dei benefici indebitamente ottenuti
sulla base di autodichiarazioni non veritiere, la previsione che “la dichiarazione
mendace comporta, altresì, la revoca [ex tunc] degli eventuali benefici già erogati” [non si
richiede quindi l’accertamento penale del falso, né si pongono limiti temporali] e
addirittura “il divieto di accesso a contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo
di due anni decorrenti da quando l’amministrazione ha adottato l’atto di decadenza”. Il
principio di stretta legalità delle sanzioni — categoria cui sicuramente apparten-
gono le nuove misure introdotte dal riportato comma 1-bis dell’art. 75 — ne
impedisce in ogni caso l’applicazione analogica fuori dallo specifico ambito della
disposizione: dichiarazioni “mendaci” rese “ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. 445
del 2000” (e dunque dichiarazioni sostitutive di atti e documenti amministrativi di
certificazione e di atti di notorietà) che hanno fruttato il conseguimento (fraudo-
lento) di “benefici”, non certamente sovrapponibili alle più ampie e generali dichia-
razioni di autovalutazione sul possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi per
l’esercizio di un’attività che il legislatore ha inteso “liberalizzare”, sicché, come
chiarito anche dalla Corte costituzionale, il segnalante “è titolare di una posizione
soggettiva originaria che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge che non
ha bisogno di alcun consenso della. P.A.” (sentt. nn. 49/2016, 45/2019 e 153 del 2020).
Sul tema si rinvia comunque alle più ampie considerazioni svolte nel richiamato
specifico contributo sulle “dichiarazioni sostitutive” (in particolare, par. 4).
4. I riflessi della riforma del 2015 sulla tutela del terzo: premessa e rinvio. La
questione più complessa che, nonostante le reiterate sollecitazioni, il legislatore ha
mancato di risolvere, ingiustamente affidando alla giurisprudenza un potere che
esula dalla sua funzione di interprete di scelte spettanti agli organi rappresentativi
della volontà popolare, resta, peraltro, quella della tutela del terzo, che, come
avvertito già nelle precedenti edizioni di questo Volume, sono ulteriormente
aggravati dagli stringenti limiti temporali imposti dalla riforma al potere ammini-
strativo di intervenire sull’attività eventualmente avviata in difetto dei presupposti
per il corretto utilizzo della s.c.i.a. dopo il termine per la verifica ordinaria degli
stessi. Di nuovo, si pone infatti l’esigenza di trovare un giusto punto di equilibrio
tra la necessità (evidentemente irrinunciabile) di garantire al terzo (e, attraverso la
sua azione, indirettamente, alla collettività) un’effettiva tutela contro l’abuso dello
strumento e quella del segnalante alla stabilità del titolo conseguito. Come rilevato
nelle precedenti edizioni di quest’opera, il carattere perentorio del termine di cui
all’art. 19, comma 1, e i nuovi limiti imposti dalla riforma all’intervento di con-
trollo “postumo” sulla sussistenza dei presupposti per il relativo utilizzo (da tenere
evidentemente distinto dal potere di verifica della conformità dell’attività svolta a
quella “segnalata”: sul punto, chiaramente, Cons. St, Sez. VI, 8 luglio 2021, n.
5208) mal si conciliano infatti con i tempi tecnici di un giudizio (ancorché accele-
rato come quello ex art. 31 c.p.a. indicato dal comma 6-ter della stessa norma
sostanziale). Anche se, nella logica dei principi generali, l’accoglimento del ricorso
sul mancato esercizio dei poteri inibitori/repressivi nei termini di cui al comma 1,
implicando l’accertamento dell’illegittimo utilizzo della d.i.a./s.c.i.a., ne impone
evidentemente l’esercizio postumo in sede di ottemperanza, svincolandolo perciò
dal rispetto delle condizioni di cui all’art. 21-nonies, si pone invero la questione del
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 19 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 381
termine entro il quale il terzo deve sollecitare l’intervento della p.a. e, conseguen-
temente, denunciarne l’eventuale inerzia. Teoricamente, stante la consumazione
del potere-dovere di “prima” reazione all’illegittimo utilizzo della d.i.a./s.c.i.a.
(indipendente dalla sussistenza di uno specifico interesse pubblico e dalla valuta-
zione dei contrapposti interessi), esso dovrebbe coincidere con i sessanta (o, per la
s.c.i.a. edilizia, trenta) giorni entro (e non oltre) i quali tale reazione può avere
luogo (posto che nessuna sollecitazione può essere più mossa e nessuna inerzia
può essere più imputata a chi non ha più il potere/dovere di provvedere sulla base
di un mero riscontro di illegittimità, ma ha solo il potere, discrezionale, di inter-
venire con i limiti di cui all’art. 21-nonies). La soluzione indicata è sicuramente in
linea con la logica di garanzia della stabilità dei titoli abilitativi che ha guidato la
riforma, garanzia che sarebbe evidentemente frustrata se i c.d. strumenti di para-
liberalizzazione offrissero ai loro fruitori, nei confronti delle azioni dei terzi, tutele
inferiori a quelle offerte ai titolari dei provvedimenti, espliciti o impliciti, di
autorizzazione. Essa priva tuttavia di adeguata tutela il terzo in tutti i casi in cui,
anche strumentalmente, l’attività segnalata non venga di fatto tempestivamente
iniziata e dunque esso non sia posto in grado di averne contezza in tempo utile per
sollecitare la predetta verifica di legittimità e proporre, in caso di inerzia, la
suddetta azione. I nuovi limiti (non solo temporali) al potere di intervento po-
stumo (condizionato alla sussistenza di presupposti, rimessi alla valutazione di-
screzionale dell’amministrazione, diversi dal mero ripristino della legalità) esclu-
dono d’altro canto che il terzo possa trovare sicura soddisfazione e garanzia nella
sollecitazione del relativo esercizio. In sede di primo commento alla l. n. 124 del
2015 (e nella prima edizione di quest’opera) era stato pertanto segnalato che, per
evitare prevedibili (e infruttuosi) contrasti interpretativi, era necessario un solle-
cito intervento legislativo, che, in coerenza con i tempi per promuovere l’azione di
annullamento del titolo provvedimentale (che ha il suo dies a quo nella piena
conoscenza del provvedimento) definisse la natura del ricorso ex art. 19, comma
6-ter quale azione di accertamento dell’illegittimità dell’omessa verifica dell’illegit-
timo utilizzo della d.i.a./s.c.i.a. e di condanna all’adozione degli atti conseguenti, e
ne legasse temporalmente la proposizione all’effettivo avvio dell’attività
denunciata/segnalata. La questione rileva anche ai fini dei presupposti per l’acco-
glimento di un’eventuale domanda risarcitoria dei danni subiti dal terzo per
effetto dell’inerzia, cui potrebbe essere opposto (in forza dell’art. 30, comma 3,
c.p.a. e dello stesso dato testuale dell’art. 19, comma 6-ter) il mancato (volontario)
esperimento dell’azione ex art. 19, comma 6-ter. Né legislatore delegato, né le
plurime riforme che si sono susseguite in questi anni, sono però purtroppo
intervenute sul punto, dando così adito a forti incertezze applicative tradotte in
rilevanti contrasti giurisprudenziali e sfociate in due interventi della Corte costi-
tuzionale, per la cui analisi si rinvia all’apposito focus di G. STRAZZA.
L’evoluzione tecnologica e una effettiva attuazione delle norme sull’accesso,
anche nelle forma del c.d. accesso civico generalizzato (su cui v. infra il contributo
di A. CORRADO) dovrebbero peraltro semplificare la conoscenza delle segnalazioni
e, conseguentemente, una limitazione temporale dell’azione del terzo.
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 20 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 383
GIURISPRUDENZA
di ANTONIO PERSICO
IL TERMINE PER L’ESERCIZIO DEI POTERI DI CONTROLLO DECORRE DAL RICEVIMENTO DELLA S.C.I.A., ANCHE
SE CARENTE DEI PRESUPPOSTI
Il termine per l’esercizio per l’esercizio del potere inibitorio, avuto riguardo alla disciplina
applicabile in materia edilizia, è fissato in trenta giorni dal ricevimento della segnalazione; oltre tale
termine, i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti eventual-
mente prodotti sono inefficaci ex art. 2, comma 8-bis, se non assunti in pendenza delle ulteriori
condizioni previste dall’articolo 21-nonies L. n. 241/1990.
Fatti: L’amministrazione comunale, sulla base della ritenuta insussistenza dei requisiti
di legge, aveva dichiarato l’inefficacia giuridica di una s.c.i.a. edilizia e disposto l’inibitoria
dell’attività oltre il termine di trenta giorni dal ricevimento della segnalazione..
Doglianze: Il ricorrente lamentava la tardività del provvedimento, in quanto adottato
oltre il termine di trenta giorni dal ricevimento della s.c.i.a.
Decisione:
È evidente che il Comune [...] non ha rispettato la tempistica di legge, in quanto la
SCIA è stata presentata in data 23.3.2021, mentre il divieto di prosecuzione dell’attività è
stato adottato in data 15.11.2021, con una comunicazione di avvio del procedimento di
poco precedente (20.10.2021).
Si applica quindi il comma 8-bis dell’art. 2 della legge 241/90, in forza del quale “ le
determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli
atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli
articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, ovvero successiva-
mente all’ultima riunione di cui all’articolo 14-ter, comma 7, nonché i provvedimenti di divieto
di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti, di cui all’articolo 19, commi 3 e 6-bis,
primo periodo, adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando
quanto previsto dall’articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni”.
Nel caso di specie, come già ribadito in sede cautelare, il provvedimento del Comune
è privo dei presupposti per ritenere esistente l’esercizio di qualsivoglia tipologia di autotu-
tela, secondo quanto previsto dall’art. 21 nonies l. 241/90, non essendo stata fatta alcuna
valutazione sull’interesse pubblico e mancando la valutazione comparativa tra gli interessi
del privato e quello dell’Amministrazione.
Peraltro, alla parte non è stata contestata alcuna falsa rappresentazione dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto
di condotte costituenti reato.
Nessun aspetto dell’art. 21 nonies l. 241/90 è stato quindi contestato, e la dichiarazione
di inefficacia per ragioni di tipo urbanistico — che è la classica inibitoria di ogni SCIA — per
essere ritenuta legittima andava effettuata nei termini di legge.
Per giurisprudenza costante, “il termine per l’esercizio del potere inibitorio, avuto
riguardo alla disciplina applicabile in materia edilizia, è fissato in trenta giorni dal ricevi-
mento della segnalazione (art. 19, comma 6 bis, L. n. 241 del 1990) [sessanta in materia
diversa da quella edilizia]; oltre tale termine i medesimi provvedimenti (di divieto di
prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti eventualmente prodotti) possono
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 22 SESS: 19 USCITA:
essere assunti soltanto in presenza delle ulteriori condizioni previste dall’articolo 21-nonies,
L. n. 241 del 1990 “ (Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 7286/2021).
E ancora “ una volta decorsi i termini per l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, la
scia (come già la dia) costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace, che può essere
rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotu-
tela decisoria; pertanto, non solo deve ritenersi illegittima l’adozione, da parte di un’Am-
ministrazione comunale, di un provvedimento repressivo-inibitorio oltre il termine peren-
torio di trenta giorni dalla presentazione e senza le garanzie e i presupposti previsti
dall’ordinamento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, ma neppure possono,
più in generale, disconoscersi gli effetti abilitativi non formalmente inibiti o rimossi” (Cons.
Stato, sez. V, 29.9.2020, n. 5725) (nello stesso senso, T.A.R. Campania, Salerno, sez. II,
2.12.2021, n. 2611; id., 1.10.2020, n. 1276; T.A.R. Lazio, sez. II, 7.1.2021, n. 214; T.A.R.
Campania, Napoli, sez. VIII, 13.7.2021, n. 4850).
Nota bene: La sentenza dichiara, a norma dell’art. 2, comma 8-bis, l. n. 241/1990,
l’inefficacia del provvedimento inibitorio adottato dal Comune oltre il termine di trenta
giorni dalla presentazione della s.c.i.a. A giudizio del TAR Campania, infatti, non è condi-
visibile la tesi per cui, in difetto dei presupposti di legge (nella specie, si trattava di requisiti
di carattere urbanistico), la fattispecie della s.c.i.a. non si perfeziona, con la conseguente
inefficacia del titolo abilitativo e la possibilità per l’amministrazione di inibire l’attività
oggetto di segnalazione sine die. Di contro, la pronuncia aderisce alla giurisprudenza che
afferma la decorrenza del termine per l’esercizio del potere inibitorio-repressivo ordinario
a partire dal ricevimento della segnalazione, la quale, una volta decorso il suddetto termine,
costituisce titolo abilitativo valido ed efficace, rimuovibile solo in presenza delle condizioni
per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, con atto debitamente motivato sul
punto.
IL TERMINE PER L’ESERCIZIO DEI POTERI DI CONTROLLO NON DECORRE IN CASO DI S.C.I.A. INCOMPLETA
Per la decorrenza del termine di controllo “ordinario” sulla SCIA/DIA di trenta giorni, ex art. 19,
comma 3 legge n. 241/1990, è necessario che sussistano nella loro interezza i presupposti di efficacia
della SCIA/DIA, ossia che risulti debitamente comprovato, anche per mezzo di autocertificazioni, il
possesso delle certificazioni e dei requisiti richiesti.
Fatti: Decorsi trenta giorni dalla presentazione di una d.i.a. edilizia, ad attività ormai
iniziata, il Comune ordinava la sospensione dei lavori e la produzione di integrazioni
documentali.
Doglianze: La proprietaria agiva in giudizio anche a fini risarcitori, deducendo che gli
elementi integrativi richiesti non erano necessari a norma di legge, né indicati nella modu-
listica predisposta dal Comune stesso, e che comunque risultavano evincibili dalla proget-
tazione allegata alla d.i.a. Evidenziava quindi che la sospensione dei lavori aveva illegittima-
mente inciso sull’efficacia di un valido titolo abilitativo, la cui idoneità a legittimare l’inter-
vento intrapreso sarebbe stata peraltro confermata a seguito dell’istruttoria comunale.
Decisione: [...] l’integrazione documentale, così come sollecitata da[l Comune], era
appropriata e pertinente, non irragionevole e non costituente quindi un ingiustificato o
illegittimo aggravamento procedimentale.
Ne deriva che nessuna delle doglianze dedotte, sul punto del procedimento e degli
effetti della DIA può trovare accoglimento.
Infatti, secondo pacifica giurisprudenza, in presenza di “strumenti di semplificazione
dell’attività amministrativa, quali la d.i.a. od il silenzio assenso, presupposti perché la fattispecie possa
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 23 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 385
A fronte dell’istanza volta all’attivazione dei poteri di “autotutela” ex art.. 19, comma 4, L. n.
241/1990, doverosa è l’attivazione del procedimento, ma non il relativo esito, che, al contrario,
recupera appieno la discrezionalità contenutistica che connota l’istituto.
Fatti: Il Comune aveva rigettato l’istanza tesa all’attivazione dei poteri inibitori e
repressivi a fronte di un intervento edilizio oggetto di d.i.a., la cui difformità dalla norma-
tiva vigente all’epoca della denuncia era già stata accertata con sentenza del Coniglio di
Stato. Questa pronuncia, invero, confermava l’annullamento, disposto in primo grado, del
diniego di adozione dei provvedimenti ripristinatori dello stato dei luoghi, espresso dal
Comune sulla base di un’erronea interpretazione della normativa urbanistica applicabile.
Tuttavia, mentre sul versante conformativo il TAR aveva affermato l’obbligo del Comune di
esercitare i poteri di vigilanza e di repressione di cui al comma 6-bis dell’art. 19 della legge
n. 241 del 1990, con la conseguente adozione di un provvedimento dal contenuto vincolato,
la decisione del Consiglio di Stato si limitava a richiedere la verifica dei presupposti
dell’annullamento d’ufficio disciplinato dall’articolo 21-nonies della medesima legge, ai fini
dell’adozione di un provvedimento dal contenuto discrezionale. Ciò in ragione del fatto che
la sollecitazione dei poteri di controllo era avvenuta oltre il termine di trenta giorni previsti
dal combinato disposto dei commi 3 e 6-bis dell’art. 19 cit., non essendo quindi la relativa
istanza idonea a fondare l’obbligo dell’amministrazione di provvedere con un dispiega-
mento senza limiti dei poteri repressivi.
Doglianze: La controinteressata invocava in sede di ottemperanza la nullità del nuovo
diniego comunale, per violazione/elusione del giudicato. In sintesi, sosteneva che il Co-
mune era vincolato al ripristino dello stato dei luoghi senza poter attribuire rilevanza alcuna
alla conformità dell’intervento con le norme urbanistiche sopravvenute, alla sussistenza di
un interesse pubblico al mantenimento dell’opera, all’esigenza di tutelare l’affidamento del
dichiarante.
Decisione: 12. Le censure con cui la ricorrente lamenta i vizi di violazione o elusione del
giudicato sono infondate.
[...]
16. Il Collegio ritiene che lo sfasamento ricostruttivo da parte della ricorrente sia da
ravvisare nella sostanziale neutralizzazione del punto essenziale della divergenza ricostrut-
tiva [tra la sentenza di primo grado e la pronuncia di appello], che risiede non nell’analisi
dei poteri di controllo, d’ufficio o su istanza/denuncia di parte, dell’Amministrazione sulla
d.i.a./s.c.i.a., a monte, ma nelle loro conseguenze, a valle, una volta che sia stato accertato,
a maggior ragione all’esito di un procedimento giurisdizionale, un sostanziale abuso edili-
zio.
16.1. - Nel caso di specie, infatti, nucleo comune ad entrambe le sentenze è la stigmatiz-
zazione come erronea della lettura data dal Comune all’art. 9, comma 8-bis della l. r. n.14 del
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 25 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 387
2009, che ha “assecondato” l’intervento realizzato da[lla dichiarante] in contrasto con le possi-
bilità ampliative e derogatorie ricavabili dalla norma, ovvero calcolando la percentuale del 40 %
fruibile sull’altezza dell’edificio di controparte, in quanto più alto nella zona, anziché sul fabbri-
cato in ristrutturazione.
[...]
17. Per comprendere il comportamento del Comune e l’esatta portata delle due
sentenze, occorre a questo punto richiamare brevemente la disciplina dei controlli conse-
guenti a procedimenti dichiarativi in ambito edilizio.
18. Il termine entro cui i controinteressati possono produrre osservazioni sollecitando
interventi dell’amministrazione — senza il quale si avrebbe un potere temporalmente
illimitato e in bianco, in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità — è correlato
alle verifiche cui la stessa è chiamata ex art. 19, da esercitarsi, in materia edilizia, entro i
trenta giorni decorrenti dalla data di presentazione della s.c.i.a., ovvero nei successivi 12
mesi (combinato disposto dei commi 3, 4, 6-bis e 6-ter). Segnatamente, l’art. 19, comma 3,
attribuisce alla p.a. nel primo, ristretto lasso temporale un triplice ordine di poteri (inibitori,
repressivi e conformativi, questi ultimi ormai da preferire, giusta l’inciso « Qualora sia
possibile », se del caso sospendendo cautelarmente l’attività). La portata cogente della dispo-
sizione, peraltro, è stata di recente rinforzata sanzionando di “inefficacia” i provvedimenti
di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti adottati dopo la
scadenza del termine (art. 2, comma 8-bis della l. n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 12,
comma 1, lett. a), del d.l. n. 76 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120/2020).
Il successivo comma 4 consente di esercitare tali poteri anche una volta decorso tale
termine, ma solo in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-novies della stessa legge n.
241 del 1990, ovvero secondo le regole generali che governano l’annullamento d’ufficio di
atti illegittimi, che impongono la verifica della sussistenza di un interesse pubblico ulteriore
rispetto al ripristino della legalità, l’effettuazione di un bilanciamento fra gli interessi
coinvolti e, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, che non si
superino i dodici mesi dall’emanazione dell’atto, nel caso di specie da computare dallo
spirare del termine ordinario di controllo di trenta giorni (gli originari diciotto mesi sono
stati ridotti agli attuali dodici dal d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni,
dalla l. 29 luglio 2021, n. 108).
18.1. - Il comma 6-bis, riferito alla materia edilizia, in linea di principio non contiene
alcuna diversa declinazione dei poteri di controllo, salvo ridurre i termini per l’effettua-
zione di quelli “ordinari” a trenta giorni, secondo il modello poc’anzi ricostruito.
18.1.2. - Il comma 6-ter, a sua volta, riconosce al terzo la possibilità di compulsare tali
controlli, che tuttavia non si diversificano per tempistica, contenuti e finalità da quelli
attivati ex officio, come da ultimo ben chiarito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 45 del
2019, già richiamata).
19. È ormai consolidato che l’autotutela di cui al comma 4 dell’articolo 19 della legge
n. 241/1990 si diversifica per così dire sul piano ontologico dal modello generale declinato
dall’art. 21- novies, cui pure rinvia, innanzi tutto per il fatto che non incide su un precedente
provvedimento amministrativo, connotandosi pertanto per conseguire ad un procedi-
mento di primo e non di secondo grado, tanto da indurre la dottrina a rivederne finanche
la qualificazione definitoria. Inoltre, mentre di regola il potere di autotutela è ampiamente
discrezionale nell’apprezzamento dell’interesse pubblico che può imporne l’esercizio e
pertanto non coercibile, al punto che la p.a. non ha neanche l’obbligo di rispondere a
eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio, nel caso di cui all’art. 19, comma 4,
della l. n. 241 del 1990, si ritiene che l’Amministrazione abbia l’obbligo di rispondere, sicché
la discrezionalità risulta piuttosto relegata alla verifica in concreto della sussistenza o meno
dei presupposti di cui all’articolo 21-novies. « Depongono nel senso della doverosità (in deroga al
consolidato orientamento secondo cui l’istanza di autotutela non è coercibile), sia l’argomento letterale
‒ segnatamente, la differente formulazione dell’art. 21-nonies rispetto all’art. 19, comma 4, della legge
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 26 SESS: 19 USCITA:
n. 241 del 1990, il quale ultimo, a differenza del primo, dispone che l’amministrazione “adotta
comunque” (e non già semplicemente “può adottare”) i provvedimenti repressivi e conformativi (sempre
che ricorrano le ‘condizioni’ per l’autotutela) ‒, sia la lettura costituzionalmente orientata del disposto
normativo » (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208).
20. Altra e diversa questione è l’individuazione del limite estremo fino al quale possono
spingersi le deviazioni dalle ordinarie regole che governano il potere di autotutela rispetto
a quelle sopra evidenziate. Pur essendo la questione non rilevante nel caso di specie,
essendosi il Comune espresso sulle ragioni del mancato esercizio dell’autotutela, il Collegio
ritiene opportuno ribadire la correttezza nell’an di tale scelta, stante che accanto all’obbligo
di attivazione, chiaramente desumibile dal dato testuale della norma, si colloca anche un
assai più pregnante obbligo di pronuncia, di talché l’Amministrazione è chiamata a moti-
vare non soltanto la scelta di procedere all’annullamento, nell’accezione chiarita con rife-
rimento ai procedimenti dichiarativi, ma anche quella opposta, di non annullare, seppure
in presenza di presupposti di illegittimità dell’atto, utilizzando in senso speculare i para-
metri individuati dal legislatore (la mancanza di interesse pubblico all’annullamento, ov-
vero la tutela dell’affidamento del soggetto la cui posizione sia stata ampliata dall’atto che si
andrebbe ad eliminare).
20.1. - Il regime delle tutele accordate al terzo controinteressato in via giurisdizionale
(purché, peraltro, si ritiene, egli pure titolare di interesse ad agire in termini di vicinitas per
come declinata dall’Adunanza plenaria — 9 dicembre 2022, n. 21— seppure con riferi-
mento all’impugnativa del permesso di costruire) è contenuto nel comma 6-ter dell’art. 19
della legge n. 241 del 1990. La norma, dopo avere affermato che la segnalazione certificata
di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provve-
dimenti taciti direttamente impugnabili, ed avere codificato la ricordata facoltà dello stesso
di « sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione », completa il quadro ricono-
scendogli « esclusivamente » la possibilità, in caso di inerzia, di esperire l’azione di cui all’art.
31, commi 1, 2 e 3 del c.p.a.: il che sottintende appunto un obbligo di pronuncia, ancorché
negativa, pur senza indirizzarne i contenuti.
20.2. - Si è cercato peraltro di colmare il vuoto di tutela che continua in qualche modo
a connotare la posizione del controinteressato (intrinseca finanche nell’utilizzo di ridetta
categorizzazione) “ritagliando” una sorta di funzione di accertamento, in verità ad essa
estranea, al giudizio demolitorio avverso il diniego di autotutela (emblematica al riguardo
la sentenza non definitiva n. 12 del 22 gennaio 2019 con la quale il T.a.r. per l’Emilia
Romagna, sezione staccata di Parma, ha sollevato ulteriori dubbi di legittimità costituzio-
nale dell’art. 19, comma 6-ter, della l. n. 241 del 1990, dichiarati peraltro inammissibili dalla
Corte costituzionale con ordinanza n. 153 del 20 luglio 2020).
21. Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto modo di esprimersi sulla
questione, peraltro in relazione ad una fattispecie analoga a quella da cui è scaturito
l’odierno giudizio di ottemperanza, che il primo giudice aveva risolto nel senso della
inammissibilità del ricorso proprio sull’assunto che il Comune aveva l’obbligo di attivarsi,
ma non di motivare la propria scelta negativa sull’autotutela. Dopo aver affermato la non
decisività, ai fini della controversia al suo esame, della questione se il Comune fosse
obbligato o meno a rispondere all’istanza del terzo, ha poi inteso comunque motivare in
senso affermativo, sulla base peraltro sia della ricordata obbligatorietà della peculiare
tipologia di autotutela di cui all’art. 19, comma 4, sia dell’immanenza sulla stessa dei poteri
di vigilanza in ambito urbanistico-edilizio. Ciò « a maggior ragione alla luce delle considerazioni
svolte dalla sentenza della Corte costituzionale la quale — pur riconoscendo di non potere intervenire
sui vuoti normativi esistenti nel sistema — ha messo in evidenza la questione di possibili lacune nella
tutela del terzo confinante rispetto agli interventi realizzati sulla base della SCIA » (Cons. Stato, sez.
IV, 11 marzo 2022, n. 1737, che richiama Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 611,
nonché sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610).
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 27 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 389
22. La tesi della ricorrente interseca dunque i possibili rischi ravvisati dalla dottrina
nella ricostruzione dell’obbligo di attivazione in termini (anche) di obbligo di riscontro,
ravvisandovi una limitazione della discrezionalità laddove sia stata accertata una illegitti-
mità tale da trasformare l’intervento in sostanzialmente illecito, seppure non necessaria-
mente abusivo giusta il preesistente titolo di legittimazione. In tale limitata ipotesi, cioè, il
contenuto dell’autotutela decisoria dovrebbe coincidere necessariamente con quello della
(ben diversa) autotutela c.d. esecutiva operando l’accertata violazione delle regole urbani-
stiche una sorta di innesto nella prima dei poteri -recte, degli obblighi — sottesi alle
competenze di vigilanza di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, sì da imporre di eliminare
manufatti o parti di essi distonici rispetto alla pianificazione del contesto. Così facendo
tuttavia si finisce per confondere l’oggettiva difficoltà di motivare la scelta di non eliminare
gli effetti di un procedimento che si ripercuote sul corretto sviluppo dell’assetto del terri-
torio — e quindi la necessità di una motivazione rinforzata sul punto — con l’obbligo di
eliminarlo sempre e comunque, id est di ingiungere in ogni caso la demolizione dell’opera.
[...]
25. [...] il Consiglio di Stato, nel porre l’accento sull’art. 19, comma 6-ter, per come letto
dalla Corte costituzionale, ha esplicitamente ricordato la sola possibilità, al sussistere delle
relative condizioni, di operare ai sensi dell’art. 21-novies, valutando cioè, al pari di quanto
accade per i provvedimenti per silentium, espressamente menzionati dalla norma, l’oppor-
tunità o meno di conservare l’atto o la sua efficacia, a prescindere dalla tipologia di
violazione che lo affligge.
25.1. - Tale ricostruzione, che il Collegio peraltro condivide, non consente dunque
alcuna forma di automatismo riveniente dalla riconduzione sotto l’egida dell’inesauribile
potere di vigilanza spettante agli enti territoriali degli esiti di qualsivoglia controllo tardivo,
facendo così gravare sul privato le conseguenze dell’inerzia della pubblica amministrazione
nell’effettuazione di verifiche per le quali il legislatore ha imposto tempistiche precise.
Diversamente opinando, il terzo controinteressato si vedrebbe attribuire una tutela addi-
rittura più ampia rispetto a quella accordata al titolare di interesse (in questo caso opposi-
tivo) all’annullamento di un permesso di costruire, la cui impugnativa è comunque assog-
gettata agli ordinari termini di decadenza.
26. Vero è che il legislatore non ha mai abbandonato il riferimento all’autotutela
esecutiva, pur quando ha ipotizzato l’autotutela decisoria, così contribuendo ad accrescere
le incertezze interpretative. Ed è su tali richiami testuali, come detto, che fa leva la ricostru-
zione del T.a.r. per il Veneto, che invoca appunto la portata cogente della formula di
chiusura della previsione di cui all’art. 19, comma 6-bis, della l. n. 241 del 1990, laddove
tiene « ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità
e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380, e dalle leggi
regionali ».
26.1. - In maniera analoga, la Corte costituzionale, nella più volte ricordata sentenza n.
45 del 13 marzo 2019, dopo aver ammesso l’esistenza di profili di lacuna legislativa che
rendono non piena la tutela del controinteressato, ha tuttavia ricordato come essa vada pur
sempre collocata « in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli
strumenti apprestati[...] », tra i quali menziona « i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti
all’amministrazione, ai sensi all’art. 21, comma 2 bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio,
quelli in materia di edilizia, regolati dagli articoli 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 38,
recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)”,
espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis » (§10.1.).
27. Ma tale richiamo non può che essere inteso nel senso di imporre l’intervento
repressivo ogniqualvolta risulti chiaro lo “sconfinamento” rispetto all’ambito definitorio del
titolo utilizzato, sicché l’opera non può che essere considerata sine titulo ( si pensi alle
difficoltà di inquadramento delle opere non destinate a soddisfare esigenze temporanee e
contingenti installate con una semplice comunicazione inizio lavori — c.i.l.- ex art. 6, comma
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 28 SESS: 19 USCITA:
1, lett. e.bis), ovvero all’utilizzo di una comunicazione inizio lavori asseverata — c.i.l.a.
— ex art. 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 per interventi che dagli accertamenti risultino
assimilabili a nuove costruzioni); consentendolo solo all’esito della decisione di annullare gli
effetti della s.c.i.a. per tutte le rimanenti violazioni, anche di natura urbanistica.
28. In sintesi, il legislatore, nel continuare a richiamare l’obbligo di vigilanza sull’as-
setto del territorio, ha imposto al Comune di tenere conto anche delle finalità della stessa
nella comparazione degli interessi in gioco, di fatto attribuendo una particolare connota-
zione al ripristino della legalità laddove essa si identifichi con il ripristino delle regole di
ordinato sviluppo del suolo, senza tuttavia imporne sempre e comunque la prevalenza.
28. Il consolidarsi della situazione illegittima -recte, accertata come tale ex post, d’ufficio
o su impulso di parte, in via giudiziale o stragiudiziale — non fa infatti venire meno « le re-
sponsabilità connesse all’adozione [recte, in caso di s.c.i.a., alla mancata effettuazione dei controlli
nel termine ordinario di 30 o 60 giorni] e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo »
(art. 21-novies, comma 1, ultimo periodo). Ed è di tutta evidenza che laddove l’illegittimità
trasmodi nell’abusivismo la motivazione della scelta del mantenimento dell’opera dovrà ne-
cessariamente essere più incisiva, giusta la possibilità, non a caso evocata anche dalla Corte
costituzionale nella ricostruzione del quadro sistematico delle tutele del terzo, che quest’ul-
timo agisca per il risarcimento del danno derivatogli dall’inerzia colpevole dell’amministra-
zione, nei controlli tempestivi, indi nell’annullamento d’ufficio, ove possibile. L’unico modo,
dunque, per cercare di raggiungere quel delicato punto di equilibrio fra esigenze di stabilità
delle situazioni giuridiche e salvaguardia delle regole che sovrintendono ad un ordinato svi-
luppo dell’assetto del territorio va individuato nella scelta motivata e responsabile, piuttosto
che nell’automatismo della sanzione, che finirebbe per vanificare la volontà di liberalizza-
zione di certe tipologie di uso del suolo che il legislatore ha inteso esprimere con insistita
coerenza, in una continua ricerca di uno strumentario giuridico aggiuntivo che ponga argine
alle preoccupate (e preoccupanti) resistenze delle amministrazioni pubbliche.
[...]
32. In tale cornice, è indubbio che con il provvedimento prot. [...] inviato il 5-6 ottobre
2021 il Comune [...] ha ottemperato al suo obbligo di riscontrare l’istanza di autotutela
avanzata dalla parte, seppure ribadendo la scelta negativa precedente, stavolta nella piena
consapevolezza della illegittimità delle d.i.a. presentate da[lla dichiarante]. Sicché così come
l’atto originariamente impugnato afferiva al (negato) esercizio dell’autotutela, non ritenen-
dosi sussistente alcuna violazione di legge, quello adottato in ottemperanza della decisione
di annullare il precedente riedita il medesimo potere epurandolo, almeno nelle intenzioni
del Comune, dai vizi individuati col precedente giudicato. Doverosa era, infatti, tale (ri)at-
tivazione del procedimento, non il relativo esito, Doverosa era, infatti, tale (ri)attivazione
del procedimento, non il relativo esito, che, al contrario, recupera appieno la discrezionalità
contenutistica che connota l’istituto [...].
Nota bene: Il Consiglio di Stato, in sede di ottemperanza, dopo aver ricostruito la
disciplina dei controlli conseguenti alle dichiarazioni/segnalazioni di inizio attività ai sensi
dell’art. 19 l. n. 241/1990, si è soffermato sulle caratteristiche del potere di “secondo”
controllo attivabile dal controinteressato in presenza delle condizioni di cui all’art. 21-
nonies, una volta decorsi i termini di cui ai commi 3 e 6-bis dell’art. 19 cit. (60 giorni, ovvero
30 giorni in materia edilizia).
Sul punto, il Collegio ha evidenziato la diversità ontologica che intercorre tra
l’“autotutela” di cui al comma 4 dell’articolo 19 e quella, vera e propria, prevista dal
richiamato art. 21-nonies, ricordando innanzitutto come, in caso di segnalazione del privato,
l’intervento della p.a. non incida su un precedente provvedimento amministrativo, conse-
guendo bensì a un procedimento di primo grado.
La sentenza ha quindi chiarito che, mentre di regola il potere di autotutela è ampia-
mente discrezionale e non coercibile, al punto che la p.a. non ha neanche l’obbligo di
NOMELAV: 2023_0004609 PAG: 29 SESS: 19 USCITA:
LA S.C.I.A. 391
rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio, nel caso di cui all’art.
19, comma 4, della l. n. 241/1990, l’amministrazione ha l’obbligo di rispondere, trattandosi
di attività vincolata nell’an. Al riguardo, la pronuncia ha specificato che il comma 6-ter
dell’art. 19 sottintende un obbligo di pronuncia, ancorché negativa. Pertanto, a fronte
dell’istanza del controinteressato, la p.a. è tenuta a esprimersi motivando non soltanto la
scelta di procedere all’annullamento, ma anche quella opposta, di non annullare, seppure
in presenza di presupposti di illegittimità dell’atto; conclusione, questa, che ad avviso del
Collegio si impone anche nell’ottica di attenuare le conseguenze di possibili lacune legisla-
tive inerenti alla tutela del controinteressato, il quale non può essere gravato delle conse-
guenze dell’inerzia della pubblica amministrazione nell’effettuazione di verifiche per le
quali il Legislatore ha imposto tempistiche precise.
Nondimeno, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la peculiare doverosità che connota
l’attivazione del potere di cui all’art. 19, comma 4, lascia impregiudicato il contenuto
discrezionale del provvedimento conclusivo, il quale è in ciò assimilabile agli atti di autotu-
tela in senso proprio. La sentenza ha escluso al riguardo ogni automatismo repressivo in
caso di accertamento (anche giudiziale) dell’illegittimità dell’attività oggetto di
dichiarazione/segnalazione, eccezion fatta per le opere realizzate sine titulo, per le quali il
riferimento di cui al comma 6-bis dell’art. 19 alla perdurante spettanza dei poteri di
vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia e di quelli sanzionatori (autotutela esecutiva) im-
pone l’intervento repressivo senza limiti di tempo. In definitiva, il Collegio ha tratteggiato
i contorni di un potere vincolato nell’an, ma discrezionale nel quomodo.