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Firma di Schopenhauer
Il suo pensiero recupera alcuni elementi dell'illuminismo, della filosofia di Platone, del
romanticismo e del kantismo, fondendoli con la suggestione esercitata dalle dottrine orientali,
specialmente quella buddhista e induista.[1] Schopenhauer crea una sua originale concezione
filosofica caratterizzata da un forte pessimismo, la quale ebbe una straordinaria influenza,
seppur a volte completamente rielaborata, sui filosofi successivi, come ad esempio Friedrich
Nietzsche, e, in generale, sulla cultura europea coeva e successiva, inserendosi nella corrente
delle filosofie della vita.
Figlio di un ricco mercante e di una scrittrice, si stabilì a Weimar con la madre dopo il suicidio del
padre. Qui conobbe Wieland e Goethe. Con buoni studi alle spalle, decise di dedicarsi alla
filosofia e frequentò i corsi tenuti da Schulze a Gottinga e quelli di Fichte a Berlino. Nei confronti
di questi, ma anche di Schelling e Hegel, Schopenhauer nutrì sempre, concorde in questo con
Kierkegaard, disprezzo e avversione, arrivando a definire Hegel il gran ciarlatano.[2]
Nel 1809 si iscrisse alla facoltà di medicina a Gottinga e, nel 1811, si trasferì a Berlino per
frequentare i corsi di filosofia. Ingegno molteplice, sempre interessato ai più diversi aspetti del
sapere umano (frequentò corsi di fisica, matematica, chimica, magnetismo, anatomia, fisiologia,
e tanti altri ancora), si laureò nel 1813 a Jena con una tesi Sulla quadruplice radice del principio
di ragion sufficiente e, nel 1818, pubblicò la sua opera più importante, Il mondo come volontà e
rappresentazione, che ebbe tuttavia scarsissimo successo tra i suoi contemporanei e che
cominciò a ricevere qualche attenzione solo vent'anni dopo, nonostante fossero giunti, da più
parti, persino riconoscimenti ufficiali.
Dal 1833 decise di fermarsi a Francoforte sul Meno, dove visse da solitario borghese, celibe per
convinzione e misogino, nonostante le molte relazioni con donne che ebbe durante la sua
esistenza. La vera affermazione del pensatore si ebbe solo a partire dal 1851, con la
pubblicazione del volume Parerga e paralipomena, inizialmente pensato come un
completamento della trattazione più complessa del Mondo, ma che venne accolto come un'opera
a sé stante e fece conoscere al grande pubblico anche le opere precedenti del filosofo.
Schopenhauer manifestò per gran parte della sua vita un acuto disagio nei confronti dei contatti
umani - atteggiamento che gli procurò, in città, la fama di irriducibile misantropo - e uno scarso
interesse, almeno in via ufficiale, per le vicende politiche dell'epoca, quali ad esempio i moti
rivoluzionari del 1848 - sebbene si sia interessato, sul finire della sua vita, alla questione
dell'Unità d'Italia, prendendo posizione favorevole.
I tardi riconoscimenti di critica e pubblico attenuarono i tratti più intransigenti del suo carattere,
tanto che negli ultimi anni della sua esistenza poté addirittura raccogliersi attorno a lui una
ristretta cerchia di apostoli, come egli stesso li definiva, tra i quali il compositore Richard Wagner,
lo scrittore David Asher e la scultrice Elisabet Ney. Morì di pleurite acuta il 21 settembre 1860, a
72 anni.[3]
Indice
1
Biografia
1.1
Infanzia (1788-1800)
1.2
Giovinezza (1801-1821)
1.3
Maturità (1822-1850)
1.4
Ultimi anni (1851-1860)
2
La filosofia di Schopenhauer
2.1
Schopenhauer e l'amore
2.2
Schopenhauer e gli animali
3
Nella cultura di massa
4
Opere
4.1
Traduzioni in italiano
4.1.1
Pubblicazioni postume (con relative edizioni moderne)
5
Note
6
Bibliografia
6.1
Narrativa
7
Voci correlate
8
Altri progetti
9
Collegamenti esterni
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1799 ritorna ad Amburgo, dove comincia a frequentare l'Istituto Runge, compiendo studi a
carattere commerciale.[5] Nel 1800, durante le vacanze estive accompagna i genitori a Weimar,
(dove fa la conoscenza di Schiller), e poi a Karlsbad, Praga, Berlino e Lipsia.[4][5]
Dal 1808 al settembre 1809 studia sotto la guida di Passow per quanto riguarda la lingua greca,
mentre Cr. Lenz lo segue nel latino. Intanto Fernow (di cui Johanna Schopenhauer ha nel
frattempo scritto una biografia) lo avvicina alla cultura italiana e, in particolare, all'opera
petrarchesca, la sua preferita tra le italiane. Gli studi non gli precludono però la vita sociale: si
reca a teatro e ai concerti, e s'innamora di Karoline Jagemann, un'attrice cui dedica una poesia
sentimentale. Al compimento del ventunesimo anno riceve il suo terzo dell'eredità paterna, circa
19.000 talleri.[7]
Il periodo dall'ottobre 1809 all'aprile 1811 vede nuovi studi: si iscrive alla facoltà di medicina
all'Università di Gottinga: segue lezioni di fisiologia, anatomia, matematica, di fisica, chimica e
botanica; segue anche storia, psicologia e metafisica, ed è soprattutto la passione per
quest'ultima che lo spinge ad abbandonare definitivamente gli studi medici e a dedicarsi
completamente alla filosofia. Sotto la guida di Schulze studia Leibniz, Wolff, Hume, Jacobi e,
infine, Platone e Kant, i filosofi che segneranno il suo pensiero.[7]
Trascorre le vacanze del 1811 a Weimar, dove incontra Wieland, che prevede per lui un futuro di
successo. In autunno è a Berlino per ascoltare le lezioni di Fichte, fino ad allora venerato come
un grande pensatore. Dallo studio dell'opera di Fichte emerge però un certo disappunto, che
presto si tramuta in ostilità. Il filosofo ripiega nuovamente sulle scienze, una materia di studio che
sarà sempre tra le sue preferite: si interessa di elettromagnetismo, di astronomia, fisiologia,
anatomia e zoologia; segue con grande interesse i corsi di archeologia e di letteratura greca,
nonché quelli di poesia nordica. Ha l'occasione di ascoltare le lezioni di Schleiermacher nel
1812, che però non apprezza e, anzi, contesta nei riguardi della teoria della coincidenza fra
religione e filosofia, sostenendo che un uomo religioso non ha bisogno di filosofia, mentre il vero
filosofo non cerca sostegni (Schopenhauer paragonerà le religioni ad una sorta di "stampella"
per spiriti inetti) ma procede libero da imposture dottrinali, affrontando ogni pericolo.[7]
Nel 1813, in seguito alla ripresa delle guerre napoleoniche (Napoleone sarà in seguito
aspramente criticato dal filosofo), Schopenhauer abbandona Berlino e si reca nuovamente a
Weimar, dove studia Spinoza; si trasferisce poi a Rudolstadt, dove lavora a Sulla quadruplice
radice del principio di ragion sufficiente, che manda poi all'Università di Jena ottenendo con ciò
la laurea in filosofia in absentia. A fine anno ritorna a Weimar, dove ha l'opportunità di rivedere
l'anziano Goethe, sicuramente il personaggio a cui il filosofo sarà più legato nel corso della sua
esistenza, citandolo spesso nelle sue opere. Nella primavera 1814 assieme a colui che veniva
definito "l'eletto dagli Dei" e il padre della cultura tedesca, Schopenhauer approfondisce la teoria
dei colori in accesa critica antinewtoniana. Nel contempo s'avvicina alle culture d'oriente: legge
con crescente entusiasmo, su suggerimento dell'orientalista Friedrich Majer, le Upaniṣad
indiane.[8]
Nel maggio 1814 si trasferisce a Dresda. È un periodo di grande lavoro, interrotto da alcuni
viaggi estivi. Frequenta la galleria d'arte e la biblioteca; legge moltissimo, specie i classici latini
(Virgilio, Orazio e Seneca), gli scritti del Rinascimento italiano (Machiavelli), della letteratura
tedesca contemporanea (Jean Paul) e, in generale, della filosofia (Aristotele, Bruno, Bacone,
Hobbes, Locke, Hume e, ovviamente, ancora Platone e Kant). Il suo interesse per l'ottica lo
spinge a pubblicare, nel 1816, un trattato Sulla vista e sui colori. Inizia la stesura della sua opera
principale, Il mondo come volontà e rappresentazione, che porta a termine all'inizio del 1818 e
che fa pubblicare, con la casa editrice Brockhaus di Lipsia, nel dicembre dello stesso anno.
Questa prima edizione sarà un totale insuccesso, e buona parte delle copie andrà al macero.[7]
Nel settembre 1818 Schopenhauer lascia Dresda e, dopo un breve soggiorno a Vienna, varca le
Alpi per raggiungere l'Italia. A novembre è a Venezia, nello stesso periodo in cui in città si trova il
grande poeta inglese Byron, fra l'altro molto ammirato dal filosofo. Per una serie di ragioni non
ben chiare[9], i due non si incontrano, nonostante Schopenhauer abbia una lettera di
presentazione datagli da Goethe in persona. Ha un'intensa relazione amorosa con una nobile
veneziana, Teresa Fuga[10], che gli rimarrà nei pensieri fino a vecchiaia inoltrata. Lo stesso anno,
mentre risiedeva ancora a Dresda, ha una relazione con una domestica; la donna avrà un figlio,
probabilmente di Schopenhauer, morto poco dopo la nascita.[11]
Visita poi Bologna, Firenze, Roma e Napoli: impara la lingua italiana, e s'interessa sempre più ad
altri autori del panorama poetico della penisola, tra cui Dante, Boccaccio, Ariosto e Tasso,
nonostante il preferito rimanga Petrarca. Nel giugno del 1819 gli viene recapitata una lettera
della sorella che lo informa dell'avvenuto fallimento della banca Muhl di Danzica, cui le due
familiari avevano affidato la totalità dell'eredità e lui 8.000 talleri: Schopenhauer rientra in
Germania nella speranza di ottenere il capitale versato, rifiuta di giungere a un accordo con i
curatori, che gli avrebbe permesso di rientrare subito in possesso di almeno una parte della
somma perduta, e, per due anni, ha difficoltà dal punto di vista economico: nonostante sostenga
l'impossibilità dell'insegnamento filosofico (così come l'assoluta inutilità dell'apprendimento delle
virtù, che egli giudica innate, ovvero fornite a priori solo ad alcuni eletti), vorrebbe ottenere una
cattedra di filosofia e dedicarsi alla carriera universitaria a Heidelberg, Gottinga o Berlino. Decide
infine di stabilirsi in quest'ultima città.[7]
Nella primavera del 1820 è libero docente all'Università di Berlino: con inverosimile precisione e
audacia fissa gli orari delle sue lezioni in concomitanza con quelle dell'odiato Hegel[7], che era
considerato il maggior filosofo vivente. Ciò gli procura, almeno in principio, un pubblico esiguo
ma relativamente fedele; in seguito i suoi corsi saranno per lo più disertati. Nel 1821 incontra
Caroline Richter, detta Medon, corista dell'Opera di Berlino. La loro relazione, fra alti e bassi, si
concluderà definitivamente nel 1826. Nell'agosto del 1821 è protagonista di un evento
spiacevole: disturbato e irritato dai continui rumori che la sua vicina di casa, Caroline Louise
Marquet, continua a fare davanti alla soglia della sua abitazione, il filosofo litiga con lei e la
spintona facendola cadere dalle scale, causandole danni permanenti. In prima istanza
Schopenhauer viene assolto, ma è poi condannato in appello e costretto a versare alla donna
un'indennità di cinquanta talleri al mese, fino alla morte della stessa, circa vent'anni dopo.[7]
Progetta poi di lasciare Berlino e trasferirsi, come docente, a Heidelberg. I contatti del 1828 col
rettore di filosofia di quell'università, di posizione hegeliana, non sono esaltanti. Si dedica ancora
agli studi scientifici e alle traduzioni: completa la versione tedesca dell'Oràculo manual y arte de
prudencia di Graciàn e lo propone nel 1829 all'editore Brockhaus, che lo rifiuta; l'opera apparirà
soltanto postuma.[7] Nell'agosto del 1831 fugge da Berlino, colpita dal colera, e si rifugia a
Francoforte sul Meno, dove resta fino al luglio dell'anno successivo. Trascorre quindi un anno a
Mannheim e, dal giugno 1833, è nuovamente e definitivamente a Francoforte, città che non
abbandonerà più fino alla morte. In questo periodo la sua curiosità lo porta a occuparsi di
filosofia cinese, magnetismo e letteratura mistica. Nel 1834-36 lavora a Sulla volontà nella
natura, opera che rappresenta una summa dei suoi precedenti studi di anatomia, fisiologia,
patologia, astronomia, linguistica, magnetismo animale e sinologia. Secondo la formulazione del
sottotitolo, l'opera vuol essere «un'esposizione delle conferme che la filosofia dell'Autore ha
ricevuto da parte delle scienze empiriche, dal tempo in cui è comparsa».[7]
Nel 1837 esprime la sua personale opinione sul progetto della costruzione e della dedica a
Goethe - morto cinque anni prima - di una statua da parte della città di Francoforte; secondo il
filosofo dovrebbe trattarsi di un busto, come si confà «ai poeti, ai filosofi e agli scienziati, che
hanno servito l'umanità solo con la testa», e recare sullo zoccolo non il nome, bensì la scritta «Al
poeta dei tedeschi - La sua città natale». I suoi suggerimenti non vengono accolti. Più successo
riscuote invece il suo parere sull'edizione delle Opere complete di Kant, a cura di Karl
Rosenkranz e Wilhelm Schubert. Sostenendo che la prima edizione (1781) della Critica della
ragion pura, ormai introvabile, sia di gran lunga superiore alla seconda (1787) e rappresenti
l'opera più importante dell'intera letteratura filosofica tedesca, scrive a Rosenkranz per indurlo a
ripubblicare il libro, cosa che avviene nel 1838. Decide di partecipare a due concorsi, banditi
l'uno nel 1837 dalla Reale Società delle Scienze di Norvegia e l'altro l'anno successivo dalla
Reale Società delle Scienze di Danimarca per saggi rispettivamente sui temi della libertà del
volere e del fondamento della morale.[7]
Nel 1839 viene premiato dalla Società norvegese per il suo saggio Sulla libertà del volere
umano: è il primo riconoscimento ufficiale. Il 17 aprile muore a Jena la madre Johanna. L'anno
successivo invia alla Società danese la sua opera Il fondamento della morale, ma non ha
successo. Nel 1841 i due trattati vengono pubblicati insieme sotto il titolo I due problemi
fondamentali dell'etica, ma l'accoglienza della critica è come sempre poco favorevole. Continua i
suoi studi sulle civiltà orientali. Nel 1843 Friedrich Dorguth pubblica la sua opera La falsa radice
dell'ideal-realismo, dove parla con ammirazione del filosofo di Danzica: è il primo di una lunga
serie di scritti con i quali l'autore cercherà di rompere il muro ideologico innalzato attorno a
Schopenhauer dalla "congrega dei cialtroni", come il filosofo spesso avrà modo di definire i
seguaci della triade Fichte, Schelling ed Hegel.[7]
Nel 1844 è pubblicata una seconda edizione del Mondo, con l'aggiunta dei cinquanta capitoli di
Supplementi ai quali Schopenhauer lavora già da una decina d'anni: l'opera tuttavia non riscuote
successo, ma rimane in commercio. Durante i moti rivoluzionari del settembre 1848 il filosofo è
turbato dall'idea che la massa possa prendere il potere, tanto che pensa di dover abbandonare
Francoforte, e si schiera su posizioni anti-liberali, conservatrici e leggermente reazionarie.[13]
L'anno seguente muore la sorella e Schopenhauer incontra il futuro discepolo Adam Ludwig von
Doß.[7]
Nel 1858, a settant'anni compiuti, alla morte dell'avvocato Martin Emder, uno degli amici più cari
che Schopenhauer aveva nominato suo esecutore testamentario, l'incarico passa a Gwinner, che
sarà la persona più vicina al filosofo nell'ultimo periodo. La schiera dei discepoli comincia a
crescere: vi entrano a far parte il giornalista Otto Lindner, lo scrittore David Asher e il pittore
Johann Karl Bähr. La sua vita è piuttosto ritirata: lunghe passeggiate (Schopenhauer, nella sua
Eudemonologia, raccomanda almeno due ore di moto continuo e vivace al giorno, per meglio
ossigenare tessuti e muscoli), da solo o in compagnia del cane barboncino Butz,
soprannominato poi Brahmā (nome della divinità suprema indù) e Atma[16] (= anima del mondo,
in sanscrito)[17], i pasti all'"Englischer Hof" (sempre in compagnia del barboncino, a cui talvolta si
rivolgeva chiamandolo "signore", o lo riprendeva dicendo "tu, umano" quando il cane si
comportava male[18]; cambiò persino casa nel 1859 dopo un litigio con un vicino a causa
dell'animale), lavoro e letture: legge il Times, il Frankfurter Postzeitung, riviste scientifiche e
letterarie tedesche, inglesi e francesi.
In questo periodo scopre Giacomo Leopardi, immergendosi «con molto diletto» nella lettura delle
Operette morali e dei Pensieri. La seconda edizione del Mondo si esaurisce.[7] Nel 1859 esce la
terza edizione: da allora il libro, snobbato dalla critica e dal pubblico al suo apparire, è uno dei
classici della filosofia mondiale.[7] Negli ultimi anni di vita, soddisfatto del successo letterario,
ammorbidisce la sua nota misantropia, e alcuni discepoli frequentano la sua casa, comprese
alcune donne, con cui aveva avuto sempre rapporti difficili.[19] Una di esse, la giovane scultrice
Elisabet Ney, modella infatti un famoso busto di Schopenhauer.[7]
Dal mese di aprile 1860 si manifestano gravi problemi di salute con difficoltà respiratorie e
tachicardia, benché avesse sostenuto che il suo stile di vita sano e la sua igiene avrebbero
dovuto consentirgli di vivere per un secolo.[15] Il 9 settembre il filosofo si ammala di polmonite,
che degenera subito in pleurite acuta: soffre di tosse e frequenti sbocchi di sangue. Con
Gwinner, Schopenhauer continua però a intrattenersi parlando di politica e della questione
dell'unità d'Italia. Il 21 settembre fu trovato morto seduto sulla sua sedia[20].
Tomba di Schopenhauer a Francoforte
Nel testamento lascia il suo patrimonio ad un fondo per aiutare i militari prussiani rimasti invalidi
durante i moti del 1848, ma dà disposizioni anche per occuparsi e provvedere al suo cane, alla
casa con i mobili e i documenti, con un legato per la domestica Margaretha Schnepp.[18][21] Viene
seppellito cinque giorni dopo nel cimitero di Francoforte, alla presenza di pochi fedelissimi, senza
nessuna particolare cerimonia, per lui, ateo, che disprezzava la gran parte delle religioni,
soprattutto quelle occidentali (lanciando strali non solo contro il Cristianesimo moderno, ma
anche contro l'Ebraismo e l'Islam).[22] Sulla lapide non vengono posti né data né epitaffio, solo il
suo nome e cognome: Arthur Schopenhauer.[7]
Di conseguenza, egli ritiene che uno stile di vita che neghi i desideri, simile agli insegnamenti
ascetici dei Vedānta e delle Upanishad dell'induismo, del Buddhismo delle origini, e dei Padri
della Chiesa del primo Cristianesimo, nonché una morale della compassione, è quindi l'unico
vero modo, anche se difficile per lo stesso filosofo, per raggiungere la liberazione definitiva, in
questa vita o nelle successive. Sull'esistenza di Dio, Schopenhauer è invece ateo, almeno per
quanto riguarda la concezione occidentale moderna.
Egli non nutre né considerazione né fiducia alcuna nella massa degli esseri umani, fatto che lo
conduce alla misantropia.[24]
Schopenhauer, anche se non era vegetariano, limitandosi a consumare però solo il minimo
indispensabile di carne (oggi potrebbe essere definito un aderente del semivegetarianismo), era
un acceso sostenitore dei diritti degli animali, che amava molto:
«Quando studiavo a Göttingen il professor Blumenbach ci parlò molto seriamente, nel corso di
fisiologia, degli orrori delle vivisezioni e ci fece notare come esse fossero una cosa crudele e orribile.
[...] Invece oggi ogni medicastro si crede autorizzato a effettuare nella sua stanza delle torture gli atti
più crudeli nei confronti delle bestie [...] Nessuno è autorizzato a effettuare vivisezioni. [...] Si ha pietà
di un peccatore, di un malfattore, ma non di un innocente e fedele animale che spesso procura il pane
al suo padrone e non riceve che misero foraggio. «Aver pietà»! Non già pietà, ma giustizia si deve
all'animale!?»
(L'arte di insultare)
e ancora:
«La pietà per gli animali è talmente legata alla bontà del carattere che si può a colpo sicuro sostenere
che un uomo crudele verso gli animali non può essere un uomo buono»
«Bisogna che anche in Europa, finalmente, si imponga una verità [...] che non può essere più a lungo
celata: che, cioè, gli animali in tutti gli aspetti principali ed essenziali sono esattamente la stessa cosa
che noi, e che la differenza risiede soltanto nel grado di intelligenza [...]. Infatti, soltanto quando nel
popolo sarà penetrata quella convinzione, così semplice e che non ammette nessun dubbio, gli
animali non rappresenteranno più esseri privi di ogni diritto. (...) Sia dannata ogni morale che non
vede l'essenziale legame fra tutti gli occhi che vedono il sole.»
● Aforismi sulla saggezza del vivere (scelti dai Parerga und Paralipomena)
○ trad. Oscar Chilesotti, Dumolard, Milano 1885; Bocca, Torino, 1909.
○ a cura di Eugenio Battisti, Utet, Torino, 1952; TEA, Milano, 1988.
○ trad. Ervino Pocar, Silva, Bologna, 1968; Longanesi, Milano, 1980.
○ trad. Carmelo Spinelli, Ferraro, Napoli, 1987.
○ trad. Bettino Betti, Rizzoli, Milano, 1993.
○ trad. Maria Teresa Giannelli e Claudio Lamparelli, Mondadori, Milano,
1994.
■ Consigli sulla felicità (antologia dagli Aforismi), Mond