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2Corinzi 11

1 §2. La superiorità dell'apostolato di Paolo su quello vantato dei dottori


giudaizzanti 2Corinzi 11:1-12:18

Paolo ha affermata la realtà della sua autorità apostolica, dichiarandosi pronto a sottostare alla
prova obiettiva dei fatti, che sono, in fondo, l'attestato fornito dal Signore. Dovendo però
esporre i fatti che dimostrano la superiorità del suo apostolato su quello spurio dei
giudaizzanti, sarà costretto, contro la regola enunziata da lui stesso 2Corinzi 10:17; a gloriarsi.
Perciò prima di far quel che pur gli è imposto dal suo zelo per la chiesa, egli ha cura di
caratterizzarlo, in tono ironico, come una cosa insensata. Ma pure chiede ai Corinzi che son
tanto condiscendenti verso i falsi dottori, di sopportare un tantino anche lui 2Corinzi 11:1-4.
Entrando quindi in argomento, accenna alla superiorità sua in conoscenza ed in
disinteresse 2Corinzi 11:5-15; alla superiorità del suo stato di servizio così ricco di fatiche, di
pericoli e di patimenti 2Corinzi 11:16-33; alle eccelse rivelazioni ricevute che hanno reso
necessario un contrappeso d'infermità 2Corinzi 12:1-10 e da ultimo ai miracoli operati da lui
nella stessa Corinto 2Corinzi 12:11-18. Tutto ciò gli permette di non stimarsi inferiore per nulla
ai sedicenti apostoli.

Sezione A. 2Corinzi 11:1-4 FOLLIA NECESSARIA

Paolo chiede ai Corinzi di tollerare la follia del suo gloriarsi. Vi è costretto dall'ansietà stessa
che nutre a loro riguardo.

Oh! se voi sopportaste, da parte mia, un tantino di follia!

L'esclamazione: Oh! se... ( οφελον) esprime un intenso desiderio. I suoi avversarii non


rifinivano dal far valere i loro titoli alla considerazione della chiesa. Era questo un agire da
insensati. Paolo non usa raccomandar sè stesso; ma questa volta la necessità di difendere
l'ufficio affidatogli lo costringe a fare una cosa insolita, giustificata da gravi motivi, ma ch'egli
chiama tuttavia una follia perchè, di regola, è tale. Le ultime parole del versetto possono
considerarsi come espressione di fiducia o come una domanda esplicita. Considerando il verbo
come un indicativo, il senso è: «Ma pur voi mi sopportate», cioè, «io son persuaso che voi mi
sopportate, tenendo conto delle ragioni che mi spingono ad agire così». Considerando il verbo
( ανεχεσθε) come imperativo:

Ma pur sopportatemi,

Il senso è ancora più piano. Riconosco che il gloriarsi è follia, ma pur, conviene che mi
sopportiate, perchè la necessità mi costringe a far, per una volta, e in misura limitata
(un tantino), quel che fanno ordinariamente gli stolti miei avversarii... E prosegue indicando la
ragione che lo muove.

2 Poichè io son geloso di voi d'una gelosia di Dio, avendovi sposati ad un unico
sposo, per presentare una vergine pura a Cristo.

Quel che spinge Paolo è l'amore ch'egli porta alla chiesa; amore che, tormentato com'è da un
timore insistente, si muta in gelosia. Però, a mostrare che codesto sentimento non ha nulla di
egoista, di terreno, lo chiama una «gelosia di Dio», una gelosia simile a quella che Dio stesso
può nutrire, e ch'egli ha infatti nutrito riguardo al popolo con cui contrasse un patto sacro
paragonabile al matrimonio Cfr. Osea 2:19-20; Isaia 54:5; 62:5; Ezechiele 16:8; 23:1-49. Egli
è geloso di loro per il loro bene, e per la gloria del suo Signore. Infatti Paolo trovasi nella
posizione di chi è stato, come Eliezer Genesi 24; il mediatore di un matrimonio ed ha ottenuto
la mano di una fanciulla per il suo signore. La celebrazione del matrimonio è differita alquanto;
ma il servo, saputo di qualcuno che cerca con astuzia di sedurre e sviare altrove il cuore della
giovane, è pieno di ansietà e veglia, perchè vorrebbe presentare allo sposo una vergine pura, il
cui cuore fosse tutto a lui rivolto. L'immagine è trasparente. La vergine fidanzata è la chiesa di
Corinto; lo sposo è Cristo che dev'essere l'unico oggetto della fede e dell'amore della chiesa; le
nozze saranno celebrate alla venuta di Cristo cfr. Matteo 25:1; Apocalisse 19:7; Efesini
5:27; Colossesi 1:22; la conversione dei Corinzi a Cristo mediante l'opera di Paolo è stata il
fidanzamento, ed egli brama che la chiesa perseveri nella sua fede semplice e genuina,
nell'amor suo sincero e santo fino al giorno di Cristo, senza lasciarsi per nulla sedurre dalle
adulterazioni giudaizzanti.

3 Ma io temo che, siccome il serpente sedusse Eva colla sua astuzia, possano esser
del pari corrotte le vostre idee [e sviate] dalla semplicità e della purezza (testo
em.) riguardo a Cristo.

Eva fu sedotta dal diavolo che si servì del serpente come di uno strumento. Il tentatore colla
sua astuzia insinuò, nel cuore di Eva, prima il dubbio riguardo all'ordine di Dio, poi la diffidenza
e l'incredulità, tanto che la donna «fu indotta a non creder più ciò ch'era vero ed a credere
invece ciò ch'era falso» (Hodge). Paolo teme che i seduttori giudaizzanti, ch'egli non esita a
considerare come agenti di Satana camuffati da apostoli di Cristo cfr. 2Corinzi 11:13-14;
riescano a corrompere i pensieri, le convinzioni evangeliche ch'egli si è sforzato di formare nei
Corinzi e ad allontanarli dall'attitudine di fede semplice ed intera nell'opera e nella grazia di
Cristo. Quegli intrusi «falsificano» infatti la Parola di Dio, essi predicano «un altro Gesù»
diverso da quello di Paolo ed «un altro Evangelo». La quasi totalità dei Msc. legge
dopo semplicità: «e dalla purezza». Non c'è motivo per ritenere inautentica questa parola. Essa
aggiunge all'idea di semplicità quella di fedeltà e di santità. La chiesa deve mantenersi di
fronte al suo sposo, Cristo, lontana dai raggiri dell'errore e lontana dalle male suggestioni e
dalle contaminazioni del mondo.

4 Perciocchè se chi viene [a voi] predica un altro Gesù che noi non abbiam predicato,
o se ricevete uno Spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un Evangelo diverso
da quello che avete accettato

(lett. «uno spirito diverso il quale voi non avete ricevuto, o un Evangelo diverso il quale voi
non avete accettato»),

voi ben lo sopportate.

A quale idea si connette il perciocchè ( γαρ)? A quella del timore ansioso espresso in 2Corinzi
11:3, quasi volesse dire: io temo di voi... poichè se qualcuno si presenta con un Evangelo
diverso da quello ch'io vi ho predicato, voi gli fate buona accoglienza? Ma l'Idea del timore è
già una idea secondaria in questa sezione introduttoria. L'idea principale è quella contenuta nel
verbo sopportare Che s'incontra due volte nel primo versetto e ritorna nel quarto.
«Sopportatemi... poichè voi sapete bene sopportare chi attenta alla purezza dell'Evangelo che
vi ho predicato, mentre io non faccio, gloriandomi, che difenderlo». In colui che viene [a
voi] non è da vedersi un personaggio speciale, ma la personificazione dei dottori giudaizzanti
venuti di Palestina a turbare la chiesa di Corinto, frutto degli altrui sudori. Predicare un altro
Gesù non significa annunziare qual Salvatore una persona che non sia il Gesù storico; bensì
presentarlo sotto un aspetto tale da dare di lui un concetto affatto diverso da quello che Paolo
ne dava. Paolo predicava Gesù Figliuol di Dio e Figliuol dell'uomo, morto a cagione dei nostri
peccati, risuscitato a cagione della nostra giustificazione. Lo predicava qual secondo Adamo
venuto ad affrancar l'uomo dal giogo del peccato e della legge, per introdurlo nella gloriosa
libertà dei figli di Dio. I giudaizzanti, per quel che ne possiam sapere, lo presentavano sotto
l'aspetto di un Messia nazionale, che ribadiva le catene anche rituali della legge mosaica,
facendo dell'osservanza di quella la condizione della salvezza. La fede in Gesù era suggellata
nei cuori dal dono dello Spirito che creava una nuova vita di fiducia e di libertà filiale, di
allegrezza, di santità. Esso è detto perciò Spirito di adozione. Ora, anche dello Spirito e della
sua opera salutare, i giudaizzanti dovevano dare una nozione ben diversa da quella di Paolo,
poichè il tipo di pietà servile e legale ch'essi presentavano era lungi dal rassomigliare a quello
prodotto dall'Evangelo della grazia. Questo vuol significar Paolo quando dice: «Se ricevete uno
Spirito diverso...». Alterata la nozione vera di Gesù e dello Spirito, non poteva rimanere intatta
quella delle condizioni, della salvezza. All'Evangelo della salvezza «per grazia, mediante la
fede», veniva sostituito un evangelo diverso, in cui figurava come condizione di salvezza
l'osservanza della legge di Mosè. Tale almeno il concetto che risulta dagli Atti 15 e dall'Ep. ai
Galati, circa le tendenze dei giudaizzanti. Il testo Tischendorf con la maggioranza dei Codici
legge alla fine del versetto il verbo all'imperfetto: che si traduce: «voi lo sopportereste».
Tuttavia essendo i verbi che precedono all'indicativo e potendo sospettare che l'imperfetto sia
stato preferito perchè attenuava la colpa dei Corinzi, crediamo doverci attenere al testo del
Cod. Vaticano e di molti altri minori: «Voi ben lo sopportate» ( ανεχεσθε). Sta in fatto che i
sovvertitori giudaizzanti non erano da venire in Corinto, ma erano venuti ed avevano fatto
pericolare la chiesa. Con questa parola di amara ironia, Paolo costata, non senza rimprovero,
la eccessiva condiscendenza dimostrata dalla chiesa verso quegl'intrusi. Come i Galati, i Corinzi
erano stati troppo pronti a voltar le spalle all'apostolo per dar ascolto a persone che
eccellevano nel raccomandar sè stesse. Dopo una eccessiva condiscendenza verso i seduttori,
potevano bene sopportare che Paolo facesse valere la superiorità del suo apostolato.

AMMAESTRAMENTI

1. Mai apparve Paolo più umile che quando lo vediamo confuso e mortificato di dover gloriarsi
per rivendicare la propria autorità apostolica. Ahimè! quanto sono rari, anche fra gli uomini più
pii, coloro che si sentono addolorati e mortificati nel parlar della propria grandezza o dei loro
successi! (C. Hodge).

2. Nel predicar l'Evangelo ai non credenti, come nel conservar genuina la fede dei credenti,
Paolo riguarda a Cristo centro della sua fede e del suo amore come della sua predicazione. Se
chiama le anime è per unirle a Cristo per sempre; se mette i credenti in guardia contro le
seduzioni è perchè desidera ch'essi conservino di fronte a Cristo una fede pura d'ogni mistura
umana e un cuore ardente del primo amore, chi ha faticato, come Paolo, per condurre anime a
Cristo è geloso di conservarle a Cristo. L'amore per gli uomini ha in lui la sua sorgente
nell'amor di Cristo. «Rivestimi, o Dio, (tale era la preghiera d'un pio ministro), della vigilante
sollecitudine provata da Paolo per la purezza del cristianesimo dei suoi convertiti. Dammi di
sentirla per lo stato religioso di quei di casa mia».

3. Una chiesa giovane è facilmente esposta alle seduzioni degli operai frodolenti che
nascondono sotto il manto dello zelo cristiano dei secondi fini egoistici; che, sotto un
linguaggio evangelico. Insinuano dottrine opposte all'Evangelo della grazia. E quel che si dice
d'una chiesa si applica a tutti i credenti poco sperimentati. Donde la necessità della vigilanza
che prova gli spiriti per saper se son da Dio e tutto sottopone alla pietra di paragone della sua
Parola. Chi è stato condotto all'Evangelo da un provato servitore di Cristo, farà sempre bene se
diffida di coloro che insinuano sospetti e lanciano accuse contro chi è stato strumento di Dio
per la conversione di un peccatore.

5 Sezione B 2Corinzi 11:5-15 LA SUPERIORITÀ DI PAOLO IN CONOSCENZA E


DISINTERESSE

Dopo spiegata la necessità del suo gloriarsi, Paolo afferma in modo generico la sua convinzione
di non essere inferiore in nulla ai dottori giudaizzanti. Quindi, scendendo ai fatti particolari che
dovranno fornire le prove della sua affermazione, egli tocca anzitutto della conoscenza religiosa
e del disinteresse da lui mostrati nella predicazione del Vangelo in Corinto.

Perciocchè, io stimo di non essere stato in nulla inferiore agli apostoli per eccellenza.

Anche qui il γαρ (perciocchè) si riferisce al pensiero principale espresso nella sezione 2Corinzi
11:1-4: Voi ben sopportate gl'intrusi: sopportate anche me nelle mie
rivendicazioni. Perciocchè sono convinto che il mio apostolato non ha da temere il confronto
con quello di codesti millantatori che vanno pavoneggiandosi nelle chiese altrui, spacciandosi
per degli apostoli di grado superiore. E valga il vero... L'espressione ὑπερλιαν αποστ. vale
«apostoli al sommo grado», cioè apostoli per eccellenza, di grado superiore, apostoli-ultra.
Molti vi hanno scorto la designazione dei più cospicui fra i Dodici apostoli, di coloro ch'erano
«stimati colonne» Galati 2:6-9. A questo obbiettassi:

a) che la riferenza ai veri apostoli del Signore mal si accorda con l'ironia contenuta
nell'espressione «apostoli per eccellenza».

b) Lo scopo di Paolo non è di istituire un paragone fra sè ed i Dodici, bensì fra sè ed i falsi
dottori cfr. 2Corinzi 10:12; 11:12-15,21; ecc. Il pensiero dei Dodici è estraneo al contesto.

c) Se parlasse dei Dodici, non si comprenderebbe che Paolo li riconoscesse implicitamente


superiori a sè nel maneggiar con arte retorica la lingua greca 2Corinzi 6, poichè erano Galilei
inferiori a Paolo per coltura.

d) A 2Corinzi 11:13, invece di chiamarli ironicamente «apostoli per eccellenza», li chiamerà col
loro vero nome di «falsi apostoli» che si trasfigurano in apostoli di Cristo cfr. 2Corinzi 10:23.
Dal che si vede chiaro che i dottori giudaizzanti si davano per apostoli di Cristo e colla loro
smania di farsi valere, è facile intendere ch'essi esaltassero sè stessi anche al di sopra dei veri
apostoli.

6 Che se anche sono incolto nel parlare, non lo sono però quanto alla conoscenza;
anzi, in ogni cosa [quel che siamo l']abbiam manifestato, in ogni circostanza a vostro
riguardo.

Ovvero: «Anzi, in ogni cosa l'abbiam dimostrata (la conoscenza), in ogni circostanza, nelle
nostre relazioni con voi». Si rimprovera a Paolo di non essere un oratore elegante, sullo
stampo dei rètori greci che probabilmente qualche dottore giudaizzante si sforzava di imitare
per cattivarsi gli animi. Quell'arte retorica intenta più a procacciar lodi all'oratore che a crear
convinzioni salde nel cuore, Paolo la ripudiava; trovando però nella chiara visione della verità e
nell'ardente suo amore, l'eloquenza del cuore più efficace delle frasi ad effetto 2Corinzi 1:17;
2:1. Non ha difficoltà quindi a riconoscersi ιδιωτης (lett. «privato») nel parlare, cioè poco
pratico, incolto, non versato nel bello ed elegante parlar greco. Questo però egli non considera
come una inferiorità od una lacuna nei requisiti per l'Apostolo. I Dodici non erano rètori, e
neppure Gesù. Egli può rivestire di una forma chiara ed esatta la verità che deve annunziare e
tener desta l'attenzione delle moltitudini. Tanto gli basta. Quel che sarebbe più grave per
l'ufficio suo sarebbe l'ignoranza della verità evangelica. A questo non si potrebbe supplire in
alcuna maniera, poichè un ambasciatore il quale non conosca bene il messaggio che deve
recare non può considerarsi come atto all'ufficio. Codesto requisito essenziale non fa difetto a
Paolo. Egli non è «poco pratico» in fatto di conoscenza religiosa: e se ne appella alla
dimostrazione fornitane ai Corinzi durante il suo soggiorno fra loro ed anche di poi. Si confronti
la indiretta difesa del suo insegnamento in 1Corinzi 2;3. Si legga qui l'attivo Φανερωσαντες
(avendo manifestato) coi codici più antichi e coi maggiori critici, ovvero il passivo «essendo
stati manifestati», se ne deduce sempre l'intenzione di Paolo di appellarsene alla conoscenza
che i Corinzi hanno di lui, del suo modo di parlare e della sua scienza delle cose divine. I due
neutri «in tutto» e «in tutte le cose» che paiono un pleonasmo possono intendersi. Il primo, di
ogni punto della conoscenza cristiana, sia dottrinale che morale: il secondo, delle circostanze
pratiche diverse alle quali Paolo, nelle sue relazioni coi Corinzi, era stato chiamato; ad applicar
la verità, con sapienza cristiana.

7 Quello però che avea dovuto colpire i Corinzi nella condotta di Paolo era stata la sua
abnegazione, il suo disinteresse. Mentre i rètori e filosofi esigevano salarii altissimi dai loro
discepoli, Paolo. Il dottor dei Gentili, si era sobbarcato alle fatiche del lavoro manuale per
provvedere al sostentamento suo e dei suoi collaboratori. Pare appena credibile che anche in
questo la sua condotta sia stata malevolmente interpretata, ma il tono in cui allude qui e
in 2Corinzi 11:13-18 al disinteresse da lui mostrato, ci fa persuasi che anche la sua nobile
abnegazione era stata presentata come una tacita confessione della inferiorità del suo
apostolato, o quanto meno si era considerato il fabbricar tende come una occupazione poco
dignitosa per un apostolo e poco decorosa anche per la chiesa. Gli avversarii avevano dovuto
imitare l'Apostolo e menavano alto vanto della loro rinunzia, più o meno volontaria, ad un
salario ufficiale, cercando, a quel che pare, di rifarsi in altro modo del mancato guadagno
Cfr. 2Corinzi 20; 1Corinzi 9:12. Queste considerazioni spiegano il modo in cui Paolo tocca del
suo disinteresse.

Ho io forse commesso un peccato quando, abbassando me stesso affinchè voi foste


innalzati, vi ho annunziato gratuitamente l'Evangelo di Dio?

L'umiliar sè stesso abbraccia qui il sottoporsi a gravi privazioni e ad un faticoso lavoro


manuale, lui l'Apostolo di Cristo così altamente onorato per altri riguardi. Questo aveva egli
fatto affine di meglio riuscire a trarre i Corinzi dall'abisso di tenebre e di peccato ov'essi
giacevano ed innalzarli alla conoscenza ed alla comunione di Cristo. L'Evangelo è di Dio perchè
Dio ne è l'autore.

8 Ho predato altre chiese, prendendo [da esse] un salar i o per servirvi.

Non che Paolo abbia tolto a forza od ingiustamente alcuna cosa ad alcuno; ma coll'energica
espressione: «Ho predato», vuol significare ch'egli ha accettato, per annunziar l'Evangelo in
Corinto, dei soccorsi da chiese povere, le quali s'imponevano veri sacrifici per aiutare allo
spargimento della verità. Pare alludere alle chiese di Macedonia che gli avevano fornito i mezzi
di recarsi a Corinto, e fors'anche a quella di Efeso che potè pagargli il secondo suo viaggio
colà.

9 Come nei primordii dell'evangelizzazione, così negli stadii successivi, e nelle circostanze più
difficili, Paolo ha persistito nel proposito di non essere finanziariamente a carico della chiesa;

e quando, durante il mio soggiorno presso di voi, mi trovai nel bisogno, non fui di
aggravio ad alcuno.

s'intende di voi. Non feci conoscere il mio bisogno, nè volli valermi del mio diritto al
mantenimento col chiedere alcuna cosa alla chiesa. Per dirla di passata, tutto questo dà una
ben meschina idea della generosità d'animo dei Corinzi. Il verbo καταναρκαω (cfr. narcotico)
vale propriamente lasciarsi andare col proprio peso contro ad uno, come chi è preso da
torpore; qui, imporre ad altri il peso del proprio mantenimento. Questo Paolo non avea voluto
fare.

poichè al mio bisogno supplirono i fratelli venuti dalla Macedonia,

cioè probabilmente Timoteo e Sila allorquando raggiunsero Paolo in Corinto Atti 18:5 e posero
a sua disposizione sia il loro proprio avere, sia le contribuzioni inviategli dalle chiese macedoni.
Anche in Roma Paolo ricevette un soccorso dai Filippesi come altra volta ne avea da loro
ricevuti in Tessalonica Filippesi 4:15-16.

Ed in ogni cosa,

sia che si trattasse di spese per vitto, o per vestimenti, ovvero per alloggio, o per viaggi,

mi sono astenuto dall'esservi a carico, e me ne asterrò ancora.

Lett. «ho conservato me stesso non a carico».

10 La verità di Cristo è in me, che codesto mio vanto non sarà ridotto al silenzio nelle
contrade dell'Acaia.
Ad esprimere la irremovibile sua risoluzione, Paolo si serve delle parole: La verità di Cristo è in
me; che alcuni interpretano «la veracità propria di Cristo è in me». Il senso più esatto pare
essere: in questo che dico, parlo come uno che ha in sè la verità rivelata da Cristo, che n'è
compenetrato e non può esser, per conseguenza, mancante di sincerità. Per altre formule di
asseranza cfr. Romani 9:1; 1Timoteo 2:7; ecc. Il verbo vale propriamente: chiudere, sbarrare,
ostruire, e si applica ad una via che si sbarra, alle orecchie che si chiudono, alla bocca quando
vien chiusa Romani 3:10. Secondo l'immagine che si scorge qui, si traduce in un modo
piuttosto che in un altro, restando pur sempre invariata l'idea. Così Heinrici: A questo mio
vanto, non sarà preclusa la via, bisognerà che sia lasciato passare. Meyer considerando
il vanto come personificato: Questo mio vanto non sarà ridotto al silenzio, non gli si chiuderà la
bocca. A questo provvederà Paolo col ricusare, anche in avvenire, qualsiasi sussidio della
chiesa, per il suo mantenimento.

11 Perchè? Perchè io non v'amo? Dio lo sa.

La risoluzione di Paolo poteva esser interpretata come un indizio di poco affetto, di sdegnoso
ritegno; poichè se è vero che si riceve volentieri un dono da una persona amata, è altrettanto
vero che si preferisce restare indipendenti e senza obblighi verso chi meno si ama. L'Apostolo
previene una tale interpretazione della sua condotta e se ne appella alla onniscienza di Dio che
investiga i cuori e ne conosce i più segreti moventi. Nel v. seguente poi, indica qual sia il vero
motivo del suo modo di agire.

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