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Fisica
I protagonisti del film, Cooper e Murph, davanti al drone indiano: sulle ali si intravedono i pannelli solari che ne alimentano il motore
(immagine: http://turntherightcorner.com/).
Questa scena avviene sulla superficie terrestre, dove sappiamo che la potenza solare massima è dell’ordine di 1
kW/m².
Il drone del film peserà almeno 50 kg e ha sulle ali non più di 3 m² di pannelli solari; anche con un’efficienza del 100%,
questi pannelli produrrebbero (a mezzogiorno, in assenza di nubi) soltanto 3 kW, meno della potenza media del
motore di uno scooter.
Pare semplicemente impossibile che un drone del genere voli per anni – anche di notte, anche durante le tempeste di
sabbia – con una fonte di energia tanto modesta.
Non proprio il massimo per le ambizioni di credibilità scientifica del film.
Per andare dalla Terra a una stella lontana stando sul piano del foglio, il percorso sarebbe lunghissimo; ma può
diventare molto breve se esiste un «tunnel» che collega tra loro due porzioni della superficie.
Il film introduce il concetto di wormhole con quest’analogia bidimensionale, per poi mostrare − con grande efficacia
grafica − che nello spazio reale a tre dimensioni il «buco d’ingresso» di un wormhole in realtà è una sfera (e il
condotto del tunnel, di conseguenza, avrebbe quattro dimensioni).
L’ingresso sferico del wormhole che si presenta agli occhi dell’equipaggio dell’astronave Endurance
(immagine: rightbrane.wordpress.com)
Tutto questo è scientificamente corretto, seppure molto ipotetico. Certo ci si aspetterebbe che l’intensa gravità del
wormhole avesse forti effetti su Saturno, distruggendone quanto meno gli anelli. E non esiste nessuna prova del fatto
che sia possibile attraversare fisicamente un wormhole, quand’anche esistesse.
Nel film comunque dodici eroici astronauti hanno già attraversato il wormhole, avventurandosi alla ricerca di possibili
pianeti da colonizzare, e sono riusciti a inviare alla base terrestre informazioni sulle loro scoperte. Possibile?
Dai loro nuovi pianeti, gli esploratori devono aver usato antenne super-potenti per inviare segnali verso il wormhole; e
soprattutto quei segnali, una volta attraversato a ritroso il wormhole, devono aver puntato – miracolosamente –
proprio verso la Terra. Uno scenario, questo, che va ben oltre il limite della plausibilità scientifica.
Uno spettacolare anello di gas contorna Gargantua, il buco nero intorno a cui orbita il pianeta ricoperto d’acqua visitato dai protagonisti
del film (immagine: http://timsfilmreviews.com/)
Al contrario, per gli astronauti che visitano il pianeta il tempo sull’astronave-madre scorre velocemente; infatti essa li
attende lontano dal buco nero, dove la gravità è molto minore. Così, quando si ricongiungono all’astronave-madre,
dopo aver passato poche ore sul pianeta, scoprono che il loro collega li ha attesi per vent’anni.
In questo non c’è nulla di paradossale. Nel caso dei celebri gemelli della relatività speciale si ha un apparente
paradosso perché, per ciascun gemello, dovrebbe essere il tempo dell’altro gemello a rallentare. La dilatazione del
tempo della relatività generale, invece, è un effetto gravitazionale e non è simmetrico per i diversi osservatori.
La dilatazione gravitazionale del tempo è un fenomeno reale e del tutto distinto dalla dilatazione del tempo
prevista dalla relatività speciale per chi viaggia a velocità altissima (nel film, peraltro, nulla si dice sulla velocità a
cui viaggiano le astronavi, né sul loro sistema di propulsione).
Sperimentiamo la sua validità ogni giorno, quando per i nostri spostamenti ci affidiamo a navigatori satellitari che
dipendono da questo effetto.
I satelliti della «costellazione GPS», infatti, orbitano a 20 000 km dalla Terra; a quella distanza la gravità è minore
che sulla superficie del nostro pianeta, perciò gli orologi dei satelliti battono il tempo più velocemente rispetto ai
nostri.
La geolocalizzazione GPS, che si basa su misure di tempo (il ritardo tra i segnali ricevuti da satelliti diversi) funziona
proprio perché quelle misure vengono corrette come indicato dalla teoria generale di Einstein.
Uno spaventoso muro d’acqua sta per investire gli astronauti e TARS, il robot in dotazione alla Endurance
(immagine: http://scriptshadow.net/)
Sul pianeta dell’acqua di Interstellar il gradiente di gravità dovuto al buco nero è molto maggiore che sulla Terra,
perciò le maree hanno ampiezza enorme e producono onde-killer.
L’esistenza di un pianeta così vicino a un buco nero è poco probabile (quelle stesse forze di marea non avrebbero già
dovuto disintegrarlo? E quanto può sopravvivere un pianeta del genere, prima di essere ingoiato dal buco nero?). Ma
se si suppone che esista, i fenomeni descritti nel film sono plausibili.
Anche se il pianeta dell’acqua di Interstellar è esposto a una gravità molto intensa, gli astronauti sulla sua
superficie camminano normalmente. Non dovrebbero invece essere pesantissimi? La risposta è no, perché il
pianeta è in orbita, cioè in continua «caduta libera» verso il buco nero.
La situazione è analoga a quella della nostra Stazione spaziale internazionale: a 400 km di quota la forza di gravità
è ridotta soltanto del 10% rispetto al valore sulla superficie terrestre. Ma nella Stazione gli astronauti non hanno
peso, perché insieme alla Stazione stanno continuamente cadendo verso la Terra.
Sul pianeta dell’acqua dunque si cammina normalmente, perché si risente soltanto della gravità dovuta alla massa
del pianeta (che la sceneggiatura del film, per non aggiungere complicazioni, postula sia simile a quella terrestre).
Una descrizione delle basi teoriche della trama del film si può trovare nel libroThe Science of Interstellar
dell’astrofisico Kip Thorne, che è stato il principale consulente scientifico del regista.
Chi è interessato ai fondamenti della relatività generale troverà un’introduzione − meno spettacolare di Interstellar,
ma più ortodossa e comprensibile − nel nuovo programma multimediale RelativitApp edito da Zanichelli.
TAG astronautica, buco nero, dilatazione gravitazionale del tempo, Einstein, interstellar, relatività
generale, viaggi nel tempo, wormhole