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MANUALE DI SCIENZE DELLA RELIGIONE

SOMMARIO
INTRODUZIONE.................................................................................................................................................. 2
STORIA DELLE RELIGIONI ................................................................................................................................... 3
SOCIOLOGIA DELlA RELIGIONE .......................................................................................................................... 3
ANTROPOLOGIA DELLE RELIGIONI..................................................................................................................... 8
PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE ........................................................................................................................ 11
DIRITTO COMPARATO DELLE RELIGIONI ......................................................................................................... 16
SCIENZE COGNITIVE DELLA RELIGIONE E NEUROSCIENZE............................................................................... 18
GEOGRAFIA DELLE RELIGIONI .......................................................................................................................... 21
FILOSOFIA DELLA RELIGIONE ........................................................................................................................... 23
TEOLOGIA DELLE RELIGIONI ............................................................................................................................ 26
EDUCAZIONE E RELIGIONE .............................................................................................................................. 30
INTRODUZIONE
Da un rigore filologico mutuato dallo studio positivo e scientifico delle religioni e dallo studio di
valore e significato delle più proprio di approcci filosofici, entro comunque una prospettiva
distaccata ed esterna al fatto religioso ed all’esperienza religiosa (e quindi ETICA e quindi lontana
dalla posizione del credente) si deve passare ad un approccio EMICO e quindi interno al mondo
religioso.
La riduzione del fatto religioso a fattori esplicativi, che spieghino il fatto stesso, è stata appunto la
prima e più lunga prospettiva utilizzata, in quanto era opinione che spiegare la religione
religiosamente sarebbe stato come spiegarla utilizzando l’argomento da spiegare. Ma la teoria
decostruzionista derivata dagli studi culturali ed applicata agli studi religiosi ha confutato questo
approccio.
DECOSTRUZIONISMO ANTROPOLOGICO: allontanamento dal concetto di “sistema” che completa in
sé quanto incoerente, accettazione delle fonti quale insieme di informazioni “opache”, e quindi
frammentazione dell’argomento studiato mettendo in luce i vuoti, le fratture, le aporie
(incoerenze), le sottostrutture ideologiche ed i nodi “significativi” profondi ben sapendo che la
posizione dello studioso non è mai neutra, dove il taciuto è forse più importante del detto, sia nelle
fonti che nel lavoro dello studioso stesso. La decostruzione è presente anche nella nuova
antropologia (Clifford Geertz), permette di dubitare della presunta oggettività della descrizione
antropologica tradizionale: l’oggetto antropologico è piuttosto un effetto della scrittura
dell’antropologo, più o meno consapevolmente manipolato.
PROSPETTIVA RIFLESSIVA: il fatto religioso non è più argomento di studio distaccato, ma viene
soggettivato implicitamente in quanto la ricerca stessa è costruzione del fatto religioso stesso. È
difficile la sospensione del giudizio nell’operare studi religiosi, in quanto la religione che indaga è
frutto dei suoi processi mentali. L’utilizzo di una multidisciplinarità nello studio religioso non può
comunque prescindere dalla sovranità illimitata dei vari studiosi (che possono in realtà essere a
questo punto sia insider che outsider) una lente attraverso la quale leggere il fatto religioso. Ma è
possibile quindi un approccio scientifico e sufficientemente critico allo studio delle religioni, oppure
uno studio valoriale e semantico delle stesse?
Donald Wiebe (storico canadese contemporaneo) propone una tipologia di prospettive da utilizzarsi
(passando da un focus confessionale ad un approccio più distaccato fino ad una consapevolezza
emica):
- SIGNIFICATO E VALORE (SOGGETTIVITA’): teologia e filosofia non possono essere escluse
dallo studio religioso in quanto:
o si ritiene prezioso il contributo soggettivo (emico, insider);
o non ci si deve limitare ad un assemblaggio di molteplici punti di vista anche
multidisciplinari;
o focalizzarsi sul significato del fatto religioso
- EDUCAZIONE (SOGGETTIVITA’ MA ANCHE EMBRIONE DI EMPIRICITA’): ricerca della
esperienza religiosa e suo aspetto formativo della persona e ;
- IMPRESA SCIENTIFICA (OGGETTIVITA’): individuazione dei metodi scientifici e sociali come
unico strumento per lo studio oggettivo della religione;
- TEORIA INTERPRETATIVA: applica l’approccio scientifico ed anche la teoria interpretativa
quale collante tra i vari punti di vista.
Questa distinzione non tiene però conto della dimensione storica e culturale entro cui le religioni
vanno contestualizzate. ma visto il crescente interesse per gli studi religiosi l'asse storico verticale
attorno a cui gravitavano le varie discipline interessate alla religione non è più attuale, privilegiando
rispetto alla storia delle religioni (che ormai può andare stretta, anzi essere un impedimento rispetto
alle nuove metodologie o paradigmi) un asse orizzontale legato alla contemporaneità.
Il passaggio dallo studioso romantico e solitario dell’800-900 ai team di studiosi entro una logica
globalizzata ha cambiato le regole di ingaggio nello studio delle religioni: indubbiamente c'è un
guadagno in questo ma c'è anche un proliferare di linguaggi, metodi, prospettive, paradigmi. Forse
l'approccio giusto e quello di Interpretare la religione collegandola alla vita umana, studiandola in
tutti i suoi aspetti (vs sociale filosofico antropologico teologico storico) e utilizzando tutte le
discipline necessarie, e non pensando che la religione sia qualcosa di superiore e generante, senza
perderne comunque funzioni, significati, valori e confini specifici, dovendo fare i conti poi con
l'arbitrarietà. La scienza delle religioni è un campo conoscitivo di tipo cumulativo da approcciare
sotto l’egida di un metodo scientifico riflessivo, incorporando i contributi di scienze che hanno la
religione come uno degli argomenti portanti (sociologia, antropologia etc.) e di altre che ci si
imbattono occasionalmente (archeologia, arte etc.). E la teologia (prettamente cristiana)? Non è
parte dell’argomento religioso? Ma a me, che mi frega se si limita alla sola cristianità? La
secolarizzazione è prodotto tipicamente occidentale, e da altre culture è visto come minante una
dimensione religioso-culturale inopinabile, che però fanno capire quanto sia coinvolto il retroterra
culturale dello studioso stesso e quindi ad un concetto di “verità” diverso da persona a persona. Lo
studio non può essere quindi visto solo come scientifico e riduzionistico, ma anche valoriale e
significante, per non privare lo studioso di uno strumento utile. Si è tutti inseriti in un gioco delle
parti costituito di riflessività e dialogicità senza necessità di pregiudizio accademico. E la teologia è
una di queste parti, quella più trascendente che va oltre quindi a quella sociale (sociologia) culturale
(antropologia) cognitiva/individuale (psicologia) e valoriale/generale (filosofia).
Concludendo, lo studio iniziale della religione, prettamente cristiano e storico/filologico, si è
trasformato in una summa di contributi che hanno messo in discussione l’incipit storico patendo dal
nuovo presente di globalizzazione, migrazioni, contatti e suggestioni “altre”, ma che non devono
abbandonare la dimensione storica e filologica, tenendo ben presente sia l’abbondanza
interpretativa di segni e significati arbitrari sia la necessità di concretezza nello studio dei materiali
religiosi quali i testi.

STORIA DELLE RELIGIONI


I confini di quanto trattato dalla Storia delle religioni non sono chiaramente definiti. Il primo a definire la
“Storia delle Religioni” come campo di studi fu Durkheim con “Histoire des religions”, successivamente
ripresa da M. Mauss.

Per individuare tali confini si guarda a TRE FATTORI: si fa riferimento alla storia accademica, dell’attività dei
luoghi universitari caratterizzati da intensi dibattiti culturali sulla laicità: nasce a Ginevra (1874) poi a Parigi e
nell’Europa francofona (con forte spinta anticlericale, anche a seguito di illustri pensatori illuministi), nei Paesi
Bassi (dove la laicizzazione delle facoltà teologiche iniziò una analisi comparata delle cosiddette religioni
pagane).
Altro indicatore è l’intensificarsi nell’800 di relazioni con cultura “altre” dovute alle politiche coloniali: la
cattedra a Bruxelles viene istituita poco prima dell’insediamento del Re dei Belgi in Cogo, le ricerche di Max
Muller sui Veda sono finanziate dalla Compagnia delle Indie, x es.).

Terzo indicatore è la coesistenza in tali luoghi di dibattito culturale (accademia e spedizioni in terre esotiche)
di posizioni confessionali varie, dal cattolicesimo, al protestantesimo, all’ebraismo. Il caso Italia è eclatante:
sia anticlericali che cattolici intransigenti si oppongono ad uno studio laico delle religioni, laddove si riscontra
una preminenza a livello nazionale della religione cattolica ed una risibile dominazione coloniale (no a caso
in Italia gli studi etnologici si concentrano soprattutto sul folklore e sulla diversità culturale territoriale, oltre
che allo studio dei classici dell’antichità e dei testi neotestamentari).

LA PRIMA FASE DEGLI STUDI: FILOLOGIA ED ANTROPOLOGIA

Per definirsi, la nuova disciplina ha bisogno di un oggetto e di un metodo:

OGGETTO: la religione. Ma deve esserne individuata l’autonomia entro i contesti, è un problema di tipo
concettuale che attinge a scelte teoriche complesse.

METODO: comparativo basato su due fonti, la prima fonte è quella della linguistica comparata, confrontando
la religione a famiglie linguistiche individuate (vedi Max Muller collega la natura celeste degli dèi ai loro nomi
ed alle lingue indoeuropee) e la seconda fonte è l’antropologia britannica che utilizza la comparazione
evoluzionistica tra i popoli “selvaggi” alle culture primitive di cui non vi sono testimonianze. L’approccio
filologico apporta l’interesse per la documentazione scritta e per i classici, e l’antropologia una maggiore
comparazione di sistemi religiosi oltre la gabbai linguistica impostata dalla filologia, ma sempre entro il
contesto positivista ed evoluzionista tipico degli albori delle discipline umane dell’800 (civiltà umana
sviluppatasi per stadi evolutivi con eventuali retaggi non integrabili – sopravvivenze). Nascono così le prime
teorie sulle RELIGIONI ELEMENTARI: animismo (Edward B. Taylor), totemismo e magia, in genere di respiro
nomotetico (generale). La comparazione culturale nasce inoltre dalla teoria del funzionamento unico della
mente umana (nasce da Adolf Bastian, poi ripreso successivamente da altri studiosi, anche Lèvi-Strauss).

Con Robertson Smith si ha un approccio nomotetico di ricerca di regole generali valide per tutte le religioni,
lui partendo dallo studio del sacrificio ebraico partendo da un’epoca prebiblica senza fonti scritte, agendo
per comparazione con civiltà orali arrivando ad ipotizzare una società totemistica basata sull’uccisione ed il
consumo comunitario dell’antenato totemico.

Con James Frazer abbiamo una scala evoluzionistica magia-religione-scienza, utilizzando anch’eso il metodo
comparativo su una impressionante mole di fonti scritte classiche e sui relativi miti (gettando le basi della
scuola di Cambridge o meglio della Mith and Ritual School).

Con E. Durkheim in FR e Max Weber in DEU ci si avvicina invece alle scuole sociologiche: il primo vede la
religione come forza simbolica della coesione sociale (già teorizzata da Comte) dividendo la realtà tra Sacro
e Profano (e non più tra Dèi e uomini) nella ricerca di una teoria generale della religio; il secondo non ambisce
a tanto ma unendo la fervenza protestante alla mentalità capitalista(o viceversa) i interrogava sul valore
socioeconomico della stessa e del principio di salvazione, individualizzazione, carisma e secolarizzazione.

Da questa prima ondata britannica si discosta la prima antropologia statunitense con F. Boas (ricerca sul
campo e diffusionismo dei tratti culturali) e di Frtiz Graebner (cicli culturali, da cui aree diacronicamente
mutevoli e centri di diffusione, non più coerenti con la teoria evoluzionista). Il colpo di grazia venne dalle
teorie funzionaliste (Radcliffe Brown e Malinowsky) confutando la “sopravvivenza” on veritiera in quanto
celante comunque una funzione.

LE TRE CORRENTI PRINCIPALI all’interno della SdR sono STORICISTA, FENOMENOLOGICA e STRUTTURALISTA.
TRADIZIONE FENOMENOLOGICA: classificante i FATTI religiosi, delle rivelazioni del divino nell’esperienza
umana (Ierofanie di Eliade Mircea, e dello stesso, in analogia con Friedrich Scheleiermacher, del concetto di
infinito e della conseguente finitezza umana). Si parla quindi anche di TRASCENDENZA con Rudolf Otto, che
in analogia con Durkheim considerava al sfera sacra perfettamente separata dalla profana, ma però
decisamente “ALTRA”, ineffabile, misterica, irraggiungibile e nella cui tensione di raggiungimento si trova il
desiderio trascendente di superare la propria mortalità dell’uomo.

Altra figura importante della corrente fenomenologica è Gerard Van Der Leeuw ed il suo uso delle nozioni di
Husserl come EPOCHÈ (strumento della sospensione del giudizio rispetto all’argomento studiato) ed ESSENZA
(strumento di ricerca della comprensione degli elementi fondamentali costituenti l’argomento).

Altro genere di ESSENZA DELLA RELIGIONE è quella teorizzata da Friedrich Heiler, intesa quale ATTO DI
COMUNIONE TRA DIO E UOMO, avvicinandosi quindi a posizioni teologiche, chiaramente non prescindibili e
dalle quali nascono ulteriori suggestioni (gradi evolutivi secondo cui le religioni adempiono a determinati
manifestazioni obbligate – altra teoria nomotetica).

La descrizione dei fatti e la loro sistematica classificazione secondo norme di sospensione del giudizio e studio
delle dinamiche fondamentali è alla base della scuola olandese di fine novecento, spostandosi da necessità
nomotetiche a approcci più idiografici, comparativi in modo più ristretto, più calati entro il confronto di
culture limitrofe.

La fenomenologia più filosofica e classicista è rappresentata da Mircea Eliade: i fenomeni religiosi sono
rivelazioni del sacro, ierofanie, e la trascendenza rappresenta quella dimensione astorica e non oggettivabile,
foriera quindi di un’inesauribilità di interpretazioni tanto quanta è la capacità dell’uomo di pensiero astratto.
Nasce l’HOMO RELIGIOSUS, caratterizzato universalmente da questa tensione che si esprime in una
sospensione temporale della dimensione trascendente entro al quale l’uomo trova i sui archetipi intesi come
modelli comportamentali e li tramanda tramite il mito (il racconto) ed il rito (la pratica).

TRADIZIONE STORICISTA: considerazione del contesto storico e dello sviluppo diacronico (nel tempo) dei
FATTI, intesi come eventi dell’attività umana (e quindi storici) e non dei fenomeni legati a una dimensione
astorica trascendente e divina. Raffaele Pettazzoni (primi anni del 900) e lo STORICISMO che aggiunge il
concetto di autonomia del religioso (cioè del contesto specifico) e ricchezza della comparazione
interculturale. Arrivò a teorizzare una convivenza delle due tradizioni, la storicista garante della rigorosità
della ricerca e la fenomenologica quale analizzante il significato recondito del contesto religioso.

Della scuola italiana storicista inaugurata dal Pettazzoni fanno parte i famosi Angelo Brelich, Ernesto de
Martino ed Ugo Bianchi.

ANGELO BRELICH: il suo approccio è comparativo, storicamente rigoroso e idiografico, molto concentrato sul
contesto studiato e sulla storia del contesto stesso, secondo una teoria diffusionista spaziale e temporale.
Vede la religione come una necessità umana per comprendere l’ineffabile realtà, assumendone quindi il
controllo.

ERNESTO DE MARTINO: il rischio del “non esserci”, dell’essere escluso dal contesto, dall’esistenza stessa, non
essere in grado di comprendere e gestire l’ineluttabilità del reale (tragedie, carestie, morte), opponendosi
alla quale nasce tutta la struttura magico-religiosa, costituita nella destoricizzazione degli eventi tragici a
vantaggio di un “racconto mitico” e di “Strumenti mitico-rituali” atti a risolvere la crisi, dare speranza
all’uomo, al suo “esserci nonostante tutto”. Da cui gli studi sul magismo (figura tragica) e folklore del sud
Italia.

UGO BIANCHI: metodo comparativo-storico e uso della categoria DUALISTICA per classificare, sempre
rigorosamente, gli eventi religiosi umani (Vedi problemi di storia della religione).
TRADIZIONE STRUTTURALISTA: inizi e metà del 900 nasce da Georges Dumezil per il quale lo studio dei miti
delle popolazione di origine indoeuropea (dalle lingue) sottintende una chiara struttura tripartita che
classifica la produzione culturale (e anche la religio).

Claude Lèvi-Strauss invece parte da un concetto di struttura ma più legato al pensiero umano, alla capacità
cognitiva ed immaginativa dello stesso, capace di ORDINARE IL REALE, secondo regole generali, creando
quindi una teoria astorica.

LA CONFUTAZIONE DEI TRE APPROCCI tramite il postmoderno che ha confutato le teorie di secolarizzazione
come unico traguardo possibile per la religione sottomessa alla razionalità (anche se è fattuale che, in ogni
caso, indipendentemente dal paradigma utilizzato, dalle teorie decostruttiviste che mettono alla berlina
concetti come SACRO, TRASCEDNEZA… la religione continua ad esserci!) e la globalizzazione che ha
aumentato esponenzialmente gli scambi e le interconnessioni tra culture. L’enorme diversità e la caduta di
vecchi modelli minano la ricerca di regole generali autonome e la distinzione dagli aspetti più apologetici e
teologici della società. L’approccio alle culture si fa più specifico, più attento, EMICO, ben consapevoli
dell’apparato culturale a cu appartiene lo studioso e i destinatari degli studi (il posizionamento rispetto al
modello utilizzato e un “etnocentrismo critico”, consapevole, della formazione culturale silente a cui sono
sottoposti gli studiosi): Non esiste una religione: la religione è ciò che crea lo studioso (Jonathan Smith).

Quindi: etnocentrismo critico e sviluppo di studi idiografici su particolari contesti, non più ricerca di norme
generali, forte interdisciplinarità (confini sfocati del terreno della storia delle religioni) e emersione di nuove
teorie legate al cognitivo, alla vecchia teoria della mente umana uguale per tutti gli uomini, con le sue
strutture tipiche che vanno a definire il fatto religioso, e soprattutto due elementi fondanti, il MITO ed il RITO.

STORIA E SCIENZA DELLE RELIGIONI

Cosa unisce le prospettive, i paradigmi lo sviluppo della stiua dele religioni:

- Fedeltà alla storia e non solo;


- Comprensione del fatto religioso, del suo significato.

Vocazione della Storia delle R. TRASVERSALE, legata alla storia, al contesto, alla comparazione ma vittima di
attacchi decostruttivisti (vedi sopra) che minano l’idea della possibilità di analizzare scientificamente la
“religione”. La Storia delle religioni, alla faccia dei detrattori, è una disciplina policentrica, che non è al centro
essa stessa dell’argomento ma che si avvale della rigorosità di altre discipline, in modo olistico, così come
dello studio di molteplici contesti, valorizzandone le differenze e individuando la propria limitatezza ma
anche forza nel non definire limiti precisi all’ambito dello studio.

SOCIOLOGIA DELLA RELIGIONE


SOCIOLOGIA: Studio della società, dei fatti sociali o delle forze che la plasmano, siano queste di origine
individuale che collettiva, e delle relazioni tra individui. Sociologia MACRO si occupa delle società dal punto
di vista istituzionale e dei grandi processi di mutamento su larga scala (metodologia di studio QUANTITATIVA),
mentre MICRO di piccoli gruppi e di individui nel loro organizzare la vita quotidiana(metodologia di studio
QUALITATIVA). È una disciplina MODERNA nella misura in cui nasce a patire dalla consapevolezza
dell’individuo di potersi affrancare individualmente dal contesto sociale e di poterlo influenzare
(industrializzazione, nazioni, capitalismo, scolarizzazione). È nell’età assiale delle religioni che si verifica
questo distacco: le religioni tradizionali immergevano la società in esse stesse e tutto permeavano, mentre
con la rivoluzione assiale le nuove religioni propongono una trascendenza, una netta distinzione tra sacro
(irraggiungibile, dimensione altra, degli Dèi) e profano (dimensione umana) così come tra individuo e società
(ed ecco il legame uno tra i legami società-religione).
Problema nell’analisi del fenomeno religioso: la religione di autodetermina, si descrive e rappresenta
secondo forme a lei congeniali, è autoreferenziale e cambia al cambiare del posizionamento dello studioso
(La religione è ciò che dice di essere)

RIDUZIONISMO: religione come illusione, finzione, funzionale ad altri scopi di diversa natura (generalmente
Critico) Vs ANNESSIONISMO: studio di ogni fenomeno al fine di riportarlo ad una comune essenza
(Apologetico). La PROSPETTIVA PROPOSTA invece è riferita allo studio delle peculiarità delle religioni come
portatrici di significati e produzioni simboliche che influenzano una data società.

Caratteristiche trasversali della prospettiva di cui opra:

AVALUTATIVITA’: nessuna preferenza tra religioni, nessun riguardo rispetto alla pretesa di verità delle stesse,
sospensione del giudizio, ma senza limitarsi quindi alla SOLA DESCRIZIONE ma da questo puto di vista
indagare anche i VALORI: è intesa come comprensione dei fatti religiosi così come costruiti dall’uomo per
dare significato all’esperienza della realtà, plasmata dalle produzioni culturali e quindi REALE a tuti gli effetti
(punto di vista emico, del credente).

ATEISMO METODOLOGICO: è una derivazione della caratteristica di cui sopra, he vede una sensibilità per il
discorso religioso quale chiave di comprensione delle trasformazioni sociali e del modo individuale di
“pensare la realtà”, sempre in chiave funzionale e sociale.

Come effetto si nota però un distacco dall’oggetto religioso, concentrandosi su una descrizione del contesto
sociale più che su una comprensione teorica, da cui una tendenza alla SECOLARIZZAZIONE quale epilogo del
fenomeno religioso.

Ma la secolarizzazione può non essere vista come uscita di scena della religione, ma una differenziazione
degli ambiti entro cui agisce la costruzione culturale religiosa, che comunque non si limita alla sola vita privata
dell’individuo, ambiti comunque in continuo movimento entro sfere di influenza diverse, tra cui quella
religiosa. Non si arriva al DISINCANTO di Weber, ma a un DIVERSO REINCANTO entro una continua
negoziazione di ambiti di influenza. Si arriva allo struttural-funzionalismo di Parsons in cui i valori religiosi non
si allontanano dalla società ma si istituzionalizzano all’interno di questa (vedi influenza del cristianesimo
ecclesiastico), fino alla crescita di nuove confessioni/gruppi religiosi/filosofie mistiche e fondamentalismi,
oltre ad una più individuale ricerca della dimensione spirituale.

FORME COLLETTIVE E PUBBLICHE DELLA RELIGIONE:

Le organizzazioni religiose sono i luoghi entro cui la religione diventa visibile, crea senso di appartenenza e
propone codici comportamentali e valori (modello per) e di interpretazione della realtà e significati (modello
di) precisi, ed esistono per qualsiasi religione che quindi possiedono comunità, credenza, narrazione (miti) e
ritualità. Le organizzazioni non sono solo RORMA ma anche CONTENUTO.

Emile Durkheim e la sacralizzazione della società: coesa secondo un insieme di forze e di sentimenti collettivi
condivisi secondo una coscienza collettiva, che può essere totalizzante (società a solidarietà meccanica)
oppure no (solidarietà organica): il sacro diviene fattore coesivo che celebra la società stessa, trascendente
rispetto l’individuo e la collettività (decisamente nomotetico e astorico il ragazzo).

Max Weber e la distinzione tra chiesa e setta (presenza/assenza carattere istituzionale,


universalismo/particolarismo, inclusività/esclusività, adesione implicita/non volontaria e volontaria) e lo
studio delle diverse confessioni in seno alla religione sono altri aspetti dello studio della dimensione collettiva
della religio. Max aggiunge le nozioni di POTERE e CARISMA: nel primo caso il potere risiede nella struttura
che eredita il carisma de leader, nel secondo rimane insista all’interno del gruppo. Il carisma può essere
routinizzato se perdura nel tempo e creare o nuovi leader o una tradizione religiosa.
Troelsch aggiunge i conetti di MISTICA o MISTICISMO: interpretazione individuale del culto e contatto diretto
con la sfera del sacro, con autogestione della trascendenza e della comunicazione “altra”, con la possibilità
di creazione di nuove confessioni/gruppi religiosi in seno a chiese /sette (come si può verificare nella forma
frastagliata delle confessioni protestanti e nella rinuncia della chiesa protestante, a seguito della riforma, di
controllare direttamente la società, però finendo con l’intessersi poi nel tessuto della stessa.)

La secolarizzazione non porta quindi alla scomparsa della religione, ma ad un nuovo spazio attribuibile alla
stessa, a nuove forme ed istituzioni, basti pensare alle nuove, discrezionali ed individuali scelte religiose, con
differenziazione dei gruppi e congregazioni (anche all’interno degli universi monoteistici).In più la
globalizzazione ed i conseguenti flussi migratori aumentano lo spazio religioso ed i contorni culturali dello
stesso diventano sempre più permeabili e sfumati (società multiculturali e legami con le società di partenza
– Analisi multisituata necessaria), con la discriminante del RICONOSCIMENTO GIURIDICO delle strutture
religiose all’interno dei singoli stati, oltre che del riconoscimento socio-culturale delle stesse, che possono
essere stimate o stigmatizzate dalla collettività nel cui seno si sviluppano (STIMA O STIGMA).

L’ESPERIENZA RLIGIOSA INDIVIDUALE:

Importante studiare le implicazioni del fenomeno religioso nella vita del credente, così come l’azione
individuale possa a sua volta plasmare lo spazio semantico religioso. La religione pone le basi per un codice
comportamentale e di agire individuali che portò tramite il protestantesimo alla creazione della società
borghese capitalistica, passando attraverso la definizione di COMPITO e CONDOTTA DI VITA calvinista per
ottenere importanti ricadute macroscopiche sui sistemi di produzione economica.

Gerog Simmel invece divide i concetti di religione (istituzione del sentimento religioso) da religiosità
(sentimento individuale originario e irriducibile a forme sociali condivise). Le prime sono ESPRESSINI delle
seconde, il rapporto tra l’individuo e Dio diviene un determinato legame sociale.

William James invece contrappone decisamente le due dimensioni istituzionale e privata: questa distinzione
netta porta a creare divisione all’interno di religioni entro cui si vada, come nel caso della religione cristiana,
a dare valore alla dimensione interiore del credente (facendo nascer le idee riformiste).

Bourdier invece esclude totalmente la posizione personale del credente, imputando l’adesione del soggetto
derivante esclusivamente dal condizionamento culturale, quindi senza INTENZIONALITA’ SOGGETTIVA.

Il “credere” invece è assolutamente polisemico nel senso della capacità di ognuno, pur condizionato
culturalmente, di pensiero astratto e personale.

LUCKMANN: la religione è un sistema globale di significati nell’esperienza della realtà, con trascendimento
della dimensione biologica individuale verso un mondo “al di fuori di sé” nel quotidiano, elemento di
sensatezza di quanto non tangibile/spiegabile/conoscibile.

Tutto bello, ma deve essere contestualizzato all’interno di quelle tensioni/frizioni/scostamenti delle società
di cui fanno parte gli individui, dei conflitti e delle alleanze tra gli stessi che vanno a modificare la percezione
della realtà secondo una creazione della realtà stessa da parte egli attori attivi: gli uomini.

ANTROPOLOGIA DELLE RELIGIONI


L’antropologia si interessa molto della religione dai principi: Edward B. Taylor pose la definizione di
ANIMISMO, J. Frazer il trattato sulla magia e le comparazioni con le culture classiche, W. Robertson Smith e
lo studio sul sacrificio ebraico e i riti comunitari. Tutti, eccetto Morgan che la ritiene troppo arbitraria e
mutevole, si approcciano alla religione ritenendola uno “sbaglio evolutivo”, prodotto errato del raziocinio
umani dagli albori (ricordiamo il modello evoluzionista vittoriano). Evans-Pritchard riteneva che il giudizio
negativo dei primi studiosi, sull’onda RAZIONALISTA E SECOLARISTA MODERNA, fosse un pretesto per
attaccare le religioni esistenti paragonandole a quelle PRIMITIVE e quindi svuotandole di valore. In effetti era
evidente un declino delle chiese cristiane occidentali.

PARADIGMA PRIMITIVISTA: Levi-Strauss vede nel dominio chiamato “umanesimo” tre tappe fondamentali di
tipo antropologico-etnologico: la studio del mondo antico idealizzato in antitesi alla modernità, le civiltà
orientali dei primi contatti commerciali e militari quali culture “altre” e insieme di culture indigene e quindi
“primitive” a seguito della colonizzazione per completare la visone antropologica mondiale.

La scelta di indicare quali “primitivi” i popoli incontrati in terre lontane da esploratori e missionari nasce dal
bisogno di gestire il disagio nel confronto con l’altro, costruendo quindi il PARADIGMA EVOLUZIONISTA,
magari anche per inserire tali diversità nel progetto divino (PARADIGMA DEGERAZIONISTA, il selvaggio fuori
dalla grazia e dal disegno divino, espressione del peccato primordiale, va evangelizzato, J. F. Lafitau). Ed è
infatti il maggiore contributo all’antropologia quello portato dai MISSIONARI CRISTIANI.

EPISTEMICIDIO: attacco/screditamento/negazione del valore culturale delle religioni indigene (e, per
paragone, anche di quelle occidentali, sull’onda secolarista e razionalista) intese quali bizzarre e irrazionali.
Ad oggi si tenta una comprensione culturale delle strutture indigene di modelli di e per al fine di risolvere
problematiche locali di riverbero globale, dando contestualmente loro dignità di culture complesse e vasto
insieme di saperi.

AMBIGUITA’ DELLA RELIGIONE, UBIQYITA’ DEI SIMBOLI

Un po’ trascurata, l’antropologia delle religioni non ha avuto un ambito preciso, più diluito invece in una
visione olistica tipica dell’antropologia. Durkheim non si accontenta della definizione di ANIMISMO e
NATURALISMO (la religione quale spiegazione di fenomeni naturali o dell’esperienza del sogno) e cerca una
regola comune: arrivandoci attraverso la distinzione tra dimensioni del sacro e del profano, E. D. pone la base
degli studi successivi, pur non senza critiche, vista la variabilità estrema dell’argomento religioso. Levi-
Strauss, olisticamente, non concede all’ambito religioso una sua autonomia ma lo intende nel più ampio
senso culturale umano: con lo strutturalismo la religione diviene un ambito simbolico non autonomo ma
intrecciato agli altri ambiti economico, politico, di parentela, al fine di esprimere la propria esperienza della
realtà, individuale e collettiva.

IDEM C. Geertz: la religione è uno dei tanti sistemi simbolici atti a comprendere l’esperienza della realtà
(modello di) e organizzare le attività umane all’interno di essa (modello per), e l’intersezione di questi due
modelli è esplicita nella ATTIVITA’ RITUALE, in genere, in quanto osservabile, oggetto di studio antropologico.

L’approccio olistico non si concentra sul fenomeno religioso ma lo interpreta secondo i vari argomenti di
studio quali le relazioni sociali, le necessità esistenziali, gli ordini morali e le norme comportamentali etc. etc:
nel 900 così si riscopre chiaramente la “comune radice umana” delle civiltà occidentali e indigene coloniali:
Levì-Strauss (non per primo) riconosce dignità al pensiero “selvaggio” che nella creazione di miti e riti non si
discosta da quello scientifico, entrambi pensieri ugualmente complessi, il primo più immaginativo, il secondo
più distaccato, semplicemente pari nella diversità.

Quindi il “pensiero mistico” così come il “pensiero logico” sono funzionali a comprendere e spiegare la realtà:
così la stregoneria (Evans-Pritchard e gli Azande) diviene “reale” nella misura in cui spiega l’esperienza del
mondo nel contesto esaminato.

Il concetto di “credenza” è costruito secondo una visione dell’altro, al quale si conferisce il significato di “io
credo” distaccato: così le credenze dei popoli “altri” cono concepite come una adesione priva di fondamenti
empirici a differenza delle convinzioni dello studioso che diventano così “dogmatiche” e non opinabili: NOI
SAPPIAMO E LORO CREDONO (Rdney Needam) assegnando così “verità” solo a quanto scientificamente
dimostrabile. Ma ciò è estremamente limitante, anche perché in ogni ambito esiste sempre la dimensioe del
DUBBIO ed una ampia gamma di sfumature individuali nell’aderire ad una determinata credenza (vedi le varie
confessioni religiose appartenenti alle religioni monoteiste). OGNI RELIGIONE POSSIEDE QUADRI
INTERPRETATIVI DEL REALE ALL’INTERNO DEI QUALI SI VILUPPA LA CAPACITÀ DI AGENCY EI SINGOLI ATTORI.

Il posizionamento dello studioso è fondamentale, anche perché non sempre gli schemi interpretativi dello
stesso si adattano ed aiutano (in genere ostacolano) la comprensione di culture altre, magari trovando in
questa consapevolezza radici comuni nello studio (gli Ojibwe conferiscono la dimensione di “persona” ad
animali e piante e fenomeni naturali (spiritismo) conferendo quindi intenzionalità agli elementi dell’universo,
che è una propensione cognitivamente dimostrata dell’essere umano): così le maschere ed altre produzioni
artistiche in alcune culture diventano simulacri simbolici di questa propensione e la loro interpretazione è
conferita a persone particolari, gli sciamani/stregoni, mediatori con le forze naturali e spirituali, persone
poste nelle zone liminari dell’esistenza. Le machere ed i costumi sono quindi STRUMENTI funzionali per
comunicare con il trascendente. I sistemi di credenze, i rituali, gli elementi religiosi divengono quindi FORME
ALTERNATIVE DI INTERPRETAZIONE DELLA REALTA’, DIVENENDO COSÌ PRODUTTRICI CULTURALI DI
CONOSCENZA: saperi sul mondo (modello di) e modi di azione (modelli per) coerenti con la propria
esperienza della realtà, divenendo costituenti di cultura e società, collettive ed individuali, contestualizzate.

CONTESTUALIZZAZIONE:

I primi a contestualizzare al ricerca antropologica/etnografica sono Boas (Particolarismo) e Malinowsky


(ricerca sl campo, funzionalismo) con ampio lavoro di classificazione dei fenomeni/eventi/comportamenti
ordinari e straordinari, intrecciando come già detto religione a società e cultura. Idem Marcel Mauss con il
saggio sul dono, nell’analisi del potlatch nordamericano pacifico, e il “fatto sociale totale”. Si fonda l’ipotesi
che i fenomeni religiosi derivino da strutture complesse socioculturali, supportata anche dalle profonde
trasformazioni sia delle strutture religiose sia delle strutture socioculturali, politiche ed economiche, nello
spazio e nel tempo. La cosa vale sia per le culture altre sia per le culture occidentali caratterizzate da religioni
monoteiste: in questo caso le osservazioni empiriche si sono basate, nel corso dell’antropologia, su aspetti
locali, caratteristici, notando in tal modo le influenze di altri sistemi culturali coesistenti, dando luogo ad una
sorta di sincretismo religioso-culturale (i cristiani creoli, il messianesimo, ma anche modificazioni rituali per
contatto con la tecnologia etc). Questo porta certamente ad una frammentazione ed a una sopravvalutazione
delle specificità., che è contraria invece all’approccio comparativo necessario per indagare il fenomeno
religioso anche in ragione di aspetti dello stesso a larga diffusione mondiale (riti funerari, riti di iniziazione,
sacrificio etc.).

LA CONTEMPORANEITA’

Si riscontrano oggi co la globalizzazione ed i flussi migratori un continuo trasformarsi delle religioni esistenti
, una loro rivisitazione, modificazione e la nascita di altri fenomeni che in parte posson essere assimilati al
fenomeno religioso: così le antiche religioni indigene risorgono al fine di garantire coesione ed identità di
popolazioni violentate dal capitalismo e dal post-colonialismo, nascono fondamentalismi e per contro
vengono riscoperti culti pagani i ragione del declino delle grandi religioni, che costituiscono anche lo studio
antropologico nelle loro specificità ma che andrebbero indagate anche in senso più ampio (anche se così
facendo l’antropologo deve divenire consapevole del proprio insito “etnocentrismo”) ma che per contro
attira le critiche riferibili alla mancanza di validità di un concetto generale, ritornando ai particolarismi ed alla
frammentazione.

Sembra che le scienze cognitive offrano invece un nuovo spunto per affrontare certi temi: Pascal Boyer e
Stewart Guthrie) il pensiero religioso non si limita ad esprimere alcuni concetti cognitivi ma anzi è utilizzato
immaginificamente per dare risposte necessarie ai bisogni dell’uomo. I modelli cognitivi ordinano il mondo,
ma il pensiero religioso va ben oltre, addentrandosi in concetti come finitezza, trascendenza, ed altri peculiari
di lui solamente e che vanno oltre la quotidiana esperienza.
PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE
Theodore Flournoy pone le basi teoriche dello studio religioso: ESCLUSIONE METODOLOGICA DEL
TRASCENDENTE cioè il trascendente non è reale ma lo è nella misura in cui il credente lo ritiene tale, ed in
più ritualmente attingibile.

I primi approcci alla psicologia delle religioni appartengono a Wilhelm Wundt, pastore protestante (in effetti
la psicologia della religione spesso ha subito ingerenze confessionali): ritiene che la psicologia appartenga sia
alle discipline naturali (laddove si occupi degli aspetti biologici) che spirituali (laddove abbia a che fare con la
produzione cognitiva dell’uomo), distinguendo i processi mentali da quelli cerebrali, tra i quali non vi è
dipendenza ma solo coincidenza – PARALLELISMO PISCOFISICO. I processi mentali creano sistemi complessi
significanti che sono una creazione realizzata per unione di molteplici contenuti psichici.

Flournoy viene ripreso in Italia nel primo 900 da Sante de Sanctis (università di Roma) ma osteggiate da Padre
Agostino Gemelli (Università Cattolica) che non poteva ridurre il trascendente al subcosciente. Si dovrà
prendere le distanze dalla visione confessionale, fondando la SIPR (Società Italiana di Psicologia della
Religione) nel 1996, al fine dello studio del seguente OGGETTO: LA RELIGIOSITA’ VISSUTA DAGLI INDIVIDUI
DURANTE IL PERCORSO DI COSTRUZIONE DELLA PROPRIA IDENTITÀ.

L’apertura internazionale si ha con la fondazione in Olanda della IAPR (International Association for the
Psicology of Religion) nel 2001, dichiaratamente a-religiosa e a-confessionale.

Il completamento internazionale si ha con il contributo statunitense a tali studi, con David Wulff e dalla
distinzione in due filoni metodologici: uno più “oggettivo” (empirico, osservabile) e l’altro più “soggettivo”
(ermeneutico, interpretativo), che si aggiungerà ad una naturale differenziazione tra la scuola statunitense
(più funzionalista: a che seve la religione, che impatto ha) e la scuola europea (più teorica e speculativa: cosa
è il trascendente, che rapporto ha la persona con questi). La scuola statunitense, visto anche il fiorire di
confessioni e chiese pastorali e la loro influenza e presenza nel mondo accademico, spesso non sarà a-
confessionale, ma anzi apologetica ( differenza della “stretta neutralità” di origine olandese con Antoine
Vergote. Nasce e si sviluppa negli anni 70 infatti la Catholic Psychological Association, che, per poter entrare
nell’APA (American Psichological Association) dovrà mutare il suio nome e statuto oltre che metodo in
Psychology of Religon and Spirituality: e già qui si inizia a vedere un parallelismo tra religione e spiritualità.

CONNUBIO PSICOLOGIA – RELIGIONE

Per poter approcciarsi ad una disciplina di tal genere è necessario rispettare sia la psicologia (nei suoi specifici
approcci e metodi) oltre che della religione (intesa dignitosamente reale per il credente): BENEVOLA
NEUTRALITA’. Nella pletora di discipline che studiano la religione, cosa caratterizza appunto l’approccio
psicologico?

OGGETTO: l’impatto di quanto viene definito religioso nel vissuto e nello spazio psichico-mentale del
credente e la sua relazione del soggetto (individuo) con la cosa religiosa.

METODO: L’uomo è un organismo bio-psichico (corpo-cervello-mente) immerso in una cultura, capace di


creare relazioni con la realtà circostante tramite il linguaggio e il pensiero cognitivo ed astratto, guidato
attraverso questa da questi stessi elementi (cultura, società, linguaggio, scienza, arte e… religione).

Il metodo che rispetti sia la psicologia che la religione diviene:

a) Studio del fenomeno culturale osservabile definito come “religione” (Credenze e miti, rituali e
simbolismo, istituzioni ed organizzazioni);
b) Comprensione dell’impatto nella costituzione del sé (vissuto psichico) del fenomeno religioso e
relazioni con altri vissuti psichici relativi ad altri ambiti (sociale, sportivo, artistico etc.) con i quali
condivide funzioni e strutture psicologiche (è pur sempre “psicologia”)

Riassumendo, si cerca la comprensione del funzionamento della persona a fronte del fenomeno religioso, sia
come apprendimento silente che come intenzionalità cosciente (la dimensione soggettiva è sempre fatta
salva), astenendosi da giudizi sul valore di “verità” di quanto creduto. La POSIZIONE A-TEISTA (e non anti-
teista) diviene necessaria, al fine di evitare derive apologetiche, tanto quanto la presa di distanza dal
RIDUZIONISMO SCIENTIFICO, per vitare la riduzione della dimensione religiosa ad un fatto di origine
esclusivamente psichica.

- Esiste un elemento costitutivo per la Psicologia della Religione al singolare, non plurale in quanto si
ritiene che lo schema sia il medesimo indifferentemente dalla religione analizzata, è, appunto, LA
RICERCA SOGGETTIVA ED INTENZIONALE DI UNA RELAZIONE CON IL TRASCENDENTE.
- Esiste anche una considerazione metodologica fondamentale: la singola religione possiede una
struttura culturale alla quale afferisce il credente, nella quale si è formato ed alla quale crede: lo
psicologo non incontra “la religione” o “le religioni” ma l’ “Homo Religious” e quindi
metodologicamente è necessario che lo psicologo conosca la religione ed i suoi elementi
fondamentali: testi sacri, lo specifico linguaggio simbolico e rituale, la tradizione ufficiale della stessa
e la confessione particolare del soggetto.

RELIGIONE E RELIGIOSITA’

L’elemento costitutivo di cui sopra quindi a a che fare con il TRASCENDENTE e la tensione dell’uomo a
relazionarcisi. Sin dai primi studiosi si nota questa “presenza” costante (E.B. Taylor, J. Frazer, R. Otto etc) e lo
psicologo Robert Thouless afferma a tal proposito che:

La religione è una RELAZIONE VISSUTA E PRATICATA con ciò che si crede uno o più di un “essere supremo”
che implica, in quanto tale:

- Un livello comportamentale;
- Un livello cognitico;
- Un livello affettivo.

Anche Vassilis Saroglou ritiene, come già incontrato in altre definizioni/teorie che “la religione è una
compresenza di elementi: credenze, esperienze rituali, segni e simboli, valori, norme, comportamenti riferiti
a ciò che trascende l’esperienza umana”. Antoine Vergote riduce a tre categorie questi elementi:

- riti (azione religiosa);


- rappresentazioni simboliche (simboli religiosi);
- forme di preghiera (linguaggio religioso).

L’HABITUS CULTURALE contiene la religione e la psicologia studia la TENSIONE DELL’INDIVIDUO NEL


RISPONDERE ALLA SOLLECITAZIONE RELIGIOSA, CENTRATA SULL’INDIVIDUO QUALE HOMO RELIGIOUS La
religione è la narrazione di Dio, del cosmo e di quanto intangibile e la psicologia studia appunto:

- la posizione dell’individuo rispetto allo schema elaborato dalla classificazione culturale della realtà
mediata da linguaggio, cultura e tradizione, e rispetto alla relazione personale ed al vissuto relativo
al trascendente;
- l’esplicitazione individuale (e anche di gruppo dopotutto) degli aspetti cognitivi, emotivi/affettivi,
sociali/morali a livello di personalità di tale relazione.

Quindi la RELIGIOSITA’ è la ASSIMILAZIONE SOGGETTIVA DELLA RELIGIONE, che ha punti di contatto con la
SPIRITUALITA’.
Il raccogliere l’insieme di simbolismi e linguaggi religiosi, nell’era moderna, e la loro reinterpretazione (il
“bricolage” di Lèvi-Strauss) ad uso della soggettività e dei suoi bisogni, necessità e valori diviene un distaccarsi
in parte dalla concezione di trascendente delle religioni più tradizionali, anche affrancandosi dalle figure
soprannaturali tradizionali, nella ricerca di una relazione soggettiva soddisfacente: viene definita la
RAREFAZIONE DEL TRASCENDENTE NELL’AUTOTRASCENDIMENTO.

Così la ricerca del “sacro” diviene una tensione soggettiva, che si cerca di individuare nella parola
SPIRITUALITA’: ma gli approcci sono diversi:

- la spiritualità viene vista come forma più autentica di un più ampio discorso religioso;
- al contrario, una tensione assolutamente soggettiva che la religione aiuta ad imbrigliare secondo
norme e simbolismi di comodo per il soggetto che ci si vede rappresentato, anche se mai
completamente.

Spesso la dicotomia spiritualità/religione viene associata ad altre dicontomie (interna/esterna, i-religion/e-


religion, autenticità/verità, individualità/istituzione) o meglio viene separata dalle seguenti definizioni:

- la religione è un sistema chiuso e statico di pratiche e credenze istituzionalizzato ed organizzato;


- la spiritualità è un percorso soggettivo e dinamico alla scoperta del sacro;

La APA statunitense porta avanti parallelamente i concetti di religione e spiritualità mentre a liveloo europeo
si ritiene separare il fenomeno MACRO-CULTURALE (religione) dal fenomeno MICRO-PERSONALE
(spiritualità), ma molti studiosi ritengono che utilizzare le due definizioni possa portare a confusione, visto
anche il largo uso nel denominare esperienze di autotrascendimento riferibili a movimenti new-age,
meditativi, di ricerca di benessere psicofisico, o di distinzione valoriale quale il veganesimo, la fratellanza o
di carattere teorico-mistico come l’astrologia, la spiritualità dei tarocchi.

Come distinguere quindi spiritualità da religione? Utilizzando la DISCRIMINANTE della TRASCENDENZA o


meglio la RELAZIONE tra il CREDENTE ed il TRASCENDENTE.

Sia il credente che il non credente può collegarsi con il trascendente: il primo tramite una devozione rispetto
ad una fede, il secondo da valori umanistici, che, seppur analoghi e sostitutivi, non sono “religiosi”: credere
in Dio è diverso dal credere in una ideologia, in valori, o anche nell’Universo che ci circonda (Gordon Allport).

Zimmauer e Pardon invece vedono la RICERCA DEL SACRO come punto di contatto tra spiritualità e religione
ma opposti (per il primo la spiritualità è la ricerca del sacro, che spesso viene raccolta da istituzioni religiose,
che ne sono quindi parte – per il secondo la religione è la ricerca del sacro, all’interno della quale la spiritualità
ne è la radice più profonda e personale, che ne è quindi parte).

LA ricerca del sacro è una RICHIESTA DI SENSO dell’uomo, che si sviluppa in molteplici percorsi: attraverso
una relazione con il sovrannaturale, attraverso oggetti e luoghi, attraverso obiettivi “altri”, attraverso la
natura, l’arte, la guerra (TROIANI!!! AU!!!). In ogni caso la ricerca di senso e di appagamento del desiderio di
affidamento anche affettivo dà come risposta l’appello al trascendente e la religione ne è espressione.

LA RELIGIOSITA’ è (4 punti):

1. un VISSUTO PSICHICO relazionale profondamente radicato ed emotivo intenzionale del soggetto con
l’ ”Altro”;
2. è ATTIVITÀ MITOPOIETICA, di immaginazione da parte del soggetto di senso del mondo e
dell’esperienza di esso e di quanto altrimenti inconoscibile, come la vita dopo la morte;
3. è risposta TOTALIZZANTE alla domanda di significato e del desiderio di affidamento del soggetto che
si appella al trascendente (diversamente da altre forme di risposta);
4. è simbolicamente connotata secondo STRUTTURE precise e specifiche e secondo caratteristiche di
personalità attraverso le quali il soggetto può vivere la sua esperienza;
E in tutto questo si distingue dalla spiritualità nel suo appellarsi al trascendente per riposte non solo
speculative ma totalizzanti rispetto alla vita del soggetto.

La RICERCA DI SENSO è innata nella psiche dell’uomo, la RELIGIONE è una possibile risposta. E la RELIGIOSITA’
è l’insieme di relazione soggettive tra intrapsichico, interpsichico ed il culturale secondo caratteristiche
precipue dell’uomo e non legate alla religione come:

- capacità di “credere” ed affidarsi;


- capacità di relazioni strutturate;
- capacità di simbolizzazione;
- capacità di attribuzione di significato.

Ma cos’è il trascendete, cosa intende l’uomo per DIO? Quali processi mentali sono interessati all’interno della
psiche? Entrano in gioco, sin dalla prima infanzia e fino alla costruzione della personalità adulta, e quindi
lungo l’arco del vissuto:

- processi neurobiologici;
- imprinting relazionale;
- Senso di colpa, atteggiamenti di perdono, comportamenti prosociali, etica e morale;
- meccanismi proiettivi e difensivi;
- apprendimento culturale;
- condizionamenti sociali ed educativi;
- necessità sociale di appartenenza;
- processi cognitivo-comportamentali;
- pensiero astratto;
- attribuzione di ruoli;
- narrazione autobiografica e costruzione di sé;
- pensiero astratto ed immaginativo;

E questo relativamente al soggetto ed i meccanismi psichici che entrano in ballo, ma si può procedere anche
all’analisi del rapporto del soggetto con la religione stessa e quindi considerando:

- atteggiamenti verso la preghiera e l’offerta e il sacrifico rispetto a fiducia/efficacia;


- metabolizzazione dell’insuccesso di cui sopra;
- dimensione comunitaria della fede;
- pratiche rituali ed iniziazioni;
- catechesi e indottrinamento;
- momenti di crisi rispetto alla fede ed all’appartenenza religiosa e loro soluzione;
- intenzionalità di conversione a nuove religioni.

RELIGIOUS COPYNG

La capacità di reagire a situazioni stressanti per il soggetto eccedenti la sua capacità singola di gestione. La
religione è una risposta a questa mancanza di risorse e di capacità insite nella psiche del soggetto, secondo
principi attivi specifici del binomio religione-spiritualità, come nell’affrontare la morte o la malattia. È
conclamata l’efficacia di questi principi sul benessere psichico (conforto e speranza) che fisico (reattività ad
una cura).

Ma vi sono critiche in merito, in quanto tale reazione non è specifica solo della religione e delle sue
convinzioni/ritualità/norme di comportamento ma può essere individuata anche in altri ambiti, in altre
convinzioni/ritualità/norme di comportamento non religiose, oltrechè molto dipendente dalla persona e
dalla sua formazione, adesione i tutto o in parte al pensiero religioso, alla dimensione della crisi ed
all’inserimento nel contesto socioculturale del soggetto. Infine non è possibile collegare il concetto di salute
mentale all’adesione o meno ad una religione: se è vero che la partecipazione può lenire angosce esistenziali,
p anche vero che, per come è definita nella sua struttura, al religione può portare essa stessa a crisi e
sofferenze, individuali e collettive.

LA PSICOANALISI

La religione si riceve, si ricostruisce e si trasmette attraverso il proprio vissuto ed attraverso il linguaggio


simbolico religioso (attori attivi). Da questo assunto molti autori hanno collegato la religione alla nascita
dell’Io (Freud, Lacan, Vergote). Qundi:

- interazione tra il soggetto e le sue PULSIONI con l’ambiente socioculturale attraverso il linguaggio
simbolico che è caratteristico della mente umana;
- complesso Edipico nel confronto del padre come legge, modello e processo di sviluppo dell’Io che
crea uno strato fertile per future esperienze affettive e anche religiose;

lo studio del vissuto religioso è affrontato in maniera profonda dalla psicoanalisi, che ne indaga la radice della
relazione soggetto/religione, sottolineando le caratteristiche inconsce delle rappresentazioni mentali
(immaginifiche, compresa la rappresentazione di Dio) e la relazione di queste con l’atteggiamento personale,
prevalentemente conscio, del soggetto nei confronti del trascendente (Dio), lungo il percorso di costruzione
e narrazione del sé plasmato dall’ambiente socioculturale

e qui entra in gioco la PSICOLOGIA CULTURALE: Infatti sono questi due gli ambiti fondamentali:

- biografia individuale;
- ambiente socioculturale.

Investigazione delle relazioni tra la psiche umana e l’ambiente culturale, dove l’esperienza del mondo, il
pensiero e la relazionalità sono costruzioni arbitrarie, finzioni, collettivamente costruite (sociocostruttivismo)
ed individualmente mediate (coinvolgimento dell’individuo). Queste interazioni danno luogo all’IDENTITA’
RELIGIOSA e le sue derive fondamentalistiche (nate in seno alla singola personalità caratterizzata da chiusura
cognitiva, conformismo, dogmatismo, elitarismo) oppure di apertura al pluralismo religioso

MODELLI TEORICI E STRUEMTNI DI RICERCA

Esiste una molteplicità di approcci e metodi: approccio analitico-empirico o fenomenologico-ermeneutico,


ricerca sperimentale o osservazione ecologica, comportamento osservabile o motivazioni inconsce, condotta
puntuale o strutturazione del codice comportamentale lungo l’arco del vissuto. Così come le varie branche
della psicologia possono trovare ambiti di interessi all’interno dell’argomento religioso (approccio alla
preghiera negli adolescenti: psicologia evolutiva – mutazione dei processi neurobiologici durante la
meditazione – Neuropsicologia, relazione con il trascendente paragonata alla relazione affettiva con il
genitore – Psicologia comportamentale).

Si applicano due paradigmi nell’approcciarsi alla religione:

- Paradigma del riduzionismo: si applicano allo studio della psicologia della religione i modelli e le
teorie già valide per altre branche della psicologia (quindi la religione è parte di un tutto più ampio);
- Paradigma dell’irriducibilità: modelli, strumenti e teorie della psicologia della religione sono
assolutamente specifiche dell’ambito;
- Un paradigma mediano, in cui modelli e teorie psicologiche acquistano particolari connotazioni
nell’avvicinarsi alla relazione del soggetto con il trascendente.

Metodi di misurazione:
QUANTITATIVI: preferiti dalla Psicologia del Sociale, in quanto paragonano una molteplicità di individui,
quindi una collettività, nelle loro auto attestazioni di credenza, di ortodossia, di partecipazione, anche di
adesione ai nuovi movimenti spirituali (il tutto nella contemporaneità è un magma in continua
trasformazione). Il difetto di tali metodi è la mancanza di ecologia, cioè di rispetto del contesto di ricerca di
un dato oggettivo osservabile. Le ricerche di campo empirico sono in genere CORRELAZIONALI cioè mettono
in relazione la religiosità rispetto a tratti della personalità all’interno di determinate situazioni.

Sono questionari, strutturati (risposta vero-falso) o semi strutturati (risposta aperta), sono autovalutativi e
indagano opinioni, credenze, coinvolgimento e partecipazione. Devono essere linguisticamente adatti al
campione esaminato per evitare fraintendimenti nella lettura delle domande e deve fare i conti con quanto
l’intervistato è disposto a comunicare sinceramente oppure mediato dal desiderio di appartenenza sociale.

QUALITATIVI: possono essere affiancati ai precedenti per ovviare ai problemi delle indagini su scale
standardizzate oltre che per superare la difficoltà nell’interpretare la sincerità della risposta rispetto alla
desiderabilità sociale, indagando comportamenti, pensieri e sentimenti del soggetto ed interpretandoli come
prodotto della personalità individuale.

AUTOIMPLICAZIONE DELLO PSICOLOGO (ECOLOGIA DELLA RICERCA): rispetto alla formazione religiosa, di
fede dello psicologo ed al suo posizionamento rispetto alla ricerca. È necessario non prendere posizione
rispetto alla verità proposta dall’oggetto della ricerca (sospensione del giudizi, AGNOSTICISMO
METODOLOGICO), ma ciò viene criticato in quanto impossibile da attuare nella relazione osservatore-
osservato. È sicuramente necessario però, nella pletora di critici e apologeti della religione, osservare un
trattamento di rispetto nei confronti della religione e della psicologia.

PERCHE’ LA PSICOLOGIA STUDIA LA RELIGIONE? Perché LA RELIGIONE ESISTE e nonostante le previsioni di


secolarizzazione delle religioni occidentali e la sparizione delle religioni indigene CONTINUA AD ESISTERE. E
perché è un fatto storico, sociale e culturale in cui la PSICHE DEGLI INDIVIDUI TROVA ESPRESSIONE. Perché
la maggioranza della popolazione mondiale si ritiene appartenente ad una religione e perché credono in
esseri trascendenti che influiscono con il loro mondo, la loro realtà, la loro vita. E altrettanti sono disposti ad
immolarsi per le loro tradizioni religiose. SOTTO OGNUNA DI QUESTI PENSIERI/AZIONI SONO SOTTESI
PROCESSI PSICHICI. Ed essendo molteplici ambiti quelli in cui l’individuo si pensa ed agisce, allora la Psicologia
della Religione indaga ogni singolo ambito nella relazione con il trascendente.

DIRITTO COMPARATO DELLE RELIGIONI


Comparato perché si pone all’intersezione tra la materia giuridica e le norme definite da ogni singola
religione, specialmente in ambito multiculturale contemporaneo, entro una dialettica tra le organizzazioni
religiose e le organizzazioni sociali (Stato, sindacati, associazioni di categoria, partiti politici etc.).

Esiste quindi un insieme sovrapposto tra Stato e religioni in cui il legislatore permette il rispetto delle norme
religiose presenti sul territorio e altri ambiti più specifici dove la norma deve calzare con la singola specificità.

Esiste inoltre uno spazio giuridico comune tra religioni che permette una dialettica interreligiosa ed un
confronto su esperienze condivise. Pre poter osservare questo ambito comune è necessario conoscere le
religioni e no una soltanto.

OGNI COMUNITA’ RELIGIOSA PRODUCE DIRITTO, per definizione. Inoltre, storicamente, è posta nell’ambito
delle religioni la nascita dei primi codici di diritto: la religione fornisce il principio ed il diritto garantisce la
norma. Ogni sistema giuridico, culturalmente informato, ma i diritti delle religioni PRECEDONO L’UOMO, è il
diritto rivelato da Dio oppure rivelato dall’Universo (religione vedica indù, da esso rivelata o Buddista, calata
nell’intuizione umana). In tutti i casi la legge così definita deve essere ubbidita dall’uomo per trovare la felicità
e la soddisfazione. Il fondamento del diritto religioso è ETERONOMO, cioè nato non per volontà dell’uomo, a
differenza del diritto degli Stati. Questo diritto eteronomo è un nucleo fondante, mentre la restante parte è
di produzione umana, così come le leggi dello stato (e qui ci si avvicina e si compara). Ma anche quest’ultima
parte è differente perché si concentra maggiormente sulla coscienza dell’individuo, sulla promessa successiva
alla morte, che diviene a sua volta fondante il diritto eteronomo.

Inoltre la separazione tra diritto secolare (politico, economico, etico) e diritto eteronomo religioso in alcune
parti del mondo ha avuto un percorso intenso, mentre in altre non si è verificato in ugual misura, mantenendo
una forte mescolanza tra diritto civile e penale, morale di comportamento (islam, Induismo etc.)

DIRITTO DIVINO/COSMICO (precedente l’uomo): già greci e romani ritenevano il diritto “divino” nella sua
qualità fondamentale di creazione di un ordine naturale permanente delle cose. Il diritto delle tre religioni
del libro invece diviene di origine divina: Dio diventa supremo legislatore e rivelatore. Nelle religioni orientali
(Buddismo, Induismo) Dio è sostituito da un ordine cosmico, che abbraccia tutto e a cui gli Dèi sono sottoposti
(si avvicina maggiormente alla concezione classica) e non vi è un attore rivelatore preciso. Questa diviene al
DIFERENZA FONDAMENTALE: per i primi la GIUSTIZIA consiste nell’applicare la legge di Dio, per i secondo la
GIUSTIZIA consiste nel trovare il proprio posto all’interno dell’ordine cosmico, attraverso un processo di
purificazione personale o attraverso la conoscenza vedica.

RELAZIONE CON IL DIRITTO NATURALE: le tre religioni del Libro si differenziano anche nel rapporto tra il
diritto divino e il diritto di natura secondo il RAPPORTO TRA RIVELAZIONE DIVINA E RAGIONE UMANA:

- Cristianesimo: non tutto il diritto di origine divina è rivelato da Dio, ma in parte è inscritto nella
coscienza dell’uomo, anche del non-cristiano all’atto della creazione. Attraverso la ragione l’uomo
può accedere a questa seconda parte del diritto divino, aiutato dal magistero ecclesiastico che
compensa gli effetti del peccato originale;
- ISLAM: Dio è completamente trascendente e non è legato alla ragione umana, che quindi non può
essere fonte a cui attingere di diritto divino, lasciando alla sola rivelazione la fonte del diritto divino.
- Ebraismo: esistono due leggi rivelate da Dio, la prima a Noè dopo il Diluvio (i sette principi a cui tutti
gli uomini si attengono) e la seconda a Mosè sul monte Sinai (precetti del popolo Eletto). I sette
precetti sono rivelati e non conoscibili attraverso la ragione, ma se rispettati in forza di questa
rendono l’uomo giusto ma non salvo.

La differenza nel concepimento della ragione quale possibile accesso al diritto divino pone dei grandi ostacoli
nel rapporto con l’islam (in cui il non credente non ha avuto la rivelazione, pur permettendo di vivere secondo
i propri precetti - Dhimma) e delle difficoltà di comprensione tra cristiani ed ebrei.

DIRITTI DELLE RELIGIONI E CAMBIAMENTO: come si modifica una norma rivelata? Esistono stratagemmi
normativi che lo permettono, ma a volte ciò non è possibile per dogma (senza necessità di giustificazione)
anche su richiesta dell’istituzione stessa (papa e sacerdozio per le donne) o degli stati sovrani (modifica delle
quote ereditarie in Tunisia tra uomo e donna). Ma la legislazione (che permette di cambiare norme statali)
non è l’unico modo di modifica della norma (sai, il legislatore divino è morto…), ma esiste anche
l’INTERPRETAZIONE DELLA NORMA che non modifica la norma ma la rende più comprensibile alle limitate
capacita mentali dell’uomo (divorzio attuabile ora anche dalla donna per interpretazione del TALMUD),
oppure operando artifici non vietati dal diritto divino che di fatto rendono impossibile l’applicazione della
norma.

I CONTRIBUTI RISPETTO AGLI STUDI SULA RELIGIONE:

- Capacità storica di relazionarsi con le modificazioni sociali e politiche delle organizzazioni religiose,
studiandone il diritto e l’applicazione dello stesso ed i suoi effetti nel tempo;
- Capacità di analizzare l’esportabilità delle norme religiose all’interno del tessuto socioculturale di
stati e nazioni;
- Capacità di recuperare il nesso tra la narrazione religiosa dei testi sacri alla situazione contemporanea
senza perdita delle specificità tecniche, linguistiche, teologiche, politiche, filosofiche etc.

SCIENZE COGNITIVE DELLA RELIGIONE E NEUROSCIENZE

Le religione è un fenomeno di estensione universale ed osservabile e non può essere altro che frutto di una
struttura mentale comune a tuti gli uomini, come fossimo biologicamente predisposti a credere, secondo
funzioni “naturali”. Le scienze cognitive metodologicamente assimilano la mente umana ad un computer e
come questi capaci di attività computazionale, di immagazzinamento ed elaborazione di dati, entrambi
“sistemi fisici di simboli”.

Le rappresentazioni religiose sono quindi fenomeni naturali e mentali, e sottostanno alle stesse regole ed agli
stessi schemi mentali per ogni uomo. È necessaria quindi, al fine della spiegazione del meccanismo per cui si
è portati a credere, degli INPUT, meccanismi causali che posson aver dato luogo alle credenze religiose ed
alle relative pratiche. Claude Lèvi-Strauss individuava delle regolarità osservabili del fenomeno religioso e
che queste potessero avere una spiegazione nello “spirito” umano.

L’architettura della mente è il campo privilegiato in cui indagare. La sola ricerca algoritmica di input ed output
non è in realtà sufficiente. Va integrata con la dimensione culturale ed anche con la dimensione percettiva
(corpo). La cognizione diviene INCORPORATA (incarnata nelle strutture corporee), SITUATA (entro le
coordinate dell’ambiente culturale) ed ESTESA (nel mondo fisico e sociale), evitando che diventi
eccessivamente mentalistica, astorica, computazionale, riduzionistica.

Le teorie classiche sulla religione (Taylor, Frazer, Evans-Pritchard) rientrano comunque nell’analisi cognitiva
dell’argomento prima ancora che ne scaturisse una scienza vera e propria. Le domande poste sono le
medesime: Perché esistono forme religiose in tutte le culture umane? Perché vi è ricorsività nei fenomeni
religiosi? La mente, e al sua architettura, non è sufficiente per spiegare il fenomeno religioso, va
assolutamente contestualizzata anche localmente.

TEORIE DELLA SCIENZA COGNITIVA

1. PASCAL BOYER: la sua tesi è costruita a seguito di accurate osservazioni etnografiche in Africa e spiega
la nascita degli esseri soprannaturali. TEORIA DELLA NASCITA DI IDEE CONTRO-INTUITIVE: idee
controintuitive, ma non troppo e che non si discostino troppo dall’ordinario empirico, possono fare
nascere l’idea di esseri sovrannaturali più facilmente memorizzabili ed assimilabili ad un fenomeno
religioso. La violazione in parte delle attese ontologiche intuitive divengono momenti irrazionali che
assurgono a importanza e vengono rappresentati tramite i simboli scaturiti dal pensiero astratto:
devono violare solo in parte la nostra razionalità, per mantenerne un’ancora in questa. Anche i poteri
attribuiti al mondo dell’invisibile ed intangibile sono frutto di pensieri controintuitivi ma sempre
radicati nella ordinarietà (il Dio onnisciente pur non presente). Le idee controintuitive, proprio
perché legate all’ordinario, danno luogo a creazioni antropomorfe, simili all’uomo ma dotate di quel
“qualcosa in più” tale da proiettarlo nel mondo “altro”.
2. DAN SPERBER: riprende quanto sopra, definendo questo mix di visibile (ordinario ed osservabile) e
invisibile (straordinario ed intangibile) comune ad ogni popolo secondo una EPIDEMIOLOGIA DELLE
RAPPRESENTAZIONI: un’idea controintuitiva, se sufficientemente condivisa ed accettata a livello
collettivo, ascende a credenza e quindi a realtà, intesa come produzione culturale, come
rappresentazione dell’esperienza del singolo del mondo condivida dalla comunità, sfruttando la
sfumatura controintuitiva per creare quell’alone di mistero tale da attirare la collettività stessa. E già
in queste teorie si vede il ruolo di attore attivo dell’uomo: l’AGENCY
3. TEORIA DELLA MENTE: A. Leslie e S. Baron-Cohen – L’apparato mentale si sviluppa a partire dai lobi
frontali fino a raggiungere forma ipertrofica durante l’evoluzione: nella ampiata neocorteccia si
situano le capacità:
a. di comunicazione;
b. di progettazione;
c. di imitazione;
d. di simulazone.

nate per permettere all’uomo l’adattività all’ambiente, per immaginare, prevedere, capire e quindi
sopravvivere nella relazione con gli “altri”. Ma per predire il comportamento ed il pensiero altrui si
riconosce nell’altro le stesse peculiarità mentali (progettare… capire le intenzioni degli altri…
prevedere il loro comportamento) e di fatto la nostra mente si è sviluppata nel confronto con la
mente altrui (un po’ come l’identità nell’alterità).

Siamo di fatto predatori e prede e alla bisogna siamo in gradi di attivare l’AGENTE reale o immaginario
per provvedere alla nostra incolumità e sopravvivenza, una sorta di “paura innata e preservante”.
Ma non sembra che un enunciato così banale riesca a dare il senso dell’ampiezza del discorso
religioso.

4. Esiste una ulteriore teoria meno funzionalista che affianca all’enunciato precedente, e cioè alla
capacità di strutture mentali necessarie all’adattività ed alla sopravvivenza, altre strutture mentali
superiori che non son legate alla pura sopravvivenza biologica darwiniana, dette di ES-
ADATTAMENTO, tipicamente culturali, non biologiche, come se il cervello, lavorando per assolvere
agli scopi primari, sia andato oltre ed abbia prodotto altri oggetti non-funzionali (SPANDREL,
elementi-extra) che aprono possibilità cognitive oltre la mera sopravvivenza, una sorta di spazio
speculativo.
5. Altra teoria riguarda l’elemento universale del fenomeno religioso della vita dopo la morte: a livello
cognitivo è spiegata nella nostra incapacità di immaginare uno spazio mentale senza pensiero (in
questo senso la meditazione vuole arrivare il più possibile a raggiungere tale situazione per
“comprendere” ed accettare la morte cerebrale).
6. Altre teorie riguardano il solo campo della ritualità che se la giocano sul meccanismo ricorrente di
offerente-azione-destinatario
7. Un’altra tesi di impatto maggiormente culturale è quella che vede l’evoluzione della religione nella
misura in cui garantisce il benessere sociale (PRO-SOCIALE) – D. S. Wilson – i gruppi hanno rilevanza
nel contesto culturale nella misura in cui funziona la loro cooperazione e la solidarietà/lealtà tra i
componenti. Laddove la cooperazione funziona, vi è coesione sociale e l’altruismo/lealtà/spirito di
sacrificio generati, immotivati per altri aspetti, sia riconducibile alla sopravvivenza del gruppo. Già
Durkheim vedeva nei gruppi culturalmente più avanzati la possibilità di superare i momenti di crisi e
tramandarsi nel tempo, paragonando ad un organismo ed al funzionamento in sincrono di ogni suo
elemento il ripetersi della vita (molto darwiniano) - solidarietà organica).

LE NEUROSCIENZE

Non studiano le architetture mentali del pensiero umani ma gli stati neurali e le sollecitazioni biologiche che
li provocano: è ovviamente un metodo molto meno speculativo e molto più empirico/sperimentale
attraverso macchine rilevatrici le zone del cervello deputate alla religione ed alla misurazione dell’intensità
dell’esperienza religiosa. Ma il vero ambito dove vi sono effetti osservabili è nel rito.

Il rituale, in quanto fenomeno osservabile, è da sempre oggetto di studio, Radcliffe-Brown riteneva che è nel
rito e non nella credenza, è nell’azione che si può comprendere il costrutto culturale chiamato religione.
All’interno del rito vi sono molte tecniche legate alla fisicità utilizzate per stimolare una reazione mentale
(canti, balli, ritmi: durente i riti quindi si fondono ambiente, corpo, mente e questa unità rende l’uomo
disposto ad investire emotivamente ed a condividere emozioni collettive. Questo investimento ovviamente
è modificante le condizioni di vita e pensiero.

Secondo Nweberg e D’Aquili esistono operatori cognitivi di due tipi che presiedono all’organizzazione ella
mente: il primo, OPERATORE OLISTICO, che organizza la parte percettiva e di classificazione del reale, il
secondo, OPERATORE CAUSALE”, presiede all’agentività e quindi alla capacità di relazionarsi agli eventi anche
entrando nel trascendente. La cantilenazione, la ritmicità, e le varie tecniche rituali portano ad un blocco di
operatori mentali e di inibizione degli stessi e quindi della zona afferente del cervello: continue scariche
stimolano sensorialmente il blocco dell’uno (portando ad una sensazione di annullamento del reale) o del
secondo (accentuando la contro-intuitività ed accettandola come reale).

Secondo Lawson e McCauley invece intendono i rituali come eventi comunicativi, operatori sociali che
utilizzano attori, azioni e oggetti e vanno indagati secondo questi tre elementi: la rappresentazione di questi
elementi nella mente del soggetto diviene assolutamente reale e in quanto tali divengono interlocutori attivi
all’interno del rituale. Quindi vi sono a livello mentale dei MODULI che sono essi stessi i veri attori all’interno
della rappresentazione semantica del rito/credenza ed è dovuto a loro la gestione della realtà ottenuta (sono
prima di questi, prima ancora del pensiero simbolico). Il rito è quindi composto di una parte visibile e diretta
(canti, balli, liturgie, etc) ed una second invisibile altrettanto diretta (ciò che viene a credere reale il soggetto).
Il connubio tra i due poli costituisce la STRATEGIA RITUALE.

Secondo (o terzo) Whitehouse invece una grande differenza tra le ritualità ed i loro effetti risiede nell’utilizzo
della MEMORIA e la ricerca di MOTIVAZIONE attraverso la PERFORMANCE RITUALE o meglio attraverso al
sua FREQUENZA: una religiosità operata per riti frequenti fissano implicitamente nella memoria collettiva la
struttura religiosa e motivano la sua trasmissione nella routinizzazione (SCHEMA DOTTRINALE, quello in uso
nelle religioni del libro), oppure una religiosità operata per forza del rituale (riti di possessione, trance etc.)
che si fissano esplicitamente nella memoria dei credenti (SCHEMA INNAGINIFICO, tipico delle religioni basate
sull’ortoprassi o sulla narrazione orale).

Altro aspetto osservabile è la efficacia di particolari dimensioni rituali, della preghiera e della meditazione sui
sistemi immunitari, sul senso di benessere, sulla risposta a determinate malattie.

I MODULI: LA MODULARITA’ DELLA MENTE ED IL “MODULO SACRO”

Fodor negli anni 80 pone le basi della teoria della modularità della mente: i moduli sono STRUTTURE MENTALI
INNATE, una sorta di programmi inclusi nella biologia al ine dell’adattività. Il programma funziona
indirizzando inconsciamente il soggetto verso stati mentali particolari e necessari (come per esempio i
desideri, le credenze). Si parla addirittura di MODULI MORALI innati e comuni a tutti gli uomini (e forse il
cristianesimo ci becca dicendo che la coscienza morale è condivisa da tutti gli uomini, credenti o meno), sui
quali poi si verificano variazioni. Ma la morale innata non è tipica della sola religione, meglio guardare ad u
ipotetico modulo dl sacro, presente in tutti gli uomini, per arrivare a spiegare il fenomeno religioso.

Caratteristiche del modello di Fodor che noi ora trasliamo nel “sacro” lo paragoniamo al “trascendente”
fascinoso e misterico, esistente a priori, postulato da Otto Rudolph.

- Specificità di dominio: prima caratteristiche di un modulo, che si confà perfettamente alla specificità
assoluta della dimensione del sacro;
- Impenetrabilità cognitiva: idem, anche il sacro secondo R.O è ineffabile e non cognitivamente
afferrabile;
- Carattere sui generis e inaccessibilità degli stadi intermedi: il sacro è un concetto assoluto, non vi
sono sfumature intermedie né sarebbe possibile coglierle così come non è possibile cogliere una
struttura immaginifica come il sacro;
- Specificità ed indivisibilità: il sacro è irriducibili a nessun’altro concetto/forma, è specifico ed
immediatamente individuabile non come conoscenza ma come percezione.

Il Modello è innato, il Sacro è innato nelle mante dell’uomo!

Infine: la tendenza della scienza cognitiva e della neuroscienza è di passare da un concetto di “naturale”,
innato, ad un concetto troppo materialistico e riduzionistico, col pericolo di svuotare di senso il fenomeno
religioso e di una mortificazione dell’argomento indagato. La mente o il DNA contengono insite le origini del
fenomeno religioso? In questo caso siamo di fronte ad in vicolo cieco, anche perché minano l’arbitrarietà e
la libertà assegnata ad attori pensanti, i soggetti. È per questo che sono fondamentali le tre caratteristiche
da tenere a mente rispetto al fenomeno religioso: embodied (incorporata), embedded (contestualizzata
nell’ambiente) extended (informata culturalmente).

GEOGRAFIA DELLE RELIGIONI

Studia l’influenza della religione sull’ambiente geografico (che è culturale e sociale) e viceversa.

Iniziamo dalla GEOGRAFIA SCARA (1500): descrizione visuale delle province ecclesiastiche, delle diocesi, delle
missioni e loro attività; o anche interpretazione territoriale delle sacre scritture al fine di meglio interpretare
il loro messaggio tramite mappe concettuali.

Infatti nel secolo successivo si sviluppa una GEOGRAFIA BIBLICA (1600) per poi passare ad una GEOGRAFIA
ECCLESIASTICA; mappatura delle zone di influenza delle vari confessioni cristiane e dei territori possibili
all’evangelizzazione ed all’apostolato, ove eventualmente fissare delle comunità monastiche: tale mappatura
era destinata a conferire autorità e controllo sui territori, oltre che a definire i territori da conquistare, anche
alla luce delle nuove tecniche di rappresentazione cartografica, collegate ad uno specifico simbolismo.

La cartografia sacra ed ideologica continua fino a tutto il 1700, fino all’800 in cui la cartografia si stacca dalla
matrice teologica per divenire una scienza aconfessionale, avvicinandosi sempre di più al territorio da
rappresentare (rimanendo lo scopo di esprimere il “possesso” dei territori mappati, sia questo religioso o
secolare). Ma la mappa non è il territorio…

La scienza così definita si propone dall’800 di mappare le attività umane, le migrazioni, le risorse territoriali,
le tratte di commercio e tutti gli aspetti della vita umana (antropogeografia) tra cui l’attività religiosa.

Friedrich Ratzel studiò le cause degli insediamenti umani e con esse la struttura e lo sviluppo delle forme
sociali, addivenendo alla TEORIA DIFFUSIONISTA secondo la quale lo sviluppo di forme societarie è
dipendente da fenomeni di isolamento e migrazione (centri di diffusione, situati nel bacino del mediterraneo,
culla di civiltà).

Nel 900 la geografia della religione non evidenzia più solamente la diffusione confessionale, ma le relazione
tra varie religioni, le trasformazioni ambientali e culturali derivanti dalla presenza e dallo sviluppo di comunità
religiose. Non solo, viceversa si notò quali fossero le condizioni ambientali atte a favorire caratteristiche
religioni in quei territori (causalità tra fattori ambientali e costruzioni teologiche e cultuali).

Pierre Deffontaines esaminò il ruolo attivo della religione nell’antropizzazione dell’ambiente (distribuzone
dei gruppi, comunità di fedeli secondo modelli spaziali diffusivi, evidenti nello studio fenomenologico del
PAESAGGIO, con attenzione rispetto a mete di pellegrinaggio e presenza o non-presenza di luoghi d culto e
loro importanza): studio le costruzioni e gli elementi architettonici, il legame tra città e fattore religioso, il
legame tra vita religiosa ed industriale/geografia del consumo, tra religioni e arterie di comunicazione.

Negli anni 60 presero forma le prime vere teorie DIALETTICHE RELIGIONE/AMBIENTE ed in special modo,
anche riferendosi a storici della religione come Eliade Mircea, lo studio del concetto religioso di terra, di luogo
di azioni rituali e spazi sacri con il relativo impatto sul territorio.

Negli anni 80 George Levine passò al livello materialista di evidenziazione delle influenze territoriali
ecclesiastiche, mentre altri (Buttner e Cooper) di concentrarono sulla relazione tra esperienza religiosa ed
ambiente con tutto il prodotto culturale e relazionale sotteso.

Nei 90 il PAESAGGIO DIVIENE CONTENITORE VALORIALE E DI PROIEZIONE CULTURALE DEL TERRITORIO, ivi
compresi quindi la costruzione identitaria dei gruppi e lo sviluppo sociale degli stessi oltre a tutto lo spazio
semantico tipico, divenendo quindi ad una “GEOGRAFIA DEGLI SPAZI UMANI, SOCIALI E CULTURALI” tale da
raccogliere tutte le pratiche e le produzioni socioculturali. Da qui il passo è beve ad inaugurare la GEOGRAFIA
DELLE RELIGIONI.

LA ricerca geografica interna alla geografia delle religioni è basata sulla diffusione spaziale del potere e quindi
di tutti gli equilibri politici, economici e sociali che presiedono alle attività di occupazione religiosa di spazi e
sacralizzazione degli stessi. Per approfondire questa tematica Lily Kong utilizza due approcci, uno allo spazio
e uno al sacro: la POETICA DEL LUOGO (legata al sacro) e la POLITICA DELLA RELIGIONE (legata alla
contestazione dello spazio): il primo si basa sulla fenomenologia relativa all’esperienza religiosa, il secondo è
sociocostruttivista ed esplora la relazione religione-spazio.

Belden Lane propone invece due assiomi: “il luogo sacro non è scelto, sceglie” e “il luogo sacro è un luogo
ordinario, ritualmente reso straordinario”, ed in quanto tale, spazio reclamato dai diversi attori attraverso
pratiche di significazione.

La religione è oggetto di studio per i geografi culturali perché è un generatore di relazioni ed equilibri di
potere tra gruppi, specialmente oggi nelle società multiculturali e multiconfessionali, con evidenza spaziale
degli stessi (spazi privati di pratiche/riti/credenze/miti, spazi pubblici di identitarietà, welfare, bisogni e
relazioni politiche, sociali, economiche). IMORTANZA DEI PAESAGGI CULTURALI E LORO STUDIO
ERMENEUTICO (LEGAME SPAZIO RELIGIONE) ED EMPIRICO (EVIDENZA SPAZIALE).

Le ultime teorie di geografia delle religioni si focalizzano sugli elementi più comuni (spazio, luogo, territorio,
paesaggio, architettura) dove:

- per SPAZIO si intende lo spazi sociale, esperienza soggettiva e collettiva, con in evidenza le RELAZIONI
DI POTERE, di contestazione e reclamo e delle produzioni culturali dello stesso (una teoria vede lo
SPAZIO COME PRODOTTO DELLE INTERAZIONI SOCIALI, SOCIOCOSTRUITO, è l’insieme dei processi);
- si esaminano i confini tra SPAZIO RELIGIOSO E SPAZIO SECOLARE, graduati per scala e luogo
- Lo spazio è DINAMICO, ATTORE ATTIVO;
- Lo spazio è CONTESTUALIZZATO e parimenti RECLAMATO attribuendo significati e simboli (SPAZIO
SEMANTICO);
- Nello spazio sono possibili innumerevoli collegamenti con ambiti che vanno ad occupare questo
spazio (spazio religioso e multiculturalità, gender, diritti sociali e delle minoranze etc etc);
- Per Spazio si intende anche qualcosa di più ristretto, un paesaggio parziale ove si posson portare
avanti studi collegati (pellegrinaggi e statistiche su genere, età, estrazione sociale etc etc)

Altro aspetto invece è legato ALL’ARCHITETTURA DELLE STRUTTURE DI COMUNICAZIONE, percorse da flussi
migratori di persone, da capitali, da conoscenza, pratiche e immagini, simboli e significati, oppure parimenti
lo studio delle CITTA’ quale incrocio, punto di partenza, di arrivo o di passaggi di tali flussi ed in tutto questo
la RELIGIONE è PRODUTTRICE DI CONTENUTO, DI TRASFORMAZIONI.
FILOSOFIA DELLA RELIGIONE
Così come per le altre scienze della religione, la filosofia della religione si pone ad una distanza riflessiva e in
un atteggiamento critico rispetto all’argomento di studio, quindi non religioso, non confessionale, senza
attribuire particolari significati i valori di verità a una o all’altra religione (cosa che fa la teologia, pur studiando
lo stesso oggetto, non distaccata dalla verità rivelata che porta strutturalmente con sé). MA mentre le altre
scienze si pongono entro una metodologia descrittiva, empirica e di osservazione, la filosofia indaga l’essenza
del fenomeno religioso, sulla verità del fenomeno religioso, sulla corrispondenza tra la struttura ideologica
di costruzione del fenomeno religioso e l’essenza dello stesso.

È un vantaggio per la filosofia, visto che il fenomeno religioso spesso si esprime per realtà non osservabili, la
cui conoscenza completa la conoscenza puramente empirica, altrimenti incompleta. Virare l’invisibile verso
l’inesistente (tralasciando quanto non osservabile) o l’irrazionale porta ad una concezione empirica
metafisica, non più naturale d osservabile, e quindi suscettibile di discussione. Queta separazione di ambiti
dicotomica del visibile/invisibile è stata ripresa da Max Muller (teologia comparata/teologia teoretica), da
Schmid (realtà religiosa/realtà della religione)

L’accesso al significato REALE della religione non è velleitario di SPIEGAZIONE e non si aggiunge all’attività
descrittiva e funzionalista delle altre scienze della religione.

LA STORIA E LO SVILUPPO DELLA FILOSOFIA DELLA RELIGIONE

La specificità della filosofia della religione nasce a seguito della riforma e della scissione in Europa della chiesa
cristiana, oltre che al processo di secolarizzazione conseguente, e, successivamente nell’800, l’avvento delle
scienze moderne e lo svilupparsi di posizioni positiviste, naturaliste, illuministe e quindi antitetiche al
pensiero cristiano dominante. Questa presa di distanza a seguito della rottura fa nascere una nuova disciplina
(che in epoca medievale era tutt’uno con la teologia cristiana che definiva universalmente valida la propria
realtà, così come nell’antichità le religioni politeiste classiche assurgevano a realtà senza necessità di altre
speculazioni).

Scopo della filosofia della religione è scremare degli aspetti irrazionali le religioni, appianarne i conflitti da
questi generati, ed addivenire ad una sola concezione di religione dell’umanità, e per ottenere questo
importanti filosofi (Hume, Rousseau, Kant, Schleiermacher) hanno provveduto a:

- Demitizzare la Bibbia quale libro di verità relegandolo a documento storico;


- Criticare l’attività miracolistica e quindi concepita come violazione delle leggi naturali;
- Ricerca di un criterio di giustificazione razionale delle credenze religiose;
- Essenzializzazione pratica e funzionalista della religione;
- Opposizione allo sviluppo di teorie circa l’esistenza naturale della divinità.

L’antropologizzazione o soggettivizzazione del concetto di religione ne è stato il risultato, distaccata


dall’antica concezione di preponderanza della natura del divino sulla natura umana alla quale si relaziona.
Da qui diviene l’UOMO il fulcro centrale del discorso religioso, screditando interamente la parte
soprannaturale/trascendente oppure relegandola a figura ambigua sovrapposta alla figura dell’uomo,
ricollocando quindi il trascendente non più in uno spazio “olimpico” ma entro la coscienza umana.

Infatti la divinità non esiste in quanto realtà ma come risposta ad un bisogno umano che viene soddisfatto
attraverso la realizzazione di essa. Di conseguenza la religione diviene, a seconda dei casi:

- Conferimento di significato ad una realtà astratta in quanto ideale (Feuerbach);


- Costruzione funzionale alla legittimazione di una classe dominante (Marx);
- Artificio utile a nascondere la volontà di potenza (Nietzsche);
- Compensazione del senso di colpa (Freud).
In questo disegno disgregativo della religione intesa come finzione si è arrivato al punto massimo di
secolarizzazione della stessa, e questo è stato raggiunto grazie anche alla filosofia delle religioni che ha
rischiato, causa la posizione ateistica, di vedersi esaurire così, svuotando di contenuto e di significato il prprio
argomento di studio/dibattito.

Il fondamento della filosofia del 900 è nella teoria della fenomenologia Husserliana: Per Edmund Husserl, la
fenomenologia è un approccio alla filosofia che assegna primaria rilevanza, in ambito gnoseologico,
all'esperienza intuitiva, la quale guarda ai fenomeni (che si presentano a noi in un riflesso fenomenologico,
ovvero da sempre indissolubilmente associati al nostro punto di vista) come punti di partenza e prove per
estrarre da essi le caratteristiche essenziali delle esperienze e l'essenza di ciò che sperimentiamo. L’empirico
da noi informato come base per risalire all’essenza: è appunto chiamata "fenomenologia trascendentale", di
un fenomeno originario e non derivato (derivante anche dalla teoria aprioristica di Otto Rudolph che prevede
l’esistenza di una dimensione sacra, trascendentale e vera a priori, fascinosa e terribile, misterica).

La classificazione fenomenologica delle religioni su base storico-comparativa è il passo successivo, da cui


infine la ricerca nomotetica della verità della fenomenologia religiosa così raccolta ed analizzata. Ma la
necessità del distacco pone la “prima persona” non utile alla ricerca della verità, in favore quindi di un “terza
persona”.

È necessario, utilizzando l’INTUIZIONE FENOMENOLOGICA (modalità di conoscenza immediata mediante la


quale il soggetto si relaziona a un oggetto senza mediazione di ragionamento):

- non farsi fuorviare da prese di posizione in merito a esperienze religiose funzionali a maggior verità
e quindi propedeutiche ad una fede, in quanto falsanti il giudizi e la valutazione del filosofo;
- porsi come nello studio di quelle religioni analiticamente analizzate ed epistemologicamente fondate
senza alcun “doppio fine”;
- non cercare di ridurre la sfera religiosa a qualcosa di esclusivamente materiale e razionale;
- d’altro canto favorire atteggiamenti intellettualistici
- epistemologia (studio e critica) e teorie ontologico/metafisiche (relative alle caratteristiche
fondamentali della dimensione trascendente) si incontrano nell’esigenza di “sapere come stanno le
cose”, e quindi struttura e causa ultima di verità.

Il giusto equilibrio è tra una filosofia analitica (facile a falsificazionismo) ed una filosofia ontologico-metafisica
(di conoscenza dell’argomento “trascendente” nei suoi fondamenti), in un confronto con posizione di rispetto
sia teistico che delle scienze più razionali.

Il teismo classico (di affermazione della realtà del divino) si affianca, nella prospettiva di cui sopra, ad altre
filosofie circa il trascendente, come il panenteismo (comportante un rapporto dialettico Dio-mondo),
affiancandosi a sempre più correnti ateiste (confutanti la realtà divina) o agnostiche (confutanti l’idea di un
Dio-Uomo).

AMBITI TEMATICI

Cinque grandi ambiti tematici comuni alla pletora di teorie nate in seno alla filosofia della religione:

1. IL CONCETTO DI RELIGIONE

Individuare il concetto di religione per comparazione tra culture e relegarlo ad aspetto culturale, sostanziale
(cos’è) o funzionale (cosa fa), delle stesse non fa emergere la vera essenza dell’oggetto di studio. Conviene
distinguere la natura originaria ed unica dell’oggetto religioso da tutti glia altri aspetti culturali tra loro
intercambiabili. Non si devono sovrapporre intanto ambiti di “Spiritualità” e di “religione” in quanto non
esatti, e quindi è necessario individuare, per definire concettualmente e senza ambiguità la religione, il
rapporto tra uomo e divino: la presenza del divino è necessaria? Nel caso non lo sia, è sostituibile con una
sfera del sacro? Oppure sono essenziali per definire il concetto di religione?

2. IL RAPPORTO TRA FEDE E SAPERE

È il problema della giustificazione razionale delle credenze religiose: come si può aderire a qualcosa che non
ha un grado di evidenza accettabile? Quindi la condizione dell’ATEISMO, e non del teismo, è la condizione
originaria dell’uomo. Ma questa affermazione è controintuitiva rispetto alle statistiche di adesione religiosa
nel mondo o delle riflessioni delle scienze cognitive per le quali l’uomo sarebbe biologicamente disposto a
credere. Ma questo non vuol dire che siano scelte razionali, solo perché le fanno tutti, non potendo fare
diversamente: la difesa da questo assunto è il FIDEISMO, che accetta la verità rivelata come realtà pure
limitata al contesto. Nessuna delle due posizioni è soddisfacente: è necessari creare una epistemologia
(studio critico) della religione che mostri che le credenze religiose NASCANO da i medesimi processi cognitivi
alla base di altre credenza, per esempio etiche o estetiche, accettandone la verità secondo vari gradi di
certezza (e non quindi empirica o assoluta). SE SI VERIFICANO QUINDI OPPORTUNE CONDIZIONI AL
CONTORNO, LA REALTÀ È VERITÀ.

3. LA TEOLOGIA NATURALE

Complesso degli argomenti riguardo l’esistenza e la natura di Dio o del divino a prescindere dall’ambito
religioso. Le dimensioni ontologica e metafisica sono fondamentali per il discorso filosofico della religione. Il
concetto di divino non è tanto necessario per fondar la religione quanto per giustificarla razionalmente, e la
naturalità di tale esistenza non contraddice neppure le nuove scienze razionali (il fatto che vi sia una nascita
del cosmo è appurata, che sia poi il Big Ben è una congettura che comunque non inficia, ad oggi, una
possibilità di creazione del “trascendente”).

La natura e l’esistenza di Dio (o del divino) sono importanti in merito a discorsi riguardanti:

- Il concetto di Dio e suo utilizzo;


- La coerenza del teismo e quindi della non-contraddittorietà degli attributi divini (immutabilità,
onniscienza, onnipotenza);
- La teodicea, e cioè la contemporaneità dell’esistenza di un divino onnisciente e onnipotente e dei
mali del mondo.

4. IL CONFRONTO TRA VISIONE RELIGIOSA E SECOLARE DEL MONDO

Va da sé che i secolaristi neghino l’esistenza di Dio e che le funzioni assolte dalla religione posano essere
svolte da altre strutture sociali chiaramente secolari. L’ateismo si muove negando l’esistenza di Dio ed anche,
alla luce dei fondamentalismi nuovi e vecchi, della funzione benefica o addirittura della dannosità di
quest’ultima per la vita individuale e collettiva. Ma purtroppo la religione è un aspetto che non è mai
naufragato sugli scogli dell’ateismo, ma anzi attiene a sé argomenti fondamentali quali l’agire morale, il
significato della vita, il destino dopo la morte, non lasciandole come ambiti rispettivamente all’umanesimo,
al materialismo scientifico, all’occulto/paranormale.

5. IL PROBEMA DELLA DIVERSITA’ RELIGIOSA

Esistono nello stesso spazio più religioni portatrici di diverse verità. C’è chiaramente contraddittorietà tra la
maturità di apertura al dialogo tra religioni con la esclusività di queste: un cristiano potrà pure confrontarsi
con un ebreo, ma l’unica verità reale sarà la sua. Le religioni sono esclusiviste ed inclusiviste, mentre le teorie
filosofiche aggiungono il pluralismo (che vuole rendere normativa la diversità religiosa entro un modello
pratico) ed il relativismo (che cerca il minimo comun denominatore, ma davvero minimo fino all’irriducibile,
tra le religioni, una sorta di pluralismo al ribasso).
In realtà scopo della filosofia della religione è quella di discernere la PRETESA DI VERITA’ delle religioni,
scremandola dagli elementi contraddittori e non coerenti i merito alla sostenibilità morale, esistenziale,
salvifica e chiarendola alla luce delle cedenze delle religioni stesse.

IL FUTURO DELLA FILOSOFIA DELLA RELIGIONE? CHI LO SA…

Solo se riuscirà a mantenersi autonoma rispetto alle teologie confessionali (di fede) e delle altre scienze delle
religione (analitico-descrittive), ponendosi in contraddittorio critico, ma non necessariamente confutante, di
teorie teologiche o eccessivamente materialistiche, sia nella ricerca di norme generali (super-religione) sia
nella critica alle religioni esistenti, oltre che delle deviazioni che il discorso religioso può prendere, cercando
sempre però di rimanere entro l’ambito religioso, per evitare di porsi al di sopra e quindi di svuotarlo di senso
e significato che può avvenire:

- Per critica radicale della religione che sfocia nel nichilismo;


- Un agnosticismo chiuso che sfocia nello scetticismo;
- Apatia ed indifferenza verso il tutto o parte del discorso religioso;
- L’aspirazione al sincretismo totale, che crea appiattimento.

È OPPORTUNO CHE LA FILOSOFIA CONSIDERI LE RELIGIONI COME DELLE REALTÀ VIVENTI CERCANDO DI
PORTARE ALLA LUCE LA LOGICA CHE LE ANIMA.

TEOLOGIA DELLE RELIGIONI


Al mutamento delle condizioni globali e al maggiore contatto tra religioni, le “altre” religioni hanno
cominciato a far parte dell’ordinarietà del cristianesimo, cristianesimo che è arrivato alla soglia di questa
nuova epoca diversamente preparato: il protestantesimo con la “teologia liberale” e cioè aperta alle scienze
moderne ed il cattolicesimo con la “teologia manualistica” più improntata su una lettura trascendente del
fenomeno religioso e meno aperta ai fatti concreti della storia, ma entrambi con la questione di conciliare
fede e rivelazione con la razionalità, razionalità storica per la teologia liberale protestante e razionalità
metafisica per la teologia manualistica cattolica.

Ma dove porre le religioni “altre”: entro una produzione culturale umana oppure entro una manifestazione
autentica del trascendente?

RISPOSTE NELL’AMBITO PROTESTANTE (800)

Ernst Troeltsch: ricorre all’analisi storica comparata delle religioni, consapevole della valenza storica della
scelta contro il suo obiettivo di fondare l’assolutezza del cristianesimo. Esclude procedimenti dogmatici e
soprannaturalistici, oltre che evoluzionistici. Ricerca un ideale regolativo di religione, al quale ogni religione
dona il suo apporto, e del quale il cristianesimo è la manifestazione più intensa, rimendo aperto alla
possibilità che possa emergere un’altra religione ancora più perfetta.

Karl Barth: si concentra invece che sulla storia sulla rivelazione di Dio. Fonda la TEOLOGIA DIALETTICA, in
opposizione alla teologia liberale, basandosi sul fondamento di totale diversità di Dio rispetto al mondo degli
uomini. Nessun uomo può raggiungere il livllo di scala su cui è posto Dio, ma solo Dio può rivelarsi all’uomo.
Esiste sicuramente una dialettica tra Dio e sua rivelazione e le religioni rivelate, mentre non può esserci tra
Dio e sua rivelazione e ragione moderna (molto dogmatico). Ovviamente la religione di riferimento è quella
cristiana.

RISPOSTE NELL’AMBITO CATTOLICO

Giustino, Agostino, Eusebio (primi secoli d.C.): insieme collegano natura e rivelazione divina, rendendo la
presenza di Dio ubiqua in natura (i semi divini di Giustino), di una nascita prestorica della stessa (la chiesa
nasce prima di Cristo, per Agostino, al fine di salvare gli uomini giusti dell’antichità) e del valore propedeutico
delle religioni classiche “naturali” all’avvento del cristianesimo (Eusebio): vi sarebbe quindi una rivelazione
cosmica rintracciabile in Natura e nella coscienza dell’uomo, che inizialmente già mostra tracce della
presenza di Dio, ed è a questo livello “evolutivo” che vengono poste le altre religioni.

Henry de Lubac (900): le religioni non cristiane sono preparatorie all’avventi di Cristo, come tappe
progressive, e quindi subordinate alla religione cristiana.

Romano Guardini (900): le religioni “altre” appartengono ad una diversa categoria di “rivelazione”, anche se
le religioni non cristiane non possono staccarsi dalla “naturalità” per semplice sforzo umano e raggiungere la
piena consapevolezza cristiana, non avendo nessuna reale verità metafisica. Il valore salvifico, legato alla sola
componente metafisica, è quindi proprio solo della religione cristiana.

Karl Rahner: rompe lo schema dualistico naturale/soprannaturale riportando il secondo aspetto all’interno
del primo: la presenza di Dio e la salvezza dell’uomo sono presenti concretamente nella storia e nel mondo
degli uomini. Quindi il soprannaturale è alla portata dell’uomo, che ci può entrare in relazione solo però su
rivelazione di quest’ultimo (è pur sempre la dimensione divina, ecchecavolo).: ESISTENZIALE
SOPRANNATURALE. Essendo quindi già presente in natura la conoscenza di Dio, l’uomo, vivendo
coerentemente ed aprendosi al trascendente, è implicitamente fedele, anche e soprattutto se non conosce
la fede cristiana (tutte le religioni precristiane, da Cristo in poi non c’è scusa che tenga). Una volta conosciuta
però, deve assolutamente farvi parte per accedere alla vera e unica rivelazione di vita.

L’INCLUSIVISMO

Intanto si afferma negli anni 60 a seguito di due avvenimenti:

1. La lettera dell’arcivescovo di Boston nella quale si ripudia l’interpretazione esclusivista di salvezza


della religione cristiana, riconoscendo possibilità di salvezza anche al di fuori della chiesa secondo
formule patristiche (Fede in un dio padre, Chiesa come entità invisibile più ampia che abbraccia tutto
il creato, ivi anche la presenza di Cristo COMUNQUE), nella formula medioevale di battesimo di
desiderio (per chi non potesse essere battezzato ma esprimesse lo stesso il desiderio di essere
salvato) e per le formule moderne (tesi dell’Ignoranza invincibile” qualora i fedeli di altre religioni
non possano arrivare a conoscer la religione cristiana – le altre religioni contengono già una promessa
di Dio, sono appunto propedeutiche all’avvento di Cristo).
2. Il concilio Vaticano II riprende le tesi di de Lubac e di Rahner nella loro comune valorizzazione ciò che
sta al di fuori del cristianesimo storico, che diviene ordinato alla rivelazione di Cristo. Sono quindi
parziali ed anticipatorie, in attesa di un successivo completamento cristiano, riconoscendo loro
qualità morali e valoriali pur nell’irrinunciabilità della figura di Cristo o anche della mediazione
ecclesiale secondo quindi le due teorie chiamate “DEL COMPIMENTO” e “DELLA PRESENZA DEL
MISTERO DI CRISTO NELLE RELIGIONI”. Ma non si affronta il tema salvifico delle religioni altre.

IL PLURALISMO

Anni 90 in ambito anglosassone e asiatico nasce, per multiculturalità, questo nuovo paradigma.

John Hick: ogni esperienza religiosa rappresenta un MODO culturalmente parziale e storicamente
condizionato di PERCEPIRE una UNICA “REALTA’ ULTIMA”, la cui natura è trascendente e inconoscibile, che
sta appunto all’origine dell’esperienza religiosa umana.

Paul Knitter: Punto di vista soteriocentrico, cioè di individuare l’impegno delle varie religioni per la salvezza
dell’uomo, secondo una verità unica, composta di più elementi necessarie indispensabili ma che si rifaccia ad
un’etica più che ad una dottrina, permettendo così il confronto religioso.
Raimon Panikkar: il frikkettone hindu TEORIA COSMOTEANDRICA: il divino/infinito, il cosmo/materia e
l’uomo sono tre spetti distinti di un’unica realtà ed il loro rapporto armonico è essenziale. Il trascendete è
misterico, può essere Cristo, ma non il Gesù umano, per non scadere nell’idolatria.

LA RIVELAZIONE UNICA

Jacques Dupuis: vi possono essere più rivelazioni parallele, differenti e distinte ma appartenenti ad un unico
misterioso ordinamento e disegno Divino. Ogni religione rivelata può quindi essere parte del disegno di un
unico Dio, quello cristiano, infatti la rivelazione cristiana è la più piena e perfetta di tutte.

Gerard Gade: INTERIORISMO: il cristianesimo ha pretesa di verità, ma questa verità deve essere esplicitata
nel confronto con altre religioni (come per esempio il confronto sui testi dell’Antico testamento, dal quale
tali testi sono stati assunti quali sacri, oltre che per l’ebraismo, anche per il cristianesimo).

TEOLOGIA DIALOGICA

Claude Geffrè: il pluralismo religioso è irriducibile. Nella diversità sta la ricchezza dell’esistenza umana, e nel
confronto con l’altro posson emergere plurali “verità relazionali” che richiedono esse stesse un confronto
dialogico tra loro (pluralismo) per maggiore comprensione della propria verità. Ciò conferisce pari dignità a
tutte le religioni (non quindi incomplete o propedeutiche) e contemporaneamente nono toglie nulla alla
rivelazione di Cristo.

L’IMPEGNO ETICO

Hans Kung: vuole conciliare le esigenze inclusiviste con le aperture pluraliste. Innanzitutto TRE CRITERI PER
STABILIRE LA VERITA’ DI UNA RELIGIONE:

1. Criterio etico-pragmatico (se una religione è davvero al servizio dell’uomo);


2. Criterio religioso (se una religione è coerente e fedele rispetto alle proprie origini storiche);
3. Criterio cristiano (se una religione lascia trasparire la “presenza spirituale” di Cristo).

Poi si aggiunge una doppia prospettiva:

1. Dall’esterno della religione cristiana, posizione dalla quale tutte e religioni sono vere;
2. Dall’interno, dalla posizione di fedele cristiano, dalla quale solo una verità è reale.

E poi arriva all’ETHOS MONDIALE (il minimo comune denominatore religioso), nucleo minimale di regole,
valori, orientamenti morali, entro i quali le religioni devono cooperare per aumentare il benessere dell’uomo
(Religioni sono vere se motivate verso i diritti umani).

EVOLUZIONE DEL PLURALISMO: TEOLOGIA INTERRELIGIOSA

Si passa dall’esigenza di riallineare tute le religioni in modo teocentrico verso un unico dio ed una unica verità
ad un dialogo sull’identificazione reciproca di strutture simili (si recupera l’approccio comparativo).

Perry Schmidt Leukel: INTERPRETAZIONE FRATTALE della diversità religiosa basata su TRE INTUIZIONI:

1. Scoperta dell’elemento matematico: il frattale: in natura ogni struttura geometrica, organica o


inorganica, è scomponibile in unità più piccole che non sono altro che la scala ridotta della struttura
stessa.
2. Applicazione del frattale alla fenomenologia delle religioni: la fenomenologia vuole individuare
esperienze, tipologie e caratteristiche proprie delle religioni: individuate quattro tipologie principali
(legali, magico-sacramentali, gnostiche, devozionali) si evidenzia che all’interno della stessa religione
nell’una tipologia sono sempre ricomprese anche le altre tre.
3. Applicazione del frattale in ambito multiculturale: se in una cultura si identifica una struttura di base
specifica, allora questa si ripete anche nelle altre culture: le culture non sono diverse perché hanno
caratteristiche diverse, sono diverse perché hanno variazioni diverse rispetto alle stesse
caratteristiche comuni (INTERSEZIONE CULTURALE).

Ed ecco la TEORIA DI SCHMIDT-LEUKEL che si sviluppa come confronto tra religioni su tre livelli:

- Livello inter-religioso: indaga le differenze precisando le loro tipologie, i loro modelli, gli elementi
caratteristici;
- Livello intra-religioso: indaga come queste differenze si presentino in ogni religione;
- Livello intra-soggettivo: indaga come queste differenze si presentino anche a livello di soggetto
fedele.

Il tutto per indagare i temi cari alle religioni, metafisico-esistenziali in una dialettica costruttiva di maggior
conoscenza per confronto.

PROBLEMI E PROSPETTIVE DELLA NUOVA TEOLOGIA DELLE RELIGIONI

I problemi del discorso teologico si raggruppano in due ambiti principali:

1. Definizione dei propri compiti, del proprio oggetto di riflessione (OGGETTO)


2. Tipo di metodo e di prospettiva da utilizzarsi (METODO)

OGGETTO: di cosa si deve occupare la teologia dele religioni? Di un concetto unico di religione o della pluralità
delle religioni? Raggiungere una teoria nomotetica? Deve essere portata avanti secondo la prospettiva
cristiana oppure, essendo anche le altre religioni pretenziose di portare verità, secondo un multi prospettiva?
Nel primo caso, l’esistenza del cristianesimo svuota di valore le altre religioni? E, soprattutto, cosa si intende
per religioni?

METODO:

Gli ambiti di studio, in tutte le teorie fin qui mostrate, possono essere raggruppati a due:

1. L’ambito umano, con la sua produzione culturale;


2. L’ambito trascendente/divino, con la sua rivelazione.

Se le religioni sono puste al punti 1 ed il cristianesimo al punto 2 abbiamo la TEORIA INCLUSIVISTA, se tutte
le religioni sono poste al punto 2 abbiamo la TEORIA PLURALISTA.

L’INCLUSIVISMO, con la sua posizione comunque di compromesso, comunque di fatto svuota in parte di
valore tutte e altre religioni, parziali ed incomplete, non salvifiche, non toccate dalla presenza del Cristo, la
cui mediazione è fondamentale nella rivelazione della verità.

IL PLURALISMO dal canto suo, conferendo piena realtà e pretesa di verità ad ogni religione, quali parti di un
disegno unico, di fatto svuota il Cristianesimo delle sue peculiarità (il Cristianesimo è la base fondante dello
studio teologico).

LA TEOLOGIA INTERRELIGIOSA aggiunge inoltre il problema della razionalità delle scienze moderne.

Si dovrebbe passare, per eliminare l’impasse teologica, dalla dicotomia di ambiti umano/rivelato a studiare
la pretesa di verità del cristianesimo in relazione alla evidente pluralità religiosa mondiale.
EDUCAZIONE E RELIGIONE
La componente educativa e di trasmissione è comune a tutti i processi umani rientranti nell’ambito della
religione (necessità di trasmissione del costrutto culturale secondo processi formativi più o meno complessi).
DIMENSIONE ITRARELIGIOSA: La religione ha necessità di consolidarsi continuamente, verticalmente (lungo
un arco temporale, trasmissione generazionale di pensiero e valori) od orizzontalmente (diffusione areale
identitaria, di appartenenza). DIMENSIONE EXTRARELIGIOSA: necessità di trasmettere il fatto religioso senza
necessariamente appartenere a detta religione, avendo tramite le scienze umane individuato bene o male
un ambito di appartenenza del religioso.

Non esiste una casistica unica mondiale di insegnamento della religione, in quanto esistente il pluralismo
religioso. Ci si deve accostare ad ogni religione esaminandone il contesto, proponendo uno studio plurale
delle religioni.

EDUCAZIONE RELIGIOSA INTEGRATIVA: qualsiasi MODALITA’ di trasmissione di saperi tra generazioni, con
integrazione della trasmissione delle religioni minoritarie all’interno di quelle più rappresentative, in modo
da favorire, a seguito di formazione scolastica, una maggiore integrazione sociale.

ANALFABETISMO RELIGIOSO: nonostante delle religioni si ossa costruire una costruzione diacronica dei
saperi, nel mondo moderno, generalizzante ed approssimante, la costruzione della conoscenza religiosa intra
ed extra è molto più complessa.

INDUISMO: caratterizzato da sempre da scuole vediche, loghi di aggregazione di elaborazione del pensiero
religioso, di dialettica fra correnti diverse. Scuola è anche partecipazione attiva ai rituali (rito), ascolto dei
racconti tradizionali (Mito). Il tutto fondato sull’interazione maestro-discepolo.

BUDDHISMO: l’elemento della meditazione p fondante il pensiero buddhista, viene tramandato nei
monasteri insieme ai valori di autodisciplina ed illuminazione. Discredito totale della dimensione rituale.

EBRAISMO: la Torah (istruzione) viene insegnata precocemente (5 anni) e successivamente viene insegnata
la conoscenza dei Talmud (insegnamenti)

CRISTIANESIMO ANTICO: esemplare la figura del maestro e dei discepoli (Gesù e gli apostoli) e
l’insegnamento di pensieri e valori tramite parabole. Le scuole cristiane divennero luoghi di insegnamento e
riproduzione di testi e di conservazione e rielaborazione di conoscenze..

PROTESTANTESIMO: uguale, ma a seguito della riforma si intende avvicinare il popolo a Dio senza
intermediazione dell’élite clericale, e quindi si procede ad una alfabetizzazione massiva.

ISLAM: il Corano indica di perseguire la conoscenza, e a tal fine vengono aperte scuole, non solamente
coraniche.

Ad oggi l’insegnamento religioso, dipendentemente pure dal contesto, è ormai integrato nell’insegnamento
di altri saperi, con le differenziazioni del caso: università possono essere, pur prediligendo una prospettiva
anche cattolica, ma pur plurale, avviate verso una approccio secolare, mentre università cattoliche possono
concentrarsi sull’identitarietà tralasciando la pluralità.

Anche ei media hanno la loro forte dimensione: già dall’invenzione della stampa (voluta per necessità
religiose) si è assistito ad una rivoluzione nella trasmissione dei saperi, ed oggi, in un mondo globalizzato ed
iperconnesso in cui i social media sono utilizzati per motivi religiosi., per marcare maggiormente
l’identitarietà dei gruppi religiosi, per aprirsi all’esterno e non divenire settai, per motivi politici etc etc.

Per opporsi all’analfabetismo religioso è necessario proporre una comprensione di tutta la produzione
culturale umana in tale ambito, ormai immensa e stratificata nel tempo ma di più facile accesso al giorno
d’oggi. A livello sovranazionale si è spinto in tale direzione anche per migliorare e favore i rapporti diplomatici
interculturali ed interreligiosi, ma non in tutti gli stati si è verificata questa presa di posizione costruttiva.

In Danimarca l’insegnamento “Studi cristiani” che prevedeva in parte una formazione teologica ed in parte
storico-religiosa, è divenuto un corso di studi aconfessionale, obbligatorio, scientifico, avente ad argomento
la religione in ambito plurale, di differenze ed analogie, ed i fenomeni ed elementi costitutivi religiosi. A
questo insegnamento scolastico corrisponde un insegnamento universitario con specializzazioni anche nella
storia del cristianesimo, allo studio comparato delle religioni.

Anche in Svezia ha trovato posto un insegnamento che portasse ad una integrazione sociale e culturale, col
corso aconfessionale oggi chiamato “conoscenza della religione”. Si parte da un nucleo cristiano e
aconfessionale (solo per contestualizzare la realtà svedese) per poi passare allo studio della pluralità religiosa
e degli aspetti precipui del fenomeno religioso (trascendenza, motivi esistenziali etc etc).

In Inghilterra si è applicata la teoria integrativa, con al diffusione del Syllabus di Bradford, un manuale
elaborato da rappresentanti della cittadina ed insegnanti: è un manuale che non offre dati o nozioni, ma
istruzioni per costruirsi un bagaglio di conoscenza plurale:

- Sviluppando la capacità di comprendere gli elementi concettuali delle religioni;


- Sviluppando la capacità di apprezzare le risposte delle molteplici religioni ai problemi umani,
- Sviluppando capacità di comprendere ruolo ed importanza a livello sociale delle religioni;
- Sviluppando la capacità di riconoscere l’apporto valoriale delle religioni;
- Comprendendo le religioni su un piano culturale;
- Analizzando somiglianze e divergenze;
- Comprendendo la religione quale necessità umana di risposta all’ineluttabile.

L’AMBITO ITALIANO invece è ancor in fase di sperimentazione, con una religione maggioritaria decisamente
invasiva, specialmente a livello educativo, retaggio di antichi accordi stato-chiesa (Concordato del 1929:
l’insegnamento storico-religioso cattolico è inserito in ogni grado scolastico, con facoltatività di
partecipazione e senza una chiara alternativa. In realtà non vi è la possibilità di un insegnamento storico-
religioso alternativo a quello cattolico. Anche se nelle attività extra per volontà degli insegnanti si procede
all’esplorazione di storie e narrazione sacre, miti, analisi di riti “altri”. Ed anche all’interno dell’”ora di
religione” si nota un’apertura dovuta alla ormai multietnicità (simbologia, vestiario sacrale, oggettistica sacra,
giorni sacri etc etc.). Dopotutto chi si occupa dell’insegnamento religioso è retribuito dallo stato ma scelto
dalla Chiesa, quindi l’impronta ed il programma sono decisamente ed univocamente determinati. I passi
avanti verso invece una apertura all’insegnamento religioso più ampio sono:

A. Esperienti condotti da studiosi o docenti di Storia delle Religioni: indagando le forme classiche della
religione, fino alle religioni mondiali contemporanee, utilizzando metodo comparativo e
storicamente e filologicamente rigoroso, passando attraverso le molteplici tematiche trasversali la
religione (filosofia, diritto, scienze etc.), analizzando le classificazioni dei fenomeni religiosi e
indagando il concetto stesso di religione. Sono attività volte ad una mediazione culturale e religiosa
ma sono ancora piuttosto episodiche o legate al solo ambiente universitario aconfessionale;
B. Esperimenti condotti da personale formato nelle scienze storico-religiose: integra la prima tipologia
di esperimenti unendo ulteriori discipline trasversali l’ambito religioso e quindi con una visione
ancora più olistica del fenomeno religioso: sono tenuti da persone dotate di specifica competenza ed
autoformazione in un determinato argomento che interagiscono con le scuole proponendo corsi
particolari: di questo ancora non vi è un riscontro in merito ai risultati;
C. Esperimenti condotti da docenti di religione: Riguarda proprio l’ora di religione con questa
connotazione più aperta di multietnicità.
D. Esperimenti condotti da docenti: libera inziativa, senza vincoli di programmi ministeriali, secondo
disponibilità di uomini e risorse. Non esiste una mappatura di tale impegno.
E. Esperimenti varati da istituzioni: istituzioni religiose e non, specialmente riguardo una multietnicità
conclamata, con l’ausilio di docenti di religione, mediatori culturali, con impegno anche delle
comunità confessionali le più disparate.

È chiaro che la richiesta è di una maggiore conoscenza, di dicare più spazio attento alle novità ed alla
differenziazione culturale., alla costruzione di nuovi saperi e di più complesse reti di conoscenza, in genere
raccolte dai singoli oltre che istituzioni, organizzazioni politiche e sindacali, associazioni etc etc.

DICHIARAZIONI DI PRINCIPIO

Il tema dell’insegnamento religioso ricade nell’ambito dei diritti umani, per la libertà religiosa. Per libertà
religiosa si intende il poter apprendere i dettami della propria confessione, oltre che porsi apertamente
rispetto alla conoscenza di altre confessioni al fine di mediare situazioni di difficoltà sociale ed essere un buon
cittadino. Secondo le linnee guida europee il tema religioso deve essere trattato in ambito scolastico al fine
di sviluppare i dettami del Syllabus di Bradford e incentivando l’eguaglianza di genere, la ricerca della pace,
la cittadinanza democratica, dialogo, solidarietà, sottolineando la differenza quale ricchezza in contrasto a
marginalizzazioni e discriminazioni.

Allo stesso tempo l’OSCE (organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) detta principi guida
dell’insegnamento religioso, i PRINCIPI DI TOLEDO: uguale, differenziazione, pluralità, accettazione e tutela
delle minoranze, plurireligiosità etc etc. indicando quindi anche requisiti in merito alla formazione degli
insegnanti, al rispetto dei diritti nell’attuazione dei programmai scolastici di insegnamento di religione, di
ridefinizione di modelli di insegnamento incentrati sulla libertà religiosa, il rispetto dei diritti umani, gestione
dei conflitti e ancora di sta roba.

In Italia abbiamo il LBRO BIANCO SUL DIALOGO INTERCULTURALE, anche negli USA esistono delle linee guida
dell’AAR (American Academy of Religion), oltre ad un documento redatto in collaborazione con lo stato
Emirati Arabi Uniti in cui si individua quali obiettivi dell’istruzione l’amicizia tra i popoli, la comprensione, la
tolleranza e al pace”.

EDUCAZIONE RELIGIOSA INTEGRATA

In Italia non c’è, e chi non segue l’ora si allontana. Ciò significa separazione del gruppo classe. In altri paesi
civili, cosa che non è l’Italia, invece il gruppo classe non si spara ma discute sulla educazione religiosa, sulle
basi culturali, sulla cultura, sulle differenze… Questa tipologia di educazione religiosa si può scontrare con gli
interessi maggioritari in uno stato che vogliono prediligere politicamente una certa confessione, come per
invece i gruppi minoritari alla ricerca di uno spazio per se e per la conferma identitaria.

L’insegnamento, infine, deve essere INFORMATIVO, CRITICO E PLURALISTA.

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