Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
L’Etna è vivo, sempre, e si fa sentire con regolarità offrendo spettacoli naturali unici e
straordinari, e al contempo lasciando qualche volta dietro di sè l’amarezza della distruzione.
Lui comanda e l’uomo accetta incondizionatamente le sue volontà che maturano nel ventre
della terra incandescente: la convivenza è la naturale conseguenza del connubio uomo
montagna
Alcuni sospettano che quest’accezione femminile del Vulcano sia riconducibile alla leggenda
della ninfa Etna, un personaggio della mitologia dal grande fascino
Il suo incantevole e mistico scenario, pasesaggi lunari, vecchie mulattiere, folte e tetre pinete,
il misterioso lago, gli spiriti della casa cantoniera, si è sempre prestato a custodire arcane
leggende e fantastici miti, dagli arabi ai greci, dalle fate agli elfi, dai folletti alla fata Morgana
e Merlino e persino re Artù.
La prima delle leggende dell’Etna secondo la mitologia greca è quella sul gigante Encelado,
uno dei fratelli di Zeus.
Encelado volle sfidare il fratello Zeus, costruendo la montagna più alta, fatta di tutte le
montagne del mondo una sopra l’altra, per raggiungere l’Olimpo e prendere il suo posto. Il
potente Zeus, non tollerò l’atto di ribellione, e come punizione scagliò un fulmine contro la
costruzione di Encelado, causando la sua distruzione e la sepoltura del gigante sotto la sua
stessa costruzione.
Encelado rimase imprigionato, incapace di muoversi sotto il peso delle rocce e delle pietre,
solo il suo respiro incandescente uscì dal cumulo, sotto forma di ciò che chiamiamo lava.
1
Fino ad oggi, secondo la leggenda, Encelado vive sotto il vulcano; i suoi improvvisi scatti e
impeti di rabbia corrisponderebbero alle eruzioni e ai terremoti dell’Etna
Il mito di Tifeo
Secondo un’altra leggenda, pare che la Sicilia fosse sorretta da Tifeo, grande nemico di Zeus.
Un giorno questo gigante a tre teste tentò di conquistare l’Olimpo e Zeus, lo punì gettandolo
dentro il vulcano Etna. Schiacciato dalla montagna, da allora sputa fuoco e fiamme, regge
sulla mano destra Peloro, Pachino sulla sinistra, Lilibeo sulle gambe e l’Etna sulla testa e
genera terremoti quando prova a muoversi
Sono numerose le versioni della leggenda che vedono per protagonista la ninfa Etna. Tra
queste, per esempio, si racconta che la ninfa fosse l’amante del dio del fuoco Efesto,
conosciuto in Sicilia come Adranos. Si narra che grazie a quest’unione vennero alla vita gli
dèi Palici, protettori della navigazione e personificazione delle sorgenti termali solforose.
Questi mitologici personaggi sarebbero nati due volte. Leggenda vuole, infatti, che la ninfa
Etna si fosse nascosta sotto il Vulcano per ultimare la gravidanza e che, quindi, i due gemelli
avrebbero visto la luce ben due volte: dapprima vendendo fuori dal ventre materno e, in
seguito, da quello della terra.
La versione più popolare del mito, tuttavia, è quella che racconta il ruolo decisivo della ninfa
Etna nello scontro fatale tra il gigante Tifeo e Zeus. I Giganti, in effetti, figli di Gea e fratelli
dei Titani, da sempre ritenevano il potere di Zeus illegittimo e decisero, quindi, di provare a
usurpare il suo trono. Ebbe così inizio una terribile e sanguinosa guerra tra il padre degli dèi e
Tifeo, un gigante metà uomo metà animale, con la testa d’asino, ali di pipistrello, due draghi
sputa fuoco al posto delle gambe e cento serpenti sulle spalle.
Nel momento in cui la lotta sembrava per volgere in favore del temibile gigante, però, la
vicenda si sposta nel campo di battaglia finale e, cioè, il luogo in cui sarebbe poi sorto il
maestoso Vulcano. Qui, con Zeus gravemente ferito, a Tifeo non restava altro che sferrare il
colpo di grazia. Fu in quel momento, però, che intervenne Etna a sottomettere il gigante,
coprendolo interamente con il proprio corpo e facendo ricorso a tutta la sua incredibile forza
e coraggio femminile. Ancora oggi Tifeo cercherebbe di liberarsi dalla sua prigionia nel
ventre della terra, sbuffando violente e potenti fiammate. È in tal modo che il fuoco di Tifeo e
il corpo di Etna danno vita a una terra feconda e ricca di frutti.
Da queste due differenti versioni del mito viene fuori, quindi, la figura di un’entità femminile
forte, coraggiosa e che non si piega alla prepotenza maschile. Se da una parte la ninfa Etna è
madre e, dunque, presenza vivifica e benevola, nella seconda leggenda essa si presenta forte e
implacabile di fronte al nemico, capace di dare la vita ma anche la morte. In un continuo ed
eterno contrasto, Etna rappresenta così il raccordo tra cielo e terra, tra vita e morte e per
questo, nelle sue contraddizioni, non può che essere donna, guerriera e protettrice dei suoi
figli.
2
Il mito di Efesto per i Greci, Vulcano per i romani
Dopo i Greci, i Romani si stabilirono nella stessa area dell’isola e adottarono alcune usanze
degli abitanti precedenti. La religione fu una di queste, infatti, l’intero pantheon greco fu
adattato e nella cultura romana. In particolare, secondo le leggende dell’Etna, questa divenne
la residenza di Vulcano (Efesto per i Greci). Egli era il fabbro degli dei e aveva la sua fornace
direttamente nel monte Etna; qui lavorava il ferro per costruire le armi per i suoi fratelli dei.
La leggenda di Efesto narra che quando la madre Era lo partorì, lo trovò talmente brutto da
scaraventarlo giù dall’Olimpo. Le ninfe Teti ed Eurionome lo raccolsero e lo crebbero. Efesto
divenne così bravo a forgiare metalli e gioielli che attrasse l’attenzione della madre Era, la
quale gli chiese di costruirle un trono, con la certezza che Efesto non l’avesse riconosciuta.
Ma Efesto capì subito che la dea era la madre che l’aveva ripudiato da piccino e così decise di
vendicarsi: le costruì un trono da cui, una volta seduta, non si sarebbe più potuta alzare. Per
sciogliere l’incantesimo, Era dovette dare a Efesto in sposa la bellissima Afrodite e
consentirgli di tornare tra gli dei. Ma la vita coniugale con Afrodite non fu semplice: Efesto
venne spesso tradito e così decise di andar via dall’Olimpo e rifugiarsi per sempre nelle
profondità dell’Etna.
Il re dei cavalieri della tavola rotonda, della fata Morgana e della spada nella roccia, pare
abbia conosciuto molto bene l’Etna. Ferito dal figlio e quasi morente, il re Artù volle che la
sua spada spezzata nel corso di un duello fosse riparata. L’arcangelo Michele volle esaudire
l’ultimo desiderio di Artù e così lo portò in Sicilia: il re riparò la spada e poi si addormentò in
una grotta sul vulcano. Al risveglio, si trovò davanti uno spettacolo meraviglioso: la vista del
mare, il cielo azzurro, il profumo degli agrumi. Colpito da tanta bellezza, il re pregò gli dei di
farlo vivere ancora in quel paradiso e di poter vegliare affinché l’Etna non eruttasse ancora e
distruggesse quel territorio meraviglioso. Gli dei esaudirono la sua richiesta e il re costruì una
grotta dentro l’Etna, con l’aiuto della sorella fata Morgana. Oggi si dice che il vulcano si
svegli e sputi fuori lava, lapilli solo quando re Artù torna in Inghilterra a portare frutti e fiori
della Sicilia ai bambini inglesi
Ulisse e Polifemo
Ulisse, come ci viene narrato da Omero, fu l’Eroe della guerra di Troia, vinta grazie al suo
famoso tranello del cavallo di legno. Tuttavia, fu maledetto a far ritorno in patria dopo anni di
3
vagabondaggio e terribili pericoli. Secondo l’Odissea, una delle tappe di Ulisse fu anche la
Sicilia, e precisamente, ai piedi del monte Etna. Lì, Ulisse incontrò Polifemo ed entrò nella
sua grotta. Il Ciclope, sentitosi derubato, cominciò a decimare gli uomini di Ulisse e promise
di uccidere anche lui. L’astuto Ulisse, disse al Ciclope di chiamarsi “Nessuno” dopo averlo
fatto ubriacare durante la notte lo accecò con un bastone di legno. Irato e accecato, Polifemo
uscì dalla grotta gridando che “Nessuno” lo aveva accecato. Furiosamente, cominciò a
scagliare rocce vulcaniche giganti verso il mare. Queste rocce oggi note come i “Faraglioni”
giganti oggi caratterizzano la costa di Acitrezza, un paese di pescatori in provincia di Catania.
Sono diverse le località situate nella provincia di Catania che ci ricordano questo mito: Aci
Catena, Aci Trezza, Aci San Filippo, Aci Sant’Antonio, Aci Castello, Aci Bonaccorsi
Aci Trezza
Soltanto il Mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai faraglioni, perché il Mare
non ha paese nemmeno Lui, ed è di tutti quelli che lo sanno Ascoltare.
(G. Verga)
Acitrezza è un piccolo borgo marinaro, noto per il famoso romanzo I Malavoglia, scritto da
Giovanni Verga, che narra le vicende di una famiglia di pescatori del luogo. Acitrezza è
dominata da un panorama unico. ed è qui che Luchino Visconti girò il film ad esso ispirato
La terra trema.
Aci Castello
(G. Verga)
A dominare sul territorio il Castello Normanno costruito in pietra lavica, a picco sul mare
proprio nella piazza principale del paese. Per accedervi bisogna salire una scalinata in
muratura e una volta arrivati in cima lo spettacolo lascia senza fiato: il mare sottostante e la
riviera dei ciclopi poco distante offrono uno spettacolo suggestivo.
La grande città, Catania, e un susseguirsi di comuni, un anfratto dove la terra incontra il mare
e anche i sapori si miscelano tra acqua e fuoco.
La storia del simbolo di Catania è piuttosto controversa: sembra che l’elefante sia il simbolo
della città fin dal 1239 e la sua nascita sia collegata ad un mito di origine greca.
4
Il monumento è stato realizzato dall’architetto Giovanni Battista Vaccarini nell’ambito della
ricostruzione della Città etnea dopo il terremoto del 1693.
Furono gli Arabi a denominare Catania “La città dell’elefante”, vale a dire “balad-el-fil” nella
loro lingua. Secondo la leggenda, un elefante scacciò gli animali feroci che banchettavano ai
piedi dell’Etna e proprio lì dunque poté sorgere Catania, che dell’elefante in pietra lavica ha
fatto il suo portafortuna
Nella parte orientale della Sicilia l’artigianato della pietra lavica è tuttora prospero. La tecnica
utilizzata dai manifattori della Provincia di Catania risale a qualche secolo addietro e si è
trasmessa di padre in figlio.
Lava è il nome che viene dato al magma vulcanico dopo che ha perso i gas e gli altri
componenti volatili sotto pressione che lo permeavano. Il termine "lava" si riferisce sia alla
roccia allo stato fuso che fuoriesce in seguito ad una eruzione, che alla stessa roccia una volta
che si è solidificata dopo il raffreddamento
La parola "lava" ha origine dal latino "labes" che significa caduta, scivolamento. Il suo primo
uso, collegato con la fuoriuscita di magma,
La lava raffreddandosi dà origine a delle pietre, dette rocce effusive oppure rocce intrusive.
Un esempio del primo gruppo è l'ossidiana e del secondo il granito.
La lava è un materiale versatile che si presta a innumerevoli usi, oggi viene apprezzata in
campi differenti come l’edilizia e l’arte, dalle piastre per cucinare cibi in modo sano e gustoso
alla cristalloterapia e ai massaggi con le pietre calde, dalle sculture ai gioielli. E’ la pietra
lavica, che l’Etna in Sicilia regala alla terra in grande quantità, tanto che questo materiale
viene anche chiamato l”oro dell’Etna’
‘Fuoco e terre dell’Etna’. ”Diversi comuni alle pendici dell’Etna, primo fra tutti il Comune di
Nicolosi che grazie alla collaborazione con il maestro Barbaro Messina, inserito nel Registro
delle Eredità Immateriali di Sicilia come Tesoro Umano Vivente, poichè autore
dell'innovativa tecnica della "Ceramizzazione della pietra lavica", ha avviato la scuola di
ceramizzazione allo scopo di raccontare la lava con l’arte. La nostra capacità di far diventare
la lava oggetto d’arte ci è invidiata in tutto il modo.
La pietra si estrae dalle cave, i grandi blocchi vengono tagliati e sagomati a seconda delle
richieste. è indispensabile che la fase di estrazione avvenga in maniera delicata e lenta,
necessaria per poter ottenere un prodotto finito integro, è importante evidenziare che più è
ampio il masso informe estratto più è pregiato.
Dopo l'estrazione del masso informe, si passa alla prima fase di taglio, che avviene,
solitamente, con macchinari automatici e con dischi diamantati. Per tagliare il blocco si
5
impiegano mediamente dai 2 a 3 giorni (giorno e notte). Da questa prima fase si ricavano, le
così dette balate, cioè delle lastre di vario spessore, con il piano liscio.
Per procedere con il processo di ceramizzazione bisogna che il basalto lavico venga cosparso
di uno strato di smalto e successivamente lasciato asciugare per almeno dodici ore, prima di
poter passare la mano agli artisti e provvedere alla decorazione artigianale. Per ottenere i
massimi livelli di qualità e bellezza deve esserci un perfetto connubio tra arte e tecnica.
Ed è così che scorrono le giornate ai piedi dell’Etna, come un tacito accordo tra le mani e la
lava, la montagna e il mare, l’uomo e il vulcano, l’incandescente e l’arte, il ventre e l’anima.
Aci Castello è forse l’attrazione più grande del Paese marinaro in provincia di Catania.
Attanagliato su di una roccia, che si alza sul mare per circa vetri metri, guarda dall’alto gli
abitanti ed i turisti. Forse altezzoso, a prima vita, conquista i cuori di chiunque, una volta
varcate le sue navate in pietra lavica. Siete curiosi di sapere qual è la storia di questo
Castello?
Partiamo dalla rupe, sopra la quale il Castello, sorge e vigila, come fosse una nave. E per
partire davvero dall’inizio, partiremo dal periodo Preistorico, ma non vi annoieremo, ve lo
promettiamo! Tutto ebbe inizio dal famoso Golfo Pre-Eteneo, circa 700.000 anni. Il Golfo
Pre-Etneo si estendeva dalla zona che oggi va da Taormina (ME), lambendo i monti Nebrodi,
alla val di Noto (SR). In poche parole, la nostra Catania dormiva tranquilla sul fondo marino.
Le zolle continentali, quella indo-europea e euro-asiatica, iniziarono a scontrarsi con la zolla
africana. Così si diede vita ai monti Peloritani e all’altopiano Ibleo. Come una culla, i due
6
altopiani lambivano, appunto, il golfo Pre-etneo. Al centro di questo gigante bacino,
iniziarono a verificarsi continue eruzioni sottomarine di tipo basaltico.
La rupe del Castello di Aci Castello possiede formazioni laviche sub-marine chiamate pillow-
lava
I più attenti di voi, noteranno che sulla piattaforma sotto al Castello di Aci Castello, dove
sorge la rupe, ci sono delle formazioni rocciose oblunghe di base esagonale. Queste
formazioni sono rarissime sul pianeta e si chiamano basalti colonnari. Inoltre, tipiche della
rupe del castello sono le rocce disposte a raggiera, quasi come fossero dei giganti cuscini (i
famosi pillow-lava). Nella parte più alta della rupe è visibile, ad esempio, un meraviglioso
mega-pillow. Anche questi pillow-lava sono il frutto di eruzioni sub-marine rarissime e che
dovrebbero rendere i castelloti, ma in realtà tutti i catanesi, veramente molto orgogliosi di
dove abitano.
7
A questo punto della storia, poniamo il caso che siate dei regnanti normanni, introno agli anni
mille, e che dobbiate costruire un Castello nella zona. Dove lo costruireste? Furono, infatti, i
normanni a costruire il Castello nel 1076. Lo fecero interamente in pietra lavica nera e lo
costruirono su un precedente avamposto romano, risalente addirittura al 38 d.C. Misero un
ponte levatoio in legno (oggi in muratura) per permettere l’accesso solo ed esclusivamente da
un lato.
Il vescovo e abate di Catania, nel 1092, ebbe in concessione il Castello di Aci (Casteddu di
Iaci) ed il territorio circostante, tramite un editto, che riguardava tutta la Terra di Iaci. Una
notizia che forse farà luccicare molti occhi, che leggono curiosi la storia del Castello, è che il
17 agosto 1126, il vescovo di Catania, ricevette nel castello le reliquie di Sant’Agata. E
già, le reliquie della Santa catanese erano state appena riportate in patria da
Costantinopoli, e i due cavalieri che compirono l’impresa si riposarono proprio qui. Un
piccolo affresco, all’interno del Castello di Aci Castello, rappresenta proprio l’avvenimento.
Il terremoto del 1169, che devastò la zona, fece spostare tutta la popolazione verso l’attuale
zona di Anzalone e il Castello di Aci Castello venne abbandonato, tornando al demanio
pubblico. Nel 1239 fu il celebre Federico II di Svevia a rimuovere il vescovo, che se n’era
impossessato nuovamente, e stabilì qui una delle sue residenze più gradita e frequentata. Il
piccolo borgo marinaro, che si alimentava della vita del Castello di Aci Castello, nel 1300,
contava circa 1200 abitanti. Durante i Vespri del 1297, il Castello venne concesso a Ruggero
di Lauria, che era amico fidato della famiglia aragonese.
Quando, però, l’ammiraglio Ruggero cambiò le sue amicizie e passò alla corte angioina, il re
Federico fece espugnare il castello. Questo provocò una piccola guerra fredda fra la corte di
Angiò e quella di Federico. Nel 1353 il diciassettenne Ludovico d’Aragona, nobile del
castello, morì per la peste. A questo punto, il Castello di Aci Castello venne espugnato dagli
Angiò e l’assedio, che durò fino al 1356, vide occupati anche i territori dell’Aci. Artale I
Alagona (legato alla famiglia degli Aragona), allora, respinse gli angioini con una vera e
propria battaglia navale. La battaglia si svolse tra Ognina e il Castello di Aci Castello, il
nome che venne lasciato ai posteri fu Lo scacco di Ognina. Vinsero gli aragonesi e,
nonostante dissidi successivi, mantennero il potere del Castello.
Nel periodo del re aragonese Martino il Giovane (inizio del 1400) il borgo di Aci Castello
contava 2.400 abitanti. Velocemente cresceva.
Nel 1421 il Castello di Aci Castello venne venduto al viceré degli Aragona, Ferdinando
Velasquez, per 10.000 fiorini. Insieme al Castello, Velasquez ottenne Il Bosco d’Aci, un
bosco magnifico che da Catania arrivava all’Etna. Dopo vari passaggi di proprietà, tra duchi e
infanti spagnoli, nel 1528 gli abitanti offrirono a Carlo V 20.000 fiorini, per riscattare il
Castello. Nel 1530 divenne definitivamente, insieme ai Faraglioni, simbolo libero del
Paese. Nella metà del millecinquecento il Castello di Aci Castello diventerà caserma prima e
carcere poi. Per poi tornare nelle mani dei nobili spagnoli. Dopo il terremoto del 1693 subirà
evidenti danni e verrà sistematicamente abbandonato. Nel 1800 diventerà demanio comunale.
8
Il Castello di Aci Castello nell’epoca moderna: una nuova rinascita!
Finalmente, negli anni ’70 il Castello di Aci Castello è stato restaurato e al suo interno è stato
realizzato il Museo Civico. Oggi il Castello è visitabile da tutti, così come il Museo al suo
interno. Nel Museo Civico si ritroveranno esposti e spiegati oggetti della preistoria, dell’età
medievale e di natura mineralogica e geologica, che ripercorrono tutta la storia di questo
meraviglioso Castello. Inoltre, è presente nel Castello anche un orto botanico, che espone le
piante tipiche della macchia mediterranea. Spesso il Museo Civico ospita anche mostre
itineranti e/o permanenti (ed esempio l’esposizione di tre dipinti di J. Calogero), eventi
culturali e matrimoni civili.
Il Castello di Aci Castello è aperto, in inverno, dalle ore 9,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle
17,00. L’orario primaverile è dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 19,00. Se volete andarci
ora, invece, subito dopo aver letto questo articolo, sappiate che d’estate l’orario pomeridiano
è dalle 16,30 alle 20,30. L’ingresso per i residenti è gratuito. Per chi non fosse di qui, niente
paura! Ci sono dei prezzi minimi, che non superano i 3 euro. Una volta saliti nella parte più
alta del Castello, potrete ammirare i fantastici tramonti e la bellezza del Paese costiero
colorato d’arancione, come se fosse un dipinto. Oppure perdervi nel mare azzurro,
senza fine.
Come tutti i Castelli che si rispettino sono molte le leggende e le storie misteriose che lo
circondano. La più nota è sicuramente quella del cacciatore. Si narra, infatti, che un
cacciatore della zona uccise per sbaglio la gazza del governatore del Castello. Il governatore,
venuto a conoscenza dello spiacevole evento, per dispetto e rabbia fece rinchiudere il povero
cacciatore nelle prigioni oscure del castello. La sua detenzione durò per ben 13 anni. Un
giorno, arrivò il Duca Massa, in visita sia al Paese che al governatore. Il cacciatore, saputo
della visita, compose un canto talmente bello per lui, da indurre il Duca a volerlo conoscere.
A seguito di questo colloquio, il duca ordinò il suo rilascio immediato.
Un’altra testimonianza delle stranezze del Castello di Aci Castello ci viene da uno storico
custode. Questo custode lo ebbe in cura per molti anni, ora defunto, parlò spesso di voci e
rumori di armature, combattimenti e soldati. Soprattutto nella stanza dove ora si trova il
Museo Civico, si concentravano spesso rumori di armature e catene. Nonché urla disperate.
Anche due impiegate del Comune raccontano che una notte di qualche anno fa, rimaste a
pulire fino a tardi, iniziarono ad udire rumori di catene ed urla. Il crescendo dei rumori fu
così spaventoso, che le due donne scapparono a gambe levate dal Castello.
9
La dama del Casteddu di Iaci
La storia della dama che si lanciò dal Castello di Aci Castello ha molte versioni, eppure un
unico finale tragico e misterioso (foto da: borghimagazine.it)
La storia che più attirerà gli amanti del genere, però, è sicuramente quella della giovane dama
del Castello di Aci Castello. Si narra che una giovane dama, giunta a corte a seguito del
debito del padre, si rifiutò di accettare le viscide avance del governatore. La dama, inseguita
e costretta sull’orlo di una delle terrazze del castello, si lasciò cadere giù, pur di non
cedere a quell’uomo. Il suo corpo non venne mai trovato nella piattaforme sottostante,
scomparve nel nulla. Le versioni sulla storia e sui motivi che spinsero la dama a lanciarsi dal
Castello sono molte, ma tutte coincidono sul finale tragico e misterioso. Si dice che nelle
notti di luna piena, le urla della dama, si sentano ancora. Basta attendere seduti
all’interno del Castello. Ad un tratto, riecheggeranno insieme al vento, fra le mura
antiche.
E’ inulte aggiungere che, se state cercando la leggenda e il fantastico, allora non potete non
leggere le Storie del Castello di Trezza, del nostro Giovanni Verga. Un insieme di storie
intrecciate che alternano verismo, immaginario e fantastico, roba che solo il nostro
conterraneo sa orchestrare con tanta maestria.
Insomma, i motivi per cui venire al Castello di Aci Castello sono tanti, non uno, non due o
tre, ma mille..Tanti motivi, quante le rocce che lo sorreggono.
10