Sei sulla pagina 1di 156

11/03 Lezione 1

Automazione
L'automazione è la conversione di un processo di lavoro, di una procedura o di una macchina in automatica
(ossia senza o con ridotto intervento da parte dell’uomo).

L'automazione non trasferisce semplicemente le funzioni umane alle macchine, ma comporta una profonda
riorganizzazione del processo di lavoro, durante la quale vengono ridefinite sia le funzioni umane che quelle
delle macchine.

L'automazione iniziale si basava su dispositivi di controllo meccanici ed elettromeccanici.

Negli ultimi 40 anni, tuttavia, il computer è diventato gradualmente il principale elemento di automazione.
Ora, l'automazione include controlli elettronici e computerizzati (informatizzati).

Storia dell’Automazione nell’Industria

La storia dei dispositivi automatizzati, nel senso di sistemi che possono lavorare con il ridotto intervento
dell’uomo, risale all'antica invenzione dei meccanismi di cronometraggio degli antichi greci e Persiani.
Alcuni esperti fanno risalire la prima catena di montaggio fino al 1104 d.C., all'Arsenale veneziano, quando
circa 16.000 operai lavoravano per costruire una nave al giorno, per la Repubblica di Venezia.

Per vedere come l’automazione è entrata nelle industrie dobbiamo vedere come si è evoluta l’industria
negli anni

La prima Rivoluzione Industriale

Nel periodo tra il 1760 e il 1840, vi fu la transizione da abili artigiani, che fabbricano prodotti a mano, a
lavoratori (relativamente) non qualificati che utilizzano macchine alimentate da una ruota idraulica o da un
motore a vapore. La transizione fu prevalente nell'industria tessile, ma gli effetti della prima rivoluzione
industriale furono avvertiti in quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana.

La seconda rivoluzione industriale

La seconda rivoluzione industriale ebbe luogo tra il 1870 e il 1914 e l'inizio della Prima guerra mondiale. A
differenza della prima rivoluzione industriale, che fu caratterizzata dall'avvento di nuove tecnologie, la
seconda rivoluzione industriale ebbe più a che fare con il miglioramento delle tecnologie esistenti e delle
sinergie fra loro. Ad esempio, l'elettricità sostituì l'acqua e il vapore come fonte di energia primaria nelle
fabbriche. La seconda rivoluzione industriale segnò anche l'inizio della catena di montaggio, delle parti
intercambiabili e, con esse, della produzione in serie, questo perché sta cambiando il panorama della
richiesta di mercato, c’è l’esigenza di elevata produttività.

Per aumentare la produttività viene modificato il processo, la specializzazione aumenta la produttività, ma


rende il processo meno flessibile, più rigido. (L’ esempio che c’è nel video è quello di cambiare dell’ugello
della maionese con da 1 a 3 fori.)

La terza rivoluzione industriale

La terza rivoluzione industriale ha visto l'introduzione di nuove tecnologie dirompenti, in questo caso
l'automazione e il computer. Questi progressi portarono a profondi cambiamenti nella produzione,
consentendo livelli di flessibilità, soprattutto legata alla movimentazione degli oggetti (grazie ai robot
industriali) e accuratezza (grazie ai controlli numerici computerizzati (CNC)), mai visti prima in officina.
L'inizio può essere fatto risalire ai primi anni '60, che ha visto l'introduzione del primo robot industriale e
dei primi CNC commerciali.
Storia dell’Automazione nell’Industria

Fase I: meccanizzazione e razionalizzazione del lavoro

La meccanizzazione sostituisce la forza umana o animale con la potenza fornita dalla macchina; quei
meccanismi, tuttavia, non erano automatici ma controllati dagli operai.

Alla fine del XIX secolo, Frederick W. Taylor razionalizzò il sistema industriale introducendo i principi della
gestione scientifica, la scienza applicata alla produzione. La gestione scientifica separava rigorosamente il
lavoro mentale dal lavoro manuale: i lavoratori non dovevano pensare, ma seguire istruzioni dettagliate
preparate per loro dai dirigenti.

Nel 1913 la Ford Motor Company introdusse una catena di montaggio mobile, riducendo drasticamente i
tempi di assemblaggio. La catena di montaggio ha imposto un rigoroso ordine alla produzione costringendo
i lavoratori a tenere il passo con il movimento del nastro trasportatore. La catena di montaggio Ford
divenne un simbolo di efficienza della produzione americana; per i lavoratori e i critici sociali, tuttavia,
incarnava la monotonia e la pressione incessante del lavoro meccanizzato.

Fase II: automazione della produzione

Nella seconda fase della automazione il focus viene spostato al sistema di movimentazione e al
carico/scarico dei componenti perché si raggiungono elevati livelli di produttività che se non si automatizza
anche il sistema di movimentazione non si riesce a stare dietro al sistema produttivo.

Nel 1947 la Ford Company istituì il primo dipartimento di automazione, incaricato di progettare sistemi di
movimentazione dei componenti, di tipo elettromeccanico, idraulico e pneumatico, nonché il carico e lo
scarico dei componenti in macchina, in modo da collegare macchine indipendenti e aumentare il tasso di
produzione. Nel 1950 Ford mise in funzione il primo impianto automatico. Per soddisfare le richieste della
US Air Force per un aereo da combattimento ad alte prestazioni, i cui complessi componenti strutturali non
potevano essere fabbricati con metodi di lavorazione tradizionali, nei primi anni '50 fu sviluppata una
tecnologia di controllo numerico (NC) delle macchine utensili, questi prototipi erano molto complessi e
specifici per l’ applicazione per cui erano nati erano, infatti, progettate secondo le specifiche militari, le
prime apparecchiature NC si rivelarono troppo complesse e quindi inaffidabili, oltre che proibitivamente
costose, e furono applicate principalmente nell'industria aeronautica sovvenzionata dallo stato.

La tecnologia NC ha permesso a ingegneri e manager di esercitare un maggiore controllo sul processo di


produzione, questo perché permettevano appunto di automatizzare il processo.

Fase III: Computer-Aided Manufacturing (CAM)

Le prime applicazioni industriali dei computer digitali si sono verificate nelle industrie elettriche, lattiero-
casearie, chimiche e delle raffinerie di petrolio per il controllo automatico dei processi. Nel 1959, TRW ha
installato il primo computer digitale progettato specificamente per il controllo dell’impianto produttivo
nella raffineria di Port Arthur di Texaco.

Alla fine degli anni '60, con lo sviluppo del time-sharing su computer mainframe di grandi dimensioni, le
macchine a controllo numerico e venivano poste sotto il controllo numerico diretto (DNC) di un computer
centrale.

Con l'introduzione dei microprocessori negli anni '70, i sistemi DNC centralizzati furono in gran parte
sostituiti da sistemi di controllo numerico computerizzato (CNC), in cui ogni macchina NC era controllata
dal proprio computer.

La robotica ha combinato le tecniche di controllo remoto e NC per sostituire i lavoratori umani con
manipolatori meccanici a controllo numerico. I primi robot commerciali apparvero nei primi anni '60.
Fase IV: Automazione nei processi di Ingegneria

Negli anni '60 i grandi produttori aerospaziali, come McDonnell-Douglas e Boeing, svilupparono sistemi
proprietari di progettazione assistita da computer (CAD), che fornivano strumenti di computer grafica per
la stesura, l'analisi e la modifica di progetti di aeromobili.

Nel 1970 Computer Vision Corporation ha introdotto il primo sistema CAD commerciale chiavi in mano,
completo per i progettisti industriali, che ha fornito tutto l'hardware e il software necessari in un unico
pacchetto.

Negli anni '70 emersero sistemi CAD / CAM combinati che utilizzavano i parametri di un modello
geometrico creato con l'aiuto del CAD per generare programmi per macchine utensili a controllo numerico
e sviluppare piani e programmi di produzione.

Con l'introduzione dei sistemi di Computer Aided Engineering (CAE) per le tecniche standard di analisi
ingegneristica, l'intera gamma di attività ingegneristiche, dalla progettazione concettuale all'analisi, dalla
progettazione dettagliata alla stesura e alla documentazione alla progettazione manifatturiera, è stata
automatizzata.

Fase V: Gestione automatizzata

Una tra le prime applicazioni dell'informatica fu l'automazione delle attività di elaborazione dei dati. Il
primo computer digitale a programma memorizzato acquistato da un cliente non governativo è stato
UNIVAC, installato da GE nel 1954 per automatizzare l'elaborazione di base delle transazioni: gestione
stipendi, controllo delle scorte e pianificazione dei materiali, fatturazione e gestione degli ordini e
contabilità generale.

A metà degli anni '60 apparvero i primi sistemi di gestione delle informazioni (MIS), che fornivano alla
direzione dati modelli di analisi e algoritmi per il processo decisionale; alla fine sono diventati uno
strumento standard per il controllo delle operazioni, il controllo di gestione e la pianificazione strategica.

Fase VI: Computer-Integrated Manufacturing (CIM)

Alla fine degli anni '80 iniziò l'integrazione della fabbrica automatizzata. Il CIM combina automazione
flessibile (robot, macchine a controllo numerico e sistemi di produzione flessibili), sistemi CAD / CAM e
sistemi di gestione delle informazioni per costruire sistemi di produzione integrati che coprono le
operazioni complete di un'azienda manifatturiera, inclusi acquisti, logistica, manutenzione, ingegneria e
operazioni commerciali.

Lezione 2 13/03/20

L'automazione è un concetto evolutivo piuttosto che rivoluzionario ed è stata implementata con successo
nelle seguenti aree:

• Settore automobilistico
• Settore Aeronautico
• Costruzioni
• Sistemi di comunicazione
• Beni di consumo
• Industria chimica
• Energia
• Settore alimentare
• Confezioni
• Farmaceutico e medico (dosaggio di sostanze chimiche per compresse, monitoraggio della
pressione arteriosa e della frequenza cardiaca e apparecchi acustici)
• Robotica Semiconduttori ed elettronica

La quarta rivoluzione industriale

Permette di trasformare tutto ciò che è reale in digitale per andare a gestire la produzione e la fornitura.

L’industria 4.0 è la trasformazione digitale della produzione, sfruttando le tecnologie quali i Big Data /
Analytics o l'Internet of Things (industriale); e richiede la convergenza di IT (Information Technology) e OT
(Operational Technology), dispositivi IoT, sensori e attuatori, robotica, dati, intelligenza artificiale e processi
di produzione per realizzare fabbriche connesse, produzione decentralizzata intelligente, sistemi di auto-
ottimizzazione e fornitura digitale della catena nell'ambiente informatico cibernetico della 4a rivoluzione
industriale (a volte chiamata 4IR).

L’Industria 4.0

La cancelliera tedesca Angela Merkel ha definite l’Industria 4.0 "la trasformazione globale dell'intera sfera
della produzione industriale attraverso la fusione della tecnologia digitale e di Internet con l'industria
convenzionale". In breve, tutto, all'interno e intorno a un'operazione di produzione (fornitori, impianto,
distributori, persino il prodotto stesso), è collegato digitalmente, fornendo una catena del valore altamente
integrata. Questa è un, operazione di ampio raggio che richiede potenti software.

Il termine Industry 4.0 è nato in Germania, ma il concetto si sovrappone ampiamente agli sviluppi che, in
altri paesi europei, possono essere etichettati in vari modi: fabbriche intelligenti, Industrial IoT, Smart
Industry o produzione avanzata.

I nove pilastri dell’innovazione tecnologica

Nell’Industria 4.0, le tecnologie digitali offrono velocità e comunicazione senza precedenti lungo la catena
del valore. Di seguito è riportato un elenco dei nove pilastri del progresso tecnologico:

1. Fabbricazione Additiva
2. Realtà aumentata
3. Robot autonomi/collaborativi
4. Big data e analytics
5. Cloud
6. Cybersecurity
7. Integrazione orizzontale e verticale
8. Internet of Things (IoT)
9. Simulazione

La produzione additiva si riferisce alla tecnologia 3D che crea oggetti/assemblati aggiungendo strati
successivi di materiale.

La realtà aumentata offre vantaggi per l'addestramento, la risoluzione dei problemi e le riparazioni
(manutenzione). ad esempio se vi è un problema che richiede un intervento.

Robot autonomi, il robot acquisisce delle abilità in più rspetto a quelli di base, i robot sono Min 8.40) Le
capacità autonome aumentano le possibilità d’impiego dei robot, consentendo loro di regolare le azioni
interagendo con l’ambiente esterno. I co-bot (robot collaborativi) possono lavorare insieme agli umani.
Utilizzando robot mobili, è possibile trasportare I componenti tra le stazioni, anziché utilizzare un sistema di
trasporto fisso. Una maggiore automazione cognitiva può anche aiutare i robot nel processo decisionale.
Grazie a linee e macchine che si collegano all'ERP dell’azienda, si può gestire la produzione in base agli
ordini anziché alle proiezioni, riducendo i tempi e I costi di consegna.

Big data e Analytics. Enormi volumi di dati e capacità avanzate di analisi dei dati significano maggiore
qualità e servizio. Le aziende possono raccogliere dati in ogni fase della catena, per migliorare il processo e
risparmiare risorse. Le tecnologie intelligenti consentono la manutenzione predittiva. L'Industria 4.0
combina la manutenzione predittiva con le capacità di comunicazione avanzate, per aumentare l'efficienza
e il risparmio energetico nelle linee e nelle fabbriche.

Cloud. L'interconnessione nella produzione richiede collaborazione e contatto oltre i confini della struttura
e dell'azienda. Il cloud computing consente la raccolta, l'analisi, l'archiviazione e persino il monitoraggio dei
dati. Normalmente il cloud è esterno al sistema, le aziende preferiscono per sicurezza mantenere le
informazioni in sistemi interni

Cybersecurity. Il passaggio dai sistemi chiusi all'interconnessione richiede livelli più elevati di sicurezza
informatica, per le reti che trasmettono dati di precisione e controllano le macchine.

Integrazione orizzontale e verticale. L'integrazione indica il coordinamento completo di tutti i dipartimenti


e le entità lungo la catena di fornitura, a partire dalla comunicazione machine-to-machine (M2M) a livello di
stabilimento. Ad esempio, i produttori ricevono informazioni dalla loro catena di approvvigionamento e
dalle organizzazioni di vendita e i dipartimenti di ingegneria mantengono un collegamento con la
produzione. Il cloud computing abilita molte di queste funzionalità.

Internet of Things (IoT). Con I sensori IoT, i dispositivi lungo la linea di produzione e i centri di controllo
possono interagire tra loro per fornire dati e risposte più rapide. Con la tecnologia IoT, questi dispositivi
possono anche includere la funzionalità cablata e wireless per comunicare con il cloud e offrire
manutenzione predittiva.

Simulazione. Le simulazioni 3D di prodotti, materiali e processi di produzione possono sfruttare i dati in


tempo reale per presentare modelli virtuali di interi sistemi di produzione. Con la simulazione avanzata, è
possibile testare e ottimizzare I processi prima dell’effettiva implementazione in linea.

Man mano che le aziende adottano gli approcci dell'Industria 4.0, gli esperti prevedono un aumento della
produttività, favorendo lo sviluppo dell’azienda e così la crescita economica.

I nove pilastri del progresso tecnologico che costituiscono la base dell'Industria 4.0. sono già utilizzati nella
produzione industriale, ma con il crescente dominio di "Industria 4.0, trasformeranno la produzione: celle
di per sè isolate e ottimizzate si uniranno a realizzare un flusso di produzione completamente integrato,
automatizzato e ottimizzato, portando a maggiore efficienza e cambiando i tradizionali rapporti di
produzione tra fornitori, produttori e clienti, nonché tra uomo e macchina”. Boston Consulting Group.

Min 59:00
Sistema di Produzione

Si definisce Sistema di produzione un insieme integrato di macchinari e risorse umane che compie una o più
operazioni di trasformazione o di montaggio su un grezzo, una parte o un insieme di parti. I macchinari
integrati includono:

• macchine e utensili per la lavorazione;


• sistemi di movimentazione;
• attrezzature di bloccaggio;
• computer, in grado di coordinare e/o controllare gli altri componenti.

Per aumentare la produttività e far fronte a questa esigenza del mercato bisogna produrre nel minor tempo
possibile, un primo passo per fare ciò è stato quello di parallelizzare le operazioni di montaggio (catena di
montaggio), così per avere un pezzo finito senza dover attendere il tempo di tutto il ciclo produttivo.

All’ interno della singola stazione di lavoro come faccio a ridurre i tempi?

Il tempo ciclo ha 3 contributi principali:

1. tset-up che è il tempo di preparazione del sistema produttivo, caricare i pezzi, fissare l’attrezzatura
per il bloccaggio del componente in macchina
2. timproduttivo ad esempio quello di trasporto del componente
3. tproduttivo ad esempio il tempo di taglio effettivo

per ridurre il tempo del ciclo bisogna agire su questi tre contributi ad esempio per quanto riguarda il tempo
improduttivo dobbiamo rendere automatica la
movimentazione dei pezzi oppure dobbiamo specializzare le
operazioni. Ad esempio, per realizzare un foro su un
componete si fa prima un perforo, cioè si fa una centratura
con una punta, poi si cambia punta e si realizza un foro di
diametro ridotto e poi si fanno delle operazioni alesatura o
di allargamento per portare il foro a diametro maggiore cosi
da ottenere il foro con il diametro richiesto. Per fare ciò si
può pensare di utilizzare un unico utensile specializzato per
la funzione il quale avrà diametri via via crescenti.
Quest’utensile non potrà però essere utilizzato per altre operazioni, però avrò ridotto i tempi improduttivi.

Un altro esempio è quello del la realizzazione di più fori su una piastra che possono essere realizzati si a
usando un unico utensile e spostandolo oppure realizzare una maschera con più utensili che eseguono i fori
in contemporanea, è ovvio che la mia maschera di foratura sarà però specializzata per quella operazione.

Ho specializzato, ho ridotto i tempi di produzione, ma ho creato un sistema rigido, quindi capace di fare
solo quella operazione.

Questo è il modo in cui si è mossa l’automazione agli esordi perché il mercato chiedeva la produzione in
grandi quantità di componenti tutti uguali.

Evoluzione dell’automazione

Manuale: tutte le funzioni di controllo e quelle ausiliarie (carico,


scarico, collaudo…) sono affidate all’uomo

Semi-automatico: la macchina semiautomatica riduce l’intervento dell’uomo nel ciclo ma, a causa della
maggior produttività, richiede un maggior impegno nelle attività
ausiliarie
Automatico: il processo e la movimentazione (es nastri trasportatori) del
pezzo sono automatiche, il collaudo è affidato all’uomo

Automatico con controllo in linea:il collaudo è automatizzato, il risultato della


misura interagisce col processo, l’intervento umano è richiesto solo in caso di guasto

Funzione del calcolatore

L’ automazione è permessa dall’ utilizzo sull’utilizzo di sistemi di controllo basati sull’ utilizzo di hardware e
software, che ha sia funzioni di controllo diretto della macchina che funzioni più gestionale.

 Comunicazione e istruzione all’operatore.

 Download di programmi di lavoro.

 Gestione delle operazioni.

 Controllo del sistema di movimentazione.

 Schedulazione della produzione.

 Diagnostica dei guasti.

 Controllo della qualità.

 Statistica.

LIVELLO DI AUTOMAZIONE

Tutto ciò ci permette di aumentare l’automazione, ma come possiamo fare per valutare il sistema di
automazione di un sistema, come facciamo a dire fra due sistemi di produzione quale ha il più alto livello di
automazione? A questo scopo è stato definito l’indice di presidio M, esso è dato dal rapporto fra le risorse
umane impegnate nel sistema produttivo e il numero di stazioni di lavoro che quel sistema produttivo
comprende. I sistemi di produzione si possono classificare sulla base di questo indice a seconda del livello di
automazione.

• Tipo 0: Stazione singola con operatore (n=1, w=1, M=1)


• Tipo 1: Stazione singola in grado di operare per periodi di tempo lunghi in modalità “non
sorvegliata” (n=1, wi =0, M1, wi=1, M>1)
• Tipo 2: Sistema a più stazioni tutte sorvegliate (n>1, wi=1, M>1)
• Tipo 3: Sistema a più stazioni completamente automatica (n>1, wi=0, M<1)
• Tipo 4: Sistema a più stazioni ibrido (alcune stazioni sono sorvegliate e altre sono
totalmente automatiche), (n>1, wi=0/ wi=1, M<1)

M --> 0 Sistema Automatico


M >= 1 Manuale
0< M<1 Ibrido
la secondo configurazione è quella con il livello di automazione maggiore, a seguire c’è la terza, la prima è
manuale.

Flessibilità

Nel corso del tempo è variata la richiesta ai sistemi di produzione in termini di produzione e automazione.

Importante caratteristica di un sistema di produzione è la sua capacità di gestire i cambiamenti dei


particolari o dei prodotti che è in grado di produrre.

All’ inizio del ‘900 c’ era una grande flessibilità con una
produttività non molto elevata, venivano realizzati prodotti
sulla richiesta; c’è stata con la terza rivoluzione industriale
e quindi alta produttività e poca personalizzazione (es
prime macchine Ford), inizia poi ad aumentare il numero di
varianti dello stesso prodotto. Automazione e Flessibilità
sono concetti opposti e sono difficili da ottenere assieme,
cioè elevata flessibilità ed automazione, quindi
normalmente quando aumenta la flessibilità si riduce
l’automazione, in questo ambito si ci è mossi con la
globalizzazione, quando si sono iniziati a cercare sistemi
flessibili per la produzione industriale. Oggi la richiesta di
flessibilità continua ad aumentare, quindi ci si sta spostano
verso mercati flessibili, ma cercando di mantenere medio-
alti i livelli di automazione (mass customization)

Possiamo pensare a tre situazioni tipiche:

• Impossibilità a gestire alcuna variante, cioè capacità di lavorare un unico prodotto.


• Possibilità di gestire diverse tipologie di prodotti a lotti.
• Possibilità di gestire le parti diverse in modo del tutto casuale (mix di prodotti)

Vediamo quali tipi di sistemi possiamo avere.


Sistema che non è capace di gestire la variabilità, ma che ha un’alta produttività cioè un sistema rigido,
quello della linea trasferta

Si passa poi a sistemi che hanno una maggiore flessibilità, ma riducono la produttività e quindi sono capai il
variare il tipo di produzione richiedendo un ri-steup/ riorganizzazione del sistema produttivo quindi si
hanno delle liee agili.

Se vogliamo avere grande flessibilità, ma senza avere produzioni elevate la base è quella del centro di
lavorazione, ossia della macchina automatica controllata dal calcolatore, la flessibilità è data dal fatto che la
macchina può cambiare il tipo di lavorazione sulla base del programma che viene inserito all’ interno del
centro di controllo.

In mezzo abbiamo i sistemi flessibili di produzione (FMS) che sono configurazioni in cui integriamo la
automazione delle macchine e dei sistemi di trasporto per gestir la produzione di componenti diversi fra di
loro. non si riesce a raggiungere la massima flessibilità, ma dei livelli comunque buoni.

Una via intermedia per aumentare la quantità produttiva sono le linee agili che sono dei sistemi che sono
capaci di gestire alcune varianti di prodotto senza avere la rigidità ella linea trasferta perché le linee agili
sono riconfigurabili.

Nella linea trasferta abbiamo una sequenza di macchine ed il pezzo che è in lavorazione deve seguire le
operazioni delle singole stazioni di lavoro per poter essere finito, nella liea agile possiamo configurare il
nostro sistema produttivo, per cui i pezzi possono seguire dei percorsi diversi e quindi possiamo andare a
riconfigurare il percorso del componete o addirittura andare a spostare le singole postazioni di lavoro in
posizioni ritenute più opportune.

Il sistema è completamente flessibile quando si possono ottenere prodotti che sono completamente
diversi gli uni dagli altri e quindi si lavora sulla base della richiesta personalizzata del cliente finale, questo è
quello che richiede il mercato attuale.

La base di tutto è comunque la singola stazione di lavoro he conferisce la flessibilità al sistema, cioè sulla
base della singola stazione di lavoro e della sua capacità di variare le operazioni andiamo poi a definire la
flessibilità del sistema interconnesso.

Vediamo quali sono i benefici nel controllare la macchina direttamente con un calcolatore, quindi rendere
la macchina completamente automatica.

Il Controllo Numerico

Nei sistemi tradizionali di produzione con le macchine utensili, il disegno del pezzo costituisce una memoria
con tutte le informazioni necessarie. L’uomo interpreta le informazioni fornite dal disegno e le trasmette
alla macchina effettuando le manovre necessarie. Viene pertanto a crearsi un rapporto indivisibile uomo-
macchina. A causa degli inevitabili errori personali, spesso legati alla ripetitività delle operazioni, il pezzo
necessita di un controllo finale. La necessità di macchine flessibili e versatili atte alla fabbricazione di piccoli
lotti di pezzi diversi tra loro, di macchine ad elevata precisione che svincolassero l’uomo dalla macchina
stessa, lasciandogli solo la sorveglianza, ha determinato lo sviluppo delle Macchine Utensili a Controllo
Numerico. La denominazione deriva dal fatto che le informazioni trasmesse alla macchina (posizionamento
tavole, movimenti utensile…) sono ricavate dal disegno e dal ciclo di lavorazione del pezzo e memorizzate in
forma alfanumerica nella memoria dell’Unità di Governo della macchina stessa.

Vediamo quali sono le operazioni di base di controllo di una


macchina utensile. Consideriamo di voler realizzare una piastra
di cui si conosce l’ interasse il diametro e la posizione dei fori,
questa informazione è traferita all’ operatore della macchina
utensile classica il quale studia il disegno, capisce quale
macchina utensile gli serve e fa il set up della macchina utensile
dopo di che muove gli assi mobili della macchina utensile
tramite un sistema con delle manovelle per posizionarsi ad una quota corretta e può verificare la
correttezza della posizione attraverso delle scale graduate.

Nel fare queste operazioni si devono andare a considerare tre elementi di base per rendere la macchina
automatica.

analisi e decisione “unità di governo”


azionamento “motore”
feedback “sensori”

Si definisce controllo numerico “a system in which actions are controlled by the direct insertion of
numerical data at some point” Electronic Industries Association (EIA)

Macchine controllate da un sistema elettronico progettato per accettare dati alfanumerici codificati (è un
codice standardizzato ISO) questo codice è interpretato dall’ unità di governo e convertirli in segnali di
OUTPUT (es. avvio/arresto mandrino, cambio utensile, movimenti del pezzo o dell’utensile secondo un
certo percorso….)

Il Controllo Numerico – Cenni storici

1947 John Parson concepisce l’idea di una macchina comandata automaticamente con informazioni
numeriche per la costruzione di eliche per elicotteri

1949 Parson ottiene un contratto su metodi di produzione veloce

1952 Il MIT, su incarico dell’US Air Force, costruisce la prima fresatrice a controllo numerico e realizza un
pezzo con movimento simultaneo dell’utensile su tre assi 1955 Primi modelli commerciali di macchine
utensili a controllo numerico

Consideriamo una fresatrice tradizionale (costituita dunque da un montate e da una testa operatrice) , il
pezzo da lavorare è posto sula tavola è può muoversi secondo due assi ortogonali e il bancale o l’ utensile
poi può muoversi verso l’ alto e verso il basso questi movimenti fra assi ortogonali sono realizzati con
l’ausilio di un unici motore che viene connesso in moto ad un sistema vite- madre - vite, quindi posso
muovere l’ asse x, y o z ma non tutti e tre contemporaneamente, dunque posso fare delle superfici piane ,
se volessi realizzare delle superfici curve dovrei azionare contemporaneamente le lavorazioni lungo più assi,
devo dunque dotare la machina di più motori così da rendere gli assi indipendenti, ma poi per gestire il
movimento lungo tre assi contemporaneamente mi serve un calcolatore perché non sarebbe semplice per
un operatore , nasce dunque l’ idea di una macchina automatica che possa gestire più assi
contemporaneamente per realizzare superfici complesse

1957 Il controllo numerico è accettato dalle industrie

1958-1960 Inizio della diffusione presso le aziende

1960 DNC - Direct Numerical Control

1970 Il controllo numerico diventa CNC - Computerized Numerical Control

Il Controllo Numerico – DNC e CNC

Negli anni ’60 i calcolatori erano molto più grandi e meno potenti di quelli moderni e dunque si sviluppò un
controllo numerico diretto

DNC – Controllo Numerico Diretto Più macchine utensili controllate direttamente da un computer centrale,
a cui si accede da terminale remoto Il DNC aveva il vantaggio di avere il controllo di tutto il sistema
produttivo e quindi la gestione completa del reparto produttivo. MA: Se il computer centrale si spegne,
tutte le macchine utensili sono inattive!
CNC Il PC di controllo è parte integrante della macchina utensile, tutte le macchine sono automatiche,
quindi un guasto influisce solo sulla singola macchina, ma non c’è più il controllo della produzione. Il
programma può essere preparato altrove. L’operatore può agire sul PC si controllo manualmente per
operare modifiche, creare nuovi programmi, salvare dati La crescita delle prestazioni dei PC ha favorito il
CNC.

Per ritrovare il vantaggio del controllo della produzione che si aveva con il DNC più avanti negli ani si è
passato poi ad un controllo numerico distribuito, che prevede comunque un’autonomia locale alla
macchina

L’idea di base Il controllo numerico è un modo di controllare i movimenti di una macchina inserendo nel
sistema istruzioni codificate in forma di numeri e lettere. Il sistema interpreta i dati e li trasforma in azioni.

Concetti di base

Sulle macchine a CN si verificano movimenti lineari e angolari (traslazioni rettilinee delle tavole e della testa
operatrice, rotazioni di tavole girevoli e della testa). Ciascuno degli spostamenti è controllato da un
trasduttore di posizione, che rileva una quota (lineare o angolare) rispetto a un’origine prestabilita con una
determinata precisione Dal disegno, tramite la programmazione, si fornisce all’unità di governo (UG) un
certo numero di informazioni geometriche e tecnologiche. L’unità di governo le interpreta e trasmette
segnali ai servomeccanismi che comandano I movimenti delle tavole e della testa operatrice I trasduttori di
posizione segnalano all’UG la posizione delle tavole rispetto al punto prefissato. La differenza tra posizione
attuale e posizione stabilita viene elaborata per determinare la cinematica degli assi.

Il Controllo Numerico opera secondo uno schema ad


anello chiuso con retroazione di posizione, velocità e
accelerazione del tutto simile a quello impiegato da un
uomo nell’esecuzione della stessa funzione.

Dunque la macchina operatrice con la sua unità riceve un programma scritto con un codice alpha-numerico
e questi comandi vengono interpretati dall’ unità di governo e mandati alla macchina.

L’ unità di governo riceve le informazioni tramite il programma le interpreta e trasmette i segnali. I motori,
ce ne è uno per ogni asse di movimentazione della macchina utensile, permettono diversi movimenti e su
ogni asse c’è esiste un sensore che fornisce in ogni istante un feedback sulla posizione raggiunta, questi
implementi sono interconnessi, dunque dalla macchina arriva sempre all’ unità di governo un feedback sulla
posizione raggiunta, la quale processa il segnale lo confronta con le istruzioni di movimento e elabora questa
informazione per definire la cinematica degli assi secondo uno schema di controllo che prevede un doppio
anello di retroazione uno sulla velocità e uno sulla posizione
Concetti di base

Configurazione impiegata nei plotter o in macchine utensili a CN di tipo didattico. Il servomotore è di tipo
passo-passo senza retroazione di posizione e velocità

Campi di applicazione

Il Controllo Numerico è l’inizio del Computer Aided Manufacturing (CAM), ossia l’impiego del computer
nella produzione. Alcuni campi di applicazione sono: Fresatura Foratura Alesatura Tornitura Rettificatura
Taglio lamiera Elettroerosione Tranciatura Saldatura Manipolazione Montaggio Misura.

Il Controllo Numerico – Vantaggi e limiti

 Flessibilità della struttura produttiva

 Ripetibilità

 Alta velocità di produzione

 Elevata qualità del prodotto, riduzione scarti

 Riduzione costi diretti di manodopera e attrezzature

 Più operazioni con singolo setup; minore tempo per riposizionamenti

 Operatore meno specializzato di un fresatore o tornitore qualificato

 Lavoro non presidiato, una sola persona può controllare più macchine

 Riduzione aree occupate

 Elevato costo iniziale

 Programmazione richiede tempi e costi (strumenti di programmazione)

 Manutenzione macchine richiede personale specializzato

Giustificazione economica

La decisione relativa all’acquisto e all’uso di MU a CN va inquadrata nel contesto dei programmi di


lavorazione e sviluppo di un’azienda. Il CN è particolarmente indicato per:

 Produzione di particolari in piccoli lotti che si alternano frequentemente

 Per la produzione di geometrie complesse

 Per cicli che richiedono l’utilizzo di numerosi utensili

 Per lavorazioni in cui è prevista l’asportazione di un rilevante volume di materiale

 Dove il pezzo subisce frequenti modifiche

 Per pezzi con tolleranze strette o controlli al 100%

 Dove il costo dello scarto è elevato

La vita utile della macchina dipende dall’ambiente in cui è installata, dall’uso corretto e dall’esecuzione
degli interventi di manutenzione programmata.

Classificazione delle MU

L’applicazione del CN avviene su macchine utensili appositamente realizzate. Si possono avere:


 Macchine monoscopo (fresatrice, tornio, alesatrice)

 Macchine multiscopo o centri di lavorazione, in grado di fresare, alesare, forare, maschiare in un solo
cicli di lavoro, con un solo posizionamento del pezzo e con utensile in rotazione

Si possono inoltre avere:

 Macchine a mandrino orizzontale o verticale

 Macchine dotate di testa operatrice a due posizioni (orizzontale e verticale)

 Macchine con testa operatrice inclinabile con continuità entro una certa angolazione

 Macchine con cambio automatico dell’utensile

 Macchine con tavole girevoli ad asse verticale o orizzontale

 Macchine con controllo su 2, 2 e ½, 3, 4, 5 e pù assi.

Il CN è esteso anche a macchine non destinate alla lavorazione per asportazione di truciolo, oltre a tutta la
robotica.

Denominazione degli assi macchina

La denominazione degli assi macchina è definita nelle norme EIA RS-267-A conformi alla UNI ISO 841.

 Le coordinate dell’utensile nel suo movimento sono denominate x, y e z. L’asse z è l’asse del mandrino, il
verso positivo è quello che allontana il pezzo dall’utensile

 I movimenti controllati di rotazione attorno a x, y e z sono denominati a, b e c rispettivamente


Lezione 18/03/20- PARTE 1

L’applicazione del CN avviene su macchine utensili appositamente realizzate. Si possono avere:

Macchine monoscopo (fresatrice, tornio, alesatrice) che compiono un solo tipo di processo

Macchine multiscopo o centri di lavorazione, in grado di fresare, alesare, forare, maschiare in un solo cicli di
lavoro, con un solo posizionamento del pezzo e con utensile in rotazione. Sono dunque macchine che
possono svolgere diversi tipi di lavorazione, questo aiuta perché si possono compiere più azioni con una sola
macchina, possibilmente con un solo posizionamento del pezzo così da ridurre i tempi morti o improduttivi.
Ad esempio, un tornio che sia in grado di compiere anche azioni di fresatura; in un tornio, il moto di taglio
viene dato al pezzo, mentre in fresatura il moto di taglio viene dato all’ utensile, quindi, se si vogliono
compiere lavorazioni su tornio di fresatura dovrò avere un sistema che può conferire la rotazione all’ utensile,
bisogna, quindi, dotare la macchina di ulteriori accessori per motorizzare gli utensili.

Si possono inoltre avere:

• Macchine a mandrino orizzontale o verticale


• Macchine dotate di testa operatrice a due posizioni (orizzontale e verticale)
• Macchine con testa operatrice inclinabile con continuità entro una certa angolazione
• Macchine con cambio automatico dell’utensile
• Macchine con tavole girevoli ad asse verticale o orizzontale
• Macchine con controllo su 2, 2 e ½, 3, 4, 5 e più assi

Il CN è esteso anche a macchine non destinate alla lavorazione per asportazione di truciolo, oltre a tutta la
robotica

Denominazione degli assi macchina

La denominazione degli assi macchina è definita nelle norme EIA RS-267-A conformi alla UNI ISO 841.7, a
seconda che siano delle traslazioni o delle rotazioni.

Le coordinate dell’utensile nel suo movimento sono denominate x, y e z. L’asse z è l’asse


del mandrino. L’ asse x è l’asse con la corsa più lunga, l’asse y è l’asse con la corsa più
breve, il verso positivo, per tutti e 3 gli assi, è quello che allontana il pezzo dall’utensile

I movimenti controllati di rotazione attorno a x, y e z sono denominati a, b e c


rispettivamente.

Il numero massimo di movimenti (combinazione di rotazione e traslazione è 5).

L’ immagine sulla destra rappresenta una


fresatrice, il mandrino, di cui si vede la parte
esterna, è rappresentato da un cilindro ed ha
asse orizzontale, che è dunque la direzione
dell’asse z.

La macchina è composta da una base su cui c’è


una colonna, che viene detta anche montante,
questa può scorrere sulla macchina rispetto alla
base traslando nel retro del pezzo secondo un
movimento che è parallelo all’ asse del
mandrino, questo movimento è dunque indicato
con z. il verso positivo è quello che va verso il retro della macchina perché allontana il pezzo dall’ utensile.

Altre due possibilità di movimento su questa macchina sono la traslazione verticale del gruppo montato sul
montante che prende il nome di testa operatrice.

C’è poi la tavola su cui è montato il pezzo, tavola portapezzo, questa può traslare rispetto al basamento
secondo una direzione che è perpendicolare alle altre due.

In questa macchina la corsa più lunga è quella della tavola e quindi la sua direzione di traslazione sarà
chiamata x, la direzione di traslazione della testa operatrice sarà, invece, y e sarà positiva quando la testa si
solleva. Per la regola della mano destra la x è positiva, in questa immagine, verso sinistra.

Un numero di assi maggiore di 5, indica che siamo nel campo


della robotica. Una macchina utensile a controllo numerico
può arrivare ad un massimo di 5 assi.

Una macchina a 2 assi è un tornio, il tornio ha due possibilità


di movimenti. La rotazione del mandrino non viene
conteggiata come asse, l’asse è quello che genera il
movimento relativo fra l’utensile ed il pezzo. Nel tornio
l’utensile può, dunque, avere due possibilità di movimento
che sono secondo la direzione dell’asse di rotazione (asse z), oppure secondo la direzione radiale (asse x).
L’asse z è positivo quando allontana l’utensile dal pezzo, l’asse x è radiale ed è positivo nel verso che va dal
centro verso la periferia del pezzo. Eventuali movimenti di interpolazione sul piano zx genereranno delle
forme complesse. La superfice tridimensionale la ottengo perché il profilo generato sul piano xz dall’ utensile
viene impresso per rotazione su tutta a superficie esterna del pezzo.

Le fresatrici di base presentano la possibilità di muoversi secondo tre direzioni di traslazione, ma gli assi
possono essere 2 e ½ o 3? Se è vero che le fresatrici hanno la possibilità di muoversi sugli assi x,y,z non è
detto che il sistema di controllo sia capace di eseguire un controllo, in simultanea, di tutti e tre gli assi della
fresatrice.

Spesso capita che il controllo riesca a controllare in simultanea due assi, mentre il terzo asse non può essere
controllato in simultanea. Una configurazione di macchina in cui solo due assi di movimentazione possono
essere controllati in simultanea viene detta fresatrice a due assi e mezzo. Una configurazione in cui il controllo
riesce è simultaneo su tutti e tre gli assi è detta fresatrice a tre assi.

In termini pratici ciò vuol dire che su una fresatrice a due assi e mezzo spesso si lavora
posizionando un asse e muovendosi lungo gli altri due. Ad esempio, l’asse z viene
portato ad una certa quota e poi l’utensile segue un percorso sull’ asse xy, poi la fresa
scende ad un livello z più basso e si ripete il percorso sull’ asse xy. Con una fresa a 3 assi
si può realizzare, invece un percorso di interpolazione dello spazio.

Sulla macchina fresatrice si possono però aggiungere altre possibilità di movimentazione, dunque aggiungere
il quarto e quinto asse.

Questi assi aggiuntivi sono degli assi di rotazione, che possono essere conferiti o alla testa operatrice per
inclinare l’utensile o al pezzo, ad esempio una tavola girevole. Il quarto asse può servire all’ utensile per
raggiungere delle zone del componente che sarebbero in sottosquadro rispetto all’ utensile posto in verticale.

Una macchina a 5 assi è più complessa, ma ci permette di mantenere l’utensile sempre con un’ inclinazione
costante, ben definita, rispetto alla normale alla superfice lavorata, ciò vuol dire che non cambia il punto di
contatto fra la superfice dell’ utensile ed il pezzo e dunque non varia istante per istante la velocità di taglio
per tutta la lavorazione, dunque abbiamo una lavorazione con una migliore finitura superficiale.
Torniamo ora all’ esempio della fresatrice visto prima, la fresatrice in figura è, in realtà, a 5 assi, infatti, oltre
agli assi x, y, z, la macchina ha 2 assi in rotazione.

C’è la possibilità di montare il pezzo su un autocentrante, essenzialmente un dispositivo montato sulla tavola
porta pezzo, che consente una rotazione discreta o continua, a seconda del tipo di azionamento, del
componente che quindi può essere messo in rotazione secondo un asse parallelo all’ asse x, dunque la
rotazione è indicata con A. Inoltre, la testa operatrice è montata su un sistema che ne consente la rotazione
secondo un asse parallelo all’ asse y, asse B, ciò vuol dire che il mandrino può essere ruotato di 90 gradi.
LEZIONE 18/03/20 - PARTE 2 _STRUTTURA MECCANICA

IL CONTROLLO NUMERICO DELLE MACCHINE UTENSILI- LA STRUTTURA MECCANICA

Nella macchina utensile abbiamo la parte meccanica collegata all’ unità di governo, quindi da una parte c’è il
controllo e dall’ altra c’è la componentistica meccanica, dove c’è la parte della struttura, i motori e i trasduttori.

L’ unità di governo eseguirà il controllo inviando segnali agli azionamenti e ricevendo poi il feedback dai
trasduttori.

Per capire cosa c’è all’ interno della macchina utensile partiamo dall’ analisi di una macchina.

L’ immagine a sinistra è un modulo centro di fresatura, si vede il mandrino,


parte cilindrica, quindi questa è una macchina con asse orizzontale. a
seconda di come la macchina vien configurata ci saranno diverse parti che
possono muoversi. In questo caso la testa operatrice può muoversi in
orizzontale o in verticale e quindi vediamo gli assi x e y.

Andiamo a vederla però più in dettaglio.

Nella parte più bassa, c’è un corpo masivo che prende il nome di
basamento che è la parte di appoggio rispetto alle fondamenta delle
fabbrica, alle quali viene fisato meccanicamnete. Sul basamento ci sono
poi le guide (parti in verde) che mantengono il movimento della parte
mobile allineato secondo una specifica direzione. Sulla parte posteriore
del basamento troviamo il motore (non è detto che si trovi sempre in
questa posizione), in questo caso il motore è rotativo e dunque pone in
movimento un asse ad esso collegato. Ci sarà poi un sistema di
conversione del moto da rotatorio a traslatorio per permettere il movimento
per traslazione di un elemento mobile lungo la direzione delle guide.
Questo si fa con un sistema a vite a ricircolo di sfere, per cui quando il motore ruota pone in rotazione la vite
e, di conseguenza, la madrevite, che chiamiamo chiocciola, vien fatta traslare. La chiocciola sarà collegata all’
elemento mobile che si muoverà secondo la direzione delle guide.

L’ elemento mobile, in questo caso, è una slitta che si muove secondo la direzione delle guide, direzione z.
sulla slitta poi generiamo un movimento perpendicolare all’ assse z , quindi
abbiamo un altro azionamento e delle guide, poste laterament sui due lai
e abbiamo nuvamente il sistema a vite a ricircolo di sfere.

Al di sopra di questa slitta c’è il montante che potrà muoversi secondo gli
assi z e x, sul montante c’è anche possibilità di movimentazione, la parte
su cui verrà montata la testa operatrice può infatti muoversi in direzione
verticale secondo l’asse y, grazie ad un motore che è posto sulla base e
ad un sistema a vite a ricircolo di sfere e, nuovamente, a delle guide.

Il moto di taglio non è conteggiato come asse della macchina.

Ci sono, infine, una serie di guarnizione, di paratie, che coprono le parti più delicate
della macchina, com le guide, le quali devono essere libere da impurezze per
garantire un moto continuo. Anche i motori vengono protetti.
Difronte alla macchina c’è poi il sistema porta pezzo che prevede la possibilità di montare
delle tavole porta pezzo che potranno compiere delle rotazioni rispetto all’ asse verticale,
quindi per cambiare l’orientamento del pezzo rispetto alla fresa. Ci sono due tavole per la
possibilità di lavoare cona sorta di magazziono, cioè abbiamo la possibilità di scambiare ,
una volta che il pezzo è stato lavorato, la postazione di lavoro cos’ si aumenta la produttività.

Quello che noi vediamo della machina utensile, dall’ esterno è un


unico gruppo protetto da una schermatura esterna che impedisce all’
operatore l’ accesso alle zone di lavoro e alla parte elettronica, il cui
accesso è previsto solo per la manutenzione. ci osono però delle
finestre che permettono all’ operatore di vedere cosa sta accadendo
all’ interno.

CARATTERISTICHE DELLA STRUTTURA

La macchina utensile deve avere tre principali caratteristriche

1. Adeguata rigidezza sia statica che dinamica


2. Mantenimento nel tempo della geometria e delle dimensioni
3. Ridotte distorsioni e variazioni dimensionali al variare della temperatura (All’ interno della nostra
macchina utensile ci sono diverse fonti di calore, ad esempio i motori, il processo di taglio stesso
genera calore).

Avere una adeguata rigidezza statica vuol dire avere


deformazione nulla o ridotta sotto carico statico,
rappresentato dal peso dei componenti oppure dalle
forze che vengono generate durante il processo di
taglio. La struttura della macchina utensile può
presentare delle criticità in termine di rigidezza perchè
ci sono diverse parti che sono a svalzo.

Il montante è a svalzo rispetto al basamneto e anche


la testa operatrice può presenatre un baricentro
spostato rispetto alla zona di vincolo, soprattutto se
andiamo a considerare il gruppo dell’utensile, che ha
un peso non irrsorio (circa6kg).

Vediamo come le forze che ho, ad esempio sulla punta


dell’ utensile, vanno a deformare la struttura.

Gli elemeti che generno i maggior scostamenti sono gli ultimi della nostra catena, quindi il gruppo della testa
operatrice con il mandrino e il montante che possono dare dei contributi importanti alla deformazione.

La rigidezza della strutture è data dal rapporto fra il carico e la deformazione, questa deve essere elevata cosi
che la struttura riesca a resistere alle deformazioni che si generano a causa delle forze, cioè la deformazioni
devono essere trascurabili, così da non avere errori durante la lavorazione .

Per garantire alla struttura elevata rigidezza, si opera sulla scelta del materiale e sulla scelta della geometria,la
maggior parte della macchine tradizionali utilizzano un basamento in ghisa, per gli organi mobili si cerca di
utilizzare materiali più leggeri perchè le strutture in ghisa vengono ottenute per fonferia e sono dunque dei
corpi con pareti più spesse e quindi molto pesanti. Tutte le parti mobili devono essere più snelle.

Per il basamento si utilizza la ghisa perchè ha una buona rigidezza e ha un ottimo comportamento in termi di
smorzamento, che interessa per la rigidezza dinamica.

La ghisa,inoltre, è un materiale che, anche pr la sua tecnica di produzione, ha costi abbastanza bassi.

Un’ alternativa alla ghisa è l’acciaio saldato che ha una rigidezza maggiore (ha modulo di Young maggiore) e
può essere utilizzato per realizzare strutture più snelle, più leggere perché viene realizzato saldando fra di loro
diversi elementi (travi, tubolari, profilati).
Ci interessa poi la rigidezza dinamica che riguarda il comportamento della struttura quando viene sollecitata
con forze variabili nel tempo. Quello che ci interessa è avere un smorzamento del sistema elevato e soprattutto
una frequenza prorpia del sistema molto elevata in modo tale da lavorare il più possibile nel campo stabile. La
frequenza che sente la macchina è spesso legata alla velocità del mandrino, dunque avere delle frequenze
proprie elevate vuol dire lavorare in condizoino di stabilità , senza che la macchina vada in risonanza quando
lavora a velocità di taglio elevate.

Il minore smorzamento della ghisa rispetto all’ acciaio può essere compensata con una corretta progettazione
del sistema, in modo da generare delle frequenze proprie diverse sulle varie parti della struttura e quindi
rendere più stabile la macchina stessa. L’ acciaio ha rigidezza superiore e massa inferiore, grazie alla sua
tecnologia di costruzione e dunque ha frequena proprie elevate.

Quali sono le sorgenti di vibrazione? Le forze variabili nel tempo che possono essere:

Forze eccitatrici indipendenti

 Dalle fondazioni, si sentono anche quando la macchina è spenta e si risolve con un


corretto isolamento.
 Da organi interni squilibrati, si sente quando la macchina è messa in azione e si
risolve con un’equi librazione del sistema.
 Dal contatto pezzo utensile, ad esempio dobbiamo lavorare con il tornio un pezzo
squadrato
Forze eccitatrici dipendenti
 Processi rigenerativi o chatter, questo è il caso più critico ed è una vibrazione indotta
dal contatto utensile pezzo, l’utensile può essere schematizzato come un sistema
massa-molla-smorzatore , quindi al primo contatto con il pezzo subisce un urto e
dunque ci sarà una prima oscillazione che poi si smorza, ma se l’ utensile lavora
sempre sulla stessa superfice si genera poi una risonanza, dunque l’oscillazione si
amplifica generando una superfice ondulata ha effetti deleteri sulla precisione e sulla qualità superficiale del
componente.

Per evitare il chatter bisogna fare riferimento al materiale lavorato, alle condizioni di lavorazione, cioè
profondità di passata e velocità di rotazione, e a caratteristiche del sistema macchina(comportmetento elastico
del sistema e rigidezza del sistema). Normalmente si ha a sisposizione il diagramma di stabilita o diagramma
loby che decrive il comportamento di stabilità del sistema, che individua una zona che è stabile ed una di
instabilità. La zona di stabilità ha un limite, al di sotto dei loby, per cui se lavoriamo aprofondità di passaggio
ridotte e qualsiesi velocita di rotazone il sistema è stabile, possimo spingerci verso condizioni più produttive
purchè rimaniamo al di sotto dei lobi. Da questo diagramma si nota che il campo di variabilità per cui il sistema
è stabile aumenta spostandoci veso velocità più alte, mentre si riducono a velocità piu basse. È importante
che il range di stabilità sia il puù ampio possibile , perche può succeere che stando in condzioni di stabilità
variando di poco la velocità si vada a finire nel campo instabile.

Questi diagrammi vengono realizzati dai produttori con delle prove sperimentali e gli utilizzatori li useranno per
capire quali parametri andare a settare in lavorazione.
LEZIONE 4_20/03/20

I particolari costruttivi che differenziano le MU a CN rispetto alle macchine tradizionali sono i seguenti:

• Gruppi a bancale, è quello su cui in molte configurazioni è posizionato il componete da lavorare.


• Gruppi montante, è dove viene montata la testa operatrice
• Teste operatrici
• Mandrini
• Portautensile
• Cambi automatici degli utensili.

Gruppi bancale delle MU a CN

È generalmente composto dai seguenti sottogruppi:

-Tavola d’appoggio per i pezzi da lavorare e dispositivo di traslazione longitudinale


secondo l’asse X
-Slitta inferiore di supporto alla tavola portapezzo e dispositivo di traslazione secondo
l’asse Y o asse Z
-Gruppi di avanzamento dei due assi

Per la tavola e per la slitta sono presenti due microinterruttori di fine corsa con funzione
protettiva: il primo provoca la frenatura elettrica del motore, il secondo provoca
un’emergenza di tipo generale nell’unità di governo

Nella maggior parte delle fresatrici sul basamento sono in movimento relativo due
elementi che sono la slitta e la tavola, questi due elementi traslano uno rispetto all’ altro. Sul basamento
sono rappresentate le guide che rappresentano la direzione di movimento della parte mobile rispetto alla
parte fissa. Nel disegno la direzione è chiamata y, dunque la fresatrice si dice verticale, oltre alle guide ci
sono il motore e la vite a ricircolo di sfere. Al di sopra del basamento ci sarà la slitta che si muove secondo
l’asse y, sulla slitta ci sono poi 2 guide, il motore e un altro sistema a ricircolo di sfere dunque abbiamo
una seconda direzione di movimento, x, perpendicolare alla y, secondo questa direzione si muoverà la
tavola. I movimenti lungo gli assi x e y sono indipendenti, abbiamo due motori che saranno controllati in
simultanea dall’unità di governo così da realizzare ogni possibile interpolazione sul piano x y. Al termine
della corsa dici sono dei fine corsa che hanno solo una funzione protettiva.

Sulla tavola ci sono delle scanalature per fissare il pezzo.

Per ottenere una buona scorrevolezza delle guide ed un’usura ridotta si ricorre a basse pressioni
specifiche (0,1 – 0,25 MPa) accoppiate a ottimi sistemi di lubrificazione, altrimenti la maggior parte potenza
fornita durante l’azionamento sarà utilizzata tutta per vincere la resistenza dovuta all’ attrito.

Le guide

Il comportamento delle guide è fondamentale per un corretto


funzionamento della macchina utensile. Nelle macchine
tradizionali si utilizzano delle guide a strisciamento lubrificate, si
hanno cioè ampie superfici, quella fissa e quella mobile, a contatto
fra queste è posto il lubrificante. Il comportamento di una guida
tradizionale genera un fenomeno di instabilità al moto, noto come
fenomeno di stick-slip che è dovuto al comportamento dinamico
del sistema della guida. Ogni guida può essere considerata come
un sistema massa- molla-smorzatore e quindi ha una risposta al
carico che sente, in questo caso sarà la forza tangente dovuto
all’attrito che a sua volta è dovuto al peso della guida stessa o ad altre forze normali alla guida. In una guida
a strisciamento lubrificata a bassi valori di velocità relative, quindi quando la guida è praticamente ferma,
predomina il coefficiente di attrito statico, cioè di primo distacco. Il meato di liquido è praticamente annullato e
quindi le creste sono in contatto fra loro e quindi per realizzare il movimento devo vincere questa prima azione,
che è molto forte. Man mano che poi inizia il movimento, mi sposto verso valori di velocità relativa più alti,
inizia ad esserci del meato fra le 2 superfici e quindi avrò un attrito misto, influisce sia la rugosità della guida
che la presenza del fluido interposto Ad un certo punto si raggiunge una condizione a regime per cui si è
formato completamente il meato liquido e quindi si entra in un regime che è quello classico dell’ attrito viscoso,
il cui valore è crescente con la velocità relativa. Il problema si ha nel passaggio dalla condizione di attrito
viscoso alla condizione di attrito statico, infatti, l’attrito prima andrà a decrescere per poi crescere, si crea
dunque una condizione di instabilità. Immaginiamo di avere un corpo che sta decelerando, dunque ci stiamo
spostando verso velocità relative nulle l’unità di governo della macchina manda dunque un segnale di
decelerazione, ad un certo punto però vedo un attrito che aumenta quindi il corpo si trova una resistenza che
tende a frenarlo. L’unità di governo però vuole che il corpo deve continuare a muoversi per arrivare ad avere
l’asse a velocità nulla nella posizione desiderata, dunque, l’unica di governo comanda al motore di accelerare,
per vincere la resistenza sull’asse, ma se l’asse accelera il valore di attrito diminuisce quindi la guida avrà uno
scatto in avanti perché l’accelerazione sarà maggiore di quella necessaria, il corpo seguirà questo
comportamento instabile fino ad arrivare alla posizione desiderata.

Nelle fresatrici tradizionali questa instabilità alle basse velocità non è una condizione che desta particolari
problematiche perché sia l’ avvio che l’arresto dell’asse avviene quando l’ utensile non è a contatto con il
pezzo, quindi non ho conseguenze sulla superfice del pezzo in lavorazione.

Su una fresatrice a controllo numerico posso realizzare dei percorsi di interpolazione, quindi muovo
contemporaneamente slitta e tavola per riuscire a realizzare dei percorsi più complicati, capita, quindi, che
l’asse si deve fermare e ripartire nel verso opposto, quindi in quel punto il pezzo avrà una peggiore finitura
superficiale perché ho lavorato in condizioni di instabilità, quindi si usano delle guide diverse per le machine a
controllo numerico.

Dobbiamo dunque trovare delle alternative.

1) Guide a strisciamento con lubrificante solido, cioè si applica sulle strisce


di materiali a basso attrito, fra i materiali uno dei più utilizzati è la Turcite
B. Si prepara l’asse creano un’alterazione superficiale per migliorare poi
l’adesione, viene incollata la striscia di Turcite B e poi spesso si fa una
lavorazione a macchina per garantire la perfetta planarità. Una
caratteristica della Turcite B è che ha un comportamento in attrito che è
crescente nell’ambito delle velocità che si adottano nell’ ambito delle
macchine a controllo numerico e non presenta il tratto decrescente che
genera l’instabilità del moto nel caso di arresto e ripartenza. Con questo
tipo di materiale riduciamo il valore del coefficiente di attrito (è circa 0.02-
0.05, mentre il classico coefficiente è circa 0.2-0.3), abbiamo buona precisione del movimento, costi
abbastanza ridotti, abbiamo però un problema di usura del materiale che dovranno essere cambiate e dunque
richiedono degli interventi di manutenzione.

2) Guide a rotolamento (per ridurre ulteriormente il coefficiente di attrito e,


quindi le perdite) con queste si sostituisce l’attrito volvente con quello
radente. Si interpongono fra la parte fissa e quella mobile delle sfere le quali
rotolano su apposite scanalature ricavate sulle guide e ricircolano all’
interno del pattino. Quieste guide consento il movimento molto fluido,
hanno un’elevata precisione, viene data molta enfasi agli errori. Le
macchine utensili a controlo numerico devono garantire delle precisioni di
lavorazioni sul componente nell’ ordine del centesimo di millimentro, Per riuscire a realizzare questa precisione
sul componente tutto quello che è la catena di componenti della macchina utensile devono avere una
precisione dell’ordine del micron. Queste guide hanno una manutenzione molto ridotta, Vengono utilizzate in
modo da avere una vita utile a lungo termine. Gli elementi in rotolamneto Possono essere sia cilindriche sfere,
la scelta dipende dall’entità dei carichi applicati (se i carichi sono più elevati si utilizzano i rulli). Solo in casi di
carichi molto elevati si usano le quinde con attrito radente (turcite B)
3) Guide idrostatiche, si utilizza dell’ olio in pressione, per mantenere separata la parte fissa da quella mobile.
Sulla parte mobile vengono realizzti dei pozzetti, delle cavità, in cui viene mandato dell’ olio in pressione, che
erecita un’azione di pressione sulla parte superiore del pozzetto e dunque si sviluppa una forza, rivolta verso
l’alto, che è la portanza del sistema, questa bilancia la forza del peso, rivolta verso il basso, o eventuali altre
forze normali che si scaricano tra le guide. Si può dunque regolare la pressione dell’ olio così da mantenere
un meato h fra le due siperfici e bilanciare le forze normali. Fra le varie soluzioni questa è quella che genera
un attrito minore e si autoequilibra in funzione del carico. Se, ad esempio, il carico che agisce sulla parte
mobile aumenta automaticamente se si riduce il valore del meato, a causa del peso superiore, aumenta di
conseguenza la pressione interna dell’ olio, dunque se aumento il carico la portanza del sistema, per cui il
rapporto fra portanza e carico ha una variabilità contenuta

Gruppo montante

il montante è vuoto all’ interno, per ridurre le masse e le inerzie. Il montante serve da
supporto alla testa (3) e ad un eventuale magazzino utensili (in tal caso contiene
anche i cinematismi per il cambio automatico dell’utensile) La testa scorre su guide ed
è corredata di regoli che ne impediscono il ribaltamento. Il contrappeso (1) è costituito
da un pistone idraulico o pneumatico, serve per garantire che il sistema si mantiene
nella sua posizione con qualsiasi condizione esterna, non mi posso affidare solo al
blocco del motore.

Testa operatrice

La testa operatrice è un gruppo meccanico che comprende:

• Mandrino (rosso) che trasmetterà il moto di rotazione e di taglio al gruppo utensile e


portautensile (verde)
• Motore (blu) che trasmette il moto al mandrino
• Cinematismi per la trasmissione del moto dal motore al mandrino.

I mandrini per machine utensili sono di due tipologie:

I mandrini per i TORNI a CN, devono trasmettere il moto di rotazione al pezzo, sono
cavi in modo da permettere la lavorazione da barra

I mandrini per i centri di lavorazione, devono trasmettere il moto al portautensile,


quindi, devono possedere l’alloggiamento conico per il portautensile e il sistema di
bloccaggio dello stesso sul mandrino.

Il mandrino è un elemento molto importante perché è quello che sente i carichi più
elevati, sull’utensile vengono generate le forze di taglio che si scaricano sul mandrino,
il mandrino deve sopportare questi carichi senza deformarsi e senza incorrere in
usura, deve inoltre garantire il mantenimento dell’allineamento dell’utensile per non incorrere in errori durante
la lavorazione. Il mandrino, inoltre, deve poter lavorare ad elevate velocità di rotazione, cioè ad elevate velocità
di taglio. La rotazione non deve avere fenomeni di instabilità.

Per far sì che il mandrino soddisfi tutti questi requisiti si lavora


molto su materiali, progettazione e processo produttivo.

Il canotto è generalmente in acciaio cementato e temprato (C40-


UNI 5332) Il mandrino è in acciaio Ni-Cr cementato e temprato
(18NiCrMo5 – UNI 5331).

Per quanto riguarda il ciclo di lavorazione, oltre alle operazioni di


base si fanno normalizzazione, trattamenti chimici e rettifica.
La normalizzazione è un trattamento termico che serve a ridurre i tensionamenti indotti dal processo di
sgrossatura; quando si fa una lavorazione meccanica le forze radiali generano un tensionamento sulla
superfice del componete che sono critici perché le successive lavorazioni di asportazione possono creare della
deformazione, dunque, prima di altre lavorazioni, si fanno dei trattamenti termici per ridurre lo stato di
tensionamento. Una volta ottenuta la forma finale del pezzo si fanno i trattamenti termochimici, questi però
causano delle deformazioni sui pezzi e dunque successivamente vanno fatte delle operazioni di finitura,
essendo però che il componete è stato sottoposto a cementazione, dunque avrà elevata durezza il
componente è sottoposto a rettifica. La rettifica è un processo che utilizza delle mole abrasive le quali hanno
durezze elevate, che consentono di lavorare il materiale e di ottenere elevate precisioni.

Un processo così articolato fa si che il costo del mandrino sia molto elevato.

Nel mandrino è molto importante anche la progettazione perché


dobbiamo garantire una elevata rigidezza, quindi, ridotte
deformazioni elastiche sulla parte estrema (quella che mi dà
l’allineamento del pezzo o dell’utensile).

Il mandrino è caricato con sollecitazioni che possono essere di


flessione o di torsione.

Bisogna dunque dimensionare il mandrino sia dal punto di vista della


flessione che della torsione (non si devono sapere le formule).

Il mandino si può considerare di base come una trave con due


appoggi che sono i punti dove si trovano i cuscinetti.

È importante che la freccia, cioè la deformazione, della parte estrema


non superi il centesimo di millimetro.

Per quanto riguarda la torsione, il nostro utensile è soggetto a delle


coppie che si trasmettono al mandrino, che sarà soggetto a dei carichi
torsionali. Quello che dobbiamo garantire è che la deformazione
dell’angolo massimo non deve superare un quarto del grado per
metro lineare.
La gestione degli utensili

L’ utensile, per poter essere montato in macchina, deve esse collegato al portautensile.

Il portautensile è l’elemento intermedio tra utensile e mandrino e la sua geometria è


unificata in sede internazionale, in particolare sono unificati il diametro della base, la
conicità e il foro filettato, che si trova sulla parte superiore, che serve per il montaggio
del codolo che è un elemento che serve per l’afferraggio.

Elementi che servono a configurare il portautensile sono:

• il diametro alla base del cono


• La filettatura di attacco del codolo

Il mandrino è costruito con un solo tipo di cono e può ricevere un solo tipo di
portautensile. La filettatura del codolo serve alla progettazione del dispositivo di
afferraggio e ritenuta del portautensile.

Ogni mandrino potrà ospitare una sola tipologia di portautensile secondo la codifica della normativa.

Oltre alla parte normalizzata sul portautensile c’è una doppia flangia, le due flange servono per la presa del
portautensile da parte dei dispositivi automatici per il cambio dell’utensile.

C’è poi l’interfaccia con l’utensile, questa parte non è standardizzata, ma è personalizzata da ogni produttore.

C’è una scanalatura che serve per evitare degli aggravi sul mandrino (in realtà per evitare lo sbilanciamento
del sistema, le scanalature sono due). Queste scanalature servono perché se avviene un blocco brusco della
rotazione dell’utensile, dovuto ad un fattore esterno, questo blocco si trasferirà dall’ utensile al portautensile e
poi al mandrino, questo non deve accadere, cioè il blocco dell’utensile non si deve trasferire al mandrino che
si usurerebbe (se si usura l’utensile non è un problema perché costa meno).

Serve dunque mettersi in sicurezza e rendere l’utensile “parte


debole del sistema” così un urto creerà dei danni a questo e
non al gruppo del mandrino. Per questo motivo interponiamo
alla fine del mandrino (naso del mandrino) un elemento in
risalto e quando andrò a posizionare il portautensile
l’elemento in risalto si andrà a posizionare sulla flangia, in
modo tale che un eventuale arresto della rotazione
dell’utensile non provochi l’arresto del mandrino, ma si
scarichi sull’ elemento debole (che è l’utensile).

Il porta utensile è inserito all’ interno della cavità trococonica del mandrino, una cavità che viene lavorata con
altissima precisione ed il codolo entra in questo foro e viene afferrato da una pinza elastica, tirando l’ alberino
(immagine in basso della slide a dx) tiro il portautensile garantendo il contatto del portautensile con il mandrino,
questo contatto è importantissimo perché il moto è trasferito per attrito. L’alberino è mosso per la fase di rilascio
(apertura) dell’utensile da un sistema pneumatico ad aria compressa, per la fase di ritenuta, non si usa l’aria
compressa perché non sarebbe una soluzione sicura, si utilizza l’azione di spinta di una molla.

L’interfaccia tra l’utensile ed il mandrino della macchina (dunque il portautensile) deve garantire:
• Robusto e uniforme serraggio
• Rigidezza statica e dinamica
• Capacità di trasmettere coppie elevate alle alte velocità, perché è a contatto con il mandrino
• Precisione e ripetibilità di posizionamento (gli utensili vengono cambiati con continuità e devo avere
la stessa precisione su tutti i pezzi che lavoro) altrimenti non si riesce a garantire una qualità uniforme
sulla produzione
• Lunghezza e massa ridotte. Il mandrino ha un carico massimo che può porre in rotazione,
contribuiscono a questo carico massimo è il peso di tutto il gruppo, quindi sia l’utensile che
portautensile. Lunghezze elevate genererebbero minore rigidezza del sistema e quindi maggiori
deformazioni elastiche
• Bilanciamento per non indurre vibrazioni durante la lavorazione
• Standardizzazione per permettere il montaggio su macchine utensili diverse (i produttori delle
macchine utensili non sono anche produttori di utensili)
• Possibilità di sostituzione sia manuale (per permettere operazioni di manutenzione) che automatica
(per aumentare la produttività)
• Elevati limiti di velocità

Il porta utensile che abbiamo visto ha una parte troncoconica


massiva messa all’ interno di un mandrino cavo, mi genera una
instabilità quando comincia a ruotare a velocità molto elevate
poiché inizia a sentirsi l’effetto della forza centrifuga. Per questo
motivo questo tipo di portautensile (porta utensile ISO o SK) ha
un limite di velocità di rotazione che è pari a 8000 rpm, oltre
questa velocità l’effetto delle forze centrifughe comincia ad
essere molto elevato. L’effetto è diverso su un corpo massivo
piuttosto che su un corpo cavo. Un corpo massivo tende ad
essere più stabile come geometria, mentre un corpo cavo tende
ad aumentare un po’ il diametro di apertura (parte rossa
dell’immagine). Ad elevate forze centrifughe abbiamo una certa
apertura delle cavità del mandrino, mentre il porta utensile tende a mantenere la sua geometria. L’effetto è
quello di avere una superfice di contatto fra utensile e portautensile ridotta, poiché il moto si trasmette per
attrito, se si riduce la superfice di contatto si ha una maggiore difficoltà nel trasmettere il moto dal mandrino al
portautensile.

Per riuscire a garantire il contatto sulla parte troncoconica la frangia non deve mai andare in battuta con il
mandrino, dunque è sempre presente un gioco frontale fra la frangia del portautensile e la parte terminale del
mandrino, così da garantire che il contatto si abbia sulla parte troncoconica.

La generazione di un gioco radiale può generare delle instabilità, inoltre, se il distacco fra le pareti diventa
elevato alle grandi velocità, poiché il sistema molla mantiene una forza di trazione sul portautensile, può
accadere che tutto il sistema molla si muova all’ interno del mandrino, spostando il punto di contatto fra
l’utensile ed il pezzo e dunque si generano degli errori in lavorazione, questa tipologia di portautensile è
utilizzato in macchine che hanno una velocità massima di 8000 rpm.

Per macchine ad elevate prestazioni e che lavorano con velocità più alte si
utilizza una configurazione differente. Si passa al sistema HSK (high speed),
l’idea è quella di rendere cavo anche il portautensile.

La geometria del portautensile varia, è più tozzo, l’altezza è inferiore ed il


diametro maggiore, ma la differenza più importante è che è cavo all’ interno,
l’afferraggio avverrà dall’ interno con una pinza ad espansione.
Si annulla il gioco frontale ho così una superfice di riferimento e quindi si garantisce maggiore precisione in
termini longitudinali, cioè secondo l’asse dell’utensile. Inoltre, il sistema di espansione interno genera una forza
(di compressione) radiale che assicura, in qualsiasi condizione il contatto fra il portautensile ed il mandrino.

Se si confronta il porta utensile SK con quello HSK in termini di


deviazione elastica a causa si un momento flettente è evidente che il
portautensile HSK sia più rigido, cioè a parità di carico la deformazione
è molto inferiore.

Chiarito quindi che l’ utensile deve essere montato su un portautensile


prima di poter essere caricato in macchina, vediamo con più attensione l’assemblaggio delle due parti perche
anche questa fase richiede delle misurazioni, dei controlli, per garantire la precisione della lavorazione.

Ci sarà un reparto per il montaggio degli utensili che saranno disponibili all’ interno dei magazzini. La fase di
mantaggio non è ripetitiva, quando l’ utensile entra all’ interno del portautensile non ci sono dei riferimenti che
mi indicano la posizione relativa fra utensile e portautensile, dunque una volta che ho montato il sistema devo
compiere delle operazioni di misurazione, perché è necessario conoscere la lunghezza esposta dell’ utensile
per sapere dove si andrà a trovare il tagliente, poiché è la posizione del tagliente che deve essere controllata.
Quindi gli utensili vengono montati sui porta utensili e poi c’è una fase di misurazone (prest),questi vengono
poi portati in un magazzino e, quando necessari vengono inviati alle macchine utensili. La vita utile di un
utensile è abbastanza limitata,generalmente hanno un tempo utile di taglio sul tagliente di circa 15min , si può
arrivare a 1 ora nel caso di utensili con inserti in ceramica, quindi una volta terminata la vita utile dell’ utensile
questo viene portato, fuori dal reparto produttivo, in un’ area di ricondizionamneto, in cui si può verificare o il
cambio dell’ utensile oppure la rotazione di una placchetta del tagliente, in ogni caso deve essere rifatto il
preset perché la posizione del tagliente deve essere nta al micron (o al centesimo di millimentro).

Presetting significa preregolazione e si fa con apposite apparecchiature. Le operazioni


di presetting di un utensile sono:

1. Verifica della lunghezza L dell’utensile montato sul portautensile, ovvero la


distanza tra la punta dell’utensile e la base del madrino (di riferimento del
portautensile)
2. Verifica del diametro dell’utensile
3. Verifica di tre coordinate, se siamo in tornitura
4. Verifica del posizionamento angolare del tagliente

La verifica di L permette di stabilire la corsa in rapido di avvicinamento al pezzo


Questi dati vengono memorizzati e trasferiti nell’ unità di governo, il presetting si fa quando vien fstto il
montaggio del gruppo utensile e portautensile, poi si va in macchina dove non vengono fatte misurazioni
perche ciò comprometterebbe la produttività. Quando vengono svolte delle operazioni sul gruppo utensile-
portautensile si devono rifare le operazioni di presetting.

Per il presetting si utilizzano diverse apparechiature, nel tempo c’è stata un’ evoluzione
per avare sistemi sempre più precisi e più rapidi. Di base si ha una piattaforma su cui è
presente una cavità conica che ricopia esattamente la cavità all’interno del mandrino;
l’utensile viene montato, ribaltato con la punta verso l’alto, montato in questa cavità
presente sulla piattaforma e poi, con l’utilizzo di sistemi a contatto,ad esempio
comparatori, o con sistemi ottici, si fa la misurazione dell’ utensile.

Una volta che siamo arivati all’interno della macchina utensile, bisogna gestire l’utensile
in macchina, gli utensili verranno caricati all’ inteno di appositi magazzini e poi per muovere l’utensile dal
magazzino al mandrino ci dovrà essere un sistema automatico di scambio. Lo scambio, di base, può essere
di due tipi: scambio diretto oppure scambio con un dispositivo. Tale dispositivo è detto braccio di scambio e
consente di gestire magazzini ad elevata capacità (con un numero elevato di utensili).

Il sistema di gestione all’ interno della macchina, che comprende il magazzino e il meccanismo dello scambio,
determinano poi i tempi improduttici legati al cambio dell’utensile.

Tipologie di magazzino

Essenzialmente esisirono 5 tipi di magazzino (sono scritti in ordine di capacità crescete) :

1. A torretta (numero di utensili 8-12)


2. A disco (30-40)
3. A tamburo (30-40)
4. A catena (60-100)
5. A rastrelliera o a matrice (>100, sono sistemi modulari)

La torretta è essenzialmete un elemento che può ruotare


attorno al proprio asse e contiene gli utensili alle sue estremità.

Lo schema di sinistra è relativo ad una torretta per fresatrice,


quella di destra è relativo ad una torretta per il tornio.

La torretta per il tornio, in questo caso, contiene 12 utensili (le


posizioni sono numerate), gli utensili sono montati sia in
direzzione radiale che in direzione longitudinale, nel tornio gli
utensili per lavorazioni inerne sono longitudinai, quelli per
lavorazioni estrerne sono radiali.

Per la torretta per il tornio l’utensile deve essere portato nella posizione adatta per far avvenire la lavorazione,
mentre per la fresatrice c’è una complicazione in più in quanto l’ utensile deve essere posto in rotazione e
quindi collegato al mandrino. Per la fresatrice abbiamo una torretta che è inclinata rispetto alla verticale e gli
utensili sono posti radialmente, l’utensile che si trova nella parte più bassa ha asse verticale, dietro la torretta
c’è il mandrino. Per rilasciare l’ utensile il mandrino si solleva e rilascia l’ utensile nel magazzino, il magazziono
compie poi una rotazione, porta il nuovo utensie nella posizione di lavoro, il mandrino scende aggancia
l’utensile e si pone in rotazione.

https://youtu.be/x-l2lmJhifM (torretta per tornio)

Poiché la torretta si muove assieme al’’ utensile ci possono esere delle problematiche relative agli ingombri,
dunque tutto il sistema deve essere studiato in modo che non ci sia alcun tipo di interferenza.

https://youtu.be/XJ6zKIj-U90 (torretta per fresatrice)

Anche in questo caso gli utensili rimangono in un gruppo unico, magazziono + mandrino, e ciò limita le
movimentazioni a disposizione.
Sia il magazzino a disco che quello radiale sono, essenzilmente, dei grossi dischi in cui gli utensili vengono
collocati sulla periferia. La differenza fra i due dischi è dovuto al dipo di sfilamento degli utensili dal
magazziono, per il magazzino a tamburo abbiamo uno sfilamento assiale, per il magazziono a disco abbiamo
uno sfilamento radiale. Nel magazziono a disco la patre troncoconica è visibile e accessibile dall’ estrno,
mentre, per il magazziono a tamburo, la parte tronconica non è né visibile né accessibile dall’ estreno.

In realtà ci sono molte soluzioni ibride, si trovano molti casi in cui


l’utensile è montato in uno slot, dunque la parte troncoconica non è
visibile, ma poi per effettuare il cambio dell’utensile la sede che
contiene il porta utensile è ruotata di 90֯ e quindi lo sfilamento
avviene in direzione radiale, rispetto al magazzino.

https://youtu.be/uvjpBL8pDNI (soluzione ibrida)

https://youtu.be/X4kU8qSvYWk

Un magazzino a disco o a tamburo può lavorare con un massimo di 40 Utensili, questo perché al crescere del
numero di utensili aumenta il volume del disco, cioè gli ingombri e dunque i movimenti e le velocità possibili
sono ridotti. Per poter avere un maggior numero di utensili si passa alle catene in cui ogni anello della catena
è sede di un gruppo utensile-portautensile, la catena verrà movimentata e dunque ci sarà un tamburo motore
e un tamburo condotto e poi si possono avere degli elementi interposti per avere percorsi particolari della
carena. Il magazzino avrà dimensioni elevate e dunque verrà portato al di fuori della macchina utensile.

https://youtu.be/8mniIYcWr-w (Magazzino a catena)


Il magazzino a matrice è quello più flessibile, è composto da delle
lastre, ci possono essere anche più lastre poste parallelamente,
che presentano dei fori in cui vengono caricati gli utensili tramite
un braccio meccanizzato. Le lastre con gli utensili si trovano nella
parte retrostante alla macchina e sono presenti dei sistemi di
trasferimento del sistema utensile-porta utensile in prossimità del
mandrino, dunque si complica il sistema di movimntazione del
gruppo utensile-portautensile.

https://youtu.be/GJjJdibl5Fc (Magazzino a catena)


A parte il magazzino a torretta, tutti i magazzini sono solo per fresatrici.
Lezione 5 – 25/03/2020

https://youtu.be/Z1TNk1kibp4 (video riassuntivo magazzini bordo macchina)

Quando il magazzino diventa di grandi dimensioni diventa complicato gestire il cambio dell’utensile e quindi il
magazzino si allontana dal mandrino.

TIPOLOGIE DI MECCANISMO DI SCAMBIO

Il sistema di cambio utensile dipende da due fattori:

1. Posizione dell’utensile relativa all’asse del mandrino. Definisce le coordinate dell’asse del mandrino,
in posizione di cambio utensile, rispetto all’asse dell’utensile nel magazzino.
Cioè l’utensile si può trovare nel magazzino con un asse che è già parallelo all’ asse del mandrino,
quindi con un asse già corretto, oppure con un asse in posizione diversa, in questo caso bisogna far
compire una rotazione all’utensile per portare il suo asse in direzione parallela a quella del mandrino.
L’ asse dell’utensile può essere coassiale a quello del mandrino oppure può essere parallelo, ma
trovarsi in un diverso punto x y z.
I possibili gradi di libertà sono 4: X, Y, Z e una rotazione.

2. Allocazione dell’utensile, cioè come l’utensile è posizionato all’interno del magazzino. I sistemi di
selezione dell’utensile, a seconda della capacità del magazzino e della flessibilità della macchina,
possono essere:
i) Sequenziale, cioè secondo l’ordine con cui sono utilizzati nel ciclo di lavorazione. Questa
disposizione è conveniente quando il magazzino è piccolo e la macchina è poco flessibile e
compie lavorazioni con un ciclo che varia poco. (es fresatrice con magazzino a torretta)
ii) A stazione codificata, cioè si assegna ad ogni posizione un tipo di utensile (es. posizione 1 →
utensile per pianatura, posizione 2 →...). questo sistema va bene quando si aumenta la flessibilità
della macchina, quando si lavora a lotti (es. magazzino a tamburi o a catene)
iii) Con utensile programmato. L’utensile non ha un ha una posizione fissa nel magazzino, ma viene
caricato nella posizione libera più prossima alla posizione di cambio utensile del magazzino.
Bisogna tener traccia, di volta in volta, della posizione dell’utensile per far ciò nell’unità di governo
si compila una tabella di corrispondenza tra utensile e posizione assunta in magazzino, queste
tabelle devono essere sempre aggiornate, per agevolare il lavoro di aggiornamento si mettono dei
cip sui portautensile e si inseriscono nella macchina dei dispositivi per la lettura e scrittura su
queste memorie, in modo tale da continuare ad aggiornare i dati presenti sull’ utensile per poi
trasferire in modo automatico queste informazioni all’unità di governo. In questo modo l’unità di
governo riesce sempre a conoscere esattamente la posizione degli utensili nel magazzino.
Questa soluzione ha anche un vantaggio dal punto di vista della produttività perché alla fine
accade che gli utensili più utilizzati diventano quelli più prossimi alla posizione di lavoro.

lo scambio automatico dell’utensile può essere o diretto, cioè non ci sono dispositivi ausiliare, ma direttamente,
con movimenti relativi del magazzino e del mandrino, avviene il cambio dell’utensile.

L’ altra opzione è quella dello scambio con un braccio di scambio.


Non tutte e due le opzioni si possono utilizzare con tutte le tipologie di magazzino; lo scambio diretto avviene
per il magazzino a torretta e per il magazzino a disco, in alcuni casi sui magazzini a catena. Per i magazzini
che hanno una capacità più elevata, e nella maggior parte dei casi si trovano lontani dal mandrino, si richiede
l’utilizzo del braccio di scambio.

Si possono avere per entrambe le opzioni diverse soluzioni.

Lo scambio diretto può essere con asse coassiale


(torretta) oppure con asse parallelo.

Con lo scambio diretto lo scambio si ottiene tramite


movimenti relativi tra magazzino e mandrino .

Lo schema a destra dell’ immagine è una fresatrice ad


asse orizzontale; è orizzontale perché l’ asse del
mandrino è disposto orizzontalmente, c’è poi un
magazzino a disco, si vedono le sedi per il
posizionamento degli utensili, si vede che l’ utensile è
libero e la parte troncoconica del portautensile è
accessibile, l’ asse dell utensile è parallelo all’ asse del
mandrino. In basso c’è una tavola rotante, quindi la macchina è a 4 assi( di questo ne parleremo più avanti).

Per lo scambio dell’utensile esiste una posizione ben definita all’ interno del volume di lavoro, il magazzino
può ruotare attorno al proprio asse e poi abbiamo la possibilità di muovere il mandrino secondo gli assi x y z,
la rotazione del magazzino non rappresenta un asse della macchina , per effettuare lo scambio il magazzino
compie una rotazione in modo da presentare una sede libera in cui verrà caricato il vecchio utensile, il
mandrino a sua volta si porta in prossimità del magazzino, cioè nella posizione del cambio dell’ utensile
(posizione ben definita nello spazio) a questo punto il magazzino o il mandrino compiono un movimento
radiale, di solito è il mandrino che si muove radialmente perché è più leggero. Il mandrino muovendosi
radialmente inserisce l’utensile usato precedentemente nella sede del magazzino vuota, poi si attiva il
meccanismo di sblocco dell’utensile e poi il mandrino si allontana. Il magazzino ruota in modo da portare
l’utensile al di sotto dell’asse del mandrino la sua rotazione può avvenire sia in senso orario che antiorario
(dipende da quale moto rendere l’operazione più veloce), e poi il mandrino rifarà il percorso di prima al contrario
in modo da agganciare il portautensile. Nel tempo necessario per il cambio utensile gioca molto la dimensione
del disco, poiché la sua dimensione è quella che influisce maggiormente sul tempo necessario per il cambio
dell’utensile. In questo caso è preferibile avere una disposizione sequenziale degli utensili in modo da ridurre
i tempi di cambio dell’utensile. Se è richiesta una maggiore flessibilità i invece che una maggiore produttività
si passerà ad una locazione a stazione codificata.

https://youtu.be/BVpjY3qv3UY
Il braccio di scambio è essenzialmente una staffa con due ganci
all’estremità, esso possiede due possibilità di movimento: una
rotazione attorno al suo asse e una traslazione allineata
secondo l’asse di rotazione. L’ interasse del braccio è pari alla
distanza che deve esserci tra la posizione dell’utensile nel
magazzino e la posizione dell’utensile nel mandrino.

In condizioni di riposo il braccio di scambio si trova a 90֯ rispetto


alla retta congiungente il magazzino ed il mandrino, quando poi
si deve effettuare un cambio il braccio ruota di 90֯ ed afferra
contemporaneamente sia l’ utensile nel mandrino che quello
nel magazzino, poi c’è una traslazione che serve ad estrarre i
due utensili dal magazzino e dal mandrino. Una volta traslato il
terzo movimento è quello di compiere una rotazione di 180֯ in modo da scambiare i due utensili, poi c’è la
traslazione per inserire gli utensili nel magazzino e nel mandrino, infine ruota di 90֯ per ritornare nella sua
posizione di riposo.

https://youtu.be/dooUNngWezs
Quando l’asse dell’utensile non è parallelo all’asse del mandrino una possibilità è quello di utilizzare del
magazzino ibrido e dunque far avvenire la rotazione dell’utensile nel magazzino.

https://youtu.be/nnT88Gn3x5U
Se l’utensile non ha il sistema di rotazione e quindi ci troviamo con l’ asse dell’
utensile che s trova a 90 rispetto all’ asse del mandrino una possibilità per
realizzare lo scambio è utilizzare un braccio di scambio a 45, quindi l’ asse di
rotazione del braccio di scambio è a 45 rispetto all’ asse del mandrino, una
rotazione attorno all’ asse cosi posizionato permette di scambiare gli utensili e
ruotare l’ asse del’ utensile di 90.

Quando la posizione dell’magazzino inizia ad essere distante dal mandrino si ha la


possibilità di usare dei sistemi di trasporto, si movimenta o il braccio di scambio il
quale seguirà un percorso predefinito stabilito da delle guide che si trovano sul
montante, un ‘altra possibilità è quella di usare delle celle di sostegno degli utensili
che si possono muovere secondo percorsi predefiniti. Il sistema inizia a prepararsi
allo scambio (ad esempio il nuovo utensile inizia ad avvicinarsi al braccio di
scambio) mentre la macchina è ancora in funzione, ma il tempo di cambio utensile
che si considera è solo quello che trascorre da quando la macchina si arresta con l’utensile precedente a
quando può ripartire con l’utensile successivo, gli altri tempi sono detti tempi mascherati.

https://youtu.be/BPX3Qd16VrA
Nelle macchine ad alta automazione si cerca di
ridurre i tempi di cambio dell’utensile a 1-2
secondi.

Consideriamo di avere due macchine CNC che


hanno diverse caratteristiche, CNC1 ha velocità di
rotazione di 7000 rpm e CNC2 di 30000 rpm
(vediamo le atre proprietà sulla tabella). Per
entrambe le macchine il cambio dell’utensile è di
5.80 secondi, vediamo come questo tempo va ad
influire su due macchine che hanno caratteristiche
di lavorazione cosi differenti. Supponiamo che le
macchine devono compiere la stessa lavorazione,
dobbiamo fare 4 fori su una macchina e li realizzo
in sequenza con una punta che si sposterà sulla
piastra.

Consideriamo di partire dalla condizione in cui abbiamo l’utensile pronto per realizzare il primo foro, il tempo
per la realizzazione del foro dipende da l (profondità del foro più una lunghezza che serve alla fuoriuscita del
pezzo) e dalla velocità di avanzamento v a = a N, N è la velocità del mandrino e a è l’avanzamento che è una
variabile su cui non posso agire molto in foratura perché, per evitare il tallonamento in foratura, deve essere
una percentuale del diametro della punta, a=0.05 (uguale per entrambe le macchine). Nel tempo di calcolo
moltiplico per 2 perché considero si la discesa che la risalita, Faccio la salita con la stessa velocità della
discesa per evitare di rovinare il foro realizzato. I tempi improduttivi (tempi di accostamento) li calcolo invece
tenendo conto della velocità di rapido. Per le 2 macchine avrò dunque tempi di esecuzione del foro e di
accostamento diversi fra, mentre i tempi di cambio utensile saranno uguali. Rapportiamo i tempi di cambio
utensili alla somma dei tempi di esecuzione del foro e di accostamento, in modo da vedere che percentuale
rappresenta il tempo di cambio utensile. Nella macchina CNC1 abbiamo una percentuale accettabile, nella
macchina CNC2 Il tempio improduttivo di cambio utensile è quasi il 70 %, questo non è accettabile, si dovrà
dunque lavorare sul tempo di cambio utensile per ridurre questa percentuale.
Nelle macchine c’è un automatismo che permette di effettuare lo scambio automatico del pallet, cioè del pezzo
montato già su un pallet di riferimento; esistono 2 possibili soluzioni: lo shuttle e la tavola rotante.

La tavola rotante è una parte integrante, quindi integrata nella CNC, nell’immagine a destra la tavolo è la parte
in verde, essa vista dall’ alto è un disco che ha la possibilità di ruotare attorno al suo asse, che è verticale.
Dall’immagine non si vede la carenatura della macchina che divide il disco di lavoro in due parti, una parte è
nel volume di lavoro della macchina, l’altra parte è posta all’esterno. Quindi abbiamo una parte dove si troverà
il pezzo in lavorazione ed un’altra parte accessibile in cui l’operatore potrà andare ad inserire un pezzo grezzo,
quindi il montaggio del nuovo grezzo è fatto in modo manuale, quello che è automatico è la rotazione della
tavola.

Lo shuttle è un sistema più flessibile, ma più complesso dal punto di vista della configurazione e della gestione.
Lo shuttle non è un sistema integrato nella macchina CNC, ma è un dispositivo esterno. La macchina in alto
a sinistra è una fresatrice ad asse orizzontale, sul basso c’è la tavola che è movimetabile e può essere
trasferita sullo shuttle che si trova sulla sinistra e possiede una possibilità di rotazione e di traslazione. Il pallet
precedente con movimenti dello shuttle o della macchina viene trasferito sullo shuttle il quale ruoterà di 180֯ e
così da posizionare il nuovo pallet sulla macchina. Il fatto che lo shuttle sia indipendente dalla macchina rende
il sistema più flessibile perché posso pensare di utilizzare lo shuttle come meccanismo di movimentazione del
pallet da una postazione ad un’altra.

• Automatic pallet change shuttle - https://youtu.be/ERgBne50lgc


• Pallet change rotary table - https://youtu.be/qots_2j_8gk
Lezione 6 – 27/03/2020
Il controllo numerico delle macchine utensili- Azionamenti

Per azionamento si intende un sistema atto a realizzare un movimento lineare o rotativo. L’azionamento
comprende sia il motore (attuatore) che il suo sistema di comando e controllo.

I motori per l’azionamento per traslazione degli assi lineari sono quasi tutti rotativi, serve quindi la vite a ricircolo
di sfere per trasformare il moto da rotativo a traslatorio.

Il mandrino deve rispondere ad esigenze di elevate


velocità di rotazione, così da avere velocità di taglio più
elevate e dunque avere una macchina con più altra
produttività, inoltre, deve resistere a coppie elevate.

Il prodotto velocità di rotazione coppia è la potenza,


dunque i motori che devono azionare il mandrino devono
essere ad elevata potenza.

Le proprietà di elevata coppia ed elevata velocità di


rotazione sono antitetiche, per cui si possono realizzare
delle configurazioni di alta potenza, ma questo limita la
massima velocità, oppure si possono realizzare dei
collegamenti più diretti, così da avere una velocità più elevata, ma questo sacrifica la coppia.

In generale si possono avere tre configurazioni:

1. Motore non in asse con il mandrino, il moto di rotazione si trasmette attraverso dei cinematismi. Questa
configurazione ci permette di avere elevate potenze, ma la velocità trasmessa al mandrino è limitata
dai cinemtismi, questa cofigurazione va bene per un mandrino con velocità di rotazione inferiore a
10000 rpm. Il motore può avere elevate dimensioni e deve essere di elevata potenza
2. Motore in asse con il mandrino, il collegamento avviene con un giunto. I motori devono essere meno
ingombranti e gli assi del mandrino e del motore devono essere perfettamente allineati, un eventuale
disassamento potrebbe generare delle vibbrazioni che potrebbero portare alla rottura dei componenti,
per evitare ciò si studia il sistema in modo che il giunto sia la parte debole che, eventualmete, si va a
spezzare.
3. Integrazione motore e mandrino (elettromandrino), è la configurazione che permette di raggiungere le
velocità più alte. La parte di azionamento ed il mandrino sono un unico componente molto compatto,
permette di raggiungere velocità di rotazione anche superiori a 50.000 rpm. A causa delle alte velocità
questo ipo di configurazione da problemi di riscaldamento e dunque richie sistemi di raffreddamento.
Essendo le velocità molto elevate per permettere il moto relativo non si possono utilizzare i classici
cuscinetti, ma si devono utilizzare sistemi alternativi come, ad esempio, cuscinetti ad aria.

Caratteristiche:

• elevata rigidezza statica torsionale


• Compattezza
• Potenza elevata
• Elevata rigidezza dinamica e smorzamento
• Alta capacità di carico
• Elevata resistenza all’usura
• Ampio range di velocità
Fino al 2000, normalmente si utilizzavano motori a corrente continua. Negli anni 2000, il miglioramento
della qualità e affidabilità dell’elettronica di potenza (microprocessori e inverter) ha perfezionato i sistemi
di controllo dei motori a corrente alternata, che sono diventati competitivi rispetto ai motori DC

I motori DC hanno delle curve di regolazione in coppia e potenza che presentano un tratto a coppia costante
e un tratto a potenza a seconda che andiamo a lavorare sulla tensione di alimentazione o sul circuito di
alimentazione; normalmente hanno velocità non molto elevate ed il tratto a potenza costante è abbastanza
ridotto.

Per il funzionamento del mandrino ci interessa estendere il


campo a potenza costante; per farlo il trasferimento del
moto avviene con dei treni di ingranaggi, in questo modo si
possono cambiare i rapporti di trasmissione (cioè
realizzare dei cambi) così da lavorare con una ridotta che
presenta un rapporto di trasmissione 1/k. Il mandrino vede
dunque una velocità pari ad 1/k della velocità del motore,
questo ci permette di realizzare un tratto coppia costante/
potenza costante in proporzione 1/k, una volta che si
raggiunge la velocità massima si cambia marcia, si passa
ad un rapporto di trasmissione 1/1 , il motore deve immediatamente decelerare per portarsi alla velocita del
mandrino, che è 1/k della velocità massima, e poi si riprende con la regolazione del motore , aumentando la
velocità e lavorando a potenza costante.

Nel tempo, grazie allo sviluppo dei motori a corrente alternata, nelle macchine a controllo automatico l’utilizzo
dei motori a corrente continua si è quasi annullato.

I primi motori a corrente alternata non avevano le prestazioni


adatte per l’utilizzo nelle macchine a controllo numerico perché
erano motori con velocità di rotazione fissa, tale velocità di
rotazione dipendeva dalla frequenza di rete.

Quello che si può fare per variare le velocità al mandrino è


interporre dei cambi con dei rapporti di trasmissione, la
regolazione è però di tipo discreto, posso variare la velocità
solo in pase ai miei rapporti di trasmissione.

Questo metodo non è adeguato al mandrino di una macchina


utensile a controllo numerico, ad esempio non possiamo fare
lavorazioni a velocità di taglio costante, pensiamo di dover fare
una lavorazione di tornitura la velocità di taglio sarà proporzionale a D (diametro del pezzo) e a N (velocità di
rotazione), durante la lavorazione D diminuisce, per avere velocità di taglio costante anche N dovrebbe variare
in funzione del diametro, ma ciò non è possibile con questo tipo di motore.
Grazie all’ introduzione dell’inverter c’è stata l’evoluzione sui
motori a corrente alternata. L’inverter è un dispositivo che
prende la corrente di rete, che è a frequenza costante, fa
passare questa corrente in un sistema raddrizzatore che
trasforma la corrente alternata in corrente continua e poi la fa
passare in un sistema di modulazione per cui la corrente
continua raddrizzata viene nuovamente trasformata in una a
frequenza alternata, ma con una frequenza che può essere
variata con continuità, in questo modo si può modulare la
velocità di taglio. Questi motori permettono di arrivare a
velocità di rotazione più elevate dei motori a corrente
continua.

La curva caratteristica, anche se il funzionamento è diverso, è molto simile a quella dei motori a corrente
continua.

La soluzione più performante la si ha quando si va ad


integrare un motore a corrente alternata con inverter con un
mandrino ottenendo gli elettromandrini. Le curve
caratteristiche degli elettromandrino, come per i motori con
inverter separati dal mandrino, presenatno delle curva coppia-
potenza, con un tratto a coppia costante ed un tratto a potenza
costante, in questo caso le curve sono multiple. La sigla
inizale corrisponde a diverse modalità di funzionamento.

Con le lavorazioni meccaniche lavoriamo con un servizio che


possiamo definire periodico, a seconda del tipo di
intermittenza definimo il tipo di servizio, nel grafico è
rappresenato il servizio S6, ma ce ne possono essere anche
degli altri.
Un punto di funzionamento che non è ammissibile con un
servizio continuativo può diventarlo nel caso di un servizio
interrotto, infatti si vede che la coppia e la potenza aumentano
da S1 a S6. Bisogna vedere le curve in funzione dei carichi
che andiamo ad applicare.
Una soluzione di mandrino non integrato, ma collegato in asse
con il mandrino è quello che utilizza un motore brushless AC.
I motori brushless sono particolarmente compatti e quindi si possono montare sulla macchina, a parità
d’ingombro, motori sostanzialmente di maggiore potenza.
IL MOTO DEGLI ASSI LINEARI

Nelle macchine utensili a CNC la traslazione degli assi avviene, di norma, per mezzo di due elementi: il
servomotore rotativo e la vite a ricircolo di sfere. Il servomotore rappresenta il muscolo dell’asse della macchina
così come il trasduttore ne è l’occhio. In alternativa, oggi, s’impiega il motore lineare, direttamente agente sulla
tavola.
Caratteristiche generali:
• L’azionamento di ciascun asse deve essere controllato separatamente dagli altri, così da poter
realizzare geometrie più complesse (figure di interpolazione)
• Variazioni di velocità progressive anche a bassi regimi di rotazione
• Velocità di rapido comprese tra 10 e 15 m/sec
• Coppia nominale compresa tra 5 e 100 Nm (non sono elevatissime, è importante che sia il più costante
possibile)
• Correnti di spunto o frenatura sino a 10 volte la corrente nominale
• Costante di tempo compresa tra 5 e 50 msec
• Compatti

Il servomotore in corrente continua (primi motori utilizzati)


Sono motori a magneti permanenti (flusso costante). La mancanza dei circuiti di
eccitazione statorici consente incrementi di rendimento fino al 10%. A pari
potenza si hanno motori più leggeri. Possono essere:

• Ad alta inerzia per movimenti precisi e controllo rigoroso della


posizione
• A bassa inerzia per applicazioni che richiedono un’elevata potenza

Questi motori hanno il magnete permanente posto sullo statore, mentre gli avvolgimenti sono sula parte del
rotore, questo vuol dire che devo alimentare gli avvolgimenti che sono ruotanti, per trasferire la corrente si
utilizza un collettore con delle spazzole, questo genera un fenomeno di usura, quindi questi motori richiedono
manutenzione frequente per sostituire le spazzole così da evitare la formazione di archi elettrici. La soluzione
a questo problema si è avuta con il Servomotore brushless.

Servomotore brushless

Sono motori privi di spazzole e collettore e quindi di contatti striscianti. I magneti sono sul rotore mentre la
parte avvolta è quella statorica. Il problema con questo tipo di azionamento lo si ha nel controllo; alimentando
i circuiti di statore con una corrente continua, per l’effetto del campo magnetico si generano delle forze che
permetteranno la rotazione del rotore, ma ciò causerà anche la rotazione del campo magnetico, sud e nord si
invertono, questà rotazione a sua volta farà sì che la forza ruoti e quindi il motore ruoterà nel senso opposto.
Per evitare ciò bisogno misurare la rotazione del rotore e alimentare gli avvolgimenti in modo successivo così
da seguire la rotazione del campo magnetico. Per comandare la commutazione si usano dei sensori a effetto
Hall, che sentono il campo magnetico generato dal rotore e quindi la sua posizione relativa allo statore.

Il materiale con cui sono realizzati questi sensori è costoso, ma in questi motori è utilizzato in piccole quantità
e dunque i motori risultano abbastanza economici ed hanno un elevata velocità e ridottissima manutenzione.

Dal motore col collettore a quello senza collettore la massa è ridotta, ciò vuol dire minori inerzie e quindi
maggiori accelerazioni, anche gli ingombri risultano ridotti. La coppia nominale invece è diminuita dal motore
col collettore a quello senza collettore, ma la coppia si mantiene più costante al variare del numero di giri

Con il motore brushless a corrente continua si hanno alcuni problemi quando si commuta l’alimentazione da
un avvolgimento a quello successivo, la coppia si mantiene in generale costante, ma nel momento di
commutazione ci possono essere delle oscillazioni (ripple) che nella maggior parte delle applicazioni non
costituisce un problema, ma quando è richiesto un funzionamento più continuo si passa ad un motore
brushless a corrente alternata.

La sua alimentazione è una corrente alternata opportunamente sfasata (120°) sui tre avvolgimenti. Il brushless
in AC si comporta come un motore sincrono e fornisce una caratteristica di coppia praticamente priva di ripple
(discontinuità). In questo caso il monitoraggio della posizione del motore diventa critico, bisogna utilizzare dei
sensori più costosi detti encoder.

Il motore passo-passo

I motori passo-passo sono motori molto affidabili, ma vengono utilizzati in macchine che lavorano con carichi
non elevati.

I motori passo-passo sono motori sincroni la cui velocità di rotazione è regolata variando la frequenza degli
impulsi di comando.
• La coppia fornita decresce in modo sensibile con la velocità (100% per pochi passi alla volta, 60% per
1000 passi/sec, 25% per 4000 passi/sec.) (se si lavora ad alte velocità la coppia è bassa)
• Il tempo del singolo passo varia da 0,002 sec a 0,006 sec dai motori molto piccoli a quelli più grandi
• Con carico nullo possono raggiungere 20000 passi/sec
• Se il motore è fermo e se viene mantenuta la corrente negli avvolgimenti nasce una coppia di ritenuta
elevata, prossima o superiore a quella nominale
• Le accelerazioni a vuoto raggiungono da 200 a 1000 giri/sec2
• L’errore di posizionamento è al massimo ±3% nell’ambito del passo e non è un errore cumulativo

Un vantaggio di questi motori è il sistema di pilotaggio, si utilizza un treno di impulsi, si utilizzano dei circuiti
che generano impulsi di corrente con una certa frequenza, il motore ogni volta che sente un impulso compie
una rotazione predefinita, si lavora sulla frequenza degli impulsi per regolare la velocità di regolazione.

I motori elencati fino ad ora sono tutti rotativi, quindi il moto deve essere trasformato da rotativo a lineare, per
fare ciò si utilizzano le viti a ricircolo di sfere, che è un’evoluzione del sistema vite-madre-vite delle macchine
tradizionali.

Con le vite a ricircolo di sfere si sostituisce l’attrito radente con quello volvente interponendo delle sfere fra la
vite e la madrevite, la madrevite è detta chiocciola.
Le viti a ricircolo di sfere sono impiegate per l’elevato rendimento (superiore a 0.9 con inclinazione dell’elica
compresa tra 6-10 gradi).
Minimizzano il gioco esistente con la madrevite, così da evitare i movimenti non controllati.
Evitano il fenomeno dello stick-slip con conseguente assenza di attrito statico all’avviamento e di marcia
irregolare nei movimenti rettilinei lenti
Le viti sono temprate con sedi rettificate di elevata precisione.

Le viti sono costituite da un albero centrale che presenta le piste e


da una chiocciola, interposte fra questi due elementi ci sono le sfere,
le quali devono ricircolare sulla lunghezza della chiocciola e non su
tutta la vite; le sfere scorrono sulle piste, ma devono poi ricircolare
per essere riportate al punto iniziale.

Possiamo avere due modi di ricircolo delle sfere: ricircolo interno e


ricircolo esterno.

Con il ricircolo esterno le sfere seguono un percorso con piste ad


elica sulla vite e poi tramite un canale che si trova sulla chiocciola
vengono riportate indietro.

Con il ricircolo interno abbiamo che le piste sono parallele, le sfere non possono seguire la lunghezza della
vite, per cui al termine di un giro c’è una scanalatura che le porta sulla pista successiva.

Con le viti a ricircolo di sfere si riesce ad aumentare molto il rendimento


del nostro sistema, si arriva a valori superiori al 90%

Nell’ immagine in basso a destra è rappresentata la


configurazione geometrica della vite e madrevite con
l’interposizione della sfera al centro, il raggio delle piste non
è pari al raggio della spera, perché per ridurre gli attriti
dobbiamo avere un contatto puntuale; i punti di contatto
sono due e si avrà un gioco che è inevitabile.
Per ridurre il gioco si può eseguire il profilo della guida non con un arco di circonferenza, ma con un arco
gotico (come a sinistra) cosi si hanno 4 punti di contatto, e si riduce il gioco, il problema di questa soluzione
è di tipo realizzativo, queste sedi devono essere temprate e rettificate con lavorazioni ad alta precisone, su
questo profilo sono molto complesse da realizzare. Normalmente quindi si usa la soluzione a destra.

Per evitare di avere dei movimenti incontrollati quando si cambia il verso di movimentazione si realizza un
precarico, così da forzare i punti di contatto fra le sfere.

Il precarico determina una riduzione della deformazione elastica delle sfere, incrementa la produzione e
migliora la dinamica dell’elemento Il precarico vale usualmente 1/3 del carico medio di lavoro: valori minimi
riducono la rigidezza, valori troppo elevati aumentano l’attrito.

Il precarico può essere a compressione o a trazione, si divide la chioccia in 2 parti che vengono avvicinate o
allontanate a seconda del tipo di precarico che vogliamo avere.

Nel caso di precarico a compressione avvicino le due parti e


forzo i punti di contatto sulla setta a 45 negativa sulla parte
sinistra e 45 positiva sulla destra, questi punti di contatto non
varieranno sia che la chioccia si muova verso sinistra che
verso destra perché sono stati precaricati

Nel caso di precarico a trazione allontano le due parti e forzo


i punti di contatto sulla setta a 45positiva sulla parte sinistra e
45 negativa sulla destra, questi punti di contatto non varieranno sia che la chioccia si muova verso sinistra che
verso destra perché il sono stati precaricati

Tutti gli elementi della macchina utensile devono avere degli elevati valori di rigidezza, la vite in questo senso
è un elemento critico perché è snella (diametri spesso inferiori ai 5 cm e lunghezze che possono essere di
metri).

I due schemi nell‘ immagine corrispondono a due diverse condizioni di vincolo della vite nella macchina
utensile.

Nello schema in altro la vite è supportata solo da un’estremità, mentre l’altra è libera, la maggior parte dei
carichi si va a scaricare sulle guide.

In questa configurazione possiamo identificare 4 parti: il supposto la chioccia e le due parti della vite, quella
compresa fra il supporto e la chioccia e quella libera. Queste parti sono collegate in serie. Le rigidezze del
supporto e della chioccia sono costanti, mentre quella della vite varia in funzione della posizione della chioccia,
la rigidezza è massima a inizio corsa e poi decresce. Le deformazioni elastiche del sistema saranno massime
a fine corsa. Se la rigidezza non è sufficiente si usa il secondo schema, cioè si vincola ulteriormente il sistema.

Nel secondo sistema avrò dunque un cuscinetto su entrambe le stremità, i due supposti e i due tratti di vite
sono fra loro in parallelo, gli altri elementi sono, invece, in serie.

La rigidezza, in questa seconda configurazione, ha un comportamento simmetrico con una rigidezza


complessiva maggiore di quella del primo sistema. La condizione critica la si ha al centro della corsa e non
alla fine.
Un ulteriore limite è relativo alla velocità limite, il sistema a ricircolo di sfere ha una velocità massima di
rotazione oltre la quale il sistema diventa instabile, la rotazione avverrà al difuori dell’asse iniziale. La velocità
limite dipende dalla snellezza del sistema e dalla condizione di vincolo.

Motori lineari

Il motore rotativo genera un moto rotativo e poi richiede una


vite a ricircolo di sfere, questo vuol dire che solo una parte di
quello che il motore genera è poi reso disponibile per il moto
dell’asse. Il sistema diventerebbe molto più efficiente se
potessi realizzare direttamente il moto lineare.

La lunghezza del motore lineare è esattamente pari alla


lunghezza dell’asse, dunque i motori lineari sono degli
elementi costruttivi abbastanza complicati, non solo per la
lunghezza, ma anche per come sono ottenuti.

L’ idea per la realizzazione di un motore lineare è partire da


un motore brushless e si immagina di tagliare questo motore
e linearizzarlo, quindi gli avvolgimenti, invece di essere messi su un tubolare, vengono messi su una piastra
rettilinea e il magnete permanete è una piastra con polarità nord sud, il principio di funzionamento è poi lo
stesso del brushless, gli avvolgimenti vengono alimentati in successione in modo da far muovere il magnete.
In realtà ci sono due possibili configurazioni: magneti sulla parte mobile o fissa, si parlerà di induttore corto o
lungo. Dal punto di vista della fluidità del movimento l’induttore lungo è migliore, ma i magneti, che sono molto
costosi, sono molto più numerosi e, inoltre, si deve considerare che i magneti devono essere tutti alla stessa
altezza, quindi il montaggio deve essere molto accurato.

Vantaggi e limiti del motore lineare

• Alta velocità (sino a 240 m/min) (alta produttività)


• Alta accelerazione ( sino a 300 m/s2) (sistema molto reattivo, risponde subito alle richieste di
velocità)
• Alta precisione
• Migliore efficienza
• Elevata rigidezza

• Basso rendimento (parte della potenza del motore è convertita in calore)


• Smaltimento del calore
• Moto retrogrado
• Genera una Forza normale che si va a scaricare sulle guide, dunque non si possono utilizzare le
guide a sfere.
• Protezioni più delicate
• Costi elevati
• Riprogettazione della macchina utensile, per ospitare guide più adatte (guide idrostatiche).
LEZIONE 27/03/20

Il controllo numerico delle macchine utensili- I Trasduttori

L’ unità di governo della macchina utensile, fra gli altri, svolge il compito di controllo degli assi, ma per farlo ha
bisogno di un feedback da parte della macchina utensile e dunque si utilizza un trasduttore, che si troverà in
un vano del motore. Questo ci darà un segnale che verrà elaborato per avere informazioni sulla posizione
attuale dell’asse e verrà confrontata con quella che è presente sull’unità di governo sulla posizione da
raggiungere c’è una elaborazione da parte dell’unità di governo che restituisce il segnale inviato al motore, poi
c’è un altro controllo sulla velocità del motore perché c’è un doppio anello di retroazione.

• Grandezza misurata: variabile fisica il cui valore deve essere determinato tramite la misura
• Valore misurato: grandezza specifica della variabile misurata, viene espressa da un numero e da
un’unità di misura
• Trasduttore o sensore: componente che in presenza del valore misurato fornisce in uscita il segnale
di misura
• Posizione di misura: posizione geometrica occupata dal sensore

I trasduttori possono essere classificati fra: analogico e digitale, assoluto e incrementale, diretto e indiretto.

• Analogico: nel campo di misura, ad ogni valore misurato si associa senza


discontinuità un segnale di misura distinto
• Digitale: la grandezza misurata è divisa in parti uguali (risoluzione) e il valore
misurato è un multiplo intero della risoluzione

• Assoluto: esiste una relazione univoca tra segnale di uscita e valore misurato; un trasduttore
analogico è per definizione assoluto
• Incrementale: l’uscita si presenta come una successione di segnali di ampiezza costante. Il valore
deriva dal conteggio dei segnali (un trasduttore digitale normalmente è digitale)

Con il trasduttore incrementale ho solitamente un problema, immaginiamo di avere l’asse in una posizione x1,
muovo l’asse per un certo dx, per conoscere tale dx vado a misurare il numero di incrementi e li moltiplico per
la risoluzione dell’asse, per conoscere però la posizione finale dell’asse devo conoscere la posizione
precedente, ciò non accade con un trasduttore analogico che tipicamente è assoluto.

Un trasduttore analogico spesso non è assoluto, ma incrementalmente


assoluto. Supponiamo di dover misurare la rotazione del motore, quindi il
segnale di uscita corrisponde all’ angolo di rotazione che è compreso tra
0-360. Io ho bisogno di un conteggio di quante rotazioni vengono
eseguite, cioè devo conoscere il numero di giri e quindi si usa un
trasduttore incrementalmente assoluto.

Un trasduttore digitale lavora sulla base di una risoluzione. L’


immagine sulla sinistra è un trasduttore digitale incrementale, è un
trasduttore di tipo ottico, abbiamo una scala di riferimento costituita
da bande, il sensore vede il passaggio di bande durante un
movimento lineare o rotativo e le conteggia, ogni banda corrisponde
ad un una risoluzione, dunque lo spostamento sarà dato dal
prodotto della risoluzione per il numero di bande. Quindi il contatore
si riferisce solo allo spostamento, ho bisogno di conoscere il
riferimento per conoscere la posizione attuale.

Consideriamo il movimento di un asse lineare, se vogliamo valutare la posizione dell’asse conviene conoscere
direttamente lo spostamento lineare, un trasduttore di tipo diretto ci permette di conoscerlo, molto spesso un
traduttore non mi da direttamente l’ informazione sullo spostamento della tavola, ma ricaviamo l’ informazione
dello spostamento della tavola non direttamente, ad esempio, partendo dalla rotazione del motore, cioè in
maniera indiretta.
Dunque il trasduttore di posizione rileva posizioni e spostamenti, rettilinei o angolari, e trasforma in segnale
elettrico:

• lo spostamento dell’organo mobile (tavola, testa …). In tal caso è di tipo diretto
• una grandezza proporzionale allo spostamento (rotazione vite…). In tal caso è di tipo indiretto

La scelta di un trasduttore di posizione va correlata al suo potere risolutivo, cioè alla minima variazione di
spostamento che può essere misurata.

Per una MU a CN fra analogico e digitale è meglio avere un traduttore digitale perché il segnale vien inviato
all’unità di governo che è un computer e quindi funziona in digitale, se avessi un segnale analogico dovrei
andarlo a convertire.

Tra assoluto e incrementale è meglio un traduttore assoluto perché non ho il problema del riferimento, che
sarebbe da mantenere all’ interno della memoria dell’unità di governo

Fra una soluzione diretta o indiretta noto che l’uso di un trasduttore diretto elimina I problemi inerenti I giochi
dei cinematismi della MU a CN.

Per una MU a CN il meglio sarebbe un trasduttore digitale assoluto e diretto, ma dobbiamo considerare
l’installazione del sensore sulla macchina.

Il trasduttore digitale più utilizzato è l’encoder il quale può essere sia assoluto che incrementale, l’encoder
normalmente è indiretto perché è un sensore di tipo ottico e mettere una scala direttamente sotto l’asse
potrebbe creare problemi di lettura e, quindi, di misurazione. Nella maggior parte dei casi l’encoder è inserito
in un vano del motore, cosi da mantenere la banda, che è sul motore, pulita.

Se abbiamo bisogno di elevate precisioni si passa a sensori di tipo diretto dette righe ottiche.

Esistono altri tipi di trasduttori che non funzionano su principio ottico, sono trasduttori di tipo analogico, il
resolver e l’inductosyn che lavorano su base elettromagnetica (non sono più usati). Ci sono poi dei sistemi ad
altissima risoluzione che si basano sull’ interferometria laser, ma non hanno una grande applicazione sulle
MU a CN.

Trasduttori ottici

Sono sistemi che utilizzano uno scanner fotoelettrico per leggere una scala lineare o un
disco opportunamente codificati.I principali componenti sono la scala e l’unità di
scansione

I trasduttori di tipo ottico funzionano facendo attraversare una scala con bande
trasparenti e opache da una luce che arriva da un emettitore, la scala si muove, la luce
attraversa le bande e arriva su dei ricevitori che misurano l’intensità luminosa che
ricevono. Il sistema è, normalmente, in luce trasmessa, solo la riga ottica può funzionare
in luce riflessa, quindi non si fa attraversare la scala da della luce, ma questa sarà
costituita da un’alternanza di bande riflettenti e ad elevato assorbimento è quindi la luce
verrà riflessa e i ricevitori saranno dalla stessa parte dell’emettitore, questa
configurazione presenta dei vantaggi dal punto di vista costruttivo.

Quantizer

È il più semplice trasduttore ottico anche se oggi non più in uso. È un trasduttore incrementale, costituito da
un disco di materiale plastico a settori alternativamente opachi e trasparenti. Quando il disco è in rotazione,
due fotodiodi raccolgono gli impulsi luminosi. Il conteggio di tali impulsi determina la posizione.

Si utilizzano due fotodiodi per conoscere anche il senso di rotazione.

Il disco ha il diametro di 75mm ed è diviso in 50 settori opachi e 50 trasparenti, in modo da determinare 50


impulsi al giro.

Partiamo da una configurazione in cui la banda opaca nasconde completamente la luce e quindi il ricevitore
vede un segnale nullo, poi la scala si muove e parte del fascio luminoso comincia a passare fino ad arrivare
al momento in cui è completamente compreso nella fascia trasparente, il sensore rileva un segnale che cresce
fino ad arrivare nel punto C, poi la successiva banda opaca inizia ad oscurare il fascio di luce e quindi il segnale
diminuisce fino a tornare nella posizione 0. Il ricevitore trasmette un’onda sinusoidale, per agevolare il segnale
si squadra l’onda, così da avere due livelli 0 e 1.

Si vano a conteggiare i picchi e quindi sapendo che ogni volta che commuta il segnale ho compiuto un certo
angolo (360֯/50) che conosco, ma non conosco il verso della rotazione. Per capire il senso di rotazione
aggiungo un altro ricevitore che è sfasato di ¼ di passo, nel movimento da dx a sx il segnale del secondo
ricevitore è in ritardo, nel movimento da sx a dx è in anticipo.

Il problema del Quantizer è legato alle risoluzioni, perché avendo


solo 50 divisioni, anche interponendo un ingranaggio per realizzare
per realizzare un rapporto di trasmissione, che comunque non può
essere superiore a 5 per evitare ingombri eccessivi, si ottengono
delle risoluzioni massime di due centesimi di millimetro che non
sono adeguate all’impiego su MU a CN, su cui dobbiamo avere
delle risoluzioni del micron per garantire centesimi di millimetri di
precisione durante la lavorazione.

Oggi si utilizza l’encoder in cui si fa in modo che la dimensione del fascio luminoso sia svincolato dalla
dimensione della banda, lo si fa interponendo un regolo, che è un filtro che divide il fascio luminoso in tanti
fasci che hanno una dimensione pari alla dimensione delle bande, in questo modo possiamo aumentare il
numero di bande, renderle quanto più fitte vogliamo e ciò consente di aumentare la risoluzione del trasduttore,
si possono ottenere fino a 36000 bande.

L’ altra innovazione è di aumentare il numero di ricevitori


(fotocellule) che lavorano a coppie, avremmo 2 ricevitori per
conteggiare il passaggio delle bande e 2 ricevitori per identificare
la direzione (i ricevitori che lavorano assieme sono posti a 180֯
gli uni dagli altri), a questi 4 ricevitori se ne aggiunge un quinto
che serve per azzerare dell’asse.

Si utilizzano due coppie di ricevitori (0֯ 90֯ 180֯ 270֯), i quali ci


danno dei segnali opposti, così se andiamo a sottrarre i due
segnali si ottengono due curve che hanno valor medio pari a
zero, questo semplifica la squadratura del segnale, l’encoder sarà più reattivo.

Usare un encoder con un numero di impulsi al giro molto elevati risolve il problema della risoluzione, ci
portiamo all’ordine dei micron.
LEZIONE 01/04/20

i è il numero di suddivisioni.

Una rotazione completa della vite comporta una


traslazione dell’asse pari al passo della vite, quindi
considerando ciò si calcola il minimo spostamento
misurabile con l’encoder.

Nel caso di applicazioni su macchine utensili non solo dobbiamo riconoscere in modo preciso la posizione
dell’asse, ma dobbiamo farlo quando l’asse si muove ad elevata velocità, quindi contano anche la frequenza
di acquisizione.

Vogliamo vedere qual è la massima velocità che possiamo dare al disco dell’encoder che ci permetta di
effettuare una lettura senza perdere dati.

Le velocità di avanzamento in fase di lavoro (sulle MU a CN)


non solo elevate (200-400 mm/min), ma quando il sistema si
muove in rapido le velocità si alzano molto (per macchine ad
alta prestazione si arriva a 60 m/min) e quindi è importante
aumentare la frequenza di acquisizione.

Nella lezione precedente abbiamo detto che sull’ encoder


c’è un quinto ricevitore (fotocellula) che serve per leggere il
riferimento di zero, tale fotocellula si trova sotto la banda e
legge un'unica tacca presente sull’angolo giro, quindi emette
un segnale ogni 360 di rotazione dell’encoder. Questo
segnale viene usato per effettuare l’operazione di
azzeramento dell’asse; l’encoder di base è digitale e
incrementale, quindi riusciamo a valutare lo spostamento
dell’asse, ma per conoscere la posizione attuale dobbiamo
avere un riferimento. Il riferimento è memorizzato nell’ unità
d governo, ma in alcuni casi può essere perso, ciò capita
spesso quando le macchine vengono spente e poi riaccese.

L’encoder sia montato sulla vite di uno degli assi della macchina; in prossimità di una delle due estremità
della corsa è posto un micro-interruttore. In fase di azzeramento l’asse viene mosso verso di esso. Allorché
l’apposita camma schiaccerà il micro-interruttore (micro chiuso) l’asse subirà un primo rallentamento; un
secondo rallentamento avverrà quando proseguendo nella corsa la camma lo rilascerà (micro aperto).
Adesso il controllo attenderà la lettura della traccia di zero e in quel punto si azzererà ponendovi, quindi, lo
zero del riferimento. Questa procedura di azzeramento viene fatta per tutti gli assi. (ascolta minuto 50 della
lezione se non capisci)

Si utilizza questa procedura, e non un fine corsa meccanico o pneumatico, perché ci garantisce precisione e
ripetibilità dello stesso ordine di grandezza del trasduttore.
il principio di funzionamento è lo stesso dell’encoder classico,
ma la soluzione costruttiva è diversa perché la scala è lineare
e viene montata sulla parte fissa della guida, la parte di ottica
(emettitore, lente, regolo, ricevitori) sono sulla arte mobile.

Abbiamo due principi di funzionamento, può lavorare in luce


riflessa e in luce trasmessa.

La riga ottica viene montata sotto la slitta, che è una zona più
critica dal punto di vista della pulizia della scala. Per riuscire
ad avere il sistema ottico ai due lati della scala bisogna
realizzare una struttura a C e la scala è montata orizzontalmente, a sbalzo rispetto alla struttura della
macchina, questo ci complica le cose, quindi si deve pensare ad un sistema di guarnizioni che servono ad
evitare che della sporcizia vada a finire all’ interno dello scanner. Per evitare questa configurazione più
complicata da gestire, si può utilizzare un sistema a luce riflessa, la sorgente luminosa incide sulla scala, la
luce viene riflessa e arriva sulle fotocellule. Il vantaggio è che abbiamo tutta la parte ottica dallo stesso lato
rispetto alla scala. Abbiamo un sistema che si muove rispetto alla scala che può essere collegata rispetto
alla quindi non più a sbalzo, ma in posizione verticale.

La procedura di azzeramento comporta una fase improduttiva per la macchina utensile a controllo numerico,
perché tutte le volte che perdo il segnale devo rifare l’azzeramento, l’azzeramento comporta tempo, devo
muovere un asse alla volta a velocità ridotta. L’ azzeramento è legato al fatto che l’encoder è un trasduttore
è di tipo incrementale, per non avere questo tempo improduttivo ci vorrebbe un trasduttore assoluto.

Si può trasformare un trasduttore da incrementale ad assoluto ottenuto in uscita un segnale che non solo è
binario (0 1), ma otteniamo un codice binario aumentando il numero delle piste ed associando ad ogni pista
un’ampiezza diversa, l’ampiezza da una banda a quella successiva raddoppia. In uscita otteniamo un codice
binario, i codici sono diversi sulla lunghezza considerato su 5 piste otteniamo 2^5 codici, questo non ci
garantisce una risoluzione adeguata (360/ 2^5), ci servono almeno 10 divisioni. Questo ora rappresentato è
detto codice binario e rappresenta un problema perché nel passaggio fra una posizione e quella successiva
può cambiare più di un bit alla volta, cioè nel passaggio da una posizione a quella successiva possono
cambiare più termini in contemporaneamente (es. da 00001 a 00010). I codici derivano da segnali i ricevitori
differenti (ce ne è uno per ogni pista) se il segnale commuta vuol dire che i ricevitori devono inviare la
commutazione nello stesso istante, perché altrimenti per un istante ho un codice non corrispondente alla
realtà, ho dunque un tempo di incertezza sulla posizione angolare. Per evitare questa incertezza di lettura si
utilizza il codice Grey che garantisce che sia sempre un solo bit a commutare. La mappa che si viene a
creare sull’encoder è abbastanza riconoscibile dal punto di vista macroscopico, il codice binario rappresenta
tante L, mentre nel codice Grey riconosciamo delle T.

Non parliamo di trasduttori analogici.


UNITÀ DI GOVERNO

Lezione 7- 01/04/20

L’ unità di governo è un computer che viene collegato a bordo macchina, le moderne unità di governo sono
flessibili, semplici da programmare, capaci di gestire un elevato numero di assi.

L’ unità di governo è composta da una parte hardware (schede e segni di comunicazione) e una parte software
per la gestione della macchina.

Di hardware si ha la scheda madre, le memorie e le schede per l’interfacciamento delle varie parti della
macchina utensile (motori, traduttori).

L’unità di governo a bordo macchina CNC deve poter


gestire il funzionamento della macchina utensile, le
funzioni principali sono:
1. Controllo movimento degli assi, grazie agli
schemi di retroazione
2. Funzione di diagnostica
3. Comando del mandrino
Per gestire tutto ciò sull’ unità di governo viene caricato
un programma scritto in codice alpha-numerico. Il
programma è caricato su una memoria, nell’ unità di
governo e vin inserito attraverso dei sistemi di
interfacciamento e agendo su un’interfaccia uomo-
macchina (HMI).
Una volta caricato il programma all’interno della
memoria il passo successivo è andare a elaborare il
programma per associare ai codici alpha-numerici un corretto significato, cioè si deve fare un’operazione di
interpretazione del codice (es. G00 → movimentazione rapida). Una volta che il codice viene interpretato bisogna
trasformare queste istruzioni in segnali per la macchina utensile.

L'Unità di Governo per svolgere i propri compiti deve disporre di un software opportuno:
• sistema operativo: che controlla il funzionamento di tutto il software e l'accesso all'hardware, gestisce i files
conteneti dati e programmi, …;
• software utente: è costituito dai programmi di lavorazione che l'utente scrive mediante la tastiera o che
trasmette all'unità di governo con un calcolatore; (programma di lavorazione, si indicano con part program
perché è riferito ad uno specifico componente)
• software diagnostico: consta di vari programmi residenti, attivati automaticamente, che segnalano anomalie
di funzionamento. Controllano inoltre la conformità dci programmi utente al formato richiesto;
• software di processo (interprete): contiene la caratterizzazione della macchina e delle lavorazioni eseguibili
(interpretazioni delle varie istruzioni), conosce gli assi della macchina e i motori associati.
• logica di macchina: rappresenta il software necessario all'unità di governo a gestire il funzionamento della
macchina sulla quale è installata. Ciò viene fatto con segnali digitali e serve per controllare il sistema di cambio
utensile, dello shuttle, del fluido di lubrorefrigerazione …. La logica di macchina è un programma permette un
facile adattamento tra macchina e unità di governo;

Gli ultimi due software sono quelli che ci servono per la fase di interpretazione e gestione dei segnali verso la
macchina.

L’unità di governo: schema hardware

Le schede che svolgono le varie funzioni sono collegate ad un canale di intercomunicazione (bus). Le funzioni dei
vari blocchi sono:

• CPU (Central Processing Unit): presiede al funzionamento di tutta l'unità di governo, coordina le varie azioni ed
esegue i calcoli necessari al controllo degli assi;
• memorie ROM (Read Only Memory): dispositivi di memoria allo stato solido che contengono dati di sola lettura.
Contengono dati e programmi necessari al funzionamento della macchina (sistema operativo, programmi
diagnostici .... ) e vengono letti all' accensione. Tali dati generalmente non interessano la programmazione della
macchina fatta dal l' utente.
• memorie RAM (Ranclom Access Memory): dispositivi di memoria allo stato solido a lettura e scrittura.
Contengono il software utente cioè i programmi di lavorazione;
• interfacce gestione assi: sono schede elettroniche che raccolgono i segnali provenienti dai trasduttori e
generano i segnali analogici per il pilotaggio dei motori degli assi e del mandrino;
• interfacce per video e tastiera: consentono l'uso di una tastiera e di un video per colloquiare con l' unità di
governo. In tal modo è possibile editare i programmi, modificare i correttori utensili, leggere messaggi
diagnostici, ottenere simulazioni del percorso utensile
• interfacce di lnput e Output: sono schede in grado di leggere e scrivere segnali digitali, necessari al
funzionamento della macchina (segnali provenienti dai fine corsa, dai sensori di pressione ... );
• interfacce periferiche: con queste è possibile collegare l'unità di governo con calcolatori esterni, con stampanti,
con unità di memoria di massa.

Alcune unità di governo prevedono la possibilità di programmare mentre la macchina sta lavorando. La programmazione
avviene con un sistema CAM. Esistono due aree di memoria: una contiene i programmi su cui opera la macchina utensile
e l'altra quelli cui ha accesso l'operatore o per operazioni di editing o di generazione di programmi.

Lezione 8 - 03/04/20

Vediamo il funzionamento dell’unità di governo per il controllo di posizione degli assi della macchina utensile.

Vediamo come avviene il flusso delle informazioni per gestire il movimento degli assi della macchina in modo
preciso e seguendo le velocità imposte.

Nell’ unità di governo il segnale di posizione che deriva dal bar programm (quindi il codice iso ) viene istante
per istante confrontato con il segnale che arriva dalla macchina (precisamente dal trasduttore di posizione);
dal confronto di questi due segnali parte i sistema per il controllo del movimento. Una delle prime cose che si
fa nell’unità di governo è il confronto fra la posizione attuale dell’asse e la posizione target che ci arriva come
informazione da parte della programmazione, quindi, nell’unità di governo, esiste un comparatore che fa
questo confronto istante per istante.

X arriva dal trasduttore come codice binario o Grey, x0 è pure esso un codice digitale, questi vengono
confrontati e genereranno un segnale di tensioni (di corrente).

Quando x0 è diversa dalla x, supponiamo sia x0 > x, questo deve corrispondere per l’asse ad un’indicazione di
movimento con una velocità pari a quella di avanzamento che ci deriva come informazione dal programma.

Supponiamo di dover raggiungere una posizione x0 con una velocità di avanzamento indicata dal programma,
se ci trovassimo in condizioni ideali, l’asse si porterebbe subito alla velocità di avanzamento percorrerebbe
tutto il tratto fino a x0 e poi si arresterebbe. In realtà, però, l’ asse ha una sua dinamica , per cui per raggiungere
la velocità target l’ asse ci sarà bisogno di una accelerazione e per fermarlo ci sarà bisogno di decelerarlo,
avremmo dunque un transitorio iniziale, uno finale e una zona centrale di regime; il fatto che ci sono dei
transitori vuol dire che l’ asse sta compiendo dei movimenti che non sono alla velocità target, i transitori
dovrebbero essere i più limitati possibile, per questo è importante che l’accelerazione sia elevata,
l’accelerazione è dunque una caratteristica importante per il motore ( anche per questo scegliamo spesso
motori brushless).

Il controllo della posizione può avvenire con due strategie:

• CUT-OFF, il sistema emette un segnale che inibisce il movimento del servomotore quando l’errore è
nullo x-x0=0, se x-x0≠0 invia il segnale di tensione al motore e dunque questo avanza.
• PROPORZIONALE, al servomotore giunge un segnale se l’errore non è nullo x-x0≠0 , il segnale che
viene mandato al motore è proporzionale alla differenza x-x0

La prima strategia si applica ai controlli di tipo punto-punto mentre la seconda ai controlli di tipo continuo.

CONTROLLO PUNTO-PUNTO: non esiste alcuna relazione funzionale tra i vari assi controllati che si possono
muovere simultaneamente arrestandosi progressivamente appena raggiunta la posizione che loro compete.
Tale controllo trova applicazione nei robot e nelle macchine molto semplici (foratrici a C.N.).

CONTROLLO CONTINUO: esiste una precisa relazione funzionale tra le coordinate individuali dei vari assi e
tale relazione (es. lineare) deve essere rispettata istante per istante. Istante per istante verifica le posizioni
degli assi. Per ottenere ciò si rende necessario l'uso dell'interpolatore che opera sulle coordinate attuali e su
quelle finali per valutare quelle intermedie. Tali controlli sono i più diffusi.

L’ interpolatore è quell’ elemento all’ interno dell’unità di governo che calcola le coordinate dei punti intermedi
sul profilo da percorrere (che ci è stato definito dal programma) per raggiungere obiettivi quali: raggiungere il
punto finale, seguire il percorso con la velocità corretta , seguire il percorso programmato.

Gli interpolatori più usati, a seconda dei percorsi tipici realizzati dalla macchina sono:

• Interpolatore lineare: è il più utilizzato. Molti linguaggi CAM ne fanno un uso esclusivo per
approssimare curve molto complesse. Spezza curve complesse nello spazio in linee segmentate
Tanto maggiore è la precisione voluta tanto maggiore sarà il numero di punti in cui la curva verrà
segmentata;
• Interpolatore circolare: è nato per ridurre il numero di dati richiesti nel caso di programmazione
manuale. Opera generalmente solo nei piani coordinati (xy , yz, zx) . Non è possibile tracciare una
circonferenza su un piano generico:
• Interpolatore elicoidale: può essere considerato una funzione speciale in quanto è un interpolatore
circolare con un incremento costante sul terzo asse. Il suo impiego è limitato alla filettatura di grandi
fori con una fresa di forma (le circonferenze sono sviluppate in altezza);
• Interpolatore parabolico e iperbolico: trovano impieghi nella fresatura di forme speciali come ad
esempio palettature di turbine.

Man mano che aumentiamo la complessità degli algoritmi di calcolo dobbiamo avere capacità delle unità di
governo crescenti per riuscire a fare i calcoli in tempi brevi e rispettare le velocità con cui si muove l’ utensile
rispetto al pezzo.

Le caratteristiche che deve avere un interpolatore sono:

• l dati geometrici prodotti dall' interpolatore devono approssimare nel modo migliore possibile il
contorno reale del pezzo;
• Deve avere la capacità di eseguire almeno l’interpolazione lineare e circolare dal momento che il
contorno dei pezzi è quasi interamente descritto da segmenti rettilinei ed archi di cerchio;
• II risultato dell’interpolazione deve rispettare il vincolo della velocità dell'asse possibilmente in modo
indipendente dalla forma del contorno;
• Il punto finale deve essere raggiunto con la massima precisione per evitare errori di forma del profilo
eseguito. La posizione e l'orientamento dell’utensile nello spazio offre normalmente sei possibilità di
movimento: tre traslazioni secondo la direzione dei tre assi coordinati X,Y, Z e tre rotazioni attorno agli
stessi assi. Dal momento che di regola la rotazione del mandrino dell'utensile (attorno a Z) non è
controllata, un centro di lavorazione possiede al più 5 assi controllati.

Quante coordinate di punti intermedi sono


necessarie per seguire un percorso
generico nello spazio (nel nostro caso una
circonferenza) con una tolleranza data +/- ,
cioè dobbiamo calcolare la lunghezza
massima del segmento AB (nel calcolo
approssimiamo gli infinitesimi di secondo
ordine), n è il numero di segmenti necessari
per approssimare un generico settore
circolare di angolo 

Il numero di punto intermedi è molto alto,


ecco perché cerchiamo di avere degli algoritmi semplici per riuscire a stare nel calcolo con delle frequenze
Elevate e quindi riuscire a viaggiare a velocità elevata.

Esistono diverse tecniche per realizzare un interpolatore. A titolo di esempio si analizza quello che si basa
sulla tecnica della ricerca del passo (search step technique).

L'incremento in X o in Y (step) viene assunto pari alla risoluzione del trasduttore.

Interpolatore lineare: funzionamento

• Ogni punto della retta soddisfa la relazione F(x,y)=0


mentre per qualsiasi altro punto esterno alla retta varrà
la relazione F(x,y)<>O.
• Supponendo di interpolare la linea secondo la
direzione positiva dell'asse X tra i punti PS e PE; è facile
verificare comeii punti che sono situati al di sotto della
retta rendono negativa la funzione F, mentre la rendono
positiva tutti quelli situati al di sopra della stessa.
• Partendo dal punto PS si incrementa una delle sue due
coordinate (nell'esempio di x) di un valore definito. Si
calcola il segno della funzione F ed il successivo incremento verrà dato in modo da ottenere un segno
opposto.
• Nel caso in esame F(x,y)>O produrrà una correzione secondo l'asse X mentre F(x,y)<O una
correzione secondo Y. Nel caso in cui F(x,y)=O, il punto è esattamente sulla retta, ci si trova come
alla partenza ed è indifferente la scelta della direzione dell'incremento.
• L'incremento in X o in Y (step) viene assunto pari alla risoluzione del trasduttore.
• Ogni step viene calcolato individualmente pertanto il massimo scostamento dalla traiettoria teorica
corrisponde esattamente ad uno step. L'errore misurato perpendicolarmente alla traiettoria teorica
risulterà inferiore allo step stesso.
• Dal momento che gli incrementi sono costanti non è necessario calcolare ad ogni passo il valore della
funzione F.
• E’ possibile valutare le deviazioni definite da:

• Tale tecnica può essere applicata facilmente al caso generale di una retta nello spazio

Questo metodo di interpolazione è spesso associato ai motori passo-passo perché funzionano sulla base di
un treno ad impulsi, quindi avrò un motore per l’ asse x e uno y e l’interpolatore manderà, alternativamente, il
segale ai due motori
Un altro esempio di interpolatore è quello per percorsi
circolari, in questo caso dobbiamo trovare sulla
circonferenza i punti successivi che dobbiamo verificare.
La logica è simile a quelle già descritto in precedenza. Il
punto successivo si ottiene considerando l’errore massimo
cordale Δc (è collegato a α), questo errore è preso pari
alla risoluzione del trasduttore.

Le coordinate di un punto si calcolano da quelle del punto


precedente aplicand una matrice di rotazione, quindi il
calcolo è molto rapido perché le coordinate del punto
successivo sono un aggiornamneto di quello precedente. L’ altro vincolo che abbiamo è quello della velocità
con cui si deve muovere l’utensile ( velocità periferica, da cui si può calcolare la velocità di rotazione), per cui
ogni angolo deve essere compiuto in un tempo predefinito. Abbiamo sempre due vincoli, uno sulla posizione
e uno sulla velocità.

SISTEMI DI CONTROLLO

Esistono due tipi di sistemi di controllo (della posizione degli assi):

• sistema ad anello aperto (open loop) dove i segnali dell'unità di governo vengono trasformati
direttamente in movimenti, privi di controllo rispetto alla posizione da raggiungere, non c’è un feed-
back da parte della macchina. Va bene solo per macchine semplici pilotate con motori passo-passo
che sono ad altissima precisione;
• sistema ad a nello chiuso (closed loop), qui c’è un feed-back da parte della macchina utensile che
arriva dal trasduttore e un controllo di tipo continuo con l’utilizzo di un interpolatore. Su questi tipi di
sistemi esistono due anelli di retroazione che rilevano costantemente lo scarto fra il valore
istantaneo e quello da raggiungere, sia per gli spostamenti che per la velocità.

Schema di base su come avviene il controllo (Proporzionale)

l'unità di governo fornisce la posizione di riferimento (interpolatore) x0 e la velocità di riferimento V0;

➢ i comparatori confrontano i due valori di riferimento con i valori attuali misurati dalla dinamo
tachimetrica e dal trasduttore di posizione, si calcola così l’errore x, che dovrà essere annullato.
➢ Il segnale è elaborato nel controllo di posizione per generare un segnale di riferimento per il motore
no, che dovrà essere confronto con la velocità attuale del motore n. L’errore n, se esiste, dovrà
essere annullato.
➢ Se n0 è inferiore ad u valore di riferimento si avrà un’accelerazione, altrimenti una decelerazione
➢ Si entra nel controllo di velocità che genera il segna le di tensione di alimentazione per la
regolazione del motore
➢ Gli errori vengono amplificati (guadagno G) ottenendo un errore globale che comanda l'azionamento
del motore (coppia motrice C);
➢ Se aumento troppo il guadagno rischio di avere delle oscillazioni del sistema e quindi di non
fermarmi esattamente nel punto finale.
➢ al muoversi della tavola diminuiscono gli errori di posizione e velocità e diminuisce pertanto la
corrente erogata dall'azionamento fino a che il sistema arriva all'equilibrio (errore globale nullo).

Abbiamo quindi un doppio anello di controllo, uno sulla posizione e uno sulla velocità.

Il caso di controllo più semplice e quello di tipo proporzionale, cioè nel controllo di posizione generiamo una
no paria a kp x, mentre il segnale di tensione di alimentazione Va pari a kn n, quindi lavoriamo in proporzione
diretta rispetto agli errori.

kp normalmente è maggiore di 1 perché nel seguire la posizione, dal momento che il sistema ha un tempo di
reazione, si crea un transitorio, la posizione istantanea reale è sempre un po’ diversa da quella che
vorremmo. Per cercare di avare un sistema più reattivo si può aumentare kp, questo può portare a un errore.

Vediamo cosa comporta il transitorio. Supponiamo


di dover muovere l’asse a una posizione di
riferimento x0 e ci dobbiamo muovere ad una
velocità ẋ, supponiamo di trovarci ad una posizione
x generica, in questo esempio è pari a 0, e
dobbiamo arrivare alla posizione x0; nel diagramma
xt , la velocità è data dalla pendenza della retta,
quindi nelle condizioni ideali seguiamo un percorso
rettilineo con pendenza pari alla velocità, in realtà il
sistema non reagisce istantaneamente, c’è quindi
prima un tratto di accelerazione con un moto
uniformemente accelero, ciò avviene finché non raggiungiamo la velocità desiderata, da questo momento in
poi si procede con un moto rettilineo.

A causa del transitorio però ad un generico istante di tempo t, non ci troviamo nella posizione x
corrispondente, ma ad una posizione inferiore la differenza si dice errore di inseguimento C, è un ritardo nel
raggiungimento della posizione, tale differenza si mantiene costante nei tratti rettilinei. Man mano che l’asse
va più veloce l’errore sarà maggiore.

L’ accelerazione è una caratteristica del sistema con cui è stato realizzato l’asse, quindi non abbiamo molta
velocità di gioco sull’ accelerazione, quindi la dipendenza principale è sulla velocità al quadrato.

La conseguenza di questa dipendenza è che se muoviamo un solo asse, arriveremo in ritardo sul punto
finale, ma questo sarà raggiunto correttamente, se facciamo un percorso di interpolazione sul piano, cioè
leghiamo con una relazione funzionale i due assi. Il tratto che dobbiamo percorrere secondo x dx, quello
lungo y dy, ci deve essere contemporaneità nel raggiungimento dei punti per cui dx e dy devono essere
compiuti nello stesso intervallo di tempo. Quindi se dx>dy, la velocità lungo l’asse x sarà maggiore di quella
secondo l’asse y , quindi l’errore secondo x sarà maggiore.

Cosa sta succedendo nel movimento dell’utensile rispetto al


mezzo? Se io teoricamente dovrei compiere un percorso
rettilineo per andare dal punto iniziale al punto finale, in realtà
istante per istante gli assi inseguono la posizione nominale,
quindi avrò un errore sia sulla x che sulla y, mi troverò su un
punto di riferimento che è prima (più a sx e più in basso), il
percorso reale è quindi shiftato.

Questo errore sulla traiettoria è una conseguenza dell’errore


proporzionale.

L’ammissibilità di questo errore dipende dalle velocità poiché sono queste che determinano gli errori di
inseguimento; su macchine non ad altissime prestazioni un controllo proporzionale è ammissibile, ma
quando si aumentano le velocità di lavorazioni l’errore proporzionale diventa un problema perché non
consente di rispettare le tolleranze in lavorazione, si passo dunque a controlli che non sono unicamente
proporzionali, ma aggiungono alcuni contributi : l’azione derivativa e l’azione integrale; si passa a controlli
PID (proporzionale, integrativo e derivativo).

L’azione integrale che consente di operare a errore nullo cioè di eliminare l’errore d’inseguimento. Si può
ancora aggiungere l’azione derivativa che permette di migliorare la risposta dinamica.

1. Kp Determina la rigidezza del sistema


2. Ki Riduce l’errore istantaneo, va a mediare gli errori sui
tratti precedenti e quindi corregge il segnale
3. Kd Riduce le oscillazioni, perché deriva il segnale di azione,
adegua la dinamica alla crescita dell’errore

Dobbiamo conoscere bene e saper disegnare il sistema proporzionale quello Integrale e derivativo no,
dobbiamo conoscere il significato Kd e Ki
PROGRAMMAZIONE (DELLE MU a CN)
Abbiamo visto dal punto di vista della macchina da quando riceve il programma in codice ISO come l’unità di
governo riesce a gestire il funzionamento della macchina e delle sue varie componenti, ma come si genera il
codice ISO (codice gestito da lettere e numeri)?

Per scrivere il codice abbiamo due possibilità:

1. Se conosciamo già il codice, lo si può digitare su un file di testo e lo si carica sulla memoria dell’unità
di governo. In questo codice ci sono informazioni di tipo geometriche cioè le coordinate dei punti che
l’utensile deve seguire per generare la geometria sul pezzo, tali informazioni le ricavo sulla base del
disegno del componente.
Ci sono anche dei dati tecnologici, come la caratterizzazione degli utensili che devono essere usati
per ottenere una certa geometria, le velocità di taglio, la profondità di passata, la refrigerazione o meno
dell’utensile. La programmazione manuale diventa complessa all’aumentare della difficoltà della
lavorazione
2. Per geometrie complesse si passa alla programmazione assistita dal calcolatore, utilizzando degli
strumenti di computer added manifacturing (CAM), si utilizzano quindi dei software in cui si possono
realizzare geometrie 2D 0 3D e sulla base di queste geometrie si assegnano i parametri tecnologici
per realizzare il CD file o cutter location file, cioè il file, scritto nel linguaggio di quel specifico software
che usiamo, che contiene tutte le informazioni geometriche e tecnologiche per la realizzazione del
pezzo. Per tradurre le informazioni dal linguaggio del software a quello ISO c’è il passaggio di post-
processamento.

il codice ISO viene letto-interpretato-eseguito dalla unità di governo in successione di blocchi.

Quali lettere si utilizzano nel linguaggio ISO? Come si


costruiscono le parole? (frequente domanda d’esame)

Le lettere che si utilizzano sono abbastanza limitate.

• N si associa poi a dei numeri e identifica un blocco,


in passato nella programmazione manuale i blocchi
erano numerati di 10 in 10 o di 5 in 5, si usavano
valori così distanti perché nel caso bisognasse
aggiungere una riga nel mezzo del programma non
si era obbligati a rinumerare le righe successive.
Oggi esistono sistemi automatici di rinumerazione.
• G sono funzioni preparatorie, sono funzioni che
servono per l’interprete per capire il significato delle operazioni successive.es G92 S2000, in questo
caso G93 vuol dire che pongo un limite alla massima velocità di rotazione del mandrino, questo limite
è espresso dall’informazione successiva. G0X100Z100 G0 vuol dire che la modalità di avanzamento
è in rapito G1 modalità di avanzamento secondo un percorso rettilineo con velocità di avanzamento
di lavoro.
• X, Y, Z coordinate di un punto
• U, V, W angoli di rotazione
• I, J, K interpolazione circolare, servono per indicare il centro dell’arco
• F (sta per feed) (funzione tecnologica) avanzamento, può essere espresso o mediante una velocità
di avanzamento (mm/min) o un avanzamento (mm/giro), il modo in cui è espresso è indicato da una
funzione preparatoria G.
• S (deriva da spindla, che significa mandrino) (funzione tecnologica) velocità di rotazione, può essere
espressa in rotazione al minuto o in termini di velocità di taglio (m/min)
• T (funzione tecnologica) identificativo dell’utensile e del presetting, il modo in cui è espressa è indicato
da una funzione preparatoria G.
• M funzione miscellanea, nella macchina utensile sono funzioni di tipo ON/OFF (es).

G68 è un ciclo fisso di sgrossatura che ci consente di snellire


la programmazione, consideriamo un profilo da realizzare, se
dobbiamo sgrossare questo profilo dobbiamo prevedere
alcuni passaggi dell’utensile (lavorazione, allontanamento,
discesa).

Per semplificare il lavoro di programmazione si utilizza il ciclo


fisso che rimanda alla descrizione del profilo del finito,
identificato da 6 punti (in questo caso), e poi si lasci il calcolo
del percorso all’unità di governo indicando il punto da cui si
inizia, profondità di passata, il sovrametallo, l’avanzamento
necessario per la finitura e poi la descrizione del profilo finale.
 Esempio di linguaggio in cui c’è un’interpolazione circolare

Anche per la filettatura c’è un ciclo fisso, se non fosse così


richiederebbe molti cicli di programma perché viene fatta →
con molti passaggi.

Oggi molto spesso per la programmazione si utilizzano dei software, in passato i software non erano così
grafici come oggi. C’è stato un passaggio in cui si sono studiati degli strumenti di semplificazione della
programmazione che mantenevano comunque un tipo di linguaggio testuale, Linguaggio ATP su cui si basano
i moderni software CAM.

APT (Automatic Programming Tool) nasce oltre quarant’anni fa (MIT1955) per consentire la programmazione
di superfici complesse, non-programmabili manualmente sui vecchi NC hard wired.

La struttura di tale programma è ancora valida e su di essa si basano i “motori” dei moderni linguaggi CAM.
Ancora oggi un programma CAM produce un APT CL file (Cutter Location File).

Un post-processore provvede poi a trasformarlo nel linguaggio ISO del CNC cui è destinato

APT è utilizzato per geometrie semplici e complesse (lavorazioni fino a


5 assi–ambito aeronautico).

Usa l’inglese come lingua per parole e espressioni che comandano il


movimento degli assi.

Si scrive il part program usando la lingua inglese, in questo ci sono


informazioni geometriche e tecnologiche, partendo da librerie
preimpostate. C’è poi una verifica del listato per verificare la presenza
di errori nella scrittura del codice, si lancia poi il processo re APT che
genera il CL file che viene tradotto in linguaggio ISO dal post-processor,
che aggiunge informazioni sull’ utensile.
La geometria che si descrive può essere anche di tipo
tridimensionale.

Oltre alle informazioni geometriche si introducono le


informazioni di moto, sempre in lingua inglese.

Una volta definite le geometrie, si può definire ad


esempio un percorso utilizzando le definizioni di moto.

Esempio ATP (non dobbiamo saperlo bene, leggi solo)

L’ ATP definisce le geometrie attraverso elemeti semplici, punti linee archi, si devono poi definire il livello di
base e quello superiore

Descrizione geometria Operazioni di taglio e info di movimento


La fase successiva al linguaggio ATP è il linguaggio CAM con cui si programma oggi, i CAM sono diversi dai
CAD, i CAM sono specifici per la generazione dei programmi per i sistemi a controllo numerico. Ci sono
software combinati CAM/CAD, gli ibridi spesso peccano in una delle due categorie. Spesso si hanno CAM e
CAD che si interfacciano per trasferire le informazioni.

La precisione del percorso utensile dipende pesantemente dagli algoritmi impiegati per approssimare le
superfici reali:

• il percorso utensile viene generato direttamente a partire dal solido sottraendo da esso il volume
generato dal moto dell’utensile e necessita di notevoli risorse computazionali per calcolare tutte le
intersezioni che definiscono la forma lavorata
• il percorso utensile è generato a partire dalle superfici del pezzo e dalla superficie dell’utensile,
applicando la protezione dei contorni alle superfici stesse (e cioè la non intersezione tra di esse) e il
contorno dell’utensile sempre tangente alla superficie lavorata. Spesso quando si lavora con
geometrie complesse è più semplice che si lavori in questo modo perché generare superfici
complesse a partire da solidi di base è complesso.

Queste superfici tridimensionali devono essere importate poi dal CAD al CAM, questo processo potrebbe
generare anche degli errori e quindi ci saranno degli errori sul percorso deli utensili.

Anche il CAM può lavorare su base solida o su base di superfici. Lavorare su base solida vuol dire considerare
il grezzo come solido, rappresentare anche l’utensile come un solido e poi man mano che l’utensile avanza
sul pezzo si va a fare una sottrazione di volumi in modo da realizzare la geometria lavorata. Dal punto di vista
computazionale, ciò è pesante, quindi si cerca di lavorare per superfici.

Lavorando per superfici basta definire il limite della superfice del pezzo e mantenere la tangenza dell’utensile
e della superfice.

La patch si va ad intersecare con dei piani paralleli, così da ottenere il percorso dell’utensile.

I software cam permettono di fare anche delle simulazioni della lavorazione che è molto comoda per valutare
la presenza di problemi. (es interferenza con componenti vicino come ad esempio il portautensile).
07 Il controllo numerico delle macchine utensili - il controllo adattativo LEZ 15/04

Il controllo adattativo riguarda la capacità, tramite delle schede, degli algoritmi, di ottimizzare l’utilizzo della
macchina adattando il modo della macchina di lavorare adattandosi alle condizioni che si verificano durante il
processo.

Uno dei principali vantaggi legato all’introduzione delle macchine utensili CNC presso le aziende manifatturiere
è stato quello di incrementare la produttività riducendo i tempi morti.

Nelle lavorazioni CNC il tempo di asportazione varia tra il 50% e l’80% del tempo ‘floor to floor’ (da pallet a
pallet), e precisamente valutato dal momento del posizionamento del pezzo sotto la macchina al momento in
cui il pezzo lascia la macchina stessa.

Per le macchine utensili tradizionali tale tempo si riduce al 30% Un ulteriore incremento di produttività può
essere ottenuto qualora sia possibile controllare e variare i parametri di lavorazione (velocità di taglio,
avanzamento) secondo necessità.

Il controllo adattativo (C.A.) può essere considerato come un dispositivo automatico che, durante la
lavorazione di un pezzo, rileva determinati parametri del processo in corso e con opportune elaborazioni
modifica i parametri stessi ed altri, al fine di ottenere il miglior sfruttamento delle capacità operative della
macchina ed una migliore esecuzione del lavoro. Il controllo adattativo determina:

1. Il miglioramento della qualità della lavorazione;


2. Incrementi di produttività;
3. Maggior durata degli organi meccanici della macchina, controlla le forse che agiscono sugli organi
meccanici;
4. Minor impiego della programmazione;
5. Miglior impiego degli utensili.

Lo scopo del controllo adattativo è quello di ottimizzare rispetto a certi parametri la lavorazione in atto e di
sfruttare appieno le capacità della macchina e degli utensili.

Un esempio di controllo adattativo manuale è quello eseguito dall’addetto macchina quando regola i
potenziometri di comando di N e a sull’unità di governo per eliminare vibrazioni o migliorare le condizioni di
taglio. Non è però certo che venga individuata la condizione ottimale di lavorazione, perché è un controllo
adattativo manuale.

Con il C.A. è possibile ottenere una maggior durata dell’utensile memorizzando il tempo che ha lavorato e
introducendo determinate relazioni relative all’usura in funzione di Vt, a, volume asportato, p…..

Un’implementazione del C.A comporta dei costi, dunque non è sempre giustificato il suo utilizzo.

Il C.A. non è una risposta a tutte le lavorazioni ma è possibile ottenere risultati significativi quando abbiamo
un ampio campo di variazione dei parametri di processo, su cui è possibile agire:

1. Il tempo di asportazione è almeno il 40% del tempo ciclo totale, perché il C.A. agisce sul tempo di
lavorazione
2. Vi sono significative sorgenti di variabilità sui parametri di processo che possano essere compensate;
3. Il costo della lavorazione è elevato. Costo determinato essenzialmente dall’investimento necessario
all’acquisto della macchina utensile;
4. Si lavorano materiali ‘difficili’ come le leghe di titanio, l’acciaio temprato, le leghe termoresistenti.

ESEMPIO DI CONTROLLO ADATTATIVO


Il controllo adattativo si associa al controllo “tradizionale” della macchina utensile, quindi quello con l’unità di
governo.

L’unità di governo controlla gli assi della macchina utensile attraverso un doppio
anello di retroazione, dunque invia all’asse i dati sulla posizione e sulla velocità
di avanzamento e controlla posizione e velocità durante il movimento, in un
controllo di tipo continuo.

Il controllo adattativo rileva ulteriori dati dalla macchina utensile, non abbiamo
più solo il trasduttore di posizione e quello di velocità, ma ci saranno ulteriori
sensori con cui andare a misurare altri dati (W, Mb, Mt). Tali dati vanno in un
ulteriore scheda che è quella del controllo adattativo, in questa scheda sono
presenti degli algoritmi che elaborano questi dati, spesso su basi empiriche, e
forniscono delle indicazioni di variazione dei parametri di processo.

Ad esempio, misurando la potenza assorbita W, la coppia al mandrino Mt e la coppia alla base dell’utensile Mb
è possibile variare automaticamente la velocità di rotazione dell’utensile e la velocità di avanzamento della
tavola e mantenere W, Mt e Mb all’interno di limiti prefissati.

Le principali sorgenti di variabilità che si manifestano durante la lavorazione sono:

1. Le variazioni dello spessore e della larghezza del truciolo imputabili alla geometria del pezzo (es
abbiamo un pezzo di larghezza variabile), se cambia la larghezza del truciolo cambiano le forze di taglio
e dunque le potenze di taglio. Questa sorgente viene spesso incontrata nella fresatura di profili e
contorni, il C.A. effettua un controllo variando la velocità di avanzamento in funzione della larghezza ,
la macchina lo fa in modo automatico controllando la sollecitazione sull’ utensile;
2. Durezza e lavorabilità variabili dovute, ad esempio, alla presenza di inserti di materiale tenero
all’interno di getti in ghisa, la scelta dei parametri di taglio dipendono dal tipo di materiale, non
possiamo però settare la macchina con velocità di taglio variabile a seconda del materiale che si lavora,
con il C.A. agendo analizzando sollecitazioni percepite dall’utensile ( ci sarà più resistenza quando
lavora un materiale duro e meno quando lavora un materiale tenero) si può regolare la velocità di
taglio Vt e l’avanzamento a.
3. Rigidità variabile del pezzo dovuta alla difficoltà di staffeggio di pezzi a geometria complessa (Regolare
a);
4. Usura dell’utensile che causa una modifica geometrica dello stesso e un incremento delle forze di
taglio (Regolare a);
5. Taglio interrotto (Aumentare a in assenza di contatto);

Il C.A. può essere applicato per compensare anche un’unica sorgente di variabilità e come regola generale i
migliori benefici si ottengono in presenza di elevate ampiezze di variabilità.

Parametri controllabili:

• Velocità di taglio Vt;


• Velocità di avanzamento Va;
• Potenza assorbita W;
• Coppia al mandrino Mt , per valutarlo dobbiamo inserire dei sensori ;
• Forza di taglio Ft, per valutarlo dobbiamo inserire dei sensori
• Coppia alla base dell’utensile Mb;
• Temperatura di taglio q, dobbiamo inserire dei sensori termici.
• Ampiezza delle vibrazioni, inserendo accelerometri

Nello sviluppo del controllo adattativo sono stati seguiti approcci differenti e precisamente:
1. Controllo adattativo tecnologico di ottimizzazione (ACO);
2. Controllo adattativo tecnologico di limite (ACC);
3. Controllo adattativo geometrico (GAC);
4. Controllo adattativo ad apprendimento (LAC).

CONTROLLO ADATTATIVO TECNOLOGICO DI OTTIMIZZAZIONE (ACO)

Ha lo scopo di realizzare istante per istante una combinazione assunta come ottimale per i parametri di
lavorazione.

E’ necessario specificare un indice di prestazione IP che tenuto sotto controllo realizza la combinazione
ottimale dei parametri di lavorazione.

Usualmente IP è valutato come:

IP=𝒇 (𝑴𝑹𝑹 /𝑻𝑾𝑹)

MRR: material removal rate (velocità di asportazione del materiale), può essere valutato conoscendo i
parametri di processo, dunque velocità di avanzamento e profondità di passata e monitorando la velocità di
taglio in ogni istante ;

TWR: tool wear rate (tasso di usura dell’utensile).

Il problema ancora irrisolto è legato alla impossibilità di valutare on-line l’usura dell’utensile e di conseguenza
il TWR. È difficile valutare l’usura dell’utensile perché avviene a livello micro. L‘usura dell’utensile può essere
valutata unicamente al termine della lavorazione durante il cambio utensile. IP diviene pertanto un indice di
tipo discreto monitorabile unicamente off-line.

Il controllo adattativo tecnologico di ottimizzazione (ACO) non può dunque operare in linea senza ricorrere al
contemporaneo utilizzo di un controllo adattativo tecnologico di limite (ACC) Altri indici di prestazione IP che
possono essere utilizzati sono:

1. Costo di produzione;
2. Tempo di produzione;
3. Tasso di profitto (combinazione dei due precedenti).

Per controllare l’indice di prestazione è necessaria una approfondita conoscenza del:

1. Processo di taglio;
2. Comportamento statico e dinamico della macchina utensile;
3. Meccanismi di usura dell’utensile

E’ necessario un modello matematico complesso, usualmente di tipo probabilistico, ottenuto dall’elaborazione


di un’ampia raccolta di dati sperimentali.

Dall’ACO si attende una combinazione tecnologicamente accettabile dei parametri di processo Tanto maggiore
è la conoscenza dei dati sperimentali, tanto più efficiente sarà l’ACO.

Gli ACO hanno difficoltà a diffondersi a causa:

1. Dei costi elevati per la raccolta dei dati sperimentali per formare la base della conoscenza;
2. Della inaffidabilità di alcuni sensori indispensabili come quelli dell’usura dell’utensile;
3. Della difficoltà di operare in linea
Tuttavia, viste le prestazioni attuali delle unità di governo l’ACO potrebbe diventare un vero e proprio sistema
autonomo di governo della macchina CNC, in grado di controllare il processo di taglio attraverso vari sensori
come:

• Usura utensile;
• Forze di taglio;
• Potenza assorbita;
• Vibrazioni

Userebbe una conoscenza tecnologica empirica continuamente aggiornabile sulla base delle lavorazioni
effettuate.

La tecnica decisionale per la variazione dei parametri di lavorazione si basa su un sistema esperto
implementato nella stessa unità di governo in grado di prendere decisioni autonome in tempi rapidi.

Nell’ immagine è rappresentato un centro di tornitura in cui


sono posti dei sensori, per misurare le forze sull’ utensile,
indicazioni sulla velocità di avanzamento. I segnali dei sensori
vengono mandati al controllo adattativo (sx) che si associa all’
unità di governo (dx).

L’ unità di governo continua ad occuparsi della gestione


utensili e pezzi, del controllo degli assi, dei parametri di taglio.

Quando avviene l’utensile i segnali dalla macchina arrivano al


controllo adattativo, acquisisce i dati, applica gli algoritmi per
effettuare la valutazione del processo, prendendo dati di
riferimento che arrivano dalla base della conoscenza che è fatta su base empirica, fornisce così dei segnali di
correzione che invia all’ unità di governo che possa applicare queste modifiche in fase di lavorazione. Tutti i
dati non vengono persi, ma c’è un costante aggiornamento di dati così da ampliare la base della conoscenza.

CONTROLLO ADATTATIVO TECNOLOGICO DI LIMITE (ACC)

Per combinare i vantaggi di un controllo adattativo con tecnologie di controllo in tempo reale, meno
performanti , ma che ci consentono di lavorare istante per istante sul pezzo si associa un controllo adattativo
di ottimizzazione con un controllo adattativo di limite.

La strategia seguita è quella di mantenere costante o di far variare entro limiti prefissati, uno o più parametri
di lavorazione.

Si tratta di un CA meno efficiente dell’ACO tuttavia è l’unico che può operare in linea visto che è richiesto
unicamente il monitoraggio dei parametri di processo (usualmente Vt e Va).

L’ACC può operare in combinazione con l’ACO (controllo misto) e in tal modo:

1. L’ACC garantisce il controllo in linea continuo sui parametri di lavorazione critici;


2. L’ACO permette il controllo di ottimizzazione fuori linea ogni volta che viene sostituito l’utensile

Esistono alcune classi di macchine per le quali il controllo adattativo tecnologico di limite può assumere precise
e specifiche caratteristiche:

1. Centri di lavorazione (macchine multiscopo);


2. Torni
3. Fresatrici;
4. Foratrici
L’ACC trova le applicazioni più efficienti nelle lavorazioni di tornitura e fresatura.

ACC per torni

Sono essenzialmente basati sulla valutazione della freccia massima ammissibile sul tagliente dell’utensile.
L’unica grandezza da misurare è la potenza del mandrino.

L’ utensile è montato a sbalzo e quindi si comporta come


una trave a sbalzo, sulla parte estrema del tagliente è
applicata una forza di taglio, dunque sull’utensile vi è una
deformazione di tipo plastico che è massima sulla punta
del tagliente. La freccia può essere calcolata conoscendo
la geometria del’ utensile e la sollecitazione che
imponiamo Ft. La sollecitazione la possiamo calcolare
direttamente ponendo un sensore alla base dell’utensile
oppure indirettamente calcolando la potenza di taglio.

La presenta di questa freccia fa si che l’utensile si allontani dalla superfice del pezzo che si deve lavorare,
affinché il pezzo sia prodotto mantenendo i limiti delle tolleranze è importante che la freccia f non superi una
valore limite.

flimite deve essere valutata sperimentalmente;

Il controllo regola il numero di giri per mantenere la freccia al di sotto del limite impostato, in questo modo
la sollecitazione F diminuisce.

Oltre ad un limite superiore si pone anche un limite inferiore per la freccia, oltre il quale non scendiamo
perché ciò porterebbe a ridurre i parametri di taglio e dunque diminuiremo la produttività.

Sono possibili incrementi di produttività variabili tra il 20 % e il 45 %.

ACC per foratrici

L’obiettivo è di effettuare la foratura mantenendo la coppia costante, vengono misurate:

1. La potenza assorbita W;
2. Il numero di giri del mandrino N.

Il problema è calcolare il valore della coppia perché in foratura ci sono delle componenti importanti di
deformazione plastica.

Si determina la coppia complessiva:

𝑴𝑻 = (𝟔𝟎∙𝑾 )/(𝟐∙𝝅∙𝑵)

La coppia complessiva viene depurata da quella necessaria far ruotare il mandrino a vuoto e da quella
assorbita dagli ingranaggi del cambio

𝑴 = 𝑴𝑻 − 𝑴𝒎 −𝑴𝑪

Il valore ottenuto viene confrontato con quello che provoca una eccessiva flessione per la punta a elica,
valore determinato sperimentalmente off-line.

Avvicinandosi al valore limite di flessione, l’ACC riduce il numero di giri del mandrino e mantiene la coppia al
di sotto del limite.

I risparmi di tempo ottenibili sono del 30% (a causa della complessità di valutazione).
ACC per fresatrici

Trova largo impiego nella produzione di componenti per l’industria aerospaziale dove la complessità
geometrica determina altezze di taglio variabili

Nell’ immagine è rappresentato un componete con una geometria


variabile, su si sta facendo una fresatura periferica con larghezze di taglio
variabili. Nel C.A quando si varia la larghezza si controlla la velocità di
avanzamento.

I parametri di lavorazione usualmente misurati sono la:

1. Potenza assorbita;
2. Flessione della testa del mandrino

Viene regolata la velocità di avanzamento Va delle tavole portapezzo

La Va viene progressivamente ridotta quando:

1. La potenza assorbita si avvicina a quella di targa della macchina;


2. La flessione della testa del mandrino si avvicina al valore limite impostato;

Il limite sulla potenza è fisso, mentre quello della flessione dipende dalla geometria dell’utensile, dal tipo di
staffaggio (dalla flessibilità o rigidezza del componente in lavorazione) e dalle tolleranze richieste.

Sono indispensabili una serie di prove sperimentali per individuare il limite di flessione massima di
riferimento per la regolazione dei parametri di taglio.

(le percentuali di incremento le chiede all’ esame)

CONTROLLO ADATTATIVO GEOMETRICO o COMPENSAZIONE DEGLI ERRORI MACCHINA (GAC)

La strategia seguita è quella di modificare i movimenti della macchina utensile, in particolare le posizioni
degli assi, in modo da compensare gli errori geometrici imputabili a deformazioni della struttura meccanica
indotte da gradienti termici o sollecitazioni meccaniche.

L’errore della lavorazione dipende da:

1. Errore geometrico dovuto ai moti della macchina utensile;


2. Errore di deformazione statica della macchina utensile dovuto alla forza di taglio;
3. Errore legato alla deformazione termica, provocata dal riscaldamento della struttura meccanica
Tramite un modello matematico che tenga conto delle tre sorgenti di errore, si possono determinare le
azioni correttive lungo gli assi della macchina utensile per compensare l’errore geometrico risultante

I limiti di impiego del GAC risiedono:

1. Nella difficoltà di disporre di sensori affidabili e di dimensioni limitate per valutare gli errori
imputabili ai movimenti della macchina utensile, che talvolta sono molto piccoli;
2. Nei costi elevati per la realizzazione dell’intero sistema;
3. Nella necessità di un’analisi preliminare con codice agli elementi finiti (si utilizzano degli strumenti
simulativi FEM) della struttura della macchina utensile, per determinare l’entità della deformazione
statica e termica indispensabili per compensare gli errori. Questi software sono affidabili, ma non ci
possono dare valori certi sul possibile comportamento reale della macchina, quindi non possono
essere utilizzati come unica fonte di caratterizzazione della macchina, ma devono essere associati a
prove sperimentali per la verifica e la validazione dei modelli.

CONTROLLO ADATTATIVO AD APPRENDIMENTO (LAC)

Il LAC sfrutta delle strategie di black box

Prendiamo degli input che arrivano dai sensori della macchina, stabiliamo delle relazioni causa effetto di
tipo empirico, che associano ad ogni serie di input degli output.

Se queste relazioni sono puramente empiriche si parla di black box, se sono in parte analitiche ed in arte
empiriche si parla di grey box.

La strategia seguita è quella di effettuare una misura e di prendere una decisione ogni volta che si verifica
un inconveniente tecnologico.

La decisione viene archiviata per poter essere riutilizzata.

Ad esempio, il processo di taglio può essere controllato da una telecamera che rileva:

1. La rottura dell’utensile;
2. La deformazione della punta dell’utensile;
3. L’ampiezza dell’usura e la sua forma

Un processore elabora i dati dell’immagine del tagliente ed in base ad un algoritmo di apprendimento


produce una tabella decisionale dalla quale emergono le valutazioni per assumere i seguenti interventi:

1. Nessun intervento;
2. Sostituzione dell’utensile;
3. Variazione della geometria del tagliente

Anche in questo caso è necessaria una fase preventiva di


apprendimento che deve essere lasciata aperta per successive
implementazioni, così da legare gli input agli output.

Se nella tabella decisionale manca in memoria un’azione per un


determinato input bisogna eseguire la fase di valutazione,
apprendimento e generazione tabella.

Oggi con la grande possibilità di acquisizione di dati diventa sempre più semplice e dunque l’utilizzo di
questo C.A è utile.

Inoltre, l’investimento inziale per questo tipo di controllo adattivo è più economico di quelli che hanno una
base analitica e necessitano di una profonda conoscenza del processo della macchina.
9 CNC e DNC – lezione 17/04/20

Il controllo numerico nasce per automatizzare la macchina e quindi permettere di realizzare geometrie
complesse sulla base di un programma i moderni controlli numeri sono molto versatili.

Vantaggi del CNC ottenuti con l’ evoluzione dei sistemi.

• Possibilità di gestire e archiviare i programmi;


• Possibilità di selezionare le unità di misura;
• Elevata flessibilità con possibilità di introdurre nuove funzioni;
• Possibilità di generare programmi personalizzati per la gestione della macchina;
• Possibilità di essere compatibili e interfacciabili con le varie funzioni aziendali nell’ottica della
produzione assistita da calcolatore.

Inizialmente i controlli numerici erano di tipo Diretto.

Controllo diretto da calcolatore (DNC)

Il DNC può essere definito come un sistema di produzione dove un insieme di macchine sono controllate da
un elaboratore centrale attraverso una connessione diretta in tempo reale.

I part-program vengono trasmessi alle unità di governo delle singole macchine utensili tramite cavo,
direttamente dalla memoria dell’elaboratore centrale.

Inizialmente il DNC prevedeva l’impiego di un unico calcolatore che gestiva tutte le macchine utensili con
l’obiettivo di:

1. Trasferire su richiesta le informazioni alle macchine incluso il controllo;


2. Raccogliere i dati di produzione ed elaborarli

La struttura originale prevedeva:

1. Il calcolatore centrale, contiene tutti i dati e si interfaccia


con l’ operatore
2. La memoria di massa centrale;
3. Il terminale centrale per la programmazione;
4. La stampante ad alta produttività;
5. I terminali DNC, non sono delle unità di governo, ma solo
dei sistemi di collegamento
6. La rete di comunicazione;
7. Le macchine utensili

Questa struttura, molto utilizzata inizialmente, era stata poi abbandonata perché presentava una serie di
svantaggi.

Limiti del DNC originale

Questa soluzione presenta due problemi principali:

1. Un guasto all’elaboratore centrale determina l’arresto di tutte le unità operative. E’ pertanto


necessario un calcolatore di back-up, comunque non è possibile evitare l’interruzione del
programma di lavoro sulle macchine utensili controllate;
2. il minor costo del terminale DNC rispetto all’unità di governo non era in grado di compensare il
costo dell’intera architettura HW e SW necessaria alla gestione del sistema completo;
il DNC presentava anche una serie di vantaggi.

Con il DNC è possibile:

• Controllare un insieme di macchine;


• Operare in tempo reale;
• Ridurre i tempi per il trasferimento dei part program perché erano centralizzati (all’epoca il
caricamento avveniva con lettore di nastro perforato);
• Gestire gli archivi dei part-program, sul calcolatore centrale c’erano le informazioni su tutte le
macchine utensili a cui era collegato;

Le potenzialità elencate hanno motivato lo sviluppo dei sistemi DNC nella seconda metà degli anni ‘60
soprattutto nell’industria aerospaziale L’unità di governo della macchina utensile ha lasciato posto al
terminale DNC che è una interfaccia tra la linea di trasmissione dei dati e la macchina utensile.

Tutte le funzioni dell’unità di governo (poche all’epoca) devono pertanto essere svolte dall’elaboratore
centrale

Si è oggi tornati all’ idea di una connessione con un sistema centralizzato (tipico del DNC) ma in un ottica
diversa, combinando i vantaggi del DNC con il CNC.

Sulla base delle prime esperienza il DNC è stato ripensato:

1. La macchina utensile deve mantenere la propria intelligenza locale (unità di governo) e dovrà essere
arricchita da alcuni elementi supplementari come la possibilità di dialogare con l’elaboratore
centrale;
2. Il calcolatore centrale deve svolgere essenzialmente un compito di accumulo e smistamento dei part-
program alle singole macchine utensili e compiti di tipo gestionale;

Nel caso della gestione di un parco macchine di grande dimensione è necessario interporre una serie di
calcolatori intermedi tra unità di governo ed elaboratore centrale. Questi hanno il compito di smistare e
gestire le informazioni alle singole macchine utensili.

Con questo tipo di controllo abbiamo una struttura piramidale, alla base abbiamo le macchine utensili, che
sono tutte autonome perché ognuna ha la sua unita di governo, poi per ogni reparto dell’azienda avremo un
elaboratore intermedio che si si collega al calcolatore centrale.

Il calcolatore centrale fornisce alle macchine informazioni


sulle lavorazioni, quindi abbiamo un controllo dall’ alto verso
il basso, le macchine utensili inviano al calcolatore centrale le
informazioni relative alla produzione. Quindi per avere
informazioni su cosa accade nel reparto produttivo, non
dobbiamo più collegarci alle singole unità d governo, ma
basta interfacciarsi con il calcolatore centrale, che ci da una
mappatura di tutto ciò che sta accendendo all’ interno del
reparto produttivo. Per fare questo le unità di governo
devono dotarsi di un terminale DNC per la comunicazione
con gli elementi superiori della catena, questo tipo di
integrazione si dice integrazione verticale.

Nell’ ottica dell’ industria 4.0 si sta lavorando sull’ integrazione di tipo orizzontale, ciò la comunicazione tra
macchine poste allo stesso livello.

Il calcolatore centrale con il moderno DNC deve garantire le seguenti funzioni:


1. Accumulo e smistamento part-program;
2. Monitoraggio dello stato di ogni singola macchina utensile;
3. Archiviazione dei dati tecnologici impiegati per le singole lavorazioni;
4. Verifica della durata degli utensili e archiviazione delle cause di rottura;
5. Acquisizione delle cause di fermata delle macchine utensili sia per guasti che per la manutenzione
preventiva;
6. Acquisizione dei dati di produttività;
7. Verifica dello stato di avanzamento della produzione.

Le singole macchine utensili a controllo numerico eseguono i part-program in modo autonomo.7

I blocchi Ii sono delle interfacce operative verso le macchine CNC.

Nel suo complesso il ‘DNC’ non deve operare on-line in tempo reale dal momento che le singole macchine
CNC hanno un’intelligenza locale che le rende autonome nella lavorazione dei singoli componenti. Si aprono
pertanto nuovi spazi per adibire il DNC a compiti di tipo gestionale come:

1. L’archiviazione dei part-program in linguaggio evoluto e indipendente dalla macchina utensile;


2. Il post-processamento del part-program in linguaggio evoluto sulla singola macchina utensile;
3. L’elaborazione dei dati di produzione (avanzamento produzione, stato delle macchine, utilizzo
impianti…)

Vantaggi del moderno DNC

1. Eliminazione dei vari sistemi per il trasferimento dei part-program alle macchine utensili e utilizzo
della rete locale del DNC;
2. Elevata capacità di elaborare i dati di produzione ed elevata flessibilità per gestire le nuove macchine
CNC che vengono inserite;
3. Possibilità di archiviare un elevato numero di part-program in linguaggio evoluto;
4. Possibilità di raccogliere, elaborare i dati relativi alle prestazioni e all’utilizzo delle macchine CNC;
5. Garantire la possibilità d’ integrazione con le funzioni aziendali superiori;
6. Possibilità d’ integrazione con le unità di governo fornendo prestazioni espandibili nel tempo.

Molte aziende stanno ancora implementando il sistema DNC verticale, cioè non sono ancora pronte per
un’azienda 4.0.
12. Le linee automatiche di produzione 17-04-20

Nell’ immagine sono rappresentati i diversi


sistemi produttivi in funzione della flessibilità e
della produttività.

Ci sono le linee transfert che sono sistemi rigidi,


progettati e realizzati in funzione dello
specifico componete che si vuole realizzare
(nate con il fordismo), questi sono nati per
ridurre i tempi produttivi, separando le diverse
operazioni in stazioni di lavoro diverse. Con
questi sistemi si aumenta al massimo la
produttività, ma sono molto rigidi e dunque
non si adattano alla produzione di componenti
diversi, si possono al massimo avere delle
piccole varianti al fondo della linea.

Per aumentare la flessibilità si sono introdotti nelle diverse stazioni di lavoro degli elementi di lavoro più
flessibili, ciò porta a ridurre la produttività.

La massima flessibilità la si ha con il centro di controllo al quale abbiamo dedicato l’intera parte del nostro
corso, lavorano sulla base di un part programm, basta cambiare il part program per cambiare il tipo di
lavorazione. Questi sistemi vanno per per la produzione di componenti in lotti dalle dimensioni non troppo
elevati, perché il centro di lavoro richiede sempre un set up della macchina prima di iniziare la produzione.

L’ evoluzione nel tempo dei requisiti di produttività e flessibilità da parte del mercato è stata quella di partire
da un sistema altamente flessibile, ma a bassa produttività, poi all’ inizio del 900 c’è stato un notevole
aumento della produttività con poca flessibilità (fordismo), poi si avuto un aumento della richiesta di
flessibilità, ma comunque con livelli di produzione elevati (es maggiori modelli di auto e più variabili sulla
stessa auto).

Oggi abbiamo delle richieste differenziate, il trend si sposta verso un’elevata personalizzazione dei prodotti
(mass customization), cioè c’è una grande richiesta di prodotti, ma personalizzati (le personalizzazioni spesso
sono scelte dal consumatore).

LINEE A TRASFERIMENTO

Le linee a trasferimento sono dei sistemi di produzione usati per produrre elevati volumi di parti che
richiedono nella loro trasformazione un insieme di operazioni differenti. Abbiamo diverse stazioni di lavoro
poste in serie.

Una linea a trasferimento trova la sua applicazione a fronte di:

1) volumi di produzione elevati


2) stabilità di progetto del prodotto
3) lunga vita utile del prodotto
4) costanza nel tempo del volume produttivo

Questo perché la linea è molto rigida, quindi per giustificare l’ investimento iniziale devono esserci le
suddette condizioni.

Garantisce:

1) basso costo di manodopera diretta


2) basso costo del prodotto
3) elevati volumi di produzione
4) tempo di attraversamento e work in progress minimi
5) occupazione dello spazio ottimale

Le origini

L’idea delle linee a trasferimento nasce negli Stati Uniti negli stabilimenti Ford attorno al 1920 per realizzare
una linea di montaggio in cui però le operazioni erano tutte manuali. La prima linea di lavorazione viene
realizzata in Inghilterra nel 1923 presso gli stabilimenti della Morris per la lavorazione del blocco motore.
Sulla linea si effettuavano 53 diverse operazioni con una produttività di 15 blocchi ora. Ciascun blocco
richiedeva oltre 200 minuti di lavorazione. In questa linea il particolare veniva movimentato manualmente
tra una stazione e la successiva. La prima linea completamente automatica appare l’anno successivo, ancora
presso la Morris, per lavorare la scatola cambio.

Ha fatto vedere tre video.

Esistono dei sistemi di trasporto dei componenti di


tipo automatico, così che il compete passi da una
stazione di lavoro all’ altra. Il percorso che segue il
componente definisce il layout del sistema
produttivo, che in linea (può essere a zig-zag a U).

Quello che è comune a tutti i sistemi di


trasferimento è che c’è un punto di ingresso del
componente grezzo e un punto di uscita dei
componenti finiti.

Per i sistemi più piccoli ci possono essere dei


sistemi di movimentazione a tavola rotante, che danno ancora maggiore rigidezza al sistema.

Nella parte centrale della linea trasferta, disposto linearmente, c’è il sistema di trasposto e poi ci sono le
diverse stazioni di lavoro, che sono disposte con una certa regolarità nello spazio.
Le lavorazioni possono avvenire su un singolo lato del componete oppure ci sono casi in cui si può accedere
ad entrambi i lati del componente.
Quando le linee sono molto lunghe dobbiamo gestire eventuali fermi di una stazione di lavoro, le linee di
produzione sono caratterizzate da un livello di efficienza che deve essere molto alto nei sistemi ad altissima
produzione, quindi non dovrebbero esserci guasti.
Se si verifica un guasto all’inizio della linea tutta la lavorazione si blocca. Per tamponare il problema del fermo
macchina e mantenere la linea attiva si inseriscono dei magazzini intermedi detti buffer inter-operazionale.
Il magazzino è dimensionato per mantenere un certo numero di pezzi.
Grazie a questo magazzino intermedio se la prima
parte della linea si blocca la seconda parte può
continuare a lavorare fino ad esaurire i componenti, se
ben dimensionato, quindi se si conoscono i tempi di
ripristino della macchina, si riesce a non interrompere
la produzione della seconda parte della linea.
Lo stesso principio può essere utilizzato quando nella
stazione ci sono delle stazioni che prevedono un lavoro
manuale (cosa che porta ad una variabilità nel tempo
di lavoro) i buffer vengono utilizzati in questi sistemi di
produzione ibridi per compensare la variabilità del
tempo di lavoro manuale.
Il controllore

Quando ci troviamo davanti ad un sistema complesso che vede diverse componenti che gestiscono il sistema
produttivo, serve qualcosa che controlla il sistema nella sua totalità, il contollore il quale:
• gestisce il ciclo delle singole stazioni gestione che potrà essere demandata ad un PLC locale;
• gestisce la sequenza e cioè riceve da ogni attività gli opportuni consensi prima di abilitare la fase
successiva;
• controlla il buon funzionamento di ogni singolo elemento attivo attraverso delle routine di
autodiagnostica segnalando eventuali guasti;
• memorizza i dati di produttività, efficienza dei diversi dispositivi, qualità delle parti prodotte,etc. per
le successive analisi statistiche.
Il controllore è diverso dal DNC perché questo si adatta a un sistema più flessibile in cui l singole macchine
sono centri di lavorazione autonomi e quindi il DNC fa la gestione di un sistema più flessibile.
Il controllore in un sistema a trasferta ha dei compiti più limitati perché le singole macchine hanno una
programmazione fissa.
Uno dei parametri più importanti che ci dicono come si sta comportando i sistema produttivi è l’efficienza la
quale può diminuire per vari fattori.
• Rottura di un utensile
• Regolazione di un utensile
• Sostituzione programmata di utensili
• Malfunzionamenti di natura elettrica
• Rotture meccaniche
• Mancanza di pezzi da lavorare
• Saturazione del magazzino delle parti lavorate
• Manutenzione preventiva della linea
Per avere un’alta efficienza devo fare in modo che questi eventi non si verificano oppure che accadono
quando il sistema non è attiva.
Il sistema di produzione è configurato in modo da
avere una certa cadenza produttiva, cioè dal sistema di
produzione esce un pezzo finito dopo un tempo fisso,
che è pari al tempo di operatività della stazione più
lenta più il tempo di trasporto alla stazione successiva,
così definiamo la produttività teorica.
In realtà, ci possono essere dei problemi, degli arresti,
per cui dopo un certo tempo della macchina ci potrà
essere un arresto della macchina per un’azione
manutentiva, che richiede un intervento che dura per
un tempo MTTR (mid time to repair), che è un tempo
medio di riparazione che si conosce su base statistica.
A livello statistico si può poi calcolare un tempo MTBF (mid time beetween failure) che è il tempo fra due
fermi successivi della stazione. Conoscendo questi tempi si può calcolare l’efficienza E del sistema produttivo.
Il tasso di produzione Rc reale, numero di componenti prodotti in un ora, è inferiore rispetto a quello ideale.
Possiamo considerare due diverse ipotesi per il calcolo del numero delle fermate

Nf è il numero di fermate
pi è la probabilità di fermata di una singola stazione di lavoro, se pi è uguale per tutte le stazioni lo indichiamo
con p. la probabilità dipende da MTBF
n è il numero di stazioni di lavoro.
1-pi è la probabilità che non ci sia fermata e che quindi il componete continui la lavorazione verso la stazione
successiva.

Conclusione
L’aumento del numero di stazioni e/o la riduzione dell’affidabilità delle singole stazioni (es. maggior
complessità delle soluzioni realizzative adottate) provocano una riduzione dell’efficienza del sistema;
Comparando i due approcci adottati si vede che quello upper-bound conduce a stimare un maggior numero
di fermate della linea ma porta a risultati d’efficienza superiori a quelli forniti dall’approccio lower-bound.

Per aumentare l’efficienza, si può cercare di ridurre n, cioè il


numero di stazioni, lo si fa separando la linea in tratti, e
collegandole con dei buffer.
Vediamo altri parametri per valutare il sistema produttivo.
La capacità produttiva teorica Pc è il numero di pezzi che
teoricamente la linea potrebbe produrre considerando il tasso
di produzione orario moltiplicato per il tempo in cui si lavora.
Nt ht Gt.
Supponiamo di avere diversi periodi a cui
corrispondono diverse ore teoriche
utilizzabili. In totale abbiamo disponibili
11691 ore, in realtà alcune ore vengono
perse per vari motivi, dunque abbiamo alla
fine un tempo disponibile per la produzione
di 10078 ore, poi per motivi legati ad
assenteismo il tempo disponibile per
utilizzo è 8955. Alla fine, si hanno 7803 ore
dedicate alla produzione.

Queste percentuali sono abbastanza


tipiche.
Il sistema deve essere sempre
sovradimensionato perché in questo modo
si riesce a rispondere ad un picco di
domanda, per questo motivo il tasso di
utilizzo non è mai il 100%.

Effetto del buffer sull’ efficienza del sistema produttivo.

Per aumentare l’efficienza si riduce la lunghezza del tratto di linea, cosi svincolano i singoli tratti
interponendo un buffer, in questo modo l’ efficienza diventa pari all’ efficienza più bassa fra quella dei vari
tratti di linea. Sarà comunque più bassa di quella di un unico tratto di linea perché si riduce il numero di
stazioni di lavoro.

E0 è l’efficienza di riferimento in cui non c’è divisione della linea.

E∞ è l’efficienza del tratto meno efficiente.

Non è detto che la presenza del buffer svincoli completamente le due linee, può capitare che dei problemi
del tratto 1 influiscano sulla produzione della linea successiva, dunque avrò in realtà un’efficienza
intermedia fra le due.

Per essere nelle condizioni migliori dovrei avere linee con efficienze uguali.

Conclusione
• Se la differenza tra E0 ed Einf. è trascurabile allora nessun vantaggio verrà dall’impiego di un buffer.
Se invece E0 risulterà considerevolmente maggiore di Einf. allora si potrà trarre un significativo
vantaggio dall’impiego del buffer.
• Una linea di una certa estensione converrà sempre dividerla in segmenti aventi la medesima
efficienza (in quanto è la condizione in cui si avrà la massima differenza tra E0 ed Einf.) separati da
magazzini interoperazionali.
• Se un buffer di linea risultasse sempre quasi vuoto o sempre quasi pieno questo indicherà che uno
dei due tratti posti ai suoi estremi è sbilanciato e pertanto il magazzino servirà a poco.
• La massima efficienza di una linea si raggiungerebbe avendo un numero di buffer uguale al numero
di stazioni, è una condizione estrema, ma non è una soluzione ottenibile, per l’occupazione degli
spazi.

Vediamo ora un esempio su come si può configurare una linea di trasferimento.

Nella parte centrale si nota il sistema di trasferimento


e ai due lati ci sono le stazioni di lavoro, questa è una
linea di trasferimento per lavorazioni meccaniche
specializzate, quindi non ci saranno i magazzini per gli
utensili.

La base è simile alle strutture delle macchine utensili


a controllo numerico, ma il sistema di azionamento
può essere modificato perché sono più semplici i
movimenti che dobbiamo gestire.

Si può dunque avere sia un sistema, come già visto


per le macchine a CN con comando meccanico,
oppure si possono avere dei sistemi più specializzati,
ad esempio a comando idraulico, di cui quello
centrale serve per l’avanzamento del lavoro e altri
due pistoni servono per il ritorno indietro della slitta.

Questa ultima configurazione non la troviamo nelle


macchine a CN.

A volte può servire una sola slitta per la lavorazione


che dobbiamo effettuare, che può essere avere un
movimento verticale longitudinale o trasversale.

Possiamo altre volte avere bisogno di una doppia o


tripla movimentazione.

Le unità di lavoro sono più specifiche, ad esempio


abbiamo una testa multipla che realizza più fori
contemporaneamente, ciò vuol dire che abbiamo un
unico albero collegato al motore e poi un
cinematismo che ha dei satelliti che portano in
rotazione i vari mandrini. La velocità di rotazione dei
mandrini dipende dalla velocità del motore e dai cinematismi, potremmo fare in modo di avere velocità di
rotazioni diverse per i vari mandrini non si può regolare l’avanzamento perché tutta la testa si muove come
un unico corpo.
La testa di foratura si associa poi spesso alla maschera
di foratura. Sulla sinistra c’è la testa di foratura, mentre
sulla destra c’è la maschera di foratura, il componente
viene montato su un attrezzo di riferimento, al quale si
avvicina l’attrezzo.

Non si possono in questo modo eseguire i fori su una


geometria diversa.

Fino a minuto della lezione 17/04/20 linee prendi


appunti scrivendo sulle slide, ha descritto delle
immagini. Da sile 27 a 33

La traslazione su una linea transfert deve garantire alcuni requisiti, i vari pezzi che si trovano davanti la
stazione di lavoro si devono muovere contemporaneamente, questo è un vincolo progettuale per la linea di
trasferimento.

La lavorazione di un particolare su una transfert necessita di una fase detta di “traslazione” in cui il particolare
viene traslato da una stazione alla successiva.

La traslazione avviene in tre fasi:

• Presa
• Spostamento
• Rilascio

Il meccanismo più usato è il dispositivo alza e sposta, composto da:

• Barra a sezione prismatica con le “manine” per l’aggancio del pezzo


• Leve di sollevamento
• Dispositivo di traslazione

In questo esempio è utilizzato il sistema alza e sposta, per cui una volta terminata la lavorazione il sistema
prende il pezzo lo porta alla stazione successiva e lo lascia.
https://youtu.be/mx1GYMAEU38

https://youtu.be/tDLof06nBjU
Abbiamo la zona di ingresso sulla sinistra, il
pezzo arriva montato su pallet, ma arriva in
linea separato dal pallet. Il pallet va poi a
caricare un altro pezzo. Abbiamo poi nel
mezzo il collegamento ad altre parti del
sistema. Abbiamo al fondo l’uscita, i
componenti vengono caricati su pallet e fatti
uscire dal sistema produttivo. C’è pure la
possibilità di portare il componete al di fuori
della linea ad esempio per attività di
collaudo.

Per aumentare la flessibilità del sistema


produttivo si può aggiungere al fondo della
linea delle stazioni di lavoro flessibili, che
sono dei centri di lavoro a controllo
numerico, quindi con un magazzino utensili
etc. nell’ immagine a destra c’è la parte fissa
e poi nelle ultime operazioni ci sono delle
lavorazioni che sono variabili (ci sono poche
varianti), la liea sarà meno produttive.

In realtà le linee così organizzate sono oggi sempre meno diffuse perché il mercato richiede sempre più
personalizzazione e quindi il sistema produttivo deve essere sempre più adattabile alla richiesta del mercato
che è sempre più variabile e con una vita media dei prodotti che si accorcia sempre di più.

Flexible Manufacturing Systems (FMS)

Un sistema flessibile di lavorazione o FMS (Flexible Manufacturing System) è un sistema di lavorazione


altamente automatizzato che consiste di macchine a CNC interconnesse da un sistema automatico di
movimentazione dei pezzi controllato da un sistema distribuito di microprocessori. La distinzione dalle linee
a trasferimento consiste nel fatto di poter lavorare contemporaneamente sulle varie stazioni di lavoro pezzi
differenti e il mix di parti e la loro quantità può essere aggiustata al variare della domanda. L’idea di questa
tipologia di sistemi di produzione nacque verso la metà degli anni ‘60 dello scorso secolo ad un ingegnere
inglese, David Williamson, come evoluzione delle macchine a CN; l’idea fu brevettata nel 1965 con il nome
System 24 per intendere che la linea poteva lavorare 24 ore al giorno di cui 16 senza l’ausilio dell’uomo
(unmanned). All’inizio degli anni ‘70 uno dei primi FMS fu istallato negli Stati Uniti alla Caterpillar con il nome
Variable Mission System. Dopo un picco di sviluppo negli anni ‘80 sono poi stati abbandonati perché la
tecnologia presente in quel tempo non permetteva un’ottima gestione di questi sistemi, oggi si riuscirebbe a
gestire bene un sistema del genere, ma è variata la richiesta del mercato, non si richiede più di gestire lotti,
ma più pezzi diversi gli uni dagli altri è dunque necessario un sistema che vien continuamente riconfigurato.

Un FMS può essere pensato come un sistema d’informazione gestionale


distribuito che collega tra loro sottosistemi intelligenti, detti nodi,
costituiti da macchine di lavorazione, di collaudo, di lavaggio, di
montaggio e da sistemi di trasporto ed immagazzinamento.

Abbiamo più celle di lavoro collegate fra loro da un sistema di trasporto


che composto da due parti, un sistema di trasporto centrale che sposta i
componenti nello stabilimento e un sistema di trasporto locale riferito
alle diverse celle di lavoro.
FMS – I requisiti

1. Capacità di gestire particolari diversi lavorati in modalità mix (non a lotti), non dobbiamo completare
la lavorazione di un lotto per iniziare a lavorare un pezzo di un altro lotto .
2. Capacità di accettare facilmente cambi nella schedulazione della sua produzione e modifiche tanto
nella composizione del mix che nel volume di produzione.
3. Capacità del sistema di gestire malfunzionamenti di un componente senza interrompere
completamente la produzione.
4. Capacità del sistema di accettare facilmente l’inserimento di un nuovo prodotto nel mix di
produzione.

La seguente cella robotizzata è un sistema di applicazione di tale sistema .

Abbiamo un sistema chiuso in cui abbiamo due celle di


lavoro e un robot di asservimento delle macchine utensili,
il robot gestisce dunque la movimentazione, P è poi il
controllore.

Il sistema è o meno un FMS a seconda del tipo di celle di


lavoro, se sono dei centri flessibili, rispondiamo ai requisiti
di flessibilità. Il punto critico è il terzo, cioè se riusciamo a
gestire i malfunzionamenti. Può rimanere produttiva solo
se le celle di produzione sono gemelle, cioè l’una può
essere sostituita dall’ altra. Se vale ciò il sistema è un FMS.

In realtà la flessibilità riguarda vari aspetti.

Sistema di movimentazione

Il sistema di movimentazione deve nei sistemi FMS:

• consentire il moto indipendente e casuale dei pezzi tra le stazioni


• operare su una varietà di pezzi differenti tra loro
• consentire uno stoccaggio temporaneo
• consentire un facile accesso per il carico e lo scarico
• essere interfacciato con il computer di controllo

Il sistema di movimentazione è formato da:

un sistema primario

un sistema secondario, funge anche da buffer sulle singole stazioni di lavoro , incrementando l’ efficienza del
sistema.

Esempio di FMS https://youtu.be/0Ddbf5Ov_mU

Il layout in linea è quello più semplice, andando verso


complessità e flessibilità superiori si passa a layout ad
anello, aperti e quelli asserviti da robot industriali.

Il layout in linea rappresenta la forma più semplice che un


FMS può assumere ed è derivato da quello tipico di una
linea a trasferimento. Il ciclo del particolare progredisce
passando da una stazione ad una successiva secondo un
percorso definito con il pezzo che può muoversi sempre e
solo in una direzione.

la linea in orizzontale è il sistema di trasporto primario,


quello secondario è posto in verticale. Il limite di questo
tipo di layout è che non si riesce a far viaggiare
contemporaneamente più di un componete per volta
poiché la movimentazione è a doppio senso, cioè uscita e
ingresso sono sullo stesso lato. Se si vuole incrementare la
flessibilità si può utilizzare un sistema in cui la direzione di
movimentazione è a senso unico, quindi con un layout ad
anello.

Il layout ad anello consente ai pezzi di circolare lungo il


sistema principale arrestandosi solo per consentirne il
passaggio sul sistema secondario di una delle stazioni di
lavoro dove attenderà il suo turno per essere lavorato. La
stazione di carico e scarico è generalmente sistemata ad
una delle estremità dell’anello.

Aumentiamo la flessibilità se adottiamo una soluzione di


layout aperto, in cui si utilizzano degli AGV o robot mobili,
che sono dei carrelli che trasportano i componenti. Questi
sistemi di trasporto inizialmente erano guidati da percorsi
comandati da campi elettrici, oggi si sono evoluti e sono
guidati da sensori laser.
Andando verso la robotica collaborativa questi robot oggi sono capaci di individuare la presenza di un
operatore e dunque fermarsi oppure individuare un percorso alternativo per non interagire con questo.

Questi robot mobili possono essere dunque direzionati con molta flessibilità nell’ ambiente di lavoro,
possono loro stessi fungere da buffer, nel senso che possono sostare difronte la stazione di lavoro con il
componete in attesa di lavorazione, hanno poi la caratteristica di espandibilità, cioè il sistema produttivo si
può espandere nel tempo con l’introduzione di ulteriori work stazioni e si può variare il percorso degli AGV
in modo da alimentare anche queste nuove stazioni.

La problematica legata agli AGV è che hanno come sorgenti di energia delle batterie che devono essere
ricaricate, il problema attuale è dunque legata alla scarsa autonomia della batteria.

il sistema di controllo dei sistemi FMS è piramidale (simile


al DNC), in cima c’è il sistema centrale di controllo
(controllori) che sono in comunicazione con degli
elaboratori intermedi, per separare il controllo sui diversi
ambiti del sistema produttivo (sistema di trasporto, sistema
di produzione …).

Rispetto al DNC c’è il fatto che la gestione è più complessa


perché si deve controllare in modo più integrato il sistema
di trasporto e non solo le stazioni di lavoro.

Negli anni ‘70 ‘80 una gestione di questo tipo era molto complicata, per questo motivo si è avuto dopo gli
anni 80 un declino di questi sistemi. Oggi non si hanno più questi problemi dunque il sistema FMS è utilizzato
in alcune realtà, altre realtà, per rispondere ad una domanda del mercato sempre più variabile, si utilizzano
sistemi più flessibili.

Interessante possibilità di questi sistemi e di poter gestire la movimentazione sulla base del part programm,
cioè sulla base delle operazioni che si devono fare, con una flessibilità che tiene conto della flessibilità dei
cicli di lavoro stessi.

La definizione dei cicli di lavoro non è mai un problema con


un'unica soluzione, ci possono essere delle operazioni
alternative per arrivare alla stessa geometria finale del pezzo.

Normalmente si definisce la soluzione migliore e si segue


quella, ma se ho un sistema flessibile posso tener conto delle
possibilità alternative, cosi se ho un problema e una
lavorazione non è effettuabile non fermo la produzione, ma il
computer di controllo finale può dirottare la lavorazione verso
una soluzione diversa.
MCM

Mass Customization Manufacturing, produzione di massa, ma personalizzata.

Gli apparecchi acustici sono un esempio di prodotto di mass customization.

Sul mercato potremo trovare:

Prodotti Standardizzati: possiedono funzioni, caratteristiche, geometrie definite come ad esempio: viti, spine
e prese elettriche, videotape, ecc. che devono rispondere a standard precisi ed unificati.

Prodotti Configurati: possiedono caratteristiche diverse pur svolgendo la stessa funzione e possono essere
scelti all’interno di una gamma di soluzioni definite dai costruttori.

Prodotti parametrizzati: sono il futuro. Il prodotto è definito da una serie di parametri i cui valori vengono
scelti liberamente dall’utente per cui alla fine si otterrà un oggetto personalizzato e forse unico

Il sistema di produzione è ovviamente diverso a seconda del tipo di prodotto che si deve realizzare

MCM sta per Mass Customization Manufacturing. L’obbiettivo è quello di produrre e distribuire prodotti
personalizzati con tempi di consegna ridotti e costi comparabili a quelli di un prodotto di serie.

La strategia MCM può essere divisa in tre categorie:

1. FORM: È la più semplice è prevista a livello di consegna, permette di scegliere tra una serie di opzioni
che non modificano le caratteristiche del prodotto, la variabilità interessa la fine della fase di
produzione (es. colore)

2. OPTIONAL: in questo caso le scelte intervengono già in fase di produzione. La scelta è fatta tra un
numero predefinito di opzioni che modificano le caratteristiche dell’oggetto (es. motorizzazione,
finitura)

3. CORE: interviene a livello di progettazione e quindi rappresenta l’obiettivo ultimo e la perfetta


realizzazione del concetto di MCM

Quando si arriva al livello CORE si ha l’esplicazione del concetto di produzione personalizzata.

Negli ultimi anni si è sviluppato il concetto di agile, che non è nato in ambito della produzione, ma nel settore
informatico della progettazione

Che cosa vuol dire “AGILE MANUFACTURING”

Il concetto di Agile manufacturing è costruito attorno al concetto che un certo numero di Aziende, ciascuna
delle quali possiede determinate capacità e competenze, si associano per raggiungere un determinato
obiettivo produttivo. Questo modo di aggregarsi viene definito come Virtual Corporation in quanto non vi
sono capitali comuni. Tale associazione può formarsi e cambiare con grande facilità al mutare dell’obiettivo
da raggiungere e quindi adattarsi con grande facilità alle mutate esigenze del mercato.

https://www.youtube.com/watch?v=vRne1NiCIHQ

Produzione AGILE può essere definita come una strategia per introdurre nuovi prodotti in un mercato in
rapida evoluzione e un’organizzazione in grado di prosperare in un ambiente competitivo caratterizzato da
continui e talora imprevisti cambiamenti.

Un sistema produttivo Agile deve:


• essere economicamente valido sui bassi volumi di prodotto: lo si ottiene usando mezzi di produzione
flessibili caratterizzati da tempi di set up ridotti, attrezzature ed utensili riconfigurabili;
• essere capace di produrre su ordine del cliente: questo al fine di ridurre magazzini e merci invendute;
• capacità di customizzare la produzione di serie: un sistema Agile dovrebbe essere in grado di
produrre prodotti unici per un singolo cliente.

La produzione di serie è pensata per grande


produttività e bassa variabilità del
componente, per la produzione agile si ha una
alta variabilità e un basso numero di pezzi
prodotti.

Vediamo un esempio di sistema agile

Questa è una linea di lavorazioni motori, quindi per


lavorazione meccanica e ci sono due centri di lavorazioni
flessibili e un sistema di trasporto robot cartesiano, cioè i cui
movimenti avvengono secondo assi cartesiani.

Abbiamo una disposizione a matrice delle celle di lavorazioni


che sono servite da un primo sistema di trasporto che segue
la direzione delle colonne, posto a terra, e poi c’è un secondo
sistema di trasporto, aereo, che segue le righe.

Questo sistema è facilmente estendibile perché è modulare.

Inoltre le stazioni di lavoro non sono fissate in maniera definitiva sulle fondamenta, ma possono essere
facilmente scollegate e spostate, dunque il sistema produttivo può essere riconfigurato in maniera veloce.
10- Robot industriali 22/04/20

I robot hanno una svariata gamma di applicazione.


Nell’ industria si hanno alcune tipologie ben definite di robot che vengono utilizzati (ne sono 5).
I robot nascono per sostituire l’operatore in azioni che sono considerate critiche per l’operatore
(lavorazioni in ambienti insalubri, maneggiamento di carichi pesanti …).
Di base i robot sono dei manipolatori, sono dei sistemi per operazioni di presa e spostamento degli oggetti.
I robot sono delle strutture molto versatili che si sono prestati all’ implementazione in altri tipi di
applicazioni, ad esempio è frequente avere dei robot di saldatura, robot utilizzati per la verniciatura, robot
per il taglio.
Per quanto riguarda le lavorazioni meccaniche i robot vengono utilizzati solo nelle applicazioni che non
richiedono una grande precisone (rimozioni di bave, separazione di parti) questo perché i robot sono molto
flessibili nei movimenti, ma non sono molto precisi. Inoltre, sono strutture poco rigide e dunque possono
insorgere vibrazioni.
Il termine robot deriva dal cecoslovacco “ROBOTA” che significa lavoratore e nel comune linguaggio
industriale indica una macchina con (idealmente) funzioni e capacità simili a quelle dell’uomo.
Idealmente il robot è una macchina in grado di compiere operazioni di cui è capace l’uomo senza essere
affetta dai suoi limiti.
Secondo una definizione maggiormente ricorrente il robot è “un manipolatore multifunzionale
riprogrammabile, progettato per movimentare materiali, pezzi, utensili o attrezzi speciali attraverso
movimenti variabili programmati per l’esecuzione di una varietà di operazioni.
Le caratteristiche peculiari dei robot sono pertanto:
• la possibilità di manipolare oggetti o utensili;
• la flessibilità.
Entro certi limiti possono svolgere lavorazioni meccaniche come:
• Sbavature;
• Taglio.
Che non presentino elevate sollecitazioni, pena l’innesco di vibrazioni. In questi casi l’utensile motorizzato
viene installato sull’estremità del robot.
Robot – ragioni della diffusione
Ragioni sociologiche
• Mancanza di personale che accetta di dedicarsi ad attività puramente manuali e ripetitive o in
ambienti insalubri;
• Tendenza alla progressiva riduzione dell’orario di lavoro;
• Aumento del tenore di vita;
• Progressivo aumento del costo della manodopera
Ragioni tecniche:
• Le prestazioni tecniche dell’uomo non sono più sufficienti per l’esecuzione economica di un sempre
maggior numero di operazioni;
Ragioni economiche
• Crescita della concorrenza sui mercati mondiali;
• Utilizzo di impianti costosi la cui resa economica viene garantita solo da un loro intenso
sfruttamento ottenibile con i robot.
All’uomo resta dunque l’operazione di programmazione, controllo e supervisione dell’attività svolta dai
robot.
Origini dei robot
Leonardo da Vinci (codice atlantico) fu il primo a studiare il movimento degli arti umani per emularlo e
creare un automa.
Per lo studio di una manipolazione si fa riferimento allo studio della articolazione del braccio umano, il
robot dovrà essere capace di compiere movimenti uguali a questo (non tutti i robot lo fanno alla
perfezione).
Un robot è caratterizzato da 6 Grado di libertà, tre sono realizzati dalla struttura del robot, altri tre sono
realizzati dalla parte finale del robot (detto polso). 6 GDL sono necessari e sufficienti per raggiungere
qualsisia punto nello spazio di lavoro con qualsiasi orientamento.
Sul braccio umano la prima articolazione che si trova
è quella della spalla, poi il gomito e infine il polso
Sulla spalla abbiamo diverse possibilità di
movimento: possiamo sollevare e abbassare il
braccio e possiamo portarlo avanti e indietro, si
considerano dunque due rotazioni della spalla.
Sul gomito in un robot articolato si ha un grado
libertà, una rotazione.
Di base sul gomito si riconoscono 3 gradi di liberta

Robot - nomenclatura
Usualmente i movimenti del robot sono assai simili a
quelli del braccio umano; di conseguenza la denominazione dei vari elementi che lo costituiscono segue
quella comunemente adottata nell’anatomia umana.
Si hanno di conseguenza:
• Corpo: rappresenta la base strutturale principale;
• Spalla: la prima articolazione;
• Braccio;
• Gomito;
• Polso, sul polso sono poi montate le attrezzature;
• Mano, attrezzatura di mano;
• Dita (gripper) che rappresentano l’organo di presa di tutta la struttura, sono organi mobili della
mano.

24/04/2020
Gli elementi costitutivi dei robot industriali sono:
1. La struttura meccanica;
2. Il sistema di azionamento;
3. Il sistema di controllo o unità di governo;
4. I sensori

Nell’ immagine sono rappresentati 4 esempi di robot con un diverso modo di realizzazione dei gradi di libertà
a) struttura cartesiana 3 gradi di libertà di traslazione
b) struttura cilindrica 2 gradi di libertà di traslazione e 1 di rotazione
c) struttura sferica 2 gradi di libertà di rotazione e 1 di traslazione
d) struttura articolata 3 gradi di libertà di rotazione.
Tipi di robot - https://youtu.be/5tRT5j3jfsE
Nella robotica si realizzano, di solito, 6 gradi di libertà che sono quelli che ci permettono di raggiungere
qualsiasi punto dello spazio di lavoro in qualsiasi orientamento, 3 gradi di libertà sono realizzati dalla
struttura, ulteriori 3 gdl sono ottenuti normalmente sul polso e sono, di norma, 3 gradi di libertà di rotazione.
Il volume utile di lavoro è l’insieme dei punti cinematicamente raggiungibile dall’estremità del robot.
Robot: struttura cartesiana
• I tre movimenti principali sono realizzati da coppie
prismatiche;
• Ogni punto raggiungibile è individuato da una terna
cartesiana di riferimento, abbiamo un volume di lavoro che
è un parallelepipedo;
• sono fra i robot più precisi, la struttura è quella che
presenta la maggiore rigidezze, ciò vuol dire elevata
precisione e ripetibilità del movimento
• Poiché la struttura è rigida è possibile aumentare i volumi
di lavoro
• La modellazione e la programmazione sono semplici in quanto i movimenti avvengono lungo i tre
assi cartesiani
• Le strutture sono tipicamente ingombranti a causa della rotaia applicata al basamento
Vengono usati quando:
1. È necessaria un’elevata precisione e ripetibilità di posizionamento;
2. Sono necessari elevati volumi di lavoro;
3. Vi è la necessità di lavorare su più stazioni dislocate su di una stessa linea
Robot cartesiano - https://youtu.be/RDlBAPHjHI4, si vede che i movimenti non sono molto rapidi , quindi è
poco produttivo.

Il posizionamento
Per ogni robot vengono individuati due sistemi di riferimento, uno è quello cartesiano che vede un operatore
al di fuori del robot (sistema di riferimento world) queste coordinate dovranno poi essere scritte in forma
movimenti dei giunti del robot, che nel caso del robot cartesiano sono tre traslazioni. (x, y, z) → (xr, yr, zr)
Oppure c’è il problema inverso cioè conosco i movimenti dei giunti e devo capire in quale posizione si va a
posizionare il polso del robot.
Queste trasformazioni di coordinate vengono
normalmente dette cinematica diretta e inversa
del robot.
Problema diretto: si conoscono i movimenti dei
giunti e da questi si vanno a calcolare le
coordinate nel sistema di riferimento world
Problema inverso: si conoscono le coordinate
world e si vanno a calcolare i movimenti del
giunto.
Facciamo un esempio
X0, Y0, Z0: sistema di coordinate generali (world coordinate)
XE, YE, ZE: sistema di coordinate della mano (hand coordinate)
La direzione degli assi è definita con la regola della mano
destra, inoltre:
• Z0: allineato con il vettore accelerazione di gravità;
• ZE: uscente dalla mano, cioè è allineata con il braccio
• L’origine del sistema X0, Y0, Z0 viene definita dal
costruttore del robot;
• L’origine di XE, YE, ZE è il centro della mano
Il sistema di riferimento del robot è ruotato rispetto a quello
dell’operatore ed è posizionato sul polso.
Bisogna dunque fare un cambio di coordinate.
Se vogliamo raggiungere un punto di coordinate nel sistema world x, y, z lo spostamento Δx rispetto al punto
precedente dovrà corrispondere ad un Δz nel sistema del robot, Δy a Δx e Δz ad un Δy, dobbiamo dunque
effettuare una rotazione delle coordinate, applichiamo dunque una matrice di rototraslazione. Invertendo
questa matrice si può risolvere anche il problema diretto.
Vediamo qualche esempio di struttura
Struttura a portale o Gantry
Abbiamo delle colonne che sorreggono delle
strutture aeree e abbiamo delle traverse su cui si
può muovere l’unità operativa

La struttura a portale cinematicamente è simile


alla struttura cartesiana, ma ha un volume di lavoro superiore dal momento che l’unità operativa è libera di
muoversi sulla struttura
Può lavorare in ampi spazi per operazioni di movimentazione dei materiali
Strutture di dimensioni inferiori, che quindi avranno maggiore precisione vengono impiegate per operazioni
di montaggio, assemblaggio, collaudo e verifica di componenti meccanici.
Robot: struttura cilindrica
Nella struttura cilindrica si sostituisce il grado di traslazione alla base del robot
con un grado di rotazione.
In questa immagine si possono osservare i cablaggi, sulla parte posteriore del
robot ci sono dei corrugati che servono a portare i cavi in corrispondenza dei
giunti perché gli azionamenti (i motori) sono messi proprio in corrispondenza dei
vari giunti, il controllo invece non è posizionato sul robot, ma si trova in una
cabina ad una certa distanza per non intralciare il volume di lavoro del robot.
La presenza dei cavi comporta delle limitazioni
sull’ampiezza delle rotazioni. C’è un raggio massimo e minimo ed un’altezza
massima e minima che il robot può coprire.
L’angolo di rotazione è di circa 270 ֯ di rotazione.

La struttura, per la presenza di un grado di libertà di rotazione, è meno precisa di


quella cartesiana ma risulta più flessibile.
Si utilizza quindi quando si ha bisogno di una maggiore flessibilità rispetto alla
struttura cartesiana, garantisce comunque una buona precisione nei movimenti.
È utilizzato, ad esempio per l’asservimento di macchine utensili che si dispongono
a 90֯ l’una rispetto all’altra, oppure per operazioni di pic and place, cioè presa e
spostamento degli oggetti.
Posizionamento
Per questa struttura il sistema di riferimento world rimane cartesiano, le
coordinate del polso cambiano, abbiamo una rotazione, un’elevazione e
un’estensione del braccio.
Le coordinate cilindriche del robot sono:
1. Rotazione della struttura: θ
2. Raggio del braccio: r
3. Altezza del braccio: h
Un generico punto P visto dal robot viene espresso come: P (θ, r, h)
Lo stesso punto P visto dall’operatore in coordinate cartesiane diventa: P (x,
y, z)
Il legame tra le coordinate nel problema diretto è:
z = h;
y = r sin(θ)
x = r cos(θ)
il problema inverso è il seguente:
L’operatore esprime il punto P con le coordinate cartesiane P(x, y, z), l’unità di governo del robot deve
calcolare gli spostamenti degli assi (altezza h, raggio r, rotazione θ):

L’ arcotangente ha due soluzioni, occorre verificare quale tra le due soluzioni di θ cada nel volume di lavoro
del robot.

Robot: struttura sferica


Con la struttura sferica abbiam due assi di rotazione e una di traslazione
(l’estensione del braccio in modo lineare), il volume di lavoro non è ampissimo, è
essenzialmente una porzione di sfera.
La rotazione non è di 360֯ , l’ inclinazione del braccio è inferiore di 180֯ anche
volutamente perché si cerca di non avere doppie possibilità di movimento, più
limitiamo i movimenti più diventa semplice il calcolo dell’unità di governo, infine
abbiamo l’ estensione massima e minima del braccio.
E’ adatto all’asservimento delle macchine utensili, ad operazioni di saldatura, ma
ormai superato dall’avvento della struttura antropomorfa, infatti la struttura
sferica ha dei costi più elevati rispetto alle altre due strutture viste fino ad ora, ma
non raggiunge la flessibilità della struttura antropomorfa.
Il secondo asse di rotazione incrementa la flessibilità ma riduce la rigidezza e
dunque la precisione
Posizionamento
Struttura sferica: identificazione delle coordinate
Un generico punto P visto dal robot viene espresso come: P (θ, φ, r)
Lo stesso punto P visto dall’operatore in coordinate cartesiane diventa: P (x, y, z)
il problema diretto è, di solito, univoco ed è:
z = c + r sin (φ);
y= r’ sin(θ);
x = r’ cos(θ);
dove r’ = r cos (φ), quindi:
x = r cos (φ) cos (θ);
y = r cos (φ) sin (θ);
z = c + r sin (φ)

Il problema inverso è il seguente: l’operatore esprime il punto P con le coordinate cartesiane P(x,y,z), l’unità
di governo del robot deve calcolare gli spostamenti degli assi (rotazione φ, raggio r, rotazione θ):

Occorre verificare quale tra le due soluzioni di θ e φ cadano nel volume di lavoro del robot.

Robot: struttura antropomorfa

• La struttura antropomorfa è quella che in maggior misura riporta il


movimento del braccio umano.
• Si tratta della struttura più versatile e maggiormente utilizzata
nell’industria manifatturiera;
• La configurazione si avvicina molto a quella del braccio umano;
• Non dispone di un volume di lavoro molto esteso tuttavia può raggiungere
i punti da qualsiasi direzione e con qualsiasi orientamento della mano. Il
volume di lavoro è più ridotto a causa dei vincoli geometrici che non
permettono l’accesso ad alcune zone più interne del volume di controllo.
• La programmazione è molto complessa, perché si amplia il campo dei
possibili movimenti.
• Viene impiegato dove all’interno del volume di lavoro occorre superare
ostacoli, è molto versatile ma poco preciso
• Si presta ad operazioni di montaggio, di asservimento alle macchine
utensili, di saldatura, di sbavatura e di verniciatura.
Nello schema sulla destra abbiamo in basso
l’asse sulla spalla che realizza una rotazione,
abbiamo poi il gomito che realizza sempre
una rotazione e infine troviamo il polso su cui
sono realizzati gli ultimi 3 gradi di libertà che
sono, di solito, delle rotazioni.
I motori si trovano sui giunti, non vediamo i
motori sul polso perché di solito il moto viene
trasferito ed i motori per realizzare gli ultimi 3
gdl si trovano in corrispondenza del gomito,
questo per non caricare troppo il polso.

Non vediamo in questo caso le formule per il posizionamento perché sono più complesse.

• Robot antropomorfo - https://youtu.be/EbBwxDtDjPw

Robot: struttura SCARA


S.C.A.R.A. è l’acronimo di Selective Compliant Assembly Robot Arm, può essere tradotto come braccio
robotizzato di assemblaggio a movimento selettivo; è stato espressamente concepito per operazioni di
montaggio automatico di piccoli componenti meccanici ed elettronici. Ha dimensioni ridotte perché il volume
di lavoro richiesto non è elevatissimo.
Cinematicamente è costituito da:
• Due rotazioni attorno a due assi paralleli e paralleli all’ asse z;
• Una traslazione verticale

La struttura garantisce una notevole rapidità di posizionamento, elevata rigidezza e elevata ripetibilità che
può arrivare a valori inferiori a ± 0.05mm, per questo motivo è stata poi utilizzata anche in altre applicazioni
ad esempio in linee di assemblaggio, trasferimento di componenti.

È preciso come la struttura cartesiana, ma è più produttivo.

Posizionamento

Un generico punto P visto dal robot viene espresso come: P (θ0, θ1, z)

Lo stesso punto P visto dall’operatore in coordinate cartesiane diventa:


P (x, y, z)

Il legame tra le coordinate è complesso

Il polso
Con il polso si ottengono gli ultimi 3 gradi di libertà.

in questo polso abbiamo tre rotazioni


secondo tre assi non fra di loro ortogonali.

L’ asse 4 è quello di collegamento con il


braccio, la rotazione consiste in una
torsione del polso o del braccio.

L’ asse 5 è posto a 45֯ rispetto all’ asse 4,


questo può ruotare di 90 ֯ e può portare la
posizione dell’asse 6 da parallelo a
perpendicolare all’asse 4.

L’asse 6 è la rotazione finale del polso.

Poiché siamo nella parte finale del robot non abbiamo problemi di interferenza con i cavi, quindi la rotazione
può essere superiore a 360,֯ in questo caso è +/- 200֯.

C’è poi un'altra configurazione che è quella con gli assi di rotazione ortogonali fra di loro. ( è in realtà la più
utilizzata)

La frangia finale del robot è l’unico elemento standardizzato perché è un elemento di interfaccia, il fatto che
sia standardizzato ci permette di montare qualsiasi utensile.

Si arriva pertanto ad un numero di gradi di libertà (i movimenti del robot) pari a 6.

In alcune applicazioni è possibile aggiungere il 7° asse al robot costituito da una traslazione dell’intera
struttura su di una guida installata sul pavimento

Sul polso possono essere installate in alternativa una pinza o un utensile e gli ulteriori movimenti di questi
ultimi non vengono considerati nel computo dei gradi di libertà del robot in quanto considerati elementi
esterni.

• Polso del robot - https://youtu.be/dkdGMknoLmY

La mano
La mano del robot o end effector è uno degli elementi più importanti nella struttura del robot; la
configurazione della mano è funzione dell’impiego del robot.

La mano è dunque quel dispositivo che, collegato al polso, consente al robot di eseguire i compiti a cui è stato
destinato. Può essere costituita da:

• Un organo di presa (pinza);


• Un utensile (pinza di saldatura, pistola di verniciatura, in rari casi mettiamo utensili di taglio, inteso
come separazione di due parti, non asportazione di truciolo)

La mano: organi di presa


Sono dispositivi che consentono di afferrare e manipolare gli oggetti
Sono costituiti da organi prensili (dita a finger) che permettono di affermare saldamente l’oggetto
mediante l’apertura e la chiusura delle stesse
La struttura differisce a seconda dell’applicazione e a seconda del tipo di comando utilizzato per la presa:
• Comando meccanico;
• Comando magnetico;
• Comando a depressione
Hanno campi applicativi diversi.

Gli organi di comando meccanico sono di base delle pinze con due
elementi che si possono accostare l’uno all’ altro andandosi a
chiudere ai due lati dell’oggetto. I due lati possono avvicinarsi con
movimenti di rotazione o con movimenti di traslazione e sono
movimentati da sistemi di azionamento che sono loro volta
azionati con sistemi meccanici o elettrici.
Un limite del comando meccanico è che deve avere accesso ad
entrambi i lati del componete.

I gripper magnetici presentano un magnete


permanente che può essere spostato verso la
superficie per sviluppare una forza attrattiva,
oppure allontanato, tramite un comando di tipo
pneumatico.
Il magnete esercita una forza normale alla
superficie, sono trascurabili le componenti della
forza di taglio, per questo motivo all’estremità
del gripper c’è un gommino il quale svilupperà
una forza di attrito con la lamiera quando questa
sarà attratta verso il magnete, questa forza di
attrito mi garantisce una certa tenuta nella direzione di taglio.

• Gripper magnetico - https://youtu.be/hcXJ98mXHZE

La forza di questi gripper non è elevatissima ma se ne possono utilizzare di più contemporaneamente,


permettono la presa da un solo lato, ma funzionano solo con materiali ferromagnetici.
Con gli organi di presa a depressione la
ventosa riesce ad adattarsi a superfici non
piane, la forza di attrazione non è molto
elevata, quindi non si riescono a trasportare
carichi elevati.

• Gripper a depressione - https://youtu.be/X_jyMHPXMe8

Organi di presa
Nella robotica, generalmente, non c’è richiesta di flessibilità poiché i robot vengono installati e programmati
e non subiscono cambi di produzione
Lo stato attuale della robotica industriale è ancora lungi da rendere disponibili gripper dotati di flessibilità e
versatilità paragonabili alla mano umana.
Talvolta è possibile che il robot debba manipolare oggetti differenti come tipo e dimensione e dunque debba
utilizzare un gripper diverso, si ricorre al sistema automatico di cambio gripper usando opportuni magazzini,
i magazzini non sono ampi come nel caso delle macchine utensili.
Sulla frangia deve essere installato un dispositivo per il cambio automatico del gripper.
• Cambio gripper - https://youtu.be/xjvzhvMTdTc

La mano: utensili
Al polso del robot possono essere installati utensili di vario tipo in funzione dell’operazione da eseguire ad
esempio:
• Utensili per saldature ad arco, per punti…;
• Utensili per sbavare (piccole frese o mole abrasive);
• Pistole per verniciatura;
• Piccoli crogioli per la colata dei metalli;
• Teste laser per taglio e saldatura;
• Pistole per la deposizione di collanti;

Sistema di azionamento
L’azionamento è il dispositivo atto a trasformare energia di vario tipo in energia meccanica sulla base di
segnali di comando in bassa potenza
Gli azionamenti dedicati alla robotica sono essenzialmente di tre tipi:
• Pneumatico
• Oleodinamico
• Elettrico

Azionamento pneumatico
Consente direttamente il moto di traslazione, se abbiamo una cerniera fra due elementi del robot si riesce
ad ottenere anche una rotazione. Funziona utilizzando l’aria che arriva dalla rete che è a 5bar, inviando
pressione in camera si genera una forza che fa spostare il pistone, il ritorno si può ottenere con una molla
oppure si possono utilizzare dei cilindri a doppio effetto e quindi inviare aria compressa ad una seconda
camera favorire il rientro del pistone.
E’ poco costoso tuttavia è poco rigido poiché l’aria
è fortemente comprimibile, quindi se si applica
una forza all’ estremità del pistone si può avere un
movimento involontario del pistone e quindi
ottenere una perdita di riferimento;
Viene impiegato esclusivamente nei manipolatori
molto semplici ad uno o due gradi di libertà e per
l’esecuzione ripetitive semplici di tipo “pick and
place”;

Azionamenti oleodinamico
È destinato a robot di notevoli dimensioni che devono manipolare oggetti molto pesanti, in questi casi spesso
non possono essere utilizzati azionamenti elettrici perché le potenze non sono sufficienti.

Sono simili agli azionamenti pneumatici, ma invece di aria si usa olio complesso.

Presenta tre inconvenienti:

1. Le potenze utilizzate dagli assi, rispetto alla potenza installata complessiva, sono piccole. La maggior
parte di energia è spesa per la gestione dell’olio;
2. La regolazione avviene tramite servovalvole complesse e costose e poco efficienti a causa di innesco
di vibrazioni;
3. L’intero impianto è a pressione elevata, più complesso di quello elettrico e vi sono sempre
trafilamenti di olio.

Per questi motivi vengono utilizzati solo quando sono assolutamente necessari.

Azionamento elettrico

Si tratta dell’azionamento più diffuso per ragioni di:

• Precisione e ripetibilità;
• Semplicità di controllo;
• Semplicità di interfacciamento con l’unità di governo

Vengono utilizzati azionamenti con:

• Motore passo passo (robot semplici e poco precisi);


• Servomotore a corrente continua;
• Motori brushless;
• Motori asincroni con inverter

Necessitano del sistema di pilotaggio per il comando del motore


Unità di governo

La programmazione e il controllo dei movimenti del robot avvengono attraverso la sua unità di governo che
è usualmente costituita da un armadio elettrico ed elettronico separato dalla struttura meccanica del robot;

L’armadio contiene:

• Le schede elettroniche di controllo e programmazione;


• Le memorie;
• Gli azionamenti;
• I quadri elettrici di potenza

I robot sono chiusi in delle gabbie per questioni di sicurezza, per


non occupare il volume di lavoro del robot e per permettere l’interfacciamento con l’operatore l’unità di
governo e posta all’esterno.
L’ aspetto è diverso dall’ unità di governo del controllo numerico, ci sono pochi tasti e un elemento movibile
che è un joystick che ha un piccolo schermo e alcuni tasti e questo viene utilizzato per attività di
programmazione o manutenzione del robot, più piccola c’è poi una cabina elettrica per inviare
l’alimentazione ai diversi motori.
Ci sono poi delle porte a cui si può collegare un portatile in modo che l’operatore può comunicare con l’unità
di governo del robot.
All’unità di governo vengono connessi:
• Le apparecchiature per la programmazione dei movimenti (tastiera, monitor);
• Gli azionamenti;
• Trasduttori di posizione;
• Sensori

Le schede elettroniche che realizzano il controllo e permettono la programmazione sono basate su un


sistema multiprocessore con compiti di:
• Programmazione (possono essere importati programmi oppure possono essere fatti sull’unità di
governo)
• Gestione;
• Interpolazione;
• Trasformazione di coordinate
• Controllo dei dati provenienti dai sensori (i sensori si trovano anche nell’ambiente di lavoro)
Gli ultimi due punto sono tipici dei robot.

Il sistema di controllo opera ovviamente con uno schema ad anello chiuso con retroazione di velocità e
posizione I robot operano con due sistemi di controllo:
• Punto a punto: il movimento tra due punti avviene senza il controllo della traiettoria. Viene utilizzato
per applicazioni di movimentazione, saldatura a punti e montaggio, ci interessa il punto iniziale e
finale del pezzo;
• Continuo: il movimento tra due punti avviene con il controllo della traiettoria, vi è dunque la
necessità di un interpolatore. Le applicazioni tipiche sono la saldatura ad arco (dunque dobbiamo
realizzare un cordone di saldatura), la verniciatura. Usualmente il moto tra due punti segue una
traiettoria rettilinea, in alcuni casi abbiamo traiettorie più complicate, ad esempio nel taglio laser di
particolari componenti;
La struttura hardware dell’unità di governo è simile a quella utilizzata per le macchine utensili a controllo
numerico Devono ovviamente essere dotate di funzioni di autodiagnostica.
Il sistema di controllo del robot sovraintende alle seguenti funzioni:
1. Comando: fornisce la posizione e la velocità impostate all’azionamento previo confronto con quelle
attuali;
2. Cinematica: fornisce, data la posizione richiesta, le effettive posizioni dei vari assi (cambiamento di
coordinate o viceversa;
3. Dinamica: dati i carichi sul braccio effettua la correzione sugli azionamenti per ottenere le migliori
prestazioni e per evitare vibrazioni (vengono regolate le velocità e le accelerazioni), talvolta sul robot
sono montati dei sensori, degli accelerometrici che sentono le vibrazioni e inviano i dati all’unità di
governo che correggerà velocità e accelerazione, è una sorta di controllo adattativo;
4. Gestione dei sensori: conoscendo l’operazione da svolgere abilita i sensori disponibili (visione,
contatto….) per determinare la sequenza dei movimenti. Ad esempio, misurando la forza sulla pinza
è possibile evitare il suo danneggiamento nel caso in cui questa si incastri sul pezzo;

I sensori
I sensori sono una parte molto importante della robotica perché permettono al robot di interagire con
l’ambiente, sono i sensori che conferiscono una certa intelligenza artificiale ai robot.

Di base partiamo con il programma che viene inserita nell’ unità di governo e ci permette di effettuare il
controllo degli assi del robot, nell’ambiente di lavoro del robot, quindi non per forza sul robot, sono inseriti
dei sensori i cui segnali sono elaborati dai degli algoritmi, questi poi verranno inviati al controllo di posizione
e dunque si potrà lavorare sulla gestione del robot.

I sensori
Fanno accrescere la gamma di applicazione dei robot per la loro capacità di identificare automaticamente le
posizioni e lo stato del pezzo e di comandare successivamente la sequenza del moto del robot. Permettono
dunque l’interazione con il mondo esterno; L’ambiente esterno è l’insieme di macchine, attrezzature i cui
componenti interagiscono con le operazioni svolte dal robot
Ad esempio, nell’asservimento di una macchina utensile in cui cioè il robot deve prendere il pezzo finito dalla
work station e lo posiziona nel magazzino dei componenti finiti, poi prende il grezzo, da un altro magazzino,
e lo porta in lavorazione.
In questo esempio, il robot deve conoscere:
• Quando il ciclo di lavorazione è ultimato;
• Se il magazzino del finito ha spazio disponibile;
• Se il nuovo grezzo è nella corretta zona di prelievo
Tutte queste informazioni ce le possono dare i sensori, i cui segnali vengono mandati all’unità di governo la
quale attende il segnale per abilitare l’operazione successiva, ad esempio attende che il magazzino dei finiti
sia libero e il portello sia aperto per dire al robot preleva il componente e depositalo, attende che il magazzino
dei grezzi sia occupato per dire al robot di prendere il grezzo e portarlo in lavorazione.
L’unità di governo deve essere quindi predisposta per gestire un elevato numero di segnali analogici e digitali
sia in entrata che in uscita.

Abbiamo tre tipologie principali di sensori


1. Di contatto
2. Di forza
3. Di visione

SENSORI DI CONTATTO

I sensori di contatto ci servono principalmente per riconoscere la presenza di un oggetto.


Vengono detti di contatto, ma in realtà non è sempre necessario il contatto dell’oggetto con il sensore, basta
che stia vicino.
Possono essere costituiti da:
• Microinterruttori, questi hanno bisogno del contatto chiudere l’interruttore;
• Sensori capacitivi o induttivi di prossimità, questi generano un campo magnetico o elettrico che
vengono disturbati dalla presenza dell’oggetto e dunque il segnale varia. Questi sensori non hanno
bisogno di un contatto diretto;
• Matrici sensibili alla pressione, sono delle piccole lamelle che all’interno presentano delle resistenze,
se un oggetto tocca queste lamelle cambia la resistenza, c’è una variazione del segnale elettrico che
viene recepita dall’unità di governo. Questi sensori hanno bisogno di un contatto diretto.
Vengono installati:
• Nell’ambiente esterno per controllare l’apertura di un organo della macchina da asservire;
• Sulle dita del robot per sentire la presenza dell’oggetto.
Gli usi potenziali sono nel:
• Montaggio per eseguire allineamenti;
• Ispezione per identificare il pezzo;
• Manipolazione per individuare il pezzo.

Video Proximity - https://youtu.be/2-X9Sir0YZE

SENSORI DI FORZA

Il sensore di forza o trasduttore di forza viene impiegato nelle seguenti situazioni:


• Misura di forze dinamiche. Es. Forze esercitate sul polso del robot durante le fasi di accelerazione e
decelerazione dell’oggetto in movimento.
• Misura delle forze statiche. Es. Forze esercitate dalla pinza sulla superficie dell’oggetto durante la
fase di presa.
Sono utili per capire se il robot sta eseguendo operazioni corrette o se l’aumento delle sollecitazioni è
indice di urti o forzamenti con elementi dell’ambiente esterno.
Le applicazioni possono essere individuate nella manipolazione e nel montaggio

• Sensori di forza (applicazioni) - https://youtu.be/4Ro6rQbePqE

Sensori di visione
La visione è la più potente delle doti percettive del Robot; i suoi compiti sono:
• Misura delle dimensioni (estrazione dei parametri geometrici
• Riconoscimento di oggetti
• Misura della posizione e/o dell’orientazione
Il sensore di visione rende il robot in grado di correggere in tempo reale i movimenti in funzione
dell’immagine analizzata. Tale caratteristica viene utilizzata per:
• Prelevare oggetti disposti in ordine sparso;
• Riconoscere elementi disposti assieme ad altri;
• Eseguire controlli;
• Effettuare operazioni di assemblaggio che richiedono allineamenti preventivi.

I sensori di visione sono costituiti da:

• Un sistema di illuminazione;
• Una o più telecamere, se ci basta una visione 2D basta una telecamera, altrimenti abbiamo bisogno
di più telecamere;
• Un sistema computerizzato per l’analisi delle immagini.

La telecamera può essere installata sul robot o trovarsi in una posizione fissa del volume di lavoro.

Molti dati che acquistiamo non ci interessano e dunque per ovvie ragioni di tempo di elaborazione
dell’immagine acquisita è necessario estrarre una serie di parametri da confrontare con quelli di
riferimento. Non è infatti pensabile effettuare un confronto pixel per pixel e si opera usualmente con una
sola telecamera e quindi in modo bidimensionale L’immagine acquisita a colori viene:

1. trasformata a livelli di grigio;


2. sogliata per trasformarla in un’immagine binaria;
3. analizzata per estrarre i parametri

Sull’immagine di sinistra abbiamo una visione


bidimensionale di un cubo ed un cilindro con un foro e con i
quadratini sono rappresentati i pixel che si acquisiscono con
la telecamera. Con l’elaborazione della macchina avremmo
alcuni pixel che vengono attivati che corrispondono alla
geometria dell’immagine, nell’ immagine di destra sono
rappresentati i pixel attivati. L’ immagine non è precisa
perché i pixel sono molto grandi (nella realtà la risoluzione
è migliore). Conoscendo l’immagine di destra si possono
calcolare area e perimetro dei due oggetti, la presenza di
fori, si possono applicare degli algoritmi per il
riconoscimento delle geometrie etc..

Altro esempio è il calcolo del baricentro che è importante per posizionare bene il polso nel punto di presa

Vediamo qual è la procedura operativa.


Abbiamo l’unità di governo (qui è rappresentata da un computer, abbiamo visto che in realtà non è un
computer, ma ha la forma di un “armadio”) il robot viene programmato per seguire una certa traiettoria. Con
la visione si aggiunge all’ interno di del volume di lavoro del robot una videocamera che cattura un’immagine,
da cui si estraggono i paramenti che vengono confrontati con dei valori di riferimento che sono i valori attesi
che hanno una valenza statistica, quindi c’è un range in cui il valore può cambiare. Se i due valori sono molto
discordanti si fa una correzione sul movimento del robot

• Sensori di visione (assemblaggio) - https://youtu.be/ZrquLlVzClo


• Sensori di visione (presa da cassa) - https://youtu.be/SojBraSj1TA

Sensori: altri tipi


• Laser, a ultrasuoni o a infrarossi laddove si voglia misurare la distanza tra la mano del robot e gli
oggetti circostanti. L’impiego si concentra laddove sia necessario mantenere costante la distanza
tra l’utensile montato sul robot e l’oggetto esterno (saldatura laser, verniciatura), quando si fa
saldatura laser questo viene concentrato in un punto in modo da concentrare l’energia, per non far
perdere al laser la sua forza la distanza fra il laser e l’oggetto da saldare deve essere costante;
• Vocali per comandare e programmare il robot, questi sono ancora a livello prototipale, si sta
lavorando molto a questi sensori, il problema è creare degli algoritmi che si colleghino la semantica
della frase di comando ai movimenti dei robot.

5/05/2020

Programmazione

Il discordo è un po’ diverso da quello fatto per le macchine a controllo numerico, per prima cosa non si usa
un linguaggio unificato di tipo ISO.

La programmazione dei movimenti dei robot può essere realizzata nei modi seguenti:
1. Programmazione manuale per autoapprendimento;
2. Programmazione manuale tramite linguaggio;
3. Programmazione assistita OFF-LINE

Metodi di programmazione - https://youtu.be/I-M1x6aWPs8

Programmazione: autoapprendimento
L’ autoapprendimento è una delle modalità più semplici di programmazione e coinvolge il robot nella
programmazione.
Questo tipo di programmazione di base consiste nel muovere il braccio robotizzato e memorizzare, con una
certa frequenza le posizioni dei giunti del robot, dunque in modo continuo, oppure lasciare all’operatore il
compito di muovere il robot e memorizzare punto per punto la posizione dei giunti.
Per movimentare il robot ci sono due possibilità:
1. L’operatore istruisce il robot facendo percorrere la traiettoria desiderata attraverso l’uso di un
terminale di programmazione portatile (joystick) e muovere gli assi dei robot, lavorando in
cinematica diretta
2. in alternativa è possibile montare un apposito dispositivo sul polso del robot e spostare il robot
tramite questi appositi attuatori, cinematica inversa.
Man mano che il robot si sposta i punti della traiettoria vengono memorizzati per poter essere formare il
programma, a cui si possono aggiungere ulteriori comandi come mettere in pausa o comandare l’apertura o
la chiusura di una pinza.
Una volta terminata la fase di programmazione il robot diventa operativo.
L’unità di governo memorizza dunque il percorso seguito in modo da poterlo ripetere automaticamente su
richiesta

Programmazione tramite linguaggio


Le moderne unità di governo dei robot forniscono la possibilità di programmare il robot attraverso la stesura
di linguaggi scritti con appositi linguaggi che sono di uso relativamente semplice; Si tratta di linguaggi di
programmazione orientati alla descrizione delle operazioni eseguibili dal robot tipo:
• Movimento a un punto;
• Apertura o chiusura dell’organo di presa;
• Attesa;
• Controllo dello stato dei sensori esterni.
Sono tipicamente disponibili istruzioni per eseguire:
• L’interpolazione lineare;
• L’interpolazione circolare;
• La programmazione di traiettorie complesse
Anche questo tipo di programmazione richiede l’impiego del robot perché per comandare i movimenti bisogna
rilevare le posizioni che il robot deve assumere e questo viene fatto sul campo.
Il programmatore scrive il codice rilevando le quote da raggiungere direttamente sul campo caricandole
direttamente nella memoria dell’unità di governo, per fare questa programmazione all’ unità di governo deve
essere collegato un pc così da poter avere accesso alla memoria dell’unità di governo. (di morva l’unità di
governo non ha un monitor e una tastiera collegata)

Programmazione assistita off-line

Con questo tipo di programmazione ci avviciniamo di più al CAM visto con le macchine utensili a CN.
In questo caso lavoriamo in virtuale, avviene con l’ausilio di un calcolatore esterno senza utilizzare il robot
che quindi rimane sempre produttivo.
Nel calcolatore è presente un software specifico per la programmazione dei robot che si basa su un CAD 3D,
questo non è un semplice CAD 3D deve avere delle funzioni che permettono di movimentare in virtuale il
robot e convertire i movimenti che si realizzano nel programma che sarà caricato nell’unità di governo
Questi software hanno un ambiente grafico in cui si può visualizzare il robot e tutto l’ambiente di lavoro in
cui il robot opera (questa è una differenza col caso delle MU a CN per le quali il volume di lavoro era interno
alla macchina utensile) , questo serve per evitare le collisioni, dunque bisogna avere i modelli CAD 3D di tutto
quello che contenuto nell’ambiente di lavoro, inserirlo nel modello virtuale della cella di lavorazione e avere
anche delle funzioni di riconoscimento delle collisioni
Nel caso della programmazione on-line non c’è il rischio di collisione perché il robot viene mosso realmente.
Una volta realizzato nell’ambiente virtuale il modello della cella di lavoro si procede in modo analoga ai casi
di programmazione visti prima, solo che non si muove realmente il robot ma lo si fa virtualmente.

Avviene con l’ausilio di un calcolatore esterno senza utilizzare il robot e la sua unità di governo. Ciò permette
di non bloccare la il robot e quindi la cella asservita dallo stesso;
Questo tipo di programmazione è tipicamente collegata ad un sistema CAD tridimensionale nell’ambito del
quale vengono simulati, sullo schermo di un terminale grafico, l’ambiente operativo e la struttuta del robot;
L’operatore tramite semplici comandi muove virtualmente il robot secondo le traiettorie desiderate ed il
sistema di programmazione provvede a tradurre tali movimenti nel linguaggio di programmazione
intelleggibile dall’unità di governo;
Esistono una serie di tecniche per la generazione automatica delle traiettorie verificando l’assenza di
collisioni con gli oggetti dell’ambiente circostante;

Questo tipo di programmazione necessita dunque delle seguenti informazioni:


1. Descrizione geometrica di tutti gli oggetti presenti nell’ambiente di lavoro, per alcuni oggetti è semplice
avere ila descrizione 3D (robot, compenti in lavorazione), per altri oggetti è più complicato;
2. Descrizione fisica di tutti gli oggetti (massa, momento di inerzia..);
3. Descrizione cinematica di tutti i giunti del robot, quindi bisogna dare le informazioni sui limiti delle rotazioni
dei giunti;
4. Descrizione delle caratteristiche dei manipolatori: limiti sui giunti, accelerazioni possibili e delle
caratteristiche dei sensori.

Solo se disponiamo di tutte queste informazioni si riesce ad ottenere una corretta programmazione.
Una volta che il programma è stato generato, post processato ed inserito nell’ unità di governo del robot si
esegue una prima simulazione dei movimenti a bassa velocità per verificare che non vi siano collisioni e poi
si parte con la produzione, si passa cioè alla parte operativa

• Programmazione off-line - https://youtu.be/sUrXHsx3nnk

Una programmazione di questo tipo è utile quando l’ambiente di lavoro diventa più complicato, ad esempio
abbiamo più robot che lavorano assieme condividendo porzioni del loro ambiente di lavoro, quindi è più
difficile evitare la collisione con una programmazione manuale.

La programmazione off-line è vantaggiosa perché permette di poter ottimizzare il processo produttivo perché
questi software possedendo tutte e informazioni di cinematica e dinamica permettono di prevedere quali
sono i temi di lavorazione.
Una volta che un robot è stato programmato questo continuerà a seguire quel programma per anni, dunque
i costi di programmazione e il tempo di programmazione è richiesto solo all’inizio.
L’azienda che avvia una linea robotizzata non avrà l’interesse ad investire capitale per l’acquisto della licenza
del software e per la formazione di personale, per cui normalmente l’ operazione di programmazione viene
demandata a chi si occupa della progettazione e della produzione della linea produttiva o a dei servizi di
consulenza che si occupano esclusivamente della programmazione.

Come faccio a scegliere un robot? Quali sono le caratteristiche dei robot contenute nei data shith?
Le caratteristiche dei robot sono le seguenti:
• Tipo;
• Precisione dei movimenti;
• Gradi di libertà;
• Capacità di carico;
• Velocità di lavoro

Il Tipo , cioè è il tipo d struttura del robot (cartesiano, cilindrico sferico, articolato, antropomorfo SCARA)
Il tipo di robot ha come conseguenza l’individuazione delle dimensioni del volume operativo.
Il Volume operativo

Con volume di lavoro ai punti raggiungibili dal polso e non tiene conto dell’organo di presa, che potrà poi
aumentare l’effettivo volume di lavoro.

Dipende dalla struttura del robot, dalle sue dimensioni e dai limiti imposti ai movimenti delle coppie
cinematiche (cioè ai vari giunti)

La forma del volume di lavoro è caratteristica per ogni tipo di robot, ma poi la dimensione dipenderà dall0
specifico robot

1. Un parallelepipedo per il robot cartesiano;


2. Una porzione di cilindro per il robot cilindrico;
3. Una porzione di sfera per il robot sferico;
4. Una figura irregolare per i robot articolato e S.C.A.R.A.
Il volume di lavoro viene fornito dal costruttore sottoforma di grafici quotati, quando i volumi di lavoro è più
semplice, come per il robot cartesiano vengono dati i valori min e max fra cui può variare la posizione di ogni
asse.

L’ attrezzatura montata sul polso avrà anche essa delle possibilità di movimento, i gradi libertà
dell’attrezzatura non vengono conteggiati nei gradi di libertà del robot perché normalmente non vengono
controllati dall’unità di governo del robot.

In questo caso al polso del robot è


collegata una pinza saldatrice, il volume di
lavoro del robot, senza pinza è una sfera,
però quando si monta la pinta non tutta
l’area è utilizzabile perché possono
insorgere delle interferenze (dovute ad
esempio ai vari cavi elettrici)
Per ridurre le interferenze di realizzano dei
robot con polso cavo, quindi all’ interno
del polso e del braccio che è cavo vengono
posti i vari cavi e quindi cosi si aumenta
l’effettivo volume di lavoro.

La precisione dei movimenti viene valutata dal polso è un elemento essenziale che condiziona l’applicazione
del robot; viene descritta da tre grandezze:
• Risoluzione: si tratta del più piccolo movimento del polso che può essere controllato dal robot, non
quello che si può realizzare;
• Precisione: è la capacità di posizionare l’organo di presa in un determinato punto all’interno del
volume di lavoro;
• Ripetibilità: è la capacità del robot di riposizionarsi nello stesso punto quando viene fornito lo stesso
comando.
Risoluzione
La risoluzione è sia funzione della possibilità di movimento die giunti e funzu
Dipende da:
1. risoluzione del sistema di controllo;
2. imprecisione meccanica dei vari giunti;
3. tipologia dei giunti che definiscono la struttura;
4. rigidezza dei giunti;

Il movimento del polso deve essere suddiviso nei movimenti base di ciascun giunto (secondo i gradi di libertà);
ciascun movimento base ha una propria risoluzione e dunque la risoluzione complessiva del polso sarà un
vettore dato dalla combinazione vettoriale dei vettori rappresentanti le singole risoluzioni.
È comunque funzione dei trasduttori utilizzati e dal tipo di unità di governo. Incrementando la capacità
dell’unità di governo in termini di bit disponibili si ottiene una miglior risoluzione.

Consideriamo un robot di tipo cartesiano e consideriamo 2 suoi assi, per ogni asse sarà definita una
risoluzione che dipende dal tipo di trasduttore, ma dipende anche dalla memoria della unità di controllo
dedicata alla memorizzazione della posizione di quell’ asse. Supponiamo che in memoria vengano dedicati
10 bit per tenere traccia della posizione dell’asse, quindi abbiamo 210 possibilità, cioè 1024 codici che ci
rappresentano le posizioni di quell’asse, se l’asse è di 400 mm abbiamo una risoluzione di 0.3906 mm.
Se supponiamo che gli assi siano uguali e
vediamo il movimento del polso con
risultante della posizione degli assi 1 e 2
ricaviamo la risoluzione totale.
La risoluzione totale sull’elemento finale
sarà maggiore di quello dei singoli assi,
quindi sarà affetta da maggiori errori.
Nei robot abbiamo una catena cinematica
su sei assi dunque la risoluzione sarà ancora
maggiore, inoltre bisogna tener conto di
altri fattori. Normalmente sul polso la
risoluzione sul polso di un robot è
dell’ordine di qualche decimo di millimetro.
Precisone dei movimenti

Altro fattore importante abbiamo detto


essere la precisione dei movimenti che è
la capacità di posizionare l’organo di
presa in un determinato punto
all’interno del volume di lavoro, il robot
è preciso più si posiziona vicino al punto da raggiungere;
È strettamente legata alla risoluzione, è tanto migliore quanto più è piccola la risoluzione anche se non è da
confondere con questa;
l’unità di governo riesce a riconoscere la posizione come multiplo della risoluzione al punto, n-1 e n sono i
punti che l’unità di governo riesce a riconoscere.
Idealmente è pari alla metà della risoluzione
La precisione è condizionata dalle imprecisioni meccaniche dei giunti, dalle deformazioni elastiche della
struttura…… Sarebbe auspicabile che fosse costante nell’intero volume di lavoro anche se nella realtà varia
in funzione del posizionamento, ad esempio un robot che si trova alla massima estensione ha una rigidezza
minima, lo stesso robot che si trova in configurazioni di chiusura ha una rigidezza maggiore (quando la
rigidezza è maggiore la precisione sarà maggiore)

La ripetibilità
Può essere definita come la capacità del robot di posizionarsi sempre nello stesso punto quando gli viene
fornito lo stesso comando, non deve essere confusa con la precisione.
Usualmente la ripetibilità è inferiore alla precisione, le cause principali dell’errore di ripetibilità sono le
imprecisioni meccaniche (giochi) dei giunti e dell’organo di presa Al pari della precisione la ripetibilità
dovrebbe mantenersi costante nel volume di lavoro del robot.

Supponiamo di voler raggiungere il


punto N ordino al robot che si trova
nella posizione base di posizionarsi nel
punto N, questo effettivamente si
posizionerà in un punto reale, il robot
non si rende conto di essere
esattamente in quel punto perché
riconoscerà la posizione in base alla risoluzione, con sistemi di misura esterni posso però sapere con molta
precisione il punto in cui si trova il polso quando è stato posizionato.
Riporto poi il robot nella posizione base e gli dico di posizionarsi nuovamente nel punto N, il polso si andrà a
posizionare in un punto che non sarà esattamente sovrapposto al punto precedente, ma sarà in prossimità
di quel punto. Ripetendo la stessa operazione per più volte si può creare una posizione di inviluppo che
racchiude tutti i punti che vengono raggiunti dal robot inviando sempre lo stesso comando.

Possiamo definire la che la distanza del centro della sfera e il punto N è la precisone in termini statistici, il
raggio della sfera R indica invece la ripetibilità, se R è piccolo il robot tende a portasi sempre in un piccolo
intono del punto, se il raggio è grande il punto raggiunto dal punto non è sempre lo stesso.
Comunque, questi valori sono sempre inferiori alla risoluzione perché altrimenti l’unità di governo riconosce
queste variazioni e agisce sugli assi.
L’ ideale è avere un robot che sia preciso e ripetibile, non sempre si riesce ad avere questa caratteristica, non
sempre è semplice avare un robot preciso, quello che si può fare è lavorare sulla ripetibilità.
Se ci troviamo nel caso di un robot con una buona ripetibilità e una precisone non elevata si può eseguire
una compensazione software degli errori, quindi un controllo adattativo di tipo geometrico e compensare gli
errori di posizionamento per recuperare in termini di precisone dei movimenti del robot.

La velocità di lavoro e la capacità di carico sono fortemente collegata l’una all’ altra.
La capacità di carico (o payload) può essere definita come il massimo peso che il robot può trasportare nelle
condizioni di maggiore estensione della struttura, cioè nel caso più critico in termini di rigidezza della
struttura, cioè il carico massimo che può essere trasportato senza incorrere in problematiche strutturali e
senza che si inneschino delle vibrazioni.
La capacità di carico è molto variabile, può variare dai 3 ai 300 kg a seconda del tipo di robot.

La velocità di lavoro è invece la velocità con cui si muove il robot quando sta operando, quindi non è la
massima velocità che può raggiungere il robot quando è scarico, ma è una percentuale di questa velocità
massima.
La velocità di lavoro: tanto più è elevata tanto maggiore è la produttività, valori tipici sono di qualche metro
al secondo. È comunque legata al carico portato dalla pinza, alla precisione con cui si vuole effettuare il
posizionamento e alla distanza da percorrere:
• Oggetti pesanti non possono essere mossi rapidamente pena l’innesco di vibrazioni e la degradazione
della precisione nel successivo posizionamento
• In generale per un posizionamento preciso tenendo conto dell’accelerazione e delle inerzie occorre
operare con basse velocità.
Quanto più alto è il carico e più fine la precisione che si vuole realizzare più bassa sarà la velocità.
Se abbiamo carichi più bassi e minore esigenza di precisione possiamo lavorare a velocità più late e quindi
incrementare la produttività del sistema.

Applicazioni
L’impiego dei robot nelle industrie manifatturiere permette di ottenere i vantaggi tipici dell’automazione
industriale e precisamente:

• Miglioramento della qualità del prodotto vista la costanza del loro rendimento, perché c’è ripetibilità
rispetto ai diversi ;
• Aumento della produttività, i robot lavorano senza interruzioni con movimenti veloci e ottimizzati;
• Miglioramenti dell’immagine dell’azienda in termini di competitività;
• Possibilità di lavorare in ambienti ostili all’uomo;
• Minore richiesta di personale addetto alla conduzione di impianti produttivi

Criteri generali per l’introduzione


l’installazione di un robot in un ambiente industriale può portare a significativi benefici economici se:

• L’ambiente di lavoro è ostile e pericoloso per l’uomo;


• Il lavoro è fortemente ripetitivo;
• Vi è difficoltà di manipolazione manuale per il peso e/o l’ingombro dei pezzi;
• Vi è necessità di asservire macchine ad elevata produttività (presse idrauliche per imbutitura, presse
a iniezione….);
• Minore richiesta di personale addetto alla conduzione di impianti produttivi

Robot: classificazione in base all’impiego


L’importanza della classificazione deriva dalla necessità di poter distinguere tra di loro i robot in base alle
proprie caratteristiche peculiari, catalogandoli in modo sistematico in classi omogenee;
I robot vengono specializzati per un determinato lavoro e possono essere classificati in:
• Robot per verniciatura;
• Robot per saldatura;
• Robot di montaggio;
• Robot di manipolazione;
• Robot di misura e ispezione

Robot di verniciatura
• Devono eseguire movimenti alternativi e ripetitivi, non è richiesta un’elevata precisione ma una
buona ripetibilità nell’esecuzione di movimenti ampi;
• Il carico trasportato è basso, il contenitore della vernice non è posto sul polso, la struttura ideale è
quella articolata per poter penetrare anche all’interno di strutture chiuse;
• Volendo garantire una traiettoria prestabilita e precisa l’azionamento più indicato è quello elettrico
anche se la parte elettrica deve essere realizzata in modo opportuno per evitare esplosioni e questo
determina un incremento di costo, oggi comunque si utilizzano vernici all’acqua quindi non c’è
questo problema.
• In questi robot viene impiegato il controllo continuo della traiettoria
Quindi una struttura articolato, con un payload non elevato, quindi la taglia del robot dipende dal volume di
lavoro richiesto.
Robot di saldatura
• E’ del tutto analogo a quello di verniciatura, anche in questo caso ci serve flessibilità nei movimenti
quindi scegliamo un robot articolato, una prima differenza sta nel fatto che il payload è più elevato,
soprattutto nel caso di saldatura punto punto il peso dell’attrezzatura da montare sul polso è
maggiore , ci serve infatti sia un sistema per far aumentare la pressione dei due elettrodi sulla parte
da saldare e serve poi il sistema per realizzare l’impulso elettrico. Le forze che si vanno a generare
sono molto elevate.
• la differenza che viene richiesto un certo grado di auto adattamento dovendo lavorare particolari
con ampie tolleranze;
• Il controllo utilizzato è di tipo:
a. Continuo per saldatura ad arco continua;
b. Punto punto per saldatura a punti
Per la saldatura a punti e quella ad arco continuo ci interessa di più la ripetibilità che la precisione
Per la saldatura a laser è invece mantenere sempre la distanza focale corretta, il cordone di saldatura a laser
è dell’ordine del decimo di millimetro quindi ho bisogno di alta precisione e se il robot non e capace di darmi
questa precisione devo ricorrere ad altri sistemi come , ad esempio inserire dei sensori infrarossi che valutano
la distanza focale istante per istante.
Robot di manipolazione
• Vengono impiegati nelle operazioni di carico-scarico (asservimento)di macchine utensili o per il
confezionamento dei prodotti (pallettizzazione);
• I movimenti devono essere ripetitivi con percorsi che consistono nell’avvicinarsi al punto di presa,
superare eventuali ostacoli e arrivare nel punto di rilascio, la traiettoria non è importante
• Il robot deve essere molto versatile, le strutture più utilizzate sono quella cilindriche e articolata
• L’azionamento è elettrico e il controllo in genere è punto-punto, visto che non interessa il controllo
della traiettoria
Sempre nella manipolazione, un’applicazione molto frequente è quella del robot interpresse, utilizzato nelle
linee di stampaggio di lamiera, in lui si utilizzano delle serie di presse e i ritmi di lavoro sono molto elevati, il
robot viene utilizzato per trasportare il componete da una pressa all’altra, talvolta ci possono essere due
robot fra due prese perché si deve girare la lamiera. In questa applicazione vengono utilizzati i robot sia
perché c’è ripetitività del movimento sia per questioni di sicurezza poiché il componente viene preso dalla
pressa aperta.
o Interpresse - https://youtu.be/AMoCgMNhFKk

Robot di montaggio
• Sono destinati all’assemblaggio dei prodotti ed è dunque richiesta un’elevata precisione per cui le
strutture più utilizzate sono quella cartesiana e S.C.A.R.A. (le strutture SCARA sono nate proprio per
il montaggio)
• Il controllo è di tipo punto punto, in rari casi è richiesto un controllo di tipo continuo
• I sistemi di guida devono essere rigidi e precisi
• L’azionamento utilizzato è quello elettrico

o Assembly - https://youtu.be/DcxjcfL1isM
Nella figura c’è un sistema di
montaggio di tipo ibrido, per
cui ci sono sia i robot che
operatori, non c’è condivisione
dello spazio di lavora fra robot
e operatori. Nel caso di robot
non collaborativi, servono
delle paratie per non avere
l’interazione fra operatori e
robot.

Robot di misura e ispezione


• Sono macchine ad elevata precisione, operano con movimenti in coordinate cartesiane e le
struttura preferita è quella cartesiane e cartesiana a portale;
• La traslazione degli assi deve avvenire con bassi attriti e pertanto vengono utilizzate le viti a
ricircolazione di sfere;
• Sono previsti anche dispositivi per la ripresa dei giochi nei giunti
• Il controllo gioca un ruolo fondamentale per garantire le precisioni richieste;
• L’organo di presa in questo caso viene sostituito con un tastatore di misura con o senza contatto.
• Se la precisione richiesta in misura non è molto elevata, ci accontentiamo del decimo di millimetro
di precisone possiamo utilizzare in combinazione un sistema di misura senza contatto montato sul
polso di un robot articolato, è importante che il robot abbia delle buone caratteristiche di
ripetibilità, sarà poi la gestione del sistema di scansione a definire la precisione nella rilevazione del
componete.
o Inspection - https://youtu.be/0a7Y7nisigs - https://youtu.be/fn6Y9HAH7pI
Celle robotizzate
Si tratta di sistemi produttivi chiusi dove il robot viene usualmente impiegato per svolgere operazioni in
sostituzione a quelle dell’uomo;
L’applicazione tipica è l’asservimento alle macchine utensili, alle presse a iniezione, alle presse per
pressofusione, alle presse per imbutitura…. Il robot preleva il pezzo grezzo da un sistema di trasporto, lo
carica in macchina; a fine ciclo preleva il finito e lo posa in un secondo sistema di trasporto e il ciclo riprende;
Sono ovviamente necessari tutta una serie di dispositivi di segnalazione (interblocchi) per il corretto
svolgimento delle operazioni che devono avvenire sotto la supervisione di un elaboratore che gestisce il
flusso delle informazioni

Nella cella robotizzata in figura si eseguono operazioni di presso-colata in camera fredda, cioè il crogiolo non
è parte integrante della pressa.
La struttura è completamente chiusa con delle griglie che impediscono l’accesso alla zona di lavoro, c’è un
robot di lavoro nella parte centrale, a destra c’è la zona di accesso del materiale, che viene introdotto nel
crogiolo (elemento bianco), c’è poi la pressa, il metallo fuso vien inserito direttamente nella pressa, il robot
preleva il componete dalla pressa e lo inserisce i una vasca per fare un primo raffreddamento rapido, poi
viene trasferito nella stazione di tranciatura, il componete tranciato verrà poi trasferito dal robot sul sistema
d’uscita. Oltre alle varie stazioni di lavoro, ci saranno le parti di controllo su ogni lavo del sistema che deve
lavorare in maniera autonoma, il robot ha la sua unità di controllo, ma il sistema deve lavorare eseguendo
operazioni che possono essere in serie o in parallelo (cioè ci possono essere operazioni che devono avvenire
una dopo l’altra o azioni che possono avvenire contemporaneamente)per eseguire queste operazioni ci serve
un controllore adibito alla gestione della cella robotizzata e ci servono una serie di sensori nella cella per
inviare dei segnali per abilitare le diverse operazioni dei singoli sistemi automatizzati.
Il controllore non è l’unità di governo del robot, i segnali dei sensori non vengono inviati all’ unità di governo
del robot, ma al controllore che è un computer esterno.
I segnali dei sensori sono detti interblocchi nelle celle robotizzate, ogni elemento della cella ha il suo controllo
centrale, il controllore ha il compito di coordinare le operazioni dei singoli elementi.
10a - robot collaborativi 6/05/20 parte 2

La collaborazione uomo-robot

I robot collaborativi, denominati cobot o co-robot, sono il tipo più recente di robot, progettato per interagire
con le persone in un ambiente di lavoro condiviso.

I robot non hanno la capacità di prendere decisioni, quindi l’operatore mantiene la capacità della decisione,
al robot vengono adibite le operazioni di trasporto, quelle ripetitive, il robot diventa l’assistente
dell’operatore.

Alcune attività potrebbero essere:

• Troppo complesse per essere pienamente realizzate dal robot,


• Troppo costose per essere completamente automatizzate.

Questi robot sono più semplici di quelli utilizzati industriali, infatti la maggior parte dei co-bot sono di piccole
dimensioni, hanno capacità di carico di 5-10 kg.

Questi robot sono semplici di programmare, più flessibile, caace di poter essere messo in uno spazio di lavoro
condiviso con l’ operatore.

Il primo cobot è stato inventato nel 1996 da J. Edward Colgate e Michael Peshkin. La definizione è quella di
"un dispositivo e un metodo per l'interazione fisica diretta tra una persona e un manipolatore controllato da
computer".

Il concetto su cui il team lavorò era di creare un robot il cui movimento fosse controllato dall’operatore, ma
che potesse supportare un carico pesante in modo da garantire la massima sicurezza (sistema di
sollevamento).

Nel corso degli anni sono stati commercializzati numerosi cobot. Kuka Robotics, che ha anche lanciato uno
dei primi robot industriali sul mercato, ha lanciato il suo primo cobotnel2004, l'LBR3. Universal Robots, uno
dei maggiori fornitori di robot al mondo, ha lanciato il suo primo cobotnel2008, l'UR5. Quattro anni dopo, è
statolanciatoUR10, seguito da UR3 nel2015

Questi sono robot dalle forme più arrotondate perché molta importanza viene dato all’aspetto di sicurezza,
le superfici sono molto ampie e sono completamente rivestire da materiali che assorbono eventuali impatti
con l’ operatore, ovviamente ci sono anche una serie di sensori, per cui se il root sente la vicinanza
dell’operatore tende a ridurre le sue velocità e in caso di impatto si arresta.
I robot industriali devono essere
separati dall’ambiente di lavoro
dell’uomo, negli anni 2000
iniziano gli studi sulla robotica
collaborativa che sono stati
favorita da nuove esigenze nate
nel mercato, in Danimarca ci
sono stati la maggior parte degli
studi.

Due date importanti sono il 2014


e 2016 perché entra in gioco la
standardizzazione, i robot
collaborativi vengono
riconosciuti come un elemento
importante in ambito industriale
per cui si sente l’esigenza di una
standardizzazione dei robot.

Standard ISO

I robot industriali sono tutti costruiti seguendo specifici requisiti standard definiti dall’International
Organization for Standardization(ISO). I cobot vengono definiti dalla ISO 10218:2011 parte I e parte II e più
specificatamente dalla ISO 15066:2016. Quest’ultima definisce le modalità di collaborazione e fornisce
un’analisi dei rischi informazioni fondamentali per determinare il limite massimo di velocità, pressione e
impatto che i cobot possono raggiungere senza violare le predefinite soglie di dolore tollerabili per ogni
specifica parte del corpo dell’operatore.

Abbiamo detto che i corobot collaborano con l’operatore.

Spazio di collaborazione: spazio all'interno dello spazio operativo in cui il sistema robotico (incluso il pezzo in
lavorazione) e un essere umano possono svolgere compiti contemporaneamente durante l'operazione di
produzione. Esistono diverse modalità in cui può lavorare un operatore affiancato ad un robot:

1. Completa divisione fra operatore e robot, in questo caso non c’è nessun tipo di collaborazione (né di
spazio né di tempo), questo è il caso tipico della robotica industriale.
2. Coesistenza non c’è un’interazione diretta fra l’attività svolta dall’operatore e dal robot, ma non c’è
una divisione fisica fra robot e uomo (non c‘è il grigliato).
3. Cooperazione, una pare di lavoro del robot condiviso con l’operatore, ma robot e operatore non
lavorano contemporaneamente, abbiamo una condivisone di spazio, ma non di tempo.
4. Collaborazione, fra operatore e robot c’è una condivisione di spazio e di tempo e previsto anche il
contatto fra operatore e robot, in questo caso le velocità dei robot devono essere ridotte.

ISO TS 15066: Analisi del rischio

La specifica tecnica ISO TS 15066 nasce per fornire una guida relativa alle operazioni collaborative dei robot
che condividono lo stesso spazio di lavoro dell’uomo. In tali operazioni il sistema di controllo relativo alla
sicurezza è di grande importanza, in particolare quando vengono monitorati parametri di processo come
velocità e forza. È necessaria una valutazione del rischio completa, non solo del robot, ma anche
dell'ambiente in cui viene collocato, cioè il luogo di lavoro.

La nomativa prevede 4 tipi di collaborazione

Arresto di sicurezza monitorato

Il robot opera prevalentemente in modo autonomo e solo occasionalmente l’operatore entra nel suo spazio
di lavoro, ovvero l’area pre-delimitata in cui il robot può manovrare e lavorare. Nello specifico, se un
operatore entra nella zona di sicurezza per eseguire un’operazione secondaria (ad es. Carico / scarico di
pezzi), mentre è in corso una lavorazione da parte del cobot, quest’ultimo, grazie ai sensori, si deve arrestare
immediatamente.

L’ingresso dell’operatore viene rilevato tramite sensori (interruttori, barriera foto elettrica o telecamera, che
identifica che una persona sta entrando) e il robot viene messo in pausa. È importante evidenziare che il
cobot non si spegne completamente, ma vengono solamente azionati i freni.

Quando la persona lascia l’area di lavoro, il robot può riprendere il funzionamento automatico.
Questo metodo è definito dagli standard collaborativo perché l’elettricità ai motori dei robot viene
mantenuta mentre è presente una persona. La sicurezza dei cobot è
tale per cui non sono previste recinzioni e la messa in pausa non deve
essere programmata perché avviene in automatico.

Nell’ immagine è indicato il principio di base su cui si basa questo tipo


di collaborazione, si ha arresto solo se l’operatore entra nell’area di
lavoro del robot.

Guida manuale

La guida manuale non va confusa con la programmazione manuale dei cobot. I cobot vengono utilizzati
prevalentemente come ausilio al movimento e/o seguono tracciati preimpostati; devono essere progettati
in modo tale da poter percepire la forza e la direzione immessa dall’operatore.

Questo metodo utilizza un robot tradizionale all’interno di una recinzione. Una persona entra periodicamente
nella cella per eseguire un compito come, ad esempio, avvitare alcune viti. Quando entra, il robot industriale
tradizionale passano da modalità non collaborativa a modalità collaborativa (ad es. Velocità massima 100
mm / se movimento di regolazione massima +/-50 mm).

L’industria automobilistica utilizza questo metodo da anni per posizionare le sedie all’interno delle automobili
e per tenere i paraurti mentre vengono avvitati. La programmazione del cobot non prevede alcuna
compilazione del codice da parte degli utenti: basta scaricare il software funzionale ai task e impostare in
maniera intuitiva l’iter dei vari movimenti che eseguirà il cobot (potendoli modificare quando necessario).

Monitoraggio della velocità e della separazione

Questo metodo è simile allo “stop di sicurezza monitorato” ma, invece di mettere in pausa il robot, la
procedura riduce la velocità del robot in base alla distanza tra il robot e l’operatore.

Un modo per farlo è utilizzare un laser o un sistema di visione, che determina la distanza in modo sicuro. Un
altro modo è utilizzare una pellicola sensorizzata integrata nel robot, che percepisce quando una persona è
vicina al robot e quindi lo blocca prima che questo arrivi a toccare l’operatore.

Il cobot, essendo dotato di appositi sensori, si muove mantenendo sempre una distanza di sicurezza da cose
e persone, arrivando a bloccarsi e a ripartire da solo.

Limitazione di potenza e di forza.

Per questa apologia di applicazioni è previsto l’incorrere di un contatto intenzionale o fortuito tra il robot e
l’uomo.

Per questo servono ulteriori sensori di forza e di pressione.

Si tratta della apologia di robot maggiormente collaborativa, e riesce a percepire anormali livelli di forza
lungo il suo percorso. Se sente che il suo carico è eccessivo si blocca, ed è programmato per dissipare le
forze in caso di impatto con una superficie vasta.
Per quanto riguarda la riduzione del rischio sono previste:

• misure passive, che consistono ad esempio nell’incrementare le superfici di contatto per limitare i
danni, nell’utilizzare materiali che assorbano gli urti come rivestimenti o componenti flessibili e nel
limitare le masse in movimento;
• misure attive, che riguardano il controllo del progetto del sistema robotico: limitazione di forza,
coppia, quantità di moto, zona d’azione, utilizzo di sistemi di monitoraggio per gli stop di sicurezza
e altri sistemi sensoriali per la previsione dei contatti.

https://www.youtube.com/watch?v=PtncirKiBXQ&feature=youtu.be
13/05/20

L’argomento di questa lezione è il collaudo, il controllo assistito della qualità e introduciamo le macchine di
misura coordinate (CMM).

Prima di affrontare questo discorso chiariamo alcuni concetti.

La QUALITÀ è l’idoneità all’uso del prodotto, è definita dal mercato e si traduce in una serie di specifiche di
progetto sul prodotto: tolleranze, finiture, caratteristiche meccaniche.
Un prodotto rispetta i criteri di qualità se rispetta le specifiche di progetto.
Ad esempio, se un prodotto deve avere una rugosità minore di 1.6 allora è rispettata la qualità se la rugosità
è pari a 1.6, se la rugosità è minore non vuol dire che la qualità è migliore, ma vuol dire che sono state fatte
operazioni ulteriori che comportano costi e tempi e che sono inutili.

ASSICURAZIONE QUALITÀ: riguarda le attività che rendono massima la probabilità che i prodotti siano
costruiti rispettando le specifiche di progetto. E’ trasversale a tutte le funzioni aziendali (Scelta dei materiali,
sistemi di produzione, utensili, attrezzature…)

CONTROLLO DI QUALITÀ: è l’attività che deve accertare il rispetto delle specifiche di progetto e indicare le
azioni correttive se le specifiche stesse non vengono rispettate. Richiede una pianificazione preventiva delle
procedure e della strumentazione da adottare. Il controllo di qualità può essere del 100% (su tutta la
produzione) o di tipo statistico (o a campione) fatto cioè su di un campione rappresentativo della produzione.
Quando si fa il controllo della qualità ci sono diversi momenti in cui occorre verificare i prodotti.

Campionamento di accettazione: prevede l’accettazione o lo scarto di un lotto di prodotti sulla base delle
misure fatte su di un campione statisticamente rappresentativo. Può essere applicato alla produzione interna
(all’azienda) o per l’accettazione di particolari dall’esterno;

Carte di controllo: derivano dallo stesso concetto statistico del campione rappresentativo della produzione.
Vengono impiegate per monitorare il processo produttivo nel tempo.
Cioè durante la produzione prendo dei prodotti dalla linea produttiva per verificare che il prodotto mantenga
stabili le sue caratteristiche nel tempo.
Ad esempio, stiamo eseguendo dei fori su una piastra e misuriamo i diametri dei fori e ci accorgiamo che man
mano che il processo avanza il diametro del foro inizia a diventare più piccolo, se si supera la tolleranza
prescritta per quel foro si scarta il prodotto.
La causa della riduzione del diametro potrebbe, ad esempio, essere l’usura della punto ad elica utilizzata per
eseguire il foro.
Effettuando un monitoraggio del processo produttivo, ci si può accorgere in tempo di eventuali errori senza
dover interrompere la produzione.
Il controllo che si fa sul componente prende il nome di ispezione
ISPEZIONE: è un termine associato alla verifica delle specifiche di progetto (valutazione delle dimensioni….)
del singolo elemento.
Diverso è il significato di Test che si riferisce al design del prodotto in sé.
TEST: è un termine associato con gli aspetti funzionali dell’intero prodotto e non di un singolo componente.

Per fare il monitoraggio del processo si utilizzano delle carte di controllo che riportano i valori della
misurazione effettuata nel tempo.
La differenza fra il valore nominale e l valore misurato rappresenta la deviazione dimensionale del
componete, se rimaniamo in tolleranza il valore è accettabile. I limiti UCL e LCL rappresentano i limiti dei
valori accettabili.
Le carte di controllo sono molto comode perché ci permettono di riconoscere dei trend, in questo caso
vediamo che i punti si dispongono ai due lati della linea centrale e ciò vuol dire che il processo è stabile, se i
punti si trovano allo stesso lato della linea centrale ciò indica un trend decrescente, se non si interviene sul
processo produttivo rischiamo che i nostri punti vadano a finire al di fuori della banda ammessa. Se abbiamo
una frequenza di campionamento adeguata possiamo quindi, individuare un problema e intervenire prima
che il processo vada fuori controllo e fare in modo di rientrare nella zona ammissibile. È quindi importante la
numerosità del campione che andiamo a rilevare.

La linea centrale rappresenta il livello desiderato di qualità. UCL e LCL (Upper/lower control limit) sono il limite
superiore e inferiore della carta e vengono determinati sperimentalmente con tecniche statistiche. Devono
essere all’interno delle tolleranze di progetto. Si può concludere che il processo è sotto controllo se i punti
cadono all’interno dei limiti della carta. Ovviamente vi sono alla base ipotesi statistiche che permettono di
affermare che il processo può avere una serie di variabilità senza determinare comunque pezzi di scarto.

Sulla numerosità del campione ci sono dei limiti che sono legati ai tempi necessari per fare il controllo di
qualità, il controllo tradizionalmente è eseguito manualmente da operatori fortemente specializzati
utilizzando attrezzature specifiche, poiché le misure vanno ripetute più volte per evitare errori sistematici e
si lavora su base statistica i tempi del collaudo sono lunghi e non riescono a seguire i tempi della produzione,
per questo, anche se si vorrebbe un collaudo al 100% della produzione tipicamente si fa solo un analisi a
campione, il campionamento però comporta un rischio perché potremmo accorgerci solo in ritardo di una
deriva che sta accadento nel sistema di produzione, rischiamo di far produrre dei componenti che devono
essere scartati e dunque poi c’è la necessità di individuare tali componeti e controllarli, ciò provoca notevoli
perdite economiche per l’azienza.

Il controllo di qualità nel passato, era tradizionalmente eseguito manualmente utilizzando tecniche di
campionamento statistico Dalla produzione veniva prelevato ad intervalli di tempo regolari un elemento da
controllare manualmente Si trattava di operazioni di collaudo lunghe e costose che richiedevano una
attrezzatura specifica che era complessa da utilizzare ( sistemi di tracciatura, comparatori, truschini...) Il
personale doveva avere un’elevata specializzazione con conseguenti incrementi dei costi aziendali Il collaudo
manuale doveva inoltre essere effettuato in un’area separata da quella produttiva e ciò determinava tempi
lunghi e può essere causa di colli di bottiglia nella produzione Si corre il rischio di far passare pezzi di scarto
da un campionamento a quello successivo, con la necessità di dover controllare tutti i particolari compresi tra
i due campionamenti con notevoli perdite economiche

Per questo motivo si è cercato di automatizzare anche il collaudo per renderlo più produttivo e meno legato
alla discrezionalità e all’esperienza dell’ operatore.

La necessità di un controllo assistito della qualità è dettata dai seguenti aspetti:


• Economico: per poter ridurre i tempi e i costi relativi alla ispezione manuale che possono determinare
dei ritardi di consegna;
• Sociale: il mercato è sempre più esigente e non è disposto a tollerare difetti sui prodotti. Inoltre
sentenze di risarcimento dei danni emesse dai tribunali a favore dei clienti hanno fatto capire ai
produttori che in determinati settori il controllo di qualità deve essere effettuato al 100%. A tali
considerazioni è necessario aggiungere che l’ispezione manuale richiede una certa discrezionalità
dell’operatore e a questo si desidera chiaramente ovviare;
• Tecnologico: la crescita delle prestazioni degli elaboratori elettronici ha permesso la realizzazione di
sistemi automatici di ispezione che possono operare in tempo reale direttamente sulla linea
produttiva (anche se con una precisione minore), si può cosi arrivare ad un controllo del 100%
Si va dunque verso il “Computer Aided Quality Control (C.A.Q.C)”: controllo di qualità assistito da calcolatore

Altri termini alternativi utilizzati per indicare l’impiego delle prestazioni del calcolatore nel controllo di qualità
sono: C.A.I.: Computer Aided Inspection; C.A.T.: Computer Aided Testing
Gli obiettivi che si desidera perseguire sono :
• Migliorare la qualità dei prodotti;
• Aumentare la produttività dei sistemi di ispezione;
• Aumentare la produttività e ridurre il time to market dell’azienda.
La strategia da attuare per realizzare gli obiettivi è quella di abbinare il calcolatore con una serie di sensori
per automatizzare il processo di controllo

(questi non li ha letti) I vantaggi del C.A.Q.C. sono sintetizzabili nei punti seguenti:
Possibilità di eseguire un controllo sul 100% della produzione anziché il controllo statistico a campione;
l’impiego del controllo on-line sul 100% della produzione consente di ridurre al minimo i limiti della carta di
controllo;
Il controllo viene integrato nella fase produttiva senza la necessità di trasferire gli elementi in un’area
dedicata aumentando la produttività;
Risulta possibile l’utilizzo di sensori senza contatto che non richiedono uno specifico posizionamento del
pezzo. Il controllo avviene “al volo” mentre l’elemento transita nella linea produttiva ;
L’impiego dei sensori on-line permette la correzione in tempo reale degli errori rilevati se gli stessi sono
integrati nel sistema di controllo della macchina di produzione;
E’ possibile pensare alla realizzazione di celle flessibili per il controllo assistito;
E’ possibile condividere i data-base dell’azienda e integrarsi con le aree CAD/CAM;
Riduzione della manodopera da destinare al collaudo manuale e sostituzione con personale indiretto con
compiti di gestione dei sistemi;

Le operazioni di collaudo possono essere effettuate con i metodi seguenti:


A contatto (utilizzando tastatori, cioè sensori che rilevano il contatto con la superficie di un componente),
questi sensori possono essere montati su robot di misura, oppure se vogliamo avere una maggiore precisione,
se ad esempio dobbiamo individuare delle variazioni inferiori al centesimo di millimetro usiamo:
1. Macchine di misura a coordinate (CMM), che hanno sempre un tastatore meccanico che però è montato
su una struttura cartesiana ad elevata precisione;
2. Tastatori meccanici installati sulla linea produttiva
Senza contatto (più produttivi, ma meno precisi) con:
1. Sistemi di visione;
2. Ultrasuoni;
3. Metodi induttivi/capacitivi;
4. Sistemi di reverse engineering (sfruttano o un laser o della luce strutturata, cioè una luce mandata a bande
e della quale si rileva la deformazione)
Tra i vari metodi quello che assicura la miglior flessibilità di impiego è la macchina di misura a coordinate
(Coordinate Measuring Machine (CMM)), si tratta di macchine a controllo numerico in grado di effettuare
misurazioni su particolari differenti sulla base di programmi di ispezione.

Normalmente su una linea di produzione possiamo trovare o dei robot su cui è montato i tastatore, se
interessa soltanto la misura di alcuni punti critici del componente, oppure possiamo trovare dei sistemi senza
contatto quando vogliamo fare dei controlli sulla scocca, il sistema che assicura una grande flessibilità di
impiego e permette di fare misure su componenti molto variabili, sono le macchine di misura coordinate
(CMM) .

• Perchè l’inspection - https://youtu.be/bLn7D0vCktY?list=PLCC756D6DB6250FD5


• Inspection (Overview)- https://youtu.be/PCB7WEZS5sE

La macchina di misura a coordinate (CMM)


Con la macchina CMM trasferiamo le conoscenze sulla automazione dei sistemi anche alla parte di controllo,
cioè integriamo il collaudo a tutto il sistema di computer aeded (?) che si è sviluppato nel tempo
La CMM è una macchina a controllo numerico espressamente progettata per la misurazione delle tolleranze
dimensionali, geometriche e di forma dei particolari meccanici; L’utensile classico è sostituito da un tastatore
meccanico che permette il rilievo della postazione raggiunta; Si tratta di macchine a struttura cartesiana dal
momento che l’obiettivo primario è la precisione di posizionamento; Le precisioni dimensionali variano da ±
0.1 μm a ± 0.05 mm a seconda delle applicazioni.

Di base le macchine CMM hanno una struttura


cartesiana perché la struttura cartesiana è la più
rigida e quindi ci permette di ottenere maggiori
precisioni.
i vari movimenti li possiamo ottenere con
soluzioni strutturali diverse, possiamo avere la
struttura a portale che prevede una base (in
granito, per la stabilità strutturale), su cui
troviamo il portale che è la struttura a U
rovesciato, il portale si muove sulla base
realizzando un primo grado di libertà, sulla
traversa in alto c’è la testa che può traslare e
infine abbiamo il tastatore che ha un movimento
secondo l’asse verticale, abbiamo cioè 3 gdl. Questa è sicuramente la struttura più rigida, è posta in una sala
metrologica (ambiente in condizioni monitorate adatte per la misura).
Ci possono essere anche altre soluzioni, ad aumentare del volume di misura possiamo avere una struttura a
sbalzo, in cui c’è una mensola su cui è posta la testa di misura, per dimensioni molto più elevate si passa alla
struttura a gantry (simile al robot di misura), in cui abbiamo una traversa sollevata che scorre su delle guide
sostenute da dei pilastri (questa struttura raggiunge dimensione dell’ordine di metri, per questo motivo
abbiamo una precisione minore, siamo sulla precisone del centesimo di millimetro).

• Tipi di CMM - https://youtu.be/Mr3wJ8QPJ8s


Nel caso del CMM dobbiamo avere una
struttura con caratteristiche di stabilità
perché un eventuale deformazione della
struttura non deve influire sulla precisione
della misurazione del pezzo, quindi ci serve
una base di supporto per i componenti ad alta
stabilità strutturale, con dilatazioni termiche
minime e elevata durezza superficiale perché
su questa tavola si sostituiscono
continuamente i componenti e non ci devono
essere alterazioni sul piano di misura che
diventa un riferimento sul piano di misura; per
avere queste caratteristiche il piano su cui
vengono posizionati i componenti sono
realizzati in granito, quindi è un blocco in
granito con elevata planarità superficiale che
deve essere installato nell’ambiente di misura
in modo che sia perfettamente orizzontale,
questo è ottenuto montando il piano di
granito su una struttura in acciaio con dei
piedini regolabili.
Le parti mobili devono avere bassa massa
specifica e avere una stabilità strutturale,
inizialmente erano realizzate in acciaio saldato, poi si è passato alla realizzazione delle parti mobili con leghe
più leggere (es leghe di alluminio, che è attualmente il più utilizzato), perché il tastatore non crea forti
deformazioni, le forze sono minime.

Per evitare interferenze con le operazioni di


misura dobbiamo avere che i movimenti sulle
guide siano i più uniformi possibile, dobbiamo
evitare qualsiasi possibile instabilità al
movimento, ma dobbiamo anche ridurre al
minimo gli attriti.
Nel caso delle macchine CMM si utilizzano
guide a sostentamento pneumostatico, questa
soluzione ricorda le guide idrostatiche solo ce
in questo caso non si utilizza l’olio, ma solo aria
compressa. In questo caso, bisogna prestare
attenzione che non ci sia condensazione di
possibili gocce d’acqua presenti nell’aria perché potrebbe compromettere il sistema di guida, l’aria deve
quindi essere filtrata e deumidificata

Le spinte per muovere la struttura sono estremamente ridotte e le deformazioni della struttura della
macchina risultano di entità trascurabile. Si ha inoltre in assenza di gioco;
I servomotori per la movimentazione degli assi sono a corrente continua e hanno una potenza limitata, sono
montati su opportuni riduttori;
Come trasduttori di posizione vengono impiegate delle righe ottiche montate sulle guide, qui non abbiamo
problemi di contaminazione.
La struttura non prevede alcun grigliato di protezione, l’ambient di misura è sempre accessibile da parte
dell’operatore. Per quanto riguarda il controllo si utilizza un normale computer per la gestione della macchina
utensile. Il computer è collegato alla cabina elettrica per gli azionamenti de servomotore. Spesso è collegata
anche una stampante per la stampa dei report di misura.

L’unità di governo della macchina permette la gestione:


1. in automatico e manuale;
2. dei programmi;
3. dei tastatori;
4. della diagnostica

Tipi di programmazione:
1. Autoapprendimento;
2. Tramite linguaggio di programmazione (linguaggio specifico per le macchine utensile, non un linguaggio
ISO);
3. Off-line: partendo dal modello CAD del pezzo viene definito il ciclo di collaudo e di conseguenza il part
program per la CMM.

• Programmazione https://youtu.be/mhJ7JUQaXGc

Per rispettare le specifiche dichiarate dal costruttore la macchina di misura a coordinate deve essere
installata in una sala metrologica con:
1. Temperatura costante di 20°C ± 1°C, quello che è importante è il delta termico, la temperatura di
riferimento potrebbe essere diversa a seconda della posizione geografia, l’importante è che quando la
macchina è installata venga tarata e venga creato il data base per la compensazione degli errori sulla base
della temperatura del locale. È importante non eccedere il delta termico a causa delle dilatazioni termiche, i
delta termici si possono avere nel tempo, ma anche nello stesso momento in altezza.
2. Gradiente termico di ± 1°C ogni 12 ore;
3. Umidità relativa (50% ± 5%);
4. Vibrazioni al di sotto di un determinato livello.

Essendo che la macchina è stabile perché si trova in questo ambiente controllato è importante che quando
vado a misurare i componenti che anche questo si stabilizzi nelle stesse condizioni della sala metrologica, se
voglio misurare una serie di componenti che vengono da un lotto, potrei, se non vengono stabilizzati in
ambiente, avere delle misure diverse a seconda che il componete abbia sostato nella sala metrologica per
più o meno tempo.
È quindi importante che prima di effettuare la misura si facciano sostare i componenti nella sala metrologica
per un certo tempo.

Elementi geometrici
Con la CMM è possibile valutare le dimensioni, le tolleranze geometriche e gli errori di forma.
Devono essere implementate nel software di gestione della macchina le equazioni matematiche dei vari
elementi.
Di questo componete in figura possiamo ricavare
l’altezza, il diametro dei fori, interasse.
andando a prendere più punti, con il tastatore, sul foro
possiamo riconoscerne la forma, ad esempio un
cilindro e quindi a questo punto si può ricavare la
tolleranza d cilindrica, cioè quanto quei punti
approssimano il cilindro nominale.
È importante il software di gestione che si trova sul
computer di controllo e gli algoritmi implementati per
il riconoscimento della geometria.
Quando si vuole effettuare una misura la prima cosa
che si fa è posizionare il componente sul piano in granito della CMM. Il sistema di riferimento della CMM è
cartesiano, con l’asse z verticale, l’origine è fissata normalmente sul lato posteriore.
Il pezzo sul piano in granito viene posizionato con un orientamento arbitrario (causuale) perché sarà poi la
macchina di misura a modificare il proprio sistema in modo da allinearsi al pezzo.

Sistema di riferimento
E’ ovviamente cartesiano e l’origine è collocata in una determinata posizione. E’ costituito da tre assi
ortogonali, l’origine e tre piani di riferimento. Con la CMM è possibile allineare virtualmente gli assi della
macchina sul sistema di riferimento del pezzo (allineamento matematico) è inoltre possibile traslare l’origine
della macchina sul pezzo

Esistono diverse possibilità per far allineare la macchina al componete, un metodo semplice è quello
chiamato allineamento 321.
Consideriamo di avere la situazione in figura, quello
che voliamo è creare un allineamento degli assi della
macchina a quelli del componete.
Il sistema 321 va a definire un piano, una linea e un
punto, ad esempio prendiamo tre punti sulla superfice
superiore, in questo modo vado a definire un versore
normale che è l’asse z, possiamo poi posse lo zero
dell’asse z sul piano, poi prendo due punti sulla
superfice laterale per riconoscere la direzione x, per
definire la posizione dello zero dell’asse x posiziono un punto, ad esempio su uno spigolo (se non capisci
rivedi lezione minuto 1:19).

Secondo questo sistema che abbiamo ricavato si muoverà il tastatore, si muoverà secondo la direzione
normale alla superficie.

LEZIONE 20/05/20

Il tastatore

Si tratta dell’elemento attivo della macchina è caratterizzato da un diametro e da


una lunghezza. Possono essere attivi sullo stesso stelo più tastatori.
È costituito da uno stilo, normalmente di circa 2cm (possono avere dimensioni
variabili) e da una sfera di rubino (dal caratteristico colore rosso), per semplificare
la misura possiamo avere più tastatori
disposti radialmente, ottenendo così la
disposizione a stella, utile per la misura di
fori.
Si possono poi avere strutture più complesse
con un maggiore numero di tastatori

Vediamo il principio di funzionamento i un tastatore base, il


tastatore ha, al di sopra dello stelo un sistema che permette di
rilevare il contatto che , nella versione base è costituito da dei
microinterruttori, che nella condizione normale sono in contatto
con due sferette che si trovano montate sulla struttura, il contatto
è garantito da una molla, se il tastatore arriva a contatto con una
superfice in direzione normale lo stelo vince la resistenza della
molla e tende a sollevarsi , sollevandosi si apre il circuito, l’apertura
del circuito è un segnale che arriva al sistema di controllo della macchina utensile e da il via al rilevamento
delle informazioni dei trasduttori relativi agli assi della macchina di misura, se il movimento fosse trasversale
si ha una flessione dello stelo e quindi comunque l’aperura del circuito.

Esiste un’altra versione del tastatore che è il tastatore di scansione (o continuo) che non prevede la presenza
dei microinterruttori, ma la presenza di una serie di resistenze per cui il tastatore arriva a contatto con la
superfice del pezzo e la variazione di resistenza vien interpretata dal controllo, poi il testore è mantenuto a
contatto controllando il livello della resistenza e gli viene fatto seguire un percorso programmato sulla
superfice del pezzo. Se il livello di resistenza aumenta il tastatore viene allontanato dalla superfice, se
diminuisce viene avvicinato.

Qualifica del testaore

La qualifica del tastatore è un’operazione che vien fatta prima delle misure sul componete per rilevare le
misure della sfera di rubino perché il contatto avviene sulla periferia della sfera, ma quando andiamo ad
acquisire le informazioni che arrivano dai
trasduttori queste, sulla base delle
informazioni della lunghezza dello stelo del
diametro della sfera queste ci forniscono
informazioni sulla posizione del centro
della sfera di rubino, per risalire al punto di
contatto dobbiamo conoscere il raggio
della sfera, ma visto che le misure che noi
facciamo devono avere una risoluzione del
decimo del micron ,non ci possiamo
accontentare della misura nominale del
raggio della sfera, ma dobbiamo conoscere
con esattezza le dimensioni del tastatore e
dobbiamo sapere se ci sono degli errori
sulla geometria del tastatore, quindi bisogna fare delle misure del tastatore, questa operazione si fa con una
sfera di qualifica, che è un completo ad altissima precisione con dimensioni note.

Si fa una procedura di calibrazione del primo tastatore e di qualifica degli altri tastatori in cui si vanno a
toccare con il tastatore una serie di punti sulla superfice della sfera di qualifica (normalmente sono 20-30
punti), quando il tastatore tocca la sfera quello che ci restituisce il sistema di misura è la posizione del cento
della sfera del tastatore, che ha una distanza dalla sfera di qualifica pari al raggio della sfera del tastatore, il
sistema di controllo va a individuare la sfera che interpola tutti questi punti, di questa sfera il sistema
individua il centro ed il raggio, il raggio di questa sfera è pari al raggio della sfera di qualifica R sommato al
raggio della sfera del tastatore, si ottiene così l’informazione sul raggio del tastatore, che sarà quello utilizzato
durante la misura in compensazione.

Se aggiungere o sommare il raggio rispetto alla x misurata dipende dal verso di movimentazione.

• 321 alignment - https://youtu.be/Kr2j49oMTPs


• Renishaw misura con tastatore- https://youtu.be/xsdnZDt20tM
• Touch vs scan probe - https://youtu.be/P5mOx0KkxAE
I tastatori a scansione nascono per aumentare la produttività e vengono utilizzati quando è necessario un
riconoscimento di geometria.

La direzione di
avvicinamento del tastatore
deve essere il più possibile
perpendicolare alla
superfice, in realtà è
ammesso un piccolo angolo
di accostamento, oltre
quest’angolo potremmo
avere problemi di
slittamento e ciò ci fa
perdere ripetibilità della
misura.

Consideriamo di prendere un punto sulla


superfice inclinata che non è parallela
all’asse z della macchina e supponiamo di
non conoscere il suo orientamento, se
con il tastatore ci muoviamo in verticale
fino a toccare la superfice succede che il
sistema rileva le coordinate del centro
sfera e poi compensa sul raggio, ma lo fa
secondo la direzione di accostamento,
quindi secondo l’asse verticale o secondo
l’asse orizzontale a seconda della
direzione in cui mi muovo quindi non
individuo il punto di contatto effettivo.

Il punto rilevato che sente la compensazione del raggio è funzione della direzione di accostamento.

Nella misura commetto dunque un errore dovuto al fatto che non mi muovo perpendicolarmente alla
superfice.

Per muovermi perpendicolarmente alla superfice devo conoscere il suo orientamento, se non la conosco per
ricavarla posso individuare 3-4 punti sulla superfice inclinata, senta preoccuparci, inizialmente, della
direzione di accostamento, in questo modo si rilevano dei punti che non giacciono sulla superfice del pezzo,
ma si trovano su un piano che è parallelo a questa, di questo piano il software può calcolare la normale e
quindi poi lo stelo potrà muoversi secondo questa direzione calcolata, così si possono individuare
correttamente i punti sulla superfice.

Se l’intenzione non è solo quella di misurare dei punti, ma vogliamo riconoscere delle figure geometriche sul
nostro componete possiamo utilizzare delle funzioni disponibili sul software della macchina di misura che
permettono, una volta ricavati alcuni punti sulla superfice, di andare a calcolare, con algoritmi di
interpolazione, sfruttando il minimo errore quadrato, qual è la geometri che meglio di adatta ai punti
misurati, il numero di punti deve essere superiore al minimo, se ad esempio vogliamo individuare un cerchio
che è individuato da tre punti dobbiamo
prendere minimo 4 punti, dobbiamo avere
più dati pe misurare le tolleranze
geometriche.

Per effettuare una misura con CMM si parte


sempre dalla procedura di allineamento (321)
per orientare i movimenti del tastatore rispetto
al componete, fissiamo così il sistema x,y,z.
(punti da 1 a 9).
Una volta eseguito l’allineamento si passa alle
procedure automatiche di acquisizione delle
geometrie (10-13)
Abbiamo poi la fase di elaborazione delle
informazioni, ad esempio interseco il cilindro 1
con il pano p3 per avere la circonferenza c1

Il software è specifico nelle CMM perché deve


possedere tutti gli algoritmi che consento ni
riconoscere le geometre e fare i calcoli sui
punti misurati. Ci sono diversi tipi di software:

1.Di misura, ci permettono il rilevamento dei


punti
2.Quelli che ci permettono di lavorare con le
teste di scansione
3.Quelli che permettono di fare il confronto
diretto sulla matematica 3D.

1) Uno dei primi software è il tutor in cui si vede una procedura di misura interattiva, per cui si seleziona il
tipo di misura che deve essere fatto e poi c’è una procedura guidata per ricavare dati come la posizione del
centro del cerchio o la direzione dell’asse del cilindro.

2)Con software di scansione posso seguire dei profili sulla superfice e acquisire dei punti con una certa
frequenza, il risultato saranno le coordinate dei punti sulla superfice che dovranno poi essere confrontati con
le tolleranze richieste.
La parte gialla indica la tolleranza, la parte blu è il profilo nominale, la parte verde è quella che abbiamo, si
vede che la pala, rispetto al profilo nominale, si è svergolata, c’è dunque stato un errore nel processo.

3)Per fare il collaudo sulla matematica bisogna avere il modello matematico CAD 3D di tutto il componete, il
software di collaudo su modello matematico fa la sovrapposizione dei punti rilevati dalla macchina di misura
sul modello matematico, per fare ciò è richiesto l’allineamento della macchina sul pezzo rispettando l’origine
degli assi sul modello matematico.

Collaudo su matematica CAD 3D

Permette l’integrazione delle macchine di


misura con le potenzialità delle tecnologie CAD
3D offrendo la possibilità di eseguire la
certificazione dimensionale sul modello
matematico;
Rende dunque possibile il confronto
immediato tra il modello matematico e in
modello fisico che può avere forme comunque
complesse non definibili con elementi
geometrici di base (superfici free-form), bensì
tramite algoritmi matematici appositamente
sviluppati (Bezier, NURBS, BSplines)
Per ogni punto rilevato l’operatore ottiene in
tempo reale la visualizzazione delle coordinate
misurate, di quelle teoriche e dei relativi
scostamenti
E’ necessaria un’interfaccia per comunicare con il data base del CAD 3D, tipicamente si usa IGES, VDA o
STEP;
Un aspetto fondamentale è il posizionamento del pezzo sulla macchina di misura che può avvenire per piani
di riferimento o per punti di riferimento;
E’ necessario far coincidere il sistema di riferimento della CMM con quello del modello matematico e questo
avviene con una operazione di allineamento.
I vantaggi conseguibili sono in termini di:
1. Maggiore precisione;
2. Possibilità di verificare superfici complesse;
3. Aumento della produttività delle misure;
4. Produzione automatica di tabulati e grafici di collaudo nel formato desiderato
15 LAVORAZIONI NON CONVENZIONALI 27/05/20

Sono lavorazioni sono dette non convenzionali perché sono nate dopo l’introduzione del controllo numerico,
quindi sono tutte lavorazioni che sfruttano le tecnologie del controllo.

Ci concentreremo su una lavorazione non convenzionale: l’elettroerosione.

Queste lavorazioni sono state introdotte per rispondere ad alcune esigenze particolari che non riescono ad
essere soddisfatte dalle tecnologie convenzionali:

• Lavorazioni di materiali innovativi, quali: Materiali ceramici, Fibre sintetiche, Leghe di titanio, Leghe
di alluminio, Leghe di silicio, Superleghe, Plastiche, Resine…
• Materiali più “classici” con caratteristiche meccaniche o richieste di forme e finiture particolari
(microfori, rugosità superficiali e cavità di stampi non realizzabili per asportazione classica, …)
• Richieste finiture e tolleranze migliori di quelle ottenibili mediante processi tradizionali
• Pezzi in lavorazione troppo flessibili o sottili per sopportare forze di taglio elevate
• Per evitare incrementi di temperatura e/o tensioni residue nel pezzo in lavorazione
• Problemi nell’afferraggio

Le lavorazioni non convenzionali sono classificate in base l tipo di azione compiuta per la rimozione del
materiale, cioè il principio tramite il quale viene sportato il materiale, quindi ad esempio l’elettroerosione è
ad azione termica perché sfrutta archi elettrici per generare calore localizzato, l’azione di rimozione è dovuta
alla fusione del materiale

Ceramiche

Taglio

Nelle lavorazioni non convenzionali non c’è mai il contatto dell’utensile con il pezzo, quindi non ci sono
sollecitazioni meccaniche indotte dal contatto dell’utensile con il pezzo, si risolvono così alcuni dei problemi
sopra elencati.

L’ELETTROEROSIONE

La tecnologia dell’elettroerosione nasce nel 1943, a Mosca, nel corso della Seconda guerra mondiale, quando
i fisici russi B.R. e N.I. Lazarenko pubblicarono il loro studio “sull’impiego dell’effetto di asportazione
provocato dalle scariche elettriche”.
Questo primo studio ha rappresentato l’origine dell’elettroerosione: l’applicazione, nella tecnologia di
costruzione, dell’effetto di asportazione controllata del metallo mediante scariche elettriche con una
distribuzione (cioè si deve controllare la frequenza e la durata della scarica elettrica) controllata.

Il Professore Boris B. Zolotykh collaborò, in quegli anni difficili, con Lazarenko e fu incaricato di approfondire
la ricerca sull’elettroerosione e di promuovere la sua introduzione in applicazioni
pratiche. Nel 1969, un’equipe guidata da lui creò la prima macchina per
elettroerosione a filo servo controllata con controllo numerico.

Usiamo cioè un filo metallico per generare le scariche e asportare materiale in


modo da eseguire un taglio sul componente

Le caratteristiche meccaniche del materiale e le forme geometriche complesse possono costituire un limite
per l’efficacia dei procedimenti di lavorazione con asportazione di truciolo e comportare tempi lunghi di
lavorazione, macchine dispendiose e, talvolta, costosi interventi manuali.

I procedimenti di erosione si distinguono per il fatto che il materiale viene asportato non attraverso una
separazione meccanica, ma attraverso operazioni di carattere fisico e chimico.

Secondo la norma DIN 8580 questi procedimenti vengono classificati nel gruppo principale 3 sotto
“asportazione”. La DIN 8590, in funzione del principio di asportazione, distingue fra:

• erosione termica
• erosione chimica
• erosione elettrochimica

Erosione termica: materiali aventi conducibilità elettrica vengono erosi mediante scariche fra due elettrodi
(elettrodo del pezzo ed elettrodo dell’utensile) con l’interposizione di un dielettrico.
Dunque nel processo di elettroerosione ci interessano le caratteristiche di tipo termico (come la temperatura
di fusione) ed elettrico perché deve scoccare l’arco elettrico, per questo motivo i materiali lavorati per
elettroerosione devono essere tutti materiali conduttori elettrici (non possiamo, ad esempio, lavorare
materiali ceramici). Le proprietà meccaniche sono inutili.

Sulla base dell’elettroerosione


esistono due tipologie di processi:
1. elettroerosione a tuffo (per
generare cavità)
2. elettroerosione a filo (per
eseguire il taglio)

il materiale asportato diventa una


polvere metallica che viene portato
via da un fluido dielettrico
Si tratta di un processo principalmente termico (un materiale elettricamente conduttore viene eroso da una
successione di scariche elettriche) Alcune caratteristiche, quali la struttura o la durezza o il carico di rottura
del metallo in lavorazione, sono ininfluenti sia sulla velocità di asportazione sia sulla qualità ottenibile
L’asportazione del materiale non richiede il contatto diretto tra utensile e pezzo
Proprietà fondamentali:
• possibilità di lavorare metalli o leghe dure di difficile lavorabilità con i metodi convenzionali
• possibilità di riprodurre qualsiasi forma geometrica in 2 o 3 dimensioni
• i tempi di lavorazione sono lenti (MRR), ma dobbiamo rimuovere meno materiale rispetto a quello
che verrebbe rimosso con altri processi. Talvolta vengono fatte lavorazioni ibride

Elettroerosione a tuffo
Di base nell’ elettroerosione si utilizzano
delle scariche elettriche, per riuscire ad
avere il processo sotto controllo le
scariche non avvengono in aria, ma
all’interno di un dielettrico, ce è un
liquido con caratteristiche elettriche
controllate, l’utensile non è a contatto
con l’utensile, è presente un Gap, il
pezzo è posizionato in una vasca in cui
c’è il dielettrico e si poggia su una tavola
portapezzo.
L’utensile viene fatto avanzare verso il
pezzo poiché, a seguito dell’azione delle scariche il materiale viene asportato e per mantenere il gap costante
man mano che si asporta il materiale, l’utensile avanza.

Il dielettrico ha alcune funzioni:


1. raffreddamento- Nel processo si sviluppa calore, che non deve portare a delle conseguenze sul
particolare, quindi è importante che ci sia il dielettrico che ha asporta il calore che si sviluppa
2. resistenza controllata – la resistenza dipende dalle caratteristiche del dielettrico e dal gap
3. eliminazione dei residui della lavorazione
Pezzo

Utensile

poniamo l’utensile ed il pezzo ai due poli di un generatore di tensione in modo da creare una differenza di
potenziale, genero un campo elettrico e quindi il dielettrico inizia a ionizzarsi e ad orientarsi secondo la
direzione del campo elettrico, in seguito gli elettroni vengono attirati dal polo positivo e gli ioni dal polo
negativo e quindi si inizia ad avere una migrazione degli elementi di carica.
Il fatto che c’è una migrazione vuol dire che c’è un passaggio di corrente e si genera il canale di scarica che
inizia a creare calore localizzato che provoca un’evaporazione del materiale.
Quando gli elettroni e gli ioni vanno ad urtare sulla superfice dell’utensile o del pezzo vengono arrestati nel
loro movimento per cui la loro energia cinetica si trasforma in energia termica e ciò provoca il riscaldamento
della zona in cui gli ioni e elettroni urtano, quindi abbiamo non solo più un passaggio di corrente, ma anche
il riscaldamento del materiale fino a raggiungere le temperature di fusione e corrispondente riscaldamento
del liquido dielettrico che evapora e forma il canale di scarica che è un plasma (abbiamo una bolla).
Dopo un tempo determinato si interrompe la scarica, la temperatura scende e la bolla implode, ciò genera
una depressione sulla superfice e
ciò fa si che il materiale fuso
venga catturato dal fluido e
portato via dalla superfice del
pezzo (ciò succede anche
sull’utensile, ma si cerca di avere
un fenomeno minore su questo
perché altrimenti avremmo
un’usura precoce del pezzo).
Il materiale fuso va a solidificare
nel fluido quindi il soggetto ha
una pressione idrostatica e
questo genera la caratteristica
forma sferica delle particelle che
costituiscono i residui
dell’elettroerosione.
All’inizio del ciclo, il
contributo più importante
è dato dagli elettroni
(massa piccola quindi più
mobilità) che colpiscono
l’anodo, quindi nei primi
momenti l’azione maggiore
di urto di riscaldamento è
data dagli elettroni.
Gli ioni hanno una massa
superiore e sono più lenti,
quindi raggiungono dopo il
catodo, tuttavia poiché
hanno una massa maggiore
hanno un effetto di
impatto maggiore di quello
degli elettroni.

All’aumentare del tempo di scarica l’effetto degli elettroni di riduce, mentre aumenta quello degli ioni.

Se si vuole privilegiare la rimozione massiva del materiale, dobbiamo privilegiare l’effetto degli ioni e quindi
dobbiamo avere dei tempi di scarica più lunghi, conviene quindi che il catodo sia il materiale e l’anodo
l’utensile, questo è il tipo di polarità che si utilizza nell’elettroerosione a tuffo, nell’elettroerosione a filo si
lavora con tempi di scarica inferiore e quindi la polarità è l’inverso.

Tensione

Corrente

In termine di tensione e corrente si hanno dei comportamenti ben definiti, ossia nella prima fase abbiamo
che applichiamo la differenza di potenziale e quindi imponiamo una tensione. Quando si innesca l’arco la
corrente aumenta rapidamente fino a raggiungere un valore massimo di regime e la tensione si riduce,
arrivate a regime corrente e tensione si mantengono costanti con valori che dipendono dalla configurazione
(es dal gap). Dopo un tempo predefinito riapriamo il circuito e quindi la scarica si annulla, si ha un
annullamento della corrente e della tensione. Questi due diagrammi di corrente e tensione vengono utilizzati
per il controllo del processo.
tensione e corrente vengono continuamente monitorate e
confrontate con i valori di riferimento, se il gap non è quello
corretto, ma è eccessivo la scarica non avviene perché la
resistenza del dielettrico è eccessiva e non si riesce a
scaricare la scarica, la tensione rimane costante per rurro il
tempo e la corrente è nulla.

Se il gap è ridotto appena si applica il potenziale, poiché la


resistenza del dielettrico è minima vediamo direttamente il
passaggio di corrente e quindi non c’è il tratto a tensione
decrescente. La scarica che vediamo non è quella
controllata che ci permette di avere il processo sotto
controllo perché rischiamo di avere un’asportazione di
materiale diversa da quella che vorremmo. Il caso limite è il corto circuito, cioè quando il gap è nullo, si nota
direttamente il passaggio di corrente, ciò è da evitar perché genera una bruciatura su tutto il componete.

Il sistema tiene sotto controllo tensione e corrente e vede, in funzione dell’andamento, se il gap è eccessivo
o ridotto, così da aggiustarlo.
Quando si applica la differenza di potenziale avviene una scarica alla volta, questa avviene dove la distanza
fra utensile e pezzo è minima.
Le superfici del pezzo e dell’utensile non sono perfettamente lisce, ma hanno una certa rugosità, la scintilla
scocca dove la distanza è minima, quando si riapplicherà il potenziale e si farà scoccare una seconda scintilla
questa non si manifesterà nella stessa posizione di prima.
Nel caso della lavorazioni a tuffo, in genere, il dielettrico è un fluido sintetico scelto in funzione della geometria
da realizzare, della rugosità e lucidatura desiderata, dell’amperaggio utilizzato durante la fase di sgrossatura.
Il fluido dielettrico, mantenuto alla temperatura di esercizio compresa tra 30°C e 35°C in modo da impedire
che avvengano variazioni di viscosità, ha le seguenti funzioni:
• isolare l’elettrodo utensile dall’elettrodo pezzo, quando il generatore ha chiuso il circuito elettrico, per il
tempo necessario ad assicurare il ritardo “td” di innesco della scintilla affinché si formi il canale di
ionizzazione;
• raffreddare la zona di lavoro evitando il surriscaldamento del pezzo;
• pulire il gap dai residui dell’erosione e deionizzarlo per impedire scariche irregolari;
• determinare il diametro del canale di ionizzazione, a parità di amperaggio e temperatura nella zona del
gap. Nel caso dell’elettroerosione “a filo” il fluido utilizzato è l’acqua demineralizzata e deionizzata in quanto
permette di lavorare con valori di gap più grandi, e quindi di ridurre i pericoli di cortocircuito, e di migliorare
il lavaggio (aumentano però i costi di esercizio ed il pericolo di corrosione).
Per generare le scariche un metodo semplice è l’utilizzo del generatore di impulsi che permette di regolare il
ton (tempo di scarica), toff (distanza fra due scariche successive).
Lezione 3/06/20

Riassumiamo il principio di base dell’elettroerosione, quindi i meccanismi che entrano in gioco per
l’asportazione del materiale.
Viene creata una differenza di potenziale fra l’anodo e il catodo (utensile e pezzo), si genera quindi una scarica
elettrica che viene controllata regolando tensione e intensità di corrente e i tempi di durata della scarica,
questa scarica elettrica comporta un movimento di ioni e di elettroni, perché abbiamo un dielettrico nel gap
fra l’utensile e il pezzo, la differenza di potenziale crea una ionizzazione del dielettrico e quindi un movimento
di cariche, le cariche positive vengono attratte dal polo negativo e quelle negative da quello positivo.
Come facciamo a capire quale polarità dare all’utensile e quale al pezzo? qual è il polo positivo e quale quello
negativo?
La scelta viene fatta considerando qual è il contributo degli ioni e degli elettroni, gli elettroni sono numerosi,
ma hanno una massa piccola, il fatto che hanno una massa ridotta vuol dire che accelerando velocemente e
quindi in breve tempo riescono a raggiungere l’anodo.
Gli ioni hanno una massa maggiore quindi una minore rapidità di risposta, quindi urtano il catodo dopo, ma
trasferiscono un’energia maggior, il contributo degli ioni in termini di generazione di calore localizzato è
maggiore perché è maggiore a loro massa.
Il contributo degli elettroni si ha soprattutto nei primi momenti della scarica, se aumentiamo la durata della
scarica è come se l’effetto degli elettroni si perdesse, per cui il loro contributo si riduce mentre appare
evidente l’effetto degli ioni sul catodo.
Per questo motivo definiamo la polarità in funzione dei tempi di scarica, dobbiamo privilegiare l’asportazione
sul pezzo piuttosto che sull’utensile (l’impatto sull’utensile deve essere minore, altrimenti l’utensile risulta
troppo usurato).
Se usiamo tempi di scarica ridotti (microsecondi) conviene porre l’utensile come catodo e il pezzo come
anodo.
Se abbiamo tempi di scarica maggiori (dai 10 ai 100 microsecondi) il pezzo sarà il catodo perché lì abbiamo
l’effetto maggiore.
Nel caso dell’elettroerosione a tuffo si lavora con polarità diretta, cioè si pone il materiale come catodo e
l’utensile come anodo, quindi si privilegiano durate di scarica elevate.

Se si vuole fare una finitura accurata si può aumentare la frequenza di scarica e quindi ridurre il tempo di
scarica, in questo caso si inverte la polarità.

La polarità inversa è tipica dell’elettroerosione a filo in cui si lavora con frequenze di scarico elevate e ton
dell’ordine di alcune unità di microsecondi.

La macchina
La macchina di base è una struttura a controllo numerico, dal momento che si tratta di lavorazioni ad elevata
precisione la macchina deve avere un’elevata rigidezza e un’elevata precisone nel controllo di movimenti.
Nell’elettroerosione a tuffo i movimenti sono quello verticale dell’utensile rispetto al pezzo, in realtà esiste
anche la possibilità di effettuare un’elettroerosione rotante o fresante, in cui l’utensile ha una forma semplice
e viene posto in rotazione esegue un percorso sul piano xy, questo tipo di elettroerosione viene fatto per
fare finiture finali, in questo caso abbiamo bisogno anche del movimento secondo gli assi x e y e di un
mandrino per mettere in rotazione l’utensile.

C’è poi la caratteristica vasca per il contenimento del dielettrico al cui interno si trova una piastra per fissare
il pezzo.
Nell’elettroerosione a tuffo, normalmente, pezzo e utensile sono completamente immersi nel dielettrico il
quale non è fermo, ma viene fatto continuamente ricircolare.
Il dielettrico si carica di particelle che sono il residuo di lavorazione che per gravità si depositano sul fondo, il
dielettrico viene poi recuperato in una vasca di raccolta, viene filtrato e pompato nuovamente in vasca.
Nel caso in cui è difficile far raggiungere il dielettrico al gap (che è uno spessore sottile, alcune decine di
micron), si può realizzare un foro all’interno dell’utensile, in cui inviare con una certa pressione il dielettrico.
Nel caso in cui che il foro nell’utensile in quella zona non verranno realizzate delle scariche elettriche e quindi
non si asporterà il materiale sul pezzo, questo metodo va bene per la sgrossatura, se si vuole fare una finitura
dovremmo usare l’utensile senza foro e quindi si dovranno prevedere dei movimenti di risalita dell’utensile
per far passare il dielettrico e poi ristabilire il gap necessario.
L’utensile ha la forma della cavità che dobbiamo realizzare.

• EDM animazione - https://youtu.be/GinrpIvwRRE


• How EDM works part 1: https://youtu.be/_v1rm7a3-6s

L’elettrodo
Il materiale più utilizzata per l’elettrodo è la grafite, proprietà importanti che deve avere sono quelle
elettriche e termiche, deve essere un conduttore elettrico e deve avere basse temperature di fusione in modo
da minimizzare l’usura sull’utensile.
Inoltre, deve essere facilmente lavorabile per asportazione di materiale perché l’utensile rappresenta il
positivo della cavità che si vuole realizzare sul pezzo, quindi gli dobbiamo dare una precisa geometria che
viene ottenuta con una lavorazione meccanica.
La grafite presenta tutte queste caratteristiche, si può utilizzare anche un utensile in rame, ma l’usura del
rame è più elevata.
Se si vuole aumentare la velocità di produzione si possono utilizzare utensili di rame-tungsteno, il tungsteno
aumenta la resistenza all’usura, ma in questo caso la lavorabilità dell’utensile è minore.
Per l’elettroerosione a filo abbiamo bisogno di un materiale duttile e dunque utilizziamo il rame.

VANTAGGI
• Fori profondi di piccolo diametro
• Fessure strette
• Forme complesse e articolate
• Microfori su metallo duro
• Buone tolleranze dimensionali
• Usura dell’utensile indipendente dalla durezza del pezzo
• Elevata autonomia delle macchine.

SVANTAGGI
• Problemi per l’usura dell’utensile
• Lavorazione limitata ai soli materiali conduttori di elettricità
• Rugosità pronunciata
• Produttività inferiore rispetto alle singole macchine utensili (abbiamo tempi più lunghi di lavorazione,
talvolta vengono fatte lavorazioni ibride e dunque si usa l’elettroerosione solo per una finitura superficiale)

Alcune applicazioni:
• produzione di punzoni e matrici per la forgiatura dei metalli
• produzione di particolari in tungsteno
• realizzazioni di fori o cavità complesse
• lavorazioni di materiali ad alta resistenza ed elevata durezza.
La lavorazione non lascia bave, opera con tolleranze +/- 0.015 mm.

Elettroerosione a filo
L’utensile che usiamo è un filo, nel
caso più comune è un filo di rame.
il filo ha un diametro 0,05 ÷ 0,3 mm
funge da elettrodo, svolgendosi da una
bobina e avanzando
longitudinalmente;
Il percorso del moto di avanzamento
trasversale determina il profilo del
pezzo.
Il movimento di avvolgimento e svolgimento del filo è dovuto al fatto che il filo nel tempo si usura e quindi si
romperebbe.
Il pezzo viene mosso sul piano xy così da realizzare il profilo di taglio, la larghezza del taglio è maggiore del
diametro del filo, questo gap è un fattore controllato.
Anche in questo caso abbiamo bisogno di un dielettrico, in alcuni casi si può lavorare con immersione nel
fluido dielettrico, oppure si spruzza il dielettrico in corrispondenza della posizione del filo, è poi
l’avanzamento longitudinale del filo a portare il dielettrico all’interno del gap.
Per quanto riguarda il taglio si può lavorare sul sistema di rulli su cui si avvolge e svolge il filo e quindi si può
orientare diversamente il filo (non sarà necessariamente verticale).

Elettroerosione a filo
l’elettrodo è costituito da un filo conduttore continuo che percorre molto lentamente il profilo programmato,
mentre le scariche elettriche erodono progressivamente il materiale come i denti di una sega. La scarica
avviene lungo il filo per il tratto in cui esso è impegnato nel pezzo in lavorazione. Il filo viene mantenuto ad
una distanza costante, gap, dal pezzo in lavorazione controllando i parametri di scarica. Il filo si svolge da un
aspo e dopo un percorso che segue anche un profilo complesso torna ad avvolgersi su un rocchetto. Viene
continuamente rinnovato riavvolgendolo su una bobina (a circa 2.5 mm/s) ed è relativamente poco costoso.
E’ in bronzo, rame o tungsteno con un diametro minimo di circa 0,25 mm. Con l’elettroerosione a filo si
tagliano spessori fino a 500 mm e si fabbricano punzoni, utensili e matrici di materiale duro.
La lavorazione a filo riduce i costi dell’utensile, permette di seguire percorsi anche complessi, garantisce
tolleranze ancor più precise e rugosità paragonabili a rettifiche accurate, ma il procedimento è assai più lento
dell’elettroerosione a tuffo

Abbiamo tensioni elevate e tempi di scarica molto ridotti.


Il filo
Caratteristiche del filo:
Elevata piegabilità (non si deve spezzare durante lo svolgimento e avvolgimento)
Resistente (perché sempre tenuto in tensione per far avvenire precisamente il taglio)
Buon conduttore di corrente e calore
Elevata T di fusione
Generalmente rame (0.15 – 0.3mm)
Molibdeno rivestito di rame (0.03-0.15mm) per applicazioni particolari.

Abbiamo già detto prima che usiamo polarità


inversa.

• Introduction to wire EDM -


https://youtu.be/eaeEn1Gs4aQ
• Introduction to small hole EDM -
https://youtu.be/GKFLnJNxc6w
Fabbricazione additiva

La fabbricazione additiva è nata in ambito di prototipazione ed ha avuto un enorme successo, perché è una
tecnica capace di produrre prototipi in breve tempo.

Un processo di prototipazione convenzionale (in cui il prototipo è realizzato da un artigiano) richiede costi e
tempi elevati (anche delle settimane).

Quando è nata la fabbricazione additiva, negli anni ’80, si è avuta la possibilità di realizzare il prototipo a
partire da un CAD 3D che rappresentasse sia le superfici interne che esterne del prototipo, i sistemi di
fabbricazione additiva consentono di trasformare il modello CAD3D in un oggetto fisico trasferendo i dati alla
macchina.
I sistemi iniziali non erano molto le prime tecniche di fabbricazione additiva non avevano prestazioni elevate,
la prima tecnica è stata la sterioligrafia che utilizzava delle resine fotosensibili che polimerizzano quando
irradiate da un fascio luminoso ad ultravioletti, il componente fatto in questo modo non aveva caratteristiche
strutturali elevate, ma il prototipo realizzato in questo modo non richiedeva più settimane di lavoro ed
operatori specializzati.
Per questo motivo le tecniche di fabbricazione additiva sono state inizialmente denominate tecniche di
prototipazione rapida.
Il prototipo nei vari studi di design e di processo è sempre realizzato, per vari motivi:
per ottenere dei modelli concettuali che sono
rappresentazioni fisiche dei componenti che
non sono realizzati lo stesso materiale e con
le tecniche di produzione del componente
finale. (in questo senso si dice che il prototipo
è concettuale, cioè ti tipo estetico)
Esistono anche dei prototipi di tipo
funzionale, che ci permettono cioè di
realizzare alcune operazioni su questi
oggetti, ad esempio assemblare diverse parti
e vedere che non ci sia interferenza.
Inizialmente, i prototipi realizzati con
tecniche di fabbricazione additiva erano solo
di tipo concettuale perché avevano scarse
proprietà.

Abbiamo poi prototipi di tipo tecnico e quelli di pre-serie.

Nei prototipi di tipo tecnico entra in gioco anche il processo produttivo e quindi analizziamo non solo il
componente, ma anche le caratteristiche che il processo conferisce al prodotto, quindi si va ad ottimizzare il
prodotto anche dal punto di vista del processo.

Nel caso di prototipo tecnico il materiale e la tecnica di fabbricazione saranno molto simili a quelli del
prodotto finale.

Abbiamo poi il prototipo pre-serie che ha caratteristiche uguali a quelle del prodotto finale, ma è prodotto
in quantità minore.

L’additive è nata per realizzare prototipi concettuali, possiamo realizzare prototipi tecnici e di pre-serie con
la fabbricazione additiva solo se questa sarà anche la tecnica utilizzata nel processo finale di produzione.
oggi quella che è nata come rapid prototyping
viene chiama fabbricazione additiva, stampa
3D o additive manifactuting.

Il termine fabbricazione additiva sta proprio ad


indicare il diverso modo di lavorare di questa
tecnologia rispetto alle lavorazioni meccaniche
classiche che lavorano per sottrazione.

Vediamo il processo di base della fabbricazione additiva, l’idea da cui si parte è di avere un collegamento
diretto fra il modello CAD 3D di base e il modello fisico.

Per realizzare il modello fisico si immagina di sezionare il modello CAD 3D secondo piani paralleli fra di loro,
ottengo così le slices cioè le sezioni del componete su ciascuno di questi piani, ognuna di queste slice sarà
poi realizzata dalla macchina di fabbricazione creando la sezione con uno spessore, che è esattamente la
distanza fra i layer successivi in cui si deposita poi del materiale.

Uno dei primi processi che si utilizzavano, che si chiamava LOM, sfruttava dei fogli di carta che erano
preincollati e si sovrapponevano per ottenere l’oggetto finale, oggi questa tecnica non si utilizza più.
01-VILLA 8/05/20

Per persone che si occupano di ingegneria industriale quello di avere alcuni concetti base che servono per
riuscire a discutere di problemi di gestione con i manager aziendali è utile ed è utile anche per persone con
competenza tecnica, che i manager industriale non hanno.

Cercheremo di imparare i concetti a partire da esempi pratici, dedotti da realtà industriale.

Il punto di partenza è semplice ma già da un’idea della gestione della produzione.

Tutti i capisquadra delle grandi imprese e i responsabili di produzione nelle piccole e medie industrie hanno
un obiettivo urgente:

• consegnare in tempo i prodotti finiti al cliente (inteso come cliente fisico, nel caso di medi e piccole
imprese oppure al mercato nel caso delle grandi aziende)
• ma anche mantenere il minimo di materiali e componenti all'interno del dipartimento (ad esempio,
mantenere il più basso possibile Work In Progress - WIP) questo fa avere meno costi, cioè buffer
ridotti, in una azienda ogni spazio fisico dove non c’è un macchinario, quindi non si produce, costa,
• ma garantisce anche al cliente il ritardo minimo di consegna, questo perché se l’azienda ha un grande
portafoglio, cioè accetta un grande numero di ordini, inevitabilmente ci sarà un ritardo nella
consegna, se il ritardo non è eccessivo non ha nulla, se è molto grande il cliente potrà richiedere una
penalità (a volte lead time),
• e infine ottenere il tasso massimo di utilizzo della capacità (tipicamente espresso in termini di
percentuale di tempo lavorato), questo dipende molto dall’organizzazione dell’azienda (metodo just-
in time o schedulizzazione delle macchine).
Far avere alla macchina il maggior tasso di utilizzo è complicato, soprattutto quando simo in aziende
medio/piccole in cui la macchina può svolgere più di un compito e dunque c’è un tempo di set up
(devono essere più brevi possibili) dovuto al cambio di lavorazione, che è un tempo improduttivo.

Questi 4 punti non sono coerenti fra di loro.

In breve, una "quadratura del cerchio", perché un pianificatore non può sempre garantire la consegna entro
la data richiesta se non ha margine di capacità d'uso (cosa che impedisce un elevato utilizzo dei centri di
lavoro) e se non ha fornito materiali sufficienti e componenti da utilizzare per l'assemblaggio finale (che
richiede la presenza di un WIP sufficiente)

Qualsiasi logica di sequenziamento dei lavori dipende dalla struttura del sistema di produzione. In particolare,
ci sono due aspetti che distinguono gli approcci utilizzabili: da un lato, le connessioni tra i centri di lavoro,
ovvero la presenza o l'assenza di buffer intermedi che possono disaccoppiare il funzionamento di ciascun
centro da quello dell'altro; altro, la direzione in cui i controlli vengono propagati da un centro all'altro.
Approssimativamente il primo aspetto, la presenza di un buffer tra due centri di lavoro, potendo contenere
un numero sufficiente di pezzi, consente al centro a valle di funzionare anche in caso di arresto del centro a
monte e di non indurre arresti anche nel caso opposto : così i due centri possono operare indipendentemente
l'uno dall'altro. Il secondo aspetto è legato al modo di trasmettere gli ordini di lavoro interni da un centro a
quelli ad esso collegati, a monte o a valle.

Se il trasferimento dei controlli (ovvero "ordini di produzione interni") avviene da downstream a upstream, il
sistema funziona in condizioni "pull", con "trascinamento" della produzione da un centro all'altro, che funge
quindi da "client" del il primo, a sua volta, considerato "fornitore". • Nel caso opposto, in cui la trasmissione
di ordini interni avviene da monte a valle, il sistema è gestito secondo una logica "push", ovvero la produzione
viene "spinta" dal centro upstream verso il centro successivo, assumendo che entrambi siano pianificato cosa
e quanto lavorare.
per gestire la produzione ci sono due logiche che si possono seguire.

Logica di programmazione → Push

Io so di dover fare e allora spingo avanti la produzione così da poter riservare del tempo per gli ordini
programmati nelle settimane future

Logica di controllo → Pull.

Per la logica pull si ragiona in modo opposto, cioè io ricevo l’ordine cerco di fare l’ultima fase di lavorazione
e di trascinare in avanti, dallo stadio precedente i componenti di cui ho bisogno, lo stadio precedente, a sua
volta, li trascinerà dallo stadio ancora precedente.

• Se il trasferimento dei controlli (ovvero "ordini di produzione interni") avviene da downstream a upstream,
il sistema funziona in condizioni "pull", con "trascinamento" della produzione da un centro all'altro, che funge
quindi da "client" del il primo, a sua volta, considerato "fornitore".

• Nel caso opposto, in cui la trasmissione di ordini interni avviene da monte a valle, il sistema è gestito secondo
una logica "push", ovvero la produzione viene "spinta" dal centro upstream verso il centro successivo,
assumendo che entrambi siano pianificato cosa e quanto lavorare.

Proviamo a rappresentare i concetti di prima con uno schema molto semplice

I rettangoli rappresentano i buffer, cioè i magazzini.

I3 immaginiamo rappresenti il magazzino prodotti finiti, i tondi rappresentano delle risorse produttive, non è
detto che una risorsa produttiva sia un'unica macchina, in una linea possiamo avere una risorsa composta da
tante parti.

Quello che è indicato con F potrebbe essere inteso come un fornitore oppure come il primo stadio del
processo, perché dietro di questo ci sarà un altro processo produttivo che a sua volta manda componenti di
base al processo produttivo che stiamo osservando.

Come leggiamo questo schema?


È un processo just in time, nato in toyota, ha sostituito il taylorismo (fordismo). Si programma sulle ore, c’è
un controllore su ogni stadio

L’intero processo produttivo riceve dall’esterno una domanda frequente di prodotti finiti (Dt) [da un cliente
o dal top management dell’azienda che ha le interazioni con i clienti], diciamo che mediamente riceva una
domanda ogni 2 ore, quando il sistema riceve una domanda deve cercare di consegnare il pima possibile i
prodotti che gli sono stati richiesti (Ct), consegnando i prodotti che gli sono stati richiesti, nel magazzino I3
restano degli spazi vuoti, che non sono proprio vuoti, ciascuno al suo interno avrà un kanban libero (dei
fogliettini che indicano la posizione nel magazzino), questi vengono mandati al gestore per l’avanzamento
della produzione dello stadio A (KT3t), che li legge come un ordine di produzione, per fare questi prodotti che
devo consegnare al più presto C2t devo avere a disposizione dei componenti che mi servono per fare questi
prodotti, allora mando dei cownban di richiesta associati ai componenti che servono per realizzare il prodotto
in A. Questi kanban lasciano a loro volta degli spazi vuoti.

La linea deve essere organizzata in modo tale che ad ogni stadio le operazioni devono essere realizzate
rapidamente e così anche le operazioni di carico e scarico.

Ogni gestore di stadio muove due tipi do konban, uno di produzione e uno di richiesta, che ritornano sempre
indietro, perché vengono staccati dal prodotto che viene spedito e rimandato indietro.

Se la linea è lunga il giro di kanban è lungo, ci può essere che ci siano dei problemi nella gestione di kanban,
soprattutto nelle piccole aziende in cui si usano dei fogli componenti.

Per evitare problemi con i kanban nelle medio/grandi aziende il movimento dei kanban non è fisico, ma
virtuale, cioè è tutto gestito dal sistema interne interno all’azienda, non è gestito da un sistema internet
esterno all’azienda perché l’azienda non vuole che i competitors conoscano il loro ciclo produttivo.

Il metodo di trascinamento si usa quando ho una domanda frequente e abbastanza costante.

Se abbiamo una domanda che arriva a blocchi, si prevede che arrivi in un orizzonte futuro abbastanza lungo,
ad esempio 3-6 mesi. Le imprese fanno delle ipotesi su come dovrebbero arrivare gli ordini.

Si vuole cercare di programmare quando questi ordini potrebbero essere completati, in modo da essere
consegnati (si programma sulle settimane, non ci sono programmatori su ogni stadio)
Quando si programma, quando cioè la gestione della produzione è programmazione della produzione deve
esserci un programmatore della produzione che nelle imprese è chiamata planner.

La programmazione della produzione avviene perché dall’esterno si prevede arrivano domande, ad esempio
nei prossimi tre mesi, noi programmiamo di ricevere queste domande, in alcune delle prossime settimane.

Immaginiamo cioè di dividere l’orizzonte di tre mesi in intervalli ciascuno pari ad una settimana, così da poter
programmare le domande che pensiamo di riceverle, nelle varie settimane future.

Il planner deve programmare settimana per settimana la quantità che penserà dimettere in produzione come
prodotti finiti e la quantità che penserà di mettere in produzioni come componenti finali e la quantità che
penserà di mettere in produzione nel primo stadio e programmare l’ordine per i fornitori.

Programmare vuol dunque dire decidere oggi quello che si ritiene potrà essere fatto in una delle settimane
future.

La cosa più importante da programmare è quello che il fornitore dovrà fornirci, in modo da averlo, poi
programmare quello che si pensa di fare e, infine, programmare quello che pensiamo di completare ogni
settimana.

Si chiama dunque logica a spinta perché si programma con anticipo le quantità che pensiamo di riuscire a
fare.

Non è detto che fra la programmazione e quello che riusciamo a fare ci sia una corrispondenza 1:1, nessuno
può dire se in futuro si potrà mettere in produzione tutto ciò che è stato programmato e nessuno può dirci
se arriverà un ordine imprevisto, che dobbiamo saper gestire senza mettere in crisi il programma fatto.

La programmazione fatta, ad esempio per 6 settimane, viene con una certa frequenza aggiornata per altre 6
settimane, non si aspetta che passino 6 settimane; cioè immaginiamo di aver fatto una programmazione per
6 settimane, dopo due settimane di farà una nuova programmazione per sei settimane e così via.

Questo orizzonte che si muove viene detto running rise.


Abbiamo poi un terzo metodo di controllo della produzione, che è il più recente, ed è stato ottenuto
modificando il JIT.

Questo metodo è nato una ventina di anni fa a causa della confusione legata ai konban e alla diffusione delle
macchine automatiche.

Anche per questo metodo si ipotizza una domanda costante e frequente, ma quando si consegna , invece di
chiedere la produzione allo stadio precedente, che è uno stadio con un alto livello di produzione e continua
a lavorare, si chiede la consegna al fornitore di quello che si pensa di avere bisogno nel prossimo futuro,
quindi konban che partono da i3 vanno all’inizio della linea, cioè al fornitore chiediamo quello che ci serve
con un buon anticipo, cioè l’anticipo necessario a produrre i pezzi lungo la linea.

Ogni stadio di questo sistema è caratterizzato da macchine con un buon livello di automazione quindi
machine con un tasso produttivo costante, hanno dei set up molto rapidi.

Se una macchina si blocca per un tempo molto lungo blocca tutta la linea perché mancano i collegamenti
che ci sono nel JIT.
Vediamo questi tre metodi più in dettaglio

Programmazione/pianificazione della
produzione – programmazione delle
richieste di materiali MRP

Con il nome materiali si intende materie


prime e componenti, questo metodo è il più
antico ed è un metodo centralizzato

Cercheremo di capire questo metodo


partendo da un esempio.

l’MRP va applicato ad una linea, il C si ha


l’origine della domanda.

Con 2 si indica lo stadio finale che scarica i


prodotti nel bufferer di out put dal quale
vengono spediti.

Lo stadio 2 riceve dal suo buffer di carico i


componenti e così via.

Mat sta per materiali di partenza

Sl sono semilavorati

Fin i prodotti finiti.

La cosa che si deve ricordare quando si fa


programmazione della produzione è
l’albero di prodotto che è la descrizione, tramite un diagramma a blocchi, di come il prodotto finito viene
ottenuto usando semilavorati, che a loro volta usano materiali.

Nelle imprese l’albero di prodotto non viene rappresentato con uno schema, perché i prodotti sono talvolta
complicati, per questo motivo si usa la distinta base.

Il punto di partenza per applicare la programmazione della produzione è avere l’albero di prodotto e avere il
sistema produttivo.

I dati di cui abbiamo bisogno sono:

sulle settimane (period) dobbiamo avere le


richieste totali che arrivano

in questo esempio l’azienda programma di


ricevere una prima richiesta la quarta settima
e programma di ricevere una seconda richiesta
la sesta settimana.

Cosa deve fare l’MRP una volta avute le


richieste lorde?
L’MRP deve cercare di calcolarsi il fabbisogno netto, cioè se io ho già dei pezzi non li devo produrre.

Bisogna poi programmare l’ordine interno, qui bisogna fare attenzione perché se voglio consegnare dei pezzi
ad una certa settimana io devo iniziare a lavorarli prima, quindi l’ordine interno deve essere anticipato.

Quello che abbiamo in grigio sono i dati che ci vengono forniti dal manager dell’azienda.

Le altre tabelle le dobbiamo riempire noi.

Ogni tabella è relativa ad un elemento dell’albero (FIN, SL, MAT).

La procedura MRP parte dal prodotto finito FIN, si muove lungo le settimane.

Guarda la prima settimana: hai un fabbisogno lordo la prima settima? no

Allora il magazzino che era 10 all’istante 0, rimane 10


20
10
Alla seconda settimana abbiamo richiesta? no Allora il magazzino rimane 10

Lo stesso accade alla terza settimana, quindi al termine della terza settimana il magazzino è 10, alla quarta
settima l’MRP riconosce un fabbisogno lordo i 50 pezzi, ma vede che nel magazzino ne ha 10, allora ne deve
produrre 40, per produrne 40 deve emettere un ordine interno, quando emette quest’ordine interno?

Se voglio avere 40 pezzi pronti alla settimana 4 da usare con i 10 che ho già per consegnare i 50 che mi sono
chiesti, devo metterli in produzione la settimana precedente.

L’ordine pianificato viene programmato in


base a quello che l’MRP legge sulla prima riga,
LT, cioè il led time, ma per lanciare l’ordine io
devo avere i componenti, allora l’MRP va a
vedere l’informazione sul numero di
componenti sono necessari per produrre un
prodotto finale.

LT non dipende dal numero di pezzi.

40 prodotti finali da mettere in produzione


richiedono 40 componenti, quindi l’MRP va a
vedere quanti componenti ha a disposizione
nel magazzino. Ne ha 30, quindi ne deve
produrre 10.

Allora dobbiamo pianificare l’ordine di 10


componenti, l’MRP va a vedere il Lead time
per produrre componenti LD=2, allora deve
anticipare di 2 settimane l’ordine, che è un
ordine interno.

Vediamo poi che per produrre un componete


servono 2 materiali, quindi mi servono 20
materiali per 10 componenti.

Nel magazzino ho 30 componenti, quindi ne rendo 20 e me ne restano 10 in magazzino.

Vediamo un po’ di formule


FLt è il fabbisogno lordo al tempo t

MDt-1 il magazzino disponibile al


tempo t-1, cioè la settimana prima

Se il fabbisogno è maggiore del


magazzino disponibile, allora il
fabbisogno netto FNt sarà FLt-MDt-1.

Se FLt=0 o FLt<MDt allora FNt=0, non


devo programmare nulla.

OP è l’ordine pianificato e deve


essere anticipato di un tempo pari al
Lead time OPt-LD (regola di
pianificazione dell’ordine). (vedi regola lot sizing sulle slide, serve per fare in modo che l’operatore veda lotti
periodici, non ci interessa molto questa cosa)

MDt è il magazzino disponibile dopo l’ordine.

Spesso si usa un parametro detto Livello di sicurezza LS che ci indica la soglia di componenti minimi da avere
sempre, una scorta n magazzino da avere sempre.

Se io ho un livello di sicurezza il magazzino non può andare a zero

Quindi se ho un livello di sicurezza il fabbisogno lordo non lo devo confrontare con il magazzino disponibile,
ma con il magazzino disponibile meno il livello di sicurezza.

Il livello di sicurezza ci permette di gestire le situazioni impreviste.

02 – Villa 15/05/20

Il conwip è una modifica del jit, nel conwip, come per il jit dobbiamo avere una domanda costante e le
consegne sono costanti, i kanban in questo caso però non vengono mandati allo stadio precedente, ma sono
mandati all’inizio del processo produttivo.

Il conwip lavora bene all’interno della filiera.

Nel conwip ogni stadio della linea deve avere alcune caratteristiche:

1. Alta affidabilità: non deve avere rotture perché diventa il blocco dell’intera linea, se nel conwip uno stadio
si ferma deve essere bloccata la linea.

2. Automatizzati: questo perché non c’è un controllore per ogni stadio, quindi il conwip deve essere un
sistema abbastanza rigida.

Se nel jit se si ha una rottura non si ferma tutta la linea

Filosofia JIT

Il JIT è una logica di controllo della produzione e per controllarlo si utilizza un passo di campionamento molto
basso (un’ora) ed ha la necessità di avere una domanda quasi costante.
L'obiettivo principale di JIT è la riduzione delle scorte. Ridurre l'inventario, tuttavia, è un vero miglioramento
se si capisce quali sono le vere ragioni dell'accumulo, ricordando che gli accumuli sono di tipi diversi. I più
frequentemente citati sono l '"inventario dei cicli", a causa dei tempi di allestimento e, nel caso delle materie
prime, dei tempi di consegna. Ridurre le scorte di questo tipo dovrebbe ridurre i tempi di allestimento: questo
non è solo un problema di gestione, ma la tecnologia, in quanto può comportare modifiche alle operazioni da
eseguire sul centro di lavoro. È certo che la riduzione del set-up riduce i lotti di produzione, con vantaggi su
WIP e tempi di consegna. Un altro costruttore di scorte è il ritardo nella presenza di parti difettose: è un
principio di base della SIC assicurato che WIP e il miglioramento degli obiettivi di qualità sono collegati. Inoltre,
è buona norma che il sistema di produzione JIT riesca ad avere una consegna affidabile dei fornitori e
possibilmente depositi localizzati nelle vicinanze dell'impresa cliente: questo rende l'input delle materie prime
consegne dei Fornitori) tempestivo.

Un punto critico del JIT è quello dei riattrezzaggi, cioè dei set up

Questa curva nera è una curva di domanda, che enl tempo assume valori diversi, ci sono tante aziende che
lavorano con vendite stagionali, non è detto che il jit per queste aziende non vada bene, guardiamo la curva
rossa, questa è fatta a pezzi costanti, quindi se seguo questa curva posso utilizzare il jit perché da un tratto a
quello successivo io devo cercare di modificare l’utilizzo delle risorse che ho.

Il jit lavora bene su una linea di produzione, cioè su una successione di centri di lavorazione.

Nella slide seguente è rappresentato una degli stadi produttivi della linea, che è composto da un centro di
lavorazione (cerchio), il quale ha un centro di controllo avanzamento produzione (PAC), che al giorno d’oggi
è costituito da un calcolatore, un monitor e una persona che deve avere una discreta qualifica, perché deve
saper leggere dal monitor come funziona la macchina.

A destra c’è poi il buffer di output dello stadio che consegna allo stadio successivo (perché riceve la domanda
dallo stadio successivo), il componete rilascia un kanban che va al PAC, che lo vede come un ordine e lo rinvia
allo stadio di produzione, contemporaneamente il PAC manda un kanban di richiesta allo stadio precedente.
Si dice quindi che ogni stadio del jit ha un controllo decentralizzato, ciò non vuol dire che ogni stadio fa ciò
che vuole. Ogni stadio è indirettamente legato con lo stadio di valle, tramite le consegne e i kanban di
produzione che riceve, e con la stadio di monte

Introduciamo ora tre parametri


Pi è il flusso di carico, loading rate, cioè il tasso di produzione dello stadio, lo stadio deve produrre in tempi
brevi.

Xi è il livello del buffer

Si è il tempo di set up (riattrezzaggio), cioè il tempo di preparazione dello stadio in modo da farlo lavorare
cambiando da un prodotto a quello successivo, in molte linee si lavora un prodotto per volta.

Ai è il tasso di arrivo dei componenti dallo stadio precedente.

Supponiamo di avere uno stadio che


lavora due tipi di prodotti 1 e 2.

T1 è il tempo di processo del prodotto 1,


T2 del 2.

Prima si lavorare il prodotto devo


riattrezzare, lo stesso anche per il
prodotto 2.

Guardiamo la linea nera che rappresenta


l’evoluzione del numero di pezzi di tipo 2
nel buffer 2, questa ha all’inizio un valore
crescente perché il buffer del prodotto 2
cresce, poiché non si sta lavorando il
prodotto 2, questa pendenza è pari al
tasso di arrivo a2, la parte decrescente
ha pendenza pari alla differenza fra il
tasso produttivo e il tasso di arrivo (p2-
a2).

La curva in grigio è relativa al prodotto 1,


durante il tempo di set up non si
produce, quindi si ha pendenza positiva
pari ad a1, poi abbiamo nel tempo di
produzione T1 il tratto decrescente
(pendenza p1-a1) e poi nuovamente il tratto crescente.

Si definisce il tempo Tc= s1+T1+s2+T2.

Nell’intervallo di tempo T1 vengono fatti p1T1 prodotti, in t2 vengono fatti P2T2 prodotti, ma se questo
intervallo è periodico il punto di inizio e fine della linea ha lo stesso valore, perché il livello del buffer ad ogni
intervallo raggiunge sempre lo stesso valore.

Nell’intervallo Tc mi arrivano dunque tanti componenti a1Tc quanti sono i prodotti che io lavoro p1T1,
altrimenti non è periodico, allo stesso modo a2Tc=p2T2

Questo grafico è usato per capire su quali parametri ragionare per rendere il punto di massimo il più basso
possibile e quindi far funzionare il jit con flussi e buffer quasi costanti.

Molte linee hanno stadi che producono più di un prodotto, dobbiamo ridurre il punto di massimo, in modo
da avere il livello di buffer costante, per fare questo ci sono vari metodi, noi ne vediamo uno semplice.

Il tempo ciclo è un parametro importante, se io riducessi il tempo ciclo (dovrei ridurre T1 e T2, s1 e s2 sono
legati alla progettazione, non li posso cambiare) si ridurrebbe la quantità di pezzi prodotti.
Per ridurre Tc devo aumentare il denominatore della formula 1-∑𝑁 𝑖=1 𝑚𝑖 , quindi m deve diminuire (m=a/p,
dove a sono gli arrivi e p è il tasso di produzione), devo incrementare il tasso di produzione, riducendo i tempi
di lavorazione T1 e T2 i punti di massimo si abbassano, non posso ridurli troppo perché altrimenti i tempi di
set up incidono e la produttività si riduce.

Fra un prodotto e l’altro ci sono dei set up, che devono essere corti.
Le formule del toyota chasing non si devono fare.
03- villa 220520

Abbiamo visto nelle scorse lezioni che l’MRP è una logica di programmazione della produzione su un orizzonte
futuro, in cui definiamo gli ordini pianificati, cioè quanto dovremmo programmare in termini di produzione
nelle prossime settimane.

Il JIT è un sistema di controllo avanzamento produzione, quindi è basato su degli intervalli brevi, in ofni
intervallo il jit riceve delle domande quasi costante, l’obiettivo è cercare di consegnare nel più breve tempo
possibile, il jit ha poi lo scopo di mantenere i livelli die buffer bassi, cioè di avere in work in process piccolo.

I due sistemi si differenziano perché uno fa programmazione e l‘altro controllo, uno lavora su un orizzonte
futuro e l’altro sul presente.

Entrambi hanno come sistema di produzione una linea, nel caso del jit per studiare l’intera linea studiamo
uno stadio.
Lezione 3 Villa 22/05/2020

Part IV- Introduzione al Production Scheduling

Schedulare vuol dire mettere in sequenza un certo numero di oggetti, jobs. Dobbiamo verificare se questa
sequenza è buona o meno ad esempio se viene lavorata nel minor tempo possibile

Noi abbiamo un certo numero di blocchi da produrre, nella schedulizzazione gli ordini da produrre sono detti
jobs.

Abbiamo due macchine utensili (risorse)


M1 e M2 e due job, che sono prodotti da
lavorare, A e B
se carico prima il job A e poi il B tutto mi
viene completato in 25 unità di tempo, se
carico prima il job B e poi il job A tutto mi
viene completato in 22 unità di tempo.

Questo tempo è il tempo di


completamento dell’ultimo job sull’ultima
macchina ed è un indicatore della
sequenza.

Abbiamo calcolato K! (k=2) sequenze,


infatti, questo è un problema di
combinazione, cioè dobbiamo trovare
tutte le possibili combinazioni di job diverse l’una dall’altra.

I problemi di schedulazione si classificano in base al sistema di produzione per il quale va calcolato la


sequenza.
consideriamo ora il caso della schedulizzazione di più job su un singolo centro di lavoro.

vediamo un esempio in cui abbiamo 4 job, quindi le combinazioni possibili sono 1x2x3x4=24, a seconda del
job abbiamo un tempo di processo diverso, a questo punto vediamo le varie sequenze

In questo caso il tempo di completamento


è sempre uguale, qualunque ordine
scegliamo.

Notiamo che in questo esempio abbiamo


una schedulazione con i tempi crescenti,
questo perché l’indicatore che stiamo
minimizzando è il tempo globale di attesa
di tutti i job.

Il tempo di attesa del job B è 3, cioè


quando è completo e disponibile per il
cliente.

Del job A è 8, del C 14, del B 21.

Il tempo globale di attesa (GWT) sarà 3+8+14+21= 46., esso assume il valore minimo se applichiamo questa
regola, cioè se posizioniamo in ordine crescete i job, questa regola è detta SPI (shorting processign time).
consideriamo ora il caso in cui il cliente ci
indica anche il tempo di consegna del job (due
date), non sempre riesco a rispettare questa
data di consegna, devo avare il minor ritardo
su ogni job.

I triangolini rappresentano i tempi di consegna


di ogni job, se il tempo di consegna per un job
è breve vuol dire che ho poco tempo per quel
job, se il tempo di consegna è lungo ho più
tempo d quel job. Quindi i tempi di consegna,
posti in ordine crescete, mi danno un ordine,
con questo ordine posiziono i job (D, C, A, B).

Questa però non è una regola esatta, ma è una regola approssimata (regola EDD).

Per ogni job abbiamo il tempo di rilascio dell’ordine da parte del cliente, gli istanti di consegna ci danno un
ordine, se abbiamo due tempi uguali scegliamo noi quale produrre prima. (FIFO vuol dire che il primo arriva
ed il primo è lavorato). Non si può iniziare a lavorare un job prima del tempo di rilascio, cioè quello in cui
viene effettivamente fatto l’ordine.

Il caso più importante è quello con vincoli di consegna e di rilascio

la differenza fra la data di consegna e


la data di arrivo (rilascio) dell’ordine è
l’intervallo entro cui devo lavorare il
job, cioè il tempo di lavoro disponibile.

Pi è il tempo che impiego per lavorare


il lotto (job), il rapporto AR non può
essere minore di 1 perché ciò
significherebbe che quel job non potrà
essere lavorato entro la data di
consegna.

I triangoli grandi indicano il release


time, quelli piccoli il due date
il job con il rapporto AR più piccolo è
quello critico, va lavorato per primo.

L’ordine è quello per cui abbiamo il


rapporto AR in ordine crescente (C A
D B)

Notiamo però che Il job B lo


consegniamo in ritardo, mentre
quello D con molto anticipo, questo
ordine quindi non va bene.

Possiamo pensare di anticipare il


lotto B e ritardare il lotto D (C A B D),
in questo modo tutti i lotti sono consegnati in tempo).

Quindi ordinare i job secondo AR crescete è il punto di inizio, poi però si può avere una riorganizzazione

consideriamo poi il caso in cui fra un


job e l’altro abbiamo un tempo di
riattrezzaggio del centro di lavoro.

Rappresentiamo i 4 job con 4


rettangolini.

Se ad esempio pensiamo di passare


dal job 1 al 2 avremmo un tempo di
riattrezzaggio s12, viceversa
avremmo s21.

S12 è diverso da s21.

Lo stesso accade con gli altri job,


quindi in totale avremmo un numero
di riattrezzaggi pari al doppio di tuti
gli accostamenti possibili, possiamo
creare una matrice in sui sulla
diagonale ci sono i tempi di
produzione e nelle altre celle i tempi
di riattrezzaggio.
L’ idea è quella di considerare il processo con un
percorso e i tempi di riattrezzaggio sono i tempi di
percorrenza. (idea del commesso viaggiatore)

Si considera un numero di percorsi pari al numero di


nodi (job), quindi in questo caso 4.

Ciascun percorso torna sempre al suo nodo iniziale,


è una regola approssimata. (metodo TSP)

Il tempo totale del ciclo a) sarà:


Tc= (p1+p2+p3+p4)+(s12+s23+s34+s41).
La prima parentesi è costante e non cambia con il cambiare delle combinazioni, anche questa è una regola di
partenza approssimata, che poi può essere modificata.

Consideriamo di avere due macchine che lavorano in parallelo, cioè il job può essere lavorato o su una o sull’altra.
In questo modo si creano due code di job,
queste code devono essere le più simili
possibili, cioè i tempi di lavoro siano i più simili0
possibili, così le macchine sono bilanciate e il
tempo di completamento di tutti i job sarà il più
breve possibile
Consideriamo inizialmente che le due
macchine sono uguali, in questo caso il tempo
di lavoro di un job sulle macchine sarà lo stesso,
nel caso di macchine diverse abbiamo tempi di
lavoro diversi per lo stesso job.

Per i due casi abbiamo due formule diverse.


Il make span (MS), con la regola SPT (speed
processing time) della coppia di macchine è
quello più alto fra i due.
Con la regola LPT (long processing time),
MS=14 (c’è un errore nelle slide).
Nel caso di macchine uguali si usa la regola LPT
Dobbiamo sempre ricordarci di bilanciare le
code ad ogni passo, cioè assegno D a M1 e B a
M2, poi per vedere a chi assegnare C devo
vedere quella che ha il tempo minore (cioè la
coda più breve), quindi assegno C a M1 e A a
M2.

Nel caso di due (o più) macchie diverse uso il


metodo SPT, è quello che mi da l’MS più breve.
(Il Make span che scelgo è quello più alto fra
M1 e M2, è solo a MS=11 che si completano
tutti i lotti).
I lotti si aggiungono sempre sulla coda più
corta

Quando parliamo di schedulizzazione in serie


ci riferiamo alla Schedulizzazione di una linea
produttiva.
Cioè se carico un job sulla macchina M1
questa lo lavorerà per il tempo di processo,
poi quel job è scaricato e caricato sulla
macchina M2, per fare ciò la macchina M2
deve essere libera, altrimenti il job uscito dalla
macchina M1 deve aspettare che la macchina
M2 si liberi.
Sulla macchina 1 carichiamo prima il job con il
tempo più breve, questo sarà il primo della
sequenza.
La macchina 2 lavora un job solo dopo averlo
ricevuto dalla macchina 1.
Il tempo di completamento dell’ultimo job della
sequenza completato dalla macchina 2
corrisponde al make span di tutta la linea. L’ultimo
job della sequenza deve essere il più corto
Il j4 viene quindi messo per questo motivo come
ultimo job della sequenza.
Da questi presupposti segue che ogni lavoro nella coda verrà caricato sul primo centro di lavoro della linea e verrà
quindi spostato da ciascun centro al successivo solo dopo essere stato elaborato. Inoltre, una volta decisa la
sequenza di caricamento dei lavori, questa rimarrà invariata su tutta la linea o il lavoro verrà completato
dall'ultimo centro di lavoro nella stessa sequenza in cui sono stati caricati sul primo centro. Ne consegue che, per
l'intera riga, deve essere selezionata una singola sequenza, quindi la variabile sconosciuta del problema di
pianificazione sarà definita da: X(ij) = se il job i è schedulato in posizione j; 0, altrimenti Ogni job è caratterizzato
dal suo tempo di lavoro ad ogni macchina della linea p ij . pij.
Il primo centro della linea, trovando i lavori in coda, può funzionare senza interruzioni. Di conseguenza, per ridurre
i tempi di completamento, sarà necessario evitare il più possibile che il secondo centro presenti tempi morti tra il
completamento di un lavoro e l'inizio della successiva elaborazione. Quindi sembrerebbe ragionevole avere come
primo in coda un lavoro con poco tempo per lavorare nel primo centro ... e ... avere come ultimo lavoro in coda
che ha un breve orario di lavoro nel secondo centro. Ne derivano due formule che approssimano il tempo di
completamento dei job

Quindi si usa il Johnson Algorithm:


Fase 1: comporre due serie di lavori, il primo dato da, ovvero l'insieme di lavori che possono essere elaborati più
rapidamente dal primo centro o che presentano lo stesso orario di lavoro su ciascun centro e il secondo gruppo
fornito da cioè l'insieme di lavori che devono essere elaborati più rapidamente dal secondo centro;
Fase 2: ordinare i lavori dell'insieme G1 in valori non decrescenti dei loro tempi di lavoro (secondo la regola SPT);
Fase 3: ordinare i lavori dell'insieme G2 in ordine decrescente dei rispettivi tempi di lavoro (secondo la regola
LPT);
Fase 4: sovrapporre le due sequenze, a partire dai lavori contenuti in G1.

Nelle linee lunghe si fa la schedulizzazione solo del collo di bottiglia.

Potrebbero piacerti anche