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La morte al tempo dei vichinghi

La religione
Prima di poter parlare di religione e concezione della morte presso i vichinghi, bisogna
chiarire alcune cose.

Innanzitutto la parola “vichingo” deriva dal termine antico islandese víkingr e non si
riferisce ad un popolo specifico, ma piuttosto ai marinai e ai commercianti di diverse
popolazioni scandinave, i quali in particolare erano soliti esplorare i mari del Nord
(giungendo fino in Groenlandia e in America molto prima che Cristoforo Colombo la
scoprisse) e commerciare così come saccheggiare in buona parte del continente europeo
tra l’VIII e l’XI secolo. La definizione non si riferiva inizialmente ad una popolazione a
se stante, ma venne poi esteso a tutti i ceti ed applicato a tutti i popoli della regione. Allo
stesso modo l’idea di “religione” non si allinea in questo caso alla più diffusa
nell’immaginario collettivo, secondo la quale essa dovrebbe consistere nell’imposizione
di dogmi, ma si adatta meglio alla definizione più generale di religione in quanto
modello storico che propone uno specifico sistema di relazione con il divino: secondo
Lukert, la religione non è altro che la risposta da parte dell'uomo a tutto ciò che egli
stesso concepisce andare oltre la configurazione umana della realtà; secondo Geertz,
essa è il tentativo di dare senso al mondo, o meglio la costruzione e mantenimento nella
società di un sistema di conoscenze e simboli che impongano ordine al caos (il quale
viene percepito come la più vera realtà dell’universo) e che attribuiscano un senso di

maggior coerenza alla visione del mondo.1 Nel caso della religiosità norrena, si può
condensare il tutto in un insieme di credenze, che si sono integrate gradualmente
nell’attività quotidiana determinando così il modo di guardare al mondo e alla vita ed
originando i miti che hanno legittimato e tramandato quelle stesse credenze.

La religione delle popolazioni scandinave era relativamente unitaria, ovvero contemplava la


medesima cosmologia in tutte le regioni e le colonie, nonostante fosse allo stesso tempo
disorganizzata, o meglio, talmente varia che la tendenza ad adorare determinati dei ed a fare
riferimento a specifici miti e relativi riti era particolarmente diffusa. Soltanto con il

1
T. Dubois Nordic Religions in the Viking Age, Philadelphia 1999, pp. 30-31.
sopraggiungere dell’età Vichinga si verificò una presa di coscienza tale da provocare una
diminuzione della quantità e varietà di credenze e miti e un vero e proprio consolidamento

della religione. Essa venne storicamente etichettata come pagana2, dall’aggettivo che venne

utilizzato dai cristiani per indicare tutte le religioni politeistiche, ovvero tutte le religioni
caratterizzate dalla venerazione di più dei. Il politeismo norreno contemplava ben tre
differenti “culti”: i principali erano la religione naturale basata sull’adorazione dei Vani, alla

quale si sovrappose e sostituì quella basata sugli Asi in quanto sua evoluzione3, e la terza

era la religione sciamanica dei Sami e dei cacciatori Ungro-finnici4. Inoltre suddivideva la
realtà in due differenti sfere: un mondo empirico, nel quale si trovavano i vivi, e un’altra
dimensione, la quale era popolata da dei, spiriti, antenati e così via che venivano onorati
ogni giorno, ma non adorati acriticamente, poiché le divinità si comportavano come umani
ed erano essenzialmente mortali. Essa venne successivamente riesaminata e meglio definita
come etnica, siccome, a differenza delle religioni universali, consisteva in credenze e rituali
tramandati di generazione in generazione e fortemente legati alla comunità in cui si
originarono e limitata alla zona geografica in cui i suoi praticanti vissero. L’enfasi non
veniva posta sull’altro mondo, il quale poteva essere raggiunto solo dopo la morte e solo da
coloro che avevano vissuto la propria vita in un determinato modo e si erano meritati di
accedervi, retaggio tipicamente cristiano, ma sul mondo dei viventi e in particolare sul
rispetto per i defunti, indipendentemente dal loro comportamento in vita e dal loro destino
dopo la morte, e sulla commemorazione degli avi, una conseguenza del fatto che la società
vichinga ponesse le proprie basi sulla famiglia in quanto insieme di individui, la cui
individualità veniva tralasciata per mettere in primo piano l’appartenenza e la continuità
della stirpe nel corso del tempo.

La concezione della morte


La morte è un fenomeno universale, il quale evoca diverse risposte presso diverse culture ed
è, allo stesso tempo, l’ultima espressione della percezione umana di sé nella società e

2 Per ulteriori approfondimenti riguardanti la semantica legata alla religione vichinga rimando al saggio di P.B.
Sturtevant, Contesting the Semantics of Viking Religion, in Viking and Medieval Scandinavia, 8 (2012).
3 “Lo schema evoluzionistico della storia religiosa dell’umanità faceva precedere al politeismo una fase che ancora
ignorava dei propriamente detti, conoscendo solo pratiche rivolte a oggetti inanimati o a una massa di spiriti anonimi
o a forze impersonali; solo col progredire della civiltà, da questa fase si sarebbe svolta la concezione di numerose
divinità con un carattere ben distinto e prevalentemente antropomorfo.” Tratto dalla voce Politeismo
dell’Enciclopedia online Treccani.
4 T. Gunnell, What gods did the Vikings worship? Viking religion: Old Norse Mythology, in Beowulf and other
stories: a new introduction to old English, old Icelandic and Anglo-norman Literatures, edizione a cura di R. North e
J. Allard, Abigdon 2012, p.381-382.
nel cosmo5. Laddove la materialità del corpo morto ed il vuoto lasciato tra i congiunti
sono i due aspetti effettivamente universali della morte, le teorie astratte riguardanti
l’esistenza dell’anima e l’eventualità di una vita dopo la morte così come le procedure
pratiche per liberarsi del cadavere sono le due componenti culturalmente specifiche.
Proprio per questo la morte non si limita al destino della persona scomparsa, bensì
diventa l’origine e il centro della cultura poiché le risposte al sopraggiungere di
quest’ultima sono socialmente costitutive e formative per il futuro della comunità6: ogni
popolo costruisce conseguentemente una propria concezione della morte e stabilisce il
modo in cui occuparsi dei morti in base alle proprie credenze, eseguendo i rituali che
essa stessa elabora o che talvolta adotta da altre culture adattandoli. Ed il popolo
vichingo è uno di questi.

Essendo la religione vichinga risalente al periodo pre-cristiano etnica, si può interpretare la


sopravvivenza del defunto nella camera funeraria adibita in suo onore come conseguenza
della preminenza che possedeva il legame di sangue e l’iterazione con l’aldilà nella
religione dei popoli vichinghi. La morte non veniva quindi percepita come una barriera che
divideva i membri di una famiglia poiché era possibile mantenere una stretta unione tra i
vivi e i morti, i quali erano per lo più creduti e onorati in quanto potevano dare consigli e
aiuto ai vivi, anche se a volte erano anche temuti in quanto potevano tormentare i vivi o,
ancora peggio, cercare di vendicarsi. La morte era anzi recepita come la fase di passaggio da
una sfera all’altra della famiglia, o, più in generale, il momento di transizione da uno stadio
dell’esistenza all’altro, che si trasformava per l’individuo in un’opportunità di vivere
un’esperienza più intensa rispetto a quella che poteva offrire la vita e per la discendenza di

beneficiare delle conoscenze ultraterrene ricevute dai parenti defunti7. Essendo essa

oltretutto una religione politeistica, si capisce immediatamente il motivo per cui esistessero
molti regni della morte, quasi tanti quanti gli dei adorati. La morte veniva interpretata come
il viaggio tendenzialmente difficile ed insidioso verso la dimora di una di queste divinità,
che i vivi potevano facilitare attraverso

5 F. Fahlander e T. Oestigaard, The Materiality of Death: Bodies, Burials, Believes, in The Materiality of Death:
Bodies, Burials, Believes, Cracovia 2006, p. 1.
6
Fahlander e Oestigaard, Op. cit., p.1.
7
Óðinn commise il suicidio impiccandosi ad un albero per avere accesso al la saggezza, come viene narrato nello
Havamal.. Brynhildr fece lo stesso, ma per accompagnare l’amato sulla pira e per potersi finalmente ricongiungere
con lui venendo considerata finalmente nella morte sua sposa, come viene raccontato nella Sigurðarkviða hin
skamma. Entrambi i componimenti poetici sono contenuti nel canzoniere eddico.
alcune attività rituali prima, durante e dopo la cerimonia funebre8, e la permanenza in
un mondo considerato migliore.

Alcune considerazioni sulla vita dopo la morte


Sia attraverso lo studio dei reperti archeologici che delle opere letterarie, si è scoperto
che effettivamente i vichinghi credessero in qualcosa dopo la morte, sebbene a loro
stessi non fosse sempre chiaro cosa aspettarsi da quest’ultima. Sia la mancanza di
sistematicità che la duttilità della religione rese quasi impossibile una definizione
univoca di aldilà, o meglio una visione unitaria del destino del defunto dopo la sua
morte, ed anzi favorì l’affiorare di un gran numero di credenze che andavano dalla
sopravvivenza individuale nella tomba ascrivibile al culto dei Vani, cioè di divinità che
rappresentavano più forze impersonali che figure ben definite, all’idea del viaggio verso
una delle dimore degli dei, cioè in uno dei regni collettivi della morte adibiti ad
accogliere determinate categorie di persone, attribuibile invece al culto degli Asi, e a
quella della resurrezione tipica della religione sciamanica dei Sami. A rendere ancora
più difficile l’indagine relativa alla concezione dell’altro mondo fu il fatto che i poemi e
le saghe non erano che trascrizioni posteriori di una cultura orale quasi del tutto
dimenticata e di credenze già a quell’epoca incomprensibili.

Da una parte si è cercato di estrapolare dalla letteratura i riferimenti al destino del defunto e
ricollegarli alla religione. Un passaggio dell’Edda in prosa (XXXVIII) sembrerebbe
implicare una connessione tra la modalità del decesso e la destinazione del defunto: nella
Gylfiginning si narra che i morti in battaglia (einherjar) sarebbero stati accolti da Óðinn nel
Valhǫll9. Un altro passaggio dell’Edda poetica sembrerebbe supportare una correlazione tra
la classe sociale e il relativo destino dopo la morte: nello Hárbarðslióð (V.24) si scrive che a
Óðinn spettassero i conti (jarlar) e a þórr i contadini liberi e gli schiavi (karlar)10. L’idea di
aldilà era fortemente influenzata alla classe sociale, dal sesso, dall’area geografica ed altri
fattori senza però esserne determinata. Dall’altra si è cercato di confrontare le fonti letterarie
con le scoperte archeologiche, in particolare con le tipologie di sepoltura. Secondo Faraday
l’inumazione era connessa all’idea dell’eroe che

8
A. Nordberg, The Grave as a Doorway to the Other World: Architectural Religious Symbolism in Iron Age Graves
in Scandinavia, in Temenos 45 (2009), p. 35.
9
10
continuava a vivere nel suo sepolcro, laddove la cremazione invece sottendeva l’idea del
viaggio: nelle Gesta Danorum (VIII,V,1), Saxo narra che Harald Hildetand venne posto
sulla nave sia col proprio cavallo serrato, sia con un carro in modo tale che potesse
scegliere in che modo viaggiare verso il Valhǫll11. Secondo Roesdahl12, le sepolture dei
fantini datate inizio e metà X secolo e rivenute soprattutto in Danimarca potevano essere
interpretate come la messa in pratica del credo in un’esistenza oltre la morte nel Valhǫll,
il quale era però limitato ai guerrieri, ma la stessa archeologia e soprattutto
l’individualità riscontrata nel comportamento mortuario13 smentirebbero la sua
posizione. Secondo Steinsland però le stesse fonti letterarie smentiscono l’idea che i
differenti tipi di sepoltura siano riconducibili a determinate concezioni della morte e
dell’aldilà14: nella Gìsla Saga Súrssonar, Vestein venne interrato con un paio di hell-
shoe ai piedi, ovvero un paio di scarpe speciali per poter compiere il suo viaggio
nell’oltretomba a piedi, nonostante fosse stato inumato15. Anche la letteratura non

sembrerebbe supportare una correlazione di questo tipo16.

Infine la cristianizzazione causò l’adattamento delle antiche credenze alla nuova


religione rivelata: nonostante esistesse una qualche traccia di dimensione etica
nell’aldilà norreno17, i singoli iniziarono ad essere giudicati esclusivamente a seconda
del comportamento tenuto in vita così come i regni della morte cominciarono ad essere
classificati più rigidamente attribuendo loro le connotazioni tipiche di paradiso,
purgatorio e inferno per rendere meglio comprensibile alla popolazione i dogmi cattolici
e facilitare così la conversione.

La mitologia
La natura stessa della religione norrena portò ad una mancanza di organizzazione
sistematica tale da impedire lo sviluppo di una religione unitaria, così le idee riguardanti

11
S. Grammaticus, Gesta dei re e degli eroi danesi, edizione a cura di L. Koch e M.A. Cipolla, Torino 1993, pp. 399-
400
12
E. Roesdahl, Pagan beliefs, Christian impact and Archeology- a danish View, in Viking Revaluations, Viking Society
Centenary Simposium, University College London 1993, p.131.
13 N. Price, Passing into Poetry: Viking-Age Mortuary Drama and the Origins of Norse Mithology.in Medieval
Archeology 54 (2010), p.124.
14 G. Steinsland, The change of religion in the Nordic Countries – a confrontation between two living Religions, in
Collegium Medievale
15
Thorsson, Op. cit., p.516.
16
Major, Op. cit.
17 A. Hultgård, Óðinn , Valhǫll and the einherjar. Eschatological Myth and Ideology in the late Viking Period, in
Ideology and Power in the Viking and Middle Ages, Boston 2011,p.301.
la vita e la morte iniziarono a diversificarsi anche sensibilmente da un zona all’altra, da
un popolo ad un altro, e a provocarne lentamente la scomparsa. Tuttavia le popolazioni
scandinave si ritrovarono a condividere l’insieme di miti che si erano originati dalle
singole idee sulla vita e sugli dei, sebbene per alcuni non si trattasse di nient’altro che
intrattenimento18.

La mitologia corrisponde ad un insieme di miti che, narrando della creazione del mondo, di
creature sovrumane e dell’origine di natura e società, si inseriscono nella struttura
intellettuale di una determinata cultura umana e vengono apprese dall’intera comunità, per

la quale diventano un punto di riferimento per un gran numero di situazioni 19. Così nacque

la mitologia norrena nel tentativo di risolvere i misteri dell’esistenza e della mente umana e
di dare ordine alla mutevole percezione della realtà e giustificazione all’inspiegabile
attraverso figure ed attività sovrumane, ritrovandosi così a trasporre la visione del mondo, le
idee e i valori dei popoli nordici durante un periodo storico caratterizzato dall’oralità e
conseguentemente dalla più facile trasmissibilità dei racconti rispetto a dei precetti religiosi.
Il mito ebbe diverse funzioni: esso tentò di spiegare le origini dell’universo e del genere
umano attraverso la cosmogonia; servì da modello per il comportamento sociale e rituale, il
quale veniva fortemente influenzato dalle attività degli dei; e funse da legittimazione per le

istituzioni umane, le quali venivano forgiate sul corrispettivo divino 20. Il mito ebbe inoltre

diversi contesti di trasmissione: esso venne per lo più tramandato oralmente di generazione
in generazione e talvolta si affiancò ai rituali, ma in seguito venne drammatizzato e persino
romanzato ed è proprio così che è giunto fino alla nostra epoca. Nonostante il successivo
abbandono del politeismo a favore della conversione al cristianesimo, il corpus mitologico
continuò ad essere tramandato di generazione in generazione all’interno di alcune famiglie
norvegesi ed islandesi, le quali probabilmente si convertirono solo formalmente alla nuova
fede o semplicemente conservarono il proprio interesse per il passato e le tradizioni
autoctone. Tuttavia la vecchia religione e la mitologia ad essa connessa cominciarono
lentamente ad essere dimenticate, sia perché la chiesa continuava a screditarle, sia perché i
giovani crescevano e venivano educati esclusivamente secondo la fede cristiana. È solo nel
1200 circa che

18
H.R. Ellis Davidson, Gods and Myths of Northern Europe, London 1990, p.215.
19
M.C. Ross, The Creation of Old Norse Mythology, in The Viking World, Abigdon 2012,
p.231.
20
A. Hultgård, The Religion of the Viking, in The Viking World, Abigdon 2012, p.214.
l’erudito Snorri Sturlusson decise che i tempi erano favorevoli alla stesura di un’opera
che, nonostante fosse pagana nel contenuto, poteva offrire a poeti ed intellettuali una
valida guida al linguaggio figurato poetico antico. L’Edda in prosa è una coerente
esposizione mitologica, sebbene l’influsso cristiano sia particolarmente evidente e il
paganesimo al suo interno presentato come religione naturale giustificabile ed

inquadrabile all’interno della tradizione intellettuale cristiana21. E resta una delle


pochissime opere letterarie native che costituisce il corpus sul quale si basa l’attuale
conoscenza del mito e conseguentemente della religione norrena antica, assieme
all’Edda poetica, alla poesia scaldica e alle saghe islandesi. Sebbene i miti sopravvissuti
siano stati rimaneggiati e reinterpretati dai poeti ed eruditi nel corso dei secoli, in realtà
buona parte del materiale è verosimilmente attribuibile alla tradizione autoctona, come
risulta dal riscontro con il contenuto delle iscrizioni runiche e delle immagini incise
sulle pietre commemorative.

La mitologia può permetterci di ricostruire, con l’ausilio dell’archeologia, le fasi della


cerimonia funebre, ma, con l’aiuto della letteratura, anche di trarre concetti più astratti,
quali sono le riflessioni sull’aldilà, sulla vita dopo la morte.

Ricostruendo il funerale vichingo


Laddove il rispetto per il defunto era generalmente considerata una peculiarità della
religiosità norrena, le attività connesse alla sua sepoltura variavano di zona in zona e col
passare del tempo. Per quanto i singoli dettagli potessero addirittura cambiare di
famiglia in famiglia, nel complesso il rito funebre distintamente vichingo si rifaceva al
precetto dettato da Óðinn e riportato da Snorri nell’Heimskringla: il dio intimava di
cremare i morti su un’imbarcazione, completamente vestiti e accompagnati da animali e
talvolta schiavi, ma soprattutto da un gran numero di beni, ai quali il morto avrebbe
avuto accesso nell’Oltretomba indipendentemente dal fatto che li avesse sotterrati
precedentemente lui stesso o che fossero stati scelti da altri e carbonizzati con lui; infine
affermava che i resti dovevano essere o gettati in mare o seppelliti nel terreno e, nel caso
in cui il defunto fosse una persona illustre, un tumulo di terra o un cumulo di pietre
doveva venir eretto in suo onore e affiancato da una pietra commemorativa.

21
M.C. Ross, Op. cit., p.233.
Preparare il corpo
La prima fase del processo di sepoltura riguardava il trattamento del corpo esanime:
prendersi cura del morto ed eseguire le antiche usanze veniva percepito dai vivi come un
dovere, al punto che tutti i morti venivano trattati con rispetto, persino i nemici, ed anzi chi
veniva colto a mutilare un corpo morto veniva addirittura multato. Secondo quanto riportato
nel Sigrdrifumál (V.34), la prima cosa da fare era chiudere gli occhi e la bocca e schiacciare

le narici del defunto22, cerimonia che prendeva il nome di nabjargir e il cui simbolismo
poteva essere connesso sia con la pratica scaramantica di proteggersi dall’influenza negativa
del morto, sia con l’idea di unità tra corpo e anima, la cui unione veniva resa possibile
proprio impedendo che l’anima uscisse dal corpo; in seguito al cadavere veniva fatto un
bagno, lavate le mani e la testa e infine veniva asciugato e pettinato. Secondo la
Eidsivathing Law, il cadavere non doveva rimanere in casa per più di cinque giorni,
eccezion fatta per alcuni casi specifici (tempeste di neve e così via), per i quali si richiedeva
di creare un riparo per il cadavere esterno all’abitazione, il quale doveva essere coperto con

paglia o legna23, come narrato nella Egils Saga (LIX). Secondo quanto riportato nella
Grìsla Saga Súrssonar (XIV), il defunto poteva venire dotato di speciali scarpe, dette hel-

shoe, che sarebbero servite per il suo viaggio verso l’aldilà24, il cui simbolismo poteva
richiamare sia l’idea di un lungo e stancante viaggio dopo la morte da compiere a piedi, sia
la paura del ritorno del deceduto, della possibilità che senza quest’ultime il defunto potesse
perdersi e tornare per tormentare coloro che non avevano rispettato l’antica usanza. Secondo
invece quanto scritto da Ibn Fadlan, il cadavere veniva collocato così com’era morto in una
camera funeraria scavata appositamente e fornita di una tettoia, dove il corpo veniva lasciato
per nove giorni durante i preparativi per il suo funerale, che consistevano nella cucitura
degli abiti, nell’allestimento della nave e nell’acquisto di bibite alcoliche per la festa in suo
onore, dopodiché veniva recuperato, cambiato d’abito e portato sul luogo della cerimonia

funebre25. Altrettanto importante era rispettare gli ultimi desideri espressi dal defunto prima
di spirare, come viene riportato nella Eyrbyggja Saga (LI), nella quale þorgunna comunicò i
lasciti destinati a diverse persone e ordinò che il suo letto e le lenzuola venissero bruciate,
altrimenti grandi

22
23
The Sagas of Icelanders: a selection, traduzione a cura di Ö. Thorsson, New York 2000, p.108.
24
Thorsson, Op. cit., p.516.
25
J. E. Montgomery, Ibn Fadlan and the Rūsiyyah, in Journal of Arabic and Islamic Studies 3 (2000), p.13.
sventure si sarebbero riversate su coloro i quali avessero ignorato l’antica usanza 26. Nel
caso in cui il defunto fosse stato in vita una persona dal carattere fiero e rabbioso oppure
avesse subito una morte improvvisa o violenta, le procedure da seguire erano ancor più
complesse: colui che si occupava di eseguire il cerimoniale, di solito un parente stretto,
non doveva avvicinarsi al corpo passando davanti quest’ultimo, ma da dietro, e doveva
chiudere gli occhi prima che i suoi aiutanti potessero avvicinarsi per procedere alla
preparazione del funerale. In questo caso, il defunto non veniva fatto uscire di casa dalla
porta per evitare che potesse ritrovare la strada di casa, ma veniva praticato un foro nella
parete dietro il cadavere e da lì trasportato fuori e poi sul luogo della cerimonia con la
testa rivolta verso nord e il corpo girato verso il basso per confonderlo nel caso in cui si
fosse rivelato essere un draugr, ovvero un corpo animato. Se il draugr, o meglio
uppsitjendr27, avesse dimostrato di essere tale già durante il tragitto, poteva essere o
decapitato o bruciato in loco, come nel caso di una strega nella Flóamanna Saga
(XIII)28: il fuoco sembrerebbe svolgere una funzione diversa per i corpi animati rispetto
a quella per un funerale qualsiasi, ovvero separava il morto dal mondo dei vivi,
spezzava tutti i ponti presenti tra le due dimensioni. Nonostante la paura che i morti
incutevano, si credeva che il rispetto per il defunto e per le antiche usanze avrebbe
protetto la comunità dalla malvagità dei draugr e avrebbero garantito loro l’aiuto e la
protezione dei forfaðir, gli antenati.

Scegliere il tipo di sepoltura


La distinzione tra cremazione e inumazione è indispensabile non solo per una più accurata
analisi delle scoperte archeologiche nelle zone di insediamento di queste popolazioni, ma
anche per una migliore comprensione delle religiosità che li sottende e, nel caso di Snorri,
per un più veritiero resoconto storico. Nel prologo della Heimskringla, egli scrive:

“Hin fyrsta öld er kölluð brunaöld; þá skyldi brenna alla dauða menn ok reisa eptir bautasteina. En
síðan er Freyr hafði heygðr verit at Upsölum, þá gerðu margir höfðingjar eigi síðr hauga en

26 H.R. Ellis Davidson, The Road to Hel. A study of the Conception of the Dead in Old Norse Literature, New York
1968, p.95.
27
F. Guerrero nel suo saggio Stranded in Midgadr. Draugar Folklore definisce il termine Draugr un nome collettivo, il quale
descriveva creature dai diversi attributi raggruppabili in quattro diversi gruppi: coloro che risiedevano nelle camere funebri o
haug-búi, coloro che ritornavano solo per un breve periodo di tempo e avevano la possibilità di comunicare con gli umani o
uppsitjendr, coloro che che apparivano soltanto senza interagire con gli umani o fyrir-burðir e infine coloro che interagivano
con gli umani in maniera aggressiva, infestando le abitazioni o addirittura uccidendo bestiame e umani, o aptrgǫngur
28
Ellis Davidson, The Road to Hel, p.95.
bautasteina til minningar eptir frændr sína. En síðan er Danr hinn mikilláti Danakonungr lét sér
haug gera, ok bauð sik þangat bera dauðan með konungs skrúði ok herbúnaði, ok hest hans með
söðulreiði ok mikit fé annat, en hans ættmenn gerðu margir svá síðan, ok hófst þar haugsöld í
Danmörk. En lengi síðan hélzt brunaöld með Svíum ok Norðmönnum29”

La più comune modalità di disporre dei morti era la cremazione, la quale consisteva nel
carbonizzare il cadavere, spesso assieme al corredo funebre e all’imbarcazione, e nel
disperdere in mare o seppellire sottoterra le ceneri. L’incinerazione del corpo è
particolarmente presente nei poemi e seguiva il precetto dettato da Óðinn, secondo il quale i
cadaveri dovevano essere cremati, indipendentemente dal fatto che le ceneri venissero
sparse sul mare o interrate. Qualora la sepoltura riguardasse figure leggendarie e divine,
essa seguiva quasi alla lettera i dettami divini e si dispiegava in tutta la sua magnificenza nei
poemi e nei racconti mitologici, come nel caso della Sigurðarkviða hin skamma, nella quale

Sigurð e Brynhild vennero posti su una pira separati da una spada e dati alle fiamme30, e
dell’Edda in prosa (XLVIII), nella quale Baldr venne adagiato sulla sua nave, Hringhorni, e

affiancato dalla moglie Nanna, morta di dolore, per poi scomparire tra le fiamme 31.
L’incinerazione era presente anche in un’antica saga norrena e incentrata sull’antica dinastia
danese, ovvero quella di Beowulf: nella versione latina della Skjöldungar Saga si trova il
resoconto della morte su una nave infuocata. La cremazione venne anche riscontrata nei
resoconti storici riguardanti le dinastie reali danese e svedese, alla quale apparterrebbe la
figura quasi leggendaria di Óðinn che, secondo Snorri, avrebbe anzi introdotto il proprio
culto e la pratica della cremazione nella Svezia meridionale: nella Ynglinga Saga (IX) si
narra che Óðinn fosse morto nel suo letto e, dopo essere stato marchiato con la punta di una

lancia, fosse arso su una pira funebre32.

La modalità più insolita di occuparsi dei morti al tempo dei vichinghi era l’inumazione,
la quale consisteva nel deporre il corpo intatto nella terra e nel seppellirlo insieme al

29
S. Sturluson, Heimskringla I, edizione a cura di N. Linder e H. A. Haggson, Uppsala (1869–72): “La prima epoca è
chiamata l'Età della Cremazione. A quel tempo tutte le persone morte dovevano essere bruciate e pietre commemorative
innalzate per loro, ma dopo che Freyr venne interrato in un tumulo a Uppsala, molti governanti eressero tumuli così come
pietre commemorative in memoria dei loro parenti. Ma dopo che Dan l’Arrogante, re dei danesi, fece costruire un tumulo
per sé e ordinò che egli venisse portato al suo interno una volta morto con i suoi abiti reali e l’armatura e il suo cavallo con
tutta la sua attrezzatura per la sellatura e molti altri beni, e molte persone della sua linea di successione fecero in seguito lo
stesso, quindi l’Età dell’Interramento cominciò lì in Danimarca, anche se l'età della cremazione continuò molto tempo dopo
tra gli Svedesi e i Norvegesi” traduzione mia basata sull’edizione inglese dell’opera di
Sturlusson, Heimskringla I, traduzione a cura di A. Finlay e A. Faulkes, Exeter 2011,p.3.
30
31
Sturlusson, Edda, p.
32
Sturlusson, Heimskringla I, p. 13.
corredo. La tumulazione del corpo era l’unica usanza contemplata nelle saghe islandesi,
secondo le quali i morti erano solitamente seppelliti assieme ai propri beni e talvolta con un
cavallo sacrificato per tenere loro compagnia oppure posti a bordo di una barca e poi
interrati al di sotto di un tumulo di terra, il quale svolgeva allo stesso tempo la funzione
commemorativa tanto cara alle popolazioni scandinave, seppur, occasionalmente, le tombe
potevano presentarsi piatte. Qualora la tipologia di sepoltura esulasse dalle convenzioni,
essa veniva accuratamente descritta e considerata un caso a parte: i criminali venivano
puniti brutalmente, nello specifico potevano essere o lapidati o affogati o carbonizzati, come
nel caso della Laxdœla Saga (XXXVII- XXXVIII), nella quale un’intera famiglia di
stregoni venne sterminata, o meglio i genitori, Kotkel e Grìma, ed uno dei due figli,

Stìgandi, vennero lapidati e seppelliti33, invece l’altro, Hallbjörn, venne gettato in mare con

una pietra legata al collo34; invece i corpi animati o draugr venivano cremati per impedire
che potessero ritornare e turbare i vivi, come nel caso della
Eyrbyggja Saga (XXXIII-LXIII), nella quale þorólfr Bægifótr venne dapprima ricoperto da
grosse pietre, ma in seguito cremato per porre definitivamente fine ai suoi tormenti 35.
L’inumazione era la pratica maggiormente riscontrata anche nei resoconti storici
concernenti la dinastia reale norvegese: sebbene gli scavi archeologici rivelino che la
cremazione fu spesso adottata fino alla fine dell’epoca pagana, la pratica cominciò
verosimilmente a scomparire presso le coste occidentali della Norvegia molto prima, il
che ostacolò il suo arrivo e diffusione in Islanda.

Predisporre la tomba
La fase intermedia consisteva nell’organizzare il funerale e nel predisporre il luogo in
cui il defunto sarebbe stato sistemato.

La tomba veniva considerata principalmente come la dimora del morto, il luogo in cui il
defunto avrebbe continuato la sua vita, oppure anche come l’entrata, la soglia attraverso
la quale raggiungere l’Oltrertomba: gli scaldi utilizzano spesso eufemismi quali dauðra
dura, ovvero porte del defunto, o heljar grindr, ovvero i cancelli del regno della morte,
per riferirsi alla tomba, ma l’esempio più suggestivo è quello contenuto nella

33
Thorsson, Op. cit., p.341-343.
34
Thorsson, Op. cit., p.341.
35
Ellis Davidson, The Road to Hel, p.93
Sonatorrek36, quando Egil usa l’appellativo di nautdýrr37, ovvero la porta del rimessa,
nel componimento in onore dei suoi due figli morti, appellativo il quale unisce l’idea
della soglia al mezzo di trasporto preferito dai vichinghi, la nave38. Tuttavia ciò che
maggiormente caratterizza la tomba vichinga era il suo trasformarsi spesso in luogo di
culto o di politica di potere, presso il quale si svolgevano attività non prettamente legati
alla morte della persona ivi seppellita, ma rivolti a tutti gli antenati e ai viventi facenti
parte della comunità. Si potrebbe tranquillamente affermare che i vivi avessero bisogno
dei morti almeno quanto i morti avessero bisogno dei vivi. Le necropoli diventarono
così luoghi in cui si andava non solo in occasione dei funerali, ma anche per reiterare il
rapporto esistente con la comunità degli scomparsi facilitato da caratteristiche quali la
posizione dominante sul paesaggio circostante, l’atmosfera creata attraverso luci, suoni
ed odori che rendevano le iterazioni attive attraverso il contatto fisico con i resti umani e
con il corredo, oppure per modificarlo ed adattarlo anzi alle esigenze del tempo: un
esempio valido per entrambi i casi è la nave di Oseberg, la cui camera funeraria restò
accessibile così come il ponte di prua per permettere ai congiunti di visitare il morto e di
svolgere sul ponte cerimonie religiose39 e la quale venne, non molto tempo dopo il
completo interramento, riaperta e dissacrata per permettere al nuovo sovrano, Harald
Bluetooth, di esercitare il proprio controllo40. La funzione religiosa che la tomba poteva
rivestire non era quindi meno importante di quella politica, visto che la legittimazione
politica di un erede passava attraverso il suo occuparsi della tomba del defunto e il suo
eseguire i rituali legati al banchetto funebre così come la delegittimazione politica del
passato e l’istaurazione di un nuovo dominio passavano attraverso la dissacrazione dei
tumuli e dei sepolcri.

Ritornando alla tomba in quanto tale, essa veniva solitamente collocata nei pressi del luogo
in cui il defunto aveva perso la vita o vicino alla propria abitazione: nelle Eyrbyggia Saga
(XXXIII), Þórólfr Bægifótr venne inizialmente seppellito vicino alla propria tenuta; nella
Laxdæla Saga(XVII), Hrappr venne addirittura posto, com’era suo desiderio, al di

36 Si tratta di un componimento poetico scaldico in 25 stanze contenuto nel capitolo LXXVIII della Egils Saga, in
Thorsson, Op. cit., pp. 152-158.
37
Thorsson, Op. cit., p.152.
38
Nordberg,, Op. cit., p. 36.
39
L. Gardeła, Worshipping the dead: Viking Age cemeteries as cult sites? ,in Germanische Kultorte 24 (2009), p. 192.
40
Gardeła, Op. cit., pp. 193-194.
sotto della porta di ingresso del soggiorno41. Ma non sempre ciò avveniva: nella
Eyrbyggia Saga (XXXIV), il corpo di Þórólfr viene spostato su un promontorio, scelto
anche da Egil per seppellire il padre42 nella Egils Saga (LIX); nella Risāla, la
cremazione del capo dell’insediamento avvenne vicino alla riva di un fiume 43; nel
Beowulf, il re danese Scyld venne affidato al mare assieme alla sua imbarcazione 44,
mentre la cremazione del figlio Beowulf venne eseguita su un monte45.

Un elemento importante era la forma della tomba, la quale poteva essere circolare, ovale,
triangolare o ancora poteva avere la forma di un’imbarcazione, la cui varietà era possibile
perché per lo più tali forme venivano tracciate sul terreno attraverso l’uso di pietre. Inoltre
la tomba poteva essere ricoperta da uno strato piatto di terra o presentare un tumulo di terra

o una pila di pietre al di sopra, pratiche che vennero registrate in un’interdizione 46


menzionata nel The Church Law, come prettamente pagane: un esempio sono le sepolture
presenti nelle zone di insediamento scandinave delle isole britanniche, le quali potevano
presentarsi rettangolari con il corpo del defunto disteso al suo interno oppure ovali con il
corpo del defunto accovacciato o ancora circondate da pietre che formavano il perimetro di
un’imbarcazione. Altri elementi significativi erano la grandezza della tomba così come i
beni collocati al suo interno, i quali dipendevano soprattutto dalla famiglia di appartenenza e
dallo status sociale. Un ultimo elemento, ma non meno importante, era l’orientamento della
tomba stessa. Per distinguere le sepolture pagane da quelle cristiane gli studiosi hanno preso
in riferimento l’orientamento, essendo le tombe appartenenti alla fase di passaggio dal
politeismo norreno alla monoteismo cristiano ancora molto simili: le tumulazioni pagane

avevano per lo più un orientamento nord-est con la testa del cadavere rivolta verso il nord47,
la cui direzione era riconducibile a quella suggerita a Hermóðr per raggiungere il regno di
Hel nell’Edda di Snorri; ma con l’arrivo del cristianesimo le tombe iniziarono ad avere un
orientamento ovest-est ed il cadavere ad essere rivolto verso est, la direzione da cui si
supponeva sarebbe apparso Cristo nel giorno

41
Thorsson, Op. cit., p.297.
42
Thorsson, Op. cit., p.108.
43
J.E. Montgomery, Op. cit., p.15.
44
Beowulf, edizione a cura di L. Kohl, Torino 2005, pp.4-5.
45
Beowulf, pp.264-265.
46
L.M. Larson, The Church Law, in The Earliest Norwegian Laws, New Jersey 2008, p.51-52.
47
Shetelig scoprì che nella regione occidentale la maggior parte degli scheletri giaceva con la testa verso nord, mentre
invece nella regione interna la procedura usuale consisteva nel orientare gli scheletri verso ovest, finché non è stato adottato
l’orientamento cristiano nei secoli X e XI. Per ulteriori approfondimenti vedi H. Shetelig e H. Falk,
Scandinavian Archeology, New York (1978).
del Giudizio Universale. Tuttavia il posizionamento della sepoltura e del cadavere erano
soggetti ad una varietà tale da non poter ridurre il criterio di scelta di quest’ultimo ad
una ben determinata convinzione riguardo la vita nell’aldilà.

Onorare e Commemorare il defunto


La fase conclusiva della cerimonia funebre contemplava un banchetto commemorativo,
il quale risultava essere importante per i defunti tanto quanto lo era per i vivi, perché era
proprio durante queste cerimonie che i vivi si assicuravano il favore e l’aiuto del
defunto così come la continuità della stirpe attraverso l’assegnazione effettiva
dell’eredità al figlio ed in più, nel caso dei funerali regali, la stabilità politica attraverso
il passaggio del titolo regio al successore.

La cerimonia funebre poteva tenersi immediatamente dopo che il corpo veniva posto nel
tumulo, come nei casi presenti nella Gìsla Saga (XIV, XVII e XVIII), o addirittura mesi
dopo il decesso, ma non veniva più celebrata dopo un anno dal decesso, ed era solitamente
organizzata dal figlio o dal fratello del defunto, o comunque dal parente maschio più stretto.
Secondo quanto narrato da Ibn Fadlan, in realtà parte dei preparativi venivano affidati ad
una figura misteriosa, l’Angelo della Morte, la quale sovraintendeva alla cucitura degli abiti

del defunto e alla disposizione dei suoi beni all’interno della nave48 ed eseguiva il sacrificio

della serva all’interno di una tenda presente sull’imbarcazione stessa, mentre il resto della
cerimonia veniva curato dai familiari. Il banchetto funebre in generale manifestava la sua
dimensione politica soprattutto nel caso in cui a morire fosse un re o un capo, perché era
proprio durante la fase conclusiva della cerimonia che avveniva il passaggio del titolo regio,
dando risonanza politica all’importanza già insita nel rito funebre in quanto “culto”. Sia
nella Ynglinga Saga (XXVI) che nella Fagrskringla
(XXIX), viene descritto il tipico banchetto funebre (erfi), durante il quale il successore
doveva offrire brindisi commemorativo ai suo commensali (full e minni) e svolgeva un
ruolo importante nel panorama sociale norreno in quanto inaurava gli eventi più
importanti della comunità, e soltanto dopo aver giurato, seguito dai suoi commensali, e
bevuto da una coppa che prendeva il nome di bragafull avrebbe acquisito il diritto

48
Montgomery, Op. cit., p.15.
all’eredità49. Secondo quanto riferito da Ibn Fadlan, un terzo dell’eredità era destinato
all’acquisto di bevande alcoliche, le quali venivano consumate sia dalla schiava offertasi
per morire col suo padrone, sia dai commensali. La bevuta rituale mostrava la sua
dimensione sociale nel riunire la comunità e nel legittimare un successore così come la
sua dimensione religiosa nella libagione, ovvero l’offerta rituale di bevande da parte dei
vivi per gli antenati e per le divinità assieme agli alimenti e ai sacrifici eseguiti in loro
onore, il cui l’obbiettivo principale era mantenere vivo il contatto con l’altro mondo,
rendendo omaggio al singolo in quanto membro della famiglia e residente
dell’oltretomba ed attraverso di lui all’intera comunità di umani ed esseri soprannaturali.

In onore del morto potevano inoltre essere recitati poemi: nella Egils Saga (LXXIX)
venne reclamato un poema al funerale dei figli di Egil50 dallo stesso, anche se a livello
contenutistico sembrerebbe più influenzato dall’idea cristiana di immortalità che da una
tradizione autoctona; nella Hákonar Saga Góða (XXXII) viene narrato durante il
funerale del re che era uso antico dei congiunti parlare al defunto per far sì che questo
raggiungesse il Valhǫll51.

Per mantenere viva la memoria di un defunto il quale si era distinto in vita per il coraggio,
potevano essere innalzati enormi cumulo di terra o radunate grandi pile di pietre, i quali
svolgevano la funzione di promemoria per i discendenti e di monumento commemorativo
per tutti gli altri, e talvolta veniva oltretutto collocata al di sopra o accanto quest’ultimi una
bautasten, ovvero una pietra commemorativa, la cui grandezza era commisurata
all’importanza del defunto e la cui rilevanza era data proprio dalle iscrizioni runiche,
talvolta accompagnate da disegni. Secondo quanto narra Ibn Fadlan, l’iscrizione eseguita su
un pezzo di legno di betulla del nome del defunto capo e del re dei Rus non presenta alcun

riferimento alla serva cremata con lui52, il che fa ritenere che anche le pietre

commemorative fossero nella maggior parte dei casi rivolte a soggetti di sesso maschile. Si
trattava comunque di un’usanza già conosciuta e praticata da molto prima dell’inizio
dell’età vichinga che si consolidò con la cristianizzazione per l’evidente similitudine con

49
C. Riseley, Ceremonial Drinking in the Viking Age, tesi non pubblicata ( Università di Oslo 2014),
p.13-16. Disponibile al seguente link: https://www.duo.uio.no/bitstream/handle/10852/40697/Riseley-
Master.pdf?sequence=1
50
Thorsson, pp.152.158.
51
Ellis Davidson, The Road to Hel, p.60.
52
Montgomery, Op. cit., p.21.
le lapidi. Talvolta venivano invece usate più pietre per riprodurre al di sopra del tumulo il
profilo di un’imbarcazione, la quale non sembrava avere un orientamento specifico, ma
poteva essere riempita da altre pietre o presentarne alcune al posto dell’albero maestro.

Riflettendo sull’Aldilà
Laddove le speculazioni relative alla vita futura del defunto sono numerose e variegate,
la concezione dell’Oltretomba era riconducibile a due principali considerazioni
precedentemente citate: una, rivolta a persone di diversi ceti sociali, era incentrata
sull’idea della sopravvivenza dentro la camera funeraria, nella quale il defunto viveva
come fosse a casa sua; l’altra, relativa per lo più a sovrani e figure di spicco della
società, era invece basata sull’ipotesi di un viaggio per giungere ad uno dei tanti regni e
sull’accoglienza temporanea da parte del dio in questione in attesa del Ragnarǫk. In
alcuni casi le due diverse concezioni sembravano sovrapporsi ed originare un’ulteriore
teoria, secondo la quale ad una momentanea permanenza nella camera momentanea
seguisse il viaggio verso uno dei regni della morte, dal quale gli avi potevano fare
ritorno in occasione dei principali rituali che scandivano l’anno.

La camera funeraria
La più intima e concettualmente antica idea di aldilà consisteva nella sopravvivenza
dell’individuo all’interno della camera funeraria. La camera funeraria era una sorta di
stanza semi-interrata, la quale a volte poteva essere così grande da rassomigliare ad una
casa: essa era solitamente costruita con tavole di legno o direttamente con dei tronchi, i
quali servivano sia per le pareti che per la soffitta ed il pavimento, e infine coperta da un
tumulo di terra53: al suo interno veniva creata l’illusione della vita che continuava, del
defunto che viveva al suo interno, posizionandolo in un determinato modo e
procurandogli delle provviste e i più svariati oggetti, quali armi per difendersi e giochi o
altri umani per intrattenersi54.

53
Sulle possibili funzioni del tumulo presso i popoli scandinavi vedi H.R. Ellis, Op. cit., p. 110-111
54
Le descrizioni del tumulo nella letteratura e nell’archeologia tendono a coincidere, soprattutto nel caso in cui le saghe
prese in considerazione per il confronto vertono sullo scontro con un draugr: nella Grettis Saga Ásmudarsonar viene
riscontrata la presenza di un soffitto di legno; nella stessa Saga e nelle Brennu-Njáls Saga, Harðer Saga e Egils Saga il
defunto è sepolto in posizione seduta, spesso su una sedia; nella Harðer Saga il defunto è seppellito con alcune armi, in
particolare la sua spada, mentre nella Grettis Saga Ásmudarsonar e nella Egils Saga con alcuni animali, tra cui cavalli, un
cane e un falco, e addirittura nella Saga di Egil con umani; in tutte le saghe precedentemente elencate e in molti altri casi, il
defunto è tendenzialmente di sesso maschile. Per ulteriori approfondimenti vedi L. Gardeła, Dead or Alive?-
“Chamber Graves” and their inhabitants in the Old Norse literature and Viking-age archeology, in Scandinavian
Culture in Medieval Poland, Wrocław 2013, p.385.
Da un punto di vista archeologico, la deposizione del morto in una camera funeraria è una
delle tante varianti di sepoltura proprie delle zone scandinave, delle quali rappresenta solo
una piccola percentuale sia nell’entroterra che nelle zone costiere, e conseguentemente non
sembra rappresentare un fenomeno locale, bensì generalizzato e praticato presso popoli
molto distanti e diversi tra loro. Un esempio può essere la camera funeraria in legno
costruita sulla coperta della nave di Oseberg, la quale venne inizialmente coperta dal tumulo
solo in parte, in modo tale da consentire l’accesso sia al ponte di prua che alla camera,

affinché i congiunti potessero visitare il morto e avallare così l’illusione di vita55 al suo
interno (la quale veniva ricreata dalla presenza di tre strutture triangolari riempite di carbone
che richiamavano alla mente le fiamme presenti presso i tumuli di Gunnarr nella Brennu-
Njáls Saga (LXXVIII) o di Kárr nella Grettis Saga Ásmundarsonar

(XVIII)56 ), ma anche di svolgere riti religiosi sul ponte fin quando non venne posta fine
alla prolungata cerimonia funebre con l’interramento dell’intera imbarcazione, i cui
successivi tentativi di riapertura vennero classificati come tentativi violenti di intrusione57,
benché sembrassero quasi legittimati dalle numerose saghe. Dal punto di vista letterario, le
saghe possono ritrarre il defunto riposare o aggirarsi quieto presso il suo tumulo, come nel
caso di Gunnarr nella Brennu-Njáls Saga (LXXVIII), il quale venne scoperto osservare lieto
la luna58, oppure possono descrivere l’interruzione di tale quiete a causa dell’interferenza
dei vivi o di un convivente molesto, come nei casi dell’eremita celtico-cristiano Asólfr, il
quale apparve in sogno ad una ragazza che era solita pulirsi i piedi sul suo tumulo mentre
portava il gregge al pascolo59, e di Ásmundr, il quale insistette per la rimozione del servo

che aveva deciso di morire con lui60, entrambi contenuti nel


Landnámabók. Tuttavia l’incontro/scontro con un draugr, il corpo animato, era tipico delle
storie in cui un uomo vivo irrompeva in un tumulo per appropriarsi del tesoro in esso
seppellito ed era costretto ad affrontare il morto al suo interno prima che potesse fuggire con
il bottino oppure delle storie in cui il tumulo non riusciva a contenere il potere sovrumano
acquisito e il feroce desiderio di distruzione del draugr, il quale si avventurava

55 Sulla natura teatrale della cerimonia funebre e del sepolcro vedi T. Gunnell, The origins of Drama in Scandinavia,
Brewer 1995.
56
Gardeła, Op. cit., p.386.
57 Vedi J. Bill and A. Daly, The Plundering of the Ship Graves from Oseberg and Gokstad: An Example of power
Politics?, in Antiquity 86 (2012), p.815.
58
Ellis Davidson, Op. cit., p.91.
59
Ellis Davidson, Op. cit., p92.
60
Ellis Davidson, Op. cit., p.57.
fuori dal sepolcro per infestare le zone adiacenti alla sua tomba ed addirittura massacrare le
creature viventi che trovava sul suo cammino: nella Eyrbyggja Saga (XXXIV e LXIII),
Þórólfr Bægifótr morì durante un attacco d’ira ed iniziò a spaventare ed a far impazzire tutti
coloro i quali vivevano nella sua fattoria e in seguito anche ad uccidere uomini e bestiame,
costringendo il figlio Arnkell, il quale egli temeva più di chiunque altro, a disseppellirlo e
spostarlo su un promontorio isolato, ma con la sua morte egli riprese ad infestare ed
uccidere i viventi, finché un uomo coraggioso scovò la sua nuova tomba e diede il suo
cadavere alle fiamme, pagando con la propria vita; nella Grettis Saga (XXXII e XXXV), il
pastore Glamr venne ucciso da una creatura misteriosa e seppellito sul posto perché divenne
impossibile spostarlo, ma cominciò anche lui a tormentare ed uccidere uomini ed animali,
finché, durante un combattimento all’interno del suo tumulo, non gli venne tagliata la

testa61. Il motivo dell’intrusione veniva a volte connesso con quello della battaglia senza

fine propria del Valhǫll: nel Flateyjarbók Þorsteinn Uxafótr venne invitato dal defunto ad
entrare nel proprio sepolcro e si ritrovò in mezzo ad uno scontro tra due gruppi di dodici
uomini ciascuno, il primo capeggiato da uomini buoni vestiti di rosso e il secondo da
uomini cattivi vestiti di nero, i quali non riuscivano a ferirsi tra loro, ma soffrivano solo i
colpi del protagonista, il quale riuscì a porre definitivamente fine all’eterno scontro tra le

due fazioni62.

I regni della morte


Il Valhǫll o regno di Óðinn
Il Valhǫll, ovvero la sala per i guerrieri caduti in battaglia, era un regno connesso con
l’idea della guerra e con il culto di Óðinn e destinato all’aristocrazia e ai guerrieri: solo i
migliori combattenti venivano accolti dal dio, il quale sceglieva ogni giorno chi doveva
morire per poter unirsi a lui e spediva le valchirie sul campo di battaglia per accoglierli:
nel Grímnismal (V. 14) si narra che in realtà fosse Freja a selezionare la metà dei caduti
da portare con sé63 così come nell’Edda (XXXVI) di Snorri si racconta che in realtà

fossero le valchirie stesse a scegliere coloro che sarebbero morti in battaglia64. Nel
Grímnismal, si narra inoltre che il Valhǫll fosse la quinta dimora presso Gladsheim, la
quale era riconoscibile per il suo soffitto sorretto da lance, i muri adorni di scudi, le

61
Ellis Davidson, Op. cit., pp.93-94.
62
Óláfs Saga Tryggvason. 1, 206, pp. 253
63
64
panche fatte di corazze e le 540 porte, dalle quali sarebbero dovuti uscire i guerrieri al
sopraggiungere dell’ultima grande battaglia, il Ragnarǫk, per scagliarsi contro Fenrir, e
che fosse presieduta da un lupo che penzolava sull’ingresso occidentale e da un’aquila
che vigilava su di lui (V. 8,9 e10). I morti in battaglia, gli Einherjar, continuavano la
propria esistenza post-morte raccogliendosi ogni giorno nella sala del dio e
combattendo, in modo tale da poter essere pronti per il Ragnarǫk; ma alla sera si
fermavano e prendevano parte al grande banchetto presieduto dal dio, per il quale ogni
giorno il cuoco Andhrimnir cucinava, il cinghiale Sæhrimnir offriva la propria carne e la
capra Heidrun il proprio idromele65. Il Valhǫll veniva presentato come una sorta di
paradiso e come un premio per coloro i quali avevano perseguito la guerra in vita:
continuare la propria esistenza nel Valhǫll era considerato un onore, nonostante Óðinn
facesse in modo che coloro i quali erano destinati a vincere perdessero la battaglia e
morissero per averli nel suo seguito. La morte non era comunque priva di senso, perché
i caduti avrebbero potuto così aiutare gli dei.

Il regno di Hel
Il regno di Hel è un regno della morte sotterraneo e collettivo, ma privo di senso della
comunità: non veniva visto come un luogo nel quale i familiari si sarebbero ritrovati dopo la
morte, ma come un luogo in cui l’esistenza sarebbe continuata individualmente. Nell’Edda
di Snorri (XLIX), Hel viene descritta come una gigantessa dalla carnagione in parte livida
ed in parte color carne e presentata come la terza figlia di Loki, la quale venne scagliata per
questo motivo dagli dei nel Niflheim, e come la signora dei nove regni, nei quali doveva

ricevere tutti coloro che morivano di malattia o di vecchiaia66. Il regno di Hel veniva invece
rappresentato come un regno lontano, difficile da raggiungere, in quanto bisognava
dapprima attraversare un fiume sul ponte d’oro Gjöll, il quale separava il mondo dei vivi dal
regno di Hel e veniva sorvegliato dalla vergine Módhgudhr, poi procedere verso il basso e
verso nord, incontrando il segugio di Hel, Garm, il quale aggrediva i viaggiatori con le sue
fauci insanguinate, e infine il cancello del suo regno, le cui inferiate si richiudevano alle

spalle del defunto senza più aprirsi67. Il regno di Hel veniva descritto in maniera così
negativa nell’Edda in prosa da non coincidere con

65
66
67
l’immagine che di quest’ultimo avevano i vichinghi: nella sua Edda, Snorri si lasciò
suggestionare dal cristianesimo e tentò di adattare quest’ultimo alla rappresentazione
dell’inferno cristiano, riducendolo in luogo di assegnazione di premi e punizioni68;
eppure, nel Baldr Draumar, Hel veniva rappresentato come un luogo accogliente con la
sala già pronta ad accogliere Baldr, la quale presentava al suo interno pareti dorate e
panche ornate di bracciali (V.6)69. Nelle Gesta Danorum (III,III, 7), Saxo scrisse che
Baldr avesse sognato una figura femminile che presenta le stesse caratteristiche di Hel
(anche se la identificò con Proserpina), la quale lo invitava a seguirla ed unirsi a lui70: la
morte viene presentata qui come un’esperienza erotica, quasi un matrimonio tra il
defunto ed una figura del mondo delle tenebre, che ritorna nell’unione di amore e morte
propria di un’altra divinità, Freja.

Gli altri regni


Che l’amore e la morte si intrecciassero creando un’unità inscindibile non era una novità, in
quanto richiamava alla mente il fatto che esistesse un ciclo naturale della vita, o meglio che
si verificasse un eterno ripetersi di nascita, morte e rinascita: la percezione di tale unità era
resa ancor più evidente da una delle divinità pagane, Freja, la quale non era solo la dea
dell’amore e della fertilità, ma anche della morte. Nel Grímnismál (V.14) si narra che ella
selezionasse assieme ad Óðinn metà dei guerrieri caduti in battaglia per portarli con sé e

accoglierli nella propria sala, Folkvang71. Ma la tradizione delle divinità femminili della
morte era consistente e non contemplava solo Hel e Freja, ma molte altre dee. Gefion, la dea
della castità, accoglieva nel suo seguito le donne morte vergini: nella
Flateyjarbók viene invocata da una ragazza che si opponeva al culto fallico praticato dal
resto della sua famiglia. Anche Rán, la moglie del dio del mare Ægir, accoglieva presso
il suo regno i morti in mare durante le spedizioni o le battaglie (addirittura si pensava
stesse radunando un’armata per scontrarsi con Óðinn durante il Ragnarǫk): nella
Eyrbyggja Saga (LIV) un gruppo di persone morte in mare prese parte al proprio funerale,
fatto che veniva considerato di buon auspicio perché implicava che fossero stati ben

68 È significativo come il regno di Hel venne associato dai missionari cristiani con l’inferno e venne ad assumere un
nuovo significato, dominato dal dualismo punizione/premio tipica della religione cristiana. Per ulteriori
approfondimenti vedi G. Steinsland, Antropological and Escatological Ideas in pre-Christian Norse Religion, in
Collegium Medievale 1, p.182.
69
70 Grammaticus, Op.cit., p.136.
71
accolti dalla divinità72; nella Fridþjófs Saga (VI) il capo di un equipaggio destinato a
morire nella tempesta decise di distribuire l’oro che avevano con sé 73, così da poterlo
mostrare ed essere accolti da Ran74.

Nel Landnámabók e nella Eybryggja Saga si racconta invece di Helgafell, ovvero la


montagna sacra, la quale rappresentava un altro regno della morte collettivo collocato
oltre i limiti spaziali del sepolcro (anche se apparentemente più concreto degli altri) e
strettamente legato all’ambiente locale e al credo di poche famiglie. Helgafell era per lo
più la dimora degli uomini che l’avevano consacrata e che ritenevano sarebbero
continuati a vivere nel medesimo modo al suo interno, dal quale potevano facilmente
tenere d’occhio la propria fattoria e le attività svolte dai congiunti: nella Eybryggja Saga
(XI) il pastore di Þorsteinn Þorskabítr, figlio di Þórólfr Mostrarskegg, assistette,
guardando in direzione della montagna e sentendo rumori provenire da quest’ultima, ai
festeggiamenti per l’arrivo di Þorsteinn e del suo equipaggio, i quali erano partiti per
una spedizione in mare e non erano più tornati75; nel Landnàmabòk la cattolica Auðr
contrassegnò la collina presso la quale si recava a pregare con una croce, ma quando i
suoi parenti si riconvertirono al paganesimo iniziarono a considerare quella collina sacra
e a credere che una volta morti avrebbero vissuto proprio lì76.

Nella Vǫluspá, si citano altri regni connessi alla vita dopo la morte: la sala di Gimlé (V.63)
era più bella del sole e ricoperta d’oro77; la sala del gigante Brimir, la quale si trovava
presso Ókólnir e nella quale venivano servite ottime bevande78; la sala di Sindri (V.36), la
quale si trovava presso Niðavǫllum ed era rivestita d’oro rosso79; infine Nástrǫnd
(V.37), il quale era caratterizzato da una sala lontana dal sole con le porte rivolte verso nord
e le pareti formate da serpenti velenosi intrecciati e nel quale gli assassini e seduttori
venivano tormentati da Niðhǫǫggr80. Nell’Edda in prosa Snorri diede ai primi tre una
connotazione positiva, ovvero li presentò come dimore per coloro che erano vissuti

72
Ellis Davidson, Op. cit., pp. 75-76
73
Ellis Davidson, Op. cit., p.76.
74
Secondo quanto scrive Stjerna in Essay on Beowulf, l’usanza sia stata ispirata dall’uso greco, adottato poi dai romani e
diffuso dai popoli teutonici, di seppellire i morti con una moneta per poter pagare il traghetto a Caronte ed essere trasportati
dall’altra parte dell’Acheronte, la quale si evolse nella pratica di interrare il corpo con un imbarcazione in modo tale da poter
arrivare autonomamente al regno dei morti.
75
76
Ellis Davidson, Op. cit., p.88.
77
78
79
80
lontano dal peccato ed erano stati buoni e virtuosi in vita, palesando l’influenza cristiana e
rendendola in parte incoerente, per il fatto che le sale di Brimir e Sindri venivano collocate
verso Nord così come Hel; invece attribuì una connotazione fortemente negativa sia al
Nástrǫnd che al Hvergelmir, nel quale dislocò Niðhǫǫggr. Si ravvisa nella resa di questi
regni da parte di Snorri la distinzione cristiana in paradiso, purgatorio ed inferno, la quale
restò fondamentalmente inconciliabile con la mentalità vichinga.

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