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LA STORIA DELLA CHIESA IN SARDEGNA NEL RECENTE "DIZIONARIO STORICO SARDO"

Author(s): Raimondo Turtas


Source: Rivista di storia della Chiesa in Italia, Vol. 56, No. 2 (LUGLIO-DICEMBRE 2002), pp.
493-502
Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43051564
Accessed: 24-03-2020 07:50 UTC

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LA STORIA DELLA CHIESA IN SARDEGNA NEL RECENTE
"DIZIONARIO STORICO SARDO"*

Francesco Cesare Casula non è nuovo a realizzazioni editoriali di gr


dimensioni; a differenza però delle Genealogie medioevali della Sardegna , 568
4°, da lui curate nel 1984 in collaborazione con altri 5 studiosi, tutti nomina
frontespizio, questa del Dizionario storico sardo (= DISTO SA), si presenta di
lunga più impegnativa: non solo perché egli ne appare l'unico autore sebbene
riconosciuto l'apporto di una ventina di collaboratori nominati nei «Ringrazia
(p. XI-XII), ma anche perché le sue quasi 2000 pagine su due colonne - ciasc
esse contenente in media oltre 3000 battute - formerebbero un'opera di cir
pagine se essa fosse stata stampata in 8°.
L'importanza dell'operazione è ulteriormente sottolineata dai circa 13.
lemmi (questo dato, pur non riferito dal DISTOSA , è emerso durante la presenta
dell'opera fatta nel Palazzo della Provincia di Sassari il 25 ottobre 2002, pres
stesso Autore) nei quali trovano posto persone e cose legate alla storia
Sardegna: non solo i suoi "uomini illustri", come aveva già inteso fare Pasqua
col suo Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna , I-III, Torino
1838, ma anche moltissimi altri meno noti, senza parlare di concetti, situ
fenomeni, che più d'un lettore pensava che neanche esistessero (vedi, tanto p
un esempio, a p. 985, le notizie sul «monopsonio» praticato ad Oristan
settembre 1353, da Mariano IV giudice d'Arborea).
L'autore si è preoccupato che tutti i dati, «da qualsiasi pubblicaz
provenienti», fossero «inseriti nella dottrina della Statualità» (p. XI). Ne seg
tutte le cose valutate - a suo giudizio - come «istituzionalmente» sarde e t
persone, anche se di origine non sarda, purché comprese tra coloro «che h
vissuto o vivono la realtà dell'isola» (p. VI) hanno diritto ad avere il loro b
lemma. Per capire meglio questi concetti "istituzionali" e "statuali", è nece
perciò fare riferimento al lemma specifico della «Dottrina della Statualità»,
559: ad essa, si legge, «interessa lo Stato o, meglio, la statualità in quanto idea fil

* Francesco Cesare Casula, Dizionario storico sardo , Sassari, Carlo Delfino Editore, 2001
1925 p., in 4°.

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fica»; ne segue che «il terr


giuridiche per formare uno
zione di uno Stato, ma il fil
nità sta al cavallo», nel sen
Stato come l'idea eterna d
Ecco perché nel DISTOSA
qualità «istituzionale» di
autonoma della Sardegna: p.
di una svista - perché vi m
se per soli due mesi, nell'
(p. 509: «ventottesimo cap
Corsica", poi "Regno di Sa
una sequenza - questa rigu
coloro che hanno rivestito
p. 416: «trentaseiesimo ca
Sardegna (ma solo per il D
chiamarlo Giacomo II d'Ar
Non è tutto: anche i vesco
ciare da Quintasio di Cagli
chiamata di Cagliari, (anti
non sfugge, alla pari di un
Pietro Ottorino Alberti (p
delle diocesi medievali scom
cento e, ovviamente, anche
mente sardi» o perché «viv
storici: solo i defunti - l'u
un lemma; peccato che no
quasi tutto ciò che conosci
egli non è «istituzionalmen
ma lo merita forse di p
«Schedario Lupi», oltre tre
Se la cavano piuttosto m
avrebbero invece tutte le
DISTOSA , anche secondo
lità»: così l'imperatore Giu
712; un trattamento ben div
liberto di Gelimero re dei V
tivamente alle p. 715 e 15
autoproclamazione a «re d
per la prima volta nella st
altrettante ne ha l'impera
Costantino e al suo figlio
lemma. Né serve dire che
bizantina»: se ciò è vero per
cui nome viene riportato,

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diocesi, ma poi anche attribu


un proprio e talvolta corposo
sembra avere colpito l'impera
né delle importanti notizie sull
nel DISTOSA , che invece non
448-449, la «Corsiva inglese»
1217, la «renovatio imperii
l'«inchiostro» la «tanis a p. 769,
sembra ci siano ragioni plausi
storia della Sardegna.
Sono ugualmente assenti da
nella «realtà dell'isola» l'han
Alessandro II, Gregorio VII,
fermiamoci qui: di quest'ultimo
abilità con la quale egli riuscì
«in cambio dei suoi diritti sul r
Regno di "Sardegna e Corsica
proprio una bella figura perc
all'arrosto della Sicilia in cam
narlo il Giusto , avrebbero dov
Con questo non si vuole conte
di entrata nel suo libro ad alcu
è il caso -, valeva la pena di
libro è stato già stampato, n
contenute per vedere se, alm
l'unico criterio che verrà segui
essendo in grado di pronunciar
pagine seguenti mi limiterò a
Chiesa in Sardegna: si procede
consultati da un ipotetico lett
tiche più importanti di questa
È noto che essa incominc
cristiane nell'isola, le prim
completezza sarebbe stato uti
sulle precedenti religioni e cred
primo millennio a.C.: ciò pot
preistorica, fenicia, punica
esempio: «culti e religioni pr
sardonico», ecc.; per quanto m
non mi è riuscito di trovarne
a p. 1783; un po' poco e per d
parla delle «urne cinerarie» c
visibili oppure imitate in loc
quell' «oppure» - per non par
per il lettore.

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La prima attestazione de
cristiano e futuro papa C
banca cristiana» (p. 280), p
poco rigoroso lo si incont
attorno al 190 d.C. e della le
dalla concubina di Commo
- questo di «conversa» - ch
nesimo o ad una probabil
l'autore intendeva sugger
perché illetterata, di part
dei lavori manuali del mo
imbatte in altri esempi c
linguaggio poco controllat
parla dell'arcivescovo Cos
Gregorio VII nel 1074 (la
«rappresentante del Vatica
ignora che non si può par
cattolica se non dopo il 18
stato meno impreciso parl
Quanto poi a papa Pon
perché il DISTOSA parli r
citando la notizia tratta dal
«forse nelle miniere dell'A
notizia, per di più in una f
non ha alcun riscontro ne
solo per quanto riguarda l
lavori nelle miniere? Altret
Arles, convocato nel 314
donatista e fra i quali vi e
cui si conosca il nome: ch
1269), quando essi arrivav
Anche il lemma dedicat
l'ortodossia nicena e per q
e vi restò dal 355 al 361 (p
egli era «sicuramente sard
che Lucifero accoglieva «t
sua irriducibile intransig
lemma «Arianesimo», p. 9
tentarono una riconciliaz
linguaggio sull'Arianesim
dell'episcopato d'Oriente.
dossia...»: è difficile capir
suggerire che buona parte
era l'intenzione, sarebbe s
proposito di Arianesimo, si

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nell'isola da essi controllata; m


sicuramente documentato ch
vescovi sardi al dibattito teol
di proselitismo nell'isola tro
africani da loro esiliati in Sar
difesa dell'ortodossia nicena,
i Vandali muovessero un dito.
Lasciano poi ancora più sorpresi le notizie sul monachesimo di p. 489,
introdotto nell'isola secondo l'autore fin dal IV secolo dai «romiti Nicolò e Trano in
Gallura, seguiti nel 417 dai monaci e delle monache egiziane di San Michele di
Plaiano e di San Bonifacio nella pertica di Tunis Libisonis», affermazioni prese in
prestito da Camillo Bellieni {La Sardegna e i sardi nella civiltà dell* alto Medioevo ,
I, Cagliari 1973, p. 130-131), lui stesso dipendente ( ibidem ) da quel grande falsifica-
tore di notizie storiche, quasi sempre a favore di Sassari contro Cagliari, che fu
Francesco Angelo de Vico nella sua Historia general de la isla y Reyno de Sardeña ,
Barcelona 1639). Le prime notizie sicure sul monachesimo in Sardegna risalgono,
invece, solo al VI secolo, all'inizio con Fulgenzio di Ruspe e, alla fine, con Gregorio
Magno. Va però riconosciuto che, a suo modo, il DISTOSA corregge il tiro nel lemma
«monachesimo in Sardegna a carattere generale», p. 977-978; qui però non si tiene
conto di quanto già detto a p. 489 e si ripetono cose scritte poco prima a p. 976-977,
nel lemma sul «monachesimo di San Basilio di Cesarea», che presenta questi nuovi
monaci «riuniti in monistenes e cumbessias [così si chiamano ancora le minuscole
abitazioni costruite attorno alle chiese campestri per ospitare i pellegrini accorsi per
la festa o per seguire la novena in onore del santo a cui la chiesa è dedicata], diventati
poi novenari»: è scritto proprio così, solo che non si capisce bene se a diventare
"novenari" siano stati i monaci, i monistènes o le cumbessias.
Vi è poi un altro elemento che viene introdotto nell'organizzazione ecclesiastica
sarda a partire da un secondo Lucifero, quello che governò la chiesa di Cagliari attorno
al 484: «metropolita della Chiesa sarda autocèfala, (arci)vescovo» (p. 864). Tanto per
cominciare, viene da chiedersi cosa ci stiano a fare le parentesi che toccano
quell' (arci)vescovo? Questo perché, a p. 234, nel lemma di «Brumasio», le parentesi
sono invece disposte diversamente: arci( vescovo); si tratta di un banale refuso? Ciò
che invece non mi sembra accettabile è il termine «autocèfala», che da questo
momento si attacca a tutti i lemmi degli arcivescovi di Cagliari fino ad Alfredo, «forse
l'ultimo Metropolitano della Chiesa sarda autocèfala» (p. 34): per l'autore sembra si
tratti di qualcosa di molto importante e che vale perciò la pena di esaminare: per 6
secoli infatti - dal 484 al 1070-1080 -, la Chiesa sarda sarebbe stata autocefala.
Fortunatamente, il DISTOSA ci offre due lemmi (autocefalia e primate) che ci
illuminano su questo problema. Incominciamo con «autocefalìa» (p. 127), che viene
definita come «autonomia religiosa tipica delle Chiese ortodosse nazionali, ognuna
retta da un proprio sinodo»: se si prescinde da quell'espressione non proprio felice di
«autonomia religiosa», che sembra configurare un'autonomia anche nel credo
religioso, mentre sarebbe stato più esatto parlare di autonomia "ecclesiastica",
limitata cioè all'organizzazione della Chiesa, la definizione non è sbagliata; solo che
essa, applicata ai secoli appena accennati, è del tutto anacronistica (così come lo è

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parlare del Vaticano come


di Gregorio VII): quella de
che si creò in varie region
dipendenti dal patriarcato
Turchi (1453); la prima a
dichiarò ecclesiasticamente
il secolo XIX, dalle Chiese
ottomano, a cominciare d
anche la nascita delle Ch
termini, la precedente di
diventarono "autocefale".
Quanto appena detto, sarebbe sufficiente a chiudere il discorso sull'autoce-
falia; solo che il DISTOSA tenta di applicarla a suo modo anche alla Sardegna (p.
127). Ed ecco come: «la Chiesa sarda iniziale (VI secolo), pur essendo di culto greco
era autocèfala perché il primate - cioè l'arcivescovo metropolita di Càralis - era
nominato da un concilio di vescovi locali a loro volta nominati dallo stesso primate
invece che dal patriarca di Costantinopoli oppure dal papa di Roma (Giovanni V, nel
685, riprovò questa "consuetudine" ma poi dovette accettarla)». Diciamo subito che
ci saremmo aspettati una spiegazione sul senso e sul perché di quell' "iniziale", visto
che l'autocefalia, secondo l'autore, esisteva già dal V secolo: vedi p. 864. Quanto poi
alla proposizione che segue e alle sue varie articolazioni, vi si notano affermazioni
che ci sembrano quantomeno discutibili. Secondo noi, infatti, non è provato che il
culto in lingua greca abbia sostituito del tutto quello in lingua latina: tutt'al più si
potrebbe parlare di eventuali temporanee sovrapposizioni, come ad esempio a
Cagliari, dove tra il VII e il IX secolo operarono alcuni arcivescovi di lingua greca.
Difficile però pensare ad una eliminazione del culto in lingua latina: niente di simile
emerge dal ricco epistolario di Gregorio Magno o da qualsiasi altro documento;
quanto ai secoli VII e Vili, nonostante alcune importanti presenze greche (Eutálio
vescovo di Sulci e Citonato arcivescovo di Cagliari), quelle latine sono vigorosa-
mente rappresentate dall'arcivescovo cagliaritano Diodato che parla in latino durante
il sinodo lateranense del 649, e da un «Flavius Sergius bicidominus sánete Ecclesie
Caralitane» che nei primi decenni dell' Vili secolo ci ha lasciato una testimonianza
autografa della sua presenza, con una scrittura che ce lo mostra allineato alla corsiva
nuova usata allora nell'Italia longobarda; né penso che l'autore voglia parlare del IX
secolo, quando è documentata una fitta ripresa di contatti con Roma mentre manca
qualsiasi appiglio per affermare, come fa il DISTOSA , che «la Chiesa sarda era di
culto greco», un'espressione oltre tutto piuttosto imprecisa. È il caso di aggiungere,
più in dettaglio, che non è esistito in questi secoli un «primate di Sardegna»? O che
un termine come quello di "nomina" non può essere usato anche quando si dovrebbe
parlare di "elezione"? O che il provvedimento di Giovanni V nel 685 non ha nulla a
che vedere con quanto sembra affermare il lemma appena citato?
Il lemma «primate», a p. 1246, aggiunge altre notizie a dir poco problema-
tiche, come quella secondo cui il titolo di primate - «fin dagli inizi lo ebbe l'arcive-
scovo di Càlari che, in autocefalìa, eleggeva i prelati sardi e da essi veniva eletto» -,
fu tolto a questo presule «da Urbano II con la bolla del 21 aprile 1092»; forse l'autore

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allude a qualche altra bolla ch


che elevava al grado di metro
alla Sardegna e ancora meno
scrittore inaffidabile come Fe
che imperversa ancora tra molt
Pertusi ( Bisanzio e l'irradiazi
in Settimane di studio del Ce
1964, p. 110, n. 6) avesse addi
cato a Cagliari l'anno prima,
Questo vale anche per un'altr
questo lavoro di omologazio
sarebbe stato preceduto da G
questo punto, possiamo mett
durante il periodo spagnolo r
non si disputarono il titolo d
1246, bensì quello di «primat
Appartengono al periodo bi
lismo» e «iconoclastia»), nella
brani del mio libro Storia de
1999: purtroppo non sempre
sismo si afferma che «ebbe pro
ricorre anche nel lemma «mo
mente alle p. 984, 985) ha alc
parlare del «monotelismo». A
985): dopo avere dato una def
buona metà del VII secolo, il
gli ortodossi il principale espon
del monotelismo] era Massimo
questo Massimo fu il più deci
imprecisioni e refusi, va segna
«assunse una posizione antim
poteva Eutálio fare entramb
campione degli antimonotelit
finissero qui: il lemma (p. 58
Eutálio, vissuto tra la fine de
prima del nostro ma, comunqu
«fu probabilmente lui che ne
Sul lemma «iconoclastìa», inf
alle reazioni suscitate da que
irrefrenabile l'insofferenza ver
semplicità dei tenitori limitr
l'impressione che, magari in
andata perduta. La seconda è re
che avrebbero sequestrato i
commento in Storia della Chi

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eventuale sequestro dei be


questi beni non si ha noti
questo testo viene ripropo
beni della Chiesa romana n
(p. 755), una frase assoluta
conoclastia: forse, anche in
Se dal periodo bizantino
un primo momento - non
quali si sono già fatti i nom
sardi», non sono stati am
essere tacciato di favoritis
tori loro antagonisti: Enr
che conferì il titolo di rex Sardinie a Barisone d'Arborea - e Federico II di Svevia
che insignì dello stesso titolo suo figlio Enzo.
Ciò non significa che non si parli affatto di loro; mi limito a qualche esempio a
proposito di Gregorio VII: cominciamo dal «barbirasim» (così, invece di barbirasium),
p. 155 - un termine non riportato dal Registrum delle lettere di Gregorio VII -, così
definito: «rasatura della barba ordinata nel 1075 dal papa Gregorio VII al clero sardo
di culto greco, al momento dell'abbandono dell'autocefalìa e della sottomissione alla
Chiesa di Roma»; siccome si è già parlato dell'uso improprio che il DISTOSA fa di
termini come «culto greco» e «autocefalìa», mi limito ad osservare che la lettera di
Gregorio che parla del taglio della barba non è del 1075 ma del 5 ottobre 1080.
Molto giudiziosamente, a proposito dell'affermazione di alcuni storici locali
secondo cui Costantino di Castra, l'arcivescovo di Torres contemporaneo di Gregorio
VII (p. 380), sarebbe nato a «Thatari (attuale Sassari)», lo stesso autore osserva che
«non sappiamo su quali basi» essa si fondi; perché allora dire, subito dopo, che
Costantino «fu parroco di Bosa vetus»7 O che «fu eletto da Gregorio VII nel 1073»?
O che «nel 1074 fu nominato legato apostolico per tutta l'isola (cioè rappresentante
del Vaticano presso gli Stati giudicali)»? O che già da allora «incombeva la minaccia
di una licentia invadendi papale»? O che «costruì nella vecchia Bosa la cattedrale di
San Pietro»? Mi pare che queste affermazioni, in tutto o in parte, manchino di una
seria copertura documentale.
Bisogna poi aggiungere che, forse nel desiderio di rendere più comprensibile
il senso di alcuni testi antichi, l'autore ne offre talvolta una parafrasi che fa deside-
rare il solo testo originale per quanto arcaico, come quando la minaccia della maledi-
zione dei 12 apostoli comminata contro i violatori di un contratto (... apant anazema
de XII apostolos...) viene resa come la «minaccia di morte divina» (p. 79) o quando,
parlando dello stesso documento (si tratta della più antica carta arborense risalente al
1 102), egli scrive che «la maledizione dell'anatema era assunta anche dallo Stato nei
confronti dei trasgressori degli atti sovrani» (p. 51), un'affermazione che avrebbe
richiesto più d'una spiegazione.
Anche per il periodo moderno ho dovuto constatare l'assenza di alcuni lemmi,
pure molto importanti come: «benefici ecclesiastici» e «riserva papale» sugli stessi
benefici, soprattutto a partire dal periodo del papato avignonese; «cura animarum»
che - almeno teoricamente - è l'incombenza primaria dell'attività della Chiesa e del

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RASSEGNE 501

personale ecclesiastico; «ris


conseguente esclusione dagli
regio», il privilegio goduto dai
durò Y ancien régime) che, m
diocesi vacanti, potevano con
finanze sotto forma di appan
che gli altri mancano di un l
nutum », una categoria di ec
molto affrettata e da una non
vescovi avevano abbandonato
concilio di Trento, ma che nean
diocesi della Sardegna meridi
cui lemma (p. 200-201) non p
della Chiesa sarda e del ruolo
razione dell'intero regno.
Queste lacune non vengono s
zioni offerte dai lemmi prese
È vero che il giovane Sigism
diretto in Germania per incon
consta che questo «uomo eru
cosmografo) fosse già da al
Arquer rintuzzò con successo
la sua Sardiniae brevis histor
di Münster non era stata con
vari anni - o che Sigismondo
A proposito dell'arcivescov
non si può scrivere che egli
Saragozza» (p. 1 172), un uffici
elevata del regno d'Aragona,
in quel tempo era occupato d
avrebbe potuto abbandonare
Trieste e poi quella di arcives
sede rimpiangeva la pacifica
quella... indecorosa che perce
arcivescovo di Cagliari (in qu
sufficiente fare un riscontro sul terzo volume della Hierarchia catholica medii et
recentioris Aevi di C. Eubel per evitare questo infortunio.
Altre imprecisioni rendono poco agevole la lettura delle notizie biografiche su
Giovanni e Proto Arca (p. 86-87), su Girolamo Araolla (p. 76-77), le informazioni sulle
confraternite (455-456), sul culto delle reliquie (p. 1285), sulle Università (p. 1834), sui
Gesuiti (p. 678-679), sulla «laurea in utroque iure» (p. 768). Vale la pena di fermarsi un
attimo su quest'ultima che, secondo l'autore, conferiva una «specializzazione in
entrambi i diritti, civile e penale», invece che in diritto civile e canonico. Ci si fosse
almeno fermati qui...; invece il lemma continua affermando che quella laurea «era
riservata ai laici e proibita ai religiosi» (proprio così) e che, «per questo, nelle Cancel-

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lerie statali di allora, il Ca


vicecancelliere laico, in m
potrebbe continuare ma non
Nessuna intenzione, tutt
lettore del quale si è parla
una cultura sulla storia del
analizzati neanche un cen
automaticamente i risultat
qualche modo la storia d
questo un compito nel qual

Raimondo Turtas

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