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NUMERAZIONE ROMANA
I Romani erano gente pratica, e il sistema da loro escogitato per scrivere i numeri
basta a darcene la dimostrazione. I nostri progenitori non si diedero neanche la pena
di inventare delle cifre, presero alcune lettere dell’alfabeto e attribuirono a ciascuna
un particolare valore.
Es. I – V – X – L – C – D – M
Sette lettere, e poi con la combinazione si potevano scrivere tutti gli altri numeri,
seguendo alcune semplici regole.
1) oltre alle sette lettere dei numeri base i romani usavano sei gruppi base con
cui indicavano numeri particolari.
IV – IX – XL – XC – CD – CM
4 – 9 – 40 – 90 – 400 – 900
In ognuno di questi gruppi la prima lettera s’intende sottratta alla seconda. Non vi
sono altri casi di sottrazione, oltre questi.
2) Scrivendo una cifra o un gruppo base alla destra di una cifra, di uguale o di
maggiore valore, questi si sommano ad essa. Bisogna tener presente però,
alcune particolarità della numerazione romana.
3) Le cifre V – L – D e i gruppi base non si raddoppiano mai; le altre cifre non
si possono scrivere di seguito più di tre volte.
3 – 4 – 8 - 82 – 408 – 3906
come possiamo vedere il numero più alto che si può scrivere in cifre è soltanto 3999
cioè MMMCMXCIX.
Per poter proseguire la numerazione, i Romani trovarono un sistema semplicissimo
ponevano una lineetta (-) sopra i numeri, e con questo segno moltiplicavano per 1000 il
loro valore.
Es. II – X – C – M
NUMERAZIONE DECIMALE
Nel 1200 un mercante di Pisa che si chiamava Leonardo Pisano, detto anche Fibonacci
perché ‘figlio di Bonaci’, ritornato da un lungo viaggio in Africa e nel Medio Oriente,
scrisse un libro intitolato ‘Liber Abaci’ . In questo libro il Fibonacci esponeva la
matematica che aveva appreso dagli Arabi e dimostrava la convenienza di adottare il
particolare sistema di numerazione usato da quel popolo. Gli Arabi lo avevano appreso
a loro volta dagli Indiani. La grande novità della numerazione era rappresentata dallo
‘zero’, un numero che significa ‘niente’. Questo numero rappresentato dalla cifra ‘0’ è
una delle più grandi invenzioni dell’ingegno umano perché, non solo ha reso possibile la
costruzione di un sistema di numerazione, ma ha anche facilitato enormemente
l’esecuzione delle operazioni aritmetiche.
L’opera di Fibonacci fu un fatto veramente rivoluzionario, ma dovettero trascorrere
altri tre secoli perché la sua conoscenza si diffondesse in tutta l’Europa. La stampa
non era stata ancora inventata e fu soltanto nella seconda metà del XV sec che il
‘Liber Abaci’ e le opere di altri italiani (Luca Paciolo, Paolo dell’Abaco e Scipione dal
Ferro), furono conosciute da tutti e permisero l’adozione della cosiddetta
‘numerazione decimale’, quella ormai in uso presso tutti i popoli civili e che si apprende
alle scuole elementari.
L’ADDIZIONE
Quando gli uomini inventarono i numeri, certamente non immaginavano che la loro
invenzione avrebbe dato origine ad una grande scienza quale è oggi la Matematica.
Ecco, ad esempio un problema che alcuni pastori, nostri antichissimi antenati,
dovettero un bel giorno risolvere: ‘Se qui ci sono 20 pecore e lì ce ne sono altre 30,
quante saranno le pecore se si mettono tutte assieme?’ Oggi si risolve il problema con
l’addizione. Ma gli uomini di allora non conoscevano questa operazione e dopo aver
messo insieme le pecore, le ricontavano.
Un primo passo per semplificare le cose fu compiuto incidendo su un bastone una tacca
per ogni pecora, dopo di che si contavano le tacche e si risparmiava il lavoro di
ricontare le pecore. Un altro passo consisté nel porre delle pietruzze dentro un
recipiente. Il contabile poneva le pietruzze nel recipiente a secondo del numero delle
pecore di ogni gruppo e le contava. Così si faceva strada l’idea di somma, cioè di un
numero che esprime l’insieme delle unità di gruppi diversi.
I romani chiamavano Addictio l’operazione di aggiungere alle unità di un gruppo già
contate, quelle, pure contate, di uno o più altri gruppi; e per risparmiare la fatica di
ricontare tutte le unità riunite nel nuovo gruppo (che chiamavano summa) si servivano
di uno strumento chiamato abacus.
Un simile venne usato, più o meno modificato anche dalla maggior parte dei popoli
antichi: l’abacus era una tavoletta in legno e di argilla, suddivisa da scanalature
parallele: una per le unità semplici, un’altra per le decine, la terza per le centinaia, ecc.
Nelle scanalature si ponevano dei sassolini, detti dai romani calculi (da cui la parola
‘calcolo’ per indicare qualsiasi procedimento operativo).
Facciamo un esempio, prendendo sempre come soggetto le pecorelle: uno dei gruppi da
addizionare ne comprendeva 1243, si ponevano allora un sassolino nella scanalatura
delle migliaia, due sassolini in quella delle centinaia, ecc… l’altro gruppo da addizionare
era composto di 1232 pecore e si ripeteva la stessa operazione. Alla fine si aveva
questo risultato: nella scanalatura delle migliaia i sassolini erano 2, in quelle delle
centinaia erano 4, in quella delle decine erano 7 e in quella delle unità erano 5. In tutto
quindi, MMCDLXXV (2475) pecore. Se poi in un determinato ordine i sassolini
superavano la decina, si toglievano 10 sassolini da quell’ordine e se ne aggiungevano uno
nell’ordine immediatamente successivo. L’uso dell’abacus si protrasse fino al tardo
Medio Evo, fu variamente modificato a seconda dei paesi e delle epoche fino a
trasformarsi in un pallottoliere. Gli europei poterono fare a meno di questo aggeggio
dopo che ebbero conosciuto lo zero; solo allora l’addizione poté essere eseguita
rapidamente per iscritto come facciamo noi.
L’operazione vera e propria di addizione, eseguita cioè senza artefici meccanismi ma
operando direttamene sui numeri, risale a circa 50 anni fa. Noi sappiamo fin dalle
elementari come si fa ad eseguire una addizione, ma nessuno pensa al meccanismo che
si nasconde in un’operazione che l’abitudine e la sua stessa semplicità hanno reso
comunissimo.
Dati due numeri da addizionare, per esempio 768 e 925, la prima cosa da fare è
questa: si scompongono i numeri nelle unità dei vari ordini:
768 = 7 centinaia, 6 decine, 8 unità.
925 = 9 centinaia, 2 decine, 5 unità.
Fatto questo, si sommano le unità con le unità le decine con le decine, ecc. così si
ottiene 16 centinaia, 8 decine, 13 unità.
Ora si scompone la somma delle unità semplici, 13, in due gruppi uno di 3 e un altro di
10 unità. Quest’ultimo, formando una decina perfetta, può essere senz’altro aggiunto
alle 8 decine che sono subito a sinistra, la nostra somma diventa allora 16 centinaia, 9
decine, 3 unità.
In questa somma c’è il gruppo delle 16 centinaia che può essere anch’esso scomposto in
un gruppetto di 6 centinaia e in un altro di 10 centinaia (cioè un migliaio) che
trasferiamo in una nuova colonna di sinistra.
In definitiva la somma è composta di 1 migliaio, 6 centinaia, 9 decine, 7 unità. Ecco che
ora possiamo scrivere un nuovo numero 1693. esso rappresenta la somma, cioè il
risultato dell’operazione di addizione compiuta sui numeri 768 e 925. Normalmente
l’operazione viene disposta così 768+925 =1693 e nessuno si preoccupa di scomporre
questi numeri nelle loro unità dei vari ordini, però è quello che tutti fanno senza
accorgersene perché operano automaticamente per forza di abitudine.
MOLTIPLICAZIONE
Gli antichi non conoscevano la moltiplicazione vera e propria. Erano riusciti, si, ad
abbreviare l’addizione di più addendi uguali; ma non erano andati più in là dei primi
dieci numeri, sommati fino a dieci volte. Essi avevano calcolato il risultato di queste
addizioni:
Con i risultati di queste addizioni, essi avevano compilato una tabella che risultava di
grande utilità nei calcoli più comuni. La conosciamo, è la famosa ‘Tavola Pitagorica’, così
chiamata perché era stata attribuita al matematico greco Pitagora, vissuto nel V sec
a. C. In realtà essa era conosciuta già diversi secoli prima, e anzi da molto tempo
erano in uso alcuni metodi più o meno ingegnosi di moltiplicazione che servivano a
calcolare il prodotto di numeri anche più grandi di 10. In seguito, si cercò di
introdurre nell’uso vari altri metodi, nel Medio Evo ad esempio, i matematici italiani ne
escogitarono parecchi. Ma si dovette arrivare alla introduzione dello zero nella
numerazione per inventare l’operazione abbastanza semplice e rapida che si usa ancora
oggi. Esempi di moltiplicazione coi numeri romani:
XV 15 x
VI 6=
X V 90
L X X V
L X X X VV cioè XC
‘Moltiplicare’ significa in latino ‘piegare molte volte’. Piegare che cosa? La stoffa!
Proprio la stoffa che si compra, oggi come al tempo dei romani, nei negozi di tessuti o
al mercato. Se un tempo si chiedeva al venditore ad esempio 5 ‘metri’ di una certa
stoffa, egli ne misurava un ‘metro’ e poi piegava più volte la stoffa in modo da
riportare ogni volta la lunghezza di quel primo ‘metro’ sulla pezza, e quando aveva
sovrapposto (cioè in pratica ‘moltiplicato’) cinque strati di stoffa lunghi un ‘metro’
ciascuno, tagliava e consegnava il prodotto.
Nei secoli XIII e XIV l’operazione del moltiplicare si indicava con i vocaboli ‘ dùcere’,
‘producere’ o ‘facere’, il prodotto si chiamava ‘factum’, i termini venivano detti
‘factores’ (cioè fattori, come sono chiamati tutt’ora).
Un primo passo compiuto sulla lunga strada della moltiplicazione fu quello che portò
alla compilazione della Tavola Pitagorica, che permetteva di conoscere il prodotto di
due fattori qualsiasi, purché compresi fra l’uno e il dieci, e cioè a parte la fatica che
può costare imparare a memoria tutta la tavella, era già una bella comodità. Un passo
immediatamente successivo portò ad una scoperta interessante: ‘un prodotto non
cambia se si muta l’ordine dei fattori’. Non fu necessario troppo logorio delle menti
per arrivare a questa conclusione: infatti basta osservare la stessa tavola pitagorica
per accorgersene:
se 3 x 5 = 15 è anche 5 x 3 = 15
Questa caratteristica della moltiplicazione prende il nome di proprietà commutativa.
Un giorno qualcuno si prese la briga di fare una moltiplicazione con più di due fattori,
per esempio 2 x 3 x 4 e osservò che si poteva farla in più modi:
(2 x 3) x 4 = 6 x 4 = 24 (2 x 4) x 3 = 8 x 3 = 24 2 x (3 x 4) = 2 x 12 = 24
Si ebbe così conferma della proprietà commutativa, e non solo; si poté stabilire che un
prodotto di più fattori non cambia se a due (o più) di essi si sostituisce un numero che
sia uguale al loro prodotto. Questa è la proprietà associativa della moltiplicazione. Se
vale questa proprietà è naturale che valga anche un’altra: un prodotto non cambia uno
(o più) dei suoi fattori si sostituiscono due (o più) numeri il cui prodotto sia uguale al
fattore stesso. E’ la proprietà dissociativa, per convincersi della quale basta
rovesciare gli esempi di prima: 3 x 2 x 4 = 24
Un altro progresso fu compiuto quando si fece ‘‘l’esperimento’’ illustrato in questo
esempio:
dovendo eseguire: 4 x (2 + 6) =
si può fare: (2 + 6) = 8 e poi: 4 x 8 = 32
ma si può anche fare: 4 x (2+6) = (4x ) + (4x6) = 8 + 24 = 32
Abbiamo osservato che invece di eseguire subito la somma indicata tra parentesi (che
è uguale a 8) e di moltiplicare poi, (8x4) (ottenendo 32), si è operato separatamente
sugli addendi, per sommare poi i risultati ottenuti. Visto il risultato positivo del
suddetto ‘esperimento’ si poteva tentare lo stesso procedimento anche nel caso di una
sottrazione. Dovendo risolvere l’espressione 4 x (6–2) si poteva procedere così: 4 x
(6–2) = 4 x 4 = 16
Ma si otteneva lo stesso risultato anche nel modo seguente: 4 x (6–2) = (4x6) – (4x2)
= 24 – 8 = 16
C’era dunque motivo sufficiente per affermare che per moltiplicare un numero per una
somma (o per una differenza) si può moltiplicare per quel numero ciascun termine
della somma (o della differenza) e quindi addizionare (o sottrarre) i prodotti ottenuti.
A questa proprietà della moltiplicazione si è dato il nome di proprietà distributiva.
Incoraggiati da questi risultati, i matematici fecero un altro esperimento, provarono
moltiplicare fra loro due somme, senza eseguirle:
Es. (3 + 2) x (4 + 5)
Curiosità:
guardiamo che cosa accade moltiplicando il numero 37 per i numeri della terza riga
della Tavola Pitagorica :
3x37=111 1+1+1=3
6x37=222 2+2+2=6
9x37=333 3+3+3=9
12x37=444 4+4+4=12
15x37=555 5+5+5=15
18x37=666 6+6+6=18
21x37=777 7+7+7=21
24x37=888 8+8+8=24
27x37=999 9+9+9=27
LA PROVA DEL NOVE
Il resto della divisione (per 9) di 49035 è 3. I vari resti si possono disporre in croce:
3 5
3 3
CURIOSITA’
L’uso della prova del 9 delle quattro operazioni risale a molti secoli prima di Cristo.
Pare che già Pitagora, vissuto intorno al 500 a.C. se ne servisse, dopo che l’aveva
appreso da studiosi egiziani, che a loro volta l’avevano imparata dagli indiani.
ALGEBRA
La parola ‘Algebra’ è stata usata per la prima volta dal matematico arabo Al-
Khuwarizmi vissuto nel IX sec d.C.
L’Algebra consiste nel tradurre l’enunciato di un problema in un equazione, sicchè la
risoluzione del problema si riduce alla risoluzione della sua equazione. Risolvere
un’equazione significa calcolare il valore da attribuire all’incognita in essa contenuta.
Nel Medioevo l’incognita era detta semplicemente ‘la cosa’ e perciò l’algebra era ‘l’arte
della cosa’ mentre gli algebristi erano ‘cosisti’. Si deve a Leonardo Pisano il già
ricordato autore del ‘Liber Abaci’ (libro dell’abbaco), la diffusione delle cognizioni
algebriche raggiunte dagli arabi, i quali avevano inventato dei procedimenti speciali
per risolvere le equazioni. Le origini dell’algebra risalgono però al tempo dei Babilonesi
e degli Egiziani e gli ulteriori sviluppi di questa scienza matematica hanno richiesto
secoli di studi. Le principali difficoltà incontrate dai matematici dediti all’algebra
erano rappresentate dai ‘numeri negativi’ che saltavano fuori nel corso delle loro
trattazioni senza che si sapesse bene come interpretarli, e dall’ insufficienza della
notazione numerica e letterale il cui perfezionamento è una conquista relativamente
recente.
IL CALCOLO LETTERALE
Per capire l’importanza della ‘notazione letterale’ basti pensare che dopo le ‘scoperte’
avvenute in Grecia nel campo dei numeri e della geometria, lo sviluppo della
matematica, che con quello delle arti e di altre scienze aveva caratterizzato la civiltà
ellenica giunta al suo massimo splendore, si è arrestato proprio per la mancanza di un
adeguato mezzo di espressione. I greci non conoscevano la numerazione decimale, né
disponevano dei simboli coi quali oggi si rappresenta per iscritto qualsiasi espressione
matematica. La difficoltà di esprimersi impedì ancora per molti secoli il progredire di
una scienza che soltanto nel XVI secolo riprese il suo cammino, per raggiungere le
altezze a cui è pervenuta in epoca moderna. Tale progresso si deve in parte,
all’elaborazione di tutto un sistema di scrittura e di rappresentazione delle grandezze
e delle operazioni da eseguire con questi, di tale sistema è parte preponderante la
notazione letterale, con tutto l’armamento del calcolo letterale.
LA NUMERAZIONE BINARIA
Molte cose ci sarebbero da dire sull’origine dei numeri e sul loro primo impiego, perché
ogni popolo si è affacciato alla ribalta della storia con usi e costumi propri e anche con
un proprio sistema di numerazione. Il più antico dei sistemi, quello a base due o
numerazione binaria, capostipite delle numerazioni più evolute: la quinaria, la duo
decimale, la vigesimale, la sessagesimale, usate in tempi e luoghi diversi e sulle quali la
decimale ha prevalso fino ai giorni nostri, affermandosi come la più comoda e
conveniente.
La scrittura binaria è molto comoda infatti: richiede soltanto due cifre, 0 e 1 , per
rappresentare qualunque numero. Per esempio se dobbiamo scrivere 1 si intende ‘uno’
scrivendo 10 si intende ‘due’ scrivendo 100 si intende ‘quattro’ scrivendo 1.000 –
10.000 – 100.000 si intende ‘otto, sedici, trentadue,…..’
In altre parole: la cifra 1 indica 20, 21, 22, 23, 24, 25… a seconda che occupi il
1°,2°,3°,4°,5°,6°… posto da destra verso sinistra, mentre 0 è in significativo. I due
sistemi presentano questa analogia: mentre il valore relativo delle cifre 1,2,3,… si va
decuplicando da destra verso sinistra, il valore della cifra 1 va raddoppiando nello
stesso senso. Possiamo notare che con la numerazione binaria la scrittura di certi
numeri è lunghissima; per esempio, un numero come 62 su scrive 111110, però è anche
vero che le cifre usate sono soltanto 1 e 0, mentre quelle della numerazione decimale
sono dieci, da 0 a 9.
Già tre secoli or sono Leibniz proponeva l’adozione della numerazione binaria, dandone
un’interpretazione religiosa: la cifra 1 sarebbe il simbolo di Dio e la cifra 0
rappresenterebbe il nulla, il vuoto, sicchè l’impiego di queste due cifre per la scrittura
di qualsiasi numero dimostrerebbe come Dio può creare l’universo dal nulla.
Un’interessante applicazione del sistema binario potrebbe essere quella relativa a un
nuovo sistema monetario che in alcuni casi semplificherebbero i cambi. Pensiamo per
esempio, che vengano adottate monte da 1,2,4,8,16,… lire: con quali e quante delle
monete attualmente in circolazione potremmo formare una somma di 84 lire? Possiamo
formarlo con qualunque combinazione, ci occorrerà sempre più di una moneta dello
stesso valore; invece, con quelle binarie, essendo 84 = 1010100, si possono impiegare
solo tre monete tra loro diverse: una per ciascuno dei valori corrispondenti alle
posizioni occupate dalla cifra 1.
Per trasformare la scrittura decimale di 84 nella sua equivalente binaria, si sottrae da
84 il massimo multiplo di 2 in esso contenuto: 84 – 2 6 = 84 – 64 = 20; ora si sottrae 20
il massimo multiplo di 2 in esso contenuto: 20 – 2 4 = 20 – 16 = 4 e ora si ripete il
procedimento operando : 4 – 22 = 4 – 4 = 0.
Ora possiamo scrivere l’ultimo quoziente ottenuto, seguito da tutti i resti incolonnati;
a cominciare dal basso e abbiamo 84 = 1010100
Un altro motivo di comodità della numerazione binaria è la facilità con cui si eseguono
le operazioni a termini binari. Per l’addizione teniamo presente che 1+0 e che 1+1 =10
quindi:
uno + 1+ cinque + 101 + sette + 111 +
uno + 1+ due = 10 + quattro = 100 =
uno + 1+
sette 111 undici 1011
tre 11
Dal terzo esempio possiamo vedere che la somma dei primi 1 di ciascun addendo è 10 e
mentre lo 0 si scrive incolonnato con quelli, ci si deve spostare a sinistra per scrivere
l’1.
Es.
tredici + 1101 +
quattro + 100 =
diciassette 1001
quindici + 1111 +
undici + 1011 =
ventisei 11010
dalla moltiplicazione si tiene presente che 0x0 = 1x0 = 0x1 =0 e che 1x1 =1
per la sottrazione teniamo presente che 1-1=0, 1-0=1 e che 0-1=1 con 1 di riporto da
aggiungere alla cifra immediatamente successiva del sottraendo, quindi:
I CALCOLATORI