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Un testo ricco di connessioni interne.

Così mi sembra di poter descrivere il brano del Vangelo che la


liturgia ci offre in questa sesta domenica di Pasqua. Inizia e termina mostrando una relazione
duplice tra l’amore per Gesù e l’osservanza dei suoi comandamenti. Accosta, una dopo l’altra, due
relazioni intime di cui sarà fatto dono ai discepoli, entrambe mediate da Gesù: quella con lo Spirito
della verità, l’altro Paraclito, e quella con la stessa intimità di cui gode con il Padre. In punta di
piedi, cerchiamo di entrare in questo mistero della rivelazione di Dio.
Gesù lega l’osservanza dei suoi comandamenti all’amore verso la sua persona, in due modi diversi.
All’inizio del brano, l’amore verso Gesù pone le condizioni e conduce i discepoli all’osservanza dei
suoi comandamenti. Alla fine, invece, la custodia e l’osservanza dei comandamenti è la
testimonianza dell’amore vissuto verso la sua persona. Chiaramente le due prospettive si integrano
in modo fecondo. C’è da notare, poi, il plurale qui usato. Gesù aveva già consegnato il suo
comandamento nuovo, quello dell’amore reciproco (Gv 13,34). Quel comandamento esprime il
fondamento di ogni azione e non elimina gli appelli che nascono dalle singole situazioni della vita.
Non si tratta di ricadere in una precettistica, ma di vivere nell’amore, regolato sulla testimonianza
della vita di Gesù, ogni circostanza concreta. Per questo i discepoli riceveranno un dono singolare,
«un altro Paraclito», cioè «un altro chiamato accanto … per sostenere e consolare». Come Gesù è
stato il loro paraclito, sostegno e consolazione, così egli pregherà il Padre perché non restino orfani
di un maestro e di una guida. È tipico, infatti, della tradizione rabbinica, indicare come «padri» gli
autentici maestri della Legge. Per non lasciare soli i suoi discepoli, Gesù prega il Padre con tutto il
suo affetto. Il verbo (erôtaô) è usato nel IV Vangelo per indicare solo la preghiera di Gesù verso il
Padre. Contiene una dimensione affettiva molto forte: indica un rapporto d’amore intenso verso
colui al quale si rivolge la preghiera.
Questo rapporto così intimo di Gesù con il Padre viene manifestato nel giorno in cui lui vive (al
presente!) e si offre alla visione dei discepoli. Questo «vedere Gesù» può essere inteso in tre modi:
un annuncio delle sue apparizioni dopo il mattino di Pasqua; la profezia del suo ritorno definitivo
escatologico alla fine dei tempi; la sua futura presenza nella storia attraverso l’azione dello Spirito
inviato dal Padre. Conviene tenere insieme tutte e tre le letture perché solo nella loro sintesi si
coglie il senso profondo della promessa. E qui, allora, i discepoli si aprono alla piena rivelazione del
rapporto che lega Gesù con il Padre, Dio. Proprio così si comprende la missione dello Spirito. Lo
Spirito della verità è lo Spirito della autentica e definitiva rivelazione del mistero di Dio. Ma lo
Spirito non solo mostra e fa comprendere la rivelazione dell’amore di Dio nel dono del suo Figlio. Ci
mette in condizione di agire secondo questa rivelazione, quasi conducendoci per mano a vivere
nella sequela delle orme di Cristo, nell’accoglienza piene delle sue parole, le uniche che sono e
restano Spirito e vita.
Un invito. Dalla prima lettura di questa domenica siamo rinviati al mistero della nostra cresima o
crismazione, quando abbiamo ricevuto la pienezza dello Spirito santo in persona. Da allora, per
quella unzione sacramentale, lo Spirito dimora in noi e ci conduce alla verità tutta intera, una verità
che realizziamo ogni giorno nell’amore di Gesù, osservando i suoi comandamenti. L’invito?
Fermiamoci almeno una volta al giorno a salutare questo Spirito che abita in noi, plasmando
quell’immagine di Cristo che corrisponde alla nostra missione singolare.

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