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Università degli Studi di Milano-Bicocca

Federica Da Milano

Interrogative retoriche

2010
Indice

1. Definizione

2. Funzioni

Bibliografia
1. Definizione

Per definizione, le interrogative retoriche sono frasi che


presentano caratteristiche formali tipiche delle frasi interrogative, ma che
non hanno lo stesso valore funzionale, poiché non sono enunciate per
ottenere una risposta.

In realtà, le interrogative retoriche non hanno sempre le


caratteristiche formali delle interrogative (vale a dire intonazione, ordine
delle parole, presenza di parole o particelle interrogative). In alcune lingue
hanno un’intonazione specifica, che le distingue dalle frasi dichiarative e
dalle interrogative vere e proprie. Secondo Sadock & Zwicky (1985),
poche lingue hanno una forma specifica per le interrogative retoriche; una
di queste è il groenlandese:

(1) naalanngilatit «tu non obbedisci» (frase dichiarativa)

(2) naalanngilit? «tu non obbedisci?» (frase interrogativa)

(3) naalanngippit? «non obbedisci?» [= «dovresti obbedire»]


(frase interrogativa retorica)

La natura delle interrogative retoriche trova illustrazione alla


luce della teoria degli atti linguistici, che distingue tre aspetti nell’uso di
una frase:

(a) l’atto locutivo, legato al significato proprio dell’enunciato;


(b) l’atto illocutivo, costituito da quel che l’enunciato vuole
effettivamente dire;

(c) l’atto perlocutivo, costituito dagli effetti concreti ottenuti


attraverso l’enunciato.

La frase interrogativa è espressione dell’atto linguistico di


domanda, la frase dichiarativa esprime l’affermazione e l’imperativa
l’istruzione. Tuttavia, tra tipo di frase e atto linguistico non c’è una
relazione uno-a-uno: a ogni tipo di frase non corrisponde rigidamente un
atto linguistico. Secondo Taylor (1989) i tipi di frase maggiori non
rappresentano categorie nettamente individuate: l’emissione di un
enunciato formalmente interrogativo può avere forza pragmatica di
domanda, ma anche di proposta o di asserzione.

Quest’ultimo è spesso il caso delle interrogative retoriche. Le


interrogative retoriche sono l’esempio tipico di ciò che in pragmatica si
chiama atto linguistico indiretto. Secondo Searle (1969) negli atti
linguistici indiretti un atto illocutivo è eseguito indirettamente, cioè
eseguendo un altro atto linguistico: in questi casi, la forza pragmatica
dell’enunciato non dipende dal valore letterale della frase (come nell’atto
linguistico diretto) ma dal contesto comunicativo in cui quell’enunciato
viene prodotto.

Spesso chi enuncia una interrogativa retorica, dato che non si


attende una risposta, continua il discorso senza lasciare spazio
all’interlocutore; altre volte è il parlante stesso che si dà un’auto-risposta.
Occorre sottolineare che le interrogative retoriche non sono le uniche frasi
interrogative a non richiedere risposta: del gruppo fanno parte anche le
interrogative cosiddette diffratte (che equivalgono a una richiesta, come la
classica mi passi il sale?) e le interrogative narrative (il tipo cammina
cammina, chi incontrò il nostro eroe? Un orco).

Poiché le interrogative retoriche, come già sottolineato, non


richiedono risposta, se l’interlocutore ricorre a questa adotta un
comportamento incongruo. Come in tutti gli atti linguistici indiretti, perché
la comunicazione funzioni occorre che ci sia cooperazione tra emittente e
destinatario: se alla domanda puoi passarmi il sale? il destinatario risponde
di sì, ma non compie concretamente l’atto, la comunicazione non ha
funzionato.

2. Funzioni

Spesso il parlante fa uso di un’interrogativa retorica per


rivolgere una critica al proprio interlocutore; può essere:

(a) la critica di un comportamento:

(4) Ignobile plebaia! Così ricompensate i sacrifici fatti per voi?


(Ettore Petrolini, dal Nerone)

(b) la critica per non aver creduto alle parole del parlante:

(5) A: Mi sento già meglio, ho le idee più chiare

B: Eh? Cosa le dicevo? (Eugene Ionesco, Il rinoceronte)

(c) un enunciato di tipo pragma-linguistico:


(6) A: se il professore …

B: quale professore? Quale? Per vostra norma è un asino


bollato e patentato (Alfio Berretta, Commedie)

(7) e me lo dici solo adesso?! Non me lo potevi dire prima?!

Talvolta, alla critica si mescola una funzione imperativa


(Crisari 1975 definisce queste ultime domande-critica):

(8) quando smetterai di dire delle sciocchezze?

(9) vuoi rispondere insomma?!

Una delle caratteristiche principali delle interrogative retoriche


è la loro ambiguità: non è sempre facile capire se si ha a che fare con
un’interrogativa retorica o se invece una risposta sia richiesta; tuttavia, a
volte alcuni elementi permettono di identificare una interrogativa retorica
in modo inequivocabile. Tale funzione può essere svolta dal contenuto
semantico della frase: la risposta è talmente ovvia da essere superflua:

(10) ma è possibile che in questa città non si trovi una persona


onesta?

oppure la funzione retorica si evince dal significato di una


frase successiva:

(11) cosa vuole? Non si può vincere sempre

Inoltre, spie linguistiche all’interno della interrogativa (come


un intercalare) ne rivelano il carattere retorico:
(12) Ma si figura, forse, signora, che suo marito non lo sappia?
(Luigi Pirandello, Come tu mi vuoi)

Il silenzio sembra essere la risposta più consona a domande


come (13) o (14):

(13) come puoi far finta di niente davanti a eventi tragici come
il terremoto di Haiti?

(14) ma chi ti credi di essere?

Alcune interrogative retoriche, invece di essere rivolte a un


interlocutore, sono rivolte dal parlante a sé stesso:

(15) perché non sono stato più prudente?

(16) Giusto. Risposta asciutta a domanda idiota. Cosa si fa dei


libri? Si leggono (Gianrico Carofiglio, Le perfezioni provvisorie)

Spesso contengono forme avverbiali come forse, mica, no,


vero:

(17) Diceva di non aver fatto niente di male, che tuttalpiù


aveva accettato qualche mancia e qualche regalino. Spontaneo, ci tenne a
precisare. Ma chi non accettava qualche regalino, che diamine? Rischiava
di essere arrestato? Non rischiava mica di essere arrestato? (Carofiglio, Le
perfezioni provvisorie)

(18) All’ombra dei cipressi e dentro l’urne

confortate di pianto è forse il sonno


della morte men duro? (Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, vv. 1-3)

L’interrogazione retorica è utilizzata spesso con finalità


comica:

(19) Manuel, che pensava al binocolo di Lucy, gridò:


«Facchino!» Un facchino si rivoltò risentito. «Dice a me?» fece. «Facchino
sarà lei!» «Ma non è lei che porta i bagagli?» «Ah, è per i bagagli? Credevo
che m’insultasse». «Ma le pare?» (Achille Campanile, Ma che cos’è questo
amore)

nonché nel linguaggio pubblicitario:

(20) Volkswagen Golf. Devi per forza appartenere al passato


per diventare un mito?

ma anche nel linguaggio giuridico:

(21) Si è osato imputargli a delitto perfino d’aver collocato


truppe nel suo castello. Dovea dunque egli cedere alla moltitudine, ubbidire
alla violenza? L’autorità affidatagli dalla Costituzione non era essa un
deposito ch’egli dovea ad ogni modo difendere intatto? Cittadini, se in
questo momento vi si recasse avviso che una moltitudine cieca ed armata
marcia contro di voi, e che, sprezzando il vostro carattere sagro di
legislatori, vuole strapparvi da questo santuario, io domando a voi: che
fareste? (dalla Arringa in difesa del re Luigi XVI recitata da Raymond de
Sèze il 26 dicembre 1792, cit. in Mortara Garavelli 2001: 207)

e nel linguaggio politico:


(22) Ma dove? Ma in che paese? Ma di cosa parliamo?
(intervento del senatore Massimo D’Alema)

Non c’è da stupirsi che le interrogative retoriche fossero


ampiamente usate dalla propaganda fascista, la cui oratoria mirava a
drammatizzare la parola; eccone un esempio:

(23) Ma voi temete forse l’acqua? L’acqua no, forse il fuoco?


Siete pronti a dare il vostro braccio ed il vostro sangue? Allora siete degni
di militare sotto i gagliardetti gloriosi della rivoluzione delle camicie nere
(Hermann Ellwanger, Sulla lingua di Mussolini)

A volte le interrogative retoriche sono usate in funzione di


replica a una frase interrogativa canonica, con valore di un sì o di un no
rafforzati:

(24) A: chi è il presidente? Luigi?

B: chi altro vuoi che sia? [= «certo che sì!»]

In molti testi di carattere monologico, le domande sono


necessariamente retoriche, dal momento che non vi è un interlocutore che
possa rispondere:

(25) Non fui io quello il cui supremo voto era lasciare il


mondo? Cui ogni cosa sembrava al vivere nel mondo preferibile? Eppure,
strano a dirsi, da quando l’ho lasciato, da quell’altra età, io invero più non
l’aborro, io anzi … Ma perché ho scritto; strano a dirsi? Che cosa ci può
essere di strano nel riconoscere il bene dopo averlo perduto, o in quanto si
credeva il peggiore di tutti i mali il male minore, ove appunto si sia passati
di stato abbietto in un altro più abbietto ancora? (Tommaso Landolfi,
Cancroregina).
Bibliografia

Crisari, Maurizio (1975), Sugli usi non istituzionali delle


domande, «Lingua e stile» 1, pp. 29-56.

Da Milano, Federica (2004), Le domande sì/no nelle lingue del


Mediterraneo, «Archivio glottologico italiano» 1, pp. 3-40.

Grice, Paul H. (1975), Logic and conversation, in Syntax and


semantics, edited by P. Cole & J.L. Morgan, New York - London,
Academic Press, vol. 3º (Speech acts), pp. 41-58 (trad. it. Logica e
conversazione, in Gli atti linguistici. Aspetti e problemi di filosofia del
linguaggio, a cura di M. Sbisà, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 199-219).

Mortara Garavelli, Bice (2001), Le parole e la giustizia.


Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani, Torino,
Einaudi.

Sadock, Jerrold & Zwicky, Arnold (1985), Speech act


distinctions in syntax, in Language typology and syntactic description,
edited by T. Shopen, Cambridge, Cambridge University Press, 3 voll., vol.
1º (Clause structure), pp. 155-196.

Searle, John (1969), Speech acts. An essay in the philosophy of


language, Cambridge, Cambridge University Press.

Stati, Sorin (1982), Le frasi interrogative retoriche, «Lingua e


stile» 17, pp. 195-207.

Taylor, John (1989), Linguistic categorization. Prototypes in


linguistic theory, Oxford, Clarendon Press.

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