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PASTORI PASQUELLE E COMETE

NOTE DI UNA NOTTE DI PACE

CANTI SERMONI E BALLI NATALIZI DELLA TRADIZIONE EMILIANO ROMAGNOLA

STEFANO ZUFFI &


PNEUMATICA EMILIANO ROMAGNOLA
L’idea di questo lavoro ha quasi cinquantanni. Nasce difatti un giorno che mio nonno, un gigante di
quasi due metri, lentamente come mole e anni gli consentivano, salì dalla cantina in casa con un
pacco avvolto in carta di giornale e legato con lo spago. Io e mio fratello, cinque e sei anni, quasi
coetanei, curiosi come si deve essere a quella età, corremmo per assistere e affrettare l’apertura di
quel pacco che da sempre vedevamo riposto in alto sugli scaffali della cantina. Appena il tempo di
slegare lo spago, che allora non veniva tagliato e buttato, ma riavvolto per poi essere riutilizzato, ed
ecco la meraviglia: casette di legno colorate, carta per fare il cielo con disegnate le stelle e la luna,
un ponticello, della stagnola e degli specchi per i fiumi e il laghetto, carta crespa colore della terra e
del bosco e poi, grido di entusiasmo, una folla di figurine di terracotta e cartapesta: avevamo anche
noi un vero Presepe.
Le statuine divennero presto famigliari, quasi a tutte demmo un nome: il Pescatore era Mariòn
(Marione) un vicino che aveva la pesca nei fiumi come scopo di vita, il Maniscalco fu battezzato
Celso, in onore di un robivecchi (sulfaner, solfanaio) che aveva un carro trainato da un cavallo
bolso come non se ne sarebbero mai più visti, mentre l’Acquaiola prese il nome della Lina, la nostra
lattaia. Così il Dormiglione divenne Pisolo, prestito della favola dei sette nani, l’Arrotino fu
battezzato Forbice, come effettivamente tutti chamavano un ambulante che affilava coltelli, forbici
appunto, e riparava ombrelli. Rimasero intoccati solo i nomi della Sacra Famiglia e dei Re Magi,
che al Presepe giungevano solo il sei gennaio, dopo quasi un mese di pellegrinaggio, un
avvicinamento che a tappe svolgeva lungo tutto il corridoio, poco più di una mattonella al giorno,
tranne il passaggio delle porte che, per ovvi motivi, avveniva di slancio.
A questa meraviglia si aggiunse la straordinaria abilità e passione di mio padre, che fece un ruscello
di acqua vera ed un mulino a pale dove la ruota girava, una illuminazione che pareva davvero che i
fuochi fossero accesi e le stelle luminose ed intermittenti. Come quelle vere.

Cinquanta anni e non li dimostra questo ricordo che mi è rimasto anche dopo che il Presepe non si
faceva più: quindici o sedici anni, l’età della ragione, delle cose vere, l’età della quasi vergogna di
sognare con i pastori, Cosa vuoi stare a giocare con quelle figurine, e poi cambi casa, non c’è spazio
nella in quella nuova, non vorrai sporcare per terra con tutto quel muschio. Finalmente arriva la
televisione, anche a casa mia. Boom economico e tempesta che cancella storie e passioni, che fa
provare i primi lutti in nome del vero e del pratico.
Ma quelle statuine dove saranno adesso?
Adesso che se voglio posso averne anche di più, quelle, con i loro nomi strani, fragili e un po’ rotte
mi mancano.
Questo lavoro lo dedico a loro

Stefano Zuffi

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01 La Madunnena, quando si livò sermone, Romagna 1’12
02 Andiamo noi pastori canto natalizio, Appennino bolognese 1’48
03 Madonèina chèra chèra sermone, trad. S.Ilario d’Enza, Reggio Em. 0’54
04 A Cesare canto natalizio, Appennino modenese 3’51
05 Madonnina bela bela canto/orazione, Appennino bolognese 2’36
06 Stanott a mezzanott sermone, Romagna 0,52
07 Spesso i pastori si fermano. A guardare le stelle.
ballo, Bologna 1’58
08 Due Due canto enumerativo, Bologna 3’30
09 Mo cus’el sermone, Bologna 0’33
10 Manfrina / Polca del piffero balli da piffero 2’52
11 Rumì rumì Sånta Mareia sermone, Romagna 1’20
12 Spagnoletto ballo, Appennino bolognese 2’46
13 Anna Susanna sermone, Romagna 1’41
14 Befana dei vecchi / Befana dei giovani canti per la Befana, Appennino Toscano 3’45
15 Pasquella della valle del Bidente canto di questua, Valle del Bidente 6’05
16 La befana vien di notte/Ecco donne la Befana/ Ninna nanna ninna oh
filastrocche/canto natalizio, Bologna 4’11
17 E piov e piov sermone, Romagna 1’12
18 Manfrine balli, Appennino bolognese 3’42
19 Pasquella delle Marche canto di questua, Marche 5’08
20 Per guarire le scottature scongiuro, Pieve di Cento (Bologna) 0’28
21 Il caprone/Sarmon ed Nadel ballo cantato/sermone,
Appennino bolognese 2’15

Durata totale 52’41

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01 La Madunnena, quando si livò
in: Giovanni Bacocco, Antiche orazioni popolari romagnole, Editrice La Mandragora, Imola 2004,
pag. 65

Raccolta nel 1928 da Giovanni Bacocco (Giovanni Bagnaresi) questa orazione sulla maternità
racconta della Madonna intenta a filare, attività prettamente femminile e simbolicamente riferita,
nelle culture tradizionali, a persone in grado di dare la vita o la morte. Anche il cespuglio di salvia
entro cui il fuso va a cadere sfuggendo dalle mani di Maria, rappresenta una velata ed elegante
metafora sessuale.

La Madunnena, quando si livò,


la tuss la su rucchina e la filò:
e premi fusilen che la filò
fu quello di vestir e’ bon Gesò;
chil altro fusilen chila filè
int un caspaden di seiva u i caschè.
Int l’abassess, int l’archiness
U i etti da venì un grandi mel.
“Mdrena meia, no ste’ a gride’ csè fort:
quand ch’è sarà passé tri dè
l’ha da venir a e’ mond un bel fiöl:
l’ha da mantnì la lona con e’ sol;
la lona cun e’ sol mantnirà
fena che e’ dura e e’ durarà.”

La Madonnina, quando si levò / prese la sua rocchina e filò: / il primo fusettino che filò / fu quello
per vestire il buon Gesù; / l’altro fusettino che filò / in un piccolo cespo di salvia le cascò. /
Nell’abbassarsi, nell’inchinarsi / dovette venirle un gran male. / “Madruccia mia, non state a gridare
così forte: / quando saranno passati tre giorni / deve venire al mondo un bel figlio: / deve mantenere
la luna con il sole; / la luna con il sole manterrà / fino a che dura e durerà.”

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02 Andiamo noi pastori
informatrice: Maria Grillini, Roncò di Monghidoro (Bologna)
registrata nell’aprile del 1985 da Stefano Zuffi

In questo canto, così come in molti altri canti rituali e di argomento sacro / devozionale del
territorio in questione, emerge una contaminazione specifica con i repertori e le melodie dell’Italia
centro meridionale. Ciò è ovviamente innanzitutto determinato dalla collocazione geografica, al
confine con l’area toscana, ma anche da scambi e incroci di repertori con gruppi di varia
provenienza (pastori, cantastorie e zampognari primi fra tutti).
Questo brano lo dedichiamo a Maria Grillini, da cui l’abbiamo appreso, che anche dopo essersene
andata, possa sentire questi suoi canti.

Andiamo noi pastori,


andiamo a adorare il Bambino
andiamo noi pastori
andiamo adorare Gesù

Sul fieno e sulla paglia


e niente di più.
Che Egli è già nato
il gran Verbo incarnato
di Maria Verginella
dentro una capannella

Venite a noi pastori,


andiamo a trovare il Bambino
venite a noi pastori
andiamo a trovare Gesù

Sul fieno e sulla paglia…

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03 Madonèina chèra chèra
registrata nel maggio 1999 dal Gruppo di ricerca sul canto e le tradizioni popolari di S. Ilario
d’Enza.
edita in: Gruppo di ricerca sul canto e le tradizioni popolari di S. Ilario d’Enza, Tra lum e scur,
Comune di S. Ilario d’Enza, 2000, pag, 170.

Questa orazione conserva un elevato valore magico / rituale, messo in evidenza prima dall’elenco di
oggetti / simboli evocati (nominazione), e poi evidenziato definitivamente dalla formula della
ripetizione delle trentasette volte la notte di Natale per salvare un’anima dal Purgatorio. Al centro di
ritualità che hanno origini precristiane, Natale è la notte nella quale sacro e profano sono in
comunicazione, centro del passaggio tra il mondo soprannaturale e quello terreno.

Madonnina chèra chèra


impristim la vostra schèla
per andèr in paradis
a catèr San Luig;
San Luig l’era mort
e nison as n’era acort
i angei i cantèven
la Madona in ginochion
la fèva orasion
orasion benedèta
la vèl più che ‘na mèsa
‘na mèsa Sant’Ana
San Peder al la ciama,
San Giusep al rispond
Cros in ciel e bròc in fond.
Pomèin d’altèri
acqua dal mèr
fontana dal paradis
benedett col corp
e ch’l’alma ch’al dis;
al la dirà trentasèt volti
la sira ed Nadèl
cavarom fora n’alma dal purgatori
la metrom a riposer.

Madonnina cara cara / prestatemi la vostra scala / per andare in paradiso / a trovare San Luigi. / San
Luigi era morto / e nessuno se ne era accorto / gli angeli cantavano / la Madonna in ginocchio /
diceva l’orazione / orazione benedetta: / vale più di una messa / una messa Sant’Anna / San Pietro
la chiama / San Giuseppe risponde / croce in cielo e rami in fondo / Pomoli d’altare / acqua di mare
/ fontana del paradiso / benedetto quel corpo / e quell’anima che la dice / la dirà trentasette volte / la
sera di Natale / toglieremo un’anima dal purgatorio / la metteremo a riposare.

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04 A Cesare
Questo testo l’abbiamo avuto “in prestito” da Graziano Magagnoli, “Monduja”, per anni attivo
come musicista e ricercatore con I Viulàn, ed ora anima de I Paulèm, di Pavullo nel Frignano,
Modena. E’ la trasposizione quasi letterale del racconto della nascita così come la espone il
Vangelo Apocrifo dello Pseudomatteo. Anche qui il rimando alle novene e al canto alle zampogne
del centro sud Italia appare con evidenza, volutamente enfatizzato dall’arrangiamento.

A Cesare le venne un’ambizione


di numerare tutte le sue persone
ventiquattro di dicembre San Giuseppe si partì
Maria insieme
per dare il loro nome a Betlemme

La strada era lunga e ben cattiva


Maria dalla stanchezza lei pativa
camminando tutto il giorno senza mai riposar
la forza manca
Maria dal camminar si sente stanca

“Sedete voi Maria su questo poggio


che io andrò in città a cercare alloggio”
“Ho girato le osterie, le locande di qua e di là
da ogni lato
ma alloggio entro colà non l’ho trovato”
“Pazienza santa
noi dormiremo qui sotto ‘sta pianta”

Passò di lì a poco in contadino


e vide Maria e Giuseppe in mal destino
“Venite dietro a me sposina bella
che io v’insegnerò una capannella,
là c’è un bue e un asinello e del fieno da dormir
di vero cuore
perché sembrate gente del Signore
di vero cuore
perché sembrate gente del Signore

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05 Madonina bela bela
registrata a Gaggio Montano (Bologna) nel 1990 da Paolo Bernardini
edita in: Giorgio Vacchi, Canti Emiliani (e non), Edizioni Calderini, Bologna, 1997, pag. 170

Nota in un’ampia area dell’Italia centro settentrionale, è una delle più diffuse cante / orazioni sulla
Natività. Questa versione dell’Appennino bolognese possiede una linea melodica tra le più delicate
ed interessanti, oltre che congrua con il testo e il significato. L’utilizzo del dialetto in una canta di
carattere sacro rappresenta poi un’ulteriore singolarità.

Madonina bela bela


Che d'in ciel la vins in tera
Partorè un bel bambin
Biench e ross e ricciolin
La Madona lal porteva
Sen Iusef e l'aiuteva
Tott i sent il presn amor
Sia lodà nostro Signor.

I re magi i gnen da via


Adorer Gesù Messia
Tra la paia in mez a e fè
Il trovon che steva bè
La Madona l’al cuneva
Sen Iusef e l'aiuteva
Tott i sent il presn amor
Sia lodà nostro Signor.

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06 Stanott a mezzanott
in: Giovanni Bacocco, op. cit., pag. 69.
La Madonna e San Giuseppe nelle orazioni popolari sulla maternità vengono rappresentati, o
raccontati, come persone assolutamente normali, capaci di gesti di tenerezza ‘umanizzati’;
raccontano infatti di Gesù che prende il latte materno, della Madonna che lo fascia e Giuseppe che
fa il fuoco per scaldare la Capanna. Anche sotto l’influsso delle rappresentazioni francescane della
Natività (dal Presepe di statuine a quelli in cui i personaggi sono in carne e ossa, i cosiddetti
“Presepi viventi’), la Nascita viene collocata sul piano di una quotidianità, di una normalità
condivisa e nota, perciò facilmente comprensibile a tutti i fedeli.

Stanott a mezzanott
Chi l’è ned un bel baben,
bianch e ross e rizzulen,
chi l’è là in cla capanna:
a ‘e puvirin i i fa nanna;
sol un po’ d’paia, sol un po’ d’fen
da indurmintè chi burdilen.
Chi éla mai cla zovna bela
Ch’l’arsplend cum ‘e ‘na stella?
Ma l’è propri la su mamma,
pimpinella, dolza rama.
E che vcin a n’e’ cnunsì?
L’è Iusef prufetì.

S’a l’so la mi zent,


a m’farì un rigraziament,
e par finì e’ mi sarmon
a v’dmandarò scusa e pardon.

Stanotte a mezzanotte / è nato un bel bambino / bianco, rosso e ricciolino, / che è là in quella
capanna / al poverino fanno la nanna; / solo un po’ di paglia, solo un po’ di fieno / da addormentare
quel fanciullino. / Chi è mai quella giovane bella / che risplende come una stella? / Ma è proprio la
sua mamma / pimpinella, dolce rama. / E quel vecchino non lo conoscete? / E’ Giuseppe profeta. /
Se lo so, gente mia, / mi farete un ringraziamento, / e per finire il mio sermone / vi domanderò scusa
e perdono.

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07 Spesso i pastori si fermano. A guardare le stelle.
Immaginando un bivacco, un accampamento di pastori, vicino alla Capanna, vicino al Cielo, forse
sugli Alai Tau dell’Asia Centrale: aria di festa, di pace. E allora un ballo.

08 Due Due
Canto enumerativo che rimanda ad antiche formule rituali che risalgono alle origini della cultura
popolare indoeuropea, dove spesso l’ordine dei numeri ha una funzione beneaugurale e di scongiuro
contro il male.
La versione che riproponiamo viene da Bologna ed è nota soprattutto come filastrocca e gioco
infantile. Quante volte con mio fratello abbiamo giocato a chi la recitava più velocemente senza
sbagliare…
Due due
l'asino e il bue

Tre tre
tre santi Re Magi

Quattro quattro
quattro evangelisti

Cinque cinque
cinque precetti

Sei sei
sei an al sò brisa

Sette sette
sette Sacramenti

Otto otto
otto ciara ciara

Nove nove
nove cori angelici

Dieci dieci
dieci comandamenti

ritornello
Il bimbo nella culla
la luna'l sol
chi ha creato il mondo
l’è stà nostro Signor

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09 Sarmon ad Nadèl
Sermone natalizio che i bambini erano soliti recitare alla cena della Vigilia di Natale o al pranzo,
spesso sontuoso e abbondante del giorno di Natale stesso: trionfo di tortellini e di lesso, di zuppa
inglese e budini della nonna. Per noi bambini era però come un teatrino dove recitare i Sermoni,
poesie molte volte composte da noi per l’occasione, forse anche con l’aiuto dei nonni. Venivano
recitati ai parenti tutti, i quali pagavano la performance con qualche soldino o regalo.
Questo Sermone fa parte dei miei ricordi d’infanzia.

Mo cuss’el qul là in‘t’la paia


che la vesta a m’imbarbaia?
El un diamant? El un rubèn?
No! L’è al Sgnaur Gesò Bambèn.
Chi ela mai cla zouvna bela
cl’arspland com una strela,
ela forse la so mama?
E cal vcen?
L’è San Jusfen!
I pastur sunand la piva
i fan a gara a chi gh’ariva.
Tott i van a purter quel,
chi ‘na tourtura e chi ‘n’agnel
chi fa un bel inchèn
parchè l’è ned Gesò Bamben.

10 Manfrina / Polca del piffero


Due balli suonati col pinfiu, piffero, l’oboe tadizionale diffuso nella nostra regione in area
piacentina. Parente stretto del piffero dell’Italia centro meridionale e contemporaneamente anche
della bombarda bretone, è un importante testimonianza della cultura pastorale e agricola, nonché di
sostrati celtici della nostra regione. Di sonorità potente ed aggressiva rappresenta un tipico
strumento per accompagnare i balli durante le feste e le veglie. Anche quelle natalizie.

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11 Rumì rumì Sånta Mareia
registrata da: Pietro Sassu e Isa Melli a Sant’Alberto di Ravenna nel 1979 - 1980
edita in: Romagna: le voci. Ricerca sul folklore di Sant’Alberto di Ravenna, a cura di Pietro Sassu,
Longo Editore, Ravenna 1991, pag. 157.

Preghiera di questua di un pellegrino (romeo, appunto) che nella Romagna di fine ottocento era
assai noto e che venne ricordato da Paolo Toschi, nel suo lavoro “Spunti di folklore romagnolo
suggeritimi dagli studi di F. Balilla Pratella”, in: Francesco Balilla Pratella, Poesia, narrazioni e
tradizioni popolari in Romagna, s.e., Forlì, 1921.

“Uno sopra tutti gli altri altri ha lasciato vivo il ricordo di sé in tutta la gente della bassa Romagna:
è Rumì “ d’ Sånta Mareja” di cui i nostri babbi si ricordano ancora assai bene.
Viveva, adunque, circa trenta o quarant’anni fa, e girava, mendicando, per tutti i nostri paesi e
villaggi: si trovava a tutte le fiere, nei mercati e nelle feste di campagna. Era alto, con due larghe
spalle e il volto prognato a musi di porco; lurido, con le vesti a brindelli. Tutti regazzi gli si
affollavano intorno, sbeffeggiandolo e tormentandolo, ed egli li scacciava con un lungo bastone che
soleva portare sempre con sé. Aveva una sua lunga cantilena, una nenia semi-cantata su poche
estese modulazioni: con essa egli soleva incominciare per raccogliere il pubblico intorno a sé: ne
ricordo il principio
Rumì Rumì d’Santa Mareja,
chi mi dà la bona veja,
chi mi dà la bona strè,
chi mi dà lo bono amdè,
chi mi dà la sanitè,
la sanitè u la dà Idio
la caritè pr’amor di Dio…”

Rumì rumì Sånta Mareia


Chi mi dà la bõna veia
böna veia e bõn andéa
chi mi dà la sanitéa
la sanitéa mi la dà Idio
perché e végh’int e’ mèaz di l’aqua
quã a so int e’ mèaz de l’aqua
la Madöna la m’abraza
la mi póarta ins la mã dreta
parchè seia benedeta
benedeta bèala e bõna
la mi vita vi la dõna
vi la dõn a vo San Pir
ch’avì ‘l céav d’arvir e’ zil
vagli arvend vagli asrend
la Madöna la va ciamend
la va ciamend e’ pi ripóas
Madöna mea avìv vest e mi fióal
sèa ch’a l’ò vest
a l’ò vest a là in Gerusalem
cun tre crós: õn in pi õn in mã

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õn in braz a e’ Signór mi
e’ Signór mi l’è là ingidéa
cun e’ sãngh tot sparpaiéa
mi rusura mi rusura
tri quatrè la móart in scura
chi la sa e chi la dis
i guadãgna e’ paradis
chi la dis tre vóalt ‘t un fiéa
e’ paradis l’è guadagnéa.

Romeo romeo Santa Maria / chi mi dà la buona via / buona via e buon andare / chi mi dà la salute /
la salute me la dà Iddio / perché vada in mezzo all’acqua / quando sono in mezzo all’acqua / la
Madonna mi abbraccia / mi porta sulla mano destra / perché sia benedetta / benedetta bella e buona
/ la mia vita ve la dono / ve la dono a voi San Pietro / che avete le chiavi da aprire il cielo / valle
aprendo valle chiudendo / la Madonna va chiamando / va chiamando il pio riposo / Madonna mia
avete visto il mio figliolo / sì che l’ho visto / l’ho visto là in Gerusalemme / con tre croci: una in
piedi, una in mano / una in braccio al Signor mio / il Signor mio è là inchiodato / con il sangue tutto
sparpagliato /mi rusura, mi rusura (?) / tre quattrini la morte scura / chi la sa e chi la dice /
guadagnano il paradiso / chi la dice tre volte di un fiato / il paradiso è guadagnato:

12 Spagnoletto
Ancora un ballo, questa volta dal repertorio di Melchiade Benni, il leggendario violinista di
Monghidoro. Con il suo stile e con la sua capacità di ricordare i balli, o come diceva lui le suonate,
è possibile, ancora oggi, riproporre i balli della tradizione che altrimenti sarebbero andati
definitivamente perduti. Questa nostra interpretazione è ispirata all’origine o alla reinterpretazione
colta di questa danza documentata fin dal XV secolo, riportando linea melodica e forma in maniera
assolutamente concordante.
A Melchiade, al suo violino e alla generosa disponibilità che sempre ha avuto con noi.

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13 Anna Susanna
in: Giovanni Bacocco, Antiche orazioni popolari romagnole, Editrice La Mandragora, Imola 2004,
pag. 65

Preghiera sulla Natività composta però dall’accostamento di testi di varia natura e origine, capace
contenere tracce di sacre rappresentazioni, di elementi mitici o fiabeschi, cosiccome formule
apotropaiche e magiche. Il tutto confezionato all’interno di una struttura metrica iterativa,
caratteristica delle ninne nanne o delle filastrocche infantili.

Anna Susanna,
rispondi a chi ti chiama,
guarda la luna,
quel che c’è in bocca,
una presa di fuoco,
di là del mare
la notte di Natale, quando e’ Signor nasceva
la terra fiureva, i énzel i cantava,
la Madonna la predicheva.

San Iusef l’è un viciarel


Porta e’ fugh sott’a e’ mantel
Da scaldè e’ Gesò bel;
Gesò bel l’è un bel baben
Bianch e ros e rizulen:
la su mama la l’fasceva,
San Giuvan u l’battizzeva;
u l’battizeva grand e gros,
ch’e’ purteva e’ mond addos;
mond addos, e ‘reva l’acqua,
l’arriva l’acqua a la zintura,
pardunè a sta piccatura;
piccatura bella e bona,
la mi vita ve la dono,
vi la dono a vo, San Pir,
ch’a i avì al cev d’arvì e’ zil;
da avì e da serrè,
la Madunenna la l’ciamè;
ciama, ciama: “Pir e Pol,
ch’a i ho vest e’ mi fiol;
on in braz e on in pi,
da duné e’ Signor mi”.
Signor mi l’è sté ingiudé
Tot e’ sangv l’è sparpaié.
Mel usura, vil usura,
tri fradel i è mort in scura,
mort in scura mel invluntira,
Gesò Crest e la bangera.
Chi i ha fat ste bel valet?
U l’ha fat i sasalnes

13
Cun di l’acqua di lumega;
e’ Signor e la Madonna
ch’i si vegna a ripusè;
tot i sent i ha pres amor,
sia ludè noster Signor.

[… ]quando il Signore nasceva / la terra fioriva / gli angeli cantavano / la Madonna predicava. //
San Giuseppe è un vecchierello, / porta il fuoco sotto il mantello / da scaldare Gesù bello; / Gesù
bello è un bel bambino, / bianco e rosso e ricciolino: / la sua mamma lo fasciava, / San Giovanni lo
battezzava; / lo battezzava grande e grosso, / che portava il mondo addosso; / mondo addosso,
arriva l’acqua, / arriva l’acqua alla cintura, / perdonate questo peccato; / peccato bello e buono, / la
mia vita ve la dono, / la dono a voi, San Pietro, / che avete le chiavi da aprire il cielo; / da aprire e
da chiudere, / la Madonnina lo chiamò; / chiama, chiama: “Pietro e Paolo, / che ho visto il Figlio
mio; / un [chiodo] in braccio e uno nei piedi, / da donare al Signor mio”. / Signor mio è stato
inchiodato, / tutto il sangue è sparso. / Mala usura, vile usura, / tre fratelli sono morti sotto la scure,
/ morte sotto la scure malvolentieri, / Gesù Cristo e la bandiera. / Chi ha fatto questo bel vaglietto? /
L’hanno fatto i sasalnes / con dell’acqua di lumaca, / Il Signore e la Madonna / che vadano a
riposarsi; / tutti i Santi hanno preso ad amarlo, / hanno lodato nostro Signore.

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14 Befana dei vecchi / Befana dei giovani
Registrazione sul campo e trascrizione di Ester Seritti, Montefegatesi, (Lucca) anni ‘70

Montefegatesi è una amena nonchè splendida località nel cuore dalla Garfagnana, non distante da
Bagni di Lucca. Ho assistito personalmente, prendendovi parte, ad un paio di edizioni della
“befana” di questua della sera del cinque di gennaio a Montefegatesi.

Questo è lo svolgimento della befana dei vecchi: un gruppo di persone si ritrova, in maniera
spontanea, con una fisarmonica e/o altri strumenti e accompagna la befana alle porte delle case,
intonando una strofa dedicata ai presenti (ragazzetti, vecchiarelli, donne maritate, ecc...). La befana,
dopo aver lasciato un piccolo dono, raccoglie la questua (farina dolce, salumi, altre cibarie). Il giro
va avanti per tutta la sera fino a tarda ora, senza trascurare nessuna abitazione.
Sembra che in origine, tra i beni raccolti, vi fosse in prevalenza farina di castagne, distribuita poi
alle famiglie più povere del paese che non avevano la proprietà delle selve. Spirito solidale che
ritroviamo nella locale società del libero pensiero “Giordano Bruno”.
Negli ultimi decenni la tradizione vuole che finito il giro di questua, i beni vengano consumati con
tutto il paese nella sala del circolo, dove il più anziano taglia col filo la polenta dolce, che viene
mangiata con il biroldo.
La befana dei giovani, più ritmata e dall’andamento più mosso e allegro, nonostante nel testo ci sia
una indicazione temporale relativa al cinque di Gennaio, secondo Enzo Lanini, appassionato
conoscitore delle tradizioni locali, sembra che sia uso cantarla da ragazzi giovani la settimana dopo
quella dei vecchi.
Entrambi i testi presentano la classica quartina di ottonari con il verso ripetuto usato anche nei canti
del maggio.
Daniele Poli

Befana dei vecchi

Ohi di casa, buonasera


se vegliate e se dormite,
se vegliate sentirete
una nuova di Toscana
donne ecco, la befana!

Ha portato ai ragazzetti
delle noci e dei confetti
ciaschedun le calze metti
ai’ camin gli verrà dato
delle noci e dei confetti

Ha portato ai vecchiarelli
un baston di buon legname
e per più se avvesser fame
un buon piatto di tortelli
ha portato ai vecchiarelli

Alle donne maritate


gli ha portato un bel diamante
che è venuto di Levante

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con le pietre inargentate
alle donne maritate

Noi di qui si fa partenza


da altre parti c’è d’andare
e vogliateci scusare
della nostra impertinenza
noi di qui si fa partenza

Befana dei giovani

Ohi di casa, buona sera,


siam venuti a parlar chiaro
siamo al cinque di Gennaio
la befana è qui presente,
ohi di casa buona gente!

O ragazze che vegliate


che vegliate sulle piume
state su fateci lume
che son lunghe le nottate
o ragazze che vegliate!

O Rosina, vago fiore,


e con te le tue sorelle
sembran tante damigelle
circondate dall’amore
o Rosina vago fiore.

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15 Pasquella della valle del Bidente
registrata a Meldola (Forlì Cesena) il 5 gennaio 1983 da Fabio Lombardi
edita in: Fabio Lombardi, Canti e strumenti popolari della romagna bidentina, Società Editrice Il
Ponte Vecchio, Cesena 2000, pag. 105

La Pasquella è un canto rituale che viene eseguito la notte del 5 e la giornata del 6 gennaio. Canto di
questua che gruppi di ragazzi mascherati vanno cantando casa per casa accompagnandosi talvolta
con strumenti musicali. Beneaugurali sono le formule rivolte ai padroni di casa i quali
corrispondono a tali dediche e benedizioni con regali di prodotti alimentari, vino e regalie varie, che
vengono successivamente consumate dal gruppo dei “pasqualotti”, così come vengono chiamati in
area romagnola, in una grande cena / festa colettiva. Forse anche questo è un rimando al senso più
proofndo della Comunione…

Siamo qua da voi signori


siamo qua in vostra presenza
domandare la licenza
per suonare e per cantare
e per stare in alegria
buona pasqua epifenia
e per stare in alegria
buona pasqua epifenia

I profeti l’avevano detto


che il Messia sarebbe nato
dalla stella sarai guidato
dalla stella benedetta
i re magi per la via
viva pasqua epifenia
i re magi per la via
viva pasqua epifenia

Giunti a Gerusalemme
ed Erode salutato
dite a lui che l’è già nato
nei confini di Betlemme
hu! L’è figlio di Maria
viva pasqua epifenia
hu! L’è figlio di Maria
viva pasqua epifenia

E venuti al suo ritorno


sappiam dirgli dove è nato
e adorarlo sarebbe andato
ma l’idea che aveva
di uccider l’era quella
viva viva la pasquella
di uccider l’era quella
viva viva la pasquella

17
Dopo assai lungo cammino
vedon che l’amica stella
sopra l’umil capannella
nel percorso del bambino
egli è nato da Maria
viva pasqua epifenia
egli è nato da Maria
viva pasqua epifenia

Reser grazia al Dio è nato


tutti allieti e assai contenti
e da lui preser commiato
salgon sopra i lor cammelli
sotto scorta di una stella
viva viva la pasquella
sotto scorta di una stella
viva viva la pasquella

Ritornati ai lor paesi


benedetti da quel figlio
che salvò d’ogni periglio
dai mortali ci difese
dalla morte eteneria
viva pasqua epifenia
dalla morte eteneria
viva pasqua epifenia

Dal prezioso pargoletto


che su paglia e fieno giace
come principe di pace
conserveremo il nostro affetto
affinchè pace ci sia
viva pasqua epifenia
affinchè pace ci sia
viva pasqua epifenia

La Maria la cara madre


di Gesù di un redentore
offriamo il nostro cuore
per piacere al Divin Padre
che cum madre nostra l’è bela
viva viva la pasquela
che cum madre nostra l’è bela
viva viva la pasquela

18
16 La befana vien di notte / Ecco donne la Befana / Ninna nanna ninna oh
informatrice: Maria Grillini, Roncò di Monghidoro (Bologna)
registrata nell’aprile del 1985 da Stefano Zuffi

Canto d’evidente origine tescana, noto anche a Monghidoro. Il testo che abbiamo registrato appare
frammentario, privo soprattutto di quelle parti che collocano questo canto tra le questue della
Befana.
Le due filastrocche che accompagnano il testo cantato appartengono ai miei ricordi d’infanzia:
riproporle e riascoltale registrate ha provocato una certa emozione. Forse mia nonna proprio a
questo tendeva quando cinquanta anni fa me le cantava, sempre quelle e sempre uguali. I vecchi, si
sa, sono saggi…

La befana vien di notte


con le scarpe tutte rotte
il vestito alla romana
viva viva la Befana
viva viva la Befana

Ecco donne la Befana


non è quella degli altr’anni
ha mutato vesti e panni
e si è messa la barbantana
ecco donne la Befana.

Da Firenze in lucchesia
la Befana l’è venuta
tutti quanti vi saluta
quando siete nel paese
quando siete nel paese.

La Befana poverina
porgetele qualcosa
non ha panni e non ha dote
si marita domattina
si marita domattina

Dunque su fate prestino


anche a noi l’ora ci attarda
e sullo spuntar dell’alba
dalla guazza del violino
dalla guazza del violino

Vi ringrazia la Befana
che l’avete favorita
Iddio vi dia una lunga vita
bona gente state sana
bona gente state sana

Noi di qui facciam partenza

19
perché già son bianchi i monti
abbiam fatto i nostri conti
vi facciam la riverenza
vi facciam la riverenza

Ninna nanna ninna oh


Questo bimbo a chi lo do,
lo darò all’uomo nero
che lo tiene un anno intero
lo darò alla befana
che lo tiene una settimana
lo darò alla sua mamma
che gli canta la ninna nanna

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17 E piov e piov
in: Giovanni Bacocco, op, cit., pag. 247

Questo testo formato da immagini e vicende poco collegate tra loro, conferisce alla preghiera una
connotazione magica: uno scongiuro, una formula magica contro il cattivo tempo. E’ la notte di
Natale è notte sacra ma anche notte magica. L’apertura del condotto astrale (il camino del “zoch ed
Nadel” e della Befana), via di comunicazione tra l’alto e il basso, tra il terrestre e il soprannaturale,
tra il mortale e il divino, consente infatti prodigi e miracoli, divinazioni e guarigioni. E’ in questa
notte, e solo in questa, che le donne che sanno “segnare” possono passare il loro sapere ad altri,
senza commettere infrazioni che le priverebbero dei loro poteri. D’altra parte anche coloro che
apprendono solo in questa notte possono ricevere il “dono”, che altrimeti perderebbe di efficacia.

E’ piov, e’ piov, e’ vò nivé


tanti pìgher da badé,
a n’ho ‘na fila tanta longa,
a n’la pos piò razónzer:
a i ho queli d’San Lurenz,
ch’agli um fa guastê e’ temp;
e’ temp e la timpesta,
e’ Signor alla finestra,
tre garland ch’l’eva in testa:
ona la i caschè int e’ mez de’ mer,
tot i anzulen i andè a pisché;
pesca, pesca, piscador,
pesca agli ànum de’ Signor,
pesca al belli, pesca al bròtti,
anzulen, pischèli totti.

Piove, piove, vuol nevicare, / tante pecore da badare, / ne ho una fila tanto lunga, / non la posso più
raggiungere: / ho quelle di San Lorenzo, / che mi fanno guastare il tempo; / il tempo e la grandine, /
il Signore alla finestra, / che aveva tre ghirlande in testa: / una gli cadde in mezzo al mare, / tutti gli
angiolini andarono a pescare; / pesca, pesca, pescatore, / pesca le anime del Signore, / pesca le
belle, pesca le brutte, / angiolini pescatele tutte.

18 Manfrina di Sant’Agata Bolognese / Manfrina di Castello di Serravalle


in: Musiche da ballo, balli da festa, a cura di Stefano Cammelli, Edizioni Alfa, Bologna 1983.
Ancora due balli “da festa” che abbiamo volutamente arrangiato in moda da evidenziare alcuni
aspetti che legano la tradizione emiliano romagnola ai repertori ed alle forme musicali del centro
sud. Anche gli strumenti, tutti di chiara e documentata origine emiliano romagnola, concorrono
senza forzature alla verifica di questa tesi.

21
19 Pasquella
registrata a Monsano (An) da La Macina nel 1973

L’anno novo è gia venuto


già che Dio ce l’ha mandato
ce l’ha mandato cò ‘n’allegria
bon anno novo e Ppifania
ce l’ha mandato cò ‘n’allegria
bon anno novo e Ppifania

Fade presto e non tardate


Che dal ciel cade lla brina
fa venì la tremarella
bon anno novo e bbona Pasquella
fa venì la tremarella
bon anno novo e bbona Pasquella.

Noi pregamo Sant’Antonio


che vve guarda tutto ‘l bestiame
dalla peste a dalla fame
da qualunque maladia
da qualunque maladia
bon anno novo e Ppifania.

E quel fiume de Giordano


dove l’acqua diventa vino
pè llavà Gesù Bambino
pè llavaje la faccia bella
pè llavaje la faccia bella
bon anno novo e bbona Pasquella.

La capoccia giù ppè lle scale


qualche cosa ce vorrà dare
senza niende ‘n ce manda via
bon anno novo e Ppifania.
senza niende ‘n ce manda via
bon anno novo e Ppifania.

Se cce dade ‘na pollastrella


nun fa niende se piccolella
bastàà che rrempa la padella
bon anno novo e bbona Pasquella
bastà che rrempa la padella
bon anno novo e bbona Pasquella.

Se cce dade ‘na pacca de porco


nun ce’ importa se cce stà ‘l pelo
je daremo ‘na raschiadella
bon anno novo e bbona Pasquella

22
je daremo ‘na raschiadella
bon anno novo e bbona Pasquella.

Ce venimo da chi d’intorno


non piade ‘l palo del forno
semo vvenudi pe’ l’allegria
se non volede andamo via
semo vvenudi pe’ l’allegria
se non volede andamo via,

20 Per guarire le scottature


in: Nerina Vitali, Briciole dello sconfinato Banchetto che è la poesia folklorica raccolte nelle
campagne centesi, s.e., Cento (Ferrara), !987

Gesù Bambino apèna nê


Al fò ònt e po’ lavê
La sô Mama con gran cura
Chèren côta dvénta crùda
Gesù Giuseppe Maria.
per tre volt as ripet sempre sgnand al mel e po’ a s’ônz.

Gesù Bambino appena nato / fu unto e poi lavato / la sua Mamma con gran cura / carne cotta
diventa cruda / Gesù Giuseppe Maria / per tre volte si ripete sempre segnando il male e poi si unge.

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21 Il caprone / Sarmòn ed Nadèl
informatrice: Maria Grillini, Roncò di Monghidoro (Bologna)
registrata nell’giugno del 1985 da Stefano Zuffi

Il caprone era considerato un animale magico, con poteri soprannaturali. Il testo di questo ballo
cantato è una formula magica dove vengono a mescolarsi scongiuri contro la grandine e il fulmine,
con una ricetta curativa a base di foglie di felci seccate al sole. Il richiamo al volo fa anche pensare
ad un viaggio sciamanico (vedi i Benandanti friulani di Carlo Ginburg). Questo brano pare essere
una parte di un foglio volante di cantastorie dell’ottocento di area toscana, che Caterina Bueno
ripropone integralmente nel suo discoCanti di Maremma e di anarchia, col titolo Le streghe di
Barigazza.

Capron son bianco e nero


son andà tanto lontano
le stelle con la mano
mi parevano di toccar
Libera i fulmini dalle saette
libera i tuoni dalle tempeste
Sega le fese mettele ai sol
quando i’en secche le andremo a tor

Ho ballato il caprone
da Monghidor fino a Bargazza
ma un caprone di quella razza
non l’avevo mai trovà
Libera i fulmini…

Ho girato tutto il mondo


la Francia e l’Inghilterra
una ragazza così bella
non l’avevo mai trovà
Libera i fulmini…

Il ben che ti volevo


l’ho messo sotto ai piedi
fa pur come tu credi
ma con me non balli più
Libera i fulmini…

Sarmon ed Nadel
l’acqua l’um fa mel
al ven l’um fa bon
dem una mlaranza
ch’a i’h dett al mì sarmon.

Sermone di Natale / L’acqua mi fa male / il vino mi fa bene /datemi una arancia / che ho detto il
mio sermone.

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STEFANO ZUFFI &
PNEUMATICA EMILIANO ROMAGNOLA

Stefano Zuffi: voce, chitarra, ghironda, piffero, piva emiliana, flauto, violino, clarinetti (in sib, in
sol, contralto in mib),
Marco Bartolini: percussioni
Veronica Benuzzi: voce
Umberto Cavalli: fisarmonica, melodica
Marco Muzzi: contrabbasso, basso acustico

OSPITI
Carla Artioli: voce
Franco Renzoni: voce
Daniele Poli: chitarra, voce
Felice Lippolis: tamburelli

Idea, progetto e realizzazione:


Stefano Zuffi e Marco Bartolini per IAcolANTO Officina d’Idee

Registrazione: Umberto Cavalli presso Horse’s studio, Castel San Pietro (Bologna), ottobre 2006
Stampa: EasyReplica, Pesaro
Mixaggio: Stefano Zuffi e Marco Bartolini presso Ondaparse Studio, San Clemente, Monterenzio
(Bologna)
Foto: Marco Muzzi
Grafica: Matteo Venturi e Marco Bartolini

Ringraziamenti
Un lavoro come questo è frutto di un corpo unico e solidale fatto di relazioni, incontri, passioni ed
amicizie.
Ringraziamenti e dediche non bastano a spiegare quanto, di questo lavoro, dobbiamo a tanti di voi.
Grazie di cuore a:
Giovan Battista Mafessoli, che ci ha lasciato per andare a scambiare quattro chiacchere di persona
con i suoi amici Camuni;
Vanda e Vittorio, per il cibo mai scarso, anche d'affetto e sorrisi;
Don Aldo di Forlimpopoli che anche prima di noi ha creduto in questo lavoro.
Che queste musiche siano d’auspicio per quella creatura che, dolcemente cullata dal ventre materno,
ha potuto ascoltare in anteprima quasi tutto. I nostri strumenti ed i nostri microfoni ti aspettano per
darci il cambio.

La carta costa, gli alberi scarseggiano, la vista si affievolisce, i caratteri sono sempre troppo piccoli
e quelli che hanno voglia di leggere i libretti sono sempre meno. Abbiamo così deciso di farci e
farvi uno, ma che dico, due regali: in allegato troverete tutti i testi (e le traduzioni) dei brani del
disco ed il frutto del lavoro che, con il sudore della fronte, ha portato alla Laurea Filippo Pasini...
tanto per completare l’opera.

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