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PÈRE EMMANUEL ANDRÈ

Sacerdote Parroco Monaco


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@ Immagine di copertina: [nome autore immagine]


Prima edizione [……….]
[dedica del libro:
(alcuni la scrivono in corsivo)]

Introduzione

Tutto il problema della riforma della Messa è legato alla questione del
Movimento Liturgico, di cui, prima o poi, dovremo approfondire la storia.
Ma cos'è il Movimento Liturgico? “Il Movimento Liturgico – dice dom
O. Rousseau – è il rinnovamento di fervore del clero e dei fedeli per la
liturgia” (Martimort, L'Eglise en prière, Cerf 1961). Questo rinnovamento
nasce per riparare alla grave crisi del secolo XVIII. In questo secolo la
liturgia cessò di essere una forza vitale del Cattolicesimo, dopo aver subito i
ripetuti attacchi del Giansenismo e del Quietismo.
La Rivoluzione francese aggravò poi questa situazione critica, con la
soppressione degli ordini religiosi e la chiusura di molti luoghi di culto.
Dicevamo che questa storia è tutta da approfondire e, con l'aiuto di Dio, è
stato approfondita sul nostro bollettino.
Desideriamo fare la conoscenza della vita e dell'opera di uno degli
uomini che più hanno contribuito alla restaurazione della liturgia nel secolo
XIX. No, non parliamo dell'iniziatore del Movimento Liturgico, il grande
abate Guéranger, che riportò la vita benedettina nella Francia post-
rivoluzionaria. Lui è certamente il gigante e il maestro indiscusso della
liturgia cattolica.
Vogliamo, invece, parlare di un uomo meno conosciuto, ma a nostro
giudizio importantissimo per il Movimento Liturgico, si tratta del padre
Emmanuel Andrè di Mesnil-Saint-Loup.
Sacerdote Parroco Monaco

Lavorò per cinquant’anni a restaurare la liturgia nella sua parrocchia e,


così facendo, contribuì enormemente al bene della Chiesa tutta, ben al di là
dei confini della sua parrocchia rurale.
Il rinnovamento della Chiesa, quello vero, avviene attraverso i santi che,
magari in un angolo remoto del mondo, prendendo sul serio la chiamata di
Dio, lavorano generosamente per il bene delle anime, per il bene della
Chiesa. Iniziamo a scriverne una semplice, breve biografia.
Louis, Èmile, Ernest Andrè è nato il 17 ottobre 1826 a Bagneux-la-
Fosse, nell' Aube. Suo padre, Alexandre André, vi è carpentiere; sua madre,
Èmile Piot, morirà a Mesnil. Il 14 aprile 1839, fece la sua prima comunione
e vi trovò la grazia della vocazione. Nel 1840, fu confermato dal vescovo di
Troyes e ricevette grandi illuminazioni sulla vita soprannaturale. In un'altra
occasione, passeggiando solo in disparte, ebbe la chiara visione della vita
monastica al punto, secondo le sue parole, di discernere “chi è monaco e chi
non lo è”.
Dopo il seminario minore, entra nel 1843 al seminario maggiore di
Troyes, per prepararsi al sacerdozio. Lesse molto i Padri della Chiesa,
particolarmente Sant' Agostino, i suoi commentatori e i suoi discepoli
(specialmente Gregorio Magno e San Tommaso d'Aquino). Un incidente
occorso in questi anni di formazione sarà sufficiente a caratterizzarlo. Un
professore, spiegando una questione di teologia morale, concluse: “Bisogna
salvare le apparenze.” il giovane seminarista gridò immediatamente: “Scusi,
bisogna salvare le anime!”
Completati i suoi studi a 22 anni, fu dapprima nominato professore nel
seminario minore, non avendo ancora l'età per essere ordinato. Ma non si
adattò all'insegnamento e rientrò in famiglia. Essendo il nuovo vescovo
meno “romano” del suo predecessore (differenza di grande importanza
all'epoca), l'abbé Andrè, fermamente romano e assai intransigente, aveva
una reputazione mediocre presso le autorità della diocesi. Siccome era
giusto e obbediente, pregò, consultò, si umiliò e, su un consiglio che gli fu
donato per addolcire il suo carattere, si mise alla scuola di San Francesco di
Sales su cui fece la sua lettura spirituale.
L'abbé Andrè fu ordinato prete il 22 dicembre 1849 e celebrò la sua
prima messa alla Visitazione di Troyes, utilizzando una pianeta
che era servita a San Francesco di Sales. Fu immediatamente nominato
parroco di Mesnil Saint-Loup. Senza attendere la diligenza della sera, partì
a piedi, il mattino del 24 dicembre, per questa parrocchia che non
conosceva del tutto. Arrivato nei pressi del villaggio, domandò la strada per
la chiesa a un abitante, che gli disse: “Oh! Non manchiamo alla Messa, ma
ci piace bere il cicchettino!”
Arrivò per la Messa di mezzanotte e la cantò molto bene. I parrocchiani
furono allora persuasi che quel giovane parroco, dai capelli biondi e
ondulati, non sarebbe restato a lungo nel loro piccolo villaggio e che
sarebbe stato presto promosso altrove. In verità, doveva morire cinquantatre
anni dopo senza aver mai cambiato di posto.
L'abbé Andrè si mise immediatamente all'opera per santificare la sua
parrocchia. Tutti erano praticanti, ma quasi nessun uomo faceva Pasqua. Il
ballo e le frivolezze vi erano largamente presenti. Il nuovo parroco si
occupò innanzitutto dei bambini, preparandoli con cura e spirito di fede alla
comunione. Creò la preghiera parrocchiale della domenica sera, che finì per
far cadere il ballo. Andò ad esortare i parrocchiani a domicilio, raggruppò i
buoni e li istruì, in modo che,
grazie al suo zelo, il gruppo dei veri fedeli si mise ad aumentare
regolarmente.
Nel 1852, partì in pellegrinaggio a Roma. Dicendo il suo rosario durante
il viaggio, ricevette l'ispirazione di domandare al papa, per la statua della
Santa Vergine che si trovava nella chiesa di Mesnil-Saint-Loup, il nome di
Nostra Signora della Santa Speranza, con una festa specifica e delle
indulgenze. Per provare questa ispirazione, decise che la risposta positiva
del papa ad una simile domanda sarebbe stata la prova della sua origine
celeste. Il 5 luglio 1852, domandò a Pio IX, nel corso di un'udienza: “Santo
Padre, volete dare alla Santa Vergine onorata nella nostra chiesa il nome di
Nostra Signora della Santa Speranza?”. A queste parole, il papa, per
un'ispirazione del Cielo, rispose: “Nostra Signora della Santa Speranza,si!”
E accordò la festa e l'indulgenza. Fu la meraviglia alla Congregazione dei
riti, ma Pio IX tenne fermo e, il 9 luglio, l'abbé Andrè riceveva l'officio
proprio di Nostra Signora della Santa Speranza.
Il 15 agosto, parlò ai suoi parrocchiani di questa nuova devozione e
lanciò diverse invocazioni ardenti, tra le quali una venne accolta dalle
anime e divenne la guida di tutti i pensieri dell'abbé André: Notre-Dame de
la Sainte Espérance, convertissez-nous! (Nostra Signora della Santa
Speranza, convertici!).
La Santa Speranza gli donò un senso profondo della vita cristiana. Stimò
di non aver fatto nulla fino ad allora e volle tutto ricominciare.
Comprese che non ci può essere bene duraturo senza far entrare ad ogni
prezzo le anime in un’atmosfera di umiltà e di preghiera raramente
pensabile ai nostri giorni. Si impegnò dunque a formare dei cristiani del
Vangelo, tutti d'un pezzo, senza ignoranza calcolata: “Lo devo, diceva, io li
coltiverò, li otterrò. Dio lo vuole; non tollererò l'immischiarsi con lo spirito
del mondo.
Mettersi d'accordo in tutto con la luce, ecco il mio programma. E non
soltanto dei cristiani, ma una parrocchia: preghiera comune, canti comuni
(quelli della Chiesa), vita di carità nella quale i forti trovano il loro esercizio
e i deboli il loro sostegno.”
Così, in cinquantatre anni, riuscì a trasformare quella parrocchia rurale
ordinaria in un modello di comunità cristiana: la domenica e all'occasione
delle grandi feste, per esempio, i parrocchiani cantavano (e cantano ancora
oggi) i mattutini e tutte le ore canoniche del giorno.
Interrogato un giorno sul suo metodo apostolico, il parroco di Mesnil-
Saint-Loup rispose con uno sguardo stupito: “Io sopporto tutto per gli eletti;
non ne ho un'altro.”
Parroco zelante di parrocchia, l'abbé Andrè aspirava sempre alla vita
religiosa, benedettina, monastica. Pensò dapprima a riunire dei terziari in
comunità. Poi il progetto di un vero monastero di Nostra Signora della
Santa Speranza si fissò nel suo animo. Nel 1864, prendendo il nome di
padre Emmanuel, ricevette l'abito monastico dalle mani del Vescovo
insieme ad un altro sacerdote, Paul Babeau, con il quale fondò una piccola
comunità a Mesnil-Saint-Loup. Nel 1872, un monastero vi fu edificato. Il
carattere straordinario di questa fondazione fu di suscitare delle vocazioni
all'interno stesso di una parrocchia di 350 abitanti.
Pensò inoltre di aggregare la sua comunità alla Pierre-qui-Vire, ma le
regole andavano, su più punti importanti, contro i suoi progetti. Si indirizzò
allora verso Solesmes. Tutto era pronto per l'unione ma, all'ultimo
momento, Dom Gueranger, avendo sulle questioni libere della grazia e della
predestinazione delle vedute opposte a quelle dei suoi postulanti, rifiutò di
ricevere qualcuno che avrebbe rotto l'unità di
pensiero della sua comunità monastica.
Nel 1880, per complicare l'affare, i monaci dovettero abbandonare l'abito
religioso e la comunità fu in parte dispersa in seguito alle leggi laiciste. Non
sarà finalmente che nel 1886 che una soluzione canonica intervenne, con il
legarsi della comunità alla congregazione benedettina olivetana d'Italia. Nel
1892, il padre Emmanuel fu addirittura eletto abate per la Francia della
congregazione olivetana.
Ma, a partire dal 1901, il monastero subì ancora le leggi laiciste, i
monaci dovettero di nuovo lasciare l'abito religioso e il monastero fu infine
confiscato dallo Stato. Non sarà che nel 1926 che i monaci ritorneranno
ufficialmente e riprenderanno l'abito. L'opera intellettuale del padre
Emmanuel non fu meno feconda della sua opera pastorale.
Ha lasciato un grande numero di scritti, pubblicati in vita o dopo la sua
morte. Citiamo La Passion médité pendant la sainte messe, Essai sur les
psaumes, Méditations pour tous les jours de l'année liturgique, La présence
de Dieu, Le catéchisme de la famille chrétienne, Les exercices de sainte
Gertrude, Le mois du rosaire, Les maximes de sainte Benoite, Traité du
ministère ecclésiastique, Le naturalisme, Le chrétien du jour e le chrétien de
l'Evangile, La grace de Dieu et l'ingratitude des hommes, ecc.
Nel 1877, fondò il Bulletin de Notre-Dame de la Sainte Espérance
(Bollettino di Nostra Signora della Santa Speranza), rivista mensile dove
pubblicherà numerosissimi testi. Inoltre, il padre Emmanuel fu molto presto
attirato dalla questione dei cristiani dissidenti d'Oriente e del loro ritorno
nella Chiesa Cattolica.
Si mise in corrispondenza con Beyrut, Gerusalemme, Smirne,
Costantinopoli, Mosca, ecc. Fondò così la Revue de l'Eglise grecque unie,
esclusivamente consacrata a questa questione, con il concorso di numerosi
Orientali e specialisti dell'Oriente, rivista che divenne nel 1890 la Revue de
l'Eglise d'Orient. Per colpa dei mezzi finanziari e dei tempi, il padre
Emmanuel dovette risolversi, con la morte nell'anima, a farla cessare dopo
qualche anno. Ma continuò per tutta la sua vita ad interessarsi a queste
questioni ed ad intrattenere una corrispondenza con il mondo intero.
A partire dal 1898, la sua salute incominciò a declinare e dovette
liberarsi a poco a poco di tutti i suoi pesanti obblighi pastorali e religiosi.
Presto, fu sovente addirittura impedito di celebrare la Messa, a causa della
sua debolezza. Rese infine la sua bella anima a Dio il martedì 31 maggio
1903 e fu sepolto nel cimitero di Mesnil-Saint-Loup, dove la sua memoria è
ancora venerata.
Dom Bernard Maréchaux (1849-1927), monaco della Santa Speranza,
poi abate di Santa Maria la Nuova e procuratore della congregazione
olivetana a Roma, intimo del papa San Pio X, pubblicò la biografia del
padre Emmanuel nel 1909.

La Santa Madre Chiesa

Père Emmanuel Andrè è certamente una delle più luminose figure della
storia della Chiesa della fine dell'Ottocento. A noi interessa principalmente
come esponente di quello che diventerà il Movimento liturgico, quello vero.
A fianco di Prosper Gueranger, il parroco-monaco di Mesnil-Saint-Loup
risplende come apostolo di un cattolicesimo integralmente vissuto, che
trova nella vita liturgico-sacramentale l'anima vivificatrice per tutto il
popolo. Chi ha conosciuto la parrocchia di Mesnil-Saint-Loup è rimasto
colpito dall'intensa vita di fede lì vissuta, vi ha scorto visibilmente una
Chiesa viva, viva della vita della grazia. Ma da dove nasceva tutta questa
capacità di operare il bene in mezzo al popolo da parte del père Emmanuel?
Certamente dalla sua santità di vita, dall'amore a Nostro Signore Gesù
Cristo, accompagnato però da un profondo studio della dottrina cristiana,
della Sacra Scrittura, dei Padri della Chiesa, soprattutto Sant'Agostino.
Lo studio assiduo e profondo del père Emmanuel veniva poi riversato
nelle anime con la predicazione, con gli scritti, con il buon catechismo.
Oggi c'è molta, moltissima confusione a riguardo della dottrina cristiana.
Molta confusione sul Cristianesimo, tantissima sulla Chiesa. Quando si
ascoltano opinioni, convinzioni, giudizi sommari sulla Chiesa da parte
anche di cattolici, c'è di che essere molto preoccupati. Cosa sappiamo sulla
santa Madre Chiesa, cosa pensiamo e diciamo di essa? Da chi ricaviamo
convinzioni e giudizi, dalle pagine dei giornali laicisti e secolarizzati?
Approfondiremo ciò che scriveva il père Emmanuel sulla Santa Chiesa: è
uno studio e una meditazione che certamente risulteranno purificatori per la
nostra mente e per il nostro cuore.
Iniziamo con ciò che il père Emmanuel dice sulla Chiesa nostra Madre.

PRIMA PARTE
IL MISTERO DELLA CHIESA

I
La chiesa, nostra madre

È detto, nelle Sacre Scritture, che la Sapienza si costruì una dimora, che
ella scolpì sette colonne e preparò un banchetto. Gli interpreti leggono
questo come allegoria di Nostro Signore, Sapienza eterna, che edificò la sua
Chiesa, donandole come sostegno delle volte dell'edificio i sette sacramenti
della legge nuova. Di conseguenza, è impossibile considerare i sacramenti
senza essere condotti a contemplare la Chiesa, la Chiesa casa di Dio, la
Chiesa città del Verbo, nella sua magnifica struttura e nelle sue proporzioni
grandiose.
Il battesimo ci rivela le generazioni misteriose che si moltiplicano in
continuo nel seno della Chiesa.
La confermazione ce la presenta colma della virtù di Dio e terribile come
un esercito parato in battaglia.
L'Eucarestia ci inizia alla vita intima, alle gioie della Sposa, alle
tenerezze della Madre.
La penitenza e l'estrema unzione ci fanno vedere all'opera i potenti
mezzi di cui ella dispone per la distruzione del peccato e il compimento di
ogni giustizia.
L'ordine dispiega sotto i nostri occhi la varietà dei suoi ministeri, la
potenza e la perpetuità della sua azione gerarchica.
Quanto al matrimonio, ci mostra come, in essa, la successione stessa
delle generazioni umane è subordinata al lavoro della generazione degli
eletti.
I sette sacramenti aprono come sette punti di vista, sotto i quali
consideriamo differenti aspetti della Chiesa; è tempo di considerarla in una
visione d'insieme, che ci rivelerà più chiaramente ancora Gesù Cristo
operante in essa e per essa in mezzo al genere umano.
Ciò che innanzitutto colpisce nella Chiesa, è il carattere di perfetta unità
che è in essa. Questa unità è un riflesso o, per meglio dire, un'espressione
dell'unità stessa delle persone divine. Nostro Signore l'ha voluta così: “Ti
prego, o Padre, perché siano uno, come Tu sei in me e Io in Te (Gv 17,21)”.
Così l'unità che è nella Chiesa è stata stabilita da Nostro Signore su modello
dell'unità di natura che è tra il Padre e se stesso. Dice ancora: “Io in essi, e
Tu in me, perché siano perfetti nell'unità (Gv 17,23)”. E attraverso queste
parole, spiega come l'unità debba stabilirsi tra i membri della sua Chiesa. In
virtù dell'unità di natura, il Padre è nel suo Verbo, per una sorta di
compenetrazione ineffabile: allo stesso modo Nostro Signore vuole essere
in ciascuno di noi, per una presa di possesso di tutto il nostro essere che
assimila al suo.
Di conseguenza, noi non formiamo più che una sola persona mistica e
questa persona è Gesù Cristo esteso e sviluppato, Gesù Cristo uomo
perfetto, Gesù Cristo tutto in tutti (Col 3,11).
Questa perfetta unità è un segno evidente che la Chiesa è divina: “perché
il mondo creda che Tu mi hai mandato (Gv 17,21)”. Perché non è dato né
all'uomo, né alla natura, di formare un legame così stretto.
Ci sono nel mondo alcune unità morali, ad esempio la famiglia, la patria;
ma non si avvicinano all'unità della Chiesa.
Ciò che costituisce l'unità della famiglia, è lo stesso sangue che scorre
nelle vene, è sovente l'identità di gusti e di attitudini, è infine la comunità di
gioie e sofferenze. L'unità tra i cittadini di una stessa patria può essere più
misteriosa ancora: è una gran cosa respirare la stessa aria natale, l'aver
abbeverato la propria intelligenza al succo nutriente della medesima lingua,
il possedere in comune tutta un'eredità di glorie e di dolori che risale a
lunghi secoli; bisogna aver qualche volta lasciato il suolo patrio per
comprendere il segreto amore che ci attacca ad esso.
Sì, questi legami di famiglia e di patria sono grandi e altrettanto sacri;
ma c'è un legame più intimo del primo, più augusto del secondo, mille volte
più sacro di tutti e due, ed è il legame che ci unisce tutti a Nostro Signore in
una stessa Chiesa. Questo legame è più intimo che il legame del sangue,
perché lo spirito di vita che anima le membra di Gesù è infinitamente più
unente che la volontà dell'uomo e della carne (Gv 1,13). E' più stretto che il
legame della patria terrena, perché ci fa concittadini della patria celeste, ci
fa abbeverare al Verbo vivente di Dio, ci fa entrare in comunione di glorie e
dolori inenarrabili, va dall'eternità all'eternità.
Per caratterizzare la forza di questo legame, San Paolo non ha trovato
niente di meglio che di dire: “Noi tutti non formiamo che un solo corpo in
Gesù Cristo, essendo membra gli uni degli altri (Rm 12,5)”. L'unità delle
membra animate dallo stesso principio di vita, obbedienti ad uno stesso
motore, cospiranti al benessere di un medesimo tutto, questa unità
rappresenta l'unità che ci racchiude tutti in Gesù. I fedeli che aderiscono a
lui sono un unico corpo; ne è il capo e lo Spirito Santo ne è l'anima. “Un
solo corpo e un solo Spirito”, dice ancora l'apostolo (Ef 4,4). La Chiesa è
dunque propriamente il corpo di Gesù Cristo. Tertulliano va più lontano, e
dice che ella è il corpo delle tre Persone divine (De baptismo). Vuole dire
con questo che la Chiesa è il luogo di abitazione dell'adorabile Trinità nel
seno della creazione.
Mentre Nostro Signore era sulla terra, le tre Persone divine risedevano
nella sua umanità come nel loro luogo proprio; e attraverso essa si
manifestavano al mondo. Questa manifestazione fu resa sensibile in due
circostanze della sua vita mortale; precisamente nel giorno del suo
battesimo e nel giorno della sua trasfigurazione. Dio, dice S. Paolo, essendo
in Gesù Cristo, ha riconciliato a sé il mondo (2Cor 5,19). Dopo che Nostro
Signore è risalito al Cielo, le tre Persone divine hanno preso la Chiesa per il
luogo della loro dimora e delle loro operazioni quaggiù. Questa presa di
possesso ha avuto luogo il giorno di Pentecoste ed essa è irrevocabile.
Da allora, la Trinità adorabile non ha cessato di manifestarsi agli uomini
attraverso la Chiesa: Dio ha messo in noi, dice S. Paolo, il mistero della
riconciliazione (2Cor 5,18). Una volta, un tiranno gettò tre giovani israeliti
in una fornace ardente: era l'immagine della Chiesa in mezzo al mondo,
erano tre in onore delle tre Persone divine.
Ora, mentre un angelo li custodiva e faceva spirare un vento rinfrescante
in questo fuoco, cantavano, e cantavano Dio nella Chiesa. Benedetto sei tu,
dicevano, Dio dei nostri padri, nel tempio santo della tua gloria. Il tempio
santo della gloria di Dio, è la Chiesa in coloro tra i suoi membri che sono
glorificati con Gesù Cristo.
Benedetto sei tu, sul trono santo del tuo impero. Il trono santo
dell'impero di Dio, è sempre la Chiesa, nel cui seno Dio risiede, per
estendere dappertutto il suo regno. Benedetto sei tu, per lo scettro della tua
divinità. Lo scettro di Dio, è ancora la Chiesa, attraverso la quale governa
tutte le creature, e abbatte le potenze nemiche.
Continuando il loro cantico, i giovani ebrei invitano tutte le creature a
benedire il Signore, lui che vola sulle ali dei venti, lui che cammina sui
flutti del mare, lui che troneggia sui cherubini e il cui sguardo trapassa gli
abissi; e per questa evocazione grandiosa di tutti gli esseri, ci fanno
comprendere che tutti nella Chiesa prendono una voce per lodare Dio. Sì, la
Chiesa abbraccia tutta la creazione, comprende il visibile e l'invisibile, essa
tutto riconduce alla gloria di Dio.
Questa Chiesa così grande e bella, questa Gerusalemme celeste
sovranamente libera e sovranamente amante, è la nostra madre, dice il
grande apostolo (Gal 4,26). Dio ci ha fatto l'immensa grazia di nascere nel
suo grembo e, vivendo in essa, noi gioiamo dei doni inenarrabili della bontà
di Dio; siamo, come dice in qualche parte S. Agostino, immersi nell'amore.

Condizione necessaria:
uno sguardo cattolico sulla chiesa

Nella storia del movimento liturgico, che ha in Dom Gueranger e in P.


Emmanuel Andrè i suoi esponenti più limpidi, si assiste a partire dagli anni
'20 ad una pericolosa inversione di marcia che porterà al drammatico
tradimento degli anni '40–'50.
Non affrontiamo qui il racconto di come si sia compiuto il tradimento, ci
basta qui sottolineare che tutto partì da una errata concezione della Chiesa,
vista più come una società umana, che si sviluppa seguendo le dinamiche
delle società umane, che come una società divina. Si perse sempre di più il
vero senso della Chiesa.
Per un cattolico, invece, la Chiesa è la sola Arca di Salvezza; Società
divina, essa permane vivente attraverso i secoli, sempre pura e immacolata,
senza ruga, il suo dogma come la sua liturgia conoscono uno “sviluppo
omogeneo”. Per restare cattolici nella liturgia, nel “trattare la liturgia”,
occorre conservare uno sguardo cattolico sulla Chiesa: continuiamo quindi
con le bellissime riflessioni del P. Emmanuel Andrè sulla Santa Chiesa, in
una nostra semplice prima traduzione italiana.

II
La Chiesa prima di Gesù Cristo

E' impossibile avere una più larga idea della Chiesa di quella che dà S.
Agostino. Ascoltiamo il dottore.
“Nostro Signore Gesù Cristo, dice, come uomo perfetto, ha un capo e un
corpo. Il capo, è lui stesso nella sua natura umana, lui che è nato dalla
Vergine Maria, che ha patito sotto Ponzio Pilato, è risorto, è salito al Cielo,
è alla destra del Padre, da lì attendiamo che venga a giudicare i vivi e i
morti; tale è il capo della Chiesa, il corpo unito a questo capo, è la Chiesa,
non la chiesa di un dato paese, ma quella che è in tutta la terra, non la
Chiesa di una data epoca, ma quella che da Abele fino alla fine del mondo
racchiude tutti i credenti; è in una parola l'intero popolo dei santi che
appartengono ad una medesima città; questa città, dico, è il corpo di Cristo,
avente il Cristo per capo.
In Essa, abbiamo per concittadini i santi angeli: ma siamo, noi, nelle
fatiche del viaggio; loro, nella città, attendono il nostro arrivo” (Sal 90).
Così, nel pensiero di sant'Agostino, la Chiesa comprende, dall'inizio del
mondo fino alla sua fine, tutti coloro che credono in Gesù Cristo: per
questa fede, hanno il Cristo come capo, e formano il suo corpo. “La
Chiesa, dice, che ha generato Abele, Enoc, Noè e Abramo, ha generato
anche Mosè e i profeti che sono loro posteriori prima della venuta del
Signore; ed è ella, la medesima Chiesa, che ha generato gli apostoli, i nostri
santi martiri, e tutti i buoni cristiani.
Tutti questi di cui parliamo sono apparsi nel mondo in differenti epoche,
ma sono racchiusi nella società di un solo popolo, e cittadini della stessa
città, hanno sopportato le fatiche del pellegrinaggio; alcuni le sopportano
anche oggi, e gli altri le sopporteranno da ora fino alla fine del mondo”. (De
baptismo contra Donatistas, libro I).
Ancora di più, questa Chiesa, che cammina quaggiù, non forma che una
sola società con le milizie angeliche: perché queste, come ci insegna S.
Paolo, riconoscono per capo il Cristo, che è il capo di ogni principato e
potestà (Col. 2,10). “La Chiesa, nella sua totalità, dice S. Agostino,
abbraccia non solamente quella porzione di se stessa che cammina sulla
terra, lodando il nome del Signore dall'alba al tramonto; ma anche quella
che, in Cielo, è sempre rimasta fedele a Dio, e non ha mai provato il male
della caduta.
Questa, formata dai santi angeli, vive nella beatitudine e, come conviene,
soccorre la parte di se stessa che è in viaggio: perché l'una e l'altra saranno
unite nella gioia dell'eternità, e ora sono nel vincolo della carità”
(Enchiridion, 56).
Lo si vede, è impossibile avere una più vasta concezione della Chiesa:
essa abbraccia tutti i tempi, abbraccia sia il tempo che l'eternità. Non
dimenticheremo mai la gioia che ci diede la lettura de La città di Dio di S.
Agostino.
Stavamo terminando i nostri studi classici; avevamo l'animo
completamente svuotato, solo la nostra memoria era piena di qualche
frammento di Virgilio e Cicerone. Non avevamo in verità dimenticato
Nostro Signore Gesù Cristo ma, come tutti i giovani che sono stati saturati
di paganesimo, non lo conoscevamo.
Questa lettura fu dunque per noi una rivelazione. Man mano che le
pagine passavano sotto le nostre mani, un velo si alzava davanti al nostro
spirito. Era un'impressione analoga all'alzarsi della luce per chi è di fronte
ad un orizzonte immenso che le tenebre gli nascondevano.
Contemplavamo il Verbo incarnato, in mezzo al mondo, con la sua
Chiesa. In presenza del fatto prodigioso della sua Incarnazione,
scomparivano tutti gli avvenimenti che hanno agitato l'umanità; e l'antichità
profana non ci appariva più che come una delle molteplici forme dello
smarrimento della razza di Adamo.
Ci rappresentavamo la storia dell'umanità come una montagna al
culmine della quale è eretta la croce del Calvario. Uno dei versanti, sono i
tempi succedutisi prima della venuta del Signore; l'altro, sono i tempi
succedutisi dopo questa venuta.
La croce domina e illumina le due epoche, anche se in un modo non
uguale. Da un lato, è Gesù Cristo promesso e atteso; dall'altro, è Gesù
Cristo dato e ricevuto, riempie tutto; è la chiave del grande enigma del
mondo. Gesù Cristo, ieri, oggi e sempre (Eb 13,8).
Comprendevamo ugualmente che la Chiesa, che la città di Dio riempie
tutti i tempi; che è, come dice S. Epifanio, il principio e la fine di tutte le
cose. Perché che cos'è la Chiesa? Sono tutti quelli che hanno la fede in
Gesù Cristo: prima di lui, le anime credevano in colui che doveva venire;
oggi, credono in colui che è venuto.
Ma questa differenza non è che accidentale: al fondo, tutti i credenti non
formano che un tutto; e questo tutto, è la Chiesa, che abbraccia tutte le
epoche del mondo. Ci si perdoneranno questi ricordi, che entrano nel nostro
soggetto.
Ora che è ben stabilito che la Chiesa è di tutti i tempi, esamineremo
quale era il suo stato prima di Gesù Cristo. Non bisogna ragionare di Gesù
Cristo come di una creatura. Prima della sua Incarnazione, esisteva come
Verbo di Dio e, in questa qualità, governava il mondo con forza e disponeva
tutto con dolcezza per la sua entrata quaggiù.
Prima che Abramo fosse, io sono, diceva ai Giudei scandalizzati per una
simile affermazione (Gv 8,58). La Sacra Scrittura descrive in una maniera
meravigliosa l'azione incessante del Verbo eterno, della Sapienza divina,
dall'inizio del mondo. “Pur essendo una, può tutto; immutabile in se stessa,
rinnova tutto; si trasporta tra le nazioni nelle anime sante, fa profeti e amici
di Dio. E' lei che ha liberato il primo uomo dal proprio peccato. Lei che ha
guarito il mondo, governando nell'arca il giusto Noè. Lei che scorse
Abramo in mezzo alla corruzione universale, e lo conservò senza colpa
davanti a Dio. Lei che entrò nell'anima del servitore di Dio Mosè (Sap 7,27
e Sap 10).
In una parola suscitò di tanto in tanto, sul cammino dell'umanità, uomini
animati dello spirito profetico; tenne una moltitudine di anime nell'allerta,
col toccare le premesse di un Salvatore: esse credettero in lui, sperarono in
lui, e furono salvate.
Nel medesimo tempo in cui agiva nel segreto delle anime, il Verbo di
Dio, seguendo ciò che dice Tertulliano, anticipava la sua incarnazione. Si
manifestava in differenti maniere, attraverso il ministero degli angeli, ai
giusti dei primi tempi; prendeva una voce umana per parlare loro. Faceva
loro intravedere la forma umana sotto la quale sarebbe venuto in questo
mondo. Queste rivelazioni parziali preparavano la grande Rivelazione
totale, l'apparizione del Verbo nella carne. Lo stato della Chiesa, in quei
tempi remoti, rispondeva a questa opera misteriosa, a questa rivelazione
parziale della Sapienza divina.
Questa Sapienza restava invisibile e agiva invisibilmente: allo stesso
modo la Chiesa era invisibile e si propagava invisibilmente. Era formata
dalle anime che il raggio illuminante della Sapienza aveva toccato e che
respiravano dopo la venuta del Salvatore; queste anime erano disseminate
nelle nazioni; non erano raggruppate in una società obbediente a un capo
visibile, sottomesse a una gerarchia visibile.
Conseguentemente la Chiesa, che si componeva di tutte queste anime,
restava invisibile. Non è che nell'antichità non ci fosse stata, anche prima
della religione detta mosaica, una forma di religione tradizionale. Questa
religione esisteva, con i suoi sacrifici, i suoi riti espiatori, anche con il suo
sacerdozio. Ma tutti questi segni esteriori, senza i quali non si può
concepire un culto, non erano spirituali come il nostro sacrificio e i nostri
sacramenti; non avevano efficacia in se stessi, traevano tutto il loro valore
dalla fede di chi li utilizzava collegandoli al sacrificio dell'Agnello
immolato fin dall'origine del mondo (Ap 13,8). Non formavano il legame di
una società spirituale come la Chiesa.
Erano, in confronto dei nostri sacramenti, ciò che erano le apparizioni
passeggere di Dio rispetto al mistero dell'Incarnazione nel quale il Verbo si
è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1,14).
Riassumendo, il legame della Chiesa, prima di Nostro Signore, era
puramente la fede nella sua venuta; e, essendo questo vincolo per sua natura
invisibile, lo era anche la Chiesa.
Oggi, al contrario, vi è, tra i membri della Chiesa, il legame visibile dei
sacramenti, che sono i segni spirituali di una società spirituale; poi
soprattutto il vincolo visibile di una gerarchia che è assistita dalla presenza
permanente dello Spirito Santo.
Si può dire che tra le due epoche, vi è la differenza come tra la notte e il
giorno. La notte non è senza luci, essa gioisce dello sfavillio delle stelle
disseminate nel firmamento, e soprattutto della luna, questo luce di minore
dignità che ne dissipa le tenebre. Così, i tempi anteriori a Gesù Cristo
avevano le luci delle fiaccole profetiche che Dio faceva brillare nei suoi
grandi servitori Noè, Abramo, Giobbe e gli altri; poi, quando il crepuscolo
della Rivelazione primitiva ha iniziato a spegnersi, ebbero lo splendore del
popolo giudeo che fu come una luce disposta da Dio per dissipare la notte
dell'infedeltà.
Ma tutte queste luci scomparvero davanti allo splendore della Chiesa
resa ormai visibile, davanti alla luce permanente e indefettibile dello Spirito
Santo che abita in essa. È là il vero sole, la grande luce che presiede al
giorno.
Non ringrazieremo mai a sufficienza Dio d'essere nati, di essere cresciuti
in questo oceano di splendore. Ci sia sufficiente per il momento questo
colpo d'occhio generale gettato sui tempi passati prima di Nostro Signore.
Nel capitolo seguente, specificheremo le differenti fasi che ha attraversato
l'umanità, e seguiremo in esse le tracce della Chiesa.
Il Popolo di Dio come società temporale
e la Chiesa, prima di tutto società spirituale

Mai si è parlato tanto della Chiesa come in questi anni. Dopo il Concilio
Vaticano II, il “Concilio della Chiesa”, molti affermavano che si era
finalmente raggiunta una maggiore conoscenza e coscienza su di essa.
In verità, è sotto gli occhi di tutti, si è vissuta una stagione di
impoverimento proprio a riguardo del modo di concepire e vivere la Chiesa.
La si è ridotta molte volte a una società puramente umana, guidata da leggi
umane e considerata solo dal punto di vista sociologico. Si è insistito in
modo unilaterale sul concetto di “popolo di Dio”, sul dover “fare
comunità”, e si è di fatto perso uno sguardo profondo, “mistico” sulla
Chiesa.
Tutto ciò ha causato danni enormi. Le bellissime pagine sulla Santa
Chiesa del padre dom Emmanuel Marie Andrè, possono aiutare molti nel
riscoprire aspetti dimenticati o mai conosciuti di questo grande mistero di
salvezza.
Recuperare uno guardo profondo sulla Santa Chiesa, che abbraccia tutto
il piano di Salvezza di Dio, Antico e Nuovo Testamento, è il miglior
antidoto per combattere quello sguardo “piccino” e “meschino” che circola
oggi su di essa.
III
I due Testamenti

S.Agostino riassume come segue, con altrettanta brevità e profondità, le


fasi che ha attraversato l'umanità e, nell'umanità, la Chiesa che vi era
contenuta, prima della venuta di Nostro Signore.
“La Chiesa, dice, che è il popolo di Dio, anche nel pellegrinaggio di
questa vita, è una realtà antica: tra coloro che la compongono, alcuni
formano la sua parte spirituale, altri la sua parte carnale. L'Antico
Testamento è relativo a questi, il Nuovo a quelli.
Ma nei primi tempi, gli uni e gli altri restavano nascosti, precisamente da
Adamo a Mosè. A datare da Mosè l'Antico Testamento fu rivelato; nel suo
seno si nascondeva il Nuovo, poiché vi era segretamente significato.
Dopo che il Signore è venuto nella carne, il Nuovo Testamento è stato
rivelato: i sacramenti del Vecchio sono cessati, ma le concupiscenze che vi
si rapportano non sono cessate. Tra i cristiani, infatti, vi sono di quelli che
l'Apostolo, benché siano già nati mediante il sacramento del Nuovo
Testamento, considera ancora uomini carnali, incapaci di percepire le cose
dello spirito di Dio. Come, infatti, nei sacramenti del Vecchio Testamento,
vivevano alcuni spirituali, che naturalmente appartenevano misteriosamente
al Nuovo Testamento, che allora era nascosto, così anche ora, nel
sacramento del Nuovo Testamento, che è già stato rivelato, vivono molti
uomini carnali” (De bapti- smo contra Donatistas, libro I, capitolo 15).
In questo passo del grande dottore, la luce è talmente concentrata da
abbagliare; la dottrina talmente condensata da diventare quasi enigmatica.
In cento parti delle sue opere, Sant'Agostino stesso spiega ciò che presenta
qui in sintesi: riportiamo ora queste spiegazioni. Si chiama Testamento,
secondo il linguaggio delle Scritture, un patto di Dio con gli uomini. Ci
sono due Testamenti, uno passato con il popolo giudeo per
l'intermediazione di Mosè, l'altro inaugurato da Nostro Signore Gesù Cristo.
Nel primo, chiamato Antico Testamento, Dio, essendosi scelto un
popolo, promette di ricompensare la fedeltà di questo popolo con la
prosperità temporale: mostrava così, dice Sant'Agostino, di essere il Signore
dei beni di questa vita, e di disporne a suo piacimento.
Nel secondo, che è stato segnato dal sangue di Gesù Cristo, Dio
promette le ricompense eterne, e propone ai suoi adoratori i beni della vita
futura. Nell'intenzione della Sapienza divina, la prosperità temporale non
era che una sorta d'inizio, rivolto a un popolo grossolano, per condurlo a
sperimentare la potenza della bontà di Dio, e così insinuare in lui il gusto
dei beni di un ordine più elevato. Purtroppo, molti non vedevano che l'inizio
e servivano Dio con un cuore completamente carnale; questi, dice
Sant'Agostino, appartenevano completamente all'Antico Testamento, e non
avevano nulla in comune con il Nuovo.
Altri, elevando la loro anima per mezzo delle cose temporali fino alle
realtà superiori, anche sotto l'Antico Testamento, servivano Dio per se
stesso, in spirito di fede, in vista delle promesse eterne; e questi, pur sotto
l'osservanza dei sacramenti antichi, appartenevano in spirito al Nuovo
Testamento. Quest'ultimo è stato inaugurato da Nostro Signore.
Venuto nel mondo, elevò potentemente l'umanità a un piano dove
potesse gustare innanzitutto i beni spirituali. Propose dunque prima di tutto
le ricompense celesti, e innalzò, per conquistarle, la bandiera delle rinunce
evangeliche. L'Antico Testamento, con le sue promesse relative alla vita
presente, con in suoi sacramenti figurativi, prese termine; ma ahimè! la
concupiscenza dei beni temporali non si spense nel cuore degli uomini.
Tutti coloro che, nel seno della Chiesa, nutrono nel loro cuore questa
concupiscenza, costoro, dice Sant'Agostino, sotto la livrea del Nuovo
Testamento, appartengono all'antico; non sono esclusi dalla Chiesa, ma
formano la parte carnale di questa stessa Chiesa.
Dopo aver spiegato cosa bisogna intendere con i due Testamenti,
andiamo a mostrare la loro apparizione successiva. “Durante i primi tempi,
dice Sant'Agostino, vale a dire da Adamo a Mosè, l’uno e l'altro Testamento
erano nascosti.” Dio non aveva ancora stipulato un atto pubblico con
uomini, per formare con loro una società, sia nell'ordine spirituale, sia
nell'ordine temporale. Vuol dire che l'umanità fosse isolata da Dio? Per
niente: vi erano le promesse di un Salvatore, fatte ad Adamo, rinnovate a
Noè, trasmesse attraverso ad essi ai loro discendenti, e che dovevano essere
suggellate in Abramo con il segno sensibile della circoncisione.
L'umanità viveva di queste promesse, ma senza essere unita a Dio con
un patto di natura speciale. Per comprendere quale era la condizione del
mondo, occorre sapere che, se Adamo non avesse peccato, l'umanità
sarebbe stata tutta spirituale, sebbene per nulla impeccabile; i genitori
avrebbero trasmesso ai propri figli la grazia dando la vita, e di conseguenza
l'umanità non sarebbe stata che una sola cosa con la Chiesa.
Dopo la caduta, Dio non cambiò l'ordine anteriormente stabilito. Volle
che i padri trasmettessero ai loro figli, non, è vero, la grazia con la vita
naturale, ma almeno le promesse di un Salvatore per via tradizionale.
Solamente, in ragione della corruzione originale, si formarono tra i
discendenti di Adamo due correnti distinte: da un lato i discendenti di
Caino, chiamati i figli degli uomini, che rigettarono le promesse del
Salvatore per attaccarsi unicamente alla vita presente; dall'altro i figli di
Set, chiamati i figli di Dio, conservarono queste promesse, e le tra- smisero
come una eredità.
Ma presto queste due correnti si confusero in una corruzione comune, in
un comune oblio di Dio; e il Signore mise fine con il diluvio a questa
umanità traviata. Al termine del diluvio, due figli di Noè furono benedetti,
e l'altro maledetto: ricevettero tutti le promesse con il dovere di trasmetterle
ai loro figli.
“È probabile, dice Sant'Agostino, che il culto del vero Dio si conservò
principalmente nella posterità di Sem e di Iafet, sebbene in questa posterità
ci sono stati senza dubbio diversi uomini carnali, come ci furono in quella
di Cam degli uomini spirituali” (La città di Dio, libro 16, capitolo 10).
Tuttavia le tradizioni riguardanti le promesse di un Salvatore, affidate
semplicemente al correre delle generazioni umane, non tardarono ad
alterarsi una seconda volta; e la torre di Babele ci mostra l'umanità
sconvolta d'orgoglio verso Dio, e punita con la confusione delle lingue.
Allora diventa evidente, per una duplice esperienza, che non sarebbe
stato sufficiente consegnare le promesse ai padri perché le trasmettessero ai
propri figli; bisognava avvolgerle per così dire in un patto speciale, ed
affidarle in deposito ad una razza scelta. Ed è ciò che Dio ha fatto con
Abramo.
Dio in effetti suscitò e chiamò questo grande uomo; lo rese depositario
delle promesse annunciandogli ch'esse si compiranno nella sua stirpe; pio lo
segnò col sigillo della circoncisione. Abramo credette a Dio, e questo gli fu
riconosciuto come giustizia (Rm 4,3): questo atto di fede gli meritò il titolo
di padre dei credenti.
Per il suo sangue, è padre dei Giudei carnali; per la sua fede, è padre di
tutti coloro che San Paolo chiama l'Israele di Dio (Gal 6,16).
Le promesse, suggellate da Dio, furono trasmesse ad Isacco, a Giacobbe
e ai suoi figli. Tuttavia il popolo, sorto dal fianco di Abramo, cresceva.
Quando fu per così dire adulto, Dio lo liberò dalla schiavitù d'Egitto sotto la
guida di Mosè; poi, sulla cima del Sinai, si manifestò in presenza di questo
popolo, e concluse solennemente con lui il patto dell'antica alleanza che fu
bagnato dal sangue delle vittime.
Da quel momento, come dice Sant'Agostino, l'Antico Testamento fu
rivelato; e dal suo seno, aggiunge, era nascosto il Nuovo, essendo figurato
da esso. In seguito a questo patto, Dio prese il popolo d'Israele come suo
popolo, e lo governò lui stesso direttamente.
Gli donò una legge, istituì un sacerdozio, regolò tutti i dettagli del culto,
manifestò sensibilmente la sua presenza nell'arca.
Era la Chiesa? No, non ne era che la figura. La Chiesa è prima di tutto
una società spirituale: ora il popolo di Dio non era che una società
temporale amministrata da Dio stesso.
Le promesse del Salvatore e della vita futura erano come ricoperte dalle
promesse di una felicità temporale; i sacrifici, benché figura del sacrificio
del Calvario, non erano che l'effusione di sangue di vili animali, impotenti a
cancellare i peccati (Eb 10,4); infine i prodigi di Dio, nel condurre il suo
popolo, tutti nell'ordine tempora- le, erano delle semplici figure delle
meraviglie della legge della grazia (1Cor 10).
Tutto quest'insieme rappresentava un'immagine esatta della Chiesa; ma
la realtà non esisteva ancora; e molti, purtroppo, prendevano l'immagine per
la realtà. Su questa immagine la Chiesa era nascosta, come l'albero nel suo
seme. Perché come, presso i Giudei, l'ordine delle generazioni tendeva al
Salvatore, così tutta l'economia dell'Antico Testamento tendeva alla Chiesa,
che doveva un giorno sorgere in mezzo a Israele.
Infine apparve Nostro Signore, e il Nuovo Testamento fu rivelato. Era
tempo: l'umanità era convinta della propria impotenza. Dio aveva impiegato
tutto dapprima, per mantenere la vera religione, dei mezzi in qualche sorta
naturali, come è la tradizione orale che passa da padre in figlio; poi aveva
impiegato dei mezzi di natura speciale, quali l'istituzione del popolo giudeo,
accompagnata da tanti miracoli.
Tutti questi mezzi esteriori, vivificati dalla grazia che sempre e in ogni
luogo ha suscitato a Dio degli adoratori, erano stati resi insufficienti dalla
colpa degli uomini. L'umanità si allontanava sempre di più in vie perdute; il
giudaismo andava spegnendosi in sette rivali, analoghe alle sette filosofiche
della gentilità.
Era tempo che Nostro Signore venisse; e che, come dice San Paolo,
essendo tutti rinchiusi nell'incredulità, usasse a tutti misericordia (Rm
11,32). Apparve e la sua venuta cambiò la faccia del mondo. Lo Spirito di
grazia, che covava sotto il velo dell'Antico Testamento, che traspirava dagli
scritti di Mosè, nei salmi e nei profeti, brillò tutto d'un colpo. Le promesse
temporali furono relegate in secondo piano; le promesse eterne si
impossessarono degli spiriti.
Dal seno del giudaismo sorse una società veramente spirituale, in una
parola la Chiesa, rompendo gli strati sotto i quali era nascosta, e gli ostacoli
che impedivano la sua libertà. La realtà prendeva il posto della figura. Alla
società temporale nata da un popolo, succedeva una società spirituale estesa
al mondo intero; ai sacrifici della legge antica, moltiplicati in ragione della
loro impotenza, succedeva l'unico sacrificio della Croce, ripetuto
infinitamente sugli altari in tutti i luoghi della terra; al sacerdozio antico,
trasmesso dal sangue, succedeva il sacerdozio nuovo, scaturito unicamente
dall'elezione divina; ai sacramenti del rito mosaico, nello stesso tempo
necessari per spezzare la durezza del popolo e insopportabili alla sua
debolezza, succedeva il gioco leggero e il dolce fardello dei sacramenti
istituiti da Nostro Signore; infine ai prodigi di Dio nell'ordine temporale
succedevano i miracoli della grazia, e l'effusione dello Spirito Santo su ogni
carne, annunciato dal profeta Gioele.
Tutto questo è la Chiesa; è il dispiegarsi dell'Incarnazione, è
l'irradiazione di Gesù Cristo nella razza umana.

I profeti hanno visto e previsto la Chiesa

Interessantissima lettura teologico-spirituale del P. Emmanuel sulla


Chiesa, considerata ancora nella visione e nelle profezie dell'Antico
Testamento.
I profeti hanno visto, hanno previsto la Chiesa e hanno desiderato
ardentemente il suo compimento. Quanto utile spiritualmente è il meditare
questa pagina del P.Emmanuel. È importantissimo considerare le
prefigurazioni, le profezie sulla Chiesa nell'Antico Testamento: è il migliore
antidoto ad un pericoloso sguardo troppo umano su di essa.
Quante volte il nostro parlare della Santa Chiesa rivela una mancanza di
fede nel disegno di Dio. Ricaviamo i criteri per giudicare la Chiesa dal
mondo, dai mezzi di comunicazione di massa, dalla moda del momento, è
questo è gravissimo.
La Chiesa è una società spirituale voluta da Dio, è il corpo Mistico di
Cristo, è fatta da uomini, ma è divina nella sua essenza. E per considerare la
realtà divina della Chiesa, nulla di meglio che vedere come nel disegno di
Dio era già prevista, fin dalla fondazione del mondo.
Certo che se avremo uno sguardo così cambieremo il nostro modo di
vivere. È vero, viviamo il presente della Chiesa, ma questo presente è già
nell'eterno.
Il considerare le profezie dell'Antico Testamento riguardanti la Chiesa ci
fa superare quello sguardo piccino e angusto con cui viviamo l'oggi della
Chiesa, con la sua Grazia e drammaticità.

IV
Profezie riguardanti la Chiesa

Abbiamo visto, nel precedente capitolo, come la Chiesa aveva per così
dire covato nell'umanità prima di Nostro Signore.
Durante un primo periodo, cioè da Adamo a Mosè, essa era disseminata
in tutti i popoli con le tradizioni primitive, ma segretamente, senza alcuna
forma visibile; a datare da Mosè, essa si concentrò più specialmente nel
popolo giudeo, apparve al mondo una figura di ciò che dovrà essere e, sotto
questa figura, prepara la sua apparizione. Infine Nostro Signore la fa
sorgere e brillare nel grande giorno.
Dicendo che la Chiesa era come concentrata nel popolo giudeo, siamo
lontani dal pretendere che vi fossero degli eletti solamente che in questo
popolo. Sant'Agostino dimostra che ve ne erano tra gli altri popoli,
comunemente designati sotto il nome di Gentili (La Città di Dio, libro 18,
capitolo 47). Diciamo solamente che il popolo giudeo era come il crogiolo
misterioso nel quale si elaborava lentamente questa meraviglia delle
meraviglie che si chiama Incarnazione, e quell'altra meraviglia che si
chiama Chiesa.
Questo popolo conteneva una moltitudine di uomini carnali; e questi non
andavano per nulla d'accordo con la condizione profetica in mezzo alla
quale vivevano. Ma vi erano anche degli uomini spirituali; e questi, elevati
dalla fede al di sopra dei loro tempi, penetravano l'avvenire, e vedevano
chiaramente che questo stato non era che una preparazione ad un ordine di
cose tutto spirituale e tutto divino.
Questi uomini hanno scritto: e l'insieme dei loro scritti, chiamati Antico
Testamento, comprende sia la descrizione dello stato in cui sono, sia la
profezia del mondo futuro. Andiamo a studiare queste profezie.
Lo Spirito Santo le ha ispirate: perché è lui che ha parlato attraverso i
profeti (Simbolo di Nicea). “Attraverso essi, dice Sant'Agostino, Dio
preparava le anime degli uomini, affinché desiderassero il pontefice per il
quale non c'è bisogno di pregare” (Cont. Ep. Pet., libro 2, capitolo 5).
Descrivevano dunque questo pontefice: ma nello stesso tempo
descrivevano quel popolo nuovo in mezzo al quale egli doveva esercitare il
suo sacerdozio, che è la Chiesa estesa al mondo intero.
I profeti attribuiscono a questa Chiesa diversi caratteri, per i quali essa
contrasta completamente con la sinagoga giudaica:
- Essa è universale, e deve comprendere tutti i popoli.
- Essa è indefettibile, ha le promesse di una perpetua durata.
- Essa è spirituale.
Andiamo a riconoscere successivamente, nelle profezie, questo triplice
marchio della Chiesa di Gesù Cristo.
Innanzitutto, diciamo, le profezie parlano unanimemente della Chiesa
come dovente estendersi al mondo intero. L'Antico Testamento era
necessariamente limitato a un popolo: perché consisteva nel fatto che
questo popolo si sviluppasse temporalmente sotto la guida di Dio che vi
manteneva la vera religione.
Il salmista cantava: Dio è conosciuto in Giudea, il suo nome è grande in
Israele (Sal. 75,1). Il tempio di Gerusalemme era il solo luogo del mondo
dove Dio fu legittimamente onorato. Tutto indica una restrizione ad un
angolo dell'universo.
Quando si tratta della Chiesa, al contrario, tutti i limiti sono tolti, non ci
sono confini al suo impero che il mondo stesso. Ascoltiamo Dio che parla
ad Abramo: In te tutte le nazioni saranno benedette (Gn 12,3). In te, nella
tua stirpe, cioè, come spiega San Paolo (Gal 3,16), nel Cristo che uscirà
dalla tua stirpe, tutte le nazioni parteciperanno ad una comune benedizione.
Più tardi Giacobbe, annunciando a suo figlio Giuda magnifici destini, gli
dichiara che lo scettro non abbandonerà la sua stirpe, fino a quando arriverà
colui che deve essere inviato: e sarà, aggiunge, l'atteso delle Genti, verrà per
salvare tutti i popoli del mondo (Gn 49,10).
Così, dall'inizio, prima ancora che ci fosse un popolo giudaico, è
stabilito che il Salvatore uscirà dalla stirpe di Abramo, dalla discendenza di
Giuda, ma che la salvezza si estenderà da Israele a tutti i popoli. I salmi
sono pieni di allusioni a questo regno del Messia su tutta l'estensione della
terra:
- Nel salmo 2, Dio dona a suo Figlio in eredità tutte le nazioni, e in
possesso i confini del mondo.
- Nel salmo 21, che descrive in modo sorprendente la passione di Nostro
Signore, ce ne mostra il frutto; ed è che tutte le nazioni si ricorderanno del
Signore e si convertiranno a lui.
- Il salmo 71 è tutto una magnifica descrizione dell'universo sottomesso
alla dominazione piena di dolcezza del Figlio di Dio.
Ci limitiamo a queste citazioni: lo spirito di questi divini cantici è uno
spirito di lode universale, è già la Chiesa che canta e che prega. Potremmo
ugualmente portare tutto Isaia all'appoggio della nostra tesi. Questo principe
dei profeti viveva in anticipo in seno alla Chiesa. Vedeva tutti i popoli
camminare alla sua luce; vedeva Dio prendere tra i gentili preti e leviti;
vedeva le isole, cioè i popoli più lontani del mondo, attendere con
impazienza gli inviati del Signore. “Venite a me, dice il Signore a tutti i
popoli, ascoltate e la vostra anima vivrà, e io farò un'alleanza eterna con
voi. Ecco che ho dato (il mio Cristo) ai popoli come testimone, ai Gentili
come capo e maestro. Chiamerai le nazioni che non conosci; e i popoli che
ti ignoravano correranno a te, a causa del Signore Dio, e del Santo d'Israele
che ti ha glorificato” (Is 55,3-6).
Cosa possiamo sperare di più formale per stabilire la cattolicità della
Chiesa?
I profeti non solamente contemplavano queste magnifiche promesse, ma
ne desideravano il compimento con un ardore estremo.
“Abbi pietà di noi, o Dio di tutti, gridava l'Ecclesiastico, guarda a noi e
svelaci la luce della tua misericordia. Manda il tuo timore sulle nazioni che
non ti cercano; perché sappiano che non vi è altro Dio che te e raccontino le
tue meraviglie. Alza la tua mano sulle nazioni straniere, perché vedano la
tua potenza. Come in loro presenza sei stato santificato in noi, così alla
nostra presenza sii glorificato in esse; perché sappiano, come noi sappiamo,
che non vi è altro Dio che te, o Signore” (Sir 36,1- 16).
Magnifica preghiera! Essa è realizzata oggi; e, grazie alla Chiesa, l'intero
universo è sulla via di conoscere il solo vero Dio. I Giudei non
disapprovavano che il regno del Messia dovesse abbracciare tutti i popoli;
solamente, avendo perduto il senso tutto spirituale delle profezie, erano
arrivati a considerarlo come un conquistatore che dovesse sottomettere loro
l'universo intero. Non facevano attenzione al fatto che le promesse che li
riguardavano, loro personalmente, fossero condizionali, mentre le promesse
relative al Messia e alla sua Chiesa erano assolute ed eterne.
Dio prometteva loro la felicità, la prosperità, e, diciamolo, una sorta di
magistratura sul resto del mondo, se fossero stati a Lui fedeli, a Lui e al suo
Cristo: nel caso contrario, li minacciava di una irrimediabile dispersione che
sarebbe stata per loro l'annientamento come popolo.
La profezia di Giacobbe, riferita più sopra, suppone espressamente che
lo scettro uscirà da Giuda al momento della venuta del Messia: cosa che
segna molto il declino del popolo giudaico. Il Deuteronomio, il mirabile
testamento di Mosè, ruota tutto quanto sul tema che l'esistenza sociale del
popolo dipende dalla sua fedeltà a Dio (capitolo 28). Diversi salmi pongono
come condizione alla durata della nazione giudaica la sua obbedienza alla
legge divina.
Osea vede i figli d'Israele rimanere lunghi giorni senza re, senza
principe, senza sacrificio, senza sacerdozio, senza oracolo, in una parola
annientato come popolo, e questo a causa dell'infedeltà (Os 3,49).
Isaia mette quest'infedeltà in rapporto alla vocazione dei Gentili:
“Coloro che non m'interrogavano mi hanno cercato, coloro che non mi
cercavano mi hanno trovato; ho detto eccomi, eccomi, a un popolo che non
invocava il mio nome.” E, al contrario, “ho teso le braccia al popolo
incredulo che cammina sulla strada che non è la buona, seguendo i suoi
propri pensieri” (Is 65,1-2).
San Paolo s'impadronisce di questo testo per presentare ai Giudei la loro
opposizione al Salvatore, causa della loro riprovazione (Rm 10,20-21)
mette loro sotto gli occhi un passaggio di Geremia che annuncia
chiaramente la sostituzione di una alleanza nuova a quella stipulata con i
loro padri del Sinai, e che loro stessi hanno rotto (Ger 8,8- 13).
Tutti questi testi mostrano sovrabbondantemente il carattere
condizionale delle promesse fatte alla nazione giudaica: al contrario, quelle
che sono fatte alla Chiesa sono assolute e indefettibili.
Faremo osservare che, in tutti i passi così numerosi in cui il Messia è
presentato come assiso su un trono eterno, è semplicemente supposto che
avrà un popolo per lui, e che questo popolo gioirà senza fine dei benefici
del suo impero: in tutte le promesse fatte a riguardo del Messia, la Chiesa è
dunque racchiusa, essendo quella casa di Giacobbe nella quale regnerà
eternamente (Lc 1,32).
A volte è esplicitamente designata come avente parte all'eternità delle
promesse. “Farò con voi, dice Dio agli uomini, un patto eterno; sono le
misericordie promesse a Davide e che non verranno meno. Come i cieli
nuovi e la terra nuova che stabilirò davanti a me, così la vostra posterità e il
vostro nome sussisteranno alla mia presenza”, cioè eternamente (Is 55,3 e
66,22).
Tutte le promesse di fecondità, di perpetuità, fatte alla Chiesa del
Messia, sono nascoste il più sovente sotto le immagini di una prosperità
temporale. I profeti, uomini spirituali, parlavano a un popolo ancora
carnale, ed è per questo che presentavano i beni spirituali sotto dei colori
improntati alla vita presente. Tuttavia, sotto queste immagini, si riconosce
facilmente un regno spirituale, una società spirituale. Quando il salmista
dipinge la giustizia e la pace che germinano dalla terra sotto il regno del
Messia; quando lo mostra prendersi cura dei poveri e dei piccoli; quando
dice che pronuncerà ai suoi fratelli il nome di Dio, che lo loderà in una
grande Chiesa: noi abbiamo una descrizione della dolcezza e dei benefici
del Vangelo (Sal 21,23-26).
Quando Isaia dice che la conoscenza di Dio coprirà il mondo, come i
flutti coprono il fondo del mare, fa vedere che sarà conquistato dalla
predicazione, non dalle armi (Is 11,9). Quando descrive le sofferenze
inaudite di colui che nomina il braccio di Dio, e che vi vede la salvezza di
tutti gli uomini, e lo dota di una lunga posterità (Is 53 e 54), ci inizia al più
profondo dei misteri,e al più lontano dal senso umano: la redenzione del
mondo attraverso la croce. Quando Geremia, dopo aver parlato della nuova
alleanza, dona per carattere al popolo nuovo, che tutti conosceranno Dio dal
più piccolo al più gran- de, che tutti avranno la legge di Dio scritta nei loro
cuori, non poteva descrivere più chiaramente una società spirituale (Ger
31,31-34).
Potremmo prolungare queste citazioni: queste sono sufficienti per
dimostrare che i profeti hanno visto e conosciuto la Chiesa come società
eminentemente spirituale, altrettanto elevata al di sopra delle società
temporali come i pensieri di Dio lo sono al di sopra dei pensieri degli
uomini.
Andiamo a vedere, ora, Nostro Signore all'opera nella formazione di
questa Chiesa, che è nello stesso tempo il frutto del suo sangue e l'oggetto
del suo amore.
V
Gesù Cristo e la Chiesa

San Paolo chiama Gesù il nuovo Adamo: c'è in questa definizione una
sorprendente illuminazione (1 Cor. 15, 45-47).
Adamo, il primo Adamo, era stato destinato da Dio a diventare il
capostipite di una umanità tutta santa; ma cadde nel peccato e generò invece
una umanità carnale e peccaminosa. Allora Dio lo sostituì con Nostro
Signore Gesù e ne fece un nuovo Adamo, cioè il capostipite di una umanità
nuova, questa sì veramente santa ed immacolata. Adamo per generare
l’umanità aveva avuto bisogno di un aiuto che gli era simile: Dio aveva
donato a lui Eva; ma per mantenere l’unione dell’origine, l'aveva formata
della sostanza di Adamo.
Nostro Signore, anch'egli, per generare l’umanità nuova, volle un aiuto;
e Dio gli donò la Chiesa; ma qui ancora, per affermare l’unità, la formò
togliendola dal fianco del nuovo Adamo. Adamo è nello stesso tempo
anteriore e superiore a Eva; anteriore essendo suo principio, superiore
essendo il suo capo; e tuttavia ella è sua eguale, poiché diviene sua sposa.
Tutti questi rapporti si ritrovano in Nostro Signore rispetto alla sua
Chiesa; le è precedente come principio, superiore come capo; ma la ama, si
china su di lei, la solleva a lui, e noi osiamo dire che la rende sua eguale
facendola sua sposa.
Se esaminiamo il racconto della creazione di Eva, vi distinguiamo tre
cose:
- E' formata da Dio dalla sostanza stessa di Adamo
- Dio la conduce e la presenta ad Adamo
- Questi la riconosce come osso delle sue ossa, come carne della sua
carne, e la prende come sposa (Gn 2,20-25).
Questi tre aspetti si riproducono nel mistero della Chiesa; andiamo ora a
mostrare come.
Per prima cosa diremo che Gesù Cristo ci si mostra come il principio
della Chiesa; essa è tratta e formata della sostanza di grazia che è in Lui.
Questa proposizione è vera sia per i tempi precedenti all’Incarnazione che
per i tempi posteriori. Dopo il peccato, Gesù Cristo è l’unico mediatore tra
Dio e gli uomini: tutti gli eletti, dal primo fino all’ultimo, sono
spiritualmente scaturiti da una Grazia che deriva da Lui; e in Lui sono uno
come l’origine misteriosa che li ha prodotti e che li sostiene. Tuttavia,
bisogna riconoscere che, dopo l’Incarnazione, noi siamo in una dipendenza
da Gesù Cristo più intima e completa.
Nella nostra nascita, nella nostra crescita come figli di Dio, noi troviamo
la vita divinamente umana di Gesù che agisce in noi, che ci trasforma, che
ci unifica; ed è là propriamente il mistero della Chiesa. Gli antichi, pur
viventi di Gesù Cristo per la fede, non entrarono in questo mistero prima di
noi. Noi siamo, secondo San Paolo, innestati su Gesù Cristo, come il
pollone selvatico sull'ulivo franco. Notiamo ancora un punto molto
importante. La vita divinamente umana di Gesù si trasmette nelle anime,
seguendo la via ordinaria, attraverso le mani dei ministri sacri attraverso le
quali Gesù Cristo continua ad agire, per mezzo dei Sacramenti che
contengono sotto segni sensibili sia le operazioni della sua grazia sia la sua
sacra persona.
Pertanto la Chiesa è una Società visibile, costituita visibilmente e che si
sviluppa visibilmente. Sotto questo aspetto, essa data dall’Incarnazione e
dalla morte di Cristo; è completamente posteriore a lui, non esisteva prima
di lui; la si rappresenta a buon diritto come nascente dal suo cuore trafitto
dalla lancia del soldato. La morte di Nostro Signore è stata voluta da Dio,
perché le anime avessero una piena vita, i Sacramenti una piena efficacia.
Nel momento in cui le ultime gocce di sangue sgorgarono con l’acqua
del suo costato trafitto, l’opera della formazione della Chiesa fu consumata.
Un saluto alla nuova Eva, che nacque allora, tutta pura e immacolata, dal
fianco dell’Adamo celeste, dal cuore amatissimo di Gesù!
Dopo aver tratto Eva dal costato di Adamo, Dio la conduce e la presenta
egli stesso ad Adamo; allo stesso modo, la Chiesa, tratta da Gesù Cristo, è
condotta a lui dal Padre celeste.
Come avviene questo? Essa è formata dalle grazie che Lui ha meritato;
ma queste grazie, è Dio che le dispensa e che, dispensandole, attira le anime
verso suo Figlio Incarnato. “Nessuno viene a me, dice Lui stesso, se mio
Padre non lo attira.” (Gv 6,44).
Venuto quaggiù per riparare la disobbedienza di Adamo, Nostro Signore
ci appare in ogni cosa come essenzialmente dipendente dal Padre suo. Non
giudica, non parla da sé stesso, non cerca la sua gloria, non è venuto per
fare la sua volontà, non fa che ciò che vede fare al Padre suo (Gv 5,13-30;
8,26-30).
Allo stesso modo, accumula meriti; prega, e prega con lacrime, perché
tali meriti siano applicati agli uomini; ma, quanto all’applicazione che è
fatta, si mette nella dipendenza del Padre suo; e questa applicazione ha
luogo dopo una scelta, una elezione, le cui ragioni si perdono nelle
profondità della sapienza e della scienza di Dio (Rm 11).
Ci sono dei segni esterni, anche eclatanti, che designano Nostro Signore
agli uomini; interiormente, vi è un'attrattiva, derivante dal Padre della luce,
che gli conduce le anime.
Mentre riposa nella mangiatoia, attorniato dai suoi primi adoratori Maria
e Giuseppe, da una parte la voce degli angeli, dall’altra i raggi della stella lo
indicano ai pastori e ai magi, ai Giudei e ai Gentili. Essi accorrono: è già la
Chiesa, la Chiesa al completo. Vi è là una prima potenza venuta dall'alto.
Più tardi il dito di S. Giovanni Battista indica l’Agnello di Dio ai primi
apostoli (Gv1,36). Andrea, Giovanni vengono a lui, poi Simon Pietro, poi
Filippo, poi Natanaele, attirandosi gli uni gli altri.
In seguito Gesù parla, predica, fa dei miracoli: si manifesta da sé. Ma
accanto al dito di Giovanni Battista, c’è il dito di Dio. Accanto a Gesù che
parla, c’è il Padre che insegna (Gv 6,43-46), è il Padre che rivela suo Figlio
ai piccoli e agli umili, che gli prepara pian piano una Chiesa (Mt 11, 25-
27).
Quando Simon Pietro, elevandosi sopra la carne e il sangue, confessa
apertamente la divinità di Nostro Signore, vi è là una rivelazione speciale
del Padre della luce (Mt 16,17). E’ da Lui che discendono le sublimi
prerogative di Pietro; sta al Padre designare coloro che avranno i primi posti
nel regno di suo Figlio (Mt 20,23).
Riassumendo, la costruzione della Chiesa si fa per un’elezione e per
vocazione di tutti i suoi membri, i quali sono sovrapposti uno a uno, come
pietre vive, sul primo e principale fondamento, sulla pietra angolare che è
Gesù Cristo. Dio è l’architetto dell’edificio. Come Dio, Nostro Signore
agisce congiuntamente col Padre, poiché tutto ciò che il Padre fa lo fa lui
ugualmente (Gv 5,19); ma, come uomo, accetta umilmente quelli che il
Padre gli dona (Gv 17,6-19).
Queste verità sono più che certe. Tuttavia non si dovrà mai pensare che
Nostro Signore resti passivo nella costruzione della sua Chiesa. La edifica
egli stesso con gli uomini che Suo Padre gli mette tra le mani. Dio conduce
ad Adamo la sua sposa; ma Adamo l'accetta, e ne fa la sua sposa. Dio
conduce a Gesù la Sua Chiesa, che ha scelto; ma Gesù l’accoglie; l'ha scelta
anche lui come sua sposa, ratifica amorosamente e liberamente la scelta
paterna.
La Scrittura ci lascia intravvedere il rapimento che si impossessa
dell'anima di Adamo, alla vista di Eva sua sposa: la contempla, la riconosce
ed esclama: è osso delle mie ossa, carne della mia carne! Così, ma con una
ben altra potenza e una ben altra dolcezza, trasalì il cuore di Gesù, quando
suo Padre gli condusse i suoi primi apostoli e in loro la Chiesa. Questi gli
apparvero come le primizie della sua grazia, rivestiti dei suoi meriti, ornati
in anticipo dal suo preziosissimo sangue. Può gridare anche lui: sono osso
delle mie ossa, carne della mia carne!
Su uno di essi fissa uno sguardo ancora più profondo e illuminante che
su gli altri, e gli dice: “Simone, figlio di Giovanni, d’ora in poi ti chiamerai
Pietro” (Gv 1,42). In questo apostolo vedeva tutta la Sua Chiesa.
Dopo che il Padre suo gli ha portato così le pietre principali, Nostro
Signore agisce subito come fondatore e come capo. Gli occhi fissi sul piano
invisibile dell’architetto eterno, edifica la Sua Chiesa; assegna ad ogni
membro il suo luogo e la sua funzione. Compone definitivamente il collegio
apostolico, lasciando sempre a Pietro il suo incontestabile primato, e vi
aggiunge il privilegio dell’infallibilità; sceglie i ministri di secondo ordine, i
settantadue discepoli; a tutti dona una missione. Così si trova costituita in
tutte le sue parti la gerarchia della Chiesa nuova, uscita indifferentemente
dalle diverse tribù d’Israele: attorno ai pastori e ai capi si raggruppano i
semplici fedeli. Il corpo mistico del Verbo è provvisto di tutti i suoi organi e
di tutte le sue membra.
Questa Chiesa è ancora nell’infanzia: il Verbo Incarnato conversa in
mezzo ad essa come il suo precettore e la sua guida; la istruisce con
parabole, e la guida con i suoi esempi. Sopporta in essa le debolezze e
imperfezioni della giovinezza, con una bontà e longanimità incomparabili.
Nel momento in cui il buon pastore è afferrato, colpito, crocefisso, le
timide pecore si disperdono. Ma Egli resuscita, recupera e riunisce ancora il
suo gregge; ristabilisce per sempre nella fede le colonne della sua Chiesa,
gli apostoli; conferma a Pietro le sue divine prerogative di primato e
infallibilità dottrinali; a tutti rinnova la loro missione, infine sale al cielo in
loro presenza. Ormai la Chiesa è associata alla vita immortale di Gesù
glorificato; la virtù della sua resurrezione si è estesa ad essa. Ma è tempo
che passi dall'infanzia alla virilità. Il corpo mistico del Salvatore è formato;
ma gli occorre un'anima, uno spirito che la dirige. Questo spirito sarà lo
Spirito Santo, lo Spirito del Padre e del Figlio, lo Spirito che li unisce con
un legame indissolubile.
Nostro Signore è salito al Cielo, per mandarlo alla sua Chiesa, perché la
regga, la illumini, la vivifichi per sempre.

Lo Spirito Santo e la Chiesa di Gesù Cristo

Mirabile capitolo del Pére Emmanuel, del suo testo sulla Chiesa. Viene
considerato il rapporto tra lo Spirito Santo e la Chiesa di Gesù Cristo.
Leggendolo vi troveremo profondità di contenuto e semplicità di
linguaggio.
Una vera meditazione, densa di dottrina e sapienza, quanto mai utile.
Siamo in un momento di confusione proprio su questi argomenti. C'è oggi
chi parla dello Spirito Santo quasi fosse “staccato” da Nostro Signore Gesù
Cristo. In rapporto poi alla Chiesa, quasi venisse lo Spirito ad instaurare una
nuova stagione, quella di una Chiesa spirituale come un’assoluta novità
rispetto al passato.
Nostro Signore insegna chiaramente che la missione dello Spirito di
verità è basata sulla sua propria. “Lo Spirito, dice ai suoi apostoli, riceverà
ciò che è in me e ve lo annuncerà (gv 16,14) non aggiungerà alla mia opera
nulla di essenziale”.
Non dunque la Chiesa di una “nuova Pentecoste”, come molto sentiamo
dire oggi, ma la Chiesa di Cristo, quella di sempre, il cui legame (tra Capo e
Corpo mistico) è lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. Non
una Chiesa pentecostale, dove lo Spirito dà nuove verità e cambia la fede in
continuazione, ma la Chiesa di Gesù Cristo che lo Spirito custodisce nella
verità della Rivelazione conclusasi con la morte dell'ultimo Apostolo.
Lasciamoci educare da queste belle e profonde considerazioni, il lavoro
per restare cattolici o diventarlo ogni giorno di più, deve essere paziente e
inesorabile.

VI
Lo Spirito Santo e la Chiesa

San Giovanni, nella sua prima epistola, mette in risalto i tre testimoni
celesti, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; e i tre testimoni terrestri,
l’acqua, il sangue, lo spirito (1 Gv 5,7-8).
I tre testimoni celesti rendono testimonianza che Gesù Cristo è vero Dio;
i tre testimoni terrestri rendono testimonianza che è vero uomo. Perché,
morendo, è uscito dalla sua bocca un soffio o uno spirito, è uscito dal suo
fianco dell'acqua e del sangue: cosa che segna in lui una vera umanità.
Ma l’acqua, il sangue e lo spirito ci ricordano anche le tre effusioni, i tre
battesimi che hanno prodotto la Chiesa. Vi è stato primariamente un
battesimo d'acqua; Gesù l'ha ricevuto per essa nel Giordano. Vi è stato in
seguito un battesimo di Sangue; l'ha ricevuto per essa nella sua Passione.
Infine, dall’alto del Cielo, gli ha donato il battesimo dello Spirito Santo.
L’acqua non sarebbe stata sufficiente per lavare la Chiesa, senza il
Sangue di Gesù Cristo; l’acqua e il sangue non sarebbero stati sufficienti
per vivificarla, senza l’effusione dello Spirito Santo. Non è senza
fondamento che noi chiamiamo battesimo l’effusione dello Spirito Santo.
Nostro Signore ha impiegato questa espressione: “Tra pochi giorni, dice ai
suoi apostoli, sarete battezzati nello Spirito Santo” (At 1,5).
Ma, perché non si intenda affatto con questo un'effusione passeggera, ciò
che Nostro Signore chiama qui un battesimo, lo definisce altrove un abito:
“Sarete, dice ancora agli apostoli, rivestiti della virtù dall’alto” (Lc 24,49).
No, lo Spirito Santo venendo nella Chiesa non doveva discendervi come un
visitatore di passaggio, ma come un consolatore permanente e come un
ospite eterno. “Io pregherò il Padre, dice Nostro Signore ai suoi, e vi donerà
un altro Consolatore, perché dimori con voi eternamente; è lo Spirito di
verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vuole e non lo conosce;
ma voi, voi lo conoscerete, perché abiterà in voi e sarà in voi” (Gv 14,16-
17).
Queste parole del divin Maestro segnano evidentemente un modo di
abitazione nuova, nello stesso tempo più intima e più completa, dello
Spirito Santo negli apostoli e nella Chiesa.
Ascoltiamo su questo punto Sant'Agostino: “Prima della Pentecoste,
dice, gli Apostoli avevano lo Spirito Santo, e non l’avevano; perché non
l’avevano al grado in cui dovevano averlo.
L'avevano con restrizione; doveva essere dato a loro senza restrizione.
L’avevano segretamente; dovevano riceverlo pubblicamente” (In Joan.).
L’avevano, aggiungiamo noi, individualmente; dovevano riceverlo
collettivamente. Il carattere della missione dello Spirito Santo, il giorno
della Pentecoste, fu dunque di essere dato pienamente, sensibilmente,
collettivamente. Abitava in Nostro Signore con pienezza; in quel giorno
discese con pienezza nel Corpo mistico di Gesù Cristo che è la Chiesa; e
per questa presenza, accompagnata da tutti i doni celesti, la fece passare
immediatamente dall’infanzia all’età adulta.
Si manifestò in Nostro Signore in una maniera sensibile; discese
visibilmente sugli apostoli, e manifestò la sua presenza in loro attraverso
ogni sorta di operazioni meravigliose; e oggi manifesta la sua presenza nella
Chiesa attraverso dei segni più chiari del sole.
Era completamente in Nostro Signore. Ormai, lo fu completamente nella
Chiesa; non tutto intero in ogni membro, ma tutto intero nel corpo;
diversificando le sue operazioni seguendo la natura di ogni membro,
esprimendo la sua unità attraverso l’unità del corpo composto da tutte le
membra.
E’ per questo che noi diciamo che è stato donato agli apostoli, non
individualmente, ma collettivamente; fu loro donato per essere il loro
legame vicendevole, il legame della Chiesa, la causa permanente della sua
indissolubile unità.
Prima della Pentecoste, lo Spirito Santo portava la sua azione quaggiù,
ora in un punto ora su un altro; illuminava e santificava ora un’anima ora
un’altra; non risiedeva in un corpo, non aveva un centro d’azione
invariabile. Da allora, questo divino Spirito è stabilito a perpetua dimora nel
Corpo mistico di Gesù; è là il centro dove è stabilito, da cui irradia
sull’umanità tutta intera.
Tutto questo ci dà la chiave di lettura di una espressione di S. Agostino,
strana al primo momento, ma tanto giusta quanto profonda. Egli chiama la
Pentecoste: la natività dello Spirito Santo (Serm.). Per l’Incarnazione, il
Verbo si donò un corpo visibile; nacque al mondo, si manifestò agli uomini.
Allo stesso modo, alla Pentecoste, lo Spirito Santo entrò in un corpo
visibile, che è la Chiesa; vi entrò per esserne come l’anima, e per essa si
manifestò sensibilmente al mondo.
E’ disceso su Gesù il giorno del suo battesimo in forma di colomba,
simbolo d'innocenza, di dolcezza e d’amore. Discese sulla Chiesa nascente
sotto forma di lingue di fuoco, per mostrare che il corpo del Verbo sarà lui
stesso tutto verbo e nello stesso tempo tutta carità.
Lingue di fuoco, proselitismo bruciante, apostolato nella carità,
irraggiamento dello Spirito di verità su tutta la terra: ecco il carattere
immortale della Chiesa, e il suo connotato all’interno dell’umanità.
La dottrina che esponiamo tratta da S. Agostino è stata magnificamente
espressa da S. Gregorio Nazianzeno; è una gioia compara re queste due
luci. “Dalla Pentecoste, dice S. Gregorio, lo Spirito Santo è dato più
perfettamente; non è più solamente presente per ciò che opera come lo era
prima, ma dimora con noi, conversa con noi in una maniera che si può dire
sostanziale. Era conveniente che avendo vissuto il Figlio con noi
corporalmente, lo Spirito venisse anche Lui corporalmente; e che,
andandosene il primo, il secondo gli succedesse” (Oratio 41, in Pent.).
Le ultime parole di S. Gregorio ci mettono sotto gli occhi e ci invitano a
considerare la successione o, come dicevano gli antichi, la divina economia
dei misteri. Durante la sua vita mortale, Gesù aveva lavorato a formare il
corpo delle sua Chiesa, di cui aveva costituito la gerarchia e distribuito i
ministeri. Era un lavoro analogo a quello col quale Dio plasmò dalla terra il
corpo del primo Adamo; a questo corpo dotato di tutte le sue membra
restava da infondere lo spirito della vita; Dio lo fece e Adamo divenne
anima vivente (Gn 2,7).
Così Gesù, dall’alto dei cieli, effuse lo Spirito della vita sulla sua Chiesa;
ed ella si alzò, ed ella fu vivente di una vita immortale. Ma era necessario,
perché questa effusione avesse luogo, che Gesù fosse glorificato. “Se io non
me ne vado, disse ai suoi apostoli, lo Spirito non verrà; ma se io me ne
vado, ve lo manderò” (Gv 16,7).
Gesù non poteva inviare lo Spirito Santo che come Dio, unitamente al
Padre; perché procede da tutti e due. Era necessario, per fare questo invio,
che fosse per così dire riunito al Padre, essendo risalito al Cielo e assiso alla
sua destra.
Era inoltre conveniente che lo Spirito Santo, che procede dal Figlio, non
cominciasse quaggiù la sua missione che dopo che il Figlio avesse
terminato la sua. Nostro Signore insegna chiaramente che la missione dello
Spirito di verità è basata sulla sua propria. “Lo Spirito, dice ai suoi apostoli,
riceverà ciò che è in me e ve lo annuncerà” (Gv 16,14). Non aggiungerà alla
mia opera nulla di essenziale; vivificherà i germi che ho deposto. Prenderà
le mie parole e i miei misteri, ve ne donerà l’intelligenza, li scriverà nel più
intimo del vostro cuore. Farà circolare in voi una vita che prende la sua
sorgente in me”. Così ci è svelato il ruolo dello Spirito Santo nella Chiesa:
unisce le membra al capo, fa passare nelle membra la vita del capo divino
che le domina. Quando era sulla terra, Nostro Signore era in mezzo ai suoi
apostoli come il primo tra loro, ma sempre come uno di loro.
C’era tra lui e loro un legame in qualche modo individuale e mescolato
ad affetto umano. Ma sale al Cielo; da allora apparve come il capo che
domina il corpo, al quale per la pura fede tutte le membra si uniscono. Ed è
lo Spirito Santo che forma il legame. Esce da Gesù Dio e uomo, da Gesù
capo della Chiesa, come un fiume di vita impetuoso, e va ad espandersi in
tutte le membra, unendole, consolidandole, donando loro una coesione
potente che nessuna forza può dissolvere.
Così si spiega la parola dell’Apostolo: “Gesù è asceso al più alto dei
cieli, per tutto riempire” (Ef 4,10). E’ asceso per penetrare dei suoi influssi
tutte le membra del suo corpo mistico e attraverso esse il mondo intero. E’
salito come il sole, per inondare tutto col suo calore; e questo calore è lo
Spirito Santo.
Grazie a questo divino Spirito, Gesù è in comunicazione intima e
continua con i suoi fedeli; vive in essi, essi vivono in Lui. Gesù e la Sua
Chiesa, il capo e il corpo, formano una sola e stessa persone mistica. Poco
importano i luoghi e i tempi: c’è un’unità perfetta, grazie allo Spirito
immenso ed eterno. Grazie ancora a lui, questo Corpo mistico cresce e si
sviluppa come i corpi viventi, fino a un termine conosciuto da Dio, che sarà
la riunione piena di tutti gli eletti in Gesù Cristo, ciò che S. Paolo chiama la
piena misura dell'età perfetta di Gesù Cristo (Ef 4,13).
E questo termine, il Corpo mistico di Gesù Cristo lo attenderà
infallibilmente, sotto l'impulso vitale dello Spirito Santo che lo anima.
Questo sguardo dello Spirito Santo nella Chiesa ci porta a considerare
allo stesso tempo la sua azione esterna e la sua vita intima, a contemplare in
essa la dignità della Sposa e la tenerezza della Madre.
Oltre la soglia

In questi anni, da più parti si è ripetutamente detto che il Concilio


Vaticano II ha fatto riscoprire la bellezza della Chiesa. Che fino ad allora si
aveva avuta una visione giuridica e ristretta della Chiesa. Che la spiritualità
del passato e la teologia avevano bisogno di un profondo rinnovamento.
Noi non crediamo che questo sia vero. Ogni anima è chiamata a non
fermarsi alla soglia della Chiesa, ma ad approfondirne tutta la bellezza
lasciandosi guidare dalla grande tradizione teologica e spirituale, e questo in
ogni epoca.
Non è il Concilio Vaticano II a segnare un nuovo inizio su questo. Anzi
stranamente, proprio negli anni dopo il Concilio, si assiste ad uno
spaventoso impoverimento: parlando della Chiesa, molti si fermano alla
categoria vetero-testamentaria di “popolo di Dio”, perdendo tutta la
profondità mistica del passato insegnamento cristiano.
Troppe volte tutto è stato ridicolamente ridotto al “fare comunità”, e per
essere sinceri ancora oggi, nel vissuto di troppa chiesa siamo ancora a
questo livello. Si finisce per avere una visione sociale e politica della
Chiesa, e si perde sempre più uno sguardo cattolico su di essa.
Per convincersene, basta leggere questo capitoletto dell'opera di père
Emmanuel sulla Santa Chiesa: che saggezza, che luce colma di amore e di
preghiera per il disegno di Dio!
Lasciamoci guarire ed educare, alla scuola di questi grandi maestri, alla
scuola della Tradizione.
VII
Sposa e Corpo Mistico

Mostrando come la Chiesa sia uscita dal cuore trafitto di Gesù,


l’abbiamo dipinta come la nuova Eva sposa del nuovo Adamo.
Mostrando come lo Spirito Santo l’abbia riempita e vivificata nel giorno
della Pentecoste, l’abbiamo rappresentata come un corpo mistico la cui
testa, vale a dire Gesù glorificato, risiede nel più alto dei cieli. La Chiesa è
dunque la Sposa di Gesù, e nello stesso tempo essa è il corpo mistico di
Gesù. Questi due titoli non sono in opposizione, ma in armonia: armonia
così bella e così divina che, per sentirne un’eco, chiameremo in nostro aiuto
il grande maestro nelle cose divine, che si chiama Bossuet.
“Come, si domanda Bossuet, la Chiesa è il corpo di Gesù, e nello stesso
tempo la sua Sposa? Bisogna adorare l’economia sacra con la quale lo
Spirito Santo ci mostra l’unità semplice della verità, attraverso la diversità
delle espressioni e delle figure. “E’ nell’ordine della creatura di non poter
rappresentare che attraverso le pluralità raccolte l’unità immensa da cui è
sorta; così nelle similitudini sacre che lo Spirito Santo ci dona, bisogna
cogliere in ciascuna il tratto particolare che essa porta per contemplare nel
tutto riunito il volto intero della verità rivelata; dopo, bisogna passare tutte
le figure per conoscere che vi è nella verità qualche cosa di più intimo, che
le figure, né unite, né separate, non ci mostrano; ed è qui che bisogna
perdersi nella profondità del segreto di Dio, dove non si vede più niente, se
non è che non si vedono le cose come esse sono.
Tale è la nostra conoscenza, fin tanto che siamo condotti dalla fede.
Intendete attraverso questa regola generale le verità particolari che noi
meditiamo davanti a Dio.
Signore, donateci d’entrare, dato che ci avete dato la chiave in mano.
“La Chiesa è la sposa, la Chiesa è il corpo: tutto questo dice qualcosa di
particolare, e allo stesso tempo non dice in fondo che la stessa cosa. E’
l’unità della Chiesa con Gesù Cristo, proposta in una maniera e da punti di
vista differenti. La porta si apre; entriamo e vediamo, e adoriamo con fede,
e proclamiamo con gioia la santa verità di Dio. “L'uomo si sceglie la sua
sposa; ma è formato con le sue membra. Gesù Cristo, uomo particolare, ha
scelto la Chiesa; Gesù Cristo, uomo perfetto, è stato formato, e termina di
essere formato tutti i giorni nella Chiesa e con la Chiesa.
La Chiesa, come Sposa, sta a Gesù Cristo per scelta di Lui; la Chiesa,
come corpo, sta a Gesù Cristo per un'operazione molto intima dello Spirito
Santo di Dio.
Il mistero dell’elezione per l’impegno delle promesse si manifesta nel
nome di sposa; e il mistero dell’unità compiuta per l'effusione dello Spirito
si vede nel nome di corpo. Il nome di corpo ci fa vedere come la Chiesa sta
a Gesù Cristo; il titolo di sposa ci fa vedere che essa gli è stata estranea e
che è stato volontariamente Lui a cercarla.
Così il nome di sposa ci fa vedere l’unità per amore e per volontà; e il
nome di corpo ci porta a cogliere unità come naturale: di modo che
nell’unità di corpo appare qualcosa di più intimo, e nell’unità di sposa
qualcosa di più tenero. In fondo non è che la stessa cosa. Gesù Cristo ha
amato la Chiesa, e l'ha fatta sua sposa. Gesù Cristo ha compiuto il suo
matrimonio con la Chiesa, e l'ha fatta suo corpo.
Ecco la verità: Due in una sola carne, ossa delle mie ossa e carne della
mia carne; è ciò che è stato detto di Adamo ed Eva; ed è, dice l'apostolo, un
grande sacramento in Gesù Cristo e nella sua Chiesa.
Così l’unità di corpo è l’ultimo sigillo che conferma il titolo di sposa. Sia
lode a Dio per il concatenamento di queste verità sempre adorabili. “E’
proprio della saggezza di Dio che la Chiesa appaia sia come distinta da
Gesù Cristo, rendendogli i suoi doveri e i suoi omaggi; sia come non
essendo che una cosa sola con Gesù Cristo vivendo del suo spirito e della
sua grazia. “Il nome di sposa distingue per unire, il nome di corpo unisce
senza confondere, e rivela al contrario la pluralità dei ministeri: unità nella
pluralità, immagine della Trinità, è la Chiesa. “Oltre a questo, vedo nel
nome di sposa il segno della dignità della Chiesa.
La Chiesa, come corpo, é subordinata al suo capo; la Chiesa, come
sposa, partecipa alla sua maestà, esercita la sua autorità, onora la sua
fecondità. Così il titolo di sposa era necessario per far guardare alla Chiesa
come alla compagna fedele di Gesù Cristo, la dispensatrice delle sue grazie,
colei che dirige la sua famiglia, la madre sempre feconda e la nutrice
sempre caritatevole di tutti i suoi figli.” Così parla Bossuet.
Dopo una tale pagina noi dovremmo tacere. Se vi aggiungiamo qualche
cosa è per mostrare che essa non è solamente la brillante concezione di un
genio, ma inoltre, e vale di più, la fedele espressione della verità delle
Scritture. “Gesù Cristo, uomo particolare, si è scelto la sua sposa.” Leggete
i Vangeli, e in particolare quello di San Giovanni; vi vedrete la storia di
questa elezione, di questo amore, di questi sponsali, di queste nozze.
Gesù Cristo esce dal Padre e viene in questo mondo: perché? Per cercare
una sposa, come l’uomo lascia suo padre e sua madre per cercare la sua.
E incontra la sposa sulle rive del Giordano. San Giovanni Battista è là
come paraninfo che presenta a Gesù la sua fidanzata. “Non sono il Cristo,
dice, sono solo il suo precursore, colui che ha la sposa. E’ Lui (il Cristo ndr)
che è lo sposo; (sono solo) l’amico dello sposo, che sta là e che lo sente, e
gioisce alla voce dello sposo. Questa gioia mi è stata donata. Ora è
necessario che egli cresca e io sparisca” (Gv 3,28-30).
Più tardi, Gesù designa i suoi apostoli: e che nome dona a questi? Il
nome di “inviati”, scheliaschim, dal nome che prendevano i compagni dello
sposo quando andavano a cercare la sposa per condurla a lui. Gli apostoli
erano dunque i portatori del messaggio d’amore di Gesù alla sua Chiesa, la
quale doveva sorgere a sua volta dal giudaismo e dalla gentilità. Gesù stesso
si dona il dolce nome di sposo.
Ai farisei che si scandalizzano del fatto che i suoi discepoli non
digiunano, risponde: “Possono gli amici dello sposo affliggersi, mentre lo
sposo è con loro? Verrà l’ora in cui sarà loro tolto, e allora digiuneranno”
(Mt 9,15). Si vede da questa risposta che il titolo di sposo era uno dei nomi
del Messia, dalla tradizione giudaica: Nostro Signore lo assume, chi
potrebbe dire con quale contentezza!
Un tempo, lo sposo acquistava la sposa con il denaro; Nostro Signore
riscatta la Chiesa a prezzo del suo sangue. “Il Cristo, dice San Paolo, ha
amato la Chiesa, e si è offerto per lei, per darsi una Chiesa gloriosa senza
macchia né ruga, ma che fosse santa e immacolata” (Ef 5,27). Possiede la
sua sposa, avendola acquistata; l'ha acquistata, morendo per lei. Questa
morte d'amore chiude la vita di Gesù; e la sua sposa è conquistata
eternamente. Così Gesù, mentre è sulla terra, agisce con la sua Chiesa come
con una estranea di cui cerca misericordiosamente la mano, lui il Signore
dei cieli; è, dice Bossuet, il mistero dell’elezione per l’impegno delle
promesse che si compie.
Da quando è risalito al Cielo, e che su questa Chiesa ha effuso il suo
Spirito, essa è sempre la sua sposa; ma più ancora essa è il suo corpo. I
fedeli di Gesù sono diventati le sue membra. Un brano degli Atti degli
Apostoli ci rivela questa trasformazione, apparendo a San Paolo (all'epoca
Saul il persecutore della Chiesa) sulla via di Damasco, Gesù gli grida:
“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9,5). Perseguita la Chiesa: ed è
Gesù assiso alla destra del Padre che si dice perseguitato. “Vedete, dice
Sant'Agostino, si è fatto una sola persona, della testa e del corpo, di Gesù e
della Chiesa, dello sposo e della sposa; non essendo che una sola carne,
perché non dovrebbero avere una stessa voce?
Il Cristo parla nella sua Chiesa, il capo parla a nome del corpo. (In
sal.,30). Si sente che l’unità è stata consumata tra lo sposo e la sposa con
un’operazione molto intima dello Spirito Santo.
Sia lode a Dio, ripeteremo con Bossuet, per il concatenarsi di queste
Verità sempre adorabili!
Lo sguardo sulla Chiesa

Capitolo dopo capitolo siamo condotti ad uno sguardo veramente


cristiano sulla Chiesa. Ci sembra questa un'urgenza educativa inderogabile.
Anche nel mondo tradizionale si incontrano di tanto in tanto persone che
hanno uno sguardo più politico che cattolico sulla Chiesa. Forse a causa di
tante battaglie giuste, rischiano di acquisire uno spirito “partitico”, che alla
fine non permette una piena e autentica vita cristiana.
È necessario battagliare, è necessario lottare per la verità, anche nella
Chiesa, ma senza mai perdere uno sguardo totale di fede. In questa
vigilanza ci aiuta potentemente l'intelligenza teologica e spirituale del Père
Emmanuel Andrè.
VIII
La Chiesa, madre dei fedeli

La Chiesa è la sposa di Gesù Cristo e, come tale, è la madre dei fedeli.


Ella è il corpo mistico di Gesù Cristo; e, come tale, non è altro che l’unione
dei fedeli sotto Gesù Cristo come guida e come capo.
“Come, domanda Bossuet, la Chiesa è madre dei fedeli, se non è che
l’unione di tutti i fedeli? Come possiamo essere nello stesso tempo suoi
figli e sue membra?”. Bossuet ha posto la questione, donerà anche la
risposta.
“Lo Spirito che anima la Chiesa, dice, è uno spirito di unità: quindi
quando ella converte gli infedeli diviene loro madre, attirandoli alla sua
unità. Li genera a Gesù Cristo, non alla maniera delle altre madri
formandoli nel suo ventre, ma prendendoli dal di fuori per riceverli nel suo
ventre, incorporandoli a se stessa, e in se stessa allo Spirito Santo che la
anima, e attraverso lo Spirito Santo al Figlio che ce l'ha donato attraverso il
suo soffio, e attraverso il Figlio al Padre che lo ha inviato, affinché la nostra
società sia in Dio e con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, che vive e regna
nei secoli dei secoli in unità perfetta e indivisibile. Amen”.
Non si potrebbe dire meglio. No, la Chiesa non agisce come le madri
umane, lei, la Madre divina e immortale: queste si separano dal loro frutto
mettendolo al mondo, lei al contrario, non diviene nostra Madre che
identificandoci con se stessa; e questo Mistero d’unità, iniziato quaggiù, si
consuma nell’eternità.
Ma come la Chiesa ci incorpora a se stessa? Per il principio di unità che
è in essa, principio di una attività infinitamente potente; che è lo Spirito
Santo. Ma questo non agisce da solo e senza intermediari, in questa opera di
incorporazione; agisce attraverso gli organi di unità che Nostro Signore ha
disposto nel suo corpo mistico, cioè attraverso i ministeri sacri che ha creato
e distribuito in questo corpo.
Questi ministeri, nei quali bisogna onorare insieme l’unità visibile della
Chiesa e la sua fecondità spirituale, si riassumono nella persona dei
Vescovi, come l’episcopato tutto intero si riassume in quella del sovrano
pontefice. L’ordine del nostro oggetto domanda dunque che consideriamo le
guide della Chiesa, cioè i Vescovi e il Papa.

***

Abbiamo mostrato, parlando dell'Ordine sacro, come gli infedeli siano


attirati all’unità della Chiesa. Afferrati e come vinti dalla predicazione,
spogliati dell’uomo vecchio e rivestiti del nuovo con i sacramenti, passano
allo stato di membra di Gesù Cristo.
Ora la predicazione è un ufficio affidato ai ministri sacri, dal diacono
fino al Vescovo: quanto ai sacramenti, se i preti hanno il potere di
amministrarne alcuni, è solo il Vescovo che ne possiede il deposito
integrale.
Il Vescovo occupa dunque il sommo dei poteri sacri relativi
all’amministrazione dei sacramenti. Si può rappresentarseli sotto i tratti di
Gesù nell’Apocalisse. E’ vestito da una tunica ampia che significa la
pienezza del sacerdozio. Tiene nelle mani le sette stelle d’oro, cioè i sette
sacramenti. Avanza in mezzo a sette candelabri d’oro; perché è circondato
dai sette ministeri inferiori il di cui potere discende dal suo. Infine una
spada a doppio taglio esce dalla sua bocca: perché tutta la forza della
predicazione evangelica è depositata sulle sue labbra.
Il Vescovo è chiamato lo sposo della Chiesa che è chiamato a governare;
riceve l’anello in segno della sua unione con essa. E il nome di sposo gli si
addice bene: perché per lui, grazie ai poteri di cui è la sorgente e che
comunica ai suoi cooperatori, la Chiesa diviene feconda, genera al Signore
una moltitudine di figli.
Guardate fino a che punto arriva questa fecondità. In un Vescovo si
ritroverebbe tutta la Chiesa, supponendo per assurdo che essa possa essere
ridotta a lui solo. Questo Vescovo farebbe dei cristiani, dei confermati, dei
preti, degli altri vescovi. La Chiesa ridotta a lui solo sortirebbe da lui solo
come è uscita da Gesù Cristo. Perché il Vescovo è una perfetta immagine di
Gesù Cristo. L’unità della Chiesa è tanto più espressa nei Vescovi che,
anche se ce ne sono molti, l’episcopato è uno. “Sull'esempio della Trinità, la
cui potenza è una, indivisa, dice il papa Simmaco, non vi è che un
sacerdozio in diversi Vescovi.”
Il sacerdozio, in effetti, cioè questa sorgente nella quale è concentrato e
dalla quale deriva tutto il potere gerarchico, non è diviso tra i Vescovi;
sussiste tutto intero in ciascuno di essi, ricchi delle stesse grazie. I Vescovi
sono come le ostie consacrate, che tutte contengono lo stesso Gesù Cristo,
senza che ci siano per questo più Gesù Cristo. “La Chiesa, dice il nostro
grande Bossuet, è feconda per la sua unità. Il mistero dell’unità della Chiesa
è nei vescovi come capi del popolo cristiano; e di conseguenza l’ordine
episcopale racchiude in se la pienezza della fecondità della Chiesa.
L’episcopato è uno, come tutta la Chiesa è una: i Vescovi non hanno tutti
insieme che un unico gregge del quale ciascuno conduce una parte
inseparabile dal tutto: di modo che in verità sono per tutti, e Dio non li ha
divisi che per la comodità del ministero.
Ma, per compiere questo tutto in unità, ha dato un pastore che è per il
tutto, cioè l’apostolo San Pietro e in lui tutti i suoi successori.
E così, conclude, il mistero dell’unità universale della Chiesa è nella
Chiesa romana e nella cattedra di Pietro.” Ed è quello che andremo ora a
considerare.

***

San Cipriano chiama la Sede di Pietro: la sorgente dell'unità del


sacerdozio. L’espressione è meravigliosa per la precisazione e la forza che
esprime. L’episcopato è uno, perché tutti i Vescovi hanno lo stesso carattere
e il medesimo potere, ma è uno, soprattutto, perché c'è un Vescovo che è lo
stelo di tutti gli altri. E’ il Vescovo di Roma, è il Papa. Esaminiamo le sue
prerogative.
Il Papa, come Vescovo, non ha il potere di amministrare un numero più
grande di Sacramenti rispetto a tutti altri Vescovi. Ma il gregge di Gesù
Cristo gli è affidato, a lui primieramente e anteriormente a tutti gli altri; ed è
questo che costituisce la sua supremazia. E’ da lui che gli altri Vescovi
traggono il dovere di pascere e di governare una porzione del gregge.
Collocandosi in questa prospettiva, si può dire che tutti i Vescovi sono
nel Papa e che il Papa è in tutti i Vescovi, come le Chiese particolari che
reggono fanno parte della Chiesa Universale. E il Papa è in essi; perché è
attraverso di essi, come attraverso i suoi rappresentanti autorizzati, che
governa l’universalità del gregge.
Possiamo rappresentarci il Papa come il Vescovo-tipo, sul cui modello è
tratto tutto l’episcopato. Suo è tutto il gregge. Ma, non potendolo governare
da solo, si moltiplica nei Vescovi, e per loro mezzo, come dice Joseph de
Maistre, realizza una certa presenza reale in tutta la cattolicità.
Anticamente la Chiesa giudaica era legata a un popolo: aveva anche un
pontefice unico. La Chiesa cristiana è estesa al mondo intero; ha anche una
legione di pontefici, ma riassunti in un capo, che estende la sua
sollecitudine su tutto l'universo.
Guardiamoci bene dallo sminuire l’episcopato, verrà sminuito anche il
papato. Come il papato, l'episcopato è di istituzione divina. Raccolto attorno
al seggio di Pietro, rappresenta la pluralità nell’unità: è l'impronta della
bellezza della Chiesa. I Vescovi non sono dei semplici delegati del Papa;
sono principi in Israele, giudici nella Chiesa; al di sotto della cattedra di
Pietro, hanno la loro cattedra dottrinale; fanno parte integrale della Chiesa
docente. Il Sovrano pontefice apparirà tanto più elevato in dignità, facendo
partecipare alla maestà del suo trono un più gran numero di fratelli. Centro
dell’unità, la cattedra di Pietro è nello stesso tempo la più altra espressione
della fecondità della Chiesa. E’ il punto di partenza di un movimento
apostolico, che si propaga, rinnovandosi sempre, fino agli estremi confini
del mondo. Sempre la Chiesa romana, per il suo privilegio di Chiesa-madre,
è impegnata a fondare nuove Chiese.
Tutto confluisce ad essa; tende ad allargare la circonferenza nella quale
essa si irradia. Questa espansione perpetua viene da ciò che lo Spirito Santo
mantiene in essa, con la pura dottrina della verità, il carattere apostolico che
le deriva da San Pietro suo fondatore.
Lo spettacolo di questa unità feconda ed espansiva è magnifico; è, dice
San Cipriano, il focolare che brilla i suoi raggi; la sorgente che si divide in
ruscelli; l’albero che spinge da tutte le parti i suoi rami. La trama del
sacerdozio cattolico, emanante da Roma, abbraccia il mondo, come la
tunica di Aronne, sulla quale era descritto tutto l'universo.
Ma se, al posto di elevarci solo al di sopra degli spazi per contemplare
tutto l’episcopato riunito in un solo uomo, il Sommo Pontefice, ci eleviamo
al di sopra dei tempi, lo spettacolo aumenta ancora di più ai nostri occhi. In
tutte le successioni dei pontefici romani, non vediamo che San Pietro, e in
San Pietro Gesù Cristo esercitante temporalmente il suo sacerdozio eterno;
ed è in Lui e per Lui che si consuma il mistero dell’unità.

Il compito del successore di Pietro

“La fede è dunque il principio interiore dell’unità della Chiesa” : è


questa la verità di fondo, attraverso la quale affrontare il contenuto di
questo capitolo sull’infallibilità del Papa.
L’invito è di non darla per scontata. Oggi si parla molto del Papa, del
Vaticano, ma quanti ne parlano partendo dalla questione della fede? Non
solo il “mondo” parla del Papa senza partire dalla preoccupazione della
fede, molti anche nella Chiesa fanno così.
Non preoccupati della custodia della fede, considerano il Papa, magari
con grande rispetto, per questioni che vengono dopo la fede, unità,
obbedienza, evangelizzazione, pace...
Questo modo di fare annulla di fatto il compito del successore di Pietro,
che deve custodire il deposito della fede e confermare in essa i fratelli.
Non chi dice “viva il Papa, viva il Papa” obbedisce a Pietro, ma chi
preoccupato della fede, senza la quale non si può piacere a Dio, chiede di
essere confermato nell’unico Credo cattolico.

IX
L’infallibilità del Papa
Sant'Agostino chiama la sede di Pietro: la cattedra dell'unità. Ora,
aggiunge, in questa cattedra dell'unità, Dio ha collocato la dottrina della
verità. Lì dov'è l'unità, la è la verità: quale indicazione illuminante! L'errore
è mutante, la verità è immutabile; l'errore ha mille volti, la verità è una;
l'errore divide, la verità unisce.
Se la Chiesa è una, è perché è in possesso della verità, o piuttosto è
perché lo Spirito di verità ha preso possesso di essa. Ed è dal centro della
sua unità che si irradia la luce della verità. La verità, quaggiù, è la fede. La
fede è dunque il principio interiore dell'unità della Chiesa. San Paolo ci fa
conoscere molto chiaramente quale sia la costituzione della Chiesa, con
queste semplici parole: “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo
(Ef. 4,5)”.
La Chiesa è un corpo, di cui noi siamo le membra, e di cui Gesù Cristo è
il capo: un solo Signore! Ora è la fede che unisce le membra viventi sulla
terra al capo che è in Cielo: una sola fede! Quanto al battesimo, è il
sacramento della fede, cioè lo strumento e il segno pubblicamente della
nostra incorporazione a Gesù Cristo che si fa interiormente per la fede: un
solo battesimo!
Tutta la Chiesa, visibile e invisibile, è in questi tre termini. È chiaro che,
se la fede potesse spegnersi nella Chiesa, non ci sarebbe più Chiesa: ogni
legame sarebbe spezzato tra la terra e il Cielo; l'umanità navigherebbe alla
deriva fuori da Dio e dal suo Cristo.
San Paolo insegna che Gesù Cristo abita nei nostri cuori per la fede (Ef
3,17). Avrebbe potuto dire: per la carità. Dice: per la fede, perché la fede è
la radice prima della carità e di tutta la vita cristiana.
La fede è l'anima dei sacramenti: cosa sarebbero senza la fede della
Chiesa che agisce in essi, o piuttosto grazie alla quale Gesù Cristo stesso,
che li ha istituiti, agisce in essi? Dei segni vuoti e inefficaci.
I sacramenti operano i loro effetti meravigliosi indipendentemente dalla
fede del ministro che li applica; ma non indipendentemente dalla fede della
Chiesa. È essa che provoca l'azione divina, per le mani dei ministri buoni o
cattivi. La fede è dunque nello stesso tempo sia il legame dell'unità della
Chiesa quaggiù, che la virtù che la rende feconda. Per questo era di primaria
necessità che Nostro Signore, istituendo la sua Chiesa, provvedesse al
mantenimento integrale della fede fino alla fine del mondo. Vi ha
provveduto, promettendo, poi donando alla sua Chiesa lo Spirito di verità:
“Pregherò il Padre, dice agli apostoli, e vi invierà un altro Consolatore,
perché dimori con voi eternamente. È lo Spirito di verità. Quando lo Spirito
di verità sarà venuto, vi insegnerà tutta la verità” (Gv 14,16 e 16,13).
È evidente che, essendo lo Spirito di verità nella Chiesa a perpetua
dimora, la fede vi risplenderà per sempre. Ma dove e come manifesta la sua
azione illuminatrice? La fede è quaggiù il comune patrimonio dei figli di
Dio. Una sola fede, dice l'apostolo. Per la fede, ogni fedele entra in
partecipazione dell'eterna verità; è in rapporto con lo Spirito di verità.
Bisogna dunque rispondere che questo Spirito di luce manifesta la sua
presenza in tutte le membra della Chiesa, fino a quelle più umili.
Tuttavia non si manifesta in tutti alla stessa maniera. Nella Chiesa
visibile, come nell'uomo stesso, occorre distinguere la testa e il corpo; la
testa, o la Chiesa docente, sono i pastori e i dottori (Ef 4,11); il corpo, o
Chiesa discente, sono i semplici fedeli. Nella testa, lo Spirito Santo si
manifesta attraverso un insegnamento che esclude l'errore e che comprende
tutta la verità; nel corpo, si manifesta attraverso una rettitudine, proveniente
dalla fede, che gli fa accettare docilmente l'insegnamento dei pastori.
Sant'Agostino fa capire l'immensa differenza che esiste, dal punto di
vista dei doni soprannaturali, tra Gesù Cristo e noi, attraverso la stessa
comparazione del capo e delle sue membra; nel capo sono riuniti tutti i
sensi, fatto che dona ad esso una conoscenza molto perfetta del mondo
sensibile; le altre membra non hanno che un solo senso, il tatto, che dono ad
esse un conoscenza molto limitata; è così, conclude, che tutti i doni
soprannaturali sono riuniti ad un grado eminentissimo in Gesù Cristo nostro
capo; e che noialtri, che siamo sue membra, vi partecipiamo in una misura
ristretta ma nonostante questo molto reale (De agone christiano).
La stessa comparazione può essere utilizzata, salvate tutte le
proporzioni, in rapporto ai capi visibili della Chiesa e ai semplici fedeli. I
primi, che hanno la missione di insegnare la fede, godono certamente di una
grazia particolare che la fa loro cogliere con pienezza e annunciare con
precisione; perché è ai pastori e dottori, nella persona degli apostoli, che lo
Spirito illuminatore è stato direttamente promesso. Ma i secondi (i fedeli
ndr.) non sono sprovvisti di un certo discernimento nelle cose della fede,
che fa loro accettare gioiosamente la verità e ripudiare la menzogna, come
per un istinto soprannaturale.
Un insegnamento eretico offende le orecchie del popolo cristiano, irrita
la sua coscienza, talmente il senso della fede è delicato in esso. Tutto questo
ci fa comprendere il modo di agire dello Spirito Santo nella Chiesa.
Diffonde e mantiene la fede dappertutto; la fa fluire in tutte le vene di
questo grande corpo come un sangue puro e generoso. In più, nello stesso
tempo in cui dona ai pastori e ai dottori delle luci per cogliere e formulare il
dogma, dona ai semplici fedeli una grazia per discernerli da tutto il
groviglio umano, per nutrirsene, per assimilarli.
E così, tutte le membra dimoreranno unite nella verità e nella pace. Qual
è, in questo insieme imponente, il ruolo del Papa? Eccolo, è grande e
meraviglioso.
Lo Spirito di verità è stato donato ai pastori e dottori collettivamente, ma
non individualmente. Risiede in essi in generale: per questo il loro
insegnamento unanime su un dato punto è una pietra d'angolo della verità.
Non risiede in ciascuno di essi: da cui segue che ciascuno di essi, preso
individualmente, può sbagliarsi. Questo Spirito divino è al contrario unito
specialmente e inseparabilmente alla cattedra di Pietro e alla persona del
Papa che vi è assiso. Questa assistenza speciale, individuale, perpetua è il
frutto di una preghiera di Nostro Signore: Pietro, ho pregato per te, perché
la tua fede non venga meno (Lc 22,32). In conseguenza di questa preghiera,
il Papa, che presiede ai pastori e dottori della Chiesa, solo tra tutti è
infallibile. Lo Spirito di verità, che può abbandonare questo o quel pastore e
dottore, non lo abbandonerà mai, lui che è il supremo pastore e il primo dei
dottori.
Ordinati attorno a lui, uniti alla sua fede inviolabile, i pastori e dottori
della Chiesa formano quell'esercito celeste di cui parla la Scrittura, e per il
quale essa intende tutti gli astri del firmamento distribuiti in brillanti
costellazioni. E colui che volesse separarsi da esso, diventerà uno di quei
astri erranti, che vanno a spegnersi per sempre, dice San Giuda, in una
tempesta tenebrosa (Giuda 13). Il sole è il centro di un sistema planetario:
se voi eliminate il centro, i pianeti, uscendo dalle loro orbite, porterebbero
la confusione nel cielo. A tutto l'insegnamento della Chiesa, a tutti i maestri
in Israele, occorreva un centro nello stesso tempo fisso e luminoso: è la
Chiesa romana, è la sede di Pietro. È detto nell'ufficio degli Apostoli che la
loro dottrina fa risplendere la Chiesa, come il sole fa brillare la luna
(responsorio VII). L'insegnamento apostolico sussiste integralmente nella
cattedra di Pietro: “Per questo, dice magnificamente San Massimo, tutti i
confini del mondo si volgeranno verso di essa, come verso il sole dell'eterna
luce.”
Abbiamo mostrato come il potere gerarchico, che è formalmente uno nei
vescovi, si riassume in un pastore universale che è il Papa. Ora, mostriamo
come l'insegnamento della fede, che deve essere una su tutte le labbra, si
esprime infallibilmente attraverso una sola bocca, la bocca del Papa.
Essendo la Chiesa visibile, occorreva necessariamente che l'unità della
fede, che è il legame interiore delle anime a Gesù Cristo, si esprimesse
esteriormente in un uomo eletto da Dio, che proclamasse la fede e decidesse
in ultima istanza le questioni che la riguardano. E quest'uomo doveva essere
messo in evidenza, perché ciascuno lo ascoltasse. Abbiamo chiamato il
Papa, capo della Chiesa, e interprete della sua fede. È in lui che la nostra
fede si manifesta a tutti; è per lui che essa risuona nel mondo. Quando il
sovrano pontefice promulga un punto di dogma, non inventa nulla; ascolta
la nostra fede nel respiro delle nostre anime, dice il Padre Lacordaire;
l'ascolta, poi la formula, poi la propone al mondo. In questo lavoro, lo
Spirito Santo lo assiste, in modo che non possa sbagliare: ecco il mistero
dell'infallibilità.
Tutti i secoli cristiani hanno salutato l'infallibilità. I Padri di tutti i
concili, per ottenere conferma dei loro decreti, si sono sempre rivolti a colui
al quale Nostro Signore ha detto: Conferma i tuoi fratelli (Lc 22,32). Da più
secoli, delle nubi erano state accumulate dai protestanti e dal gallicanesimo;
hanno intercettato i raggi dell'infallibilità pontificia; hanno portato, ahimè!
un grande raffreddamento della fede.
Il concilio Vaticano (Vaticano I, ndr.) ha soffiato su queste nubi; possa la
luce, che viene da Roma, riscaldare potentemente le anime ridonando loro
la fede!
Uno sguardo soprannaturale

“L'anima della Chiesa, propriamente parlando, sono tutte le anime in


stato di grazia.” “Per farne parte, non è sufficiente l'essere stati battezzati,
non è sufficiente nemmeno il professare la fede cristiana, occorre essere in
grazia di Dio.” “L'anima della Chiesa lotta: contro quali nemici? Contro
gli uomini carnali che sono in essa e che la fanno soffrire e gemere.”

Basta trascrivere queste tre frasi tratte dal Capitolo X dell'opera “La
sainte Église” del Père Emmanuel, per rendersi conto di essere di fronte a
tutto un modo di affrontare la conoscenza del mistero della Chiesa per noi
alquanto nuovo.
Dopo decenni di sociologismo ecclesiastico, di politica sulla Chiesa, di
indagini giornalistiche sulla situazione dei cattolici, come è commovente
stare di fronte a un discorso sulla Chiesa che attinge alla vita
soprannaturale. Leggiamolo, meditiamolo; assaporiamo queste pagine
sull'anima della Chiesa. Facciamone oggetto di confronto tra di noi,
parliamone, sarà il miglior modo per vivere profondamente il nostro amore
alla santa madre Chiesa.
Questo scritto è un vero antidoto al terribile virus del naturalismo che ha
invaso tanti cattolici di questi tempi: guardano alla Chiesa come a una cosa
naturale, umana, quasi fosse una questione politica.
Anche molti di coloro che vivono una sincera vita di fede, che sperano
tutto dal Signore e dalla sua grazia, quando considerano la vita della Chiesa,
giudicano le cose in modo troppo umano, non ricavano i giudizi da questo
sguardo soprannaturale, che è il solo veramente cattolico.
X
L’Anima della Chiesa

Nei nostri capitoli precedenti, abbiamo fatto conoscere il corpo della


Chiesa, “di cui tutte le parti, come dice San Paolo, sono unite e legate dalle
giunture dei ministeri” (Ef 4,16). Andiamo ora a considerare la sua anima.
Quest'anima, che cos'è? È forse lo Spirito Santo? Sì e no. Lo Spirito
Santo si chiamerebbe più giustamente l'anima dell'anima della Chiesa.
L'anima della Chiesa, propriamente parlando, sono tutte le anime in stato di
grazia, fuse insieme sotto l'azione dello Spirito Santo, in modo da realizzare
la parola degli Atti degli Apostoli: “un cuor solo e un'anima sola (At 4,32)”.
Questa anima unica, composta da tutte le anime unite nella carità, è ciò che
intendiamo per anima della Chiesa. Per farne parte, non è sufficiente
l'essere stati battezzati, non è sufficiente nemmeno il professare la fede
cristiana, occorre essere in grazia di Dio. E chiunque non appartiene
all'anima della Chiesa, pur conservando il legame esterno dell'unità,
conservando pure un resto di fede, è un cadavere di cristiano: è un ramo
morto, che è destinato al fuoco, a meno che la penitenza non lo faccia
rinverdire.

***
A quest'anima della Chiesa, sant'Agostino ha dato un nome, un nome
dolce e bello come essa; la chiama la colomba. L'ha chiamata così, dal
Cantico dei Cantici: “una è la mia colomba, mia tutta bella (Ct 6,8)”. E
ancora: “alzati, affrettati, mia colomba, mia tutta bella, e vieni! (Ct 2,10)”.
Lo stesso Padre chiama ancora l'anima della Chiesa, da un'altra espressione
del Cantico dei Cantici, il giardino chiuso, nel quale non si trovano che
degli alberi verdi e rigogliosi, e che racchiude la fontana sigillata, immagine
dello Spirito Santo. (Lib. II Ad Cresc.)
Lo Spirito Santo, sorgente d'acqua viva, vento di mezzogiorno, conserva
nel giardino chiuso una primavera perpetua; fa regnare nell'anima della
Chiesa, con la giustizia, una pace e una gioia che rinascono sempre (Rm
14,17). Regnante come maestro nell'anima della Chiesa, la fa lavorare e
lottare. Il lavoro e la lotta per la generazione delle anime; questo lavoro è
quello nel quale il male è vinto con la forza del bene (Rm 12,21). L'arma,
con la quale lavora e lotta l'anima della Chiesa, è la preghiera, ma una
preghiera umile, ardente e incessante; una preghiera che è un gemito, il
gemito della colomba. A questo gemito corrisponde una perenne effusione
di grazie, che attira le anime all'unità della carità.
Vogliamo conoscere la preghiera che si libera giorno e notte dall'anima
della Chiesa? È il Padre nostro, ma il Padre nostro proferito con un gemito
inenarrabile che forma lo Spirito Santo (Rm 8,26). L'anima della Chiesa
domanda infaticabilmente la santificazione del nome di Dio, l'avvento del
suo regno, il compimento della sua volontà, il dono del pane quotidiano, la
remissione dei peccati, il soccorso nelle tentazioni, la liberazione dal male.
E questa preghiera è esaudita infallibilmente nella misura in cui essa si
produce: perché è di essa che Nostro Signore ha detto: “tutto ciò che
domanderete al Padre mio, Egli ve la darà (Gv 15,16)”.
Pregando così, l'anima della Chiesa lotta: contro quali nemici? Contro
gli uomini carnali che sono in essa e che la fanno soffrire e gemere. Lotta
contro di essi, per spogliarli della loro vita di peccato, e per comunicare loro
la vita della grazia. Essi resistono; e questa resistenza produce in seno alla
Chiesa uno strappo doloroso. È la lotta di Giacobbe e di Esaù nel seno di
Rebecca. “Ciò che lo spirito fa contro la carne, dice Sant'Agostino,
battagliando, non per odio, ma per amore, gli spirituali lo fanno contro i
carnali. Ma la guerra degli spirituali è una reprimenda in spirito di carità, la
loro spada è la parola di Dio” (Contra epistolam Parmeniani, libro II). “Gli
eletti e i riprovati, dice a sua volta Bossuet, sono nel corpo della Chiesa: gli
eletti, come la parte alta e spirituale; i riprovati, come la parte inferiore e
carnale, la carne che lotta contro lo spirito.
La Chiesa soffre in questo una incredibile violenza, più grande dei dolori
del parto, perché, sentendoli (i carnali, ndr) nell'unità del suo corpo, ella si
tormenta per attirarli all'unità del suo spirito; e nessuna persecuzione le è
più dura che la loro resistenza ostinata. “Essa geme in continuazione nei
giusti che sono la parte celeste per i peccatori che sono la parte terrestre e
animale; e la conversione dei peccatori è il frutto di questo gemito interiore
e perpetuo. Dio non si lascia piegare che per i gemiti di questa colomba;
voglio dire per le preghiere, mischiate di sospiri, che fa la Chiesa nei giusti
per i peccatori; ma Dio esaudisce la Chiesa, perché ascolta in essa la voce di
suo Figlio. Tutto ciò che si fa per la Chiesa, è Gesù Cristo che lo fa; tutto
ciò che fa Gesù Cristo nei fedeli, lo fa per la santa Chiesa. Amen.” “La
Chiesa sospira in questi stessi giusti per tutte le anime sofferenti, o meglio
sospira in tutte le anime sofferenti e provate per tutte le anime sofferenti e
provate: le loro sofferenze, la loro oppressione porta grazia, sostegno e
consolazione le une per le altre.”
Ed ecco come ama, come prega, come lavora l'anima della Chiesa, nello
stesso tempo gioiosa e sofferente, nello stesso tempo in pace e in guerra; ma
la guerra è fuori di essa, la pace di dentro, la sofferenza è transitoria, la
gioia sarà eterna.

***

L'anima della Chiesa ci mostra l'azione dello Spirito Santo in ciò che
essa ha di più intimo e di più nascosto. Lo Spirito Santo riempie il corpo
mistico di Gesù; le sue operazioni sono di tre tipi. Innanzitutto, agisce nella
gerarchia cattolica attraverso la via dei sacramenti. Questa azione si
produce allo stesso modo su tutti i punti del globo dove esiste la Chiesa.
Essa ha un lato essenzialmente sensibile e percepibile. E' per essa che la
Chiesa è una società visibile. L'unità gerarchica e sacramentale è per così
dire l'unità organica della Chiesa.
Secondariamente, agisce come Spirito di verità, per l'insegnamento della
dottrina rivelata. Questa azione si produce su tutti i punti della Chiesa, ma
essa ha il suo centro a Roma. Essa ha il suo lato esteriore e il suo lato
interiore: tuttavia è soprattutto interiore.
L'unità della fede e della dottrina costituiscono l'unità morale della Chiesa.
Infine lo Spirito Santo agisce come Spirito di amore, per la diffusione della
carità nei cuori (Rm 5,5).
Questa azione si manifesta al di fuori per una fioritura di opere di carità,
che dona alla Chiesa un aspetto d'eterna giovinezza. Ma in se stessa, è del
tutto interiore, molto segreta e molto nascosta, anche quando si produce
sotto il velo e per l'azione dei sacramenti. Essa non ha un centro visibile
sulla terra, come l'insegnamento della fede; ha il suo centro in Cielo, nel
cuore di Nostro Signore, e secondariamente nel cuore della Vergine
Santissima. Essa fa l'anima della Chiesa, che è invisibile.
Diffondendo la carità nei cuori, lo Spirito Santo dona alla Chiesa il suo
supremo carattere di unità. Ciò che fa l'unità di un popolo, non è né l'unità
costituzionale, né la stessa unità di lingua ma piuttosto quel sentimento
interiore e potente che si chiama patriottismo.
Così è la carità che è il vero legame di unità nella Chiesa; aggiungiamo
tuttavia che non si forma che per la verità. San Cipriano ha detto: “Un solo
Dio, un solo Cristo, una sola Chiesa. Come Dio è assolutamente uno, come
Gesù Cristo è assolutamente uno, la Chiesa deve essere assolutamente una.”
Questa tendenza all'unità perfetta non si può realizzare sulla terra. Il
legame delle membra della Chiesa, quaggiù, è la fede, è la sotto- missione
ad un unico capo visibile: ma sotto il velo di questa unità si prepara un'unità
più alta e definitiva, quella il cui legame sarà la carità pura, e di cui la
manifestazione è riservata al Cielo.
Allora, come dice San Paolo, Dio sarà tutto in tutti; allora, secondo San
Giovanni, saremo simili a Dio; allora la Chiesa apparirà nella sua gloria,
senza macchia e ruga alcuna; allora lo Spirito Santo manifesterà la sua
opera. Fino ad allora, lavora in segreto alla formazione dell'anima della
Chiesa; e questo segreto è talmente impenetrabile che anche coloro che ne
fanno parte non sanno per una scienza assoluta di farne parte.
L'anima della Chiesa è rivestita di una nube luminosa che acceca
l'occhio umano. Adoriamo il segreto di Dio!
L'intercessione dei Santi e di Maria.

È tutto dottrina purissima, illuminante per entrare nelle profondità del


mistero della Chiesa. Conforto dolcissimo per capire quale valore hanno le
anime sante che nascostamente vivono l'uione con Dio, quale ruolo decisivo
abbiano nella Chiesa.
Oggi, anche nel mondo tradizionale, il rischio è quello di fermarsi alle
cose esteriori, alla sola gerarchia visibile, e non penetrare dentro la vita
interiore della Chiesa: così facendo la nostra vita cristiana non spiccherà il
“volo” della santità, e le nostre anime rischieranno di restare delle anime
carnali.
P. Emmanuel si sofferma un poco sulla potentissima intercessione di
Maria a favore della Chiesa e dei peccatori. Sono parole che portano verità
impressionanti e capitali: altro che “ridimensionare” il ruolo di Maria per
non fare ombra alla salvezza di Cristo! E per piacere ai pro- testanti! È
l'esatto contrario: riconoscere la grandezza di Maria è volontà di Dio.
Alla luce delle parole del grande monaco di Mesnil Saint-Loup, diventa
più chiaro il ruolo essenziale di Maria nella storia della Chiesa e di ogni
anima.

XI
L'intercessione dei Santi e di Maria

Noi capiamo difficilmente, dice il libro della Sapienza, le cose che sono
sulla terra e troviamo con difficoltà quelle che sono alla portata dei nostri
occhi; quanto a quelle che sono in cielo, chi le potrà penetrare? (Sap. 9,16)
L'uomo può ben, ad esempio, studiare il corso di un fiume, fosse anche
al prezzo di mille difficoltà. Ma non può seguire la traccia del vento, pesare
l'acqua delle nuvole, farsi un computo rigoroso dei fenomeni celesti; e la
sua scienza al riguardo si riduce a un cumulo di ipotesi. È così, a più forte
ragione, per il mondo spirituale.
Certi fenomeni passano sotto i nostri occhi, e prendono una forma
sensibile, come la distribuzione delle grazie attraverso i sacramenti, ma altri
fenomeni si producono in modo molto nascosto e molto misterioso, come
quella pioggia di grazia che cade segretamente nelle anime, e che è dovuta
all'intercessione dei santi.
Sappiamo che i santi pregano, sappiamo che le loro preghiere attirano
sulla Chiesa la pioggia del Cielo; ma non possiamo seguire il volo di queste
preghiere, né calcolare la quantità di grazia che ne risulta, né valutare i frutti
che esse producono.
Tuttavia la nostra ignoranza è illuminata dallo Spirito Santo; e il poco
che sappiamo sui misteri del mondo invisibile è di natura tale da causarci
una grande gioia. Non temiamo dunque di avvicinarci a ciò che
sant'Agostino chiama un grande mistero, che chiama la dispensazione
occulta della misericordia divina (De baptismo contra Donatistas). “Colui
che può capire, dice S. Agostino, come Dio, autore di tutte le creature, le
governi tutte per la mediazione delle anime sante, che fa suoi ministri in
Cielo e sulla terra (perché è lui che le fa come sono, e nella creazione
occupano il primo rango); colui che può capirlo, che lo capisca, ed entri
così nella gioia del suo Signore” (De agone christiano).
Con queste magnifiche parole, il grande Dottore ci apre la porta, e ci
introduce lui stesso nella gioia del Signore: entriamo, ammiriamo,
adoriamo. Constatiamo in primo luogo che le anime sante sono vicine a Dio
(Sap. 6,20). Essendo vicine a Dio, è chiaro che tengono il primo rango nella
creazione. Ora, è un principio formulato da S. Denis, Dio riconduce a sé le
creature che sono lontane da lui attraverso quelle che sono vicine a lui.
Conseguentemente le anime sante sono, in Cielo e sulla terra, i ministri
delle sue adorabili e benevole volontà. Vicine a Dio per la loro purezza,
penetrate dai suoi splendori in ragione di questa stessa purezza, esse
servono a diffondere ovunque le influenze divine.
In verità, la potenza di cui sono rivestite e di cui ci meravigliamo. Vi è
dunque nella Chiesa una gerarchia visibile; ma questa gerarchia è nella
dipendenza della misteriosa gerarchia delle anime sante. I vescovi, i preti,
predicano, battezzano; ma sono quelle (le anime sante ndr) che, per le loro
preghiere, rendono la predicazione feconda e assicurano gli effetti dei
sacramenti.
La loro lingua è la chiave del cielo; e la salvezza delle anime dipende da
loro innanzitutto. Esse sono perfettamente sottomesse a Dio; e per questo
motivo, Dio sottomette loro tutto, anche gli angeli cattivi. Perché Dio, dice
S. Agostino, governa attraverso la creatura intelligente che vive nella
rettitudine, quella che si è pervertita. Esse sono nascoste, così bene nascoste
nella loro umiltà profonda, che esse si ignorano da se stesse; e sono esse che
sostengono tutto nella Chiesa, come il cuore che non si vede e che si sente
appena battere, sostiene tutto l'uomo. Formano la più pura e la più spirituale
porzione dell'anima della Chiesa, a fianco ad esse, ci sono delle anime
ancora carnali, che esse portano e mantengono nella sfera della grazia, sotto
l'azione dello Spirito Santo. Esse sanno così bene far fruttificare il tesoro
delle indulgenze, da procurare alle anime del purgatorio un inestimabile
sollievo.
Vi sono tra esse e i santi del Paradiso delle meravigliose affinità; e si può
dire che in generale non ci vengono in aiuto se non attraverso la loro
mediazione. Vivendo in un corpo mortale, e avendo i loro affetti lassù, esse
sono un legame di unione tra l'altare e il Cielo, come dei fili che legano due
continenti separati da abissi.
Ci si può domandare se siano più utili alla Chiesa i santi del Cielo, o i
santi della terra: i primi, senza dubbio, sono più potenti; ma sono gli ultimi
che li provocano ad agire, e che sono loro rappresentanti quaggiù fino a
quando li raggiungeranno lassù.
Abbiamo sufficientemente detto per far capire come il buon stato della
Chiesa dipende dal numero delle anime sante che porta nel suo seno, e dal
loro grado di santità. Ecco perché bisogna gridare a Dio: Mio Dio, donaci
dei santi!
Ci si permetta di citare un brano che abbiamo letto poc'anzi nella vita di
una santa religiosa morta da più di quarant'anni. Agonizzava. La duchessa
di (…), curvandosi verso di lei, le domandò: “Madre mia, che ne pensate?
Rivedremo noi Enrico V?”. La morente, già coperta di un sudore freddo, e
non vedendo le cose di quaggiù che nella luce dell'eternità, rispose: “Ah!
Dio è ben più occupato a fare dei santi che a fare dei re!”. Furono le sue
ultime parole. Morì poco dopo.
Sì, Dio è ben più occupato a fare dei santi che a fare dei re! Gli stessi
buoni re sono una grazia preziosa accordata alla preghiera dei santi. E
d'altronde i santi non sono forse dei re, che Dio riveste di una potenza tanto
più grande quanto è invisibile? Come non chiamare re coloro a cui tutto è
sottomesso, poiché essi stessi sono sottomessi a Dio?
Tutta la potenza che Dio depone nelle anime sante è un passaggio di
quella che ha posto in Maria, Madre di suo Figlio Gesù. Maria, come
dicono i Greci, è la tutta santa: per eccellenza, essa è pura; per eccellenza, è
vicina a Dio; per eccellenza, è la dispensatrice della misericordia divina, è
la distributrice delle grazie.
Nella sua onnipotente intercessione è contenuta la salvezza del mondo.
Donando tutto a Maria, non togliamo nulla a Gesù. Perché Gesù stesso, dal
quale abbiamo tutto, vuole che abbiamo tutto attraverso Maria (S.
Bernardo). I magnifici privilegi di Maria sono stati proclamati, cantati da
tutti i teologi: ma la grande voce della Chiesa, nella liturgia, domina tutte le
loro voci. Cosa poteva dire di più ardito la Chiesa in onore di Maria, che
applicarle le parole che, nella loro accezione prima, sono relative alla
Sapienza eterna?
La Sapienza eterna, è Gesù Cristo, Verbo eterno, fatto carne per la nostra
salvezza. Tutto ciò che è del Figlio è della Madre. Così pensa la Chiesa. La
Chiesa ci mostra Maria, sotto i tratti della Sapienza, presiedente alla
formazione di un mondo che è la Chiesa stessa: ella vi opera, ella vi dispone
ogni cosa; colui che la trova, trova la vita, e attinge la salvezza del Signore
(Prov. 8,22-35; Epistola della festa dell'Immacolata Concezione).
Altrove Maria ci è presentata come regnante da sovrana nel popolo dei
santi. Dio le dice: “abita in Giacobbe, fa la tua dimora in Israele, metti le
tue radici tra i miei eletti”. E Maria abita nella pienezza dei santi (Sir.
24,12-16; epistola del comune della Beata Vergine).
Altrove ancora, è proclamata la madre del casto amore, del timore, della
scienza, della santa speranza. In lei è ogni grazia che guida e illumina; in lei
ogni speranza di vita e di virtù (Sir. 24,23-31; Epistola della festa del Cuore
immacolato di Maria).
Emerge chiaramente da questi testi che Maria esercita un'influenza
universale della grazia sul popolo dei santi; e che Dio distribuisce attraverso
le sue mani le ricchezze della sua misericordia.
Riassume e concentra in lei tutta questa potenza di intercessione che è
versata nell'anima della Chiesa; è l'organo primo e necessario di tutta questa
mediazione supplicante che i santi esercitano in favore dei peccatori. E non
solamente intercede come supplicante, ma agisce come avvocata; non
solamente agisce come avvocata, ma interviene come madre.
Vedremo, nel prossimo capitolo, i rapporti di Maria con la Chiesa; e
constateremo che la Chiesa tutta intera è una riproduzione della creatura
unicamente bella, unicamente accetta a Dio, che ha dato la nascita nel
tempo a suo Figlio Gesù.
Maria Santissima e la Chiesa

Siamo in un'epoca senza precedenti per la crisi della fede e per la


confusione dottrinale nel Cattolicesimo.
Il rischio è quello di sentirsi, come cattolici tradizionali, sempre in
battaglia con ciò che non va nella Chiesa, dimenticando che dell'opera di
vigilanza della fede fa parte soprattutto il lavoro spirituale su di sé.
Quando è più forte la crisi nella Chiesa e quando più duramente occorre
far fronte alla battaglia per difendere il Cattolicesimo di sempre, in quel
momento occorre che sia più profondo il lavoro spirituale nella preghiera e
sia più ampio lo sguardo mistico sulla Chiesa stessa, pena il perdersi nella
battaglia stessa.
Ci aiuta mirabilmente in questo P. Emmanuel: leggiamo, studiamo,
meditiamo questo capitolo sul rapporto tra la Santa Vergine e la Chiesa,
perché la nostra difesa della Tradizione non sia mai disgiunta da un vero
sguardo soprannaturale.
XII
La Chiesa e la Santa Vergine

Nessuno meglio di S. Agostino ha colto le armonie che esistono tra la


Santa Vergine e la Chiesa. “Maria, dice, non solamente con lo spirito, ma
anche con il corpo, è sia Madre che Vergine. “Per lo spirito è Madre, non
del Capo della Chiesa che è il Salvatore Gesù, di cui è invece figlia
spirituale, poiché tutti coloro che credono in Lui sono giustamente chiamati
figli dello Sposo; ma (è Madre) delle membra di Gesù, che siamo noi,
perché coopera attraverso la carità a far si che nascano nella Chiesa dei
fedeli che ne sono membri. “Per il corpo è Madre di Gesù nostro capo:
poiché occorreva che il nostro capo, per un singolare miracolo, nascesse da
una vergine secondo la carne, per mostrare che le membra nasceranno
secondo lo spirito di una Chiesa vergine. “Solo dunque Maria, sia per lo
spirito che per il corpo, è Madre e Vergine, Madre di Cristo e Vergine di
Cristo.
“Quanto alla Chiesa, nei santi che devono possedere il regno di Dio, è
per lo spirito interamente madre di Cristo, interamente vergine di Cristo;
invece per il corpo non si potrebbe dire che è interamente vergine di Cristo,
perché in alcuni dei suoi santi essa è vergine di Cristo, ma di altri è madre,
ma non di Cristo” (De virginitate). Così parla l'incomparabile Dottore.
Maria è dunque madre per lo spirito di tutte le anime che sono nella
Chiesa; lo è, aggiunge, per la fecondissima influenza della sua
sovrabbondante carità. E' madre per un duplice motivo:
- Come primogenita di Gesù Cristo nell'ordine della grazia; per il suo
diritto di primogenitura spirituale, è in qualche modo nella nascita di tutti i
figli di Dio.
- Come madre di Gesù Cristo secondo la carne: da qui viene la sua
maternità spirituale che si estende a tutte le membra di Gesù.
In più Maria, come Madre e come Vergine, è tipo della Chiesa, che è sia
madre che vergine, se non secondo il corpo, almeno secondo lo spirito. La
verginità della Chiesa è un'imitazione della verginità di Maria; la fecondità
della Chiesa è una partecipazione alla fecondità di Maria. E la Chiesa tutta
intera non può realizzare la somma della bellezza, della grazia, della
fecondità che risplende in Maria.

***

S. Ambrogio ci fornisce nuova luce sul soggetto che ci sta occupando.


“Maria, dice, è tipo della Chiesa; perché la Chiesa, come Maria, è nello
stesso tempo vergine e sposa. Vergine, ci concepisce per opera dello Spirito
Santo, vergine ci partorisce senza dolore.
Maria, sposa di Giuseppe, è fecondata dallo Spirito Santo; così le Chiese
sono fecondate dalla grazia dello Spirito Santo, mentre esternamente sono
nel tempo unite a dei vescovi” (Expositio Evangelii secundum Lucam).
Ci sarebbe da scrivere un libro su queste parole. Maria è la sposa dello
Spirito Santo, che ravviva la sua verginità di una fecondità divina; nello
stesso tempo essa ha uno sposo visibile, custode della sua verginità, ma non
autore della sua fecondità.
Così le Chiese hanno per sposi visibili e temporali i vescovi; ma ciò che
le rende feconde è la grazia dello Spirito Santo. I vescovi sono sposi, sono
padri come S. Giuseppe; vegliano all'integrità della fede, che è la verginità
delle Chiese: il loro ruolo è assai grande! Ma che non si attribuiscano la
fecondità delle stesse Chiese; perché essa è il frutto delle operazioni segrete
della grazia che proviene dallo Spirito Santo attraverso Gesù Cristo, vero
sposo.
La Gerarchia è un velo sotto il quale queste operazioni si producono.
Quanto alla Chiesa stessa, è vera madre, come Maria è vera Madre perché
essa è in relazione diretta con lo spirito di Dio che l'ha resa feconda. Ma
cos'è la Chiesa, se non è la gerarchia stessa? La Chiesa è l'unità delle anime,
unità a cui la gerarchia lavora nel tempo, ma che è qualcosa di più intimo e
di più profondo; unità che sarà svelata nel gran giorno dell'eternità.
***

Se Maria è tipo della Chiesa in generale, è tutto in modo speciale tipo


della Chiesa romana. Maria è diventata Madre di Dio perché era vergine,
vergine non solamente per l'integrità del corpo, ma anche per una perfetta
esenzione da ogni peccato. Questa purezza senza macchia è una
conseguenza della sua Immacolata Concezione. Grazie a questo privilegio,
è unica, tutta bella, perfettissima, Sposa dello Spirito Santo, Madre di Dio,
Madre delle anime.
Ora, la Chiesa romana è anche lei vergine, assolutamente vergine per
l'integrità della fede, per quella esenzione da ogni errore che risulta
dall'infallibilità dottrinale legata alla sede di Pietro. Grazie a questo
privilegio, essa è unica, perfetta, bella tra tutte le Chiese: la purezza della
sua fede la rende meravigliosamente feconda, è la madre di tutti i fedeli.
Guardate ora come si sviluppa il parallelo.
Le anime non sono feconde che nella misura in cui partecipano alla
purezza senza macchia di Maria; le Chiese non sono feconde che nella
misura in cui restano attaccate alla fede della Chiesa romana.
Tutte le anime riunite non possono realizzare la grazia eminente che si
diffonde in Maria, la tutta santa; tutte le Chiese riunite non raggiungono il
grado di fede della Chiesa romana, sola infallibile. Maria è la regina che il
salmista rappresenta assisa su un trono, e circondata dal seguito che
presenta al re (Sal 44). E' la sposa del Cantico dei Cantici, la colomba unica,
eletta tra tutte, che le figlie proclamano beata, che le regine colmano di lodi
(Ct 6,8). E' l'anima abitata da Dio prima di tutte le altre e al di sopra di tutte
le altre, perché è colei che le introduce tutte presso Dio.
Allo stesso modo la Chiesa romana è circondata dalle Chiese particolari,
che essa presenta a Gesù Cristo. Tutte le Chiese particolari, riunite attorno
alla Chiesa romana loro madre, formano con lei la Chiesa visibile. Così
tutte le anime sante, riunite attorno alla santa Vergine loro Madre, formano
con lei l'anima della Chiesa, la grande Chiesa invisibile, che apparirà
visibilmente alla fine dei tempi, e di cui la prima non è che un riflesso.
Riassumendo, la Chiesa romana, in tutta la bellezza verginale donatale
dall'integrità della sua fede, nell'irraggiamento di questa maternità che si
estende al mondo intero, non è che l'ombra terrena di Maria la Vergine delle
vergini, la Madre universale. La Gerusalemme della terra non è che
l'immagine della Gerusalemme del Cielo, della quale si canta: Noi tutti,
esultanti di gioia, dimoriamo in voi, o santa Madre di Dio! (Sal 86).

***

E' molto interessante che Maria e Roma siano in fondo lo stesso nome.
Maria, in ebraico Miriam, è formato dal verbo roum, che significa esaltata.
Roma vuol dire: Esaltazione. Maria ha prestato il suo nome a Roma, sua
immagine terrena. Se i due nomi di Maria e di Roma non fanno che un solo
nome, gli amori di Roma e di Maria non sono che un solo amore.
Durante il Medio Evo, Maria era esaltata; Roma lo era anche lei. Dio era
conosciuto sulla terra, Nostro Signore era re. Il protestantesimo, cercando di
sostituire il regno della ragione al regno di Nostro Signore che è la verità,
ha sentito che occorreva abbassare Maria e la Chiesa romana. Ha detto alle
anime: Non pregate Maria; ai popoli: Non andate più a Roma. E la notte si è
fatta in molte anime. E le tenebre hanno invaso la terra.
Ma l'eresia concorre malgrado se stessa al trionfo dell'eterna verità: il
mistero della Chiesa, inutilmente oscurato, è stato messo dallo Spirito Santo
in piena luce, nei due termini che lo personificano, la santa Vergine e il
Papa.
Un tempo Pietro aveva detto a Gesù: Tu sei il Figlio di Dio; e Gesù
aveva risposto a Pietro: Tu sei Pietro e su di te costruirò la mia Chiesa. Oggi
abbiamo sentito Pio IX dire a Maria: Tu sei Immacolata; e Maria, attraverso
la voce della Chiesa, rispondere a Pio IX: Tu sei infallibile. Felici noi di
aver preso parte a questa doppia affermazione, attraverso l'anelito della
nostra anima verso Maria concepita senza peccato, verso il Papa infallibile.
“Un grande segno è apparso nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna
sotto i suoi piedi, e attorno al suo capo una corona di dodici stelle” (Ap
12,1). Era Maria Immacolata che la mano del Papa svelava ai nostri occhi.
Essendo Maria così esaltata, occorreva che Roma, sua immagine terrena,
lo fosse anch'essa; lo è stata per la definizione dell'infallibilità pontificia.
Poi è sorto il grande drago rosso che cerca di divorare la donna e il bambino
(Ap 12,3-4). L'inferno si è scatenato più furiosamente che mai contro la
stirpe della donna benedetta. Ma, vedendo le contorsioni del serpente
antico, si sente che è ferito a morte.
I suoi artifici per sviare gli uomini lontano da Maria e lontano da Roma,
sono sventati: Maria è pregata, Roma è ascoltata.
Occorreranno forse lunghi anni per sviluppare le conseguenze del
doppio atto posto da Pio IX da un lato, e dall'altro dal concilio Vaticano
(Vaticano I, ndr). Abbiamo una ferma fiducia che porterà, nel tempo che
Dio sa, un trionfo eclatante della santa Chiesa.
È impossibile che Roma sia ascoltata senza che la fede rinasca;
impossibile che Maria sia pregata senza che la carità rifiorisca.
L'esaltazione di Roma, è l'estinzione delle eresie e degli scismi;
l'esaltazione di Maria, è la conversione e la salvezza eterna delle anime;
l'esaltazione di Roma e di Maria, è l'avvento del regno di Dio sulla terra
come in Cielo.

“Tutto è per la Chiesa, tutto è riferito alla Chiesa”.

Tutto! L’umanità non esiste che per essa e la Chiesa non esiste che per
Gesù Cristo, e tutto si compie in lui.

Non possiamo trovare migliore definizione per comprendere un poco di


più la cattolicità della Chiesa. La Chiesa è Cattolica non solo e tanto in
senso geografico, come spesso si tende a ridurre.
Non è anzitutto Cattolica perché è estesa, diffusa in tutto il mondo o
perché i suoi fedeli provengono da tutti i popoli e nazioni. No, c’è molto di
più nella nozione di “cattolicità”: indica il fatto che la Chiesa “si serve di
tutti gli uomini”, anche quelli nell’errore (idolatri, eretici, scismatici), per
accrescere se stessa e per operare la loro conversione.
Tutto è subordinato alla Chiesa e lo scopo di Dio è, attraverso tutto,
accrescerla, dilatarla, darle gloria e splendore. La Chiesa è il principio e il
fine di tutte le cose, in questo senso Cattolica e universale.
Che meditazione proficua per vivere più cristianamente il mistero della
Santa Madre Chiesa, evitando le banali riduzioni del mondo moderno,
dentro le quali, se non vigiliamo, rischiamo di cadere anche noi.
E’ vero figlio della Chiesa chi mantiene questo sguardo misticamente
cattolico su di essa.

SECONDA PARTE
LA CHIESA E IL MONDO

XIII
La Chiesa in cammino

Nei capitoli precedenti, abbiamo mostrato la Chiesa nella sua


costituzione e nella sua vita intima. Andiamo ora a mostrarla nella sua
azione e nel suo movimento.
La Chiesa, proseguendo in mezzo al mondo il suo cammino verso
l'eternità, era rappresentata dal popolo ebreo in cammino, sotto la guida di
Dio stesso, verso la terra promessa. Le tribù del deserto impedivano la
marcia di questo popolo: aveva davanti a lui i terribili Amaleciti, gli Idumei
gelosi, i fieri Ammoniti, i Moabiti lussuriosi e perversi, infine le molteplici
tribù cananee votate per i loro crimini a uno sterminio senza pietà.
Avanzava nondimeno in un ordine meraviglioso; e solo i suoi peccati, non i
suoi nemici, lo trattenevano nel deserto.
Così ne è della Chiesa. Essa è circondata da società nemiche. Vi sono i
Giudei, gli idolatri, gli eretici, gli scismatici; vi sono infine le potenze di
questo mondo, che il più sovente le sono ostili. Essa cammina nondimeno
verso il suo fine, che è la presa di possesso di una eredità eterna; e niente le
può far male se non il peccato dei suoi figli.
Noi troveremo un interesse immenso a contemplare la Chiesa, questo
campo di Dio, nel suo dispiegamento in mezzo al mondo; nel seguire, tra le
ostilità nelle quali è perpetuamente impegnata, i suoi movimenti in avanti
sempre vittoriosi, sempre irresistibili. Tale sarà l'oggetto di questa nuova
parte del nostro lavoro. Ma prima di tutto, cominceremo col segnalare i
caratteri divini che donano alla Chiesa, agli occhi degli uomini anche più
grossolani, una fisionomia evidentemente soprannaturale. E innanzitutto
mostreremo, brevemente, che la Chiesa è la ragione d'essere di tutte le cose
quaggiù. Il mondo tutto intero è subordinato alla sua esistenza; essa lo
domina,e non ha durato che per fornirle degli eletti e dei santi.

***

San Paolo, indirizzandosi ai cristiani, cioè alla Chiesa, tiene loro un


magnifico discorso: “Tutto è vostro, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1
Cor 3,22-23). Ed ecco in quale occasione pronunciò queste grandi parole.
Aveva rimarcato che i Corinzi si erano divisi a suo riguardo, e a riguardo
di Apollo, Giudeo sapiente che, anche lui, li aveva evangelizzati. Gli uni
dicevano: io sono di Paolo; gli altri: io sono di Apollo. Appartiene alle
anime carnali il far passare davanti alla fede le questioni di persone. San
Paolo, afflitto da queste divisioni, mostra loro che non appartengono né a
Paolo, né ad Apollo, ma a Gesù Cristo solamente. E grida per concludere:
“Che nessuno si glorifichi davanti agli uomini! Tutto è vostro, Paolo,
Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future.
Tutto è vostro, e voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio” (1 Cor 3,22-23).
Sì, tutto è tuo, o santa Chiesa: Paolo, Apollo, Cefa! Tutti i ministri sacri
sono tuoi servitori, e non tuoi maestri, oh colomba, oh unità delle anime, oh
società dei santi. Colui che solo è il tuo maestro, cioè il Cristo, non prende
in rapporto a te che il dolce nome di sposo. Quanto a noi, suoi ministri,
lungi dall'esercitare un dominio sulla tua fede, non vogliamo che favorire la
tua gioia, servendo alla tua unione con lui (2 Cor 1,23). Egli è il re, e tu sei
la regina. Il suo appannaggio è il tuo. Tutto è di lui, quindi tutto ti
appartiene. Il mondo è tuo: il giorno in cui il numero dei tuoi santi sarà
completo, Dio lo infrangerà come un bicchiere.
La vita e la morte sono ai tuoi ordini: tu comunichi alle anime una vita
più alta che tutta la vita, e la morte è lo strumento dei tuoi trionfi. Le cose
presenti e le cose future sono ugualmente di tuo dominio: il secolo presente
è la fornace che ti purifica, e il secolo a venire sarà la manifestazione della
tua gloria. Tutto è dunque veramente tuo, o santa Chiesa di Dio; ma tu sei di
Cristo, solo di Cristo. Ti possiede come Creatore, come Redentore; ti
possiede anche come Sposo; e attraverso di te entra in possesso di tutte le
creature.
Perché, nell'umanità sacrosanta e mille volte benedetta di Cristo, tu trovi
Dio, per essa tu sei unita a Dio. Tutto è vostro, voi siete di Cristo e Cristo è
di Dio.
Così dunque, dalla parola di S. Paolo, tutto è alla Chiesa, tutto è per la
Chiesa. L'umanità non esiste che per essa, come essa non esiste che per
Gesù Cristo, in cui tutto si compie.
La Chiesa è, l'abbiamo detto, un’espansione di Gesù Cristo nella razza
umana; e la sua opera propria è di riunire tutti gli uomini in un’unità che ha
il suo centro in Gesù Cristo. Nostro Signore paragona il Regno di Dio al
lievito che una donna getta e mischia in tre misure di farina, affinché tutta
sia fermentata (Mt 13,33).
E' un'immagine espressiva di ciò che fa la Chiesa: mischiata alle tre
grandi famiglie che compongono la razza umana, essa agisce su di esse
come un lievito potente, essa le penetra e le coagula, ne fa un'unica pasta,
un unico pane degno di essere presentato a Dio. Un solo pane, diceva
l'apostolo (1 Cor 10,17). Questa azione non cesserà fino a quando la
fermentazione non sarà completata. Occorre che tutte le frazioni
dell'umanità prendano posto al banchetto dell'unità.
Nessuno ha descritto meglio di Sant'Agostino questa azione infaticabile
della Chiesa sulla razza umana, divisa e depravata, per unirla e per
santificarla. “La Chiesa Cattolica, dice, largamente e potentemente diffusa
in tutto l'universo, si serve di tutti gli uomini in preda ai diversi errori, per il
suo accrescimento, e per il loro emendamento.
Essa si serve degli idolatri come di una materia bruta ch'essa lavora,
degli eretici come di una pietra di paragone per la sua dottrina, degli
scismatici come di una controprova della sua propria stabilità, dei Giudei
come di un contrasto con la sua propria bellezza.
Essa invita i primi, rigetta i secondi, lascia andare i terzi, sorpassa gli
ultimi: a tutti dona il potere di partecipare alla grazia di Dio, formando gli
uni, riformando gli altri, raccogliendo questi, ammettendo quelli.
Quanto gli uomini carnali che sono nel suo seno, essa li sopporta come
una paglia che, alla sua maniera, nasconde e protegge nel tempo il buon
grano” (De vera religione).
I capitoli che seguiranno non saranno altro che il commento di questo
brano celebre. Rimarchiamo l'energica espressione di Sant'Agostino: la
Chiesa si serve di tutti gli uomini. Essa è superiore a tutti, essendo divina; li
utilizza tutti per il grande fine di tutte le crea- ture, che è di procurare gloria
a Dio.
Sottolineiamo anche come la Chiesa diversifichi la sua azione presso gli
uomini, in preda ai diversi errori, per condurli a quella unità che è un frutto
della verità. Si vede dalla Scrittura che gli ebrei non avevano ricevuto da
Dio una linea di condotta uniforme nei confronti dei popoli del deserto, ma
che era stato loro comandato di trattare gli uni come provenienti dallo
stesso sangue, e di trattare gli altri senza pietà. E' così che la Chiesa
modifica la sua azione, sempre benefica e misericordiosa, a seconda che si
indirizzi a degli idolatri, a degli eretici, a dei Giudei. Questa varietà di
mezzi è uno dei caratteri dello spirito di Dio; e il loro studio offre un
potente interesse.

***

Non possiamo resistere al piacere di consegnare qui una pagina di


Bossuet. Riproduce, ampliandolo ancora, il pensiero di Sant'Agostino;
sviluppa magnificamente la parola di S. Paolo, tutto è per voi; mostra come
tutto ritorna alla Chiesa in Cielo e sulla terra.
“Nell'unità della Chiesa, dice, appare la Trinità nell'unità: il Padre, come
il principio al quale ci si riunisce; il Figlio, come il luogo nel quale ci si
riunisce; lo Spirito Santo, come il modo attraverso il quale ci si riunisce.
“Nell'unità della Chiesa, tutte le creature si riuniscono. Tutte le creature
visibili e invisibili sono qualche cosa in riferimento alla Chiesa. Gli angeli
sono ministri della sua salvezza e per la Chiesa, si fa l'arruolamento delle
loro legioni desolate dalla diserzione di Satana e dei suoi complici. Ma in
questo arruolamento, non siamo tanto noi ad essere incorporati agli angeli,
quanto gli angeli a venire alla nostra unità, a causa di Gesù nostro comune
capo e più nostro che loro.
“Anche le creature ribelli e sviate, come Satana e i suoi angeli, a causa
del loro smarrimento e della loro propria malizia di cui Dio si serve
malgrado esse, sono applicate al servizio, all'utilità, e alla santificazione
della Chiesa: volendo Dio che tutto concorra all'unità, anche la rottura, lo
scisma e la rivolta.
“Le creature inanimate parlano alla Chiesa delle meraviglie di Dio; e
non potendo lodarlo da sole, lo lodano nella Chiesa, essendo come il tempio
universale in cui si rende a Dio un giusto omaggio per tutto l'essere creato,
che è liberato dalla Chiesa dalla sofferenza di servire al peccato, essendo
impiegato a degli usi santi.
“Per tutti gli uomini, essi sono qualche cosa di molto intimo alla Chiesa
essendo ad essa incorporati, o essendo chiamati al banchetto in cui tutto è
fatto uno.
“Gli infedeli sono qualcosa nella Chiesa, che vede in essi l'abisso
dell'ignoranza e della ripugnanza alle vie di Dio, da cui essa è stata tratta
per grazia. Esercitano la sua speranza, nell'attesa delle promesse che devono
richiamarli all'unità della benedizione di Gesù Cristo; e costituiscono il
soggetto della dilatazione del suo cuore, nel desiderio di attrarli.
“Gli eretici sono qualcosa all'unità della Chiesa; escono e portano con
loro, anche dividendosi, il sigillo della sua unità che è il Battesimo,
convinzione visibile della loro diserzione; strappando le sue viscere,
raddoppiano il suo amore materno per i suoi figli che perseverano;
staccandosi donano l'esempio di un giusto giudizio di Dio per coloro che
restano.
“Spregiatori e profanatori del sacerdozio della Chiesa, spingono per una
santa emulazione i veri leviti a purificare l'altare di Dio; fanno risplendere
la sua fede e l'autorità della sua cattedra per fortificare la fede dei deboli e
dei forti: la loro chiaroveggenza, che li acceca, mostra ai forti e ai deboli
della Chiesa, che non si vede chiaro che nella sua unità, e che è dal centro
di questa unità che sorge la luce della verità.”
Così parla magnificamente Bossuet. Avrebbe potuto completare il
quadro, mostrando come gli scismatici, portati come una vana pula dal
vento dell'orgoglio fuori dall'aia dove resta il buon grano, isolati dal centro
dell'unità che è il focolare della vera carità, dimorano sterili e infecondi,
mentre l'unità è sempre feconda, sempre espansiva; come i Giudei, protetti
dalla mano della Chiesa, le rendono testimonianza con la loro stessa
dispersione, e confermano la verità delle Scritture, attendendo che entrino
nel seno di questa madre che li riaccoglierà alla fine dei tempi.
Riassumendo, vediamo chiaramente che il mondo tutto intero è
subordinato alla Chiesa; e che la Provvidenza guida i movimenti dei popoli,
nell'unico scopo di dilatarla e glorificarla.
“Il principio e la fine di tutte le cose, dice Sant'Epifanio, è la santa
Chiesa Cattolica”.
Unità, santità, cattolicità e apostolicità
della Chiesa

Proprio nei momenti più drammaticamente difficili della vita della


Chiesa, nei momenti della confusione quasi totale, occorre mantenere uno
sguardo cattolico sulla Chiesa stessa. La Chiesa è divina, viene da Dio, è
una e resta una. Non ci sono due chiese, ce n'è una.
Accanto ad un sano realismo, che fa denunciare i pericoli per la fede
presenti oggi dentro lo stesso Cattolicesimo, è necessario mantenere questo
sguardo spirituale e di fede sulla Sposa di Cristo, pena il ritrovarsi fuori: e
fuori della Chiesa nessuno si salva.
La pagina del P. Emmanuel sulla prima nota della Chiesa, l'unità, ci sia
di proficua meditazione.
Come è bello leggere queste pagine di Père Emmanuel sulla Chiesa.
Come è dolce sentirlo parlare qui in particolare della unità, santità,
cattolicità e apostolicità della Chiesa. Si è presi dalla semplicità e dalla
profondità del suo discorso. Mai freddo, sempre spirituale e dottrinale, un
vero nutrimento dell'anima!
In questi tempi di duri attacchi alla Chiesa, magari nascosti da facili
populismi e finti affetti per il Papa, mai compreso totalmente nel suo vero
compito di custode della fede, lasciamoci educare dal P. Emmanuel, ed
impariamo a guardare alla Chiesa con uno sguardo cattolico come il suo.
XIV
I quattro caratteri

Nostro Signore istituì una Chiesa visibile, nella quale ogni uomo si può
rifugiare come nell'arca, per fuggire le acque del diluvio.
Le donò una gerarchia e la segnò con dei caratteri così sorprendenti che
ognuno può dire a se stesso: è qui la casa di Dio e la porta del cielo.
“La Chiesa, dice sant'Ambrogio, collocata su una montagna che tutto
domina dalla sua altezza, cioè il Cristo, dopo essere nascosta dalle tenebre e
dalle rovine di questo mondo; inondata dalla bianca luce del sole eterno,
essa proietta su di noi i raggi della grazia spirituale” (Expositio Evangelii
secundum Lucam).
“La visibilità della Chiesa, dice sant'Agostino, non potrebbe essere
contestata, né dare luogo ad alcun equivoco. Gesù Cristo ha predetto che
verranno degli uomini dicendo: il Cristo è qui, è là; è nel deserto, lontano
dalle folle e dai popoli; è in una camera ritirata, avviluppato da tradizioni e
dottrine segrete (Mt 24,26). Sono degli impostori. Il Cristo è nella sua
Chiesa; e questa è diffusa dappertutto, e continuerà a crescere fino alla
mietitura (Mt 24,30). Essa è una città, collocata su una montagna, della
quale il suo fondatore ha detto che non può essere nascosta (Mt 5,14). Essa
non è confinata in un angolo del mondo: essa è molto conosciuta in ogni
luogo” (De unit. Eccl.).
Sarebbe per lei poco l'essere conosciuta, se non fosse riconoscibile e
riconosciuta come Chiesa divina. Ora essa porta dei caratteri indelebili, che
la distinguono come tale per tutte le coscienze umane: ed è la sua unità, la
sua santità, la sua cattolicità, la sua apostolicità.
***

La Chiesa è costituita in unità dallo Spirito Santo, che è il legame del


Padre e del Figlio; è per eccellenza il regno dell'unità.
Il regno di Satana, spirito diviso contro se stesso, dice sant'Agostino, è al
contrario il regno della discordia; e per questo è destinato alla rovina.
Coloro che lo compongono si uniscono in opposizione alla verità; tra loro,
sono spaventosamente e irrimediabilmente divisi. La menzogna divide; la
verità, sola, unisce.
L'unità che produce lo Spirito Santo nella Chiesa è la cosa più intima,
più misteriosa che l'uomo possa concepire; ma ha un risultato esteriore, ed è
questo che costituisce il carattere visibile dell'unità di cui parliamo.
L'unità della Chiesa appare nella gerarchia sottomessa a un solo capo;
nei sacramenti riassunti nell'Eucarestia, nella dottrina, espressione di una
fede immutabile.
Sant'Agostino osserva con profondità (De vera religione) che il
politeismo non imponeva ai suoi adepti alcun simbolo (Il Credo, n.d.r.), e li
lasciava liberi d'avere sulla natura di Dio le opinioni più divergenti; che
nella Chiesa, al contrario, la partecipazione agli stessi sacramenti non esiste
che tra persone che professano la stessa fede.
Ecco qui un segno evidente della divinità della Chiesa. “Gli eretici, dice,
sono là per testimoniare che non ammettiamo alla comunione dei nostri
sacramenti coloro che non hanno lo stesso simbolo nostro. E' un punto
capitale, per la salvezza degli uomini, che siano uniti nel dogma prima di
esserlo nel culto.”
Questa unione di tutti gli spiriti, anche i più grossolani, nella fede ai
misteri più elevati; questa perfetta unità del dogma, di cui le pratiche
esterne del culto sono il riflesso fedele, testimoniano che vi è nella Chiesa,
allo stato permanente, una virtù divina.
I protestanti, divisi in sette che non si contano più fanno emergere per
contrasto questa luminosa unità. Sembra che sant'Agostino li avesse
previsti, quando diceva: “Tutte queste congregazioni, o piuttosto tutte
queste dispersioni, che si chiamano Chiese di Cristo, che sono divise tra
loro, essendo tutte ostili al regno dell'unità che è la vera Chiesa, si lusingano
vanamente d'appartenere alla società di Cristo: come gli apparterrebbero dal
momento che lo Spirito Santo che è il legame di questa società non
potrebbe essere diviso contro se stesso?” (In Mat.).

***

La Chiesa di Gesù Cristo è essenzialmente santa: perché Gesù Cristo,


come capo, la penetra di uno spirito di santità, che è lo Spirito Santo.
Questo Spirito agisce incessantemente per purificarla da ogni peccato
(Postcommunio del martedì della Pentecoste); e per farle compiere ogni
giustizia, essendo questa carità che compie tutta la legge (Rm 13,10).
La santità, che diffonde lo Spirito Santo nella Chiesa con la carità, è
molto interiore: tuttavia essa ha il suo lato esteriore, ed è attraverso questo
che essa è una carattere della Chiesa.
La santità della Chiesa si manifesta attraverso i misteri del suo culto, che
sono i misteri di purezza; attraverso il suo insegnamento, che, come dice il
salmo, è casto e immacolato; attraverso le sue produzioni, che sono i santi e
le opere sante.
Vi sono dei peccatori in troppo gran numero che la disonorano; ma non
le levano nulla della sua santità sostanziale. Essi sono in essa come l'ombra
che fa esplodere la luce. Sono in opposizione con il suo insegnamento, che
condanna ogni vizio; con la giustizia che essa porta, e la cui vita che li
condanna più ancora. Fanno macchia su di essa: fatto che mostra il suo
immacolato biancore.
Un musulmano, lussurioso e crudele, non macchia l'islamismo, che ha
autorizzato la lussuria e la crudeltà. Un protestante, avvinghiato dai suoi
vizi, non ha da arrossire leggendo Lutero.
La Chiesa, essa, non si fa un'autorità entrando in composizione con i vizi
e le turpitudini degli uomini; essa fa vedere, combattendoli senza sosta né
quartiere, che la sua autorità viene da Dio. È ciò in cui essa è santa.
Nessuna autorità umana può disputarle questo carattere.

***

La Chiesa di Gesù Cristo è essenzialmente cattolica, cioè universale.


Gesù Cristo l'ha stabilita per la salvezza di tutti gli uomini; e in effetti, essa
si adatta a tutti, per salvarli tutti.
Dalla sua culla, che è il Cenacolo, la Chiesa ci appare come cattolica.
Nascendo sotto la pioggia delle lingue di fuoco, si mette a parlare tutte le
lingue. Questa diversità delle lingue indicava molto chiaramente che essa si
sarebbe estesa a tutte le nazioni; portava dunque dalla nascita il segno della
sua cattolicità.
Così prese immediatamente il nome di cattolica; e questo nome le
divenne talmente proprio, che i suoi nemici stessi continuarono a chiamarla
così. “Bisogna, scrive Sant'Agostino ad un amico, bisogna abbracciare la
Chiesa che è cattolica, e che è così chiamata, e dai suoi figli, e dai suoi
stessi nemici. Volenti o nolenti, gli eretici e gli scismatici, se vogliono
essere capiti, devono darle questo nome” (De vera religione).
Joseph de Maistre fa la stessa considerazione riguardo ai protestanti:
questi hanno tentato di designare i cattolici sotto il nome di papisti, ma i
loro sforzi sono stati vani; occorre che chiamino cattolici i figli della Chiesa
romana, se vogliono essere capiti. Bel trionfo della verità, che costringe la
lingua normale a renderle testimonianza!
Dato che la Chiesa è cattolica, ne segue che è divina per due ragioni:
- Il piano di Dio è che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla
conoscenza della verità (1Tm 2,4). Dunque, la vera Chiesa deve essere
universale.
- La cattolicità, che è un'attitudine a diffondersi ovunque, è in se stessa
un carattere eminentemente divino. Ogni opera umana è essenzialmente
localizzata; prende i natali da un dato suolo, dal suo rapporto con le
condizioni del suolo; trapiantata altrove, deperisce.
La Chiesa, al contrario, germina e fruttifica sotto tutti i climi; venendo
da Dio, essa riguarda il fondo della coscienza umana, che è ovunque lo
stesso. La sua cattolicità è un riflesso dell'immensità divina: come Dio, essa
si rende presente a tutte le creature e, senza cambiare in se stessa, senza
diminuire dilatandosi, riempie tutti gli spazi.

***

La Chiesa risale agli apostoli, attraverso una catena ininterrotta di


pastori. Si riunisce ad essi, così chiaramente come i rami al tronco; e attinge
alla radice, attraverso loro, la stessa linfa che li riempie. È ciò che si intende
con la sua apostolicità.
In se stessa, la Chiesa è una novità nel mondo invecchiato: novità pura,
santa, inalterabile. Nello stesso tempo essa è più antica di tutte le istituzioni
umane: apparve negli apostoli, ma era nascosta nei patriarchi e risale
all'origine del mondo (Ef 2,20).
Si può chiamarla, come Sant'Agostino chiamava Dio: la bellezza sempre
antica e sempre nuova. La Chiesa si sviluppa su un fondo immutabile; ha
dei mezzi di salvezza per tutti i tempi, senza perdere un iota delle sue
tradizioni diciotto volte secolari (P. Emmanuel scrive nel XIX secolo, ndr.).
L'eresia è nuova, si vede il punto da cui comincia; opera umana, è
segnata dal nome di un uomo, di cui essa non si può sbarazzare, arianesimo,
nestorianesimo, luteranesimo; inizia con una scissione, con una rottura; da
queste è giudicata prima di essere capita, le manca la missione. Infine il
tempo la trascina via, come l'aveva portata: o se le lascia un nome, non è
più che un nome sotto il quale abita una pura negazione. Il tempo, al
contrario, il tempo che corrode tutto, non ha presa sulla Chiesa. Società
immensa che abbraccia tutti i luoghi, essa è all'immagine dell'immensità di
Dio; edificio costruito sul fondamento degli apostoli, e che rispetto ai secoli
che si susseguono, è all'immagine della sua eternità.

***

Ciascuno dei suoi caratteri presi a parte è decisivo; presi insieme,


formano una dimostrazione invincibile della divinità della Chiesa. L'unità
della Chiesa colpisce molto; ma l'unità nella cattolicità colpisce ancora di
più. Tenere i popoli più diversi nel legame della più stretta comunione;
ricondurre i costumi più diversi allo stesso ideale di santità; conservare le
tradizioni apostoliche in mezzo alle rivoluzioni degli imperi, e in una
diffusione indefinita attraverso il mondo: cioè essere nello stesso tempo una
e molteplice, immobile e in movimento, stabile e progressiva: ecco ciò che
costituisce agli occhi degli uomini, in maniera irrefutabile, la divinità della
Chiesa nostra madre.
Essa manifesta inoltre la sua origine divina attraverso altri segni, vale a
dire attraverso i doni soprannaturali, in particolare con il dono dei miracoli
che non le è mai mancato. Ma questo dono non si manifesta sempre e
ovunque, mentre i caratteri di cui parliamo sono permanenti e universali;
nel loro insieme, costituiscono il più impressionante miracolo.
E si può dire che i miracoli propriamente detti, fenomeni passeggeri, non
intervengono, nell'ordine della Provvidenza, che per rendere gli uomini
attenti a questo miracolo sostanziale.

La Verginità, il Martirio e la Dottrina

La Sposa vive del suo Sposo, la Chiesa vive di Cristo, secondo la triplice
aureola: La Verginità, il Martirio e la Dottrina.
Ed è secondo questa triplice aureola che la Chiesa deve testimoniare di
appartenere allo Sposo che è Cristo. Se venisse meno nel tempo questa
testimonianza di verginità-martirio-dottrina non avremmo più di fronte la
Chiesa di Cristo.
Per questo il Signore preserva nella sua Chiesa questa triplice
testimonianza.
Anche dentro la terribile crisi, che attacca proprio la verginità, il martirio
e la dottrina, il Signore garantisce luoghi dove le tre aureole sono visibili
perché vissute.
Una grande traccia per la nostra vita.

XV
Le tre aureole

Gesù Cristo vive nella sua Chiesa, lo Sposo vive nella sposa. Essendo la
vita dello Sposo quella della sposa, la fisionomia della Chiesa è quella di
Gesù Cristo.
I misteri di Gesù Cristo, che sono passati da più di diciotto secoli,
sussistono, continuano e fruttificano nella Chiesa.
Gesù Cristo è presentato al mondo come modello della vita perfetta,
come dottore del genere umano, come testimone del Padre suo fino
all'effusione del sangue. La Chiesa, anch'essa, si presenta al mondo con la
triplice aureola della verginità, della docenza e del martirio.
Diciamo una triplice aureola, per parlare con San Tommaso. Questo
dottore insegna, in effetti, che i santi possono avere, oltre la ricompensa
essenziale che corona la loro carità, una triplice ricompensa dovuta alle
grandi vittorie riportate sul demonio, sul mondo, sulla carne, attraverso la
verginità, il martirio e la dottrina.
Questa triplice ricompensa consiste in una certa somiglianza speciale
con Gesù Cristo, in un certo splendore che si diffonde attorno ad anime
sante che l'hanno meritato. Ora, questa somiglianza esiste necessariamente
nella fisionomia della Chiesa; questo splendore è la sua veste propria.
O voi che conoscete dal Vangelo l'adorabile figura di Gesù Cristo,
guardate la Chiesa: ritroverete in questo libro vivente, o piuttosto in questo
ritratto perfetto, ritroverete Gesù Cristo. Egli cammina sempre nelle strade
di questo mondo con la sua purezza verginale, col suo sangue sparso, con la
sua dottrina immacolata; perché la sua Chiesa, è Lui.
Ciò che noi chiamiamo la triplice aureola della Chiesa, potremmo
chiamarla, forse più giustamente ancora, la triplice testimonianza che la
Chiesa rende a Gesù Cristo; sì, come sposa, essa gli rende testimonianza
con una purezza che resta inviolabile in mezzo alle sozzure del mondo, con
l'effusione perpetua del suo sangue, infine, ciò che per certi versi è più
grande ancora, con una dottrina che confonde tutti gli errori e proclama
tutte le verità.

***

San Paolo dichiara che la legge mosaica non ha nulla per portare alla
perfezione (Eb 7,19). Condurre tutte le cose alla perfezione era proprio di
Gesù Cristo veniente nel mondo: e la sua opera, nella quale tutto è perfetto,
è la Chiesa.
Gesù Cristo ha tracciato la regola della vita perfetta dicendo: “Se vuoi
essere perfetto, va, vendi tutti i tuoi beni, dona il ricavato ai poveri e avrai
un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mt 19,21). Questo stato di
completo distacco, che è propriamente lo stato religioso, è messo in
opposizione da Gesù Cristo con lo stretto adempimento della legge.
Nello stesso tempo in cui Gesù Cristo donava ciò che chiamiamo i
consigli evangelici, ne offriva il modello in se stesso; o piuttosto donò
l'esempio prima dell'insegnamento. Egli è il primo religioso: povero, casto,
fino a nascere da una vergine, obbediente fino alla morte e alla morte di
croce, divinizzerà in lui questi tre elementi fondamentali della vita religiosa.
È impossibile supporre che Nostro Signore non abbia potuto praticare
eminentemente queste virtù; esse in lui sono sostanziali: doveva avere il
primato in tutte le cose, dice san Paolo (Col 1,18).
Ora, è altrettanto impossibile che la pratica della vita religiosa manchi
mai nella Chiesa. Lo stato di perfezione le è essenziale. Anche se non tutti i
suoi membri vi sono chiamati. Per chi esamina il fondo delle cose, esso
tiene al principio costitutivo della Chiesa; risulta dalla presenza permanente
in esso dello Spirito Santo, di colui che Nostro Signore chiama il dito di
Dio, perché perfeziona tutto ciò che tocca.
Dire che lo stato religioso è un superfluo nella Chiesa, sarebbe come dire
che la Chiesa può esistere senza riprodurre fedelmente i tratti di Gesù
Cristo, sarebbe misconoscere il suo nome e il suo amore di sposa, la sua
qualità e i suoi privilegi di corpo mistico. È più giusto affermare che lo
stato di perfezione è lo stato proprio della Chiesa.
Sant'Agostino ha potuto supporre una situazione del genere umano nella
quale, abbracciando tutti la verginità, il numero degli eletti, per questo
stesso fatto, si sarebbe completato (De sancta virginitate). Non è mai stato
ammesso come possibile uno stato della Chiesa in cui la verginità fosse
scomparsa.
Quando i nemici della Chiesa dirigono i loro sforzi contro lo stato
religioso, sanno bene che colpiscono la Chiesa al cuore; sanno che nello
stato religioso è il massimo della sua vitalità e della sua forza; perché i suoi
membri agiscono con tanta più efficacia sul mondo quanto più sono
distaccati dal mondo. Il mondo perseguita i religiosi, perché teme di esserne
convertito, ma non può distruggere questa gloriosa semenza, che è
immortale come le querce delle nostre foreste.
Tutti gli apologisti della religione hanno stabilito che la potenza e l'onore
del clero risiedono nel celibato, che qui si trova la causa della superiorità
della Chiesa romana sulle comunità dissidenti.

***

Gesù Cristo, venuto in questo mondo, ha reso testimonianza al Padre suo


fino all'effusione del sangue; è da lui, come parla la Chiesa, è dal suo
sacrificio cruento, che il martirio trae la sua origine (Segreta del giovedì
della terza settimana di Quaresima).
Continuatrice di Gesù Cristo, la Chiesa continua la sua Passione per una
successione ininterrotta di martiri. Essa ne produce senza fine, come senza
fine produce delle vergini.
San Paolo ha potuto dire: “compio nella mia carne ciò che manca alla
Passione di Gesù Cristo” (Col 1,24), poiché la Passione del Capo continua
nelle membra. La Chiesa deve a Gesù Cristo una misura di sangue per colui
che l'ha versato. Tertulliano ha detto, in quest'ordine di idee, che ogni
cristiano è debitore del martirio. Debito sacro, che tutti pagano più o meno,
che diversi pagano integralmente a nome di tutti. Fino a quando i suoi figli
avranno la fede nel cuore e del sangue nelle vene, la Chiesa sarà solvibile;
essa lo sarà sempre, perché queste due cose non le mancheranno mai.
La storia attesta che sempre, in qualche parte del mondo, ci sono stati dei
martiri; oggi ce ne sono stati nel Tonchino, domani ce ne saranno altrove,
forse in Francia. Guai ai tempi nei quali la passione di Nostro Signore
cesserà di fruttificare! Sarà un'epoca di perdizione. La Chiesa è feconda per
il sangue che essa versa: sangue dei martiri, seme di cristiani, diceva ancora
Tertulliano. Ma dove dunque trovare il martirio, anche in stato
intermittente, fuori della Chiesa? Non sono i missionari protestanti che
versano il loro sangue sui lidi che si tratta di evangelizzare. La storia ci
offre qua e là qualche esempio di fanatismo cieco: ma non si incontra che
nella Chiesa la ferma e luminosa costanza del martirio.
Riassumendo, c'è, attraverso le epoche, una gloriosa scia di sangue che
rimonta direttamente al Calvario. A coloro che cercano Gesù Cristo,
indichiamo questo mezzo per trovarlo.
Alla fine dei tempi, la Chiesa tutta intera soffrirà una passione che
riprodurrà tratto dopo tratto quella di Gesù, sarà la persecuzione
dell'Anticristo; ne parleremo alla fine di quest'opera.
***

Nostro Signore si è presentato agli uomini come dottore: “non avete che
un maestro - ha detto loro - che è il Cristo (Mt 28,19-20)”. Da allora, il
dottorato è in permanenza nella Chiesa, che in tutte le cose continua Gesù
Cristo.
L'abbiamo detto, il primo atto della Chiesa è stato parlare tutte le lingue.
Uscendo dal Cenacolo, essa si è messa ad insegnare. Ne aveva la missione;
è per lei un diritto e un dovere. La Chiesa è stata costituita da Gesù Cristo
come la maestra del genere umano (Mt 28, 19-20).
Ci sarebbe da dire immensamente su questo ufficio della Chiesa,
principalmente oggi quando tutti gli sforzi del diavolo tendono a erigere
dappertutto delle cattedre di pestilenza contro la cattedra della verità. Per il
momento, ci contenteremo d'indicare come la Chiesa compie la sua
missione.
Ogni osservatore semplicemente imparziale può facilmente riconoscere
che si fa dappertutto, nella Chiesa e attraverso la Chiesa, un lavoro di
manifestazione della verità. Gesù Cristo ha posto nel suo seno tutte le
verità; essa le mette in luce, come il minatore estrae dalle viscere del suolo i
filoni d'oro e d'argento; o piuttosto li produce al di fuori, per una sorta di
parto meraviglioso, come la terra fa germogliare fiori e frutti (Sal 84,12).
Questa manifestazione abbraccia tutta l'estensione della dottrina rivelata,
ed anche comprende una quantità di verità naturali che hanno un rapporto
essenziale con la Rivelazione. In una parola, essa è totale e non parziale,
seguendo la promessa del Salvatore: lo Spirito vi insegnerà tutta la verità
(…). L'unzione vi insegnerà tutto (Gv 16,13; 1Gv 2,27). Il cardinale
Manning sottolinea con profondità che questo dispiegarsi totale della verità
è il carattere della Chiesa romana. Gli anglicani, dice, hanno qualche tratto
del dogma, dei rari tratti della morale; sono nulli nella scienza ascetica e
mistica, che traccia le vie dell'anima penitente e racchiude i segreti
dell'amore divino. Si sente che sono stranieri alla colomba che geme, alla
sposa che ama.
La Chiesa, al contrario, proietta ogni giorno, attraverso i suoi dottori e le
sue stesse vergini, le più ammirabili luci su queste questioni così belle. La
Chiesa inoltre si proporziona a tutti; dal suo seno di madre fa colare per i
suoi figli un latte puro e abbondante; ai forti, riserva un nutrimento più
solido (Eb 5,12-14). Essa si sente responsabile della dottrina agli insensati
come ai saggi (Rm 1,14).
Mentre i suoi frati e le sue suore fanno scuola ai bambini fino in Africa e
in Oceania, i suoi dottori rovesciano le vane chimere di una scienza empia e
orgogliosa, ed edificano la vera scienza in armonia con la fede.
Come non gridare in presenza di un simile spettacolo: “O Santa Chiesa,
tu sei la maestra della verità; tu fai brillare una luce che, partendo da Dio,
abbraccia tutta la creazione. Fuori di te, non vi è che una contraffazione
della scienza; e questa stessa contraffazione non sarebbe possibile, se tu non
avessi ispirato alle anime quella sete di conoscenza che tu sola puoi
appagare”.
Verità nella Chiesa

Sempre più a fondo, il Père Emmanuel ci conduce sempre più in


profondità nella contemplazione del mistero della Santa Chiesa. Qui si tratta
della Verità nella Chiesa. Non stanchiamoci di seguire questi testi, di
studiarli anche, con pazienza, ci disintossicheranno da tutte le piccole e
grandi menzogne che da anni siamo costretti ad ascoltare proprio riguardo
alla Chiesa e la Verità.
Beviamo con generosità dagli scritti del Père Emmanuel, sicuri che sono
tutta pura dottrina della Chiesa.
La Chiesa è qui considerata come colei che è messa da Dio in possesso
di tutta la verità e di tutto il bene. In una triste epoca, come la nostra, di
falso e fuorviante ecumenismo, quanto sono preziose le parole chiare di
questo santo monaco-parroco.
Guidati da lui nella dottrina più pura, andando alla Scrittura e ai Padri,
soprattutto a S. Agostino, veniamo disintossicati da quello sguardo troppo
umano e mondano con il quale, anche nella Chiesa, si parla della Chiesa
stessa.
Impressionante per chiarezza, tra l'altro, la sua annotazione sulla fede
che è il principio della giustificazione e non la buona fede come oggi
pensano i più.
Leggiamo, studiamo, consideriamo con attenzione.
XVI
La Verità e la Grazia

Nostro Signore è apparso quaggiù, secondo San Giovanni, ricolmo di


grazia e di verità (Gv 1,14). Questa duplice pienezza, l'ha riversata nella sua
Chiesa, facendo di essa, in mezzo al mondo, la depositaria della verità e la
dispensatrice della grazia.
Vi sono alcune verità in coloro che non appartengono alla Chiesa; ma
queste verità parziali si collegano alla verità totale che essa possiede, come i
raggi al sole. Allo stesso modo le grazie che Dio fa a coloro che sono fuori
della Chiesa sono destinate a farli entrare in essa, affinché per essa essi
siano salvati.
Il male allo stato puro non esiste da nessuna parte; essendo il male una
corruzione del bene, non esiste che mischiato a dei resti di bene che divora
come il cancro divora la carne vivente.
Vi sono dunque dei resti di bene, fuori della Chiesa. Ma in essa sola si
trova il bene tutto puro, il bene nella sua integrità. Sant'Agostino non esita
a riconoscere che tutti i beni che sono nella Chiesa si possono trovare, in
una certa misura, fuori della Chiesa, tranne tuttavia quel legame di unità che
spezza chiunque esca dal- l'unità. “Vi è nella Chiesa, dice, questa fontana
invisibile e sigillata, che è lo Spirito Santo, ecco la sua proprietà
incomunicabile. Da questa sorgente proviene la pace, l'unità, la carità, che
sono i beni propri della Chiesa.” Quanto al resto, lo si può ritrovare fuori
dal suo grembo. “Dio nella sua unità, dice ancora, può essere onorato fuori
della Chiesa; la fede che è una, la si può incontrare fuori di essa; il
battesimo, che è unico, può essere amministrato validamente fuori dal suo
seno. E tuttavia, come non vi è che un solo Dio, una sola fede, un solo
battesimo, non vi è che una sola incorruttibile Chiesa: non una sola nella
quale il vero Dio è onorato, ma una sola nella quale è onorato con pietà;
non una sola nella quale la vera fede è conservata, ma una sola nella quale è
conservata con carità; non una sola nella quale il vero battesimo esiste, ma
una sola nella quale esiste per la salvezza.” Così parla il grande Dottore (Ad
Cresc., libro 1, capitolo 29).
Affrettiamoci, a riguardo dei beni spirituali che possono sussistere tra i
dissidenti, di fare tre sottolineature importanti:
- Questi beni non appartengono all'eresia o allo scisma, ma alla Chiesa di
cui costituiscono la dote inalienabile.
- Sola, essa ne conserva il deposito senza alterazione, mentre al di fuori
di essa i beni sono soggetti a corrompersi.
- Essi non giovano a coloro che li detengono fino a quando non saranno
incorporati alla Chiesa, alla colomba senza macchia.
Questi grandi e larghi punti ci fanno comprendere alla meraviglia il
ruolo della Chiesa quaggiù.
Essa è messa da Dio in possesso di tutta la verità, di tutto il bene.
Attorno ad essa si muovono delle società religiose, che presentano dei resti
di verità mischiati ad errori, delle briciole di bene più o meno corrotto. Al
fondo, esse non hanno di proprio che il loro errore e la loro corruzione; e
tutto il bene, che detengono, la Chiesa lo rivendica come una cosa che di
diritto le appartiene. Presso gli idolatri, essa rivendica quella nozione di
Dio che, come l'ha così bene dimostrato Tertulliano, sussiste al fondo di
ogni coscienza umana, malgrado le grossolane menzogne del politeismo;
rivendica quelle tradizioni primitive di un Salvatore, di una remissione dei
peccati, di una vita futura, che il paganesimo ha sfigurate, ma per niente
abolite.
Presso i Giudei, essa rivendica la raccolta ispirata dell'Antico
Testamento, che contiene tutte le promesse e profezie compiute in Gesù
Cristo e, in se stessa, rivendica il dogma dell'unità di un Dio Creatore, di cui
il popolo ebreo era l'araldo prima di Nostro Signore.
Presso gli eretici, essa rivendica la fede, nelle parti in cui essa dimora
intatta; i sacramenti, che essi conservano almeno in parte; il Nuovo
Testamento, cioè i Vangeli e gli scritti apostolici, di cui questi fuorviati si
servono troppo sovente a loro rovina.
Infine, presso gli scismatici, essa rivendica il simbolo di cui non negano
nessun fondamentale articolo, i sacramenti, e fino alla presenza reale di
Gesù Cristo nei tabernacoli, la successione gerarchica, l'insieme del culto;
in una parola tutti i beni che questi prodighi hanno portato con sé lasciando
la casa dell'unità.
Lo si vede da questo elenco, non vi è nessuna falsa religione che non
detenga degli elementi di verità e di bene. Questi elementi sono altrettanti
punti di contatto con la Chiesa; e le servono da ponte, per invitare gli
infelici smarriti ad entrare nel suo grembo.
Rivolgendosi agli idolatri, la Chiesa, come si vede dai discorsi di San
Paolo sia ai gentili di Listra sia all'Areopago (At 14; At 17), invoca l'idea di
Dio che non è mai rimasto senza testimonianza, che fa maturare le messi,
che dona agli uomini la vita, il respiro ed ogni cosa.
Rivolgendosi ai Giudei, adduce il compimento degli oracoli profetici,
come si può vedere nei discorsi di san Pietro dopo la Pentecoste (At 2; At
3).
Rivolgendosi agli eretici, agli scismatici, mette loro sotto gli occhi delle
prove tratte dal Nuovo Testamento, dalla testimonianza dei Padri, della
successione delle Chiese. Ed è così che essa attira a se stessa tutte le
porzioni dell'umanità traviata; le attira spesso e con forza, prendendo gli
uomini tramite i resti di bene che possiedono, e conducendoli a gioire in se
stessa di un bene puro e completo.
“Quando un dissidente ritorna, dice Sant'Agostino, non perde nulla di ciò
che ha, ma comincia a possedere per la sua salvezza ciò che deteneva prima
per la sua perdizione; partecipa alla pace celeste, è associato all'unità santa,
è interiormente ricolmo di carità. È iscritto alla città degli angeli; entra in
possesso di quel bene che si chiama Chiesa, ed in essa trova il riposo, grazie
alla sorgente invisibile da cui è irrigata, cioè lo Spirito Santo” (Ad Cresc.,
libro 2, capitolo 15).

***
Ci resta da mettere in luce un punto relativo alle sette cristiane.
Seguiamo sempre la nostra guida, Sant'Agostino.
Al tempo del grande dottore, certi fuorviati pretendevano che bisognasse
ribattezzare gli eretici battezzati nell'eresia, come se ogni battesimo dato
fuori dal grembo della Chiesa fosse nullo. Fondandosi sulla costante
pratica della Chiesa romana, Sant'Agostino sostenne che il battesimo dato
fuori della Chiesa è valido, ammesso che sia stato dato nella forma voluta,
con l'intenzione di fare un cristiano. E i suoi potenti argomenti miravano ad
annientare l'errore che combatteva. Restò quindi acquisito che le sette
cristiane dissidenti possono generare dei cristiani; esse li generano, non per
il loro errore che è totalmente infecondo, ma per il bene del battesimo che
esse hanno conservato.
Di seguito, ed è a questa conseguenza che vogliamo giungere, i cristiani
che generano non appartengono a loro; appartengono alla Chiesa, attraverso
il battesimo di essa per cui si ritrovano, anche senza saperlo, figli della vera
Chiesa che è la Chiesa romana.
Tale è dunque il meraviglioso spettacolo che offre il mondo! La Chiesa
cattolica diviene madre, non solamente per le mani dei suoi propri figli, ma
per le mani anche dell'eresia o dello scisma: perché tutti i battezzati le
appartengono per il fatto stesso del loro battesimo. Ma citiamo
Sant'Agostino. “La Chiesa, dice, possiede i sacramenti come per diritto di
eredità, avendoli ricevuti da Gesù Cristo. Per cui chiunque battezza fuori di
essa, propriamente parlando non battezza; ma è lei (la Chiesa romana, ndr)
che battezza, è lei che genera, e in lei Gesù Cristo. La separazione non ha la
virtù di generare, è solo l'unità che genera. Dunque, conclude, è solo la
Chiesa che genera, sia direttamente, sia servendosi dei suoi servitori (che
sono lo scisma e l'eresia); e solo a lei appartengono i figli, come prodotti
dalla virtù di Gesù Cristo suo Sposo” (De baptismo contra Donatistas, libro
I, capitolo 10).
Da questi fondamenti molto certi, è consolante pensare che vi è nei paesi
eretici e scismatici un grande numero di figli della vera Chiesa. Sono tali i
figli in tenera età, legittimamente battezzati; sono tali anche molti adulti,
che non hanno mai dato allo scisma o all'eresia una adesione formale, e che
hanno vissuto della grazia del loro battesimo. Sicuramente, fuori dal
grembo della vera madre, sono meno privilegiati di noi; ma non sono privati
degli aiuti, attraverso i quali possono giungere alla salvezza.
Se vi giungono d'altronde, non è (come abbiamo letto prima) in virtù
della loro buona fede, ma della fede che hanno in Gesù Cristo. La buona
fede non è il principio della giustificazione, ma solamente la fede. Buona
fede vuol dire che non vi è un'adesione formale all'errore; è un elemento
negativo. La salvezza non risulta che da un elemento positivo, che è
l'adesione dell'anima alla verità rivelata o, altrimenti detto, la fede operante
attraverso la carità.
Quanto a coloro che hanno commesso il peccato di scisma o eresia, sono
separati dalla Chiesa; e per questo stesso fatto, perdono il frutto del
battesimo che hanno ricevuto. Diventano come il figlio morto che, nel
giudizio di Salomone, resta diviso dalla falsa madre; quanto alla Chiesa, la
vera madre, essa possiede il figlio vivo; e Gesù Cristo, di cui Salomone è
l'immagine, porta un giudizio giusto, affinché sia irrevocabilmente restituito
a lei.

La Chiesa di Cristo di fronte a Giudei e Gentili

Mentre un falso ecumenismo sta facendo sprofondare i cattolici in un


indifferentismo eretico, che fa dire con estrema superficialità che tutte le
religioni vanno bene ai fini della salvezza, queste righe del P. Emmanuel
riportano la riflessione dentro una chiarezza tutta cattolica.
La Chiesa di Cristo di fronte a Giudei e Gentili, cioè i pagani politeisti:
quali considerazioni occorre fare, quale atteggiamento corretto avere?
Leggiamo e riflettiamo con tutta calma e pazienza, studiamo, e saremo
illuminati e pacificati.
Più aumenta la confusione demoniaca, più occorre stare nella retta
dottrina. Ma per stare ad essa, occorre conoscerla veramente.

XVII
Giudei e Gentili

La Chiesa di Gesù Cristo, dopo la Pentecoste, si è trovata in presenza di


due porzioni dell'umanità che l'apostolo distingue sovente, cioè i Giudei e i
Gentili (o nazioni idolatre). I Giudei, popolo di Dio, erede delle promesse,
dal quale proviene Cristo secondo la carne (Rm 9,5), furono i primi invitati
a entrare nella Chiesa nuova: rifiutarono.
D'allora gli apostoli rivolsero i loro sforzi alla conversione delle nazioni
idolatre e, seguendo la parabola del Vangelo, si sparsero nei crocicchi (Mt
22,9), cioè in tutte le parti del mondo, invitando tutti gli uomini senza
distinzione al banchetto dell'unità.
L'apostolo ci dipinge, con la sua energica concisione, gli effetti della
predicazione sui Giudei e sui Gentili. “I Giudei, dice, chiedono miracoli, e i
Greci cercano la saggezza: quanto a noi, predichiamo Gesù crocifisso,
scandalo per i Giudei, stoltezza per i Pagani; e in verità potenza di Dio, e
sapienza di Dio per coloro che sono chiamati tanto dai Giudei come dai
Pagani” (1 Cor 1,23-24).

***

Da queste parole risulta che i Giudei rifiutarono Nostro Signore perché


le sue umiliazioni e la sua croce, che sono la salvezza del mondo, li
scandalizzavano.
Sognavano un Messia guerriero, che avrebbe sottomesso al loro impero
tutti i popoli della terra; un Messia taumaturgo, che avrebbe fatto
risplendere dei prodigi nel cielo, e con una parola avrebbe abbattuto i loro
nemici. Quando videro Gesù umile e povero, Gesù i cui miracoli erano dei
miracoli di bontà, Gesù che si lasciava flagellare e crocifiggere come
l'agnello senza difesa, il loro orgoglio si rivoltò: lo rigettarono, lo
anatemizzarono, e furono per questo rigettati loro stessi e anatemizzati. Il
Vecchio Testamento li aveva nutriti delle promesse di una felicità
temporale; il Nuovo, segnato dal sangue di Gesù Cristo, apriva loro
l'accesso a una felicità eterna.
Ma, per accedervi, bisognava adorare Gesù in croce. Questa croce
divenne per essi una pietra di scandalo, contro la quale si infransero. “I
Giudei, dice Sant'Agostino, indirizzano le loro suppliche al vero Dio, ma
non attendono che dei beni temporali; per questo disprezzarono gli inizi del
popolo nuovo che cresceva nell'umiltà, si accecarono per nulla comprendere
dalle Scritture, e rimasero nel vecchio uomo (De vera religione).
“Costituiscono, aggiunge, un vivente contrasto con la bellezza della
Chiesa.” mentre la Chiesa è sempre giovane, perché è tutta celeste, tutta
spirituale, essi sono invecchiati, carnali, rattristati, sfigurati. La Chiesa, dice
ancora, li supera; correndo al Cielo, li lascia trascinarsi sulla terra; li
abbandona alla loro cecità, per volare alla conquista spirituale del mondo.
E tuttavia il suo grembo resta loro aperto; essa prega Dio di guarire il
loro indurimento, di togliere il velo che copre gli occhi del loro cuore (2
Cor 3,15); essa sa che un giorno questo velo sarà tolto, che i Giudei
convertiti riconosceranno Gesù Cristo, come i figli di Giacobbe hanno
riconosciuto il loro Giuseppe che avevano venduto. Questa speranza dilata
il cuore della Chiesa, e anima la sua preghiera.
Attendendo il grande giorno dell'unità, il grande giubileo del mondo
annunciato dai profeti e descritto da San Paolo in termini magnifici (Rm
11), i Giudei rendono con la loro stessa dispersione e la loro persistenza
come popolo, una testimonianza eclatante a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Portatori incorruttibili dell'Antico Testamento, ne garantiscono
l'autenticità contro gli attacchi del razionalismo; hanno tra le mani, per uno
strano prodigio, le profezie che attestano chiaramente la venuta di Nostro
Signore Gesù Cristo, la loro propria dispersione e il loro ritorno; portano
così una torcia che rischiara il mondo, e con cui si accecano da se stessi.
Sant'Agostino li paragona a Caino che, omicida di suo fratello,
vagabondava dappertutto con un segno sulla fronte, affinché ciascuno lo
riconoscesse e nessuno lo uccidesse. Così i Giudei hanno un segno, il segno
della riprovazione che ha loro messo in fronte il deicidio; e se ne vanno per
il mondo, esponendo questo segno; sono dappertutto, e non si mischiano da
nessuna parte.
Quale uomo in buona fede, studiando questo fenomeno unico, e
risalendo dall'effetto alla causa, rifiuterebbe di dire: Gesù Cristo è Dio?

***

Parlando dei Gentili, si intendono le nazioni idolatre, di cui la Chiesa


intraprende direttamente la conversione, quando i Giudei si furono da loro
stessi giudicati indegni della vita eterna (At 13,46).
I profeti avevano annunciato la conversione dei Gentili. Avevano visto,
all'avvento del Messia, l'idolatria scomparire e la conoscenza del vero Dio
inondare il mondo come il mare si copre di flutti (Is 40).
Se i Giudei fossero restati fedeli, avrebbero mantenuto il ruolo di
primogeniti nella grande famiglia dei popoli riscattati. Per effetto della
riprovazione dei Giudei, i Gentili passarono in primo piano.
San Paolo, che ebbe per prima missione di evangelizzare i popoli di
razza ellenica, diceva: i Greci vogliono la sapienza, e per essi la croce è una
follia. E costatava nello stesso tempo che, per la stoltezza della predicazione
della croce, era piaciuto a Dio di salvare il mondo (1 Cor 11,18). All'inverso
dei Giudei, i Gentili, umiliando la loro pretesa sapienza, accettarono dunque
e adorarono Gesù crocifisso.
Sant'Agostino, collocandosi da un punto di vista più generale, dichiara
che le nazioni idolatre erano e sono ancora nelle mani della Chiesa come
una materia prima che essa lavora.
Questa espressione, che non stupirà se la si applica ai selvaggi,
scioccherà qualche spirito se la si applica ai popoli civilizzati della Grecia e
dell'antica Roma. Come! È permesso assimilare delle stirpi coltivate fino
alla raffinatezza a una materia ancora bruta che si tratta di lavorare?
Tuttavia l'espressione è giusta. Chiunque, in effetti, studi pazientemente la
storia di questi popoli famosi è colpito nel vedere tutti i loro generali e i
loro filosofi in preda alle superstizioni più ridicole, nello stesso tempo,
ahimè! in cui sono sporchi, lo attesta San Paolo, delle passioni più
ignominiose. Diventa chiaro che il diavolo li teneva sotto il suo potere,
ridicolo e crudele nello stesso tempo, esattamente come i selvaggi. E la
conclusione che si impone è questa: la Chiesa sola, e non la filosofia, può
liberare l'umanità, e strapparla dagli abissi dell'ignoranza e del vizio.
In realtà le nazioni erano, come dice San Paolo, totalmente estranee alla
vita divina (Ef 4,18). Originariamente, avevano ricevuto delle tradizioni
riguardanti la caduta e le promesse di un Redentore. Ma queste tradizioni,
così come la nozione di Dio, erano state talmente alterate e sfigurate dalle
favole del paganesimo, da divenire irriconoscibili. Le nazioni non offrivano
più che un'accozzaglia confusa di credenze grossolane; e i filosofi, che
vedevano più chiaramente ciò che è la natura divina, avevano per principio
che in religione occorreva in effetti seguire la consuetudine, anche falsa,
immorale e assurda.
Gli apostoli ebbero la missione di sciogliere questo caos, di portarvi la
luce, di far accettare a questi uomini gloriosi e sensuali le nozioni più pure
su Dio e nello stesso tempo i precetti più austeri che crocifiggevano la carne
e umiliavano lo spirito. Realizzarono questo prodigio per la virtù dello
Spirito Santo; questo rinnovamento fu una vera creazione.
Da tutte queste nazioni idolatre, plasmate dalle mani degli apostoli e
rigenerate dal fermento del Vangelo, uscì quella meraviglia che si chiama
cristianità: la cristianità la cui sede è a Roma con la cattedra di Pietro, e la
cui casa è la razza di Japhet, più specialmente la razza latina. Questa razza
fu eletta per rimpiazzare Gerusalemme: essa è e rimane incaricata
dell'apostolato del mondo.
Non diciamo che questa razza è sempre stata fedele alla sua missione,
come avrebbe dovuto esserlo: tuttavia, ancora oggi, è lei a fornire i
missionari ai quattro angoli del globo terrestre, che marciano all'assalto
della più temibile cittadella del feticismo intraprendendo la conversione
dell'Africa. Essa continua l'opera della predicazione del Vangelo, alla quale
Nostro Signore non ha posto altri limiti che quelli stessi della terra (At 1,8).
Ahimè! Non ignoriamo che le nazioni cristiane oggi non sono più
cristiane come nazioni. Per cui, saremo obbligati, nel seguito di questo
lavoro, a parlare dell'apostasia delle nazioni, come parleremo del ritorno e
della conversione dei Giudei. Questi due fatti immensi entreranno nel
dramma della fine dei tempi.
Lo sguardo sulle eresie e gli scismi

Il cammino della Chiesa nel tempo conosce la sofferenza delle eresie e


degli scismi che nascono al suo interno.
Occorre non avere una visione parziale di questi mali.
I libri di storia riducono perlopiù scismi ed eresie a fattori umani, con
sole radici culturali, politiche o economiche: la loro storia non prevede il
soprannaturale.
Molto clima cattolico intorno a noi minimizza il problema delle eresie e
degli scismi, come fosse questione di un lontano passato, un po' senza senso
nell'attuale crisi generale della religiosità.
Ma qual è lo sguardo cattolico su tutto questo?
Ce lo fornisce come sempre il P. Emmanuel, con la sua magistrale
sinteticità.
XVIII
Le eresie e gli scismi

Nostro Signore aveva fatto conoscere simbolicamente ai suoi apostoli


che, nelle reti che sarebbero servite per prendere tutte le nazioni, ci
sarebbero stati degli strappi (Lc 5,6).
Questi strappi indicavano gli scismi e le eresie che dovevano prodursi
dopo il trionfo della Chiesa.
Perché le reti della Chiesa si ruppero? Perché erano caricate all'eccesso.
Quando il movimento che tendeva alla conversione del mondo ebbe
definitivamente la meglio sul movimento contrario, popoli interi si
pressarono alle porte della Chiesa. In queste folle, i cattivi erano mischiati
ai buoni; entrarono alla rinfusa con i buoni.
Nostro Signore aveva previsto questo risultato: “I servitori, partiti lungo
le strade, riunirono tutti quelli che trovarono, buoni e cattivi; e la sala delle
nozze fu colma di convitati” (Mt 22,10).
Tuttavia, la Chiesa essendo santa, provoca in sé una repulsione del male.
Tollera pazientemente i cattivi, ma lavorando alla loro correzione. Cosa
risulta da questo? Sant'Agostino ce lo insegna: “O i cattivi si correggono e
fanno penitenza, o si lasciano andare totalmente all'iniquità, fatto che è un
avvertimento per i buoni; diversi fanno degli scismi, cosa che esercita la
nostra pazienza; altri generano delle eresie, cosa che mette in rilievo la
nostra dottrina. E scismi ed eresie sono delle vie d'uscita, attraverso le quali
i cattivi cristiani ci lasciano quando non possono più essere né tollerati né
corretti” (De vera religione).
Così gli scismi e le eresie si formano da questi cristiani carnali e indocili
che la Chiesa ha lungamente sopportato con gemiti. La sua santità li espelle;
ed essi si separano da essa come degli elementi viziati; per la loro
separazione, essa si trova come purificata e come ringiovanita. È così che
Dio fa nascere il bene dal male.
Nello stesso tempo, avviene una rivelazione dei pensieri segreti. La
Chiesa, messa alla prova, impara a conoscere i suoi veri figli, i suoi veri
fedeli (1 Cor 11,19). E di coloro che l'hanno lasciata, dice con l'apostolo
prediletto: Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri (1 Gv 2,19).
Solamente, il suo cuore di madre sanguina sullo scandalo dei piccoli e dei
deboli, che vede sedurre e trascinare; ed essa lancia delle grida lancinanti
perché il Signore li renda al suo amore.

***

Oltre quest'effetto generale di purificare la Chiesa, le eresie hanno,


secondo Sant'Agostino, un effetto speciale, che è quello di mettere in rilievo
la sua dottrina e di contribuire allo sviluppo del suo dogma. “Gli eretici,
dice, cercano di turbare la pace dei santi, e concorrono al loro avanzamento.
Quanti punti nella dottrina cattolica sono stati considerati con più
attenzione, compresi con più chiarezza, predicati con più energia, per essere
stati messi in questione dallo spirito sottile e inquieto degli eretici! Le loro
obiezioni sono state causa di approfondimento del dogma” (La città di Dio,
libro 16, capitolo 2).
Le eresie, in effetti, hanno colpito in breccia, con una sorta di metodo,
tutte le parti del dogma cattolico. In Oriente, i misteri fondamentali della
Trinità e dell'Incarnazione furono dall'inizio attaccati da un seguito di eresie
generatesi le une dalle altre, e non meno sottili che tenaci. In Occidente,
Pelagio volle scalzare il mistero della Redenzione, negando il peccato
originale e la grazia. Infine, Lutero e Calvino hanno concentrato tutto il
veleno degli antichi errori nella guerra infernale che hanno diretto, in nome
della ragione emancipata, contro l'autorità stessa della Chiesa.
Ora, ad ogni attacco successivo, è corrisposta una messa in luce
vittoriosa di ciascuno degli articoli attaccati; e, in questo modo, il dogma
cattolico si è per così dire sviluppato di epoca in epoca.
La Chiesa cattolica ha sempre posseduto la verità integrale, grazie
all'unzione che le insegna ogni cosa (1 Gv 2,27). Ma la luce che essa tiene
nel suo seno non risplende sempre uniformemente su tutti i punti del
simbolo. Lo shock dell'eresia ha precisamente per effetto di produrre delle
vive chiarificazioni, che hanno via via illuminato il Credo sotto tutti gli
aspetti. E San Gregorio Magno, contemplando queste proiezioni di luce su
dei punti ancora oscuri, ha potuto dire questa grande parola, che la scienza
aumenta nella Chiesa.
Essa cresce come l'albero che si sviluppa. È sempre la stessa, e non cessa
di stendere i suoi rami fino a che non sia esaurita la virtù contenuta nel
germe. Ora, la virtù deposta nella Chiesa è inesauribile; ed è perché il
bell'albero della dottrina vi cresce sempre, secondo leggi misteriose,
secondo certi numeri sacri.
Che follia il rappresentare la Chiesa come ostile ai progressi dello spirito
umano!
Le apre un campo infinito come Dio stesso; attaccandosi alla sua
autorità, alla tradizione di cui essa è custode, non si smarrirebbe nelle sue
vaste ricerche; trova dunque, e ciò che trova è la verità, è la gioia della
verità, gioia pura, indicibile, primizia dell'eterna beatitudine.
L'eretico, anche lui, cerca; ma, poiché si è liberato dell'autorità della
Chiesa, non trova, e perde anche ciò che possedeva. Ritirandosi dal grembo
di sua madre, aveva portato alcune verità; ed è impotente nel difenderle
contro i suoi propri settari. Per il fatto stesso che si pone come giudice della
fede, non può riuscire ad esprimere un simbolo. Ciò che ancora afferma, un
altro lo nega; e così l'eresia si distrugge da sola. Non resta altra alternativa,
per coloro che essa ha sedotto, che cadere nell'incredulità completa o
ritornare alla Chiesa, per gioirvi serenamente nella piena verità.
L'eresia non ha dunque che una durata essenzialmente limitata; è
destinata a morire, come un membro amputato che entra in
decomposizione, come un ramo potato e che si secca.
Diverse cause possono mantenerle per qualche tempo un'apparenza di
vita; ma, a un dato momento, si constata che la morte ha fatto la sua opera e
che ha ottenuto il suo scopo.
Allora la Chiesa, sempre vivente e sempre madre, apre il suo grembo e
raccoglie i suoi figli, derelitti dell'eresia scomparsa; rende loro la forma
della vera fede che avevano perduta. E le sue pecore, rientrate all'ovile,
assaporano in pace la pura dottrina della verità sotto la tutela della verità.

***

Mentre l'eresia consiste nella negazione di un articolo di fede, lo scisma


proviene da un rifiuto d'obbedienza ai pastori legittimi. Sant'Agostino
compara gli scismatici alla pula che il vento dell'orgoglio solleva e porta
lontano dall'aia dove resta il buon grano.
La Chiesa esclude gli eretici, perché i loro discorsi si espandono di
nascosto come il cancro e corrompono la fede dei semplici (2 Tm 2,17); li
amputa come le membra incancrenite.
Quanto agli scismatici, sono loro stessi che spezzano il legame dell'unità
e della carità: la Chiesa non li caccia, essi la lasciano, ed essa li lascia
andare come il figlio prodigo che vuole dissipare il suo patrimonio.
Lasciando così la Chiesa, fanno vedere quanto essa è stabile in se stessa e
indipendente dagli uomini; tutti hanno bisogno di lei, lei non ha bisogno di
nessuno (Sant'Agostino, De vera religione).
Gli scismatici, per il fatto stesso di ritirarsi dall'obbedienza della Chiesa,
non perdono la fede; ma perdono la carità, si isolano dallo Spirito Santo,
muoiono alla grazia.
Ed è raro che, nella loro separazione dalla cattedra della verità, non
essendo più istruiti dall'autorità infallibile, la loro fede non si alteri. Ed è
così che quasi sempre l'eresia si aggiunge allo scisma.
Il più grande scisma che abbia desolato la Chiesa, è lo scisma di Fozio,
per il quale la Chiesa orientale si separò da Roma. Grazie a quell'immobilità
che caratterizza l'Oriente, questi scismatici hanno conservato una fede
pressoché integra; hanno i nostri sacramenti, hanno finanche la presenza
reale di Nostro Signore. E tuttavia, quale contrasto con la Chiesa romana!
Lo spirito apostolico ha abbandonato le comunioni dissidenti. Sono come
un cadavere, imbalsamato se si vuole, e conserva la forma delle sue
membra, ma privato di ogni vita.
La Chiesa anglicana è piuttosto il frutto di uno scisma che di un'eresia;
poiché il suo articolo fondamentale è il suo rifiuto della sottomissione a
Roma. Si constata qui ancora la differenza tra la vera vita che non può
zampillare che dall'unità, e questa agitazione fittizia che non è che il
simulacro della vita. Gli anglicani inviano missionari un po' dappertutto, e
donano milioni e milioni alle loro società bibliche. Tutto questo movimento
approda al nulla... mai il denaro dei pastori ha fatto un credente e un
martire.
Mentre dunque l'eresia mette in rilievo con le sue variazioni l'integrità
della fede nella Chiesa, lo scisma fa risplendere la pienezza divina della vita
di essa. E lo scisma, come l'eresia, non ha che una durata limitata. Partorito
dalle passioni degli uomini, non si sostiene da se stesso; e, in fin dei conti,
occorre che il figliol prodigo, sfinito e ridotto a nulla, ritorni a casa. La
Chiesa lo riaccoglie con tenerezza, gli rende la vita della carità, e vi è gran
festa, allegrezza immensa in Cielo e sulla terra, per celebrare il suo ritorno.

Cristianesimo e Islam

In questo capitolo de “La Sainte Église” ci è offerto un esempio pratico


di cosa sia una lettura veramente cristiana della storia; una lettura che non
cada nel Naturalismo, cioè nella grande eresia dei nostri tempi.
É una lettura della storia che scorge il disegno provvidenziale di Dio,
tutto concentrato sulla salvezza portata da Nostro Signore Gesù Cristo. E lo
fa su un punto così delicato, così drammaticamente attuale come il rapporto
Cristianesimo - Islam.
Se ci scandalizzeremo della chiarezza del P. Emmanuel, sarà perché in
fondo dipendiamo ancora da una lettura troppo umana della storia.
Impariamo, leggendo, un metodo di giudizio.

XIX
L’Islam e la Cristianità
La parola folgorante degli apostoli distrusse gli idoli, non solamente gli
idoli di legno o di metallo che ricevevano un culto grossolano, ma gli idoli
anche di carne ed ossa, cioè il culto dei disonesti piaceri. Il regno dello
spirito fu proclamato di fronte al mondo (Is 3,18).
Il diavolo, lo spirito immondo che il profeta aveva visto sollevato e tolto
dalla terra dallo Spirito di Dio (Zc 13,2); il diavolo meditava una rivincita.
Avendo la conoscenza del vero Dio riempito il mondo come un mare
debordante (Is 11,9), non osò rialzare gli idoli di legno e di pietra. Ma,
poiché le passioni sono sempre palpitanti nel cuore dell'uomo decaduto,
rialzò il culto della carne. Forgiò una religione autorizzante tutti i vizi, e fu
l'islamismo.
L'islamismo è un prodotto di tutti i fermenti impuri che covavano nei
paesi dove la fede non era penetrata profondamente.
Esaminiamolo nella sua origine, nella sua marcia di conquista, nel suo
scopo provvidenziale: troveremo materia per delle riflessioni del più alto
interesse.

***

L'islamismo è una contraffazione del cristianesimo, di cui prova a modo


suo la divinità.
Maometto ci apparirà come il tipo del falso profeta, impregnato dei soffi
di Satana. Finge delle rivelazioni; o piuttosto ha dei rapporti con lo spirito
delle tenebre. Ne riceve una sorta di Vangelo, cioè il Corano. Si fa gioco
degli uomini con delle grossolane imposture; e quando ha fanatizzato
qualche partigiano, prende la sciabola e fonda la sua religione con la
sciabola.
Nostro Signore dice ai suoi apostoli: “Vi mando come agnelli in mezzo
ai lupi (Mt 10,16)”. E sono uccisi e sbranati dai lupi; ma la loro morte
cambia i lupi in agnelli. Ecco dove appare evidente l'azione soprannaturale
e divina.
Maometto grida al mondo spaventato: credi o muori! E i popoli
sconvolti si piegano sotto le scimitarre degli inviati del falso profeta.
Coloro che non sono abbattuti dalla paura sono sedotti dall'attrattiva dei
piaceri, a cui la nuova religione da libero corso: il paradiso che essa
promette non è che un luogo di godimento volgare e animalesco.
Non si tratta più della croce, scandalo per i Giudei e stoltezza per i
Pagani; siamo lontani dai discorsi di un San Paolo che spaventavano il
procuratore Felice mentre gli parlava della giustizia, della castità e del
giudizio futuro (At 24,25).
È la carne fremente che insorge contro lo spirito; è l'orgoglio che si
emancipa e che prende il posto di Dio.
L'islamismo ci mostra quale produzione infernale può sortire in un dato
momento da un mondo dove si agitano dei germi di peccato. Ma non restò
confinato nelle solitudini dell'Arabia in cui prese la nascita; si scatenò su
tutto l'Oriente come un flagello, e non lo fu senza una permissione di Dio.

***

Dio non è l'autore del male; non lo permette che per il bene; e nella sua
Provvidenza tanto misericordiosa quanto giusta, lo contiene in determinati
limiti che non può superare. La tempesta più violenta non devia dalla linea
che la mano di Dio le ha tracciato (Gb 38,11).
L'islamismo si abbatté, per un terribile giudizio di Dio, sui popoli che
avevano misconosciuto il dono della fede.
L'Oriente fu la terra nutrice di grandi eresie. Fu anche, è vero, il teatro
dei grandi concili. Ma questi concili non potettero spegnere i tizzoni ardenti
lanciati dagli eresiarchi.
L'errore, vinto sul terreno dottrinale, rimase nel cuore di molti,
riproducendosi sotto mille forme, e il più delle volte favorito dai poteri
pubblici. Infine Dio si stancò; e per punire coloro che avevano oltraggiato
la persona adorabile del suo Cristo, scatenò su di essi l'anticristo Maometto.
I settari del Corano vennero ad accamparsi successivamente ad
Alessandria, a Gerusalemme, ad Antiochia, e coprirono con il frastuono
delle battaglie le vane dispute teologiche dei Greci.
Più tardi, il patriarca di Costantinopoli mosse contro Roma pensieri di
rivolta, e terminò con una aperta rottura tutta una serie di insolenti
grattacapi. Allora Dio lasciò che il fiume guadagnasse il terreno; e
Costantinopoli, la testa dello scisma, cadde sotto gli attacchi di Maometto
II. Colui che non voleva obbedire al Papa dovette curvarsi davanti al
sultano.
***

Nello stesso tempo in cui l'islamismo puniva l'Oriente, fortificava la


cristianità in Occidente.
Dio volle che a fianco del suo popolo eletto persistesse in Palestina una
razza guerriera e irreconciliabile, i Filistei.
Tennero continuamente all'erta i figli di Giacobbe, e contribuirono alla
loro formazione come popolo omogeneo: occorreva bene che le tribù
dimenticassero le loro contese per resistere al nemico comune.
L'islamismo giocò, in rapporto alle nazioni cristiane, lo stesso ruolo
provvidenziale. Dall'origine, si annunciò come tendente allo sterminio del
nome cristiano; e ben presto si lanciò, pieno di una rabbia infernale,
all'assalto dell'Europa.
Sotto i colpi di questa perpetua minaccia, le nazioni cristiane si unirono
alla voce della Chiesa loro madre, e formarono quel fascio indistruttibile
che si chiama cristianità. La cristianità, cioè la grande famiglia dei popoli
riscattati obbedienti al padre comune; la cristianità, cioè la forza al servizio
del diritto e proteggente tutti i deboli; la cristianità, la cui espressione
guerriera fu la cavalleria, e che aveva alla sua testa la nazione dei Franchi!
Le nazioni cristiane, non contente di difendersi, presero l'offensiva, e
iniziarono le crociate, destinate a riconquistare i luoghi santi.
Si è detto delle crociate che ognuna di loro fallì, eccetto la prima, e che
tutte riuscirono. Senza dubbio, in fin dei conti, Gerusalemme rimase in
potere dell'islam; ma l'Europa fu salvata, la barbarie respinta, la cristianità
formata, e soprattutto la fede magnificamente affermata di fronte al mondo.
L'islamismo non tentò solamente di penetrare nell'Europa cristiana con
la spada; tentò una lotta dottrinale. Impadronendosi degli scritti di
Aristotele, il filosofi arabi professarono una sorta di panteismo e di
illuminismo che andava a distruggere la fede cristiana; e i loro commentari
si insinuarono nelle scuole. Questa aggressione di nuovo genere ebbe
l'effetto di suscitare i grandi monumenti della teologia cattolica,
specialmente l'immortale Summa di san Tommaso d'Aquino.
La cristianità sviluppò dunque, in presenza dell'islamismo, tutta la sua
potenza dottrinale. Che magnifico slancio avrebbe preso la fede nel mondo,
se tutta questa espansione non fosse stata intralciata dai prìncipi stessi della
cristianità, divenuti gelosi della Chiesa e del suo capo! L'ultimo colpo fu
portato alla potenza mussulmana da San Pio V, nel giorno di Lepanto.
Da allora si volse rapidamente al suo declino. D'altronde, come ha
sottolineato Joseph de Maistre, il mussulmano non ha mai che accampato
nei paesi che ha conquistato.
È inassimilabile e inconvertibile. Non si fonde con i popoli che curva
sotto una verga di ferro; e la parola degli apostoli non ha presa su di lui.
Non essendo che accampato, e non radicato, è chiamato a scomparire un
giorno, come il soldato che ripiega la sua tenda. La sua missione terribile,
come flagello di Dio, non ha che una durata limitata; ne ha coscienza, lo
dice. Già non si sostiene in Europa che per un prodigio di equilibrio. E non
esita a farsi eco di una tradizione, per la quale l'islam, annientato in una
lotta suprema, scomparirà per sempre dalla faccia della terra.
Sulla riforma della Chiesa

Vera e falsa riforma della Chiesa; tolleranza e castigo; misericordia e


maternità della Chiesa; necessità della dottrina: in questo capitolo quanti
spunti per riflettere e approfondire!
Non leggiamo troppo velocemente, ma facciamo meditazione col P.
Emmanuel.
Questo insieme di capitoli che costituiscono “La sainte Église”, brevi
perché apparsi nel bollettino di N. D. De la Sainte Espérance, sono
preziosissimi: costituiscono un potente antidoto all'eresia dei tempi
moderni, il Naturalismo, che pur salvando un astratto riferimento a Dio,
parla della Chiesa come una semplice società religiosa umana.
XX
I cattivi cristiani

Tutti i cattivi cristiani non escono dalla Chiesa per la porta grande aperta
dall'eresia e dallo scisma; ve ne sono molti che restano nel suo grembo, e
che la affaticano con i loro costumi depravati. Nessun fatto è messo più in
evidenza, nel Vangelo, che questo mischiarsi inevitabile dei buoni e dei
cattivi sotto il tetto di una stessa società.
La Chiesa è comparata ad un'aia, sulla quale pula e buon grano sono
mischiati (Lc 3,17); a un gregge, che contiene capri e pecore (Mt 25,33); ad
una rete, che trae pesci buoni e cattivi (Mt 13,47); ad una casa, nella quale
ci sono vasi preziosi e vasi di scarto (2 Tm 2,20).
A nessuno è concesso di pronunciare una separazione anzitempo; poiché
nessuno può sondare i cuori e le anime, fuori dal Giudice supremo, e non lo
farà che nel tempo stabilito. Allora, come colui che vaglia, pulirà la sua aia;
allora, come il pastore, separerà i capri dalle pecore; e farà fare dai suoi
angeli la cernita dei pesci contenuti nella rete della sua Chiesa; e i vasi
preziosi risplenderanno nella casa del padre, per tutta l'eternità.

***

La parola tolleranza è una parola cristiana, come la parola carità.


Sant'Agostino la impiega sovente, e non saremmo certi di trovarla in
Cicerone. Ma per questa parola bisogna intendere, non come i libera- li, la
tolleranza degli errori, ma la tolleranza delle persone, e inoltre non di tutte
le persone.
Sant'Agostino non ammetteva che, sotto il pretesto della tolleranza, i
principi cristiani si astenessero dal punire gli eretici, né che la Chiesa si
astenesse dal punire i peccatori scandalosi; domandava semplicemente che i
cristiani sopportassero paziente-mente i loro fratelli infermi o anche viziosi,
nell'invincibile speranza di procurare il loro emendamento.
Per lui, la Chiesa non era una società di farisei che, secondo Isaia,
dicono ai peccatori: Non toccarmi (Is 65,5). Era l'ospedale, dove il buon
Samaritano porta il suo ferito (Lc 10,34); era una città di rifugio, dove i
colpevoli trovano asilo e compassione; era un corpo, in cui le membra sane
curano le membra malate; era infine un luogo di prova, nel quale
l'emendamento è sempre possibile e sempre sperato.
Comparava la Chiesa all'arca di Noè, che, cosparsa dentro e fuori di un
bitume tenace, non rischia di disfarsi, pur portando nei suoi fianchi animali
impuri con animali puri. Così, dice, la Chiesa tollera i cattivi; e il bitume
rappresenta la forza di questa tolleranza che mantiene fermamente l'unità
(De unit. Eccl.).
La tolleranza della Chiesa non è dunque una debolezza, ma una forza;
suppone quella pazienza che rende l'uomo perfetto, e che si unisce alla
pazienza di Dio per fare uscire il bene dal male; essa non esclude in nessun
modo il vigore della disciplina. “Senza dubbio, dice Sant'Agostino, occorre
tollerare i cattivi, ma senza trascurare la disciplina. Il vero spirito di
dolcezza brucia di uno zelo tutto divino, perché questa vergine promessa
sposa a Cristo, che è la Chiesa, non sia corrotta in alcuno dei suoi membri,
nella castità che essa deve a Cristo” (Cont. Ep. Pet., III).
Conseguentemente, se il peccato volge a scandalo, la Chiesa deve
punirlo; ed anche, all'occorrenza, essa deve prendere la spada e separare dal
suo grembo, con la scomunica, il peccatore scandaloso.
Ma in ogni caso, essa non lo scaccerà, dice il grande dottore, che dopo
aver pazientemente insegnato. “La disciplina che caccia i cattivi costumi,
dice, non è al suo posto, fin quando la dottrina che insegna i buoni costumi
non è stata disprezzata.” Tutta la condotta della Chiesa è riassumibile in
questa massima.
Infine, pur infierendo contro i colpevoli, ed anche impiegando contro
questi il ferro della scomunica, la Chiesa resta loro madre: se essa sembra
consegnarli a Satana, seguendo la parola di San Paolo, lo è solamente nei
loro corpi, e lo è per la salvezza della loro anima (1 Cor 5,5).
Cacciato da casa, il figlio è sempre amato, e il suo ritorno è sempre
atteso.

***

Tale è quaggiù lo stato della Chiesa, essa è un misto di buoni e cattivi;


lassù solamente sarà perfettamente pura e pulita, non solo senza macchia,
ma anche senza rughe né difformità alcuna (Ef 5,27).
A volte, durante il suo pellegrinaggio, subisce delle crisi più violente;
come la barca che portava gli apostoli e Gesù, sembra prossima ad essere
sommersa; è, come dice un Padre, talmente sporcata dai cattivi costumi dei
suoi figli, che si crederebbe che il divino Sposo tolga da lei i suoi occhi.
Ma anche allora, essa trova nello Spirito Santo che l'anima e la conduce,
la saggezza e l'energia di lavorare alla sua propria riforma; non ha bisogno
che la mano degli uomini venga a raddrizzarla.
È di lei come dell'arca santa.
Quand'anche i buoi che la conducono venissero ad esitare, quand'anche
essa stessa sembrasse sull'orlo di cadere, guai ai temerari che, per la loro
privata autorità, portassero su di essa la loro mano sacrilega! Sarebbero
colpiti, come lo fu Oza (2 Re 6,7).
Agli inizi del XVI secolo, la Chiesa attraversava una crisi. Aveva subito
nel secolo precedente una lacerazione profonda; ne era risultato uno stato di
decadenza per il popolo cristiano, gli ordini religiosi e il clero stesso.
Occorreva una riforma.
Allora degli uomini senza mandato si posero come riformatori della
Chiesa: erano Lutero e Calvino. Strani riformatori! Il clero, dicevano, è
decaduto dal suo primo splendore: dunque basta con il celibato! Gli ordini
religiosi sono degenerati: dunque basta con i voti monastici! Il popolo
cristiano è corroso dall'ignoranza e i cattivi costumi: dunque basta con la
confessione, basta con il digiuno, basta con il culto alla Santa Vergine e ai
santi! E chiamavano riforma questa distruzione del cristianesimo;
chiamavano riforma l'emancipazione della carne scrollantesi il giogo dello
spirito, l'emancipazione della ragione scrollantesi il giogo della fede.
Sant'Agostino ripete sovente che gli eretici nascono a causa dei cristiani
carnali: mai questa parola è stata più vera che nei confronti dei riformatori
del XVI secolo. La loro storia rivela in ogni momento le turpitudini più
sacrileghe. Lacerata e sconvolta da questi eresiarchi, la Chiesa si riunì in
concilio e mise mano essa stessa alla propria riforma. Questo concilio che
durò dal 1542 al 1563, è il molto illustre concilio di Trento, i cui atti
basterebbero a provare la divinità della Chiesa.
Contro la falsa saggezza di Lutero e Calvino, saggezza terrena, animale,
diabolica, si vide risplendere con una potenza senza pari la saggezza
dall'alto che è innanzitutto pura, poi pacifica, modesta, per- suasiva,
d'accordo con ogni bene, piena di misericordia e di frutti di salvezza (Gc 3,
15-17). Il santo concilio riassunse in meravigliosi decreti la dottrina
tradizionale sul peccato originale, la grazia e i sacramenti; poi restaurò con
mano ferma l'antica disciplina e consolidò in tutte le sue parti il tempio del
Signore. Allora uno spirito di rinnovamento si diffuse in tutta la cristianità.
Si videro sorgere santi di una grandezza eroica, delle opere potenti.
Vi è stata in Italia innanzitutto, poi in Spagna e Francia, una mirabile
fioritura della fede.
Non solamente la Chiesa potette combattere vittoriosamente l'eresia; ma
compensò la sue perdite in Europa con l'evangelizzazione delle Indie e del
nuovo mondo. Ancora oggi, viviamo dei benefici del concilio di Trento, a
cui ha aggiunto le sue luci il concilio Vaticano (Vaticano I, ndr.).
Quanto al protestantesimo di Lutero e di Calvino, è corroso dal
razionalismo che vuole chiudere con la fede: i pastori della pretesa riforma
non sono nemmeno d'accordo su questo punto, Gesù Cristo è Dio?
Si agitano nel vuoto, mentre la Chiesa ridice a Nostro Signore il cantico
d'amore di San Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.
Sul liberalismo cattolico

Il Père Emmanuel pensa a tutto, considera tutti gli aspetti del mistero
della Chiesa, non fa censure.
Ecco allora che ci dona questo capitoletto sul potere secolare: mirabile
pagina, pur nella sua essenzialità, sulla dottrina cattolica intorno al potere
civile nei suoi rapporti con la Chiesa.
Utilissime queste righe per capire che cos'è il Liberalismo cattolico e per
evitarlo.
Appoggiato a tutta la Tradizione della Chiesa, Père Emmanuel lo
definisce un'eresia e una follia.
Come è triste dover constatare che oggi l'eresia liberale fa da padrona
nelle menti e nei cuori dei cattolici, con il sostegno della gerarchia.
Leggiamo, studiamo, riflettiamo.
XXI
Il potere secolare

Se l'uomo non avesse peccato, l'umana società sarebbe stata


essenzialmente religiosa e patriarcale. Il potere secolare, armato di spada,
non sarebbe esistito: è l'opinione di San Gregorio.
In quanto tale, questo potere viene da Dio, è voluto da Dio, dice
l'apostolo; e ogni uomo deve obbedienza ai poteri legittimi, poiché sono una
necessità e un bene (Rm 13,1-7).
Conta grandemente comprendere bene quali rapporti devono esistere tra
questi poteri e la Chiesa di Dio; poiché da questi rapporti dipendono la pace
del mondo e la salvezza di una moltitudine di anime.
Cercheremo di determinarne la natura in questo capitolo, prendendo di
vista principalmente le potenze cristiane.

***
La Chiesa, società religiosa, ha per oggetto diretto la felicità eterna degli
uomini; le società umane, al contrario, hanno per oggetto diretto la loro
felicità e prosperità temporali. È chiaro che, non vivendo l'uomo quaggiù
che per raggiungere un fine più alto che è il possesso stesso di Dio, il suo
benessere e la sua sicurezza temporale devono essere subordinate a questo
destino superiore.
Di conseguenza le società umane, che mirano ad assicurare questo
benessere e questa sicurezza, devono tendere a questo scopo in modo da
facilitare a coloro che le compongono il perseguimento della felicità eterna.
Esse hanno dunque, oltre il loro fine diretto, un fine ulteriore, che è quello
di concorrere alla salvezza eterna degli uomini.
Nella sfera in cui si esercita la loro azione propria e diretta, vale a dire
nel regolamento degli interessi umani, esse sono libere e sovrane; la Chiesa
non si ingerisce in quest'ordine di cose. Ma, in tutto ciò che tocca gli
interessi eterni degli uomini, come ad esempio nelle questioni
dell'educazione, esse sono sottomesse di diritto alla direzione suprema della
Chiesa.
San Tommaso paragonava le diverse potenze che compongono la
cristianità ai vascelli di una flotta che ricevono tutti dei segnali da un
vascello ammiraglio, che è la Chiesa romana; essa lascia alle differenti
potenze la propria autonomia; come ogni capitano è capo sulla propria
nave, così esse sono sovrane in casa propria; ma nello stesso tempo essa
regola i loro movimenti, per farli concorrere alla gloria di Dio e del suo
Cristo, e alla salvezza eterna delle anime.
Si possono ancora spiegare con un'altra similitudine i rapporti tra la
Chiesa e le potenze secolari. Tutti i pianeti che gravitano attorno al sole
hanno un doppio movimento: uno di rotazione su se stessi, l'altro di
gravitazione attorno all'astro centrale. Così le società cristiane devono avere
un doppio movimento armonizzato: uno per il quale agiscono come società
umane, regolanti gli interessi umani; l'altro per il quale prendono parte alla
vita della Chiesa.
Era così ai tempi di San Tommaso: ed era il bene, era l'ordine, era la
pace.

***

Da questo dato, che è il dato vero, il dato cristiano, è evidente che i


governi non possano restare indifferenti tra la fede e l'empietà.
L'eresia liberale consiste precisamente nell'affermare la proposizione
contraria, vale a dire che devono mantenere la neutralità tra la verità e la
menzogna. Sant'Agostino chiama questo una follia. “Quale uomo in
possesso delle sue facoltà mentali, esclama, andrà a dire ai re: non
occupatevi nel vostro regno, se vi si sostenga o si attacchi la Chiesa del
nostro Dio; che vi si siano religiosi o sacrileghi, poco vi importi!” (Lettera
184). Sant'Agostino pensava dunque che il primo dovere dei governi era
quello di vegliare sugli interessi della Chiesa, di prestare sostegno ai
credenti e di reprimere gli empi.
È importante sottolineare che all'inizio delle sue dispute con gli eretici,
Sant'Agostino preconizzò una sorta di liberalismo, come ne fanno fede certi
suoi scritti. Pensava che, per ridurli di numero, non bisognasse impiegare
che la libera discussione, alla quale li provocava; riteneva che delle leggi
repressive avrebbero creato degli ipocriti, e non dei cattolici. Cedeva così a
un sentimento più generoso che ragionevole.
Più tardi, comprese il vizio di questo sistema e ritrattò, ecco in che
termini: “Non sarà, mi sembra, inutile che si sia agito severamente con gli
eretici, poiché abbiamo da rallegrarci della conversione di un grande
numero di questi smarriti, che ora sono legati con un così buon cuore
all'unità cattolica, e si rallegrano così sinceramente di essere liberati dal loro
antico errore, questo è per noi motivo d'ammirazione e di rendimento di
grazie. Ora, tutti quelli di cui parlo, legati per la forza delle usanze, non
avrebbero minimamente sognato di emendarsi se, colpiti dalla paura delle
leggi, non avessero volto il loro spirito verso la verità applicandosi a
conoscerla” (Ep. Ad Vinc.).
Il santo dottore annovera anche, tra i benefici delle leggi repressive,
quello d'avere reso alla libertà del bene operare una moltitudine di persone
che l'errore terrorizzava. E ci fa comprendere una grande verità, quella che
il cattivo è ardito, l'uomo del bene timido; quest'ultimo non è portato ad
agire sulla libertà del primo, l'altro non conosce che violenza;
conseguentemente le leggi repressive sono necessarie, per assicurare al
bene la propria libertà, non meno che per fermare i progressi del male.
Al fondo, la questione delle leggi repressive si confonde con quest'altra:
l'uomo è buono per natura, o piuttosto la sua natura è viziata dal peccato?
Essendo dato, come insegna la fede cristiana, che l'uomo porta una natura
decaduta, ha bisogno della repressione.
Sì, l'uomo grossolano, carnale, animale, ha bisogno per fare il bene di
essere mosso dal timore.
Ah! Se fossimo degli angeli! Ma non lo siamo.

***

Non è soltanto Sant'Agostino che ricorda ai principi il dovere che loro


incombe di proteggere la Chiesa, è tutta la tradizione.
“Dio Onnipotente, dice un concilio dei primi secoli, provvedendo al
bene della sua Chiesa, ha posto a sua custodia i re della razza latina” (Conc.
Byzac.). “Dovete essere ben convinto, scrive San Leone all'Imperatore
Leone, che il potere regale vi è stato dato non solamente per il governo del
mondo, ma soprattutto per la difesa della Chiesa.”
Sant'Agostino, che ha trattato questa questione a fondo nei suoi scritti
indirizzati al conte Bonifacio, fa rimarcare che la protezione dei re era stata
predetta dalla Scrittura, e prefigurata in anticipo dalla con- versione di
Nabucodonosor. “Non vedete, dice, nel salmo 2, che i re e i principi
cominciano ad alzarsi per fare guerra contro Dio e il suo Cristo? Poi, alla
fine, la scena cambia: i re e i principi sono invitati a servire Dio con timore
e tremore. Non è forse, conclude, ciò che noi vediamo compiersi ai nostri
giorni? Fino a poco tempo fa gli imperatori romani giuravano di distruggere
la religione di Cristo; ed ora la proteggono e la difendono.”
In effetti, la vera società cristiana aveva avuto i suoi San Gregorio
Magno, che getta le basi di questa alleanza magnifica del diritto e della
forza, esclamò, contemplando l'opera che sbocciava: “La potenza è stata
data dal Cielo alla pietà dei nostri principi, affinché coloro che vogliono
fare il bene siano appoggiati, affinché il cammino del Cielo si apra più
largamente, affinché i regni della terra siano al servizio del regno del
Cielo.”
Che pensiero magnifico! Un buon principe apre più largamente ai suoi
popoli la via del Cielo; grazie a lui, le moltitudini vi entrano, i deboli vi
hanno accesso e non soltanto i forti. È stato così sotto un Sant'Enrico, sotto
un San Luigi: le nazioni cristiane andavano a popolare il Cielo.
Oggi, ahimè! Come tutto è cambiato! Dopo mille anni di impero
cristiano, durante i quali il drago era legato nell'abisso, incominciò
l'apostasia delle nazioni cristiane. Il paganesimo riapparve nel mondo, con
il Rinascimento e la pretesa Riforma; e riportò il cesarismo, cioè il potere
secolare, non più al servizio del diritto cristiano, ma dominante con la forza.
Quest'emancipazione del potere politico che, invece di accettare la
direzione della Chiesa, pretese di non prendere più che da se stesso; che,
invece di servire gli interessi di Dio, non obbedì più che agli stimoli delle
ambizioni umane, attirò tutte le tempeste dell'epoca presente.
Ormai la maternità della Chiesa è negata dai popoli, che s'immaginano di
essere arrivati alla libertà attraverso questo rinnegamento. E si muovono
come quei figli snaturati, che acconsentono appena ad accordare qualche
alimento ai loro genitori cui devono tutto.
E l'ora s'avvicina in cui questi figli vorranno ridurre la loro madre a
morire di fame.
Il disegno oscuro

C'è qualcosa di peggio del rifiuto ebraico del Messia, delle eresie
cristiane e degli scismi.
C'è qualcosa di più orribile dell'idolatria pagana o del disordine morale
dei cristiani: c'è il Mistero d'Iniquità. Un disegno oscuro contro Dio e la sua
opera di salvezza. Un disegno oscuro che è all'opera nella storia.
I maghi, le sette gnostiche, i manichei che conducono alla moderna
massoneria: ecco gli uomini dell'Anticristo. Ecco il pericolo più grande per
la Chiesa, che deve difendersi da questo male operante nell'oscurità.
XXII
Il mistero d’iniquità

Dal tempo di san Paolo, alcuni cristiani di Tessalonica, sulla fede di


pretese visioni, si erano persuasi che la fine del mondo fosse prossima; e
per questo non lavoravano più per vivere, come se queste preoccupazioni
fossero ormai superflue.
L'apostolo scrisse loro una lettera molto severa, per disilluderli: dice loro
che la fine del mondo non è prossima, che sarà preceduta da segni
premonitori, in particolare dall'apparizione di un uomo molto cattivo e
crudele persecutore della Chiesa, che chiama l'uomo di peccato.
Fa allusione ad alcuni insegnamenti che aveva dato loro a viva voce
sugli ultimi tempi del mondo, e aggiunge queste parole enigmatiche:
“Sapete ciò che impedisce che quest'empio si riveli, cosa che farà nel tempo
stabilito. Poiché il mistero d'iniquità già opera nel mondo: che colui che ora
lo trattiene, sia tolto di mezzo. Allora sarà rivelato quest'empio, che il
Signore Gesù ucciderà con il soffio della sua bocca” (2 Tes 2,6-9).
Non pretendiamo cercare ciò che l'apostolo intende per questo ostacolo
provvidenziale che impedisce la manifestazione dell'uomo di peccato,
dell'Anticristo; vogliamo solamente studiare ciò che può essere il mistero
d'iniquità a cui fa allusione.
Vi è nel mondo un mistero d'iniquità: questo mistero fa il suo cammino
occulto nell'umanità decaduta; poiché è un mistero, cioè un'opera che si
trama segretamente. Qual è questo mistero? Esisteva già dai tempi
dell'apostolo; cercava di svilupparsi parallelamente all'estensione del regno
di Dio. L'apostolo penetrava queste trame infernali, e le denunciava ai
fedeli.
Lo ripetiamo: qual è questo mistero?

***
Abbiamo percorso le molteplici forme di errore che circondano e
combattono la verità di Dio: una tra queste sarà questo mistero d'iniquità
che cerchiamo di scoprire?
Il giudaismo non è il mistero d'iniquità di cui parla l'apostolo: poiché è
buono in se stesso, e non è divenuto cattivo che per la sua opposizione alla
fede cristiana.
È dunque l'idolatria? L'idolatria è un'empietà manifesta: ma, dai tempi
dell'apostolo, scompariva di fronte al cristianesimo come la neve si scioglie
ai raggi del sole. Il fondo dell'idolatria, è l'ignoranza; non comporta quel
dispiegamento di malizia, né quel carattere misterioso che l'apostolo ci
segnala.
San Paolo avrebbe voluto parlare di alcuni tentativi sordi di eresia e di
scisma, che si sarebbero prodotti in mezzo ai primi fedeli? Non lo
pensiamo. L'eresia che è una negazione parziale della fede, lo scisma che è
una rottura dell'unità, sono, se si vuole, dei misteri d'iniquità: non sono il
mistero d'iniquità propriamente detto, nel quale bisogna intendere una
negazione totale della verità, un'opposizione radicale ad ogni bene, ad ogni
pace.
Non abbiamo difficoltà a dire che il maomettismo è fuori questione,
poiché l'apostolo parla di un male che esisteva dai suoi tempi e che si
tramava sotto i suoi occhi.
Avrebbe voluto designare, con un'espressione forte, i cattivi costumi di
certi cristiani, che sono per la Chiesa una così dura prova? Evidentemente
no. Un cristiano depravato, che comunque conserva la fede, non è
precisamente un mostro d'iniquità; è sovente un uomo debole e ignorante. È
forse più colpevole di un uomo nato nell'eresia; e tuttavia, secondo la
testimonianza di Sant'Agostino, è più facilmente convertibile. La pula
interna, dice questo Padre, è più facilmente cambiata in frumento, che la
pula esterna.
Quanto al potere secolare, non è ad alcun titolo un mistero d'iniquità:
l'apostolo, per primo, lo dichiara buono, utile, onorabile. Se diviene cattivo
e nocivo, ciò non tiene per nulla alla sua essenza.
Riassumendo, l'apostolo ha voluto parlare di un male occulto ben
diversamente pericoloso rispetto a tutte le forme di errore che abbiamo
percorso. Ha voluto designare non so quale virus inoculato nelle vene
dell'umanità decaduta, che la lavora, nel quale sono condensati tutti i veleni
dell'inferno. Questo male segreto e violento si lega nel suo spirito
all'apparizione dell'uomo di peccato, del nemico personale di Gesù Cristo,
dell'Anticristo.
La manifestazione di costui sarà l'irruzione completa di questo male che
avrà covato durante secoli.

***

Il diavolo dominava nel mondo prima della venuta di Nostro Signore;


dominava apertamente e pubblicamente. Quando il Salvatore è apparso,
sentì crollare il suo impero. Come quelle bestie selvagge che, all'avvicinarsi
del giorno, rientrano nelle loro tane, dovette lasciare il pieno giorno e
ritirarsi nel segreto delle conventicole.
Sant'Agostino, a cui non è sfuggito nulla, ne faceva la sottolineatura; ci
descriveva certi uomini orgogliosi e immondi, che praticavano in segreto
riti sacrileghi, sommersi da una curiosità cieca e senza fine. Erano gli stessi
che San Paolo aveva visto, quando parlava del mistero d'iniquità che si
tramava di nascosto; ne traccia il ritratto nella seconda lettera a Timoteo (2
Tm 3); San Giuda e San Pietro ce li descrivono ugualmente.
Il grido reiterato di questi apostoli ci fa a sufficienza comprendere la
vastità del pericolo: ci sembra vedere la chioccia evangelica battere le ali,
richiamando i suoi piccoli perché, sopra di loro, plana lo sparviero.
Vediamo che gli apostoli ebbero sovente a che fare con dei maghi: erano gli
uomini del diavolo, gli operai del mistero d'iniquità.
Il famoso Simone, antagonista di san Pietro, era il corifeo della loro setta
infernale.
Le sette gnostiche raccolsero questo lievito d'empietà forzata, di malizia
tenebrosa. Si concentrò nel Manicheismo, nel quale vediamo le pratiche più
immonde allearsi agli errori più grossolani, nel quale si entrava per gradi,
grazie a delle iniziazioni successive: cosa che suppone un affinamento della
scelleratezza, un vero mistero d'iniquità.
San Leone Magno che, dopo Sant'Agostino, seguiva con i suoi occhi
queste operazioni tenebrose, faceva un'immensa differenza tra il
manicheismo e una eresia; per lui il manicheismo era la cloaca di tutti i vizi
e di tutti gli errori, era il male (Sermone 16).
Questo male orribile non scomparve, come diverse eresie; sembrò
continuare per un tempo in quell'Oriente che gli diede i natali. Poi penetrò
in Occidente attraverso infiltrazioni segrete.
Pietro il Venerabile lo segnala in Pierre de Bruys; San Bernardo lo
combatte con dei miracoli; ma resta indistruttibile.
Nel XII e XIII secolo, fa irruzione nel sud della Francia e nel nord
d'Italia. Gli Albigesi non erano che un ritorno di manicheismo; quanto ai
settari italiani, si chiamavano sfacciatamente manichei.
Più tardi i Templari fecero, ahimè! Delle loro dimore santificate dalle
benedizioni della Chiesa, dei ripari d'empietà e di abominazioni.
Il resto di questi infelici cavalieri fuggirono in Scozia dove continuarono
principalmente le loro macchinazioni infernali.
Segnaliamo questa filiazione di errori mostruosi, questa propagazione
del mistero d'iniquità, prendendo dal buon libro del Padre Deschamps, ed
anche da eccellenti articoli, sfortunatamente interrotti, pubblicati su La
Croix mensile da Mons. Dutartre.
Da allora, un grande e valente vescovo ha indicato i Sociniani come i
padri della massoneria contemporanea; questi settari hanno sicuramente una
grande affinità con i nostri massoni, nel carattere delle loro negazioni
naturaliste e radicali; tuttavia noi non vediamo in loro che un canale della
trasmissione delle vecchie sozzure del vecchio mondo; il punto di partenza
è ben più indietro.
Ci sembra che la massoneria è, alla lettera, la cloaca di tutte le corruzioni
dell'umanità; nei riti che impiega, si trova la traccia di tutte le sue origini; vi
è per esempio una cerimonia che è esattamente il bema dei manichei, o
festa commemorativa della morte di Mani.
Come spiegare quest'identità se non con la trasmissione degli errori che
noi abbiamo descritta?
Comunque sia, è certo che l'azione delle società segrete si mostra in
tutte le insurrezioni moderne contro l'autorità della Chiesa; e sono loro che
hanno fatto la Rivoluzione francese, essenzialmente satanica. A questo
proposito, menzioniamo un fatto almeno curioso.
Nel XV secolo, Pierre d'Ally, cardinale e vescovo di Cambrai, da certi
calcoli astronomici, fissava al 1789 la data dell'apparizione dell'Anticristo
(*). È certo che in quel giorno l'anticristianesimo prese corpo e spaventò il
mondo.
Oggi, ciascuno sa l'opera delle società segrete.
Cercano dappertutto di impadronirsi dei poteri pubblici, e sferrano
contro la Chiesa una guerra ipocrita e perfida, una guerra a morte. Lavorano
ad abbracciarla in un insieme di leggi sacrileghe; e contano in un dato
momento di soffocarla.
- Tutte le misure sono prese, diceva un giorno il principe N... a Mons.
M...; se la Chiesa vi sfugge, io mi converto, poiché è divina.
- Principe, preparate il vostro atto di fede, rispose tranquillamente il
vescovo.
Da quando il nostro Santo Padre il Papa Leone XIII ha denunciato la
massoneria in una recente enciclica, con così tanta gravità, forza, e
moderazione in questa stessa forza, nessun credente negherà più che non sia
essa il mistero d'iniquità.

(*)
Citiamo Dom Mabillon, nella sua edizione delle opere di San Bernardo. A riguardo
di una predicazione di San Norberto, riportata nella sua lettera 45, il sapiente riporta
tutte le opinioni e predizioni riguardanti l'Anticristo. Ecco le sue parole a riguardo di
Pierre d'Ailly: Petrus de Alliaco, cardinalis et episcopus Cameracensis, ex
astronimicis indiciis et observationibus, predixit Anti-christus anno Domini 1789
exoriturum.

Chiesa e Massoneria

Il capitolo XXIII che qui riportiamo chiude la seconda parte del libro
sulla Santa Chiesa del Père Emmanuel, quella dedicata al rap- porto tra la
Chiesa e il mondo. Terminando questa sezione della sua opera, il Père
Emmanuel mette in evidenza quelli che sono i due poli opposti della storia:
la Chiesa e la massoneria.
Quest'ultima è l'antagonista irreconciliabile della Chiesa, nemica di ogni
bene, e la lotta finale sarà con essa e sarà la fine dei tempi.
Lo studio sapiente del Père Emmanuel ci aiuta a vivere con intelligente
vigilanza in questi tempi durissimi per la fede.
Occorre sapere per guardarsi dal male.
XXIII
I due campi

Le società segrete preparano alla Chiesa una suprema prova, un supremo


combattimento, un supremo trionfo.
Esse sono l'opera per eccellenza dello spirito delle tenebre e del male.
Sono l'antagonista irreconciliabile della Chiesa, regno di pace e di luce.
Nemiche di ogni bene, cercano di realizzare il male allo stato puro; così la
loro ultima parola è il nichilismo.
La Chiesa e la massoneria sono dunque i due poli opposti: se ci si
permette di improntare queste parole alla scienza, diremo che la Chiesa è il
polo positivo, e la massoneria il polo negativo. Tra essi fluttuano le società,
nelle quali a fianco del male vi sono dei resti del bene: li abbiamo
enumerati, sono il giudaismo, l'idolatria, il maomettismo, le eresie e gli
scismi.
Ora ecco il fenomeno che si produce. Queste società intermediarie si
disgregano sotto l'azione opposta dei due poli contrari: una parte dei loro
elementi ritorna al bene completo e alla Chiesa; il resto, terminando di
corrompersi, passa alla massoneria, che è la negazione assoluta.
Quando la disgregazione sarà consumata, non resteranno più al mondo
che le due potenze: ci sarà allora la lotta, lotta ad oltranza, lotta che
terminerà, grazie ad un intervento personale di Nostro Signore, con una
vittoria della sua Chiesa.
E sarà la fine dei tempi.

***

Ora, è incontestabile che la separazione del mondo in due campi ben


definiti si opera rapidamente. Percorriamo, per convincercene, le diverse
società religiose o piuttosto le false religioni.

- Il giudaismo è oggi in uno stato caratteristico. La scomparsa della


politica cristiana gli ha lasciato prendere nel mondo una preponderanza ben
degna di attirare l'attenzione degli animi seri. La politica cristiana,
ispirandosi al dato della fede, si comportava in rapporto al giudaismo, come
Dio si comportava in rapporto a Caino.
Da un lato lo escludeva dai diritti civili e politici, sapendo bene che il
suo odio deicida non ha abdicato; e dall'altra, sapendo che dovrà un giorno
convertirsi e compiere grandi cose per Dio e il suo Cristo, lo proteggeva e
non permetteva che si cercasse di annientarlo.
I Giudei restavano dunque confinati nei loro ghetti, rendendo
testimonianza a loro modo al Salvatore che hanno crocifisso; ma né
politicamente, né socialmente, potevano mischiarsi al popolo cristiano.
Oggi tutto è cambiato. La rivoluzione ha dato loro spazio nel grande
giorno. Ha loro conferito i diritti civili e politici. Da quel momento i Giudei,
che l'attaccamento di Dio ha dotato di un genio superiore a quello degli altri
popoli, hanno preso facilmente la superiorità sui cristiani degenerati e
apostati.
Si sono sparsi dappertutto; e in questo momento tengono il mondo legato
ai loro fili, con l'alta finanza e con la direzione del giornalismo che si sono
accaparrata.
Ora, non è meno certo che tengano in mano i fili delle società segrete. Vi
è, pare, una loggia misteriosa, esclusivamente composta da Giudei, che è il
centro di tutte le ramificazioni tenebrose della massoneria; ed è là, come in
un sinedrio d'inferno, che matura il piano di guerra contro la Chiesa, che si
preparano i colpi che le sono inferti.
E, mentre il giudaismo forma il nocciolo dell'anticristianesimo, si
produce tra i Giudei una contro-corrente che porta delle conversioni in una
proporzione incredibile fino ai nostri giorni. Questi Giudei convertiti
diventano ardenti proseliti; si ricordano tra loro il venerabile Libermann di
cui si spera la beatificazione prossima, il padre Hermann, i fratelli
Ratisbonne e i fratelli Lémann.

- Gli scismi e le eresie subiscono ugualmente una crisi, e volgono


visibilmente al loro declino come forme di società religiose. Il razionalismo
ha toccato questi separati, e li ha messi in condizione di rientrare nella
Chiesa o di perdere completamente la fede.
Il protestantesimo non è più che una catapecchia aperta a tutti i venti;
scricchiola da tutte le parti; quelli che si credevano al sicuro si salvano alla
bell’e meglio, e molti si rifugiano nella Chiesa come nella casa costruita
sulla roccia.
Ogni giorno si segnalano delle conversioni numerose; ed è così che
l'America e l'Inghilterra passano al cattolicesimo a vista d'occhio. C'è da
sottolineare, d'altronde, che la fine delle eresie è meno impregnata di
malizia che l'inizio.
I figli degli eretici non ereditano necessariamente le negazioni dei loro
padri, a almeno la loro repulsione ostinata per la verità. Sono cristiani,
essendo battezzati; possono vivere lungo tempo nella fede e nella buona
fede; per l'inclinazione del loro battesimo, sono portati ad abbracciare la
verità che viene loro presentata.
Infine Dio tiene questi popoli separati con dei legami segreti, che in un
dato momento li attirano alla Chiesa. Diamo qualche esempio:
La Chiesa anglicana ha sempre conservato, nella sua separazione da
Roma, un culto estremo per l'antichità e per la scienza ecclesiastica.
Bossuet sottolineava questo segno, e scriveva nel libro VII delle sue
Variations: “Una nazione così sapiente non resterà tanto tempo in questo
abbaglio. Il rispetto che essa conserva per i Padri, e le sue continue curiose
ricerche sull'antichità la riporteranno alla dottrina dei primi secoli.
Non posso credere ch'essa persista nell'astio che ha concepito contro la
cattedra di Pietro dalla quale ha ricevuto il cristianesimo.” Ciò che
prediceva Bossuet duecento anni fa si realizza oggi. Si leggano le lettere del
padre Faber, la Storia della mia conversione del Card. Newman, il Trattato
dello Spirito Santo del Card. Manning, e ci si convincerà che è stato il loro
rispettoso amore per l'antichità a ricondurre questi grandi uomini
all'abbraccio della Chiesa vera, dove innumerevoli anime le hanno seguite.
Per quanto riguarda la Chiesa greca, vi è un altro motivo di speranza.
Questi poveri scismatici hanno per la Santa Vergine un amore che potrebbe
far arrossire molti cattolici; ed è questo culto ardente che sarà per essi la via
della vita, il cammino del ritorno. In questo momento, dei grandi
scuotimenti si producono nella Chiesa orientale; il riavvicinamento a Roma
s'accentua di più in più.
Quanto alla Chiesa russa, l'aurora ahimè! Non è ancora per lei. E tuttavia
il vasto impero dei tartari è sottomesso, per il lavoro segreto del nichilismo,
all'eventualità di una rivoluzione terribile, i cui termini potrebbero ben
essere un ritorno collettivo al cattolicesimo.
Si hanno dei dati certissimi, dai quali Alessandro I è morto cattolico; e
sarebbe sufficiente la conversione dello zar per trascinare quella del popolo.
Riassumendo, tutte le comunioni separate da Roma, minate dalla
massoneria, attaccate frontalmente dal razionalismo, non possono tenere a
lungo sul terreno della separazione; occorre e occorrerà che i loro adepti
che vogliono conservare la fede rientrino nell'imprendibile fortezza che è la
Chiesa Cattolica.

- I maomettani non possono essere confusi con i cristiani dissidenti;


racchiudono un fondo di anticristianesimo che li rende irriducibili e
inconvertibili. Tuttavia, quale sorprendente sintomo si produce a
Costantinopoli? Dei Turchi vengono a pregare Nostra Signora di Lourdes
dai benedettini di Féri-Kéui e sono guariti; le nostre suore di carità sono
trattate con venerazione da questi in- fedeli; la processione del Corpus
Domini attraversa le strade solennemente.
Evidentemente, il fanatismo turco è ben crollato.
E se i mussulmani in massa resistono alla fede, non possiamo sperare
che almeno alcuni l'accetteranno?
D'altronde il mondo mussulmano attraversa un periodo critico.
L'egemonia turca è contestata. Vi sono dei sordi tentativi di rivolta che
giungeranno a rendere l'autonomia ai paesi curvati sotto la dominazione del
sultano. Allora che accadrà? Non si realizzerà la predizione di Joseph de
Maistre che annuncia un Te Deum a Santa Sofia prima della fine del
secolo?

- Resta l'idolatria. È un fatto generalmente rimarcato, che gli infedeli


ricevono i nostri missionari con una benevolenza semplice e sincera; ma si
trova tra di loro una setta che diventa il covo della resistenza al Vangelo.
E questa setta è una vera massoneria. I missionari l'hanno segnalata nei
punti più opposti del globo. Ascoltiamoli.
“In Cina, dice M. Pourias (Annales di novembre 1882), questi massoni
si chiamano Kiang-Fou; terrorizzano il paese con delle bande armate,
commettono ogni sorta di eccessi possibili, e sono i nemici dei missionari.”
Nel cuore dell'Africa, scrive il Padre Lutz (Annales di luglio 1883), si
chiamano Simos. Di aspetto sornione e feroce, i denti limati a punta, sono
tra loro legati da terribili giuramenti; fanno subire ai loro iniziati delle prove
che sono rivoltanti torture; hanno delle riunioni notturne, dove non temono
di mangiare carne umana, e entrano in comunione col diavolo; il loro odio
per i missionari è istintivo e irreconciliabile.
Il missionario aggiunge: “Questa associazione è la massoneria africana.
Un lavoro da fare, per i missionari, sarà quello di comparare le diverse
società segrete del mondo civilizzato e non civilizzato, di far emergere
l'analogia impressionante che esiste tra esse, e di là provare ch'esse hanno lo
stesso fondatore e lo stesso capo.
Se vi è una differenza, non è che nella forma. Il diavolo, ad imitazione di
Dio, si fa tutto a tutti, Dio per salvare le anime, lui per dannarle.
In Europa, prende l'aria di un gentiluomo; in Africa, dove può agire
liberamente, si mostra qual è, selvaggio e brutale.”
Così, è avverato il fatto che l'idolatria posa la sua principale resistenza
alla fede nell'arsenale delle società segrete. Esse sono dunque il nemico, il
nemico capitale, e presto l'unico nemico.

***

Questa è in effetti la conclusione che emerge da questo sguardo sul


mondo.
Il giudaismo tiene le fila e organizza le ramificazioni della massoneria.
Gli scismi e le eresie, con le loro parziali negazioni, sono superati dalla
negazione totale che è la parola d'ordine delle sette, e non possono più
mantenere la loro attitudine ambigua tra la fede e la incredulità consumata.
Il maomettismo è minacciato di soccombere in un cataclisma.
L'idolatria, impotente a resistere in pieno giorno contro le luci del
Vangelo, si ritira nelle caverne delle società segrete.
Tutti questi occupano il mondo intero, e costituiscono una sorta di
cattolicità del male opposta alla cattolicità del bene.
All'inverso delle eresie, degli scismi, del maomettismo stesso, il cui
veleno perde ogni giorno la sua forza, queste società segrete non cessano di
crescere in malizia come in audacia infernale: si avverte che si appropriano
di tutta l'iniquità del mondo, e preparano così l'apparizione mostruosa di
colui che San Paolo chiama l'uomo di peccato.

continua cap 31

TERZA PARTE
LA CHIESA ALLA FINE DEI TEMPI

Testo del capitolo. Testo del capitolo. Testo del capitolo. Testo del
capitolo. Testo del capitolo. Testo del capitolo. Testo del capitolo. Testo del
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INDICE

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[NOME CAPITOLO 2] 7
Pubblicato in [gennaio 2018]
Prima edizione

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